Luigi Speranza --
Grice e Lia: la memoria conversazionale – filosofia napoletana – scuola di
Castrovillari – filosofia cosenze – filosofia calabrese – filosofia italiana –
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Castrovillari). Filosofo . Filosofo italiano.
Castrovillari, Cosenza, Calabria. Frate minorita. Nato a Castrovillari da
Amostante L. e una Gesualdo, assunse il cognome materno in quanto di più antico
e nobile casato. Entrato ad appena dieci anni come oblato nel convento
cittadino di San Francesco, ret- to dai frati minoriti, fu ammesso al
noviziato. I Minoriti si presero cura della sua formazione, mandandolo a
studiare a Roma, Treviso e Padova. In quest’ultima città Gesualdo prese
gli ordini sacerdotali egli venne affidato un lettorato presso lo
studium. La sua attività didattica si protrasse per un ventennio in vari
collegi dell’ordine e il capitolo generale gli conferì il titolo di
Maestro. Venne eletto ministro generale dell’Ordine, di cui perseguì una radicale
riforma. Il generalato del Gesualdo è dunque volto al rinnovamento dei
voti di povertà e di vita comune, spesso disattesi dagli stessi frati.
Tra l’agosto e il settembre dello stesso anno, egli fissò i Decreta de
casuum reservatione, con i quali venivano abolite tutte le deroghe ai
voti, s’introduceva l’obbligo di rendicontazione e conservazione dei
documenti amministrativi e, infine, veniva isti- tuita l’obbligatorietà
dei seminari per i novizi. La carica a Generale venne riconfermata per
altre due volte, grazie all’appoggio di Clemente. E vescovo di Cariati e
Cerenzia. Muore a Cariati. Su di lui e la sua opera si veda Busolini; Russo;
Keller-Dall’Asta; Cipani. Iofepbus Tamplorut. PJJ
>. PLVTOSOFIA di FILIPPO GESVALDO MINOR CON. Nella
quale, fi (piega l'Arte, della Memoria con altre cole notabili
pertinenti, 24. ì> . 31.. ‘ ... i r, } /T'4 T"V
t'f - ì -A S. ^ v-« 'w->' X i ' li A \h ' IJ A
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A «Violai a: 7 * 4. a Ai .XXXV.v^ *&$gij,x. 41 ALLILLVSTRISS ET
REVERENDISS. SIGNOR arnolpho vchanskii, CONTE DI SLVZEVVO j {
*1 ABBATE DI SVLEOVIA. Signor mio Colendisfimo. cn
> o Diuotisfimo feruo r : > 3 j 'Z\nii*r-Pi
s Paolo Meietti. ALLA
GLORIOSISSIMA HABITATRICE DEL CIELO CATERINA VERDINE ILLVMINATRICE,
ET PROTETTRICE DI S^TlEJ^Tl&c. I € H E gli antichi
fapienti appende nano in Sa c/e Colonnt le compite Opere .loro, egli Moderni
qlii nomi dì Fa mòfi et lllujlr tifimi Trencipi cort e crar le fogliano :
però battendo io dato fine hoggi all utilis fimo Compendio della memoria
artificiale, quale per esser tesoro e ricihc^a d'ogni bimana fapienza, mi
parue intitolarlo con parole greche plutosofia, hò no luto raccomandarlo alh
MeJJaggieri angelici, che colonne fono del Cielo, e confecrarlo al nome di te
che feiuna delle più care Spofe di Chrifìo, et una delle più fauorite
Tren cipejje del' Taradifo t Serenisftma per fangue, Illuflrisfima
per lapidila, purisftma per virginità, Santisfima per gratia t Con
ftantisjima flantìsfìma per Martìrio, felicìsfima per gloria . JE fe
tate non è il dono, quale ric ercar ebbe t importane del foggetto
t e meritarebbe la dignità dello tuo fiato ; è perà tale quale fi
può da me pre/entare, in qucHa fua prima delineatura. Ideila quale t fe
ui è co fa di lode, lariconofco dalle tue gratic, col le quali ni impetra (li
gratta apprefjo il tuo e mio Signo re di formarla . E fe cofa ui è di
biafimo ( coni io {limo di certo ) ante s' attribuita, che
tmperfettis/imo mi ricono fco. Spero che accettando tu il dono, et
aggradendo per tua pietà il Donatore ; ti digneraì ancora ( di che uiuamente
tiprie • go ) ottenere à me lume, ch'io pojja col tempo illufìrarla
di quella chiarella e perfettione, che con la prima mano non Jho
laputo e potuto darle ; et à quelli che la leggeranno, gratia
dinteUigen'^a,fi che poffano arricchirli felicemente in quello foblime
The loro di Memoria * Ex fi come io tenacemente ten go fcolpito il tuo
gran T^ome nella mia Memoria, E femprc uiuol tuo culto fra gli
diuotipcufieri della mia Mente ; coti ti fupplico che mi tengbi uiuo, tra
le tue uiuaci et efficaci Intercesso, inaila. ghriofa prefenT^a del Tadre
delle mifericordte Dio, c •j diOieùi tuo Spofo,& dilla M«drc
ielle gratie Mar (adergine, 1 ' J XX ., alli quali con profonda
fima humiltà 1, di CH&rt
t ‘ C- a X-L per me%p tuo faccio riueren^a. Dì
Palermo ÌV, Tuo Diuotixfimo Sento Fra Filippo Cefualdi Minor'
Conuentoale. TAVOLA delle colè notabili contenute nella Plutofofia.
Innumeri moftrano li fogli, la Intera a. moftra la prima et il b.
moftrala feconda facciata :uu 1 I. . 1. Memoria
è Teforo et Erario. Necessità dealermo ÌV, '. Tuo
Diuotixfimo Sento Fra Filippo Cefualdi Minor'
Conuentoale. TAVOLA delle cose notabili contenute nella
Plutofofia. Innumeri moftrano li fogli, la Intera a. moftra la
prima et il b. moftrala feconda facciata* :uu 1 I. .
1. Memoria è Teforo et Erario. Necessità della Memoria. Titolo
di qutft Opera, i^c 9. Guide allukezza delle Mule* Encomij della
Memoria • Memoria diumità Humana. Memoria nona Sfera
Cclcttc et angelica No«e ordini Angelici nell’Huomo. Memoria perche
nuda nell’Origine. Memoria come fi uefte. Memoria prima parte
dell'Oratore Memoria rara e difficile. Pcrfonc illuftrisfime nella
Memoria. Pci/onc infelici di Memoria . LETTIGHE. SIGNIFICATI
della Memoria. ^Se nell Huomo fia Memoria intellettiua. Se nella
parte lènfitiua ui fia Memoria. Se li Bruti hanno Memoria. In
che qualità confitte la Memoria. Tre forti d'ingegni. Caggione della
tenacità della Memoria. Co'i e fi caggionano li fimolacri perla
Memoria. Detti fimolacri imaginati . LETTIGHE. III. A Tto di Memoria
qual fia. Due atti di Memoria. Differenza tra Memoria e
Reminiscenza. Come posfiamo ricordarci di colà dimenticata •
Documenti per facilitar U Memoria. Muodi di facilitar la Memoria C
me fi aiuta la Memoria otturale Rimedi j per la Memoria J t.u
i. b; a.a. 14 . a a. a.
ai а. bu j. a. j.b. j.b. 4 4 «a. 4 .b» a ff
Accora /Aceorgùncntr per aiuto della Memoria Dcirefftrrcitio.
neceflario alla Memoria. Nome Hebraico della Memoria mifteriofb •
Dell’Arte della Memoria. Inuentore dell’Arte della Memoria.
Auttori c Scrittori dell’Arte della M emoria» Muodo d’infegnar
queft'Arte. L ETT I 0 7^E. ITi C He colà fia Memoria
artificiale • Nomee titolo di queftfArtc. Soggetto di
qucft’Arte.. Parti tionc di qucft’Arte. Delli Luoghi
perla Memoria.’» Dclli luoghi imaginati (è fumo per l’Arte. Deili
luoghi Naturali fepofiono ulàrfi Delli luoghi Artificiali ottimi
Conditioni perla formatione di luoghi Del Doue, prima conditionc del
luogo Del Sen/àto, feconda conditone LETT l V * A
D Ella formatione di luochi til Dell’ufo di luochi
ai . s ini jqt: E. V. iDb
uxa/ vM ti cruoiiE j CU adì
E VU l / . f.X Della 10. a.
10. a.b. iò.a. xo.b. 11. a» 1 IUU x
i.a» X i.b, n.b. ri.bt 1 1.b»
ia,b. a>.a. Ijb* l£.b.
ì^b. X 15. su I/Jéb..
lòa. 16. b» 1 7.8» J7.b. i8.a.
18. b. ip.b» ao.a. ao.b. ao.b. ai. a. ai.b.
11. a. Detta Perfona (labile neìluocM LETTfO'KE
lEtti taoCirinmiTc raTr Vili . a 6 . a. 26 ai » 7 »a*
D Lh* Detti lunchiperckittwiayaf Detti luochi
alternati Luochi (opra la perfona humana Q T* E IX, L
Voghi perprogreflfo rigreffo et alternati a8. 29- 30, Luoghi perla
Circolatione limoli' jt. D Elle Imagini per
l’Arte Due muodi di collocar imaginiDel collocar mediato in due
muodi Del collocar Concetti Del collocar le parole Della
collocatone di uerbi Della collocatone delle cole L E T T 1 0
ìi É /^Ottocatione dette cofe figurate formabili Collocatone
delle cofe naturali eccedenti Collocat one delle perfone.
MetHt do dì collocar cofe no figurate» Collocar per limili
longilinea tio ne. L ETTI 0 ^ E X T T, C ^Oilocarper
Mmiimiùmeui vu^ A “ X
A tv lUHVf m Collocar per aggiungimento.
Cotto Collocar per il nuolgimento . rTT " r_rT 7 L h x — 1 j u e X 1 71. C ollocare pei ta
uaiiabonc Collocar per bittitci Collo la
com linone Collocar perla diuilione Alfabeti
per la diuiuon E X J V. nocar pe ma di uppoin Collocar perii
uolontario Mcto che quello fi può intendere da tre cole,
Complesfione, Età, et alteradone. quanto al primo, eh 'c la
Complcfììone,dico fecondo lifìlofofi, che dalle due qualità
humidità,etficcità,fi argomentano e concludono l’apprcn fiua,c la
retétiua-.poiche 1 numido è atto all’app renderceli fèc "co al
ritenere. Colsi fi uedel Acqua, che facilmente appréde, malamente
ritiene;il Salso difficilmente apprende, tenacisfimamente ritiene; l’Acqua per
l'humidità, il Salso per la licci* tà.Parimentc l’apprenfiua in noi
confille nella qualità humi* dada retentiua nella qualità lecca del
ceruello . £ fi trouano tre lord d’ingegni, alcuni nel predominio de?
lécco, c quelli difficilmente apprendono; ma tenacemente ritengono,
com’il Saffo. Altri nel predominio delThumido, e quelli prontilfimamentc
apprendono; ma puoco ritengono, à guila dell’Acqua. Altri confiflono in una
mediocre qualità d humido, et lecco, e
quelli mediocremente apprendono, e mediocremen te ritengono.La caggione
dunque della cattiua Memoria, è il flulftì, et il fouerchio humido del
ceruello . Quanto al fccó do dell'Età dico, che dall’Età fi
uedel'augmento et il mancamento negli organi fènficiui; l’augmento nclli
Fanciulli nelli quali ui c l’alteratione del nutrimento che lèmpre
crelcc: fi co me nelli vecchi ui è il mancamerto; per la quale
alteratione, li fimolacri fenfibilifonoimpcdid,e periicono ; àguilà,
che la forma del uolto,che fi uede ftapataaiell’Acqua penice, per
l'alterationc, c mouimento dell' Acqua. Di piu dall’iflcfaEtà li uede,
cheli Fanciulli fon teneri et numidi ; li Vecchi duri c fecchi: per lo
che, quelli facilmente,nceueno li fimolacri ;et in quelli ; per la
durezza e ficcittàdc gli organi intcriori, difficilmentc .,7
film erteli Gmolacri trapassano: tome fi nedc,c'hel lume trapala per
l’Aria, thè ha del fottile è puro ; non però trapala pef il Marmo, che ha
del grò (so, duro,c, fecco. Quanto al ter 20 dico, che l'alteratione può
naScere, ò da pasfionc di timo re,ò d’infermità, ò d’imbriachezza ; perle
quali alterationi per turbati gli organi, non riceuono ; ò Se riceuono,
non ritengo noli fimolacri Sòmmiftillrati da Senfi, E Semi dirai che li
Fan ciulli hanno tenace Memoria; poiché creSciuti in età fi ricordano
delle prime co/è, che appre/èro : e parimente li Vecchi fi ricordano di
molte colè antiche. Rispondo quanto alli Fan ciulli, che per due raggioni
hanno quella tenace Memoria.La prima Secondo Arinotele et Auerroe; perche
alli fanciulli, le prime cole ch’apprendono sono nuouec mirabile però con attentionc
apprendendole, tenacemente le ritengono. La onde li fanciulli meglio fi
racordano d’una semplice favola, che pargoletti intcScro dalla nutrice;
che di cento altre ch’esfi medesimi huomini fatti leggano ne i Poeti.
Veggiamo eSfer ciò cònaturalc à noi, che lecoSenuouc prime, e rare ci
appor tano marauiglia;la marauiglia porta Sèco gagliarda attentionc
nellapprendente, ilqualc inten/àmente attendendo, tenacemente ritiene.
L’ifteSlo ci rroftra l’eSperienza, che più ci ricor damo d’vna Cometa
apparta, che de mille Stelle cadenti nel notturno Cielo; più d
vn’Eccli/Te del Sole, che di dieci della Luna; come che la Stella
crinitica, ò il Sole Eccli Sfato hanno men del frequente, c piu del nuouo
e raro ; e per confequcnza piò marauiglia apportano. La feconda ragione è
d'Auiccn na, ilquale dice che li Fanciulli tenacemente ritengono
quel che apprendono nella fanciullezza; perche in quell’età Sono
alieni da penfieri, cure, affanni, c trauagli : perlochc, come fgombrati
da ogni impedimento fbn’attisfimi à riceuere,per ritener tenacemente le
prim’apprenfioni . E quella ragione d’Auicenna, è rifiutata dal
Sig.Porta,nel fuo trattato della Me moria nel capitolo vndecimo. Mà
perche la ragione di AriSlo tele mira I oggetto mouentc;e la ragione d‘
Auiccna mira il fo* getto riccucntc : lolodola prima ragione mirante la
dtfpofitione oggettiua; e non rifiuto la lèconda ragione, laquale ma rala
difpolìtione del riceuenteipoiche la nouità dell’oggetto, Ja purità del
Soggetto, fanno ch’il Fanciullo tenacemente ritenga;
rìtenga;oue per cagione di qualità complesfionale non potrei be
tenacemente ritenere. Al fecondo dubbio delti vecchi fi ri Iponde, chè
quella facilità di Memoria nafee, per la moltiplfcatione delle meditationi, Se
eflercitio, Se vfo dell'intenderej Però dice Arillotele nel fecondo capo
del fuo libretto della Memoria, e Remini feenza, che Meditationes
Mcmoriam confer uant reminijeendo. E quello, perche l’Intelletto viene ad
habi tuarfi colla frequente meditatone; è queflhabito poi,viene à
facilitare l'atto del ricordare . £ quello balli quanto al primo
lignificato della Memoria,chc è la potentia memoratiua. E • paflfando al
fecondo lignificato della Memoria, che c il fimolacro dirò due cofe; prima,
comcfi fà in noi quella Memoria; fecondo fe oltre latro del Senio, fi polla in
noi far Memo ria. Al primo dico, che il fimolacro in noi fi caggiona
prin cipalmente da Senfi, li quali riceuono lifimolacri Icnfibili,
e per quelli Senfi, come per tante Finellre, e Porte, paflàno al le
llanze interiori Senio comune e Memoria, doue fi ftabiliIcono e fermano : li
quali fimolacri fono da le potenti muoue re la potentia cognitiua,per
l’atto del conofcere . E quelli fimolacri, idee, Se imagini fono da Filofofi
chiamati fantalmi, li quali depurati poi per l’intelletto agente
diuentano fimolacri, e fpccie intelligibili. E quelli limolacri intelligibili
fi ri ceueno neU’Intelletto posfibile; poiché come diceuamo l’Anima
lepacata, pure ritiene li fimolacri conofoibili ; il che non irebbe, fe
fidamente nella Memoria finfitiua li fimolacri fi ri ceucfTero.
Al fecondo dico, che la Memoria, non fidamente riceue li fimolacri,
li quali intieramente fumo nei Sentì; rnà ctiandio li fimolacri imaginati
formati dalla nofira Cogitatiua, la qua lehauendo li primi fimolacri
nella Memoria contemplandoli, puolc congiongcrc uno fimolacro con 1 altro;ò
uero racco gliere dalTifiefio fimolacro nuoue imagini, e quelli
fimolacri et imagini poi fi riceuono nella Memoria. Per clcmpio
nella Memoria ui è il fimolacro del Sole, Se il fimolacro del verde
villi dal Senfo; prefentandofi quell» due fimolacri al a Cogitatiu ;li
congionge, è dice, il Sole verde, Se nidi la Memoria riceue quello fimolactodel
Sole verde. È parimente fi fa de gli altri imaginati fimolacrij come del
monte d’0.o,ckll’B*p ‘pocctuc. p© cerno, e della Chimera.
Forma ancora delle prime figure, et idée, ò arguitiuamente, ò per ragione
di fbmiglianza altri ** nuoui fimolacri; li quali fi chiameranno
imaginati; perche non comprcfìda fenfi. Liquali fimolacri imaginati fono
necef fari j all’Arte della Memoria: nella quale ci {bruiremo, non
fòllmente de gli fimolacri hauuti da gli Senfi ; ma ancora degli raccolti
dalla Memoria,c Cogitatiua. E quello balli perla cognitione del fecondo
lignificato della Memoria,& anco per quella Lettione. Douendo
raggionare del Terzo lignificato delia Memo ria,ch*è l'attoal
recordatione, quando attoalmente ci ra cordamo, ( il qual’atto
propriamente fi chiama ricordare, fi ben’ anco li chiama con nome
generale, Memoria ) diremo tre colè. Prima, come fi fa quelt'atto.Secondo
in quanti muo di fi fa auefl'atto.Tcrzo in che modo fi può facilitar
quell- . atto, al che mira l'Arte
della Memoria, della quale noi trattando. Quanto al primo dico, che
quell’atto fi fa, quando la potè za cognitiua fiumana drizzata al Tesoro
della Memoria, fé li offerifeano fpeditamente,e prefentano li fimolacri,
con li quali ò contemplai raggiona,ò infegna,ò predica, fecondo
l’ufo delle forze interpretatiue. Quanto al fecondo dico, che
l’atto della Memoria paragonato all’impedimento antecedente, prende due nomi,
l’uno chiamato ripigliamento di memoria^’ altro Rcminifccnza. Il
primo quando fi frapone interrompimcnto di tempo.ll fèco do, quando fi
framette interrompi mento d’obliuione, e dime ticanza. E che quelli due
atti fiano differenti, appare per due ragioni Arifloteliche. La prima
dall’attitudine, La feconda i dai fòggetto.Quantoalla prima chi è pronto
ad apprendere^ capire, e ueloceadimpararc;è pronto, e uelocealla reminifeenza.E
chi è tardo ad imparare et apprendere; è pronto alla ri membranza «
Quanto alla feconda, la rimembranza o ricordarsi; è atto dt molti Animali: mila
reminileenza ddTHuotr» lolamente,comc dirò piu inanzi . £ per darui vn
cflcmpio di quelli due atti, prendo qucll’auttorità, Sapientiam fine fi
filone* 0 didici, et fine inuidia communico,& bone fìat era illitts
nonabfcon do . Haueudo hoggi riporto nella Memoria quell ’auttorità,
e domani volendo recitarle, le inticramctela Memoria me la ra
prefenrarà, quell’atto di Memoria li chiama ripigliamcnto di Memoria:
perche tra l’atto d'hieri, c quello d’hoggi fidamente ci ètrapollo
interromptmento di tempo. Mi fcdelvcrfb che hieri m’albergai in Memoria,
hoggi io mi ricordo la prima, e la feconda parola, e non mi ficordcrò la terza,
ò quarta; e pcnlàndo, eripenlàfldo, dopò quella obliuione,è dimen ticanza
mi lòuiene la parola dimenticata; qncfl’atto di ricordarmi colà /cordata, li
chiama atto di reminileenza ; perche vi fi c trapolla dimenticanza et
obliuione.Sichela reminilceiT aa none ogni atto di Memoria, dopo qual fi
uoglia interrom pimento; mà lolamcntc l'atto di Memoria dopò
l'interrompimento di obliuione. £ quelli due atti fecondo Ariflotile fono
coli differenti, che >1 primo è communc à gli Huomini et alti
Giomenti; mà il fecondo, che di reminileenza conuiene lolamcnte à gli Huomini:
perche la reminileenza c vna reflesfio f ne dell'Intelletto difcorrcnte,
per ricordarli la colà dimenticata; fiche la reminileenza è atto dell
intelletto, ò della Cogita ciua lènfitiua,congionta
all'Intelletto. Quanto al terzo principale, in ch$ muodo fi può
facilitar l’atto della Memoria, dico che ò pariamo dell’atto della
reminileenza, ò del repigliamento della Memoria. Se del primo atto, racoglicndo
da quel che dice Arillotcienel libretto della Me moria c reminileenza,
dico che in tre muodi noi postiamo ri cordarci di colà dimenticata. Primo
hauendo l’occhio all'ordine delle colè; Secondo al tempo ; Terzo al luogo .
Quanto al primo, dico che dobbiamo mirare alle cole antecedenti, ò
iòflequenti alla colà che noi ci fiamo /cordati ; che coli ci Ibuenirà la colà
mezzana; ilche fi vede per elperienza di quelli p che làpendo molti
uerfi, e /cordandoti del terzo, ò quarto; recitando il primo, e fecondo,
li louiene il terzo, et il quarto. Da quello nalcc dice il Filolofo, che alle
volte ci ricordiamo d’vna colà pafiàta d’?n gran tempo ; et una cola
del riftcflfo gjornojA d’vn’altro innanzi fatta, non «i
G>uiene:per» che quella cofa fouucnutaci nouamente,hà qualche collegaza
et ordine có quella cofa, che noi prefcntialmcnte penfàuamo. Et il
procreilo in quella colliganza fi fa in tre maniere, come dice
Ariliotilc; dal limile; dal contrario : dal propinquo. Dal Amile, come le
mi ricorderò di Socrate; ricordandomi di Platone, ìlquale c limile à quello
nella fapienza. Dal contrario, come fe mi ricorderò di AchiIIc;facendo
mentionedel fuo au uerfario Hettore. Dal propinquo, fe mi ricorderò del
Padrementre fò rimembranza del Figlio. Il fecondo muodo è mira re al tempo;perche
volendoci ricordare d’vna colà paflàta,diftinguendoli tempi, e conAdcrando
d’hora in hora potremo ricordarci della colà dimenticata. Il terzo muodo,
è mirare al luogo: perche conAdcrando diparte, in parte, i luoghi
ne’qua li habbiamo fatto dimora et operato, potrà louuenirci il fatto che
vogliamo . Quelli tre muodi di ageuolare la reminiIcenza, lon fondate
nell’ordine, ilqualc è ottima guida per la facilita ancora del recordare.
Indi A traggono d’Arillotilc a. documenti per facilitar la Memoria, e la
reminilcenza. Il primo, chele cofe da collocare in Mcmoria, Aano ben
ordinate, diftinte, e ridotte in capi : perlochelc colè malamente
ordinate, tardamente ci lbucngono.Il lècondo, che le gli porga vna
gagliarda attentione di mente: perlochc alle uolte ci ricordamo piu d’vna cofa
villa vna fol volta ; che un’altra villa piu, volte. Il terzo che
frequentemente Aano meditate, et repetite con ordine. 11 quarto che nel
volerli ricordare colà dimentica . ta, li Riabbia 1 occhio al principio
della colà, ilqualc è atto atra her a fe il nello, per la colligaza et
ordinejcome A tira vn luco filo, da chi prende il capo. Se pariamo del
ripigliamcnto della Memoria, et vmuerfalmentcd ogni atto di Memoria dico
chem tre muodi posAamo haucr faciltà in quell’atti; primo per natura;
fecondo per clfercitio; terzo per arte. Della natu ra noi non posAamo
farci maeftri; poiché c dono di Dio, ilqualc dono l’habbiamo An da forigine; et
cflendonenoi dotati eccellentemente, dobbiamo renderne lode a l’auttor della
natura ; et eAèndonc bifognoA, dobbiamo ricorrere a fua diurna MaeAa per
aiuto: poiché ìnitium omnù Sapienti, timor Domini e/t . E ben vero, che
la Memoria naturale puoi elfer C aiutata aiutata dalli
Medicamenti, dairE{Tcrcitio, e dall’Arte. Dell’Arte, e dell’Effcrcitio diremo
poi. Quanto alli Medicamenti, no reiterò di dire*, che per lo più
fogliono riufcire perigliofi, e par ticolarmcntc le vntioni, che li
fogliono tare alla poppa del cerucllo ( chiamata l’occiput ) per
ingagliardire la Memoria. Lequali vntioni fogliono effer di qualità
calida,c fecca; e per che il caldo accende li fpiritidel cerucllo, e
quelli (piriti aceli et infiammati alterano, muouono, perturbano,
dilordinano li fimolacri; ne fiegue che quelli liquali vfano
imprudentemé te limili vntioni bene fpelfo diuentano frenetici, e pazzi.
E fè pure non incorrcfiero in quello danno ; non polìono fuggire
qucll’altro: perche fi sa bene, che l’ingagliardimento d’vn còtrario,rende
debole la forza dell’altro contrario; à guifà, che il calor che fubentra
nell’Acqua, quanto più prende forza, tan to più fi feema e, và mancando
il freddo ; c perche l’ingegno e l’acutezza dcllapprenfiua confitte nell
humido; la tenacità della Memoria confitte nel fccco ; però li
Medicamenti calidi, è fecchi; mentre ditteccano la Memoria, chiaro è che
ingagliardendo la retentiua, debilitano l'apprenfiua . Laonde quefti tali
mentre cercano d’hauer felice retentiua, diuentano roz' zi, (tolti, c
tardi, nell’apprenfiuaj intanto, che non fon’attimè da fe fare
inuentioni; nè ben faper’ imitar l’altrui; habili folamente à leggere l’altrui
fcritti, e quelli parolatamente riporli alla Memoria, Ne per quello
intendo negar affatto tali Medicamenti: mà concedo bene poter effer vfati,col
configlio d’vn efpertisfimo Medico, ilqualc conofccndo la qualità e forza
par ticolare del medicamento, la qualità, la complesfione, l’età,
il bifogno delmcdicato,potràopportunamenteordinare,& indi con
ficurczza vfarfi l’ordinato medicamento. Fra gliremedij vniuerfali,fi recitano,
Il moto, Il lauare; La tenebra, e la mediocre attcntione. La onde fi formano
quelli quattro quefiti. Il primo perche caufa quelli, che fi vogliono
ricordare muouono il Capo. 11 fecondo, perche caufa il lauare del Capo
gi.o ua alla buona Memoria. Il Terzo, perche meglio ci ricordiamo nella
tenebra, che nella luce.ll Quarto, perche fapendo noi recitar vna cefi,
udendo darci molta diligenza, et attcntione; ci feordiamo di quella. Al
primo rifpódo,che alle volte nell’organo della potéza Mcmoratiua,vi è qualche oppilatione,
laqua IO le impedifceil libero paflaggio dell» 1 (piriti
fenfitiui: e mouédoì noi il capo, s’apre quell’impedimento, et aperto
pa/Tano li Spiriti, c ci ricordiamo. Al fecondo dico, che per tal
lauamen to s’aprono li pori della Tcfta, perii quali cleono fuora li
fu mi, che ingombrauano il ceruello, et impediuano illuogo co
fèruatiuo dclli fimolacri; la onde ufciti quelli fumi,reftando libero
l’organo, facilmente ci ricordatilo. Al terzo ri/pondo, . che ne.
la luce li moti de l’oggetti lenfibili efteriori, come piu gagliardi,
impediuano il moto delli fimolacri interiori, che fò no men gagliardi.
Per lo che fi da regola, che l’huomo per ricordai fi, e per collocar in
Memoria, li può feruire dellatenebra,ò naturale, ò uolontariamaturalc del luogo
o/curo;uoloa taria, chiudendo gli occhi nella luce. Al quarto dico, che
la fi> uerchia diligenza^ attcntionc,preci/àmcntenclli fimolacri
bc ne habituati, perturba li /piriti, c muouc gagliardamente li fimolacri
riporti nelforgani ; c quefta pcrturbatione ecommo uimcnto alterando,
dilfordinando, e confondendo li fimolacri, impedi/ce l’atto perfetto della
Memoria- Ma ponendo mediocre attentione,e diligenza : non ne fiegue quefta
perturba tionc,e di/ordinationeje però li fimolacri meglio fi
ripigliano. Quanto all c/sercitio dico, che ottimo rimedio, per
facilitar l’atto della Memoria, è l’clcrcitio mentale, e uocalejpcr Io
che fi riferilee di quel Filo/òfo lettore, il quale più e più uolte
ri chiefto da’Difcepoli,chc uoleflelor’infegnare l’Arte della Me
moria : dopò molte preghiere, all’vltimo con Metafore di Me tonomia
figurando l’e/èrcitio difse,chc fi riccucflc Scarpa fa na,c Scanno
confumato.Volendo inferire, che lo Scolaro, per far buona Memoria,
fuggendo li fuiamenti; debbe /edere, c uigilando /Indiar molti Libri, E
chi non sà,chc fedendo affai lo Sc-nno, ouc fi fiede fi confuma ;ele
Scarpe, perii ripo/ò rimangono lanc.E qudfto forfè, uolfe dire il
Filo/ofo in quel fuo detto fedendo, e ejuiefcendo,Jinimns fit prudens.
Indi credo, che Adamo /àpientemente impor endo li nomi alle co/c,
chiama/Tc la Memoria con parola hebrea, Zecher. Il qual nome, c comporto di
trelettre; Zain,che c Interpretata oliua. Caph,chc interpretata,curuati
funt: Res, ch’e interpretata Caput. Volendo dire, chelaMemoria confifte
nel Capo curilo^ per Io cheuolendoci noi ricordare d’una cosa dimenticata,
curuamo et inarcamo il Capo; perche ri fedendo la Memoria nella parte deretana
del ceruello, chinando noi il Capo al Petto, con quello moto s’aprc
l’organo, e fasfi più atto, e fa cile alla fua operatione. E di più la
Memoria dice Capocuruo; perche dobbiamo curuar il Capo à lludiar li libri ; e
da qui nalce poi(come dice il filosofo)cheli Studenti per lo più,
hanno qualche poco di Gobba ; perche non piegano pigri il Capo alle
(palle fopral'otiofe piume; mà diligenti I'incuruano al petto, fopra gli aperti
Libri . E di più il nome della Memoria contiene l'Oliua, dalla quale fi
fa foglio, udendoci moftrare,che l'Huomo per acquillar buona Memoria,
debbe uigilare, non folamente con la luce diurna del Sole ; màcon
la notturna dcll’oglio.Oltra che il lume dell’oglio,è più atto di quello
del Seuo,ò graffo, il quale col noiofo fumo, e feto re appanna gli occhi,
c difturba affai il cerudlo. Auertendo per fine di ciò,che in quello capo curuo
non fi prenda fred do nell’occiputjmà fi mantenga col fuo calor naturale,
non ec ceduto, nè alterato da calor eitrinleco : acciò il
calor’acciden tale, non perturbi l’ordine de’fimolacri :& il freddo
nonag giacci,& induri l’humidojfi che fi rendano poi l’organi
tardi, pigri, e difficili all’operatfone.Disfi dell’efercitio uocale,
inté dendo di quelli li quali ripongono in Memoria, per recitare
leggendo, predicando, od orando; perche lappiamo, che non folamente
l’Intelletto è habituabile; mà ancora la Mano, eia Lingua; quella à
fcriuere, quella al recitarejpcr chchauendo noi imparato uinti,ò trenta
uerfi,& affoefacendoci in recitar li molti, è molti giorni, la Lingua
uiene ad habituarfi, intanto, chefenza penlarci ò darci mente recita, e feorre
diuerfo in uerfo ottimamente.Dunque, perche la Lingua è cosfi
habituabile,e porge aiuto alla Memoria in recitare;è molto ben fatto
alloggando nella Memoriale colè, e repetendoleper Ha bilirle in quella,
fare che ancorla Lingua le reciti, el’efplichi con uocc quanto più fi può
intelligibile ; e quello fi uederì con elperienza,'chc apporterà
grandiflimo giouamento alla Memoria. Quanto aTArte da
facilitar l’atto della Memoria ; quella farà la parte, che s’ha da
trattare diffufamentedanoi . Della quale, come uoglionocommunementcli
periti de quell’ Arte e P 1 1 e precifàmente
Cicerone, e Quintiliano, nc fu primo inuento re Simonide Melico Poeta
Lirico, il quale hauendo uifto mol ti fedenti in unconuito,& efsendo
poi caduta la ftanzadelcó uiuio;& vccifi, c dislìpati li cóu tati di
maniera, che nó poteua no elTerconofciuti diflintamcte dalli parenti et
amici, che vole uano farli gli honori funerali, Simonidc Poeta fbp
radette, hauS do per prima riporti nella Memoria licóuitati, fecondo
l’ordine de’luoghi oue fedeuano; diftintamente vno p vno li rico?- nobbe .
Metrodoro feeptio fece perfetta qucft’Arte, Cicer: adHercnnio ne trattò
efquifìtamente, cort Quintiliano, Sene c a, Petrarca, Rauenna ne fa un
trattato ih titolato la Fenice. Fra Lorenzo Guglielmo debordine
minor conuentuale, pienamente ne tratta nella fua Rhettorica. Fra
Cofma Rortellio dell’ordine dc’Predicatori, ne fà un libro intitolato,
Thesàurus memoria: artificiose . E prima di lui ne trattò pienamente
F.Gio. Romberch, Iacopo Publitio, Matheolo Perugino, Francefco Monleo et altri
nelle opre della Retorica.il Sig.Dolce in forma di Dialogo, uolgarizò il
Trac tato del Romberch. E finalmente il Sig.Gio:Battifta la PORTA
(vedasi), n’hà fatto un bellissimo trattato, Io mi sforzerò, et imitando
inuentando; ridur queft’Arte, àquel compito Metodo, che fi potrà
maggiorc.Notando, che due colè iidefiderano in qucft’Arte; primo, Il ucro
Methodo della Dottrina; fecondo la Voce uiua di chi bene l’infègni.Per
difetto del primo, mol tireftanopriui di queft’Arte; per difetto del
Secondo Tariffi mi ne riefeono; perche queft’Arte, à mio giuditio,è
limile alla Mathematica,c Notomia ; le quali, mentre fi fpiegano, bifo
gna ch’il Mathcmatico habbi la fua tauoletta ingefsata, fbprà la quale
difegni, e moftri le Figure Mathematiche: et il Noto mifta habbi dinanzi
a gli occhi, e /òtto le Mani, e tagli di Prattici, il Corpo humanojfòpra il
quale infegnando con la Lingua; moftri con il Dito di parte in parte, tutte le
membra hu manc.Cofiì il Lettore d» que/l'Arte,bifogna che feelga uinti,ò
trenta luoghi, e quelli uifti dalli Scolari, c ben polli in Me moria,
come preamboli; fiuadipoidi parte, in parte, efplican do il contenuto
dell’Arte. D Alle cofc fopradette raccolgo, c concludo quattro colè;
la diffinitionc della Memoria Artificiale, il titolo dell'Art, il foggetto, la
partitione. Del primo dico, che la Memoria Artificiale^ vna forza acquiftatacon
arteficio ingeniofo, perlaquale tenacemente li fimolacri di cofe ò di parole fi
ritengono, c viuacemcnte alla virtù contemplatiua, cnarratiua fi
rapprefentano. Dclfecon do dico, che queft’Arte fi chiama, Arte di
Memoria ; e chi la volcfle chiamare Arte di Memoria vdita, non errarebbe
; poiché è vn’Artc, che conuienc,non folamentc efler iftudiata nel li
Libri; ma vdita ancora da voce viua ; nella guifà che forfè Ariftotele
(fecondo alcuni) intitulò li primi Libri della Fdofòfia,de Phifico auditu .
Indi credo, che tra gli Ieroglifichi, l’Orecchia fi troua confccrataalla
Memoria . E fi bene dottamente Porta, intitulò queft’Arte, l’Arte del ricordare
: poiché la Memoria Artificiale mira, et attende à facilitar l’atto della
Memoria, che è il ricordare; non però ne ficgue, che il titolo antico, e
communc diqueft’Arte debbia edere rifiutato; poiché e da Filofofi, e
daThcologi, tanto la potenza della Memoria; quanto il fuo fimolacro, c
l’atto, son chiamati memoria. E fe ben affermo, che queft’Arte mira anco
la reminifccnzajquando ne i limola cri albergati, foccedeffe obliuione:
nondimeno conuenientemcnte fù chiamata da gli antichi Rettorici, Arte di
Memoria; non fedamente dal fine, come dice il Sig. Porta: poiché il
tutto fi fa per accrefcere la Memoria; ma perche ogni atto di ricor
dare, e chiamato Memoria, com’io disfi. Del Terzo dico, che il foggetto
di queft’Arte, c il Luogo ideato per ricordarci;inté dendoper l’Idea il
fimolacro,la fimilitudine,I’imagine, la quale fi colloca nel Luogo ftabile:
acciò viuacemcnte ci raprefèn ti la co(à,ò parola della quale vogliamo
ricordarci.E da que» fto foggetto, io prendo la partitione dell'Arte,
laqualc è diuifa,in Luoghi, et Imagini.E fèbene il Signor Porta
aggiongala Perfona,tra il Luogo, e l’Imaginc j nondimeno diremo al
fuo luogo,fe quefta Perfona, fi deue ammettere in queft’Arte . Et ammettendofqla
redurremoal Luogo, ò allTmaginctfi che re ftafofficientela partitione,in
Luoghi et Imagini.il luogo è come Materia; l'imagine come Forma; Il Luogo
ca guifa del la carta nella quale li fcriuc: L knaginec à guifa della
(cattura che fi (tende (òpra la carta, e come dice Quintiliano
con CICERONE (si veda) il Luogo c come tauoletta incerata, l'imagine, come
lettera. Si che il Luogo, è quella parte materiale, (labile, diftinta, e
proportionata, laquale c bafe della Imagine, Figura, è fimilitudme della
cofa,ò parofa,come vn’Angolo d’vna Cella. L’imagine c la Forma,!* Figura, la
Similitudine, ó Segno di quella cofa,ò parola, che noi vogliamo
ricordarci, come la forma d’vn’Huomo, ò d’vn Leone, quale con la noftra
Mente, noi collocamo nel Luogo.Del qual Luogo, e poi
dell’Imaginctrattarcmo. Delli Luoghi. Dirò
ordinatamente tre colè delli Luoghi, ’la Partitiotie, le Conditioni, ò
Regole, et il muodo da formarli nella Memoria . Quanto alla
Paninone, ò diuifionede i Luoghi, dico che il Luogo c di tre (orti ^
Imaginato. rti, il primo Reale, il j. imiginato. Il pri roo e
quello, che nel Luogo ucde il Senio,comc nel primo Luogo ci troua la
Porta, nel fecondo l’Angolo,nel terzo la Fi ncllra. Iinagmato c quello,
che ut formala Mente; per clfempio le da Angolo ad Angolo di una danza ui foffe
uno fpatio troppo grande per un luogo, ecapacedt due Luoghi, c‘ che
non ci foffe in tale fpatio niunodidintiuo ; io pollo formarcene uno, con la
mente, collocandoci una Pcrlona, una Fi gura, un colore, un’altro limile
fegno ;ò pure le uoi hauede commodtcà, farebbe bene farci un fegno reale,
come làrebbeà dire prender un Banco ò Caffa,ò altro artificiato, e por
10 in quello fpatio per fegno ; ò pure appendere nel Muro qualche
colà con un chiodo, come un Quadro, una Figura, ò ergerui un’Altare, fè
pure non uiuolede (bruire del Muro per carta di pazzi, dipingendoci un
legno col carbone, o altro co lorante. Equedi fegnifian uidi, reuidi,e
maneggiati; c poi fermati,e repetiti nell.; Memoria. E fc bene fi
rimouinoqucl 11 fegni da i luoghi, fi ritengano però fempre nella
Memoria, come la prima uolta ui fi uiddcro.Auucrtendo (opra il
tutto, che il fegno del didintiuo, non fia troppo piccolo; perche
nó darebbe quella uiuezza che fi dcfidcra . Seftò, Del
Numero. Il numero di Luoghi, mira il bilogno di chi li forma; perche chi
uuole Luoghi per li Concetti, un mediocre numero li bada; chili uuole ufare
anco per le parole di molto numero n’ha-btfogno, fi come colui,che
fcriucpoco, di poca carta hàbtfogno; mà chi Icriue molto, di molta è
bifrgnolbr J 6 Il Raaenna fi uanta d’hauerne formati cento diece mila
. Il Rolfellio ftima, che il gran numero offende alla Memoria .
