Luigi Speranza --
Grice e Mecenate: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma).
Filosofo italiano. Gaio Cilnio Mecenate. Interessi filosofici prova lui, il
potentissimo consigliere d'Ottaviano. Di origine etrusca, e probabilmente
aretina, discende da stirpe regia, ma volle restare semplice cavaliere
romano. Combattè a Filippi per i triumviri e e intimo di Ottaviano che
egli cerca di conciliare con Marc'Antonio, siechè ha luogo l’incontro di
Brindisi. Per conto di Ottaviano si reca presso Marc'Antonio affinchè
partecipasse alla guerra contro Sesto Pompeo. Lui e il rappresentante di
Ottaviano a Roma e in Italia con poteri illimitati. Ottaviano si serve di
Mecenate in pace e in guerra e trova sia in lui che in Agrippa il sostegno più
sicuro del suo principato. Ma egli deve la sua fama imperitura alla
protezione che concesse ai maggiori filosofi del tempo suo. Restano pochi
frammenti dei scritti del M. in versi e in prosa, nei quali, e specialmente nel
Simposio o convito, opera che introduce in Roma un genere letterario molto
coltivato in Grecia, mostra di subire l’influsso dei filosofi dell’Orto. Interessi
filosofici e influssi epicurei si manifestano negli seritti dei maggiori
filosofi del circolo del Mecenate. Maecenas wrote several works, none of which have come
down to us. Their loss howerer is not much to be deplored, siuce, acoording to the
testimony of many ancient writers, they were written in a very artificial and
affected manner (Suet. ‘Octv.,’ ; Sen., ‘Epist.’; Tac. ‘Dial. de Orat.,’, who
speaks of the ‘calamistros Maecenatis. They consist of poems, tragedies (one
entitled ' Prometheus,' and another 'Octavia'), a history of the wars of
Augustus (ORAZIO, 'Carm.' ), and a symposium, in which VIRGILIO and ORAZIO were
introduced. The few fragmente which remain of these works have been collected
and published by Lion under the title of ‘Maecenatiana, sive de C. Cinii
Macenatia Vita et Moribus,’ Göttingen. Maecenas' known works include a
Symposium, with such notables on the guest list as Horace, Virgil, and
Messalla, and, if a fragment from Plutarcocan be trusted, some pretty clever
dinner conversation. Servius, Aeneid: Facilesque oculos fert omnia circum:
physici dicunt ex vino mobiliores oculos fieri. Plautus faciles oculos habet,
id est mobiles vino. Hoc etiam Maecenas in Symposio ubi Vergilius et Horatius
interfuerunt, cum ex persona Messallae de vi vini loqueretur, ait 'idem umor
ministrat faciles oculos, pulchriora reddit omnia et dulcis¡uventae reducit
bona.' Cf. Plut. Mor. frag. 180: 'Ev tô cuvosívo tỘ toû ManvaTúTEÇa ¿YYóo, N
unò tị Koía tò HéyE0os HeyíGTh Kai kán2os auaxos. kai ola sikòsETAVOUV ARZOL
ANNOS AUTHV O SE TÓPTIOS, OUK EXOV O TI MAp ¿AUTOû TEpaTEÚGaGOaL,Glyñ ysvousn,
"EKsivo dE ouK ¿vvosits, d pior Guunótal, Oc otpoYyún sotì Kai
ayavrEpIpEp'S." ¿ TOÍVUV TẬ ¿páTO KORaKsia, Ó5 tÒ siKóS, yéS KatEppáyn.
For the possibility that this incident may come from Maecenas' Symposium see
Jiráni 1932, 1-12; Lunderstedt. Perhaps M.'s Symposium should be added to the
list of possible antecedents for Petronius' Cena. %//»
ftt.y. !f '8 )>: 9 .éffsuz^ncsÉ OtjJ A, «a
k.Sm i STORIA DI CAJO CILNIO M.
CAVALIERE ROMANO SCRITTA, X DEDICATA A S. A. S. il Signor
Principe FEDERICO DI SAXE-GOTH A DaU’Avv. Sante Viola
P. T. ROMA i8£Ó.
Presso Francesco Bourlié Con Lic. de' Sup. mm. 9 A spese degli
Eredi Raggi Libra] al Camita«1 ALTEZZA SERENISSIMA Allorché io
mi occupava a raccogliere le Memorie Istoriche della Vita di Cajo Cilnio M. 9
pensai ocacciare al mio Libro un Protettore nella Persona dell’ A. V.
S. sapendo quanto sia benemerita della Letteratura, delle Arti, e
de’ loro Coltivatori ; e sebbene la piccolezza della mia Offerta dovesse
sgomentarmi, tuttavia fatto coraggioso dalla grandezza del suo magnanimo
cuore, restai fermo nel mio pensiero, persuaso, che la Storia delle
geste civili, politiche, e morali di quell’ esimio Cavalier Romano, doveva
presentarsi ad un Principe i nel quale si ammiravano per singoiar modo
trasfuse le doti più belle \ di cui era quello fregiato. E come non
dovrà celebrarsi P A. V. S. nel vederla animata dal genio istesso
del gran Cibilo riguardo al progresso, ed al miglioramento delle Arti > e
delle Scienze? In Roma, Capitale di un vasto Impero, M.
avvalorava i talenti, proteggeva i Dotti, e dava così un impulso potente alla
Civilizzazione del Genere umano ; e F A. V. 5. nell* istessa
Capitale, ora Sede, e Maestra del buon Gusto, e delle Arti, accoglie con
amorevolezza, onora con discernimento, protegge con costanza tutti gli
Artisti, e Letterati, de’ quali la stima, la venerazione, e T amore
sono ben dovuti all’A. V. per quella soavità di maniere, ed
eminenti virtù, che in tanta copia brillano i n tutte le di Lei azioni. Se l’A. Y. S. si degna di
accogliere sotto la benefica, e valevole sua Protezione questo mio
qualunque siasi lavoro, andrà esso fastoso vedendosi onorato di qùelNome
illustre, che ridesta la dolce memoria de TI grandi Avi dell’ A. V. S. i
quali in ogni epoca recarono decoro alla Patria, onore, e gloria alle
Contrade Alemanne. Supplico PA.V.S. di aggradire i sentimenti di
quella profonda venerazione, ed invariabile ossequio, con cui ho, l’onore
di rassegnarmi. Di V.A.S. Vino Dmo
Obbmo Servo SANTI VIOLA, Nello scrivere la Storia di Caio
Cilnio M. ebbi di mira soltanto la riconoscenza dovuta alla memoria
di questo grand' Uomo, che fù il più zelante promotore delle belle Letter
e, l'Amico sincero, il Protettore liberale di tutti li Letterati suoi
contemporanei. Per lo spazio di circa tredici, o quattordici
Secoli il nome di M. fu sepolto, per dir cosi, nel seno dell' oblio ;
effetto della barborie de' tempi. Giovanni Meibomio fù il pririio a
raccogliere tutte le notizie relative alla Vita di questo esimio
Cavaliere Romano, e nel i6Sj. ne stampò in Leida un Libro avente per
titolo : M., sive de Caji Clini M. Vita, moribus, et rebus gestis. Prima del
Meibomio ne aveva scritta una Storia Gio. Paolo Martire Rizzo in- lingua
Ca stigliarla. Ma quest’Opera non potè procacciarsi un incontro felice per le
stravaganze, di cui era ripiena, portando l' impronta piuttosto di un
Romanzo, che di una Storia, conforme osserva il lodato Meibomio. Praeloq. ad
Lect. : Historia Vitae Maecenatis a Jo. Paulo Martire Rizzo Lingua Cast igliana
de script a. . Tantum enimabest, ut illa sit historia, ut parum absit ad
fabulas abeat. Circa treni' anni dopo l’Opera di questo, cioè, Cernii
diede alla luce in Roma con le stampe di Lazzari una Vita di Cajo M. Ma
questa operetta per lo stile inelegante, ed uniforme al gusto di
quel secolo, sembra che non riportasse tutta l’approvazione de’letterati, essendo
caduta in una quasi totale dimenticanza ; ciò non ostante l' Autore, con la
scorta del sudetto Meibomio, non omise di riunire molte notizie
sulla Storia di M., estratte dagli Autpri antichi. Altri ancora posteriormente hanno
parlato, e scritto sul medesimo soggetto. Nel 1 j 46. fu publicata
in Parigi da M Riclier una Vita di M., e successivamente V Abb.
Souchay fece una raccolta di notizie in una Dissertazione inserita nelle
Memorie dell'Accademia dell’Iscrizioni, intitolata Ricerche intorno M.
Avendo profittato de' lumi, che questi Autori diffusero nelle loro Opere, e non
avendo omesso di esaminare li Scritti di Livio, Dione Cassio,
Appiano, Tanfo, e Vellejo Patercolo fra li Scorici antichi, non che quelli
dì Seneca, Macrobio, ORAZIO (vedasi) Flocco, Virgilio, Properzio,
ed altri, ho tessuto questo qualunque siasi lavoro, con aver procurato di
non CO Tiratosela Stor. della Lett. ltal.. ... r j deviare
nella narrazione de' fatti dà un ordine regolare, e cronologico. Fra li
moderni ho fatto uso delle Storie del dotto Inglese Lorenzo Echard
(1), e degli eruditi Catrou, e Rovillè (2 ), nelle quali oltre a non poche
notizie relative al mio assunto, ho toltili materiali sulla Storia
contemporanea, con aver però ri-* scontrati li fonti, in cui quelli
avevano ati tinto, Lapresente Operetta è divisa in IV Libri. N
el primo si sono rintracciate le Notizie sull’ origine, e sulle qualità
della Famiglia de' Cilnj ; si fissa l’epoca, in cui il nostro M. può
essere entrato nella CorQe di Ottavio Augusto, e si nota tutto ciò che vi
ha di più rimarchevole sulle di lui geste e precedenti al
Triumvirato, e dopo di esso fino alla Cuerra detta di Perugia, cagionata
dagl intrighi di Fulvia Moglie del Triumviro Marcantonio. Contiene ancora le operazioni del
medesimo M., e prima, e dopo la disfatta di Bru-> to, e Cassio
nelle Campagne di Filippi, (1) Storia Romana dalla Fondazione di Roma
sino alla Traslazione dell’ Impero sotto Costantino scritta in idioma Francese
dall’ Abb. delle Fontane sopra l’Originale Inglese. Venezia
1751. (*) Histoire Romaine depuis laFondation de Rome par les
RR. PP. Catron, et Rovillè. Paris. Il
secondo Libro comprende la serie de folti relativi alla Storia di M.
dalla indetta disfatta di Bruto fino alla morte del succe rinato
Marcantonio, c della famosa Cleopatra, Epoca, in cui Ottavio rimase il solo
Dominatore della Romana Gran dezza. N el terzo Libro si vedrà il Congresso
tenuto da questo con Agrippa, e M. per deliberare, se, stante V
estinzione del Triumvirato, dovesse ristabilirsi nel suo stato primitivo
il sistema Republicano, o se dovessero gettarsi le basi di una Monarchia
Universale, e qui si leggeranno li giudiziosi, e politici discorsi,
recitati l’uno da Agrippa, che perorò per la Repuhlica, e l’altro da M.,
il quale fa di opposte sentimento, ed opinò per lo stabilimento della
Monarchia ; e come Ottavio antepose le ragioni di questo alle riflessioni
di quello. N eli’ ultimo Libro si conoscerà quale fesse l influenza
di M. sullo spirito di Ottavio, divenuto Imperadore, e quale la deferenza di
questo verso di quello. Si ravviserà inoltre quanto grahde fosse la
protezione, c la liberalità di M. verso i Letterati, e quale
impegno avesse per il progresso dèlia Letteratura, e delle Scienze. In
fine sipario della Morte. Hò creduto di aggiungere, dopo la Storia, Appendice
divisa in tre Discussioni, che sonuninistrano de' schiarimenti, ai altre-
memorie, che in quella, q erano state omesse, o appena accennate. Le
prime due Discussioni abbracciano Le notizie relative ai celebri Giardini,
ed Abitazione, che M. possedeva in Roma, ed alla magnifica sua Villa
situata sulle sponde dell ’ Aniene presso Tivoli. La terza si
aggirerà sulla pretesa Febre perpetua, e Veglia Triennale, che Plinio il
Naturalista attribuisce a M. Tutte le volte, che questo grand’Uomo
trovò degl' imitatori nella protezione, e nel favore delle Lettere,
e dei Coltivatori delle medesime si viddero comparire degl ' ingegni
prodigiosi, e la Letteratura fece mirabili progressi, In fatti a
questa imitazione siamo debitori di tante utili scoperte, e di quelle
venuste produzioni dello spirito umano, che viddero la luce sotto i
Leoni, sotto gli Alfonsi, e in tutte le altre epoche, nelle quali le
fatiche de' Dotti furono r.icompcnsate, ed avvalorati li talenti. Se pertanto
questa imitazione non sarà posta in oblìo, e se il nome di Cajo Cilnio M.
non sarà dimenticato, li Secoli successivi saranno sempre più migliorati,
ed illuminati dallo sviluppo delle umane cognizioni. LI Poeta Marziale, che vivgpa in un
epoca, in cui la Letteratura inclinava alla sua decadenza, si lagna, e fa
conoscere, che allora non esistevano dei Mecenati, che non erano le
scienze protette, e che perciò non si vedevano comparire ingegni sublimi. Ti
meravi gli > 0 Fiacco, che a tempi nostri. .. manchino ingegni
simili a quello di Virgilio,, Marone, c che niuno sappia cantare le mi-,,
litari imprese con una tromba eguale alla sua. Io ti rispondo, che se vi
fossero de * Mecenati, come quelli, che vissero sotto I Impero di
Ottavio Augusto, vedresti svilapparsi altri Genj niente inferiori a quello,,
del Poeta Mantovano. Era stata a questo rapita la sua piccola Possessione
presso Crcmona, implorò la protezione di M.,,, pianse, e sotto il nome diT
itiro cantò in,, stile boschereccio le perdute pecorelle. Rise al suo
flebile, ma dilettevole canto il Toscavo Cavaliere, e tantosto fugò da esso la,,
maligna povertà. .. Allora Virgilio concopi la grandiosa idea dell ’ Eneide . Se
tu dunque, o Fiacco, sarai benefico come M., e mi ricolmerai di doni, ti,,
assicuro, che anche io diverrò Virgilio (l). ( i) Martini. Lib. 8.
Epigr. 55. ad Flaccnm. Temporibus nostris ìngenium
sacri miraris abesse Maronis; Nec quemquam tanta bella sonare tuba.
$int M. s, non deerunt, Flacce, Marones.
Jugera perdiderat miserae vicina Cremonae, y Flebat et adductas T
ityrus aeger opes. Jìisit Tuscus
Eques, paupertatemque malignarti Rcpulit, et celeri jussit abire
fuga, Digitized t XIII Nello scrivere la
presente Storia non pretendo di aver fatto un lavoro completo, nè di aver
raccolto tutte le Memorie sulle avventure politiche, morali, e civili di
questo esimio Cavaliere Romano. Se non vi sono riuscito, non fu colpa
della mia volontà, o effetto di trascuratezza. Qualunque mancanza si deve attribuire
alla ristrettezza delle mie cognizioni, e de’ miei talenti. Può essere
però, che all' impulso di quésto mio travaglio altri si scuotano in
seguito, che forniti di migliori materiali, ed ingegno più elevato,
sappiano supplire alli miei difetti- Io gioirò allora nel mio cuore,
e leggendo novelle prbduzio'ni, e nuove scoperte intorno alle geste
del mio Eroe, sarò ben contento di apprendere da altri, ciocchi io aveva
tentato di conoscere colle mie fatiche. Protinus
Italiam concepii, et arma virumque. Ergo ero Virgilius si munera
Maecenatis E>es wihi. . v w. v i y* N
A STORIA DI CAIO CILNIO M. _| ràle famigli» le più
antiche, e doviziose di Arezzo nell’Etruria meritamente è annoverata quella de’
Cilnj. Circa la metà del quinto Secolo dopala fondazione di Roma, e
duecento novant’ anni puma dell’Era volgare la medesima figurava
luminosamente non solo nella propria Città:, ma eziandio sopra
tutta la Nazione ; se noti che le grandi ricchezze avendola resa
troppo orgogliosa, e prepotente, si procacciò l’odio, e l’ invidia, delle
altre famiglie, e de’ suoi concittadini, e fu sottoposta a disgustiose
vicende. Nell’ epoca succenuata, e
precisamente nell’ anno 4S0. di Roma, fu ordita nel seno stesso
della sua Patria contro di quella una terribile congiura # e quantunque,
per mezzo de’ suoi rapporti, ne giungesse al discoprimento,, non potè però
impedirne l’esplosione. Gli Aretini presero le armi risoluti di
discacciarla dalla Città, e non avrebbe potuto disimpegnarsi dalla
pericolosa situazione, se non avesse trovato un appoggio nelle
forze della Romana Republica., Questa aveva già sperimentato
più volte la A Digitized by Google
* potenza, ed il valóre degli Etrusci, che in quel tempo
costituivano una nazione popolosa, formidabile; e guerrierafi) e se aveva
su di questa riportate delle vittorie, TEtruria non faceva ancora
parte delle provincie Romane ad essa confinanti. In questa occasione, o
fosse realmente per soccorrere li Cilnj » o più probabilmente per
profittare delle interne dissensioni, Roma vi spedi il Dittatore
Marco Valerio Massimo con un’ armata. Sebbene lo Storico Livio narri il
principio, il progresso, ed il termine di questa insurrezione degli
Etrusci, nutladimeno, secondo il medesimo, sembra, che riuscisse al Generale
Romano di calmare li sediziosi movimenti degli Aretini, e di riconciliare
la Plebe, con la detta famiglia de' Cilnj i senza alcun fatto
d’armi rimarchevole, e sanguinoso,, Correva,, la voce ( dice Livio ) cbe
l’Etruria avesse inalberato lo stendardo della rivolta, e che
erasidato principio! alla medesima dalle sofnmosse degli abitanti di
Arezzo, nella qual Città la prepotente famiglia de’ Cilnj,
invidiata perle ricchezze, voleva scacciarsi colle armi Alcuni Autori,
che (l j> Livio lib.q. Cap.iqi Prodigato Samnitium bello ;. .. Etrusci
belli fama exorta èst, non erttt ea tempestate gens alia, cujus . .,.
arma terribiliora esscnt cum propinqui tate agri, tum muli ita din è
hom&nutn, y tengo presso eli me, affermano, che per iopera del
Dittatore, calmati li sediziosi movimenti degli Aretini, e ricpnciliata
Plebe con la famiglia de’ Cilnj, fosse ricondotta la quiete nell’Etruria, senza
alcun fatto d’ armi memorabile (i). Dopo due anni però, cioè
nell’anno 453, si accese nuova guerra fra questa, e laRepublica Romana. Sene
ignora la, cagione, e non si conosce qual parte vi prendessero i
Cilnj, e sebbene l’E trulla fosse costretta a chiedere la pace, tuttavia
dopo breve tempo fu indotta a novelle ostilità dai Sanniti. Questi popoli guerrieri sempre inquieti
> benché sempre vinti dai Romani, nell anno 557. tornarono all’
armi, e fecero tptti li sforzi per stringere un'alleanza offensiva
con le popolazioni Toscane Etrusci ( cosi parlarono li Deputati de’
Sanniti ) piu d’nna volta ci siamo cimentati ne’ campi di Marte con
le Coorti Romane ; abbiamo dimandata Lib. io. num. 3. e 5. Multiplex de
inde exortus terror. Etruriam rebellare ab Aretinorum scditionibus, mota
orto, nuntiabatur, ubi Cilriiurn genus praepotens, divi tiarum invidia
pelli armis ceptum Ha* beo Auctores, sine allo praolto pacatam a Dittatore
Etruriam esse, seditionibus tantum, Aretinorum compositis, ctCilnio
genere cuoi plebe in gratiam redacto. . L. . v ) la pace, quando
non potevamo sostenere più lungamente il peso della guerra. Siamo
tornati ora a' prendere nuovamente le armi, perchè la pace ci era più dura
degli orrori di quella L’unica nostra speranza però, la sola nostra risorsa
risiede nella nazione Toscana, nazione ricca, bellicosa, e fertile di
guerrieri. Se noi avremo il vostro ajuto, e voi risveglierete ne’ vostri petti
quel coraggio,. con cui Porsena, e i ^vostri Maggiori spaventarono Roma
istessa, nulla avremo a desiderare (i). Li Sanniti ottennero ciò, che bramavano.
Gli Etrusci accedettero alla lega, e la
guerra cominciò con furore. Ma non era ornai più tempo di resistete
alle forze delle Republica Romana già divenuta invincibile .'Eglino furono
superati, e la sorte, che incontrarono in questa, incontrarono ancora
nelle altre guerre posteriori, finché furono costretti a sottoporsi
alle leggi, ed all' impero di quella. Quantunque la Storia ci abbia occultato
le avventure de’ Cilnj, dopo che l’Etruria fu da’ Romani soggiogata,
pure sembra potersi credere, che continuassero sempre ad occupare un
rango distinto fra le famigliedella Nazione. Imperciocché se deve -prestarsi fede al
Poeta Silio Italico, nella seconda guerra Punica un individuo di
essa famiglia militò contro Anni • I ., N 1 • Tit. Liv. lib.io. cap.x i. w.
•. baiò sotto le bandiere Romane e tuttoché restasse
prigioniero, diede argomenti di coraggio, e di valore. Avendo Annibaie superato le Alpi, incontrò
nelle vicinanze della Liguria il Consolo Cornelio Scipione, che con un’
armata Romana voleva contrastargli la marcia ; ma impaziente il Generale
Africano di dare esecuzione al già meditato progetto di conquistare
l’Italia* e impadronirsi ancora del Campidoglio, attaccò l’esercito
nemico. La battaglia fn incominciata, e sostenuta con accanimento dalla Cavalleria
Numida, e le truppe di Scipione furono completamente disfatte. Egli
stesso rimase ferito, e sarebbe caduto frà le mani de’Cartaginesi, se non
avesse combattuto al sno fianco Scipione di lui figlio denominato
posteriormente Africano. Questo giovane guerriero, benché in età di soli
diciotto anni, salvò il padre con il suo coraggio, e diede in tale
occasione li primi saggi de’ suoi talenti militari. Questa
terribile battaglia, e questo disastro dai Romani sofferto accadde tra il Pò,
ed il Ticino nell'anno di Roma 536. (i). (i) Dion. Cas. lib. 14. Eutrop. lib.3.
Florus lib.a. Cap. 6. Ac primi quidem impetus turbo inter Padum ac Ticinum
valido statim fragore delonuit. Tunc Scipione Duce,fusus Exercicus, saucius et
ipse venisset in hostium ma nus Imperator,niii protectum patrem praetex
«I 6 Frà li molti prigionieri di distinzione
fatti da' Cartaginesi si numera un Cilnio della Città di Arezzo nell’
Etruria. Giovanetto anch' esso, come il figlio del suo Generale, combatteva
nella Cavalleria Romana. Il suo Cavallo ferito cadde nella pugna, ed egli
restò prigioniero. Il surriferito Silio Italico, che narrò in versi
tutte le azioni di questa guerra formidabile, cosi si esprime Cilnio d’ il-,,
lustre prosapia, e nato nella Città di Arezzo, situata nelle contrade Toscane,
da un destino crudele era stato spinto sulle rive del Ticino, benché
giovanetto; quivi nel furor della mischia, balzato al suolo,, dal suo
Cavallo divenuto furibondo per una,, ferita, era stato costretto a sottoporre
il collo alle Libiche catene „(i). Annibaie bramando di
conoscere le geste, e l’origine di Fabio Massimo Dittatore Roma tatus
admodum filius ab ipsa morte rapuisset. Sii. Italie, lib.7. de Bell.Punic.
ver.ao. At Libyae Ductor postquam nova nomina lecto Dìctatore
vigent ....• Oeyus accìtum captivo ex agmine poscit
Progenicm,rituscjue Ducis,dextr aeque labores; Cilnius Arreti Tyrrhenis
ortus in orit Clarum nomea erat, sed laeva adduxerat fiora Ticini
juvenem ripis, fususque ruentis V ulnere equi, Libycit praebebat colla
catenu. Cop ale i no» di cui tante cosq narrava la
fama, ne interroga il sudetto Cilnio suo prigioniero. Questo appaga il Generale Africano, ma
gli parla con franchezza, e coraggi^, e gli fa Conoscere in fine,
che piu della schiavitù, cui era stato per disavventura sottoposto,
amala morte. Offeso .quello dall’ardita risposta di Cilnio, cosi lo
rampogna. Indarno, q folle, cerchi di accendere il mio sdegno, è di
schivare con morte, che desideri, », la schiavitù. Viyrrai tuo malgrado,
e il tuo collo sarà riservato al peso di catena più pesanti .,,(1).
« Dopo la battaglia del Ticino i
Annibaie continuò a trascorrere l’Italia, riportando segnalate
vittorie. La più strepitosa, e memorabile fu quella presso Canne piccolo,
ed ignobile Borgo della Puglia nell’anno di Roma $ 38. La perdita
della Romana Republica in questa fatale giornata fu immensa. Tutte
le famiglie furono ricoperte di lutto, perchè ognuna vi ebbe delle
vittime da compiangere (a) ; e la terribile strage non afflisse Roma
(1) Sii. Ital. loc. cit. vers. 40. et seq. Qnem ( Cilnium )
cernens avidurn leti post talia Pocnus Nequidguam
nostras, demens, ait, elicis iras, Et captiva paras moriendo evadere
vincla ; yivendurn est, arefa servàntur colla catena. Lucius Fior. Lib.
a. Capi 6. Ultimwn 8 soltanto; essa aveva fatttf leva
di frappe dar tntte le Provincie o conquistate, o collegate, onde sù di
qneste si diffuse non meno l’or- 1 rore prodottoda quella battaglia
sanguinosa * Perciò anche TEtruria dovette dolersi de’ suoi
guerrieri estinti nelle campagne della Paglia, e frà gli altri di un
illustre Pcrsonagf. gio chiamato M., e dell' iste.ssa famiglia de’
Cilnj. Il sndetto Siliò Italico dettagliando li soggetti di distinzione, che
erano periti a Canne, fa menzione particolare di questo èon tali
espressioni Te'ancora trafitto nelL* inguine da Tiri© strale Veggio
cadere estinto, o M., nomeMllustre per li scettri Toscani, e venerato per
la patria, che ti diede i Natali (i). Se fosse
incontrastabile l’autorità di questo Poeta potrebbero farsi alcune
riflessioni, relativamente all* oggetto della Storia, che si descrive ;
Nella battaglia del Ticino è fatto prigioniero un Cilnio cittadino di
Arezzo, di prosapia illustre ; in quella presso Canne, cioè dne
anni dopo, cade estinto altro sogetto chiamato M., parimenteToscano, mà
bulnus Imperli, Canna e, ignobili s Apuliae V icus, sed magnitudine
c/adii, emersit ; et quadraginta millium eacdr parta nobilitai ;
Ibi in exitium infelicis exercitus dux, terra, coelum, dia, tota denique
rerum natura contentiti ( i) Lib. io. vers. 39. Digitized by
Google li antenati del quale erano stati Monarchi :
Et sceptris olirti celebratum' nomen Etruscis : Ora l'uno, e
l'altro discendevano dalla stessa famiglia de’Cilnj, o erano di due separate
famiglie ? Come poi, e quando, e chi delle medesime venne a
stabilirsi in Roma ? La notte del tempo, e la mancanza di memorie ci
toglie tuttU lumi necessari, onde ravvisare la verità senza incertezza, e
giungere allo scioglimento di tali dubbiezze • Dall' anno 538.
epoca della ìsudetta battaglia presso Canne fino all’anno 66a. dì Roma ci si
presenta un vuoto penoso, che nulla ci fa scorgere sull' oggetto
ricercato; in quest’anno però sembra, che comincino a diradarsi le
tenebre, ea presentarcisi un qualche raggio rischiaratore per
conoscere, che allora la famigliar M. già erasi stabilita in Roma, leggeudo,
che un Cajo M., aggregato al corpo de’ Cavalieri, figurava
luminosamente in quella. Capitale. In tal epoca, e precisamente nel
detto anno 66a. era Tribuno della plebe Marco Livio Druso. Questo
cittadino Romano fornito di nobiltà, di ricchezze, e di eloquenza attaccò
le prerogative esistenti nell’antico, e no Oppetis, et Tyrio super
inguina fixe veruto, Maecenat, cui maeonia venerabile terra,
Et sceptris olirti celebratum nomen Etruscis. IO
bil ceto de’ Cavalieri » e -vedeva, thè » me-/ diante una Legge,'
venissero; questi.' spogliati dei-diritto sulla Giudicatura, dritto
annesso, óna volta, al Senato iifi) j -, Per riuscire nel suo
progetto Druso fece ogni sforzo, e non trascurò dt mettere in ino»
vimento tutte le risorse della politica, dell' eloquenza, e della
saviezza ± mà oltre ad ave? re incontrato delle forti opposizioni fra li
stessi Senatori, -Cajo M.,• Flavio Pugione, e Gneo Titinmo, Cavalieri di
specchiata probità si opposero energicamente alle di lui potenti manovre, e con
lai loto fermezza, ed influenza* mandarono a. vuoto il progetto di
Legge > che già quello aveva modellato (2). ? L’Oratore Marco Tullio Cicerone nell’Orazione
a favor di Cluenzio, presentandogli I * • i •• 1; i - Vellej. Patere. Lib. a. Art.i 3 .De inde f inter jectis
paucis annis, TriburuUum iniiejtf. Livius Drusus, vir nobilissimus,
eloguentis simus, sanctissimus, qui cum Senatui priscum restituire
cuperet dccus, et judicia ab Equi ti bus ad eum transfer re Ordinem. .. in
its tpsis, quae prò Senatu moliebatur, Senatum habuit adversarium,
Liv. in supplem. lib. 71. art. ar. Adeoque Cajus Flavius
Pus io, Gn.Titinius, Cajus Maecenas Principes Equestri s Ordinis
Curiata hit le gibus ingredi aperte ree usar unt. re
l'occasione di rammentare questo avvenimento de’ fasti Romani, fa
un’elogio, e di Cajo M., e degli altri due Cavalieri ne’ termini seguenti
Allora Cajo Flavio Pugione, Gneo,, Titinnio, e Cajo M., que’ potenti sostegni
del popolo Romano non agirono, come ha ora agito Clueuzio, quasi che
ri* >, cnsando pensassero di far ricadere sopra di essi un
qualche principio di colpa, ma ricusando apertamente, energicamente,
ed onestamente fecero conoscere, che eglino avrebbero potuto
sollevarsi per giudizio del Popolo a cariche sublimi, se avessero
>, direttele loro cure a richiederle ... ma,, che, contenti del solo ordine
Equestre, incui si trovavano, in cui erano vi» suti ancora li loro
Maggiori, avevano stimato di seguire una vita quieta, e tran* qui Ha
lungi dalle procelle, che sogliono suscitare l’invidia, e gl’intrighi de*
giudi»> zj, simili a quello, di cui.si tratta Oraf prò Cluentio nnm. 56. 0
Virot fortes, Equites Romanos ! qui ho mi ni Claris simo, oc potentissimo
M. DrusoTribuno pie bis restiterunt Tane C. Flavius Pusio, Cn.
Titinius, Cajus Maecenas, illa robora papali Romani, ceterigue
hujusmodi Ordinis non fecerunt idem, guod nane Cluen tius, ut aliquid
culpae susci pere se putarent recusando, *ed apertissime r spugnar unt,
cunt Qigilized by Goo jle i iDa questo Caio M., di
dui parla Cu cerone,~fiho all’anno della nasci ta dèi nostra
CajoCtlnio' M. non trascorsero, .che soli anni ventiquattro-, essendo egli n3to,
come fra poco si vedrà /udranno di Roma, cosi che se, quando quello
si oppose all’ intrapresa dal Tribuno Druso nell’Anno 663. non era in età
provetta, poteva vivere: ancora quando ebbe principio resistenza di
questo. i E sebbene sia sembrato
irreperibile il suo preciso anuo Natalizio,, tuttavia riflettendosi
sull ’ annoi della nascita * e sù quello della morte del Poeta Orazio
Fiacco, si potrà conoscere, e forse con qualche sicurezza, che il nostro
Cajo Cilnio M. fu messo al mondo nell indicato anno 686. dopo la fondazione
di Roma, ed anni sessantotto prima dell'Era volgarp. et Lucio Asinio Gallo Consulibus. Fast. Cons. loc. cit. pag. 107.
Digitized by Google i5 quantasette, qual
periodo’ di vita appunto gli assegnano Eusebio di Cesarea (i )
Pietro Crinto ( oc) ed altri ., Sembra anche certo egualmente,
che il nostro Cajo Cilnio M. morisse di anni sessanta, è nell* anno istesso, in
cui cessò di. vivere Orazio ; anzi non s'ignora, che il primo mori
verso il mese di Settembre, ed il secondo nei mese di Novembre ( \) ’•[
Dunque M. aveva preceduto di tre anni, resistenza di Orazio, che visse
cinquantasette an. ni conforme si è detto, ed essendostata fissata
; 1 ;!/ InChronich. Horatius quinquagesimo septimo
aetatis siiae anno Romae moritur .In Vit. Horat. Mortuus est autemHo ratius anno aetatis suae
septimo, et quinquagesimo. (i ) Dion. Gas. lib. 55. Morery Gran. Diction. Histor.
art. Maecen. Briet. Ann. Mund. Tom. j. part. 3. ad ann. 746. Consulibus
Cajo Mario Censorino, et C. Asinio Gallo fnensi Sestili indìtum est
Augusti nomea .... Obiìt etiam hoc anno Maecenas Litterarum praesidium,
et decus Nequc diti suo Mae cenati supcrvixit Horatius Flaccus Poeta Lyricus.
Obiit enim non aetatis anno 60, ut ali qui, non 5 o, ut alti, sed 5 j, hisque
Consu li bus. v ( 4) Cafrou.Hist. Eom. Tom. 19.
16 la nascita di questa all’ anno 689. il Natale di quello
deve rimontare all’ anno 686. dopo la fondazione di Roma, ed. all' anno
68. prima dell’Era volgare » Con maggior certezza poi si
conosce il giorno preciso, in cui il sudetto Cilnio fu registrato nel
numero de mortai}, che fu il giorno i3. Aprile. La verità di questo punto istorico
risulta dalle Odi del surriferito Orazio Fiacco. Volendo quest» Poeta
celebrare la ricorrenza del sudetto giorno Natalizio del suo amico M.,
invita Fillide alla Festa, e cosi si esprime Ed affinchè conosca, o Filli
de, a quali esultanze io ti chiami, sappi, che dovrai celebrare con ime
il dì, che in due divide il mese di Aprile, sacro a Ciprigna; giorno per
me giustamente solenne, e più sacro ancora dj quello, nel qua., le io nacqui;
giacché in esso incomincia a,, numerare gli anni della sua vita il mio M. Od.i
1. Vi tanica noris, quibus advoceris Gaudiis ; Idus tibi sunt
agendac, Qui die* mcnsem Veneri s marinai Findit-Aprilem. J are sole mais mihi, sanctiorque
Paene Natali proprio, quod ex hac Luce Maecenas meus
ajfluehtes Ordinai annoi, Avendo procurato di rintracciare alla meglio
l'anno, ed il giorno della nascita del nostro Cilnio,, stimo pregio dell'opera
di fare alcune osservazioni relativamente al suo Padre, ed alla sua
Stirpe. Quel Cajo M., che nell' anno 66a. faceva in Roma una
comparsa brillante, era ascritto nell’ordine de’ Cavalieri ; ciò si è
dimostrato coll' autentica testimonianza di Cicerone, ed anche con le autorità
di Livio testé riferite. Inoltre
l’ istesso Cicerone ci fa conoscere, che il Cajo M., di cui fa egli
gloriosa menzione, non aveva alcuna ambizione, nè curava di
sollevarsi ad impieghi luminosi, ai quali pur troppo avrebbe potuto
giungere per la buona opinione, che godeva presso il Popolo ; ma che
contento del semplice titolo di Cavaliere, amava di passare una vita
lieta, e tranquilla ad imitazione de’ suoi Maggiori. Se potuisse (
sono parole di Tullio sopra-,, enunciate ) Judicio populi Romani in amplissimum
locum pervenire, si sua studia,, ad honores petendos conferre voluissent
sed Ordine suo, Patrumque suorum contentos fuisse, et vitam illarn tranqnillam,
et quietam .... sequi ma-,, luisse. Ora il carattere, che forma Cicerone
di questo Cajo M., non è similissimo a quello del nostro Cilnio ? Tal
circostanza si conoscerà nel decorso della sua Storia, ma intan B
j8 to possiamo accennare, che questo aveva tutti li mezzi
per inalzarsi a cariche le più eminenti, e decorose, stante la grande
amicizia, di cui era onorato da Augusto, ma che pago del suo stato,
e del semplice titolo di Cavaliere, mai volle, ne dimandò altri onori, e
nuovi impieghi. A ciò si può aggiungere l'epoca del tempo, in cui quello
viveva, ed era celebrato per uno de’ sostegni del popolo Romano, ed
in cui sono fissati i natali di questo, e dal tutto insieme ne risulterà un
grado di probabilità non del tutto dispregevole, per credere, che
il sudetto Cajo M. potè essere l’Autore del nostro Cilnio. Potrebbe la nostra assertiva essere
smentita da una antica Iscrizione riportata da Dionisio Lambino nella
quale si parla di M. figlio di Lucio ; poiché se questa avesse rela
- ( i) Lambin. in Com. adOd.i. lib. i. Horat. £ 7 ni us praeterea
Marnioris antiqui testimo— nium producala, quod Romae visitur in Aedibus
Fusco aura e regione aediurn Farnesiarum, in quo haec sunt incisa. Lieertorvm et Libertarvm C.
