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Monday, January 27, 2025

LUIGI SPERANZA -- "GRICE E MECENATE"

 

Luigi Speranza -- Grice e Mecenate: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza.  (Roma). Filosofo italiano. Gaio Cilnio Mecenate. Interessi filosofici prova lui, il potentissimo consigliere d'Ottaviano. Di origine etrusca, e probabilmente aretina, discende da stirpe regia, ma volle restare semplice cavaliere romano. Combattè a Filippi per i triumviri e e intimo di Ottaviano che egli cerca di conciliare con Marc'Antonio, siechè ha luogo l’incontro di Brindisi. Per conto di Ottaviano si reca presso Marc'Antonio affinchè partecipasse alla guerra contro Sesto Pompeo. Lui e il rappresentante di Ottaviano a Roma e in Italia con poteri illimitati. Ottaviano si serve di Mecenate in pace e in guerra e trova sia in lui che in Agrippa il sostegno più sicuro del suo principato. Ma egli deve la sua fama imperitura alla protezione che concesse ai maggiori filosofi del tempo suo. Restano pochi frammenti dei scritti del M. in versi e in prosa, nei quali, e specialmente nel Simposio o convito, opera che introduce in Roma un genere letterario molto coltivato in Grecia, mostra di subire l’influsso dei filosofi dell’Orto. Interessi filosofici e influssi epicurei si manifestano negli seritti dei maggiori filosofi del circolo del Mecenate. Maecenas wrote several works, none of which have come down to us. Their loss howerer is not much to be deplored, siuce, acoording to the testimony of many ancient writers, they were written in a very artificial and affected manner (Suet. ‘Octv.,’ ; Sen., ‘Epist.’; Tac. ‘Dial. de Orat.,’, who speaks of the ‘calamistros Maecenatis. They consist of poems, tragedies (one entitled ' Prometheus,' and another 'Octavia'), a history of the wars of Augustus (ORAZIO, 'Carm.' ), and a symposium, in which VIRGILIO and ORAZIO were introduced. The few fragmente which remain of these works have been collected and published by Lion under the title of ‘Maecenatiana, sive de C. Cinii Macenatia Vita et Moribus,’ Göttingen. Maecenas' known works include a Symposium, with such notables on the guest list as Horace, Virgil, and Messalla, and, if a fragment from Plutarcocan be trusted, some pretty clever dinner conversation. Servius, Aeneid: Facilesque oculos fert omnia circum: physici dicunt ex vino mobiliores oculos fieri. Plautus faciles oculos habet, id est mobiles vino. Hoc etiam Maecenas in Symposio ubi Vergilius et Horatius interfuerunt, cum ex persona Messallae de vi vini loqueretur, ait 'idem umor ministrat faciles oculos, pulchriora reddit omnia et dulcis¡uventae reducit bona.' Cf. Plut. Mor. frag. 180: 'Ev tô cuvosívo tỘ toû ManvaTúTEÇa ¿YYóo, N unò tị Koía tò HéyE0os HeyíGTh Kai kán2os auaxos. kai ola sikòsETAVOUV ARZOL ANNOS AUTHV O SE TÓPTIOS, OUK EXOV O TI MAp ¿AUTOû TEpaTEÚGaGOaL,Glyñ ysvousn, "EKsivo dE ouK ¿vvosits, d pior Guunótal, Oc otpoYyún sotì Kai ayavrEpIpEp'S." ¿ TOÍVUV TẬ ¿páTO KORaKsia, Ó5 tÒ siKóS, yéS KatEppáyn. For the possibility that this incident may come from Maecenas' Symposium see Jiráni 1932, 1-12; Lunderstedt. Perhaps M.'s Symposium should be added to the list of possible antecedents for Petronius' Cena. %//» ftt.y. !f '8 )>:   9 .éffsuz^ncsÉ  OtjJ  A, «a   k.Sm    i STORIA DI CAJO CILNIO M. CAVALIERE ROMANO SCRITTA, X DEDICATA  A  S. A. S. il Signor Principe   FEDERICO DI SAXE-GOTH A   DaU’Avv. Sante Viola P. T.    ROMA i8£Ó.  Presso Francesco Bourlié Con Lic. de' Sup. mm. 9 A spese degli Eredi Raggi Libra]  al Camita«1 ALTEZZA SERENISSIMA  Allorché io mi occupava a raccogliere le Memorie Istoriche della Vita di Cajo Cilnio M. 9 pensai ocacciare al mio Libro un Protettore nella Persona dell’ A. V. S.  sapendo quanto sia benemerita della  Letteratura, delle Arti, e de’ loro  Coltivatori ; e sebbene la piccolezza della mia Offerta dovesse sgomentarmi, tuttavia fatto coraggioso dalla grandezza del suo magnanimo  cuore, restai fermo nel mio pensiero, persuaso, che la Storia delle  geste civili, politiche, e morali di  quell’ esimio Cavalier Romano, doveva presentarsi ad un Principe i  nel quale si ammiravano per singoiar modo trasfuse le doti più belle \  di cui era quello fregiato. E come non dovrà celebrarsi  P A. V. S. nel vederla animata dal  genio istesso del gran Cibilo riguardo al progresso, ed al miglioramento delle Arti > e delle Scienze? In    Roma, Capitale di un vasto Impero,  M. avvalorava i talenti, proteggeva i Dotti, e dava così un impulso potente alla Civilizzazione del  Genere umano ; e F A. V. 5. nell*  istessa Capitale, ora Sede, e Maestra  del buon Gusto, e delle Arti, accoglie con amorevolezza, onora con  discernimento, protegge con costanza tutti gli Artisti, e Letterati, de’  quali la stima, la venerazione, e  T amore sono ben dovuti all’A. V.  per quella soavità di maniere, ed  eminenti virtù, che in tanta copia  brillano i n tutte le di Lei azioni.   Se l’A. Y. S. si degna di accogliere  sotto la benefica, e valevole sua  Protezione questo mio qualunque  siasi lavoro, andrà esso fastoso vedendosi onorato di qùelNome illustre, che ridesta la dolce memoria de TI grandi Avi dell’ A. V. S. i quali in  ogni epoca recarono decoro alla Patria, onore, e gloria alle Contrade  Alemanne. Supplico PA.V.S. di aggradire i  sentimenti di quella profonda venerazione, ed invariabile ossequio,  con cui ho, l’onore di rassegnarmi.  Di V.A.S. Vino Dmo Obbmo Servo  SANTI VIOLA, Nello scrivere la Storia di Caio Cilnio  M. ebbi di mira soltanto la riconoscenza  dovuta alla memoria di questo grand' Uomo,  che fù il più zelante promotore delle belle Letter e, l'Amico sincero, il Protettore liberale  di tutti li Letterati suoi contemporanei.   Per lo spazio di circa tredici, o quattordici  Secoli il nome di M. fu sepolto, per dir  cosi, nel seno dell' oblio ; effetto della barborie de' tempi. Giovanni Meibomio fù il  pririio a raccogliere tutte le notizie relative  alla Vita di questo esimio Cavaliere Romano, e nel i6Sj. ne stampò in Leida un Libro  avente per titolo : M., sive de Caji Clini M. Vita, moribus, et rebus gestis. Prima del Meibomio ne aveva scritta una  Storia Gio. Paolo Martire Rizzo in- lingua Ca stigliarla. Ma quest’Opera non potè procacciarsi un incontro felice per le stravaganze, di  cui era ripiena, portando l' impronta piuttosto di un Romanzo, che di una Storia, conforme osserva il lodato Meibomio. Praeloq. ad Lect. : Historia Vitae Maecenatis a Jo. Paulo Martire Rizzo Lingua Cast igliana de script a. . Tantum enimabest, ut  illa sit historia, ut parum absit ad fabulas  abeat. Circa treni' anni dopo l’Opera di questo,  cioè, Cernii diede alla  luce in Roma con le stampe di Lazzari una Vita di Cajo M. Ma questa  operetta per lo stile inelegante, ed uniforme  al gusto di quel secolo, sembra che non riportasse tutta l’approvazione de’letterati, essendo caduta in una quasi totale dimenticanza ; ciò non ostante l' Autore, con la scorta  del sudetto Meibomio, non omise di riunire  molte notizie sulla Storia di M., estratte dagli Autpri antichi.   Altri ancora posteriormente hanno parlato,  e scritto sul medesimo soggetto. Nel 1 j 46. fu  publicata in Parigi da M Riclier una Vita di  M., e successivamente V Abb. Souchay  fece una raccolta di notizie in una Dissertazione inserita nelle Memorie dell'Accademia dell’Iscrizioni, intitolata Ricerche intorno  M. Avendo profittato de' lumi, che questi Autori diffusero nelle loro Opere, e non avendo  omesso di esaminare li Scritti di Livio, Dione  Cassio, Appiano, Tanfo, e Vellejo Patercolo fra li Scorici antichi, non che quelli dì  Seneca, Macrobio, ORAZIO (vedasi) Flocco, Virgilio,  Properzio, ed altri, ho tessuto questo qualunque siasi lavoro, con aver procurato di non   CO Tiratosela Stor. della Lett. ltal.. ... r j  deviare nella narrazione de' fatti dà un ordine  regolare, e cronologico. Fra li moderni ho  fatto uso delle Storie del dotto Inglese Lorenzo  Echard (1), e degli eruditi Catrou, e Rovillè (2 ), nelle quali oltre a non poche notizie  relative al mio assunto, ho toltili materiali  sulla Storia contemporanea, con aver però ri-*  scontrati li fonti, in cui quelli avevano ati  tinto,   Lapresente Operetta è divisa in IV Libri. N el primo si sono rintracciate le Notizie  sull’ origine, e sulle qualità della Famiglia de'  Cilnj ; si fissa l’epoca, in cui il nostro M. può essere entrato nella CorQe di Ottavio  Augusto, e si nota tutto ciò che vi ha di più  rimarchevole sulle di lui geste e precedenti al  Triumvirato, e dopo di esso fino alla Cuerra  detta di Perugia, cagionata dagl intrighi di  Fulvia Moglie del Triumviro Marcantonio.  Contiene ancora le operazioni del medesimo  M., e prima, e dopo la disfatta di Bru->  to, e Cassio nelle Campagne di Filippi,   (1) Storia Romana dalla Fondazione di Roma sino alla Traslazione dell’ Impero sotto Costantino scritta in idioma Francese dall’ Abb.  delle Fontane sopra l’Originale Inglese. Venezia 1751.   (*) Histoire Romaine depuis laFondation  de Rome par les RR. PP. Catron, et Rovillè.  Paris. Il secondo Libro comprende la serie de folti  relativi alla Storia di M. dalla indetta  disfatta di Bruto fino alla morte del succe rinato  Marcantonio, c della famosa Cleopatra, Epoca, in cui Ottavio rimase il solo Dominatore  della Romana Gran dezza.   N el terzo Libro si vedrà il Congresso tenuto  da questo con Agrippa, e M. per deliberare, se, stante V estinzione del Triumvirato, dovesse ristabilirsi nel suo stato primitivo  il sistema Republicano, o se dovessero gettarsi le basi di una Monarchia Universale, e qui  si leggeranno li giudiziosi, e politici discorsi,  recitati l’uno da Agrippa, che perorò per la  Repuhlica, e l’altro da M., il quale fa  di opposte sentimento, ed opinò per lo stabilimento della Monarchia ; e come Ottavio antepose le ragioni di questo alle riflessioni di  quello. N eli’ ultimo Libro si conoscerà quale fesse  l influenza di M. sullo spirito di Ottavio, divenuto Imperadore, e quale la deferenza di questo verso di quello. Si ravviserà  inoltre quanto grahde fosse la protezione, c la  liberalità di M. verso i Letterati, e  quale impegno avesse per il progresso dèlia  Letteratura, e delle Scienze. In fine sipario della Morte. Hò creduto di aggiungere, dopo la Storia, Appendice divisa in tre Discussioni, che  sonuninistrano de' schiarimenti, ai altre- memorie, che in quella, q erano state omesse, o  appena accennate. Le prime due Discussioni  abbracciano Le notizie relative ai celebri Giardini, ed Abitazione, che M. possedeva  in Roma, ed alla magnifica sua Villa situata  sulle sponde dell ’ Aniene presso Tivoli. La  terza si aggirerà sulla pretesa Febre perpetua,  e Veglia Triennale, che Plinio il Naturalista  attribuisce a M. Tutte le volte, che questo grand’Uomo trovò  degl' imitatori nella protezione, e nel favore  delle Lettere, e dei Coltivatori delle medesime  si viddero comparire degl ' ingegni prodigiosi,  e la Letteratura fece mirabili progressi, In  fatti a questa imitazione siamo debitori di tante  utili scoperte, e di quelle venuste produzioni  dello spirito umano, che viddero la luce sotto  i Leoni, sotto gli Alfonsi, e in tutte le altre  epoche, nelle quali le fatiche de' Dotti furono  r.icompcnsate, ed avvalorati li talenti. Se pertanto questa imitazione non sarà posta in oblìo,  e se il nome di Cajo Cilnio M. non sarà  dimenticato, li Secoli successivi saranno sempre più migliorati, ed illuminati dallo sviluppo delle umane cognizioni.   LI Poeta Marziale, che vivgpa in un epoca,  in cui la Letteratura inclinava alla sua decadenza, si lagna, e fa conoscere, che allora  non esistevano dei Mecenati, che non erano  le scienze protette, e che perciò non si vedevano comparire ingegni sublimi. Ti meravi    gli > 0 Fiacco, che a tempi nostri. .. manchino ingegni simili a quello di Virgilio,, Marone, c che niuno sappia cantare le mi-,, litari imprese con una tromba eguale alla  sua. Io ti rispondo, che se vi fossero de *  Mecenati, come quelli, che vissero sotto  I Impero di Ottavio Augusto, vedresti svilapparsi altri Genj niente inferiori a quello,, del Poeta Mantovano. Era stata a questo  rapita la sua piccola Possessione presso Crcmona, implorò la protezione di M.,,, pianse, e sotto il nome diT itiro cantò in,, stile boschereccio le perdute pecorelle. Rise  al suo flebile, ma dilettevole canto il Toscavo Cavaliere, e tantosto fugò da esso la,, maligna povertà. .. Allora Virgilio concopi la grandiosa idea dell ’ Eneide . Se  tu dunque, o Fiacco, sarai benefico come M., e mi ricolmerai di doni, ti,, assicuro, che anche io diverrò Virgilio (l).   ( i) Martini. Lib. 8. Epigr. 55. ad Flaccnm.   Temporibus nostris   ìngenium sacri miraris abesse Maronis;   Nec quemquam tanta bella sonare tuba.  $int M. s, non deerunt, Flacce, Marones.   Jugera perdiderat miserae vicina Cremonae,  y Flebat et adductas T ityrus aeger opes.   Jìisit Tuscus Eques, paupertatemque malignarti   Rcpulit, et celeri jussit abire fuga,    Digitized t    XIII   Nello scrivere la presente Storia non pretendo di aver fatto un lavoro completo, nè di  aver raccolto tutte le Memorie sulle avventure  politiche, morali, e civili di questo esimio Cavaliere Romano. Se non vi sono riuscito, non  fu colpa della mia volontà, o effetto di trascuratezza. Qualunque mancanza si deve attribuire alla ristrettezza delle mie cognizioni, e  de’ miei talenti. Può essere però, che all' impulso di quésto mio travaglio altri si scuotano  in seguito, che forniti di migliori materiali,  ed ingegno più elevato, sappiano supplire alli  miei difetti- Io gioirò allora nel mio cuore, e  leggendo novelle prbduzio'ni, e nuove scoperte  intorno alle geste del mio Eroe, sarò ben contento di apprendere da altri, ciocchi io aveva  tentato di conoscere colle mie fatiche.  Protinus Italiam concepii, et arma virumque.   Ergo ero Virgilius si munera Maecenatis  E>es wihi. . v w. v i     y*   N A    STORIA DI CAIO CILNIO M. _| ràle famigli» le più antiche, e doviziose di Arezzo nell’Etruria meritamente è annoverata quella de’ Cilnj. Circa la metà del  quinto Secolo dopala fondazione di Roma, e  duecento novant’ anni puma dell’Era volgare  la medesima figurava luminosamente non solo  nella propria Città:, ma eziandio sopra tutta  la Nazione ; se noti che le grandi ricchezze  avendola resa troppo orgogliosa, e prepotente, si procacciò l’odio, e l’ invidia, delle  altre famiglie, e de’ suoi concittadini, e fu  sottoposta a disgustiose vicende.   Nell’ epoca succenuata, e precisamente  nell’ anno 4S0. di Roma, fu ordita nel seno  stesso della sua Patria contro di quella una  terribile congiura # e quantunque, per mezzo de’ suoi rapporti, ne giungesse al discoprimento,, non potè però impedirne l’esplosione. Gli Aretini presero le armi risoluti di  discacciarla dalla Città, e non avrebbe potuto  disimpegnarsi dalla pericolosa situazione,  se non avesse trovato un appoggio nelle forze  della Romana Republica.,   Questa aveva già sperimentato più volte la   A    Digitized by Google    *   potenza, ed il valóre degli Etrusci, che in  quel tempo costituivano una nazione popolosa,  formidabile; e guerrierafi) e se aveva su  di questa riportate delle vittorie, TEtruria  non faceva ancora parte delle provincie Romane ad essa confinanti. In questa occasione,  o fosse realmente per soccorrere li Cilnj » o  più probabilmente per profittare delle interne  dissensioni, Roma vi spedi il Dittatore Marco  Valerio Massimo con un’ armata.   Sebbene lo Storico Livio narri il principio,  il progresso, ed il termine di questa insurrezione degli Etrusci, nutladimeno, secondo  il medesimo, sembra, che riuscisse al Generale Romano di calmare li sediziosi movimenti  degli Aretini, e di riconciliare la Plebe, con  la detta famiglia de' Cilnj i senza alcun fatto  d’armi rimarchevole, e sanguinoso,, Correva,, la voce ( dice Livio ) cbe l’Etruria avesse  inalberato lo stendardo della rivolta, e  che erasidato principio! alla medesima dalle  sofnmosse degli abitanti di Arezzo, nella  qual Città la prepotente famiglia de’ Cilnj,  invidiata perle ricchezze, voleva scacciarsi colle armi Alcuni Autori, che   (l j> Livio lib.q. Cap.iqi Prodigato Samnitium bello ;. .. Etrusci belli fama exorta  èst, non erttt ea tempestate gens alia, cujus . .,. arma terribiliora esscnt cum propinqui tate agri, tum muli ita din è hom&nutn, y tengo presso eli me, affermano, che per  iopera del Dittatore, calmati li sediziosi movimenti degli Aretini, e ricpnciliata  Plebe con la famiglia de’ Cilnj, fosse ricondotta la quiete nell’Etruria, senza alcun  fatto d’ armi memorabile (i).   Dopo due anni però, cioè nell’anno 453,  si accese nuova guerra fra questa, e laRepublica Romana. Sene ignora la, cagione, e  non si conosce qual parte vi prendessero i  Cilnj, e sebbene l’E trulla fosse costretta a  chiedere la pace, tuttavia dopo breve tempo  fu indotta a novelle ostilità dai Sanniti.   Questi popoli guerrieri sempre inquieti >  benché sempre vinti dai Romani, nell anno  557. tornarono all’ armi, e fecero tptti li  sforzi per stringere un'alleanza offensiva con  le popolazioni Toscane Etrusci ( cosi parlarono li Deputati de’ Sanniti ) piu d’nna  volta ci siamo cimentati ne’ campi di Marte  con le Coorti Romane ; abbiamo dimandata  Lib. io. num. 3. e 5. Multiplex de inde exortus terror. Etruriam rebellare ab  Aretinorum scditionibus, mota orto, nuntiabatur, ubi Cilriiurn genus praepotens, divi tiarum invidia pelli armis ceptum Ha*   beo Auctores, sine allo praolto pacatam a Dittatore Etruriam esse, seditionibus tantum,  Aretinorum compositis, ctCilnio genere cuoi  plebe in gratiam redacto. . L. . v )  la pace, quando non potevamo sostenere   più lungamente il peso della guerra. Siamo  tornati ora a' prendere nuovamente le armi, perchè la pace ci era più dura degli orrori di quella L’unica nostra speranza però, la sola nostra risorsa risiede nella nazione Toscana, nazione ricca, bellicosa, e  fertile di guerrieri. Se noi avremo il vostro ajuto, e voi risveglierete ne’ vostri  petti quel coraggio,. con cui Porsena, e i  ^vostri Maggiori spaventarono Roma istessa,  nulla avremo a desiderare (i).   Li Sanniti ottennero ciò, che bramavano.  Gli Etrusci accedettero alla lega, e la guerra  cominciò con furore. Ma non era ornai più  tempo di resistete alle forze delle Republica  Romana già divenuta invincibile .'Eglino furono superati, e la sorte, che incontrarono  in questa, incontrarono ancora nelle altre  guerre posteriori, finché furono costretti a  sottoporsi alle leggi, ed all' impero di quella.   Quantunque la Storia ci abbia occultato le  avventure de’ Cilnj, dopo che l’Etruria fu da’  Romani soggiogata, pure sembra potersi credere, che continuassero sempre ad occupare  un rango distinto fra le famigliedella Nazione.  Imperciocché se deve -prestarsi fede al Poeta  Silio Italico, nella seconda guerra Punica un  individuo di essa famiglia militò contro Anni • I ., N 1 • Tit. Liv. lib.io. cap.x i. w. •.    baiò sotto le bandiere Romane e tuttoché  restasse prigioniero, diede argomenti di coraggio, e di valore.   Avendo Annibaie superato le Alpi, incontrò nelle vicinanze della Liguria il Consolo  Cornelio Scipione, che con un’ armata Romana voleva contrastargli la marcia ; ma impaziente il Generale Africano di dare esecuzione  al già meditato progetto di conquistare l’Italia*  e impadronirsi ancora del Campidoglio, attaccò  l’esercito nemico. La battaglia fn incominciata, e sostenuta con accanimento dalla Cavalleria Numida, e le truppe di Scipione furono  completamente disfatte. Egli stesso rimase ferito, e sarebbe caduto frà le mani de’Cartaginesi,  se non avesse combattuto al sno fianco Scipione  di lui figlio denominato posteriormente Africano. Questo giovane guerriero, benché in  età di soli diciotto anni, salvò il padre con  il suo coraggio, e diede in tale occasione li  primi saggi de’ suoi talenti militari. Questa  terribile battaglia, e questo disastro dai Romani sofferto accadde tra il Pò, ed il Ticino  nell'anno di Roma 536. (i).   (i) Dion. Cas. lib. 14. Eutrop. lib.3. Florus lib.a. Cap. 6. Ac primi quidem impetus turbo inter Padum ac Ticinum valido statim fragore delonuit. Tunc Scipione Duce,fusus Exercicus, saucius et ipse venisset in hostium ma nus Imperator,niii protectum patrem praetex   «I    6   Frà li molti prigionieri di distinzione fatti  da' Cartaginesi si numera un Cilnio della Città di Arezzo nell’ Etruria. Giovanetto anch'  esso, come il figlio del suo Generale, combatteva nella Cavalleria Romana. Il suo Cavallo ferito cadde nella pugna, ed egli restò  prigioniero. Il surriferito Silio Italico, che  narrò in versi tutte le azioni di questa guerra formidabile, cosi si esprime Cilnio d’ il-,, lustre prosapia, e nato nella Città di Arezzo, situata nelle contrade Toscane, da  un destino crudele era stato spinto sulle rive del Ticino, benché giovanetto; quivi  nel furor della mischia, balzato al suolo,, dal suo Cavallo divenuto furibondo per una,, ferita, era stato costretto a sottoporre il  collo alle Libiche catene „(i).   Annibaie bramando di conoscere le geste,  e l’origine di Fabio Massimo Dittatore Roma tatus admodum filius ab ipsa morte rapuisset. Sii. Italie, lib.7. de Bell.Punic. ver.ao.  At Libyae Ductor postquam nova nomina lecto  Dìctatore vigent ....•   Oeyus accìtum captivo ex agmine poscit  Progenicm,rituscjue Ducis,dextr aeque labores;  Cilnius Arreti Tyrrhenis ortus in orit  Clarum nomea erat, sed laeva adduxerat fiora  Ticini juvenem ripis, fususque ruentis  V ulnere equi, Libycit praebebat colla catenu. Cop ale    i   no» di cui tante cosq narrava la fama, ne interroga il sudetto Cilnio suo prigioniero.  Questo appaga il Generale Africano, ma gli  parla con franchezza, e coraggi^, e gli fa  Conoscere in fine, che piu della schiavitù, cui  era stato per disavventura sottoposto, amala  morte. Offeso .quello dall’ardita risposta di  Cilnio, cosi lo rampogna. Indarno, q folle, cerchi di accendere il mio sdegno, è  di schivare con morte, che desideri,  », la schiavitù. Viyrrai tuo malgrado, e il  tuo collo sarà riservato al peso di catena  più pesanti .,,(1).   « Dopo la battaglia del Ticino i Annibaie  continuò a trascorrere l’Italia, riportando  segnalate vittorie. La più strepitosa, e memorabile fu quella presso Canne piccolo, ed  ignobile Borgo della Puglia nell’anno di Roma  $ 38. La perdita della Romana Republica in  questa fatale giornata fu immensa. Tutte le  famiglie furono ricoperte di lutto, perchè  ognuna vi ebbe delle vittime da compiangere (a) ; e la terribile strage non afflisse Roma   (1) Sii. Ital. loc. cit. vers. 40. et seq.   Qnem ( Cilnium ) cernens avidurn leti post   talia Pocnus   Nequidguam nostras, demens, ait, elicis iras,  Et captiva paras moriendo evadere vincla ;  yivendurn est, arefa servàntur colla catena. Lucius Fior. Lib. a. Capi 6. Ultimwn    8   soltanto; essa aveva fatttf leva di frappe dar  tntte le Provincie o conquistate, o collegate, onde sù di qneste si diffuse non meno l’or- 1  rore prodottoda quella battaglia sanguinosa *  Perciò anche TEtruria dovette dolersi de’  suoi guerrieri estinti nelle campagne della  Paglia, e frà gli altri di un illustre Pcrsonagf.  gio chiamato M., e dell' iste.ssa famiglia  de’ Cilnj. Il sndetto Siliò Italico dettagliando li soggetti di distinzione, che erano periti  a Canne, fa menzione particolare di questo  èon tali espressioni Te'ancora trafitto nelL*  inguine da Tiri© strale Veggio cadere estinto, o M., nomeMllustre per li scettri  Toscani, e venerato per la patria, che ti  diede i Natali (i).   Se fosse incontrastabile l’autorità di questo  Poeta potrebbero farsi alcune riflessioni, relativamente all* oggetto della Storia, che si  descrive ; Nella battaglia del Ticino è fatto  prigioniero un Cilnio cittadino di Arezzo, di  prosapia illustre ; in quella presso Canne,  cioè dne anni dopo, cade estinto altro sogetto chiamato M., parimenteToscano, mà   bulnus Imperli, Canna e, ignobili s Apuliae  V icus, sed magnitudine c/adii, emersit ; et  quadraginta millium eacdr parta nobilitai ; Ibi  in exitium infelicis exercitus dux, terra, coelum, dia, tota denique rerum natura contentiti  ( i) Lib. io. vers. 39.    Digitized by Google      li antenati del quale erano stati Monarchi : Et  sceptris olirti celebratum' nomen Etruscis : Ora  l'uno, e l'altro discendevano dalla stessa famiglia de’Cilnj, o erano di due separate famiglie ?  Come poi, e quando, e chi delle medesime  venne a stabilirsi in Roma ?  La notte del tempo, e la mancanza di memorie ci toglie tuttU lumi necessari, onde ravvisare la verità senza incertezza, e giungere allo  scioglimento di tali dubbiezze • Dall' anno  538. epoca della ìsudetta battaglia presso Canne fino all’anno 66a. dì Roma ci si presenta un  vuoto penoso, che nulla ci fa scorgere sull'  oggetto ricercato; in quest’anno però sembra,  che comincino a diradarsi le tenebre, ea  presentarcisi un qualche raggio rischiaratore  per conoscere, che allora la famigliar M. già erasi stabilita in Roma, leggeudo, che  un Cajo M., aggregato al corpo de’  Cavalieri, figurava luminosamente in quella.  Capitale.   In tal epoca, e precisamente nel detto  anno 66a. era Tribuno della plebe Marco Livio Druso. Questo cittadino Romano fornito  di nobiltà, di ricchezze, e di eloquenza attaccò le prerogative esistenti nell’antico, e no   Oppetis, et Tyrio super inguina fixe veruto,  Maecenat, cui maeonia venerabile terra,   Et sceptris olirti celebratum nomen Etruscis.    IO   bil ceto de’ Cavalieri » e -vedeva, thè » me-/  diante una Legge,' venissero; questi.' spogliati  dei-diritto sulla Giudicatura, dritto annesso,  óna volta, al Senato iifi) j -,  Per riuscire nel suo progetto Druso fece  ogni sforzo, e non trascurò dt mettere in ino»  vimento tutte le risorse della politica, dell'  eloquenza, e della saviezza ± mà oltre ad ave?  re incontrato delle forti opposizioni fra li stessi Senatori, -Cajo M.,• Flavio Pugione,  e Gneo Titinmo, Cavalieri di specchiata probità si opposero energicamente alle di lui potenti manovre, e con lai loto fermezza, ed  influenza* mandarono a. vuoto il progetto di  Legge > che già quello aveva modellato (2).  ? L’Oratore Marco Tullio Cicerone nell’Orazione a favor di Cluenzio, presentandogli   I * •  i •• 1; i   - Vellej. Patere. Lib. a. Art.i 3 .De inde f  inter jectis paucis annis, TriburuUum iniiejtf.  Livius Drusus, vir nobilissimus, eloguentis simus, sanctissimus, qui cum Senatui priscum  restituire cuperet dccus, et judicia ab Equi ti bus ad eum transfer re Ordinem. .. in its  tpsis, quae prò Senatu moliebatur, Senatum  habuit adversarium,   Liv. in supplem. lib. 71. art. ar. Adeoque Cajus Flavius Pus io, Gn.Titinius, Cajus  Maecenas Principes Equestri s Ordinis Curiata  hit le gibus ingredi aperte ree usar unt. re   l'occasione di rammentare questo avvenimento  de’ fasti Romani, fa un’elogio, e di Cajo M., e degli altri due Cavalieri ne’ termini  seguenti Allora Cajo Flavio Pugione, Gneo,, Titinnio, e Cajo M., que’ potenti  sostegni del popolo Romano non agirono,  come ha ora agito Clueuzio, quasi che ri*  >, cnsando pensassero di far ricadere sopra  di essi un qualche principio di colpa, ma  ricusando apertamente, energicamente, ed  onestamente fecero conoscere, che eglino  avrebbero potuto sollevarsi per giudizio  del Popolo a cariche sublimi, se avessero  >, direttele loro cure a richiederle ... ma,, che, contenti del solo ordine Equestre,  incui si trovavano, in cui erano vi» suti ancora li loro Maggiori, avevano stimato di seguire una vita quieta, e tran*  qui Ha lungi dalle procelle, che sogliono  suscitare l’invidia, e gl’intrighi de* giudi»> zj, simili a quello, di cui.si tratta Oraf prò Cluentio nnm. 56. 0 Virot  fortes, Equites Romanos ! qui ho mi ni Claris simo, oc potentissimo M. DrusoTribuno pie bis restiterunt Tane C. Flavius   Pusio, Cn. Titinius, Cajus Maecenas, illa  robora papali Romani, ceterigue hujusmodi  Ordinis non fecerunt idem, guod nane Cluen tius, ut aliquid culpae susci pere se putarent  recusando, *ed apertissime r spugnar unt, cunt    Qigilized by Goo jle    i iDa questo Caio M., di dui parla Cu  cerone,~fiho all’anno della nasci ta dèi nostra  CajoCtlnio' M. non trascorsero, .che soli anni ventiquattro-, essendo egli n3to, come  fra poco si vedrà /udranno di Roma,  cosi che se, quando quello si oppose all’ intrapresa dal Tribuno Druso nell’Anno 663.  non era in età provetta, poteva vivere: ancora  quando ebbe principio resistenza di questo.  i E sebbene sia sembrato irreperibile il suo  preciso anuo Natalizio,, tuttavia riflettendosi  sull ’ annoi della nascita * e sù quello della  morte del Poeta Orazio Fiacco, si potrà conoscere, e forse con qualche sicurezza, che  il nostro Cajo Cilnio M. fu messo al  mondo nell indicato anno 686. dopo la fondazione di Roma, ed anni sessantotto prima  dell'Era volgarp.  et Lucio   Asinio Gallo Consulibus.   Fast. Cons. loc. cit. pag. 107.    Digitized by Google    i5   quantasette, qual periodo’ di vita appunto  gli assegnano Eusebio di Cesarea (i ) Pietro  Crinto ( oc) ed altri .,   Sembra anche certo egualmente, che il nostro Cajo Cilnio M. morisse di anni sessanta, è nell* anno istesso, in cui cessò di.  vivere Orazio ; anzi non s'ignora, che  il primo mori verso il mese di Settembre, ed il  secondo nei mese di Novembre ( \) ’•[ Dunque  M. aveva preceduto di tre anni, resistenza di Orazio, che visse cinquantasette an.  ni conforme si è detto, ed essendostata fissata   ; 1 ;!/   InChronich. Horatius quinquagesimo  septimo aetatis siiae anno Romae moritur .In Vit. Horat. Mortuus est autemHo ratius anno aetatis suae septimo, et quinquagesimo.   (i ) Dion. Gas. lib. 55. Morery Gran. Diction. Histor. art. Maecen. Briet. Ann. Mund.  Tom. j. part. 3. ad ann. 746. Consulibus Cajo  Mario Censorino, et C. Asinio Gallo fnensi Sestili indìtum est Augusti nomea .... Obiìt  etiam hoc anno Maecenas Litterarum praesidium, et decus Nequc diti suo Mae cenati supcrvixit Horatius Flaccus Poeta Lyricus. Obiit enim non aetatis anno 60, ut ali qui, non 5 o, ut alti, sed 5 j, hisque Consu li bus. v   ( 4) Cafrou.Hist. Eom. Tom. 19.    16   la nascita di questa all’ anno 689. il Natale  di quello deve rimontare all’ anno 686. dopo  la fondazione di Roma, ed. all' anno 68. prima  dell’Era volgare »   Con maggior certezza poi si conosce il  giorno preciso, in cui il sudetto Cilnio fu registrato nel numero de mortai}, che fu il giorno i3. Aprile. La verità di questo punto istorico risulta dalle Odi del surriferito Orazio  Fiacco. Volendo quest» Poeta celebrare la ricorrenza del sudetto giorno Natalizio del suo  amico M., invita Fillide alla Festa, e  cosi si esprime Ed affinchè conosca, o Filli de, a quali esultanze io ti chiami, sappi,  che dovrai celebrare con ime il dì, che in  due divide il mese di Aprile, sacro a Ciprigna; giorno per me giustamente solenne, e più sacro ancora dj quello, nel qua., le io nacqui; giacché in esso incomincia a,, numerare gli anni della sua vita il mio M. Od.i 1.   Vi tanica noris, quibus advoceris  Gaudiis ; Idus tibi sunt agendac,   Qui die* mcnsem Veneri s marinai  Findit-Aprilem.   J are sole mais mihi, sanctiorque   Paene Natali proprio, quod ex hac  Luce Maecenas meus ajfluehtes  Ordinai annoi, Avendo procurato di rintracciare alla meglio l'anno, ed il giorno della nascita del nostro Cilnio,, stimo pregio dell'opera di fare alcune osservazioni relativamente al suo Padre,  ed alla sua Stirpe. Quel Cajo M., che  nell' anno 66a. faceva in Roma una comparsa  brillante, era ascritto nell’ordine de’ Cavalieri ; ciò si è dimostrato coll' autentica testimonianza di Cicerone, ed anche con le autorità di Livio testé riferite.   Inoltre l’ istesso Cicerone ci fa conoscere,  che il Cajo M., di cui fa egli gloriosa  menzione, non aveva alcuna ambizione, nè  curava di sollevarsi ad impieghi luminosi, ai  quali pur troppo avrebbe potuto giungere per  la buona opinione, che godeva presso il Popolo ; ma che contento del semplice titolo di  Cavaliere, amava di passare una vita lieta,  e tranquilla ad imitazione de’ suoi Maggiori.  Se potuisse ( sono parole di Tullio sopra-,, enunciate ) Judicio populi Romani in amplissimum locum pervenire, si sua studia,, ad honores petendos conferre voluissent  sed Ordine suo, Patrumque suorum contentos fuisse, et vitam illarn  tranqnillam, et quietam .... sequi ma-,, luisse.   