Cicerone ftimò,che fidamente cento luochi baftalfcro. S.TomafTo con Teglia ad
hauerne molti. Il Petrarca, il Rauéna,Gio: di Michiele, Matheo Veronefèò
Perugino, ìsibuto, e Chirio, et con quelli il Romberch fi dilungano da
Cicerone. Voi formatencne prima cento, per rclfcrcitio j e poi di mano in marno
formatene dell’altri, hor collocando vnaChiefa,hor un Palazzo, hor
un’altra Chiclà, finche haueretc la lèmma d’un mille luoghi. E le quelli
non ui baftalTero, potrete formarne, de gli altri; purché non pasfiatc à
formar li Luoghi della feconda Chiefa, ò Palaggio;fe prima non haurete molto
bene Ila biliti nella Memoria li luoghi formati nella prima Chiefà
ò Palazzo, ch’altrimente facendo, offendcrelle la Memoria, e con la
confu fione, e con la fatica. Settimo, Della Diuerfìtà. Non è
colà doue fi ricerca tanta uarietà,c diuerfità, quan toin queft’Artc; per
lo che l’uniformità, ò Gmilitudine delle colè, c diametralmente opposta
alla Memoria di Luoghi. Però in un Clauftro,doue fi ueggono Archi, e
Colonne tutte limili, non fi polTono formar Luoghi;!! come nc meno
nelle Celle di Dormitori; di Rcligiofi, parlo di quelle che tutte
ha no le porte, e diftanze fimili. Si ben’ alcuni uolcndofi feruire
di tali Luoghi fimili, diano Regola delli Diftintiui imaginati; come
legnarcon la mente le Colonne, una con una Croce, un’altra con una Mano,
vna Cella con un Santo, l’altra con un’altra Figura;non dimeno quello mi
pare uano c fuperfluo, si perla difficoltà, che s’aggiongealla Memoria,
come per ha ucr noi ampia commodità da poter
cIegger’aItrfLuoghi,qua li per la dilfomiglianza,c diftintiui reali fon
più atti, e facili al la Memoria, lènza lottomcttcrci Se à quella nuoua
fatica, et à tal pericolo di uacillarnclli fimili. E ben uero, che le noi
nel formar di Luoghi, doùesfimo palTar da Luogo Commune ad altro
Luogo Commune, come palfarda una Cielàad una Sacreftia; e per congiongcr
quelli due Luoghi Communi, ci conuenilfe palTar, per un Clauftro
colonnato, e che le Colon ne fu nefuflero poche in numero,
come tre,ò quattro ; non negarei il palTat per quelle, e diftinguerle con
qualche legno reale pofto ad tempus^com’io disfi nel Capo quinto del
Diftintiuo, ò collocandoci perfone familiari, fecondo le regole che fi
di ranno delle perfone ftabili, ò almeno diftinguerle con fegni
imaginati. Delle Celle fimih di Dormitori, s’auerta,che ce ne potiamo
lèruirc,ò palpando, ò entrando; le palTando,e tut te le Porte, e le
dirtanzc,tra Porta, e Portalono uguali, e fimi li: è difficoltà a i
oprarle, àchi non le li fàprattiche,diltinguc dole per diftintiui
efficaci, c particolarmente per Peritane che ui habitano, quando lon
molto ben conolciute dal Formato . re. Se entrando è gran commodità ;
perche col diftintiuo ef ficace ritrouata la Cella, fi portono dentro di
quella ordinatamente formare alcuni Luoghi, et ufeendo da una paflarc per
lo fpatio tra mezzo alla lequente Cella. Ocrauo Dell* Lumi,
DErche forniamo fi Luoghi,per collocarci l’Imagini, e talmé *•'
teli raprelentano alla Mente l’Imagini, quafi l’hauesfimo dinanzi à gli
occhi: però bilogna,che il Luoco fia illuminato; acciò Mangine fi
posfimortrareallofguardo. La onde il Luo go oleuro, non catto per queft’
Arte; perche fèpelifce, uela,& acceca Tlmagine.E fi come l’Imagine
porta in aperto Luogo, perii fouercnio lume fi rende all’occhio
fbuerchiamentefplc dente, d’occhio irtelso s'offulca in mirarla, ne può
diurnamente, e commodamente contemplarla; cofi la Mente non ef
fìcacemente apprende, nè uiuacemente la Memoria csfibilce qucll'Imagine,
cheda foucrchto lumeè illuftrata . E però le Strade aperte; le Piazze, le
Muraglie, che fono dalla parte di fuori dell’Edificii, non fono troppo
atti per quert’Arte. E qua to aH’ofcurità,il Sauona dice,cheil Luogo
oleuro, fi può far luminolo: le fi confiderà, efi forma con un lume di
Lucerna, e Tempre fi mantenga nella Memoria cosfi illurtrato,come
fu uifto con il lume quella prima uolta.Ma quello io l'ammetto,
quando quel Luogo oleuro forte neccrtario all’ordine di Luo ghi, per non
interromperli; fi che per continuarli bilognaflc palfar per un Luogo
oleuro. Il limile dico dclli Luoghi aper ti, che per cotinuar
Luogo Còmfflune, al Luogo Comma ne, mi bi/bgnaffc pattar per vn'Andito, ò
per vna Strada,ò per vn Cortile': potrei in tali Luoghi aperti, formar i
Luoghi diftinti.E quando fodero /ouerchiamenie luminofi :fitormino i
Luoghi in tempo nuuololojò nell’hore, quando s’itn bruna il giorno la
/era, ò quando fi chiarifce la mattina. E nel modo che furo vidi la prima
volta che fi formaro ; così fiano Tempre ramcntatt. Et auertail
Formatore, di non eflcr troppo fcrupoloio intorno alli Luoghi aperti;
perche cttendo aperti uerio il Cielo, e per il progretto, nondimeno fono
chiufi a faccia, con mura et habitationi non troppo dittanti» come
/bgliono ctter le ftrade per le Città;e s’ofl'crui quelche fi dirà della
folitudinc,e fic detto di lumi, di formar i luoghi in certe hofe del
giorno, quando e men frequentati, e men luminofi fi veggono; non c dubbio
che permisfibili fono alfArtè. • Nono Della Quantità. m
P Erche ne gli Luoghi fi collocano l’Imagini corporali, diftefe per
larghezza, et altezza;però bifogna, che li Luoghi habbino la loro debbita
grandezza. Et perche il Luogo trop po piccolo, non potrebbe capir
l'Imaginc ; e fe fotte troppo grande fuiarebbe lo /guardo, et
confequentemente la Mente # laquale ila attenta alla Memoria, che è fondata nel
fenfo: però fi attegna la larghezza di otto ò noue palmi,
òpiedi;per che in tanta larghezza, fi può à braccia aperte, e
fpiegatediftender vn’Huomo.Nó meno, acciò nello fpiegar delle brac
ciad’vna perfona,noningombratteilLuogointanto: che nò reftatte fpatio per
l’altra Per/ona, quando per occorrenza del l'Imaginc bifbgnatte
fimilmcnte fpiegar le braccia.Non più» perche noi uogliamo feruirfi delti
Luoghi, non /blamente per li Concetti: ma anco per le Parole. E fi come
malamente leggiamo le parole, quando le lettre, fillabe, ò le parole an
Cora /on'troppo dittanti l’vna dall’altra: così tardamente /om minittra
la Memoria, quando li fimolacri non hanno tra loro vna cofiueniente vicinità»
come diremo nelfeguente Capo della Dittanza. E Decimo Della
Diftantia.' C icerone vuole, che un Luogo Ila dittante dall’altro
trenta Piedi, ilchc lìcgue ilMonlco. Il Rottcllio vuole, che 30 .
Piedi, s’intenda del Luogo ampio; ma del particolare, quindici ò vndici Piedi.
Il Sig. Porta dice, che Cicerone vlàua i Luoghi per li Concetti
giudicali, douebifognaua hauer fpa tio grande, per depingcrci gran fatto:
ma per le noftre Regole batta la diftanzadi otto palmi . Alche fottoferiuo io
di ccndo y col detto Sig.Portarche le per calò ogni otto palmi* non
s’ihcontrafle Angolo^Porta^ Fineftra, ò dtftintiuo nel Muro ; mà il
dittintiuo fotte puoco amati, 11 che bifognal^ fc dittender’il Luogo
altri due palmi, non importa che la didimi Ila di dieci palmi . Si come
incontrando il dittintiuo nel lètti mo palmo, e nelfottauo non ci fette ;
non farebbe er rorc, il fermarfì nel dittintiuo.E la dittanza s’intende,
dal cétro,e dal mezzo del Luogo, al centro dell’altro Luogo : lì che ne
fìegue,che li Luoghi habbino ad etter fbccesfiui, e contigui . Il Rauenna
adegua la dittanza di cinque ò Tei piedi : il che le ben potette
pattare,nondimcno è più lìcuro darli la Iar ghezza d'vn huomo,con le
braccia (piegate e diftefejaccio occorrendo farli Ipiegar le braccia non
s’ingombrino le Per ione tra loro.URomber eh oltre che (lima ottimala
Regola dclRauenna,aflegna ancora la dittanza di due piedi quando
l’Angolo,ò altra cola lègnalata,abbracciafle i luochi.Ilche le s’i mende
da centro à cétro, forfè pattarebbe, per la collocano ne immcdiata:ma non
è congruo perla cJlocatione mediata, laquale ricerca Pcrlone Se Imagini,lequali
douendofi fpie gare per larghezza,non li ballano due piedi; le pure per
piedi, non intendefle due moti, e pasfi. Ma s’egli intende della di
flanza,tra il fìne di vn Luogo, et il principio del feguente : fe la
necessitaci conftringe à far quello* c permetto com’io dif fi con
Porta. -, Icttioiic La soccessione di Luoghi, ò
s'intende tra Luogo Comma ne,e Commune:ò tra Particolare, è Particolare .
Quanto alla prima foccesfione, (irebbe bene in vna Città, hauendo
più Luochi Communi:chc il Formatore (ì sforza (Te ordinar li, conforme al
(ito ideilo che fi trouano;paflàndo da Luogo Comtnune al Luogo Commune
ordinatamente:cioc da un Luogo Commune, li pas(i all'altro Luogo Commune
più ui cinoje co(i poi al terzo, c poi al quartoje girando, ò
caminaa do per dritto ordinatamente, pauarall altri
foccesfìuamente. E non potendoli ciò fare di tutti; (i faccino in due ò
tre par* tite.Et perpaflar da vn Luogo Commune, ad vn’altro Com
mune, coinè da vna Chieli ad vn Palazzo, da quedo ad vn altra Chicli: (irà
ben’incatenar quedi Luoghi Communi, con alcuni Luoghi Particolari;purche
il uiaggio da brcue,cli Luo ghi fi posfino formare commodamcnte, come
disli nell’otta uo.capodelli Lumi, e nel (èttimo della Diucrfità. E
queda (òcceslìone tra Luoghi Communi c vtile: perche collocando voi
vna T*redica,od Oratione, e li Luoghi Particolari d’vna Chieli, non ui
badalsero, perlochc ui bilognalse paflar ad vn’altro Luogo Commune:gioua
il paflirci,per un mezo con tiguatojaltrimente la Memoria fuariarcbbc.È
notate, che que fio paflagio li fà in due modi nel recitare, primo
conpaulà, fecondo lenza paufa.Con paula c poli, per elfempio hauendo
finito il Prohemio, il dicitore prende fiato, epoi ripiglia la
Narratiua:in queda polita, può il dicitore far paesaggio da Luogo
Scontiguato,ad un Luogo Dilcontiguato ; c non (blamente da Luogo Commune,
ad vn’altro Commune, che lia in unaidefsa Città:tna ad un’altro Luogo
Commune, che fia in vn’altra Città.Pcr efempio, hauerò collocato il
Prohemio, nclli Luoghi della Chiefa di San Francefcodi Palermo; polso
collocar la prima Parte della Predica, nclli Luoghi di San Domenico di
Palcrmojò nelli Luoghi della Minerua di £ a Roma, e la feconda
parte, in vn’altrà Chicli . E così, non è inconucniente pattar da Luogo
feontiguato,à Luogo feontiguato;& ctiamdio lontano, quando li prende fiato
. Mal nel fecondo muodo,tjuando bifogna farpaiTaggio lènza paulà, e
fenzapofata: è pericolofo,il pattar da Luogo Commune, à Luogo Commune,
lènza qualche mezo. Per eflempio,la prima parte d’vna Predicabile va
fcguita lènza pofata ; bilbr gna collocarla in un Luogo Commune. E fé un
Luogo Com munc non baftaflè ? Dico che collocandola tu ledeui daraitergo
in un Luogo Commune, che fiacapace:e così fuggiti pericolo.E le per
mancamento di Luoghi, ò per inauertenza te la troui collocata in un Luogo
Commune, e poi fei forzato pattar ad vn’altro Luogo Communc:dico chedeui
pattare advn’altro Commune vicino, quale però fia contiguato per
Luoghi Particola ri, co m’io diceua. E le quello non fofic có modo
difarfi? Dico che bifogna adoprarl’allutia, fingendo qualche coliche ti
dia tanto di Paulà; quanto commodamc te la Memoria, con la Mente uoliiio
al principio dell’altro Luogo Commune, e trouato il principio lèguir la
Narratiua. Per efsempio predicando, quando farògiutoal finedelli
Luo ghi Particolari d'vna Chiela,c douédo pafsar ad vn’altraChie
falontana;fingerò che mi venghi vnatofse, ò cheti Compagno michiama;c mentre
ltarò,ò à tosfire e purgarmi, ò uoltandomi parlar, ò attenderai Compagno;
pafserò con la Me moria, e con la Mente, al principio dell’altro Luogo
Comma ne, e trouatolo e ben polsedcndolo, ripiglio il
ragionamento, e così con l’Arte, e con l’allutia cuopro il difetto . E
quello fia detto della lòccesfione de’ Luoghi Communi, che della
lòccesfione di Luoghi Particolari, non occorre dir altro: poi che quella
li conchiude dalle due Regole antecedenti, Quanti •tà, e Dillanza, alle
quali necefiariamente ficguc la contiguationc,e lòccesfione. L’Ordine del
Moto, s’intende dell’ordine che li de tenere dilcorrcndo per li luochi :
fe fi deue cominciare da man delira, c campando finire nella man
finillra; ò difeorrere al v - -- contrario.il Raucnna parche cominci
dalla delira. Si bené il Rombcrch r duca il Rauenna al mot* perla
deftra;ma cominciaudo dalla liniftra.il Roffcllio vuole, che lì cominci
da man finiftraj (è bene non rifiuta il contrario.. Il Porta
lodai’* rn’è l’altro;purchc li fèguiti l'ordine, che cominciando dallyna,fi
Unifica all’altra.Che dalla delira fi de cominciare, cc Ioperfuade il Filofofo
diccnte, ch'il moto comincia dalla parte delira. Che dalla liniftra lo
proua il Rofcelho: perche queft*Arte,è poco differente dall Arte di Icriuerc,
come dice Cicero ne:e perche noi lcriuendo,e leggcndo;fcriuemo,è
lcggemo,Co minciaudo dalla f!niftra,e cammamoalla dcftra;però li de
ca minar. per i luoghi dalla Anidra alla delira. Alcuni ftimano,
che quelli che ucggono bene col l’occhio deliro, come lon’io; e poco e niente coll’occhio
lìniftro, Icofrefsero dalla delira alla finiftra; quelli che vgualmente
ueggono, con ambedue gli occhi, pofsono indifferentemente di /correre dall’
vna, e dall’altra parte. Nódimeno l’elperienza moftra, che ècosì facile
cominciar da vna parte, e finir nell’altra : come cominciar dall’altra, e finir
nell’vna.EIa raggione,non è, nè l’vna,nèl’altra asfignata dal Rofsellio :
perche l’vna, efclude l’altra. Che fe fofse,pcr il moto dello fcriuere: non
farebbe facile vgualméte il leggerete i Luoghi al rouerlo, come l’efperienzaci
moftra. Se fofseil mote, che comincia dal deliro : ci farebbe difficile
il cominciar da man manca,ilchenon c vero: fi che ne l’vna nel altra
raggione, elattamente,& elquifitamé te ci quieta.La ondeùn quello
fatto ftimo, che ò pariamo de la collocatone dell’Imagini : ò della
formatone di Luoghi. Quanto alli Luoghi, vgualmente è facile rallentarli,
per vn verlo;comc per l'altro . Quanto airimagini,ò fono Imagini
intere e Iole, di concetti, ò di parole intiere i E così, perche ogni Luogo hi
la fua intiera Imagine; parimente è così facile i difeorrere per un
uerfo,come peri altro.Mà fel'Imagini fof lerodi parole, et Imagini
fpezzatc, cbilògni leggerle, nel muo do è uerfo,che fi leggono le fìllabe
al dritto non al riucrlb : così è più facile difcorrer’à quel verfo,chc
fon collocate. Per elsempio,nel primo Luogo ci metto quelle parole, te
Ibl’ado ro. per T. ci metto vna pei fona chiamata Tiberio, alqualc
dò in mano un Tridente, colquale fora una fòlad’oro . e così
da da Tiberio, hòilT.dal Tridente l'E,e dalla fclàdioro,que*
Ile due parole fol’adoro,e tutte tre quelle figure fanno,te fol*
adoro.Qucde tre figure le pofso collocare in due muodi,pri mo all’vfo
hebreo, che legge dalla delira alla fmiftra, fecondo all’ vfo greco, ò latino,
che fcriue,e legge dalla fin idra alla dedra.Se io le colloco al primo
muodo, 'più facile farà proce der poi, dalla dedra alla finidrarperchccon
quclVordinc io tengo albcrgatcncllaMcmoria.Se le colloco al fecondo
muo do;più facilmente procederò, dalla lìmdra alla dedra parte . Mà
feillmagincc intiera d’vna fola figura, come fe nel j^ri- ’ ino Luogo ci
metterò queda parola Geronimo, 1 eper quedft parola ci colloco l’Imagine
di vn San Geronimo, colpetto ignudo, e col fallo alla dedra mano : pollo
ugualmente ben ricordarmi queda parola, ò dalla dedra, ò dallj linidra
parte, ch’io cominci.E la raggionc, perche la nodra Memoria, et al dedro,& all’oppodo muodo vgualmcntc
esfibifee, credo che fia: perche non mira l’ordine del moto di nodripiedi;ma
l'ordine che ritroua nelle colè uide dall’occhio. E perche nel le cole
uide, non /blamente ui c l'ordine dal primo al fecondo, e daquedo al
terzo,ecofi loccesfiuamentc fin’ull’vltimo j ma vi è parimente l’ordine
dall’infimo focccsfiuamente fino al primo:pcrò ordinati ncU’idelTò muodo
li fimolacrì, puole la Memoria fondata nel lenfo,&al dritto,& al
rouerfo esfi birh fenza difficoltà alcunaifi come l’occhio con l’ide/fa
faci lità,che mira gli oggetti dalla dedra alla finidraj puolc
mirar li dalla finidra alla dedra. Della Solitudine. Non parlo
di quella solitudine, chefinfe Cicerone della Città da formarsi da noi cò
l’imaginationein vn De (èrto, per darli tutte le conditionidi
Luoghijperchc di queda ne raggionaiyquando disfi delli Luoghi imaginati :
ma intendo dclìi Luoghi artificiali reali, liquali fecondo 1 ide/To Cice
fonedeuono efler eletti, in Luoghi folitarii, non frequenta» da
gcnte;pcrche la frequentia.il pa/feggio,lo drepito delle gé ti,didurba, e
debilita li fegni delFlm?gini, che all’incontro la sòlitudinc conlerua
integre llmagioìdi fimolacri.il Rauenni dima ftinuuana ropinione
della fblitudine, ciocche non fi eleggano Luoghi,d >uec frequenta di gente,
come le piazze publi che, le ftradc della Città frequentate: perche balla
hauer uifti quelli Luoghi qualche uolta lolita rii, e lènza gente.
loftimo che quel che dice il Raucnna fia uero delle Chielè,e
Tempii, liquali in certe horelòn uacue,e lènza gente: et inqucll’bore noi
poslìamo formar li Luoghi;!! che balla la prima uolt.i haucruilli tali Luoghi
uacui. Ma delle piazze, e llrade frequentate d’ognihoradiurna, non so come le
poslìamo ueder folitdrie,e uacuejeccétto che lèm’empilTe l’orccchiedi
bombacc,ò cottone,pcr non lèntir’il tumultojc con 1-occhi facef fi un’eftàfe
mctaphilìcale, e non attendere ad altro con gli oc chi Cc non à ucdcr’e
formar i Luoghi; ò pure formar iXuoghi, nella prima hora del giorno, quando
tali Luoghi fogliono elfer quafi igombri di gentc,com'io disfi nel cap.8. à
propofito di lumi. Et in quella maniera, potresfimo ancora formar Luoghi in
tali Luoghi frequentati; Ma potendo hauer* altri Luoghi più com modi, io
non mi metterei à quella im« prelà faticofa, e periglio
là. Dell’Altezza. I L RauennauuoIe, che li Luoghi non fiano
alti:ma coli iti lpofti,che mettedoci l’Imagine dcll’Huomo, tocchi il
Luo go dcfignato.& à mio giudicio, poiché haueteintelo della
Iar ghezza del Luogo, douete anco hauer Regola dell’ Altezza, che
mira la !ommità,ela baie del Luogo. La lommità,e bafe, ftabilitcla con l'altezza
d'una perlbna humaua:fiche il piedcye balè del Luogo, fia il tcrreno,ò
l’aftricatOjò il mattonato, ò folaroda fommità fia. (òpra il capo, tanto
quanto può gionger col braccio dirtelo insù, e toccar conia fommità della
ma no.E quello,pcrche occorrerà alle uolte,dar gefto alla pérlo na
di braccio alzato uerlb il ciclo, ò darli qualche colà in mano, quale per fila
conditti one ricerca TAltezza;comelè tenef. fè una bandicra.Et il piede l
intendo in Luogo, che l'occhio poflà mirar tutta la perfona albergata . E
fe nel Luogo ui fia banco, poggio, ò grado, fi potrà ftabilir la perlbna,
con li pie- * di fopra di quellijsforzandofi però per quanto più fi
potrà. che li Luoghi fiano pari, e di fimile altezza, quando la
{labili tà di Luochi,non ricerchi far’altrimcnte, come nelle fcalc,
nel li afcenfi Src.Epcr la parità di Luoghi, che da cofc mobili fuf
fè impedita: fi potrebbe, o ad tenipus,o con 1 imaginatione fi muoucrc
quelle cofe,& formar nella Memoria li Luoghi pa Dei Sito. ; •
Z N On balla hauer il Luogo particolare : mabifogna conofeer la
parte del Luogo, douc s’ha da fituare rimagi ne;e quella parte deuc
cller’il mezzo del Luogo particolare. E (ebene il Roflcllio dubita, e
difputa fiele Figure fi debbono colle care ne gli Angoli, ò nelTlnterflitii tra
Angoli, Se Aa go!i; non dimeno noi hauendo asfignata la quantità, e la
diilanza de’ Luoghi particolari, con la mifiira della larghezza .
d’vn’Huomoj confequcntementc concludiamo la Figura, e l’Imagine doucr effer
fituate, nel centro; difendendole poi dal l*vna, e l'ajtra banda, delira
e finiftra, tanto quanto ricercherà la grandezza et quantità delle
Figure, et Itnagini. E fé in un Luogo occorrerà collocar più Figure: fi
potranno collocare proportionataipentc compartendoli Luogo, fi che
ciafcuna Figura habbi il filo didimo, e conueniente Sito.il
Romberch non loda gli Angolitperche la ftrettezza,che farebbero le
col locate Imagini,&l’ombra et ofeurità, impedirebbero la didin
tione,& chiara uifta. Nondimeno quello impedimento fi toglievo! giuditiodel
collocante; mentre non ingombrerà fo4i erchiatnente il Luogo; ma in tal mifura,
che le Imagini fi modrino all’occhio lueidee didime. Della
Signatione Numerica. V Volc Cicerone, che per ogni quinto Luogo
particola re; fi ponga un fegno numerale. Per efiempio, al quinto
Luogo mettere una Mano d’oro, che con le cinque dita moftra un cinque, e così
(occcsfiuamente . Il Signor Porta (lima quella Regola di CICERONE (si
veda) /uperflitiofà, e difiutile.
Ermippo, come dice Iacopo Supplitio,uuole che ciafcun Luoco è SEGNATO col
numero. Alberto, che ogni decimo Luoco habbi U j ~ ' fuo t ir
Tuo mimero, Qulntiliatio con CICERONE (si veda) .chc ogni quinto.
Que flinumeriòli pongono per dirtimiui, ò per recitartele per
diftintiui fon fuperflui: poiché cialcun Luoco hi il fuodt(lintiuo, fenza far
quella terza fatica. Se per recitarli, il numero è parte d lmagine,c pero
mobile, non immobile ; poiché nè à tutti li Luochi fcrue, ne in ogni occafione
. L per le occafioni, bada ad hauer li Luochi numerali dclli quali
dirò poi. E quella Regola Ciceroniana – CICERONE (si veda) -- fia da me
riferita, più torto, per non lafciar cofa intatta, per la intiera notitia
di que {l’Arte; che ci habbia* o à lèruir di quella. E perche molti
Scrittori quali Dilcepoli Pitagorici, feguendo chi prima fcrif fe c
dille, empiono le loroprc di dottrine fuperflue, mutili, et alle volte
nociue, con poco profitto di chi le Icgqe;laonde per auertirui rtn
conftrctto alle volte trattar di cofe à fuga, non a lèquela. Comc anco
firn sforzato dirui di quella rego ia'che dà il Roinberch, che li Luoghi
non liano circolari : perche il Circolo non hà principio, ne mezzo, ne
fine. Nulla è quella Regola; perche parlando noi dclli Luoghi perii quali
li dilcorre; le ben c’incontramo in vna danza Circolare, cffendoci la parte per
la quale s’entra; bilogna, che ci fia la faccia dcringrello, &. indi
la parte delira, e limftra ; e dalle parti dell’ingrediente, c caminante
lòcccsliuamente, li formano li Luoghi con li fuoidirtintiui. Della
Proporcione' . I L RolTcllio affegna quella condittione nelli Luoghi,
che habbmo proportione con le cole Iocate;perchc volendo ra contar
Panni di Sacrcrtia,più colimene collocarli in Sacreftia; clic in Cantina, ò in
Cocina. Io rtiinarei quella Regola efler bona, quando com meda mente
fipotefle lare: perche le racconterò molte cofe,c l’albergarò in vn
Palazzo;c gtongcn dpal mezzo, non conuiene, douendo idear colà Sacra,
lenza paula lalcia r li Luoghi locccsliui, per entrar* in Sacrertia
; ma fi deue continouar nelli Luoghi cominciati ; perche col lalto
ad altro Luogo communc, non loccesliuo, fuariarebbe, e li perderebbe la Memoria
. Oltra che la cola in lolita, F apporta apporta con
la nouità maggior atttntione: Uche fuppli&e, » quel che manca della
proportionc. Letti one VII P Ropofi la Partitione,e le
Condittioni di Luoghi, et an co laformationc di quelli} hauédo à baftanza
detto del primo c del fecondo ; reità che breuemente tratti del terzo, e
poi dica dcU’vfo di Luoghi, c delle Perfòne, coni io prumilì • • i t
>* i r .1 . > ;)} Della Formationo di Luoghi . H Auendovoi ben
iftudiateli foprapofti d ieci fette capi, an darete alli Luoghi
communi;& iui conforme alle Conditioni,e Regole aslignate, formarete i
Luoghi. Laqualformationc, nura tre cole, IlDengnare,U Colli care, et il
Rcpc tere Primo, con l’occhio ben mirate, e rimirate il Luogo » col
foo diftintiuo; edifcgnato il primo Luogo particolare, defignate il
fecondo, e coli focccsfiuamente procedendo, finche giongerctc al fine del
Luogo communc. E fatto que Ito al dritto, ritornerete àriuedcrli
alrouerfo, e tante uolte ciò fate, finche habbiate perfettamente il
difegno di Luochi. Secondo, ben difegnatilt Luoghi, con le regole
fopradette in mano,cominciarcte a collocarli in Memoria, uno per
vnc; collocandone una uolta dieci, poi altri dicci, e così di uolta
in uolta in più giorni collocaretc tutti. Terzo li repctirete, più e più
uolte, dt à dritto, et à rouerfo; fin tanto, che fenza alcun’impedimento,
c difficoltà, da per uoi lontano dalli Luoghi, li fàprctc così ben
recitarejcome felhauefte attoalmente dinanzi à gli occhi. E non ci
rincre(ca(dice il Signor Porta) recitarli trenta è cinquanta uolte il
giorno ; poiché quello c il fondamento dell opera. E come
diccilRauenna, quelli Luochi coli formati, li repetano,tre,o quattro
uolte il Mele: perche la repctitione di Luoghi, non è prezzo che Rimar la
nosft . che le dimoftrino, e faccino parere; dunquegran
facilità farà à tutti quefti bifogni, il ritrouar ne i Luoghi le Perfone
. La quarta perche con grande allegrezza^ chiarezza li viene al Luogo,oue fu
una Persona, la- quale dii porga merauigl!a,ò II apporti diletto. La onde
le tn Muronud >ò altra Pcr(oua>nt, n così circonlìantionata,
ci fa ricordare vna fola parola; quella ci porgerà vn veri© m tiero,come
chfcfe ci preferita chiara» lumino!*, desiderata, amata,
diletteuole,"e : lrabilita.E le bene per vn numero con ucnicnte e
mediocre di Luoghi, comedi cento, ò ducano, lì potrebbe far quella
diligenza delle pecione inondimene in un numero grande di cinqueccnt, e
mille, e più Luoghi, lì tratta co fa molto difficile il vler aggeauar la
Memoria di quella doppia fatica. Gkrachc farebbe vn’empir i Luoghi
di perfbnc communi, lcquali non farebbono ni una gagliarda motionc, come le
foprapolle,e però a colui, che ha nume ro grande di Luoghi, ne li reftano
molti nudi. Olirachc in certe occafioni*fon più atti li nudi, che li
pfònati;come in ro ler recitare vinti, ò trenta Santi, ò eflemptgò
Auttomà lóro* et effondo note à noi lelor figure ; più facile ci farà
albergar ne i Luoghi nudi, quelle figure grandi proportionate,e
quali Ttue,che il uolcr addattar la perlòna,chc fìanel Lu' go,chc
prenda figura di quel Santo: perche in collocar quel Santo, nò lolo
letica d: colVcarlo;mà far che la Pcrlona del Luogo, me lo rapprclcnti,hò due
fatiche, la pr.ma di fpogliarmi della fila qualità, è pervadermi, che lia
un’altro, e poi datali quella figura, a llocarla nella Memoria; fi che
con l’cIpcricnza, riefee più facile il primo muodo . Il limile dico, in
uolcr recitare molti nomi di Pcrfoneconofciute;chepiù facile mi
làrà,fubbito nel Luogo nudo collocar la Pcrfòna cóno!ciuta,che m ler con
l'imaginationc, formar’ altra Ima gine,ò Figura nella Perfona (labile del
Luogo. li fimilc dico di molte Imagini, che lì formano dalla conuenicnza
del la lcrittura,ò pronuntia, come diremo al fuoLuogo;lc quali
imagini, più fpeditamenre et cfijuifitamente fon raprefenta te.ptfrle
proprie imagini delle Pcrfonc, che dalle aliene. • InoItrc,fc uorremo
ufarc I Alfabeto perlonalc del Rauea. na, che ogni lettera hà la fua
Perfona,come A Antonio B Bifliano C Carlo ecc., fàrà un metter Perii ma
nella perfo-na,fe il Luogo none ignudo da altra Perlòna.Oltra cheuofendo noi
effigiare la Pcrlona flante,non Icmpre conucrrà à lei l’effigie
dcliderata : che te uorrò l’effigie d’Androtnc Ja,ò di Lucrerò)» trouado
nel Luogo un‘huomo uecchio,' molto ben da.mé coup Aiuto, come lo fatò
Donna, fenza «he gran repugnanza mi fi dia, e nel Collocai la, e nel
ramentarla-ln olircela Perfona,per la Aia friabilità, è inetta à rollar Tempre
col luoco; perche à quella Perlòna,che fi trou collocata, puole Tuccedere
alla giornata cafo di morte, e di morte orwbde,ilcheal formatore, come
amico, apporterà difgufto et borrorp,e difturbo graude ogni uolta, che Te
li tara incontro rimembrando, llqual difturbo, quanta fu nociuo all’ufo
della memoria; la elperienza l’infegni. Per quefte caggioni dunque c per
lelpericnza iftefla conclu do, che non conuiene,haucr tutti li Luoghi
perfonati.E le d’alcuni lo concedo, non oftaranno leraggioni, che fi
po£ fono addurre in contrario, Non ofta primieramente eh? gli
Antichi, non deflero quello Mctodo:perche l’Arti col tf po fon crefciute,
migliorate, augmenrate,c fatte lèmprepii); perfette, con le nuoue
raggioni, inuentioni, Scelperienze, Nc olla fecondo, che il Metodi della
Perfona, aggionge fa ne;poiche l’efperienza, laquale r uerace
maeftra delle cole c* infegna,che quelle Perfone apportano all Arce
merautgliofogiouamento, et inelphcabiJc ageu dezza, c facilità alla
Memoria, e chi noi crede, ne facci lc(pcricnza,e poi parli. E quello
balli delle Perfone. Per compimento della coguitlone di Luoghi, voglio
m quella Lcttionc raggionaredi alcuni metbodi Angolari degni da
saperli, il primo di Numeri, il fecondo dell» Luoghi per dritto, e per riuerfo,
il terzo 'per ogni verfo dal capo, dal piede, dal mezzo, quinci, e
quindi, il quarto Luogo per la circjlationc color rettoria? («li..;
Dclli Luoghi Numerali t ..d -’-O* J • *>- ‘fj ... fi* *
i Essempio. r, -mi)!
•un ijl *5 ESSEMPIO .’*> Parole che s’han
da collocare làran XX. Videlicec. 0 *i L L ( 9, Morte.
’UI CliO' io. Porta. li. Inferno.
i2.Cie'o. iflitfD •: 1 3. Sole. u sA
iy -iì 14. Luna. ; HHli'l if.Orizonte. ' o ( ina3i
iil j O .5 ip.Marc. • oq «fati
ao.Tempio. 1 &i>Oili 0. ./od i\ »OT 3
t 5 ;i ;, - >• b " • ’J • l«- i* /(. li 1.
1 L pftiarri (.1 f|o r j 0 i> ; .V .1k /.'Vc-mb ù
Riti -sxapaiibnu tlkuaiaiip tlciSOlU T -il 3.1 . Modo
di Collocarle. 1 11 1 1Tr'mo le finità e Decine, I.
Rota. io.Porta. ao.Tempio. Secondo per le
Cinquine, 5. Luce. ij.Orizonte. fi Terzo per li Tari a.
Pena. 4 Pane 6 Vita 8 Verità 12 Cielo 14 Luna 16 Raggio 18 F»gho,
>1 t e P tt 1 tO’j-Ó lì XtJDii
starno? 1*1 noa oiu' xi « • t ' * . .u /
;>q ìm si sr » * 4 £. Pietra.
7 -V^ 5. Morte. ^ >,oìtìi. 1 li. Interno. etnico
>1 IJ.Solc.,. n, jp.Marc. G Oltre «
.1 Oltre di ciò nel collocarle parole, bifogna collocarle immediatamente
fenza imagincima folamente fiano quelli numeri come la carta neHa quale Hanno
ferine leproprieparo le, fenza Imagini.E s’aucrra che collocando à
memoriali nu n eri con le parole, non fi fermino ò dabililcono in
Luoghi ò nella carta:perche v’apportarebbe confusone col ricorrere à
duebande,& alli Luoghi imaginati, et al luogo ou’cra fermo il numero,
e la parola. Ma folamente prendete il lem plice nome ò parola col fuo
numero, e collocateli in memoria. Et di più nel recitar bilogna non (blamente
recitar le pa role, malinameri congiouti con le paiole, perche
hauendo noi familiari li numeri, dicendo il numero lubito ci rapprefenra
la parola collocata nel numero, e con esplicar il numero si prende tempo tra
pareli, e parola, fiche lì può commodamente e pensare, e pigliare la paro a
fcguente.E per far quello bifogna al principio proporre tutt’il numerò
intiero dclli titoli, ò nomi,ò cofe da recitarle, e cofi propofte
poi condì numeri ordinali recitarti, per eflempio dirò. SanMat theo
che (criue la Genclogia di Chrido con. quarantadue perlonaggi, il pnmo è
Abramo, il fecondo Ilàac, il terzo la cob, il quarto Giuda, il quinto
Pharcs, e così Seguiterai fino al 42. e poi volendo dir concetti, ò fpiegar vno
per vno, ù coimnci dal 42. retrocèdendo linai primo.E quello badi
quanto alli Numeri, per Luoghi numerali, quali àmerielco no facili per il
cotid ano edcrcitio che ci ho latto.Ma perche noi non lodainolt luoghi
imaginati potendo haucr li reali; però potrete fcruiruid’vn’altro modo
numeralc,ilqualcèdi neceslità che fi facci in queft'arte, cioè che lì
habbi uno, ò due Luòghi communi, chchabbino cento, ò ducente
Luoghi, e quelli tutti lianb ordinatamente fegnati con li
numeri.1.2. $ .4. c così procedendo, c quelli Luoghi liano podi in
memo ru con li fuoi numeri, fiche lappiate recitarli al dritto, et
al riucr(o,e làppiatbàll'tmprouilopigliar qual lì uoglia numero contenuto
ndccmo, o nclli ducento . Le note numerali £ di riino nel trattato
dcllìmagini.E quando vorrete recitar molte cole numerate, collocarne le
parole con l'imagini in detti Luoghi, e potretc-lermrui di quelli ad ogni
verlb. mio w Peni Dclli Luoghi per dritto, e riucr fo
. .* n. r.: • ., . (} (r I L recitare al dritto>& al
riuerfo fi può Far in due modi, ò con le parole fole,ò con le parole e
numeri, del primo le io Uoglio recitar lènza numero, li patri della
Gcntlogu dirò, Mactheo racconta (antenati di Chrifto,ehe fon quelli,
Abra mo,I/aac, Giactb, Giuda, Fares,&c. quelli nomi li
collocale rò per-via d’Imagini nelli Luoghi ftabih nudi,ècon
l’ifteffa facilita li diro al dritto che al, riuerfo . Del foco n do le
io voglio non folamentc dir quelli nomi; ma h numeri ordinali dicendo
Abramo il primo,il fecondo Ifaac, il terzo Giacob» il quarto Fares, Sic.
per quello recitare io mi fornirò dclli Luoghi numerali, quali fon
neccllarij in quell’arte, e quelli lou di due forti come diifi nel
palfato capo, li Luoghi di nu meri foli,ò luoghi {labili fognati con li
numeri, l’vm, e l’altri poflono foruir à quello effetto, li ben li fecondi fon
mU ghori. Dclli Luoghi Alternati. '»L recitare non fidamente
à dritto, et al riuerfo, ma ancora f dal capo e dal fine alternata méte,
per effempiod1rel142.no mi della Genclogia di Chrilto cominciando
d’Àbramo fino a Chnllq,ficondo far regreffo cominciando da Chrillo e
ri tornando fino ad Abramo, Terzo prendere Abramo, e Chri do, Ifaac
eh e il focoudo,& il penultimo, e cosìalternatamé te pigliando vno al
dritto, Se vn’altroal riuerlb,uno dal pria cipio, l'altro dal fine: fi
può fare in tre modi, primo con li Luoghi d’vna perfona humana, fecondo
con li Luoghi dabili fucceslìui, terzo co li Luoghi dabtli che danno à
faccia . Quanto al prun> della pcriòna humana fi uede l'effehi
pio apprefio, doue fono numerati 4 Luoghi . Il primo alla punta del piede, tl
ai calcagnoli £. al ptfoione della gam ba,il 4. al «inocchio, e così il
5. alle cofoie, alla Centura il 6 . al fegato il /.all’afoella 1 8. Al
gomito il 9. alla giuntura della mano il x. al dito auncularc l’i i* al
duo anolarc il 1 a. al 4i G x to to mezzano il i $. al dito indice i!