Maecenatis. R. F. Pontif.
Posterisq. eorvm Et qvi ad xd tvendvm CONTVLERVNT CONTVLEIUUT zione al nostro M.,
sarebbe stato figlio di Lucio M., non di quel Cajo da Cicerone accennato.
Ciò non ostante pare che un tal documento non Taiga, nè a
somministrare schiarimento sull'oggetto, di cui si parla, uè a
distruggere la detta nostra assertiva, i. peri hè non costa, che quella
Iscrizione seco porti un carattere di sicura autenticità ; a.
perchè non si conosce dal contesto della medesima l’epoca del tempo, in cui fa
incisa, né a qual Cajo M. debba riferirsi. Veniamo ora alla Stirpe del
nostro Cilnio. Gli Autori antichi, e moderni, tutti li Commentatori
di Virgilio, di Orazio, di Properzio, ed altri si sono divisi di opinione nel
fissare la nobiltà della discendenza di questo grand’Uomo. Orazio ('i)
Properzio (a) ed anche Marziale ( 6 ) chiaramente hanno scritto, Od.j.Lib.i.
Maecetias atavis edite Regibus, O
et praesidium, et dolce decus rneum! Maecenas eques Etrusco de
sanguine Regum, Intra fortunam qui cupis esse tuam. Lib. la. Epigr.
4. Quod Fiacco, Varioq.fuit,summoque Maroni M. atavis
Regibus ortus eques. B
a Od. ug. lib. 3. Tyrrliena Regum prò genies, (2)
Lib.3.Eìeg. che egli era di stirpe reale. IlTorrenzio Commentatore di
Orazio, descrive una linea genealogica degli Antenati reali di quello,
e crede, che il suo Bisavo fu Cecinna Re degli Etrusci. Acrone ('a)
altro Commentatore antico di Orazio è dallo stesso sentimento, « fa
seguito dall’ autore dell’ Elegia attribuita all’ Albinovano ^ 3 ), e dal
Beroaldo Commentato' re di Properzio ; anzi quest’ ultimo suppone,
che discendesse dal famoso Porsena parimente Re de’ Toscani.
Al contrario Dione Cassio, ( 5 j e Vellejo ( 1 ) Comment. ad
Od. 1. lib. 1. Horat. Antiquis Regibus prognate: cui Menodorus Pater,
Menippus Avus, Cecinna li ex Etruscorum fuit A t avus. (2) Comment. ad Od.i. Lib.r. Horat.
Edite Regibus : quo ni arn dicitur (lux i ss e originerà ab
Etruscis Regibus, et contempsisse Seuatoriam dignitatem. Eleg. in obit. M.. Rcgis
eros genus Etrusci, tu Caesaris olim Dcxtera, Romanae tu
vigli Urbis eros, Com. ad Eleg. cit. Propert. Etrusco de sanguine
Regum : quia fuit oriundus a Porsena Rege Etruscorum. Lib. 19. pag. 534.
Reliquas res non Ro mae modo, sed per totani Italiam Co*
Patircelo (t), benché spesso parlino del medesimo non gli attribuiscono un
origine reale, ma lo caratterizzano soltanto per un indivivuo di
ragguardevole e splendida famiglia. Dacier poi, e Pallavicini sono
d’avviso $ che dalle indicate espressioni di Orazio, di Properzio, e di
Marziale non può con certezza dedursi, che frà le vene del nostro Gilnio
scorresse un regio sangue ; giacché è noto altronde, che le parole Re, e Regina,
nel senso de’ migliori Autori, segnatamente Poeti, spesso significano Signori
potenti, Uomini, e Donne di qualità, e distinzione ; e cosi aveva ancora in
sostanza pensato il Porfirione prima de'
sudetti Dacier, e Pallavicini. Riguardo ai Poeti contemporanei però non
tutti han parlato sull'oggetto ip questione, come. Properzio, ed Orazio. li
Poeta di Mantova più d’una volta si volge col discorso a M. nelle sue
Georgiche, ep jus Maecenas, equestris dignitatis vir admi nistravit. (1) Lib. 2. art. 83. Tum Urbis
custodiis praepositus Cajus M. equestri, sed splendido genere
natus. (2) Annot. crit. sopra Oraz. Canzon. di Oraz. pag. i 5
i. (4) Comment. ad Od.i Horat. M., ait, atavis Regibus editus,
quia Nobilibus Etruscorum ortus sic. lì pure non Io ha mai
decorato di nna reai prò-» sapia• La diversità di queste
opinioni potrebbe ini qualche guisa conciliarsi, se, come si è sopra
accennato, sussistesse realmente ciò che abbiamo veduto asserirsi dal
Poeta Silio Italico nella seconda guerra Punica. Imperciocché si è in quel
luogo rimarcato, che quel Cilnio fatto prigioniero nella battaglia del Ticino
non è chiamata di stirpe Regia; e che quel M., che mori
posteriormente presso Canne era celebrato per li Scettri Toscani. Nella
verità di questi fatti potrebbe Georg lib. i.vers.i. e seq.
Quid faciat laetas segete s, quo sidere terram V ertere, Maecenas,
ulmisq. ad/ ungere vites Conveniat Hinc cane re incip iam. Lib.
a. vers. 40. Tuque ades inceptumque una decurre laborem
Maecenas pelago que volens da vela petenti Lib. 3. vers. 40.
IntereaDryadum sylvas, salt us que scquamur Intactos, tua, M., haud
rnolliajussa Lib. 4 vers. i Protinus aerii melili, coelestia
dona Exequar, hanc etiam, Maecenas, excipe partem. aà dirsi, che
Orazio, Properzio, Marziale, e gli altri, che danno al nostro Cilnio una
Regia discendenza, lo abbiano fatto derivare dal secondo ; e che Virgilio,
Dione, Vellejo, e gli altri segnaci dell' opposto parere nbbian
fissato per Capo della sua famiglia, o per uno de’ snoi Antenati il primo.
Si è disputato ancora in
qnal’epoca, a quale degli Antenati del nostro Cilnio, e per qual motivo
venisse aggiunto il nome di M.. Riguardo all’ epoca, nell’ anno 450. di
Roma la famiglia de’ Cilnj ancora non portava questo nome, conforme si è
osservato da Livio. Ottantotto anni dopo,
cioè si comincia a vedere in quel M., che mori presso Canne, sempre però
sull’autorità poetica del surriferito Silio Italico * Nell’anno 66atrovasi
in Roma già celebre, e rinomato in quel Cajo M. encomiato da CICERONE
(vedasi). MeibomiO riporta un frammento del Libro terzo delle Storie di
Sallustio, estratto da Servio Commentatore di Virgilio, in cui si
fà menzione del famoso Sertorio, e di un M. Segretario del medesimo. Sertorio
morì Jn Vit. M.. Praeloqi adlect. Ex-^ tot Sallustii fragmentum apud
Servium adLib. X. Eneid. Virg. ex Histor. illius lib.g Igitur,
inquit, discubuere Sertorius inferior in medio, tuper eum Lucia s F alias
Hispaniennt S* notar 34, nell’anno di Roma 68a. Terenzio
Varrone, che viveva, e scriveva nell’ epoca istessa, in cui mori
Sertorio, fa uso ancora esso nelle sue opere della parola M. e di cui
si tornerà in appresso a parlare. Da tuttociò sembra chiaro, che
nel settimo Secolo di Roma già fosse commune alla sudetta famiglia il
nome di M.. Ma riguardo a conoscere a quale degli Antenati di
Cilnio, e per qual motivo fosse aggiunto quel nome, il Martini ingenuamente confessa,
e si protesta, che il tutto è involto nelle tenebre, e nella incertezza,
(a) Aggiunge però che se fosse lecito di promuovere sn questa sconosciuta
materia qualche riflessione, che possa aver luogo, non già sul vero, o sul
verisimile, ma sul possibile, si po sa: Proscriptis ; in summo Antonini,
et infra Scriba Sertorii Versius, et alter Scriba Maecenas in imo. (i) De
Ling. Latin.Lib.7. in fin. (a) Lexic. Philolog. art. M.. De origine nominis nihil certi, et *'ix aliquid probabile
dici potest ; quia certum est, esse nomea proprium,nec vcrum satis certum
mihi qui dem est, cujus linguae vox sit, et historia de stituor cui, et ex qua
causa primum juerit imposi tum. Addo, quod ctiam de vera
scriptum dubitai ur.
Digiti?ed iS trebbe dire, che la voce M. è un vocabolo
Etrusco derivante dall’ idioma de’ Caldei, dalla qual nazione gli Etrusci
hanno avuta la loro origine ; primieramente, perchè la flessione di detta
voce seco porta un non so che di straniero ; in secondo luogo, perchè
li nomi de’ Caldei si solevano ordinariamente prendere dalle forze
naturali degli oggetti morali, dalle facoltà, dalle azzioni, e dalle
passioni. Il Catrou è d’avviso (a)
che con Tantorità di Varrone, e di Plinio possa trovarsi nn qualche
schiarimento per sapere, come fosse dato un tal nome alla famiglia de’
Cilnj. Secondo quello, si rileva dal succennato Terenzio Varrone, li nomi degl’
individui, che finivano in as, significavano qualche luogo. Si licei
aliquid de hujusmodì prorsus incognitis dicere, quod ncque inter
vera, neque inter verisimilia, sed tantum inter possibilia ponantur, sit nomen
Etruscum, ex Caldaea(inde enim Etruscis est origo ) praesertim, quia
forma flexionis peregrinitatem sapit. Nomina autem fere a naturalibus
viribus, a ut a moralibus objectis, facultatibus, actionibus, aut
passionibus imponi consueverunt, tamquam monumenta quaedam de iis, quae
rebus insunt, vel adsunt, vel ab eis sunt. particolare dell' individuo medesimo
(i\ Plinio poi ci avverte, che fra li vini scelti dell* Italia erano
celebrati quelli ancora, che si raccoglievano dalle Vigne Mecenaziane (a)
: perciò conclude il detto Storico, che il nome di M. provenisse a quella
famiglia da qualche terra, o possessione alla medesima spettante. Ma,
ad onta di tali dilucidazioni, sembrando la cosa tuttora incertissima, secondo
il sullodato Martini, dobbiamo soffrire una tale ignoranza senza
sgomentarci, e con quella docilità, e rassegnazione j con cui
soffriamo l’oscurità, e l’incertezza di tante altre materie più
interessanti. Potrebbe qui aggiungersi ancora una qualche
riflessione sulla formamateriale della parola Maceenas, ed esaminare se debba
scriversi Hinc quoque dia nomina Le* nas, Ufcnas, Lavinas, M.,
quae cum essent a loco, ut Vrbinas, et tamen Urbi nas ab his debuerunt
dici ad nostrorum nomi num similitudincm. In Mediterraneo vera Caesenatia, ac M. (
vina ) ; In Vcroncnsi itemi F altre us tantum posthabita a
Virgilio. (3) Loc. cit. Qui enim multo potiora patte nter
ignorarmi!, edam et hoc, et similia, •ine pudore possumus nescire. con il
dittongo nella prima, o nella seconda sillaba, se in ambedue, o se debba
leggersi senza dittongo alcuno ; ma un tale articolo potendo
presentare una discussione, o estranea, onojosa, rimettiamo gli Eruditi al citato
Lambino, il quale ne’Commenti alla prima Ode di Orazio ne ha parlato con
precisione, e dottrina. Il Lamiino nel commentare la parola M., che
leggesi nell’Ode i.del i.lib. di Orazio, tosi sviluppa il punto da noi
succcnnato, In omnibus fere manuscriptis Codicibus, quibus usus sum, nomea
Moecenas scriptum reperi et in prima, et in.secunda syllaba sine diphthongo ;
quam scripturam tametsi non probe m omni ex parte, sequor in eo ta men,
quod secunda per e vocalem, non ut vulgo per oe diphthongum scribitur. Adjuvat
me Codex Orationum M.Tullii Ciceronis calamo exaratus in Cluentiana, quo
loco scriptum etiam est hoc nomea sine diphthongo in utraque
syllaba. J am vero quod ad primam attinet Graecorum auctoritate moveor,
apud quos M aiKnya( per ai diphthongum scribi solet in va syllaba,
ut in secunda per v quae vocalis Ver ti tur in e longum. Quia JElianus, qui cum Romanus esset graece
scripsit. «/ «f hanc scripturam retinet. Praeterea
apud Publium Victorcm lib. de Reg. Uri. et Priscia» Dopo di
aver raccolto le descritte notizie ; e prodotto quelle poche riflessioni
finora accennate sulla stirpe, sulla patria, sull’ autore del nostro Cilnio, e
su tutt’altro relativo al suo nome, sembra, che ornai dobbiamo
occuparci sulla relazione delle sue geste, e de’ suoi costumi, e sulla
Storia della sua vita ; ed in primo luogo dovremmo parlare della
sua educazione, sotto quali maestri, ed in quali Accademie venisse
istruito ; ma su di ciò mancando notizie sicure, qual vantaggio potrebbe
ricavarsi da congetture vaghe, ed inconcludenti, da riflessioni possibili, o
estratte dal fondo di un immaginario probabilismo ? Ciò non
ostante si pnò dire, che l’educazione di M. fu proporzionata, ed uniforme al
rango, che li suoi Maggiori occupavano nella società, e nella classe de’
cittadini Romani. Fornito dalla natura di non ordinarli talenti,
ebbe tutta la cura di svilupparli, allorquando fu adulto, perchè non erano
stati oziosi, ed incolti nella sua adolescenza. Ma se egli venisse
istruito in Roma, o altrove, e quali fussero li Dotti, cui venne affidata
la sua letteraria educazione, s’ ignora pienamente. Crede il Cenni, che M. fosse manna»! de
Accent. in Exemplaribus Aldinis, sine ulta varietale perpetuo ita
scriptum, est hoc nomen. dato in Apollonia, allora Città
ragguardevole della Macedonia ; suppone inoltre * che mentre quivi
attendeva alle scienze, vi si trovassero ancora per lo stesso oggetto Marco At
grippa, ed Ottavio Cesare, e che in tale oc casione si stringessero con i
dolci legami dell’ amicizia, o almeno facessero unà reciproca
conoscenza. Sembra però, che questa circostanza non sia stata accennata da
verunAutore antico ; nè il Meibomio, ed il capriccioso Caporali,
ne’ scritti de quali attinse il Cenni la sua supposizione, sono forniti
di qualche autorità valevole, e concludente. Quello, che può asserirsi con qualche
certezza, e che risulta dalle opere di Dione, di Appiano, di Orazio, e di
Properzio, si è che il nostro C. Cilnio M., se non divenne amico di
Ottavio nell’ epoca de’ loro studj, di buon’ ora cominciò la
carriera de’ servigj, e consigli da esso a questo sommi* Bistrati
fino all’ ultimo respiro della sna vita. Ottavio venne in Roma,
dopoché Giulio Cesare suo padre adottivo fu dai Republicani pugnalato Egli
seppe la disgustosa notizia nella sudetta Città di Apollonia. Aveva
allora appena oltrepassato il quarto lustro di sna vita, e correva l’anno
di Roma. Giunto in » quella Capitale, diede subito saggi manifesti
Sveton. in Octavio art.8 e io Naucler. Chronog. ad au. 7*0 3o
di una grande elevatezza d’ ingegno, e benché in età giovanile, di
nn senno maturo • Cominciò a procacciarsi la puhlica opinione, la stima de’
Grandi, l'affetto della Plebe, e dei Soldati. In tale occasione, ed in
tale epoca sembra potersi stabilire, che M. entrasse nella Corte di
Ottavio, e che questo lo prendesse per Consiglierò de’ suoi progetti,
e delle sue future intraprese. Dopo la morte di Giulio Cesare, Marco Antonio
governava, per dir cosi, dispoticamente la Republica Romana, conciosiachè
egli aveva tptta 1* influenza, e sul Senato, e sul Popolo, e
snU’Armata. Ottavio fece istanza presso di esso, affinchè, come Erede
Testamentario di quello, gli venissero consegnati quegli effetti, che gli
erano stati nel Testamento lasciati. f Antonio, poco curando la tenera età
del medesimo, accolse piuttosto con disprezzo la di lui giusta, e
regolare dimanda. M., che allora già trovavasi al fianco di Ottavio,
non maucò di consigliarlo a sopportare con calma, e rassegnazione P ingiustizia,
e T insulto del prepotente Romano, e nel tempo stesso gli fece conoscere,
che bisognava momentaneamente abbracciare la causa del Senato, stantechè
da tutte le circostanze scorgevasi imminente una guerra Civile. Il Senato
proteggeva l’attentato commesso dagli uccisori di Giulio Cesare, ed
Antonio aveva inalberato lo stendardo guerriero contro di questi. Ottavio,
come figlio adottivo del famoso Dittatore pareva, che dovesse unirsi ad
Antonio, e secondare le mire del medesimo, ma M. da previdente, ed accorto
Politico credette, che dovesse per allora uniformarsi ai voleri del primo.
In fatti il Senato, per opporlo all’ambizione del sudetto Antonio,
cominciò a fargli mille buoni uflìcj, ed a colmarlo di onori, e di
carezze. Intanto questo faceva la guerra a Decimo Bruto uno degli
assassini di Giulio Cesare, che assediò in Modena. Allora il Senato
incaricò li Consoli Panza, ed Irzio a marciare con un’Armata contro il
nemico del sudetto Decimo Bruto, ed Ottavio fu ad essi associato in tale
spedizione. Questa guerra fu fatta
con differente successo, nè l’impresa di Antonio potè cosi sollecitamente
reprimersi; ma lilialmente in una battaglia campale fu egli completamente
disfatto, fu levato l’assedio di Modena, e Bruto liberato, mercè li talenti
militari di Ottavio, al quale fu attribuita la maggior gloria di quella
giornata ; in essa vi morì il Consolo Irzio, e Vibio Panza mortalmente
ferito ebbe tempo di parlare ad Ottavio, lasciandogli salutevoli
istruzzioni, e consigliandolo segnatamente ad unirsi con Antonio. Questo fatto storico si pone all’anno di
Roma. epoca, in cui Oitavio correva nell’anno vi^esimo primo della sua vita, e M.
3a parimenti nel fiore della sua gioventù, ed in età
di circa venticinque anni, già stava al sho servizio. Abbiamo di ciò
ne’scritti di Properzio un argomento di certezza, che pare non possa
incontrare eccezzione. Imperciocché il sndetto Poeta, uno de’più cari
amici di M., scrivendogli una robusta, ed elegante Elegia, gli dice, che
se avesse talenti da poter cantare gli Eroi, non canterebbe già li Titani, e la
loro guerra contro Giove, allorquando ammonticchiarono le montagne di Pelio, ed
Ossa, non canterebbe neppure le battaglie degl'antichi Tebani, o l’ Incendio
di Troja, il primo Regno di Romolo, l’ardimento della superba Cartagine,
le minaccie de’ Cimbri, e le vittorie di Mario ; “ Ma cante-,, rei (
soggiunge il Poeta ) o mio caro Mece», nate, le guerre, e le azzioni illustri
del », tuo Cesare, e mostrerei, che in tutte le sue imprese, tu
occupi il posto secondo, Canterei la guerra di Modena, le tombe degli
estinti presso la Città de’Filippi, la guerra di Perugia, la battaglia di
Azio, e », la conquista dell’Egitto (i). ( t) Lib. a Eleg. i.
Quod mihi si tantum, M., fata
dedissent, V t possem Heroas ducere in arma manus ; Non
ego Titanas canerem, non Ossan Olympo hnpositum, ut Coeli Pelion
esset iter ^ Ora se M. non fosse stato già al fianco, ed al servizio di
Ottavio nella guerra ‘di Modena, il Poeta non avrebbe detto, che
quello nelle imprese di questo occnpavadl pò* sto secondo, e facendo la
serie di tali imprese, non avrebbe descritta per la prima la sudetta battaglia
di Modena. Properzio voleva fare un elogio al suo Protettore, al suo Amico,
al suo Benefattore, ma questo elogio non sarebbe stato giusto, e
veritiero, se realmente M. non avesse avuto il posto secondo, ossia, se non
fosse stato il Consiglierò di Ottavio fin dall’epoca sudetta della
liberazione di Modena. Dal che sembra potersi dedurre altra
valevole congettura, onde credere, che quello entrasse nella Corte di
questo nell’anno Non veteresThebas,necP er gama nontenHomcri
; Xersiset imperio bina coiste vada ; Regnane prima
Remi, auC animos Carthaginis altae, Cymbrorumque minas, et
benejacta mari. Bellaque, resque fui
memorarem Caesaris, et tu Caesare sub magno cura secunda jòres. Nam quoties Mutinam, aut civiltà busta
Phi lippos, A ut canerem Siculae classica bella fugae, Aut
canerem Aegyptum, et Nilum cum tractus in Urbem Septem captivi!
debilis ibat aquis. precedente.
conforme abbiamo accennato pocanzi. Ad onta della perdita dei due
Consoli Ir* sio, e Panza, la surriferita vittoria riportata contro
Marco Antonio ricolmò di gioja Roma, ed il Senato. Allora fn, che
Cicerone si sca* tenò contro di quello con tutto 1'entusiasmo della
sua maschia, ed inimitabile eloquenza. Quc* Senatori, e quella porzione di Popolo,
che nutrivano ancora un qualche sentimento per il Governo Rcpnblicano,
ascoltavano con estasi, ed ammirazione li fervidi discorsi di
quell’ Oratore, ed aderivano ciecamente ai suoi voleri. Infatti Antonio
fu proscritto > fu risoluto di continuare la guerra fino al di
lui esterminio, furono destinate le Armate, scelti li Generali ; eppure
questa volta, nelle nuove disposizioni marziali, non si fece menzione di
Ottavio, benché ad esso fosse dovuto tutto l’esito vantaggioso della passata
Campagna. Il Senato era già
divenuto geloso della gloria di quello, col non curarlo voleva umiliarlo, ed
abbassare l’orgoglio, che le già eseguite favorevoli Imprese avevano potuto
inspirargli. Ottavio, e M. conobbero in tal .congiuri tura la condotta
poco lodevole, e disobbligante del Senato. Allora memore il primo delle
istruzioni ricevute dal moribondo Consolo Panza, e penetrando il
secondo nell’artificiosa politica di quello ± determina*
Digitized by Google H rono di procurare una
riconciliazione cqn, il detto Marco Antonio. Il progetto
esigeva una somma precauzio* ne, ed ima impenetrabile segretezza,
ma ni uno poteva maneggiarlo più vantaggiosamen-* te di M., che,
fra le altre sue virti» politiche, possedeva in particolar maniera
quella del segreto, conforme narrano Sesto Aurelio Vittore, ed Eutropio. Ottavio
nella guerra di Modcaa aveva fatto ad Antonio molti prigionieri * Per
dare principio alla riconciliazione, gli rimandò li pii distinti, e
ragguardevoli. Fra gli altri vi era Decio, brava persona, e molto
affezionata al suo Padrone ; anche a qnesto concesse la libertà. Decio
separandosi da Ottavio, gli richiesi, che cosa doveva dire ad Antonio “ Dite ad
Antonio da mia parte ( rispose Otta,. vio ) che io credo aver egli tanta
penetrazione per interpetrare la mia condotta. Se,, nulla ha compreso, sarei
imprudente 4 » spiegarmi più diffusamente „. Intanto Ottavio, e M. fissarono la
loro attenzione sull’indicato Marco Tullio Ci l (1) In Epit.
de Vit. et Morib.Imper.Romao, Cap. 1. In amicai fidai extitit ( Augustus
), quorum praecipui erant ob taciturnitatem M., ob patientiam laborit,
modestiamque, 4grippa .. Lib. 7 in Augusto. C a cerone,
penetrando con la loro previdenza, che bisognava cattivarsi l’animo di
quell'Oratore. Imperciocché egli aveva in quell’epoca un dominio
irresistibile e sullo spirito del Popolo, e sul cuore de’Romani Senatori.
Ottavio dunque onde ottenere l’intento gli scrisse una lettera in tali termini
concepita Io,, sono giovane e quasi privo di esperienza negli affari ;
sarò occupato tutto il resto £, dell’anno a perseguitare Antonio nostro
nemico fino a piè delle Alpi ; cosi voi rimasto,, solo in Roma coll’autorità,
che danno li,, Fasci Consolari, avrete il tempo, e l’occasione di ristabilire
lo Stato Republicano, ed uguaglierete la gloria del vostro secondo con
quella del primo Consolato ( i ),,. Tullio benché avesse tutti i lumi del
più grande Letterato del suo Secolo, non aveva quella finezza di
politica, di cui era feconda la testa di M.. Egli cadde nella rete;
credè sincera la deferenza, e la dichiarazione di Ottavio, e cominciò ad
encomiarlo, e proteggerlo in publico Senato ; che anzi ebbe anche
il coraggio, o piuttosto la debolezza di proporre, che gli venisse
conferito il Consolato “ Quanti dispiaceri (diceva Tullio), o Padri
Coscritti, non ha ricevuti da Voi l’e», rede del nome, e de'beni di Giulio Cesa*•, Dion.
lib. 46 Piotare, in Cicer. Catrou Tom. 17IU). 4, £ j/ re ?
Poco accorti nelle nostre risoluzioni, noi non cessiamo d’irritarlo senza
riflettere, che egli comanda a Legioni vittoriose. Perchè non procuriamo di
calmarlo? Sebbene giovanetto aspira al Consolato, e potrà ottenerlo
malgrado la nostra ripugnanza. Contentate le sue brame per gli onori. Nell’età,
in cui sì trova, questa brama è più vivace, che in tempo della
>, vecchiezza, perchè è cosa più gl oriosa di ottenerlo prima del
tempo dalla Legge prescritto. In ciò però è necessaria una limisi fazione. Date
al giovane Ottavio un Colle» ga di età matura, che gli sia di guida, e maestro.
Questo reprimerà il fuoco di quel* lo, e l’amministrazione della
Republica sal à al sicuro sotto il primo, mediante i consigli dell'altro. Non
ostante la potente influenza di Cicero* ne, le sue premure per Ottavio
non ebbero alcun effetto vantaggioso, mercè l’inalterabile fermezza del
Senato. Li Padri Coscritti conoscendo, che una tale richiesta trovavasi
in opposizione con le Leggi fondamentali dello Stato, stante l’età
di Ottavio, non potevano realmente secondarla ; ma questa ragione
pian* sibile poco forse avrebbe operato in un tempo, in cui le Leggi
Repnblicane erano inoperose, e senza vigore, ed in coi l’antica Co (a)
Appian. lib. 3 Catron loc. cit. ÌLxìob. «api > a. in,ln '' ”f
"V La ma^eior parte de’Membn componenti il Se“no allora, o
compiici de» aa.amo.0 ai celare, o aderenti ai medesimi. Temeva. *0
pertanto, che, sollevando ad un grado di potenza coli eminente l’Erede di
qnelk,, | P£ irebbe avere i mezzi, e trovarsi m «tato di
vendicarne la morte •, j Ottavio adunque, vedendo, che con
le buone non poteva ottenere il Consolato, cercó altre risorse più
efficaci ; scrisse diretta mente ad intorno. preveneodolo dell, neonciliazione.
Questo, che aveva avuto già qualche sentore di una tale disposizione di
animo di quello, e mediante il rinvio de pronteri e le parole dette a
Decio, accolse con trasporto le lettere del suo rivale, ed il progetto,
che gli faceva ; Incontanente si diè tutta la premura di dargli
esecuzione. 11 primo passo che fece, fu quello di riunirsi con Marco
Lepido, Soggetto anche esso poco beQuesto allorquando ebbe la notizia dell unione
di Antonio con Lepido, fremè di rat bia, e deliberò di disfarsi di
ambedue. Per lo che, supponendo che Ottavio fosse reai, mente
nemico dell'uno, e dell’altro, lo incaricò di marciare all' istante con le sue
Leeoni contro qne’due ribelli. Ottavio mostrò, o piuttosto finse di
uhM*. re, ma li veri suoi disegni erano gd altrog'
Digitize in Roma, e con una Armata bellicosa, non ebbero più vigore,
costanza, e coraggio di prò* seguirla. Bruto, Cassio, e tutti i
complici degassassimo di Giulio furono condannati, e proscritti con
decreto solenne di quello stesso Senato, che pocanzi aveva spedite
Legioni, Armate, Consoli, ed il medesimo Ottavio in «)nto di essi. Intanto Antonio, che era già in una
piena corrispondenza con Ottavio, si dxè premura di prevenirlo, che
il partito de’Republicani si andava ingrossando nelle Provincie della
Gre» eia, dell’Asia, e nell’ Oriente ; che perciò era tempo di
abbandonare Rema,ed unitamente marciare contro di quelli. Ottavio profittò di questo avviso per
poter prendere le necessarie precauzioni. Egli doveva ancora occultare al
Senato la seguita riconciliazione, e corrispondenza con Antonio, e perciò
ebbe ancora bisogno di circospezione, e di quel segreto impenetrabile, di
cui era capace il solo M.. Per secondare il Collega, e per
imbrogliare al tempo istesso la testa de’Senatori fece spargere la
.notizia allarmante, che M. Antonio, e Lepido^meditavano di marciare alla
volta di Roma per saccheggiarla; che perciò sembrava cosa
urgentissima di uscir contro di essi, e combatterli ; Il Senato credulo,
ed ingannato prestò fede alle voci diffuse, ed alle rimostranze di
Ottavio, ed all'istaute lo incaricò di par» 4 * tire
da Roma, ed opporsi agli avanzamenti j ed alle supposte minacele di
quelli. Non bastava però tuttociò alla penetrante politica di M., e del
suo Padrone Volevano, che il Senato rivocasse, e cassasse il Decreto di
proscrizione emanato contro de’ sudetti Lepido, ed Antonio. Restò in
Roma Luogotenente di Ottavio Quinto Pedio, persona totalmente consagrata
alli suoi interessi Egli fu incaricato
di ottenere la revoca sndetta, ed è probabile, che della medesima operazione
delicata fosse a parte ancora M.. Si fece riflettere al Senato, che, cassando
qnel Decreto > mostrerebbe un tratto di clemenza, e di generosità
capace a spegnere nella sua origine il fuoco di una guerra civile,
ed a calmare la collera, ed il risentimento de' due Colleghi. Il Senato
si fece vincere, ed il sovraindicato Decreto di proscrizione fu annullato.
Ricevuta Ottavio questa notizia
consolante ne prevenne con la massima sollecitudine Lepido, ed Antonio;
allora questi, e quello si avvicinarono con le loro Armate respettive,
e stabilirono un Congresso. Uua Isolctta formata sul piccolo fiume Reno, che
scorre tra Modena, e Bologna, fu scelta per il luogo memorabile, in
cui li tre Guerrieri dovevano unirsi a parlamentare. L’abboccamento
durò più giorni, il di cui risultato fu lo stabilimen r to del
celebre Triumvirato, mediante il quale yenne scagliato un colpo
mortale alla Costituzione Republicana, e venne immaginata la proscrizione
troppo nota, e funesta, nel vortice e negli orrori della quale fu involto ancora
il riferito Marco Tullio Cicerone (i). Dopo qualche tempo Antonio, ed
Ottavió marciarono a grandi giornate contro Bruto, e Cassio, e si
trasferirono con le respettive Le» gioni nella Macedonia incontro all’Esercito
de’ Repnblicani. È troppo conosciuta la sorte infelice di questi nelle
Campagne di Filippi per non essere costretto a tesserne la storia dolente,
e che sarebbe fuori del mio assunto. La vittoria si dichiarò a favóre
de’Triumviri, e Bruto cadde estinto, non già da ferro nemico, ma con un
disperato suicidio si sepelli da se stesso, per dir cosi, tra le ceneri
della spirante libertà Romana. In questa battaglia si trovò
ancora il Poeta Orazio Fiacco, di cui già si è fatta menzione. Piotare,
in Ant. pag. 679. Congressi tres illi in modica Insula amne circumfluo,
triduum in colloquio fuere. De celeris convenie inter eos facile, totumque
Imperium intcr se steut patrimonium suum sunt partiti, sed
disceptati dcillis, quos statuerant interficere, detinuit eos .... Tandem
fervore in eos, qui aderant, et cognatorum rtverentiam, et ami c orum
benevolentiam postniittentcs, Ciceronem teseti Caesar Antonio, Amico di
Bruto, e fautore del partito Republicano, seguì quello nelle Campagne di
Filippi in qualità di Tribuno. Afferma il Porfirione (a), che Orazio
restasse prigioniero ; che in seguito non solo fosse liberato per
intercessione di M., ma ancora, che per mezzo di questo si procacciasse
il favore, e l’amicizia di Ottavio. Lo stesso si legge in una Vita
di Orazio d’incerto Autore prodotta da Giovanni Bon. Altri credono di
più, che fatto prigioniero, per opera dello stesso M., venisse
liberato immediatamente, e sul Campo di battaglia. Ma tali assertive so (
i ) Sidon. Apoi. in Paneg. ad Major. Et tibi, F Iacee, acìes Bruti, Cassique stenta
Carminis est auctor, qui fuit et veniae. Sveton. in Vit. Horat. Sello
Philippensi excilus^Horat\xis)a M. Bruta Imperatore, Tribunus Militum
meruit. Presso il Mancinel. in Vit. Horat.
Porphìrion addit, Horatium captum fuisse a Cae«are, sedpostea, beneficia
Maecenatis, non solum servatus, sed etiam Caesari in amicitiam traditus. Edi*.
deli’Opere di Orazio Lug. Batav. an. i663. Coluitque adolescens Bruturn,
sub quo Tribunus militum militavit ; captusque a Caesare post
multum tempus, beneficio M. non solum servatus, ted etiam in amicitiam acceptus
est, I H do smentite dalf autentica
testimonianza dellTstesso Poeta- >.'• ’-n ed in questa
occasione per mezzo di Asinio Pollione acquistò la grazia, e la
protezione di M.. Dopo questa epoca pertanto deve fissarsi quanto scrive
Orazio nella Satira testé riferita ; e siccome la sudetta battaglia
presso Filippi, accaduta verso il mese di Novembre 71 a, (i)è anteriore
di molti mesi alla venuta di Virgilio in Roma, così sembra evidente, che
allora M., che ancora non aveva conosciuto il detto Virgilio, non
poteva conoscere netampoco Orazio, nè cooperare alla di lui salvezza sul
Campo di battaglia. Orazio
adunque fu in primo luogo debitore del suo futuro benessere alla tenera
amicizia di Virgilio, e di Vario, e quindi al nostro C. Cilnio M.,
il quale mercè li buoni uffici di quelli, non solo lo mise nel numero de’
suoi amici, ma vennto in cognizione da se stesso del raro di lui ingegno
per la lirica Poesia, ne concepì tanta stima, che impetrò per esso
il perdono da Angusto, e successiva- De la Rue Hist. Virg. ad an.7ia.