Ora il carattere, che forma Cicerone di  questo Cajo M., non è similissimo a quello del nostro Cilnio ? Tal circostanza si conoscerà nel decorso della sua Storia, ma intan B    j8   to possiamo accennare, che questo aveva tutti li mezzi per inalzarsi a cariche le più eminenti, e decorose, stante la grande amicizia,   di cui era onorato da Augusto, ma che pago del suo stato, e del semplice titolo di Cavaliere, mai volle, ne dimandò altri onori,  e nuovi impieghi. A ciò si può aggiungere  l'epoca del tempo, in cui quello viveva, ed  era celebrato per uno de’ sostegni del popolo  Romano, ed in cui sono fissati i natali di questo, e dal tutto insieme ne risulterà un grado  di probabilità non del tutto dispregevole,  per credere, che il sudetto Cajo M.  potè essere l’Autore del nostro Cilnio.   Potrebbe la nostra assertiva essere smentita  da una antica Iscrizione riportata da Dionisio  Lambino nella quale si parla di M.  figlio di Lucio ; poiché se questa avesse rela  - ( i) Lambin. in Com. adOd.i. lib. i. Horat.  £ 7 ni us praeterea Marnioris antiqui testimo—  nium producala, quod Romae visitur in Aedibus Fusco aura e regione aediurn Farnesiarum, in quo haec sunt incisa.   Lieertorvm et Libertarvm  C. Maecenatis.   R. F. Pontif. Posterisq. eorvm  Et qvi ad xd tvendvm   CONTVLERVNT CONTVLEIUUT zione al nostro M., sarebbe stato figlio  di Lucio M., non di quel Cajo da Cicerone accennato. Ciò non ostante pare che un  tal documento non Taiga, nè a somministrare  schiarimento sull'oggetto, di cui si parla, uè  a distruggere la detta nostra assertiva, i.  peri hè non costa, che quella Iscrizione seco  porti un carattere di sicura autenticità ; a.  perchè non si conosce dal contesto della medesima l’epoca del tempo, in cui fa incisa,  né a qual Cajo M. debba riferirsi. Veniamo ora alla Stirpe del nostro Cilnio.   Gli Autori antichi, e moderni, tutti li Commentatori di Virgilio, di Orazio, di Properzio, ed altri si sono divisi di opinione nel fissare la nobiltà della discendenza di questo  grand’Uomo. Orazio ('i) Properzio (a) ed  anche Marziale ( 6 ) chiaramente hanno scritto,  Od.j.Lib.i.   Maecetias atavis edite Regibus,   O et praesidium, et dolce decus rneum!    Maecenas eques Etrusco de sanguine Regum,  Intra fortunam qui cupis esse tuam. Lib. la. Epigr. 4.   Quod Fiacco, Varioq.fuit,summoque Maroni   M. atavis Regibus ortus eques.   B a   Od. ug. lib. 3.   Tyrrliena Regum prò genies,  (2) Lib.3.Eìeg. che egli era di stirpe reale. IlTorrenzio Commentatore di Orazio, descrive una linea  genealogica degli Antenati reali di quello, e  crede, che il suo Bisavo fu Cecinna Re degli  Etrusci. Acrone ('a) altro Commentatore antico di Orazio è dallo stesso sentimento, « fa  seguito dall’ autore dell’ Elegia attribuita all’  Albinovano ^ 3 ), e dal Beroaldo Commentato'  re di Properzio ; anzi quest’ ultimo suppone,  che discendesse dal famoso Porsena parimente  Re de’ Toscani.   Al contrario Dione Cassio, ( 5 j e Vellejo   ( 1 ) Comment. ad Od. 1. lib. 1. Horat. Antiquis Regibus prognate: cui Menodorus Pater,  Menippus Avus, Cecinna li ex Etruscorum  fuit A t avus.   (2) Comment. ad Od.i. Lib.r. Horat. Edite  Regibus : quo ni arn dicitur (lux i ss e originerà ab  Etruscis Regibus, et contempsisse Seuatoriam  dignitatem.   Eleg. in obit. M..   Rcgis eros genus Etrusci, tu Caesaris  olim   Dcxtera, Romanae tu vigli Urbis eros, Com. ad Eleg. cit. Propert. Etrusco de  sanguine Regum : quia fuit oriundus a Porsena Rege Etruscorum. Lib. 19. pag. 534. Reliquas res non Ro mae modo, sed per totani Italiam Co*    Patircelo (t), benché spesso parlino del medesimo non gli attribuiscono un origine reale,  ma lo caratterizzano soltanto per un indivivuo di ragguardevole e splendida famiglia. Dacier poi, e Pallavicini sono  d’avviso $ che dalle indicate espressioni di  Orazio, di Properzio, e di Marziale non può  con certezza dedursi, che frà le vene del nostro Gilnio scorresse un regio sangue ; giacché è noto altronde, che le parole Re, e Regina, nel senso de’ migliori Autori, segnatamente Poeti, spesso significano Signori potenti, Uomini, e Donne di qualità, e distinzione ; e cosi aveva ancora in sostanza pensato il Porfirione  prima de' sudetti Dacier,  e Pallavicini. Riguardo ai Poeti contemporanei però non tutti han parlato sull'oggetto ip  questione, come. Properzio, ed Orazio. li  Poeta di Mantova più d’una volta si volge col  discorso a M. nelle sue Georgiche, ep jus Maecenas, equestris dignitatis vir admi nistravit.   (1) Lib. 2. art. 83. Tum Urbis custodiis  praepositus Cajus M. equestri, sed  splendido genere natus.   (2) Annot. crit. sopra Oraz. Canzon. di Oraz. pag. i 5 i.   (4) Comment. ad Od.i Horat. M.,  ait, atavis Regibus editus, quia Nobilibus  Etruscorum ortus sic.    lì   pure non Io ha mai decorato di nna reai prò-»  sapia•   La diversità di queste opinioni potrebbe ini  qualche guisa conciliarsi, se, come si è sopra accennato, sussistesse realmente ciò che  abbiamo veduto asserirsi dal Poeta Silio Italico nella seconda guerra Punica. Imperciocché si è in quel luogo rimarcato, che quel  Cilnio fatto prigioniero nella battaglia del Ticino non è chiamata di stirpe Regia; e che  quel M., che mori posteriormente  presso Canne era celebrato per li Scettri Toscani. Nella verità di questi fatti potrebbe Georg lib. i.vers.i. e seq.   Quid faciat laetas segete s, quo sidere terram  V ertere, Maecenas, ulmisq. ad/ ungere vites  Conveniat    Hinc cane re incip iam.   Lib. a. vers. 40.   Tuque ades inceptumque una decurre laborem  Maecenas pelago que volens da vela petenti  Lib. 3. vers. 40.   IntereaDryadum sylvas, salt us que scquamur  Intactos, tua, M., haud rnolliajussa  Lib. 4 vers. i Protinus aerii melili, coelestia dona  Exequar, hanc etiam, Maecenas, excipe  partem.  aà   dirsi, che Orazio, Properzio, Marziale, e  gli altri, che danno al nostro Cilnio una Regia  discendenza, lo abbiano fatto derivare dal secondo ; e che Virgilio, Dione, Vellejo, e  gli altri segnaci dell' opposto parere nbbian  fissato per Capo della sua famiglia, o per uno  de’ snoi Antenati il primo.   Si è disputato ancora in qnal’epoca, a quale degli Antenati del nostro Cilnio, e per qual  motivo venisse aggiunto il nome di M..  Riguardo all’ epoca, nell’ anno 450. di Roma  la famiglia de’ Cilnj ancora non portava questo nome, conforme si è osservato da Livio.  Ottantotto anni dopo, cioè si comincia a vedere in quel M., che mori presso Canne, sempre però sull’autorità poetica  del surriferito Silio Italico * Nell’anno 66atrovasi in Roma già celebre, e rinomato in  quel Cajo M. encomiato da CICERONE (vedasi). MeibomiO riporta un frammento del Libro  terzo delle Storie di Sallustio, estratto da  Servio Commentatore di Virgilio, in cui si fà  menzione del famoso Sertorio, e di un M. Segretario del medesimo. Sertorio morì Jn Vit. M.. Praeloqi adlect. Ex-^  tot Sallustii fragmentum apud Servium adLib.  X. Eneid. Virg. ex Histor. illius lib.g Igitur,  inquit, discubuere Sertorius inferior in medio,  tuper eum Lucia s F alias Hispaniennt S* notar    34,   nell’anno di Roma 68a. Terenzio Varrone,  che viveva, e scriveva nell’ epoca istessa,  in cui mori Sertorio, fa uso ancora esso nelle  sue opere della parola M. e di cui si  tornerà in appresso a parlare. Da tuttociò  sembra chiaro, che nel settimo Secolo di Roma già fosse commune alla sudetta famiglia  il nome di M..   Ma riguardo a conoscere a quale degli Antenati di Cilnio, e per qual motivo fosse aggiunto quel nome, il Martini ingenuamente confessa, e si protesta, che il tutto è involto  nelle tenebre, e nella incertezza, (a) Aggiunge però che se fosse lecito di promuovere  sn questa sconosciuta materia qualche riflessione, che possa aver luogo, non già sul vero, o sul verisimile, ma sul possibile, si po  sa: Proscriptis ; in summo Antonini, et infra  Scriba Sertorii Versius, et alter Scriba Maecenas in imo.   (i) De Ling. Latin.Lib.7. in fin.   (a) Lexic. Philolog. art. M.. De origine nominis nihil certi, et *'ix aliquid probabile dici potest ; quia certum est, esse nomea  proprium,nec vcrum satis certum mihi qui dem est, cujus linguae vox sit, et historia de stituor cui, et ex qua causa primum juerit imposi tum. Addo, quod ctiam de vera scriptum  dubitai ur.    Digiti?ed    iS   trebbe dire, che la voce M. è un vocabolo Etrusco derivante dall’ idioma de’ Caldei,  dalla qual nazione gli Etrusci hanno avuta la  loro origine ; primieramente, perchè la flessione di detta voce seco porta un non so che  di straniero ; in secondo luogo, perchè li  nomi de’ Caldei si solevano ordinariamente  prendere dalle forze naturali degli oggetti morali, dalle facoltà, dalle azzioni, e dalle  passioni.   Il Catrou è d’avviso (a) che con Tantorità  di Varrone, e di Plinio possa trovarsi nn  qualche schiarimento per sapere, come fosse  dato un tal nome alla famiglia de’ Cilnj. Secondo quello, si rileva dal succennato Terenzio Varrone, li nomi degl’ individui, che  finivano in as, significavano qualche luogo. Si licei aliquid de hujusmodì  prorsus incognitis dicere, quod ncque inter  vera, neque inter verisimilia, sed tantum inter possibilia ponantur, sit nomen Etruscum,  ex Caldaea(inde enim Etruscis est origo ) praesertim, quia forma flexionis peregrinitatem  sapit. Nomina autem fere a naturalibus viribus, a ut a moralibus objectis, facultatibus,  actionibus, aut passionibus imponi consueverunt, tamquam monumenta quaedam de iis,  quae rebus insunt, vel adsunt, vel ab eis sunt. particolare dell' individuo medesimo (i\ Plinio poi ci avverte, che fra li vini scelti dell*  Italia erano celebrati quelli ancora, che si  raccoglievano dalle Vigne Mecenaziane (a) :  perciò conclude il detto Storico, che il nome di M. provenisse a quella famiglia  da qualche terra, o possessione alla medesima  spettante. Ma, ad onta di tali dilucidazioni,  sembrando la cosa tuttora incertissima, secondo il sullodato Martini, dobbiamo soffrire  una tale ignoranza senza sgomentarci, e  con quella docilità, e rassegnazione j con cui  soffriamo l’oscurità, e l’incertezza di tante  altre materie più interessanti.   Potrebbe qui aggiungersi ancora una qualche riflessione sulla formamateriale della parola Maceenas, ed esaminare se debba scriversi Hinc quoque dia nomina Le*  nas, Ufcnas, Lavinas, M., quae  cum essent a loco, ut Vrbinas, et tamen Urbi nas ab his debuerunt dici ad nostrorum nomi num similitudincm.  In Mediterraneo vera  Caesenatia, ac M. ( vina ) ; In  Vcroncnsi itemi F altre us tantum posthabita a  Virgilio.   (3) Loc. cit. Qui enim multo potiora patte nter ignorarmi!, edam et hoc, et similia,  •ine pudore possumus nescire. con il dittongo nella prima, o nella seconda  sillaba, se in ambedue, o se debba leggersi  senza dittongo alcuno ; ma un tale articolo  potendo presentare una discussione, o estranea, onojosa, rimettiamo gli Eruditi al citato Lambino, il quale ne’Commenti alla prima Ode di Orazio ne ha parlato con precisione, e dottrina. Il Lamiino nel commentare la parola  M., che leggesi nell’Ode i.del i.lib.  di Orazio, tosi sviluppa il punto da noi succcnnato, In omnibus fere manuscriptis Codicibus, quibus usus sum, nomea Moecenas scriptum reperi et in prima, et in.secunda syllaba sine diphthongo ; quam scripturam tametsi  non probe m omni ex parte, sequor in eo ta men, quod secunda per e vocalem, non ut  vulgo per oe diphthongum scribitur. Adjuvat  me Codex Orationum M.Tullii Ciceronis calamo  exaratus in Cluentiana, quo loco scriptum  etiam est hoc nomea sine diphthongo in utraque  syllaba. J am vero quod ad primam attinet  Graecorum auctoritate moveor, apud quos  M aiKnya( per ai diphthongum scribi solet in  va syllaba, ut in secunda per v quae vocalis  Ver ti tur in e longum. Quia JElianus, qui cum  Romanus esset graece scripsit.   «/ «f hanc scripturam retinet. Praeterea apud  Publium Victorcm lib. de Reg. Uri. et Priscia»    Dopo di aver raccolto le descritte notizie ;  e prodotto quelle poche riflessioni finora accennate sulla stirpe, sulla patria, sull’ autore del nostro Cilnio, e su tutt’altro relativo  al suo nome, sembra, che ornai dobbiamo  occuparci sulla relazione delle sue geste, e  de’ suoi costumi, e sulla Storia della sua vita ;  ed in primo luogo dovremmo parlare della sua  educazione, sotto quali maestri, ed in quali  Accademie venisse istruito ; ma su di ciò mancando notizie sicure, qual vantaggio potrebbe  ricavarsi da congetture vaghe, ed inconcludenti, da riflessioni possibili, o estratte dal  fondo di un immaginario probabilismo ?   Ciò non ostante si pnò dire, che l’educazione di M. fu proporzionata, ed uniforme al rango, che li suoi Maggiori occupavano nella società, e nella classe de’ cittadini  Romani. Fornito dalla natura di non ordinarli  talenti, ebbe tutta la cura di svilupparli, allorquando fu adulto, perchè non erano stati  oziosi, ed incolti nella sua adolescenza. Ma  se egli venisse istruito in Roma, o altrove,  e quali fussero li Dotti, cui venne affidata la  sua letteraria educazione, s’ ignora pienamente.   Crede il Cenni, che M. fosse manna»! de Accent. in Exemplaribus Aldinis, sine  ulta varietale perpetuo ita scriptum, est hoc  nomen. dato in Apollonia, allora Città ragguardevole   della Macedonia ; suppone inoltre * che mentre quivi attendeva alle scienze, vi si trovassero ancora per lo stesso oggetto Marco At grippa, ed Ottavio Cesare, e che in tale oc casione si stringessero con i dolci legami dell’  amicizia, o almeno facessero unà reciproca  conoscenza. Sembra però, che questa circostanza non sia stata accennata da verunAutore  antico ; nè il Meibomio, ed il capriccioso  Caporali, ne’ scritti de quali attinse il Cenni  la sua supposizione, sono forniti di qualche  autorità valevole, e concludente.   Quello, che può asserirsi con qualche certezza, e che risulta dalle opere di Dione,  di Appiano, di Orazio, e di Properzio, si  è che il nostro C. Cilnio M., se  non divenne amico di Ottavio nell’ epoca de’  loro studj, di buon’ ora cominciò la carriera  de’ servigj, e consigli da esso a questo sommi*  Bistrati fino all’ ultimo respiro della sna vita.   Ottavio venne in Roma, dopoché Giulio Cesare suo padre adottivo fu dai Republicani pugnalato Egli seppe la disgustosa notizia nella  sudetta Città di Apollonia. Aveva allora  appena oltrepassato il quarto lustro di sna vita, e correva l’anno di Roma. Giunto in  » quella Capitale, diede subito saggi manifesti  Sveton. in Octavio art.8 e io Naucler.  Chronog. ad au. 7*0 3o   di una grande elevatezza d’ ingegno, e benché  in età giovanile, di nn senno maturo • Cominciò a procacciarsi la puhlica opinione, la stima de’ Grandi, l'affetto della Plebe, e dei  Soldati. In tale occasione, ed in tale epoca  sembra potersi stabilire, che M. entrasse nella Corte di Ottavio, e che questo lo  prendesse per Consiglierò de’ suoi progetti, e  delle sue future intraprese.   Dopo la morte di Giulio Cesare, Marco Antonio governava, per dir cosi, dispoticamente la Republica Romana, conciosiachè egli  aveva tptta 1* influenza, e sul Senato, e sul  Popolo, e snU’Armata. Ottavio fece istanza  presso di esso, affinchè, come Erede Testamentario di quello, gli venissero consegnati  quegli effetti, che gli erano stati nel Testamento lasciati.   f Antonio, poco curando la tenera età del  medesimo, accolse piuttosto con disprezzo la  di lui giusta, e regolare dimanda. M.,  che allora già trovavasi al fianco di Ottavio,  non maucò di consigliarlo a sopportare con calma, e rassegnazione P ingiustizia, e T insulto del prepotente Romano, e nel tempo stesso  gli fece conoscere, che bisognava momentaneamente abbracciare la causa del Senato,  stantechè da tutte le circostanze scorgevasi imminente una guerra Civile. Il Senato proteggeva l’attentato commesso  dagli uccisori di Giulio Cesare, ed Antonio aveva inalberato lo stendardo guerriero contro di questi. Ottavio, come figlio adottivo  del famoso Dittatore pareva, che dovesse unirsi ad Antonio, e secondare le mire del medesimo, ma M. da previdente, ed accorto Politico credette, che dovesse per allora  uniformarsi ai voleri del primo. In fatti il  Senato, per opporlo all’ambizione del sudetto  Antonio, cominciò a fargli mille buoni uflìcj,  ed a colmarlo di onori, e di carezze. Intanto  questo faceva la guerra a Decimo Bruto uno  degli assassini di Giulio Cesare, che assediò  in Modena. Allora il Senato incaricò li Consoli Panza, ed Irzio a marciare con un’Armata  contro il nemico del sudetto Decimo Bruto, ed  Ottavio fu ad essi associato in tale spedizione.   Questa guerra fu fatta con differente successo, nè l’impresa di Antonio potè cosi sollecitamente reprimersi; ma lilialmente in una  battaglia campale fu egli completamente disfatto, fu levato l’assedio di Modena, e Bruto liberato, mercè li talenti militari di Ottavio, al quale fu attribuita la maggior gloria  di quella giornata ; in essa vi morì il Consolo  Irzio, e Vibio Panza mortalmente ferito ebbe tempo di parlare ad Ottavio, lasciandogli  salutevoli istruzzioni, e consigliandolo segnatamente ad unirsi con Antonio.   Questo fatto storico si pone all’anno di Roma. epoca, in cui Oitavio correva nell’anno vi^esimo primo della sua vita, e M.    3a   parimenti nel fiore della sua gioventù, ed in  età di circa venticinque anni, già stava al sho  servizio. Abbiamo di ciò ne’scritti di Properzio un argomento di certezza, che pare non  possa incontrare eccezzione. Imperciocché il  sndetto Poeta, uno de’più cari amici di M., scrivendogli una robusta, ed elegante  Elegia, gli dice, che se avesse talenti da poter cantare gli Eroi, non canterebbe già li Titani, e la loro guerra contro Giove, allorquando ammonticchiarono le montagne di Pelio, ed Ossa, non canterebbe neppure le battaglie degl'antichi Tebani, o l’ Incendio di  Troja, il primo Regno di Romolo, l’ardimento della superba Cartagine, le minaccie de’  Cimbri, e le vittorie di Mario ; “ Ma cante-,, rei ( soggiunge il Poeta ) o mio caro Mece», nate, le guerre, e le azzioni illustri del  », tuo Cesare, e mostrerei, che in tutte le  sue imprese, tu occupi il posto secondo, Canterei la guerra di Modena, le tombe  degli estinti presso la Città de’Filippi, la  guerra di Perugia, la battaglia di Azio, e  », la conquista dell’Egitto (i).   ( t) Lib. a Eleg. i.   Quod mihi si tantum, M., fata dedissent,   V t possem Heroas ducere in arma manus ;   Non ego Titanas canerem, non Ossan Olympo   hnpositum, ut Coeli Pelion esset iter ^ Ora se M. non fosse stato già al fianco, ed al servizio di Ottavio nella guerra ‘di  Modena, il Poeta non avrebbe detto, che  quello nelle imprese di questo occnpavadl pò*  sto secondo, e facendo la serie di tali imprese, non avrebbe descritta per la prima la sudetta battaglia di Modena. Properzio voleva  fare un elogio al suo Protettore, al suo Amico, al suo Benefattore, ma questo elogio non  sarebbe stato giusto, e veritiero, se realmente M. non avesse avuto il posto secondo, ossia, se non fosse stato il Consiglierò di  Ottavio fin dall’epoca sudetta della liberazione  di Modena. Dal che sembra potersi dedurre  altra valevole congettura, onde credere, che  quello entrasse nella Corte di questo nell’anno    Non veteresThebas,necP er gama nontenHomcri ;   Xersiset imperio bina coiste vada ;   Regnane prima Remi, auC animos Carthaginis  altae,   Cymbrorumque minas, et benejacta mari.  Bellaque, resque fui memorarem Caesaris, et tu   Caesare sub magno cura secunda jòres.   Nam quoties Mutinam, aut civiltà busta Phi lippos,   A ut canerem Siculae classica bella fugae, Aut canerem Aegyptum, et Nilum cum tractus in Urbem   Septem captivi! debilis ibat aquis.    precedente. conforme abbiamo accennato  pocanzi. Ad onta della perdita dei due Consoli Ir*  sio, e Panza, la surriferita vittoria riportata  contro Marco Antonio ricolmò di gioja Roma,  ed il Senato. Allora fn, che Cicerone si sca*  tenò contro di quello con tutto 1'entusiasmo  della sua maschia, ed inimitabile eloquenza.  Quc* Senatori, e quella porzione di Popolo,  che nutrivano ancora un qualche sentimento  per il Governo Rcpnblicano, ascoltavano con  estasi, ed ammirazione li fervidi discorsi di  quell’ Oratore, ed aderivano ciecamente ai  suoi voleri. Infatti Antonio fu proscritto > fu  risoluto di continuare la guerra fino al di lui  esterminio, furono destinate le Armate, scelti li Generali ; eppure questa volta, nelle  nuove disposizioni marziali, non si fece menzione di Ottavio, benché ad esso fosse dovuto tutto l’esito vantaggioso della passata Campagna.   Il Senato era già divenuto geloso della gloria di quello, col non curarlo voleva umiliarlo, ed abbassare l’orgoglio, che le già eseguite favorevoli Imprese avevano potuto inspirargli. Ottavio, e M. conobbero in tal  .congiuri tura la condotta poco lodevole, e disobbligante del Senato. Allora memore il primo delle istruzioni ricevute dal moribondo  Consolo Panza, e penetrando il secondo  nell’artificiosa politica di quello ± determina*    Digitized by Google    H   rono di procurare una riconciliazione cqn, il  detto Marco Antonio.   Il progetto esigeva una somma precauzio*  ne, ed ima impenetrabile segretezza, ma  ni uno poteva maneggiarlo più vantaggiosamen-*  te di M., che, fra le altre sue virti»  politiche, possedeva in particolar maniera  quella del segreto, conforme narrano Sesto  Aurelio Vittore, ed Eutropio. Ottavio nella guerra di Modcaa aveva fatto  ad Antonio molti prigionieri * Per dare principio alla riconciliazione, gli rimandò li pii  distinti, e ragguardevoli. Fra gli altri vi era  Decio, brava persona, e molto affezionata  al suo Padrone ; anche a qnesto concesse la libertà. Decio separandosi da Ottavio, gli richiesi, che cosa doveva dire ad Antonio “ Dite ad Antonio da mia parte ( rispose Otta,.  vio ) che io credo aver egli tanta penetrazione per interpetrare la mia condotta. Se,, nulla ha compreso, sarei imprudente 4  » spiegarmi più diffusamente „.   Intanto Ottavio, e M. fissarono la  loro attenzione sull’indicato Marco Tullio Ci l   (1) In Epit. de Vit. et Morib.Imper.Romao,  Cap. 1. In amicai fidai extitit ( Augustus ),  quorum praecipui erant ob taciturnitatem M., ob patientiam laborit, modestiamque,  4grippa .. Lib. 7 in Augusto.   C a  cerone, penetrando con la loro previdenza,  che bisognava cattivarsi l’animo di quell'Oratore. Imperciocché egli aveva in quell’epoca  un dominio irresistibile e sullo spirito del  Popolo, e sul cuore de’Romani Senatori. Ottavio dunque onde ottenere l’intento gli scrisse una lettera in tali termini concepita Io,, sono giovane e quasi privo di esperienza  negli affari ; sarò occupato tutto il resto  £, dell’anno a perseguitare Antonio nostro nemico fino a piè delle Alpi ; cosi voi rimasto,, solo in Roma coll’autorità, che danno li,, Fasci Consolari, avrete il tempo, e l’occasione di ristabilire lo Stato Republicano,  ed uguaglierete la gloria del vostro secondo  con quella del primo Consolato ( i ),,.   Tullio benché avesse tutti i lumi del più  grande Letterato del suo Secolo, non aveva  quella finezza di politica, di cui era feconda  la testa di M.. Egli cadde nella rete;  credè sincera la deferenza, e la dichiarazione di Ottavio, e cominciò ad encomiarlo, e  proteggerlo in publico Senato ; che anzi ebbe  anche il coraggio, o piuttosto la debolezza di  proporre, che gli venisse conferito il Consolato “ Quanti dispiaceri (diceva Tullio), o  Padri Coscritti, non ha ricevuti da Voi l’e», rede del nome, e de'beni di Giulio Cesa*•, Dion. lib. 46 Piotare, in Cicer. Catrou  Tom. 17IU). 4, £    j/ re ? Poco accorti nelle nostre risoluzioni,  noi non cessiamo d’irritarlo senza riflettere, che egli comanda a Legioni vittoriose. Perchè non procuriamo di calmarlo?  Sebbene giovanetto aspira al Consolato, e  potrà ottenerlo malgrado la nostra ripugnanza. Contentate le sue brame per gli  onori. Nell’età, in cui sì trova, questa  brama è più vivace, che in tempo della  >, vecchiezza, perchè è cosa più gl oriosa di  ottenerlo prima del tempo dalla Legge prescritto. In ciò però è necessaria una limisi fazione. Date al giovane Ottavio un Colle» ga di età matura, che gli sia di guida, e  maestro. Questo reprimerà il fuoco di quel*  lo, e l’amministrazione della Republica sal à al sicuro sotto il primo, mediante i consigli dell'altro. Non ostante la potente influenza di Cicero*  ne, le sue premure per Ottavio non ebbero  alcun effetto vantaggioso, mercè l’inalterabile fermezza del Senato. Li Padri Coscritti conoscendo, che una tale richiesta trovavasi in  opposizione con le Leggi fondamentali dello  Stato, stante l’età di Ottavio, non potevano  realmente secondarla ; ma questa ragione pian*  sibile poco forse avrebbe operato in un tempo, in cui le Leggi Repnblicane erano inoperose, e senza vigore, ed in coi l’antica Co  (a) Appian. lib. 3 Catron loc. cit.    ÌLxìob. «api > a. in,ln '' ”f "V   La ma^eior parte de’Membn componenti il Se“no allora, o compiici de» aa.amo.0  ai celare, o aderenti ai medesimi. Temeva.  *0 pertanto, che, sollevando ad un grado di  potenza coli eminente l’Erede di qnelk,, | P£  irebbe avere i mezzi, e trovarsi m «tato di   vendicarne la morte •, j   Ottavio adunque, vedendo, che con le  buone non poteva ottenere il Consolato, cercó altre risorse più efficaci ; scrisse diretta  mente ad intorno. preveneodolo dell, neonciliazione. Questo, che aveva avuto già qualche sentore di una tale disposizione di animo  di quello, e mediante il rinvio de pronteri e le parole dette a Decio, accolse con  trasporto le lettere del suo rivale, ed il progetto, che gli faceva ; Incontanente si diè  tutta la premura di dargli esecuzione. 11 primo passo che fece, fu quello di riunirsi con  Marco Lepido, Soggetto anche esso poco beQuesto allorquando ebbe la notizia dell unione di Antonio con Lepido, fremè di rat  bia, e deliberò di disfarsi di ambedue. Per  lo che, supponendo che Ottavio fosse reai,  mente nemico dell'uno, e dell’altro, lo incaricò di marciare all' istante con le sue Leeoni   contro qne’due ribelli. Ottavio mostrò, o piuttosto finse di uhM*.  re, ma li veri suoi disegni erano gd altrog'    Digitize   in Roma, e con una Armata bellicosa, non ebbero più vigore, costanza, e coraggio di prò*  seguirla. Bruto, Cassio, e tutti i complici  degassassimo di Giulio furono condannati, e  proscritti con decreto solenne di quello stesso  Senato, che pocanzi aveva spedite Legioni,  Armate, Consoli, ed il medesimo Ottavio in  «)nto di essi.   Intanto Antonio, che era già in una piena  corrispondenza con Ottavio, si dxè premura  di prevenirlo, che il partito de’Republicani si  andava ingrossando nelle Provincie della Gre»  eia, dell’Asia, e nell’ Oriente ; che perciò  era tempo di abbandonare Rema,ed unitamente marciare contro di quelli.   Ottavio profittò di questo avviso per poter  prendere le necessarie precauzioni. Egli doveva ancora occultare al Senato la seguita riconciliazione, e corrispondenza con Antonio,  e perciò ebbe ancora bisogno di circospezione,  e di quel segreto impenetrabile, di cui era  capace il solo M..   Per secondare il Collega, e per imbrogliare  al tempo istesso la testa de’Senatori fece spargere la .notizia allarmante, che M. Antonio,  e Lepido^meditavano di marciare alla volta di  Roma per saccheggiarla; che perciò sembrava  cosa urgentissima di uscir contro di essi, e  combatterli ; Il Senato credulo, ed ingannato  prestò fede alle voci diffuse, ed alle rimostranze di Ottavio, ed all'istaute lo incaricò di par»    4 *   tire da Roma, ed opporsi agli avanzamenti j  ed alle supposte minacele di quelli. Non bastava però tuttociò alla penetrante  politica di M., e del suo Padrone Volevano, che il Senato rivocasse, e cassasse il  Decreto di proscrizione emanato contro de’  sudetti Lepido, ed Antonio. Restò in Roma  Luogotenente di Ottavio Quinto Pedio, persona totalmente consagrata alli suoi interessi  Egli fu incaricato di ottenere la revoca sndetta, ed è probabile, che della medesima operazione delicata fosse a parte ancora M.. Si fece riflettere al Senato, che, cassando qnel Decreto > mostrerebbe un tratto di  clemenza, e di generosità capace a spegnere  nella sua origine il fuoco di una guerra civile,  ed a calmare la collera, ed il risentimento de'  due Colleghi. Il Senato si fece vincere, ed il  sovraindicato Decreto di proscrizione fu annullato.   Ricevuta Ottavio questa notizia consolante  ne prevenne con la massima sollecitudine Lepido, ed Antonio; allora questi, e quello si  avvicinarono con le loro Armate respettive,  e stabilirono un Congresso. Uua Isolctta formata sul piccolo fiume Reno, che scorre tra  Modena, e Bologna, fu scelta per il luogo  memorabile, in cui li tre Guerrieri dovevano  unirsi a parlamentare. L’abboccamento durò  più giorni, il di cui risultato fu lo stabilimen r  to del celebre Triumvirato, mediante il quale   yenne scagliato un colpo mortale alla Costituzione Republicana, e venne immaginata la  proscrizione troppo nota, e funesta, nel vortice e negli orrori della quale fu involto ancora il riferito Marco Tullio Cicerone (i).   Dopo qualche tempo Antonio, ed Ottavió  marciarono a grandi giornate contro Bruto, e  Cassio, e si trasferirono con le respettive Le» gioni nella Macedonia incontro all’Esercito de’  Repnblicani. È troppo conosciuta la sorte infelice di questi nelle Campagne di Filippi per  non essere costretto a tesserne la storia dolente, e che sarebbe fuori del mio assunto. La  vittoria si dichiarò a favóre de’Triumviri, e  Bruto cadde estinto, non già da ferro nemico, ma con un disperato suicidio si sepelli  da se stesso, per dir cosi, tra le ceneri della  spirante libertà Romana.   In questa battaglia si trovò ancora il Poeta  Orazio Fiacco, di cui già si è fatta menzione. Piotare, in Ant. pag. 679. Congressi  tres illi in modica Insula amne circumfluo,  triduum in colloquio fuere. De celeris convenie inter eos facile, totumque Imperium intcr  se steut patrimonium suum sunt partiti, sed  disceptati dcillis, quos statuerant interficere,  detinuit eos .... Tandem fervore in eos, qui  aderant, et cognatorum rtverentiam, et ami c orum benevolentiam postniittentcs, Ciceronem  teseti Caesar Antonio, Amico di Bruto, e fautore del partito Republicano, seguì quello nelle Campagne di Filippi in qualità di Tribuno. Afferma il  Porfirione (a), che Orazio restasse prigioniero ; che in seguito non solo fosse liberato per  intercessione di M., ma ancora, che  per mezzo di questo si procacciasse il favore,  e l’amicizia di Ottavio. Lo stesso si legge in  una Vita di Orazio d’incerto Autore prodotta  da Giovanni Bon. Altri credono di più,  che fatto prigioniero, per opera dello stesso  M., venisse liberato immediatamente,  e sul Campo di battaglia. Ma tali assertive so ( i ) Sidon. Apoi. in Paneg. ad Major.   Et tibi, F Iacee, acìes Bruti, Cassique stenta  Carminis est auctor, qui fuit et veniae.   Sveton. in Vit. Horat.   Sello Philippensi excilus^Horat\xis)a M. Bruta  Imperatore, Tribunus Militum meruit.  Presso il Mancinel. in Vit. Horat. Porphìrion addit, Horatium captum fuisse a Cae«are, sedpostea, beneficia Maecenatis, non  solum servatus, sed etiam Caesari in amicitiam traditus. Edi*. deli’Opere di Orazio Lug. Batav.  an. i663. Coluitque adolescens Bruturn, sub  quo Tribunus militum militavit ; captusque a  Caesare post multum tempus, beneficio M. non solum servatus, ted etiam in amicitiam acceptus est,    I  H   do smentite dalf autentica testimonianza dellTstesso Poeta- >.'• ’-n  ed in questa occasione per  mezzo di Asinio Pollione acquistò la grazia, e  la protezione di M.. Dopo questa epoca pertanto deve fissarsi quanto scrive Orazio  nella Satira testé riferita ; e siccome la sudetta battaglia presso Filippi, accaduta verso  il mese di Novembre 71 a, (i)è anteriore di  molti mesi alla venuta di Virgilio in Roma, così sembra evidente, che allora M., che  ancora non aveva conosciuto il detto Virgilio,  non poteva conoscere netampoco Orazio, nè  cooperare alla di lui salvezza sul Campo di  battaglia.   Orazio adunque fu in primo luogo debitore  del suo futuro benessere alla tenera amicizia  di Virgilio, e di Vario, e quindi al nostro C.  Cilnio M., il quale mercè li buoni uffici di quelli, non solo lo mise nel numero de’  suoi amici, ma vennto in cognizione da se  stesso del raro di lui ingegno per la lirica  Poesia, ne concepì tanta stima, che impetrò  per esso il perdono da Angusto, e successiva- De la Rue Hist. Virg. ad an.7ia. Circa  Novembre ni pugnalar ad Philippos in Macedonia, pereuntque Cassius, et Brutiu.  mente gli procacciò eziandio la sua amici»  zia(i  e meritava la di lui affezione. Ancora  giovinetta di una beltà superiore all’altre Dame Romane era vedova di C. Clodio Marcello,  che era stato Consolo.   Non essendo dispiaciuto ad Ottavio il sudetto progetto, che gli presentò M.,  chiamò la sorella, e la persuase ad accettare la destra di Antonio. La virtuosa Ottavia non  *i ricusò alle premure del Fratello, ed «al bene, che le sue nozze potevano recare alla Patria, ed Antonio non rifiutò la sua destra. Il  matrimonio in fatti segui con reciproca sodi•fazione ; e M. ebbe il  contento di vedere effettuato pienamente il  suo progetto.   