14. al dito police il r y. allofTo tra la mano, e’1 gomito il 16.
nelloflo tra il gomito, C la fpalliil ^.nclla altezza della fpalla il
i8.nella gola il ijfc Yiell’orccebia il 20. nelli capelli il 21.&
altri tanti aU’aliro lato procedendo di maniera, che li Luoghi liano
fegnati l’vno di 1 impetro all’ altro nelli lati, come lì vede,
l’orecchio con 1 al tro orecchio. £ praticati nella voftra ifteifa perlona
quelli Luoghi, volendo collocare li nomi, partiteli per metà,&
Vna parte méttete da vn lato, e l’altra metà dall’altro lato, comm
ciaiido à cóllocar dal capo difendendo al ballo finche ui (a ranno nomi,
e poi prender 1 altri dall altro lato fin al capotac ciò il primo nome li
rincontri e llta di rimperto coll'vltimo, et il fecondo col penultimo, et
in quella guifa potrete reci tarli al dritto, al riucrfb, c d'ambe 1?
parti alternatamente. Notando che quelle parole si pongono lènza Imagine,
et im mediatamente à guifa che fanno le parole fritte fopra la
Carta. E di quella perfona cosi difpofla,vi potrete anco fruire nelle parole
con li numeri ordinali, udendoli recitare per ogni ucrfo,e col proceflò
alternato. •idsnflitn lt ^ ; ^*i:l>i 0 o r,. . .1 .ili* 7*4}
'HO n taf 040! 7 Gratia 13 18
Piena 1 4 1 . Nel quale esscmpio appare come è cofàfacilisfima
far quelli progresli,e regredii, et alternati; Te ben all auditii te
appare gran cofa quel uaj-iare, come quello che non sà l’Arte: che yòi
dicendo al nucrfo, e prendendo in qua, et in li le parole, tutte
nondimeno le recitate per la drittura, è foccesfioue ord nata di Luoghi.
Anzi dico di più, che po« trete. far n iT medclimo; eoo xij. Luoghi, che
/ararono un terzp manco, e faranno èflfcttojdixviij. Luoghi, c quello fi fi,
collocando l’vlti ma parola njcl primo Luogo, e nel fèllo ui', fia la
prima, enelli figucriti vi. Luoghi collocateci le parole alternate # e
recitando cominciate dal fèllo Luogo i ritornando al primo: poi
ripigliate il primo Luogo, c fegu ite fia' al xij. e così ha
ll. r o : il uerctc dette le 6. parole tre
uolte, peti dritto, per riucrfo,& after^ natamente, eme
appare inqueflo et l I
i i - il } I io. DI
n •a ' Fi i r»-i
r vi /Si, . - 1.. j> j sn*M j t r •
^ììgj'^ìc va l :,1 -4 stv>n 1 «»
! I ; £,; I 1 LVOCHI
x. lanieri di Luoghi, che in tutto fono XII. »!>
' LVOCM 1 1 4 .li .
Tcctlljl 0 lfr! » i Dominus 5 ?
ii|' • Piena 4 Progteflo
OJP jS 4 -,n Grada 3 il
-ri: 5 Maria i i Auc
i 7 Aue ( -a 8
• Tecum os 1 1 0 o
o 9 Maria l o 1 tu
ro Donvnus 5 ni -i
a 1 1 Gratta 3 tu
rt II Piena 4 H RegrefTo
/?\ Vanto al muodo delti Luoghi {labili,' che danno à fap
eia. Dico che quello fi potrà fare, quando il forma* tore potelfe
incontrarle in vna corfia di Luoghi, ò camere dentro Camere, che habbino
quelle Conditioni. Siano i Luoghi dalle Bande l’vn contra Palerò. I
Luochi di quà, c di là, non funo troppo dittante; e fe folfc* ro diftanti
o'jò, ò diesci piedi, làrebbono ottimi. Da no li Luoghi particolari
àiuerfi, 6 che per la fimihtudìne, non fu.irij la. Memoria. Perq le
camere dentro camere, quando le porte danno nej mezzo, e Tvna di rimpetto
all'altra, fon atte, sì perla dmerlità J come ancp perche fi
Ipoflonq formar Luoghi l’f n contro l'altro, per 1 Angoli, Se. i
Interdici). Quar^oifiano dedgnàti li Lqo^ ghi particolari, t che l’vri
dia dirimpetto' all’altro; fiche dando tu in mezzo, pof tr riveder li y j Luoghi, fenza troppo giro
doc^ chi. Comcapparc nel te- r guentc edempio . „ [tz
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(* i *4, .che è delle imagini . ob.'*; : l . Q S 1 orr.tiu
!. CI v! a ù ut I O t Ill^> ; étagenus,Sul tri pi iciter 1
intédo, dalle tre dita della ma Zioalzate.il fccódo muodo, ponedo la
prima parola fola, p laquale il recitate hi legno di tutte le parole
fequcti ( p elle po)p raccordarmi quella femeza. Specie» eft qu* predica
tui,3ic. porrò nel Luogo fola mente la parola Ipec.e», dando in mano d'vna
perfora un ncartocc-o, o un tacchetto di fpetie,ò pure una piperà.
Auertcndo per co p mcio di tut to quefto,ci.equando nelle parole, li
vainueft gaiidoffcUi fi troua attionc; nò loio intendo 1 attuane
immediata éte ftgnifì cata per la parola; ma anco 1 anione, clic (i j
otti, e med atamente rurarc dalla parola . Dell’ Attiene immediata fu
queflo esempio. Voglio metter quella fcntcnza, Sede e cft verbum infinitum
. La parola federe immediatamente può cfTer’ideata,pcrvno che licda m vno
Scanro: mà fe dirò, Aue giatia piena, Se benedilla, quell Aneli può
ridurre all'attione d’vno che faluu vn'altro;e coli la parola bened
Figurate, j p cr Volontà. Per Ingegno. Le cofe figurate per
Natura, ò sono uomini, ò altre co I i fc fotto fc fottocelefti . Per
Arte lecolc materiali formate dell’Arte. Per Volontà come gl’Angeli, e ii
Demoni j, che in certe oo cafioni piendono forma Humana; e le Diurne
perfone che vna lì vede d Humanità, che fù il Figlio che fi riè huomo
in tempo, lo spirito santo appare in forma di colomba, e il padre
ancora ci vien dipinto in forma Maieftofa d’un vecchio sedente nel trono reale.
Per ingegno come fono le £» magini figurate, e fìnte di tanti Dei, con li
loro Pegni, et im> prelè, Giquc con li fulmini, Saturno con la falce,
MARTE con LA LANCIA, Venere col fuo Cupido, Amore arcicro, Dia naia
Fonte, Mercurio con l’Alce’! Caduceo, Apolline col Parrò, e cofi de gli
altri . Così anco le Imagini, delle virtù Morali, e Theologali, delle
fcicnze, et Art» hberali, delle Muie, della Morte, della Vita, e filmili. Delle
figurale per ingegno, e per volontà, dò unacoirmune Regola, chcoccorren
dori fintili cofc, le potiamo collocare con le loro Imagini, nel muodo,
cheli formatore 1 ha utile, depinte; e conforme a quel che bà letto, le
fonnacon la imaginatione talmente, quafi che rhaueffe dinanzi à gli occhi
Delle colè Artificiali fi dice il medefimo, eccetto fe fodero eccedenti, che in
ta^ calò bifogna ricorrer’ al limile ritratto ; conte fi dirà poi
in altro propofito,che farà delle cofe Eccedenti, nel lèguen ie.
Delle cofe Nariuali > et eccèdenti. Le cose naturai, o son
uomini, o no. Trattamo delle seconde, quali ò fon proportionate al Luogo ;
ò sono improportionate, ed eccedenti. Se nel primo modo, quelle
iftelfe colè fi poffono collocare. Se fuflcro eccedenti, bisogna ò con la forza
della mente invaginarle piccole c propor nottate; ò attender alla
foitanza della colà, lènza far troppo penficro della grandezza; ò uero (
ilche meglio mi pare, e più fccuro) collocar nel luogo la imagine di
qualche figura artificiale dipinta, o scolpita di quella cola
Pcreflempio, mi bifogna collocar una Città, un monte una gran
torre, una naue, una Chicfa, un palaggio, una lèlua, una uigna, una
quer qticrcia'& altre cote fimi!! naturali et artificiali. 11
collocar nel luogo cofe tali, è una improportione grande ; peròbi»
fógna ricorrer’ alle tre regole adegnate, cioè ò {limandole piccole, ò
non attendendo fé non alla fi>llanza,ò feruendofi delli ritratti loro, Il
che lèrue ancora, per le cote cclefticor forali; et per qual fi uoglia
alrra coti troppo eccedente, E te quello non bafta,ò non piace; fi
ricorra alle ^regole del le parole non figurate. Nel collocar le persone
ne 1 luoghi ; io miro à tre colè, al proprio, aH'Imaginc,al limile.
Chiamo proprio la j>erlona propria tale dame mila, e conolciuta
facialmente, E quello farà il primo muodo di collocar Ieperlóne ;
quan do ci metterò le proprie perfone,perloro diede. Per eflem
piouorrò dire il papa, il re, 1’mperadore; porrò nel luo go l'i(let(ì,
Papa Rè, &. Imperadore da me uilli ecopolèiutl 11 fecondo muodo è,
quando la perfona io non l’ho uill* facialmente; ma fi bene per ritratto,
e pitturalo fcultura, c quello muodo lèrue, per collocar li Santi, li
Profeti, li Patr j archi, e tutte quelle perfone, le quali ci fon note
per piuu «,ò fcultura II terzo muodo è dal limile, che mancandomi 1
Imagini delle perlonc uilte facialmente, ò per ritratto 1 di pittura, ò
fcultura ; io ricorro al fimilc( per elfempio) udendo dir Papa Sifta,
collocherq.un papa da me uifio, che per habito papale, mi rapprelenta il
prefèntc Papa, i Coft uolendo metter quelli tre nomi, Pietro, Martino e
Francesco; io metterò alii luoghi tre perfone, che hanno fimile nome, e fon da
me conol’ciute. Le quali fc bene non fono. Ti delle perfone, delle quali
fi raggiona; fono nondimeno fintili di nome. Enel collocar delle perlóne bi
fogna sforzar fi, per quanto p ù fi potrà, collocar delle perfone più
note, e conofciute; perche più efficacemente mucuono.Nemi Icor. do
delle perfone, quali dieesfimo douer eflèr’ in alcuoàLuoghi ; non mobili, mà
immobili ; che eflèndoui tali perloue immobili, bifjgnarcbbe dar à loro il
tutto, e trasformar ', ~ " l«>per D fc, per p«rcp.«rcl
fi nomi che noi uoghW * ben l «e rnre che nel particolare di nomi
nefea piu fac.Ie,& cfped» «b,il metter Ie P propne,d dipinte, à
fintili p(one,delchcinl rimetto all’efpertenza, e quello baRi per
hora. Delle Cofe non figurato. Jsfi abattanza delle parole di
anioni, e delle cofe fìgtl -Jratc* refta trattar della difficd.siima parte
delle Im agirla qulle confitte intorno alle cose non figurate E prefupponco una
diftintione.chc le cofe non figurate lono in due modi.Le prime non
figurate dallocchio, le feconde no figurate da mun fenfo, Le prme fondi
oggetti dell. quac. tro fenfi, vd.to.gutto, odorato e tatto;come.l duro,
A gol le, il caldo, .1 freddo, l'amaro, il dolce, 1 odore, il
fuono.Q^c fte colereali, e perccpute dagl, alm leni», non pcio fon^
fte da gl. occhi, li chenepasfi Idea perla Memoria at tttic.a le. Come
dunque collocaremo no. .1 do ce, tamaro, 1 odore, il fuono, e limili >
R.fpondo che b. fogna ricorrere alle Caufe,airelfet. ice, alla materiale,
et all, getticeli,ftesl. fenfi. Primieramente b.fogna uederc,dachi natte,
e procede, “ fa; c così fi porrà l’efficiente F cr 1 effetto; cosi la can
pana, per il fuono, li cantanti per la uoce. fecondo mirateti oggetto, e
la materia in cui f. troua quella colmici f ggeto ponete, per la cofa
Aggettata; e cosi porrete ^^co per.l caldo, la neue per il freddo, .1 P
;,mo per 1 odore,.l fatto per ilduro, l’acqua per il molle, il fauo per
.1 dolce, I per l'amaro, e così d. fimili, sforzandofi di Pender .l
fogget to in cui eccesfiuamcntc fi troui quella qual.tà fcnfibile.l
er 20 mirate li getti di fenfi patienti, e così il capo piegato
coir Parecchie erfe, moftrail fuono; le nari ritratte col pomo in,
nanzi, moftrano 1 odore, &c. E fe mi d.ra. come (. formerà Immagine
del tuono Celefte, ò del Lampo ? R.fpondo dh .1 Tuono lo formo, con poner
un Arteghana dinanzi a Gio-, ue, ilquale con la Saetta llda fdocd
je così hauerete Lan po; Fulgore, et fracalTo del Tuono. Quello fi*
detto delle co ft, che non hanno Irnagme daU’occhio; fe bene dall altri
tta fu Dell’altré co Teglie da neflun fenfola Memoria Artific/a le
prende le Tue Imagini,dirò eoa quella .maggior facilità, c Mcthodo>
che làrà posfibile. Quelle Imagini fi formano io In Significa-
i.Ina rei J tione. * » : "4i il Si- i a.In Vo primo quando
auuiene che la uqcc tutta intiera lignifica cola, disfunilem colà, limile
in noce • Per cflempio, incontrandomi in quella parola auuerbiule.
Àncora, metterò nel Luogo l i nagincd'un’Ancora di Nauc; poiché quello nomee
quell auueib.o han limile fcsétttt.* r i fa, Te ben son
dissimili ih SIGNIFICATO, e accento. Cosi ìncoii tran domi in quella
parola “porrò” (cf. Grice, ConTENT) : metterò nel Luogo in ma no d’yna
persona vn “porro” (cf. Grice, CONTent). E fe la parola tutta ioticra'non
c Amile ad un'altra parola, che SIGNIFICA cosa figurata; bisogna
ricorrere al secondo muodo della similitudine in voce, fecondo alcuna
parte, e quello com'io proposi si fa in varij muodi.
DcU’Aggiongimento. Per ritrouar rimagine in parola Amile in parte,
conuicne alterarla con aggiungerli qualche fillaba o lettera.
Perciò fèmpio, uolcndo collocar quella parola Per. ui aggiungo
un'A. nel principio, e fi forma la parola Aper, laquale figni fica colà
Figurata, e cosi pongo nel luogo un Porco lèluaggio,e mi raprefenta il Per. E
quello aggiungimcnto fifa in tre muodi, nel principio, nel mezzo, e nel
fine . Liquali tre muodi, fon le tre Figure allignate da Grammatici, e
Poeti, la Protefi, laquale aggiunge nel principio . L'Epentefi, Che
aggiunge nel mezzo. LaParagoge, che aggiungenel fine. Si che hauendo
parola di cofa Infigurata, fi dilcorra perle lette re, e per le fiUabc,
aggiungendo nel principio, poinel mezzo, poi nel fine: è riufeendo parola
che fignifìchi colà figurata, quella fi collochi nel Luogho . Della prima
figura alTegno quattro elTempi,il primo elfempio del per, 3t Aper, detto
dì /opra. 11 fecondo elfempio del Che, alla quale parola aggiun
gendo un’o,farà la parola oche. Laonde mettendo in mano d’uua perfona due
oche, mi rapprelènterà il che. Il terzo e£ /èmpio di quella parola,
Scire, ui metterò il Sarto col fuo cufure; perche allo (ciré aggiungendo
la fillaba cu, fà cucire. 11 quarto elTempio di quella parola Amo, allaquale
aggiungendo la lettera h, fà la parola hamo di pefeatore . Della feconda
figura, che aggiunge al mezzo, fia il primo ef /èmpio, quella parola,
pena, allaquale aggiungendo la lette ra n, fi fila parola penna di
fcr;uerc,ò altra. Il fecondo c£ fempio ila quella parola, Alium, allaquale
aggiungendo un 1, fi fa la parola Album, fiche dando una penna, ò Aglio
in K mano mano d’una perfòna, mi rapprefenterà la
parola pena,© ali u m. Interzo eflempio di quella parola, forme,
aggiungen do'oci linaio la Intera A, fila parola, foramejficbe la
perfò na inoltrante il forame dun muro, mi rapprcfenter4 quella
pacala forme . Della.terza Figura,cheaggiimgenel fine, fia. per eflempio
quella parola, ò articolo, uolgarejAH», à cui aggiungo la lìHaba um, e farà
album. II fecondo eflèmp : o diquetta parola Vcl, allaquale giungi un’o,e-farà
Velo. Il terzo di quella parola, Vdut,aggiungafi un’o,c
fifaràla parola Veluto . Mà bi fogna hauerla Regola della coltoca*
none delle parole, cosi figurate coll’aggiongimento, et è, •che fi ponga
legno aila.cofa, perequale fi conofca, clic bifogna tome qualche colà dal
principio,© dal mezzo, ò dal fi ne. £ lidie per lane fi farà, con la
nudità: nelle bcftié, con li fccwtitdtura, ò troncatura di membra ; nelle
piante, con la fcorticatura, ò inedionc; ncU’attioni, col mancamento
nclliilrumenti,ò coliègno nelle perfonej nelle cofc tenute dalle
perfone,con uelami,ò fógni nella perfona tenente. E quelli fegnidi
faccino ordinatamente ; fiche per la prima figura, xhc aggiunge al
principio, fi facci il legno al capo, ò princi pio della colà, per la
feconda al mezzo, et per la terza al fine? Per eflempio alfApcr, li
tronco, ò fcorticoilcapo, che mi moflra douerfi torre la prima Intera, e
fillaba; alloche pari mente le ‘faccio moflrare lenza Telta;al cufcire
fnudo il brac ciò al Sarto. Alla penna la'nigrcggio nel mezzo, all’Aglio
lo fò tenere e coprire Con la mano nel mezzo; e così la penna, dirà
pena; c l’allium, alium. Al uclo, farò che uno lo tagli dal piede, e co ì
dal uelo, haurò uel. Marni dirai, ieoccorreficychc il nome hauefle quattro, ò
cinque fillabc: comefa rò à conofccr fc dal mezzo deuo lcuar la terzi, ò
la quarta Ti rifpondo, che quello fi può fare, con dillinguerla perfò na
in lette parti, capo, petto, Ucntre, uelo, colcie, gambe, piedi, et in.quelle parti ordinar le lillabe, la
prima al capo, la fècóda al petto, la j. al neutre, la 4. al uelo, la
j.alle cofcie,la d.Jallc ga ’ be,la 7 .àib picdi;(ìcbe perla prima
fiaséprealcapo,el’ultinia fillaba all* piedi. (è la parola è di tre
fillabe,la fècóda al petto, le c di quattro, la terza al uentre. le è di
cinque la quarta al uel 0,' c coti lcguendo>L douc fi fàl’aggiuntione,
là fi pon ^ il'lègno.E le quello fi FI nd T eBefliV, fi “diifidalà
bdH* •infette parti, in capo, pcttó con piedi d’innanzMj-feen tre,
groppa con piedi di dietro, Coda, Es’olferui! iftéflò òfrdinc,che della
perlona. E quello dico ddle Bcftie di debita et atta grandezza; perche nelle
Hdlie ò inette, ò ptecòlc;i legni li faranno nella perlona. 11 che fi oflèrui
nellipt ante, tir altre cole, che commodamente non pòflono ricelie
're tale dillintione. PerelTempio uogliodiré fante, e prendo •
un’elefante; lo trouo col capo tronro,c collo (corticato* 8c ho légno,
che leggendo lafcio le due prime fillabe, e profèrifeo fante; Se uorrò dire
l’amaro, darò in mano della pcrfona,un caIamiro,c farò comparire la
perlona,;con la tèda e barba ra(à,il che mi fegna,ché fi debbe tor la prima
fil laba. Volendo dir polue, pongo in mano della perlona un
poluerino,e li fnudo il uentre con tutto ilreftòin giu, e cò sì leggendo
; leggo le due prime fillabe, e trouando Tallire parti nude,m’arrcfto . E
(opra I tutto la facilità di qneftì fegni,nafce dall’atcentione della mente
deftgnatricc di eslr; là quale hauendo dcfignaro,coH >cato nella
Memoria, e ftabilftò il tutto con la repetitione,fenza intoppo riefee nella
con templatione,ò narratone, precifamcnte «eirAggiurigimcnto delle
lettere. Del Mancamento . C OrrilponJe il Mancamento al filo òppofto
aggiungimi? tò*fi che camina con l’iltclsc reg le ; perche
nòh’rìufcé da di ritrouar, parola figurata per raggiungi tódntóy
ricorre mo al mancamente), togliendo dal principio, ò dal mezzo, ò
dal fine. Indi le tre figuri dd'm'ahcànìcrtto,chramaté, Afe4‘ relì >
Sìneopa,& Apocope, la'prifrfa* che tòglie dal principiò,!! 1' feconda
dal mezzora terza del fine. Del primo hò da coi-, locar questa parola,
malignojtolgo uia la prima lìllaba,emì' reità hgno, et un legno colloco
in fpalia ad una perlona. CoìÌ di quella parola, doue; li tolgo la prima
lettera, creila oue. Coli di quella parola, dementa, li tolgo eie, e
rella mé ta; e da quella paioli contingi t,leuo uia il con, e rella
tin K a gir, git, petli quali ponendo rimagm!, il legno mi darà
maligno, la menta dementa) un cedo d’oue il doue, un tintore .che tinge
il panno mi dara il contingit.E (èmi domandi, co me li conoscerà che il
legno uuol dire maligno, la menta eIementaPci rifpondo che lo conofccrai in tre
modiche ti fèr ueranno per Regole, la prima per la prefìssone della
tua mente, che così ttabili, del che tu ti ricordi . fecondo per
quel clic manca, tu puoi collocar lettere, ò altre figure ; onde per dir
maligno, ui colloco una pcrlona chiamata Antonio, che mi rapprefental’A, per la
Intera MJi dò nella man delira un tridente, colquale percuote un legno
che flà al la to iìniftro. fé ben quello muodo partienc piu rollo alla
diuilìcne,che al mancamento.terzo per quel che manca, li può dar un fegno
alh luoghi afsegnati già di fopra, nella perfona,ò corpi di beftie; come al
tintore dare in fronte un tumore,© una gonfiagione. per le quali fi conofce,
che bilògna aggiungere. Della feconda figura y quando fi toglie dal
mezzo, per elfempio udendo dire caulà, ui metto una cala, per conolcie
cdcie;& il légno del mancamento fi può formare conforme alle tre Regole,
aflegnate di fopra nel manca mento dal principio. Della terza Figura che
toglie dal fine, uolcndo collocar principiti, ui métterò principi, per
fblemo Iole, pcrcanit due cani. E peraflegnar li légni da conoféer
il mancamento, e 1 aggiungimento, che fi de’ fare; fi ofTeruino le
tre Regole di fopra, uar>ando 1 ordine j perche nella pri* ma figura,
per la terza regola, li fegni fi danno nel capo, nella feconda nel mezzo,
e nella terza ideili piedi . 11 tintore hà'l tumore nella fronte; chi
indirà la cafa l'hà nel petto, h cani nelli piedi, per liquali légni al
tingit dico contingit, a cafa caulà, a cani canit ; alli principi li darò
le podagre Belli piedi, per li quali intendo, che ci bilògna aggiunger
qualche colà . E quello badi dell aggiungimelo, e mancamento . Et fiano ben
notate le Regole aflegnate, per intrichi, aflegnati d'alcuni in quelli
proponti. Del Riuolgimento . S E bene ogni tralponimento irebbe al
proposto; nondimeno della fola Riuolutione, hò fatta mcntione; Rimati do
quella tra gli altri e flcr men difficile. Io tre muodi fi può trafporre
ma parola, ò riuolgendola dal fine al principio» come Amor, Roma, fecondo
cangiando fito delle fillabe,co me core, reco. Tento variando fito delle
lettere, come alto, lato . Siche per il primo muodo,in luoco di Roma,
porrò Amore.pcr il fecondo per reco, porrò rn core.E cóforme al
terzo.per alto, porrò lato. La regola delriuolgimento è, che la colà fi
ponga al riuerlò ; accio fi conofca che al riuerfo li proferifee la
parola, cosi per Roma ponendo Amore, porrò Cupido col capo in giù, e con li
piedi in sù.E quella Re gola del riuoIg!tnento,non è trpppo familiare,
nell'ufo dellArte. La variazione, è quando la parola lèrbando rifleflo
ordì ne delle parole, fe li caogia qualche lettcrajcomeper que Ila
parola, mente, cangiando 1 m. in u. dico uentre, et per mentre colloco
nel luogo un uentre. E quelle parole fi tro uano,col difeorfo delle
lettere dell’Alfabeto, rimouendo le confonanti, et in uece di quelle ponendo
dell’altre, ò nella r ima,ò nella feconda.ò in altra fillaba,
finche riefea paro- . che lignifichi cofa atta da poter cller
collocata. Per cficm pio dirò mentre, poi rimofso l’m. comincio à
decorrere per le lettere confonanti, bentre, centre> dentre, fentre,
genttc, ientre, »entre, uentre, pentre, rentre, fentre, tentre, uentrc.
Ecco che fri tutte quefte paro le, non ritrouo altre, che centtc * CU£n
trc, fiche ò ui pongo un uentre, ò molte Centre, fe io intendo quello
uocabolo di centre, per quelli chiodct ti piccoli chiamiti, «iure, A
centrcBc.o tacce.o uccietw. E re timone, >do la prima Confonante non,
mi fufte nuli., ta parola lignificante, haurci rimolfo I n. e fatto 1
iftcflo dl tHHVu L’agnominazioné, e Bifticcio,i!qnale è uno
fchcrzo/di parole, per uariationc di Lettcrejè regola molto al prò
polito per formar l'imagini. Li bifticci fono per elk mpio; ponnoj panno;
benché, banca; palla, perla ; lagg'a» menica, manico; ora, ara; pena,
pane; loco, luto, e limili. Siche, per pena, porro pane, per faggio icgg'a» P
cr benché ba che, per parla, perla, per ponnò, panno, o penna. Pcr
liqua li Bifticci li notino tre cofc, primo come li formino, fecon
do 1 vfodi quelli, p la memoria, terzo il fogno, che 'e li dà per nò
cófoivkrf, nel ramétarli Quanto al pruno, vedete, li mici Methodi di
moltiplicar i Cócetti; doucio a degno il n-.uo o db fori ar li B.fticci.E
qùì balli fapere, che tale formaturne,!» fa fcccrédo.ple 5 .vocali;p
cficpio m’incótro in qiicfta parp h>póno,difcorro per le quattro
uocah, panno, penna, pinna, puuuo;duedi quelli nomi fon' al propofito,
cioè peqna, p panno; poiché lignificano cole figurate, et atte pcr cfler
fol locate. Quanto al fecondo dico che in i qucft'A myion fola
mente fi riceuono bifticci regolati, ma anco di quelli che fon goffi;
anzi piu goffi, e feonfer ati fono, purché habbinòi la fomiglianza della
uoce) maggiormente muouono .come fece colui éhe per l’Ariosto pone un
pezzo d'Arrofto. Quanto al terzo dico, che nelle cofe collocate, ùi fi può
tot mar fegno;còme fi formang, nclli Age.pnglmènti «i df fa . prà,
ponendo il lègBÒ ; àl'lùógo-doiie e latta lùlictàtione, o nella primari
nella lecouda lillaba. La composizione congiunge le parole, che li
douerebbo t no diuidcre, e questo non folamente fi fà delle parole
intiere;mà delle litiabe. Per elTempio,quefte fon due parole, qui, es,
componendole faralfc la parola, quies, e coli per quelle due parole,
metterò vn che fi ripofa, E Erto rcifta.
E fi, U. ; ' r *1 ! F Fabro
F Fondcchiero G Gouernatore G Geometra H Hofle
H Hisloriografia I Imbiancatore P Poct*. 3 Q
Quo «aio. (£ R JL-’. ;1 R Ricamatore
S Spedale S Sartore T Trombettiere T Tcslitorc
V Vcfcouo V Vaiato X X rrj'.-Arf J
z Zeccatore z Zoccolaro. M A à quelle perfonc,bi fogna
darli vn fcgno:acciò non fi prenda il nome della pcrfona, in vece del
nome deilane, dell'officio, ò della dignità . Quanto al Terzo Alfabetto
fia per elfempio K Aquila A Agnello B Bue. y B Bufalo
C Cane C Cerno D Drago D Delfino E Elefante.
E F Falcone. ' 'r F Fagiano G Gallo
G Gatto H Harpia H 1 Iftrice .
I L Leone L Lupo M Montone M Moietta
N Nottola N Nibbio O Oca O Orlò.
PpjCO p Porco P Pallone. CL,
Quaglia. i R Rinocerote, Ródmclla R
Regolo s Simia S Satiro T Tigre
T Toro. ì V Volpe. ‘ i V Vacca X
X .i y yj z, rii • z iof/.-. ibi.uirt s
Idbntniii r z * ' . . J * u E Perche le
medefime co fir, fi potrebbono prendere anco ra per Imagi ni: però
bi(ogna chc’l Formatore,dia uh (e gno à quella colà, che fi determina per
lettera, come il Leo ne con vn monticai collo, fia per Lettera; lenza
monile, fia per Imagine. Quanto al Quarto Alfabeto . Q
Vefto Alfabeto, non fi prende dalle Lettere delle paro ^ le, come li tre
precedenti ; mà dalla forma, e figura della cofa, laquale é limile alla
figurac carattere della lettera; per lochc ridee più facile di tutti li
altri, come che alla prima occhiataci rapprefenta quella figura di lettera,
quale fia mo vii di veder con l’occhio legendo. Delquale Alfabeto
no ftro latino, fi reggono le figure nel Rombcrch, nel Dolce, e nei
Rottdho, le ben da altri anco lono ferirti. Et io nc fa rò qua vna feelta
delti più noti . • t/l Vn Archipendolo di Muratori . Vn comparto grande
di legno, con li ferri in terra, quale vlino i Legnaiuoli . B Vn
Liuto col manico verfo il Cielo, e conlecorde alla finiftra. Vn Acciaiuoleò
focile da gittar fuoco. C Vna Comma di Pottighom. Vn ferro di
Cauallo.Vnà • Luna piccola, quale fi mira di fette giorni. D
Vna mezza Luna. Vna tetta di Toro, con vn còrno in terra, c col mulo alta
delira . Vna tetta di fanciullo, col nafi> alla delira». Vn t$?zzo
circolo, con l’arco alla L a dcftia. i delira. * . . *
M £ Vn pettine caualliiio di denti larghi dritto.Vna metta
rota, col rotto a man delira. Vna lega dritta, con li tre legni alia man
delira. F Vua falce di mòrte, col ferro in sù . Vna fcfmitatra f con
la. punta in terra, e col pendente del manico à man delira. G
Vnacornamufa, ò ciramella e Piua di pallore .Vna falce col piede in
terra, e col taglio à man delira. H Due colonne larghe, e con un
trauerlo che li lega f e llringenel mezzo, come li uede
l’Imprclàdel Plus 'ultra. J Vna Colonna, Vna torre, Vn campanile,
tali quali li ueggono dipinti. Vna uerga. Vna, candela. I Vna
accetta grande, col ferro in terra, e manico in sù, Vna Zappa nel
medefimo muodo . Vn capo fuoco. ' Vn tre piedi di caldaia . Vn
tridente di Nettuno. Vn paro di forche, cól fuotrauerfo. Vn paro di
mol lette di fuoco. Vn paro diBilancic. 0 Vnallrolabio
circolare. Vn cerch o di tauerna . Vna Corona. Vna Girlanda. Vna
medaglia. 2» Vn Palio rale di Vefcoui. Vn uentagho.Vn manico
di forbice di Cimbatore. Vn pozonctto,ò padella col manico in
giù,& alquan to pendente ; ò un ramaiolo nel medefimo muodo.
R Vn paro di Tenaglie. . S Vna Tromba torta. T Vn Martello.
Vn Succhiello,© triuclla grande di Le gnaiuoli. V Vn rafolo
mezzo aperto in sù. Vn compaflo aperto in sù. X Vnacroce.
VnaSeggia. Z Vna Zappa col ferro in sù uolto à man
finiftra,&alqua to ripiegata. Le figure di quello
Alfabeto fi ueggono nel RolTclUo, c con miglior intaglio nel
Sopplitip, nel Romberch, et nel Dolce. Doler. Se bene alcuni
ih cambio di quelle figure,adoprst no l’iflesfi caratteri di Lettere,
invaginandoli grandi, come li capitoni ò maiufcole.E farebbe anco bene
formarli la pri ma uolta di cartone, e tali quali fi uiddero, collocaro,
c re* pctiro la prima uolta le invagini di quelli caratteri ; tali
rollino lempre nella memoria. Quelli quattro Alfabeti fatti familiari dal
formatore, le he fornirà nelle parole non figurate, auertendo prima
che è beneiluariar le lettere et Alfabeti, ordinandole con giudi
ciò, fi che habbino corrifpondenza infieme, e particolarme te ordinandole
con le perfòne . Per efiempio uorrò dire. Anima, prendo dal terzo
Alfabeto l’Agnello, dal fecondo il Notaro,dal quarto una uerga. E per
ordinarle infieme, pó go il Notaro,chc con una fune tirai’ Agnello,
nell’altra mano tien la uerga, c dinanzi à lui ci fia Antonio, che con un
tridente ribatte ilNotaro.Dall'AgnelIo hò l'A. dal Notaro IN. dalla verga IT.
d’Antonio, hòl’A.e dal tridente l’m.E Umilmente fi faccino l’altrc figure
da collocarli, per uia di Lettere. Auertail formatore, che il primo et
fecondo Alfabeto, fc li potrà formare anco di nomi Latini, fecondo
li ucrrà più commodo: purché fimoflri la lettera, per cui flabilifce la
perfona’. Il terzo Alfabeto Io può formare, ò dell’ Animali podi per
effempio da me, ò di altri qyali più aggradiranno ad efTo; purché fiano
noti,&atti fecondo l'ar te. E parimente il quarto Alfabeto, fclo
potrà formare ò delle figure polle da noi, ò di altrcjpurche uiuamentc
Iirap prefentano il defiderato Carattere. E fè occorrerà
fcriucre in greco, in hebreo, ò in altri idiomi,che uariafTero caratteri e
figure, il formatore fi formi le figure conforme all’Idioma.
:iij u 'ìojafti uy ovint**-f
. D lfsi che fi formano l’imagini dalli firodi, e dalli diflimi Iij
se hauédo detto à ballaza delli limili, retta che breuemente diciamo delli
diliìmih,e primo dcUVppofiti. Non ftarò à riferirui la molciplicita dell
oppofiuonc : poiché mi pare fuperfluo in quello luogo* non douendo noi
adoprare, (e non alcune cole in certe uolte, quando ci mancatici perfetta
notitia dello ppofiti. Et à mio giudicio,ci posfiano f ruire delli
relatiui,come porre il feruo per il patrone, quando quello mi fufè noe*
»e quello m c ignoto ; porre il Dtlcepolo peni Maftro, il Figho per il
Padre, quando quel li mi fuJlero noti,e quelli ignoti. Màbilogna darli
legno, per ilquale s’intenda, che non eslì per fc ftesfij mà per
rapprefen Urei altri, in quel luogo lon collocati . Del
Volontario . Q Velia Regola fu molto commendata dagli antichi
Greci; fc ben CICERONE (si veda) par che la rifiuti. Il modo uolon torio
è far una leelta di cento, ò ducento parole, che più lon frequentate nella
profeslione del formatore, c parole che nò hanno lignificato figurato,
come le coniuntiorii, le disiuntio ni, h fincatego remati, li articoli,
aduerbij, e fintili, e pcrciafeuna di quelle parole a (legnarli vna cofa
materiale, et occorrendo poi la parola, ripor fubito nel luogo quella cola
. Per elTempto, quelle parole. Et. Àn. Vel. In. Quia. Ad. Per A,
pongo vn melone; per An, vna Zucca; per Vel, un Cedro; per In, pongo un
Granato; per Quia, vna Noce; per Ad, vn Cocomero, c così de gli altri.
Quello modo vfato nelle poo. parole infigurate prendo ducento colè
materiali, che ftanno fempre per quel le parole, io diuento pouero dlmagini;
perche le perla pa rola vcl, tengo vn Cedro, e per vn’Et, vn Melone; fo
m’occorrcllc fcruirmi del Melo ne, e del Cedro per altra Imagine, che per
le dae parole Et, e Vel; io fon priuo di quelle colè à poterle collocare.
E (è pur le uorrò collocare, mi confonderò, mentre il Cedro nou (blamente è
imagine del Cedro; mà del Vcl Se ben per torre quella confulìone,
potresfimo fegnar la figura con vn fogno diftinguenre la parola dall’Imaginè;
noivdimciio io à quefto effetto mi forno delle per iòne, perche (bruendomi
fempre di cento, ò ducento perfo ne, (blamente i quefto effetto, io non
m'impoucrifto d’ima ' gim, non mancand-uni d'altre perfonc da ftru’nni in
altri btfogni.N.- miti genera confufione, poiché quelle pfone nò mi
(eruono ad altroché |> tal’effetto.Dunq; li olferuino que Ile Regole,
per riufeirehonoratamente in quefto modo uoló tar o. Pruno, fi cófideri,
in che arte, ò jpfesfione,ò eifercitio,vi uorrcte fornire del modo
uolontario,fo in latino fo inuolga re,fo in Logica, fo in Grammatica,
foin Filofofia,fo in Theo logia, fom predicare die: e da quella
profestione et eflercitio,(ì prendano le parole più ufitate e manco figurate.
Secondo, quelle parole lì formano in un libretto ordinatami te; c
dirimpetto àciafouna parola,!! fcriua la perfona . Terzo, fiano collocate con
frequentato elfcrcnio nella memoria, in tanto che indire ò incontrarli
leggendo, ò in udir imparando quella parola, Tubilo ui fi raprefonn la
perfona. Per cllempio nella Grammatica, prendo quelle
parole,dan dolile Tue Pcrfone dirimpetto. Et Antonio. n;
• ?;i o/licp orto In Vincenzo. N. i» nifi
vilkitnoq Ad Tornado. N. un ti -di
Sur» Ab Piero. N. ì.litorali zìi: ni
:-5 Quia Paolo. N. ir. Jirioa t!