Circa Novembre ni pugnalar ad Philippos in Macedonia, pereuntque Cassius,
et Brutiu. mente gli procacciò eziandio
la sua amici» zia(i e meritava la di lui affezione. Ancora
giovinetta di una beltà superiore all’altre Dame Romane era vedova di C. Clodio
Marcello, che era stato Consolo. Non essendo dispiaciuto ad Ottavio il sudetto
progetto, che gli presentò M., chiamò la sorella, e la persuase ad
accettare la destra di Antonio. La virtuosa Ottavia non *i ricusò
alle premure del Fratello, ed «al bene, che le sue nozze potevano recare alla
Patria, ed Antonio non rifiutò la sua destra. Il matrimonio in fatti
segui con reciproca sodi•fazione ; e M. ebbe il contento di vedere
effettuato pienamente il suo progetto. La gioja de’Romani fu grande, ed universale,
perchè ognuno credeva, che, mediante questa alleanza di parentela, e di sangue,
anderebbero a cessare per sempre le guerre civili ; e che li due putenti
Rivali avrebbero vissuto in una pace inalterabile. Ma li progetti
dell’Uomo sono sottoposti incessantemente alli capricci, ed alla volubilità
dell’Uomo istesso, ed i matrimonj formati dalla Politica, rare volte seco
portano una seguela di felici avvenimenti. Conchiuso il sopradetto matrimonio,li
due Triumviri vivevano con una intelligenza, che giungeva alla
familiarità. Si accordavano Plutarc. in Ant. pag.683 Edit. Basileae. Has
nuptias suaserunt ornncs, quod Oetaviam sperarent, quac excellentiae
formae gravitatela, et prudentiam habebat adjunctam, ubi Antonio
conjuncta csset, atque ut talis foemina, haud dubie ab eo adamata,
omnium rerum ipsis saluterà, et concordiam al Laturam 6 ? scambievolmente ciò che
l’uno all’altro proponeva, sempre però a discapito del Regime republicano. Imperciocché
stabili rono fra le altre cose, che iu avvenire essi nominerebbero li
Consoli, quando non vorrebbero esercitare eglino stessi il Consolato,
togliendone la elezzione alle Centurie ; e che, dopo la loro separazione,
Antonio farebbe la guerra ai Parti, e Cesare attaccherebbe Sesto Pompeo nella
Sicilia, ad onta della buona fede, su cui questo si era da essi separato.
Gli amici di questo, saputo il
tradimento, ed il nuovo progetto de’Triumviri non mancarono di prevenirlo
minutamente. A tale notizia Sesto animato da un risentimento naturale, e
non ingiusto, non aspettò a farsi sorprendere, e facendo uso di una
straordinaria attività, prevenne li suoi nemici, e diede principio alle
ostilità. Ricopri delle sue Flotte li mari d’Italia, e ne bloccò tutti li
porti, affamando in tal guisa la Capitale. La carestia divenne terribile. Romalanguiva
dalla miseria, eoli Romani conoscendo, che la loro penosa situazione era
l'effetto della cattiva politica de’Triumviri, cominciarono a mormorare
apertamente, ed accadevano disordini, e sollevazioni. Antonio, ed Ottavio stretti da queste imperiose
circostanze, cercarono la maniera di calmare Pompeo, e di riconciliarsi
con esso. Sebbene quello fosse
profondamente penetrato £ a dal torto ricevuto, ed avesse
l’animo irritato contro li Triumviri, tuttavia, stante l'interesse, che
avevano preso per la pace Libonc suo Suocero, e Muzia sua Madre,
condiscese a tenere un congresso a Baja, e come altri vogliono a
Miseno (i). Le discussioni del
Congresso furono lunghe, e spinose, e più d’una volta venne
disciolto per le condizioni che promoveva Pompeo, piuttosto dure,
ed umilianti per li suoi Avversar] ; finalmente furono spianate tutte le difficoltà,
e fu sottoscritto un Trattato di pace. Secondo Appiano Alessandrino, dopo
qualche tempo dalla conclusione di questa pace, sembra, che Ottavio trovasse il
pretesto di romperla. Forse 1 ’csistenza del Successore del gran
Pompeo attraversava la vastità delle di lui mire politiche, e perciò
cercava la maniera, o di umiliarlo all’atto, o anche distruggerlo. Pompeo anche
in questa circostanza prevenne il suo nemico. Mandò subito in corso molte
navi corsare, che, scorrendoli mari d’ Italia, intercettavano li viveri
per Roma. Ottavio scrive ad Antonio, prevenendolo della guerra, che
andava ad intraprendere contro di Sesto, e facendogli conoscere,
che Appian. Dion. Appian. vi era stato costretto l Antonio
sorpreso della novità, e più sincero questa volta nell’adempimento del
sagro dovere detrattati, nonapprovò le mosse ostili., e l’intenzione del
suo Gallega, e lo consigliò a desistere dalla meditata intrapresa. Non
ostante la disapprovazione di quello, Ottavio continuò gl’ incominciati
armamenti, perchè nello stato in cui si trovavano le cose T credeva,
che ne resterebbe leso il suo decoro, e compromessa la sua gloria, se
retrocedeva, e se avesse dovuto proporre un accomodamento al. suo nemico -, ma
egli restò umiliato dal valore di questo, che disfece pienamente la sua flotta
navale, e ne riportò una completa vittoria. Roma frattanto già sentiva gli effetti
funesti del blocco, che nuovamente avevano posto alli Porti d’Italia le
Flotte vittoriose di Pompeo, e già la fame cominciava di bel nuovo a
distendere la sua mano devastatrice sugli infelici abitanti. Si mandavano
al cielo imprecazioni contro l’Autore di questi mali, e voci 9orde,
e dispiacenti si diffondevano contro del medesimo nel publico, che venivano
avvalorate dagli amici, e partitanti di Pompeo. Da questa pericolosa, e critica
situazione forse Ottavio non si sarebbe disimpegnato con onore, e
forse non avrebbe superato que pericoli, da quali era minacciato, senza l’assistenza,
li consigli, la destrezza, e la politi Digitìzed by Google
di cui quello facesse uso presso di questo iu un affare così
importante, e delicato ; nè si sà su quali basi poggiasse la discolpa del
suo Padrone nella guerra attuale da esso continuata, nonostante la
manifesta disapprovazione del suo Collega ; ma sappiamo bensì, chel’efcficace
eloquenza, li talenti politici, la destrezza, e le di lui cognizioni rapporto a
materie diplomatiche prevalsero a tutte le ragioni, che fino allora avevano
reso Antonio neutrale. Che anzi
Sesto Pompeo naturalmente non aveva mancato di profondere dell’oro, e
de’ presenti presso li Ministri, e nella Corte di Antonio, non
aveva trascurato d’inviargli Deputati, ed Oratori, architettar cabale, e profittare
di ogni risorsa per indurlo ad unirsi se* co lui contro il dominatore
dell’Occidente, o almeno per ritenerlo costante nelPabbracciato
sistema di neutralità ; ma l’arrivo, e la presenza di M. nella Grecia, in Atene,
e nella Corte di Antonio sconcertò tutte le precauzioni, fece andare a
vuoto tutte le manovre, e tutti gl’intrighi di Sesto ; cosicché persuaso
Antonio, che Ottavio aveva operato giustamente, e che il torto era dalla
parte di Pompeo, fece lega con quello, e si dichiarò eontro di
questo (i). Con si felice succèsso ultimato l’affare, M. . A
Appian. a ] non tardò
nn momento a ragguagliarne con esattezza il suo Padrone, sapendo,
che doveva esser agitato da una penosa folla di cure, e di pensieri
molesti. Ottavio infatti sapeva, che la salvezza de’suoi interessi, della
sua gloria, ed anche della sua vita, dipendeva dall’impresa, che M. si era
addossata, e che tutto sarebbe perduto, se la fedeltà di questo Ministro non
fosse stata incorruttibile; perciò, in attenzione dell’esito della sua
missione, de’suoi progetti, e delle sue trattative, lo stato del di lui cuore
non poteva essere il più felice, perchè scosso quindi, e quinci da tutte
quelle moltiplici impressioni, che sogliono mettere in movimento in
simili circostanze la dubbiezza, il timore, e la speranza ; ma ricevuta
la notizia consolante, primieramente in iscritto, e quiudi a viva voce
dallo stesso M., che, tornato in Roma, gli presentò il Trattato con
Antonio conchiuso, Ottavio si consolò, bandi ogni sollecitudine
affligente, e conobbe appieno, che l’abilità, li talenti, e piu la
fedeltà di un Ministro virtuoso possono alle volte salvare uno Stato, e
recare un bene inestimabile al Principe, ed alla Nazione. In seguito diede principio a nuovi
preparativi militari, affinchè con questi, e col soccorso, che Antonio gli
avrebbe recato, potesse rimuovere il blocco dai porti d'Italia, ricondurre
l'abbondanza nella Capitale, e misurarsi nuovamente col sua rivale. Antonio intanto, fedele alle
promesse fatte a M., ed al trattato conchiuso, parti da Atene nella
primavera, con una flotta di trecento Vascelli, ed approdò a Brindisi,
ove era ilquartier generale di Ottavio. Non ostante le premure, e l’impazienza
di questo in avere il bramato soccorso, sembra, che appena si
avvicinarono le due Armate, nascessero dissapori, e diffidenze fra li due
Triumviri. Il motivo di questa strana mutazione resta ascoso sotto il velo di
quegli arcani, che la politica, e l’ambizione rendono imperscrutabili,
seppure non debba dirsi, che fu effetto di gelosia di stato. '
Antonio già pensava di ritirarsi, e forse con sinistri disegni
contro il Collega ; già le reciproche contestazioni erano giunte a tal segno,
che si presagiva una manifesta rottura, se non fosse divenuta mediatrice
Ottavia sposa di Antonio, e se non si fossero trovati al campo M., ed
Agrippa, altro Favorito, e Ministrò di Ottavio. i, .b Quella donna
virtuosa non omise alcun mezzo per dileguare dall’animo del fratello qualunque
sospetto, che potesse nutrire contro del marito, ma sebbene da qdello
venisse accolta con ogni dimostrazione tutte le volte, che andò presso di
esso, tuttavia non ebbo mai alcuna risposta precisa, e consolante. Impaziente
però dell’esitck nella intrapresa mediazione, si rivolse ad Agrippa,
e a M., conoscendo la grande influenza, che aveva, segnatamente il secondo,
sullo spirito di Ottavio. Perciò essendosi portata da essi, animata
da quel vivo entusiasmo, che le veniva inspirato dal doppio amore, e zelo del
marito, e del fratello, cosi si espresse “ Ottavia, che vedete avanti di voi,
benché nel più alto rango, a cui possa giungere una donna, sarà per
ritrovarsi ben tosto nella situazione la più deplorabile, se i
vostri consigli non prevengono i mali, che essa paventa. Sorella di
Ottavio, e moglie di Antonio, Roma, l’Italia, e le Armate aspettano dalla sua
mediazione il loro riposo, e credono, che da essa soltanto dipenda
di poterlo ottenere, dileguando que’dissapori che intorbidarono
l'alleanza recentemente,, fra quelli conclusa. Ah! quale sarà lamia sorte,
se non potrò disarmarli ? Senza pa^ ce tutto è a temersi per me; si
tratta di un fratello, e di uno sposo. In istato di guerra io dovrò
piangere l’uno, e l’altro per sempre. La vostra virtù, la publica stima,
e quella di Ottavio verso di voi, potranno contribuire decisamente alle
mie,, premure ; ed io saprò mostrarvi tutta la,, mia riconoscenza, se la tùia
mediazione,,, avvalorata dalla vostra, influenza, preude che prima
di due mesi non avrebbe potuto agire nuovamente. ', Questo
disastro di Ottavio risvegliò il coraggio, e le speranze degli amici segreti
di Sesto, che stavano in Roma, e nelle Provincie, e credendo, che egli
volesse profittare de’vantaggi, che gli recavano inaspettatamente gli
elementi, già prevedevano la distruzzione di quello, ed il trionfo del
successore del gran Pompeo. Ottavio, prevenuto di qneste
circostanze da esso presagite per una conseguenza quasi naturale
della sofferta disgrazia, spedi contutta sollecitudine M. nella Capitale
; ove giunto non mancò in primo luogo di dissipare ogni inquietezza
dall’animo degli amici del suo padrone ; quindi seppe prendere misure
cosi giuste contro li malintenzionati, che furono costretti a rientrare
nella taciturnità, e nel silenzio ; e la calma tornò nella Città. Non può non ravvisarsi, che Pompeo in
questa occasione non seppe approfittarsi delle circostanze favorevoli, che gli
somministrava la mina della Flotta del suo rivale. Egli si contentò di
vedere la sua fuga, o piuttosto la sua ritirata, credendo, che non
potesse molestarlo ulteriormente ; ma in ciò non agi con tutta quella
previdenza, degna di un bravo Capitano, giusta la riflessione dello
storico 7 « Appiano. Se esso avesse assalito
Ottavio nel disordine, in cui lo aveva gettato la tempesta, avrebbe senza
meno riportata una vittoria completa, e forse decisiva, e gl’interessi del suo
partito avrebbero sicuramente migliorato. In fatti Ottavio rimase talmente
sconcertato dalla tempesta, e dai torbidi in Roma accadati, che voleva
abbandonare l’impresa, e lo avrebbe fatto, se M., che conosceva l’attuale
situazione delle cose, e prevedeva politicamente il futuro, non lo avesse persuaso
diversamente. Egli gli fece conoscere, che Roma soffriva per la fame; che
la fazione di Pompeo non sarebbe pienamente abbattuta, che le
mormorazioni del popolo non sarebbero cessate, finché non si fosse quello
allontanato dai mari dell’Italia, e scacciato dalla Sicilia ; che
se gli elementi avevano malmenata, e re» sa momentaneamente inservibile
la sua Flotta, quelle di Lepido, di Agrippa, e di Statilio Tauro
trovavansi ancora in buon stato ; che perciò bisognava con costanza
proseguire la spedizione, e profittare segnatamente dell’errore commesso
dal nemico dopo la tempesta (a). In vista di tuttociò Ottavio segui li
consigli Dion. lib. 48 Appian. lib. 5 Catrou del sno Ministro,
e mentre questo conteneva in Roma Io spirito de’faziosi, e sopprimeva
le scintille del malcontento, con una condotta degna del piu grande
politico, quello si occupò di rimediare ai disastri della tempesta ; risarcii!
vascelli maltrattati, sostituì degl’aitri a quelli perduti ; ed in tali
operazioni agi con tanta celerità, che nella prossima estate si
trovò in istato di uscire nuovamente in mare con forze eguali, ed anche
maggiori di quelle della scorsa campagna. La sorte però non aveva ancora rivolto
le spalle a Pompeo, e tuttora gli si mostrava benigna. Imperciocché
venuto alle mani con Ottavio, e datasi una battaglia campale, questo fu
totalmente disfatto, e non salvò la vita, che dandosi ad una fuga
precipitosa accompagnato da un solo soldato. Questo novello rovescio tornò ad
infiamma' re la testa ai partitanti di Pompeo, perchè M. si era
allontanato da Roma. Ma egli anche questa volta seppe riparare ed alla
perdita de’ vascelli, ; ed ai disordini, che accadevano per opera de’Pompejani.
Si spedirono immediatamente
degl’ordini a tutti li Generali di Ottavio, e segnatamente a Marco
Agrippa Ammiraglio sperimentato, perchè accorressero con le loro Flotte iuajuto.
In seguito M. volò in Roma, ove tro- Appian. So vò, che il
male era maggiore di quello, che si era creduto ; ma non per questo si
sgomentò l’anima sua intraprendente. Facendo uso di una fermezza senza
pari, e di misure con tutta la saviezza applicate, seppe sconcertare anche per
la seconda volta li progetti sediziosi de’seguaci di Pompeo, alcuni
de’quali più inquieti, « recidivi condannò all'estremo supplicio, ed in tal
guisa ricondusse il buon ordine, la quiete, e la sicurezza nella Città.
Intanto Ottavio rinforzato dalla Flotta di Marco Agrippa, che,
obbediente agl’ordinl ricevuti, era accorso in ajuto, e più incoraggito
dalla presenza di questo fedele, ed intrepido Ammiraglio, riprese arditamente
l’offensiva, attaccando replicatamele le Armate di Pompeo ; questo non
lasciava di difendersi, e di schivare gl’incontri, che potevano
essere dubbiosi, e comprometterlo ; ma già si avvicinava 1’ estremo
periodo della sua brillante carriera, e la Parca crudele già gli
andava preparando quel destino ferale, cui fu sottoposto sulle spiagge
Africane l’iufelice suo genitore. Dopo differenti parziali combattimenti,
la Squadra di Ottavio, commandata da Marco Agrippa, si azzuffò con quella
di Pompeo. C’urto fu de'più formidabili,
e si combattè con furore da una, e dall’altra parte ; infine
però Appian. loc. cit. 8i la vittoria si dichiarò
a favore di quello, e la Flotta di questo ebbe una rotta cosi
spavento* 6a, che sarebbe restato egli stesso prigioniero, se non fosse
fuggito sù di un piccolo Brigantino, ritirandosi in Messina. Quivi appena
giunto gli fu recata la dispiacevole notizia, che il resto della sua
Armata, sfuggita all'eccidio, era passata sotto le bandiere nemiche. Allora
riflettendo più seriamente alla sua salvezza, fuggi ancora da Messina con poche
navi, che gli erano restate fedeli, dopo avere imbarcato la figlia, il danaro,
gli amici, e tutte le cose preziose andò errando qua e là per l'Asia, ora con
prospera, ed ora con iufelice fortuna. Finalmente, per ordine segreto di
Marco Antonio fu messo a morte in una Città della Frigia (a^. La disfatta, e la fuga di Sesto Pompeo
ricolmò di gioja il giovane Ottavio, perchè si vedeva liberato da un
pericoloso, ed inquieto rivale, ma in questa istessa circostanza
ebbe 1’occasione ancora di disfarsi di Marco Lepido, Collega nel
Triumvirato, e quello, che, in privato, forse più degl' altri aveva abusate
della potenza usurpata. Lepido
aveva comandata una Flotta nella Dion. lib. 49. Strab. lib. 3. Vellej.
lib. a cap. 790 87. Oros. lib. 6 cap, 19. Usser. Annal. pag.
434. i F guerra testé riferita, ed anche egli aveva in
parte contribuito all’ esito vantaggioso dell’ impresa. Dopo qnella
battaglia campale, in cui Pompeo fu rotto, e fuggi, nacquero delle
contestazioni tra quello, ed Ottavio, o perchè Lepido voleva attribuirsi tutto
il pregio della vittoria, o per altra ragione non bene nella Storia
conosciuta. Tali contestazioni avevano anche preso un aspetto serio, e
pericoloso, e si potevano temerne conseguenze disgustose. M.,
cui rincresceva altamente, che, appena spento il fuoco di una guerra
civile * dovesse accendersene un' altra, cercò di prevenirla con
una di quelle politiche risorse, di cui egli era capace. Nella Flotta di Lepido vi erano già
degli amici, e partigiani di Ottavio, il cui numero si era aumentato
inseguito delle surriferite contestazioni. Si aprirono delle relazioni con
questi ; delle giudiziose istruzioni, che vennero loro comunicate, li
prevennero del progetto ., che si meditava. Lepido non era amato dai
Soldati, e perciò lo sviluppo dell’ intrigo, non incontrò ostacolo alcuno, e fu
sollecito, e vantaggioso. All’ improvìso l’intiera Flotta di quello
passò ad unirsi alla Flotta, ed agl’ interessi di Ottavio,. IUrdasto
abbandonato, solo, ed inerme, si vide Lepido ridotto in una situazione
incapace affatto a reali zzarp qualche idea di civile discordia, che forse
andava machinando. Che anzi,
siccome egli era di nn animo de-» iole, e di carattere vile a fronte
delle disgrazie, cosi temendo maggiori sciagure, si portò supplichevole
ad implorare la clemenza di Ottavio. Alcuni avrebbero voluto la di lui
perdita, ma questo si contentò di spogliarlo di quella autorità, di cui
era rivestito, e di ridurlo ad una vita privata. In tal modo ( secondo l’espressione di,,
Appiano ) Marco Lepido, uomo di si grande impero, ed autorità, che aveva pronunciata
la Sentenza di morte contro tanti Cittadini di nobile, ed illustre
lignaggio^, fu balzato dalla volubile, e fallace fortuna ; in guisa che
con abito privato, ed in,, atteggiamento di colpevole al cospetto di alcuni di
quelli stessi da esso condannati, fu ridotto a vivere senza riputazione,
ed a morire ignominiosamente. Ottavio, sistemati gli affari delle
nuove Provincie aggiunte alla sua Dominazione dopo la fuga di
Pompeo, e la destituzione di Lepido, fece ritorno in Roma. Il suo ingresso
fu un Trionfo. Fu accolto con entusiasmo, e con applauso dal
Senato, e da tutti gli Ordini de’ Cittadini, perchè credevano, che ai tonfi)
App.loc. cit. Dion. lib. 49. Sveton. in Octav.Art. 16. F
a I bidi
passati sarebbe snccednto l'ordine, l’ab* bondanza, ed una pace generale
; ed erano cosi persuasi di questo novello sistema di cose, e
segnatamente della pace, che inalzarono in onore di Ottavio una colonna
con questa Iscrizione " Il Senato, ed il Popolo Row mano hanno
inalzato questo Trofeo a Cesa-,, re Ottavio, perchè ha stabilita la pace generale
per mare, e per terra, che prima M era bandita da tutto il Mondo. (i)
Roma infatti cominciò subito a respirare. Lo spirito di partito cominciò a dissiparsi,
ed una reciproca confidenza già assicurava la quiete di ognuno,
tanto in quella Città, che .nelle Provincie. Quello però, che contribui più
d’ogn’altro, mediante la sua incomparabile prudenza, alla
tranquillità dell’ Italia, e di Roma, fu il nostro M.. Si è già veduto, che
Ottavio, allorquando era occupato nella spedizione contro Sesto Pompeo si
era più volte servito de’ talenti], dell’abilità, e dell’intrepidezza
di qnesto Ministro per assicurare gl'interessi del «uo partito
nella Capitale. Da ciò si rileva chiaramente, che già fin d’allora lo
aveva nominato Governa tore, o Prefetto di Roma, e che di questa
carica sublime era pur auco rivestito nell’epoca, che ora si
descrive. Appian. Queste j ed altre simigliane contestazioni
reciproche diffusero le prime elettriche scintille, foriere del turbine
devastatore -, che in breve sarebbe andato a precipitarsi sull’orizzonte
politico di Roma, e formarono l’oggetto, e la materia a que' pretesti^
che aveva già M. preveduti. Non bastava però ad Antonio di aver
offeso in tante guise Ottavio, ed il Senato, e di aver commesso,
per dir cosi, in Oriente tanti delitti a disonore del nome Romano. Per colmo della sua sfacciatagine, o
piuttosto cecità, volle aggiungerne un altro. Mentre la virtuosa
Ottavia gli dava argomenti li più sinceri della sua conjugale premura,
del suo zelo, e di un tenero affetto y egli la discacciò
bruscamente, e la ripudiò, per immergersi pienamente negli amori
illegìttimi di Cleopatra ( l ) • Questo fatto clamoroso, e degno di tutti
li rimproveri, rivoltò contro di esso la publica opinione ed in Roma, e
nel Senato, e nell' Italia, ed in tutti que’ luoghi, ove erano conosciuti
li pregi, e le virtù' della. Sorella di Ottavio. Allora si ravvisò
appieno, * (r) Plutarc, in Ant, che la condotta di Antonia
offèndeva ornai troppo manifestamente la grandezza Romana, il
decoro del Senato, eia purità della Costi» tuzione ; che in consequenza
non era più de* gno di comandare, nè doveva, nè poteva
ulteriormente tollerarsi. s La guerra adunque fu dichiarata contro
di quello, ed i Romani diedero principio ad una operazione
bellicosa, che doveva cagionare la perdita totale del sistema Republicano,
e nel cui funereo fragore dovevano ascoltarsi gli estremi accenti,
e l'ultimo anelito della loro spiraute IjhljrtA. b*;ù»q.**6J«swi
i»y: Ottavio prima di allontanarsi da Roma per portarsi a
combattere Antonio, raccomandò la cura di questa Capitale, e dell'Italia
al suor M., che tuttavia esercitava la Prefet» tura dell’ una, e
dell’altra. La tante volte sperimentata fedeltà di un cosi abile Ministro
rassicurava pienamente il di Ini animo, ed era del tutto persuaso, che
nella sua lontananza, e durante questa nuova, e civile discordia,
gl* interessi del suo partito non avrebbero sofferto alterazione veruna. Con
questa fiducia parti da Roma, e prese il camino là dove il supremo
Direttore degli umani avvenimenti lo chiamava per divenire il primo, ed
il più potente Monarca del Mondo. Alcuni hanno creduto, che in
qtiestaspedrsione militare M. seguisse Ottavio, e che anch’ esso si
trovasse presente alla memo rablle bavaglia di Azio. Dedussero questa
credenza dall’ Ode I. degli Epodi di Ora* zio Fiacco, nella quale il
Poeta si fa a parla** re a M. in tal guisa “Tu dunque, o ami-,, co M.,
andrai sulle agili navi Libnr-,, ne /disposto ad incontrare tutti i
pericoli di Ottavio, incontro gl’ alti bastimenti di,, Antonio? (t)
• Il Grammatico Acrone, fondato su queste parole, sostiene,
che M. non solo andasse nella battaglia di Azio, ma inoltre è d’avviso, che da
Ottavio venisse nomi-* nato Comandante delle navi Liburne \ esprimendosi,
come siegue “ Orazio parla a Mej, cenate, che va con Augusto alla battaglia,,
navale contro Antonio, e Cleopatra. Mentre Cesare Angusto sta per andare
.> alla spedizione presso Azio, affidò a Mecenate il comando delle navi
Liburne che anzi il Continuatore di Tito Livio suppone •I.•
?.• ^ V Epod. Od.r. * Ibis
LiburnU inter alta naviutn, Amice, propugnacula, P
aratus orane Caesaris perìculun Subire, Maecenas, tuo. • (2)
Comm. ad Od. i.Epod.Horat. : M. prosequitur euntem ad bel/urn nasale cura
Augusto adversus Antonium, et Cleopatram ; ad Actiacum bellurn iturus Cacsar
Au~ gustai, Liburnis praeposuit Muecenatem. t _ di più, che dopo la
battaglia, e la fuga di Antonio, Ottavio ordinasse a M. d’ inseguire li
fuggitivi con le sue navi Liburne ( 1). Il Mancinelli sembra essere dello stesso
sentimento, dicendo Anche M. segui Augusto contro Marco Antonio, e,,
Cleopatra presso Azio, Promontorio di Epiro (a) • Segnaci di Acrone, e
del Mancinelli sono Stati il Turnebò, Mcibomio, Cenni e Volpi. Il Torrenzio però, sull’autorità di
Dione Cassio, e di Virgilio, è di contrario parere .,, Deggio avvertire, dice
egli, che nella celebre battaglia presso Azio, non fu pre., sente M., il
quale in quell’ epoca era Prefetto di Roma, e dell’Italia, come »,
rilevasi dal Libro hi. di Dione Cassio ; Di più Virgilio, che fa menzione
del solo ( 1) Suppl. in Liv. lib. 73. art. 9. .• At Cae sar misso
curri Liburnis Maecenate, qui lorigius insequeretur fugientes, ad honores Deo rum,
a quibus adjutus credi volebat, se contulit. ». fa) Com. in 1.
Epod. Secutus itera Augustum Maecenas est contra M. Antonium, ef
Cleopatram apud Actium Epici Promontórium. _ ( 3 ), Com. in 1. Epod. Horat. v.. Vit.C.
Cilnj M. ( 5 ) Vit. di M. lib.i. Postil.9. -, Lat.vetus
tom.io.part.x.pag.a37. Digiti; ile,> Agrippa, e che lo eguaglia
allo stesso Otta» vio, non avrebbe omesse le lodi ancora del suo M., se
anch’esso si fosse trovato in quell'azione. Laonde Orazio scria» >» se
questa Ode nel supposto della futurapartenza di quello. ( i ) Su
tale articolo sembra, che il sentimento di questo Comen tato re sia il
più giusto, ed il più fondato se si legge con qualche riflessione ciò che
narra il suceennato Dione, e prima e dopo la disfatta di Antonio, e
di Cleopatra presso Azio. Imperciocché con tntta chiarezza rilevasi
dagli scritti di questo autore che M. era Prefetto di Roma, e quando Ottavio
parti per la spedizione contro Antonio, e durante 1’ epoca della medesima,
e dopo la riportata vittoria, come si è anche accennato di sopra. Di più Velie jo Patercolo descrivendo
la ( O Co®- in Epod. : Illud monendum me existimare, celebri
ad Actium pugna non interfuisse Maecenatem tane temporis Romae, et
Italiae administrandae Pracfiectum, tjuod significare videtur Dion.
lib.5l. Virgilio» sane solius Agrippae Theminit, insigni laudatione
ipsum Caesari aequiparens, non omisurus Maecenatem suum, modo adfuisset. Quare
carmen hoc sola opinione futurae profcctionis tcripsit Horatius. Lib.a,
art. 85.: Dcxtrum navium } ur 9 * sudetta battaglia di
Azio * domina individùak mente l'Ammiraglio, ed i Comandanti subalterni
della Flotta di Ottavio > e non fa pa-» loia di M., il quale secondo Acrone, sarebbe stato il Comandante
delle navi Liburne. Ecco le parole di Vellejo L’ala,, destra delle navi
di Ottavio fu affidata a Marco Lario, la sinistra ad Arunzio, ed
>, il centro ad Agrippa, Ammiraglio di tutta la Squadra. Ottavio f che
trovavasi per,, tutto, era destinato dovunque veniva dal*,, la fortuna
chiamato,. Torniamo in sentiero. Ottavio lasciata la direzione
degl’ affari di Roma, e dell’ Italia a M., come si è detto, si
portò in Brindisi, ove era ancora-, ta la sua Flotta. Essendosi quivi
imbarcato, fece vela verso l’Epiro, onde avvicinarsi ad Antonio,
che già stava nella Città di Azio, e che aveva adunati li suoi Vascelli
nell’ ingresso del Golfo di Ambracia. Ottavio entri nello stesso Golfo, e
si disponeva a dare una battaglia; ma avendo osservato, che il suo
equipaggio non era completo, e che non era prudenza azzardare un fatto in
luogo si angusto, si tirò in alto mare, lasciando il suo nemico nella
primiera posizione. r : 4. ‘J>
i'.i lianarum corriti M. Lario commitsum, laevum Aruntio,
Agrippae omne classici certamìni s arbitrium ; Caesar ci parti
destinatili, in, quam a fortuna vocaretur, ubique adertiti
Intanto giunse ad Antonio con varie Legio* ni Canidio. Questo
Generale Romano, che seguiva sinceramente il partito di quello,
avendo veduto Cleopatra nel Campo, lo consigliò a doverla assolutamente
allontanare, sembrandogli cosa pericolosa ritenerla in mezzo
all’Armata. Lo consigliò inoltre ad evitare una battaglia navale, ed a
portarsi nella Macedonia, ove con il soccorso del Re de’ Gesti,
avrebbe combattuto per terra, e la vittoria non sarebbe stata dubbiosa. Non
ostante la saviezza di questi consigli prevalse 1’ influenza della Regina
di Egitto, e fu risoluto di combattere sul mare. Non solo Canidio, ma ogn 'altro sperimentato
Militare conosceva, che l’ esporsi ad una battaglia navale, era un errore.
Infatti mentre Antonio trascorreva la Flotta, e dava gli ordini
opportuni > uno de’ suoi vecchi soldati, ricoperto di ferite gli disse
ad alta voce,, Come, o Signore, andate a confidare » la vostra
gloria alla meschina, e pericolosa « risorsa di una battaglia di
Vascelli? Lasciate, lasciate il mare alli Egizj, ed ai Fenicj, che sono
nati per questo elemen*' e mettete a combattere li Romani sul Continente.
Se allora periremo, la nostra,» morte sarà da veri Soldati, e sarà compensata
dalla vita de\nostri Nemici. Antonio nou rispose al Soldato, e persisti
per 94 sua disavventura nel Piano stabilito. (i)
Essendo stato il mare per alcuni giorni furiosamente agitato non si fece
alcun movi» mento nè da una parte, nè dall’altra: Essendosi in fine
calmato, ambedue le Flotte posero alla vela per dar principio ad una battaglia,
che doveva decidere della sorte del Mondo; Il sudetto Vellejo accennando
il giorno di questa battaglia memorabile, cosi si esprime 6
dolore, e della sua disperazione. Lacera le proprie vesti, si
percuote il volto, ed il petto, e chiama replicate volte il suo
amante con nomi non meno teneri, che rispettosi ; Antonio, benché
prossimo ad esalare lo spirito, tuttavia non è meno occupato di Cleopatra. La
esorta a conservarsi, finché possa vivere con gloria, a non rammentarsi
tanto del suo tragico fine, quanto dello splendore di sua vita, e
degli onori, ond’ essa lo aveva veduto circondato ; Ed a riflettere, che
egli non era stato vinto, che da un Romano, dopo essere stato egli
stesso il più illustre fra i Romani ; quindi spirò, pronunciando queste ultime
parole. Antonio ( conchiude il
sudetto Storico In* glese ) aveva passata la sna vita fra i perigli,
e fra i piaceri. Era posto in paragone con Cesare per il valore, e per la
capacità militare ; ma l'amore gli fece perdere il senno, il coraggio,
l’onore, la stima, l’affetto de’ Romani, e l’ Impero, e la vita. Cleopatra
con una morte egualmente spontanea seguì l'ombra di Antonio, ed nn
monumento istesso chiuse le ceneri dell’uno, e dell’altra .fi)
(i) Diou. lib. 5t. Piotare, loc. cit. Sveton. in Octay. art.i 7. Echard.
loc. cit. JVlentre Ottavio in tal
guisa trionfava nell’ Egitto del sno rivale, ed ultimava con tanto
successo qnest3 guerra Civile, si attentava tacitamente alla sua vita nel
senoistesso della Capitale ; ma vegliavano a sua difesa la fedeltà,
Vattaccamento ? e la vigilanza di M.. Marco Lepido il giovane aveva dei
risentimenti particolari contro di Ottavio, e nutriva nel petto un odio
mortale, perchè 1’ ambizione, e prepotenza di lui avevano balzato Marco
Lepido il padre da quella superiorità, e e da quel potere, che gli dava
il Triumvirato,© lo avevano ridotto a menare una vita oscuta, e
negletta. Era questo Giovane Romano figlio di Giunia, sorella di Bruto
morto nella battaglia di Filippi : Egli voleva adunque vendicare nel tempo
stesso, e la morte dello zio, e l’avvilimento del padre. (i)
(i) Vellej. Patere, lib. a. cap. 88. : Dum ultimam bello Actiaco,
Alexandrinoque Cae~ sar im ponti manum, Marcus Lepidus,juvenis
forma, quam mente melior, Lepidi ejus, qui T riumvir fuerat Reipublicae
constituendae, fili us, Iunia Bruti torore natus, interficicndi^ Formò a
tale effetto una pericolosa congiura per uccidere Ottavio, qnando
dall’Egitto avrebbe fatto ritorno in Roma. La cospirazione non focosi
segreta, che non giungesse a notizia di M. Prefetto di Roma. Egli
seppe con tanta quiete, e simulazione penetrare il nero progetto del traditore,
e con tanta celerità impedirne le consequenze funeste, che Lepido venne
arrestato, giudicato, convinto, e condannato all' ultimo supplicio,
senza che venisse punto alterata la tranquillità di Roma. In tal guisa M.,
secondo Veliero ( i ), con una sorprendente destrezza seppe spegnere le
perniciose scintille di una nuova, e rinascente guerra Civile.