La gioja de’Romani fu grande, ed universale, perchè ognuno credeva, che, mediante questa alleanza di parentela, e di sangue,  anderebbero a cessare per sempre le guerre  civili ; e che li due putenti Rivali avrebbero  vissuto in una pace inalterabile. Ma li  progetti dell’Uomo sono sottoposti incessantemente alli capricci, ed alla volubilità dell’Uomo istesso, ed i matrimonj formati dalla Politica, rare volte seco portano una seguela di  felici avvenimenti.   Conchiuso il sopradetto matrimonio,li due  Triumviri vivevano con una intelligenza, che  giungeva alla familiarità. Si accordavano  Plutarc. in Ant. pag.683 Edit. Basileae. Has nuptias suaserunt ornncs, quod  Oetaviam sperarent, quac excellentiae formae  gravitatela, et prudentiam habebat adjunctam, ubi Antonio conjuncta csset, atque ut  talis foemina, haud dubie ab eo adamata,  omnium rerum ipsis saluterà, et concordiam al Laturam    6 ?   scambievolmente ciò che l’uno all’altro proponeva, sempre però a discapito del Regime republicano. Imperciocché stabili rono fra le altre cose, che iu avvenire essi nominerebbero  li Consoli, quando non vorrebbero esercitare  eglino stessi il Consolato, togliendone la elezzione alle Centurie ; e che, dopo la loro separazione, Antonio farebbe la guerra ai Parti, e Cesare attaccherebbe Sesto Pompeo nella Sicilia, ad onta della buona fede, su cui  questo si era da essi separato.   Gli amici di questo, saputo il tradimento,  ed il nuovo progetto de’Triumviri non mancarono di prevenirlo minutamente. A tale notizia Sesto animato da un risentimento naturale,  e non ingiusto, non aspettò a farsi sorprendere, e facendo uso di una straordinaria attività, prevenne li suoi nemici, e diede principio alle ostilità. Ricopri delle sue Flotte li  mari d’Italia, e ne bloccò tutti li porti, affamando in tal guisa la Capitale.   La carestia divenne terribile. Romalanguiva dalla miseria, eoli Romani conoscendo, che  la loro penosa situazione era l'effetto della cattiva politica de’Triumviri, cominciarono a  mormorare apertamente, ed accadevano disordini, e sollevazioni.   Antonio, ed Ottavio stretti da queste imperiose circostanze, cercarono la maniera di  calmare Pompeo, e di riconciliarsi con esso.  Sebbene quello fosse profondamente penetrato   £ a dal torto ricevuto, ed avesse l’animo irritato  contro li Triumviri, tuttavia, stante l'interesse, che avevano preso per la pace Libonc  suo Suocero, e Muzia sua Madre, condiscese  a tenere un congresso a Baja, e come altri  vogliono a Miseno (i).   Le discussioni del Congresso furono lunghe,  e spinose, e più d’una volta venne disciolto  per le condizioni che promoveva Pompeo,  piuttosto dure, ed umilianti per li suoi Avversar] ; finalmente furono spianate tutte le difficoltà, e fu sottoscritto un Trattato di pace.   Secondo Appiano Alessandrino, dopo  qualche tempo dalla conclusione di questa pace, sembra, che Ottavio trovasse il pretesto  di romperla. Forse 1 ’csistenza del Successore  del gran Pompeo attraversava la vastità delle  di lui mire politiche, e perciò cercava la maniera, o di umiliarlo all’atto, o anche distruggerlo. Pompeo anche in questa circostanza prevenne il suo nemico. Mandò subito in  corso molte navi corsare, che, scorrendoli  mari d’ Italia, intercettavano li viveri per  Roma. Ottavio scrive ad Antonio, prevenendolo  della guerra, che andava ad intraprendere  contro di Sesto, e facendogli conoscere, che  Appian. Dion.  Appian.   vi era stato costretto l Antonio sorpreso della  novità, e più sincero questa volta nell’adempimento del sagro dovere detrattati, nonapprovò le mosse ostili., e l’intenzione del suo  Gallega, e lo consigliò a desistere dalla meditata intrapresa. Non ostante la disapprovazione di quello,  Ottavio continuò gl’ incominciati armamenti,  perchè nello stato in cui si trovavano le cose T  credeva, che ne resterebbe leso il suo decoro, e compromessa la sua gloria, se retrocedeva, e se avesse dovuto proporre un accomodamento al. suo nemico -, ma egli restò umiliato dal valore di questo, che disfece pienamente la sua flotta navale, e ne riportò una completa vittoria.   Roma frattanto già sentiva gli effetti funesti  del blocco, che nuovamente avevano posto alli Porti d’Italia le Flotte vittoriose di Pompeo,  e già la fame cominciava di bel nuovo a distendere la sua mano devastatrice sugli infelici  abitanti. Si mandavano al cielo imprecazioni  contro l’Autore di questi mali, e voci 9orde,  e dispiacenti si diffondevano contro del medesimo nel publico, che venivano avvalorate  dagli amici, e partitanti di Pompeo.   Da questa pericolosa, e critica situazione  forse Ottavio non si sarebbe disimpegnato con  onore, e forse non avrebbe superato que pericoli, da quali era minacciato, senza l’assistenza, li consigli, la destrezza, e la politi  Digitìzed by Google     di cui quello facesse uso presso di questo iu  un affare così importante, e delicato ; nè si  sà su quali basi poggiasse la discolpa del suo  Padrone nella guerra attuale da esso continuata, nonostante la manifesta disapprovazione  del suo Collega ; ma sappiamo bensì, chel’efcficace eloquenza, li talenti politici, la destrezza, e le di lui cognizioni rapporto a materie diplomatiche prevalsero a tutte le ragioni, che fino allora avevano reso Antonio neutrale.   Che anzi Sesto Pompeo naturalmente non  aveva mancato di profondere dell’oro, e de’  presenti presso li Ministri, e nella Corte di  Antonio, non aveva trascurato d’inviargli Deputati, ed Oratori, architettar cabale, e profittare di ogni risorsa per indurlo ad unirsi se*  co lui contro il dominatore dell’Occidente, o  almeno per ritenerlo costante nelPabbracciato  sistema di neutralità ; ma l’arrivo, e la presenza di M. nella Grecia, in Atene, e  nella Corte di Antonio sconcertò tutte le precauzioni, fece andare a vuoto tutte le manovre, e tutti gl’intrighi di Sesto ; cosicché persuaso Antonio, che Ottavio aveva operato  giustamente, e che il torto era dalla parte di  Pompeo, fece lega con quello, e si dichiarò  eontro di questo (i).   Con si felice succèsso ultimato l’affare, M.  . A   Appian.  a   ] non tardò nn momento a ragguagliarne  con esattezza il suo Padrone, sapendo, che  doveva esser agitato da una penosa folla di cure, e di pensieri molesti. Ottavio infatti sapeva, che la salvezza de’suoi interessi, della  sua gloria, ed anche della sua vita, dipendeva dall’impresa, che M. si era addossata, e che tutto sarebbe perduto, se la fedeltà di questo Ministro non fosse stata incorruttibile; perciò, in attenzione dell’esito della sua  missione, de’suoi progetti, e delle sue trattative, lo stato del di lui cuore non poteva essere il più felice, perchè scosso quindi, e  quinci da tutte quelle moltiplici impressioni,  che sogliono mettere in movimento in simili  circostanze la dubbiezza, il timore, e la speranza ; ma ricevuta la notizia consolante, primieramente in iscritto, e quiudi a viva voce  dallo stesso M., che, tornato in Roma,  gli presentò il Trattato con Antonio conchiuso,  Ottavio si consolò, bandi ogni sollecitudine  affligente, e conobbe appieno, che l’abilità,  li talenti, e piu la fedeltà di un Ministro virtuoso possono alle volte salvare uno Stato, e  recare un bene inestimabile al Principe, ed  alla Nazione.   In seguito diede principio a nuovi preparativi militari, affinchè con questi, e col soccorso, che Antonio gli avrebbe recato, potesse rimuovere il blocco dai porti d'Italia, ricondurre l'abbondanza nella Capitale, e misurarsi nuovamente col sua rivale.   Antonio intanto, fedele alle promesse  fatte a M., ed al trattato conchiuso,  parti da Atene nella primavera, con una flotta  di trecento Vascelli, ed approdò a Brindisi,  ove era ilquartier generale di Ottavio.   Non ostante le premure, e l’impazienza di  questo in avere il bramato soccorso, sembra,  che appena si avvicinarono le due Armate, nascessero dissapori, e diffidenze fra li due  Triumviri. Il motivo di questa strana mutazione resta ascoso sotto il velo di quegli arcani, che la politica, e l’ambizione rendono  imperscrutabili, seppure non debba dirsi,  che fu effetto di gelosia di stato. '   Antonio già pensava di ritirarsi, e forse con  sinistri disegni contro il Collega ; già le reciproche contestazioni erano giunte a tal segno,  che si presagiva una manifesta rottura, se non  fosse divenuta mediatrice Ottavia sposa di Antonio, e se non si fossero trovati al campo  M., ed Agrippa, altro Favorito, e Ministrò di Ottavio. i, .b   Quella donna virtuosa non omise alcun mezzo per dileguare dall’animo del fratello qualunque sospetto, che potesse nutrire contro  del marito, ma sebbene da qdello venisse accolta con ogni dimostrazione tutte le volte,  che andò presso di esso, tuttavia non ebbo  mai alcuna risposta precisa, e consolante. Impaziente però dell’esitck nella intrapresa   mediazione, si rivolse ad Agrippa, e a M., conoscendo la grande influenza, che aveva, segnatamente il secondo, sullo spirito di  Ottavio. Perciò essendosi portata da essi,  animata da quel vivo entusiasmo, che le veniva inspirato dal doppio amore, e zelo del marito, e del fratello, cosi si espresse “ Ottavia, che vedete avanti di voi, benché nel  più alto rango, a cui possa giungere una  donna, sarà per ritrovarsi ben tosto nella  situazione la più deplorabile, se i vostri  consigli non prevengono i mali, che essa  paventa. Sorella di Ottavio, e moglie di Antonio, Roma, l’Italia, e le Armate aspettano dalla sua mediazione il loro riposo, e  credono, che da essa soltanto dipenda di  poterlo ottenere, dileguando que’dissapori  che intorbidarono l'alleanza recentemente,, fra quelli conclusa. Ah! quale sarà lamia  sorte, se non potrò disarmarli ? Senza pa^  ce tutto è a temersi per me; si tratta di  un fratello, e di uno sposo. In istato di  guerra io dovrò piangere l’uno, e l’altro  per sempre. La vostra virtù, la publica  stima, e quella di Ottavio verso di voi,  potranno contribuire decisamente alle mie,, premure ; ed io saprò mostrarvi tutta la,, mia riconoscenza, se la tùia mediazione,,, avvalorata dalla vostra, influenza, preude   che prima di due mesi non avrebbe  potuto agire nuovamente. ',   Questo disastro di Ottavio risvegliò il coraggio, e le speranze degli amici segreti di  Sesto, che stavano in Roma, e nelle Provincie, e credendo, che egli volesse profittare  de’vantaggi, che gli recavano inaspettatamente gli elementi, già prevedevano la distruzzione di quello, ed il trionfo del successore del  gran Pompeo. Ottavio, prevenuto di qneste circostanze  da esso presagite per una conseguenza quasi  naturale della sofferta disgrazia, spedi contutta sollecitudine M. nella Capitale ;  ove giunto non mancò in primo luogo di dissipare ogni inquietezza dall’animo degli amici  del suo padrone ; quindi seppe prendere misure cosi giuste contro li malintenzionati, che  furono costretti a rientrare nella taciturnità,  e nel silenzio ; e la calma tornò nella Città.   Non può non ravvisarsi, che Pompeo in questa occasione non seppe approfittarsi delle circostanze favorevoli, che gli somministrava la  mina della Flotta del suo rivale. Egli si contentò di vedere la sua fuga, o piuttosto la sua  ritirata, credendo, che non potesse molestarlo ulteriormente ; ma in ciò non agi con  tutta quella previdenza, degna di un bravo  Capitano, giusta la riflessione dello storico    7 «   Appiano. Se esso avesse assalito Ottavio  nel disordine, in cui lo aveva gettato la tempesta, avrebbe senza meno riportata una vittoria completa, e forse decisiva, e gl’interessi del suo partito avrebbero sicuramente  migliorato.   In fatti Ottavio rimase talmente sconcertato dalla tempesta, e dai torbidi in Roma accadati, che voleva abbandonare l’impresa, e  lo avrebbe fatto, se M., che conosceva l’attuale situazione delle cose, e prevedeva politicamente il futuro, non lo avesse persuaso diversamente. Egli gli fece conoscere,  che Roma soffriva per la fame; che la fazione  di Pompeo non sarebbe pienamente abbattuta,  che le mormorazioni del popolo non sarebbero  cessate, finché non si fosse quello allontanato  dai mari dell’Italia, e scacciato dalla Sicilia ;  che se gli elementi avevano malmenata, e re»  sa momentaneamente inservibile la sua Flotta,  quelle di Lepido, di Agrippa, e di Statilio  Tauro trovavansi ancora in buon stato ; che  perciò bisognava con costanza proseguire la  spedizione, e profittare segnatamente dell’errore commesso dal nemico dopo la tempesta (a).   In vista di tuttociò Ottavio segui li consigli   Dion. lib. 48 Appian. lib. 5 Catrou  del sno Ministro, e mentre questo conteneva  in Roma Io spirito de’faziosi, e sopprimeva le  scintille del malcontento, con una condotta  degna del piu grande politico, quello si occupò di rimediare ai disastri della tempesta ; risarcii! vascelli maltrattati, sostituì degl’aitri  a quelli perduti ; ed in tali operazioni agi con  tanta celerità, che nella prossima estate si  trovò in istato di uscire nuovamente in mare  con forze eguali, ed anche maggiori di quelle  della scorsa campagna.   La sorte però non aveva ancora rivolto le  spalle a Pompeo, e tuttora gli si mostrava benigna. Imperciocché venuto alle mani con Ottavio, e datasi una battaglia campale, questo fu totalmente disfatto, e non salvò la vita,  che dandosi ad una fuga precipitosa accompagnato da un solo soldato. Questo novello rovescio tornò ad infiamma'  re la testa ai partitanti di Pompeo, perchè  M. si era allontanato da Roma. Ma egli  anche questa volta seppe riparare ed alla perdita de’ vascelli, ; ed ai disordini, che accadevano per opera de’Pompejani.   Si spedirono immediatamente degl’ordini a  tutti li Generali di Ottavio, e segnatamente a  Marco Agrippa Ammiraglio sperimentato, perchè accorressero con le loro Flotte iuajuto. In seguito M. volò in Roma, ove tro- Appian. So   vò, che il male era maggiore di quello, che  si era creduto ; ma non per questo si sgomentò l’anima sua intraprendente. Facendo uso di  una fermezza senza pari, e di misure con tutta la saviezza applicate, seppe sconcertare anche per la seconda volta li progetti sediziosi  de’seguaci di Pompeo, alcuni de’quali più inquieti, « recidivi condannò all'estremo supplicio, ed in tal guisa ricondusse il buon ordine, la quiete, e la sicurezza nella Città.   Intanto Ottavio rinforzato dalla Flotta di  Marco Agrippa, che, obbediente agl’ordinl  ricevuti, era accorso in ajuto, e più incoraggito dalla presenza di questo fedele, ed intrepido Ammiraglio, riprese arditamente l’offensiva, attaccando replicatamele le Armate di  Pompeo ; questo non lasciava di difendersi,  e di schivare gl’incontri, che potevano essere  dubbiosi, e comprometterlo ; ma già si avvicinava 1’ estremo periodo della sua brillante  carriera, e la Parca crudele già gli andava  preparando quel destino ferale, cui fu sottoposto sulle spiagge Africane l’iufelice suo genitore.   Dopo differenti parziali combattimenti, la  Squadra di Ottavio, commandata da Marco Agrippa, si azzuffò con quella di Pompeo.  C’urto fu de'più formidabili, e si combattè con  furore da una, e dall’altra parte ; infine però Appian. loc. cit.    8i   la vittoria si dichiarò a favore di quello, e la  Flotta di questo ebbe una rotta cosi spavento*  6a, che sarebbe restato egli stesso prigioniero, se non fosse fuggito sù di un piccolo Brigantino, ritirandosi in Messina. Quivi appena giunto gli fu recata la dispiacevole notizia, che il resto della sua Armata,  sfuggita all'eccidio, era passata sotto le bandiere nemiche. Allora riflettendo più seriamente alla sua salvezza, fuggi ancora da Messina con poche navi, che gli erano restate fedeli, dopo avere imbarcato la figlia, il danaro, gli amici, e tutte le cose preziose andò errando qua e là per l'Asia, ora con prospera, ed ora con iufelice fortuna. Finalmente,  per ordine segreto di Marco Antonio fu messo  a morte in una Città della Frigia (a^.   La disfatta, e la fuga di Sesto Pompeo ricolmò di gioja il giovane Ottavio, perchè si  vedeva liberato da un pericoloso, ed inquieto  rivale, ma in questa istessa circostanza ebbe  1’occasione ancora di disfarsi di Marco Lepido,  Collega nel Triumvirato, e quello, che,  in privato, forse più degl' altri aveva abusate della potenza usurpata.   Lepido aveva comandata una Flotta nella  Dion. lib. 49. Strab. lib. 3. Vellej. lib. a cap. 790  87. Oros. lib. 6 cap, 19. Usser. Annal.   pag. 434. i   F guerra testé riferita, ed anche egli aveva in  parte contribuito all’ esito vantaggioso dell’  impresa. Dopo qnella battaglia campale, in  cui Pompeo fu rotto, e fuggi, nacquero delle  contestazioni tra quello, ed Ottavio, o perchè Lepido voleva attribuirsi tutto il pregio  della vittoria, o per altra ragione non bene  nella Storia conosciuta. Tali contestazioni  avevano anche preso un aspetto serio, e pericoloso, e si potevano temerne conseguenze  disgustose.   M., cui rincresceva altamente, che,  appena spento il fuoco di una guerra civile *  dovesse accendersene un' altra, cercò di  prevenirla con una di quelle politiche risorse,  di cui egli era capace.   Nella Flotta di Lepido vi erano già degli  amici, e partigiani di Ottavio, il cui numero si era aumentato inseguito delle surriferite contestazioni. Si aprirono delle relazioni con questi ; delle giudiziose istruzioni,  che vennero loro comunicate, li prevennero del progetto ., che si meditava. Lepido  non era amato dai Soldati, e perciò lo sviluppo dell’ intrigo, non incontrò ostacolo alcuno, e fu sollecito, e vantaggioso.   All’ improvìso l’intiera Flotta di quello passò ad unirsi alla Flotta, ed agl’ interessi di  Ottavio,. IUrdasto abbandonato, solo, ed  inerme, si vide Lepido ridotto in una situazione incapace affatto a reali zzarp qualche idea di civile discordia, che forse andava  machinando.   Che anzi, siccome egli era di nn animo de-»  iole, e di carattere vile a fronte delle disgrazie, cosi temendo maggiori sciagure, si  portò supplichevole ad implorare la clemenza di Ottavio. Alcuni avrebbero voluto  la di lui perdita, ma questo si contentò di  spogliarlo di quella autorità, di cui era rivestito, e di ridurlo ad una vita privata.   In tal modo ( secondo l’espressione di,, Appiano ) Marco Lepido, uomo di si grande impero, ed autorità, che aveva pronunciata la Sentenza di morte contro tanti  Cittadini di nobile, ed illustre lignaggio^,  fu balzato dalla volubile, e fallace fortuna ; in guisa che con abito privato, ed in,, atteggiamento di colpevole al cospetto di alcuni di quelli stessi da esso condannati, fu  ridotto a vivere senza riputazione, ed a  morire ignominiosamente. Ottavio, sistemati gli affari delle nuove  Provincie aggiunte alla sua Dominazione dopo  la fuga di Pompeo, e la destituzione di Lepido, fece ritorno in Roma. Il suo ingresso fu  un Trionfo. Fu accolto con entusiasmo, e  con applauso dal Senato, e da tutti gli Ordini  de’ Cittadini, perchè credevano, che ai tonfi) App.loc. cit. Dion. lib. 49. Sveton. in  Octav.Art. 16.   F a    I    bidi passati sarebbe snccednto l'ordine, l’ab*  bondanza, ed una pace generale ; ed erano  cosi persuasi di questo novello sistema di cose, e segnatamente della pace, che inalzarono  in onore di Ottavio una colonna con questa  Iscrizione " Il Senato, ed il Popolo Row mano hanno inalzato questo Trofeo a Cesa-,, re Ottavio, perchè ha stabilita la pace generale per mare, e per terra, che prima  M era bandita da tutto il Mondo. (i)   Roma infatti cominciò subito a respirare.  Lo spirito di partito cominciò a dissiparsi, ed  una reciproca confidenza già assicurava la  quiete di ognuno, tanto in quella Città, che  .nelle Provincie.   Quello però, che contribui più d’ogn’altro,  mediante la sua incomparabile prudenza, alla  tranquillità dell’ Italia, e di Roma, fu il nostro M.. Si è già veduto, che Ottavio,  allorquando era occupato nella spedizione contro Sesto Pompeo si era più volte servito de’  talenti], dell’abilità, e dell’intrepidezza di  qnesto Ministro per assicurare gl'interessi del  «uo partito nella Capitale. Da ciò si rileva  chiaramente, che già fin d’allora lo aveva  nominato Governa tore, o Prefetto di Roma,  e che di questa carica sublime era pur auco  rivestito nell’epoca, che ora si descrive. Appian. Queste j ed altre simigliane contestazioni  reciproche diffusero le prime elettriche scintille, foriere del turbine devastatore -, che in  breve sarebbe andato a precipitarsi sull’orizzonte politico di Roma, e formarono l’oggetto,  e la materia a que' pretesti^ che aveva già  M. preveduti.   Non bastava però ad Antonio di aver offeso  in tante guise Ottavio, ed il Senato, e di  aver commesso, per dir cosi, in Oriente  tanti delitti a disonore del nome Romano.  Per colmo della sua sfacciatagine, o piuttosto  cecità, volle aggiungerne un altro. Mentre  la virtuosa Ottavia gli dava argomenti li più  sinceri della sua conjugale premura, del suo  zelo, e di un tenero affetto y egli la discacciò  bruscamente, e la ripudiò, per immergersi  pienamente negli amori illegìttimi di Cleopatra ( l ) • Questo fatto clamoroso, e degno  di tutti li rimproveri, rivoltò contro di esso  la publica opinione ed in Roma, e nel Senato, e nell' Italia, ed in tutti que’ luoghi,  ove erano conosciuti li pregi, e le virtù' della.  Sorella di Ottavio. Allora si ravvisò appieno,    * (r) Plutarc, in Ant, che la condotta di Antonia offèndeva ornai  troppo manifestamente la grandezza Romana,  il decoro del Senato, eia purità della Costi»  tuzione ; che in consequenza non era più de*  gno di comandare, nè doveva, nè poteva  ulteriormente tollerarsi. s   La guerra adunque fu dichiarata contro di  quello, ed i Romani diedero principio ad una  operazione bellicosa, che doveva cagionare  la perdita totale del sistema Republicano, e  nel cui funereo fragore dovevano ascoltarsi  gli estremi accenti, e l'ultimo anelito della  loro spiraute IjhljrtA. b*;ù»q.**6J«swi i»y:  Ottavio prima di allontanarsi da Roma per  portarsi a combattere Antonio, raccomandò  la cura di questa Capitale, e dell'Italia al suor  M., che tuttavia esercitava la Prefet»  tura dell’ una, e dell’altra. La tante volte  sperimentata fedeltà di un cosi abile Ministro  rassicurava pienamente il di Ini animo, ed era  del tutto persuaso, che nella sua lontananza,  e durante questa nuova, e civile discordia,  gl* interessi del suo partito non avrebbero  sofferto alterazione veruna. Con questa fiducia parti da Roma, e prese il camino là dove  il supremo Direttore degli umani avvenimenti  lo chiamava per divenire il primo, ed il più  potente Monarca del Mondo.   Alcuni hanno creduto, che in qtiestaspedrsione militare M. seguisse Ottavio, e  che anch’ esso si trovasse presente alla memo rablle bavaglia di Azio. Dedussero questa  credenza dall’ Ode I. degli Epodi di Ora*  zio Fiacco, nella quale il Poeta si fa a parla**  re a M. in tal guisa “Tu dunque, o ami-,, co M., andrai sulle agili navi Libnr-,, ne /disposto ad incontrare tutti i pericoli  di Ottavio, incontro gl’ alti bastimenti di,, Antonio? (t) •   Il Grammatico Acrone, fondato su queste  parole, sostiene, che M. non solo andasse nella battaglia di Azio, ma inoltre è d’avviso, che da Ottavio venisse nomi-*  nato Comandante delle navi Liburne \ esprimendosi, come siegue “ Orazio parla a Mej, cenate, che va con Augusto alla battaglia,, navale contro Antonio, e Cleopatra. Mentre Cesare Angusto sta per andare  .> alla spedizione presso Azio, affidò a Mecenate il comando delle navi Liburne   che anzi il Continuatore di Tito Livio suppone   •I.• ?.• ^ V Epod. Od.r.   * Ibis LiburnU inter alta naviutn,   Amice, propugnacula,   P aratus orane Caesaris perìculun  Subire, Maecenas, tuo.   • (2) Comm. ad Od. i.Epod.Horat. : M. prosequitur euntem ad bel/urn nasale  cura Augusto adversus Antonium, et Cleopatram ; ad Actiacum bellurn iturus Cacsar Au~  gustai, Liburnis praeposuit Muecenatem. t _  di più, che dopo la battaglia, e la fuga di  Antonio, Ottavio ordinasse a M. d’ inseguire li fuggitivi con le sue navi Liburne ( 1). Il Mancinelli sembra essere dello stesso sentimento, dicendo Anche M.  segui Augusto contro Marco Antonio, e,, Cleopatra presso Azio, Promontorio di  Epiro (a) • Segnaci di Acrone, e del Mancinelli sono Stati il Turnebò, Mcibomio, Cenni e Volpi.   Il Torrenzio però, sull’autorità di Dione  Cassio, e di Virgilio, è di contrario parere .,, Deggio avvertire, dice egli, che nella  celebre battaglia presso Azio, non fu pre., sente M., il quale in quell’ epoca  era Prefetto di Roma, e dell’Italia, come  », rilevasi dal Libro hi. di Dione Cassio ; Di  più Virgilio, che fa menzione del solo   ( 1) Suppl. in Liv. lib. 73. art. 9. .• At Cae sar misso curri Liburnis Maecenate, qui lorigius insequeretur fugientes, ad honores Deo rum, a quibus adjutus credi volebat, se contulit. ».   fa) Com. in 1. Epod. Secutus itera Augustum Maecenas est contra M. Antonium, ef  Cleopatram apud Actium Epici Promontórium.  _ ( 3 ), Com. in 1. Epod. Horat. v..  Vit.C. Cilnj M.   ( 5 ) Vit. di M. lib.i. Postil.9. -, Lat.vetus tom.io.part.x.pag.a37. Digiti;    ile,> Agrippa, e che lo eguaglia allo stesso Otta» vio, non avrebbe omesse le lodi ancora  del suo M., se anch’esso si fosse trovato in quell'azione. Laonde Orazio scria»  >» se questa Ode nel supposto della futurapartenza di quello. ( i )   Su tale articolo sembra, che il sentimento  di questo Comen tato re sia il più giusto, ed  il più fondato se si legge con qualche riflessione ciò che narra il suceennato Dione,  e prima e dopo la disfatta di Antonio, e di  Cleopatra presso Azio. Imperciocché con  tntta chiarezza rilevasi dagli scritti di questo autore che M. era Prefetto di Roma, e quando Ottavio parti per la spedizione  contro Antonio, e durante 1’ epoca della medesima, e dopo la riportata vittoria, come  si è anche accennato di sopra.   Di più Velie jo Patercolo descrivendo la   ( O Co®- in Epod. : Illud monendum me  existimare, celebri ad Actium pugna non interfuisse Maecenatem tane temporis Romae,  et Italiae administrandae Pracfiectum, tjuod  significare videtur Dion. lib.5l. Virgilio» sane  solius Agrippae Theminit, insigni laudatione  ipsum Caesari aequiparens, non omisurus  Maecenatem suum, modo adfuisset. Quare  carmen hoc sola opinione futurae profcctionis  tcripsit Horatius. Lib.a, art. 85.: Dcxtrum navium } ur   9 *   sudetta battaglia di Azio * domina individùak  mente l'Ammiraglio, ed i Comandanti subalterni della Flotta di Ottavio > e non fa pa-»  loia di M., il quale  secondo Acrone, sarebbe stato il Comandante delle navi  Liburne. Ecco le parole di Vellejo L’ala,, destra delle navi di Ottavio fu affidata a  Marco Lario, la sinistra ad Arunzio, ed  >, il centro ad Agrippa, Ammiraglio di tutta  la Squadra. Ottavio f che trovavasi per,, tutto, era destinato dovunque veniva dal*,, la fortuna chiamato,. Torniamo in sentiero.   Ottavio lasciata la direzione degl’ affari di  Roma, e dell’ Italia a M., come si è  detto, si portò in Brindisi, ove era ancora-,  ta la sua Flotta. Essendosi quivi imbarcato,  fece vela verso l’Epiro, onde avvicinarsi ad  Antonio, che già stava nella Città di Azio,  e che aveva adunati li suoi Vascelli nell’ ingresso del Golfo di Ambracia. Ottavio entri  nello stesso Golfo, e si disponeva a dare una  battaglia; ma avendo osservato, che il suo  equipaggio non era completo, e che non era  prudenza azzardare un fatto in luogo si angusto, si tirò in alto mare, lasciando il suo  nemico nella primiera posizione.   r : 4. ‘J> i'.i   lianarum corriti M. Lario commitsum, laevum  Aruntio, Agrippae omne classici certamìni s  arbitrium ; Caesar ci parti destinatili, in,  quam a fortuna vocaretur, ubique adertiti     Intanto giunse ad Antonio con varie Legio*  ni Canidio. Questo Generale Romano, che  seguiva sinceramente il partito di quello,  avendo veduto Cleopatra nel Campo, lo consigliò a doverla assolutamente allontanare,  sembrandogli cosa pericolosa ritenerla in  mezzo all’Armata. Lo consigliò inoltre ad  evitare una battaglia navale, ed a portarsi  nella Macedonia, ove con il soccorso del Re  de’ Gesti, avrebbe combattuto per terra, e  la vittoria non sarebbe stata dubbiosa. Non  ostante la saviezza di questi consigli prevalse  1’ influenza della Regina di Egitto, e fu risoluto di combattere sul mare.   Non solo Canidio, ma ogn 'altro sperimentato Militare conosceva, che l’ esporsi ad  una battaglia navale, era un errore. Infatti  mentre Antonio trascorreva la Flotta, e dava  gli ordini opportuni > uno de’ suoi vecchi  soldati, ricoperto di ferite gli disse ad alta  voce,, Come, o Signore, andate a confidare  » la vostra gloria alla meschina, e pericolosa  « risorsa di una battaglia di Vascelli? Lasciate, lasciate il mare alli Egizj, ed ai  Fenicj, che sono nati per questo elemen*' e mettete a combattere li Romani sul  Continente. Se allora periremo, la nostra,» morte sarà da veri Soldati, e sarà compensata dalla vita de\nostri Nemici. Antonio nou rispose al Soldato, e persisti per     94   sua disavventura nel Piano stabilito. (i)  Essendo stato il mare per alcuni giorni  furiosamente agitato non si fece alcun movi»  mento nè da una parte, nè dall’altra: Essendosi in fine calmato, ambedue le Flotte posero alla vela per dar principio ad una battaglia, che doveva decidere della sorte del  Mondo; Il sudetto Vellejo accennando il giorno di questa battaglia memorabile, cosi si  esprime 6   dolore, e della sua disperazione. Lacera  le proprie vesti, si percuote il volto, ed il  petto, e chiama replicate volte il suo amante  con nomi non meno teneri, che rispettosi ;  Antonio, benché prossimo ad esalare lo spirito, tuttavia non è meno occupato di Cleopatra. La esorta a conservarsi, finché possa  vivere con gloria, a non rammentarsi tanto  del suo tragico fine, quanto dello splendore di  sua vita, e degli onori, ond’ essa lo aveva  veduto circondato ; Ed a riflettere, che egli  non era stato vinto, che da un Romano, dopo  essere stato egli stesso il più illustre fra i Romani ; quindi spirò, pronunciando queste ultime parole.   Antonio ( conchiude il sudetto Storico In*  glese ) aveva passata la sna vita fra i perigli,  e fra i piaceri. Era posto in paragone con  Cesare per il valore, e per la capacità militare ; ma l'amore gli fece perdere il senno,  il coraggio, l’onore, la stima, l’affetto de’  Romani, e l’ Impero, e la vita. Cleopatra  con una morte egualmente spontanea seguì  l'ombra di Antonio, ed nn monumento istesso  chiuse le ceneri dell’uno, e dell’altra .fi)    (i) Diou. lib. 5t. Piotare, loc. cit. Sveton.  in Octay. art.i 7. Echard. loc. cit.   JVlentre Ottavio in tal guisa trionfava  nell’ Egitto del sno rivale, ed ultimava con  tanto successo qnest3 guerra Civile, si attentava tacitamente alla sua vita nel senoistesso  della Capitale ; ma vegliavano a sua difesa la  fedeltà, Vattaccamento ? e la vigilanza di M..   Marco Lepido il giovane aveva dei risentimenti particolari contro di Ottavio, e nutriva  nel petto un odio mortale, perchè 1’ ambizione, e prepotenza di lui avevano balzato  Marco Lepido il padre da quella superiorità, e  e da quel potere, che gli dava il Triumvirato,©  lo avevano ridotto a menare una vita oscuta,  e negletta. Era questo Giovane Romano figlio  di Giunia, sorella di Bruto morto nella battaglia di Filippi : Egli voleva adunque vendicare nel tempo stesso, e la morte dello zio,  e l’avvilimento del padre. (i)   (i) Vellej. Patere, lib. a. cap. 88. : Dum  ultimam bello Actiaco, Alexandrinoque Cae~  sar im ponti manum, Marcus Lepidus,juvenis  forma, quam mente melior, Lepidi ejus, qui  T riumvir fuerat Reipublicae constituendae, fili us, Iunia Bruti torore natus, interficicndi^ Formò a tale effetto una pericolosa congiura per uccidere Ottavio, qnando dall’Egitto  avrebbe fatto ritorno in Roma. La cospirazione non focosi segreta, che non giungesse  a notizia di M. Prefetto di Roma. Egli  seppe con tanta quiete, e simulazione penetrare il nero progetto del traditore, e con  tanta celerità impedirne le consequenze funeste, che Lepido venne arrestato, giudicato,  convinto, e condannato all' ultimo supplicio,  senza che venisse punto alterata la tranquillità  di Roma. In tal guisa M., secondo Veliero ( i ), con una sorprendente destrezza  seppe spegnere le perniciose scintille di una  nuova, e rinascente guerra Civile.   