'lijj’.UI Cuna Francelco. N. •rmioil-i ìwi De
Sempronio ' N. .snclvjq ^tab Ex Natalitio. N. -•conrjph
clqrvq Propter Lorenzo. -N. D
Ol pioT. ql?! Per Filippo. N., E così dell’altre
parole, facendo il'fimile in altra prorcslìo-* re et eflercitio. Ne fi
Igomcntila pcrlona al primo incontro, quafi il far quello lìa fatica grande:
poiché è cola mira bilisiimamcnte utile e gioueuole, et una fatiga fola
di otto giorni, in pratticar qucfte parole e pcrfone, dura in
eterno^ e con apportar mcrauigliofii facilità alla ipemoria,iog le
la fatiga grande, che fi ha informar l’imagini^ alle parole infigu
rate; poiché in fentirquclla parola, ò trouàdola, fubbito col loco la
perlona, quale mi rapprelenta uiuamente la parola. Quello modo
lerueacoljro,che udendo lettione, ò predica, ò altro, collocano con
merauigliofa preftezza . Et quelli che fanno profesfione di fcriucre ad
uerbum, fotto lauiua uoce di Lettori, Oratori,ò predicatori; li termino
con 1 iflelTo modo tre cento, ò cinque cento parole, ò più o meno delle
più ufitate in queUcflercitio ; et a quelle dianoli luoi fègni,
ecarattcriuolontarii,liquali fatti tamiliari allo fenttore,làrà men ueloce i'
dicitore à recitare, che lo fermare à fcriuere. E chi uolelfe far quella
profesfione, olTerui l infra Icritte Rcgole.Pri no fi fcriua in un libretto le
parole piu ufitate in quella facoltà, et eflercitio . Secondo, lormi li
legni, ecaratteri dillinti per cialcuna perlona.Tcrzo,licaratte rifiano
breui,edi pochi tratti di penne; accio nonuadi piu tempo a Icriucre il
carattere, che la parola. Alle parrole breui e piccole, si diano li caratteri
più piccoli; alle parole più grandi, si potranno dare li caratteri maggiori,
man co grandi però, che fi potrà. Laonde fc non faranno futficienti li
caratteri d’vn Ibi tratto di penna, bifognando leruirfi di Caratteri formati di
più tratti di penna, quelli lì dia no fio allupatole
maggiori. Li caratteri potranno clfere lettere di Alfabeti, latino, greco,
ebraico; caratteri di nutnèri, tratti Geometrici et altri legni
volontarij ad arbitrio del formatore. Sello, potrà formar caratteri dalle prime
lettere delle parole; auertendo pecche vn carattere nq fia fimile
all’altro. Settimo, lipotran formar caratteri, per abbreuiaturc, Icquali
lon familiari alli Greci,& anco all» La tini, Logici, c Filoli-fi.
Ilriufcirin quello particola re è cofa diffìcile, per la gran fatica che
bifogna à farli fami Ilari li caratteri; nondimeno, perche è vna
profesfione particolare, allaqualc alcuni totalmente lì dedic .no;
pcròlcirer citio grande li farà facile il tutto. E lederemo fi facci con
pi gliar (critturc, Latine, e Volgari, et quelle traferiuendo per
Caratteri elfercitarfi ; intendendo che li caratteri liano non di tutte
le parole, mà delle più frequentate comedislì. Con quello Methodo flimo fulìe
notata tutta la oratione, che hebbe Catone in Senato, contro i Congiurati
di Catilina, e contra il voto di Cesare, come racconta Plutarco . £
Tuo Vcfpafiano, comeriferifce SVETONIO » raccoglieua velocisti*»
mameute le altrui parole. Del ConnefTo. I L terrò modo propollo delli
disltmili» c il ConnefTo»ilqtu ic riduco à fei capi. i, Ugello. 1 i.
L’Etimologia . M j. Il legno. w; - l- ’ q.. L’inlegna, et
imprelà. >•' ( J j.L’inllromento. e quelli teruono per
formar 1 Imagini delle Arti,, et Ariette» di qual li soglia forte;
onde per il Zappatore fi ponga la «appi, perii Notaro la penna, per il
Soldato la Spata, e l’Elmo, per lAr* tore l’aratro con li buoi. Il folito
di dire c vn contingente, che mira qualche perfona, laqualc
frequentemente dice o una parola, o una sentenza [cf. UTTERER’S MEANING,
UTTERANCE-MEANING, SENTENCE-MEANING, WORD-MEANING]; laonde incon randomi poi
in quella parola ò fentenza da collocarvi metto quella perfooa, laquale c
lolita dir quella parola ò fentenza . Indi per- il Quamquam, pongo una
perfona, che lèmpre comincia il fuo parlare, con il Quamquam. Per quella
sententia, Auaritia «Il Idoloru n feruuus; pongo vna perfona, che in
tutti li prò pofitil'hà in bocca, ccofì li intenda dell* altre Umili
parole, o fèntcnze.É quello balli delti Conncsfi,3c inficine di
tutto il Methodo di formar l’Imagini, ilqualc con ellrema fatica, c
molte vigilie, e flato da me inucntato,e prolequito; fe bea quanto al
fatto, in qualche parte fi ritroui dottrina diciò ap predo h Scrittori di
quell’Arte. Retta mò,chepasfiamoaUc Regole deU’Imagini. Regola per
rimaglili. pRopofi di trature delle Regole dcll’itnagini, per compii
JL mento dell’Arte della memoria Artificialejlc quali Rcgo le io le
ridurrò ad alcuni capi, quali confiderà» c ponderati, daranno compiu notitia di
quanto fi defidera fopr» Ciò, in Collocar le persone, fi habbi
auertenza di dar li quelle attioni, che conuengono alla fua
qualitàjpcrchc no Corni iene ad un muritore darli atto di predicare, ne
ad un predicatore darli atto di murare, quando fi poffono haue* re
le perfine appropriate; e parlo dcUi luoghi nudi, lènza perfone
immob.li. li. L’imaginehabbia qualche moto, e (è fufTc cola immo
bile, fi ponghi nel luogo perfona, che la rapprefenti . E per colà
immobile s’inreude colà, che non è animale. Le imagini non filano odo fé;
perche non moucreb bono con uiuezza; pcrò,clTendoui nel luogo un
Cauallo» fate che con la zampa zappi il terreno, ò tiri di calci ; il
lupo, che dcuori pecora; il pallore, che minacci l'Agntllo .Et eflcndo
imagini congiunte con altre cofc; con qucllliftelTe facciano li atti c
gedi. Se la cola è animata, mà c piccola, comeFormica Mofca,
zenzala,pulice; bilogna metterai pcrfona, cheli mo dri. Mà come li farà,
per uederlc? Dico che lì ucdrà primo perla prefissone delia mente.
Secondo perle cofeannefi» le àtali animali; come, fe fbpra un piatto di
mele la pcrlo na (tenderà un paramediche, lì cnnolceranno le Molche;
et come le formiche, nel mucchio di
Grano. Terzo perii appropriati di alcune perfone; come fece il Raucnna, che hauendo
uifto uno die ftropicciaua un puhee, lo chiamaua e colloca ua per pulice.
Così fi potrebbe far degli altri. Mà fe uorrò dire Formica,e non
Formiche; come farò, (e tante e non una fi mette nel luogo? Rifpondo, che la
perlona nuda,moltrail (ingoiare; 1; cpme ucllita, il plurale, come
fi dirà poi al fuo luòco. Se molte Imagini fi collocano in uno delio
luogo, ò pure perla continuationc della parola didima in piuluo chi
c ben fatto per quanto più fi può, darle continuatone di attionefra loro.
Per efiempio, udendo collocar per lettere queda parola, Deus, pongo nel luogo
Dominico, i! quale con un pettine, pettina un uitello, tenuto da
Siluia. Da Dominico hò il D. dal peuine l’E dal vitello I V. da
Silula l.S. L’Imagini liano proportionate al luogo non ecce-denti; e c fodero
eccedenti, già disfi che modo s’hà da tene re. Il che s’hauede
confiderato il Monlco, non harebbe riprefo il Supphcio, il quale nell’Alfabeto
d’artificiati, pofè per 1. una torre, c per X. una naue; poiché le colè
eccedenti, ò per liinaginanone,ò per le figure, fi rendono proporticna:c,come
disfi. Vii. Le perlonc che fi collocano nclli luoghi habbino
del grande, del uiuo, dell efficace quanto più fi può ; perche più
efficacemente muouono. La Figura et imagine,non (la /olita à (tare in
quel luogo dòuè fi colloca; perche eflendoui /olita, non muoué
efficacemente ; attento che giungendo nel luogo, crederai che tal cofa
non fia indagine; mà parte ordinaria di quel lùo go, E per ouiarc à
quello inconueniente, olferua la regola di uariar quella cofa con
l’imaginatione, dandoli qualche ua riatione inlolita; per eflempio
giungendo ad un luogo doue fia una feggia,e uorrò in quello luogo porre per
indagine una feggia, io metterò quella feggia trauerfatain terra, per lo
qual fegno efficacemente conofcerò,che la feggia nò fi troua nel luogo,
come cola ordinaria; ma come Cola for mata per imagine. Nel collocar
all'improuifo, bada metter una ima" gine per luogo; ;icl collocar
pofatamente le cofe che fi ftu diano à bel agio, non è inconueniente,
porre molte imagini in un luogojpurche fiano didime, c commodamcnte
fiucg ghinoc rapprefentino. Vogliono comunemente li profclfori di
qucft’Arte, che le imagini fiano collocate in atti fporchi, laidi, c
ridicelo fi ; perche quanto più fi uederanno goffe e fporche, tanto
maggiormente meucranno . Il che potendofi Tare lènza fcrupolo di
mouimento indegno nel formatore; nuderebbe molto utile all’Arte . Per lo che
non laudo la dishoneftà delle imagini. Dottamente difeorre Cicerone
intorno alla viuezza delle imagini ; perche quelle cofe, che noi per
efperiqhza co nolciamo, che ci muouono à conofccrle attentamente fc
à ucderle anfiamentc, quelle lon’al propofito di moucr cffica
cernente e uiuamcnte la noftra Memoria, in ricordarli. Però le cofe nuoue,lc
cofe merauigliofe,le cofe rare, le cofe di letteuoli,le cofe brutte,
fporche, e ridicolofe, le cod horribih e fpaucntcuolijlc cod di gran uarictà,
le cod eccesfiue in bellezze, eccesfiue in brutezze, come una faccia
tagliata, vn nafo grande, vna gobba monftruolà. Così le cofe eccclfiuc in
degniti, come vn Rè, vn Impcradorc,vn lommo Pon tcfice; e limili; le colè
eccesfiue mpouertà è mendicità, come un pouerello ftracciato ccncioIofo,e
fimili oggetti, (cmattislìim alla viuezza deil’Imagiai. Et à fimili accidenti
deuc hauer » li uadi (èmprè ri . perendo; per elfcmpio
polla la prima figura fi pasfi alla feconda, e poi fi ripigli la prima
recitando, c contcplando, c porta la terza fi ripeta di nuouo c la feconda,
e la primate portala quarta fi repctano l’antecedenti, e porta la x.fi
repe tano le antecedenti per folto, la prima, la fèptitna.
lanona.la Tetta la quarta, per le fpari per le pari, al dritto al
riuerfo,chc cofi tenacemente fi (colpirono le Imagini nella Memoria.
Sehoggi hauete collocato per imaginc una cofa ; auertite dimani, non
collocarla per'Imagine d vii altra cofa diuerfo. Come le hoggi per quefta
parola Agnus, hauete porto vn Agnello, dimani non porrete l’Agnello per
l’inno cenza; perche vi potrebbe apportar confuhonc, mentre ui
rapprefenta due parole; le pur non fufte dimenticati della prima
fignificationc,ò pure forte variata 1 Imaginc con legni, ò bene rtabilità con
li dirtintiui della mente, c con la prefisfione della ripetitione.
Quando fi ha da collocar à memoria vna oratione, ò periodo,parolatamentc;
prima fi legghi due e tre volte pia namente,e diftintamente,come vuole
Cicerone, ilchc appor (a non poca vtilità. Collocando le parole, fi dia
proportione al Genere col fèllo; perche fe uoglio dir ricchezza, eh e di
Genere feminino, meglio è collocarci vna donna ricca, chevnhuomo
ricco. Se vorrete collocar periodi intieri ò parole, et occorrendo di
ritrouar otto, ò dieci, o piu, ò meno parole, quali noi fiprece molto ben
recitare, fcnz’akra collocatiohe; non occorre far fatica d’Imagini interno alle
parole che voi fopetej mi balla collocarne una principale, quale
ricordata u apporta cohfequcntcmente tutte l’altre. Et quello intendo, nelle
coltocationi delle panie, lcquali recitate, noa curamo chccì reftino à
memoriamo ne delle Orationi, Prc diche, Comedie, ecc. Le Figure, e
Imagini habbino proportionata altezza, fiche l’occhio. 'non habbi fatica d
alzarli troppo, pc® vederle; nè all'incontro abballarli ioucrchiamcnte
per contem- fuuer l'occhio il formator di quefl’Artè Nel collocar le
Figure, et Imagini lem piarle. Indi fiate cauti nelTordirfàtione,
che fa il Roi»: berch dellìmagroi l ena fopra l’altra, peiche hauendo
noi luoghi commodi da far progreffo per la.go, non occorre
aggrauarla memoria, laquale memorando procede con lo ftabdimento
del fenfo. Formando rimagini, non fiate prefittoli m rubilo collocarle, quando
agiatamente potete formarle e collocarle* pche occorrendoui poi vna Imagine piu
atta,& elquifita della prima ui irebbe difficile in collocar la feconda,
ha uendo collocatala prima; ò vi farebbe graue tralasciar la fe
concia, elTcndo miglior dcllaprima. Dunque peniate, e ripense prima, fe altra
miglior u occorre, e poi collocate le Imagini formate. Sopra il
tutto fate, chele Itnagmi fiano di cote ja *oi note, è notisfime;e però
ui douete attenere dalle imagini finte, potendo hauer le reali » e dalle ignote
hauendo le note, e dalle men note haueodo le piu mahifcftc. Si come nuoce
la fotniglianza tra li luoghi, nella for mattone di luoghi; cosi la
fomigltanza tra le figure, nelp formationc delle imagini. Però ui
sforzerete di farle, quando più fi potrà diuerfe e di filmili; accio non
u’ingannatc ntf la fomigltanza di elle; perloche hauendo à dire tre Franccfchi,
dtllingueteli perle Cicatrici, ò per gli atti,e gelti, un gobbo, un
monoculo, un fenzanafo,e cò altri limili accidcn ti Eccesfiui. # .
. VT . Siate cauti nelti sinonimi ed equivoci. Nell’equivoci, accio
ponendo il cane, per IL CAN CELESTE. Non diciate cane, che rode l’olio. E
nelli sinonomi, come pietra faflo^ accio una ftcflfa cosa hauendo piu
nomi non li dichi 1 un nome per
l’altro, il che fi può diitingucre, per l’attentione della mente, nel
collocarle e ripeterle, piuiiolte; o pure co qualche altro diftintiuo,
pollo neUa cofa, o di lettera o d’- »le picolc,e quello per non ingombrar
tanto il luogo, e per (farlo più capace Onde ne fiegue, che minor numero
di luoghi farari neceflarn ; c li così picm. per la diversità, rie*
/cono più efficaci. Per cflempio per quella parola ffauentc, pongo nel luogo
un’uomo chiamato Nicola, il quale nella man delira tiene Un piatto di
faue, che lo porge ad un fuo Figliolino che li Uà alla delira, e nella
man finiflra tenga un Martelli, cól quale minacci e fcacci una
fanciulla chiamata Emilia . E così legerete dal piatto Fauc. Dalla
persona. Nicola, N. Dal Martello, T. Da Emilia, E. e da tutti l'intiera
parola faucnte. Laonde larà benfatto, tra gl’alfabeti di perlòne, hauerdue
Alfabeti, vno di Fanciulli, l'altro di Fanciulle, oltre li due di
Huomini, e di Donne. Nel collocare, prendendo le parole ò concetti dalla
carta,e riponendo nelli Luoghi, non fi facci memoria nel la carta e parti
fue; Mà (blamente nelli luoghi; perche làrebbe doppia fatica in ricordarti è
delti luoghi, e della carta. Oltra che apporta gran confusione, perche la
mente uedea do, e. nella carta, e nclli luoghi uacilla, e fi confonde ;
mentre a due parti fuggelo (guardo,e quella Regola li noti molto bene.
Nel collocarc,e ripetere l’Imagini, fi auertifca, di non far’altri geflr,
chc quelli che fi ricercano opportunaméte fecondo l'Arte della pronuntia
nel Recitatore. E-fi guardi il Formatore dinonappKarfi, ò collocado, ò
ripetendo ; à qualche geflo intcnlàmcntc fuor dell’Arte, come il contar
con ledita^ener il capo faldo et erto, mirar in sù,piegar fi in giù; ma
indifferentemente redi libero d’ogni intenfa applìcatione di fi nifi atti;
perche alrrirrt^nte facendo, il Recitatore recitando farà poi l’iftcsfi gclli
inconuenicnti,c periglio li j inconucnicntijperche concro l’Arte;
pcriglioli, perche le in qualche accidente muta gesto li fuiarcbbela
Memoria, e fuariarebbe la mente. Per mancamento di quella Regola, hò uillo
alcuni Recitanti, Ila re come che hau elferoin giyctita una fpada, inflasfibili
Hi erti; c con gli occhi fitti al ìjjuro, che Ila lor dirimpfctto, quali
che fuiferò fiatar. la /quii Uò.fanon (blamente difdicc aitili; ma
fciiopre l’Arte, ilche èflifettuo(b,làpCndo elfer principal dell'Arte, il
làp'ec celar l'Arte, intanto che quel che l 'Intorno fi per Arte,coiU
’ libqrfa dd’li gclli, e' domiiniò de gli atti, moliti che lo facci
per f.TI I W M M per felicità di
natura. £ quello piace affai, e giuramento de piacere, e dilettare ;
poiché nell’Arte fi fcuopre l’ingegno notro, e nelli doni della natura la bontà
influente del 1 Auttor della natura. E conuieneohe piu. ci aggradi
l'opra di Dio, chela notraje che la prima laude, honorc, e gloria fia di
Dio, non della creatura, laquals fc per Arte, ò per ingegno fa, ò sà, ò può
cofa, il tutto ultimamente de riferire à fua Diurna Maeftà. R
icerca queft’Arte della Memoria per fila compita perfettione,chc hauendoui
trattato delle fueprencipi par ti, Luogo, et Imaginc; tratti alcune cole
particolari, vtili, e neceflarie da làperlì. E tralalciando l'altreal
giudicio, ingc gno,e fatica del Formatore; tratterò preedàmente, delmodo
di collocar li Libri, li Numeri, li Generi, li Tempi, li Cali, li Punti,
li Argomentale Quotationi. Dirò poi delle Dittature, della Libraria,e
dell vfo della Memoria, e fògillaro alla fine il tutto, con l’Arte
dcll'Oblmione Della Collocatione di Libri. Occorrendo collocar Libri di
qual li voglia profesfione, è di necesfijp haucr l’Imagini formate di
cialcun di loro. Laonde cftrtcuno fi potrà formar l'Imagini dclli Tuoi Libri,
intorno a quali vcrlà;comelo Scrtttorale formi immagini dclli Libri della Sacra
Bibia, Il Thcologo delti Scolatici, IL FILOSOFO DELLA FILOSOFIA, il Medico
della Medicina, Il Canonifta di Canoni, Il Giunta delle Leggi, il Logico
della Logica, ecoii faccino tutti gli altri. E nel formar l’Imagini olferui
quete Regole . Primo fi fcriua in vn foglio tutti li Libri, intorno a
quali uerla il Formatore . Secondo formi, l’Imagine da vn fatto principale di
quel Libro, ò dal titolo, ò dall’agente, ò dalla prima parola del Libro, ò di
qual’ altro capo fi yoglia;purche Ila reprefentatiuo del nome del
N Libro* Libro.Terzo queft’Imagìnc ò la ponga (opra vn
Libro, ò la ponga nel luogo col Libro» ò vi metta la perfona che rap
prefènci il nome del Libro . Quarto nel collocar li Libri » può il
formatore. Icruirli dcirAuttore di quel Libro, come fe in citar Paolo, vi
metterò S. Paolo col Libro in mano, e per faper qual libro Ha, vi metterò
la fua Imagine,come le fard illibrodi Corinti, ui metterò vnCore . Coli
le uorrò collocar l’auttorità dell'Euangelio, vi porrò
l’Euangcltrta, col libro, e fua figura, Giouanni con l’Aquila, Mattheo
con FHuomo alato, Marco col Leone, Luca col Vitello . E le
vu’Auttorc hi comporto più labri, vi pongo i fegni per di ftingncrli, per
dTempio, Giouanni hàfcritto l’Euangclo, l’Epiftola» l'ApocahlIc; per l'Euangclo
lo pongo ledente, predicante, per l’Epiftola lo pongo Icriuente,
pcrl'ApocalilTe lo pongo con gli occhi merauigliofi alzati al Cielo, come in
atto d; ueder colèi aulita te e noue. San Luca che ha. fcritto rEuangcto,
egli atti Apoftolici ; per l’Euangelo lo pongo con Chrilio, per gli Atti
lo pongo con gli Aportoli. Mole che hà comporto, e le ritto il
Pentateuco, Geneti, Efo* do, Leuitìco, Numeri, Deutoronomio ;nel primo lo
pongo con Adamo, Se Eua, nel fecondo con Faraone, nel terza col
Sacerdote, nel quarto con gl’Elìcrciti, nel quinto con le Tauole della
Legge. E pattando à gli altri Libri, li Libri di Reggi li formarctecon li
Reggi, il primo con Saul, et Da uid Fanciullo, iUècondo con altri; ò pure
balia hauer libro c Rè, e poi li numeri porli per caratteri nu.i erali,
come fi dirà poi. Coli il L bro di Giofuc con Gi^lue, di Giud ci
con Sanlbnc, di Ruth con Ruthapprcflb i mietatori, Efter col Rè Alfuero,
Giudit con Oloferne, li Profeti con loro medelimi, Efiua con la Slega,
Geremia ch’è porto nel Lago, Daniele fra Leoni, Ezechiele fra Rote,8c
animali alati, Giona nella bocca della Balena, e h libri di Machabei con Giuda
Machabco, di Solomone con elfo in fedia Regale giudi cante,& il.
limile degli almLibri fi facci in qual li uogUafcic za e profesiìone
. Per numeri, altri adoprano caratteri formati da varij inftromenti.
Altri adoprano perfone, dando loro li nume ri. Altri. adoprano cofe
Materiali,allequali volontariamente attribuirono li numeri, come che il Melone
lia vno,il Ce druolo due, la Zucca tre, il Cedro quattro. Quello
modo l’hà.per mirabile il Monleo,il fecondo lo fieguc il Rauennaj
il primo mi pare piu atto di tutti. Oppone il Monleo al primo modo dicendo, che
li caratteri non fi muouono. Alche Rilpondo,chc tali caratteri fi pongono
in pcrlona morente, come fi dirà poi: per loche Reità che fiano attisfimi
tali ca ratteri. Il modo delle perfone c bello; ma è alquanto diffici
Ic,& intrigato. Il terzo mi pare che apporta poucrtà c con-fufione al
formatore; poiché fc li tolgono le cole materiali delle quali potrebbe
liberamente fcruirli, per imagini. Ne è il fimilcdelli caratteri noflfri
; poiché noi ci feruimo loiamente di noue cole, dou’egli nc prende cento. Il
modo e fecondo, c terzo lòn belli, e chi li vuol leguire ved i li
lopradetti Auttori; à me balla darui le Regole, per lèruiruidcl primo
modo. Si prendono dunque noue colè materiali, c quelle lèruino per l’vnità,
e per gli otto'primi numeri, per cllcmpio I. Vn Spiedo, ò vn
Pugnale a. Vn paro di Forbici. 3. VnTriangolo. ' •
4. Vn Quadrangolo, j. Vn Serpe ritorto. 6, Vna Lumaca,
ò chiocciola grande marina col capo fuor del gufeio . 7. Vna
Squadra di Muratori. 8. Vna Zucca a fialco, che ha due ventri lWn
lopra l’altro. 9. Vn’Alciadi Legnaiuolo. Quelle Figure noue, ò
altre noue che parranno al formatore, lèruono per tutti numeri occorrenti’,
olTeruando l’infrafcrittc Regole. Primo per fuggirla confu (ione di
que N a fte ite Soue co fé, perche potrebbonò eflcr prefe tal uolta
per Imagine; Ciano diftintc ; per elTempio Io Spiedo che fta per
cola fu con carne, quando (là per numero dia con vcello; il pugnale
quando c cola lia nudo, quando numero lia fodra to; li forbici percola
fiano con panno, per numero lènza; il triangolo per colà lia di legno,
per numero lia di ferro ; cofi il quatrangolo ; il lerpe per numero lia
nero, per colà fia pinto; la chiocciola per colà habbi il capo ritirato,
per numero lo Sporga in fuora;la Squadrali vari jjcon legno e fer
re; la Zucca fi vari; in figura, ^perche non mandano delle Zucche, e
tonde, e larghe da poter feruire per colà;l'A(cia fi vari} con manico
ligneo, e ferreo, e cofi fi friggerà la confusione. Secondo perche li numeri
altri (on d’vnità, altri di decine, altri di ccntenaia, altri di
migliaia; l'ifteftè figure icr uiranno per tutti li numeri, con
quell’ordine, che quando la figura, è nella man finiftra, dice vnità;
quando nella Spalla finiftra, dice decine; quando nella fpalla delira,
dice ccntenaia; quando nella man delira f dice migliaia- Per elf^mpio
vorrò dire “1345,” “1.345” pongo alla delira mano della pcrlonalo Spiedo,
che infilzi il triangolo che Uà alla Ipalla delira, e paf Ando per fiotto
il mento infilza il quadrato, che Uà alla Ipal la finiltra, e co la punta
trapallà il Serpe che Ila alla man finiflra. Terzo quelle figure filano polle
con la perlòna, laquale S uanto più farà posfib ile, habbi e facci
qualche attione,còle ette figure, come ho mollrato có lo Spiedo, triàgolo
quadra to, e lèrpe. Quarto le li numeri limili fi moltiplicano,
Ciano anco moltiplicate le figui e limili, come fie uorrò dire
“1551” porrò due pugnali; uno alla man delira, e l'altro alla. man
finiftra, e due Sèrpi uno alla fpalla delira, e l'altro alla Spalla
finiftra della perlòna, la quale con pugnali impugnati, e co braccia
curue ferole Sèrpi. Bisognando moltiplicar le migliaia per decine, e
centenaia; bisogna per le decine por le figure alla Centura delira, per
li centinaia allo Ginocchio deliro. Onde udendo dire “182659”, “182.679”:
“cento ottanta due mila sei cento cinquanta nove”; porrò nella cintura delira
d’un Eremita la fialchetta, et al Ginocchio un Fanciullino, che con
uq pugnale ò Spiedo, fora la fialca ; e nella man delira della perfiona
un paro di forbici colliquali tronca le corna alla
alla lumaca, quale ftl alla /paHa delira'; é con l'A/cia dell» man Anidra
percote il Serpe, che ila alla /palla fmiftra . £ Infognando moltiplicar
per migliaia, fi ponghino le figu. te alla piedi; onde «olendo
dire,518265 aggiungo fra li piedi dell’Eremita, che portailfiafco,
unferpe,chcuà amor der’il fanciullo il quale fora con lo Ipiedo il fufco
. E bisognando aggiungere altri numeri (i ponghino ordinatamente nel poggio, c
fcabello della per/ona del luogo ; ò uero fi ponghino nel luogo
antecedente, nell’altra pcrlòna. Eque ilo badi quanto ahi Numeri
aritmetica!!, che quanto alti numeri grammaticali /ingoiare e plurale^ dira nel
capo dell» Cafi. J J f d ili
| .r ' M Dclli Generi k s poiché li generi fi nominano con li nomi
di/esfi, perii genere ma Tedino farete che la perfòna fia mafchiaje
per il genere feminino fia donna. E per didinguer IL MASCOLINO e feminino
dal neutro, quando occorreflc, per quelli generi MASCOLINO e feminino,
Alcuni fanno che le persone habbino fuelati li uafi GENITALI; e perii neutro
l'habbino uelatij/c ben io li didinguerei col variar vela e, dando per
l'unoe l’altro fedo le mutande ò codiali, e perii neutro il velo
aggroppato. Delli Tempi, habbiamo da fàpere il modo di collocare
l'Annijli Mefi, liGiorni, rHore, il prelente, spallato, il futuro. Per l’anni
si collochi un fcrpente, che fi morda la co da, al modo che faceano gli
Egitti; significando che l'Anno fi rincuruae ripiega in le defiò, mentre
fi congiunge il fine, al principio. Li Meli fi podono figurare in
tre modi . Primo per li fogni ò caratteri delti dodici legni del Zodiaco,
ponendole figure idede, un Montone per Marzo, Toro per aprile, gemi
su tu per Maggio, ò li Caratteri ufati la man delira il Geniti
no, la fimltra il Dattilo,]! petto l’Acculàtiuo, il piede e gara ba
delira il Vocatiuo,il fimftro l’Ablatiuo.Si che, fc la parola è in calo
nominatiuo, fi ponga in telta; le ablatiuo fi ponghi al piede fimftro.E
per faper anco li numeri s’oflerui,chc la parte nuda rnoftra il numero
(ingoiare; la parte ucllita mollra II numero plurate. Per esempio uorrò
dire, Ego fum panis. Porrò un cello di pane in capo alla per fona, e che
il capo lìa (nudato ; il capo mi mollra il noinimtiuo, c la nudità mollra il
numero (ingoiare. E le l'ima gineè perlòna,li puòconolcereil cafo,ò per
la parte, ò per il Pegno, per la parte > Te Francclco hauendo tutto il
redo uellito, (blamente mi mollra la manfiniftra nuda, intendo il dativo.
per il legno, fètutta la perfona è nuda, che midi il (ingoiarmi rnoftra
la man finiftra ferita, al qual legno intendo il caso
dativo. Conuiene che le parole habbino i Ior PUNTI, per non ap
portar contusone al legente [JOYCE], come li punti finali, pcr fine del
periodo, li mezzi ponti per prender fiato; così conviencchc anco in quella
collocatione della scrittura della Memoria ui fiano le diftanze debite,
non (blamente tra leu tenza e Temenza, n.à anco tra parola c parola:
accio le lettere duna,non paslìno alla compofitione dell’altra parola E
quello oltra che fila, da una certa diftanzache fi de da realleimagini,
nfulta ancora dalla repetitione del Formatore, il quale collocando prefigge con
la mente, douefi comincia, e doue fi fini Ice. E fecondo, quello lì può Tare
con alcuni geftì, per ellempio, nel PUNTO FINALE [il clistico di R. M.
Hare – H. P. Grice], fare che la perlo na ultima del periodo dia di
fianco, con la faccia rivolta al rocchio del legente. Enel mezzo punto fare,
che feafid con le spalle al luogo, riuolti fidamente la faccia alla
delira, yerfol’occbio dellegentp. Nella diftintione delle parole fi può
fare, che la perlona donde cominciala parola, facci qualche gcflo, contro
la perfona dell’ antecedente parola, e quella perfona fi ririti in un certo
modo, dandoli quella ò con un pugno, ò con vn calcio, ò con altro
fecondo che occorrerà, per l'opportunità dell’magine, e
dell’annesti* -!iJ L’argomenti, che si fanno universalmcnte, si
riducono alli sillogismi, e alle consequenze d’entimeme, delli quali
balla qui dire della formatione dell’imagini, e del modo di collocarli.
Quanto alla formatione si tenghi il methodo universale, o formando immagini per
li concetti, ò per le parole, e fi sforzi il formatore formar 1 In aginc del
mezzo termine. Quanto al modo di collocar l’argomenti, o son syllogismi, o
entimeme. Li Sillogismi, che hanno tre propositioni, la maggiore si colloca
alta man delira, la minore alla man siniftra, la conclulìone al capo. Se
bisogna provar la maggiore, le prove fiano collocate al lato deliro
ordinatamele. Seia minore, fiano collocate le prove nel lato fini(lro,e
feoc corre fare un prosìllogismo dalla conclufionc, che enei ca-,
pórli tiri la minore nel petto, la conclufione nel ventre. Se l’argomento
ha in confequcza; l’antecedentc llia nella ma de fera, il cófequcte nella
finiftra. E se bisogna provar consequenza, si collochino le prove alla faccia,
petto, e ventre. E felatcce détcs’ ha da ^puare, si collochino le prove
al lato suo deliro, e quelche bilògnafle per ile conseguente, si collochi
nel lato fini(lro, haucndo memoria delti luoghi, ch'io formai ordinatimente
nell! lati della pedona fiumana, e quello Modo balla per fiatelligenti, à
quale fofficicnte in tal propofito collocar Immediatamente, mà ehi uoleflfe
collocar ogni colà mediatamente per imaginipotrà (cruiriì dclli luoghi
{labili ordinatamente. Per citationi intendo quel riferire che si
fà delli Libri, delli Numeri de Libri, ò di capitoli, ò di titoli, e di
limili. Lequali si uariano, secondo la uarietà delle profeslìoni;
onde il Theologo cota dift. par. ar. memb. Il Filosofo tex. com. Il
Lcgillaìeg. glof. tit. $. confil. Il Canonista quell, can.&c. c tutte
le Cotationi, io le riduco a tre capi, Libro, Nome di Libro, et Aggiunto,
dclli quali dirò didimamente. Della Cotationc di Libri, c Nomi di libri,
mi riferifeo à quel ch'io disfi, nella Lctt. 1 5. della collocatone di
Libri; aggiungendo, che li Nomi di libri, ò titoli di libri, si pollono ideare
con l’iflcsfi libri; quali noi vlàmo gornalmcnte,c di quali damo
polfcfibri. Laonde fc uorrò citare Ai ili. nella Metafilica, io pongo nel
luogo, in mano d'Arifiotcle il mio libro della Mctafifica . E le vorrò
citare il Macllro delle fentenze, vi pongo l'iflcflo mio libro delle
fentenze del Mae ftro. E cosi fi può far de gli altri libri, in qual fi
voglia prò fesfionc. E di più, fe li nomi di libri d’vna profesfionc
tufi, {èro pochi, come tre ò quattro, fi potrebbono diftingucre con
li colori, vn nero, vn bianco, vn rollò, vn giallo, &c. co me San
Giouanni che ha fcrittotre libri, Evangelo, Apocalisse, et Epillola,
diftinguerò quelli tre libri con tre colori rofTo,ncro,uerde, per
l'Euangelo colloco il libro rollo, in mano di San Giouanni, per
l’ApocalilTe il nero, per FIEpiflolu il verde. Con fimil muodo facci il
Filosofo, il Legilla, c qual fi uoglia profefiorc. Dclli Aggiunti
della Cotationo. S ’Aggiunge al Libro, c Nome del libro, il capitolo, il
nu* meiOjò limili. Quello aggiunto alle volte precede il nome del libro,
alle volte fosfieguè ; precede quando l’Autto rehà comporti molti libri
in vn medefimo (oggetto, come fe diccfte, Agoft. lib. 1 2. de ciuitate
Dei, all'Auttore dò il Libro, fieguc il numero, quale precede il nome
dell’opera e libro. Alle volte lòsliegue,& è di due (òrti, immediato,
mediato. L'aggiunto immediato c la particolar cotatione di ca pitoli, di
dift. di terti,e limili, come s’io dicelle, Aug. de Ciuitate Dei quella parola
cap. è aggiunto im mediato, fi come il numero 4. c l’aggiunto mediato.
Eque rto aggiunto mediato, alle uolte fi fa per numero; come nel
J'addutto elfempio . Alle uolte fi fà per parola, come vfa il Legifta,c
Canonifta, che adduce la prima parola della legge, Pan. in c.tua nos. e
con l'ifteftb progrefi'o, ò di numeri, ò di parole, fi fanno molce
Cotationi mediate, fecondo ladiuer fità delle profesfioni . Per le
cotationi di numeri s’auer a, primo, difarle ordinate, il numero del
libro fi ponga alia parte del libro, et il numero del capitolo ail’altra
parte ; accio il formatore non fi confonda, per elfempio dicendo Au- {
;uft. Iibr.a.de Ciuitate Dei cap.7. nella man delira li dò il ibro, e con
fiftelTamano li fò moftrare due dita fpiegate, che mi moftrano li due, e
nell’altra mano li dò lo sguadro » colquale tocca U capo; e coli hò dal
capo il capitolo, e dallo sguadro il 7. Si noti fecondo, che quelli numeri fi
poP fono formare, con l’irtelfe dita della perlina ; e quando il
numero trapalfa il cinque, fi pongano l’imagini di nume ri alle parti del
corpo della pcrlona, conforme alle Regoli date di numeri. La Cotatione
della parola, del capitolo, del titolo, ò della legge, tkc. fi formi con
le Regole deljlmagini delle parole figurate, ò non figurate. Laonde per
la parola de vfu ns, quel formatore poneua vn Hebreovfuraro. De gli
aggiunti di capitoli,.di tedi, com. gioii leg. $. e limili, fi pollino
formare in tre modi; primo, per Imagini, conforme al Methodo allignato della
formatione dell’Imagini. Secondo, dipingendo, ò (colpendo nel libro, in
lettere maiufcole quelle Cotationi; o ponendoli caratteri del quarto
Alfabeto nella perlina . Terzo, per via Notariaca dal nome, che principia
con la prima lettera della della Cotationè, fcruendol! ùell’irteffa
perfoha j Laonde! >er cap. coiti, can. conf. tocchi il cappello, o’I capo,
o’I col o, ol cigl o ; per tit. tex. tocchi la tempia j Per dirti
Dub, tocchi li denti; per legg. Iett. tocchi la lingua, ò le labbia
; per Glof. la guancia; per num. tocchi il nafo. In fimil modo fi formino
laltre, con li nomi ò volgari, ò Latini della perfona humana . Mi lì
guardi ilfoamatore di non feruirli d’vn’iftelfa parte humana, per due
Cotationi, quando nell'ufo l’occorra l’una, c l'altra Cotatione;perche
l’apportarebbe confu (ione, fe pure non la dirtingueilecon qualche legno, come
fe il labbro corallino dica Legge, il lmido c nero dica Lettione ; il capo
biondo dica cap. il nero com. il bianco confi e coli de gli altri.