Servilia moglie di Lepido, forse complice della congiura, non
volendo sopravvivere al marito, nè soggiacere aH’obbrobrio, ed
alljt timul in Vrbem revertissct, Caesaris Consilia inierat. Loc.
cit. Tunc Urbis custodiis praepositus Cajus Maecenas .... Hic speculatus
est per surnmam quieterà, ac dissimulai ione nt prae cip itis
consilia J uvenis, et mira celeritàte, nullaque cum perturbatione aut hominum,
a ut rerum, oppresso Lepido, immane novi, ac resurrectui i belli civilis
restinxit initium, et ille quidem male consultoruni poenas exsol
log pena dovuta, si uccise da se stessa con aver
inghiottiti de* carboni ardenti. Anche Giunia moglie del vecchio Lepido
fu accusata di complicità in questa congiura del Figlio ; ma contro
di essa non esistevano, che semplici sospetti; tuttavia M. la obligò
a dare la cauzione nel Tribunale di Balbino, Liv. in Snpplero.lib.
i 33. art. 72. Servilia Lepidi Vxor curn superesse viro non substinerct, et
diligenti familiarium custodia ni hil adipisci mortiferum posset, pruuis arxlentibus
deVoratis, vita abiit\: Vellej. loc. cit. Aequatur praedictae Calpurniac
Antistii, Servilia Lepidi Vxor, quae vivo igne devorato, praematuram
mortem immortali nominis sui pensavit memoria Roberto Riqucz nelle
irate a questo articolo di Vellejo, fa le seguenti osservazioni relativamente
aCalpnrnia. Ciò che narra Vellejo di Servitia è attribuito comuneme
nte a Porzia moglie di Bruto. Infatti Valerio Massimo, esatto Scrittore
del Secolo, in cui si suppone accaduto quel fatto, non ne fa
menzione. Di poi la moglie di Lepido non fu Ser vilia, ma Antonia figlia
del Triumviro : Ciò non ostante il Vossio non osa negare la verità
del fatto a Vellejo, 1. perchè Lepido, ripudiata, o morta Antonia,
potè passare alle seconde nozze con Servilia, 2. perchè Eliano Var.
Histor. annovera fra le illustri D ame Romane una Ser’» vilia .,!*•
uno de’ Consoli. Allora Lepido di lei marito si presenta a questo,
e cosigli parla" Voi sapete con certezza, o Balbino, che io non
sono stato complice del delitto di mio Figlio, e sapete egualmente, che
non ebbi parte alcuna il quell’Editto di proscrizione emanato,
quando la sorte mi faceva domi-,, naie, e nella quale foste anche voi compreso.
Se rifletterete per un moménto alla mia passata grandezza > io spero,
che alla vista di un supplichevole, di cui rispettaste altre volte li
decreti, sarete per ascoltarmi con cuore placato. Giunia mia
consorte non ha che me per adempie-re alFohbligo, che gli è stato ingiunto. Ricevetemi
adunque per la sua cauzione, o permettete, che io vada fra le prigioni
con essa,, Balbino sensibile alle preghiere di un uomo, che prima
del cambiamento della sua fortuna, la potenza aveva reso formidabile
ai Romani, e conoscendo ancora del tutto insussisteute l’accusa contro la
sudetta Gunia promossa, dichiarolla innocente. Intanto Ottavio avendo posto
fine alla guerra di Egitto, al Triumvirato, ed alla esisten^ dell’ unico
competitore, che gli restava, fece ritorno in Roma ove fu accolto con incompreusibile
allegrezza; vi trionfò per tre giorni, e chiuse il Tempio di Giano, che Appian.
lib.4. Catrou loc. cit. per il corso di dne secoli, era
stato aperto. Benché rimasto solo padrone della vasta dominazione Romana,
tuttavia non cercò, che di farsi amare con le maniere popolari, ed
affabili, con le sue liberalità e con le più savie disposizioni prese e per il
bene publico, e per quello di ciascun Cittadino in particolare. M., che gli stava al fianco, e
senza il consiglio del quale per cosi dire, Ottavio non faceva
passo, non mancò di fargli prendere tutte quelle determinazioni
necessarie per preparare insensibilmente l’esecuzione di quell’
ardito progetto-, che già da gran tempo andava meditando. In fatti la condotta di quello, dacché
ritornò dall'Egitto, fu tale, che il Senato, il Popolo, e tutti gli ordini
dello Stato già sentivano gli effetti di un Governo Monarchico, benché
ognuno fosse persuaso, che la Repuhlica andasse a momenti a riprendere
l’antico suo lustro, e splendore. Ottavio però mostravasì indeterminato,
e dubbioso* se dovesse salire sul Trono, o se dovesse rientrare
nella classe di semplice Cittadino, ristabilendo laRepnblicà nel suo stato
primitivo. Da una parte gli si affacciavano all’ immaginazione agitata li
pericoli, a cui la sna potenza quasi illimitata poteva esporlo ;
richiamava al suo pensiero il crudele destino di Giulio Cesare suo padre,
e li rimproveri, che gli aveva fatti Antonio altre volte,» che egli
travagliava meno per il publico bene, che per la sua propria grandezza,,
dall’altra parte si lusingava, che la Republica, stanca dai furori delle
guerre civili, preferirebbe un giogo pacifico, e salutare ad una indipendenza
funesta, bastante a richiamare tutti gli orrori passati. Credeva anche di
rimarcare, che il Popolo Romano avesse perduto lo zelo geloso, e l’amore
costante per la libertà ; che il Senato non avesse più P inflessibile
fermezza, che era scoglio alla Tirannia; e che ad ambedue mancassero
Soggetti capaci, ed intraprendenti per formate una formidabile
Fazione. ( i ) Queste riflessioni, e la sua indeterminazione era un
peso, che Ottavio portava con pena ; pensò pe rtauto di discaricarsene
nel seno dei due suoi più fedeli amici. Noi l’abbiamo già osservato, uno
era Agrippa, Uomo tanto sincero ne suoi con sigli, quanto era intrepido
nelle battaglie. Unito alla Corte di Ottavio fin dall* infanzia, crasi
acquistata la sua stima, e la sua tenerezza più ancora con l’esatta
sua probità, che per gl’importanti eervigj nelle armi ; era un guerriero
de’ tempi antichi paragonabile ai Curj, ed ai Fabri Catrou Tom. 19.
lib. 5. Echard. 1 13 cj i fi) L'altro era M.. Dal fin
qui detto abbiamo conosciuto, che egli era un amico disinteressato
di Ottavio, fornito di uno spirito franco, e leale * il Politico
più raffinato del suo tempo, il più destro, ed il piu giudizioso
de’ Cortegiani. Agrippa adunque, e M. consultò Ottavio per fissare la sua
irrisolnzione, e per decidere sul grande oggetto. Agrippa parlò il primo con
una fermezza, conforme alla rettitudine del suo cuore, all’ amore,
che aveva sempre conservato per la sua Patria, ed alla riconoscenza, che doveva
al suo Padrone (a)., Se io avessi di mira ( diss’ egli ) li miei,, interessi
soltanto, vi esorterei a profittare all’ istante delle circostanze del tempo,
e a divenire il Padrone assoluto della Ro-,, mana grandezza ; ma, facendo
usodiquella sincerità propria del mio carattere, e fi) Catrou loc.
cit. Dion.. : Hoc autem anno vere iterum pencs unum Hominem s u /rima
rn totius Reìpublicae esse coepit, quamquam armorum deponendorum, resque
omnes Senatus,Populique pot est atit rade ndi consiliumCaeSar agitaverit ; ad
quam deliberationem, curi Agrippam, Maecenatemque adhibuissct, nani
cum his de omnibus suis arcanis communicara solebat, prior inhanc
sententiam Agrippa lo cutusest. * II »
già da voi altre volte sperimentata, credo, o Cesare, clic bandito ogni
privato riguardo debba parlarvi, e manifestare il mio sentimento per il
vostro, e per il publico bene .,, È principio certo in Politica, che il sottoporre
ad un governo Monarchico un popolo geloso della sua libertà, forma
un opera dilEcile ed eseguirsi. L’amore della,, indipendenza nasce con
noi, ed è un attributo quasi necessario dell’umanità. Questa inclinazione
universale in tutti gli uo5, mini aumenta, o s’ inde.bolisce per mezzo,,
dell'educazione, ed è più, o meno poten-,, te, secondo i pregiudizj della
Nazione *,, nella quale abbiamo avuto la sorte eventnale di nascere. Perciò la
natura, li cosfumi, l’edutazione, e la lunga abitudine,, dovranno rendere ai
Romani insopportabile il dominio di un solo. Li popoli assuefatti al giogo di un
Padrone hanno un debole sentimento di quella generale pendenza, che la
natura ispira per la libertà ; ma quelli al contrario, cui,, per
successione è stata trasfusa la massima, vera o falsa che sia, provarsi cioè,,
minor servitù in un Governo formato da Magistrati di loro scelta, si
rattristano,, altamente, e fremono al solo pensiero di,, un Sovrano. Potrà la
forza tenerli per qualche tempo soggetti, ma questa forza istessanon
sar» giammai capace a distruggere ne’ cuori quel germe vivifico, che la natura
v’ infuse, e che dalla educazione,, venne quindi allentato. Finora, o Cesare, le vostre
imprese sono state legittime, e la gloria da voi acquistata, non ha
in veruna guisa scemato lo splendore della vostra virtù. Imperciocché nella
guerra di Perugia opprimeste degli ambiziosi, che col pretesto di vendicare
la morte di Giulio Cesare, pretendevano d’inalzare un Trono sulle ruine della
Dittatura. A Filippi purgaste la terra di due assassini di un Zio, che vi
aveva adottato per figlio. La Sicilia, invasa da un Tiranno, che
spacciandosi per difensore della Repilblica, ne cagionava la mina, fu
liberata dalle vostre armi. De’ due Colleghi, che per mezzo del Triumvirato sapeste
con saviezza associarvi, uno vive tuttora nell’ oscurità, enei disprezzo,
e,, l’altro ha cancellato con la sua morte il di sonore, che recava al
nome Romano. Dopo tante vittorie, è giunto, o Cesare, l’istante fatale,
incili dovete pronunciare sulla sorte dell’ Universo .,, Quale mai, e
qaanto grande sarà la vo}J stia gloria, se, divenuto abbastanza po-,, tente per
assoggettarlo da Monarca, saprete in guisa superare gl'impulsi dell’amor proprio,
che lo ridoniate a’ suoi veri Padroni ’ Allora vedreste sollevarvi al di soli
a pra de' Camilli, e dc’Scipiorti, e consa-» orarvi
Tempj,come a Divinità tutelare dal Senato, e dal Popolo, ristabiliti
nell’an>, tica loro autorità, e nel primitivo stato di eguaglianza.
(i^A questa eguaglianza di,, Cittadini appunto noi siamo debitori della conquista
del Mondo, e finché li Romani, ne furono in possesso pacifico, si viddero
sortire dal seno della Republica, e Generali scelti con riflessione, e Soldati
premu-,, rosi di rendersi degni di poter un giorno *, anch’ essi
comandare. Ah, Cesare, io >, temo, che se Roma cesserà di esser Repu-,,
blica, cessi ancora per qualche tempo di vincere, e di conquistare,,,
Quando il sistema Republicano dovesse,, cangiarsi in Monarchia, a quali timori,
a quanti incarichi laboriosi, e pesanti non j, va a sottoporsi il
nuovo Monarca, e sopra-,j tutto l’autore di un ! tal cambiamento ? Li,, Comizi
> ed il Senato riuniti affrontarono >, immensi travagli per
regolare 1’ amministrazione di tante Nazioni comprese nella vastità della
Republica Romana. Ora potrà un solo nomo supplire all’esercizio, che su
di quelli gravitava, e la salute la più robusta potrà sostenere le
fatiche inerenti al governo dell’ Universo ? Il solo Dion. lib. 5a. pag. 6i3. :
JEqualitatis et nomen est speciosum > et res j ustissima,
Digttlzedb *»7 dipartimento delle Finanze non presenta,,
una sorgente inesauribile d’imbarazzi, di pensieri, e di cure ? Io
convengo, o Cesare, chele rendite- dello Stato sono gran>, di, ma saranno
sufficienti a mantenere tante Armate esposte su tutte le frontiere
dall’ Oriente all’Occaso ? In una amministrazio-,, ne popolare si
concorre agevolmente, e con piacere ai bisogni dello Stato, e
l'istes— sa avarizia cede alla ragione del bene comune. Allora la
liberalità de’Cittadini for>, ma per essi un merito per inalzarsi agli ono*,,
ri, ed agl’ impieghi (i). Al contrario in un Governo monarchico le
publiche intraprese di un Sovrano sono riguardate come suoi affari
personali. Ognuno crede, che,, da quello soltanto si debba supplire del
suo proprio tesoro a tutte le spese del Governo, Ogni nuova imposta
produrrà nuova que-,, rela, nuove satire, e nuove amarezze per il
medesimo, e sempre con la forza, o di mala voglia si vedrà il Cittadino
effettuare » il pagamento delle Tasse quantunque ordinarie, e regolate
dalla Legge. Quale odio poi non si
procaccia un Giudice universale, incaricato di punire da se l
( i) Dion. loc. cit. : Ubipenes Populum est Imperium, multi multam
pecuniam conje rune, etiam ut liberalitatis opinionem consequnntur, ac prò Ut
ho noia mcritos adipiscantur. ti8 >, solo tatti li
colpevoli ’ In un cambiamento i t di Governo, il numero de’ malvagi si
mol-, tiplica all’ infinito, e li sediziosi, e mali, contenti sortono, per dir
cosi, dal seno,, stesso della terra. Non potendosi tutti ridurre al buon
sentiero nè colla dolcezza, nè coiresempio del rigore usato con alcuni,
sarete dalla necessità costretto a pronuncia' i, re contro de*
medesimi, decreti o d' igno* minia, o di bando, o di morte, e sebbef, ne
sarete nel punire moderato, ciò non,, ostante si crederà, che gli effetti della
vo-,, stra giustizia necessaria, siano piatto-,, sto il risultato di un
particolare risentici mento. Vedrete inoltre li piò potenti Cittadini, e
le famiglie de’ Patrizj accendersi di gelo-,, sia, e d' invidia per il vostro
inalzamento al Trono, e perciò non pochi di essi non temeranno di
censurare primieramente la >, vostra condotta, e quindi anche formare,,
delle congiure a danno della vostra esistenza, e del sistema da voi introdotto.
Se perciò vorrete punirli, ed umiliarli, si susciterà contro di voi
la publira indignazione, e se li lascerete vivere senza oppri-*,, merli, la
vostra sicurezza, sarà compro j, messa, c sarete circondato
incessantemente da mille pericoli. ( i) (r*) Dion. loc, cit. : Hos
ncque, si augeri ' Digitized by Google 99
ji 9,, Voi solo non potrete ultimare alcuni prò» getti, 1 ’
esecuzione de’ quali esige indi—,, spensabilmente 1 ’ opera, e la
confidenza di Generali rispettati dal Soldato per la loro nascita. Questi
riceveranno da voi il comando delle Armate, ma quindi rivolge-,, ranno
contro voi stesso quelle forze, che,, ad essi affidaste. A quale espediente
allo-,, ra dovrete appigliarvi ? Bisognerà, che facciate uso d’ individui
di vile estrazione. Questo rimedio però potrebbe com« promettere la
tranquillità dello Stato, eia 33 vostra gloria ; imperocché, se per
caso 3, questi nomini oscuri riescono nelle imprese, diverranno insolenti,
se poi soccombo*,3 no, a voi solo sant addebitata la perdita .,, Ah ! Cesare,
preferite pure, preferite. le dolcezze di una vita tranquilla all’ im33
barazzo di una potenza tumultuosa. Un,, momento di piacere puro, e solido è
supc33 riore a tutto il fasto della grandezza. Che cosa pretendo
conchiudere da tatto-,» ciò, e quale è-il mio scopo? Voglio forse 33
violentare il vostro animo a rinunciare per sempre a quella superiorità,
che avete coll’ armi acquistata ? Nò certamente : io vi darei un
consiglio pregiudizievole, se,, vi esortassi a restituire la Republica al Popolo
Romano nella situazione, in cui si pattare, tutus vivet, neqiie si
opprimere cancri},juste ages. ritrova
al presente ; essa ha bisogno di rij,, forma, prima che gli antichi Padroni
ne vengano ripristinati al possesso. Profittate pertanto di quella Sovranità,,,
di cui la vittoria vi ha rivestito per migliorare quel campo, che avete
acquistato, e,, perseverate nell’ esercizio della medesima,, per tanto tempo,
quanto sarà necessario per ristabilire le Leggi, richiamare la prattica'
delle antiche costumanze, corregere li », abusi del Comiz'o, reprimere 1’
ambizio-,, ne della Nobiltà, porre de’ limiti alle pretenzioni del Senato,
moderare il potere de’ Tribuni, regolare l’uso delle Finanze,
e », e raffrenare la cupidigia de’ Publicani. Quanto glorioso
allora sarà per voi di comparire da semplice Cittadino in uno Stato, /
>, di cui foste il Ristoratore ! Siila autore di », tante proscrizioni,
ed il carnefice della sua », Patria, seppe dimettersi a tempo, e
mori », rispettato, e tranquillo. Giulio Cesare vostro Padre, il
meno sanguinario degl’Uomini, e il più inclinato a perdonare, fece,, perpetua
la sua Dittatura, e trovò degli », assassini frà li suoi amici più cari. M discorso di Agrippa fece una forte impressione
sullo spirito di Ottavio. Egli forse avrebbe abbracciato il sistema da
quello proposto, sagrificando le sue vittorie al ristabir limento della
Repubbra, ma M., essendo di contrario sentimento, entrò neH’are
~Diqitizécl TSyGoogle 121 uà, e parlò con tale
facondia, e vivacità, che ottenne nna completa vittoria sullo
spirito di Augusto. Se si trattasse ( rispose egli ) di delineare
un Campo, e di prendere del le misure per dare una battaglia, io non oserei
di parlare in presenza di Agrippa ;,, ma, aggirandosi la discussione intorno
a materie politiche, credo di potere con sin-,, cerità azzardare il mio
giudizio, avendo su di quelle lungamente riflettuto, e trat-,, tato non
poehi affari dello Stato in differenti, ed anche difficili occasioni. Comprendo
la solidità de’ dubbj proposti, ma,, conosco ancora, che lo scioglimento di
essi non può imbarazzare un Eroe già Padrone,, sovrano, e capace d*
ultimare colla sua,, prudenza ciò, che ha incominciato colla,, forza. La Republica, o Cesare, è caduta
in uno stato d’ infanzia, ha bisogno perciò di,, esser messa in tutela. Ora
non siamo piq in que’ tempi felici, in cui la virtù soste-,, neva questo
gran Corpo, ed in cui le sue forze non erano state indebolite dal vizio;,,
ma l’avarizia è succeduta all’amore della povertà, l'ambizione agli onori,
la temperanza alla frugalità, e 1’ incontinenza al,, modesto pudore ; è
impossibile pertanto di,, trovare al presente un numero diMagistrati
disinteressati, sobri, casti, virtuosi, e simili a quelli, che fecero
onore ai primi f aa secoli di Roma. Tanti mali
invecchiati vi-» a chieggono una roano capace a poterli gua>» lire. f. Si, Cesare, voi dovrete affrontare pei,
santi incarichi nel prestare la vostra opera ad una cura cosi difficile ;
e preveggo, che,, saranno assai grandi li vostri pensieri, la vostra
vigilanza, li vostri travagli ; ma nell’attuale stato delle cose sono
divenuti i, necessarj ; e sebbene potrebbe sembrarvi spaventevole
un tale prospetto, tuttavia sono persuaso, che non avrete il
coraggio di abbandonare il Governo nel pericolo di,> non ricuperare
giammai la sua perfetta sa-,, Iute, f. Non è possibile di rimediare
ai mali pre*,, senti con una Dominazione passeggierà. U ristabilimento
del buon ordine in Roma coll’,, ajuto delle leggi, e de’ regolamenti è un
idea di speculazione, che non può aver luogo in prattica; bisognerebbe, che
quelle venissero infinitamente moltiplicate per poter correggere li
disordini, che le passioni hanno introdotti. Come poi potrebbero trovarsi
de’ Cittadini, ih cuore de’ quali fosse abbastanza incorruttibile, e li
costumi abbastanza puri per mantenerne l’osser-? vanza ? LaRepublica
è ridotta in tali circostanze, rt che ha bisogno di una Legge vivente,
che f, ordini, e che faccia al tempo stesso ese guire. Appena la
maestà di un Padrone perpetuo basterà per imprimere il rispetto;,, ma che cosa
accaderà, se Magistrati di un anno saranno incaricati della Riforma f
Li Cittadini indocili, e pertinaci spereranno » r impunità nel
governo di Successori più deboli, sostituiti ai più rigorosi. E’ necessa-,, ria
una Autorità permanente per distrugge-,, re inclinazioni perverse, che
rinascono incessantemente, e che non è tanto facile 99 di
estirpare. Voi, o Cesare, vi
dovete alla Patria, divenitene Padrone per sempre per sua compassione.
Fate sì, che il Senato sia composto di Soggetti di sperimentata saviezza
; confidate le vostre Armate ad abili Generali, e scegliete li vostri
Legionarj frà le,, Famiglie povere, le quali porranno som», ministrare
Cittadini eccellenti ; ma conser-,, vate il dominio, e sulla Nobiltà, che iin»
piegherete nelle cariche, e suiti Comandan» ti degli eserciti, e suiti soldati
medesimi. Ne con ciò pretendo, che
il peso degli affari debba sopra voi solo gravitare ; Ne
#> dividerete la cura con li Cittadini ptimarj delle antiche Famiglie,
che renderete i ! 1 u stri, con renderli laboriosi. Riguardo al,, Popolo,
bisogna regolarsi con tal cautela, che sia sempre contenuto nell’
umiliazione. Finché li plebei s’
interessarono della sola cultura delle terre, Roma fu tranquilla ;
si ridderò però divenire insolenti, allorqnan», do, associati ai publici
affari col soccorso i, de’ loro Tribuni, rovesciarono più volte la
’ Costituzione dello Stato ; c necessario per», tanto, che rientrino in quella
subardina», zione, dalla quale furono levati dalle Fazioni. Disprezzate
le publiclie voci tendenti a », denigrare la vostra condotta. Forse si dirà,
che avete vinto perii vostro solo ingrandimento ; ma Roma parlerà con
altro linguaggio, quando sotto l’ombra de’ vostri auspicj vedrassi al
colmo della feli jy Cltil «,, Non dovrete temere alcun attentato alla,,
vostra persona, divenuto Monarca ; al con-,, trario i vostri giorni saranno in
pericolo, y, se, spogliato del supremo potere, rifenì, trerete nella
classe di semplice Cittadino ; .chi mai in questo caso potrà garantirvi
dalla perfidia di que' scellerati, e malconten* ti, che sopravissuti alla
distruzione nelle », passate guerre civili, si aggirano ancora e,, in
Roma, e nelle Provincie ? Esistono sicu-,, ramente de’ turbolenti partegiani
delle Fazioui di Sesto Pompeo, e di Antonio. Que Dion. loc. pit.: Ilio, enimPlebis lice ristia,
qua optimus quisque servire cogitur, et acerbissima est, utiisque
cominunem pcrniciein ffert. nS A sti,
serbando contro la vostra persona odio, risentiraento, e livore,
cercheranno di vendicare l’affronto, che loro recaste per,, averli vinti,
ed umiliati, e col vostro as-,, sassinio immolare una vittima gradita
all’ s, ombre de’ loro Amici estinti o sulle camf> paglie di Filippi,
o sulle spiagge dell’ Epiro. Siavi d' esempio Pompeo il grande, il,, quale,
spogliatosi spontaneamente di quella potenza, che colla vittoria si era acquistata,
fu miseramente ucciso, mentre faceva degl’ inutili sforzi per ricuperarla :,,
Alla medesima dissavventura sarebbero stati esposti ancora Mario, ed
altri potenti Cittadini, ie non l’avessero prevenuta colla morte. (i,) •
t > * Diòn. loc. cit. : Quis enim libi parcet, ubi omnes res,
uti mine ace sunt, P apuli, àlior urn que‘ Potè stati praemitlis, cu/n et
pcrmulti a te sint offensi, et omnes fere summam rerum tentaturi, quorum
alteri et ulcisci te, alteri adversarium te e medio tollera cupicnt
1 Balsac nel cap.45. del Print. cosi su tal proposito ragiona : Si va
incontro ad egual pericolo tanto nell ’ impossessarsi, che nel dis* farsi
del s/lpremo potere. F aiaride era prontissimo a dimettersi dalla potenza
usurpata l ma chiedeva- un Nume per sicurezza della sua vita, se
rientrava nella classe di Cittadino privato, £’ stata sempre comune
opinione Sul Trono però la maestà, che imprime il rango supremo, e la
guardia d’ ond’ è,1 circondato, spegne ne’ cuori gl’ istessi de* siderj
della vendetta. D’altronde, o Cesare, la vostra gloria, e le vostre precauzioni
sapranno preservarvi da qualunque timore. Koma vi riguarda. come un dono,,
ricevuto dai Numi, e voi passate per una,, Divinità tutelare, che il Cielo
volle serbare iniftezzo a tanti Nemici per assicurare il loro benessere,
e la loro felicità. Si è detto,
che il peso dell’ Impero è troppo grande ; ma questo è un vano terrore
capace a «coraggi re tutt’ altri, che il Fi-,, glio adottivo di Giulio Cesare. La
metà del,, Mondo ha già ubbidito alle vostre Leggi; finora non foste, che
Triumviro, e l’ Impero dell’Occidentè non fu per voi un in»; carico troppo
pesante. Presentemente tut— te le Nazioni godono quella pace, che voi,,
«apeste ad esse procurare ; le nostre Fron che quelli, li quali hanno
preso le armi contro la loro patria, o contro il loro legittimo Sovrano,
sono ridotti in certa guisa nella necessità di continuare nel male, per. La
poca sicurezza, che trovano nel fare del bene. Non osano di divenire
innocenti per timore di sottoporsi alla discussione delle Leggi, che
hanno offese, e persistono ne loro errori, credendo, che il loro
pentimento non trovi compassione.
ja? •Nere sono difese da Governatori di vostra scelta, e gl’
ordini non derivano, che da voi dal Caucaso, ed il Mar rosso fino
all’ Oceano Brittannico. Non si tratta più di cercare, in che guisa
potrete divenire il,, Padrone dell’ Impero ; ma con quali mezzi potrete
sostenere quel peso, che il Cielo ha voluto addossarvi;. Io spero di
potervi somministrare li mezfci ricercati. », Formate Un
Senato, che sia composto di », persone sagge, e tranquille, nè la pover-,,
tà deve essere un motivo, onde escluderne li buoni Cittadini ; sarà non
meno cosa vantaggiosa, se unirete ai Senatori Romani de’Soggetti
stranieri scelti ancora Frà nostri Alleati. Con questo temperamento,
potrete » ricevere de 1 buoni consigli, sia per il go-,, verno della
Capitale, sia per contenere le » Provincie lontane, e le cabale saranno
meno » frequenti tra Individui di diverse Nazioni. L’ordine de' Cavalieri
è rispettabile, ma trovasi circoscritto da troppo anglisti confini. Ammettetè
ih questo ceto illustre, seni, za fissarne il numero > tutti que’
sudditi >> delle Provincie Romane, che ne sono de», gni, e per li
natali, e per li servigj pre*,, stati, e per le ricchezze. >» Li Pretori devono scegliersi dal
Corpo de' Senatori dopo cinque anni di servizio* e dell’ età
di anni trenta, giacché in avve, gerete iui Giudice subalterno col nome
di sotto-Censorc, che prenderà cognizione di que’ leggeri disordini
de’ Cittadini, che,, non giungono al delitto, ma, che sogliono cagionare
delle inquietezze nelle famiglie, e che tolgono la quiete publica, ed il
buon ordine della Città. La carica di questi due,, Magistrati potrà
essere a vita, non po* tendo concepire alcun timore di due Uomini inermi,
che eserciteranno la giustizia sotlo i vostri occhii Io non so, o
Cesare, se il mio discorso incontrerà la vostra approvazione, ma ciò,,,
che ho detto, mi sembra troppo necessario a rendere il vostio regno
pacifico. Contendete liberamente il diritto di Cittadinanza,, a qualunque
Individuo, che ne sia degno * delle Città alleate, e soprattutto delle CoIonie,
e cosi avvilirete questo titolo di Cittadino Romano, che rende il
Popolo della Capitale si fiero, e affezzionandovi le Nazioni
straniere, ve le renderete fedeli * i. Crescerà poi il loro affetto, se
facendo con precauzione una scelta de’ Soggetti li più
Digitized by Google l3i,, ragguardevoli, li farete partecipi
anche y, degli onori del Senato. Che cosa importa, se il numero de’
nostri Senatori oltrepasserà li trecento ? Più saranno gl’impieghi, e le
cariche da conferirsi, e più autorità vi acquisterete, ed anche maggior
sollievo. E’ giusto, che sia
fissato uno stipendio per i Consoli, ed i Pretori, che manderete nelle
Provincie, giacché è cosa del tutto vituperevole, che per mezzo di enormi,,
concussioni, si aggiudichino da se stessi li salarj de’ loro travagli, ed
impongano tasse arbitrarie sulle Popolazioni, che governano. Se si porteranno
delle lagnanze contro l’avarizia di alcuni di quelli, dovranno
richiamarsi all’istante, benché non siano finiti li tre anni
dell’esercizio della loro carica ^ In generale poi sarà una giuyv sta
misura di non prolungare ad alcuno il tempo della sua amministrazione
oltre a cinque anni. Ho
detto, che bisognava moltiplicare il » numero de’ Cavalieri ; perchè da
questo » Corpo rispettabile dovrete scegliere levostre Guardie, a cui
assegnerete de’ Capitani. Allora la vostra Persona sarà più sicura, e se P uno
di questi Capi diviene so» spetto, l’altro per emulazione veglierà con y,
zelo salii vostri giorni ; qneU’autorità poi, >, che loro darete sul
resto della vostra Casa, ' « li affezzionerà maggiormente al servizio,,e
I a se si conoscerà, che le loro
incombenze fossero troppo moltiplicate, potranno in,, parte
discaricarsene su di alcuni subalterni col nome di Luogotenenti -, che
parimente potrete nominare. Dallo stesso corpo de’ Cavalieri
potrete estrarre ancora e gli Coj, mandanti della Polizia, che in tempo di not*,,
te veglieranno sulla quiete di Roma, e gl* Intendenti de' viveri, e li
Presidenti del pnblico Tesoro, e li Ricevitori delle rendi-,, te delle
Provincie, (ij Oltracciò oserò dirvi, che sarà bene d’
impiegare ancora de’ Liberti per la riscossione del pnblico danaro. Questa qnalità
di nomini sarà adattata per sopportare,, l’odio inerente all* impiego di
Esattore. Con questo mezzo potrete far
uso, e distri— ( i ) L’ ordine de' Cavalieri desume il suo
stabilimento parimente da Romolo, il quale avendo fatta la scelta di
trecentpGiovani lipiù valorosi, c benfatti, ne formò il Corpo di guardia
della sua Per sona. Allora erano chiamati Celeri, ma posteriormente
furono sottoposti ad altre variazioni di nome al dire di Plinio presso il
Sigonio de Antiquo Jure Civ. Rom. Jib.t.
cap.3. : Equitum nomea saepe variatum est, in his quoque, qui adequitatum
trahe bantur. Celerei sub Romulo, Regibusque appellati sunt, deinde Flexumincs,
postea Trottali : Fedi il sudetto Sigonio loc. cit. Digitized
by i33 buire degl* impieghi, che serv'irannó di ri-,,
compeiiza ai vostri domestici, e popolandorOriente,e l’Occidente d’individui
fedeli.»sarete con esattezza prevenuto della situazione delle Provincie lontane
.,, Una delle cure le più importanti di un Sovrano è di vegliare
attentamente sulla educazione della Gioventù in tutto 1’ Impe-,, ro. Vi
siano adunque per questa delle publiche Scuole, delle Accademie per formar-,,
la nel mestiere delle armi, e de’ Maestri ben pagati per istruirla nell’
esercizio dcl-,, lo spirito, e del corpo. Da questa dipende la forza dello
Stato, e questi fiori coltivati con saviezza, produrranno il frutto a suo
tempo, e luogo. Procurerete però, che non venga educata nella mollezza,
e nella indolenza, altrimenti se ne risentiranno in seguito gli effetti
funesti ; Roma,, cesserà di esser feconda di Eroi, e tntto l’obbrobrio
ridonderà a carico dell’Autore,, della Monarchia, "t Dion. lib 5a. pag.63a. : Hoc
quoque te summopcre hortor insticuas, ut Putridi, Equestrisque Ordinis
homines, dum adhuc pueri tiam agunt,ludos literarios frequentent Ita e nim
statini apuero discentes, et exercentes omnia ea, qua e adultis sunt
usurpanda, ad omnia ne goda aptiorcs habebis. Optimi enim, ac egre gii
Principi* est, non modo ipse ut omnia e* 4 Anche le
Truppe esiggono una particola. re attenzione, come quel Corpo, che forse,,
costituisce la porzione più necessaria, e interessante dello Stato. Allorquando
la maggior parte delle vostre città godrà il diritto della Cittadinanza
Romana, vi riuscirà facile di rimpiazzare le vostre Legioni di,, Cittadini
Romani • Fatene la leva in tutte le contrade dell’ Impero ; siano
puntualmente pagate ; preparate loro de’ buoni quartie-,, ri, e non
permettete, che invecchino sotto le armi, poiché da ciò ne derivano le
sedizioni militari. Ogni Veterauo è ordinariamente ardito, e presuntuoso ;
perciò è necessarlo, che questa porzione di Truppe,,, facciali suo servizio
senza interrompimento dopo il fiore della gioventù fino al princi-,, pio della
vecchiezza ; le vostre Legioni siano sempre sul piede di guerra, ed in numero
sufficiente per difendere le Frontiere. Siano escluse dal vostro governo
quelle leve istantanee, e tumultuose, come soleva altre volte praticarsi
in caso di estremo,, bisogno. Fate si, che una porzione de' nostri
Contadini eserciti tranquillamente,, l’Agricoltura, nè i loro rustici lavori
sieno turbati dal timore di dover ascoltare ad ogni istante il suono
della tromba guerric officio agat, verum, ut qua rat ione etiam reliqui
omnes quarn optimi fiant, prospiciat. ra, che ad essi annunzi degli arredamenti
involontari .,Le Armate saranno assai deboli, allorquando non sono
fonnate, che di sudditi forzati a servire. Si dirà, come trovare
somme considerevoli., onde mantenere tante Armate conti», imamente sul piede di
guerra, e pronte sempre a marciare a qualunque cenno del Sovrano ?
Questo è il punto decisivo, e l’oggetto di terrore, che vi è stato presentato,,,
Ogni Stato ha le sue rendite, e voi potete divenir padrone del Tesoro publico
de’,, Romani. Basterà questo per dare esecu*,, zione al progetto, che io vi
propongo ? Nò », certamente; ma con una prudente, e savia »,
economia vi si potrà supplire. Vendete le,, spoglie delle Provincie conquistate,
e formatene, col prodotto, un fondo per libi7, sogni straordinarj. Promulgate
de’ sa vj re-. golainenti, affinchè le campagne siano con impegno,
e profitto coltivate dai Proprie», tarj, ed esigetene un tributo sul loro prodotto.
Non è forse giusto, che con il sagrifizio di una tenne porzione delle loro sostanze,
si acquistino la sicurezza, che voi \, procurate ad essi, e a tutto lo
Stato ? Vegliate sulle miniere de’ metalli, che si
discopriranno nelle diverse contrade dell' t, Impero. Esiggete puntualità
nella riicos rU sione delle tasse per testa, senza permettere,
che li debiti si moltiplichino.Procurate, che non si rappresentino altri
giuochi fuori della corsa de’ carri, e de’ cavalli, perchè ordinariamente
le Città le più opulente, sogliono esaurire le loro rie•chezze in futili
divertimenti * Riguardo alla «Capitale dell’Impero, gli edificj deggiono
es~ sere in essa sontuosi, è li Spettacoli magnifìci; la Capitale è il
centro di tutte le Nazioni, e la maestà del Padrone, che gor verna,
si misura con la Città, ove risiede conia sua Corte. Fuori di Ironia
proibite agli abitanti 1* eccessività delle spese, e quindi con
questo provido temperamento tutti saranno in istato di pagare li tributi.