Servilia moglie di Lepido, forse complice  della congiura, non volendo sopravvivere al  marito, nè soggiacere aH’obbrobrio, ed alljt  timul in Vrbem revertissct, Caesaris Consilia  inierat. Loc. cit. Tunc Urbis custodiis praepositus Cajus Maecenas .... Hic speculatus est  per surnmam quieterà, ac dissimulai ione nt  prae cip itis consilia J uvenis, et mira celeritàte, nullaque cum perturbatione aut hominum,  a ut rerum, oppresso Lepido, immane novi,  ac resurrectui i belli civilis restinxit initium,  et ille quidem male consultoruni poenas exsol    log   pena dovuta, si uccise da se stessa con aver  inghiottiti de* carboni ardenti. Anche Giunia moglie del vecchio Lepido fu  accusata di complicità in questa congiura del  Figlio ; ma contro di essa non esistevano, che  semplici sospetti; tuttavia M. la obligò a  dare la cauzione nel Tribunale di Balbino,  Liv. in Snpplero.lib. i 33. art. 72. Servilia Lepidi Vxor curn superesse viro non substinerct, et diligenti familiarium custodia ni hil adipisci mortiferum posset, pruuis arxlentibus deVoratis, vita abiit\: Vellej. loc. cit.  Aequatur praedictae Calpurniac Antistii, Servilia Lepidi Vxor, quae vivo igne devorato,  praematuram mortem immortali nominis sui  pensavit memoria Roberto Riqucz nelle  irate a questo articolo di Vellejo, fa le seguenti osservazioni relativamente aCalpnrnia.  Ciò che narra Vellejo di Servitia è attribuito  comuneme nte a Porzia moglie di Bruto. Infatti Valerio Massimo, esatto Scrittore del  Secolo, in cui si suppone accaduto quel fatto,  non ne fa menzione. Di poi la moglie di Lepido non fu Ser vilia, ma Antonia figlia del  Triumviro : Ciò non ostante il Vossio non osa  negare la verità del fatto a Vellejo, 1. perchè  Lepido, ripudiata, o morta Antonia, potè  passare alle seconde nozze con Servilia, 2.  perchè Eliano Var. Histor. annovera fra le illustri D ame Romane una Ser’»  vilia .,!*•   uno de’ Consoli. Allora Lepido di lei marito  si presenta a questo, e cosigli parla" Voi  sapete con certezza, o Balbino, che io  non sono stato complice del delitto di mio  Figlio, e sapete egualmente, che non ebbi  parte alcuna il quell’Editto di proscrizione  emanato, quando la sorte mi faceva domi-,, naie, e nella quale foste anche voi compreso. Se rifletterete per un moménto  alla mia passata grandezza > io spero,  che alla vista di un supplichevole, di cui  rispettaste altre volte li decreti, sarete  per ascoltarmi con cuore placato. Giunia  mia consorte non ha che me per adempie-re alFohbligo, che gli è stato ingiunto. Ricevetemi adunque per la sua cauzione, o  permettete, che io vada fra le prigioni con  essa,, Balbino sensibile alle preghiere di un  uomo, che prima del cambiamento della sua  fortuna, la potenza aveva reso formidabile ai  Romani, e conoscendo ancora del tutto insussisteute l’accusa contro la sudetta Gunia promossa, dichiarolla innocente. Intanto Ottavio avendo posto fine alla guerra di Egitto, al Triumvirato, ed alla esisten^ dell’ unico competitore, che gli restava,  fece ritorno in Roma ove fu accolto con incompreusibile allegrezza; vi trionfò per tre  giorni, e chiuse il Tempio di Giano, che Appian. lib.4. Catrou loc. cit.     per il corso di dne secoli, era stato aperto.  Benché rimasto solo padrone della vasta dominazione Romana, tuttavia non cercò, che  di farsi amare con le maniere popolari, ed  affabili, con le sue liberalità e con le più savie disposizioni prese e per il bene publico,  e per quello di ciascun Cittadino in particolare.   M., che gli stava al fianco, e senza  il consiglio del quale per cosi dire, Ottavio  non faceva passo, non mancò di fargli prendere tutte quelle determinazioni necessarie  per preparare insensibilmente l’esecuzione di  quell’ ardito progetto-, che già da gran tempo andava meditando.   In fatti la condotta di quello, dacché ritornò dall'Egitto, fu tale, che il Senato, il Popolo, e tutti gli ordini dello Stato già sentivano gli effetti di un Governo Monarchico,  benché ognuno fosse persuaso, che la Repuhlica andasse a momenti a riprendere l’antico  suo lustro, e splendore.   Ottavio però mostravasì indeterminato, e  dubbioso* se dovesse salire sul Trono, o se  dovesse rientrare nella classe di semplice Cittadino, ristabilendo laRepnblicà nel suo stato primitivo. Da una parte gli si affacciavano  all’ immaginazione agitata li pericoli, a cui  la sna potenza quasi illimitata poteva esporlo ;  richiamava al suo pensiero il crudele destino  di Giulio Cesare suo padre, e li rimproveri, che gli aveva fatti Antonio altre volte,» che  egli travagliava meno per il publico bene,  che per la sua propria grandezza,, dall’altra parte si lusingava, che la Republica,  stanca dai furori delle guerre civili, preferirebbe un giogo pacifico, e salutare ad una indipendenza funesta, bastante a richiamare  tutti gli orrori passati. Credeva anche di rimarcare, che il Popolo Romano avesse perduto lo zelo geloso, e l’amore costante per la  libertà ; che il Senato non avesse più P inflessibile fermezza, che era scoglio alla Tirannia;  e che ad ambedue mancassero Soggetti capaci,  ed intraprendenti per formate una formidabile  Fazione. ( i )   Queste riflessioni, e la sua indeterminazione era un peso, che Ottavio portava con  pena ; pensò pe rtauto di discaricarsene nel  seno dei due suoi più fedeli amici. Noi l’abbiamo già osservato, uno era Agrippa, Uomo  tanto sincero ne suoi con sigli, quanto era intrepido nelle battaglie. Unito alla Corte di  Ottavio fin dall* infanzia, crasi acquistata la  sua stima, e la sua tenerezza più ancora con  l’esatta sua probità, che per gl’importanti  eervigj nelle armi ; era un guerriero de’ tempi  antichi paragonabile ai Curj, ed ai Fabri  Catrou Tom. 19. lib. 5. Echard.   1 13   cj i fi) L'altro era M.. Dal fin qui  detto abbiamo conosciuto, che egli era un  amico disinteressato di Ottavio, fornito di  uno spirito franco, e leale * il Politico più  raffinato del suo tempo, il più destro, ed il  piu giudizioso de’ Cortegiani. Agrippa adunque, e M. consultò Ottavio per fissare  la sua irrisolnzione, e per decidere sul grande oggetto. Agrippa parlò il primo con una  fermezza, conforme alla rettitudine del suo  cuore, all’ amore, che aveva sempre conservato per la sua Patria, ed alla riconoscenza, che doveva al suo Padrone (a)., Se io avessi di mira ( diss’ egli ) li miei,, interessi soltanto, vi esorterei a profittare all’ istante delle circostanze del tempo,  e a divenire il Padrone assoluto della Ro-,, mana grandezza ; ma, facendo usodiquella sincerità propria del mio carattere, e   fi) Catrou loc. cit.  Dion.. : Hoc autem  anno vere iterum pencs unum Hominem s u /rima rn totius Reìpublicae esse coepit, quamquam  armorum deponendorum, resque omnes Senatus,Populique pot est atit rade ndi consiliumCaeSar agitaverit ; ad quam deliberationem, curi  Agrippam, Maecenatemque adhibuissct, nani  cum his de omnibus suis arcanis communicara  solebat, prior inhanc sententiam Agrippa lo cutusest. *   II       » già da voi altre volte sperimentata, credo,  o Cesare, clic bandito ogni privato riguardo  debba parlarvi, e manifestare il mio sentimento per il vostro, e per il publico bene .,, È principio certo in Politica, che il  sottoporre ad un governo Monarchico un  popolo geloso della sua libertà, forma un  opera dilEcile ed eseguirsi. L’amore della,, indipendenza nasce con noi, ed è un attributo quasi necessario dell’umanità. Questa inclinazione universale in tutti gli uo5, mini aumenta, o s’ inde.bolisce per mezzo,, dell'educazione, ed è più, o meno poten-,, te, secondo i pregiudizj della Nazione *,, nella quale abbiamo avuto la sorte eventnale di nascere. Perciò la natura, li cosfumi, l’edutazione, e la lunga abitudine,, dovranno rendere ai Romani insopportabile  il dominio di un solo.   Li popoli assuefatti al giogo di un Padrone hanno un debole sentimento di quella  generale pendenza, che la natura ispira  per la libertà ; ma quelli al contrario, cui,, per successione è stata trasfusa la massima, vera o falsa che sia, provarsi cioè,, minor servitù in un Governo formato da  Magistrati di loro scelta, si rattristano,, altamente, e fremono al solo pensiero di,, un Sovrano. Potrà la forza tenerli per  qualche tempo soggetti, ma questa forza  istessanon sar» giammai capace a distruggere ne’ cuori quel germe vivifico, che la  natura v’ infuse, e che dalla educazione,, venne quindi allentato.   Finora, o Cesare, le vostre imprese  sono state legittime, e la gloria da voi  acquistata, non ha in veruna guisa scemato lo splendore della vostra virtù. Imperciocché nella guerra di Perugia opprimeste  degli ambiziosi, che col pretesto di vendicare la morte di Giulio Cesare, pretendevano d’inalzare un Trono sulle ruine della Dittatura. A Filippi purgaste la terra  di due assassini di un Zio, che vi aveva  adottato per figlio. La Sicilia, invasa da  un Tiranno, che spacciandosi per difensore della Repilblica, ne cagionava la mina,  fu liberata dalle vostre armi. De’ due Colleghi, che per mezzo del Triumvirato sapeste con saviezza associarvi, uno vive  tuttora nell’ oscurità, enei disprezzo, e,, l’altro ha cancellato con la sua morte il di sonore, che recava al nome Romano. Dopo tante vittorie, è giunto, o Cesare,  l’istante fatale, incili dovete pronunciare  sulla sorte dell’ Universo .,, Quale mai, e qaanto grande sarà la vo}J stia gloria, se, divenuto abbastanza po-,, tente per assoggettarlo da Monarca, saprete in guisa superare gl'impulsi dell’amor  proprio, che lo ridoniate a’ suoi veri Padroni ’ Allora vedreste sollevarvi al di soli a    pra de' Camilli, e dc’Scipiorti, e consa-»  orarvi Tempj,come a Divinità tutelare dal  Senato, e dal Popolo, ristabiliti nell’an>, tica loro autorità, e nel primitivo stato di  eguaglianza. (i^A questa eguaglianza di,, Cittadini appunto noi siamo debitori della  conquista del Mondo, e finché li Romani, ne furono in possesso pacifico, si viddero  sortire dal seno della Republica, e Generali scelti con riflessione, e Soldati premu-,, rosi di rendersi degni di poter un giorno  *, anch’ essi comandare. Ah, Cesare, io  >, temo, che se Roma cesserà di esser Repu-,, blica, cessi ancora per qualche tempo di  vincere, e di conquistare,,, Quando il sistema Republicano dovesse,, cangiarsi in Monarchia, a quali timori, a  quanti incarichi laboriosi, e pesanti non  j, va a sottoporsi il nuovo Monarca, e sopra-,j tutto l’autore di un ! tal cambiamento ? Li,, Comizi > ed il Senato riuniti affrontarono  >, immensi travagli per regolare 1’ amministrazione di tante Nazioni comprese nella  vastità della Republica Romana. Ora potrà un solo nomo supplire all’esercizio,  che su di quelli gravitava, e la salute la   più robusta potrà sostenere le fatiche inerenti al governo dell’ Universo ? Il solo Dion. lib. 5a. pag. 6i3. : JEqualitatis  et nomen est speciosum > et res j ustissima,    Digttlzedb    *»7   dipartimento delle Finanze non presenta,, una sorgente inesauribile d’imbarazzi, di  pensieri, e di cure ? Io convengo, o Cesare, chele rendite- dello Stato sono gran>, di, ma saranno sufficienti a mantenere tante  Armate esposte su tutte le frontiere dall’  Oriente all’Occaso ? In una amministrazio-,, ne popolare si concorre agevolmente, e  con piacere ai bisogni dello Stato, e l'istes—  sa avarizia cede alla ragione del bene comune. Allora la liberalità de’Cittadini for>, ma per essi un merito per inalzarsi agli ono*,, ri, ed agl’ impieghi (i). Al contrario in  un Governo monarchico le publiche intraprese di un Sovrano sono riguardate come  suoi affari personali. Ognuno crede, che,, da quello soltanto si debba supplire del suo  proprio tesoro a tutte le spese del Governo,  Ogni nuova imposta produrrà nuova que-,, rela, nuove satire, e nuove amarezze per  il medesimo, e sempre con la forza, o di  mala voglia si vedrà il Cittadino effettuare  » il pagamento delle Tasse quantunque ordinarie, e regolate dalla Legge.   Quale odio poi non si procaccia un Giudice universale, incaricato di punire da se   l   ( i) Dion. loc. cit. : Ubipenes Populum est  Imperium, multi multam pecuniam conje rune, etiam ut liberalitatis opinionem consequnntur, ac prò Ut ho noia mcritos adipiscantur.    ti8   >, solo tatti li colpevoli ’ In un cambiamento  i t di Governo, il numero de’ malvagi si mol-, tiplica all’ infinito, e li sediziosi, e mali, contenti sortono, per dir cosi, dal seno,, stesso della terra. Non potendosi tutti ridurre al buon sentiero nè colla dolcezza,  nè coiresempio del rigore usato con alcuni,  sarete dalla necessità costretto a pronuncia'   i, re contro de* medesimi, decreti o d' igno*  minia, o di bando, o di morte, e sebbef, ne sarete nel punire moderato, ciò non,, ostante si crederà, che gli effetti della vo-,, stra giustizia necessaria, siano piatto-,, sto il risultato di un particolare risentici mento. Vedrete inoltre li piò potenti Cittadini,  e le famiglie de’ Patrizj accendersi di gelo-,, sia, e d' invidia per il vostro inalzamento  al Trono, e perciò non pochi di essi non  temeranno di censurare primieramente la  >, vostra condotta, e quindi anche formare,, delle congiure a danno della vostra esistenza, e del sistema da voi introdotto. Se  perciò vorrete punirli, ed umiliarli, si  susciterà contro di voi la publira indignazione, e se li lascerete vivere senza oppri-*,, merli, la vostra sicurezza, sarà compro j, messa, c sarete circondato incessantemente da mille pericoli. ( i)   (r*) Dion. loc, cit. : Hos ncque, si augeri    ' Digitized by Google    99    ji 9,, Voi solo non potrete ultimare alcuni prò»  getti, 1 ’ esecuzione de’ quali esige indi—,, spensabilmente 1 ’ opera, e la confidenza  di Generali rispettati dal Soldato per la loro nascita. Questi riceveranno da voi il  comando delle Armate, ma quindi rivolge-,, ranno contro voi stesso quelle forze, che,, ad essi affidaste. A quale espediente allo-,, ra dovrete appigliarvi ? Bisognerà, che  facciate uso d’ individui di vile estrazione. Questo rimedio però potrebbe com«  promettere la tranquillità dello Stato, eia  33 vostra gloria ; imperocché, se per caso  3, questi nomini oscuri riescono nelle imprese, diverranno insolenti, se poi soccombo*,3 no, a voi solo sant addebitata la perdita .,, Ah ! Cesare, preferite pure, preferite.  le dolcezze di una vita tranquilla all’ im33 barazzo di una potenza tumultuosa. Un,, momento di piacere puro, e solido è supc33 riore a tutto il fasto della grandezza.   Che cosa pretendo conchiudere da tatto-,» ciò, e quale è-il mio scopo? Voglio forse  33 violentare il vostro animo a rinunciare per  sempre a quella superiorità, che avete  coll’ armi acquistata ? Nò certamente : io  vi darei un consiglio pregiudizievole, se,, vi esortassi a restituire la Republica al Popolo Romano nella situazione, in cui si   pattare, tutus vivet, neqiie si opprimere cancri},juste ages.    ritrova al presente ; essa ha bisogno di rij,, forma, prima che gli antichi Padroni ne  vengano ripristinati al possesso.   Profittate pertanto di quella Sovranità,,, di cui la vittoria vi ha rivestito per migliorare quel campo, che avete acquistato, e,, perseverate nell’ esercizio della medesima,, per tanto tempo, quanto sarà necessario  per ristabilire le Leggi, richiamare la prattica' delle antiche costumanze, corregere li  », abusi del Comiz'o, reprimere 1’ ambizio-,, ne della Nobiltà, porre de’ limiti alle pretenzioni del Senato, moderare il potere de’   Tribuni, regolare l’uso delle Finanze, e  », e raffrenare la cupidigia de’ Publicani.   Quanto glorioso allora sarà per voi di comparire da semplice Cittadino in uno Stato, /  >, di cui foste il Ristoratore ! Siila autore di  », tante proscrizioni, ed il carnefice della sua  », Patria, seppe dimettersi a tempo, e mori  », rispettato, e tranquillo. Giulio Cesare  vostro Padre, il meno sanguinario degl’Uomini, e il più inclinato a perdonare, fece,, perpetua la sua Dittatura, e trovò degli  », assassini frà li suoi amici più cari.   M discorso di Agrippa fece una forte impressione sullo spirito di Ottavio. Egli forse  avrebbe abbracciato il sistema da quello proposto, sagrificando le sue vittorie al ristabir  limento della Repubbra, ma M., essendo di contrario sentimento, entrò neH’are  ~Diqitizécl TSyGoogle    121   uà, e parlò con tale facondia, e vivacità,  che ottenne nna completa vittoria sullo spirito  di Augusto. Se si trattasse ( rispose egli )  di delineare un Campo, e di prendere del le misure per dare una battaglia, io non  oserei di parlare in presenza di Agrippa ;,, ma, aggirandosi la discussione intorno a  materie politiche, credo di potere con sin-,, cerità azzardare il mio giudizio, avendo  su di quelle lungamente riflettuto, e trat-,, tato non poehi affari dello Stato in differenti, ed anche difficili occasioni. Comprendo la solidità de’ dubbj proposti, ma,, conosco ancora, che lo scioglimento di essi  non può imbarazzare un Eroe già Padrone,, sovrano, e capace d* ultimare colla sua,, prudenza ciò, che ha incominciato colla,, forza.   La Republica, o Cesare, è caduta in  uno stato d’ infanzia, ha bisogno perciò di,, esser messa in tutela. Ora non siamo piq  in que’ tempi felici, in cui la virtù soste-,, neva questo gran Corpo, ed in cui le sue  forze non erano state indebolite dal vizio;,, ma l’avarizia è succeduta all’amore della  povertà, l'ambizione agli onori, la temperanza alla frugalità, e 1’ incontinenza al,, modesto pudore ; è impossibile pertanto di,, trovare al presente un numero diMagistrati disinteressati, sobri, casti, virtuosi,  e simili a quelli, che fecero onore ai primi     f aa   secoli di Roma. Tanti mali invecchiati vi-»  a chieggono una roano capace a poterli gua>» lire.   f. Si, Cesare, voi dovrete affrontare pei, santi incarichi nel prestare la vostra opera  ad una cura cosi difficile ; e preveggo, che,, saranno assai grandi li vostri pensieri, la  vostra vigilanza, li vostri travagli ; ma  nell’attuale stato delle cose sono divenuti  i, necessarj ; e sebbene potrebbe sembrarvi  spaventevole un tale prospetto, tuttavia  sono persuaso, che non avrete il coraggio  di abbandonare il Governo nel pericolo di,> non ricuperare giammai la sua perfetta sa-,, Iute,   f. Non è possibile di rimediare ai mali pre*,, senti con una Dominazione passeggierà. U  ristabilimento del buon ordine in Roma coll’,, ajuto delle leggi, e de’ regolamenti è un  idea di speculazione, che non può aver luogo in prattica; bisognerebbe, che quelle  venissero infinitamente moltiplicate per poter correggere li disordini, che le passioni  hanno introdotti. Come poi potrebbero  trovarsi de’ Cittadini, ih cuore de’ quali  fosse abbastanza incorruttibile, e li costumi abbastanza puri per mantenerne l’osser-?  vanza ?   LaRepublica è ridotta in tali circostanze,  rt che ha bisogno di una Legge vivente, che  f, ordini, e che faccia al tempo stesso ese guire. Appena la maestà di un Padrone perpetuo basterà per imprimere il rispetto;,, ma che cosa accaderà, se Magistrati di un  anno saranno incaricati della Riforma f Li  Cittadini indocili, e pertinaci spereranno  » r impunità nel governo di Successori più deboli, sostituiti ai più rigorosi. E’ necessa-,, ria una Autorità permanente per distrugge-,, re inclinazioni perverse, che rinascono  incessantemente, e che non è tanto facile   99 di estirpare.   Voi, o Cesare, vi dovete alla Patria,  divenitene Padrone per sempre per sua compassione. Fate sì, che il Senato sia composto di Soggetti di sperimentata saviezza ;  confidate le vostre Armate ad abili Generali, e scegliete li vostri Legionarj frà le,, Famiglie povere, le quali porranno som», ministrare Cittadini eccellenti ; ma conser-,, vate il dominio, e sulla Nobiltà, che iin» piegherete nelle cariche, e suiti Comandan» ti degli eserciti, e suiti soldati medesimi.   Ne con ciò pretendo, che il peso degli   affari debba sopra voi solo gravitare ; Ne  #> dividerete la cura con li Cittadini ptimarj  delle antiche Famiglie, che renderete i ! 1 u stri, con renderli laboriosi. Riguardo al,, Popolo, bisogna regolarsi con tal cautela,  che sia sempre contenuto nell’ umiliazione.  Finché li plebei s’ interessarono della sola  cultura delle terre, Roma fu tranquilla ; si  ridderò però divenire insolenti, allorqnan», do, associati ai publici affari col soccorso  i, de’ loro Tribuni, rovesciarono più volte la  ’ Costituzione dello Stato ; c necessario per», tanto, che rientrino in quella subardina», zione, dalla quale furono levati dalle Fazioni.   Disprezzate le publiclie voci tendenti a  », denigrare la vostra condotta. Forse si dirà, che avete vinto perii vostro solo ingrandimento ; ma Roma parlerà con altro  linguaggio, quando sotto l’ombra de’ vostri auspicj vedrassi al colmo della feli  jy Cltil «,, Non dovrete temere alcun attentato alla,, vostra persona, divenuto Monarca ; al con-,, trario i vostri giorni saranno in pericolo,  y, se, spogliato del supremo potere, rifenì, trerete nella classe di semplice Cittadino ;  .chi mai in questo caso potrà garantirvi dalla perfidia di que' scellerati, e malconten*  ti, che sopravissuti alla distruzione nelle  », passate guerre civili, si aggirano ancora e,, in Roma, e nelle Provincie ? Esistono sicu-,, ramente de’ turbolenti partegiani delle Fazioui di Sesto Pompeo, e di Antonio. Que Dion. loc. pit.: Ilio, enimPlebis lice ristia, qua optimus quisque servire cogitur, et  acerbissima est, utiisque cominunem pcrniciein ffert.  nS   A sti, serbando contro la vostra persona odio,  risentiraento, e livore, cercheranno di  vendicare l’affronto, che loro recaste per,, averli vinti, ed umiliati, e col vostro as-,, sassinio immolare una vittima gradita all’  s, ombre de’ loro Amici estinti o sulle camf> paglie di Filippi, o sulle spiagge dell’ Epiro. Siavi d' esempio Pompeo il grande, il,, quale, spogliatosi spontaneamente di quella potenza, che colla vittoria si era acquistata, fu miseramente ucciso, mentre faceva degl’ inutili sforzi per ricuperarla :,, Alla medesima dissavventura sarebbero stati  esposti ancora Mario, ed altri potenti Cittadini, ie non l’avessero prevenuta colla  morte. (i,) • t > *  Diòn. loc. cit. : Quis enim libi parcet,  ubi omnes res, uti mine ace sunt, P apuli,  àlior urn que‘ Potè stati praemitlis, cu/n et pcrmulti a te sint offensi, et omnes fere summam  rerum tentaturi, quorum alteri et ulcisci te,  alteri adversarium te e medio tollera cupicnt 1  Balsac nel cap.45. del Print. cosi su tal proposito ragiona : Si va incontro ad egual pericolo tanto nell ’ impossessarsi, che nel dis*  farsi del s/lpremo potere. F aiaride era prontissimo a dimettersi dalla potenza usurpata l  ma chiedeva- un Nume per sicurezza della sua  vita, se rientrava nella classe di Cittadino  privato, £’ stata sempre comune opinione Sul Trono però la maestà, che imprime  il rango supremo, e la guardia d’ ond’ è,1 circondato, spegne ne’ cuori gl’ istessi de*  siderj della vendetta. D’altronde, o Cesare, la vostra gloria, e le vostre precauzioni sapranno preservarvi da qualunque  timore. Koma vi riguarda. come un dono,, ricevuto dai Numi, e voi passate per una,, Divinità tutelare, che il Cielo volle serbare iniftezzo a tanti Nemici per assicurare  il loro benessere, e la loro felicità.   Si è detto, che il peso dell’ Impero è  troppo grande ; ma questo è un vano terrore capace a «coraggi re tutt’ altri, che il Fi-,, glio adottivo di Giulio Cesare. La metà del,, Mondo ha già ubbidito alle vostre Leggi;  finora non foste, che Triumviro, e l’ Impero dell’Occidentè non fu per voi un in»; carico troppo pesante. Presentemente tut—  te le Nazioni godono quella pace, che voi,, «apeste ad esse procurare ; le nostre Fron che quelli, li quali hanno preso le armi contro la loro patria, o contro il loro legittimo  Sovrano, sono ridotti in certa guisa nella necessità di continuare nel male, per. La poca sicurezza, che trovano nel fare del bene. Non  osano di divenire innocenti per timore di sottoporsi alla discussione delle Leggi, che hanno  offese, e persistono ne loro errori, credendo,  che il loro pentimento non trovi compassione.    ja?   •Nere sono difese da Governatori di vostra  scelta, e gl’ ordini non derivano, che da  voi dal Caucaso, ed il Mar rosso fino all’  Oceano Brittannico. Non si tratta più di  cercare, in che guisa potrete divenire il,, Padrone dell’ Impero ; ma con quali mezzi potrete sostenere quel peso, che il Cielo ha voluto addossarvi;. Io spero di potervi  somministrare li mezfci ricercati.   », Formate Un Senato, che sia composto di  », persone sagge, e tranquille, nè la pover-,, tà deve essere un motivo, onde escluderne  li buoni Cittadini ; sarà non meno cosa vantaggiosa, se unirete ai Senatori Romani  de’Soggetti stranieri scelti ancora Frà nostri  Alleati. Con questo temperamento, potrete  » ricevere de 1 buoni consigli, sia per il go-,, verno della Capitale, sia per contenere le  » Provincie lontane, e le cabale saranno meno  » frequenti tra Individui di diverse Nazioni. L’ordine de' Cavalieri è rispettabile, ma trovasi circoscritto da troppo anglisti confini. Ammettetè ih questo ceto illustre, seni, za fissarne il numero > tutti que’ sudditi  >> delle Provincie Romane, che ne sono de», gni, e per li natali, e per li servigj pre*,, stati, e per le ricchezze.   >» Li Pretori devono scegliersi dal Corpo  de' Senatori dopo cinque anni di servizio*   e dell’ età di anni trenta, giacché in avve, gerete iui Giudice subalterno col nome di  sotto-Censorc, che prenderà cognizione di  que’ leggeri disordini de’ Cittadini, che,, non giungono al delitto, ma, che sogliono  cagionare delle inquietezze nelle famiglie,  e che tolgono la quiete publica, ed il buon  ordine della Città. La carica di questi due,, Magistrati potrà essere a vita, non po*  tendo concepire alcun timore di due Uomini  inermi, che eserciteranno la giustizia sotlo i vostri occhii   Io non so, o Cesare, se il mio discorso  incontrerà la vostra approvazione, ma ciò,,, che ho detto, mi sembra troppo necessario  a rendere il vostio regno pacifico. Contendete liberamente il diritto di Cittadinanza,, a qualunque Individuo, che ne sia degno *  delle Città alleate, e soprattutto delle CoIonie, e cosi avvilirete questo titolo di  Cittadino Romano, che rende il Popolo  della Capitale si fiero, e affezzionandovi le  Nazioni straniere, ve le renderete fedeli *  i. Crescerà poi il loro affetto, se facendo con  precauzione una scelta de’ Soggetti li più    Digitized by Google    l3i,, ragguardevoli, li farete partecipi anche  y, degli onori del Senato. Che cosa importa,  se il numero de’ nostri Senatori oltrepasserà li trecento ? Più saranno gl’impieghi, e  le cariche da conferirsi, e più autorità vi  acquisterete, ed anche maggior sollievo.   E’ giusto, che sia fissato uno stipendio  per i Consoli, ed i Pretori, che manderete nelle Provincie, giacché è cosa del tutto  vituperevole, che per mezzo di enormi,, concussioni, si aggiudichino da se stessi li  salarj de’ loro travagli, ed impongano tasse arbitrarie sulle Popolazioni, che governano. Se si porteranno delle lagnanze  contro l’avarizia di alcuni di quelli, dovranno richiamarsi all’istante, benché non  siano finiti li tre anni dell’esercizio della  loro carica ^ In generale poi sarà una giuyv sta misura di non prolungare ad alcuno il  tempo della sua amministrazione oltre a  cinque anni.   Ho detto, che bisognava moltiplicare il  » numero de’ Cavalieri ; perchè da questo  » Corpo rispettabile dovrete scegliere levostre Guardie, a cui assegnerete de’ Capitani. Allora la vostra Persona sarà più sicura, e se P uno di questi Capi diviene so» spetto, l’altro per emulazione veglierà con  y, zelo salii vostri giorni ; qneU’autorità poi,  >, che loro darete sul resto della vostra Casa,  ' « li affezzionerà maggiormente al servizio,,e   I a      se si conoscerà, che le loro incombenze  fossero troppo moltiplicate, potranno in,, parte discaricarsene su di alcuni subalterni  col nome di Luogotenenti -, che parimente  potrete nominare. Dallo stesso corpo de’  Cavalieri potrete estrarre ancora e gli Coj, mandanti della Polizia, che in tempo di not*,, te veglieranno sulla quiete di Roma, e gl*  Intendenti de' viveri, e li Presidenti del  pnblico Tesoro, e li Ricevitori delle rendi-,, te delle Provincie, (ij   Oltracciò oserò dirvi, che sarà bene  d’ impiegare ancora de’ Liberti per la riscossione del pnblico danaro. Questa qnalità di nomini sarà adattata per sopportare,, l’odio inerente all* impiego di Esattore.  Con questo mezzo potrete far uso, e distri—   ( i ) L’ ordine de' Cavalieri desume il suo  stabilimento parimente da Romolo, il quale  avendo fatta la scelta di trecentpGiovani lipiù  valorosi, c benfatti, ne formò il Corpo di guardia della sua Per sona. Allora erano chiamati  Celeri, ma posteriormente furono sottoposti ad  altre variazioni di nome al dire di Plinio presso il Sigonio de Antiquo Jure Civ. Rom.  Jib.t. cap.3. : Equitum nomea saepe variatum  est, in his quoque, qui adequitatum trahe bantur. Celerei sub Romulo, Regibusque appellati sunt, deinde Flexumincs, postea Trottali : Fedi il sudetto Sigonio loc. cit.    Digitized by    i33   buire degl* impieghi, che serv'irannó di ri-,, compeiiza ai vostri domestici, e popolandorOriente,e l’Occidente d’individui fedeli.»sarete con esattezza prevenuto della situazione delle Provincie lontane .,, Una delle cure le più importanti di un  Sovrano è di vegliare attentamente sulla  educazione della Gioventù in tutto 1’ Impe-,, ro. Vi siano adunque per questa delle publiche Scuole, delle Accademie per formar-,, la nel mestiere delle armi, e de’ Maestri  ben pagati per istruirla nell’ esercizio dcl-,, lo spirito, e del corpo. Da questa dipende la forza dello Stato, e questi fiori coltivati con saviezza, produrranno il frutto a  suo tempo, e luogo. Procurerete però,  che non venga educata nella mollezza, e  nella indolenza, altrimenti se ne risentiranno in seguito gli effetti funesti ; Roma,, cesserà di esser feconda di Eroi, e tntto  l’obbrobrio ridonderà a carico dell’Autore,, della Monarchia,  "t  Dion. lib 5a. pag.63a. : Hoc quoque te  summopcre hortor insticuas, ut Putridi, Equestrisque Ordinis homines, dum adhuc pueri tiam agunt,ludos literarios frequentent Ita e nim statini apuero discentes, et exercentes omnia  ea, qua e adultis sunt usurpanda, ad omnia  ne goda aptiorcs habebis. Optimi enim, ac egre gii Principi* est, non modo ipse ut omnia e*   4   Anche le Truppe esiggono una particola.  re attenzione, come quel Corpo, che forse,, costituisce la porzione più necessaria, e  interessante dello Stato. Allorquando la  maggior parte delle vostre città godrà il diritto della Cittadinanza Romana, vi riuscirà facile di rimpiazzare le vostre Legioni di,, Cittadini Romani • Fatene la leva in tutte le  contrade dell’ Impero ; siano puntualmente  pagate ; preparate loro de’ buoni quartie-,, ri, e non permettete, che invecchino sotto  le armi, poiché da ciò ne derivano le sedizioni militari. Ogni Veterauo è ordinariamente ardito, e presuntuoso ; perciò è necessarlo, che questa porzione di Truppe,,, facciali suo servizio senza interrompimento dopo il fiore della gioventù fino al princi-,, pio della vecchiezza ; le vostre Legioni siano sempre sul piede di guerra, ed in numero sufficiente per difendere le Frontiere.  Siano escluse dal vostro governo quelle leve istantanee, e tumultuose, come soleva  altre volte praticarsi in caso di estremo,, bisogno. Fate si, che una porzione de'   nostri Contadini eserciti tranquillamente,, l’Agricoltura, nè i loro rustici lavori sieno turbati dal timore di dover ascoltare ad  ogni istante il suono della tromba guerric officio agat, verum, ut qua rat ione etiam reliqui omnes quarn optimi fiant, prospiciat. ra, che ad essi annunzi degli arredamenti involontari .,Le Armate saranno assai deboli,  allorquando non sono fonnate, che di sudditi forzati a servire.   Si dirà, come trovare somme considerevoli., onde mantenere tante Armate conti», imamente sul piede di guerra, e pronte  sempre a marciare a qualunque cenno del  Sovrano ? Questo è il punto decisivo, e  l’oggetto di terrore, che vi è stato presentato,,, Ogni Stato ha le sue rendite, e voi potete divenir padrone del Tesoro publico de’,, Romani. Basterà questo per dare esecu*,, zione al progetto, che io vi propongo ? Nò  », certamente; ma con una prudente, e savia  », economia vi si potrà supplire. Vendete le,, spoglie delle Provincie conquistate, e formatene, col prodotto, un fondo per libi7, sogni straordinarj. Promulgate de’ sa vj re-.  golainenti, affinchè le campagne siano con  impegno, e profitto coltivate dai Proprie», tarj, ed esigetene un tributo sul loro prodotto. Non è forse giusto, che con il sagrifizio di una tenne porzione delle loro sostanze, si acquistino la sicurezza, che voi  \, procurate ad essi, e a tutto lo Stato ?   Vegliate sulle miniere de’ metalli, che  si discopriranno nelle diverse contrade dell'  t, Impero. Esiggete puntualità nella riicos  rU   sione delle tasse per testa, senza permettere, che li debiti si moltiplichino.Procurate, che non si rappresentino altri giuochi fuori della corsa de’ carri, e de’  cavalli, perchè ordinariamente le Città le  più opulente, sogliono esaurire le loro rie•chezze in futili divertimenti * Riguardo alla  «Capitale dell’Impero, gli edificj deggiono es~  sere in essa sontuosi, è li Spettacoli magnifìci; la Capitale è il centro di tutte le  Nazioni, e la maestà del Padrone, che gor  verna, si misura con la Città, ove risiede  conia sua Corte. Fuori di Ironia proibite  agli abitanti 1* eccessività delle spese, e  quindi con questo provido temperamento  tutti saranno in istato di pagare li tributi.  