Delle Dittature. Per dittature intendo lo rtupcndo dittare d'alcuni
profeffori di queft’Arte, hquali in vn medefìmo tempo han dittato à
cinque, ò dieci e più acrittori, con dire dieci parole di dieci (oggetti
ordinatamente, e poi fèguitare le tralafciate di mano in mano, fenza errar un
iota dal propofito foggetto di ciafcuno. Il far quello perdono sopra naturale
(GRICE: NATURA) c sopra nostro humano, non cade sotto le regole dell'arte
(GRICE: ARTE). Mà il farlo per arte, in quanto poslìamo noiafeendere, mi pare
(i facci in qucfto modo cioè . Che il dittatore formati h (oggetti diuerfi, ò
di Lettioni,òdi Prediche, ò di lettere milione, ò di qual (ì voglia altro
(oggetto, e difpofte le parole in tanti fogli, quanti fon li soggetti ; prenda
ordinatamente le parole alternatiuamcnte da ciafcun fogl o, He le
alberghi nelli Luoghi. Per cflempio, la prima parola del primo loglio nel
primo Luogo, la prima del secondo foglio nel fecondo luogo, la prima del terzo
foglio nel terzo luogo, e coli di mano in mano finche faran collocate
tutte le prime parole delli dieci fogli. Poi fi ricominci, c la feconda
parola del primo foglio, (ìa collocata nel vndecimo luogo, la feconda del
fecondo foglio nel duodecimo luogo, e eoli feqnendo. E finite le feconde,
fia^ no con l'illcffo ordine collocate le terze, poi le quarte, poi
le quinte, finche fitran finite tutte le parole. E udendo dit tare facci
diftributione delli soggetti alli Scrittori, fecondo l’ordine delli fogli
fcritti, già collocati . E facendo fcriuere vna parcla per vno
ordinatamente, alla fine ciafcuno Scrittore ritroueràil fuo (oggetto compito . E
quell’ordine che fi tiene delle parole, fi può tare ancora delli
concetti, òdcl le fentenze ; fc bene il primo delle parole pare più
stupendo. E chi voleflc dittare per ogni uerfo, primo dal primo
all’vltimo, poi dairvlcimo al principio, potrà con fimil modo collocar le parole,
che giungendo all vltimo non fi ricominci dal primo, ma dall’vItimo.E chi di
quello modo fi feru i (le per raggionare, farebbe un modo di raggionare allo
fpropofito ; fe ben’ordinate poi le parole,ciafcuna al fuo (oggetto, ri
ufeirebbono al propo fito li raggionamenti, come .j
appare in quello effempio diquattro dittata- E-tv, Per quello
uerfo fi Collocano, e dittano. 3 Ci i-i
i Aue 2 Benedid* Ti Nunc 4 Magnificat 'o
pp 0 o ' 9 Gratia
IO Deus I 1 Scruum I 2 Mea
c 3 0 rp "-i 1
3 Piena 4 Ifrael s Tuum
I 6 DominCi u> n ciT c
• o •no 17 Dominus i
8 Quia 9 Donnine 20 Et £0 •*t 0
o 2 I Tecum 22 Vifitauit 3
Secudum 14 Exultauit 1, Li Numeri moftrano li
luoghi iuccesfìui. •V*'. i
. Quello (la detto del dittare 1 molti per Arte ; lafctamfo di
qqcl che fi polla per felicità d ingegno, come credo facef fc Giulio
Cefare, Uguale dittaua à quat o, et egli per qutn . to fcriuea altro
figge to, come credo, anco lacelle Origene Adamantio ( non però lenza
fuperior dpno)il quale di continouo dittaua à lètte Icrittori ; per lo che non
e incredibi Icych'cgli componefle fei milia uolumi, qluli tellifica hauct
Midi San Geronimo. Della Libraria della Memoria. E Tanta la forza di
quello ricco tcfbro della Memoria, chcdiuenca anco Biblioteca ò Libraria,
e con maggior felicità e facilità delle librarie, nelle quali fi gloriano
communemente gli huornini (ludi oli. Non attendendo che 1 ha ucr
libraria, non c perfettioneperleità; ma imperfetta, che (opplilce all’in
perfetto de gli huornini. A Ili quali mancan do la memoria fecónda piena
et adorna, con la tenacità e e permaoentia perpetua dell' fimoIacri,(bn
conllretti tener copia dij'bri, dalli quali. posfmo riccucr li primi
concetti delle colè, e nuocar li dimenticati . Per lo che Iddio
ch’c 'perfettiifimo, non ha quella che da noi è chiamata
pcrlettiotiejpoichc neH’illeira effenza lua, come in terlislimo fpcc chio
uede e contempla ogni cola. Gli Angeli ancora, non han bilògno di
libraria ; poiché per la cognitione uefpcrtina, cheè delle creature nelli lor
propri! generi, hanno la memòria perfetta, fin da la lorcreatione,
quadofu 'or data ogni pienezza di fimolacri, così tenacemente impresfi,
che tempo non può Scancellarli . Simile dono lù fatto a primi
noftri primi Progenitori; la onde non hauerebbono hauuto bisigno di libraria,
poiché nella lor memoria per dono gratuito albergano tutti li limolacri.
E perche il peccato, quali ladro ei lpoghò, e tra gli altri beni ci lolle
ancora què Ho dono, et introdulTc per peggio noltro l’ignoranza.
erim hebecillita; per l’Ignoranza ciascuno nafce con la memoria no
. da, come ingelfata parete; e per la imbecillità alle fatiche'
dell’acquillati fimolacri bene fpeito foccede obliuione. In- 1 di per
fouenir’ He all’ignoranza, et all’obliuione; l’Arte hi. introdotto
l’aiuto dclli libri. Li quali ancora lopplifcono. à due imperfettioni,
dillanza, e morte; perche non elfendo prefente la uocc dell’Auttorc ò
maftro, fopplifcela fcrittu ra del fuo libro ; et eflendo egli morto,
uiue nella fcrittura del libro, per lo che li Rudenti mentre ftudiano
(come fi di ce per prouerbio)parlano con li morti.Se bene dunqueli
li bri (ono utili,cneceirarii al noftro (iato imperfetto; non
dimeno (ludiati che fi fono una uolta, meglio è hauer la Me moria per
Libraria, che 14 Libraria di carte e (critture; poi che la Libraria
cfatta,per fopplimento della Memoria. C fe così è, meglio è hauer la
memoria, che c il principale) chela Libraria che è il fopplimento; fi
come meglio è hauer la gamba e piede di carne e d’ossa, che di legno. In
oh ire quella Libraria apporta fatica, fpcfa, pcfo, travaglio; que
(fa non è d'altra fatica, che di ufiria. Di più la Libraria è in uno ò
alcuni luoghi 1, non in tutti feuza grandisfima incorri modi ci; quella l’haucte
doue ui trouate, e lènza pagar altro nolo che della uoltra perfona la
portate vofeo doue uo lete. Quella conuiene (blamente à ricchi, et à chi
abbonda in denari; quella c commune anco à poueri. £ fe quella ui
fa Huomini, quella ui fa fimili all’Angeli, et à Dio, li quali ogni
feientia hanno fempre feco. Echi non sà che le cofe quanto
piùs’auuicinano al perpetuo e necelfario, tanto più fon perfette ?
l'uniuerfile,come cheaftrahe da tempo e luo go c più a(lratto,c
confequentemente più perfetto del (ingoiare, il quale c immerfo nel tempo e
luogho; la memoria ha ptùdcll’adratto che la libraria ; poiché li libri
con l’ufo e tempo s’inuecchiano e confumano, la memoria con l’ulb e
tempo fi perpetua; quelli perifcono, quella fempre refla; nè (ì puole
commodamcnte hauer per ogni luogo quella Si blioteca come quella, che
uiue e dimora lèmpre col formatore. L’Oracoli parlano à voce prefentialmente, e
Oracoli fono (limati quei làpienti, li quali all'improuifo, senza girar l’occhio
alh libri, rilpondono elquiiitamente ad ogni proposto della lor
profesfionc; Come fifa quello Te noti con l’aiuto della libraria della
memoria, la quale toglie quel rinconuemente, chc dille una uolta UN
FILOSOFO di quel Me dico equiuoco,ilquale refpexit librum,&
mortuuscft aigro tus.E fé ben’io ammiro l’induftrta di Gordiano
Jmperadore, il quale lìimaua camole lettere eie fcienze,che più atte
(èall’acquillo di Libri, che al teforo d’argenti, d’ori, e di gemme. La
onde li legge, che raccolte nella Tua Libraria tef tenta due india
uolumi. Lodo la diligenza di 1 irannione Grammatico, (che uilTeà tempi di
Pompeo magno) ilquale liebbe in fuo polle fio tre milia libri. Stupifco
delle Pergamene Librarie, le quali, come riferifee Plutarco, haucano
ducento milia volumi. Ofieruo grandemente Tolomeo Filadelfo, il quale per
compir la Tua Libraria, quale ordinaua in Alelfandria, ottenne dalli
Gerofolimitam tettanta dclli più teuii et clpcrti nelle l'acre lettere, c
pr «felibri dcllVn’e l’altro Idoma, acciò li traducelfero la Bibia (aera
da hebreo in greco. Mi più ammiro, lodo, celebro, et ofleruo la Libraria
della Memoria, che hvbbe Lsdra, ilquale come riferitee Eulèbio,hauendo li Reggi
Caldei prelì li libri tecri di Mofe, egli tutti ad Verbum h recitò, e dal
fuo recitare furnodittati in quella maniera, che poi la Sinagoga 1
adopraua. E perche non me chia&o, fc quella Libraria di Ete dra,
folte artificiale, mi balìa auteporui I’cltempio del Rauenna, ilquale tanto fi
gloria di quella Libraria delia Memoria che dice, Cum patriam relinquo, ut
peregrinus urbes Italia? uideam,dicerc polTum, Omnia mea mecum porto. E
perche non mancheranno di quell’che uoranno formarli quella perfetta
Libraria; pcrò allignerò alcuni Capi, dalli quali potrete raccogliere il
modo. È di neccsfità haucr m’gliarac migliara di Luoghi, quali fi
potranno formare alla giornata, fecondo che con 1’occasione dello (India.
re, creile il bisogno del formatore. Quel tanto ch’il formatore alla giornata
ordinatamente, fecondo l’ordine della Scicntiaò Artc,(ludia della fua
profesfione ; gtornalmente collochi il tutto nell 1 formati Luoghi, non
tralafcian do colà che Ila necelfaria Terzo, Quelli Luoghi pieni
firn pre rellano piente per hauer la fermezza c tenacità
della Memo- M€nàona, cbe 6 dcfidcra eotitrtl’óbliul olle > tH« e
il Urlo e. la poluè,che rode e dftirugge quella Libraria; bi fogna
rivederla con l’vfo della ripetitione. E quello fi può fare con pi gliar
vn giorno di vacanza della fertimana, c ripetere quel che nouamente fi è
collocato in quella lèttimana, 3c in un'al trhora ripetere vna parte
cominciando dal principio, s forzandoti che fia tal notate compartita la
ripetitiope, che per ciafeun Mefc fia npetita e rcuifta tutta la
Libraria. Per la qual ripetitione ancora fi potrà dare quell hora, eh il
forma torc fi troua difbccupato dall’efiercitij diurni, ne i giorni
fc ftiui. Sicomc nelle Librarie fogliono alcuni tener Qija dri
dipinti, con ritratti d’Auttori, di Sapienti, o potenti, di fe mcdefimi,ò
d’alcun'altre pitture bene fpeflo vane, e lafci ue; il formatore di
quella Libraria vi ponga Quadri di San» tif eleggendoti vn certo numero
di Prencipi del Paradilb, Angeli, et Huomini, c quelli fi conftituifca
per Protettori di quella bella imprela, raccomandando à cialcuno di loro
vn libro, ò vna fetenza, ò vna materia, fecondo che meglio pare al divoto
formatore, et à quei Santi il formatore oiicri Ica, voti, digiuni,
oratio.ni, fecondo la (uà diuotione,5cc. Quinto la Libraria come
scrive VITRUVIO (si veda) debbe cfler fat ta dirimpetto all’Oriente,
poiché l'vlo di libri ricerca il lume mannaie; c perche la Libraria della
Memoria adopra lume interno, però io aucrtilco il formatore, che li sforzi d
ha ucr r.Oricnte Spirituale che c Chrillo, chiamato oriente da vn
Profeta, Ecce vir Oricns nomcn eius. Anzi Chrillo c il Sole, come di ife
vn’altro Profeta, Orieturvobis timcntibus. nomen meum Sol iuftitiat. E1
Oriente diquello Sole,quan to alla deità è il Padre eterno, e l’Oriente
quanto alla temporale huinanità è Maria Vergine. Dirimpetto à quelli oric
ti c lumi debbe il formatore drizzai lafua Libraria; sforzan doli di
fuggirli peccati, e conferuarfi nella gratia di Dio, poi che, Imtium
Sapientia: eli timor Domini. Sello, ficome nelle Librarie li libri (on
polli con ordine, fiche in vna parte fon ripolli quelli della logica, in
vn’altra quelli della Eliofoba, in queiraltro canto quelli della Geo
mctna, &c. coti bifegna ordinarli luoghi communi, che trà P
loro i toro fiano di'ftintì . Per esemplo, neHI luoghi tTvft*
Ciftà -cojloco là Logica, et in quelli d’vo’aitraJi FilofoAa, in quelli
della terza la Theologia, et in un luogo comniune della feconda Città ei
colloco il primo della Fisica, nel secondo il secondo, e co fi procedendo
nell» fequenti libri della FILOSOFIA. Equeft’ordine èneceflfarioj, per poter
fubito ri tcoaara li libri, eli (oggetti, che A defidcrano . E fc mi
dirai, che quella Biblioteca hà del fa ti còlo affai . Secondo, pare che
la Memoria, nó porta (offrire tanto pefo.Terzo,parc vn Chaos di
confttAonfc» Ache l’Huomo non puole à Aia voglia ritrouare le materie c
(oggetti. Quarto, come A farà, in voler for mare vn raggionamento da
quefta Libraria . Quinto, fe occorrere all» giornata aggiungere alli foggetri
albergatrnuo" ui concetti j' non A potrà far quello lènza confusone
dello prime imagini. Sedo, come A potrà contemplare in quefta
Libraria. Come porrà il formatore feruirft di Iuq» ghi va coi. Ottano, fe
conuienc à Padri di famiglia £ar che, IL Figli ftudiofi Aano arricchiti
di quefta Libraria. Rispondo didimamente à quefti otto Capi, per
compimento di quefta Libreria Al primo, dico che A come il
pefeatore non pup hauen pefei lenza bagnarA, nè l'auido trouar The Airi
senza romper Terra e làsli; coli non può l’huomo far’acquiftodiquc-t
ft'inclphcabile vtdità, fenza gran fatica. Laquale pare grande, perch’è
infolita e non polla in vfo;ma cominci il forma torèconle dueguide,
diligenza, e patienza,à farne dpcrien 2 a,e conofeeri che, mi dithcile
volenti . Fingono li Poeti, che Giafone con fatato di Medea acquifta il
vello d’oro ; mi non però fenza vincer e domar Tori, arar terra, feminar
denti, armarfe contrafchierearmate, fupcrar Draghi « Medea c 1 Arte della
Memoria, Giafone il formatore, Tori Draghi, dicroti fon le fatiche, li
pudori, le vigilie, f impcdimenti, li patimenti, che s’offerifeono alle
frontiere di que_ fta imprefa, quali peròdcuono efter foffriti, e vinti
da colui, che alpira alia palina c corona d’vna tanta felicità.
Al fecondo, dico che la memoria, quando con bel’agio, et à poco à
poco uien' alla giornata ripiena, non fentepelb edifturbo, anzi diletto e
follcuamento; poiché col riccuer nuoui nàoui tìmolacrl. Jr,che
con lelperienzartegionano-dr quella utilisfima e ne diària ptofesilonc.Nc
chiami inutile ingombro, e fatico» fo impacciò, il teloro
utilisfimo,elucidisiimo di fimolacrt. Poiché li Luoghi et
Iinagini,fono come penne ciuanni, che aggiungendo pelo all’ Vccllo,
rapportano facilità et agilità, inerauigliola al aolojcosi mentre
s'accolla la Memoria Luo ghi,8t imaginiycon qacfti come con due ali uola
con facilità itupenda^pcr l’altezza della contemplatione,& attione in
terpetratiua JE J fe quelli mezzi fon difficili; fegoo à che il fi N ie è di
gran preggio-E chi mira l’afprezza del mezzo follmente^ non l’agcuola con la
dolcezza del fine,c incauto et
impcudenccvpoichcfauio,c prudente è colui, che contrape’
findoiljialore&: il preggio del ficee dcll’acquifto, difponecon prudenza,
intende con fapicnzajabbraccia'cori' rorezza, lìegue con patienzali debiti
mezzi. E non peflo fi 1 non marauigliarmi d’Ippoino, il quale biafima
l’Arte della Memoria, e pur fenc fcrue ; perche fi non è eie-co, quand’egli
collocai un’gratnone à Memoria, non fa egli- Memoria IocaIc,nelli fogli delfi
carta feri nailon de prende* le parole ò concetti, elicgli colloca?e
fibenequcflameriio ria locale, non cl’ Arte fpicgata,è nondimeno Arte
confa* magini, dclle tpia li diccsfm.o; ìSc ii> parte hauerli pofiono,
da quel che fìegue. Priipo, per utilisfimo documento, hab >i il
formatore qualcheparticoiar diuotionc, per li luoghi, per la
collocationedeHimagini,c per il recitare. Per li Luoghi formandoli habi
bia l’occhio fé ui troua figure di Santi, Altari, Ctocififiò Jmagine di
Maria Vergine, e per ogni luogo commufcc fi a-, legga tre, quattro, ò
cinque, più ò meno ( fecondo la copia di luoghi, e fecondo la diuotionc
del formatore ) di quelle finte Figure, et alli lor figurati, con effetto
pio raccoman- x di la tutela della Memoria, sforzandoli che il
primo»& ul-> timo luogo fiano figurati . E quando ripetendo i
lunghi uipalla Culi la mente, "li facci il formatore riuerenza,con
qual chfcdiuota Oratione. Il limile facci prima cbenelli Luoghi;
collochi l’ImaginijC prima che recitile collocate; diodo un S,ro
6i giro con ti mente, per quelle defignate figure Sante, è
eia-' leuna offerendo calda oratione,c mentale, e uocàlc.
Secondo, auerca il formatore di non effer fcru polo fo intorno al veder
lume prima chcegli uadi à recitare ; perche quantunq; fia ben fatto
dimorar in tenebre, et in luogo ri*c tirato, e (olitario,e lontano da
ogni ftrepito, mentre ripone le Imagini à memoria, e coli in quel tempo
che è immediato il recitare: Non dimeno ftar tempre cofi, e non ueder mai
lume, fenò quello ch'egli uede quando recita, è colà perighofà; perche
i’infolito apporta dirturbo e confusone. Però (limo ch'il f amatore debba
una uolta à luce aperta^ ripeter le Tue cote. Terzo, ripeter fra
ftrepiti e fragori gioua: perche asficura la Memoria intanto, che per qual fi
“voglia ftrepito ò ca fo che auenghi poi fra’l recitare, non fi (marritee
il dicitore. Indi è da effer notato, et imitato l'effcrcitio di Demoftinc,
ilquale per telleuarfi d’alcuni difetti di natura, come r.fe ri tee
VALERIO MASSIMO (si veda), combattendo con la natura, la uinfe con i'artificial
effercitio. Imperochc effondo egli Bacco di fianchi, e debole di
lcna,& perciò impotente al dire, s’ingagltardì con la fuica, et effercitio;
auczzandofi à recitar mol ti ucrii ad un (iato, e pronunciando mentre con
ncloci paf fi (àliua per uiefaticolc, et erte. Oraua dirimpetto alli
fra* gori marini che pcrcoteuano li (coglie li lidi; si per fortificar la
lena, come anco, acciò afluefatte l’orccchie à quel rumore e ftrepito del
ripercotimento del mare, potettero patientemente al rumore della ragunata
moltitudine perfeucrarc, non sgomentandoli nel (ènte, nè uacillando con
la Memoria. E per hauer la lingua piu fpedita e fciolta alla loquela,
ulàua pariarea lungo, con te pictruzze in bocca; accio uacoa folte poi più
pronta, et efpedita.Et hauendo la uo ce tettile e molto a fpra, e noiofa
aU’audienti; col continuo ef fermio, c grande induftria, la ridufse al
maturo, graue, egra to fuono. E perche nel principio della fua giouentù,
quali fulinguato,non poteua bcn'cfprimere la lettera che noi chia
marno R. laqualo principia il nomò dell' arte Retto ri ca, che egli
imparbua ; usò tanta diligenza che muno dipoi la proferiua meglio di
lui. Quarto, bifogqa rifuegliar le tepitc, e Ranche forze deli i> Q^. te
I le potenze, quando fi ua 1 recitare, con raiutl /pirituali, e
corporali; li primi di orationi à Dio, et à Santi, li fecondi •con alcuni
riftoratiui, come nell’Estate rifrelcarfi il uolto,e mani, neirinuerno
prender un’alito di fuoco, odorar cole grate, purché non fiano dieccesfiua
qualità; toccarfi le narici e polli, con odorifero uino,e limili, fecondo il
coniglio del perito Medico. Quinto, habbi l’occhio il formatore di
lenirli della Me mona, non come fine ultimato ;-mà come fine ordinato
ad altro fine, cioè feruirfi di quella all’ultimo fine dell’orare,
eh e il perfuadere,e ricordili che non li troua la maggior per ucrfità,
che peruertir l’ordine, e lèruirfi del mezzo per fine; Ilche accenna
Agostino in quel detto, Summa pcruerfitas cft frui utendis. Le parti oratorie
fon fini, mà però ordina tiall’ultimo fine del persuaderc; però non
conuiene affettar tanto quelle parti, che all'ultimo l’audiente lòdi
quella ò qwe fi altra parte, fenza che relli uinto, prcfo,emoflo dalla
per fualionc intenta. Dedalo uola per mezzo,’ nè col gelo baffo
soggiaccia, nè colcalor loprano fi liqueface; mà Icaro incau to, ilquale
inuaghito delle nuoue, et inlohte penne, affetta con troppo alto eccelfo
il uolo; fapete che ruinofo cade nel 1 \ l’onde falle. Coli quelli che
allontanandoli dalla prudente mediocrità, pongono tutta la lor mira
nell’cccelfo di Memo ria; cadono per l'imprudenza, perche non mirano il
fine ^ che deu’elfer fine ultimato;e perche mirano il proprio hono
re,& una uana pompa, non l'honor e gloria di Dio, di qua li può ben
dire il falmeggiante Dauid. In fecuri,& Afciade iecerunt eam. Parla
il Profeta di quelli, che dislì pano la Chic fa, con ilparolarc,e
memorare, che fon parti di chiraggiom - na. La fecure c la lingua ò parola, per
loche Dimolline fi> lea dire, che il fuo auer fario oratore Fedone era
vna fecur re; perche con breue, mà acuta oratione molto li
refifieua, e contradiceua. L’Afcia come fi dilfe mollra la memoria,
per lochenci Sepolcri gli antichi fcriueuano quell’Elogio.Sub
JVfciam dedi vetuit . Con quelle armi ;gli Eretici cercano disfipar la
Chiefa, c li vani Oratori poco frutto l'apportano, mentre s’aggregano al numero
di quei Maellri; di quali predille S. Paolo. Ad fua defideria coaceruabunt
magillros prurientcs auribus. Dilettano l’orecchio, con puoco
frutto J del 6 % détto rptrito: vogliono parer
ftupendi, còito felicità di Memoria,6t afFettatione di parole, nè curano
d’efFer fruttuosi à convertir gl’animi à Dio. Dunque conftituifcafi l’oratore
per fine quel che deeefler fine cioè, l’acquifto dell’audienté S ual’è
feopo, per cui è ordinato il Tuo officio; c per quello ne poi; fenza
affetiatione, farà lecito adopr.tr come mezzi le nobilislime parti della
Memoria. Serto, verte in dubbio tra gli formatori, (è è meglio ripor
à memoria le parole, ò li concetti nell’vfo dell orare, predi care,
craggionarc, in diverse profesfioni.Collocar parole c quando li fcriuono
cento ò ducento parole in vn loglio,e coli fcritte fi ripóngono in
memoria, c le iflefFe collocate c scrittc poi si recitano . Collocar concetti
è quando il forma tore fi forma il concetto, et cfphcandolo poi con la
lingua non s’obliga à premeditate parole; m^ lo fpiega con quella
fauella, che all’irpprouifo la maftra natura gli fomminirtra. Chi ha tempo da
farlo, c fenza dubbio meglio ripor le parole: perche l’Oratore humano ò
Ecclefiaftico,non direbbe cofa e parola, (è non premeditata, fecondo il
detto dì Dauid, che dcfcritle le parole del Signore eflèr premeditate cfà
minate, et raffinate sette volte. Eloquia domini, eloquia carta, argentum
igneexaminatum, probatum terrac, purgati septuplum. E come premeditate
farebbero proprie, fcclte, ornate d’eloquenza, abbellite di colori rcttorici ;
non uaneggurebbe il ^dicitore fuor di termini defignati, non
difcorrcrebbe con digreslìoni lunghe, e noiofc, ollcruarebbc l’amata
breuità, aggiungerebbe di parte in parte al dire futili gerti del corpo,
e tuoni della ucce, che richiede un'cfquilita pronuntia.Mà perche non tutti li
foggetti ricercano quert’obligo parolato; nè tempre à ciò fare il tempo è
commodo c (officiente ;t brache in alcune occafioni, fom- Kninirtrando lo
fpirito celerte nuoui penfieri e nuovi colori in premeditati, non deue il
dicitore farli reftrtenza, òporfi impedimento: però il collocar concetti ancora
non è, da eflcr biafmato. Nel collocare e prccifàmente i concetti, per
facilitar la memòria all’ufo del parlare,!! sforzi il dicitore d’m
ftttitfef efquifuamenre il concetto, e diffonderlo anco in car ta; c
prima cheto fpieghi in publico x 1 efplichi da fe folo, ì z
uocc noce quanto più li pud intelligibile: perche pofledendo be ne
il fatto, con facilità e habile à narrarlo. E fcriuendo, e re citando
uien‘ada(Tuefarf), et habilitarfi maggiormente; e affuefaccndofi, s’apre
la firada alla chiarezza maggiore del (oggetto, alla qual chiarezza
fìegue poi prontezza c, uiuaci tà maggiore neidire. Larto di
fcordarfc/. \rA i‘ ;i:> .) i il ii. t atti _>t
SE bene, oppofitorum eadem difciplina, ir. tanto che ha uendo noi
detto a badanza della memoria, potrebbe eia feuno da fé (ledo intender
che cosa lia il suo opposto eh’ è l’obliuione; non dimeno perche
daU’obliuione lì prendono alcune utilità in qued’Àrte, è bene à
trattarne, non inquan to e didruttiua, mà in quanto per certa consequenza
accU dentale è perfettiua della rimembranza . Perche hauendo fcoggi
recitata un’oratione, e udendo din ani fcruirmi del rdleslì luoghi,
trouandoli in gorobrati dalle precedenti ima ginij come me ne potrò io
feruire, tènza grandiffima difficoltà e confufione? Dirò tre cofe, primo a che
cofa ferue qued’obliuionc, fecondo a chi è facile per natura, terzo
fé per Arte si può far dimenticanza. Qiiant’al primo dico, che noi
collocamo Della memoria tre sorti di cose, le prime del le quali uogliamo
fempre ricordarci. Le feconde delle quali uorresfimo,fe poteslìmo fempre
ricordarci. Le terze delle quali uorre>fimo fubito fcordarccne. Le
prime sono i luoghi dabili, e quelle imagini di dottrina, quali noi collocamo,
acciò tèmpre diano uiue nella memoria, per la felicità •del fapere, come
fece il Raucnna che tutto quello che hauea dudiato, lo colloca nelli luoghi
intanto, che non har uea bifogno d’adoprar libri, e per chiarezza di ciò,
noi hab daino dato il modo di far la Libraria della Memoria. E
rifpctto a queda memorià, noi non uogliamo obhuionfc 9 dimenticanza ; e
fe pur fe ne tratta, l’intento è di trattarne come fàil medico de gli Vcneni,
il Grammatico deH’inco» gtuo o, il Logico del fallo, per
fuggirli, non per feqnirli. Le ècondc colè fon quelle, delle quali fe fu
lfe posfibilc uorref fimo lempre ricordarci, come fono le prediche ò le
partì principali di quelle, le quali haueresfimo molto caro che ci
feftafleno Tempre nella memoria, mentre dura l elfercitio del predicare;
accio douendo farle, c recitarle altre uolte, lènza ugual noua fatica di
collocarle, ci reftalfero tenaci, e urne nella memoria. Mi perche quello
è difficile, però fat te e recitate una uolta,non curandoci che fian
fepolte nell’obliuione, defiderando li luoghi uacoi, defidcramo Metodo da
poterci dimenticare di quelle, e a quello fcruel’Arte dell’oblivione. Le terze
cofe fon quelle, che le collocamo alla memoria per fcruircenc una uolta fola, e
poi dclide raresfimo chcfubitoct ufciflcro di mente; come fono le
Comedie, et altre cofe fimili collocate da recitatori. A que (lo anco
ferue l’Arte de l’obliuione ; fi che non e inutile il trattarne, accio
non habbiate a lamentarui, come faceaTemiftoclecon Simonide, che più torto
dcfidcraua l’Arte di dimenticarli, che del ricordarli. E lìa sempre
lodato GIULIO (si veda) Cesare, che così facilmente fifeorda dclfingiurie
riceuute; oue nel reftantchauea felieisfima memoria, la qual Arte è più torto
christiana, che pagana; per lo chedicca. Nulla Laudabile Obliuio, nisi
Iniuriarum. Quanto al secondo, dalle cose dette nelle prime lcttoni della
memoria naturale, in qual temperamento e qualità c fondata, lì trahe pep
consequenza, che quelli liquali fon felici nell’apprenfiua per l’humido,
facilmente all’equifcono l’effetto di queft’ Arte; ma con molta difficoltà
quelli, che fono per la complefr fione fccca tenaci et aridi. Quanto al
Terzo dico, che l’Arte gioua aliai, per farci feordare; fe bene nefee più
difficile che il ricordarci, e quello per mancamento del tempo, il
quale e padre dell’oblivione. La doue uòlendo noi in un fubito,e fenza
lunghezza di tempo dimenticarci, si tratta via estraordinaria, c potenza
maggiore si ricerca, per ottener l’intento. Oltra che effondo la memoria
perfezione dcllana tura, lobliuione imperfettionc; più inten fan ente è
quelli riccuuta,c più caraméte ritenuta. Ma quale lìa quello muo do
di far lobliuione, non e facile dimortrare. Li Poeti ci mandarebbero à
ber l’acqua di Lethe fiume dcU’Abifio, del s cui cui fiumare gufando
fS dimenticare tutte le colè paflàtcj onde e detto Lethe da lithis,che
uuol dire obliuìonc. LiCof mografi ci manderebbono ò nell’ilbla di
Zca,oapprelTo Cli 1 tone Città d’Arcadia,douc fon’acque delle quali
chiane bc- ucdiuenta (memorato; ò pure ui condurrebono inBoetia, ouc
fon due Fonti, l’un de quali fà buona memoria) e Tal tra fà fcordare ogni
colà. Il Rombercli dice, il profelforc di queft’Arte habbi molti luoghi :
accio polla uanargior-, nalmente,fi.che palTa col tempo la memoria
dellimagmi Mà quello fcordare,non c per Arte,elTendo per uia del tempo, il
quale per il corlo naturale apporta obliuione. Il Mó lco rifiutando molti
mod'jftimache balli il tralalciar il pea fiero delle imagini; perche così
vanno in oblivione. Mi, chi non s'accorge che quello eaiuto piu tolto di
natura, per via del tempo; che regola d'arte PIo tralafciando quelli
aiuti nali,che fono manifelli:farò raccolta d’alcuni aiuti
artificiali, li quali congiunti insieme, porgeràno facilità all’oblivione.
Li quali aiuti e modi, lon nftretti ncll ifralcritti Capiò Regole, Primo,
avendo recitate, e udendo mandar in oblivione le imagini; òdi giorno con
gli occhi chiufi, ò di notte fra le tenebre, lì uadicon la mente girando per
tutti li luoghi ideati con invaginarci vn’olcurisfuna tenebra
notturna,chccuopra tutti h luoghi, e cofi procedendo, e retrocedendo piu
uolte con la mente, e non vedendoci imagini facilmente fuamfee ogni
figura. Secondo, si vadi correndo per tutti li luoghi co la méte,
dritto, à roverso, c si contemplino uacoi e nudi, tali quali la prima uolta
senza alcuna imagine turno formati, c quello di? Icorlò fi facci più
volte. Terzo, se le peritine tacili luoghi sono llabili, si riucggtó
no con la mente per ogni verlò più volte, e si contemplino nel modo come
prima ui furo llabiIite, col capochino, con le braccia pendenti, e senza
imagini aggiunte. Quarto, si come il pittore ingclfa e di di bianco alle
pitture, per cancellarle; così noi con colori polli sopra le imigini possiamo
cancellarle. E quelli colori, o sia il bianco o’I ucrde, o’l nero;
imaginando sopra li luoghi, tende biantche, o lenzuoli verdi, o panni neri,
condiscorrer più uolc«, per li luoghi, con tal velo di colori. E lì
poflono ancora imaginare gtnare li fuòchi, pieni, che virtute u po
fu e re Dii fudore parandam. Alla qual arte le voi con patienza uigilia e timor
di Dio atttenderete; avendo per Metodo quello mio trattato, mi rendo certo, che
uoi nufciretc pierauigliofi nell’uso StclTercirto della memoria, col
favor del divino nostro signore, alli cui piedi, e della sua Clvefi santa
catholica e apostolica romana gitto me'ltellb, e lòttopongo ogni mio detco e
scritto, ora e sempre. Filippo Gesualdo di Lia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Lia.” Lia.
Luigi Speranza --
Grice e Libanio: la ragione conversazionale e la setta di Giuliano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. Supports Giuliano in his attempt to revive paganism (a charming
letter survives) – “but he is also a friend and teacher of many Christians, can
you believe it?” – Loeb.
Luigi Speranza --
Grice e Liberale: la ragione conversazionale al portico romano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. Not to be confused with Liberace, he is staying at Lyons (Lugdunum)
at the time it was destroyed by fire. A dear friend of Seneca. He follows the
Porch. In his eulogy, Seneca declaims: “While he is accustomed to dealing with
everyday difficulties, a catastrophe, unexpected, and of such magnitude, is more than he could handle.” Ebuzio Liberale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Liberale.”
Luigi Speranza -- Grice e Liberatore: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’ULIVO DELLA PACE filosofia
campanese – scuola di Salerno -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Salerno). Filosofo italiano. Salerno, Campania. Grice: “One
could write a whole dissertation – especially in Italy: their erudition has no
bounds – about Liberatore’s choice of the sign being conventional, ‘ramo
d’olivo’ = pace. It’s so obscure! Aeneas held one, against the Phyrgians – but
did the Phyrgians know? And if Mars is often represented wearing an olive
wreath, one would not think there is a ‘patto’ between Aeneas and the Phyrgian
commander about that!” Grice: “I like
Liberatore – a systematic philosopher, as I am! His logic has the expected
discussion on ‘sign.’ A conventional sign he says is a branch of olive
‘signifying’ peace – as opposed to smoke naturally meaning fire – As a
footnote, one should note that in Noah’s days, the signification of the dove
was ALSO natural – although not strictly ‘factive’ – but then not ALL smoke (e.
g. dry ice smoke) signifies fire, as every actor knows!” “Ma
il difetto molto comune degl’economisti è il mancare di giuste idee
filosofiche, e con ciò non ostante voler sovente filosofare.” Entra nel collegio
dei gesuiti di Napoli e chiede di far parte della Compagnia di Gesù. Insegna
filosofia. Fonda a Napoli “La Scienza e la Fede” con lo scopo di criticare le
nuove idee del razionalismo, dell'idealismo e del liberalismo, dalle pagine del
quale venne sostenuta una strenua battaglia in favore del brigantaggio,
interpretato come movimento politico contrario all'unità d'Italia, ovvero:
"La cagione del brigantaggio è politica, cioè l'odio al nuovo
governo". Fonda “La Civiltà” per diffondere AQUINO. Uno degl’estensori
dell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Studia Aquino. Pubblica “Corso di
filosofia”. Membro dell'Accademia Romana,. Combatté il razionalismo e
l'ontologismo, così come le idee di SERBATI. Sostenne che il brigantaggio e
la legittima resistenza di un popolo a una conquista non solo territoriale, ma
soprattutto ideologica. Difensore dei diritti della chiesa e studioso dei
problemi della vita cristiana, delle relazioni tra chiesa e stato, tra la
morale e la vita sociale. I filosofi della sua scuola mettono in evidenza
a acutezza dei giudizi, la forza degli argomenti, la sequenza logica del
pensiero, la stretta osservazione dei fatti, la conoscenza dell'uomo e del
mondo, la semplicità ed eleganza dello stile. All'inizio professore e
giudicato da molti nella Chiesa cattolica il più grande filosofo dei suoi
tempi. Si ritenene che vive santamente, e si scorge in lui un profondo spirito
religioso. Considerato uno dei precursori del personalismo economico.
Altri saggi: “Logica, metafisica, etica e diritto naturale, e in
particolare: “Dialoghi filosofici” (Napoli); “Institutiones logicae et metaphysicae”
(Napoli);“Theses ex metaphysica selectae quas suscipit propugnandas Franciscus
Pirenzio in collegio neapolitano S. J. ab. divi Sebastiani Quinto” (Napoli); “Dialogo
sopra l'origine delle idee” (Napoli); “Il panteismo trascendentale: dialogo” (Napoli);
“Il Progresso: dialogo filosofico” (Genova); “Ethicae et juris naturae elementa”
(Napoli); “Elementi di filosofia” (Napoli); “Institutiones philosophicae” (Napoli);
“Della conoscenza intellettuale” (Napoli); “Compendium logicae et metaphysicae”
(Roma); “Sopra la teoria scolastica della composizione sostanziale dei corpi” (Roma);
“Risposta ad una lettera sopra la teoria scolastica della composizione sostanziale
dei corpi” (Roma); “Dell'uomo” (Roma); “La Filosofia di ALIGHIERI”; In Omaggio
a Aligh. dei Cattolici ital. (Roma); “Ethica et ius naturae” (Roma, Typis
civilitatis catholicae); “Lo stato italiano” (Napoli, Real tipografia Giannini);
“Della composizione sostanziale dei corpi” (Napoli, Giannini); “L'auto-crazia dell'ente”
(Napoli); “Degl’universali -- confutazione della filosofia di Serbati” (Roma);
“Principii di economia politica” (Roma, Befani); “La proposta dell'imperatore
germanico di un accordo internazionale in favore degl’operai”; “Le associazioni
operaie”; “Dell'intervenzione governativa nel regolamento del lavoro”; “L'Enciclica
Rerum Novarum di Leone XIII”; “De conditione opificium”; “La civiltà cattolica
spiega nei dettagli il clima di "difesa" in cui la chiesa si sente. Il
ritorno ad Aquino dov’essere orientato alle sue dottrine originarie. Convinto
che dopo di lui ben poco di nuovo ha prodotto il pensiero umano. Brigantaggio. Legittima difesa del Sud. Gli
articoli della "Civiltà Cattolica" introduzione di Turco (Napoli, Giglio); “Per
l'atteggiamento arroccato in difesa della Chiesa vedi ad esempio Sillabo # La
"cupa scia" del Sillabo
Nardini, Manca di verità e si oppone ad AQUINO la soluzione di un alto
problema metafisico abbracciata da L.” (Roma, Pallotta); “Lettere edificanti
della provincia napoletana della Compagnia di Gesù, in La Civiltà cattolica, Civiltà
cattolica:, antologia Rosa, [ma San Giovanni Valdarno] ad ind.; G.