Si potranno inoltre dispensare le
Provincie a fare Deputazioni così frequenti. Li Governatoti respettivi
ultimeranno gli affari sulla faccia del luogo ; e se fosse necessario,
che quelli dovessero rimettersi al voatro Tribunale, li rimanderete al Senato. Allora voi detterete le sne risposte, e sfug-,,
girete di prendere sopra voi solo l’odio, che quelle potranno seco
portare. Fate partecipe il Senato
delle querele, che gl’inviati delle Nazioni nemiche, o dei Re
stranieri potranno promuovere, ed a voi solo riservate la cognizione
delle grazie, » che loro vorrete accordare. Non dovrete mai più permettere al Po
polo la decisione de’ delitti capitali. Qne*> sta dovrà essere una
ispezzione esclusiva del Senato, il quale si crederà onorato di un
tale imbarazzo, e voi ne resterete con piacere discaricato. Io però non
parlo de’ delitti comuni, la di cui punizione è stata regolata
dalle Leggi. Per li attentati contro »» la vostra persona (giacché tutto
può accadere) siatene voi stesso il delatore, ma non giudicate giammai
nella vostra causa. Fate, », che altri ne pronuncino la sentenza, e voi,,
non dovete interessarvenc, che per mode* », rare la pena. » Non
dovete fissare la vostra attenzione, », come già ho accennato, nè alle
parole in»> considerate de’ malintenzionati, nè alle saj» tire, che si
diffonderanno, contro di voi,, nel publico, e non curate di venire in co»,
gnizione degli autori ; poiché dovete figli» rar ?i, come situato in una sfera
superiore, »• in cui siete invulnerabile, come li Dei. *» La vostra collera non deve accendersi,
che » contro li sediziosi, che, posti alla testa di una Armata,
avranno rivolte le vostre,, armi contro di voi stesso. Il giudizio di que
sti scellerati, e colpevoli di Stato, Indivi*,, dui ordinariamente di alta
considerazione, dev essere rimesso per commissione ai Con* >»
soli antichi ; la qualità di tali Giudici darà », peso alla decisione,
che saranno per pronunciare. Vi saranno delle cause, dall’egame delle quali non
potrete dispensarvi*,, imperciocché pii affari di onore fra gliUfh ciali
delle vostre Armate, e gli Appelli dai T ribunali del Prefetto di Roma, e
del sotto*,, Censore devono tornare a voi; allora scegliete degli Assessori fra
i Patrizio al tri Soggetti qualificati, che possano figurare con,, voi in una
Assemblea giudiziale. La grande
saviezza di un Padrone indili pendente consiste nell’ ascoltare volentieri,,
gli altrui consigli. Accogliete pertanto grati ziosamcnte tutti quegli Amici, e
Cittadini, che saranno per darvene dei salutevoli;,, ma non discacciate
con orgoglio coloro, i quali potrebbero suggerirvcne alcuni non sodisfacenti.
Quelli, dalla bocca de’qua-,, li sortono consigli poco utili, possono
aver avuto retta intenzione : Accade di questi, come dei Generali di
Armata battuti,, dal nemico ; Spesso l’errore non è imputa* bile nè agl’
uni, nè agl’altri ; e siccome non si può sempre rispondere degli avvenimenti
della guerra, cosi non deve riguardarsi con occhio bieco quell’ Uomo, che
di buona fede dà un consiglio poco sensato. Li Filosofi procureranno sovente di
gui* darvi con le loro speculazioni. E’ vero,,, che avete sperimentato,
quanto erano van*, taggiosi li consigli di Areo, e di Atenodo*,, 1-0(1^), ma
generalmente parlando, le opinioni di tali Uomini sopo difettose per mancanza
di esperienza nel maneggio degli affari Le meditazioni del Gabinetto sono
spesso le meno sicure in prattica. Atenodoro Filosofo Stoico è
nativo della Città di Tarso. Fa maestro di Augusto, dal quale Ju
decorato di molti onori. ed anelli di Tiberio. Aveva il talento
particola) c per far apprendere con facilità le scienze a' suoi Di scepoli.
Le sue cognizioni erano cosi estese, e tanta la forza della sua eloquenza,
clic Sallustio lo assomigliava al fuoco, che accende tutto ciò, che gli
si avvicina : Athenodorus Stoicus Philosophus ( dice Suida f sub Octa vio
Romanorum Imperatore omni bus ad Philosophiani subsidiis, tam ab iji genio,
quam recta animi voluntate instructus erat .... idemque dilucido
discipulis suis explicabat. Hunc Sallustius oh studiuni admiratus, igni
similem esse dixit, omnia propinqua incendenti : Secondo Strabope lib. 1 4. pag.
463- aveva l' abilità di rispondere estemporaneamente a qualunque argomento, e
fu onorato ancora da Marco Antonio il Triumviro, ììi lode del quale
scrisse un Poemetto, dopo la battaglia presso Filippi. t fa') Dion. loc. cit. : Neque enìm quia
Areum., et Athenodorum bonos, ac honestos viro s expertus es, omnes alias idem
studium prua i4o Ecco, o Cesare, alcune massime geuerali per
il Governo, clie renderanno la vostra amministrazione Sovrana meno
difficile, e meno pericolosa di quello’, che vi è stata,, rappresentata. •
.,, Le qualità personali del Monarca, so», pratutto quando è 1’ autore
dellaMonarchia, », devono eguagliare la sublimità del rango, », al
quale egli è giunto. Io credo, e so* », no persuaso, che quello non deve
in difierentemente accettare tutti i titoli, e tutte le distinzioni,
che l’adulazione potrà deferirgli. La realtà della Monarchia vi deve
bastare sotto qualunque nome la rite*-,, niate. Che importa di esser chiamato
Cesa-* » re, o al più Imperadore, quando voi amministrate sovranamente lo
Stato Romano ? Bisogna, che con una irreprensibile con dotta
v'innalziate dei monumenti perenni sul cuore de’ Sudditi. Che cosa
servono quelle Statue d’oro, o di argento ? Sono stati eretti nelle
Provincie alcuni Templi a vostro onore, ciò poco interessa ; ma non
dovrete » giammai permettere, che ve ne sieno con* secrati in Roma,
perchè sarebbe un oggetto di disprezzo per le persone sensate, ed
una seferentes, similes eorum indicare debes, curri hac
specie usi multi infinita mala populis, privatisene hominibus adjeraut,
y, spesa inùtile, che pot là essere meglio im i,
piegata. - Fate uso voi stesso di economia nelle vo* stre spese
particolari, ed in quelle della vo~ straGasa.La buona opinion, e,di un
uomo frn» gale vi farà più onore di un grande numero »> di tempj, di
altari, e di statue. Questo culto esteriore, e materiale diverrà comune
ai buoni, ed ai malvaggi Principi. D’altronde non si recherebbe insulto
ai Numi, con eguagliare i vostri onori a quelli, che il Popolo suole ad
essi deferire ? Un Sovrano, che cerca di essere onora» to
deve sempre mostrare della pietà verso li Dei immortali, perciò nón
permetterete, che s’ introducano in Roma delle Sette religiose straniere.
Una novità in materia 5, di Culto, ne porta sempre delle altre, e e
quindi ne risultano attruppamenti sediziosi, e pericolose congiure. Ammetto,
che restino frà noi degli Auguri, che consuiti, chi vuole ; ma non devono
assolutamente tollerarsi gli Astrologi, ed i Maghi ; j) imperciocché
dalle loro predizioni false, o vere, che siano » hanno principio
sempre le intraprese dei perturbatori del publico riposo, -fi)
Dion. loc. cit. : Deos quoque senipcr, et ubique ita cole, ut moribus
Patriae est reccptum,ad eumdemque cultura ahos compelle. Pc * 4 *
Voi avrete indiverse parti delatori -, e. spioni ; questa razza di
persone saranno necessarie, ma guardatevi di deferir cieeamenre ai loro
rapporti. Spesso l’odio, rinteresse, la vendetta, o altre passioni sciolgono
agl’ uni la lingua, e chiudono agl’altri la bocca. Qui è dove fa
dnopo,, avere continuamente la bilancia in mano, e procurar di farla
inclinare piuttosto a favore degli Accasati .,, Li vostri antichi Amici,
ed i vostri Domestici li più familiari devono esser per,, voi non meno un
soggetto di precauzio-,, ne. Disprezzarli, sarebbe, un ingratitu-,, dine,
sollevarli, ed arricchirli soverchia-*,, mente, produrrebbe contro di voi un argoinento
perenne di rimproveri, e dimormorazioni. Si giudicherà di voi per mezzo de’
vostri Amici, e i loro difetti saranno a voi attribuiti. Cercate adunque di
disfarvi dei meno discreti, e di quelli, che sono nelle loro brame
insaziabili \ • 1 • i regrìnarum vero Religionum auctor esodio,
ac Supp liciis prosequere,. qui nova numi na introducane, multos ad
peregrinis Legibus utendum pelliciunt ; inde conjurationet, coi- tioncs,
et conciliabula existunt, minime unius principe fui commodae res ; itaque
nequeDeorum contemptorem, ncque praestigiatorem allum tolerabi *. Governo : L’ingiusta preferenza produce
del malcontento, e quindi può ancora cagionare il rovescio totale di quello.
Siate il protettore dei Grandi fino ad un certo punto, ma l’eterno
sostegno dei deboli, ed il vendicatore degli oppressi.,, Proteggete con
energia le arte utili, clic esercita il basso Popolo, e bandite gli
oziosi. Ordinariamente le sommosse popolari incominciano da pe rsone
disoccupate, *, e sono fomentate da nomi di partito, che,, si danno
reciprocamente per farsi ingiuria; ciò forma la sorgente delle rivolte,
che Fa duopo distruggere nella nascita. L’abuso della
propria autorità è il più,, grande dei mali per un Sovrano. Dare esecuzione a
tutto ciò, che si può, è lo stes« i, so soventi volte, che fare più di
quello è >, permesso. Più utio si conosce potente, o più bisogna
> che vegli sopra se stesso per non farsi trascinare dai proprj
desiderj. Gli,, Adulatori vi lusingheranno sopra i vostri di? : b fatti
> ma segretamente vi biasimeranno. Abbiate
dunque per massima di regolare la,, vostra condotta, non tanto su quello,
di i, cui siete stato redarguito, ma sù quello, per cui
potrete essere rimproverato. Riflettete sopra voi stesso, e non già come,,
Sovrano, ma come Suddito responsabile j, di tutti i vostri
andamenti al Publico, il quale vi osserverà con tnttà 1 attenzione,,, e vi
giudicherà con rigore maggiore di quello, di cui voi userete verso di
esso. Ecco, o Cesare, il dettaglio delle
qua. liti, che voi dovete acquistare, c de'sco-,, gli, che dovete
sfuggire. La sapienza, di cui il Cielo ha voluto decorarvi, vi servi-,,
rà di. guida, e 1* esperienza vi faciliterà l’arte di governare. Entrate
adunque, entrate con confidenza nella carriera, che le vittorie vi
hanno aperta ; Roma, e l’Universo vi reclamano, come il solo Uomo capace
di riparare ai disordini di una Repnblica andata in decadenza. Quelli,
che vi esortano a consumare la Rivoluzio-, ne, amano sinceramente la Patria. Che dolcezze
non gusterete in una amministrazione tranquilla, in cui voi farete la felicita
di un Mondo intero 1 Ninna cosa è più dolce del dominio, allorquando il
Dominatore è capace di procurare la comune felicita. Non vogliate discacciare
la fortuna, che vi ha scelto fra mille per sostener Roma vicina a cadere.
Regnate senza prendere il nome di Re, e siate Sovrano senza altro titolo,
che quello di Cesare, o d'Imperadore. In una parola, la regola più sicura onde
rendere amabile il vostro Impero è quella di governare li popoli a voi,,
soggetti, come bramereste di essere gavernato voi stesso, se i Numi vi avessero,,
fatto per ubbidire (i). Il tX scorso di M. dissipò le dubbiezze di
Ottavio, gli trasfuse nell'animo maggior sicurezza, e non esitò
ulteriormente per aderire al progetto di quello. 11 bravo Agrippa non
restò malcontento al vedere posposto il suo sentimento, perchè comprese
anch’es-, che il suo Padrone rischierebbe meno di quello, che non si era
creduto, sul posto eminente > nel quale veniva consigliato a perpetuarsi
> e che l’utilità publica si troverebbe unita alla gloria del medesimo. Egli
non potè non ammirare la saviezza, e profondità delle massime
politiche di M., proposte per rendere felice un'Amministrazione
Monarchica ; e perciò l’esperienza ci ha fatto quindi conoscere > che tutti
li Re veramente degni del Trono hanno formato il loro piano sù quello,
che il sudetto M. presentò ad Ottavio. La lettura del suo discorso > che per
intero ci è stato dallo Storico Dione trasmesso è un Capo d’opera, che anche
ai nostri giorni, ed in ogni tempo può istruire li Sovrani a divenir
felici, procurando la prosperità de’ loro Sudditi (a). Il laborioso
Catrou, da noi tante volte, citato, suppone, che non ostante l' efficacia Dion.
lib. 53. Catrou Catrou loc. cit. lib. 5. K t+6 delle
ragioni dettagliate da M., V à~ nimo di Ottavio restasse tuttora
perplesso, ed irrisolato ; e che il Poeta Virgilio determinasse qnesta
sua ir risolutezza, e lo inducesse ad ahbracciare definitivamente il prò*
getto della Monarchia. Il Catrou parla in tal guisa (i,) Osare, avendo
ripieno lo spirito di tutto ciò, che aveva ascoltato da Mecenate, non
ebbe rossore di consigliarsi,, ulteriormente con uno de’ suoi domestici i
nomo di bassi natali, nato in un villaggio da poveri genitori, ma li di cui
ta-* lenti erano sublimi Questo fu il famosò Virgilio, Poeta, la
memoria del quale si,, conserverà in tutti i secoli. Da lungo tem-,, po egli
era al servizio di Cesare Ottaviàno, e per mezzo di vili principj èraginnto a
meritarsi il favore delsno Padrone .,, M. lo aveva tirato dalla polvere
-, ed egli aveva già spiegato quel genio incomparabile, che faceva
presagire un altro Omero . Virgilio fissò la irrisointezza dell’ lmpefadore con
queste parole :,, Tutti quelli, che si sono finora impadrbnifi del Governo non
visorio riusciti, fe perchè f Perchè po.o giusti verso degli,, altri, han
dovuto, incessantemente paren-,, tare le mani vendicatrici de 'malcontenti
* Voi al contrario, o Signore, che il Cielò - - *1 • ( i)
loc. cit. ha fatto nascere giusto, e moderato, passerete
giorni avventurosi, facendo pro-,, vare ai Romani un impero amorevole. Sembra però, che il Catrou in questo luogo
siasi fatto sorprendere da quella Vita di Virgilio, che viene attribuita
a Donato Grammatico, e dì cui si è fatto di sopra menzione (i).
Siccome però questo scritto, (l) Il Succennato Autore della Vita
di V irgilio si spiega nel modo seguente. Postcaquam Augustus summa rerum
omnium poti tus est, venit in mcntem, an conduceret Tyrannidem omittere, et
omnem potestatem annuii Consulibus, et Senatui Rempublicam reddere. In qua.re
diversae sententiae consu/tos habuit Mae cenai eni, et A grippata. Agrippa
enim utile sibi fare, edam si honestum non esset, relinquere Tyrannidem
longa oratione contendit, quod Maccenas dehortari magnopere conabatur. Q tiare Augusti animus et hinc ferebatur, et illinc.
Erant enim diversae scntentiae, variis ratiombus firmatae. Rogavit
i gi tur Maro ne m, an conferat privato homi ni, se in sua Republica Tyrannu/n
faccre. Tum ille : Omnibus ferme, inquit,
Rempublicam aucupantìbus molesta ipsa Tyrannis futi, et Civibus ; quia
necesse crat odia subditorum, aut eorum injustitiam, magna suspicione, magnoque
timore vivere. .. Q uare si jusCitiam, quod modo facis, omnibus in
K a a sentimento di tuffigli Eruditi, è pie nò di
errori, e di favole, cosi non può fissare la nostra attenzione su quanto
narra di Ottavio nel momento, in cui stava per decidersi sulla scelta o
della Monarchia, o del ristabilimento della Republica. Se sussistesse ciò, che ivi si legge,
cioè > che Vi rgilio determinasse il sudetto Ottavio ad
uniformarsi al sentimento di M., non si sarebbe certamente omesso da
tanti valenti Biografi, « he hanno parlato diffusamente, e di Virgilio, e di
Ottavio ; e Dione segnatamente, che ha trasmesso alla posterità gli
eloquenti, e giudiziosi ragionamenti di Agrippa, c di M., e che inoltre
afferma positivamente, che Ottavio si attenne al parere del secondo,
sembra, che non avrebbe occultata una notizia cosi interessante, e
rimarchevole. De la Rue accenna appunto questa ragione per escludere la
verità di quella circostanza narrata dal sudetto Donato Se non fosse un
fatto del tutto assurdo ( dice egli ),, che Virgilio consigliasse Ottavio ad
aderì-,, re al progetto di M., e che deter-,, minasse l’animo vacillante di
quel Princi futurum, nulla hominum facta compositione, distnbues ì
dominar i te, et tibi conducet, et orbi . Ejus sentcntiam sequutus Cattar
Priaeipatum tenuit » » pc,
non si sarebbe narrato dal solo pseui, do-Donato, ma sarebbe stato ai
posteri trasmesso dalla penna ancora di Storici il
rispettabilissimi (i). V Ambrosi, che pensava come de la Rne,
nel premettere alla sua magnifica Edizione dell'Opere del sudetto
Virgilio la indicata Vita di Donato, cosi previene il Lettore infine della
medesima e in cui visse •. Imperciocché nveutre Sesto Pompeo, fi-,, gliò
del gran Pounpeo, richiede il Patrimonio paterno, sconvolge, e mette sossoprali
mari d’Italia, e di Sitilia; men», tre Ottavio si vendica degli Uccisori
di Giulio Cesate ano Padre, si divellano scene sanguinose nelle
Campagne della », Tessaglia; mentre il genio incostante, e,, e volubile
di Marco Antonio, o deprezza », Ottavio, corno successo re di Cesare, o,,
acciecato dagli amori di Cleopatra, indina a divenire un assoluto padrone
del Governo, il Popolo Romano no» potè tro-,, vare il. suo seampo » che gettandosi
in brac• ciò alla schiavitù. Ma buon per noi, che «, in cosi
terrihile sconvolgimento di cose» i, le redini del comando caddero nelle
mani,, eli Ottavio Cesare Augusto, il quale eoa », la sua sapienza, e con
la sua sagacitàsep i5a pe riordinare le membra scomposte
dell’ immensa mole dell’ Impero, che non sarebbero tornate
sicuramente al suo luo» go, se dalla meote, dal senno, e dalla abilità di
un solo non fosse stato il Governo diretto (; ). Fior. lib. 4 Cap. 3. Populus
Pomanus, Caesare, et Pompe\o trucidati, redasse in statum pristinac libertutis
videbatur ; et redierat, nìsi aut Pompcjus Liberos, aut Cassar
haeredem reliquisset ; vel quod utroqua perniciosius juit, si non collesa quoti
-,tlam, mox acmulus Caesarianae potentiac, fax, et turbo sequentis
saeculi, superfuissec Antonius. Quippe durn Scxtus paterna repetit,
trepidatum foto mari ; dum Octavius mortevi patris ulciscitur, ite rum fuit mo
venda Thessalia ; dum Antonius, varius ingenio, aut successorem
Cassar i indignai ur Octavium, aut amore Cleopatrae desciscit in Pegem
j nam aliter salvus esse non potuit, visi confugisset ad servitutem. Gratulandum
tamen in tanta perturbatione est, quod potissimum f ad
Octavium Caesarern Augustum somma rerum rediit, qui snp lentia sua, acque soler
tia, perculsum undique, et perturbatovi ordinavi Impcrii corpus,i quod ita haud
d tibie nunquam coire, et consentire potuisset, nisi uni us Praesidis
nutu, quasi anima, et mente, regcretur, Il grande progetto della
Monarchia unfc* versale da M. proposto, non era conosciuto, che da esso,
da Agrippa, e da Ottavio. Siccome il silenzio è l'anima delle imprese
delicate, cosi questo dovette esigere da Agrippa un segreto inviolabile, dovendosi
mettere in esecuzione con metodo, con circospezione, lentamente, e
senzacbe i Romani potessero avvedersene, giusta le istruzzioni
dell’Antore del medesimo. Ottavio segni in tutte le parti li consigli di questo
savio Politico, e gli fu debitore della suar gloria, e della felicità del
suo Regno. In fatti riformò subito
il Senato.; ed es» eludendo que’ Soggetti, la di cui presenza in
quel Corpo rispettabile, o non poteva recave alcun vantaggio, o cagionargli del
male, ve ne sostituì degli altri di sperimentata prudenza. Usò in questa
riforma la precauzione di far vedere, che da esso era quello in special
maniera onorato, per non cade «54 re nella stessa
disavventura, alla quale fn sottoposto Giulio Cesare, il di. cui disprezzo
ingiurioso per un Magistrato composto delle più illustri Famiglie di Roma, fu
più veramente la cagione della sua morte funesta, che l’interesse della
publira libertà (i). Aboli tutti li debiti dai Cittadini
contratti con lo Stato. Dichiarò nulli tutti gli Atti, che la
necessità del tempo aveva fatti promulgare nell’epoca del Triumvirato, Abbellì
Roma di grandiosi Monumenti, e divenne ristoratore di un grande numero di Templi,
li quali o le guerre passate avevano rovinati, o per mancanza,di denaro,
erano stati negletti. ?, Stabili, che la distribuzione
gratuita del grano, che, per costume antico j; soleva farsi .al Popolo
sopra li fondi, del publico Tesoro, fosse più frequente, e che in ogni distribuzione
se ne dasse alle povere famiglie una misura quadrupla di quella, che
prima era in usanza. Questi, ed altri regolamenti salutari gli
conciliarono una stima generale, ed era, per dir cosi, idolatrato da
tutti. Allora M. si avvide con la profondità delle sue viste
politiche, che il suo Progetto era giunto alla maturità, e che il Senato, Roma,
e tutti gli Ordini dello Stato erano già disposti a riconoscere l’impero
di Echard loc. cit, un solo nella persona del sno Padrone ; perciò concepì
un secondo Progetto, per ultimare il primo, che sembrava piuttosto stravagante,
e pericoloso, ma che doveva inseguito produrre tutto il suo effetto. Consigliò pertanto ad Ottavio', che si
pre. sentasse in Senato, e con un discorso politico, ed artificioso
rinunciasse al comando assoluto, che allora riteneva, rimettendolo
nelle mani de'snoi antichi Magistrati. Gli fece riflettere, che con questo
mezzo non solo non lo perderebbe, ma anzi avrebbe ottenuto, eh’ egli, il
quale finallora era stato arbimanamente Padrone del Mondo, per consenso di
tutta la Nazione, sarebbe divenuto Monarcha legittimo ; inoltre, che,
mediante le riforme già fatte e nel Senato, e nelle altre Magistrature, erasi
procacciato una quantità di Partegiani, che per le sue liberalità, per la
sua giustizia, e per lesile maniere obbliganti era sommamente amato dal
Popolo ; che in conseguenza, allorquando questo, ed il Senato avrebbero
inteso pronunciarsi da]la bocca del loro benefattore la rinunzia alla
direzione del Governo, o per riconoscenza, o per rispetto, o per politica,
o per non perdere le dolcezze della vita, e del buon ordine, ch’esso
aveva introdotto, non solo non avrebbero accettato la proposizione, ma lo
avrebbero pregato a perpetnarsi in quell’impero, acni finallora aveva
preseduto. Ottavio adunque
penetrato, e persuaso dalle ragioni, donde era stato dal suo Ministro
istruito, si presenta in Senato, e con un’aria d’ingenuità, e di
franchezza sorprendente, in tal gnisa si fece a parlare.La proposizione,
che io vengo a farvi, Padri t3 Coscritti, sarà da pochi approvata, e
da molti stimata incredibile. Soventi volte la j, diffidenza, con
cui sogliono riguardarsi le persone costituite in dignità, fa
rendere sospette le medesime, anche quando parlano, ed agiscono
sinceramente, Io mi esporrei immancabilmente a questo perin colo, se non
fossi determinato di dare una s pronta esecuzione a quanto sono per pròA
porvi. Voi vedete, Padri Coscritti, a qual » rango sublime mi hanno fatto
giugnere la,, sorte delle armi, ed una condotta moderata. Capo assoluto, ed
indipendente della Repnblica, io sono in istato di far uso del»» m i a
potenza, e di perpetuarmela. Ap-,, pena uscito dalla fanciullezza, impugnai
la >1 spada, e volai a vendicare l assassimo di un Zio, che mi
aveva adottato per figlio,,, Nel momento, in cui entrai in questa carn riera,
presi la giustizia per guida, e la,, vittoria divenne mia compagna. Fui coiì
stretto a combattere con nemici di diver-,, so carattere, e di qualità
differenti. Bi*,, sognò dissimulare con alcuni, ed aprire con essi delie
relazioni per non soccombere j> sotto il peso della moltitudine. Mi
convenne in seguito perseguitare gli altri ardilaniente, e costringerli a
rivolgere contro essi stessi quel braccio, che era stato funesto a Giulio
mio Padre. Mi associai alcuni compagni delle mie vittorie, e divisi con
essi il peso del Governo. Che cosa quindi ne accadde ? Lepido in Africa
lasciò decadere con la sua negligenza gli affari di Roma ; Antonio,
esposto nell' Egitto, e nell’Asia, come su di un teatro, disonorò con
la sua turpe condotta il nome Romano, j, e lo rese abbominevole a tutto
l’Oriente. Il Cielo secondò quello zelo,
che esso stesso mi aveva trasfuso per riparare a tali disordini v Antonio non
esiste più, e Lepido,, vive nell’ozio giorni felici per un uomo del suo
carattere. Che cosa vi aspettate, Padri Coscritti,,, da un Vincitore, padrone
del suo, e del vostro destino? Tutte le Fazioni sono distrutte; ogni
corpo di armata sulle Frontie*,, re è comandato da Geuerali, che godono tut-,,
ta la mia confidenza. Li Re nostri Alleati,, non ricevo.no l’impulso, che da
miei cenni, ed i loro soccorsi non marciano, che agli ordini miei.
Il denaro proveniente dalle nostre rendite non è versato, che nel
mio i} tesoro, e non ne va nelle publiche casse, che quanto io ne
permetto. Fiù. Io eonosco i vostri cuori, e quello del Popolo Ro-,, mano in
generale. Io potrei rispondere del vostro affetto verso di me, e
riposarmi sulla publica benevolenza. L’indipendenza adunque, e la
Sovranità possono andare più oltre? Ma perchè tenervi più lungamente
sospesi ? Ascoltate con attenzione le mie parole, ed il suono delle
medesime faccia passaggio alla più lontana posterità . Questo Vincitore,
Sovrano assoluto, questo Generale Supremo di tutte le forze di Roma,
questo linperadore adorato dal popolo sagrifica al bene della Patria gli
onori, di cui lo avete ricolmato, li titoli,,, che gli avete Conferiti, in fine
tutto il frutto delle sue vittorie. In questo istesso istante io vi
restituisco li miei diritti sulle Armate, sulle Leggi, sulle Finanze,
sul governo delle Provincie, in una parola sù tutto ciò, che voi mi
avete accordato, e che la necessità delle circostanze mi hacostretto ad
accettare. Che volete di più? Ora si dica pure, che io non ho
travagliato, che per il mio ingrandimento, quando mi esposi a tutti li
pericoli delle battaglie. ORoma,
tu fosti sempre presente agl’oc-,, chi miei ! A Perugia, nelle Campagne
di Filippi, in Sicilia, nel Golfo di Ambracia,,, e nell’Egitto! A te sola
io allora immolava >, li tuoi, e li miei Nemici, e non fui prodi
1S9 if go del mio sangue, che per assicurare la liberta Romana. Ah
fos'se piaciuto ai Numi, che io non avessi impiegato il mio
Ministero in guerre civili, che ci hanno esaurito di Cittadini, e
spopolato le Provincie. O mia cara Patria, perchè non ti trovai tranquilla,
conte al tempo de’ Padri nostri ! Cielo t tu non me lo hai permesso !
Benché giova•netto mi scregliesti per essere il vendicato}> re del più
perfido assassinio, il riparatore degl’insulti recati alla Nazione Romàna,
il ristoratore della nostra gloria eclissata, e finalmente il
pacificatore di tutto il Mondo!,, La mia opera è compita > ed ho
pienamente sodisfatto ai miei destini. Permettete > Padri Coscritti, che
iomen vada nella solitudine a bearmi di quella fe>, licità, che io
stesso ho procarata. Ora non posso, senza ingiustizia ritenere più lun-,,
gamente un potere, che a voi appartiene ;,, e questa mia volontaria cessione è
dovuta alla mia propria sicurezza, per mettermi al cotperto degli
assassini. Che anzi non so-,, lo vi rendo le vostre leggi, e tutti li
vostri antichi privilegi, ma vi dono eziandio l’opulento mio patrimonio,
e le prerogative, che io posseggo per diritto della mia nascita(i).
(i) Dion. lih. 53. Catroutom. 19. » dotta, e nelle tue operazioni, nè
mire am>» biziose, nè avarizia, nè verun’ altro di,, que vizj, che sogliono
albergare ne Cortigiani, e nelle Corti. (i) Properzio scrivendo
allo stesso M., ci da à conoscere, che quel suo disinteresse per
gli onori sublimi, ai quali avrebbe potuto pervenire, prodnceva un’
azione si gloriosa, e commendevole, che il di lui nome sarebbe
dalla fama, e dai posteri celebrato al pari di quello de’ Camilli. (a) (1) Apnd Pontan. in Symb. Georg.
Virgil. lib. a. pag.aay. Regis eros genus Etrusci, tu
Caesaris olirà D exter a, Romanac tu vigili] ibis eras. Omnia curri posscs tanto tam carus amico,
T e sensit nemo posse nocere tamen. Eleg.
Maecyias eques Etrusco de sanguine Regum, Intra fortunam qui cupis
esse t narri Di più questo suo morigerato contegno, e Mobile
disinteresse serviva anche d’esempio alle famiglie le più cospicue de’
Romani Cavalieri, e ne ebbe imitatori, ed ammiratori. Crispo Sallustio,
fri gli altri, nipote di una soìclla dello Storico di questo nome,
seguì perfettamente il tenore di vita di M.. Sul finire di quest’anno (Scrive Tacito) mo-,,
rirono due illustri personaggi Lucio Volusio, e Sallustio Crispo. *. . Questo,
nipotè di una sorella di quel Cajo Crispo Sai* lustio elegantissimo Sri
ttorc delle Storie Ro*,, mane > da cui fu associato alla sua Famiglia,,,
aveva tutti li mezzi li più potenti per otte* nere qualunque dignità ;
tuttavia, emù*,, landò la condotta di M., senza il titolo di Senatore, Superò
in potenza molte famiglie,che erano state decorate delTrionfo, e
Consolari ». ». Mentre visse Metani libi romano dominas in honore sccures,
Et liceat medio ponere jura foro. >
Et tibi ad effectum vires dei Caesar, et omni T empore tam faciles
insinuentur opes ; Parcis, et in tenues h umile m le collegi* umbras,
Velorum plerMs subtrahis ipse sinus. Crede mihi magnos
aequabunt ista Camillos Jndicia, et veniet tu quoque in ora virum,
Ì76,) cenate, Crispo fu il secondo > cui venivano affidati li
segreti Imperiali ; fu il primd i, però, quando quello cessò di vivere,
(i) Ciò non ostante Augusto procurava di compensare questo
commende’vole distacco dagli onori luminosi del suo Favorito colli tratti
del* la più tenera amicizia, e della più sincera confidenza. Imperciocché,
allorquando il peso, e la serie degli affari del Governo gli
lasciavano qnalche tregua, si portava sovente a visitarlo anche nella
maestosa Villa, che possedeva sulle fertili sponde dell’Aniene. Quivi
Ottaviosi compiaceva di rivedere l’amico, di consultarlo, e di riceveie
sempre consigli, istruzzioni, e massime per ben g vernare, e per ben governarsi ; che anzi
vi è chi crede, che il memorabile Congresso frà (1 ) Tacit.
Andai, lib.3. cap-.3o. : Fine anni concessere vita insignes Viri L. V
olusius, et Sallustius Crup us. . ». . Crispum equestri crtum loco,
C. Sallustius, rerum Romanarum flore ntissimus auctor, sororis nepotem in
nomea adscivit ; atque Me, quamquam prompto ad capesse ndos honores
adita, Maecenatem aemulatus, sine dignitatc Senatoria multos Triumphalium,
Consulariumque potentia anteiit . Igitur incolumi M. proximus, mox
praecipuus, cui secreta Imperaiorum inniterentur. (a^ Marquez Dis. sulla Vita di M.
*77 Ottavio, M., ed Agrippa, e le deliberazioni per
rinunciare, od accettare la Sovranità fossero tenute nella tranquilla solitudine,
e nel dilettevole silenzio di questa Villa deliziosa. Ed in vero qual luogo più
opportuno per trattare con riflessione, maturità, e quiete un oggetto
cosi grande, che aveva relazione con gl’interessi dell’Universo ? ( 1 )
Di più ; se Ottavio era sottoposto a qualche infermità, non già
restava nella Corte, in mezzo a suoi domestici, ed agli adulatori. Esso non si trovava contento, e non
sentiva sollievo alle sue fisiche indisposizioni, che nelle mura
dell’abitazione, e fra le braccia Volpi Lat. Vet. lib.18.Cap.?.
Cumvero bis Augustus deliberaverit de su.mma Imperli abdicando, et
inpristinam restituenda Reipublicae libertate, et in gravissima e
deliberatiti— nis consultationem Agrippam generum, et Maecenatem
amicissimum arbitros, et consiliarios assumpserit, quemadmodum in majoris momenti
rebus omnibus consueverat .... Agrippa ad illum longissimatn prò abdicando ora tionem
habuerit, prò retinendo ac optime in stituendo rerum regimine M., haec in
nostra Tiburti Villa M., ut potè in serhoto à turbis, securoque odo,
agitata fuisse, vehementer, ut suspicor, inclinat animus. M del suo M.
Svetonio ci dice chiaramente, che quello in tempo delle sue malattie riposava
nella casa di M.. Ma la stima, la tenera amicizia, la fiducia, il rispetto,
che dimostrava Augusto verso M., non si limitavano soltanto a queste semplici
dimostrazioni, che possono chiamarsi materiali, e passeggere; egli amava
di essere istruito incessantemente da quello nelle vie difficoltose del
Governo, e ne riceveva ancora con tutta la rassegnazione li più umilianti
rimproveri, quando conosceva, che erano diretti contro le sue passiotai t Fra
le altre istruzioni benefiche, e salutari, che MècènAte aVevà suggerite ad
Ottavio, vi era quella, coti la quale gli veniva raccomandata la
moderazione, perche aveva conosciuto, che l’animo di questo inclinava alla
severità, ed all’ira. A tale effetto pare, che si facesse seguire da M.
in tutti li suoi andamenti, ed in particolare maniera quando doveva
sedere nel Tribunale, come Giudice supremo. Allora M. esaminava le sue mosse
la sua voce, e li suoi delineamenti, e se rimarcava, che T lmperadore agiva con
dol fi) In Octav. in Art. 77. Aeger autetìi, Augustus, in domo Maeccnatis
cu.ba.bat » *79 eezza, con giastizia, a sangue freddo,
e non si faceva sorprendere dal risentimento, che porta con se la
severità, lasciava, che operasse liberamente, e se ne compiaceva ; ma se
scorgeva, che nel Giudizio Voleva far nso di nn rigore soverchio,
eccessivo, e non giusto, anche sul Tribunale»- in mezzo alla
moltitudine > che lo ascoltava > e dond’ era circondato, lo
redarguiva, lo faceva tornare in calma, egli faceva rammentare la sua
massima salutare, GTIstorici tutti hanno avuta l’attenzione
di trasmettere alla posterità un esempio memorabile del dominio, che M.
aveva sullo spirito di Augusto per farlo marciare con la
moderazione > e con la dolcezza al fianco in ogni sua intrapresa. Sedeva
egli una voltata qualità di Giudice alla presenza di molti Accusati, che
attendevano la loro sentenza. M. si avvide, che stava per pronunciare
contro quegl’ infelici la sentenza di morte. Siccome conosceva» che era ingiusta, e
la folla del popolo non permetteva di avvicinarsi al Tribunale, e
nel luogo, sù di cui sedeva, •crisse queste parole ardite nelle sue
tavolette incerate > e nello stesso tempo gettolle ad Ottavio Sorgi, o
carnefice, ed esci da questo luogo Ottavio conobbe la mano di chi le
aveva scritte, si rammentò subito di ciò, che forse per nn momento aveva
dimenticato, si levò dal Trisanate, e dimandò assolati quegli
Accasati. Che M. ha un impero irresistibifé suH’ahimo d’Augusto, e
particolarmente ne’movirtie'rtti dell’ira, e della severità, lo
fece conoscere lo stésso Angusto, quando quello aveva cessato di vivere,
e di assisterlo. Giulia sua Figlia aveva ricoperto di scandalo la Corte
con le sue dissolutezze. Il Pad re
sommamente rammaricato non poteva rimediare n questo disordine domestico.