Si potranno inoltre dispensare le Provincie  a fare Deputazioni così frequenti. Li Governatoti respettivi ultimeranno gli affari  sulla faccia del luogo ; e se fosse necessario, che quelli dovessero rimettersi al voatro Tribunale, li rimanderete al Senato.  Allora voi detterete le sne risposte, e sfug-,, girete di prendere sopra voi solo l’odio,  che quelle potranno seco portare.   Fate partecipe il Senato delle querele,  che gl’inviati delle Nazioni nemiche, o dei  Re stranieri potranno promuovere, ed a voi  solo riservate la cognizione delle grazie,  » che loro vorrete accordare.   Non dovrete mai più permettere al Po  polo la decisione de’ delitti capitali. Qne*> sta dovrà essere una ispezzione esclusiva  del Senato, il quale si crederà onorato di  un tale imbarazzo, e voi ne resterete con  piacere discaricato. Io però non parlo de’  delitti comuni, la di cui punizione è stata  regolata dalle Leggi. Per li attentati contro  »» la vostra persona (giacché tutto può accadere) siatene voi stesso il delatore, ma non  giudicate giammai nella vostra causa. Fate,  », che altri ne pronuncino la sentenza, e voi,, non dovete interessarvenc, che per mode*  », rare la pena.   » Non dovete fissare la vostra attenzione,  », come già ho accennato, nè alle parole in»> considerate de’ malintenzionati, nè alle saj» tire, che si diffonderanno, contro di voi,, nel publico, e non curate di venire in co», gnizione degli autori ; poiché dovete figli» rar ?i, come situato in una sfera superiore,  »• in cui siete invulnerabile, come li Dei.  *» La vostra collera non deve accendersi, che  » contro li sediziosi, che, posti alla testa  di una Armata, avranno rivolte le vostre,, armi contro di voi stesso. Il giudizio di que  sti scellerati, e colpevoli di Stato, Indivi*,, dui ordinariamente di alta considerazione,  dev essere rimesso per commissione ai Con*  >» soli antichi ; la qualità di tali Giudici darà  », peso alla decisione, che saranno per pronunciare. Vi saranno delle cause, dall’egame delle quali non potrete dispensarvi*,, imperciocché pii affari di onore fra gliUfh ciali delle vostre Armate, e gli Appelli dai  T ribunali del Prefetto di Roma, e del sotto*,, Censore devono tornare a voi; allora scegliete degli Assessori fra i Patrizio al tri Soggetti qualificati, che possano figurare con,, voi in una Assemblea giudiziale.   La grande saviezza di un Padrone indili pendente consiste nell’ ascoltare volentieri,, gli altrui consigli. Accogliete pertanto grati ziosamcnte tutti quegli Amici, e Cittadini,  che saranno per darvene dei salutevoli;,, ma non discacciate con orgoglio coloro, i  quali potrebbero suggerirvcne alcuni non  sodisfacenti. Quelli, dalla bocca de’qua-,, li sortono consigli poco utili, possono aver  avuto retta intenzione : Accade di questi, come dei Generali di Armata battuti,, dal nemico ; Spesso l’errore non è imputa*  bile nè agl’ uni, nè agl’altri ; e siccome  non si può sempre rispondere degli avvenimenti della guerra, cosi non deve riguardarsi con occhio bieco quell’ Uomo, che di   buona fede dà un consiglio poco sensato.   Li Filosofi procureranno sovente di gui*  darvi con le loro speculazioni. E’ vero,,, che avete sperimentato, quanto erano van*, taggiosi li consigli di Areo, e di Atenodo*,, 1-0(1^), ma generalmente parlando, le opinioni di tali Uomini sopo difettose per mancanza di esperienza nel maneggio degli affari Le meditazioni del Gabinetto sono spesso le  meno sicure in prattica. Atenodoro Filosofo Stoico è nativo  della Città di Tarso. Fa maestro di Augusto,  dal quale Ju decorato di molti onori. ed anelli  di Tiberio. Aveva il talento particola) c per far  apprendere con facilità le scienze a' suoi Di scepoli. Le sue cognizioni erano cosi estese, e  tanta la forza della sua eloquenza, clic Sallustio lo assomigliava al fuoco, che accende  tutto ciò, che gli si avvicina : Athenodorus  Stoicus Philosophus ( dice Suida f sub Octa vio Romanorum Imperatore omni bus ad Philosophiani subsidiis, tam ab iji genio, quam recta animi voluntate instructus  erat .... idemque dilucido discipulis suis  explicabat. Hunc Sallustius oh studiuni admiratus, igni similem esse dixit, omnia propinqua incendenti : Secondo Strabope lib. 1 4. pag.  463- aveva l' abilità di rispondere estemporaneamente a qualunque argomento, e fu onorato ancora da Marco Antonio il Triumviro,  ììi lode del quale scrisse un Poemetto, dopo la  battaglia presso Filippi.   t fa') Dion. loc. cit. : Neque enìm quia Areum., et Athenodorum bonos, ac honestos viro s expertus es, omnes alias idem studium prua  i4o   Ecco, o Cesare, alcune massime geuerali per il Governo, clie renderanno la vostra  amministrazione Sovrana meno difficile, e  meno pericolosa di quello’, che vi è stata,, rappresentata. • .,, Le qualità personali del Monarca, so», pratutto quando è 1’ autore dellaMonarchia,  », devono eguagliare la sublimità del rango,  », al quale egli è giunto. Io credo, e so*  », no persuaso, che quello non deve in difierentemente accettare tutti i titoli, e  tutte le distinzioni, che l’adulazione potrà  deferirgli. La realtà della Monarchia vi  deve bastare sotto qualunque nome la rite*-,, niate. Che importa di esser chiamato Cesa-*  » re, o al più Imperadore, quando voi amministrate sovranamente lo Stato Romano ?   Bisogna, che con una irreprensibile con  dotta v'innalziate dei monumenti perenni sul  cuore de’ Sudditi. Che cosa servono quelle  Statue d’oro, o di argento ? Sono stati eretti nelle Provincie alcuni Templi a vostro  onore, ciò poco interessa ; ma non dovrete  » giammai permettere, che ve ne sieno con*  secrati in Roma, perchè sarebbe un oggetto  di disprezzo per le persone sensate, ed una   seferentes, similes eorum indicare debes, curri  hac specie usi multi infinita mala populis,  privatisene hominibus adjeraut,     y, spesa inùtile, che pot là essere meglio im i, piegata.   - Fate uso voi stesso di economia nelle vo* stre spese particolari, ed in quelle della vo~  straGasa.La buona opinion, e,di un uomo frn» gale vi farà più onore di un grande numero  »> di tempj, di altari, e di statue. Questo  culto esteriore, e materiale diverrà comune ai buoni, ed ai malvaggi Principi.   D’altronde non si recherebbe insulto ai  Numi, con eguagliare i vostri onori a quelli, che il Popolo suole ad essi deferire ?   Un Sovrano, che cerca di essere onora»  to deve sempre mostrare della pietà verso li  Dei immortali, perciò nón permetterete,  che s’ introducano in Roma delle Sette religiose straniere. Una novità in materia  5, di Culto, ne porta sempre delle altre, e  e quindi ne risultano attruppamenti sediziosi, e pericolose congiure. Ammetto,  che restino frà noi degli Auguri, che consuiti, chi vuole ; ma non devono assolutamente tollerarsi gli Astrologi, ed i Maghi ;  j) imperciocché dalle loro predizioni false, o  vere, che siano » hanno principio sempre  le intraprese dei perturbatori del publico  riposo,  -fi) Dion. loc. cit. : Deos quoque senipcr,  et ubique ita cole, ut moribus Patriae est reccptum,ad eumdemque cultura ahos compelle. Pc  * 4 *   Voi avrete indiverse parti delatori -, e.  spioni ; questa razza di persone saranno  necessarie, ma guardatevi di deferir cieeamenre ai loro rapporti. Spesso l’odio,  rinteresse, la vendetta, o altre passioni  sciolgono agl’ uni la lingua, e chiudono   agl’altri la bocca. Qui è dove fa dnopo,, avere continuamente la bilancia in mano,  e procurar di farla inclinare piuttosto a  favore degli Accasati .,, Li vostri antichi Amici, ed i vostri Domestici li più familiari devono esser per,, voi non meno un soggetto di precauzio-,, ne. Disprezzarli, sarebbe, un ingratitu-,, dine, sollevarli, ed arricchirli soverchia-*,, mente, produrrebbe contro di voi un argoinento perenne di rimproveri, e dimormorazioni. Si giudicherà di voi per mezzo de’ vostri Amici, e i loro difetti saranno a voi attribuiti. Cercate adunque  di disfarvi dei meno discreti, e di quelli,   che sono nelle loro brame insaziabili \ • 1 • i   regrìnarum vero Religionum auctor esodio, ac  Supp liciis prosequere,. qui nova numi  na introducane, multos ad peregrinis Legibus  utendum pelliciunt ; inde conjurationet, coi- tioncs, et conciliabula existunt, minime unius  principe fui commodae res ; itaque nequeDeorum contemptorem, ncque praestigiatorem allum tolerabi *.  Governo : L’ingiusta preferenza  produce del malcontento, e quindi può  ancora cagionare il rovescio totale di quello. Siate il protettore dei Grandi fino ad  un certo punto, ma l’eterno sostegno dei  deboli, ed il vendicatore degli oppressi.,, Proteggete con energia le arte utili, clic  esercita il basso Popolo, e bandite gli  oziosi. Ordinariamente le sommosse popolari incominciano da pe rsone disoccupate,  *, e sono fomentate da nomi di partito, che,, si danno reciprocamente per farsi ingiuria;  ciò forma la sorgente delle rivolte, che   Fa duopo distruggere nella nascita.   L’abuso della propria autorità è il più,, grande dei mali per un Sovrano. Dare esecuzione a tutto ciò, che si può, è lo stes«  i, so soventi volte, che fare più di quello è  >, permesso. Più utio si conosce potente, o  più bisogna > che vegli sopra se stesso per  non farsi trascinare dai proprj desiderj. Gli,, Adulatori vi lusingheranno sopra i vostri di?  : b fatti > ma segretamente vi biasimeranno.  Abbiate dunque per massima di regolare la,, vostra condotta, non tanto su quello, di   i, cui siete stato redarguito, ma sù quello,  per cui potrete essere rimproverato. Riflettete sopra voi stesso, e non già come,, Sovrano, ma come Suddito responsabile   j, di tutti i vostri andamenti al Publico, il quale vi osserverà con tnttà 1 attenzione,,, e vi giudicherà con rigore maggiore di  quello, di cui voi userete verso di esso.  Ecco, o Cesare, il dettaglio delle qua.  liti, che voi dovete acquistare, c de'sco-,, gli, che dovete sfuggire. La sapienza, di  cui il Cielo ha voluto decorarvi, vi servi-,, rà di. guida, e 1* esperienza vi faciliterà  l’arte di governare. Entrate adunque,  entrate con confidenza nella carriera, che  le vittorie vi hanno aperta ; Roma, e l’Universo vi reclamano, come il solo Uomo  capace di riparare ai disordini di una  Repnblica andata in decadenza. Quelli,  che vi esortano a consumare la Rivoluzio-, ne, amano sinceramente la Patria. Che dolcezze non gusterete in una amministrazione tranquilla, in cui voi farete la felicita di un Mondo intero 1 Ninna cosa è più  dolce del dominio, allorquando il Dominatore è capace di procurare la comune felicita. Non vogliate discacciare la fortuna,  che vi ha scelto fra mille per sostener Roma vicina a cadere. Regnate senza prendere il nome di Re, e siate Sovrano senza  altro titolo, che quello di Cesare, o d'Imperadore. In una parola, la regola più sicura onde rendere amabile il vostro Impero è quella di governare li popoli a voi,, soggetti, come bramereste di essere gavernato voi stesso, se i Numi vi avessero,, fatto per ubbidire (i).   Il tX scorso di M. dissipò le dubbiezze di Ottavio, gli trasfuse nell'animo maggior  sicurezza, e non esitò ulteriormente per  aderire al progetto di quello. 11 bravo Agrippa non restò malcontento al vedere posposto  il suo sentimento, perchè comprese anch’es-, che il suo Padrone rischierebbe meno di  quello, che non si era creduto, sul posto  eminente > nel quale veniva consigliato a perpetuarsi > e che l’utilità publica si troverebbe unita alla gloria del medesimo. Egli non  potè non ammirare la saviezza, e profondità  delle massime politiche di M., proposte per rendere felice un'Amministrazione  Monarchica ; e perciò l’esperienza ci ha fatto quindi conoscere > che tutti li Re veramente degni del Trono hanno formato il loro  piano sù quello, che il sudetto M. presentò ad Ottavio. La lettura del suo discorso > che per intero ci è stato dallo Storico  Dione trasmesso è un Capo d’opera, che anche ai nostri giorni, ed in ogni tempo può  istruire li Sovrani a divenir felici, procurando la prosperità de’ loro Sudditi (a).   Il laborioso Catrou, da noi tante volte, citato, suppone, che non ostante l' efficacia Dion. lib. 53. Catrou Catrou loc. cit. lib. 5.   K    t+6   delle ragioni dettagliate da M., V à~  nimo di Ottavio restasse tuttora perplesso,  ed irrisolato ; e che il Poeta Virgilio determinasse qnesta sua ir risolutezza, e lo inducesse ad ahbracciare definitivamente il prò*  getto della Monarchia. Il Catrou parla in tal  guisa (i,) Osare, avendo ripieno lo spirito  di tutto ciò, che aveva ascoltato da Mecenate, non ebbe rossore di consigliarsi,, ulteriormente con uno de’ suoi domestici i  nomo di bassi natali, nato in un villaggio da poveri genitori, ma li di cui ta-*  lenti erano sublimi Questo fu il famosò  Virgilio, Poeta, la memoria del quale si,, conserverà in tutti i secoli. Da lungo tem-,, po egli era al servizio di Cesare Ottaviàno, e per mezzo di vili principj èraginnto a meritarsi il favore delsno Padrone .,, M. lo aveva tirato dalla polvere -,  ed egli aveva già spiegato quel genio incomparabile, che faceva presagire un altro Omero . Virgilio fissò la irrisointezza dell’ lmpefadore con queste parole :,, Tutti quelli, che si sono finora impadrbnifi del Governo non visorio riusciti, fe  perchè f Perchè po.o giusti verso degli,, altri, han dovuto, incessantemente paren-,, tare le mani vendicatrici de 'malcontenti *  Voi al contrario, o Signore, che il Cielò  - - *1 •  ( i) loc. cit.     ha fatto nascere giusto, e moderato, passerete giorni avventurosi, facendo pro-,, vare ai Romani un impero amorevole.   Sembra però, che il Catrou in questo luogo siasi fatto sorprendere da quella Vita di  Virgilio, che viene attribuita a Donato  Grammatico, e dì cui si è fatto di sopra  menzione (i). Siccome però questo scritto,   (l) Il Succennato Autore della Vita di  V irgilio si spiega nel modo seguente. Postcaquam Augustus summa rerum omnium poti tus est, venit in mcntem, an conduceret Tyrannidem omittere, et omnem potestatem annuii Consulibus, et Senatui Rempublicam reddere. In qua.re diversae sententiae consu/tos  habuit Mae cenai eni, et A grippata. Agrippa  enim utile sibi fare, edam si honestum non  esset, relinquere Tyrannidem longa oratione  contendit, quod Maccenas dehortari magnopere conabatur. Q tiare Augusti animus et hinc  ferebatur, et illinc. Erant enim diversae scntentiae, variis ratiombus firmatae. Rogavit  i gi tur Maro ne m, an conferat privato homi ni, se in sua Republica Tyrannu/n faccre.  Tum ille : Omnibus ferme, inquit, Rempublicam aucupantìbus molesta ipsa Tyrannis  futi, et Civibus ; quia necesse crat odia subditorum, aut eorum injustitiam, magna suspicione, magnoque timore vivere. .. Q uare  si jusCitiam, quod modo facis, omnibus in   K a    a sentimento di tuffigli Eruditi, è pie nò di  errori, e di favole, cosi non può fissare la  nostra attenzione su quanto narra di Ottavio  nel momento, in cui stava per decidersi sulla scelta o della Monarchia, o del ristabilimento della Republica.   Se sussistesse ciò, che ivi si legge, cioè >  che Vi rgilio determinasse il sudetto Ottavio  ad uniformarsi al sentimento di M.,  non si sarebbe certamente omesso da tanti valenti Biografi, « he hanno parlato diffusamente, e di Virgilio, e di Ottavio ; e Dione segnatamente, che ha trasmesso alla posterità  gli eloquenti, e giudiziosi ragionamenti di  Agrippa, c di M., e che inoltre afferma positivamente, che Ottavio si attenne  al parere del secondo, sembra, che non  avrebbe occultata una notizia cosi interessante, e rimarchevole. De la Rue accenna appunto questa ragione per escludere la verità di quella circostanza narrata dal sudetto Donato Se non  fosse un fatto del tutto assurdo ( dice egli ),, che Virgilio consigliasse Ottavio ad aderì-,, re al progetto di M., e che deter-,, minasse l’animo vacillante di quel Princi futurum, nulla hominum facta compositione,  distnbues ì dominar i te, et tibi conducet, et  orbi . Ejus sentcntiam sequutus Cattar Priaeipatum tenuit »    » pc, non si sarebbe narrato dal solo pseui, do-Donato, ma sarebbe stato ai posteri  trasmesso dalla penna ancora di Storici  il rispettabilissimi (i).   V Ambrosi, che pensava come de la Rne,  nel premettere alla sua magnifica Edizione  dell'Opere del sudetto Virgilio la indicata Vita di Donato, cosi previene il Lettore infine della medesima e in cui visse •.  Imperciocché nveutre Sesto Pompeo, fi-,, gliò del gran Pounpeo, richiede il Patrimonio paterno, sconvolge, e mette sossoprali mari d’Italia, e di Sitilia; men», tre Ottavio si vendica degli Uccisori di  Giulio Cesate ano Padre, si divellano  scene sanguinose nelle Campagne della  », Tessaglia; mentre il genio incostante, e,, e volubile di Marco Antonio, o deprezza  », Ottavio, corno successo re di Cesare, o,, acciecato dagli amori di Cleopatra, indina a divenire un assoluto padrone del  Governo, il Popolo Romano no» potè tro-,, vare il. suo seampo » che gettandosi in brac• ciò alla schiavitù. Ma buon per noi, che   «, in cosi terrihile sconvolgimento di cose»  i, le redini del comando caddero nelle mani,, eli Ottavio Cesare Augusto, il quale eoa  », la sua sapienza, e con la sua sagacitàsep   i5a   pe riordinare le membra scomposte dell’   immensa mole dell’ Impero, che non sarebbero tornate sicuramente al suo luo» go, se dalla meote, dal senno, e dalla  abilità di un solo non fosse stato il Governo diretto (; ). Fior. lib. 4 Cap. 3. Populus Pomanus, Caesare, et Pompe\o trucidati, redasse in statum pristinac libertutis videbatur ;  et redierat, nìsi aut Pompcjus Liberos, aut  Cassar haeredem reliquisset ; vel quod utroqua perniciosius juit, si non collesa quoti -,tlam, mox acmulus Caesarianae potentiac,  fax, et turbo sequentis saeculi, superfuissec  Antonius. Quippe durn Scxtus paterna repetit, trepidatum foto mari ; dum Octavius mortevi patris ulciscitur, ite rum fuit mo venda  Thessalia ; dum Antonius, varius ingenio,  aut successorem Cassar i indignai ur Octavium,  aut amore Cleopatrae desciscit in Pegem j  nam aliter salvus esse non potuit, visi confugisset ad servitutem. Gratulandum tamen  in tanta perturbatione est, quod potissimum f   ad Octavium Caesarern Augustum somma rerum rediit, qui snp lentia sua, acque soler tia, perculsum undique, et perturbatovi ordinavi Impcrii corpus,i quod ita haud d tibie nunquam coire, et consentire potuisset,  nisi uni us Praesidis nutu, quasi anima, et  mente, regcretur, Il grande progetto della Monarchia unfc*  versale da M. proposto, non era conosciuto, che da esso, da Agrippa, e da  Ottavio. Siccome il silenzio è l'anima delle imprese delicate, cosi questo dovette esigere da Agrippa un segreto inviolabile, dovendosi mettere in esecuzione con metodo,  con circospezione, lentamente, e senzacbe  i Romani potessero avvedersene, giusta le  istruzzioni dell’Antore del medesimo. Ottavio segni in tutte le parti li consigli di questo savio Politico, e gli fu debitore della suar  gloria, e della felicità del suo Regno.   In fatti riformò subito il Senato.; ed es»  eludendo que’ Soggetti, la di cui presenza in  quel Corpo rispettabile, o non poteva recave alcun vantaggio, o cagionargli del male,  ve ne sostituì degli altri di sperimentata prudenza. Usò in questa riforma la precauzione di far vedere, che da esso era quello  in special maniera onorato, per non cade  «54   re nella stessa disavventura, alla quale fn  sottoposto Giulio Cesare, il di. cui disprezzo ingiurioso per un Magistrato composto delle più illustri Famiglie di Roma, fu più veramente la cagione della sua morte funesta,  che l’interesse della publira libertà (i).   Aboli tutti li debiti dai Cittadini contratti  con lo Stato. Dichiarò nulli tutti gli Atti,  che la necessità del tempo aveva fatti promulgare nell’epoca del Triumvirato, Abbellì Roma di grandiosi Monumenti, e divenne ristoratore di un grande numero di Templi, li quali o le guerre passate avevano  rovinati, o per mancanza,di denaro, erano  stati negletti. ?,   Stabili, che la distribuzione gratuita del  grano, che, per costume antico j; soleva farsi .al Popolo sopra li fondi, del publico Tesoro, fosse più frequente, e che in ogni distribuzione se ne dasse alle povere famiglie  una misura quadrupla di quella, che prima  era in usanza. Questi, ed altri regolamenti  salutari gli conciliarono una stima generale,  ed era, per dir cosi, idolatrato da tutti.   Allora M. si avvide con la profondità delle sue viste politiche, che il suo Progetto era giunto alla maturità, e che il Senato, Roma, e tutti gli Ordini dello Stato  erano già disposti a riconoscere l’impero di Echard loc. cit, un solo nella persona del sno Padrone ; perciò concepì un secondo Progetto, per ultimare il primo, che sembrava piuttosto stravagante, e pericoloso, ma che doveva inseguito produrre tutto il suo effetto.   Consigliò pertanto ad Ottavio', che si pre.  sentasse in Senato, e con un discorso politico, ed artificioso rinunciasse al comando  assoluto, che allora riteneva, rimettendolo  nelle mani de'snoi antichi Magistrati. Gli fece riflettere, che con questo mezzo non solo  non lo perderebbe, ma anzi avrebbe ottenuto, eh’ egli, il quale finallora era stato arbimanamente Padrone del Mondo, per consenso di tutta la Nazione, sarebbe divenuto  Monarcha legittimo ; inoltre, che, mediante le riforme già fatte e nel Senato, e nelle altre Magistrature, erasi procacciato una  quantità di Partegiani, che per le sue liberalità, per la sua giustizia, e per lesile maniere obbliganti era sommamente amato dal  Popolo ; che in conseguenza, allorquando  questo, ed il Senato avrebbero inteso pronunciarsi da]la bocca del loro benefattore la  rinunzia alla direzione del Governo, o per  riconoscenza, o per rispetto, o per politica, o per non perdere le dolcezze della vita,  e del buon ordine, ch’esso aveva introdotto,  non solo non avrebbero accettato la proposizione, ma lo avrebbero pregato a perpetnarsi in quell’impero, acni finallora aveva  preseduto.   Ottavio adunque penetrato, e persuaso  dalle ragioni, donde era stato dal suo Ministro istruito, si presenta in Senato, e con  un’aria d’ingenuità, e di franchezza sorprendente, in tal gnisa si fece a parlare.La proposizione, che io vengo a farvi, Padri  t3 Coscritti, sarà da pochi approvata, e da  molti stimata incredibile. Soventi volte la  j, diffidenza, con cui sogliono riguardarsi le persone costituite in dignità, fa rendere  sospette le medesime, anche quando parlano, ed agiscono sinceramente, Io mi  esporrei immancabilmente a questo perin colo, se non fossi determinato di dare una  s pronta esecuzione a quanto sono per pròA porvi. Voi vedete, Padri Coscritti, a qual  » rango sublime mi hanno fatto giugnere la,, sorte delle armi, ed una condotta moderata. Capo assoluto, ed indipendente della  Repnblica, io sono in istato di far uso del»» m i a potenza, e di perpetuarmela. Ap-,, pena uscito dalla fanciullezza, impugnai la  >1 spada, e volai a vendicare l assassimo di  un Zio, che mi aveva adottato per figlio,,, Nel momento, in cui entrai in questa carn riera, presi la giustizia per guida, e la,, vittoria divenne mia compagna. Fui coiì stretto a combattere con nemici di diver-,, so carattere, e di qualità differenti. Bi*,, sognò dissimulare con alcuni, ed aprire con  essi delie relazioni per non soccombere  j> sotto il peso della moltitudine. Mi convenne in seguito perseguitare gli altri ardilaniente, e costringerli a rivolgere contro essi stessi quel braccio, che era stato  funesto a Giulio mio Padre. Mi associai  alcuni compagni delle mie vittorie, e divisi con essi il peso del Governo. Che cosa  quindi ne accadde ? Lepido in Africa lasciò  decadere con la sua negligenza gli affari di  Roma ; Antonio, esposto nell' Egitto, e  nell’Asia, come su di un teatro, disonorò  con la sua turpe condotta il nome Romano,  j, e lo rese abbominevole a tutto l’Oriente.  Il Cielo secondò quello zelo, che esso stesso mi aveva trasfuso per riparare a tali disordini v Antonio non esiste più, e Lepido,, vive nell’ozio giorni felici per un uomo  del suo carattere. Che cosa vi aspettate, Padri Coscritti,,, da un Vincitore, padrone del suo, e del  vostro destino? Tutte le Fazioni sono distrutte; ogni corpo di armata sulle Frontie*,, re è comandato da Geuerali, che godono tut-,, ta la mia confidenza. Li Re nostri Alleati,, non ricevo.no l’impulso, che da miei cenni,  ed i loro soccorsi non marciano, che agli  ordini miei. Il denaro proveniente dalle  nostre rendite non è versato, che nel mio  i} tesoro, e non ne va nelle publiche casse, che quanto io ne permetto. Fiù. Io eonosco i vostri cuori, e quello del Popolo Ro-,, mano in generale. Io potrei rispondere del  vostro affetto verso di me, e riposarmi  sulla publica benevolenza. L’indipendenza  adunque, e la Sovranità possono andare  più oltre? Ma perchè tenervi più lungamente sospesi ? Ascoltate con attenzione le  mie parole, ed il suono delle medesime  faccia passaggio alla più lontana posterità . Questo Vincitore, Sovrano assoluto,  questo Generale Supremo di tutte le forze  di Roma, questo linperadore adorato dal  popolo sagrifica al bene della Patria gli onori, di cui lo avete ricolmato, li titoli,,, che gli avete Conferiti, in fine tutto il frutto delle sue vittorie. In questo istesso  istante io vi restituisco li miei diritti sulle  Armate, sulle Leggi, sulle Finanze, sul  governo delle Provincie, in una parola sù  tutto ciò, che voi mi avete accordato, e  che la necessità delle circostanze mi hacostretto ad accettare. Che volete di più?   Ora si dica pure, che io non ho travagliato, che per il mio ingrandimento, quando  mi esposi a tutti li pericoli delle battaglie.   ORoma, tu fosti sempre presente agl’oc-,, chi miei ! A Perugia, nelle Campagne di  Filippi, in Sicilia, nel Golfo di Ambracia,,, e nell’Egitto! A te sola io allora immolava  >, li tuoi, e li miei Nemici, e non fui prodi  1S9   if go del mio sangue, che per assicurare la liberta Romana. Ah fos'se piaciuto ai Numi,   che io non avessi impiegato il mio Ministero  in guerre civili, che ci hanno esaurito di  Cittadini, e spopolato le Provincie. O mia  cara Patria, perchè non ti trovai tranquilla, conte al tempo de’ Padri nostri ! Cielo t  tu non me lo hai permesso ! Benché giova•netto mi scregliesti per essere il vendicato}> re del più perfido assassinio, il riparatore  degl’insulti recati alla Nazione Romàna, il  ristoratore della nostra gloria eclissata, e  finalmente il pacificatore di tutto il Mondo!,, La mia opera è compita > ed ho pienamente  sodisfatto ai miei destini.   Permettete > Padri Coscritti, che iomen  vada nella solitudine a bearmi di quella fe>, licità, che io stesso ho procarata. Ora non  posso, senza ingiustizia ritenere più lun-,, gamente un potere, che a voi appartiene ;,, e questa mia volontaria cessione è dovuta  alla mia propria sicurezza, per mettermi  al cotperto degli assassini. Che anzi non so-,, lo vi rendo le vostre leggi, e tutti li vostri  antichi privilegi, ma vi dono eziandio l’opulento mio patrimonio, e le prerogative,  che io posseggo per diritto della mia nascita(i).    (i) Dion. lih. 53. Catroutom. 19. » dotta, e nelle tue operazioni, nè mire am>» biziose, nè avarizia, nè verun’ altro di,, que vizj, che sogliono albergare ne Cortigiani, e nelle Corti. (i)   Properzio scrivendo allo stesso M.,  ci da à conoscere, che quel suo disinteresse  per gli onori sublimi, ai quali avrebbe potuto  pervenire, prodnceva un’ azione si gloriosa,  e commendevole, che il di lui nome sarebbe  dalla fama, e dai posteri celebrato al pari di  quello de’ Camilli. (a)   (1) Apnd Pontan. in Symb. Georg. Virgil.  lib. a. pag.aay.   Regis eros genus Etrusci, tu Caesaris olirà  D exter a, Romanac tu vigili] ibis eras.  Omnia curri posscs tanto tam carus amico,   T e sensit nemo posse nocere tamen. Eleg.   Maecyias eques Etrusco de sanguine Regum,  Intra fortunam qui cupis esse t narri    Di più questo suo morigerato contegno, e  Mobile disinteresse serviva anche d’esempio  alle famiglie le più cospicue de’ Romani Cavalieri, e ne ebbe imitatori, ed ammiratori.  Crispo Sallustio, fri gli altri, nipote di una  soìclla dello Storico di questo nome, seguì  perfettamente il tenore di vita di M..  Sul finire di quest’anno (Scrive Tacito) mo-,, rirono due illustri personaggi Lucio Volusio, e Sallustio Crispo. *. . Questo, nipotè di una sorella di quel Cajo Crispo Sai*  lustio elegantissimo Sri ttorc delle Storie Ro*,, mane > da cui fu associato alla sua Famiglia,,, aveva tutti li mezzi li più potenti per otte*  nere qualunque dignità ; tuttavia, emù*,, landò la condotta di M., senza il titolo di Senatore, Superò in potenza molte  famiglie,che erano state decorate delTrionfo, e Consolari ». ». Mentre visse Metani libi romano dominas in honore sccures,   Et liceat medio ponere jura foro. >    Et tibi ad effectum vires dei Caesar, et omni  T empore tam faciles insinuentur opes ;  Parcis, et in tenues h umile m le collegi* umbras,   Velorum plerMs subtrahis ipse sinus.   Crede mihi magnos aequabunt ista Camillos  Jndicia, et veniet tu quoque in ora virum,    Ì76,) cenate, Crispo fu il secondo > cui venivano  affidati li segreti Imperiali ; fu il primd  i, però, quando quello cessò di vivere, (i)   Ciò non ostante Augusto procurava di compensare questo commende’vole distacco dagli  onori luminosi del suo Favorito colli tratti del*  la più tenera amicizia, e della più sincera  confidenza. Imperciocché, allorquando il  peso, e la serie degli affari del Governo gli  lasciavano qnalche tregua, si portava sovente a  visitarlo anche nella maestosa Villa, che possedeva sulle fertili sponde dell’Aniene.  Quivi Ottaviosi compiaceva di rivedere l’amico, di consultarlo, e di riceveie sempre  consigli, istruzzioni, e massime per ben g  vernare, e per ben governarsi ; che anzi vi  è chi crede, che il memorabile Congresso frà   (1 ) Tacit. Andai, lib.3. cap-.3o. : Fine anni  concessere vita insignes Viri L. V olusius, et  Sallustius Crup us. . ». . Crispum equestri  crtum loco, C. Sallustius, rerum Romanarum  flore ntissimus auctor, sororis nepotem in nomea adscivit ; atque Me, quamquam prompto  ad capesse ndos honores adita, Maecenatem aemulatus, sine dignitatc Senatoria multos  Triumphalium, Consulariumque potentia anteiit . Igitur incolumi M.   proximus, mox praecipuus, cui secreta Imperaiorum inniterentur.   (a^ Marquez Dis. sulla Vita di M.    *77   Ottavio, M., ed Agrippa, e le deliberazioni per rinunciare, od accettare la Sovranità fossero tenute nella tranquilla solitudine, e nel dilettevole silenzio di questa Villa deliziosa. Ed in vero qual luogo più opportuno per trattare con riflessione, maturità, e  quiete un oggetto cosi grande, che aveva relazione con gl’interessi dell’Universo ? ( 1 )   Di più ; se Ottavio era sottoposto a qualche  infermità, non già restava nella Corte, in  mezzo a suoi domestici, ed agli adulatori.  Esso non si trovava contento, e non sentiva  sollievo alle sue fisiche indisposizioni, che  nelle mura dell’abitazione, e fra le braccia Volpi Lat. Vet. lib.18.Cap.?. Cumvero  bis Augustus deliberaverit de su.mma Imperli  abdicando, et inpristinam restituenda Reipublicae libertate, et in gravissima e deliberatiti—  nis consultationem Agrippam generum, et  Maecenatem amicissimum arbitros, et consiliarios assumpserit, quemadmodum in majoris momenti rebus omnibus consueverat .... Agrippa ad illum longissimatn prò abdicando ora tionem habuerit, prò retinendo ac optime in stituendo rerum regimine M., haec in  nostra Tiburti Villa M., ut potè in  serhoto à turbis, securoque odo, agitata fuisse, vehementer, ut suspicor, inclinat animus. M del suo M. Svetonio ci dice chiaramente, che quello in tempo delle sue malattie riposava nella casa di M.. Ma la  stima, la tenera amicizia, la fiducia, il rispetto, che dimostrava Augusto verso M., non si limitavano soltanto a queste semplici dimostrazioni, che possono chiamarsi  materiali, e passeggere; egli amava di essere istruito incessantemente da quello nelle vie  difficoltose del Governo, e ne riceveva ancora con tutta la rassegnazione li più umilianti  rimproveri, quando conosceva, che erano  diretti contro le sue passiotai t Fra le altre istruzioni benefiche, e salutari, che MècènAte aVevà suggerite ad Ottavio,  vi era quella, coti la quale gli veniva raccomandata la moderazione, perche aveva conosciuto, che l’animo di questo inclinava alla severità, ed all’ira. A tale effetto pare,  che si facesse seguire da M. in tutti li  suoi andamenti, ed in particolare maniera quando doveva sedere nel Tribunale, come  Giudice supremo.   