Mellinato, Carteggio inedito L. Cornoldi in lotta per la filosofia di Aquino (Roma,
Volpe, I gesuiti nel Napoletano, Napoli, Dezza, Alle origini del tomismo,
Milano, Devizzi, La critica all'ontologismo, Rivista di filosofia neo-scolastica,
Mirabella, Il pensiero politico di ed il suo contributo ai rapporti tra Chiesa
e Stato, Milano, Scaduto, Il pensiero politico ed il contributo ai rapporti tra
la Chiesa e lo Stato, in Archivum historicum Societatis Iesu, Serbati, Roma G. Rosa,
Storia del movimento cattolico in Italia, Bari ad ind.; Lombardi, La Civiltà
cattolica e la stesura della "Rerum novarum". Nuovi documenti sul
contributo, La Civiltà cattolica, Dante, Storia della "Civiltà cattolica",
Roma Nomenclator literarius theologiae catholicae, Grande antologia filosofica, Milano, C. Curci,
Compagnia di Gesù La Civiltà Cattolica Rerum Novarum Treccani Enciclopedie on
line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana.Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana., presentazione del libro su La Civiltà Cattolica e
il brigantaggio. Segno – SENNO -- è generalmente tutto ciò che, alla potenza
conoscitiva, ra-ppresenta alcuna cosa da se distinta. Perciò tal denominazione
ben si addice al concetto il quale esprime al vivo e ra-ppresenta alla mente
l'obbietto intorno a cui si aggira. Ma il concetto è interno all'animo e per
pale sarsi di fuora ha bisogno di un segno SENNO esterno. Questo segno SEENO
esterno consiste ne' voicaboli, i quali tra tutti i segni ottennero la
preminenza iq.ordine alla manifestazione delle cose, che internamente
concepiamo. Così il termine mentale, cio è il concetto, e d il termine ora le
cioè il vocabolo, convengono tra loro nella generica ragione di segno o SENNO. Ma
si differenziano grandemente nella ragione specifica. Imperocchè, primieramente
il concetto è segno naturale; il vocabolo è segno – O SENNO -- convenzionale. Dicesi
segno naturale quello che di per sè e per sua natura mena alla cognizione di
un'altra cosa -- come il fumo, per esempio, rispetto al fuoco, e generalmente
ogni effetto, riguardo alla CAUSA. Dicesi segno convenzionale quello, che
ARBITRARIAMENTE o PER PATTO vien
destinato a di-notare alcuna cosa; come il ramo d'olivo si ad opera per il termine
orale, benchè prossimamente significhi (E SENNO DI) il concetto, non dimeno
mediante il concetto significa (E SENNO DI) lo stesso oggetto. Anzi, poi chè da
chi parla è ad operato per di-notare il concetto non subbiettivamente ma
obbiettivamente, cioè in quanto è espressione della cosa percepita. Ne segue
che, quanto alla significazione (SENNO), esso si confonde quasi col concetto, dicuiè
come la veste e l'esterna apparizione. E però la logica a buon diritto tratta
per ora ni un vocabolo è di sua natura connesso con un determinato concetto;
e però tanta varietà di loquela si scorge presso le diverse nazioni. Al
contrario, il concetto di per sè e necessariamente rappresenta l'obbietto, essendo
ne una natural rassomiglianza; e però il discorso mentale è lo stesso appo
tutti. Inoltre il concetto è segno formale; il vocabolo è segno (SENNO) istrumentale.
Ad intendere questa differenza, è necessario osservare, che il vocabolo
permenarci alla conoscenza della cosa significata, ha mestieri d'esser prima dạ
noi compreso. E pero appartiene a quel genere di segni (SENNO), a a cui può
applicarsi la seguente definizione. Segno (SENNO) è ciò che, conosciuto, adduce
alla conoscenza di un'altra cosa. Ma del concetto non è così: giacchè esso, senza
bisogno d'esser prima conosciuto, col solo attuare la mente, ci mena alla
conoscenza del l'obbietto, sicchè questo appunto sia il primo ad essere diretta
mente percepito. Ciò di leggieri apparisce, tanto solo che si consideri che il concetto
non può percepirsi, se non per cognizione riflessa e pel ritorno della mente
sopra sè stessa. Laonde quello che si percepisce per prima e diretta cognizione,
non può essere esso concetto, ma necessariamente è una qualche cosa diversa dal
medesimo. A di-notare per tanto una tal differenza, venne introdotta la
distinzione del segno (SENNO) formale e del segno (SENNO) istrumentale. Viene
l'abuso del linguaggio che è il mezzo dato all'uomo per esternare ad altrui
gl’interni concepimenti dell'animo. L'analisi de’ vocaboli è ordinariamente un
grande aiuto allo spirito per rischiarare le idee, merce chè essi sovente
tengon chiusi sotto la loro spoglia. Ma accade altresì che si arroghino più di quello
che loro di ragion si compele, e tentino non di essere esaminali e giudicali
dall'intelletto, ma manciparselo e deltargli legge a capriccio. Per diverse maniere
principalmente i vocaboli introducono falsi concetti nell'animo. Per la loro
ambiguità e confusione, imperocchè ci ha delle voci d'incerto significato, le
quali han bisogno d'esser determinale nel senso in cui si tolgono, altrimenti
ingenerano concetto vago e mal fermo da cui procedon poi fallaci giudizii. Tale
è a cagion d'esempio la voce natura, la quale suol prender sia d’esprimere or l'essenza
di una cosa, or il mondo sensibile; or l'autore dell'universo, or tull'altro a talento
di co foi che l'usa. Parimente le idee significate pe' vocaboli sovente
sono assai complesse e complicate; e pero ove non bene si risolvano per via d'analisi
ne’loro elementi, son cagione che si formiun assai confuse ed informe concetto.
Secondo, tal volta i vocaboli vengono ad operati a significar mere negazioni o
prodotti arbitrarii della immaginativa, o semplici ASTRAZIONI ell'animo; come
la voce “cecità”, “fortuna”, “centauro”, “località”, e somiglianti. Oravviene che
per difetto di debita considerazione si cada nella credenza ch'esse esprimano
cose positive e reali si nell'essere che nel modo onde sou concepite. I vocaboli
delle cose immateriali son formati d'ordinario per analogia presa dagli obbietti
materiali, e quindi avviene che talora si confondano le une cogl’altri. Ne'nomi
derivati sebbene spesso l'origine e l'etimologia del vocabolo coincide col senso
in che comunemente si prende, tuttavia non rade volte se ne dilunga. Nel qual
caso per mancanza di attenzione può avvenire che l'una coll'altro si scambi. A
queste cause può aggiugnersi la novità de’ vocaboli di che taluni stranamente
si piacciono, e l'uso incostante che fanno di quelli stessi che fuor di ragione
introduceno. La filosofia per quanto può nell'ad operare il linguaggio non deve
scostarsi dall’uso comune, nè cambiare a capriccio il senso delle voci ricevute
o da sè stessa una volta determinate. Una indebita applicazione de’ mezzi di
conoscenza è radice mal nal ad'errore. Accadecia in prima dal non bene
distinguere con quali facoltà dove l'oggetto concepirsi; come a cagion d'esempio
in chi con la fantasia vuole comprender ciò che allrimenti non si può che con
l'intelletto. Dippiù si bada talora più alla vivacità e felicità della RAPPRESENTANZA,
che alla fermezza del motivo che spinge all'assenso. E così le cose che
vivacemente e prestamente feriscono l'animo più di leggieri si ammettono che
allre non fornite di questa dote, ma più salde per forza di argomenti. Inoltre
si procede temerariamente a giudizii senza prima considerare se l'obbietto è
debitamente proposto giusta le leggi e le condizioni volute dalla natura. Quinci
le fallacie de’ sensi, lo scambiarsi per i principii proposizioni arbitrarie,
il formare assiomi illegittimi, il dedurre conseguenze erronee da sofistici
ragionamenti. E perciocchè lo schivar questi mali richiede la conoscenza
del dritto cammino che deve tener la mente per le vie del vero, passiamo a trattar
diligentemente questa materia, alla quale premettiamo il seguente articolo, che
ad essa valga come d'introduzione. Cum animi nostri sensus cogitationesque
animo ipso lateant, nec per sese ceteris patefiant; homo, qui ad societatem cum
aliis coëundam e nascitur, idoneis mediis a provido naturae Auctore instructus
est, ut ideas suas aliis, quibuscum vivit, manifestet. Haec media SIGNA (SENNI)
quaedam sunt. Sic enim nominantur quaecumque ad res alias innuendas sive natura
sive VOLVNTATE sunt INSTITUTA. Omnibus vere signis, quibus conceptus nostros et
affectus animi patefacimus, maximopere vocabula praestant. Etsi enim suspiria,
gemitus, nutus, sensa animi nostri significent; minime tamen id efficiunt eadem
facilitate, perspicuitate, distinctione ac varietate, quae vocabulorum propria
est. Quam quam non diffitear gestuum loquelam, si vivax sit, vehementius
commovere, propterea quod imaginationem vividius feriat, et rem veluti ponat ob
oculos. Vocabulum definiri potest: vox articulate prolata ad ideam aliquam
significandam. Ex quo intelligitur, ope vocabulorum proxime et immediate
conceptus, vi autem conceptuum ipsa obiecta significari. Ad originem sermonis quod
spectat, nemini dubium est quin, etsi vis loquendi ingenit a nobis sit,
verborum tamen determinatio ab arbitrio generatim pendeat. Secus si quodlibet
determinatum verbum determinatam rem natura sua innueret; qui fieri posset ut
verbum idem apud diversas gentes, quibus certe eadem natura inest, non idem
exprimat? De hoc nulla est controversia; at quaestio in eo est utrum absolutae
necessitatis fuerit ut sermo aliquis primis hominibus a Deo communicaretur, an
homo sermocinandi tantum virtute ornatus sermonem ipse repererit vel saltem
reperire potuerit. Qua de re in contrarias sententias FILOSOFI distrahuntur. Non
nulli enim non modo possibilitatem, sed factum etiam tuentur, atque hominem
sermone destitutum sermonis auctorem fuisse autumant. Alii id neutiquam evenire
potuisse arbitrantur, cum sermo sine usu intelligentiae. efforinari nequeat, et
ad usum intelligentiae sermonem necessarium esse putent. Equidem sic existimo: ad
absolutam possibilitatem quod at tinet, hominem per se potuisse ex insita propensione
et facultate loquendi, quam accepit, determinatum sensum vocibus quibus dam
tribuere, et sic sponte sua efformare sermonem. Quid enim repugnasset ut homo
rem sensibus occurrentem nutu aliquo com mopstraret aliis, atque ex innata vi loquendi
sonum syllabis quibusdam distinctum proferret et ad commonstratam rem
significandam libere determinaret. Expressis autem rebus sensibilibus, ad
insensibiles significandas gradatim pervenire impossibile sane non erat; cum ad
has exprimendas nomina quaedam ex rebus materialibus, propter analogiam,
quam homo inter utrasque per spicit, transferri facile potuissent. At si non de absoluta et
abstracta possibilitate, sed de facto loquimur, rem aliter contigisse certum
est. Nam ex sacris litteris indubie colligimus
elementa sermonis primo homini a Deo tributa esse, quantum saltem sufficeret ad
domesticam societatem, in qua ille conditus est, retinendam. Cuius rei
congruentia vel inde patet, quod si, ut supra dictum est, ad divinam pertinuit
providentiam opportuna scientia instruere protoparen tem; hoc multo magis de
usu sermonis dicendum sit,cuius longe maior necessitas imminebat. An sapienter
cogitari poterit totius generis humani parens et magister, qui quasi principium
et fun damentum constituebatur futurae societatis civilis et sacrae, sine
actuali copia illorum mediorum, quae ad munus hoc adimplen dum tantopere
requirebantur. Accedit, quod eruditorum vestigationes, qui de origine linguarum
tractarunt, huc tandem concludendo devenerunt, ut omnes linguae tamquam
dialecti linguae cuiusdam primitivae, quae perierit, habendae sint. At si sermo
inventio esset humana, singulae familiae, quae diversis populis originem
dederunt, linguam sibi omnino propriam atque ab aliis radicitus discrepantem
creavissent. De utilitate vero, quam ex sermone pro rerum intelligentia mens
capit, permulta fabulati sunt FILOSOFI quidam, in primisque Condillachius. Putarunt
enim illum esse necessarium ad analysim et synthesim idearum habendam, nec sine
ipso ideas generales efformari posse. Quin etiam eo progressi sunt, ut dicerent
ipsam intelligentiam non nisi ex usu loquelae progigni. At enim haec esse
ridicula optimus quisque iudicabit, modo cogitet non posse loquendi usum
concipi nisi iam antea intelligentia sub audiatur. Non enim quia loquimur
intelligimus, sed viceversa quia intelligimus loquimur. Unde bruta, quia
intelligentia carent, id circo loquendi facultate privantur. Quod si
intelligentia e sermone non pendet, poterit illa quidem suis uti viribus ad
ideas sive dividendas sive componendas sive etiam abstrahendas, quin id circo
sermo velut causa aut instrumentum adhibeatur. Sed de hac refusius erit in
Metaphysica disputandum. Vera igitur emolumenta sermonis his continentur. Prae
terquam quod ad ideas communicandas inserviat, ac proinde ve luti vinculum sit
societatis; intellectui subvenit, quatenus loco phantasmatum verba ut signa
sensibilia in imaginatione substituit. Memoriae opitulatur ad ideas semel
habitas revocandas. Mentis attentionem figit detinetque in obiecto, quod
exprimit, quae secus ad alia contemplanda statim raperetur. Mentis opificia
conservat, efficitque, ut illa postquam contemplationis suae partus vocabulis
scriptura exaratis ad retinen dum tradiderit, soluta curis ad nova speculanda
impune progredi possit. Hae potissimum utilitates e sermone in hominem
proficiscuntur; ceterae, quae a nonnullis nimium exaggerantur, sine fundamento
ponuntur, et animo humano sunt dedecori. Denique ad dotes loquendi quod
attinet, sermo sit perspicuus, usitatus, brevis; non ea tamen brevitate, qua
obscurior sententia fiat; sed ea, quam rite descripsit Tullius CICERONE, ubi
inquit brevitatem appellanda messe cum verbum nullum redundat, velcum tantum
verborum est, quantum necesse est 1. ANTICHITÀ PER L'INTELLIGENZA
DELL'ISTORIA ROMANA E DEI FILOSOFI LATINI DELL'ABATE DECLAUSTRE Wwwna IN
VENEZIA CO'TORCHI DI GIUSEPPE MOLINARI MITOLOGICHE SLIEHE HE KOS
WIEN HOFBIBLION KA 1 eeeeeeeeexe
erele cele ; egli Ateniesi lee ressero delle statue. Ella fu ancora più celebra
ta presso i romani, i quali le innalzarono il più grande ed il più m a goifico tempioche
fosse in Roma. Questo tempia, le cui rovine ed anche una parte delle volte
restano ancora io piedi, fu cominciato da Agrippina, e poscia compiuto da
Vespasiano. Scrive Giuseppe, che gl'imperadori VESPASIANO e Tito deposero nel
tempio della pace le ricche spoglie, che aveano levate al tempio di
Gerusalemme. In questa tempio della Pace si adunavano quelli che professavano
le belle arti per disputervi sopra le loro prerogative, acciocchè alla presenza
della dea restasse bandita qualsi voglia asprezza pelle loro dispute. Questotem.
pio fu rovinato da un incendio al tempo dell'imperator COMMODO. Presso i greci la
Pace veniva rappresentata in questa maniera. Una dono aportava sulla mano il dio
Pluto fanciullo. Presso I Romani poi si trova per ordinari o rappresentata la Pace
con un ramo di ulivo PACIFERA. In una Medaglia di Marco Aurelio, Minerva viene
chiamata “pacifera”; e in una di Massimino si legge Marte puciferus, qmegli, o
quella che porta la pace, PACTIA.Suddito dei Persiani, al riferire d'Erodoto,
essendosi ricoperato a Cuma città greca, i Persiani non mancarono di mandare a
di mandarlo, acciocchè loro fosse consegnato nelle mani. I Cumeifo . dea
P Pace. I Greci e di Romani onoravano la Pace come una gran qualche volta colle
ali, tenendo un caduceo, e con un serpente ai piedi, Le danno ancora il cornucopia,
el'ulivo è il simbolo della Pace, e il caduceo è il simbolo del Mercurio Negoziatore,
per additare la negoziazione, da cui n'è seguita la Pace. In una medaglia di
Antonino Pio tiene in una mano un ramo di ulivo, e colla sinistra dà fuoco ad
alcu di scudi,e corazze, j PALAMEDE . Figliuolo di Nauplio re
dell'isola d'Eubea, coman daya gli Eubei nell'assedio di Troja. Vi si fece
molto stimare per la sua prudenza, pel suo coraggio, e de sperienza nell'arte
militare; e dicono che insegnasse ai Greci il formare i battagliopi, e lo
schierarsi. Gli attribuiscono l'invenzione di dar la parola delle sentipeļle, quel
la di molti giuochi, come dei dadi e degli scacchi, per servire di trat
tenimento ugualmente all'ufficiale e al soldato nella noja di up lungo
assedio. ΡΑ1CHE tott an que 9 be 8Q CO 32 ti 8 $1 AL sto fu çerp ip contapepte
ricercare l'oracolo de’ Branchidi, per sapere come doveano contenersi; el'oracolo
rispose, che lo consegnassero. Aristodico, uno dei principali della città, il quale
non era di questo parere, ottenne col suo credito, che si mandasse un' altra
volta ad interrogare l'oracolo, ed egli stesso si fece mettere nel numero dei deputati.
L'oracolo non diede altra risposta, che quella avea data prima. Poco sod
disfatto Aristodico, penso nel passeggi. The branch of ‘ulivo’ is represented
in the reverse of a coin of Antonius Pius --. Matteo Liberatore. “Segno e cio
che, conosciuto, adduce alla conosence di un’altra cosa” – cf. Eco’s tesi su
Aquino. Liberatore. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Liberatore” – The Swimming-Pool Library. Liberatore.
Luigi Speranza --
Grice e Licenzio: la ragione conversazionale e il filosofo poeta – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. – A pupil of Agostino. He achieves a reputation of a poet. Licenzio.
Luigi Speranza --
Grice e Liceti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale –
filosofia ligure – l scuola di Rapallo -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Rapallo). Filosofo italiano. Rapallo, Liguria. Grice: “Liceti is
a fascinating philosopher; must say my favourite of his oeuvre is
“Geroglifici,” which as he knows it’s a coded message – the old Egyptian
priests kept this ‘figurata’ away from the plebs!” – Grice: “Alice once
wondered what the good of a piece of philosophy is without ‘illustrations;’
surely Liceti’s beats them all!” Allievo
ed erede di CREMONINI (si veda). Nacque prematuro (6 mesi), venendo alla luce
su una nave presa da tempesta lungo le coste tra Recco e Rapallo. Sempre
secondo la tradizione orale suo padre, un medicoo, lo mise in una scatola di
cotone dentro un forno, come si fa per far schiudere le uova, inventando così
il prototipo della moderna incubatrice. Dopo aver compiuto i primi studi letterari
a Rapallo, venne inviato a Bologna per compiere e approfondire gli studi legati
alla FILOSOFIA. Insegna a Pisa. Padova, e Bologna. Ascritto ai “Ricovrati” (oggi i galileii – degl’Accademia Galileiana
di scienze, lettere ed arti. Quando
comparve in cielo una cometa, si riaccese una controversia analoga a quella
suscitata dalla stella nova ma questa
volta le difese della teoria aristotelica furono assunte da L. ed il compito di
attaccarla, partito ormai GALILEI (si veda), e assunto dal suo successore sulla
cattedra di matematica, GLORIOSI, che se la prese appunto con L.. Questi
risponde pubblicando un suo De novis astris et cometis, in cui, oltre a
difendere il LIZIO, critica scienziati, tra i quali anche GALILEI, ma con
espressioni molto rispettose e lusinghiere. A questo saggio GALILEI fa
rispondere dal suo amico GIUDICCI col Discorso sulle comete. Srive saggi di
filosofia, tra le quali “De monstruorum causis, natura et differentiis”, (Padova), con aggiunte di Blaes, nei quali
riprese le soluzioni del LIZIO sul problema delle anomalie genetiche, e “De
spontaneo viventium ortu” nei quali sostenne la generazione spontanea
degl’animali inferiori. Altri saggi
importanti per la ricerca sono “De lucernis antiquorum reconditis” apprezzato
da Berigardo, e la “Silloge Hieroglyphica, sive antiqua schemata gemmarum
anularium.” Tratta inoltre la questione dell'anima delle bestie nel “De feriis
altricis animae nemeseticae disputationes.” I suoi saggi sono chiaramente
ispirate al LIZIO, in particolare gli studi sul problema della generazione
vivente e sul cosmo, entrando talvolta in contrasto con GALILEI, specialmente
per quanto riguarda la struttura dei cieli e della Luna, che L. considera una
sfera perfetta e trasparente la cui luminosità non e un riflesso della luce
solare, ma veniva generata al suo interno. Al centro di questo dissenso
cosmologico, c'e, infatti, il tentativo di spiegare il fenomeno luminescente
della pietra di Bologna, che L. considera un frammento di materia lunare.
Alcuni saggi di L. rimasero inediti a causa delle ampie discussioni riportate
sulle novità astronomiche. Nella congerie immensa dei suoi saggi e commenti va
notata la difesa della pietas d'Aristotele; quella pietas così vivacemente
messa in forse alcuni anni più tardi dal platonicissimo cappuccino Valeriano
Magno, che taccia d'a-teismo il sistema dello Stagirita. L. invece disserta «de
gradu pietatis Aristotelis erga Deum et homines», e nel saggio sua «Philosophi
sententiae plurimae, fidelium auditui durae, salubribus explicationibus emollitae,
ad pias aures accommodantur, illaeso genuino sensu Aristotelis». E ad epigrafe
dell'opera sua si compiace del distico Vulgus Aristotelem gravat impietate, L.
Doctorem purgat. Numquid uterque pius? La città di Padova ed Spinola di
Roccaforte rendeno omaggio al filosofo facendo erigere una statua in marmo
scolpita da Rizzi. A Rapallo vi è dedicata una via. Gli è stato dedicato il
cratere “L.” sulla Luna. Altri saggi:
“De centro et circumferentia”’ “De regulari motu minimaque parallaxi cometarum
caelestium disputationes”Vtini, Nicola Schiratti, Vicetiae, Amadio, Bolzetta,
Encyclopaedia ad aram mysticam Nonarii Terrigenae, Patavii, Crivellari“
Allegoria peripatetica de generatione, amicitia, et privatione in aristotelicum
aenigma elia lelia crispis. Ad aram lemniam Dosiadae, poëtae vetustissimi et
obscurissimi, encyclopaedia, Paris, Cottard; Ad Syringam publilianam
encyclopaedia, Patauii, Pasquato, Bortolo, “Ad Epei Securim Encyclopaedia
Genuensis FILOSOFI ac medici, Bononiae, Monti, “De centro et circumferentia,
Vtini, Schiratti, “De luminis natura et efficientia, Vtini, Schiratti,
“Litheosphorus, siue De lapide Bononiensi lucem in se conceptam ab ambiente
claro mox in tenebris mire conservante, Vtini,
Schiratti, “Ad alas amoris divini a Simmia Rhodio compactas, Patavii,
Crivellari,“De lucidis in sublimi ingenuarum exercitationum liber, Patauii,
Crivellari “De Lunae Sub-obscura Luce prope coniunctiones, “Hieroglyphica”,
Patavii, Sebastiano Sardi, “Hydrologiae peripateticae disputationes”, Vtini, Schiratti, Ad syringam a Syracusio compactam
et inflatam Encyclopaedia, Vtini, Schiratti, Baldassarri, La pietra di Bologna
da Descartes a Spallanzani. Sviluppo di un modello scientifico tra curiosità,
metodo, analogia, esempio e prova empirica, Nel nome di Lazzaro. Saggi di
storia della scienza e delle istituzioni scientifiche, Garin, La filosofia,
Milano, Vallardi, Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del
progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto
Museo di Storia della Scienza di Firenze, Bartholin, Institutiones anatomicae,
Lugduni Batavorum, Riolan, Opuscula anatomica nova, in Id., Opera anatomica, L
Pombaiae Parisiorum, Bartholin, Epistolarum medicinalium centuria Hafniae
(lettere); Vesling, Observationes anatomicae et epistolae, Hafniae, lettere a
L.; Dallari, I rotuli dei lettori legisti e artisti dello STUDIO BOLOGNESE,
Bologna ad ind.; Edizione delle opere di Galilei, Firenze ad indices; Acta nationis Germanicae artistarum,
Rossetti, Padova, ad ind.; Rossetti, A Gamba, Padova, ad ind.; Giornale della
gloriosissima Accademia Ricovrata, A: verbali delle adunanze, Gamba, Rossetti, Trieste ad ind.; Salomoni, Urbis
Patavinae inscriptions, Patavii Facciolati, FASTI GYMNASII PATAVINI,
Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Modena, Renan, Averroès et
l'averroïsme, Paris Taruffi, “Storia della teratologia” Bologna, Favaro, Amici
e corrispondenti di Galilei, Gloriosi, in Atti del R. Istituto veneto di
scienze, lettere ed arti, Favaro, Saggio di
dello Studio di Padova, Venezia, Ducceschi, L'epistolario di Severino,
Rivista di storia delle scienze mediche e naturali, Castiglioni, Storia della
medicina, Milano, Ducceschi, Un epistolario inedito di dotti padovani in Atti e
memorie della R. Accademia di scienze lettere ed arti in Padova, Alberti, La
prima incubatrice per prematuri, Minerva medica varia, Boffito, Battaglia di
marche tipografiche di Bella e l'ultima
memoria scientifica dettata da Galilei, in La Bibliofilia, Pesce, La
iconografia di L., in Genova. Rivista del Comune, Geymonat, Galilei, Torino,
Rossetti, L'opera di L. in un manoscritto inedito della Biblioteca del
Seminario vescovile di Padova, in Studia Patavina, Bertolaso, Ricerche
d'archivio su alcuni aspetti dell'insegnamento medico presso Padova, in Acta
medicae historiae Patavinae, Ongaro, Contributi alla biografia di Alpini,
Tomba, Gli originali di Galileo in Physis, Ongaro, L'opera di L., in Atti del
Congresso di storia della medicina, Roma, Ongaro, La generazione e il moto del
sangue in Liceti, in Castalia, Rizza, Peiresc e l'Italia, Torino Simili, Una
dedica autografa di Galilei a L. e il clima delle loro concezioni scientifiche
e relazioni epistolari, in Galileo nella storia e nella filosofia della
scienza. Atti del Symposium internazionale, Firenze-Pisa, Firenze Mirandola,
Naudé a Padova. Contributo allo studio del mito italiano, in Lettere italiane,
Castellani, Marangio, I problemi della scienza nel carteggio con Galilei,
Bollettino di storia della filosofia dell'Università degli studi di Lecce,
Marilena Marangio, La disputa sul centro dell'universo nel "De Terra"
di L., Soppelsa, Genesi del metodo galileiano e tramonto dell'aristotelismo
nella Scuola di Padova, Padova, Agosto et al., Rapallo, Berti, Galileo e
l'aristotelismo patavino del suo tempo, in Studia Patavina, Ongaro, Atomismo e
aristotelismo nel pensiero medico-biologico di L., in Scienza e cultura,
Galilei e Morgagni, Padova. Brizzolara, Per una storia degli studi antiquari in
Studi e memorie per la storia dell'Bologna, nZanca, L. e la scienza dei mostri
in Europa, in Atti del Congresso della Società italiana di storia della
medicina, Padova, Trieste, Padova Re, "De lucernis antiquorum
reconditis": il capolavoro calcografico di Schiratti, in Ce fastu? Lohr,
Latin Aristotle commentaries, Firenze, Basso, erudito ed antiquario, con
particolare riguardo agli studi di sfragistica, in Forum Iulii, Basso,
"Fortasse licebit". La marca tipografica di Schiratti e l'impresa
accademica di L., in Quaderni Artisti Cattolici Ellero, Ongaro, La scoperta del
condotto pancreatico, in Scienza e cultura, Poppi, Il "De caelesti
substantia" di Ferchio fra tradizione e innovazione, in Galileo e la
cultura padovana, Santinello, Padova, Kristeller, Iter Italicum, ad indices.
Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. sapere, De Agostini, Dizionario
biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ruff. L.. Beerbohm: “Send me
a letter; I live in Rapallo.” “How should I address it.” “Beerbohm, Rapallo”
“Do not worry, there is only one Rapallo.” “Vico L., Rapallo” – “Statua a L. da Rizzi, Spinelli
Roccaforte, Padova.xstril. minnstiii UAiTiO Stjftdsb iupon Ratfatia in IV
libros De his, quidiuvi- P uunt fine alimento. P1?- 1 in quo
eaptobatissimisautonbus afferuntur obferuationes eorum, qui vitra biduu . ab
omni obo potuque abftmuere. Abstinentiae vana: intra fepumam diem conclu-
.ffaec. Abfimenu, a iepfmo ad decimum diem extenfj. Abftmentixi decimo ad
vigefiraumdiera protc- fe.cap.£. Abstinentii ad mensem produAfe. Abstinentiae a
primo ad tertium mensem produ-. Ax. c Iehmium populorum Lucomonae ad quinque me
des quotannis mire productum. Abstinentia Oftimeftns in muliete Patavina.
Abstinentia pueli Tufer ad feitumdec unum- Spiritus non aliaere. Aerem in mitto
vivente non ali aere intrinlecus quoraodocunqucattra Ao.lenem in mitto non
abfumerc acrcm. Partes animalis 4 przdommio aereas non ali aere inspirato. nui
Aerem hunc, quem inffiramus, non efle alendo et creari c 'i t. fpintus. Ad
nutricationem metaphoricam non semper cd- sequi veram Rondelctij difficilis
alfertio. Soluuntur argumenta quibus nititur pnor opinio, mensem protradla.
Abstinentix ad II annos produAx. Ablhncntix ad III annos protenf. Historia puellæ
Spirenfis quadriennium abftinen- . tiscap.it. Abftinentt a quarto ad duodecimum
annum de- duAx. Abstinenn vitra duodecim annos longissime pro duA varia
exempla. Abstinenti $ diuturnae incerto temporis spatio adi' mentr.
Difficultatem negotii nos retrahere non debere a proposito. Curante omnia
oporteatnos aliorum dogmata de Chatnxleontcm, ac Viperas non ahaere propol i t
c tpeudere. inqua omnesaliorum opiniones examinand breui catalogo numerantur.
tn quo examinantur sapientum virorum opiniones de natura et caudis tam diu- turni
lciumj. Opinio Argenteoj et aliorum exiftimantiu abstmcntcs nomos nutriri aere
inlpirato. Cancmlcucm et Manucodiatam apud Indos non alucrc.Secunda opmio
Medici Clariflimt ex Augento, Si . M a nardo contendentis abstinentt ncftrosalf
odoribus, fle exhala tione aerem obfidente car Examinatur propofita fcntenua,
&: primum often diturnon elfe in topi acre vaporem, ac cxhalationcm.cap.a».
Exhalationem infpiratam vi calori? humant non pofle cogi in fanguincm.St^
alimentum. Exhalationem non alere 1eiunantcs. Expenditurallata opinio
demonttrando primum Non omne fapidu111 alere. caloris aAionein humorem non elle
conti- nuam ;caqueiugi, nonidco affiduam clfc debe- re nutricationem, cap.i.
intus in animali aereos non efltjfcd igneos. C. J. aimores proprie non ali.Spmtus
in viuenni corpore r,ou nutriri.Odores non alere,quia non funt miftorum
fpccits, prima ratio Arifiotchs aduerfus PITAGORICI c1phcatur.cap.2d. Secunda
ratio Anftotclis LIZIO demonttrans odores n6 alere, quia per coAioncm a calore
non podint ex odoribus excrementa lcgrcgan. Omne genera sed vnicum ottcnditurj
nec ali omnia qiuecu que diffluunt in viufnteA^" reftauritionc indigent.
Acrem ml piratum pon efle miftum, nec adeo ut fit alendo corpori. Explicantur
allata dogmata Galeni de eo quod ctt ipiritus aere nutriri, J. Alexandri,
Nicolai, CICERONE, ac Thcophraflirii- fla confiderantur.de eo, qupd eft att:m
alerem fpiritus,& calorem; et ad A rittotclis, ac Hippo- cratis ccnfuram
rediguntur.tf. Hippocratis afiettio dc triplici alimento illuftra- tlir Olimpiodori.
ic Platonicorum dogma 'de horni mbus acre, ac radijs folartbus enutritis
expendi tur.cap.primo noridari trianutrinientorum trrfs T Omnealimentum,
feuexternum, feuinternumco coqui deberc, coftioneque aberctementispur- Odorem n
aloris ita concoqui non poffe, vcab excrementis dicatur expurgari quia
limplicem, l'eu nutriendo corpori omnino diflimilcm naturam obtineat, Ab odore
vi caloris concoqnenris nec tenue, nec craflum fegregari excrementum.cap.j».
Tertia ratio Arillotelisoftcndcns odorem nonale requiacoftionea
calorenonincraffatur.cajt Quarta ratio, qua Ariftotcles probae odorem non
Ci£,& quandopropemare ambulantes falfura. re fenrianr, et alsarum faporem
quos prope ab- finthii fuccus agitatur. Tertia opimo doitiilimi Co/lii
prxeeptoris exiftf m.mns abflinente» nofttos aqua enutrita» primumofle- Propoli
ta sententia confideratnr, ac Ari ditur ex autorita te Platonis
^Haiqpupoacmrantoins a,lere, ftotehs, Galeni, &Auicennp cap Aquamvi
calorisnoncraflefcere,ideoqu-everH ahftinentemalerc. Pvrauftas non ali
exhalatione illi connmili cremento arugmeri fine ten^ imminutione, o. Plantae
non Canemleucm non ali rore, Manucodiatain rore non pafc1. Argumentum duci non
polle a brutomm alimen- to ad nutrimentum hominis. Quo fcnfu verum fit Quod
ftpit nutrit, Exhalationem acri permiftam efle fapidl t Exhalationem non efle odoriferam, et Allomos
noneffe, quiod oribusnutriantur, quicqurdFici nusfenfcnt. Democritum, Homerum
odonbus vitam libi prorogafle ceu medicamentis, non vt alimentis. Animo
delinquentes odotibus recrearr non ut ali- mentis,fcd vt medicamentis
Hippocratis dogma vulgatum de ctlcir nutncatio Aqua nihil inefle lcntiatur,nec
epota ne per odoratum lUuitratur non poffc in alendi fubflantiam.
effealendocorpori, quianonferaturadmem- Aquam coflione non fienfimile malendo
corpobra nutrimentis dicau. Quinto confirmat Ariftotcles odorem non alere, quia
nonnifi per accidens fertur w fontem ali- menti. Odor effe medicamentum, non
alimentum texta ratione probatur, Ccnfurare fponfionum dcraonftratiombus Antro
telicisab Argcntcnoallatarum. Respondetur ad argumenta, quibbs nititur fenten
fupenor, ac primum oftendirur exhalatione de terra Turgentem non ubique pntfto
fuiffe abftinentibus, nec effe milium, cap.jd. Bxhalationetn odore tciro
afferam efle, lapidam ri,vt decet alimentum cap.do. effe Aquam non effe tale
mtftom/juale oportet ali roentum.capdr. Aquam effe vehiculum alimenti,
alimenniracap.dx. Satisfit rationibus quibus nititut et propterea non aliquot
primoque decernitur cur ablhnentium hu- aquam potarent; quoniarmadpiocualbeihc,afpm^c3-
mido inftauretur huraidum Aqua nec plantas ali,nec aquatdia. campf.t
Arfu.mcnto, Vium non feruartccaalloroirse pvarbualnoi:mc*alorem vtcon- humorem
non efleaquammec aqueum. Aqua non reftmn quod aqueume corporibus ef- fluxerit.cap.dd.
alimento, &cauf carnem, 5tlac; quxpluatpoftca. AquaexAnflotelcquomodofit
obigratia,fi noneffe.Exhalationem a calore non condenlan. Exhalationem in acre
cogi non poffc infanguine Qua ratione potuerit animalia pluere,ac fpeciatim
vitulum, pifces,ranas,atque lemmer. Hippocratis dogma illuftratur de
cxhalatrone ve Solis attrafta ex animalium corporibus. Rorem non effe vaporem
vi caloris c6crctum,ncc alimentum cicadarum.Mannam non fieri ex vapore vi
caloris dentato in aere,nec folam alere poffc ad Hxbraic mannas difcnmcn.Mei
non effe purum rorem concretum, nec tale quid fine alio nutrimento diu pofle
hominem fa ftcrilitatis,& pilobus affumatur non vere alit adeo ex igno, Animatu quomodo
conftituantnuurtriantur aqua et aqua,vt moucanlur nigonee,ft vere alimentum.
Hippocrati; cui aqua cap. femper ex morbo intermitti funiiiones vitx: quxue
operationis lilio morbum fequatur. cVigelimaquinta opinion
Qucrcetanireferendsab- ilinenttx caudam in petrificationcm partium .
ventrisimi, & nutricatumaliarumexaere,ac odoribus.Expenditurallata lentenda
offendendo longum ieiunium haud ortum ede a pctnficatione par- tium
naturahum,& a nutricatu aliarum cx aere in vlkiabdinente. Soluuntur allatx
rationes hanc opinionem robo- rantes, de dilcriminc inter Ecdafim,ac fom-
num;VinterEcdafimgrauem, acleuema- gcntes.cap.aoo. viralianonaerenutrita,
necalijsvitamcommu- Vigcfimapriraa opinio Podhij afferentis homines diu ab
alrmemo abdincre, anima illorum pec cataphoram,& intendorem fomnum vacante
a proprijsofficijs. cap.ioi. Examinatur, et improbatur opinio decernes ab-
ftincntiam diuturnam abalto,&t_ profundiori fomno prodirc. Refpondctur ad
argumenta de (omni differen- dis, et de longum tempus dormientibus,
Vigefimalecunda opinio Benedilti, Montui,& Mercuriales dicendum caudam
longi iciunij ede condri&ionem cutis, pororumque occlu- fionem quidquain
ecorpore diffluere non per- uri ttentem.cap.2a4. Expenditur allata lententia
demondrando vfum, ac necelficatem alimentorum non ede abfolute indaurationcm
deperditi, fcd m alium finem : nec ita meatus omnes occludi pode,vt nihil ef-
fluat ccorpore.Soluuntur Beucdifli, et Montui radones, oflendendo cur cxlum
alimends non egear; et quo- modo corpora, c quibus nihil effluat, ali vanicade.
Vigefimafcxta opinio decernens abdinantes no- ftrosdiufinecibo,
potuqueviuercviherbx, ac medicamendcuiuldamfamem,fiumquepellen tu. Expenditur
allata fentenda offendendo abdinentesnodros nullius hcrbx, autmcdicamenu vir-
tute adeo longum pruduxideiciumum. Occurntur argumentis allatam fentenuam
corfir- manubus, confiderando naturam herbarum,& pharmacorum fitmem dumque
pellentium Vigclimaicptima opinio ex Valeriola referens caudam
aiuturnxabdinendxin puram confue tudmcm.Expenditur propofita fentenda,
offendendo contuet udinem non patere tam longam abffinentiatrc r. Satisfit rationibus viri Clariffimi,
offendendo qua rarione medicamenta, &venenanonagantin.
aduetos;&quomodofc habeat confuctudo ad cibum, et potum, cap.aaa. Soluuntur
argumenta Quercetani odendendo ab (linentis vilcera naturalia non fuide
petnficata; libri Capita centum Prifatio, inqua& difla dicendis attexuntur,
tam mitti Diftnbuitur viucnrium genus m fuas fpccies fupre Ariftotcli mus.cap.r.
minem Quomodo fe habeant ad alimenta propofira vi- ucntiura fpecies vniucrfim.
cap.z. Semen animalium St in vtero, extra vtrmm . femper viuere fine alimento,
In animalium mortalium genere aurelias, 8r nym phas appellatas nunquam vllo
alimento vri: co. paraturque generatio infefli ex verme cum ge- LIZIO in tex-
pofle Ariflo neratione hominis. Semen plantarum non tota fui vita, fed tamen
fine alimento viuere.Oua diu fine alimento viuere, quamuis non diu peratione
viuere ex definitionibus nflotcle promulgatis, Deducitur hoc ipfum cx tngefimo
De anima. o- animae ab A- fexto fecundi vitam fine alimento viuant. cap.tf Ligna,fcu
ramos,&arboresextra humum totam diu fine Adijcittir his definitio vira in
Tamis exarata propofitam iniermiflionem nis adftruens. naturalibus nutricatio-
alimento viuere. Stirpes terra infixas diu, ac fpeciarim tota fine alimento
viuere pofle. cap.8. Brutorum imperfeftioris naturi plurimas hieme
Ariftotclihocidemplacuiflcin Moralium, primo Magnorum diu fine ali mento viuere
pofle: ac fpeciarim icuinio, &ortu brutorum viucnrium intra ioli- diflimos,
imperuiofquc lapides copertorum.c. Aues quampluresdiu abftmere incolumes, c.ro.
Pifces diuturnam tolerareabftincnriam. cap. Tcrrcftrium brutorum perferorum
plurima tumumagere ieiunium. cap.r Homines diu a cibo,potuque abftincrc
pofle.c.r Quotuplex,quique caufla dc propofito nobis inquirenda fit.