Tr.v sportato dall’impeto della collera, rilegò la Figlia, e rese
publica la di lei disonestà. Poco dopo rientrato in se stesso, si penti
de’suoi trasporti inconsiderati, e di questa publicità, che
disonorava la sua casa. Allora ricordanti^) t>!on. lib. 55. pag. ^ 20. Tarn
vero si cubi ira impoteutius efferretur, utile m cura sibi habuit, a quo
ab ira ad mansuetiorem animum reduceretur. Unus ejus rei documentarti
prof e-* ram. Praesetite aliquando M., Augu. stus prò Tribunali
stdens, cum multos esset morte damnaiuras, praevidens hoc /ore M accenni,
cum per circumstantium coronam ad ipsum irrumperè, ac proximc assistere
ne qui rct, haecvcrba in tabella scytpsit : Surge vero tandem, Carni fex ;
vamque Tabellam, qua* si atiud quid indicantem, in sinum Augusti
projecit, qua lecca, is statini suri exit, nomi * ne morte mulctato. i8l dosi di Agrippa, e di M.,
e della saggezza de’consigli, che da essi soleva ricevere quotidianamente,
esclamò replicate volte. « Ah, che
questo non mi sarebbe accaduto, se o M., o Agrippa fossero stati ancora
al mio fianco fi ). Dal contesto della Storia, che ha parlato di
Angusto, e di M., si rileva agevolmente, come, dopoché quello si assise, e
consolidò sul Trono Imperiale, e fu messo in piena esecuzione il sistema
della Monarchia universale, questo si ritirasse affatto dalla grande
amministrazione degli affari politici. Finché il suo amico lottava
co’nemici, che si opponevano alla di lui grandezza futura, egli compariva in
mezzo alle imprese le più rilevanti, e spinose, affrontava delle
ambascerie malagevoli, contribuiva a trattati di pace li pia vantaggiosi,
diveniva Prefetto, Amministratore, ed Arbitro dell’ Italia, e di Roma ; quando
però quello non ebbe più nemici a combattere, più rivali da distruggere, e
restò cqn ( 1 ) Seneca de Benef. lib. 6. Cap. Divus Augu, tus filiam intra
pudicitiae male dictum impudicam relegavi!, et flagiti* Pi ilicipalis domus in
publicum emisit. deinde cum interposito tempore verccundia gemens,
quod non illa silcntio pressisset. ... Saepe ex clamavit ; Horum mihi nihil
accidisset, ti ani A grippa, autMaecenas vixistet . 1
8a vinto, e persuaso a gettare la base della sudetta Monarchia
universale, e che a tale effetto gli fu presentato il Piano, furono
fissati li principj, e le più savie istruzzioni ; in una parola,
dopoché fu sistemato il nuovo Governo politico, M., che aveva a tutto contribuito,
che aveva collocato il suo Amico, e il suo Padrone sul Trono deirUniverso,
e sul rango il più eminente, a cui potesse giungere un mortale,
abbandonò, per dir cosi, le vanità del mondo, ritirandosi fra le dolcezze
di una vita privata, e tranquilla. Continuò a prestare li suoi
servigi all'Imperadore, ma lungi dallo strepito della Corte ;
consigliandolo sempre a farsi amare, e a fare amare il suo Governo. Dopo questo ritiro però. M. non
già viveva nell’ozio, nell’oscurità, e nell’indolenza. 11 genio del grand’Uomo
non era venuto sulla terra per desistere, negli anni migliori della sua vita,
dal far del bene ai suoi simili, ed alla posterità. Coll’aver consigliato
Ottavio ad accettare l’Impe ro in quell’epoca, e in quelle circostanze,
aveva reso un grande vantaggio all’ umanità, giacché con questo mezzo aveva
troncato la testa al mostro spaventoso delle fazioni, sempre famelico
di sangue umano, e di stragi ; aveva ricondotto la sicurezza, e la
concordia nelle famiglie, la pace nella Capitale, nell’ Italia, e
nelle Provincie le più remote. Egli però voleva, i83
e doveva fare di più; -una nazione già colta, doveva migliorarla,
un secolo già istruito doveva perfezionarlo. Protesse in grado eminente, e fece
proteggere da Augusto le arti, li letterati, e le scienze, e nacque subito il
secolo d’oeo del Fune, c delle altre. Si ; dobbiamo pur confessarlo, e
confessarlo con tutta giustiziala posterità è debitrice all’anima
benetica di M. di tutto ciò, che di bello,riguardo alle arti, ed alle
scienze risultò in quel secolo avventuroso, che noi riguardiamo con
ammirazione al presente, e che non meno dovranno ammirare tutte le colte
future generazioni. Amando quello, e proteggendo, facendo amare, e
proteggere dal capo dal Governo li talenti, fece si, che questi si sviluppassero
con energia, e prodigassero opere capaci ad istruire, e migliorare lo
spirito, ma incapaci ad essere eguagliate. Li Poeti migliori di quel serolo hanno
celebrato questo favore, e questa protezione di M., e ci hanno fatto
conoscere al tempo stesso, che egli era un protettore pieno di
discernimento, illuminato, che non concedeva il suo affetto, che a soggetti
veramente colti, e di talenti forniti, e che fra quelli, che esso
accoglieva, e proteggeva, regnava una concordia inalterabile Nella Casa
di M. (dice Orazio) regna la purità, e la,, schiettezza ; vi sono banditi tutti
que’disordini, che sogliono eccitare l'invidia 4 la 1S4,,
gelosia, e la falsa emul azione, ed ognuno indistintamente occupa il suo
posto, nè si bada a chi sia più dotto, o più ricco. M. riguardava negl’uomini il solo
me. rito. Ogni dotto veniva da esso con amorevolezza accolto, qualunque
fosse la di lui estrazione. Secondo li suoi prìncipj saggi, e fondati sulla
natura, ognuno era nobile, quando era virtuoso " Sebbene, o M., (
soggiunge il detto Poeta ") ninno sia più illustre dite, fra tutti
quelli, che vennero dall’ Asia a popolare le Toscane Contrade, e e
sebbene un di li tuoi grandi Avi, comandarono vaste Regioni, tuttavia sei
Horat.Sat. .M. quomodo tecum ? Hinc repetit. Paucorum hominum, et mentis bene
sanae, Nemo dexterius fortuna est usus. Haberes Magnum
adiutorem, posset qui ferrc secundas, ffunc hominem velles si tradere ;
dispeream ni, Summosses omnes. Non isto vìvimus illic, Quo tu
rere modo i Domus hac nec purior ulla est, Nec magis hit
aliena malis ; nilmi officit um quarti, Ditior hic, aut est quia
doctior ; est locus uni Cuique suits. Magnum narras, vix
credibile ; atqul Siehabet. tanto buono, e modesto, che non sai egomentarti,
ne aggrinzare il naso, come fanno li superbi, nella società di gente ignobile,
quale, fra gli altri sono io, figlio di nn padre libertino; Imperciocché
taserbi la massima degna di tutti gli elogj, che nulla nuoce ad nn
individuo la bassezza de’ 03" tali, quando egli sia virtuoso. Ed in fatti, che cosa egli non fece a
vantaggio di un istesso suo Liberto, chiamato Melisso, perchè lo conobbe
fornito di talenti, ed erudito? Era questi della Città di Spoleto,
e benché nascesse libero, tuttavia perla discor»* dia de’ genitori,
fu venduto, e sottoposto all’ altrui dominio ; Avendo avuto la sorte di
essere educato con ogni cura j ed attenzione, Lib. i. Sat. 6. Non, quia, M.,
Lydorum quidquid Etruscos Incoluit fines, nemo geaerosior est
te ; N ec, quod Avus tibi maternus fuit, atque pa » ternus,
Olim qui magnis regionibus imperitarunt Ut plerique solent, naso
suspendis adunco Ignotos ; ut me libertino P atre natum. Quum
referrc negus, quali sit quisque parente Natus, dura ingenuus : persuada
hoc tibi vere, Ante potestatcm Tulli, atque ignobile regnum, Multos
saepe viros, nullis majoribus ortas, Et vixisse probo s, amplis et
honoribus auctof, fece grandi progressi nelle scienze,
e fu data in qualità di Grammatico a M., il quale avendo
subito conosciuto il merito letterario del suo Liberto, raddolci talmente
la sua situazione, che lo riguardava piuttosto, come tin amico, che come
un servo. M. però non permise, che lungo tempo continuasse a portare un
tal nome ; lo cancellò subito dal ruolo de’servi, e lo fece tornare al
possesso della sua libertà naturale, col nome di Cajo Melisso M.;
quindi proseguendo a beneficarlo, e ad avvalorare li suoi talenti, gli
procacciò il favore, la grazia, e la protezione dcH’istesso Sovrano, dal quale
fu incaricato di ordinare le Biblioteche esistenti nel Portico di Ottavia
(1 ), (i) Sveton. de illust. Gram. Cap. ai. Co-, jus
Melissus, Spoltti uatus, ingenuus, sedob discordiam Parentum expositus,
cura et industria Educatoris sui altiora studia percepii, ac M. prò
grammatico rnunere datus est. Cui cum se
gratum, et acceptum in modum Amici videret permansit in statu servitutis,
praeseritemquc conditionem vcrae origini ante— posuit ; quare cito
manumfssus, Augusto et insinuatus est ; quo delegante, curam ordinandarum
Eibliothccarurn in Octaviae porticu su scepit : Vedi Lil. Greg. Girai. Hist.
Poet. dialog. Arduino in Indie. Anct. Plinii La protezione pòi di M. non
era soltanto di parole, e di raccomandazioni, non era nna protezione
sterile, ed infeconda. Egli faceva parte
ai Letterati delle sue ricchezze, e de’suoi beni. Il lodato Orazio temendo,
come già si è di sopra accennato, che . il suo M. potesse allontanarsi da
Roma, e andare con Ottavio nelja guerra contro Marco Antonio, e
Cleopatra, gli scrive una Ode vaghissima, nella quale ci fa conoscere,
che egli era stato arricchito dalla generosità di quello, e glieue
mostra cop effusione di cuo* re, e con tenero canto la sua ricouoscenza
« », Tu pure adunque, ( dice Orazio ) o mio ca-,, ro M., marcerai sulle
navi Liburne,, nella guerra contro Marcantonio, disposto a soggiacere a
qualunque periglio di Cesare ? Ed io intanto, che cosa farò ? Senza,, di te, le
ore del viver mio saranno affanno* se, e moleste. Dovrò forse assiso nel
doice ozio, toccare le corde della mia cetra, e tessere degl’inni ? Ma
senza la tua presetiza, senza l’amabile tua compagnia, lamia », cetra
sarà dissonante, e la mia voce roca, e spiacente .... Dovrò
coraggiosamente se-,, g, u irti, o per le alpestri balze delle Alpi, o
sulle vette dell’inaccessibile Caucaso, od anche fino alle ultime
spiaggie dell’Occiden* Art. Melissus. Catron Tirabo* schi Stor. della Lett. Itati. »
te? E vero, che essendo di debole temperamento la mia risolnzione non potrà
recare alcun sollievo alle tue fatiche; ma trovando-,, mi a tc vicino,
saranno meno intensi li miei f, timori, e meno penosa la mia angoscia
.... Io dunque affronterò non solo questa, ma. qualunque altra
militar spedizione, a solo oggetto di compiacerti, e di mostrarti la
mia riconoscenza, e non già perchè divengano più numerosi li miei aratri,
perchè le,, mie agnelle prima della Canicola faccian passaggio dai
pascoli della Calabria alle tenere erbette della Lucania, o perchè giunf, ga a
possedere sulle Colline deliziose del Tuscolo una Villetta, la quale
debba estendersi fino alle muta della Città. Io, o mio v M., null’altro
desidero, e sono ap~ pieno contento della tua generosa munificenza, che
già mi fece dovizioso abbastanza. Epod. i. Ibis Liburnis inter alta
navium, Amice, propugnacula, Paratus orane Cacsaris
periculum Subire, Maecenas, tuo. Quid nos ? guibus te vita si superstite,
Jucunda ; si contra, gravi s ? Vtrumne jussipersequemur
otium Non dulce, ni tecum simul ? et te vcl per A Ipium juga, Non
solo in questo luogo ; ma soventi volte Orazio ci avverte de’bene&cj,
e delle ricchezze, di cui era stato da M. fornito “ Se il crudo Verno (
ripete egli ) ricoprirà di neve le campagne Albane, allora il tuoPoeta
scenderà sulla Marina ; quando poi coannoieranno a vedersi le prime rondini,
ed a sentirsi il soffio de’primi zeffiri, allora, o dolce amico M.,
tornerò, purché,, lo permetterai, a rivederti. Tu mi face>, sti ricco, non
già come l’ospite Cala Inhospitalem et Caucasufn, Vd
Occidenti s usque ad ultimimi sinum, Forti sequemur pectore ?
Roget, tuum labore quidjuvem meo, Imbellii, ac firmai parum
? Comes minore sum futurus in meta, Qui major aìscntes
hab:et ; è Libenter
hoc, et omne militabitur Bellum in tuae spem gratiae : Non ut
juvencit illibata pluribut Aratro nitahfur me a, Pecusve
Calabris ante iidus fervidum Lucana mutet patcuis. Nec ut tuperni Villa candens
Tusculi Circaea tangat moenia. Satis, superque me òenignitas
tua Ditavit ... }, brese, che suole apprestare allo
stanco viaggiatore frutta soltanto (i). Che anzi era tale il
di Ini zelo, ed impegno nel beneficare i Letterati, che dopo di averli
arricchiti, sarebbe stato prodigo con essi anche di beni maggiori, se li
avessero richiesti, e se ne avessero mostrato desiderio. Nell'opere dello
stesso Orazio si rinviene il testimonio di una tal circostanza, e
quantunque il Poeta parlidi se stesso, tuttavia sembra doversi credere, che lo
stesso tenore serbasse con gli altri “ Sebbene le api Calabresi (
soggiunge il Poeta ) non travaglino per mio uso, e vantaggio favi dorati ;
sebbene nelle mie botti non invecchi,, il vino proveniente dalle Vigne della
Campania, o i pingui pascolali della Gallia non mi producano lane
squisite, tuttavia, o M., mercè la grandezza del tuo animo generoso, sta
lungi dalla mia Casa la molesta povertà ; e conosco, che più mi da (
i) Epist. Quotisi bruma nives Albanis illinet agris ;
Ad mare descendet Vates tuus .. te 3 dulcis Amice, reviset
Ctim zephiris, si conccdes, et hiruntline prima : Non quo more
pyris vesci Calaber jubet hospes Tu me fecisti locupletem »».»»••
/ I J 9* •resti, se fossi petulante
a chiederti altri beni ( x ). Lo stesso Virgilio nelle sne Georgiche,
opera composta ad istanza di M., dà bene a comprendere di quante cose
egli era a questo debitore, e che l’amore, e l’amicizia, di cui l’onorava
davano l’impulso alla sua mente, onde produrre idee sublimi “ O Mecena», te, (
dice Virgilio ) o tu i che sei il mio i, decoro, che con Cagione posso
chiamarti « la massima parte della mia celebrità, deh », vieni ad
avvalorarmi, e meco trascorri l’incominciato lavoro ; senza di te la mia mente
non è capace di stendere un volo subli'me.(a) Properzio quell’aureo,
ed elegante scritta re della tenera Elegia di sopra accennata, anch’csso
godeva la familiarità, e la protezione di M., anch’esso era stato beneficato^
veniva da questo mcoraggito ad impiegare, ed esercitare li suoi poetici
talenti “ O Me (i) Lib. 3. Od. 1 6. Quamquam nec C alabrae mella f erutti
ape*, N ec Laestry gonia Bacchus inamphora Languescit
mihi, necpinguia Gallicis Crcscunt veliera pascuis ;
Importuna tamen pauperies abest ; jNec, siplura velini, tu dare
dcneges. (a) Georg. Jib.i. e
lib.a. cit. -cenate, ( cosi pària il Poeta ) o tu, la-d! t, cui
stirpe deriva dal sangue dei Re Toscani, i) perchè vuoi, che io m’
ingolfi nel vasto pen Jago dell’eroica Poesia ? Le vele grandiose it non
sono adattate alla mia piccola navicella Ma io appresi li precetti della
vita )s da te, e perciò sulTorme tne, e col tuo }} esempio sono
spinto a superarti» «. . Tu t, generoso mio Protettore, prendi le
redini dell’ incominciata mia giovanile carrie ra. ( i )
Il Poeta Lucano, benché posteriore al secolo, in ctii vissero Orazio,
Virgilio * e Properzio, e benché non avesse partecipato delle liberalità
di M., tuttavia egli pure encomia altamente la protezione straordinaria,
di coi quello onorava li Poeti. “ Virgilio(dice y> egli ) fu quel
Poeta, che cantò fra li Po* (i) Life. 3. Eleg, y. M
aecenas, eques Etrusco de sanguine R cguitl, Intra fortunata qui cupis
esse tuatn, Quid me scribendi,tam vastum mittis in aequorl
Non surit opta mede grandia vela rati. At tua, Maecenas, vitae pratcepta
recepì, Cogor et exemplis tc superare tuis. Molli* tu coeptae f autor cape
lorajuventae. Pig itized by
Google n poli dell’ Atisonia le grand’ imprese del fi. glio
di Anchise, e che provocò con il poetico stile romano il genio divino del
vecchio Omero. Ma quello sarebbe forse restato sepolto sotto le ombre di
quelle selve, che fu*,, rono pur anco oggetto del suo canto ; la sua Cetra
avrebbe tramandato uno sterile suono, ed esso stesso sarebbe sconosciuto
alle Na«ioni, se M. non lo avesse animato con la sua tenera amicizia, e
con le sue beneficenze. Ma questo non solo protesse, ed onorò il Poeta di
Mantova ; egli avvalorò il genio di Vario a scuotere il palco
teatrale con il tragico coturno ; mostrò ai popoli della Grecia,
che ancora le corde delle Cetre latine sapevano risuonaie dell’ augusto nome
di Giove, ed eccitò, produsse, ed arricchì 1’ italica Lira del Poeta
Venosino : 0 M., o decoro, ed onore delPar-,, naso, degno della
venerazione di tutte le generazioni, e di tutti i cuori, sotto le ali,,
benefiche del tuo patrocinio verun Poe.ta pa-,, ventò le miserie della cadente,
e molesta,, vecchiezza. (1 ) CO Paneg, adCalpur. Pison. vers. at8.,
e seq. Ijtse per Ausonias jEneia carmina genteis Qui
sonat, ingenti qui nomine pulsai olympum, Maeoniumque senem Romano
provocai ore } Fersitan illius ncmoris latuisset in umbra,
N I Questo favore prestato da M. alle lettere
traeva la sua origine dall’esserne egli stesso coltivatore. Che egli
fosse colto, ed istruito,e che producesse ancora delle Opere in
varj generi di Letteratura non mancano fondamenti per esserne persuasi. Orazio
lo chiama dotto nella lingua greca, e latina (1). Seneca ha
lasciato scritto, che egli era fornito di un ingegno grande, e robusto,
che avrebbe dato nn luminoso modello della Romana eloquenza, se non
l’avesse snervata con la soverchia nata* ralezza. Quod canit, et
sterili tantum cantasset avena, Ignotus populis, si Maeccnate carcret. Qui tàmen haud uni patefecit !im in a
Vati, Nec sua Virgilio permisit nomina soli, Maecenas, tragico
quatientem palpita gestu Evexit Varium. Maecenas alta Thoantis
Eruit, et populis ostendit nomina Grajis. Carmina Rornanis etiarn
resonantia chordis, Ausoniamque Chtlyn gradi is patefecit Horatl s
O decus, et toto merito venerabile aevo, Pierii tutela chori ! quo
praeside futi Non umquam Vatés inopi timuere scnectae, (O
Lib.3.0d.8. Docte sermo nes utriusque linguae. ( 2)
Epist. 19- : Ingeniosus vir ille fuit ( Maecenas ) magnum cxemplum
Romanae eloquentiae datar us, nisi tllum enervasset foelici- Sappiamo ancora
dal niedesimo autore, che scrisse un Libro intitolato ilPrómcfeo,, Voglio
narrarti ( dice Seneca ) ad detto di Mecenate, cioè L’Uomo, che è in
supremo grado, ed in una somma altezza di stato vive,, sempre in timori,
ed in tempèste a guisa del tempo, che tuona Se mi domandi in qnai libro
egli parlò in tal gnisa, ti rispondo, che lo ha detto in quel libro
intitolato da esso Prometeo Di più secondo lo stesso Seneca,
scrisse altra opera avente per titolo de culto suo » 11 Cenni
afferma, che queste due opere fossero scritte da M. in versi, e che il
Prometeo era una Tragedia. Aggiunge inoltre, che altra Tragedia
intitolata Ottavia è parimenti à quello attribuita. (2) tas : Epist.93. : Habuit enìm, M., ingenium
et grande, et virile nisi illad ipse discinxisset. Senec. Epist.i 9. ;
Volo Ubi rej erre hoc loco dictum Maecenatis,, Ipsa enim altitudo attonat
summa,, Si quaeris, in quo libro dixerit, in eo, qui Promethcus
inscribitur. (a)
Cenni Vita di M. pag. 126- : In questo luogo l’autore si è dato caricò di
trascri vere tutti li frammenti delle opere, delle quali fu autore M.,
estracndoli da varj Biografi. Lo stesso ha fatto Lilio Gregorio Gt N
a I I delle altre in prosa, e
segnatamente dei Trattati concernenti materie di Storia naturale. Imperciocché si rileva da Plinio, che
quello fuAutoredi un libro sulle differenti specie delle pietre
preziose. (i ) e da Prisciano, che aveva scr tto una Storia in dialoghi
intorno agli Animali, citandosi da quello il dialogo decimo. Di più,
secondo Solinò scrisse ancora una Storia delle imprese di Augusto. ( 2)
In fatti si può conoscere dalle Odi di Orazio, che M. aveva tutta la
premura, onde fossero celebratele geste gloriose del suo Sovrano,
che perciò venisse quel Poeta vivamente stimolato ad occuparsene, che
questo si scusasse, dicendo, che non conveniva alla lirica Poesia
di cantare oggetti gravi, e strepitosi ; ed esortando lo stesso M. a scri raldi
nel Dialog.4. hist. poet. che possono consultarsi. Lib.i. Hist. Nat. pag.49.
cumNot.Harduini. (2) Apud Harduin.
in Indie. Auctor. lib.i» Plin. Art.M.: M. eques romanus, Augusto
gratissimus, cujus res gestas lietcris consignavit, ut ex Solino discimus
ejus Dialogorum lib.10. laudai Priseianus lib.i .pag.61.: Vedi Catrou lib. 7.
Tom. 19. nelle Note. 9
6 Oltre le snccennate opere in versi compose
* vere la Storia, che tanto bramava « Cessa di,, stimolarmi,
o M., ( scrive Orazio ) a cantare ron le deboli corde della mia Lira,,,
oil lungo assedio di Numanzia, o il fiero,, Annibale, o il mar Siciliano
rosseggiante di,, sangue Cartaginese, o l’ardita impresa de’ Giganti, li
quali fecero tremare la fulgida Regia del vecchio Saturno, debellati
quindi dal valore di Ercole, giacché tu stesso potrai, meglio di me,
trasmettere alla posterità con unaStoria le battaglie di Augusto,,, li trionfi,
ed il numero dei Re dal medesirao soggiogati. Anche Servio è d’ avviso, che M.
scrivesse la Storia di Angusto, appoggiando Lib.a. Od. Nolis longa fcrae
bella Numantiae Nec dirum A anibaie m, nec Siculum mare Poeno
purpureum sanguine, mollibus Aptari Cithar ae modis : N eo
saevos Lapithas . . domitosque Hcrculea manu Telluri s
juvencs, unde periculum Fulgens contremuit domus. Saturni veteris ; tuque
pedestribus Dices historiis proeliaCaesaris Maecenas melius,
ductaque per vias Regum colla minacium i Iettato, e
molle del tutto riprova, e per ischerzo imitando deride. Macrob. Satur.
lib. a. pag. 1 58. : Idem Augustus, qui Maecenatem suurn noverai
esse stilo remisso, molli, et dissoluto, taltm se in epistolis,
quas ad eum scribebat, et contro casti gationem loquendi, quam aliis ille
seri bendo servabat, in epistola ad Maecenatem familiari plura in jocos
effusa subtexuit : Vale, inquit, mel gent rum, mclculc, ebur ex He truria,
A da mas super nas, T iberinum margaritum, Cylniorum smaragde, hyaspis figulorum,
berylle Porsennae : Vedi il Turnebio Advers. Sveton. in Octav. Art. :
Oenus elo~ quandi secutus est ( Augustus ) elegans, et temperai uni,
vitatis s catene iarum ineptiis, atque Tacito parlando dell’ottimo, e
perfetto genere dell' eloquenza, e della forma del discorso, insegna frà le
altre cose, doversi sfuggire r impeto di Cajo Gracco, e li belletti di M.
Quintiliano ancora riprova nella di lui maniera di scrivere una certa trasposizione
di parole, che rendono il periodo lussureggiante, oscuro, e vizioso. Se
poi si dovesse dare ascolto al surriferito Seneca, M. sarebbe stato 1 * uomo il
piu immorale, e il più cattivo inconcinnitate. .. pari fastidio
sprevit, et Cacozelos, et Antiquarios. Exagitabat non numquam in primis M.
suum, cujus p«X««, ut ait, cincinnos usquequaque perscquitur, et imitando
per jocum, irridet. (i) Tacit.
Dialog. de Clar. Orat. cap. 26. Ceterum si omisso opt imo ilio, et
perfettissimo genere cloquentiae, eligendo sit forma di tendi, malim hercule
Caji Gracchi impetum quam M. ealamistros. Quintil. Instit. Orat.. :
Quaedam vero tranigressiones, et lon gae sunt nimis ... et interim etiam
compositione vitiosae, quae in hoc ipsum petuiUur, ut exultent, atque
lasciviant, quales iUae Maecenatis Sole, et Aurora rubent plurima : inter
sacra movit aqua fraxinos. Ne exequias
quidem unus inter miserrimos viderem meas quod inter hacc pessimum est,
quia in re tristi ludit composi ciò. Scrittore frà quanti sono
itati ammessi nella Kepublica letteraria. Con qual fiele non si
scaglia contro di quello nella Lettera 1 15, ed altrove ancora nelle sue
opere il Maestro di Nerone ? Parlando egli di M. ora scrive : » Tu
vedrai adunque l’eloquenza di un Uomo •> ubriaco inviluppata, errante,
e piena di lingue Ora attaccando anche li di lui costumi soggiunge “
Quando tu leggerai li suoi scritti, e le parole cosi viziosamente ornate,
cosi negligentemente buttate, così poste fuori dello stile di tutti,
mostreremo, che non meno li suoi costumi fossero nuovi, depravati,
p singolari Seneca Epist.iió.Edit. Lugd.i 5 p*. : Quo modo M. vixerit,
notius est, qitam ut narrar i nunc debeat. Quomodo ambulavetit,
quarti delicatus fuerit, quam cupierit videri, quam vitia sua latere
nolut. Quid ergo ? Non oratio ejus aequerite saluta est, quam ìpse discine
t us ? Non tam insignita illius verba sunt, quam cultus, quam comitatus,
quam domus, quam uxor. Magni ingenii vir fucrat, si illud egisset
viarectiore, si non vitasset intelligi, si non etiam in oratione
difflueret. Videbis itaque eloquentiam ebrii
hominis involutam, et crrantem, et licentiae plenam : Maecenas in
cultu suo .' Quid turpius ani ne, silvisque ripa comantibus ? Vide ut
alveum lyntribus arcet,vcr * soque vado remittant hortos, .Ma Seneca era
troppo invidioso della fama, della riputazione, e delle doti brillanti
di M., il di cni splendore ancora traspi* rava chiaro, e vivace nel
secolo, nel quale quello viveva, e come Ministro, e Consiglie* rodi
Nerone, conoscendo, che non aveva potuto, ne’poteva eguagliare le sublimi
virtù politiche, di coi andava nobilmente fregiato il Ministro, e
Consiglierò di Augusto, ne divenne l’nnico, e il più maligno detrattore.
Ter prova di ciò invochiamo 1* autorità di tutti li Biografi all* uno, e
all’ altro contemporanei 4 Non ostante però tutto il male, che
dice ne’ suoi scritti, di M., Seneca sapeva benissimo, che questo
nel tempio della gloria Non statim haec cum legeris, hoc Cibi
occurret, hunc esse, qui, solutis Cunicis, in Urbe seraper inccsserit ?
Nani edam cum absentis partibus Caesaris funger et ur, signum a di scindo
petebatur .... Hunc esse qui Uxorem millies duxit, cum unam habueritì
Haec verba tam improbe strucca, tam negligenter abjecta, tam extra
consuetudinem omnium posila, ostendunt mores quoque non minus novos, et
pravos, et singulares fuissc. Quasi della stesso tenore parla Seneca di
Me cenate, ed in questa, medesima lettera, e nella diecinovesima nella
nonagesimaterza nella ceutoventi e pc/Lib.x. cap.3. de Providentia.] occupa
il posto di un grand’ uomo di Stato, di un eccellente Ministro, di un
Consiglierò illuminato, e di un Favorito nou infetto dai vizj
abominevoli dell’ avarizia, e dell’ interesse, H quali al contrario avevano ad
esso procacciato il possesso di più milioni, estratti con dure estorsioni
dal sangue de’ sudditi Romani. Sapeva inoltre, che quello aveva
meriti grandissimi, conforme fu costretto a manifestare pubicamente, e in
faccia allo stesso Nerone, allorquando, decaduto dal di lui favore, aveva
forse cessato di screditarlo, Imperciocché sappiamo da Tacito, che dopo
la morte diJJurro, mori ancora, pèr dir cosi, la potenza di Seneca. Allora
si accrebbero a carico del medesimo le satire, e le mor* morazioni furono
universali per le immense ricchezze, che aveva accumulate, e segnatamente
per la grandiosità de’ snoi Giardini, che eguagliavano quasi gl* istessi
Giardini Imperiali. Seneca volendo dileguare, se fosse stato possibile,
dall’animo del suo Padrone .ogni sinistra impressione, dimandò di essere
ascoltato, lo che avendo ottenuto, recitò al suo Sovrano un discorso
artificioso, o pipttosto la sua Apologia, nella quale fra }e altre cose,
ricordandosi di Augusto, di M., e di Agrippa, e dei meriti politici di
questi, disse cosi : Il tuo antecessore A u 6 ust0 Cesare,,, permise a
Marco Agrippa il ritiro di Mitilene, e a Cajo M. un ozio pellegrini)
204 nella stessa Capitale. 11 primo, come com-,, pagno
d’armi di quel Monarca, ed il secon-,, do come quello, che seppe
disimpegnarsi da molti incarichi laboriosi anche in Roma, ricevettero
dal loro Sovrano ampie ricom3, pense in vista de’ meriti grandi, di cui erano
forniti. Si attribuisce ancora al nostro M. 1 ’ invenzione di scrivere in
abbreviatura. Dione afferma, che egli trovasse alcune note Tacit. Annal. Mors
Burrhi infregit Senecae potentiam .... variis cr i mi nat io 1 libili
Senecam adoriuntur : tamquam ingentes, et privatum supra modum
evectas opes adhuc augeret .... hortorum quoque amoenitate, et villarum
magni ficent la, quasi Principem super greder et ur. .. At Seneca
criminantium non ignarus. .. tempus sermoni orat : et accepto, ita
incipit. Atavus tuus Augustus Marco Agrippae Mitylenense seeretum, Caio
Maecenati in ipsa Urbe velut peregrinum otium permisit ; quorum,
alter bellorum socius, allcr Romae pluribus la~ boribus jactatus, ampia
quidem, sedpro ingentibus meritis, proemia acceperant. fa). : Primusque M. ad celeritatem
scribendi notas quasdam literarum exeogitavit, quam rem, Aquilae
Liberti ministerio, multos doaj.it. *o5 per scrivere con
celerità, e che insegnasse questo metodo a molti per mezzo di Aquila
suo Liberto. 11 Catrou è di sentimento, che tali note costituissero
un Trattato per poter scrivere abbreviando le parole. In fatti è indubitato,
che la maniera per scrivere con prontezza, e sollecitamente è quella,
che istruisce a scrivere col soccorso delle abbreviature, e siccome nel
caso, di cui si parla, Dione dice, che M. prirnus cxcogitavit, così
pare non possa mettersi in questione, che prima di questo un tal metodo
di scrivere era affatto sconosciuto, e che egli ne fosse il primo
inventore. Isidoro di Sicilia dice
(a) che il poeta Ennio fosse 1’ autore di mille e cento note per scrivere
; che il primo, il quale in Roma facesse un commento di queste note, fosse Tirone
Liberto di Marco Tullio Cicerone ; che dopo di questo Persannio, Filargio,
ed Aquila Liberto di M. ne inventassero delle altre, e che Seneca
finalmente ne ordinasse un numero di cinquemila. Riguardo però ad Aquila Liberto di M.