Allora M. esaminava le sue mosse  la sua voce, e li suoi delineamenti, e se rimarcava, che T lmperadore agiva con dol  fi) In Octav. in Art. 77. Aeger autetìi, Augustus, in domo Maeccnatis cu.ba.bat »    *79   eezza, con giastizia, a sangue freddo, e non  si faceva sorprendere dal risentimento, che  porta con se la severità, lasciava, che operasse liberamente, e se ne compiaceva ; ma  se scorgeva, che nel Giudizio Voleva far nso  di nn rigore soverchio, eccessivo, e non  giusto, anche sul Tribunale»- in mezzo alla  moltitudine > che lo ascoltava > e dond’ era  circondato, lo redarguiva, lo faceva tornare in calma, egli faceva rammentare la sua  massima salutare,   GTIstorici tutti hanno avuta l’attenzione di  trasmettere alla posterità un esempio memorabile del dominio, che M. aveva sullo  spirito di Augusto per farlo marciare con la  moderazione > e con la dolcezza al fianco in  ogni sua intrapresa. Sedeva egli una voltata  qualità di Giudice alla presenza di molti Accusati, che attendevano la loro sentenza. M. si avvide, che stava per pronunciare  contro quegl’ infelici la sentenza di morte.  Siccome conosceva» che era ingiusta, e la  folla del popolo non permetteva di avvicinarsi  al Tribunale, e nel luogo, sù di cui sedeva,  •crisse queste parole ardite nelle sue tavolette incerate > e nello stesso tempo gettolle ad  Ottavio Sorgi, o carnefice, ed esci da questo luogo Ottavio conobbe la mano di chi le  aveva scritte, si rammentò subito di ciò, che  forse per nn momento aveva dimenticato, si  levò dal Trisanate, e dimandò assolati quegli  Accasati. Che M. ha un impero irresistibifé suH’ahimo d’Augusto, e particolarmente  ne’movirtie'rtti dell’ira, e della severità, lo  fece conoscere lo stésso Angusto, quando  quello aveva cessato di vivere, e di assisterlo. Giulia sua Figlia aveva ricoperto di  scandalo la Corte con le sue dissolutezze.  Il Pad re sommamente rammaricato non poteva  rimediare n questo disordine domestico. Tr.v  sportato dall’impeto della collera, rilegò la  Figlia, e rese publica la di lei disonestà. Poco dopo rientrato in se stesso, si penti de’suoi  trasporti inconsiderati, e di questa publicità,  che disonorava la sua casa. Allora ricordanti^) t>!on. lib. 55. pag. ^ 20. Tarn vero si cubi ira impoteutius efferretur, utile m cura sibi  habuit, a quo ab ira ad mansuetiorem animum  reduceretur. Unus ejus rei documentarti prof e-*  ram. Praesetite aliquando M., Augu.  stus prò Tribunali stdens, cum multos esset  morte damnaiuras, praevidens hoc /ore M accenni, cum per circumstantium coronam ad  ipsum irrumperè, ac proximc assistere ne qui rct, haecvcrba in tabella scytpsit : Surge vero tandem, Carni fex ; vamque Tabellam, qua*  si atiud quid indicantem, in sinum Augusti  projecit, qua lecca, is statini suri exit, nomi *  ne morte mulctato.    i8l   dosi di Agrippa, e di M., e della saggezza de’consigli, che da essi soleva ricevere  quotidianamente, esclamò replicate volte.  « Ah, che questo non mi sarebbe accaduto,  se o M., o Agrippa fossero stati  ancora al mio fianco fi ). Dal contesto della Storia, che ha parlato di  Angusto, e di M., si rileva agevolmente, come, dopoché quello si assise, e consolidò sul Trono Imperiale, e fu messo in piena  esecuzione il sistema della Monarchia universale, questo si ritirasse affatto dalla grande  amministrazione degli affari politici. Finché  il suo amico lottava co’nemici, che si opponevano alla di lui grandezza futura, egli compariva in mezzo alle imprese le più rilevanti,  e spinose, affrontava delle ambascerie malagevoli, contribuiva a trattati di pace li pia  vantaggiosi, diveniva Prefetto, Amministratore, ed Arbitro dell’ Italia, e di Roma ; quando però quello non ebbe più nemici a combattere, più rivali da distruggere, e restò cqn ( 1 ) Seneca de Benef. lib. 6. Cap. Divus Augu, tus filiam intra pudicitiae male dictum impudicam relegavi!, et flagiti* Pi ilicipalis domus in publicum emisit. deinde cum  interposito tempore verccundia gemens,  quod non illa silcntio pressisset. ... Saepe ex clamavit ; Horum mihi nihil accidisset, ti ani  A grippa, autMaecenas vixistet   . 1 8a   vinto, e persuaso a gettare la base della sudetta Monarchia universale, e che a tale effetto  gli fu presentato il Piano, furono fissati li  principj, e le più savie istruzzioni ; in una  parola, dopoché fu sistemato il nuovo Governo politico, M., che aveva a tutto contribuito, che aveva collocato il suo Amico, e  il suo Padrone sul Trono deirUniverso, e sul  rango il più eminente, a cui potesse giungere  un mortale, abbandonò, per dir cosi, le vanità del mondo, ritirandosi fra le dolcezze di  una vita privata, e tranquilla. Continuò a  prestare li suoi servigi all'Imperadore, ma  lungi dallo strepito della Corte ; consigliandolo sempre a farsi amare, e a fare amare il suo  Governo.   Dopo questo ritiro però. M. non  già viveva nell’ozio, nell’oscurità, e nell’indolenza. 11 genio del grand’Uomo non era venuto sulla terra per desistere, negli anni migliori della sua vita, dal far del bene ai suoi  simili, ed alla posterità. Coll’aver consigliato Ottavio ad accettare l’Impe ro in quell’epoca,  e in quelle circostanze, aveva reso un grande vantaggio all’ umanità, giacché con questo mezzo aveva troncato la testa al mostro  spaventoso delle fazioni, sempre famelico di  sangue umano, e di stragi ; aveva ricondotto la sicurezza, e la concordia nelle famiglie,  la pace nella Capitale, nell’ Italia, e nelle  Provincie le più remote. Egli però voleva,    i83   e doveva fare di più; -una nazione già colta,  doveva migliorarla, un secolo già istruito doveva perfezionarlo. Protesse in grado eminente, e fece proteggere da Augusto le arti, li letterati, e le scienze, e nacque subito il secolo d’oeo del Fune, c delle altre.   Si ; dobbiamo pur confessarlo, e confessarlo  con tutta giustiziala posterità è debitrice all’anima benetica di M. di tutto ciò, che di  bello,riguardo alle arti, ed alle scienze risultò  in quel secolo avventuroso, che noi riguardiamo con ammirazione al presente, e che non  meno dovranno ammirare tutte le colte future  generazioni. Amando quello, e proteggendo,  facendo amare, e proteggere dal capo dal Governo li talenti, fece si, che questi si sviluppassero con energia, e prodigassero opere  capaci ad istruire, e migliorare lo spirito,  ma incapaci ad essere eguagliate.   Li Poeti migliori di quel serolo hanno celebrato questo favore, e questa protezione di  M., e ci hanno fatto conoscere al tempo stesso, che egli era un protettore pieno  di discernimento, illuminato, che non concedeva il suo affetto, che a soggetti veramente  colti, e di talenti forniti, e che fra quelli,  che esso accoglieva, e proteggeva, regnava una  concordia inalterabile Nella Casa di M. (dice Orazio) regna la purità, e la,, schiettezza ; vi sono banditi tutti que’disordini, che sogliono eccitare l'invidia 4 la     1S4,, gelosia, e la falsa emul azione, ed ognuno  indistintamente occupa il suo posto, nè si  bada a chi sia più dotto, o più ricco.   M. riguardava negl’uomini il solo me.  rito. Ogni dotto veniva da esso con amorevolezza accolto, qualunque fosse la di lui estrazione. Secondo li suoi prìncipj saggi, e fondati sulla natura, ognuno era nobile, quando  era virtuoso " Sebbene, o M., ( soggiunge il detto Poeta ") ninno sia più illustre  dite, fra tutti quelli, che vennero dall’  Asia a popolare le Toscane Contrade, e  e sebbene un di li tuoi grandi Avi, comandarono vaste Regioni, tuttavia sei  Horat.Sat. .M. quomodo tecum ?   Hinc repetit. Paucorum hominum, et mentis  bene sanae,   Nemo dexterius fortuna est usus. Haberes  Magnum adiutorem, posset qui ferrc secundas,  ffunc hominem velles si tradere ; dispeream ni,  Summosses omnes. Non isto vìvimus illic,   Quo tu rere modo i Domus hac nec purior ulla  est,   Nec magis hit aliena malis ; nilmi officit um  quarti, Ditior hic, aut est quia doctior ; est locus uni Cuique suits. Magnum narras, vix credibile ;  atqul   Siehabet.   tanto buono, e modesto, che non sai egomentarti, ne aggrinzare il naso, come fanno li superbi, nella società di gente ignobile, quale, fra gli altri sono io, figlio di  nn padre libertino; Imperciocché taserbi  la massima degna di tutti gli elogj, che nulla nuoce ad nn individuo la bassezza de’ 03"  tali, quando egli sia virtuoso.   Ed in fatti, che cosa egli non fece a vantaggio di un istesso suo Liberto, chiamato Melisso, perchè lo conobbe fornito di talenti, ed  erudito? Era questi della Città di Spoleto, e  benché nascesse libero, tuttavia perla discor»*  dia de’ genitori, fu venduto, e sottoposto all’  altrui dominio ; Avendo avuto la sorte di essere educato con ogni cura j ed attenzione,   Lib. i. Sat. 6.   Non, quia, M., Lydorum quidquid  Etruscos   Incoluit fines, nemo geaerosior est te ;   N ec, quod Avus tibi maternus fuit, atque pa »  ternus,   Olim qui magnis regionibus imperitarunt Ut plerique solent, naso suspendis adunco  Ignotos ; ut me libertino P atre natum.  Quum referrc negus, quali sit quisque parente  Natus, dura ingenuus : persuada hoc tibi vere,  Ante potestatcm Tulli, atque ignobile regnum,  Multos saepe viros, nullis majoribus ortas,   Et vixisse probo s, amplis et honoribus auctof,      fece grandi progressi nelle scienze, e fu data   in qualità di Grammatico a M., il quale  avendo subito conosciuto il merito letterario  del suo Liberto, raddolci talmente la sua situazione, che lo riguardava piuttosto, come  tin amico, che come un servo. M. però non permise, che lungo tempo continuasse  a portare un tal nome ; lo cancellò subito dal  ruolo de’servi, e lo fece tornare al possesso  della sua libertà naturale, col nome di Cajo  Melisso M.; quindi proseguendo a beneficarlo, e ad avvalorare li suoi talenti, gli  procacciò il favore, la grazia, e la protezione dcH’istesso Sovrano, dal quale fu incaricato di ordinare le Biblioteche esistenti nel  Portico di Ottavia (1 ),    (i) Sveton. de illust. Gram. Cap. ai. Co-,  jus Melissus, Spoltti uatus, ingenuus, sedob  discordiam Parentum expositus, cura et industria Educatoris sui altiora studia percepii, ac  M. prò grammatico rnunere datus est.  Cui cum se gratum, et acceptum in modum Amici videret permansit in statu servitutis,  praeseritemquc conditionem vcrae origini ante—  posuit ; quare cito manumfssus, Augusto et  insinuatus est ; quo delegante, curam ordinandarum Eibliothccarurn in Octaviae porticu su scepit : Vedi Lil. Greg. Girai. Hist. Poet. dialog. Arduino in Indie. Anct. Plinii La protezione pòi di M. non era soltanto di parole, e di raccomandazioni, non  era nna protezione sterile, ed infeconda.  Egli faceva parte ai Letterati delle sue ricchezze, e de’suoi beni. Il lodato Orazio temendo, come già si è di sopra accennato, che . il suo M. potesse allontanarsi da Roma,  e andare con Ottavio nelja guerra contro Marco Antonio, e Cleopatra, gli scrive una Ode  vaghissima, nella quale ci fa conoscere, che  egli era stato arricchito dalla generosità di  quello, e glieue mostra cop effusione di cuo*  re, e con tenero canto la sua ricouoscenza «  », Tu pure adunque, ( dice Orazio ) o mio ca-,, ro M., marcerai sulle navi Liburne,, nella guerra contro Marcantonio, disposto  a soggiacere a qualunque periglio di Cesare ? Ed io intanto, che cosa farò ? Senza,, di te, le ore del viver mio saranno affanno*  se, e moleste. Dovrò forse assiso nel doice ozio, toccare le corde della mia cetra,  e tessere degl’inni ? Ma senza la tua presetiza, senza l’amabile tua compagnia, lamia  », cetra sarà dissonante, e la mia voce roca,  e spiacente .... Dovrò coraggiosamente se-,, g, u irti, o per le alpestri balze delle Alpi,  o sulle vette dell’inaccessibile Caucaso, od  anche fino alle ultime spiaggie dell’Occiden*   Art. Melissus. Catron  Tirabo*  schi Stor. della Lett. Itati. » te? E vero, che essendo di debole temperamento la mia risolnzione non potrà recare  alcun sollievo alle tue fatiche; ma trovando-,, mi a tc vicino, saranno meno intensi li miei  f, timori, e meno penosa la mia angoscia ....  Io dunque affronterò non solo questa, ma.  qualunque altra militar spedizione, a solo  oggetto di compiacerti, e di mostrarti la mia  riconoscenza, e non già perchè divengano più numerosi li miei aratri, perchè le,, mie agnelle prima della Canicola faccian  passaggio dai pascoli della Calabria alle tenere erbette della Lucania, o perchè giunf, ga a possedere sulle Colline deliziose del  Tuscolo una Villetta, la quale debba estendersi fino alle muta della Città. Io, o mio  v M., null’altro desidero, e sono ap~  pieno contento della tua generosa munificenza, che già mi fece dovizioso abbastanza. Epod. i.   Ibis Liburnis inter alta navium,   Amice, propugnacula,   Paratus orane Cacsaris periculum  Subire, Maecenas, tuo.   Quid nos ? guibus te vita si superstite,   Jucunda ; si contra, gravi s ?   Vtrumne jussipersequemur otium  Non dulce, ni tecum simul ? et te vcl per A Ipium juga, Non solo in questo luogo ; ma soventi volte  Orazio ci avverte de’bene&cj, e delle ricchezze, di cui era stato da M. fornito “ Se  il crudo Verno ( ripete egli ) ricoprirà di  neve le campagne Albane, allora il tuoPoeta scenderà sulla Marina ; quando poi coannoieranno a vedersi le prime rondini, ed  a sentirsi il soffio de’primi zeffiri, allora,  o dolce amico M., tornerò, purché,, lo permetterai, a rivederti. Tu mi face>, sti ricco, non già come l’ospite Cala  Inhospitalem et Caucasufn,   Vd Occidenti s usque ad ultimimi sinum,   Forti sequemur pectore ?   Roget, tuum labore quidjuvem meo,   Imbellii, ac firmai parum ?   Comes minore sum futurus in meta,   Qui major aìscntes hab:et ;   è   Libenter hoc, et omne militabitur  Bellum in tuae spem gratiae :   Non ut juvencit illibata pluribut  Aratro nitahfur me a,   Pecusve Calabris ante iidus fervidum  Lucana mutet patcuis.   Nec ut tuperni Villa candens Tusculi  Circaea tangat moenia.   Satis, superque me òenignitas tua   Ditavit ...   }, brese, che suole apprestare allo stanco  viaggiatore frutta soltanto (i).   Che anzi era tale il di Ini zelo, ed impegno nel beneficare i Letterati, che dopo di  averli arricchiti, sarebbe stato prodigo con  essi anche di beni maggiori, se li avessero  richiesti, e se ne avessero mostrato desiderio. Nell'opere dello stesso Orazio si rinviene il testimonio di una tal circostanza, e  quantunque il Poeta parlidi se stesso, tuttavia sembra doversi credere, che lo stesso  tenore serbasse con gli altri “ Sebbene le  api Calabresi ( soggiunge il Poeta ) non travaglino per mio uso, e vantaggio favi dorati ; sebbene nelle mie botti non invecchi,, il vino proveniente dalle Vigne della Campania, o i pingui pascolali della Gallia non  mi producano lane squisite, tuttavia, o  M., mercè la grandezza del tuo animo generoso, sta lungi dalla mia Casa la   molesta povertà ; e conosco, che più mi da ( i) Epist.   Quotisi bruma nives Albanis illinet agris ;   Ad mare descendet Vates tuus .. te 3 dulcis Amice, reviset   Ctim zephiris, si conccdes, et hiruntline prima :  Non quo more pyris vesci Calaber jubet hospes Tu me fecisti locupletem »».»»••    /   I    J 9*   •resti, se fossi petulante a chiederti altri  beni ( x ).   Lo stesso Virgilio nelle sne Georgiche, opera composta ad istanza di M., dà bene  a comprendere di quante cose egli era a questo debitore, e che l’amore, e l’amicizia,  di cui l’onorava davano l’impulso alla sua mente, onde produrre idee sublimi “ O Mecena», te, ( dice Virgilio ) o tu i che sei il mio  i, decoro, che con Cagione posso chiamarti  « la massima parte della mia celebrità, deh  », vieni ad avvalorarmi, e meco trascorri l’incominciato lavoro ; senza di te la mia mente non è capace di stendere un volo subli'me.(a)   Properzio quell’aureo, ed elegante scritta  re della tenera Elegia di sopra accennata, anch’csso godeva la familiarità, e la protezione di M., anch’esso era stato beneficato^ veniva da questo mcoraggito ad impiegare,  ed esercitare li suoi poetici talenti “ O Me (i) Lib. 3. Od. 1 6. Quamquam nec C alabrae mella f erutti ape*,   N ec Laestry gonia Bacchus inamphora   Languescit mihi, necpinguia Gallicis  Crcscunt veliera pascuis ;   Importuna tamen pauperies abest ;  jNec, siplura velini, tu dare dcneges.   (a) Georg. Jib.i. e lib.a. cit. -cenate, ( cosi pària il Poeta ) o tu, la-d!  t, cui stirpe deriva dal sangue dei Re Toscani,  i) perchè vuoi, che io m’ ingolfi nel vasto pen Jago dell’eroica Poesia ? Le vele grandiose  it non sono adattate alla mia piccola navicella  Ma io appresi li precetti della vita  )s da te, e perciò sulTorme tne, e col tuo  }} esempio sono spinto a superarti» «. . Tu  t, generoso mio Protettore, prendi le redini  dell’ incominciata mia giovanile carrie ra. ( i )   Il Poeta Lucano, benché posteriore al secolo, in ctii vissero Orazio, Virgilio * e Properzio, e benché non avesse partecipato delle  liberalità di M., tuttavia egli pure encomia altamente la protezione straordinaria,  di coi quello onorava li Poeti. “ Virgilio(dice  y> egli ) fu quel Poeta, che cantò fra li Po*    (i) Life. 3. Eleg, y.   M aecenas, eques Etrusco de sanguine R cguitl,  Intra fortunata qui cupis esse tuatn,   Quid me scribendi,tam vastum mittis in aequorl  Non surit opta mede grandia vela rati.    At tua, Maecenas, vitae pratcepta recepì,  Cogor et exemplis tc superare tuis.   Molli* tu coeptae f autor cape lorajuventae.    Pig itized by Google    n poli dell’ Atisonia le grand’ imprese del fi.  glio di Anchise, e che provocò con il poetico stile romano il genio divino del vecchio  Omero. Ma quello sarebbe forse restato sepolto sotto le ombre di quelle selve, che fu*,, rono pur anco oggetto del suo canto ; la sua  Cetra avrebbe tramandato uno sterile suono,  ed esso stesso sarebbe sconosciuto alle Na«ioni, se M. non lo avesse animato  con la sua tenera amicizia, e con le sue beneficenze. Ma questo non solo protesse, ed  onorò il Poeta di Mantova ; egli avvalorò  il genio di Vario a scuotere il palco teatrale  con il tragico coturno ; mostrò ai popoli  della Grecia, che ancora le corde delle Cetre latine sapevano risuonaie dell’ augusto  nome di Giove, ed eccitò, produsse, ed  arricchì 1’ italica Lira del Poeta Venosino :  0 M., o decoro, ed onore delPar-,, naso, degno della venerazione di tutte le  generazioni, e di tutti i cuori, sotto le ali,, benefiche del tuo patrocinio verun Poe.ta pa-,, ventò le miserie della cadente, e molesta,, vecchiezza. (1 )   CO Paneg, adCalpur. Pison. vers. at8., e  seq.   Ijtse per Ausonias jEneia carmina genteis  Qui sonat, ingenti qui nomine pulsai olympum,  Maeoniumque senem Romano provocai ore }  Fersitan illius ncmoris latuisset in umbra,   N    I Questo favore prestato da M. alle  lettere traeva la sua origine dall’esserne egli  stesso coltivatore. Che egli fosse colto, ed  istruito,e che producesse ancora delle Opere in  varj generi di Letteratura non mancano fondamenti per esserne persuasi. Orazio lo chiama  dotto nella lingua greca, e latina (1). Seneca  ha lasciato scritto, che egli era fornito di un  ingegno grande, e robusto, che avrebbe dato  nn luminoso modello della Romana eloquenza,  se non l’avesse snervata con la soverchia nata*   ralezza. Quod canit, et sterili tantum cantasset avena,  Ignotus populis, si Maeccnate carcret.   Qui tàmen haud uni patefecit !im in a Vati,  Nec sua Virgilio permisit nomina soli,  Maecenas, tragico quatientem palpita gestu  Evexit Varium. Maecenas alta Thoantis  Eruit, et populis ostendit nomina Grajis.  Carmina Rornanis etiarn resonantia chordis,  Ausoniamque Chtlyn gradi is patefecit Horatl s  O decus, et toto merito venerabile aevo,   Pierii tutela chori ! quo praeside futi  Non umquam Vatés inopi timuere scnectae,   (O Lib.3.0d.8.   Docte sermo nes utriusque linguae.   ( 2) Epist. 19- : Ingeniosus vir ille fuit  ( Maecenas ) magnum cxemplum Romanae eloquentiae datar us, nisi tllum enervasset foelici- Sappiamo ancora dal niedesimo autore, che  scrisse un Libro intitolato ilPrómcfeo,, Voglio narrarti ( dice Seneca ) ad detto di Mecenate, cioè L’Uomo, che è in supremo  grado, ed in una somma altezza di stato vive,, sempre in timori, ed in tempèste a guisa del  tempo, che tuona Se mi domandi in qnai  libro egli parlò in tal gnisa, ti rispondo,  che lo ha detto in quel libro intitolato da  esso Prometeo Di più secondo lo stesso  Seneca, scrisse altra opera avente per titolo  de culto suo »   11 Cenni afferma, che queste due opere fossero scritte da M. in versi, e che il  Prometeo era una Tragedia. Aggiunge inoltre,  che altra Tragedia intitolata Ottavia è parimenti à quello attribuita. (2)   tas : Epist.93. : Habuit enìm, M., ingenium et grande, et virile nisi illad ipse  discinxisset. Senec. Epist.i 9. ; Volo Ubi rej erre hoc  loco dictum Maecenatis,, Ipsa enim altitudo attonat summa,, Si quaeris, in quo libro dixerit,  in eo, qui Promethcus inscribitur.   (a) Cenni Vita di M. pag. 126- : In  questo luogo l’autore si è dato caricò di trascri vere tutti li frammenti delle opere, delle quali fu autore M., estracndoli da varj Biografi. Lo stesso ha fatto Lilio Gregorio Gt N a    I    I   delle altre in prosa, e segnatamente dei Trattati concernenti materie di Storia naturale.  Imperciocché si rileva da Plinio, che quello  fuAutoredi un libro sulle differenti specie  delle pietre preziose. (i ) e da Prisciano, che  aveva scr tto una Storia in dialoghi intorno  agli Animali, citandosi da quello il dialogo  decimo. Di più, secondo Solinò scrisse ancora una Storia delle imprese di Augusto. ( 2)   In fatti si può conoscere dalle Odi di Orazio, che M. aveva tutta la premura,  onde fossero celebratele geste gloriose del suo  Sovrano, che perciò venisse quel Poeta vivamente stimolato ad occuparsene, che questo  si scusasse, dicendo, che non conveniva alla  lirica Poesia di cantare oggetti gravi, e strepitosi ; ed esortando lo stesso M. a scri raldi nel Dialog.4. hist. poet. che possono consultarsi. Lib.i. Hist. Nat. pag.49. cumNot.Harduini.   (2) Apud Harduin. in Indie. Auctor. lib.i»  Plin. Art.M.: M. eques romanus,  Augusto gratissimus, cujus res gestas lietcris  consignavit, ut ex Solino discimus ejus Dialogorum lib.10. laudai Priseianus lib.i .pag.61.: Vedi Catrou lib. 7. Tom.  19. nelle Note.    9 6   Oltre le snccennate opere in versi compose     *    vere la Storia, che tanto bramava « Cessa di,, stimolarmi, o M., ( scrive Orazio )  a cantare ron le deboli corde della mia Lira,,, oil lungo assedio di Numanzia, o il fiero,, Annibale, o il mar Siciliano rosseggiante di,, sangue Cartaginese, o l’ardita impresa de’  Giganti, li quali fecero tremare la fulgida  Regia del vecchio Saturno, debellati quindi  dal valore di Ercole, giacché tu stesso potrai, meglio di me, trasmettere alla posterità con unaStoria le battaglie di Augusto,,, li trionfi, ed il numero dei Re dal medesirao soggiogati. Anche Servio è d’ avviso, che M.  scrivesse la Storia di Angusto, appoggiando Lib.a. Od. Nolis longa fcrae bella Numantiae  Nec dirum A anibaie m, nec Siculum mare  Poeno purpureum sanguine, mollibus  Aptari Cithar ae modis :   N eo saevos Lapithas  . . domitosque Hcrculea manu   Telluri s juvencs, unde periculum  Fulgens contremuit domus.   Saturni veteris ; tuque pedestribus  Dices historiis proeliaCaesaris  Maecenas melius, ductaque per vias  Regum colla minacium    i  Iettato, e molle del tutto riprova, e per  ischerzo imitando deride. Macrob. Satur. lib. a. pag. 1 58. : Idem  Augustus, qui Maecenatem suurn noverai esse  stilo remisso, molli, et dissoluto, taltm se  in epistolis, quas ad eum scribebat, et contro  casti gationem loquendi, quam aliis ille seri bendo servabat, in epistola ad Maecenatem  familiari plura in jocos effusa subtexuit : Vale,  inquit, mel gent rum, mclculc, ebur ex He truria, A da mas super nas, T iberinum margaritum, Cylniorum smaragde, hyaspis figulorum, berylle Porsennae : Vedi il Turnebio  Advers. Sveton. in Octav. Art. : Oenus elo~  quandi secutus est ( Augustus ) elegans, et temperai uni, vitatis s catene iarum ineptiis, atque Tacito parlando dell’ottimo, e perfetto genere dell' eloquenza, e della forma del discorso, insegna frà le altre cose, doversi sfuggire r impeto di Cajo Gracco, e li belletti di  M. Quintiliano ancora riprova  nella di lui maniera di scrivere una certa trasposizione di parole, che rendono il periodo  lussureggiante, oscuro, e vizioso. Se poi si dovesse dare ascolto al surriferito Seneca, M. sarebbe stato 1 * uomo il piu immorale, e il più cattivo   inconcinnitate. .. pari fastidio sprevit, et  Cacozelos, et Antiquarios. Exagitabat non numquam in primis M. suum, cujus  p«X««, ut ait, cincinnos usquequaque perscquitur, et imitando per jocum, irridet.   (i) Tacit. Dialog. de Clar. Orat. cap. 26.  Ceterum si omisso opt imo ilio, et perfettissimo genere cloquentiae, eligendo sit forma di tendi, malim hercule Caji Gracchi impetum quam M. ealamistros. Quintil. Instit. Orat.. : Quaedam vero tranigressiones, et lon gae sunt nimis ... et interim etiam compositione vitiosae, quae in hoc ipsum petuiUur,  ut exultent, atque lasciviant, quales iUae  Maecenatis Sole, et Aurora rubent plurima : inter sacra movit aqua fraxinos. Ne exequias quidem unus inter miserrimos viderem  meas quod inter hacc pessimum est, quia in  re tristi ludit composi ciò.  Scrittore frà quanti sono itati ammessi nella  Kepublica letteraria. Con qual fiele non si  scaglia contro di quello nella Lettera 1 15, ed  altrove ancora nelle sue opere il Maestro di  Nerone ? Parlando egli di M. ora scrive :  » Tu vedrai adunque l’eloquenza di un Uomo  •> ubriaco inviluppata, errante, e piena di  lingue Ora attaccando anche li di lui costumi soggiunge “ Quando tu leggerai li suoi  scritti, e le parole cosi viziosamente ornate, cosi negligentemente buttate, così poste fuori dello stile di tutti, mostreremo,  che non meno li suoi costumi fossero nuovi,  depravati, p singolari Seneca Epist.iió.Edit. Lugd.i 5 p*. :  Quo modo M. vixerit, notius est, qitam  ut narrar i nunc debeat. Quomodo ambulavetit,  quarti delicatus fuerit, quam cupierit videri,  quam vitia sua latere nolut. Quid ergo ? Non  oratio ejus aequerite saluta est, quam ìpse discine t us ? Non tam insignita illius verba sunt,  quam cultus, quam comitatus, quam domus,  quam uxor. Magni ingenii vir fucrat, si illud  egisset viarectiore, si non vitasset intelligi,  si non etiam in oratione difflueret. Videbis  itaque eloquentiam ebrii hominis involutam, et  crrantem, et licentiae plenam : Maecenas in  cultu suo .' Quid turpius ani ne, silvisque ripa  comantibus ? Vide ut alveum lyntribus arcet,vcr *  soque vado remittant hortos, .Ma Seneca era troppo invidioso della fama,  della riputazione, e delle doti brillanti di  M., il di cni splendore ancora traspi*  rava chiaro, e vivace nel secolo, nel quale  quello viveva, e come Ministro, e Consiglie*  rodi Nerone, conoscendo, che non aveva potuto, ne’poteva eguagliare le sublimi virtù  politiche, di coi andava nobilmente fregiato  il Ministro, e Consiglierò di Augusto, ne divenne l’nnico, e il più maligno detrattore.  Ter prova di ciò invochiamo 1* autorità di tutti  li Biografi all* uno, e all’ altro contemporanei 4   Non ostante però tutto il male, che dice  ne’ suoi scritti, di M., Seneca sapeva  benissimo, che questo nel tempio della gloria   Non statim haec cum legeris, hoc Cibi occurret,  hunc esse, qui, solutis Cunicis, in Urbe seraper inccsserit ? Nani edam cum absentis  partibus Caesaris funger et ur, signum a di scindo petebatur .... Hunc esse qui Uxorem millies duxit, cum unam habueritì Haec  verba tam improbe strucca, tam negligenter  abjecta, tam extra consuetudinem omnium posila, ostendunt mores quoque non minus novos,  et pravos, et singulares fuissc. Quasi della  stesso tenore parla Seneca di Me cenate, ed in  questa, medesima lettera, e nella diecinovesima nella nonagesimaterza nella ceutoventi e  pc/Lib.x. cap.3. de Providentia.] occupa il posto di un grand’ uomo di Stato,  di un eccellente Ministro, di un Consiglierò  illuminato, e di un Favorito nou infetto dai  vizj abominevoli dell’ avarizia, e dell’ interesse, H quali al contrario avevano ad esso  procacciato il possesso di più milioni, estratti con dure estorsioni dal sangue de’ sudditi  Romani. Sapeva inoltre, che quello aveva  meriti grandissimi, conforme fu costretto a  manifestare pubicamente, e in faccia allo stesso Nerone, allorquando, decaduto dal di lui  favore, aveva forse cessato di screditarlo,  Imperciocché sappiamo da Tacito, che dopo la morte diJJurro, mori ancora, pèr dir  cosi, la potenza di Seneca. Allora si accrebbero a carico del medesimo le satire, e le mor*  morazioni furono universali per le immense  ricchezze, che aveva accumulate, e segnatamente per la grandiosità de’ snoi Giardini, che  eguagliavano quasi gl* istessi Giardini Imperiali. Seneca volendo dileguare, se fosse stato possibile, dall’animo del suo Padrone .ogni  sinistra impressione, dimandò di essere ascoltato, lo che avendo ottenuto, recitò al suo  Sovrano un discorso artificioso, o pipttosto la  sua Apologia, nella quale fra }e altre cose,  ricordandosi di Augusto, di M., e di  Agrippa, e dei meriti politici di questi, disse  cosi : Il tuo antecessore A u 6 ust0 Cesare,,, permise a Marco Agrippa il ritiro di Mitilene, e a Cajo M. un ozio pellegrini)     204   nella stessa Capitale. 11 primo, come com-,, pagno d’armi di quel Monarca, ed il secon-,, do come quello, che seppe disimpegnarsi  da molti incarichi laboriosi anche in Roma,  ricevettero dal loro Sovrano ampie ricom3, pense in vista de’ meriti grandi, di cui erano forniti. Si attribuisce ancora al nostro M.  1 ’ invenzione di scrivere in abbreviatura. Dione afferma, che egli trovasse alcune note  Tacit. Annal. Mors Burrhi infregit Senecae potentiam ....  variis cr i mi nat io 1 libili Senecam adoriuntur :  tamquam ingentes, et privatum supra modum  evectas opes adhuc augeret .... hortorum  quoque amoenitate, et villarum magni ficent la,  quasi Principem super greder et ur. .. At Seneca criminantium non ignarus. .. tempus  sermoni orat : et accepto, ita incipit. Atavus tuus Augustus Marco Agrippae Mitylenense seeretum, Caio Maecenati in ipsa  Urbe velut peregrinum otium permisit ; quorum,  alter bellorum socius, allcr Romae pluribus la~  boribus jactatus, ampia quidem, sedpro ingentibus meritis, proemia acceperant.   fa). : Primusque M. ad celeritatem scribendi notas quasdam  literarum exeogitavit, quam rem, Aquilae  Liberti ministerio, multos doaj.it.    *o5   per scrivere con celerità, e che insegnasse  questo metodo a molti per mezzo di Aquila suo  Liberto. 11 Catrou è di sentimento, che  tali note costituissero un Trattato per poter  scrivere abbreviando le parole. In fatti è indubitato, che la maniera per scrivere con  prontezza, e sollecitamente è quella, che  istruisce a scrivere col soccorso delle abbreviature, e siccome nel caso, di cui si parla,  Dione dice, che M. prirnus cxcogitavit,  così pare non possa mettersi in questione, che  prima di questo un tal metodo di scrivere era  affatto sconosciuto, e che egli ne fosse il primo  inventore.   Isidoro di Sicilia dice (a) che il poeta Ennio fosse 1’ autore di mille e cento note per  scrivere ; che il primo, il quale in Roma facesse un commento di queste note, fosse Tirone Liberto di Marco Tullio Cicerone ; che  dopo di questo Persannio, Filargio, ed Aquila Liberto di M. ne inventassero delle  altre, e che Seneca finalmente ne ordinasse un  numero di cinquemila.   Riguardo però ad Aquila Liberto di M. non sembra giusta l’asserzione delEaccennato Isidoro, attribuendogli E invenzione di  alcune note per scrivere, giacché abbiamo  rimarcato da Dione, che il sudetto Liberto di   Lih.i.orig. cap.aj.'  l    ioó   M. non ne fu inventore, ma che fu il  propagatore del ritrovato, e dell* opera del  suo Padrone, e che esso stesso, istruito da  questo, ne istruisse degli altri.   Dallo stesso Dione sappiamo (i) ancora,  che M. recò ai Romani un altro rimarchevole vantaggio, qnale Fu quello dei Bagni  delle acque calde. Dal che si ravvisa, che  questo specifico salutare, ed alla umana salute profittevole, non era in Usanza in Roma  prima dell’ epOcà di M. ; cosicché questo, il qnale, secondo le osservazioni già fat*  te, era intelligente della Storia naturale,  avendone in prattica sperimentato gli effetti  benefici, ne introdusse fra li Romani l’uso, e  l’esercizio. ( a)   Mentre M. passava nel ritiro le ore   ( 1) fjOC.eit. Idem primus (M.) RomaeN atatorium aquis calidis refertuminstitu.it.  