Quotuplex,quiquefitcommunisidea vniuerfa-, lilque forma diuturni abfhncntra. y.
E quibufnam fontibus hauriantur argumenta caufla efficiens urqs abftinentes non
ali confirmantia, Homines in diuturno ieiunio nutriendi Quid.dr' quomodo
radicalis humoris a calore nanem intermittere pofle ratione aninra. Nos
diuabftinctes pofle a nutricatione toto co tf- penitus prohibere peffit.
ponstraiiuociari corporis habita rarione. De differentia originis xt 8. citra
vitfdifpendiuhabitaquoqj ratione caloris.c. jr. iqualitatum mifli, deque
Homines diu pofle nutriendi munere priuari ongtne radicalis humoris.
Differentia cflentu tnum squalitatum eflcntia natiui calonsfliumidique dicalis
explicatur. Pofle diuturnam nos agere vitam citra nutrica- tumex ratione vira,
fcu viuentis totius, quod ex anima et corpore mediante calore conftitui. tur.
Diu intermini pofle nutricationem abhomine ra- propofi- tioneipfiusmct
nutricationis. Diu pofle intermitti funrtionem alendi ratione peramentorum,
miflorumaqualium tcfcunt; a quibus feiungirur aequalitas humoris primigeni;,
Differentia promulgatarum ipecierum hu,, om- natiui mons
quicalorifubditusefledicitur nino ratione fpirituum. Confirmatur diu fine opera
nutneatus viuerepoffe homines dc lententia principium autorum, ac pnmum
Hippocratis, Nutricatione diu intermitti ex decreto Ocian diu nos pofle 3
nutriendi munere penes durationcm. cap Qui fitiqualitas impediens confumptionem
Celfi.c.14, ad aures Galeni ex illuftn fentcnria m opere it lotis ait hu-
natiui, SC humidi radicalis reperiri pofle. . et humoris naturalia Quomo-
ffir.- caloris, I tvi dicendorum ratio, naturaque proponitur. Liber Tertius,
inquoexrei natura difquiruntur caufisephyficx tara longum ieiunium confti-
tuentes, efficientes, conferuantes, terminantes, ac diftinguetcs cum generarim,
tum fpeciarim. fpecies Hominem diutius nutricatione intermittere pof- no- 1 6.
funflio- diutunra huius abftinentii. ' Aequalitatem virium in homine diu
fcruari pofle. de lc de mente LIZIO in
y. problemate prtmit 1 j. diu-
frOionis.aif.j6. LIZIO fuppofuifle,ac potius exprefle 3. Laurentio
nutricationem vira ncceflariam non fe.cap.3p. ef- Idipfum confirmatur ex eodem
Galeno Corrtcli/ fententiam approbante, propofi- Confirmaturhomincmfine aflione
alendi ftercpofle conii- diu de mete Galeni excorni 1 feOionis. t.a'phor.
Operationem virtutis nutririuse in atrophia ex Auicemra fententia. quoque
pnuatum aflionc nutriendi viuere pofle intextuij.hb.i.dc Confirmatur id ipfum
ex eodem tu -e1ufdcmoperis. Nutricationem inviuente intermitti ho- anima.
teleautorein yltimo problemate dteimtt fOiorir. Confirmatur hominem
pofleabfquenuiricndi dccreuif- fe viuentia funflionem alendi poffeintcruutte-
re, quod ena notauit Auerroes s.dcan. Marcello nutricationem in viucntibus
pofle. intermica Colligitur forma, 8 idea vniuerfaJit abftincnrra noftrum
iciunantium. Quptuplex,qu*qile fit vniuerialis riuo confumpeionem. Quotuplex
efle pofllt *qualitas in mifto. cap.4?. tarum; ra Difcrimen trium earundem
xqualitatum ratione leuradicah. squalitas quantitatis diferera; vnde mnumcry
fpecies moris radicalis a calore nanuo. Æqualitatem caloris quoad virtutis in
homine inter- teinno- caloris Quomodo aequalitas virium caloris natiui, er fe
fitim procreent Vt allinentis per fe non refrigeretur vlla ratione-, calor
nauuus.Anflotclis difficilis locus explicatur de refrigerio calor.s ab
alimento.Galeno nem alimentum non refrigerare calortm natiumn, nili per
accidens, fed per fcilluin au- gere. Vtalimentis augeatur caloris innati
gradus, feu qualitas;nonfolamateriacalida exercitatio ; cumdortilfimo Fcrnelio.
do. Vt alimentis non pofiit caloris virtus mtfdi abfq; Vt verne melerei de
ventrtenld, inteftinis f» gant alimentum non expertato fine cortioms. Vt folia,
ttores, frurtus, et femina plantarum pars tes vere non fint, fed excrementa
potius, Vt cx co, ouod oua,& femina
citra nutricatum vi uant,colligere polfimus perferta quoque anima lia vitam
polle traducere ablquc alimentorum vfu. co quod fubicrta calori materia
augeatur. Vt anima nutriens artum habeat immediatum, et Curnonfintfrequentioresnofiri
abfiinentes, fed proprium, in quo edendo no v tat ur organo cor» porco. Calorem
natiuum in nobis,quin etiam ignis riam- tnamapudnos, non indigerencccllario
humoris,quo vcluti pabulo nutriatur, Cur calor humorem in milio, et in viuentc
prxfertim d:palcatur,& intentum procuret, exercita- tio cum liibtililfiino
Scaligcro. Vttn Ecllali ceffct anima nutriens ab alcndimu- nei4.Vt Ecftafis non
Iit priuatio munerum animi intcl ligeutis, exercitatio cu virodortiliiino, ex
Sca- ligero.dd. Vehementi fiupore^hjsque plurimis de caudis de 1.
Jertabanimopolle omnes nouones, et habitus, c Vtalimentivfusnon
fitadrefiaurationemde per- di ti,fcd ad auocandum calorem a cita conlum- tione
humons: exercitatio cum Magno Al- crto.cCur femen maris in vtero femina:
concipientis no alatur.Vt IcmcnnonIit parsanimati, inquoeff.Vt
ou»iubutntancaliat ammata. Digil qt fit
mK cuerti naturae lr| Calor, definiendo^ non^UfrAr.Vt calor iniitus
igneo pro| iCrefpondcnscoi cum femetipfo coUlgaturitluod vcgcticficak.re,&hieme
tiamehushabeant. aa,.:j) mi Ha.t.gMUlCi fsklJlli l"v'i fcwnq..4,..V«m .t
{}.{ioli 1. :S utrori'' 1 1 ) r tluf. tvi. 11 . 5 . un. l M-k 'V' t -'iiklia^.
Ohtvn.i, i!,» lRttift j 1? ' m. .j.j.il r.cvt .1 r4 .1 a» c ii t.ojSjva
nm.iinhijjafc. Btiftt remtr.il buUma ttiu^ bi' iV. min vituentCe fiuniftionecs UDt inirn^»
marica Mntehumorem abfumert.dicatur. BnOoniidoaw» rf.u.
bkrAt^natnitii\«i>.tthtij . t .1 Sei.t e«10»rilrurfvht 1 ? 9* i >v fp
wuiMe''•{! a.l8-t. aavttt '»wj.iW'i'i :.!.wtvers qiRt . J.vrf>u.*-c tiVa
humorem \ .s-u.-ue. K.,i .1 i/.XIA'VtrQ\i,' "i'l 9\a.1r’.av.iii.pi iA.ivr1
As.ftla,i),at;yi juajm.ih. i1riumdicaviipfuiacunfuaitre
Yalcat.0^.1^AwimtarUiAnti«naV.v,?y..«ri*a:Trium Cupidinum; Voluptuofum tyranni
demin Animæ facultas, concupiscibilisvtin anima vin Amotescur Alatifingantur.
Cur Amores Nudifingantur. De Amoristergemini pulchritudine. Amor curnoncæcus
inSchemate fidus. sa, gercnsincacumine volucrem, et caueam De fructuarboris sapientiæ,
nostroinSchema Inter.viros altafapientiaprestantes, efequi
nonvocedocerefintapts, fedtantum, Schema Gemme. Sapientium,sciendi cupidos
edocere valentium, tresesseclasses.Coruicumviro fapientiæ scriptore detegitur
analogia. Schematis Amorumtrium explicatio Medica. Devolumine Mufices,
invnguibus Coruimy ab Alciato, consideracur. Schema Gemma. Explicatio viri
eruditi de Amore nocturnas Amoris origo mirabilis; a Platone polica,de
Defrondibus Aoribus hwnanæsapientiæ. claratur. Amor voluptuolus veergabellicum,
et litera Amor fapiêtiæcúrnuduse fictus. Decer gemina significatione ftellæ
prælucen. Amor sapientiæ curalatus, et quænam finteius cisin Schemate poni
caput viripsallentis. Alæ. Quomodo fapientiæsymbolumsitarboranno Amoris
Emblemanoftroperfimile, propofitum voce tantumodo docere valeant. Schema primç
Gemma. De arboris in Schemate piata coinparatione 16 busomnibus, modo fcriptis.
geminos Amoresprobaspassomexercere, çatirascibilem, et rationalem, Amor cur a
veteribus Diuinitatc donatus, Explicatio Schematis ab incerto propolica
consideratur. Yeiundas. Depriscis Anularium Gemmarum Sche maribus cxplicandis.
Amor sapientiæcur, præteralas,adhibearetiam brachiamanusque geminas,
quibusfuniculo riuin impcriolam tyrannidem exerceat. Sapientiam apprehendi ab
Animo Doctrinę Humanus animus crga sapientiam cur se habeat sermone vocali
discendi cupidos crudi. ente :primumque de biformis inferoa parte
fticicanentis, repræsentat (1.. Inter viros dostos inueniri, qui non fcriptis
Amor sapientiæ cureffictusingemma puellus Supremamonftriparshunana declaratur.
Vt Amor pusio,corporepusilo imocens, arq;moribusfimplex gallum referente.
Pientia comparatur. ad arborem scientiæ boni et malı, dudum a De fru&u
arboris scientiæ boni et mali, primæ uæ in Paradiso cantilenas ad amicam
personante perpen duplicisecollarinaltum. Responsio de Veterum Gemmarum ex- Demagnoconatu,
ingentiquelabore, quofa plicationcadcunda. Amoris differentiæ tres cxplicatæ.
Cur Amores ætate pueri fingantur a veteri sedulalectione, acintenta
Aufcultatione. Schema Gemme. ditur. Propria proponitur explicatiode viro
fapien. Amor fapientiæ curingem mafi Ausefteffigie DeBarbito,
seulyradigitishumanispulfara pusionis,acinfantis. Deo in Paradiso creatam .
cedelincatæ. Pror Proposito Schemati
comparauraliud Fabij Septentiam Viricl. hocsensusunprám, nocon cundiatoris,
exterminatione confiftere, Schema Gemmę. uenire Schematis imaginibus,
oftendirur. Propria Schematis explicatio prior eft, de Amico veromọitain Amaci
et defunctime. De Armış offendentibus, Heroico Amoribel licodatis in Schema re.
De Cun&ationebellicaper Amoremftantem Proponiturexpofitiopropriadeamorę Ca.
indicata, tofis: cap.xlvi. postulan. Amicum verum inaduerfitate dignofces, cile
fót: vél Tetbydis, aut Veneris Amores:vel Ægyptusludens ditur. Prima cxplicatio
noftra moralis, de formola Peleum, velVencris ad Anchisen delatione, formofitas,
do oscaffo, Şecunda Schematis explicatio, de Amico Pulchra mulier,
permarevitavagarsadare De Amoris bel lici clypeo hieroglyphicum, Cur Amor
istebellicus Pedes,non Equesef, Super incrementa Nili. Amici de funéti memoria
femper in corde confer. raptaproponitur, &adhistoricamfidemrc digitur,
Amoris bellici, ro, qui dignoscitur in aduersa fortuna, Schema Gemma, exarmati,
pendicur. indignacionem.cap.liv. Coniugalis Amor armis offendentibus expolia.
Proprja sententiaproponitur,quæ’est,obocu losooni Schemate noftro proprietares
Amoris irascibilis, fiuemilitaris: primumque de Schema . Gemme. Index
Titulorum, De Amoris bellicivultufæuo, seuero, actan. Explicatio
Schematisacl.Viropropolita, de cumnontoruo,minaçique. De propria significatione
Galeæ incapito dicitiam Matriş-familias. Schema Gemm &. De Amore civili,
qui vocatur Amicitia, vt a tri muliere,quæ nimium extra domum vagans ad
arbitrium,vel eft,vel euadit impudica, yanda;& Amantem non
redamatum,indi- Propria explicatio Gemmæ
proponitur, de gnabundum extinguerequam affectionem, Schema Gemmx .
Triconepulchram Nympham marinam yo, Aliena Viri cl.explicatio,de Amore monftran
lentematq; lubentemcomplecterte, perqs maria ferentc. redamato, syum Amorem
extinguente per Amorem Heroi cummilitiamagisin conferuatio Secundus eruditi
viri sensus explicatur, et ne Ducis, et Exercitus oportune celeris, et cunctantis,
quaminhoftium expenditur, moriam eonseruante, Opinio, dicenshocese
hieroglyphicum Amo Secunda Şchematis explicatio, de Amantenon ris
concupiscibilis per visam negociofam corpore milicis generatim. De Amoris belli
ciceleritace, perAlaşindica- CupidineindigneferenteSibifpiculanegari a
Venere,proponitur et expenditur, filius in Schemate noftræ Gemmulæ, IN
SchemąGemma Smithi anaexplicatiode Nereideper falum Amicus vs que ad Aram Amico
illicila busantea declaratis, Concupiscibili, Ra. Secunda explication fabulofa,
vel Tethydisadrionali, et irascibili contradistinguitur. Opinio ponons hoc esse
symbolum Amorisvo- Terrinexplicatio physicade Ægyprolafciui luptuosi, expenditur,
entesuperincrementa Nilio Rapina puellas dealiasrespulchras exponit Propria
declaratio prima de Amico vsque ad Aras., Fur et pudica Maire- familias.
piugali, exarmatospiculisoffensjonisperpu bitrium, velimpudicaeft,
velimpudicafa. equo marinoveda, proponitur, et cxpene Sententia virieruditide
puella vere a Tritong tccun&ashumanasr esessevanas, proponi- Secunda
cxplicatio,deTijroneraptāpuellam tur, et explicatur primosensu
noftratélubvndasasportāte, Tertia Capicum Operis. Tertia moralis eft explicatio,
depiratis,acpræ- Deoratione Mentalisubhieroglyphiconudæ mortali. Propria
Schematisexplicatio, declarans spe tem et
faciem interga versa in,cumligneum scipionem. cDe forma templi Delphici
in Schemate. De consulentis
Delphicum oraculum baculo, Mundi Systema, partesquevniuerfuminte. grantes,
explicantur. ASTV'S DEV DITVR ASTV. In cogniti viri explicatio indicata ex
senis datotibus, aliisquemaritimaclasserapienti- mulierisgenuflexæ,sedentis, et
vicumque busresalicnas. Sententia C l .
viri, de primo quadrigarum inuentore proponitur ac expenditur. Oraculorum
Diuinorum propriumest, homini, deEricthonioaPallade, ceu filiofpurio, et tanquam
presentes. Schema Gemma. De Papauere, simulachrosomni,aquoprima De rupe templo
Delphico subiect:. Propria fententia
proponitur primumquecal sumitexordia et
inquodimidiumsuædura giliapatratarum, perenneinin conftantiam.
Proprialententiaproponitur, et confirmatur, impuro proicãobus euentus futuros
demonftrare Schema Gemme. Aliena declaratioproponitur,& explicatur. ciarim
arborem in lacus propeod ntem,& hominis cõsulentisoraculum cumpailijpar De
Papilionc, significante breuitatem humanæ vitæ. De Simulachro in templo
Delphico. De Canopo, Deo Aepytiorum, superante Iouis figura vesitaptum Terræ
hieroglyphicũ. OratioVocalisatque Mentalisvnacon pirantes Pallas nuda ve fignct
ignis Elementun . Deum flectunt,ob efficaciterexorant. Schema xiv, Gemma. De
Mercurij ligno, Elementum Aeris repræ de Detribus orandi modis antiquis:
ftatario,ad Beneficij, velabrutisaccepsi,Deumefegratum remuneratorem geniculato
et sedentario. decoreftantis,
ambabusmanibus Deocor offerentis. Deque antiquo more tenendi Pallijmotus in
terga declaratur. Explicatio noftrade Mundi Syftemate,parti tumAquæ.cap.xci.
uariælymbolummedium explicaturdevita Dc Rota,lignantehumanarum actionum, invi.
Schema Genoma. Tionis habet humana vita. De Vrna sepulchrali, ad quam
terminantur a&iones omnes humanæ vitæ mortalis. Schema Gemme. Deum
Chaldæorum Ignem, viâorem omnium aliorum Numinum Gentilitatis.
buiqueintegrantibus, proponitur; primum que Zodiaci declaratur imago, pro toto
Cælo.D e oraçione Mentali vereres profanos egisse. Facici mira versio in tergus
explicata. Schema Gemma, corroboratur. Voca- De Nepturo, repræsentantetotum
Elemen D e viribus et proprietatibus orationis
lis, atque Mentalis, Deo Accendo p orrigen . sentante, Poeta HEROV M
FILII NOX £ . autoribus proponitur et Humana vita eft morsvndique
miserysobfella. expenditur. De oratione Vocali, fignata per mulieremic.
miamittam, quædexteralacinian tenet,fini- Schema Gemma, Explicatio Viri Cl.
re&taproponitur, et latius ftraserpentem porrigit. Aras ab orantibus.
Poetabonus, ad Lgraincanerenescius: vel
Propria Schemaris explicatio proponitur, de canere nescio. Secunda Schematis explicatio depromitur ex
pium natura generica, Proserpinæ Schema Schema Gemm &. ponendis apre facilequedislidijstum ánimo rum
dilceptantium, tum corporca violen:. Noftra explicatiode Ducisexercituumeripli-
Sacrilegus Brenus ad Altaresempli Delphici ciproprietate. Tertia declaratio
nultra de Amoris genitabilis fcibilis et Rationalis, explicari Schemare.
Produnturin Schemate. mortem fibi metipfi sponte conscisceredebuis,
Auroranettens Atheraterris,prouchit oria diem . Schema Gemma. Aurora
diejnuncia, celeriterorbem terrarum circuit. . tiabelligerantur,
setranfuerberat. absolute, frustra laboráns. Hesiodo poeta bono carmita sua ad
lyram adagio veçusto de viro fruftra
laborante. PRINCIPATVS ANIMALIVM, Ducis exercituum proprietates:
Amorisgenitalisimperiosapotestas, G Amoris tres differentia, Elementa vitalia.
imperiosapotestate. vel Ampli il regna
benegubernantur, Explicatio viri Cl. de Principatu animalium. altronomo Lunæ,
liderumque seruante, phasesob- De Ajace semetipsum interficiente, gladiodu dum
ab He&ore sibi donato terramcum Plutoneraptoremanente,totie dem
supracerráapudmatremdegente,my. Num Sahemapossitintelligi.dam fra&tam
supplente,affertur,& expen ditur, Schema Gemma. De Cererisfilia
Proserpina,sexmenses intra Amoris tresdifferentias,Irascibilis,Concupi Elementa
viuentium fcracia,& altricia, terna Anonymisententiade Decio proponitur
et cxpenditur,obferuatoris
hieroglyphicum. Schema Gemme, numpoflicimago Schematis interprecari.Explicatio
fabulosa, seu poetica viri do &i de Schema Gemme. De Mercurio Canicipite,
Regnum Acgyptium optimegubernante, Schema Gemench. De viribus Sapientiæ, ac
Eloquentiæincom. Ajaxfurens, ob Achillis armfaibi negata, Schema Gemma. De
Catone Veicense, semetipfum cõfodiente, Proponitur explicatio propria,de
Brenno, Proditoremnunquamplacereviroforti, etiam cui sot vtilis prodirio nesati
hoftis, Schema Gemm. Explicatiovirido &ideCicada, citharæchor Pulchra
fæcunditas, a terracalore rapta, fex menfeslater intra terra viscera, totidem.
que fupra terram in aere degit, C. Sapientia, don Eloquentia litigantes, atque
pugnantesanimos apsefaciley, componit. Aftrorum Lunariummotuum et phasium
Endymione a Diana ad amato. Propria Schematis explicari o proponitur d e
Gallorum Duce facrilego, qui semetipsum confecerit ad Aram Apollinis in templo
Index Titulorum, thologia cómunis explicata. Propria explicatio de
vegetabilium, feu stir te, fabulisquerepræsentata, Sapientia, et fortitudine,fagaciqueprudentia
De Bruto, separiter pugione confodiente, Delphico Schema Gemme. De off Au
Cæsaris accipientis caput Pompeij Magni a proditore, qui virum
interfecerat, Schema Gemma. Larma.
fiueperfona Dramaticum Poctamoftendit. Sue prijci sacrificabantvbigfingulisfere
Dijs vitaprecellentibus, ta vetusta.
AftNo . Schema Gemma, Schema Gemma. Virtute fortunamsuperari. Dc
Qliadrigain Anulosignatorio PlinijSca cundilunioris,& Rana fignatoria
Mecæna eis. tasmaximoperedecet. Schema Gemme. cultatibusin columem. Martiales virimulierumraptor
esprimi, par: Centauri cuerentis, et fagitcantis tergeminum novelfatuplenum, et
excrinsecusoleolisi. Generofasindoles educaridebereab Heroibus ujoueperundum.
Lætarin eminemo porterefraude; quum et ipse consimili capi valeat. cPropriæ
fententiæ declaratio, devitæconcemAmpli Dominij splendor non ofuseatsidera viro
Virumingenio, probitate, fortitudineque polen? thiuminbono Principe, Magnoque
Mini, Stro,quem taciturnitas atque celeri. sememergeredefawienrisfortunediffi
Gerimis Anulorum insculpiconsucuisse vultus gemina, fugax, dprocax,
mysticerepre. Jenialacalefti Sagittario. Insignium virorum, adillorummemoriam,
cultum, et imitationem. De Hominisin Alinumtransformationeper maleficā libidine
abutentem myfteriumexplicatur,primumquedeScr monishumanidifferentia,&
velocitace. Veterumsaltatio Iudicrasupervtresplenos, et
extrinfecusvnitosexplicaia. Eodem Hieroglyphico denotari humanæ vitæ naturam
fugacem, geminaquc differentia De vererum ludicra (alcationesuper vtrem vi.
Schema Gemms. Personam non attribui PoetæLyrico,vel Epi- Chiron Centaurus,
vtviruina&uofæfimul& contemplatiuæ vitæperitumindicet
adomnia:jeaprecipue Veneriadpuritatem coniugý; dfæcunduarem prolisinNuprijs. Schema Gemma. Furum ex rapto viuentium antiquitus
condi Schema Genome, De SacrificioSuisapudantiquos. Fraudulenti pari
fraudecapiuniør: do Vitecontemplatricisverumacgenuinum hieroglyphicum. Schema
Gemma. Gandium& Mæror viciffomfibifuccedunt. Schema Gemme. Anonymi
sententia perpendicur de Psyche Pyralidisalasbabente, ansit Animesymbo
fomquediffamati. Humani Sermonis ; do bumana vite natura in actuos apariter et incontemplatrice
Schema Gemmt. Furacisrapacitatistypus,& inftrumen. Virorum infignium
imagines Anulis in sculpifo: litas,adeorum memoriam, culium,
Mulierumraptoresprimos,& paffim fuissevi ros bellicolos. imitationem.
Libidinis atque Magia prauapoteftasingens, Schema Gemma, virtutis, et vitijdistinctam,maximeque
libi. dinosam. Cole delle proprium symbolum Dramatici. aprum cducaregenerosa
indolis adolcicencs. De Marlya geminatæ tibiæinucntorc fabula menio
latjusexplicato. Schema Gemme. Schema Gemma. tionesexplicatæ. lum absolute.
Platricisintimis attributis. Atuosa vita prima species Bigisinludorum Alia
Panos explicatio devniuerfo proponitur. Circensium Schemare currentibus
hieroglyphice interpretata. Aftuofa vita secunda species, Moralis&Actiua
lufta Zelotypamulieris indignatio, familjema eft: nuncupata, Quadrigarum
fpectaculomy. ftice representata. Schema Gemme de Equo
Troianoproposita,&expensa: Propria Schematis explicatio primumque Darctis
Phrygij deNaturalicu narratio. piditatesciendi. Virorum Heroica virtute
preftantium vultus Potentiorum præde opulenti: Telluris occupatio apud antiquos
merorieac imitationis ergo Dilly's Cretensis Ephemeridum inuentio communis
receptio. veterum, Achillisi mago qualis, et curin Schemace. vltionem, Bigarum
cursus in stadio ve indicet Artificum vitam effe&ricem. comprehendere
fatagientis. Responsio LICETI denneac formasuisymboli Schema Gemmik.
Sophiftaperimitindocius, adoctisinterficitur in literario mundo. Quadrigarum
cursu signariviram Adiuam, Naturalis cupido sciendiqu. erielatentesrerum
præcipueque Milicarem. que Aduerfus hoftesinbelloiusto,dolis Schema Gemma,
expenduntur. cap.cxli. paratur, ac de singulis tribus censura pro mulgatur.
interitus, Schema xlvij. Gemma. pafjem effigiatos. haberi. a fortioribus:
Agraria Legis occafio, do ego Amicitia cogens ad iustam
PerfeisimulacrocurfignaueritAlexander, cur vsiveteresin Numis. Multiplexænigmatis explicatio:
et primade potentioribus diripientibus aliorum opes. De Anulis, quos
adsignandum habebat Magnus Alexander. Secunda Schematis explicatio nostra est,de robustioribus,terræ
dominium, acpofsef Panos Hieroglyphica, deSermone, deque Vniuerfo declarata. Tertia explicatio politica noftra Schematis, de terræ
distributionem ilitibusvi&toribus, per Schema Gemma Platonica Panos
explicatio, de conditionibus, Legem Agrariam, affertur. Quarta Schematis
explicatio noftrae ftphysi. Auctarium. Schema Gemima. ca, de typo Agriculturæ.
Hostium donfau fpecta fempereffedebere.nam. Poetarum et historicorum
communisopinio, Veriores fententiæ deSphinge proponuntur exalijs,cap.cxlij.
Tertia sententia PLINIO, Pausaniæque de Troia Equo proponitur, et allatisanteacom
Arcana Numinis, et edifta Principumnonime telligentem, acnonobferuantemmanet
Schemaxlij. Gemme. vis:
Agriculturetypus: Ægyptus: Schema xlvii. Gemma, et PROPIA NATURA SERMONIS
HUMANI proponitur. QuintanoftriSchematis explicacio, de regione fionem fibi
occupantibus. licerarij. inuentis ingenia macerat. Schema Gemme.
aqueacviribusvtendum . Aliorum opiniones de Sphingereferuntur, et Propria
Schematis explicatio proponitur de Troiano Equo secundum senfa poetarum
Principum,& nonintelligentesoracula. Index Titulorum, De Schemate noftri
Mercurij Pana fugientem caufas, quibus inuentiscellat, non Sphinx curinterimat
non obseruantesedi et a Ægypti. Postres i Poftreina Schematis explicatioest, de
Amici- . Crucifixi Predicatores, Pifcatoreshominum: ciæ, ad vindictam
injuriarum cxcrcitum. co. Chiorumantiquain Homerum obseruanti apu Explicatio
prima Smethiæ Gemmæ de Crucie c Explicatio primæ Gemmæ Rhodianæ, rife, Propria
Schematis explicario de Mula Thalia rentis obseruatores cæleftium luminumn
proponitur et comprobatur. Curanti quis acerdotes offerrentali quando la
Secunda explicatio Gemmæ, dehomineforcu crificia Numinisedentes, licibello
Cælaris Augusti nata, Belisarja. Afferturgenuina declaratio Numi Comitis11
Comica lafcime gaudet fermone Thalia: vel Sccunda nostra Schematis affertur
explicatio dia gentium comparari. Salute
patratum natomarehumanævitænauigante ventose chariftie Sacramento.Schema Gemme.
ad veritatis imaginem. Felicishominis,feu formuaritypus, Nawigans cum ventis in
V'tre conclusis. culo. gentis, hieroglyphico, c UniuersalisIudicijtypus:
Mirabileconuiuium in Deserto; Viros fapientes publicismonumentisefe colendos
Schema. Numifmatis, Schemą liv, Gemm. De Smithiana gemma.cap.clxii, Animo
pacato sacrificandum et fupplicandum, Fructuum atque frugum vbertatem concors
Schema Gemma. Concordia, et fidedata, feruataquçmirificam Miles atrocibella
fuper ftes in ærum nofam incidit inopiam fæpiffime duobus piscibus mirifice,
Quarta explication Gemmæ, de Sacrofan&oEu Schema Gemma.
cundoadarbitrium,fincracionis guberna blica.cli, Comparantur Numismati
de-Lazara duo ali Numiab Augustino propositi. rá curba in deserto quinque
panibus et explication viri eruditi de Venere, loco, et Cupidi neproponitur,
cap.clv. Schema Gemma, De Amore fơecundante criainferaelementa. apud homines
promoucri bonorum ome niumybercarem, Schemalvý, Gemma Belisarij et Horatij
[ORAZIO] poetæ paupertas, exinfc Fortiondinis audar facinus, pro patrie næ calamitatisfere
çoinpar exprimitur. Digreffiode Cicuræ medicamentis, &veneno. Mutij Sczuolæ
Romani grande facinus et inli- Responsio deCicutæviribus: et pri mum, cus non
habeat vim ex purgandi cor et eucharistia symbolum. Fixi prædicatoribus hominum
piscatoribus. Schema Gemmila luftriss, loannisde Lazara, De sepulchrorum
differentiis et Homericu. Secunda explicatio Gemmæ, finale iudiciuin mulo,
cap,cliii. Poeta Comici, Lyrici uelafciuiori sactus, Gemma celestium
obferuationivacandum animo curis vacuo, quies centeque corporeprorsus
Expendunturalları Schematis imagines, & sensaViricl.cap.clvi, Aftronomio
blernaca, et Aftrologiludicia, vc exarretieridebcant. cap.clxvii. myftice
referentis.Tertia explication Gemmæ, desaturatainnume de Poerafcu Comico,
feulyricolafciua fupidoMaria,Terras doAeremfæcundans: carmina pangente,
cap.clviii, gnis erga Patriam Pictas atquc fortitudo detegiturinGemma
cap.clxi. pora çiçuræplanta: deque
duplici genere Cicutarum, Sale. beat molliendi. etiamproba, plerumque multum
nocet sibi, dum viro coniugi, Cupido au olans a Psyche fibi non morigera,
Amaritudomunuscælitus datumhumanænaty. Ra ad procreandas multasbonasactiones.
Schema lix. Gemma. Quatuor Nouissimorum explicatio in gemma de mortis memoria,
per anulum schematis De secundonouiffimo, quodeftludicium Dei poftobitum
hominum, perperdentis corum post ludicium luendis a vita de f u n et is per
perenni poft obitum, aut purgationem in cælis possidenda, per Stellam, lunam et
cicadam hieroglyphice signata. Per oratio totius Operis,Caputvlcim n quo agitur de Monftris generatim. CJ Onflri
varia ftgnijicatio 5 (02 propria efi, ac noflri inflituti^. deteoitHr, Monjlri
etymologia vulgaris, quaft res eventnras monjiret^confiitatidr; vem (^ propria
proponttur» DeMonjlroriim Hnmanorum reali existentia, Realts extftentta
Monjlrornm irrationalium naturam non eoredientium patefit, OBenditur in
fiirpibus etiam revera MonBra contingere, De Mon''hor Hmcauffis generatim
ijtiot ^qu^ecjue fint, Monflrorum caujfa Hnalis generatim (jtiQtupLex^qucec^He
fit. DeMonflrorumcattffaformaligeneratim, quotuplex quaquefit, De Moniirorum
caufia ejfetirice generatim, quotaplex, qu& quefit De MonflrorHm caiifia
effeflrice generatimtquotuple Xiqucequefit, Propria Alonfiriffeneratim accepti
definitio investigator. Inventa Monfiri definitioexplicatur.CMonfridivifioin
fuas fpeciesfupremasmtiltiplexaffertur, fedaptior eltgitur In quo fpeciatim
agitur de Monftris
tjumanis.Attexensdi6iisdicenda^&dkendorumordinempromulgans.ORige canjfd
Mon^f OYPimh manorumcomm Hmsqti<e^ "wplexejfe valeat. Monftrorum in
humana f^ecie mutilorum realis exiftentia ex Uifloricis elicitur, Origo, (
prima caujfa monBri uniformis mutili educitur ex propria materits defeu.
Secunda caujjfa^ C=f orfgo MonHri mutili oHenditurejfe ex dehilitate, ac
defe^uvirtutis formatricis, Tertia causa, ( origo
MonBrimutilijlatuiturinangufiiauteri, acloci f(stum continentis, uarta mutili
Monjlricaujfa^(origoadmateriaineptitudinem redigitUY. Quinta Mon(iri
mutiLicaujja^ (£ origo eft ex parente itidem trunco. Sexta causa 3 origo
Monflri mutili admorhumfoetus attinere dicitur, Monflra muttlaex imaginationis
parentum viexoririnonpojfc Monjiri uniformis excedentis redis exifientia ex
hiHoricis item compro- batur, (tajia, Monjiriexcedentisnatura, G?caujfa. prima
elicitor ex parentum phan- Secunda causa, (^ origo Monjlri excedentis in
materics nimio excejfu ejje perhibetur. Non omnia A^fonjlra excedentia ex
materi^srednndantia ex oririiJed aliquaexcedeniiumfuicaajfamtertio locoin una
materiae penuria obtinere. ^jiarta canfa, (^ oriuo Monjlri excedentis infk
perfcetattone collocatur, .^inta caujja, origo Monjlri excedentis rejolvitur in
iteratam ejfu^ Jionem maternifeminis in uterum citrafispeYfQ^tattonem.
Sextacauffa, £? origo Monjtri excedemis pertinet ad anguHiam uteri Septima
caujfi, c^ origo Adonftri excedentis ex parentibus monjirofts elicitur. OUava
origo, ^ caujfa Monftri excedentis in vitio nutricationis confiftcre
perhibetur„ Nona ratto, (^ canfja Monftri excedentis monftratnr in
animipajfionibus parentes aJJicientibHS : ex^rciiatio cum Cavdano, (^ Parxo.,
Decima causa origo MonjiriexcedentisinviolentafKaternicorpo^ ns concnljione
reponimr, .U/idecimacmjpi, ^origo Mon riexcedentisrefertnradmorhnm fœtus,
Monjlrorum ancipitis natur^efHbfillentia realis demonflratnr, Jldonftrianctpitisorigo, Causa. Communis
injtntiaturj ermturque prima. ex ?nateriet diverfce dcfe^H, ac excejja. Secmda
Alondrfancipitisorigo, caujjaextiteriangufiia, (de" feSiu
virtuttsformatricis explicatur Tertia Monjtnancipitis origo, cau^ainmorhofmtm,
^ffiperfce' tatiom deteqitur^ ^iarta Mon^ri ancipitis origo, caujsa refertur in
materi<e ineptitudinem, iteratammaterntjeminis,
(fanguinisejjluxtoftemaduterum, citra fiper fostationsm,
intaMonjlriancipitisorigo, causa de promitur ex parentum corpore Monjlrojb.
Sexta Monjlriancipitisorigoy Ccaujfaex vehemenii parentum imaginationei vitio
nutricationis in faetu enucleator Mofiflri ancipitis origo, Cscaujja feptima
reponitur in arte, peccata JSfatura imitante, ac nonfine ai^ilio Naturiz
operante. Mon^ridijformisexi Bentiaexhi Horicispromalgatur. De Monjlri
dijformis natura, caujfis; primaque illius origo refoU vitur in malam uteri
conformationem Secunda Monjlridijformisorigo, &caujfaJpe5lat ad malumjitum
placenta nuncupatas: cujus ufns explicatur, Tertia dijformisMonfhicaujfa,
(^origoexmoladepromitur. arta Monjiridiffhrmisorigo, (canjfaofienditurexmotu, inta Monjlri dijformis origOj (caujfa
flatuitur imhecillitas fa- cuttatis difcretricis, yi. Sexta origo, (caujfa
Monjiri dijformis ad nimiam materiie vifet- ditatem rediaitur, f^lI. Monflra
informia, dehitam memhrorum figuram non retinentia reipfa inveniri. Cde Ad onflrovuminformiumorigine,&caujfa;
qu^primlmde ducitur ex imbecillitatefacultatis formatricis. Secunda
Monfirtinformisorigo, (^caujfj,exanguliiautericolli" gitur. Tertia informium monfirorum caujfa, (origo in
motu inordinato repO nltur„. arta informis Monflri origoi caufpi d(?prmiturifi
mola (fLicema, tumore utm^concuTYmie virtHtisform^trkn imhcilliime, acmatem
tertceweptimdifie,inta informis Monflri orlgo j ($' C(^0jj4 ex imMgimtio^e
parmtum vehementiexi^ltcatHr» Cap, Sexiatn formis Monftricauffa origo innsonflrofo
parentedete* gttMY, Septimainformis Monjlriorig QcaajfnrefertmadmenflrmYHm
fliixum tempore conceptus, Monjirienormisexi Hentiapatefit, Monjlra enormia et omnino
monfira mn ejfe infantcs candidos e fareKtibus JEihioipibws ortos necviciffm
iEthiopum moremgros e cmdidis: (^decolore Aadromeds. Monflri enormis origo, caujfa prima ejje in
imaginatione paren» tHmperhibetur: ^miiltadeaureocri^re Pythagorse
confiderantHr, Secunda Monfirienormisaureofemorecaujfa, origo reponitur tn
exhalationeigneadecorporeviveniis efliMente, Tertia Monfirie normisameofemore
caufia, origorefblvitHYin morbum regium, ana Monfiri enormiter pilofi caujfa i
(origo ex craffitiei (fuligi num copia extruditptr; ubiplura de cordepilofo
Ariftomenis, inta Manflri enormiterpilofi origo, causa ex parentepariterpih» Jo
petenda eft. Sexta Monflri enormiter Upi defcentis origo et causa ex
intempefiei tic materiae ineptttudine dedudtur Mon^rimuiltt
formtsineademfpeciefnbf Mentiapatefit; ubidecapi-'le ytrtli mulieris corpori
ajfixo de Hermapbrodttts mira quadam explaviantur. Monfirimultiformisin eadem
fpecie^muUerisnempevirite caput habenits origo, ej" cauffa prima ex
hetero^e»ea feminis natura educitur j
defemi» nis' Vulgo tnwiafculosmutatts; Qfdemn fculisefieminatis,
Secund.canfia ejufdem moftlhi multiformis ( ori<To excutitur ex de jtdu
fminis m^fcpilei Tenia Monjiri multiformis in eadsmfpecie origo (£
cauJfarefertHf i,id pdrentumimairin Mionem..t^ariuorigo,
(^cauffaMonfirimuliiformisin eademfpecieadpa rent^s conjimilem natnram attinef,
monfira mnltiformia ^diverfas animulium species in ecdem genere proxmoreferemta
fnonefie figmsnta ^jed in rernmnatura reperiri J^donjlYt midti formis diverfas
animali Hmfpecies in eodem geneYepYO^ ximo referentiSy canjfa c origo frima
depromitur ex apparentia. Secunda causa, G? origo Jkfanflri, mtiltiplicis
fpeciei animalia referen' tts, ex imbecillitate generantis pendere
demon(lrattir, Tertia canjfa, Cs* origo
Adonflri multiformi animalium fpecie elicitur ex deirenerata fsminis anima in
nattiram alienam.arta Aionflri mnltiformis varias animaliam species referentis
origo causa ermtm ex materialifostus principio, jtinta Monflri lotimani
hrntalem effigiem habentis orioo scattjfa ex virtnt is alentis vitio elicitptr,
Ssxta hominis monflroseferinaspartes habentisoritroj caujfain altmentaris
materiis vitio reperitar, Septimacanjfa,(^origo Monflrihitmaniferinam effigiem
habentisex morboelicitur. O avacauffa, origo Monflrihnmaniybrtitorumejfl
gieminmem' bris habentiSfjx imaginatione parentum defttmitHr Nona caufja, corigo
Alonflri varias animalitim effigies habentis agnofcitnr ex parentzbfis
monflrofs, Decima causa origo Monflri partes habentisbrtitorum membra (hnmana
referentes, explicatur exfeminum miHione, ac nefaria venere. Dttbitafiones
propofltam theoriam. urgentes diluuntur (prima edn a ex ARISTOTELE, alicubi
n^gante monjlrtim fieri ex animalibus diverfs fpeciei. AlteradubitatiQ
Maniliana, G Lucretiana diluitur, negans qtiiA ejfe nobis commune cum feris,
plantis ad invicem {nam Caftronianam ver^ bistemer efttffttltam, non
autemrationibusinnixam, latedif cujfimusinopett de Feriis Aitricis Anim3?,
difputat. Tertia dubitatio viri eximii negantis ex variis fpeciebus poffe ejuid
uni tantum parenti congeneum nafci. Exercitatio cum acutiffimo Delrio. Di in le
magis explicatur origo humani monflri ex fera nafcentis,Vndecima causa et origo
Monfiri y varics speciei anirmliumi partes habentis, ex cacodamonis opera
elicitur, Monflra muhiformia fuijfe conflruUa ex partibus referentibus
animantia diversl generis, Monflrihttmani membravHiorumanimalium habentis origo
caujfa prima in apparentiam refertur.