non sembra giusta l’asserzione delEaccennato Isidoro, attribuendogli E
invenzione di alcune note per scrivere, giacché abbiamo rimarcato
da Dione, che il sudetto Liberto di
Lih.i.orig. cap.aj.' l ioó M. non ne
fu inventore, ma che fu il propagatore del ritrovato, e dell* opera
del suo Padrone, e che esso stesso, istruito da questo, ne
istruisse degli altri. Dallo
stesso Dione sappiamo (i) ancora, che M. recò ai Romani un altro rimarchevole
vantaggio, qnale Fu quello dei Bagni delle acque calde. Dal che si
ravvisa, che questo specifico salutare, ed alla umana salute profittevole,
non era in Usanza in Roma prima dell’ epOcà di M. ; cosicché questo, il
qnale, secondo le osservazioni già fat* te, era intelligente della Storia
naturale, avendone in prattica sperimentato gli effetti benefici,
ne introdusse fra li Romani l’uso, e l’esercizio. ( a) Mentre
M. passava nel ritiro le ore ( 1) fjOC.eit. Idem primus (M.) RomaeN
atatorium aquis calidis refertuminstitu.it. P linio attribuisce a M. V introduzione nelle
mense de’ figli lattanti dell'Asina, li quali in quell epoca erano preferiti
alli Onagri, o Asini selvatici. Aggiunge inoltre, che il gusto per
questa sorte di pietanze svanì con la sua morte. Ecco il testo di Plinio
lib.8. cap.46. ‘ dd mutar um maxime partus, aurium referre in his
et palpebrar umpilos ajunt: Pullos earum epulari M. institu.it, multum eo
tempore praelatos Onagris. Post eum
intcriit authoritas saporis. della snà
vita m comporre delle opere io prosa, ed in versi, in presentare ai
Romani, ed alla società delle tifili invenzioni in proteggere, animare, e
arricchì re li Letterati, ed in promuovere il progresso della Letteratura;
Augusto, che in tutti li suoi bisogni non mancava di consultarlo > gli
diresse una lettera. Dal contesto di questa si rileva, che quello era
lontano da Roma, e c he se ne stava fra le delizie della sua Villa
Tihurtina con la dolce comitiva dé’ Dotti, e fra il soave concento delie
Cetre de’ m gliori Poeti. Augusto aveva bisogno di un Segretario, e per
mezzo di quella lettera richiese il Poeta Orazio, che stava presso
di M.. “Prima poteva da me stesso, dice Angusto, scrivere delle lettere ai
miei amici,ma ora.o mio M., che,, sono occupatissimo, ed infermo, bramo, che
mi mandi il nostro Orazio. Io sò qnanM to vive contento presso di te, ma spero,,,
che lasceràlesue mense squisite, e verrà nella mia Regia per ajutarmi in
qualità di » Segretario.fi) (Sveton. in Vit. Horat. : Ante
ipse sufficiebam scribendis epistolis amicorum ; nunc occupatissima s, et
infirmus, Horatiam nostrum te cupio adduccre. Vcniet igitur ab ista
parasitica mensa ad hanc Regiam, et aos in epistolis scribendis
adjuvabit. Non sappiamo con sicurezza, sé le brame di Angusto in ciò
venissero appagate. M. non avrà mancato di rappresentare ad Orazio
il grande onore, che gli si voleva compartire con quell’impiego luminoso,
ma il Poeta, che amava la calma, che per lo più, lungi dallo
strepito della Capitale, e della Corte ^ desi» derava di ragionare con le
Muse, o presso le onde sussurranti del fonticello di Blandnsia, o
sotto le ombre taciturne del boschetto di Tiburno, avrà mostrato tutta la
renitenza di accettare un tanto onore, e per disimpegnarsi dalle
richieste del suo Sovrano. Sebbene adunque M. si fosse
ritirato spontaneamente dai grandi affari della Corte, tuttavia
Augusto continuava a rispettarlo, e a deferire in tutto, e per tutto alli
suoi consigli. Ma questo rispetto, questa amicizia, questa fiducia,
questa uniformità di pensieri fu sempre eguale fra l’uno, e l’altro
? Se dobbiamo seguire 1’ autorità di Dione sembra esserci
stata un’epoca di tempo, nella quale un adultero amore sconcertasse
quella bella armonìa, che per tanti anni era stata fra di essi
inalterabile. Terenzia moglie di M. era una donna arricchita dalla natura Sveton.Vixit
plurimum in se eessururis sui Sabini, aut Tiburtini, do musane ejus ostenditur
circa Tiburniluculum : V edi il de Sanctis Dissert. sulla Villa di Orazio
« a9 tìi tatti li vetti, e di tutte le grazie seducenti,
che sogliono distinguere il bel sesso. Si suppone, che Augusto, il quale
aveya occasione di vederla sovente, come sovente soleva vedere il
marito, ne divenisse amante, e che Terenzia non fosse insensibile alli di
lui teneri sentimenti. Si suppone inoltre, che la fiamma di quello
si rendesse cosi vivace, che Roma ne mormorava ; che per involarsi
dalle mormorazioni, e dai rimproveri de’ Romani, se ne andasse
nelle Gallie, portando con se la detta Terenzia. Soggiunge Dione, che
da questi amori nascesse il motivo di quella freddezza, che si ravvisò
per qualche tempo tra M., ed il suo Sovrano, e che per lo stesso
motivo non fosse quello lasciato da questo Prefetto di Roma, quando intraprese
il sudetto viaggio. Sentiamo come
parla lo Storico. Vedendo Augusto, che la sua lunga permanenza nella
Capitale riusciva a molti molesta ; che se,, puniva alcuni colpevoli ; si
sarebbe fatti altrettanti nemici ; che se doveva passare,, sotto silenzio
i loro delitti, sarebbe stato costretto ad offendere esso stesso la
nuova i. Costituzione, e a ledere l’osservanza delle sue leggi,
stabili, ad esempio di Solone, di andare lungi dalla patria. Vi furono peio
alcuni, li quali sospettavano, che egli,, si portasse nelle Gallie, a cagione
di Terenzia, moglie di M., affinchè, stanti ti le voci diverse, che si
divulgavano pe Roma, de’ loro amori, potesse in questo viaggio
vivere con essa lontano da ogni ru« more. Lasciò in qualità di Prefetto,,
di Roma, e dell’ Italia Statilio Tauro, giacché Agrippa era stato inviato
nella Siria, e M. era già con esso in qual*,, che disgusto per motivo
della sua mo» glié (0 • Ad onta però dell’autorità di qnesto Scrittore
non pare abbastanza provato il fatto, di cui si parla, e che narra
riguardo agli amori di Terenzia, ed Angusto ; al viaggio nelle Gallie a
tale effetto intrapreso; ed ai disgusti di quello con M.. Imperciocché
Dion.. Cu/n enim diuturna ejus in Urbe commoratio molesta multis esset,
ac multos, qui contra leges deliquissent plectens offender et, multis parcens,
eogeretur suas ipse leges praevaricari, pere « gre abire, Sblonis exemplo
-, statuii. Fuerunt qui, propter Terentiam Moecenatis Uxorem, eurn
discedere suspicarentur, ut quoniam multi Homae de ipsorum amore sermones per
vulgus darentur, in peregrinatione sua citra om nem rumorem ejus rei cùm ea
vivete posset. Deinde Urbis, et Italiae gubernatione
Tauro injuncta, nam statim Agrippam. in Syriam mite rat ; e rat
autem ei M. propter Uxorem minus j am gratus. Dione non parla di questi
pretesi amori, come di un fatto sicuro. Asserisce semplicemente, che alcuni
sospettavano, che correvano per Roma delle Voci diverse ; ma questi
sospetti, e queste voci non valgono ragionevolmente a costituire una prova tale,
che non possa, nè debba credersi altrimenti ; tanto più, che
10 stesso Diohe, premette il motivo positivo, per cui Augusto volle
allontanarsi da Roma. D'altronde Svetonio, Tacito, Vellejo,
ed altri antichi Biografi di vaglia, hanno parlato, e scritto chi più, e
chi meno della vita publica, e privata di Augusto, e niuno ha riferito, e
neppure accennato li pretesi di lui amori con la moglie di M. É vero,
che 11 detto Svetonio non omise di narrare, che quello non fu
esente da’vizj, e che fra questi non esclude l’adulterio, ma non ha
mancato di aggiungere, e di prevenire la posterità, che questi Vizj
deturparono soltanto i giorni della sua prima giovinezza, e che se
commise degli adulterj, non già cadeva in questo disordine per libidine,
ma per discoprire, per mezzo delle mogli altrui, l’animo, e li
segreti de’ suoi nemici, La sua giovinezza ( scrive Svetonio di
Augusto ) fu sottoposta all’imfamia di vari difetti . Gli stessi suoi,, amici
non negano, che fosse dedito agli,, adulterj ; ma in ciò lo scusano,
dicendo, che questa sua condotta non era l’effetto di una passione
disordinata, e libidinosa, ma O 2 aia,, che lo faceva
per discoprire più facilmente l'animo de'snoi nemici per mezzo delle
loro i, mogli fi). Ora se Angusto commetteva degli adulterj,
non già per libidine, ma quasi direi, per politica, e per quel punto di
politica, che nelle testé riferite espressioni si è rimarcato, ciò non
poteva aver luogo con Terenzia moglie di M.,, sulla sperimentata fedeltà
del quale non poteva quello, nè giammai aveva potuto sospettarle i
Inoltre Svetonio riferisce, che l’epoca di alcuni vizj del medesimo Augusto
fu la prima sua gioventù, inconseguenza resta escluso quel tempo, in cui si
suppone l’amorosa passione con Terenzia, ritrovandosi egli allora in età
di circa anni quarantacinque fa). Meno prova ancora, che partendo perle
Callie, non lasciasse Prefetto di Roma M., perchè era con esso irritato a
motivo degli amori 6 udctti. Imperciocché si è di già osservato,
che questo, elfettuato il novello Sistema politico della Monarchia
universale In Octav. Prima \uventa variar um dedecorum in/amiam subiit, >. adulterio
guide in exer.cuisse, ne amici guiderà negant ; excusuntes sane, non
libidine, sed ratione eommissa, guo facilius consilia adversariorum per
vujusque mulieres cxquircret. (3)
Dion. loc. cit. Digitized by Google n3 si
ritirò dalla Corte, e da’grandi affari, nè curò impiego veruno. Si è
osservato altresì, che nella nuova Costituzione dal medesimo modellata si
era parlato del rimarchevole impiego di Prefetto di Roma, e si era
stabilito per massima, che questo doveva essere di più lunga durata,
e che dovesse addossarsi a persone di specchiata probità, e consolari. Come
dunque può recar meraviglia, se Augusto allontanandosi da Roma, per andare
nelle Gallie, non nominasse Prefetto di Roma Mece*« nate ? A llora quasi
tutte le leggi della succennata novella Costituzione erano in una piena
osservanza. Di più l’assertiva di
Dione sù tal punto storico, sembra, che venga del tutto smentita da Cornelio
Tacito, il quale a chiare note dichiara, Ghe Augusto per tutto il tempo
dei torbidi, e delle guerre civili, lasciò sempre Prefetto di Roma, e
dell'Italia M., e che dopo di essersi sollevato alla Sovranità
impiegò soltanto personeConsolari a coprire questa carica,, Del restai
dice Tacito ) Augusto, in tempo delle Civili discor*,, die, nominò alla
Prefettura di Roma, e dell’Italia CajoCilnio M. dell'Ordinò de’Cavalieri.
Divenuto però Sovrano asso-, x luto, addossò questo impiego a Soggetti Consolari
. Il primo, che venne rivestitedi questo potere, fu Messala Corvino. ài4,. . il
secondo S'tatilio Tauro quindi fu
eletto Pisone (O* Dopo ciò, che cosa può addursi di più convinceute
per conoscere, che se Augusto, partendo per le Gallie,non lasciò M.
Prefet. todi Roma, fu per tntt'altra cagione di quella immaginata
da Dione ? In quell’epoca per legge, e principio fondamentale della Costituzione,
dovevano rivestirsi di tal carica persone Consolari ; M. era semplice
Cavaliere Romano ; non poteva dunque esercitarla, senza ledere l’ordine,
e l’integrità della Costituzione medesima ; e siccome esso stesso era
sta* to Fautore della Legge, cosi quantunque Augusto lo avesse voluto
decorare della Prefettura anche in tali circostanze, T averehbe
francamente ricusata, come incapace di mettersi in contradizione co’suoi
principi, Comunque sia però, ed ammessa ancora laveria tàdel racconto di
Dione, li pretesi dissapori fra M. ed Augusto dovettero
essere Anna!, lib. 6. cap. 3a. Cetetum Au,gustus bellis civilibus Cilnium
Maecenatcm equestri s Ordinis, cunctis apud Romani, atque Italiani praeposuit. Mox
rerum potitus, ob magnitudinem Populi, ac tarda legum auxilia, sumpsit e
Coruularibus, qui coerceret serviti a .... primusque Messala Corvinus eam
potestatem accepit .... Tum Tau rus Statili us. .. Dein Pis »* 1 et di poco momento, e passeggeri, sapendo
da Plutarco, che quello nel giorno suo natalizio offriva sempre in
dono a questo una Tazza .,, Cesare Augusto ( dice Plutarco ) riceveva ogn’anno
da M. in dono una Tazza nel giorno suo natalizio. Ma
finalmente M. dopo aver veduto p ratticamente, che le sue fatiche, le sue
ve» glie, li suoi lumi, e la sua politica avevano formata la
felicità, di Koma, e dello Stato ; che il suo Padrone, o piuttosto il suo
Amico era divenuto il più giusto, ed il piu potente de’ Monarchi;
che le sue liberalità, ed il suo zelo,e la protezione accordata alle
lettere, ed ai Letterati avevano dato un favorevole impulso al progresso
dello spirito umano, del genio della letteratura, e del buon gnsto, M.,
dissi, doveva anch’egli offrire l’ordinario, e indispensabile tributo
alla natura. Se è vero, se è possibile ciò che Plinio il
Naturalista suppone, negli nliimi tre anni della sua vita, fu quello sottoposto
ad una malattia di tal carattere, che il sonno non chiuse mai le sue luci per
tutto quel non breve spazio di tempo ; che ad onta de’mezzi li più
efficaci, e potenti, che furono messi in opera Apopht. Princ. et Reg.
Apopht. nltinj. Cattar qui primus Augustus ett cognomina j*> tus
.... a M., cum quo vitam agebat, yuotannit in natalieiit dono acoipiebat
pateram. I ài6 per giovargli, fosse costretto a vegliar sempre,
ed a soffrire più sensibilmente li no)osi effetti di una febre continua,
dalla quale, secondo lo stesso Autore, sembra, che fosse attaccato
('i). ' Per l’esame di questo fatto da Plinio riferito, abbiam
creduto di riunire alcune riflessioni in una breve Discussione
uell’Appendice dell’Opera, alla quale rimettiamo il Lettore. Intanto, proseguendo la nostra
narrazione, possiamo asserire, che M. neH’nltimo periodo della sua
vita fu sottoposto a delle fisiche indisposizioni, delle quali si doleva
con li amici più cari, e segnatamente eoa Orazio. Questo Poeta riconoscente, e sensibile si tapinava
all’eccesso della peno6y» situazione del suo amico, del suo benefattore,
del suo tutto, e procurava di consolarlo con l’espressioni della più tenera
amicizia, animato dal dolce, e mellifluo suono della sua Lira O Mecenate ( gli
scriveva Orazio ) o mio sublime ornamento, e sostegno delle mie sostanze,
perchè mi rattristi con le tue querele ? Non >, piace nè a me, nè agli
Dei t che prima della mia debba distruggersi la tua esistenza. Ah! se la
Parca crudele sarà più,, sollecita a troncare lo stame della tua vita, che
è porzione della U)ia, come io potrò y, restare superstite ? Si > o
mio caro M., benché tn volessi precedermi, pure insieme entreremo nel
cammino dell*éternità; nè mai potranno distaccarmi dal tuo,, fianco nè le vampe
dell'ignivoma Chimera, », nè le cento braccia del mostruoso Gigante»,, se
tornasse sulla terra. È scritto già nel », libro de’destini, che io, il
quale vissi eoa te, debba con te trapassare egualmente, c i, che un
istesso giorno debba segnare il ter», mine della vita di ambedue. i. Avvicinandosi l’ultima ora della sua
mortale carriera. M. fece il suo testamento, e volendo mostrare al
Publico, ed alla posterir Od.. • ’
Cur me querelis exanimas tuis ? Nec Dis amicum est t noe mihi, te
priut Obire, Maecenas, mearum Grande decus, columenque
rerum. Ah ! te meae sipartem
anitnae rapii Maturior vis, quid moror altera, Nee carus
aeque, nec superstes Integer ? Ille dies utramque Ducet ruinam. k. \ Utcumque
praecedes, supremum Carpere iter comites parati. Me nec Chimaerae spiritile igneae,
Nec si resurgat centimanusGyas • Divellet unquam : sic
potenti Justitiae, placitumque Parcis, r tg
là, .che tra esso > ed Angusto / vi era passata un'amicizia
sempre eguale, e costante, o che se in qualche occasione venne alterata,
non ebbe una tale alterazione, che una durata pià piomentanea di una
elettrica scintilla, lo Ì6tir lui Erede de’suoi beni con il peso
spontaneo ài alcuni Legati agl’altri suoi Amici, e Letteralir^.i _>,
Siccome poi il Poeta Orazio più d’ogn’alti Q lo aveva cousolato, ed
assistito ne'giorni della sua infermità, cosi a questo volle consagraxe, per
dir cosi, Teatreme sue voci, e dare l’ultimo pegno della sua beneficenza,
raccommandandolo in maniera speciale al suo Monarca,, Ti raccommando, o Cesare,
Orazio Flacco, come un’altro me stesso (a). ( i) Dion. Lib. $5. Haec in causa fuere
cur vehementem lituani M aecenatis mors Augusto afferret,quo ea
e(iam accessit, quoti M. haeredem eum nuncupavit, ac praeter mitiima
quaedam, in e)us pot estate reliquie, si velie! Amicis suis quaedam. dare
._ (a) Svet, in Vif. Ilorat. M. quantoper è eum. ( Horatium )
flilexerit, satis testatur ilio Epigrammate : Ni te visceri.bus
meis, Horati, Plus \am diligo, tu tuum Soclalem N inaio
videas strigosiorem, Sed multo magie extremis judiciis, tali ad Augustum
elogio-. Horatii Fiacri, «t mei# esto raemor. Mori conforme accennammo
ancora nel Libro i., cinque anni prima dell’Era volgare, ventitré dopo la
battaglia di Azio, epoca, in cui Dione stabilisce il principio
dell’Impero Romano, e nell’anno 746. della Fondazione di Roma. Egli morì
senza successori. Risulta ciò chiaramente, e dal testamento di sopra accennato,
e dall’ uniforme testimonianza di tutti li Biografi, che hanno di esso
parlato. È sebbene ne’ tempi alla sua morte posteriori abbiano vissuto
altri Soggetti aventi il nome diM., tuttavia non può dirsi. nè costa, che
fossero discendenti di quello, e che avessero col medesimo relazione
alcuna di parentela. Si trova sotto l’Impero di Vespasiano un
Publio M. Olimpico, di cui si conosce il solo nome, inciso in una base
grande, e quadrata disotterrata in Roma presso l’Arco di SettimioSevero ;
(a) parimente si conosce il solo nome di un M. Elio ( 3). Nel Regno
dell’Imperatore Gordiano il giovane si vede figurare in Roma un per (0
Dion. Meibom. loc. cit. : Sub Vespasiano vixit Publius M. Olimpicus ; ejus memoria
super est Romae in basi marmorea grandi, et quadrata ad Arcum Septimii Severi
effossa, v Gruter. sonaggio ragguardevole chiamalo M.,
conforme rilevasi da Giulio Capitolino ( O, e da Erodiano ('a) ; ma T
origine di questo è involta nelle tenebre istesse, in cui trovansi
e l’Olimpico, e l’Elio, e non può neppure congetturarsi, che avesse un
qualche rapporto col nostro Cajo Cilnio M.,. J/annunzio funesto
della di lui morte fu un ;l. i Curtia.j.L. Prapis Cui
pars dimidiahujus / Moni menti concessa est ab
Ma le sue virtù rifulsero con luce brillante, allora appunto,
quando Ottavio divenne assoluto Monarca dell’ Universo. Che coija non
poteva pretendere, che cosa non doveva sperare, quali posti luminosi -, quali
onori, quali distinzioni ? Eppure quello, che in tutte le sue operazioni
aveva per oggetto soltanto il benèssere della Patria, e la felicità de 5
suoi simili, nulla volle per sa nullà curò, e quésto nobile
disinteresse, r3ro nella Storia de’ secoli, lo accompagnò fino alla Tomba.
Amò le Lettere, che coltivò esso stesso,
protesse, animò li talenti, e fù prodigo delle sue liberalità colli Dotti
; Affinchè poi le scienze salissero a qual grado supremo, in cui si
viddero al tempo di Augusto, fece si, che questo secondasse il suo Genio
• Angusto lo secondò in fatti con tutto il calore, e con zelo, ed
iVirgilj,iProperzj,gliOrazj, liTibùllMiLivj, e tanti altri spiriti
sublimi illustrarono la prima epoca del gran’ Impero Romano, arricchirono il
regno della Letteratura, e ferero tanti vantaggi alla Società ; perciò
Cajo Ciluio M. fu amato da tutto il mondo, la sua riputazione è
passata fino alla più lontana posterità, ed è qaasi estesa, quanto quella dello
stesso Augusto. (O Tillemont. Histojr.
des Emper.Tom.i. Catrou Tom.i9.Lib.7. APPENDICE
ALLA STORIA DI CAJO CILN10 M. t GIARDINI IN
ROMA AL MEDESIMO SPETTANTI DISCUSSIONE. Insiste nella Regione
Esquilina dell'antica Roma un locale, in cui venivano sepolti li cadaveri
delle genti plebee : Essendosi riconosciuto col progresso del tempo, che da questo
luogo s’ inalzavano delle putride esalazioni, nocevoli alla salubrità
dell’ atmosfera, ed alla salute de’ Cittadini, Augusto lo fece nettare,
onde depurar P aere, ed adornare insieme la Città di edifizj. >
11 sudetto locale appellavasi Puliculi, o perchè per antica
costumanza le sepolture consistevano in pozzi, o perchè ivi si putrefacevano li
cadaveri, conforme nota il Pomey “ Minutae vero plebis, mancipiorumque sepulchra
extra portam Esquilinam Visebantur, quem locum. Puticulos, vel a puteis,
P ti6 inquosconjiciebantur, vel a putore cadèveroni
vulgo appellabant. (ij Lo stesso afferma l' erudito Alessandro Donato
sull’autorità di Festo “ Cnm in campo Esquiiino ( egli dice ) extra Urbem plebs
humaretur, un3, de Populus Romanus odoris, atìt coeli gravitate
laborabat,Augustus locum expnrgavit, Urbemque aedificis auxit, ornavitque,
Puticuli antea locus appellatns, quod vetustismum genus sepulturae in pnteis
fuerit, et, ut ait Festus, dicti P liticali, quod ibi cadavera
putrescerent. ('a) Quivi ( scrivé Orazio ) poc’anzi solevano trasportarsi
su,, vile cassa li cadaveri de’ schiavi, e de mi-,, serabili, dopo esser stati
rimossi dalle loro ti anguste, e misere celle, e qui sorgeva la,, tomba
comune alla plebe meschina. Hoc prius angustis ejecta cadavera cellis,,,
Conservo, vili portanda locabat in Arca ; Hoc miserae plebi stabat
comune sepulchrum (3 ). Questo luogo pertanto, che formava
una specie di Cimiterio di Roma, stava fuori della Città, giacché
era generalmente vietato di De Funeribus. De Urb. Rom. Vedi
il Turnebio AWers. lib. 5. cap. 6. 11 Minutolo Rom. Antiq. Dissert.
6. de Sepulchris, ed H detto Pomey Satir. seppellire li cadaveri dentro
le mora ; ed era destinato, come si è accennato, per la qilebe
soltanto. Le tombe de’ Re, degl’ nomini illustri, e delle doane di
nascita ragguardevole venivano collocate nel Campo Marzo .che stava
parimenti fuori della Città, secondo la testimonianza di Appiano. e di
Strabone presso il rife rito Pomey. ( a) Dopo però, che da quella
Regione furono tolte le sepolture plebee. e fu nel recinto di Roma
racchiusa, vi si inalzarono numerose abitazioni, e vi fece ritorno 1’
amenità, e Paria salubre “ Postea vero ( soggiunge il,, Donato ) quam
amota sunt sepulchra, rece-,, ptusque intra Urbis ambitus, loci amoen nitatem,
tectorumque frequentiam secuta E’ nota su di ciò la Legge delle
XII. Tavole. Hominem mortuum inUrbe ne sepelito, neve urito : Può
vedersi il lodato Minutolo, il quale nella cit. Dissertazione ne farla
con critica, ed erudizione. C 2 ) Loc. cit. : Locas ad
sepulturam o rnatissimus extra Urbem fuit Campus Martius, Appiano teste,
qui scribit, selos ibi Regcs, horninesque illustrissimo* sepelùi
consuevisse, non tamen sine Senatus decreto ; idque Strabo
confirmans locurn illum fuisse Romanis maxime sacrum ac venerabile m,
ideoque pracstantissi morum virorum, ac joeminarum monumenta ili fuisse
collocata. P 2 est nova coeli
salubri'tas .( i) .Ora poi ( sogli giunge anche Orazio ) che dalla Regione Es«
quiiina sono state rimossfe le tombe, hè più si osservano sii di un
infontie campagna ii le ossa spolpate degli estinti, vi si gode un,,
ameno diporto sotto un cielo salubre. m
Nunc licet Esquiliis habitare salubribus, atque Aggere in aprico
spatiari, quo modo tristes Albisinformem spectabant ossibus agrum(a
) Porzione di quel terreno fu donato da Augusto, mediante anche un
decreto del Senato, al suo M., il quale vi fece sorgere in seguito quc
deliziosi Giardini, la di cui celebrità è giunta fino a noi, secondo la
testimonianza del Marliani,del riferito Minatolo,e di Samuele
Pitisco Cum igitur ( dice questo ), tem. (a) Abbiamo osservato
nella Storia di M. ( i ), che esso fu il primo ad introdurre in Roma.!’
uso de’ Bagni caldi ; Ora essendo incontrastabile,che li suoi Giardini, e la
grandiosa Abitazione in essi esistente, e di cui si parlerà fra poco,
dovessero contenere tutti Art. Hort. M. Lib.4.. a3i gliagj, che sa
immaginare l'umano raffinamento, e la voluttà, cosi non sembra fuori di probabilità,
che quello qnivi stabilisse li nnovi Bagni, eihequivi ne facesse
sperimentare li primi vantaggi, prima} Jamdudum apùd me est. Eripe
temorae. Fastidiosam desere copiam, et », Molem prepinquam nubibus arduis
: 0 matte mirali beatae,, F umum,^et opes » strepitnfeque -
Romae. Il Palazzo, o la Tórre di M. esisteva tuttora ai tempi di Nerone. Questo
folle, ed insensato Monarca, dopo aver dato l'ordine ferale di
metter fuoco alla più bella, e vasta Città del Mondò,' alla Sede del suo
Impero, non fece in essa ritorno, se non quando, fu prevenuto, che 1*
incendio si avvicinava alla sua Regia, che era stata dal medesimo
ampliata fino al Palatino, ed alti Giardini di M.. Nero, scrive Tacito, non ante in Urbetn regressus
est, quam domiti ejus, qua Pala V Eib.3. Od.ao.» tinnii et Maecenatis
hortos continuaverat, ignis appropinqnaret. Rientrato quel Tiranno
in Roma, sen’ corre ai Giardini di M., e sale nel luogo più eminente
della Torre sopradetta. Quivi rimira con occhio insensibile, e truce’ii
vortici delle fiamme, .che distruggono la sua Capitale, ed ascolta a sangue
freddo li gemiti, e le strida degl’ infelici abitanti, che periscono. Allora
compiacendosi dello spettacolo a• C l ) Il Pitisco, fondato su di
un passo di Tacito, mette in dubbio il fatto narrato da Svetonio, e
dagli altri riferiti Autori. Egli suppone, ebe, secondo il detto
Annalista, venissero distrutte dalle fiamme e il Palazzo di Nerone, e la
Casa di M., e li Giardini, e il Palatino, e tutt’altro, che intorno a
questi luoghi esisteva, cosicché in tal c$so non avrebbe potuto quel
Monarca cantare l’incendio di Troja sulla Torre Mecenaziana. Neronem ex
Torri M. prospectasse,(dice Pitisco^ iisdera pene verbis repetunt
P.Diaconus &c. Tacitus dubium fecitutrumque. Non Urbem eniiq is
tantum, sed domum etiam ipsam M.,, tis, et hortos, et Palatium, et cuncta
circum » l°ca eodem momento a Neronis incendiario,, igne,sed ipso
absente,hausta commemorala) Non sembra però che Tacito accenni la di Loc.cit.
Art. Turris M.. •trazione delli
Giardini di M,, e suo Palazzo annesso ; racconta semplicemente, che
quando Nerone seppe, che le fiamme dell’ incendio si avvicinavano alla sua Casa
fece ri-» torno in Roma ; che non ostante, la rapidità di quelle
non potè ritardarsi, e fu distrutta anche la sna Casa, e tuttoció, che vi
stava intorno. “ Eo in tempore f narra Tacito ) Nero Antii agens, non aute in
Urbem re» gressus est, quam domili ejus, qua Palatium, etMaecenatis
hortos contjuuaverat,,, ignis appropinqua ret ; neque tamen siati jjotuit,
quin et Palatium, et Domus, et cuncta circuiti haurirentur (i ). Qui si parla del Palatino, e del Palazzo
di Ne» rone, e con l’espressioni, cuncta circuru haurirentur, pare che si
voglia indicare tuttoció, che stava intorno all’uno, e all’altro. Ora la
magnifica Abitazione, e li Giardini di M. erano, come si è detto,
nell’Esquilino, e benché confinassero con la Casa Neroniana, tuttavia pare,
che non possa con sicurezza dedursi, che contemporaneamente all’ incendio di
questa venia» serodistrntti ancorali sudetti Giardini conTan» nesso
Palazzo; in tal guisa non si troverà in contradizione l’autorità rispettabile
del detto Annalista con quella egualmente rispettabile dello Scrittore
delle Vite de’ primi dodici Imperadori ; tanto più che anche quello accenna
il Annal lib.i5. cap.àq. fatto narrato da questo, come si vede nel
tev sto seguente: “ Sed solatinm Populo exturba-,, to, et profugo Campum
Martis, et monuraeti-,, taAgrippae, hortos qnin etiam suos patefecit. .
pretiumque frumenti minutum. Quae quamquam popola ri a in irritino cade-,, bant,
quia pervascrat rumor, ipso tempore,, flagrantis Urbis inisse enm domesticam
scenam, et cecinisse Trojanum excidium. Giacomo Lauro ammettendo, che la
Torre, cd il Palazzo di M. fosse una stessa cosa, ne fa una elegante
descrizione, dicendo, che era un meravglioso lavoro ripartito in quattro
Piani l’nnoall'altro superiore, sollevandosi in alto 3 guisa di Torre ;
dico ancora, che la sommità della Fabbrica termina' va in un Teatro,
dal quale non solo poteva godersi l’amenità de’ sottoposti Giardini,
ma eziandio l’ampiezza di tutta l'immensa Capitale del mondo. Non piace però al riferito Pitisco il
sentimento del Lauro, e degl’altri, che pensano come questo, supponendo,
che non vi siano prove confacenti “ Sunt qui, dice il Pitisco, inter quos
Jacobns Lanrus qui Domunì Maecenatis cum Tnrri uuam, eamdemque faciunt. Fuisse
enim, ajunt, Do- Splend. Ant. Urb.Rom. apu’d Pitiscum, V„nm Malcerti.
admirabili Vtraetorfl spartitam quatoor ordimbos, et plamt.ebus,
^ una super alte.an. in altum ad motomTur ris excrescentibus, c«,us
fast,g ; um dearne bat inTheatrnm, nnde pataer.t »djject«, non
tantum in hortorum amoemtatem, tonus Urbis amplitudine®. Atqne
et.am m, e am formam aLauro depingitur. Verno un’ de illi haec habeant, me
quidemlatet .( i j ’ Ma se questo dótto Autore del Lessico delle
Romane antichità dubita della realtà d, ciò che asserisce il Lauró
relativamente alla materia struttura dell’abitazione di M., si
pi forse con esso andare d'accordo, ma se p. de che la Torre, e la detta Abitazione
fos due fabbriche diflerenti,pareche voglia opporsi alla comune Opinione,
ed ancheall autori a sopra accennata di Orazio. In fatti nói t
tede» 2 i»,»««> Poca, che piando MPAb, a» De di MecenUe, e
facendo uso dell espiessiom, ora di alta doma, ora di molem F c pinquam
nw*ibu.s arduis ( i), descrive brevemente, e conoscere, che l’altezza di
M»clla era a gntsa di Torre sublime, che si avvicinava alle nubi 1, M.
Tnrris Maecenatiana ("dièc quello) cognominata est, vel maxime
halosi Neronis,,, et Urbis incendio celebrata. .. quaedam vestigia extare sunt
ex Antiquariis Romae, qui asserunt. Questi avanzi, secondo il Pitisco,
sono da alcuni ravvisati, in qnel monumento antico chiamato Torre Mesa, che si
trova scendendo per quella parte del Quirinale, che risguarda il
Foro di Nerva„Hoc scio, descenu3, ris hodie a Colle Quirinali, qua is Forum Ner»,
vae’prospectat.Turriscujusdam ruinas,et rudera etiam none monstrari; quam
T*>rre Meta Romani vocant, et partem domus, sive i, Turris
Maecenatianae fnisse volunt. Biondo Flavio scrive, che a tempo, in cui
esso viveva, la sudetta Torre esisteva quasi intiera, e che per sincope
era chiamata Mesa in vece di Mecenaziana » Aggiunge inoltre,che in
quella contrada, in cui si vedeva, era fama costante, che quella fosse la Torre
esistente ne’ Giardini di M., e sulla quale Nerone rimirò l'
incendio di Roma ; Ecco le parole del lodato Biondo : “ Eadem in
Esquiliarum paru te, qua ex eo monte prospectU6 est in depressam Urbis partem,
Hortorum Maecenatis visuntur reliquide Extatque pene integra Tnrris, ex qua
Svetonins Tranquilla Net, ronem scribit spectasse Urbis incendia in, et . .o
t, in scenico habitn decantasse .Qnam Turrim vulgo nnnc vèrbo. .. syncopato
Mesam prò Maecenatianàm appellant. .. Nec est,, in ea Regione foemelia,
quae quid fuerint il lae ingente* ruinae interrogata, non dicat, eam
fuisse Turrim, ex qua Nero crudelis Urbem incendio flagrantem, ridcns,
gaudensque spettavi t. Al contrario il Pitisco, ed il Donato sono di
avviso, che il Biondo, e li suoi seguaci abbiano su di ciò preso un
equivoco ; giacché la sudetta Torre Mesa non esiste nell’ Esquilino, ma
piuttosto nel Quirinale. Aggiungono inoltre, che le vestigia di quell’
antico monumento dovevauo e ; 6ere, o di un Tempio dedicato al Sole dall'
itrperarore Aureliano, o di una Curia, o piccolo Senato fabbricato
sul Quirinale da Eliogabalo per le donne, acuì egli fece presedere
la sua Ava chiamata Mesa, e la sua Madre Saemi ; conforme risulta
da Lampridio nella vita del detto Monarca ; dice di più il Donato, che
nello stesso luogo potevano esservi ancora, e la Curia succennata, ed il
Tempio del Sole in torta delle congetture, di cm égli fa uso, ragionando in
tal guisa In hortis Coiumnensibus marmorei ae~ dificii pars
exurgebat vulgo Maesa jam dira* ta. Biondo* Turrim Maecenatis falso nuncu>,
pat.Ubi enim hic Esquiliae,etNerouiaui& tae (i)
Blond.Flav.delnstaur.Kom.lib.i^Art.xoo. dis ardens in conspectù Rotila ?
Àlii partem,, templi Solis pronunriant, qnod ab Ameliano, auctorc Flavio
Vopisco, extructum est ad eam formam, quam viderat in Oriente Quid
si aedificium illud partera Senaculi, seu Curiae dicerem, quam
Ilcliogabalus in Quirinali mulieribus extruxit ad conventus habendos,
quibus avia ipsins,, M lesa nomine > et mater Soaemis praesiderent ? Quod
duplici conjectura elicitur. Alteram praebet nomen. Maesa enim dicebatur, ut
avia Heliogabali. Alteram ipsius,, aedifici i forma. Serlius enim Ai chitectus
sic eain nobis linea vit, ut domicilii piane figurara descripserit
freqnentibus scalis, aulis, peristylis, ac porticibus. •. Palladius
>, autem. .. practer alias aedificii partes, in templi quoque formam
descripsit amplissimi, magnisque columnationibus insiguis. Quare eodem
fonasse in loco fuit olim Solis,, Templum. Nell’ ameno diporto de’ sudetti
Giardini, e della grandiosa Abitazione Augusto sovente soleva portarsi a
visitare il suo amico M., ed ivi ancora sovente li Poeti dall’uno, e
dall’ altro beneficati, e protetti facevano sentire il dolce suono
della loro Cetra Celebrati sunt dice il Giraldi j M, hortiinEsquiliis, quo
loco cum Caes.ire versari frequen / Lee. cit. lib.3. capa
5. Diaitizec I i, ter consnevit; et perindc etiam illtìc Poetae
conveniebant. Lo stesso dice Pietro Crinito nella sua opera de’ Poeti Latini
al cap.45. “ Hortos Romae habuit ( Mece»> nate ) pulcherriinos
inEsquiltis, ubi versari interdum consnevit, deque liberalibns,>
discipliiiis serriionem habere cum amicis suis. Ad hoc persaepe divertit
Caesar Octa»> vius propter loci amoenitatem, velut qui »> animarti
libertini haberet a cnris in eo quietis secessi!. Esisteva ancora ne’ Giardini medesimi
un Tempietto, o piuttosto uba Cappella dedicata da M. al Dio Priapo.