P linio attribuisce a M. V introduzione nelle mense de’ figli lattanti dell'Asina, li quali in quell epoca erano preferiti alli  Onagri, o Asini selvatici. Aggiunge inoltre,  che il gusto per questa sorte di pietanze svanì  con la sua morte. Ecco il testo di Plinio lib.8.  cap.46. ‘ dd mutar um maxime partus, aurium  referre in his et palpebrar umpilos ajunt: Pullos earum epulari M. institu.it, multum eo tempore praelatos Onagris.  Post eum intcriit authoritas saporis.  della snà vita m comporre delle opere io  prosa, ed in versi, in presentare ai Romani, ed alla società delle tifili invenzioni in proteggere, animare, e arricchì re li Letterati,  ed in promuovere il progresso della Letteratura; Augusto, che in tutti li suoi bisogni non  mancava di consultarlo > gli diresse una lettera. Dal contesto di questa si rileva, che quello  era lontano da Roma, e c he se ne stava fra le  delizie della sua Villa Tihurtina con la dolce  comitiva dé’ Dotti, e fra il soave concento delie Cetre de’ m gliori Poeti. Augusto aveva  bisogno di un Segretario, e per mezzo di  quella lettera richiese il Poeta Orazio, che  stava presso di M.. “Prima poteva da me stesso, dice Angusto, scrivere delle lettere ai miei amici,ma ora.o mio M., che,, sono occupatissimo, ed infermo, bramo,  che mi mandi il nostro Orazio. Io sò qnanM to vive contento presso di te, ma spero,,, che lasceràlesue mense squisite, e verrà  nella mia Regia per ajutarmi in qualità di  » Segretario.fi)   (Sveton. in Vit. Horat. : Ante ipse sufficiebam scribendis epistolis amicorum ; nunc  occupatissima s, et infirmus, Horatiam nostrum te cupio adduccre. Vcniet igitur ab  ista parasitica mensa ad hanc Regiam, et aos  in epistolis scribendis adjuvabit. Non sappiamo con sicurezza, sé le brame di  Angusto in ciò venissero appagate. M.  non avrà mancato di rappresentare ad Orazio  il grande onore, che gli si voleva compartire  con quell’impiego luminoso, ma il Poeta, che  amava la calma, che per lo più, lungi dallo  strepito della Capitale, e della Corte ^ desi»  derava di ragionare con le Muse, o presso le  onde sussurranti del fonticello di Blandnsia,  o sotto le ombre taciturne del boschetto di Tiburno, avrà mostrato tutta la renitenza di accettare un tanto onore, e per disimpegnarsi  dalle richieste del suo Sovrano.   Sebbene adunque M. si fosse ritirato  spontaneamente dai grandi affari della Corte,  tuttavia Augusto continuava a rispettarlo, e a  deferire in tutto, e per tutto alli suoi consigli. Ma questo rispetto, questa amicizia,  questa fiducia, questa uniformità di pensieri  fu sempre eguale fra l’uno, e l’altro ?   Se dobbiamo seguire 1’ autorità di Dione  sembra esserci stata un’epoca di tempo, nella  quale un adultero amore sconcertasse quella  bella armonìa, che per tanti anni era stata fra  di essi inalterabile. Terenzia moglie di M. era una donna arricchita dalla natura Sveton.Vixit plurimum in se eessururis sui Sabini, aut Tiburtini, do musane ejus ostenditur circa Tiburniluculum : V edi il de Sanctis Dissert. sulla Villa di Orazio «    a9   tìi tatti li vetti, e di tutte le grazie seducenti, che sogliono distinguere il bel sesso.   Si suppone, che Augusto, il quale aveya  occasione di vederla sovente, come sovente  soleva vedere il marito, ne divenisse amante,  e che Terenzia non fosse insensibile alli di lui  teneri sentimenti. Si suppone inoltre, che la  fiamma di quello si rendesse cosi vivace, che  Roma ne mormorava ; che per involarsi dalle  mormorazioni, e dai rimproveri de’ Romani,  se ne andasse nelle Gallie, portando con se  la detta Terenzia. Soggiunge Dione, che da  questi amori nascesse il motivo di quella freddezza, che si ravvisò per qualche tempo tra  M., ed il suo Sovrano, e che per lo  stesso motivo non fosse quello lasciato da questo Prefetto di Roma, quando intraprese il  sudetto viaggio.  Sentiamo come parla lo Storico. Vedendo  Augusto, che la sua lunga permanenza nella Capitale riusciva a molti molesta ; che se,, puniva alcuni colpevoli ; si sarebbe fatti  altrettanti nemici ; che se doveva passare,, sotto silenzio i loro delitti, sarebbe stato  costretto ad offendere esso stesso la nuova  i. Costituzione, e a ledere l’osservanza delle  sue leggi, stabili, ad esempio di Solone,  di andare lungi dalla patria. Vi furono peio alcuni, li quali sospettavano, che egli,, si portasse nelle Gallie, a cagione di Terenzia, moglie di M., affinchè, stanti ti le voci diverse, che si divulgavano pe Roma, de’ loro amori, potesse in questo  viaggio vivere con essa lontano da ogni ru«  more. Lasciò in qualità di Prefetto,, di Roma, e dell’ Italia Statilio Tauro,  giacché Agrippa era stato inviato nella  Siria, e M. era già con esso in qual*,, che disgusto per motivo della sua mo» glié (0 •   Ad onta però dell’autorità di qnesto Scrittore non pare abbastanza provato il fatto, di  cui si parla, e che narra riguardo agli amori di Terenzia, ed Angusto ; al viaggio nelle  Gallie a tale effetto intrapreso; ed ai disgusti di quello con M.. Imperciocché  Dion.. Cu/n enim diuturna ejus in Urbe commoratio molesta multis  esset, ac multos, qui contra leges deliquissent plectens offender et, multis parcens,  eogeretur suas ipse leges praevaricari, pere «  gre abire, Sblonis exemplo -, statuii. Fuerunt  qui, propter Terentiam Moecenatis Uxorem,  eurn discedere suspicarentur, ut quoniam multi Homae de ipsorum amore sermones per vulgus darentur, in peregrinatione sua citra om nem rumorem ejus rei cùm ea vivete posset. Deinde Urbis, et Italiae gubernatione Tauro  injuncta, nam statim Agrippam. in Syriam  mite rat ; e rat autem ei M. propter Uxorem minus j am gratus.  Dione non parla di questi pretesi amori, come di un fatto sicuro. Asserisce semplicemente, che alcuni sospettavano, che correvano  per Roma delle Voci diverse ; ma questi sospetti, e queste voci non valgono ragionevolmente a costituire una prova tale, che non possa,  nè debba credersi altrimenti ; tanto più, che   10 stesso Diohe, premette il motivo positivo,  per cui Augusto volle allontanarsi da Roma.   D'altronde Svetonio, Tacito, Vellejo, ed  altri antichi Biografi di vaglia, hanno parlato, e scritto chi più, e chi meno della vita  publica, e privata di Augusto, e niuno ha riferito, e neppure accennato li pretesi di lui  amori con la moglie di M. É vero, che   11 detto Svetonio non omise di narrare, che  quello non fu esente da’vizj, e che fra questi  non esclude l’adulterio, ma non ha mancato  di aggiungere, e di prevenire la posterità,  che questi Vizj deturparono soltanto i giorni  della sua prima giovinezza, e che se commise  degli adulterj, non già cadeva in questo disordine per libidine, ma per discoprire, per  mezzo delle mogli altrui, l’animo, e li segreti  de’ suoi nemici, La sua giovinezza ( scrive  Svetonio di Augusto ) fu sottoposta all’imfamia di vari difetti . Gli stessi suoi,, amici non negano, che fosse dedito agli,, adulterj ; ma in ciò lo scusano, dicendo,  che questa sua condotta non era l’effetto di  una passione disordinata, e libidinosa, ma   O 2    aia,, che lo faceva per discoprire più facilmente  l'animo de'snoi nemici per mezzo delle loro  i, mogli fi).   Ora se Angusto commetteva degli adulterj,  non già per libidine, ma quasi direi, per politica, e per quel punto di politica, che nelle testé riferite espressioni si è rimarcato, ciò  non poteva aver luogo con Terenzia moglie  di M.,, sulla sperimentata fedeltà del  quale non poteva quello, nè giammai aveva  potuto sospettarle i Inoltre Svetonio riferisce,  che l’epoca di alcuni vizj del medesimo Augusto fu la prima sua gioventù, inconseguenza resta escluso quel tempo, in cui si suppone  l’amorosa passione con Terenzia, ritrovandosi egli allora in età di circa anni quarantacinque fa). Meno prova ancora, che partendo perle  Callie, non lasciasse Prefetto di Roma M., perchè era con esso irritato a motivo  degli amori 6 udctti. Imperciocché si è di già  osservato, che questo, elfettuato il novello  Sistema politico della Monarchia universale In Octav. Prima \uventa variar um dedecorum in/amiam subiit, >. adulterio guide in exer.cuisse, ne amici guiderà  negant ; excusuntes sane, non libidine, sed  ratione eommissa, guo facilius consilia adversariorum per vujusque mulieres cxquircret.   (3) Dion. loc. cit.    Digitized by Google    n3   si ritirò dalla Corte, e da’grandi affari, nè  curò impiego veruno. Si è osservato altresì,  che nella nuova Costituzione dal medesimo modellata si era parlato del rimarchevole impiego di Prefetto di Roma, e si era stabilito  per massima, che questo doveva essere di più  lunga durata, e che dovesse addossarsi a persone di specchiata probità, e consolari. Come  dunque può recar meraviglia, se Augusto allontanandosi da Roma, per andare nelle Gallie, non nominasse Prefetto di Roma Mece*«  nate ? A llora quasi tutte le leggi della succennata novella Costituzione erano in una piena  osservanza.   Di più l’assertiva di Dione sù tal punto storico, sembra, che venga del tutto smentita da Cornelio Tacito, il quale a chiare note dichiara, Ghe Augusto per tutto il  tempo dei torbidi, e delle guerre civili, lasciò sempre Prefetto di Roma, e dell'Italia  M., e che dopo di essersi sollevato alla  Sovranità impiegò soltanto personeConsolari a  coprire questa carica,, Del restai dice Tacito ) Augusto, in tempo delle Civili discor*,, die, nominò alla Prefettura di Roma, e  dell’Italia CajoCilnio M. dell'Ordinò  de’Cavalieri. Divenuto però Sovrano asso-, x luto, addossò questo impiego a Soggetti Consolari . Il primo, che venne rivestitedi questo potere, fu Messala Corvino. ài4,. . il secondo S'tatilio Tauro  quindi  fu eletto Pisone (O*   Dopo ciò, che cosa può addursi di più convinceute per conoscere, che se Augusto, partendo per le Gallie,non lasciò M. Prefet.  todi Roma, fu per tntt'altra cagione di quella  immaginata da Dione ? In quell’epoca per legge, e principio fondamentale della Costituzione, dovevano rivestirsi di tal carica persone  Consolari ; M. era semplice Cavaliere  Romano ; non poteva dunque esercitarla, senza ledere l’ordine, e l’integrità della Costituzione medesima ; e siccome esso stesso era sta*  to Fautore della Legge, cosi quantunque Augusto lo avesse voluto decorare della Prefettura anche in tali circostanze, T averehbe  francamente ricusata, come incapace di mettersi in contradizione co’suoi principi, Comunque sia però, ed ammessa ancora laveria  tàdel racconto di Dione, li pretesi dissapori  fra M. ed Augusto dovettero essere Anna!, lib. 6. cap. 3a. Cetetum Au,gustus bellis civilibus Cilnium Maecenatcm equestri s Ordinis, cunctis apud Romani, atque Italiani praeposuit. Mox rerum potitus, ob magnitudinem Populi, ac tarda legum auxilia,  sumpsit e Coruularibus, qui coerceret serviti a .... primusque Messala Corvinus eam  potestatem accepit .... Tum Tau rus Statili us. .. Dein Pis »* 1 et   di poco momento, e passeggeri, sapendo da  Plutarco, che quello nel giorno suo natalizio  offriva sempre in dono a questo una Tazza .,, Cesare Augusto ( dice Plutarco ) riceveva  ogn’anno da M. in dono una Tazza nel  giorno suo natalizio.   Ma finalmente M. dopo aver veduto  p ratticamente, che le sue fatiche, le sue ve»  glie, li suoi lumi, e la sua politica avevano  formata la felicità, di Koma, e dello Stato ;  che il suo Padrone, o piuttosto il suo Amico  era divenuto il più giusto, ed il piu potente de’  Monarchi; che le sue liberalità, ed il suo zelo,e  la protezione accordata alle lettere, ed ai Letterati avevano dato un favorevole impulso al  progresso dello spirito umano, del genio della  letteratura, e del buon gnsto, M., dissi,  doveva anch’egli offrire l’ordinario, e indispensabile tributo alla natura.   Se è vero, se è possibile ciò che Plinio il  Naturalista suppone, negli nliimi tre anni della sua vita, fu quello sottoposto ad una malattia di tal carattere, che il sonno non chiuse mai le sue luci per tutto quel non breve  spazio di tempo ; che ad onta de’mezzi li più  efficaci, e potenti, che furono messi in opera  Apopht. Princ. et Reg. Apopht. nltinj.  Cattar qui primus Augustus ett cognomina j*>  tus .... a M., cum quo vitam agebat,  yuotannit in natalieiit dono acoipiebat pateram. I ài6   per giovargli, fosse costretto a vegliar sempre, ed a soffrire più sensibilmente li no)osi  effetti di una febre continua, dalla quale,  secondo lo stesso Autore, sembra, che fosse  attaccato ('i). '   Per l’esame di questo fatto da Plinio riferito, abbiam creduto di riunire alcune riflessioni in una breve Discussione uell’Appendice  dell’Opera, alla quale rimettiamo il Lettore.  Intanto, proseguendo la nostra narrazione,  possiamo asserire, che M. neH’nltimo  periodo della sua vita fu sottoposto a delle fisiche indisposizioni, delle quali si doleva con  li amici più cari, e segnatamente eoa Orazio.  Questo Poeta riconoscente, e sensibile si tapinava all’eccesso della peno6y» situazione del  suo amico, del suo benefattore, del suo tutto, e procurava di consolarlo con l’espressioni della più tenera amicizia, animato dal dolce, e mellifluo suono della sua Lira O Mecenate ( gli scriveva Orazio ) o mio sublime  ornamento, e sostegno delle mie sostanze,  perchè mi rattristi con le tue querele ? Non  >, piace nè a me, nè agli Dei t che prima  della mia debba distruggersi la tua esistenza. Ah! se la Parca crudele sarà più,, sollecita a troncare lo stame della tua vita,  che è porzione della U)ia, come io potrò  y, restare superstite ? Si > o mio caro M., benché tn volessi precedermi, pure  insieme entreremo nel cammino dell*éternità; nè mai potranno distaccarmi dal tuo,, fianco nè le vampe dell'ignivoma Chimera,  », nè le cento braccia del mostruoso Gigante»,, se tornasse sulla terra. È scritto già nel  », libro de’destini, che io, il quale vissi eoa  te, debba con te trapassare egualmente, c  i, che un istesso giorno debba segnare il ter», mine della vita di ambedue. i.   Avvicinandosi l’ultima ora della sua mortale  carriera. M. fece il suo testamento, e  volendo mostrare al Publico, ed alla posterir Od.. • ’   Cur me querelis exanimas tuis ? Nec Dis amicum est t noe mihi, te priut   Obire, Maecenas, mearum   Grande decus, columenque rerum.   Ah ! te meae sipartem anitnae rapii  Maturior vis, quid moror altera,   Nee carus aeque, nec superstes  Integer ? Ille dies utramque  Ducet ruinam.  k. \   Utcumque praecedes, supremum  Carpere iter comites parati.   Me nec Chimaerae spiritile igneae,   Nec si resurgat centimanusGyas  • Divellet unquam : sic potenti   Justitiae, placitumque Parcis, r  tg   là, .che tra esso > ed Angusto / vi era passata  un'amicizia sempre eguale, e costante, o che  se in qualche occasione venne alterata, non ebbe una tale alterazione, che una durata pià  piomentanea di una elettrica scintilla, lo Ì6tir  lui Erede de’suoi beni con il peso spontaneo  ài alcuni Legati agl’altri suoi Amici, e Letteralir^.i _>, Siccome poi il Poeta Orazio più d’ogn’alti Q  lo aveva cousolato, ed assistito ne'giorni della sua infermità, cosi a questo volle consagraxe, per dir cosi, Teatreme sue voci, e dare  l’ultimo pegno della sua beneficenza, raccommandandolo in maniera speciale al suo Monarca,, Ti raccommando, o Cesare, Orazio Flacco, come un’altro me stesso (a).   ( i) Dion. Lib. $5. Haec in causa fuere cur  vehementem lituani M aecenatis mors Augusto  afferret,quo ea e(iam accessit, quoti M. haeredem eum nuncupavit, ac praeter mitiima  quaedam, in e)us pot estate reliquie, si velie!  Amicis suis quaedam. dare ._   (a) Svet, in Vif. Ilorat. M. quantoper è eum. ( Horatium ) flilexerit, satis testatur ilio Epigrammate :   Ni te visceri.bus meis, Horati,    Plus \am diligo, tu tuum Soclalem  N inaio videas strigosiorem,   Sed multo magie extremis judiciis, tali ad Augustum elogio-. Horatii Fiacri, «t mei# esto  raemor. Mori conforme accennammo ancora nel Libro i., cinque anni  prima dell’Era volgare, ventitré dopo la battaglia di Azio, epoca, in cui Dione stabilisce  il principio dell’Impero Romano, e nell’anno  746. della Fondazione di Roma. Egli morì senza successori. Risulta ciò chiaramente, e dal testamento di sopra accennato, e dall’ uniforme testimonianza di tutti li  Biografi, che hanno di esso parlato. È sebbene ne’ tempi alla sua morte posteriori abbiano  vissuto altri Soggetti aventi il nome diM., tuttavia non può dirsi. nè costa, che  fossero discendenti di quello, e che avessero  col medesimo relazione alcuna di parentela.   Si trova sotto l’Impero di Vespasiano un  Publio M. Olimpico, di cui si conosce il  solo nome, inciso in una base grande, e quadrata disotterrata in Roma  presso l’Arco di SettimioSevero ; (a) parimente si conosce il solo nome di un M.  Elio ( 3). Nel Regno dell’Imperatore Gordiano il giovane si vede figurare in Roma un per (0 Dion. Meibom. loc. cit. : Sub Vespasiano vixit Publius M. Olimpicus ; ejus memoria super est Romae in basi marmorea grandi,  et quadrata ad Arcum Septimii Severi effossa, v   Gruter.   sonaggio ragguardevole chiamalo M.,  conforme rilevasi da Giulio Capitolino ( O, e  da Erodiano ('a) ; ma T origine di questo è  involta nelle tenebre istesse, in cui trovansi  e l’Olimpico, e l’Elio, e non può neppure  congetturarsi, che avesse un qualche rapporto col nostro Cajo Cilnio M.,.   J/annunzio funesto della di lui morte fu un   ;l. i   Curtia.j.L. Prapis  Cui pars dimidiahujus /   Moni menti concessa est ab     Ma le sue virtù rifulsero con luce brillante,  allora appunto, quando Ottavio divenne assoluto Monarca dell’ Universo. Che coija non  poteva pretendere, che cosa non doveva sperare, quali posti luminosi -, quali onori, quali distinzioni ? Eppure quello, che in tutte le  sue operazioni aveva per oggetto soltanto il  benèssere della Patria, e la felicità de 5 suoi  simili, nulla volle per sa nullà curò, e  quésto nobile disinteresse, r3ro nella Storia  de’ secoli, lo accompagnò fino alla Tomba.  Amò le Lettere, che coltivò esso stesso, protesse, animò li talenti, e fù prodigo delle  sue liberalità colli Dotti ; Affinchè poi le  scienze salissero a qual grado supremo, in cui  si viddero al tempo di Augusto, fece si, che  questo secondasse il suo Genio • Angusto lo  secondò in fatti con tutto il calore, e con zelo,  ed iVirgilj,iProperzj,gliOrazj, liTibùllMiLivj,  e tanti altri spiriti sublimi illustrarono la prima epoca del gran’ Impero Romano, arricchirono il regno della Letteratura, e ferero  tanti vantaggi alla Società ; perciò Cajo Ciluio  M. fu amato da tutto il mondo, la sua  riputazione è passata fino alla più lontana posterità, ed è qaasi estesa, quanto quella dello stesso Augusto.  (O Tillemont. Histojr. des Emper.Tom.i.  Catrou Tom.i9.Lib.7. APPENDICE ALLA STORIA   DI CAJO CILN10 M.  t  GIARDINI   IN ROMA AL MEDESIMO SPETTANTI   DISCUSSIONE. Insiste nella Regione Esquilina dell'antica Roma un locale, in cui venivano sepolti  li cadaveri delle genti plebee : Essendosi riconosciuto col progresso del tempo, che da questo luogo s’ inalzavano delle putride esalazioni,  nocevoli alla salubrità dell’ atmosfera, ed alla  salute de’ Cittadini, Augusto lo fece nettare,  onde depurar P aere, ed adornare insieme la  Città di edifizj. >   11 sudetto locale appellavasi Puliculi, o  perchè per antica costumanza le sepolture consistevano in pozzi, o perchè ivi si putrefacevano li cadaveri, conforme nota il Pomey “  Minutae vero plebis, mancipiorumque sepulchra extra portam Esquilinam Visebantur, quem locum. Puticulos, vel a puteis,   P  ti6   inquosconjiciebantur, vel a putore cadèveroni vulgo appellabant. (ij Lo stesso  afferma l' erudito Alessandro Donato sull’autorità di Festo “ Cnm in campo Esquiiino ( egli dice ) extra Urbem plebs humaretur, un3, de Populus Romanus odoris, atìt coeli gravitate laborabat,Augustus locum expnrgavit,  Urbemque aedificis auxit, ornavitque, Puticuli antea locus appellatns, quod vetustismum genus sepulturae in pnteis fuerit, et,  ut ait Festus, dicti P liticali, quod ibi cadavera putrescerent. ('a) Quivi ( scrivé  Orazio ) poc’anzi solevano trasportarsi su,, vile cassa li cadaveri de’ schiavi, e de mi-,, serabili, dopo esser stati rimossi dalle loro  ti anguste, e misere celle, e qui sorgeva la,, tomba comune alla plebe meschina. Hoc prius angustis ejecta cadavera cellis,,, Conservo, vili portanda locabat in Arca ;   Hoc miserae plebi stabat comune sepulchrum (3 ).   Questo luogo pertanto, che formava una  specie di Cimiterio di Roma, stava fuori della  Città, giacché era generalmente vietato di De Funeribus.   De Urb. Rom. Vedi il  Turnebio AWers. lib. 5. cap. 6. 11 Minutolo  Rom. Antiq. Dissert. 6. de Sepulchris, ed H  detto Pomey Satir. seppellire li cadaveri dentro le mora ; ed  era destinato, come si è accennato, per la  qilebe soltanto. Le tombe de’ Re, degl’ nomini  illustri, e delle doane di nascita ragguardevole venivano collocate nel Campo Marzo .che  stava parimenti fuori della Città, secondo la  testimonianza di Appiano. e di Strabone presso il rife rito Pomey. ( a)   Dopo però, che da quella Regione furono  tolte le sepolture plebee. e fu nel recinto di  Roma racchiusa, vi si inalzarono numerose  abitazioni, e vi fece ritorno 1’ amenità, e  Paria salubre “ Postea vero ( soggiunge il,, Donato ) quam amota sunt sepulchra, rece-,, ptusque intra Urbis ambitus, loci amoen nitatem, tectorumque frequentiam secuta  E’ nota su di ciò la Legge delle XII.  Tavole. Hominem mortuum inUrbe ne sepelito,  neve urito : Può vedersi il lodato Minutolo,  il quale nella cit. Dissertazione ne farla con  critica, ed erudizione.   C 2 ) Loc. cit. : Locas ad sepulturam o rnatissimus extra Urbem fuit Campus Martius,  Appiano teste, qui scribit, selos ibi Regcs,  horninesque illustrissimo* sepelùi consuevisse,  non tamen sine Senatus decreto ; idque Strabo  confirmans locurn illum fuisse Romanis maxime  sacrum ac venerabile m, ideoque pracstantissi morum virorum, ac joeminarum monumenta ili  fuisse collocata.   P 2 est nova coeli salubri'tas .( i) .Ora poi ( sogli giunge anche Orazio ) che dalla Regione Es« quiiina sono state rimossfe le tombe, hè più si osservano sii di un infontie campagna  ii le ossa spolpate degli estinti, vi si gode un,, ameno diporto sotto un cielo salubre.  m Nunc licet Esquiliis habitare salubribus,  atque Aggere in aprico spatiari, quo modo tristes  Albisinformem spectabant ossibus agrum(a )   Porzione di quel terreno fu donato da Augusto, mediante anche un decreto del Senato,  al suo M., il quale vi fece sorgere in seguito quc deliziosi Giardini, la di cui celebrità è giunta fino a noi, secondo la testimonianza  del Marliani,del riferito Minatolo,e di  Samuele Pitisco Cum igitur ( dice questo ), tem. (a)   Abbiamo osservato nella Storia di M. ( i ), che esso fu il primo ad introdurre in  Roma.!’ uso de’ Bagni caldi ; Ora essendo incontrastabile,che li suoi Giardini, e la grandiosa Abitazione in essi esistente, e di cui si  parlerà fra poco, dovessero contenere tutti Art. Hort. M. Lib.4..    a3i   gliagj, che sa immaginare l'umano raffinamento, e la voluttà, cosi non sembra fuori di probabilità, che quello qnivi stabilisse li nnovi  Bagni, eihequivi ne facesse sperimentare li  primi vantaggi, prima} Jamdudum apùd me est. Eripe temorae. Fastidiosam desere copiam, et  », Molem prepinquam nubibus arduis :   0 matte mirali beatae,, F umum,^et opes » strepitnfeque  - Romae. Il Palazzo, o la Tórre di M. esisteva  tuttora ai tempi di Nerone. Questo folle, ed  insensato Monarca, dopo aver dato l'ordine  ferale di metter fuoco alla più bella, e vasta  Città del Mondò,' alla Sede del suo Impero,  non fece in essa ritorno, se non quando, fu prevenuto, che 1* incendio si avvicinava alla sua  Regia, che era stata dal medesimo ampliata  fino al Palatino, ed alti Giardini di M..  Nero, scrive Tacito, non ante in Urbetn  regressus est, quam domiti ejus, qua Pala V Eib.3. Od.ao.» tinnii et Maecenatis hortos continuaverat,   ignis appropinqnaret. Rientrato quel Tiranno in Roma, sen’ corre ai Giardini di M., e sale nel luogo  più eminente della Torre sopradetta. Quivi  rimira con occhio insensibile, e truce’ii vortici delle fiamme, .che distruggono la sua Capitale, ed ascolta a sangue freddo li gemiti,  e le strida degl’ infelici abitanti, che periscono. Allora compiacendosi dello spettacolo a• C l )   Il Pitisco, fondato su di un passo di Tacito,  mette in dubbio il fatto narrato da Svetonio, e  dagli altri riferiti Autori. Egli suppone, ebe,  secondo il detto Annalista, venissero distrutte  dalle fiamme e il Palazzo di Nerone, e la Casa di M., e li Giardini, e il Palatino,  e tutt’altro, che intorno a questi luoghi esisteva, cosicché in tal c$so non avrebbe potuto  quel Monarca cantare l’incendio di Troja sulla  Torre Mecenaziana. Neronem ex Torri M. prospectasse,(dice Pitisco^ iisdera  pene verbis repetunt P.Diaconus &c. Tacitus dubium fecitutrumque. Non Urbem eniiq  is tantum, sed domum etiam ipsam M.,, tis, et hortos, et Palatium, et cuncta circum  » l°ca eodem momento a Neronis incendiario,, igne,sed ipso absente,hausta commemorala) Non sembra però che Tacito accenni la di Loc.cit. Art. Turris M..    •trazione delli Giardini di M,, e suo  Palazzo annesso ; racconta semplicemente, che  quando Nerone seppe, che le fiamme dell’ incendio si avvicinavano alla sua Casa fece ri-»  torno in Roma ; che non ostante, la rapidità  di quelle non potè ritardarsi, e fu distrutta  anche la sna Casa, e tuttoció, che vi stava intorno. “ Eo in tempore f narra Tacito ) Nero Antii agens, non aute in Urbem re»  gressus est, quam domili ejus, qua Palatium, etMaecenatis hortos contjuuaverat,,, ignis appropinqua ret ; neque tamen siati  jjotuit, quin et Palatium, et Domus, et  cuncta circuiti haurirentur (i ).   Qui si parla del Palatino, e del Palazzo di Ne»  rone, e con l’espressioni, cuncta circuru haurirentur, pare che si voglia indicare tuttoció, che  stava intorno all’uno, e all’altro. Ora la magnifica Abitazione, e li Giardini di M. erano,  come si è detto, nell’Esquilino, e benché confinassero con la Casa Neroniana, tuttavia pare,  che non possa con sicurezza dedursi, che contemporaneamente all’ incendio di questa venia»  serodistrntti ancorali sudetti Giardini conTan»  nesso Palazzo; in tal guisa non si troverà in contradizione l’autorità rispettabile del detto Annalista con quella egualmente rispettabile dello  Scrittore delle Vite de’ primi dodici Imperadori ; tanto più che anche quello accenna il Annal lib.i5. cap.àq. fatto narrato da questo, come si vede nel tev  sto seguente: “ Sed solatinm Populo exturba-,, to, et profugo Campum Martis, et monuraeti-,, taAgrippae, hortos qnin etiam suos patefecit. . pretiumque frumenti minutum. Quae quamquam popola ri a in irritino cade-,, bant, quia pervascrat rumor, ipso tempore,, flagrantis Urbis inisse enm domesticam scenam, et cecinisse Trojanum excidium. Giacomo Lauro ammettendo, che la  Torre, cd il Palazzo di M. fosse una  stessa cosa, ne fa una elegante descrizione,  dicendo, che era un meravglioso lavoro ripartito in quattro Piani l’nnoall'altro superiore, sollevandosi in alto 3 guisa di Torre ; dico  ancora, che la sommità della Fabbrica termina'  va in un Teatro, dal quale non solo poteva  godersi l’amenità de’ sottoposti Giardini, ma  eziandio l’ampiezza di tutta l'immensa Capitale  del mondo.   Non piace però al riferito Pitisco il sentimento del Lauro, e degl’altri, che pensano  come questo, supponendo, che non vi siano  prove confacenti “ Sunt qui, dice il Pitisco, inter quos Jacobns Lanrus qui Domunì Maecenatis cum Tnrri uuam, eamdemque faciunt. Fuisse enim, ajunt, Do- Splend. Ant. Urb.Rom. apu’d Pitiscum, V„nm Malcerti. admirabili Vtraetorfl spartitam quatoor ordimbos, et plamt.ebus,   ^ una super alte.an. in altum ad motomTur ris excrescentibus, c«,us fast,g ; um dearne bat inTheatrnm, nnde pataer.t »djject«,  non tantum in hortorum amoemtatem,   tonus Urbis amplitudine®. Atqne et.am m, e am formam aLauro depingitur. Verno un’ de illi haec habeant, me quidemlatet .( i j  ’ Ma se questo dótto Autore del Lessico delle  Romane antichità dubita della realtà d, ciò che  asserisce il Lauró relativamente alla materia   struttura dell’abitazione di M., si pi   forse con esso andare d'accordo, ma se p.  de che la Torre, e la detta Abitazione fos  due fabbriche diflerenti,pareche voglia opporsi alla comune Opinione, ed ancheall autori a  sopra accennata di Orazio. In fatti nói t tede»  2 i»,»««> Poca, che piando MPAb, a»   De di MecenUe, e facendo uso dell espiessiom,  ora di alta doma, ora di molem F c pinquam nw*ibu.s arduis ( i), descrive brevemente, e  conoscere, che l’altezza di M»clla era a gntsa di  Torre sublime, che si avvicinava alle nubi 1, M. Tnrris Maecenatiana ("dièc quello)  cognominata est, vel maxime halosi Neronis,,, et Urbis incendio celebrata. .. quaedam vestigia extare sunt ex Antiquariis Romae, qui asserunt. Questi avanzi, secondo il Pitisco, sono da alcuni ravvisati, in qnel monumento antico chiamato Torre Mesa, che si trova  scendendo per quella parte del Quirinale, che  risguarda il Foro di Nerva„Hoc scio, descenu3, ris hodie a Colle Quirinali, qua is Forum Ner», vae’prospectat.Turriscujusdam ruinas,et rudera etiam none monstrari; quam T*>rre Meta Romani vocant, et partem domus, sive  i, Turris Maecenatianae fnisse volunt. Biondo Flavio scrive, che a tempo, in cui  esso viveva, la sudetta Torre esisteva quasi  intiera, e che per sincope era chiamata Mesa in  vece di Mecenaziana » Aggiunge inoltre,che in  quella contrada, in cui si vedeva, era fama costante, che quella fosse la Torre esistente ne’  Giardini di M., e sulla quale Nerone  rimirò l' incendio di Roma ; Ecco le parole del  lodato Biondo : “ Eadem in Esquiliarum paru te, qua ex eo monte prospectU6 est in depressam Urbis partem, Hortorum Maecenatis visuntur reliquide Extatque pene integra Tnrris, ex qua Svetonins Tranquilla Net, ronem scribit spectasse Urbis incendia in, et . .o   t, in scenico habitn decantasse .Qnam Turrim  vulgo nnnc vèrbo. .. syncopato Mesam  prò Maecenatianàm appellant. .. Nec est,, in ea Regione foemelia, quae quid fuerint  il lae ingente* ruinae interrogata, non dicat, eam fuisse Turrim, ex qua Nero crudelis Urbem incendio flagrantem, ridcns,  gaudensque spettavi t. Al contrario il Pitisco, ed il Donato sono  di avviso, che il Biondo, e li suoi seguaci  abbiano su di ciò preso un equivoco ; giacché  la sudetta Torre Mesa non esiste nell’ Esquilino, ma piuttosto nel Quirinale. Aggiungono  inoltre, che le vestigia di quell’ antico monumento dovevauo e ; 6ere, o di un Tempio dedicato al Sole dall' itrperarore Aureliano, o di  una Curia, o piccolo Senato fabbricato sul  Quirinale da Eliogabalo per le donne, acuì  egli fece presedere la sua Ava chiamata Mesa,  e la sua Madre Saemi ; conforme risulta da  Lampridio nella vita del detto Monarca ; dice di più il Donato, che nello stesso luogo  potevano esservi ancora, e la Curia succennata, ed il Tempio del Sole in torta delle congetture, di cm égli fa uso, ragionando in tal  guisa In hortis Coiumnensibus marmorei ae~  dificii pars exurgebat vulgo Maesa jam dira*  ta. Biondo* Turrim Maecenatis falso nuncu>, pat.Ubi enim hic Esquiliae,etNerouiaui& tae (i) Blond.Flav.delnstaur.Kom.lib.i^Art.xoo. dis ardens in conspectù Rotila ? Àlii partem,, templi Solis pronunriant, qnod ab Ameliano, auctorc Flavio Vopisco, extructum est  ad eam formam, quam viderat in Oriente Quid si aedificium illud partera   Senaculi, seu Curiae dicerem, quam Ilcliogabalus in Quirinali mulieribus extruxit ad  conventus habendos, quibus avia ipsins,, M lesa nomine > et mater Soaemis praesiderent ? Quod duplici conjectura elicitur. Alteram praebet nomen. Maesa enim dicebatur, ut avia Heliogabali. Alteram ipsius,, aedifici i forma. Serlius enim Ai chitectus sic  eain nobis linea vit, ut domicilii piane figurara descripserit freqnentibus scalis, aulis,  peristylis, ac porticibus. •. Palladius  >, autem. .. practer alias aedificii partes,  in templi quoque formam descripsit amplissimi, magnisque columnationibus insiguis.  Quare eodem fonasse in loco fuit olim Solis,, Templum. Nell’ ameno diporto de’ sudetti Giardini, e  della grandiosa Abitazione Augusto sovente soleva portarsi a visitare il suo amico M.,  ed ivi ancora sovente li Poeti dall’uno, e dall’  altro beneficati, e protetti facevano sentire  il dolce suono della loro Cetra Celebrati sunt dice il Giraldi j M, hortiinEsquiliis, quo loco cum Caes.ire versari frequen /   Lee. cit. lib.3. capa 5.  Diaitizec I  i, ter consnevit; et perindc etiam illtìc Poetae conveniebant. Lo stesso dice Pietro Crinito nella sua opera de’ Poeti Latini al  cap.45. “ Hortos Romae habuit ( Mece»> nate ) pulcherriinos inEsquiltis, ubi versari interdum consnevit, deque liberalibns,> discipliiiis serriionem habere cum amicis  suis. Ad hoc persaepe divertit Caesar Octa»> vius propter loci amoenitatem, velut qui  »> animarti libertini haberet a cnris in eo quietis secessi!.   