Li Poeti, che frequentavano quel luogo, come si è accenuato, solevano scrivere
sulle pareti di essó Tempietto de’ versi scherzevoli, ma poco purgati. La
raccolta di questi diede luogo a quel libro intitolato la Priapeja dato alla
luce dal Giraldi, e dallo Sdoppio" Sacellum Priapi ( scrive Pi>»
fisco /fuit in hortis Maecenatis ab ilio extructtim, et dedicatimi. Poetae, qui
Maet, cenateci suum quotrdie visebant, versicu» los aliquot jocosos in Sacelli
parietibus notarunt, et hosPriapejorum nomine in unum collegit libellum,
et vulgavit .... Girai-,, dus, etScioppius. Questo autore ri -. Priapeja ( dice questo ) carmen obscenum,
quod nonnulli Virgilio, alii Ovidio adscri*» bunt ; quamquam Verosimilius est,
multorum id opus esse ob argumenti similitudinem unum in volumen conjunctum. Su
tale articolo potranno aversi maggiori schiarimenti e presso il lodato
Giraldi, e pres« 80 il nominato Pitisco ne’ luoghi citati.
fi) Loc. cit. (2) Lexicon. Ling. lat. art. Priapeja, VILLA
IN TIVOLI DI M.: DISCUSSIONE IL solo M.
possedeva li deliziosi Giardini, e la magnifica abitazione sull’Esquilino,
onde sollevarsi dalle cure del Governi? insieme con il suo Cesare Angusto,
e bearsi colla sempre piacevole comitiva de’ Poeti, é de’ Letterati,
ma eziahdio per lo stesso oggetto egli aveva fatto edificare sulle sponde
dell' Aniene una Villa maestosa, ed elegante. La celebrità di questa è ornai nota a
tutte le colte Nazioni dell' uno, e l'altro Elnisf ero, perché ne
hanno parlato, e scritto infiniti Scrittori, e se ne legge la memoria in
tutti lì Libri, di cui fa uso il Viaggiatore critico, e pensante. Infatti
Lilio Giraldi, Francesco Marzi, Marc’Antonio Nicoderao, Antonio del
Re, Nicola Orlandini, Fulvio Cardulo, Gio: Zappi, Pirro Ligorio, Atanasio
Kirker, ed a tempi nostri il Volpi (i), Fausto del Re (2)> e Marquez
f 3 ), non che altri Autori ezian Lat. vet. Ville di Tivoli Illustrazioni della
Villa di M. ià Tivoli. et dio di materie antiquarie hanno
costantemente asserito, che in Tivoli esisteva la Villa di M. in quel
luogo, che si accenna, e descrive dai sullodati Volpi, del Re, e Marquez,
e sul quale tuttora si scorgono con ammirazione le immènse reliquie della
medesima. Il primo ammirabile oggetto ( scrive il Volpi ) che si
presenta allo sguardo del Viaggiatore, che va a Tivoli è la Mole superba
di quel CajoCilnio M. Cavalier,s Romano, il più grande amico, ed il più fido
consigliere di Augusto, il quale superò t, molti Re in potenza, cd in
ricchezza. Que>> sta Yilla per concorde testimonianza di tutti li
Scrittori, che trattarono delle cose,, Tiburtine, s’ inalzava presso la detta
Città sulla sponda ministra dell’Aniene. .. così costantemente hanno
asserito Lilio Giraldi e tutti gl’ altri, che descrissero le maestose
reliquie di quell’antichissimo Edifido ; ciò poi, che deve sorpassare Lauto>,
revole usiertiva di tanti Autori si è la remotissima tradizione, e fama, per
cui si è in ogni tempo creduto fra liTiburtini, chepresso le mura della
loro Città fp I4 Vili# d» M. J ! ( 0 L° c - cit. pag.a x j :
Prima igitur omnium sete Tybur adeuntibus admirandum, ve jtigandumque offerf
ingcntis molis Villa M., scili cet Caji Cilnii Mqeceqa- Nnlla fu
omesso per rendere questa Vili* vaga insieme, e grandiosa. L’oggetto più
caro il cuore di quel grand’Uomal, i Letterati, non fu preterito, e
però vedeansi jn essa amene passeggiate, e portici deliziosi, ove si
riunivano li Dotti, che mercè l’ illimitata protezione di M., nel seno; del
silenzio, della calma, e di tutti gl’agj, travagliavano indefessamente per il
progresso dello spirito umano nelle arti, e nelle scienze Quivi, come in
un altro Parnaso, in un;altra Accademia, in un altro Peripato, in un
altro Liceo, Filosofi, Istorici, Poeti, ed Oratori discutendo, perorando,
e meditando, procuravano di compiacere al loro munificentissimo Protetto tis
Equitis Romani Augusto Ce.es ari amicissimi, fidclissimique consiliarii,
quiqìie Reges permultos non solum aequavit, sed etiam. amecelluit opibus,
et potcnìia. Haec concordi omnium, qui de Tiburtinis rebus c gerani, S
criptorum testimonio, ad ipsum Tibur fuit in sinistra Anienis ripa. .. ‘
Ita LiPius Giraldus. .. aliique omnes, qui ingentia Aedi fidi hujus
antiquissimi extaritia adhuc fràgmenta, et rudero niemorapcrunt, a ut descripscrunt
unanimitcr, atque constantcr M. hanc V illam Tibur tem nominaverunt;
quodquc ipsos etiam Siriptóres auctoritate Vincere debet vetustissima, a
majoribus per ma nus tradita fama id nobis affirmat .yt, e cosi per impulso del
genio benefico di questo recavano servizj inesplicabili al Genere umano,
e travagliavano per la sua civilizzazione (i). Il Cenni dopo aver parlato de’ Giardini
di M. in Roma, non manca di parlare eziandio con stupore della’ Villa del
medesimo in Tivoli. “Nè solamente in Roma ( dice quello) ebbe M. le
sue delizie, ma per non goder sempre mai la Villa negrOrti, che egli
aveva, le ampliò fuori di quella ancora, ed in Tivoli ne fe pompa meravigliosa
.,, Quivi fabbricò egli Una Città più che una Villa, palesandola tale fin'oggi
le superbe reliquie, e le rovinose grandezze della medesima, e quivi parimenti
nel ritifo, che facevano dallo strepito cittadino, trovavano 3, il loro
riposo le muse romane. Il Patisco, benché ne parla compendiosamente, pure la
chiama Villa ripiena d’ogni sorte di de» Volpi loc. cit. pag. 220. : Atque
hue litteratorum homìnum congregatas polissi — • mum erudita s
Catervas sub M. patrocinio ac tutela Philosophorum, inquam, Oratorum,
Historicorum, ac omnium maxime Poetarum turmas, ad dìssercndum }
recitandum, fabulandum, meditandum edam, atque otianr* dum animi
ergo in Parnaso voluti quodam, auC Stoa, aut Peripato, A ccademia, voi
Lyceo. fa) Vit. di M. libra lizie, opera meravigliosa, e che per la
vastità della sua mole non cede ad alcun altra Fab? brica de’
Romani. Ma sarebbe stato troppo poco per il cuore magnifico di M. il
rimunerare li Dotti coll’uso soltanto di quegl’ agj, che si rinvenivano o
ne’ suoi Giardini di Roma, o nella Villa di Tivoli: la sua generosità si
estendeva molto più oltre; soleva bastantemente provederli di tutto il
bisognevole (a), come è noto, e conforme abbiamo dimostrato nel quarto libro
della Storia, e perciò presso la detta Villa di Tivoli, o nelle sue vicinanze
li Poeti ad esso più cari possedevano Casini di campagna, deliziose
Villette, e possessioni ragguardevoli ; e queste proprietà si acquistavano da
quelr Lexic. Antiq. art. Villa i Villa M. in ultimo Tyburtinae Urbis Clivio,
omnium deliciarum genere conferta, ab ilio est extructa. .. opus sane admir
abile, quod sane vasta sua mole nulli ex Romanorum fabricis cedit. Pet.Crinit. de Poet. Lat. rap.45. : Vubgatum
est de Maeccnate quantum Litteris, ac Litteratis omnibus faverit, cum in
Urbe unus hic potissimum haberetur, ad quem Poetae omnes, atque
Oratores, ve/ut ad certam anchoram, per/ugiuni sibi haberent ; itaque
ab eo vehementer dilecti sunt, ppcraque, et mu -, nf ribus
amplissimi honestati. li mercè la
liberalità del medesimo, onde avvalorare sempre piòli talenti poetici di
Orazio, di Properzio, e di Virgilio, e perchè ognuno di essi
potesse vivere contento anche quando esso non poteva trattenerli sotto
l’ombra de’ porti-t ci maestosi della sua Villa. Inoltre possedendo
que’ Poeti delle proprietà in Tivoli, mentre M. vi possedeva la Villa
grandiosa, più spesso, e più agevolmente poteva egli vederli, e più
volentieri abbandonavano lo strepito fragoroso della Capitale per passare
giorni quie-i ti, p delle ore pacifiche nella calma de’ loro
deliziosi, e campestri ritiri, soggiorno perpetuo delle Muse, e di Febo. Che ORAZIO
(vedasi) ha un casino di campagna in Tivoli quasi di fronte alla Villa di
M., non può mettersi in questione, e benché Domenico de’ Sanctis ponga in
dubbio l’esistenza.in Tivoli di una Villa spettante a quel Poeta,
tuttavia conviene, che questo Vi avesse una Casa di Campagna, nella
quale egli vagheggiava l’antro muscoso della risonante Albunea, le onde
dell’Aniene, che si precipitano dall’ alto delle rupi. 1 ! ombroso Boschetto di
Tiburno, li Giardini irrigati dalla molle attività di scherzevoli ruscelletti,
nella quale desiderava arden- Dissert. sulla Villa di Orazio Fiacco. Ode
7. lib. 1. a5a temente di finire i suoi giorni. Essendo;
pertanto dimostrato per confessione ancora delio stesso Orazio, come si è
veduto nella Storia al Libro 4° che esso era stato arricchir to da M.,
sembra del totto chiaro, che la liberalità di questo gli procacciassero
il j Me nec tam patiens Lacedacmon, Ncc tam Larìssae percussit campus
opimae, Quam dora us Albuncae resonantis, Et praeeeps Andò,
et T iburni lucus, et uda Mobilibus pomaria riyis. Od. Tybur,
A rgeo positum colono, Sit mene sedei ut in am. senectae !
Sit modus lasso marie ì et viarum, Militiaeque ! i lite
terrarum mihi praetedomnes Angulus ridet, ubi non Hymetto Mella
decedunt, viridique ccrtat Bacca Venafro j V er ubi longum,
tepidasque praebet Jupiter brumai; et amicus Aulon, Fertili s Baccho,
minimum Falernis ' InvidetUvis. t Ille te mecum locus,
et beatae Postulant arces ; ibi tu calentem Debita sparger lacryma
favillarli \ Vatis amici. possesso del surriferito Casino di Campagna
in Tivoli. Si potrebbe stabilire jn Tivoli anche
una Possessione al Poeta Properzio, ma niuno de’scrittori delle Antichità
Tiburtine ne ha fatto menzione ; ciò non ostante si rileva dai scritti di
questo Poeta, che egli ayeva in Tivoli la sua Amorosa, dalla quale ricevè
nella mezza notte unà Ietterà, in etti lo invitava a portarsi in detta Città 1 Quando
il carro di Boote, dice Properzio, era giunto nel mezzo della sua carriera
ricevo una lettera dalla » mia Bella, che mi ordinava di portarmi all’
istante presso di essa ; la lettera veniva daTivoli, ove le biancheggianti
vette fanno mostra delle sublimi due torri,e l’onda dell’Aniene
siprecipita in ampie lagtJne. In altro luogo poi il Poeta facendo la descrizione
patetica di un sogno, finge di vedere, che Cinzia sia morta, tal’ era il
nome della sua Bella. Fa parlare l'ombra di Lib.S. Eleg.i 3. Nox
media, et Dominac mihi venit epistole^ mstraej Tybure me
mista jussit adesse mora ; Candida qua geminas ostendunt culmina
turres, Etcadit in patulos lympha Anima lacus. Il vero nome della
donna Tiburtina amata da Properzio era Ostia, tome rilevasi da' a5a
questa, la quale gli ordina, che nel di lei se-, polcro sia
scolpita una funebre iscrizione, che essa stessagli detta “ La dove il
potnifero A„,nieue(parla Cinzia ) scorce placidamente per le tqrtuose
campagne, e dove,1’ avorio giammai impallidisce mercè la potenza del
Dio Ercole (i) scrivi nel m ezz P di nna COLONNA, questa epigrafe degna di me che possa
leggere il passeggero. Qui giace la bella Cinzia sepolta nel suolo
Tiburtiuo Apulejo presso il Crinito nella vita di questo, Poeta :j Sextus
Aurelius Propertius, ( dice il Crinito'). Mae cenati, et Cornelio Tacito
maxime acceptus fait. Cum i(i Elegiis, ut inquit Plinius, forct egre gius.
Libros quatuor Elcgiarumconiposu.it, in quibus fere suos calarti,
et Mosti ae laude m, et formam celebrai ; nam in pucllam Hostiam miro qui
dem affectu exars (t, quatn mutato nomine, ut est auctor L. Apule] us,
Cyntiam appellare maluit. Corre la voce a tempi di Properzio, ed
uriche posteriormente, cirriforme si rileva, da Silio Italico, c da
Marziale, che l’uria T iburtina somministrava alle cose ur\a bianchezza
potentissima. Properzio ripete questo privilegio da Ercole divinità tutelare
dal Paese, e che era in special maniera venerato in quella Città.
Il Beroaldo ne' commenti del! accennata Elegia di Properzio alle parole :
polle? I N aì>3 la sùa tomba, o Amene, accrébbe
decoro J, alla tua fertile sponda .(i) Se io volessi ricavare
da queste espressioni di Properzio resistenza di una sua Villa in Tivoli
mostrerei forse troppa prevenzione per il Suolo, che mi diede i natali ;
ma essendo cer-« to, che quello aveva la sua Amorosa ih quella
Città, cbé era amicò di Orazio, e di Virgilio, e che godeva il favore del
benefico M., sembra non 'affatto inverisimile, che anch'esso avesse, o
qualche cosa di campagna, o qualche altra possessione presso la Villa
del sudetto M., frutto, e risultato della beneficenza del medesimo.
i tbur ; parla in fai guisa
i 'Còclum Tyburti~ num dicebatur rebus praestare candorém pòtentissimum e
bori, unde ait Silius: Tyburit dura pascit ebur : Et Martialis,
T'ybur ih Herculeum migràvit nigra Tycoris Omnia dum fieri candida credit
ibi. Hoc fieri Poeta ait, nu mine Herculeo ; T V bur
enim Herculi dicatum, et Herculeum cognohtindtur. Ramosis Ariio qda pòmifér
incubai afvis. Et nunqUam Herculeo numìne pallet Ebur', Hoc carmen
media dignum me scribe columna, Sed breve, quodeutrehs Vectór ab Urbe
legar, Hic Tyburtina jacet bure a Cynthia terra, Accessit ripae,
laus, Aniene, tuac. I I a$4
Se è certo, che Orazio, se non è improbabile, che Properzio avessero nel
Territorio di Tivoli, e nelle vicinanze della Villa di M. una qualche
possessione, non è fuor di credenza, che il Principe de’ Poeti Latini
vi possedesse anch’ esso un luogo di delizioso soggiorno. Li
Scrittori delle cose Tiburtine hanno serbato su di ciò un profondo
silenzio > ed il solo Volpi accenna, ma dubitando, una tal
circostanza (i ). Sapendo però quanto M. stima sse, proteggesse, e
beneficasse non meno quel grande Poeta, si può, e forse con non
debole fondamento asserire, che questo eziandio possedeva presso la Villa del
suo Benefattore o qualche abitazione di piacevole permanenza > o
qualche altra possessione. Infatti, se Orazio era stato arricchito
da M.^ se quanto quello àv$ya, doveva ripeterlo dalla beneficenza di
questo,cbe cosa dovrà dirsi di Virgilio, che in meriti letterarj non
er? certamente inferiore al Poeta di Venosa, e che ( ij Volpi Latinm
Vetuslib. Villani in Ty burle habuisse Virgiliani, suut qui putant,
Villae proximam Maecenatis ; eum tamen neque locum de s igne ni,
nec ullus hoc Auctor scripsit, quod quidem perlegcrim, 1
neque ex ipso Virgilio tei hujus lumen ullum ef fulgeat, id
asseverare nonausim. ] aveva dedicato a M. il suo dotto, ed elegate poema
sulla coltivazione? Di poi non mancano congetture di qualche rilievo per
credere ciò, che finora si è detto riguardo alla Villa di Virgilio.
L’Ughelli riporta un Diploma, estratto da un Codice manoscritto della
Biblioteca del Card» Francesco Barberini, la di cui antichità non è stata
finora contradetta. Questo Diploma è legittimo, ed in esso il Vescovo di Tivoli
Uberto è confermato nel possesso di tutti li suoi beni, che
possedeva nel Territorio di quella Città, e frà gli altri fondi si fa
menzione della possessione Virgiliana : Fundus Licerana, Picianus,
'Galliopini, Vicianus, Virgilianus. ’ì Petrus Crinit. de Poet. Latin. lib. 3. cap. 45. : Pùblius Virgilius adhunc Maecena tetri
libros suos misit, qui Georgica inscribuntur, absolutissimum omnium opus, quae
in eo genere composita unquam ab alio fuerint. Ughelli Ital. Sag. Hucber,tus
Episcopus Tìburtinus vixit temporibus Martini Papae?. Ab eodem Pontifice
omnia privilegia ab Anteccssoribus Ecclcsiac Tyburtinac concessa, hoc
diplomate revocati meruit, cujus exemplar .,, extat in MSS. Cod.
Biblioth. Card. Francisci Barberini. .che quella anticamente spettava al Poeta
Virgilio, e che vi era stata qualche Villa di sua pertinenza 7 Difatti
quante contrade del Territorio di Tivoli sono anche oggi denominate,
Pisone, Cardano, Paterno ec. dai nomi di quegli antichi Romani, che quivi
ebbero del- le Ville, e la verità delle quali non può recar- si in
dubbio dopo lo scoprimento di monumenti irrefragabili, e. sicuri? Se
la località di quel fondo Virgiliano non si fosse smarrita nella notte
del tempo, forse agl’ indagatori delle cose Tiburtine non sareb-
bero sfuggiti li mezzi, onde verificàre la semplice tradizione •, e coll’ ajuto
de' scavi i e coll’ esame di qualche marmo, iscrizione, o altra
reliquia di antichità, si sarebbe potuto conoscere il sito, ove esisteva,
ed anche la qualità del medesimo ; e non accade così di
Nicolai, Jvan.-et Leonis, quae vetustate consumpta renovantur temporibus
D. Martini Sum. Pont. Potitific. ejus scilicet an, g., Sugerentc
Hucberto Tyburtinae Eccle- siae peccatore, ethumili Episcopo. Clausura
universa. .. Fundus Li cerata, Pidanus, Calliopi/ti, Vicianus,
Virgilianus. lion poche altre Ville, la di cui memoriaper lunga
serie di secoli si vedeva soltanto sotto il velo della tradizione?
Nè la forza delle addotte riflessioni, e congetture può essere scemata
dal silenzio di tutti li Scrittori Tiburtini, e segnatamente de'
più moderni Cabrai, e del Re; conciosiachè è certo altronde, che
tanto questi, che gl’altri omisero di accennare -, che Plinio il
giovane ebbe in Tivoli una Villa ; eppure è indubitato, che
anche una Villa di quell* esimio Scrittore abbelli il territorio di
questa Città. Egli ne parla espressamente scrivendo al suo amico A-
pollinare,e facendogli il dettaglio de'pregj dell’ altra Villa, che
possedeva in Toscana.,, Ecco le ragioni, dice Plinio, perchè io antepongo
la mia Villa Toscana alle altre, che '» posseggo nel Tuscolo, ih Tivoli,
ed inPre-,, neste ; perchè oltre li soprariferiti pregj 5, vi si gode un
ozio maggiore, più abbondan- te, e però più sicuro, e con meno disturbi
kl. Non vi é necessità alcuna di vestir Toga; >, non vi è chi venga a
chiamarci, e a invitarci dalle vicinanze, ed ogni cosa si fa con pace, e
quiete. Torniamo alla Villa di M.. CO Ville di Tivoli Plin. Epist. :
ffabes causas cur ego T uscos meos T usculanis, Tyburtinis ;
Praenestinisque meis praeponam ; narri super R a 5
S È noto, che il sullodato Poeta Virgilio credendo, che la
sua Eneide fosse un lavoro imperfetto lasciò per testamento, che
venis- se consegnato alle fiamme, e che Tucca, e Va- rio suoi amici
fossero nominati dal medesimo esecutóri di questa sua ultima volontà, conforme
hanno lasciato scritto Gellio, Macro- bio, e Plinio presso il Volpi.
Augusto non permise, che si dasse esecu- zione agl’ ordini di tal
natura, senza prima meditare, e ponderarne la sostanza ; perciò
essendosi ritirato con li sudetti Tucca, e Va-», rio nel silenzio, e nella
calma tranquilla della Villa di M., quivi, previo un esame ma- turo
sull’oggetto delicato, fu risoluto secondo Il pensiero di Lilio GiraWi,
seguito dal Vol- pi (a), che ad onta nelle disposizioni testamen-
tarie dell’Autore, quell" opera divina dovesse sopravvivere, e
trasmettersi alla posterità; illa, qua e retuli, altius ibi otium,
et pin- guius, eoque securius ; nulla necessitate togae i nemo
arcessitor ex proxima ; placida omnia, et quiescentia: Vedi Marquez Ville di
Plinio Porro eam deliberai io n em in hac Villa M. Tyburte su- sceptam ab
iis ( Tucca, e Vario ) cor am Au- gusto putat Lilius Gir aldi. conforme
frà gli altri riferiscono Plinio, e Sulpicio Cartaginese. Non
è fuori di probabilità, che M. mo- risse in questa sua Villa di Tivoli. Egli
aveva qui fatto un lungo soggiorno, e si pnò dire an- cora una
permanenza non interrotta negl' an- ni estremi segnatamente della sua
esistenza ; e perciò sembra, che abbia voluto esalare l’ul- timo
respiro, dove aveva trovato le sue deli- zie, la sua pace, e il suo
sollievo nell' ultimo periodo della sua brillante carriera. Augusto
erede di quello, come si è detto, ereditò an- cora la sua Villa sulle
sponde dell'Aniene, per cui posteriormente fu chiamata Villa di
Cesare Augusto, conforme accenna il Kirker, è dopo di esso il
Pitisco E' fama ( dice questo,, Scrittore ) che M. prima di morire i- 3,
stitnisse crede della sua Villa di Tivoli lo,, stesso Augusto,al quale nella
medesima aveva per tanti anni esibita la sua ospitalità, per,, cui
posteriormente, ed anche fino al pre-PLINIO (vedasi): Divus Augustus
carmina Virgilii cremati con tra testamenti ejus verecundiam vetu.it. J
usserat haec rapidis aboleri carmina flammis Virgilius,
Phrygium quae cecinere ducem . Tucca
vetat, Variai simili, tu, maxime Caesar, Non sinis, et Latiae
consulis historiae. Lat. vet. et nov. lib. 3 > n.4. §.1.
R 2 ! o sente
giorno si chiama Villa di Cesare Augnasto. Potrebbe ora darsene una descrizione
to- pografica, ma su di ciò si farebbe un lavoro del tutto
superfluo, nè potrebbe dirsi di van- taggio i nè meglio parlare di quello,
che h an- no detto, e parlato li succennati Pitisco, Cabrai, e
recentemente Marquez nella sovra- indicata Dissertazione. Se questo
valente Scrit- tore aveva dato saggi commendevoli delle sue
cognizioni, e del suo criterio nelle opere a quella antecedenti, e
segnatamente nel Libro sulle Ville di Plinio il Giovane, e
nell'altro sulle Case di Città degli antichi Romani ; nel- le
Illustrazioni sulla Villa di M. ha fatto conoscere la penetrante
oculatezza del suo 1nge2.no nel discoprire, e disegnare le noti-
zie relative airuscnraAntichità;eperciò ad es- se Illustrazioni
ritaettramo gli eruditi Lettori. Loc cit. Art. Villa : Maeccnas moritu
- rus, cum tot jant annis Augustum hospitem in hac Villa recepisset,
eumdem Villac haeredem constituisse fertur, ut proinde vel ex hocco
- pite non Maecenatis dumtaxat, sed et Augusti C cesar is in hutic
diem appclletur. s'6t FEBRE PERPETUA » febris est,
sicut Cajo M. . Eidem triennio supremo nullo horae momento contigit
somnus . L’Arduino nelle notea questo luogo di Plinio ci previene,
che Giovanni Schenk nel libro- primo delle sue mediche Osservazioni
riporta varii esempj d’ Individui, che non viddero il sonno per lo
spazio di quattordici mesi, .ed anche per un intero decennio. In Not.
cap. 5 a. lib: 7: Plin. : Afjìrt exempla nonnulla eorum, qui mtnsihus
quatuOr- ZT ' a 6 Non è mio scopo di esaminare, se
cosi lunghe veglie possano darsi in natura, come ancora se possa un
mortale vivere gran tempo con la compagnia disgustosa di una febre continua.
Questo esame forma 1’ oggetto, e la materia esclusiva di que’ Dotti, che
sono nell' arte medica versati, e perciò io mi tratterrò nel vedere,
se quel Cajo M., di cui par- la Plinio, è M., di cui si è scritta
la Storia; e posto che d’esso sia, si osserverà se sussista la
realtà di quella febre perpetua:, e della pretesa veglia triennale.
Pietro Crinito afferma non esser certo, che il M. allegato da
Plinio sia quel Mecena- te Consiglierò, Favorito, ed Amico di Augusto. Notatum
est a Plinio ( dice quello ) in- j, ter mirifica Naturae officia eum M.
nnmqnam horae momento dormisse per totum trieimium ante obitum, sed hoc
non piane compertum est, an referendum sit ad,, alterum Maecenatem . Al
contrario il Cenni è di opposto sentimen- to, ed impugna il Crinito in
questi termini:,, Ma sia detto cou pace del Crinito, questo dubbio parmi
senza ragione. Da Plinio si,, parla del nostro, e non di altri Mecenati
decim, qui decennio Coto somnum non viderint Jo.Schenkius Observat.
Medie, lib. i. pag. p3. De Poet. lat.. Qicuxi ^ 00 Jsx-Cl o Qg I, Ora è
possibile t che questo soltanto ayes-; se la notizia cosi precisa di
questi fatti, e che ’ o • (i^Lib.a.Art,t>$ la medesima
sfuggisse a Vellejo, e a Cornelio Tacito contemporanei di esso Plinio, e
s’igno- rasse da Svetonio, da Appiano, e da Dione, che vissero, e
publicarono le loro Storie nel secolo posteriore all’esistenza di quel
Natura- lista? Di più Macrobio ne’ suoi Saturnali, opera critica,
ed erudita, non omette di parlare di molte qualità personali di Cajo M.,
delle quali si è fatto già menzione, e serba un profondo silenzio sulla
febre perpe- tua, e sulla veglia triennale, di cui si parla. Lo
stesso deve dirsi di Seneca. Egli mormora spesse volte, aguzza la lingua
nelle sue Opere sulla condotta del Consiglierò di Angusto, ne
critica il lusso, le ricche abitazioni, le squisi- te mense ec., ma
benché sia contemporaneo di Plinio nulla dice di preciso sul fatto
contro- verso. Ma si supponga, che il M. accenna- to da quello
sia il M., che è l’oggetto delle nostre storiche ricerche . Sussisterà in
questa ipotesi quella febre continua, e quella veglia triennale ? Pareva
incredibile al lodato Giraldi questa veglia triennale, e peno- sa
del nostro M., e non ne sarebbe giammai restato persuaso, se la sua credulità
non fosse stata sorpresa da un’ altro fatto più stravagante s riferito da
Olimpiodoro Alessandri-, no, ij quale suppone, che un Uomo vivesse
senza mai dormire, pascendosi di sola aria, o di luce. Quindi io giudico
( scrive il ?6q,, raldi ), che proveniése a M. quella è- sica
indisposizione di non aver potuto dormir »» mai per no intiero trienoio ;
ciò che mi i, sembrava quasi incredibile prima che leggessi in
Olimpiodoro Alessandrina che « nn Uomo visse senza mai dormire,
pascen- dosi di solo aere solare, ed in conferma di tale portento
cita quello l’autorità di Aristatele. Alcuni,frà quali il sullodato Cenni
(assono d avviso, che Seneca abbia parlato della sudet- ta veglia
triennale di M., allorquando fauna specie di parallello frà questo, ed
il celebre Attilio Regolo Veniamo ora ( dice » Seneca ad Attilio
Regolo . Perchè la fortn- »> na gli nocqne quando egli diede quel grande
argomento di fedeltà, e di pazienza? Trapassano li chiodi la sua cute,
dovun- y, que rivolge, ed inclina le sue membra affaticate incontra una
ferita, e le sue luci sono aperte ad una veglia perpetua . Cre- : Mine
illi (M.) existimo cantigisse, c/uod a Plinio scribitur, ut per triennium non
dormieril, id quod ego vix credideram ni ti antiquum apud Olim-
piodorurn Alcxandrinum in Phaedonis Commentario legissem, hominem insomnem
vixisse, qui solo aere solari nutriretur, atque in eo miracolo
Aristotelem citai., di tu, che sia più fortunato M., il quale divorato dagl’amori,
c da replicati », ripudj della ricalcitrante consorte, si pro-,, caccia
il sonno mercé l’armonia de’ musi- si cali istromenti, che da lungi
echeggiano, soavemente? Ma benché egli prenda sonno colla forza del
vino, scuota, ed inganni il suo animo col mormorio dell’acque cadenti, e
con mille altri generi di piaceri, tnttavia veglierà nelle piume, come Attilio,
Regolo nella croce . (Non si comprende però come Seneca in que- sto luogo
voglia indicare la pretesa veglia tri- ennale di M., giacché la sostanza
dei suo discorso si è che questo, essendo vessato dall’ amore
sconcio, e dal carattere inquieto De Provid. Veniamus ad Re- gulum : quid
illi fortuna nocuit, quod illud documentimi j Idei, documentimi
patientiae fetic ? Figunt cutem davi, et quocumque fatigatum corpus reclinai,
vulneri incumbit, et in perpetuam vigiliam suspensa sunt lumina F eli
ciorem ergo tu Maecenatetn patos, bui amoribus anxio, et morosae Uxoris
quoti- diana repudia deflenti, somnus per symphoniarum caritum a
longinquo lene resonanlium quaeritur ? Mero se licei sopiat, et
fragori- bus aquarum avocet, et mille voluptatibus mentem anxiam
fallat, tam 'vigilabit in piu- ma, quam ilio in croce di Terenzia stia
moglie, che egli arnav^ perdutamente, procura di sollevarsi con il
vino, con lo strepito piacevole delle acque cadenti dalle rupi, e con
altri mezzi capaci a discacciare, o mitigare la noja dello spirito ;
aggiunge inoltre, che ad onta di tut- to questo, M. non trovava sollievo,
come Attilio Regolo tormentato dalla barbarie degli Africani nella botte
guarnita di punte di ferro. É’ pur troppo vero, che una moglie
fornita di un Carattere infedele, caparbio, ed incostante potrà tenere in
grandi inquietezze un onesto marito, dal quale è amata, manonpare
verisimile, nè credibile, che tali inquietezze possano giungere fino al grado
di cagio- nare una veglia non interrotta di più anni. Perciò si può
convenire nella supposiziqne di [Girald. loc. cit. Porro Terentiam
Maccenas miro amore deperiti } .ut Acron, et Porphirion tradidere. Cantei,
Not. ad Valer. Max. lib.l. de Relig. Dir is sane suppliciis crucactus est
Attilius : primum quidem, et id tantum cibi datum est, un de vitam aegre
su- stentaret, et adductus Ltiphas, a quo territus nec animo, nec
corpore conquiesceret : tum, praecisis palpebris ne connivere posset,
solis radiis'objectus est : in dolio denique inclusus praefixo davi
culti, quorum acuti it misere lacerai us inceriti, Seneca riguardo alla'
sùdetta Terenzia moglie di M.; si può convenire, che ella sarà
stata di Un umore capriccioso, ed indocile ; che M. ne avrà provati
disgusti, ed amarezze, e che per discacciarle lóntand dal suo
spirito filosofico, avrà profittato di tutte le possibili risorse ; non
si può però ragione- volmente, e giustamente conchiudere, che per
tal motivo non potesse procacciarsi il sonno per il non breve intervallo
di un intero trien- nio; nè si può comprendere^! torna a ripetere,
come Seneca abbia nel citato luogo voluto si- gnificare ciò, che Plinio
ha riferito sulla pre- tesa veglia triennale del nostro M. i
Passiamo alla febre perpetua. La febre è annoverata fra li pallidi morbi
> che affliggono miseramente la specie umana. Quell' individuo,
che da una febre viene mo- lestato, e da febre di tal carattere, che
non abbandona giammai il povero paziente, è impossibile, che possa agire
con energia, e trattare affari di sommo rilievo . Da quanto si è
detto nel decorso della Storia del nostro M., risulta pienamente, che egli fin
dall’ età più verde incominciò a prestare i suoi servigi ad Ottavio
Augusto prima del Triumvira- to, fin dopo inalzato al Trono. Si è rimarcato,
che iu tutto questo tempo affrontò le imprese le più faticose; segui qualche
volta il suo Monarca anche frà lo strepito delle Armi } governò
lunga stagione Roma, e l’Italia, dissipò congiure pericolose, ed usò in tutte
le i operazioni, che gli furono affidate, eoraggio, fermezza, e
straordinaria vigilanza. Se pertanto fosse stato sottoposto ad una
malattia di una febre perpetua, come è possibile, che avrebbe egli potuto agire
con tanta energica attività per disimpegnare gl’incarichi laboriosi, che tutto
giorno riceveva da Augusto? Ola febre è una malattia, o non è
malattia . Se non è una malattia tutto è conciliabile, ma siccome non può
mettersi in que- stione, 'ch’ella sia un malore, che sconvolge il
sistema fisico deirUomo, cosi sembra potersi dire, che Plinio in quel
luogo, 0 ha parlato di qualche altro M., o se ha parlato del nostro
le sue assertive non possono in verun conto fissare la fiostra attenzione. Impugnando
però questo passo di Plinio, noi non abbiamo avuto il pensiere di
divenire il censore di quel celeberrimo, e laborioso scrittore della
storia naturale. Egli esige tutto il rispetto de’letterati, li quali
conoscono, che quella sua opera magnifica gli procacfciò meritamente un posto
brillante nel tempio dell’immortalità. Ma in un si grande lavoro, in cui
dovette giovarsi, e profittare degli occhi, e delle mani di molti, non
deve recar meraviglia, se egli avesse inserito una qualche opinione
grossolana, e popólare . Il medesimo dice ancora, che quel Caio Melisso M.,
Liberto del nostro Cil- [TIRABOSCHI (vedasi), Stor. della Lett. Ital., «io
per guarire da uno sputo di sangue, no parlò mai per lo spazio di tre
anni. Questo fatto è pure singolare, meno però di quello della febre
perpetua, e della veglia triennale . Plin. Jamet sermoni porci multis de
causis salutare est. Triennio M. Melissum accepimus silentium sibi
imperavisse a convulsione reddito sanguine. L' Arduino nelle note a
questo luogo di Plinio osserva, che in alcuni Codici invece di
Melissum si legge Messium, conchiude però, che ne Codici più accurati si
trova scritto Melissum. Potrebbe dubitarsi se il Melisso, di cui qui si
parla, sia veramente il Liberto di M., giacche Svetonio de lllust.
Gram. nomina are Melisso Lenèo. Fulgenzio Withol. fà menzione di un Melisso
Euboico. Alberto Magno de Anim. Tract. loda un Melisso autore di un libro
sugl’animali. E Laerzio. rammenta parimenti un Melisso. Ma il lodato
Arduino è d'avviso, che il Melisso accennato da Plinio è il Cajo Melisso
M. Liberto del nostro M. : Meminit Svetonius ( Hard, in Ind. Auct.
Plin. ) Caji etiam Melissi, quem Maecenati gratissimum etiam fuisse
ait, ac Biblidthecarum in Octaviae Portico ordinandarum curam accepisse, a
Patrono suo Cajus Melissus M. dictus est . Hic eriim illc est, quem
Maecenatem Melissum scribi oportet, apud Pliriium. Cajo Melisso Mecenate.
Luigi Speranza, “Grice e Mecenate”, The Swimming-Pool Library. Mecenate.
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