Esisteva ancora ne’ Giardini medesimi un  Tempietto, o piuttosto uba Cappella dedicata  da M. al Dio Priapo. Li Poeti, che frequentavano quel luogo, come si è accenuato, solevano scrivere sulle pareti di essó Tempietto  de’ versi scherzevoli, ma poco purgati. La  raccolta di questi diede luogo a quel libro intitolato la Priapeja dato alla luce dal Giraldi,  e dallo Sdoppio" Sacellum Priapi ( scrive Pi>» fisco /fuit in hortis Maecenatis ab ilio extructtim, et dedicatimi. Poetae, qui Maet, cenateci suum quotrdie visebant, versicu» los aliquot jocosos in Sacelli parietibus notarunt, et hosPriapejorum nomine in unum  collegit libellum, et vulgavit .... Girai-,, dus, etScioppius. Questo autore ri  -.  Priapeja ( dice questo ) carmen obscenum,  quod nonnulli Virgilio, alii Ovidio adscri*» bunt ; quamquam Verosimilius est, multorum id opus esse ob argumenti similitudinem unum in volumen conjunctum. Su tale articolo potranno aversi maggiori  schiarimenti e presso il lodato Giraldi, e pres«  80 il nominato Pitisco ne’ luoghi citati.   fi) Loc. cit.   (2) Lexicon. Ling. lat. art. Priapeja, VILLA IN TIVOLI   DI M.:   DISCUSSIONE IL   solo M. possedeva li deliziosi  Giardini, e la magnifica abitazione sull’Esquilino, onde sollevarsi dalle cure del Governi?  insieme con il suo Cesare Angusto, e bearsi  colla sempre piacevole comitiva de’ Poeti, é  de’ Letterati, ma eziahdio per lo stesso oggetto egli aveva fatto edificare sulle sponde  dell' Aniene una Villa maestosa, ed elegante.   La celebrità di questa è ornai nota a tutte le  colte Nazioni dell' uno, e l'altro Elnisf ero,  perché ne hanno parlato, e scritto infiniti  Scrittori, e se ne legge la memoria in tutti lì  Libri, di cui fa uso il Viaggiatore critico, e  pensante. Infatti Lilio Giraldi, Francesco  Marzi, Marc’Antonio Nicoderao, Antonio del  Re, Nicola Orlandini, Fulvio Cardulo, Gio:  Zappi, Pirro Ligorio, Atanasio Kirker, ed  a tempi nostri il Volpi (i), Fausto del Re (2)>  e Marquez f 3 ), non che altri Autori ezian Lat. vet. Ville di Tivoli Illustrazioni della Villa di M. ià  Tivoli. et   dio di materie antiquarie hanno costantemente asserito, che in Tivoli esisteva la Villa di  M. in quel luogo, che si accenna, e  descrive dai sullodati Volpi, del Re, e Marquez, e sul quale tuttora si scorgono con ammirazione le immènse reliquie della medesima. Il primo ammirabile oggetto ( scrive il  Volpi ) che si presenta allo sguardo del  Viaggiatore, che va a Tivoli è la Mole superba di quel CajoCilnio M. Cavalier,s Romano, il più grande amico, ed il più fido consigliere di Augusto, il quale superò  t, molti Re in potenza, cd in ricchezza. Que>> sta Yilla per concorde testimonianza di tutti li Scrittori, che trattarono delle cose,, Tiburtine, s’ inalzava presso la detta Città  sulla sponda ministra dell’Aniene. .. così costantemente hanno asserito Lilio Giraldi e tutti gl’ altri, che descrissero le  maestose reliquie di quell’antichissimo Edifido ; ciò poi, che deve sorpassare Lauto>, revole usiertiva di tanti Autori si è la remotissima tradizione, e fama, per cui si è in  ogni tempo creduto fra liTiburtini, chepresso le mura della loro Città fp I4 Vili# d»  M.  J   ! ( 0 L° c - cit. pag.a x j : Prima igitur omnium sete Tybur adeuntibus admirandum, ve jtigandumque offerf ingcntis molis Villa  M., scili cet Caji Cilnii Mqeceqa- Nnlla fu omesso per rendere questa Vili*  vaga insieme, e grandiosa. L’oggetto più caro  il cuore di quel grand’Uomal, i Letterati, non  fu preterito, e però vedeansi jn essa amene  passeggiate, e portici deliziosi, ove si riunivano li Dotti, che mercè l’ illimitata protezione di M., nel seno; del silenzio, della calma, e di tutti gl’agj, travagliavano indefessamente per il progresso dello spirito  umano nelle arti, e nelle scienze Quivi, come in un altro Parnaso, in un;altra Accademia,  in un altro Peripato, in un altro Liceo, Filosofi, Istorici, Poeti, ed Oratori discutendo,  perorando, e meditando, procuravano di  compiacere al loro munificentissimo Protetto tis Equitis Romani Augusto Ce.es ari amicissimi, fidclissimique consiliarii, quiqìie Reges permultos non solum aequavit, sed etiam.  amecelluit opibus, et potcnìia. Haec concordi  omnium, qui de Tiburtinis rebus c gerani, S criptorum testimonio, ad ipsum Tibur fuit in  sinistra Anienis ripa. .. ‘ Ita LiPius Giraldus. .. aliique omnes, qui ingentia Aedi fidi hujus antiquissimi extaritia adhuc fràgmenta, et rudero niemorapcrunt, a ut descripscrunt unanimitcr, atque constantcr M. hanc V illam Tibur tem nominaverunt;  quodquc ipsos etiam Siriptóres auctoritate Vincere debet vetustissima, a majoribus per ma nus tradita fama id nobis affirmat .yt, e cosi per impulso del genio benefico di  questo recavano servizj inesplicabili al Genere umano, e travagliavano per la sua civilizzazione (i).   Il Cenni dopo aver parlato de’ Giardini di  M. in Roma, non manca di parlare eziandio con stupore della’ Villa del medesimo in  Tivoli. “Nè solamente in Roma ( dice quello)  ebbe M. le sue delizie, ma per non  goder sempre mai la Villa negrOrti, che  egli aveva, le ampliò fuori di quella ancora, ed in Tivoli ne fe pompa meravigliosa .,, Quivi fabbricò egli Una Città più che una Villa, palesandola tale fin'oggi le superbe reliquie, e le rovinose grandezze della medesima, e quivi parimenti nel ritifo, che facevano dallo strepito cittadino, trovavano  3, il loro riposo le muse romane. Il Patisco, benché ne parla compendiosamente, pure la chiama Villa ripiena d’ogni sorte di de» Volpi loc. cit. pag. 220. : Atque hue  litteratorum homìnum congregatas polissi — •  mum erudita s Catervas sub M. patrocinio ac tutela Philosophorum, inquam, Oratorum, Historicorum, ac omnium maxime  Poetarum turmas, ad dìssercndum } recitandum,  fabulandum, meditandum edam, atque otianr*  dum animi ergo in Parnaso voluti quodam, auC  Stoa, aut Peripato, A ccademia, voi Lyceo.   fa) Vit. di M. libra lizie, opera meravigliosa, e che per la vastità della sua mole non cede ad alcun altra Fab?  brica de’ Romani. Ma sarebbe stato troppo poco per il cuore  magnifico di M. il rimunerare li Dotti  coll’uso soltanto di quegl’ agj, che si rinvenivano o ne’ suoi Giardini di Roma, o nella Villa di Tivoli: la sua generosità si estendeva  molto più oltre; soleva bastantemente provederli di tutto il bisognevole (a), come è noto,  e conforme abbiamo dimostrato nel quarto libro della Storia, e perciò presso la detta Villa di Tivoli, o nelle sue vicinanze li Poeti ad  esso più cari possedevano Casini di campagna,  deliziose Villette, e possessioni ragguardevoli ; e queste proprietà si acquistavano da quelr Lexic. Antiq. art. Villa i Villa M. in ultimo Tyburtinae Urbis Clivio, omnium deliciarum genere conferta, ab ilio est extructa. .. opus sane admir abile, quod sane  vasta sua mole nulli ex Romanorum fabricis  cedit.  Pet.Crinit. de Poet. Lat. rap.45. : Vubgatum est de Maeccnate quantum Litteris, ac  Litteratis omnibus faverit, cum in Urbe unus  hic potissimum haberetur, ad quem Poetae  omnes, atque Oratores, ve/ut ad certam  anchoram, per/ugiuni sibi haberent ; itaque ab  eo vehementer dilecti sunt, ppcraque, et mu -,  nf ribus amplissimi honestati.    li mercè la liberalità del medesimo, onde avvalorare sempre piòli talenti poetici di Orazio,  di Properzio, e di Virgilio, e perchè ognuno di  essi potesse vivere contento anche quando esso  non poteva trattenerli sotto l’ombra de’ porti-t  ci maestosi della sua Villa. Inoltre possedendo  que’ Poeti delle proprietà in Tivoli, mentre  M. vi possedeva la Villa grandiosa, più  spesso, e più agevolmente poteva egli vederli,  e più volentieri abbandonavano lo strepito fragoroso della Capitale per passare giorni quie-i  ti, p delle ore pacifiche nella calma de’ loro  deliziosi, e campestri ritiri, soggiorno perpetuo delle Muse, e di Febo. Che ORAZIO (vedasi) ha un casino di campagna in Tivoli quasi di fronte alla Villa di  M., non può mettersi in questione, e  benché Domenico de’ Sanctis ponga in dubbio l’esistenza.in Tivoli di una Villa spettante  a quel Poeta, tuttavia conviene, che questo  Vi avesse una Casa di Campagna, nella quale  egli vagheggiava l’antro muscoso della risonante Albunea, le onde dell’Aniene, che si precipitano dall’ alto delle rupi. 1 ! ombroso Boschetto di Tiburno, li Giardini irrigati dalla molle attività di scherzevoli ruscelletti, nella quale desiderava arden- Dissert. sulla Villa di Orazio Fiacco. Ode 7. lib. 1. a5a   temente di finire i suoi giorni. Essendo;  pertanto dimostrato per confessione ancora  delio stesso Orazio, come si è veduto nella  Storia al Libro 4° che esso era stato arricchir  to da M., sembra del totto chiaro, che  la liberalità di questo gli procacciassero il j Me nec tam patiens Lacedacmon, Ncc tam Larìssae percussit campus opimae,  Quam dora us Albuncae resonantis,   Et praeeeps Andò, et T iburni lucus, et uda  Mobilibus pomaria riyis.  Od. Tybur, A rgeo positum colono,   Sit mene sedei ut in am. senectae !   Sit modus lasso marie ì et viarum,  Militiaeque ! i lite terrarum mihi praetedomnes  Angulus ridet, ubi non Hymetto  Mella decedunt, viridique ccrtat  Bacca Venafro j V er ubi longum, tepidasque praebet Jupiter brumai; et amicus Aulon, Fertili s Baccho, minimum Falernis '   InvidetUvis. t   Ille te mecum locus, et beatae  Postulant arces ; ibi tu calentem  Debita sparger lacryma favillarli \  Vatis amici. possesso del surriferito Casino di Campagna in  Tivoli. Si potrebbe stabilire jn Tivoli anche una  Possessione al Poeta Properzio, ma niuno de’scrittori delle Antichità Tiburtine ne ha fatto  menzione ; ciò non ostante si rileva dai scritti di questo Poeta, che egli ayeva in Tivoli  la sua Amorosa, dalla quale ricevè nella mezza notte unà Ietterà, in etti lo invitava a portarsi in detta Città 1 Quando il carro di Boote, dice Properzio, era giunto nel mezzo della sua carriera ricevo una lettera dalla  » mia Bella, che mi ordinava di portarmi  all’ istante presso di essa ; la lettera veniva daTivoli, ove le biancheggianti vette fanno mostra delle sublimi due torri,e l’onda dell’Aniene siprecipita in ampie lagtJne. In altro luogo poi il Poeta facendo la descrizione patetica di un sogno, finge di vedere, che Cinzia sia morta, tal’ era il nome  della sua Bella. Fa parlare l'ombra di Lib.S. Eleg.i 3. Nox media, et Dominac mihi venit epistole^  mstraej   Tybure me mista jussit adesse mora ;  Candida qua geminas ostendunt culmina  turres,   Etcadit in patulos lympha Anima lacus. Il vero nome della donna Tiburtina amata da Properzio era Ostia, tome rilevasi da'  a5a   questa, la quale gli ordina, che nel di lei se-,  polcro sia scolpita una funebre iscrizione, che  essa stessagli detta “ La dove il potnifero A„,nieue(parla Cinzia ) scorce placidamente per le tqrtuose campagne, e dove,1’ avorio giammai impallidisce mercè la potenza del  Dio Ercole (i) scrivi nel m ezz P di nna COLONNA, questa epigrafe degna di me che possa leggere il passeggero. Qui giace la bella Cinzia sepolta nel suolo Tiburtiuo Apulejo presso il Crinito nella vita di questo,  Poeta :j Sextus Aurelius Propertius, ( dice il  Crinito'). Mae cenati, et Cornelio Tacito maxime acceptus fait. Cum i(i Elegiis,  ut inquit Plinius, forct egre gius. Libros  quatuor Elcgiarumconiposu.it, in quibus fere  suos calarti, et Mosti ae laude m, et formam  celebrai ; nam in pucllam Hostiam miro qui dem affectu exars (t, quatn mutato nomine, ut  est auctor L. Apule] us, Cyntiam appellare  maluit. Corre la voce a tempi di Properzio,  ed uriche posteriormente, cirriforme si rileva, da  Silio Italico, c da Marziale, che l’uria T iburtina somministrava alle cose ur\a bianchezza  potentissima. Properzio ripete questo privilegio da Ercole divinità tutelare dal Paese, e  che era in special maniera venerato in quella  Città. Il Beroaldo ne' commenti del! accennata Elegia di Properzio alle parole : polle? I N aì>3   la sùa tomba, o Amene, accrébbe decoro  J, alla tua fertile sponda .(i)   Se io volessi ricavare da queste espressioni  di Properzio resistenza di una sua Villa in Tivoli mostrerei forse troppa prevenzione per il  Suolo, che mi diede i natali ; ma essendo cer-«  to, che quello aveva la sua Amorosa ih quella  Città, cbé era amicò di Orazio, e di Virgilio,  e che godeva il favore del benefico M.,  sembra non 'affatto inverisimile, che anch'esso avesse, o qualche cosa di campagna, o  qualche altra possessione presso la Villa del  sudetto M., frutto, e risultato della  beneficenza del medesimo.  i   tbur ; parla in fai guisa i 'Còclum Tyburti~  num dicebatur rebus praestare candorém pòtentissimum e bori, unde ait Silius: Tyburit  dura pascit ebur : Et Martialis,   T'ybur ih Herculeum migràvit nigra Tycoris Omnia dum fieri candida credit ibi.   Hoc fieri Poeta ait, nu mine Herculeo ; T V  bur enim Herculi dicatum, et Herculeum cognohtindtur. Ramosis Ariio qda pòmifér incubai afvis.  Et nunqUam Herculeo numìne pallet Ebur',  Hoc carmen media dignum me scribe columna,  Sed breve, quodeutrehs Vectór ab Urbe legar,  Hic Tyburtina jacet bure a Cynthia terra,  Accessit ripae, laus, Aniene, tuac. I I   a$4   Se è certo, che Orazio, se non è improbabile, che Properzio avessero nel Territorio  di Tivoli, e nelle vicinanze della Villa di M. una qualche possessione, non è fuor di  credenza, che il Principe de’ Poeti Latini vi  possedesse anch’ esso un luogo di delizioso  soggiorno. Li Scrittori delle cose Tiburtine  hanno serbato su di ciò un profondo silenzio >  ed il solo Volpi accenna, ma dubitando, una  tal circostanza (i ). Sapendo però quanto M. stima sse, proteggesse, e beneficasse  non meno quel grande Poeta, si può, e forse  con non debole fondamento asserire, che questo eziandio possedeva presso la Villa del suo  Benefattore o qualche abitazione di piacevole permanenza > o qualche altra possessione.   Infatti, se Orazio era stato arricchito da M.^ se quanto quello àv$ya, doveva ripeterlo  dalla beneficenza di questo,cbe cosa dovrà dirsi  di Virgilio, che in meriti letterarj non er?  certamente inferiore al Poeta di Venosa, e che ( ij Volpi Latinm Vetuslib. Villani in Ty burle habuisse Virgiliani,   suut qui putant, Villae proximam Maecenatis ;   eum tamen neque locum de s igne ni, nec ullus   hoc Auctor scripsit, quod quidem perlegcrim, 1   neque ex ipso Virgilio tei hujus lumen ullum ef fulgeat, id asseverare nonausim. ] aveva dedicato a M. il suo dotto, ed elegate poema sulla coltivazione? Di poi non mancano congetture di qualche  rilievo per credere ciò, che finora si è detto  riguardo alla Villa di Virgilio. L’Ughelli riporta un Diploma, estratto da un Codice manoscritto della Biblioteca del Card» Francesco  Barberini, la di cui antichità non è stata finora contradetta. Questo Diploma è legittimo, ed in esso il Vescovo di Tivoli Uberto  è confermato nel possesso di tutti li suoi beni,  che possedeva nel Territorio di quella Città,  e frà gli altri fondi si fa menzione della possessione Virgiliana : Fundus Licerana, Picianus,  'Galliopini, Vicianus, Virgilianus. ’ì Petrus Crinit. de Poet. Latin. lib. 3.  cap. 45. : Pùblius Virgilius adhunc Maecena tetri libros suos misit, qui Georgica inscribuntur, absolutissimum omnium opus, quae in eo  genere composita unquam ab alio fuerint.  Ughelli Ital. Sag. Hucber,tus Episcopus Tìburtinus vixit temporibus Martini Papae?. Ab eodem Pontifice  omnia privilegia ab Anteccssoribus Ecclcsiac  Tyburtinac concessa, hoc diplomate revocati  meruit, cujus exemplar .,, extat in MSS.  Cod. Biblioth. Card. Francisci Barberini. .che quella anticamente spettava al Poeta Virgilio, e che vi era stata qualche Villa di sua  pertinenza 7 Difatti quante contrade del Territorio di Tivoli sono anche oggi denominate,  Pisone, Cardano, Paterno ec. dai nomi di  quegli antichi Romani, che quivi ebbero del-  le Ville, e la verità delle quali non può recar-  si in dubbio dopo lo scoprimento di monumenti  irrefragabili, e. sicuri?  Se la località di quel fondo Virgiliano non  si fosse smarrita nella notte del tempo, forse  agl’ indagatori delle cose Tiburtine non sareb-  bero sfuggiti li mezzi, onde verificàre la semplice tradizione •, e coll’ ajuto de' scavi i e  coll’ esame di qualche marmo, iscrizione, o  altra reliquia di antichità, si sarebbe potuto  conoscere il sito, ove esisteva, ed anche la  qualità del medesimo ; e non accade così di   Nicolai, Jvan.-et Leonis, quae vetustate consumpta renovantur temporibus D. Martini  Sum. Pont. Potitific. ejus scilicet an,  g., Sugerentc Hucberto Tyburtinae Eccle-  siae peccatore, ethumili Episcopo. Clausura  universa. .. Fundus Li cerata, Pidanus,  Calliopi/ti, Vicianus, Virgilianus. lion poche altre Ville, la di cui memoriaper  lunga serie di secoli si vedeva soltanto sotto  il velo della tradizione?   Nè la forza delle addotte riflessioni, e congetture può essere scemata dal silenzio di tutti  li Scrittori Tiburtini, e segnatamente de' più  moderni Cabrai, e del Re; conciosiachè è  certo altronde, che tanto questi, che gl’altri  omisero di accennare -, che Plinio il giovane  ebbe in Tivoli una Villa ; eppure è indubitato,  che anche una Villa di quell* esimio Scrittore  abbelli il territorio di questa Città. Egli ne  parla espressamente scrivendo al suo amico A-  pollinare,e facendogli il dettaglio de'pregj dell’  altra Villa, che possedeva in Toscana.,, Ecco  le ragioni, dice Plinio, perchè io antepongo la mia Villa Toscana alle altre, che  '» posseggo nel Tuscolo, ih Tivoli, ed inPre-,, neste ; perchè oltre li soprariferiti pregj  5, vi si gode un ozio maggiore, più abbondan-  te, e però più sicuro, e con meno disturbi kl. Non vi é necessità alcuna di vestir Toga;  >, non vi è chi venga a chiamarci, e a invitarci dalle vicinanze, ed ogni cosa si fa con  pace, e quiete. Torniamo alla Villa di  M.. CO Ville di Tivoli Plin. Epist. : ffabes causas cur  ego T uscos meos T usculanis, Tyburtinis ;  Praenestinisque meis praeponam ; narri super   R    a 5 S   È noto, che il sullodato Poeta Virgilio  credendo, che la sua Eneide fosse un lavoro  imperfetto lasciò per testamento, che venis-  se consegnato alle fiamme, e che Tucca, e Va-  rio suoi amici fossero nominati dal medesimo  esecutóri di questa sua ultima volontà, conforme hanno lasciato scritto Gellio, Macro-  bio, e Plinio presso il Volpi.   Augusto non permise, che si dasse esecu-  zione agl’ ordini di tal natura, senza prima  meditare, e ponderarne la sostanza ; perciò  essendosi ritirato con li sudetti Tucca, e Va-», rio nel silenzio, e nella calma tranquilla della  Villa di M., quivi, previo un esame ma-  turo sull’oggetto delicato, fu risoluto secondo  Il pensiero di Lilio GiraWi, seguito dal Vol-  pi (a), che ad onta nelle disposizioni testamen-  tarie dell’Autore, quell" opera divina dovesse  sopravvivere, e trasmettersi alla posterità;   illa, qua e retuli, altius ibi otium, et pin-  guius, eoque securius ; nulla necessitate  togae i nemo arcessitor ex proxima ; placida omnia, et quiescentia: Vedi Marquez Ville di Plinio Porro eam deliberai io n em in hac Villa M. Tyburte su-  sceptam ab iis ( Tucca, e Vario ) cor am Au-  gusto putat Lilius Gir aldi. conforme frà gli altri riferiscono Plinio,  e Sulpicio Cartaginese.   Non è fuori di probabilità, che M. mo-  risse in questa sua Villa di Tivoli. Egli aveva  qui fatto un lungo soggiorno, e si pnò dire an-  cora una permanenza non interrotta negl' an-  ni estremi segnatamente della sua esistenza ; e  perciò sembra, che abbia voluto esalare l’ul-  timo respiro, dove aveva trovato le sue deli-  zie, la sua pace, e il suo sollievo nell' ultimo  periodo della sua brillante carriera. Augusto  erede di quello, come si è detto, ereditò an-  cora la sua Villa sulle sponde dell'Aniene, per  cui posteriormente fu chiamata Villa di Cesare  Augusto, conforme accenna il Kirker, è  dopo di esso il Pitisco E' fama ( dice questo,, Scrittore ) che M. prima di morire i-  3, stitnisse crede della sua Villa di Tivoli lo,, stesso Augusto,al quale nella medesima aveva  per tanti anni esibita la sua ospitalità, per,, cui posteriormente, ed anche fino al pre-PLINIO (vedasi): Divus Augustus  carmina Virgilii cremati con tra testamenti  ejus verecundiam vetu.it. J usserat haec rapidis aboleri carmina   flammis   Virgilius, Phrygium quae cecinere ducem .  Tucca vetat, Variai simili, tu, maxime Caesar,   Non sinis, et Latiae consulis historiae.  Lat. vet. et nov. lib. 3 > n.4. §.1.   R 2   ! o   sente giorno si chiama Villa di Cesare Augnasto. Potrebbe ora darsene una descrizione to-  pografica, ma su di ciò si farebbe un lavoro  del tutto superfluo, nè potrebbe dirsi di van-  taggio i nè meglio parlare di quello, che h an-  no detto, e parlato li succennati Pitisco, Cabrai, e recentemente Marquez nella sovra-  indicata Dissertazione. Se questo valente Scrit-  tore aveva dato saggi commendevoli delle sue  cognizioni, e del suo criterio nelle opere a  quella antecedenti, e segnatamente nel Libro  sulle Ville di Plinio il Giovane, e nell'altro  sulle Case di Città degli antichi Romani ; nel-  le Illustrazioni sulla Villa di M. ha  fatto conoscere la penetrante oculatezza del  suo 1nge2.no nel discoprire, e disegnare le noti-  zie relative airuscnraAntichità;eperciò ad es-  se Illustrazioni ritaettramo gli eruditi Lettori. Loc cit. Art. Villa : Maeccnas moritu -  rus, cum tot jant annis Augustum hospitem in  hac Villa recepisset, eumdem Villac haeredem constituisse fertur, ut proinde vel ex hocco -  pite non Maecenatis dumtaxat, sed et Augusti  C cesar is in hutic diem appclletur.  s'6t   FEBRE PERPETUA   » febris est, sicut Cajo M. . Eidem  triennio supremo nullo horae momento contigit somnus .  L’Arduino nelle notea questo luogo di Plinio  ci previene, che Giovanni Schenk nel libro-  primo delle sue mediche Osservazioni riporta  varii esempj d’ Individui, che non viddero il  sonno per lo spazio di quattordici mesi, .ed  anche per un intero decennio. In Not. cap. 5 a. lib: 7: Plin. : Afjìrt  exempla nonnulla eorum, qui mtnsihus quatuOr-  ZT '   a 6   Non è mio scopo di esaminare, se cosi  lunghe veglie possano darsi in natura, come  ancora se possa un mortale vivere gran tempo  con la compagnia disgustosa di una febre continua. Questo esame forma 1’ oggetto, e la  materia esclusiva di que’ Dotti, che sono nell'  arte medica versati, e perciò io mi tratterrò  nel vedere, se quel Cajo M., di cui par-  la Plinio, è M., di cui si è scritta la  Storia; e posto che d’esso sia, si osserverà se  sussista la realtà di quella febre perpetua:, e  della pretesa veglia triennale.   Pietro Crinito afferma non esser certo, che  il M. allegato da Plinio sia quel Mecena-  te Consiglierò, Favorito, ed Amico di Augusto. Notatum est a Plinio ( dice quello ) in-  j, ter mirifica Naturae officia eum M. nnmqnam horae momento dormisse per  totum trieimium ante obitum, sed hoc non piane compertum est, an referendum sit ad,, alterum Maecenatem . Al contrario il Cenni è di opposto sentimen-  to, ed impugna il Crinito in questi termini:,, Ma sia detto cou pace del Crinito, questo dubbio parmi senza ragione. Da Plinio si,, parla del nostro, e non di altri Mecenati  decim, qui decennio Coto somnum non viderint  Jo.Schenkius Observat. Medie, lib. i. pag. p3.  De Poet. lat.. Qicuxi ^ 00 Jsx-Cl o Qg I, Ora è possibile t che questo soltanto ayes-;  se la notizia cosi precisa di questi fatti, e che  ’ o •   (i^Lib.a.Art,t>$ la medesima sfuggisse a Vellejo, e a Cornelio  Tacito contemporanei di esso Plinio, e s’igno-  rasse da Svetonio, da Appiano, e da Dione,  che vissero, e publicarono le loro Storie nel  secolo posteriore all’esistenza di quel Natura-  lista? Di più Macrobio ne’ suoi Saturnali,  opera critica, ed erudita, non omette di  parlare di molte qualità personali di Cajo M., delle quali si è fatto già menzione, e  serba un profondo silenzio sulla febre perpe-  tua, e sulla veglia triennale, di cui si parla. Lo stesso deve dirsi di Seneca. Egli mormora  spesse volte, aguzza la lingua nelle sue Opere  sulla condotta del Consiglierò di Angusto, ne  critica il lusso, le ricche abitazioni, le squisi-  te mense ec., ma benché sia contemporaneo di  Plinio nulla dice di preciso sul fatto contro-  verso. Ma si supponga, che il M. accenna-  to da quello sia il M., che è l’oggetto delle nostre storiche ricerche . Sussisterà  in questa ipotesi quella febre continua, e  quella veglia triennale ? Pareva incredibile al  lodato Giraldi questa veglia triennale, e peno-  sa del nostro M., e non ne sarebbe giammai restato persuaso, se la sua credulità non  fosse stata sorpresa da un’ altro fatto più stravagante s riferito da Olimpiodoro Alessandri-,  no, ij quale suppone, che un Uomo vivesse  senza mai dormire, pascendosi di sola aria,  o di luce. Quindi io giudico ( scrive il ?6q,, raldi ), che proveniése a M. quella è-  sica indisposizione di non aver potuto dormir  »» mai per no intiero trienoio ; ciò che mi   i, sembrava quasi incredibile prima che leggessi in Olimpiodoro Alessandrina che  « nn Uomo visse senza mai dormire, pascen-  dosi di solo aere solare, ed in conferma di tale portento cita quello l’autorità di Aristatele. Alcuni,frà quali il sullodato Cenni (assono  d avviso, che Seneca abbia parlato della sudet-  ta veglia triennale di M., allorquando  fauna specie di parallello frà questo, ed il  celebre Attilio Regolo Veniamo ora ( dice  » Seneca ad Attilio Regolo . Perchè la fortn-  »> na gli nocqne quando egli diede quel grande argomento di fedeltà, e di pazienza? Trapassano li chiodi la sua cute, dovun-  y, que rivolge, ed inclina le sue membra affaticate incontra una ferita, e le sue luci sono aperte ad una veglia perpetua . Cre-  : Mine illi (M.) existimo cantigisse, c/uod a Plinio scribitur, ut per triennium non dormieril, id quod  ego vix credideram ni ti antiquum apud Olim-  piodorurn Alcxandrinum in Phaedonis Commentario legissem, hominem insomnem vixisse,  qui solo aere solari nutriretur, atque in eo miracolo Aristotelem citai., di tu, che sia più fortunato M., il quale divorato dagl’amori, c da replicati  », ripudj della ricalcitrante consorte, si pro-,, caccia il sonno mercé l’armonia de’ musi-  si cali istromenti, che da lungi echeggiano, soavemente? Ma benché egli prenda sonno   colla forza del vino, scuota, ed inganni  il suo animo col mormorio dell’acque cadenti, e con mille altri generi di piaceri, tnttavia veglierà nelle piume, come Attilio, Regolo nella croce . (Non si comprende però come Seneca in que-  sto luogo voglia indicare la pretesa veglia tri-  ennale di M., giacché la sostanza dei  suo discorso si è che questo, essendo vessato  dall’ amore sconcio, e dal carattere inquieto De Provid. Veniamus ad Re-  gulum : quid illi fortuna nocuit, quod illud  documentimi j Idei, documentimi patientiae fetic ? Figunt cutem davi, et quocumque fatigatum corpus reclinai, vulneri incumbit, et  in perpetuam vigiliam suspensa sunt lumina F eli ciorem ergo tu Maecenatetn patos,  bui amoribus anxio, et morosae Uxoris quoti-  diana repudia deflenti, somnus per symphoniarum caritum a longinquo lene resonanlium  quaeritur ? Mero se licei sopiat, et fragori-  bus aquarum avocet, et mille voluptatibus  mentem anxiam fallat, tam 'vigilabit in piu-  ma, quam ilio in croce di Terenzia stia moglie, che egli arnav^  perdutamente, procura di sollevarsi  con il vino, con lo strepito piacevole delle  acque cadenti dalle rupi, e con altri mezzi capaci a discacciare, o mitigare la noja dello  spirito ; aggiunge inoltre, che ad onta di tut-  to questo, M. non trovava sollievo, come Attilio Regolo tormentato dalla barbarie  degli Africani nella botte guarnita di punte di  ferro. É’ pur troppo vero, che una moglie fornita  di un Carattere infedele, caparbio, ed incostante potrà tenere in grandi inquietezze un  onesto marito, dal quale è amata, manonpare verisimile, nè credibile, che tali inquietezze possano giungere fino al grado di cagio-  nare una veglia non interrotta di più anni.  Perciò si può convenire nella supposiziqne di [Girald. loc. cit. Porro Terentiam Maccenas miro amore deperiti } .ut Acron, et Porphirion tradidere. Cantei, Not. ad Valer. Max.  lib.l. de Relig. Dir is sane suppliciis crucactus est Attilius : primum quidem, et id  tantum cibi datum est, un de vitam aegre su-  stentaret, et adductus Ltiphas, a quo territus  nec animo, nec corpore conquiesceret : tum,  praecisis palpebris ne connivere posset, solis  radiis'objectus est : in dolio denique inclusus  praefixo davi culti, quorum acuti it misere lacerai us inceriti, Seneca riguardo alla' sùdetta Terenzia moglie  di M.; si può convenire, che ella sarà  stata di Un umore capriccioso, ed indocile ;  che M. ne avrà provati disgusti, ed  amarezze, e che per discacciarle lóntand dal  suo spirito filosofico, avrà profittato di tutte  le possibili risorse ; non si può però ragione-  volmente, e giustamente conchiudere, che per  tal motivo non potesse procacciarsi il sonno  per il non breve intervallo di un intero trien-  nio; nè si può comprendere^! torna a ripetere,  come Seneca abbia nel citato luogo voluto si-  gnificare ciò, che Plinio ha riferito sulla pre-  tesa veglia triennale del nostro M. i  Passiamo alla febre perpetua. La febre è annoverata fra li pallidi morbi >  che affliggono miseramente la specie umana. Quell' individuo, che da una febre viene mo-  lestato, e da febre di tal carattere, che non  abbandona giammai il povero paziente, è impossibile, che possa agire con energia, e  trattare affari di sommo rilievo . Da quanto si  è detto nel decorso della Storia del nostro M., risulta pienamente, che egli fin dall’  età più verde incominciò a prestare i suoi servigi ad Ottavio Augusto prima del Triumvira-  to, fin dopo inalzato al Trono. Si è rimarcato, che iu tutto questo tempo affrontò le imprese le più faticose; segui qualche volta il  suo Monarca anche frà lo strepito delle Armi }  governò lunga stagione Roma, e l’Italia, dissipò congiure pericolose, ed usò in tutte le i operazioni, che gli furono affidate, eoraggio, fermezza, e straordinaria vigilanza. Se pertanto fosse stato sottoposto ad una  malattia di una febre perpetua, come è possibile, che avrebbe egli potuto agire con tanta energica attività per disimpegnare gl’incarichi laboriosi, che tutto giorno riceveva  da Augusto? Ola febre è una malattia, o non  è malattia . Se non è una malattia tutto è conciliabile, ma siccome non può mettersi in que-  stione, 'ch’ella sia un malore, che sconvolge il  sistema fisico deirUomo, cosi sembra potersi  dire, che Plinio in quel luogo, 0 ha parlato  di qualche altro M., o se ha parlato  del nostro le sue assertive non possono in verun conto fissare la fiostra attenzione. Impugnando però questo passo di Plinio, noi  non abbiamo avuto il pensiere di divenire il  censore di quel celeberrimo, e laborioso scrittore della storia naturale. Egli esige  tutto il rispetto de’letterati, li quali conoscono, che quella sua opera magnifica gli procacfciò meritamente un posto brillante nel tempio dell’immortalità. Ma in un si grande lavoro, in cui dovette giovarsi, e profittare  degli occhi, e delle mani di molti, non deve  recar meraviglia, se egli avesse inserito una  qualche opinione grossolana, e popólare . Il medesimo dice ancora, che quel Caio Melisso M., Liberto del nostro Cil- [TIRABOSCHI (vedasi), Stor. della Lett. Ital., «io per guarire da uno sputo di sangue, no  parlò mai per lo spazio di tre anni. Questo fatto è pure singolare, meno però di quello della  febre perpetua, e della veglia triennale . Plin. Jamet  sermoni porci multis de causis salutare est.  Triennio M. Melissum accepimus silentium sibi imperavisse a convulsione reddito  sanguine. L' Arduino nelle note a questo luogo  di Plinio osserva, che in alcuni Codici invece  di Melissum si legge Messium, conchiude però, che ne Codici più accurati si trova scritto Melissum. Potrebbe dubitarsi se il Melisso, di  cui qui si parla, sia veramente il Liberto di  M., giacche Svetonio de lllust.  Gram. nomina are Melisso Lenèo. Fulgenzio Withol. fà menzione di un Melisso Euboico. Alberto Magno de Anim. Tract. loda un Melisso autore di un libro sugl’animali. E Laerzio. rammenta parimenti un Melisso. Ma il lodato  Arduino è d'avviso, che il Melisso accennato  da Plinio è il Cajo Melisso M. Liberto  del nostro M. : Meminit Svetonius  ( Hard, in Ind. Auct. Plin. ) Caji etiam  Melissi, quem Maecenati gratissimum etiam  fuisse ait, ac Biblidthecarum in Octaviae Portico ordinandarum curam accepisse, a Patrono suo Cajus Melissus M. dictus est .  Hic eriim illc est, quem Maecenatem Melissum  scribi oportet, apud Pliriium. Cajo Melisso Mecenate. Luigi Speranza, “Grice e Mecenate”, The Swimming-Pool Library. Mecenate.

 

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