Secunda Monfira diverp generis origo S cauffa ex imbeciUitatsj vtrtutis
generamis colligitur. Tertia Monflridmffigemi origo, emffain Milifate fcrma-
tricis repomtnr artacmujfa c origo Monflrimnln gemie cimbecillitatcviv
tmisfeparatricis dedHcttm. inta causa,
erigo Monflri multigenei referturad femims degeneranoncm. Sexta caujfa
Monflri poligenii materice ineptitudo ejfe offenditur. Septima causa origo
Monflri multigeneidejumitur ex debilitate virtmis alentisfoetum, Octava causa origo Monflri diverft genii ex
inepto partium alimento educitur, Nona
cauffa, origo Monflri multigenii ex morbofostus adducitur, Decima caujfa, G?
origo Monflri multtgenii ex parentum imagi' natione hauritur. Vndecima cauflaj
Gf origo Monflri diverft generis adparentes
mon Yofosrefertur, Duodecima causa y origo Monflripoligenii habetur
infemitium permifiione, Decima tertia causa originis Medufaei tapitis in
ovogallin s...Decima quarta caujfa origo Monjirimultigeniiadvim mali Diemonis
refertur, Monftricacodamonis origo
explicatur ex causis prius adducis.
Vewv&tio totius operis. Licetus. Fortunio Liceti. Liceti. Keywords:
implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Liceti” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza --
Grice e Licone: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
pugliese – scuola di Taranto -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A
Pythagorean according to Giamblico di Calcide.
Luigi Speranza --
Grice e Licoforonte: all’isola -- la scuola siciliana – Roma – filosofia
siciliana – scuola di Leonzio -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Leonzio). Filosofo italiano. Leonzio, Sicilia. A
pupil of GORGIA (si veda) di Leonzio. Primarily a sophist, he takes positions on
philosophical matters. For example, he declares that being from a noble family is
worthless in itself, as its value depends solely on the esteem in which the
family is held. Licofronte. Licofronte.
Luigi Speranza -- Grice e Liguori: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- implicatura critica – filosofia
lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “Personally, my
favourite of Liguori’s metaphors is ‘the abyss of reason,’ since Speranza has
elaborated on this: it’s Gide’s ‘mise-en-abyme’ no less, which breaks my
principle of ‘conversational perspicuity’ – a mise-en-abyme text is just
untextable!” -- Grice: “Liguori has
studied the metamorphosis of language in one of his philosophical noble
ancestors!” “I like Liguori: he has the gift of the
gab for metaphor: ‘i baratri della ragione,” “la fucina del filosofo,” “l’alambicco
dell’anima,” “la condizione del senso” ‘il razionale dello irrazionale” o “le
ragione dell’irrazionale” “le ambiguita della ragione,” “Trasimaco ha ragione”
“Giustizia e carita” Ritratto. Frequenta il liceo classico dell’Istituto Massimo
di Roma. Studia alla Sapienza. “Scherzi della memoria.” Si laurea con la tesi “La
scesi giuridica.” Insegna a Lecce ed Ostuni. Si dedica alla storia della
filosofia. Insegna a Bari, Urbino, Ferrara, Trento, Salento, Torino, Firenze, Lecce,
Cassino, Napoli, e Noceto. Con “E il vero baratro della ragione umana” – cf. H.
P. Grice, “Mise-en-abyme conversazionale” -- viene riconosciuto come uno studioso di Kant,
Graf, LEOPARDI (si veda), e Cartesio. Tratta Positivismo di Sergi, Lombroso, Morselli e Vignoli; della scesi di RENSI
(si veda) ponendolo in critica relazione tra LEOPARDI (si veda) e PIRANDELLO
(si veda). Scrive di de' Liguori e di Benedictis, detto l'Aletino. Collabora con
l'Istituto Italiano per gli Studi filosofici di Napoli. Tenne rapporti epistolari
con GARIN, BOBBIO, Augias, Binni, Donini, Ferrarotti e Timpanaro. Fonda ad
Ostuni il Circolo Culturale “Sic et Non”, cui aderiscono e collaborano
note personalità della politica e della cultura quali Donini, Fiore, Radice, matematico e fondatore e direttore di
“Riforma della scuola” e docenti delle Bari, Roma e Lecce. “Sic et Non” si
impegna in complesse battaglie civili come quella per un dialogo tra marxisti e
cattolici, ed altre incombenti questioni sociali come la campagna per il divorzio.
Stringe intese, oltre che con moti uomini politici e studiosi di chiara fama,
con il gruppo dei cattolici del Gallo di Genova e coi fiorentini seguaci di
Giorgio La Pira, i quali si riunivano intorno alla rivista “Testimonianze”
diretta da Balducci e Zolo, nonché con i ragazzi della Scuola di Barbiana,
diretta da Don Lorenzo Milani. Manifesto editoriale del "Sic et Non"
è la rivista Presenza, da lui diretta, che testimonia questa attività politica
allora pionieristica per una piccola provincia del Sud Italia. I sette numeri
pubblicati della rivista Presenza, e altra documentazione di tale impegno
politico, sono attualmente depositati presso la Biblioteca di Ostuni intitolata
a Trinchera e comunque ampiamente documentati nell'unico saggio autobiografico
dello stesso autore. Critica e commenti sull'opera di L. Carteggio con
illustri studiosi Bobbio: Il saggio mi pare di grande interesse, per l’ampiezza
e la serietà della ricerca su un tema, se non sbaglio, mai scandagliato a
fondo, eppure importante nell'ambito più vasto della storia della filosofia
positiva, della critica letteraria e della cultura torinese (argomento a me
particolarmente caro). Sono convinto che si tratta di un lavoro di prim'ordine,
che rende giustizia a uno studioso e a uno scrittore (e poeta) che è stato sì,
ricordato più volte dai suoi discepoli, ma è stato poi dimenticato dagli
storici. Credo che questo libro sia un effettivo contributo alla migliore di
quel periodo della nostra storia che la cultura idealistica aveva disdegnato:
un contributo di cui soprattutto noi piemontesi dobbiamo essere grati».
Sebastiano Timpanaro: «Mi sembra, e non lo dico per adulazione, ma con piena
sincerità, un'opera di livello davvero eccezionalmente alto, per la
caratterizzazione del protagonista e di tutto il suo ambiente, per tutto ciò
che finora ignoto essa porta alla luce. E’ venuto fuori cosi un lavoro che
molto di rado accade di leggere». Donini: “Mi pare, ad un primo esame,
fondamentale per la conoscenza del periodo ancora poco conosciuto. Apprezzo
moltissimo tale metodo di indagine e la serietà della documentazione. Uno
studio di questo genere è certamente costato decenni di intensa documentazione.
Oldrini: ho letto subito il volume su
Graf così ricco e con non poco profitto. Quando l’autore, in un punto se la
prende con gli storici della filosofia italiana che trascurano Graf, anzi noni
menzionano affatto, mi sento in colpa; e tanto più in quanto io, studioso della
cultura napoletana, mi son lasciato sfuggire quei nessi di Graf con Napoli che
il volume di L. illustra con tanta passione». Contorbia: “poche volte accade di
fare i conti con un libro così fatto, stratificato, totalizzante; ad apertura
di pagina si avverte l’impegno, il grado di coinvolgimento appassionato con cui
lei ha condotto avanti negli anni una così impegnativa ricerca peculiare, quasi
il centro della sua esistenza intellettuale, il punto di arrivo (e a un tempo
di partenza) di un confronto che è culturale ma anche morale e politico.La
qualità di un tale lavoro, mi pare, fuori dell’ordinario». Valli: «L’autore ha
consegnato alla critica e alla conoscenza uno studio così complesso da poter
essere considerato un esaustivo panorama della cultura del secondo Ottocento
italiano e non solo italiano]». Recensioni di illustri studiosi Rossi, “L'autore…
ha fatto emergere un quadro ricco e articolato dove accanto alle ombre brillano
alcune luci importanti». Recensione sulla rivista «Panorama» riguardante
il di de Liguori Materialismo inquieto,
edito da Laterza. Cosmacini, «Il lavoro di L. è largamente meritorio oltreché
ampiamente documentato». Recensione uscita su «Il Corriere della sera»
riguardante il di L. Materialismo
inquieto, edito da Laterza. Marti::Dalle appassionate e diuturne indagini
dell’autore su Graf e il suo tempo è venuto fuori il ponderoso, massiccio
volume, che ho ricevuto come caro e preziosissimo dono. Davvero lusinghiera la
“presentazione” di un grande Maestro come Garin, e accattivante e simpatica
l’”Avvertenza”. Tutto il resto è da leggere». Recensione al volume di L. su
Graf, Giornale storico della letteratura italiana. Augias: «Quella di De
Liguori è infatti una storia meridionale che parte da una finzione narrativa di
gusto classico ma così classico da poterla ritrovare in alcuni capolavori tanto
celebri che non vale nemmeno la pena di citarli. Saggi: “Trasimaco ha ragione” (La
Rassegna pugliese); “Giustizia e carità” “fra filosofia e vita” Ivi “Lo scetticismo
giuridico di Rensi” (Rivista di Filosofia del diritto); “Una moderna enciclopedia
del sapere, Rassegna pugliese, II“Efirov e la filosofia italiana, «Problemi», “Un
Leopardi anti-progressivo” (Dimensioni); In tema di materialismo comunista,
Ivi, “Gioberti e la filosofia leopardiana -- momenti del conflitto tra
l’ideologia cattolico borghese e la protesta leopardiana” (Problemi); “Un
episodio di solitudine. Rassegna di studi su Graf,” Ivi “Leopardi e i gesuiti
-- appunti per la storia della censura leopardiana, Rassegna della Letteratura
italiana, Quel povero “Diavolo” di Graf, «Giornale critico della Filosofia
italiana», Le «Scandalose razzie». Scienza, politica, fede in Graf Ivi, Scetticismo
e religiosità in una rivista militante: «Pietre» in, La filosofia italiana
attraverso le riviste, A. Verri, Micella, Lecce, “La condizione del senso”; “Per una
riconsiderazione della lettura grafiana di Leopardi” «La Rassegna della Lett.
It.», Il mito e la storia” – “Le ragioni dell’irrazionale in Graf, «Problemi»,
Quella «dubitante religiosità». Graf e il modernismo, «Giornale cr. della fil.
It.», Doria tra platonismo e riformismo, «GCFI», Il sodalizio Labriola-Graf negli
anni della loro formazione «Studi Piemontesi»,
Un anti-cartesiano di Terra d’Otranto: Benedictis, in, Miscellanea di
Storia Ligure, Genova); “Materialismo e positivism -- questioni di metodo” (Facoltà
di Filosofia, Bari); “Aletino e le polemiche anti-cartesiane a Napoli” (Rivista
di storia della filosofia); “L’araba fenice: ossia la filosofia nella
secondaria, «Idee», “E il vero baratro della ragione umana” – “Graf e la
cultura” Prefazione diGarin, Lacaita, Manduria,
“Le ambiguità della ragione” – cf. Grice: ‘the equi-vocality of ‘reason’
Grice: “Liguori has a taste for unnecessary plurals: the abysses – the
ambiguities -- ” -- «Idee», “Per la storia della psico-fisica in Italia”; “Il
materialismo psico-fisico e il dibattito sulle teorie parallelistiche in Italia
-- Masci e Faggi «Teorie e modelli», “Di una rinnovata attenzione al
materialism” (Idee); “Mito e scienza nell’antropologia e nella storiografia del
positivismo italiano”; “La filosofia tra tecnica e mito, Atti del Convegno
della SFI, Assisi, Porziuncola); Dimensioni»,
Livorno, Materialismo inquieto. Vicende dello scientismo in Italia nell’età del
positivism” (Laterza Bari); “Tommasi e la filosofia zoologica di Siciliani,
Rileggere Siciliani, G. Invitto e N. Paparella, Capone, LecceI Presupposti
epistemologici e immagine della scienza in Morselli e Graf, Filosofia e
politica a Genova nell’età del positivismo, Atti del Conv. dell’Associazione
filosofica Ligure-- Cofrancesco, Compagnia dei Librai, Genova, pMaterialismo e
scienze dell’uomo; Kant e la religiosità filosofica di Martinetti, iA partire
da Kant; L’eredità della “Critica della ragion pura”, A. Fabris e L. Baccelli.
Introduzione di Marcucci, Angeli, Milano, Materialismo e scienze dell’uomo -- Il
dibattito su scienze e filosofia, Lacaita, Manduria, La fondazione razionale
della fede in Martinetti, Dimensioni, Livorno, Darwinismo e teorie
dell’evoluzione nella prospettiva monistica di Morselli, Il nucleo filosofico della scienza, Cimino,
Congedo, Galatina, L’immagine della
donna nel paradigma positivistico della degenerazione, Morelli. Emancipazione e
democrazia, G. Conti Odorisio, Scientif. Ital., Napoli, La cultura filosofica in
Torino, Rivista di filosofia», Presupposti torinesi della singolarità
filosofica di Martinetti, «Studi Piemontesi»,
E’ possibile la storia dello scetticismo?, “Segni e comprensione»”; “
filosofi delle bancarelle». Per la critica della storiografia filosofica, «Lavoro critico», Il sentiero dei perplessi -- scetticismo,
nichilismo e critica della religione in Italia da Nietzsche a Pirandello, La
città del Sole, Napoli, La reazione a Cartesio in Napoli, Giovambattista De
Benedictis, «GCFI», La revisione della storiografia sul mezzogiorno, «Segni e comprensione»,
Positivismo e letteratura. Antologia di testi, con Introd. e note, Graphis
Bari, La lezione scettica di Rensi, Critica liberale,- La psicofisica in
Italia, La psicologia in Italia, a cura
di Cimino e Dazzi, Led, Milano, Vignoli e la psicologia animale e comparata,
Ivi, Pensatori dell’area torinese --Percorsi», Quaderni del Centro Frassati,
Torino, Il ritorno di Stratone. Per la collocazione del materialismo
leopardiano, in Biscuso e Gallo, Leopardi anti-italiano, Manifesto libri, Roma,
Kant e le scienze della natura -- in margine alle lezioni kantiane di Geografia
fisica, in Filosofia, Lecce, Lacaita Manduria, Cattaneo, Psicologia delle menti
associate, G. de L., Riuniti, Roma, Antropologia, psicologia comparata e
scienze naturali in Vignoli, «Teorie e modelli», Geymonat, Treccani. Antropologia e tassonomia
in Kant. Da Blumembach a Buffon, Atti del Convegno sulla Geo-fisica kantiana,
Congedo Lecce, Antropologia, psicologia comparata e scienze naturali in Vignoli,
«Teorie e modelli», Cronache di
filosofia del diritto in Italia. Sforza e i suoi corrispondenti, in «Quaderni
di Storia dell’Torino», Per Mucciarelli:
positivismo psicologia e storia, «Segni e comprensione», Geymonat e il
“materialismo verso il basso”, GCFI, Il materialismo di Timpanaro, «Critica
liberale», Lettere di Timpanaro a Liguori,
in Il Ponte, Da Teofrasto a Stratone. L’itinerario filosofico di Leopardi,
«Quaderni materialisti», Labriola e Graf -- Principio e fine di un sodalizio di
vita e di pensiero, in Labriola e la sua università. Mostra documentaria per
settecento anni della “Sapienza” Aracne, Roma, A. Graf, Memorie, Introduzione,
commento e cura, “Gli Arsilli”, Edizioni dell’Orso, Alessandria Un catalogo per
Labriola, «Critica Sociologica», Utilità dell’inutile. Dalla elaborazione
concettuale alla programmazione e alla costruzione di un catalogo, «Itinerari»,
I Gesuiti. Le polemiche sui riti confuciani tra l’Aletino e i missionari
domenicani, «Studi filosofici»,Le «imbrogliate bestemmie germaniche». Moleschott
e la medicina materialistica, «Physis», La fucina del filosofo. «Segni e
comprensione», Filosofia teologia e fisica di Cartesio nella Difesa della Terza
lettera apologetica dell’Aletino, «Il Cannocchiale», Liguori e la filosofia del
suo tempo: Spinoza, Bayle, Hobbes e Locke, Rivista di Storia della Filosofia, “Libido
Sciendi”. Immagini dell’empietà nell’apologetica cattolica tra Sei e Settecento
(da Magalotti a Valsecchi), GCFI, Scherzi della memoria. Mappa di un itinerario
non turistico tra politica e cultura in una provincia del Sud, Prefazione di Ferrarotti;
Postafazione di Cumis, Salvatore Sciascia, Medicina e filosofia in Italia tra
evoluzionismo e scientismo. Da Tommasi a Morse, «Il cannocchiale»,, L’ ”il lambicco dell’anima”.
Note sul Mind body problem in Italia nell’età del positivismo, in Anima, mente
e cervello. Alle origini del problema mente-corpo, P. Quintili, Unicopoli, L’ateo smascherato. Immagini dell’ateismo e
del materialismo nell’apologetica cattolica da Cartesio a Kant, Le Monnier
/Università, Le sorelle Vadalà. Quattro storie più una, Romanzo con pefazione
di C. Augias Movimedia, Lecce, Pensatori dell’area torinese tra i due secoli,
in Quaderni Noce, Marco, Lungro di Cosenza, Ateismo e filosofia.
Considerazioni sull’ateismo latente nel pensiero moderno e sul rapporto tra
fede e ragione, «Il Cannocchiale», Le metamorfosi del linguaggio nella
controversistica e nella pratica missionaria, Le metamorfosi dei linguaggi, Borghero
e Loretelli, Edizioni di Storia e
letteratura, Roma, Dannazione e redenzione dell'Eros. Soggetti e figure
dell'emarginazione: la donna come oggetto determinante nella invenzione
cattolica del peccato di lussuria in «Bollettino della Società filosofica
italiana», Le cose che non sono, in
«Critica Liberale», Prefazione di E. Garin, Manduria (TA), Bari,
Roma, Lacaita, Gemoynat Treccani, Le Carteggio privato (corrispondenza
autografa) tra L. e i singoli autori citati
Rossi, Viaggio nel Positivismo, in Panorama, Arnoldo Mondadori, L.,
Materialismo inquieto. Vicende dello scientismo in Italia nell’età del
positivism, Bari, Roma, Laterza, Giorgio Cosmacini, Povero medico condannato al
materialismo, in Corriere della Sera, Marti,
Recensione a I baratri della ragione in
Giornale storico della letteratura italiana, Le sorelle Vadalà. Quattro storie
più una, [Romanzo], Prefazione di Augias, Lecce, Movimedia. Dannazione e
redenzione dell’eros. Soggetti e figure dell’emarginazione: la donna come
oggetto determinante nell’invenzione cattolica del “peccato” di lussuria di L. Il
Cristianesimo ha maledetto la carne, ha infamato l’amore. L’atto vario e
molteplice nei modi, ma uno nel principio, per il quale le creature si
riproducono e a cui gli antichi avevano preposta una della maggiori fra le
divinità dell’Olimpo, è, agli occhi del cristiano, essenzialmente malvagio e
turpe e la malvagità e turpitudine sua possono a mala pena, nella progenitura
d’Adamo, essere emendate dal sacramento. Il celibato è pel cristiano, se non
altro in teoria, condizione di vita assai più pregevole e degna che non il
coniugio e la continenza è virtù che va tra le maggiori. A. Graf1. L. examines the
story of Eros, from ancient Greece to the age of Enlightenment, and tries to
underline relevant connections with other events of thought and religious
traditions as well as European popular customs. The ideological conflict with
Christian ethics and Catholic church is particularly highlighted thanks to a
specific textu- al analysis, particularly during 17th and 18th centuries.
Keywords: Subjects and Figures of Marginalization, Woman Condi- tion, Ethics
and Christianity, St. Alphonsus M. de’ Liguori. 1 A. Graf, Il Diavolo, Treves, cur. Perrone,
introduzione di Firpo, Salerno, Roma. Avverto l’eventuale lettore che il saggio
che segue ha natura meramente divulgativa e di mera indicazione didattica nei
confronti dei docenti di discipline storico-filosofiche. Nasce
dall’assemblaggio di appunti per il canovaccio di uno spettacolo tenutosi a
Parma al Teatro del Vicolo, dal titolo Eros e Poesia. M’è d’obbligo infine
rimandare sull’argomento che qui espongo, agli interventi di alta e corretta
divulgazione, curati per Rai Educational, di Argentieri, Curi e Moravia, in
Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche. Raccolta e catalogazione
dei materiali Non partiamo dalla consueta e abusata presunzione ontologica; non
diciamo che le cose sono, piuttosto ci limitiamo, cartesianamente, a scoprire
in noi il pensiero e, col pensiero il corpo e la sua capacità di rapportarci ad
altri corpi attraverso quelli che chiamiamo i sensi. Ci hanno preceduto i
sensi sti: nulla è dentro la nostra mente che non ci viene fornito dai
sensi. E così la fantasia, la logica, la ragione, la fede altro non sono che
gli strumenti più raffinati di un corpo tra i corpi (materia) che, come
l’infima creatura che emette pseudopodi, procede dal coacervato all’ameba e
arriva all’uo- mo, cuspide di presunzione, anelito più che sensata pregnanza di
vita.. Non lasciamoci impressionare dai prodotti di questo strumentario
intellettuale: arti, religioni, presenze invisibili, futurologie improbabili,
paradisi perduti o escatologici disegni, virtualità effimere come sogni,
denunciate già dal fol- le di Danimarca una volta per tutte. Sono sirene
lusingatrici di contro al cui canto ammaliante hanno ancora buona validità i
tappi di cera nelle orecchie usati da Odisseo, navigante curioso, per escludere
i suoi compagni2. Qualcuno sostiene che le cose non sono se non create. Qui noi
non soste- niamo l’inesistenza delle cose: in tal caso dovremmo postulare e
ammettere la trascendenza, laddove noi riteniamo l’oltre una autonoma creazione
(se vogliamo mantenere il termine) del nostro pensiero. Abbiamo raggiunto (a
livello di pensiero puro, non certo di pensiero soggettivo) un tale grado di
evoluzione da creare dal niente, come aveva, in termini tutti romanti- ci,
spiegato Fichte enunciando i tre celebri principi della sua dottrina della
scienza! Ma gli sviluppi delle neuroscienze, in particolare, hanno reso sterili
tali tentativi di esplicazione del reale. Idealismo e religione fanno a gara a
rincorrersi nella loro foga di raggiungere la verità eterna! Meglio perciò
rinchiudere i filosofi nel trittico che si sono costruiti con secolare pazienza
della Metafisica, Teodicea e Ontologia. Che farnetichino in eterno sull’ori-
gine dell’anima, sul rapporto col corpo e sul destino futuro della umanità. Si
potrà, una volta sgombrato il terreno dalla zavorra, procedere in modo più
lineare, ordinato ed onesto alla diagnosi del male di vivere: del nascere e
morire. Tolta di mezzo la pretesa razionalità e la scientificità teologica (e
teleologica) con la sua saccenteria, gli strumenti dei sensi come la fantasia,
la fede, la ragione potranno riprendere legittimamente la loro funzione di
guida o di orientamento. Se partiamo dalla nostra “condizione umana” (senza
scomodare Mal- reau) vera e concreta, viene prepotente in ballo, la nostra
sensualità, prima ancora che la nostra sensitività. Avvertiti da Freud, che va
ascoltato con la 2 Vedi quanto scrive, Berto, L’esistenza non è logica. Dal
quadrato rotondo ai mondi impossibili, Laterza, Roma. 30 dovuta prudenza
filosofica, ci accorgiamo facilmente che è l’eros la molla privilegiata delle
nostre azioni o inazioni. Tanto è vero che sul terreno della storia è con
l’eros che il Cristianesimo ha ingaggiato fin dalle sue prime origini la sua
battaglia aperta, dagli erotici furori degli anacoreti fino ai ra- ziocinanti
dogmatismi teologici dei nostri giorni. Conviene delinearne un breve profilo.
Profilo storico dell’Eros in Occidente. Dal mito di Venere a Maria Vergine È
proprio nel mondo romano, e in quella che gli storici designano come età
tardo-antica, che si compie una storica metamorfosi della mitologia pa- gana:
il suo graduale trasferimento da religione delle classi colte e dominanti a
religione dei campi (pagi = pagani), della plebe rurale. Indicativo tra tutti
il passaggio di Venere, dea della bellezza, dell’amore e della fecondità, da un
canto, a quella di Demonio, Lucifero (portatore di luce), stella del mattino,
per i suoi referenti legati alla sessualità, e, dall’altro, a quella della
Vergine Maria, madre di Gesù Bisogna ricordare che mentre avanza il
Cristianesimo, il mito di Roma non solo permane ma, sotto mutate spoglie,
cresce e si svolge fino ai nostri giorni. Perde la sua valenza politica, la sua
forza sugli eventi immediati ma guadagna nell’immaginario. Entra a far parte
del grande patrimonio del- la memoria collettiva. Ma in tale processo, se perde
i suoi caratteri storici, obbiettivi, acquista una rinnovata immagine
fantastica, rispondente alle esigenze delle masse. Soprattutto il Medioevo
trasforma Roma, i suoi dei, la sua cultura in nuova mitologia sincretica, mista
di elementi tradiziona- li e di apporti nuovi conferiti dalle differenti
popolazioni d’Europa, attinti soprattutto alla nuova fede cristiana che diventa
l’amalgama di germane- simo, usanze barbariche, romanità, orientalismi, ecc.
Roma continuava ad avere un suo primato nell’immaginario o mondo incantato dei
miti e delle leggende3, come l’aveva avuto in quello, storico, politico
culturale e civile. Ricordiamo l’accorato rimpianto di Rutilio Namaziano Fecisti
patriam diversis gentibus unam. Urbem fecisti quae prius orbis erat Nella
cultura illuministica, tra Settecento e Ottocento, il mito di Roma si veste di
forme neo classiche. Goethe, Winkelmann, e Byron che 3 Cfr. F. Denis, Le monde
enchanté,. Cosmographie et histoire naturelle fantastiques du Moyen Âge,
richiamato da Graf, Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, 2 voll., Loe-
scher, Torino. Ma vedi, dello stesso, Roma nella memoria e nelle immaginazioni
del Medio evo, 2 voll., Loescher, Torino
ne fa la patria ideale delle genti Oh Rome! My country! City of the soul!
The orphans of th heart must turne to thee, Lon mother of dead impires! Tale trasformazione della mitologia classica, porta
con sé naturalmente un radicale cambiamento della maniera di concepire l’amore
e di vivere l’e- ros. L’amore tra uomo e donna acquista differenti valenze e si
prepara quella teorizzazione dell’amore tutto spirituale che verrà dommatizzato
e praticato per tutto il Medioevo e, nella forma più angelicata e sublime, da Dante
al Petrarca, ...quel dolce di Calliope labbro che amore nudo in Grecia e nudo
in Roma, d’un velo candidissimo adornando, rendeva in grembo a Venere celeste.
Dilagheranno per tutta Europa fenomeni di sessuofobia completamente ignoti alla
società greca e latina, quale ad es. il fenomeno dell’ascetismo. Sorgerà la
figura, del tutto nuova e inconcepibile per il mondo classico, dell’anacoreta
e, d’altro canto, l’immagine del peccato prenderà aspetto dia- bolico
orripilante, venendo a popolare tutta una nuova mitologia di presen- ze
infernali che accompagnano e turbano la vita degli uomini del Medioevo. Molte e
varie le rappresentazioni tipiche della diabolicità mostruosa, frutto, in
particolare, del peccato di lussuria, quali il mosaico nel Battistero di Fi- renze,
opera popolaresca di Coppo di Marcovaldo che tanto impressionò Dante fanciullo,
il poema predantesco di Bonvesin della Riva, Il libro delle tre scritture o il
De Babilonia di Giacomino da Verona e i vari “precursori” di Dante, fino alle
allucinate raffigurazioni de il Giardino delle delizie di Bosch al Museo del
Prado4. Ma che accadeva? Venere, scacciata, veniva ugualmente a tentare gli
sciagurati che volevano sfuggirle, quali monaci ed asceti; e, come ci ricorda
sempre Graf, «invadeva le loro celle ugualmente, immagine vagheggiata e
detestata a un tempo». Siamo nell’epoca delle tentazioni. Ecco l’autorevolis-
sima testimonianza di San Girolamo, il grande dottore della Chiesa, autore
indiscutibile della Volgata, l’edizione ufficiale della Sacra Scrittura, in una
sua lettera alla vergine Eustochia: Si ricordi, Villari, Alcune leggende e
tradizioni che illustrano la Divina Commedia, «Annali delle Univ. Toscane»,
Pisa. Soprattutto, A. D’Ancona, I precursori di Dante, Sansoni, Firenze. Per ulteriori
e dettagliati riferimenti, cfr. il mio, I baratri della ragione. Graf e la
cultura del secondo Ottocento, prefazione di Garin, Lacaita, Manduria. Oh
quante volte, essendo io nel deserto, in quella vasta solitudine arsa dal sole,
che porge ai monaci orrenda abitazione, immaginavo d’essere tra le delizie di
Roma! Sedeva solo, piena l’anima d’amarezza, vestito di turpe sacco e fatto
nelle carni simile a un Etiope. Non passava giorno, senza lagrime, senza gemiti
e quando mi vinceva, mio malgrado, il sonno, m’era letto la nuda terra. E
quell’io, che per timor dell’inferno m’era dannato a tal vita e a non avere
altra compagnia che di scorpioni e di fiere, spesso m’im- maginava d’essere in
mezzo a schiere di fanciulle danzanti. Il mio volto era fatto pallido dai
digiuni, ma nel frigido corpo l’anima ardeva di desideri e nell’uomo, quanto
alla carne già morto, divampavano gli incendi della libidine. E qui
l’iconografia sacra ha lavorato sul santo, riempiendo di San Girolami,
atteggiati in guise diverse, tele, altari, absidi, pale, trittici per tutto il
medioevo e il Rinascimento. Da Dürer a Caravaggio, da Cima da Conegliano a
Masolino, da Masaccio a Tiziano, dalle tentazioni di Giovanni Girolamo Savoldo
al Perugino, fino alla compostezza gotico-geometrica di Antonello, ecc.Si
assiste ad una evoluzione storica dell’eros, che si arricchisce, per così dire,
dell’idea stessa del peccato. Simboleggiato dal frutto proibito, l’atto carnale
tra Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre viene stigmatizzato come peccato originale,
una sorta di marchio che da quel momento in poi mac- chierà ogni creatura. Homo
vulneratus est naturaliter, sanziona definitiva- mente San Paolo! Anche se la
dottrina della chiesa troverà il modo di recu- perare in positivo quella
ferita, quella malattia costituzionale, con il concet- to dell’agape, nel quale
l’eros si diluisce in amicizia includente la mediazione del Cristo. Ma la cosa
più sorprendente è che Venere, simbolo dell’amore carnale, cantata da Lucrezio,
poeta epicureo, come colei che presiede alla bellezza della fecondazione sia di
piante che di animali, e perciò come voluttà d’uo- mini e di dei, subisce nel
corso della storia differenti e impensabili metamor- fosi. Da un canto, come
quasi tutte le divinità pagane, trapassa a popolare la mitologia cristiana di
nuove figure positive e negative, arrivando a iden- tificarsi dapprima con il
Demonio in persona, poi con la stella portatrice di luce, (Lucifero, angelo
caduto e stella del mattino); infine, fattasi mite e mise- ricordiosa, gradualmente
perdendo i suoi più accesi caratteri erotici di beltà voluttuosa, assurge
addirittura al ruolo di Maria Vergine, concepita senza peccato, Madre di Gesù,
figlio unigenito di Dio! Siamo di fronte a un fenomeno storico noto agli
storici e agli antropologi come sincretismo religioso 5 Trad. fedele di Graf da
Gerolamo, Epistolae, in Patrologia latina, cur. Migne, Parigi. Cfr. Graf, Il
Diavolo, cit.,per cui le divinità pagane continuano una loro vita, si direbbe
più dimessa e quasi nascosta, nei pagi, nelle campagne tra la povera gente,
trasformandosi, e sovente confondendosi, coi santi e le divinità della nuova
religione ebraica e cristiana. Ne è un esempio la favola di Tanhäuser, il
cavaliere francone di cui la dea Venere si innamora. È nel mondo romano in
sfacelo che gli dei di Roma – GIOVE CAPITOLINO -- si avviano alla loro
metamorfosi -- quello che non e accaduto agli dei ellenici. Da un canto si
rintanano nei pagi, nei campi, tra la povera gente di campagna e ne continuano
a propiziare raccolti, a combattere carestie ad aiutare la gente misera nelle
quotidiane disgrazie che affliggevano gl’umili e gl’indifesi. Dall’altro lato,
in questa storica trasformazione, raccolgono in loro tutto il male esecrabile
del mondo antico: il turpe, il diabolico, l’illecito, il peccaminoso del mondo
romano. Soprattutto l’osceno -- ciò che è dietro alla scena e, pertanto, non è
visibile -- e il sensuale nei rapporti amorosi. Gli dei di ROMA si trasformano
così in demoni. Si passa dalla celebrazione dell’amore fisico, cantato dai
poeti, da OVIDIO (si veda), Catullo (i neoteroi) a LUCREZIO (si veda), che lo
inserisce nel fluire e divenire dei fenomeni naturali, alla definitiva
divaricazione della sessualità dall’amore spirituale, come aspetti di una
passionalità di differente e contrapposta natura. Si ricordi l’inno a Venere di
LUCREZIO: AENEADVM GENITRIX HOMINVM DIVOMQVAE VOLVPTAS ALMA VENUS CAELI SVBTER
LABENTIA SIGNA QUAE MARE NAVIGERVM QVAE TERRAS FRUGIFERENTES CONCELEBRAS PER TE
QUONIAN GENVS OMNE ANIMANTVM CONCIPITVR VISITQVAE EXORTVM LVMINA SOLIS. Ma ecco
come espone Graf, storico dei miti romani, la sottile trasformazione degli dei
di Roma -- quelli stessi che VIRGILIO, guida d’ALIGHIERI, chiama falsi e
bugiardi -- in divinità o potenze
demoniache. I numi che hanno altari e templi non muoiono, non dileguano. Si
trasformano in demoni, perdendo alcuni l’antica formosità seduttrice, serbando
tutti la gravità antica, accrescendola. GIOVE DEL CAMPIDOGLIO, Giunone, Diana,
Apollo, MERCURIO, Nettuno, Vulcano, Cerbero e fauni e satiri sopravvivono al
culto che loro e reso, ricompaiono fra le tenebre dell’inferno, ingombrano di
strani terrori le menti, provocano fantasie e leggende paurose. Diana, mutata
in demonio meridiano, invade i disaccorti troppo obliosi di lor salute, e la notte,
pei silenzi dei cieli stellati, si trarrà dietro a volo le [6 G. Paris,
Legendes du Moyen Age, Hachette, Paris, dove esamina la storia e la diffusione
della leggenda (La légende de Tanuhäuser). Fonte delle varianti della stessa
leggenda resta Guglielmo di Malmesbury. Vedi Graf, Il Diavolo] squadre delle maliarde, istruite da lei.
Venere sempre accesa d’amore, non meno bella demonio che dea, usa negli uomini
l’arti antiche, inspira ardori inestinguibili, usurpa il letto alle spose, si
trarrà fra le braccia, sotterra, il cavaliere Tanhäuser, ebbro di desiderio,
non più curante di Cristo, avido di dannazione. Scienza, filosofia e fantasia:
il pensiero femminile e la ”teoria e pratica della dimenticanza”. Il rapporto
latente tra il sapere e il credere. Ogni proposta gnoseologica parte
opportunamente da quelle ben note premesse che GALILEI (si veda) autorevolmente
chiama la sensata esperienza, anche se le pone in relazione con la certa
dimostrazione. Così, prudentemente procedendo, ogni teoria della conoscenza,
pur restando legata alla dimensione esperienziale, per così dire, non esclude
né puo escludere l’elaborazione successiva di ipotesi con l’ausilio della
fantasia, della fede, dell’intuizione oltre che della facoltà razionale con la
quale da sempre la mente umana prova ad elaborare i portati sensoriali, di
volta in volta vari e complicati. Proviamo a valutare, ad esempio, non le
nostre idee, o i nostri elaborati razionali ma alcuni particolari sentimenti o
pulsioni come l’amore, l’erotismo, o, addirittura, la poesia con cui ci
accostiamo ad una persona o ad uno scenario naturale quale, che so? la volta
celeste di kantiana memoria. Gl’eroi greci per comprendere una verità nascosta,
scendevano nell’Ade, entrano nel regno imperscrutabile delle ombre. Da altra
prospettiva, sub specie feminae, da quel che oggi chiamiamo pensiero femminile,
ci viene incontro, spalancandoci una diversa rinnovata visuale, un modo
solitamen-te desueto di scrutare l’imperscrutabile. Abbiamo davanti un
continente dissepolto, il nostro Ade, tutto da esplorare. È così che – s’è
detto e sostenuto da parte delle donne – le poesie vivono delle voci narranti
che, appassionatamente, riflettono su un passato da abbandonare. Quel che
sembra finito e nascosto entro i luoghi del cuore. Da tale prospettiva, per
giungere a tanto bisogna scendere all’Ade, come fa il viaggiatore Odisseo:
provare i dolori più cupi e le delusioni più cocenti a cui seguono le
esperienze. S’entra così nell’universo del senso fantastico senza ripudiare la
possibilità razionale di elaborare non [Graf, Il Diavolo. Utilizzo in questo
paragrafo, frammettendone brani a mie riflessioni e commenti, il testo
originale inedito, cortesemente messo a mia disposizione, dalla filosofa della
mente Bussolati, Teoria e pratica della dimenticanza.] più ciò che è nei sensi
ma quanto ribolle nella fantasia. Un esempio potrebbe fornircelo LEOPARDI
dell’infinito laddove dalla esperienza sensibile -- la siepe, il vento, lo
stormir delle foglie -- che non si lascia elaborare razionalmente, sale, quasi
spinozianamente, ad un sapere più complesso: una sorta d’amor dei
intellectualis che s’apre al mistero sia della poesia che dell’amore. E come il
vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio e questa voce
vo comparando e mi sovviene l’eterno e le morte stagioni e la presente e viva e
il suon di lei. E, ancora, entrando nel campo intricato del male di vivere,
addirittura nelle patologie del comportamento, delle ossessioni, delle
schizofrenie, laddove ci siamo chiesti, con l’angoscia nel cuore, se questo è
un uomo, proviamo a proporre la teoria e pratica della dimenticanza:
l’obliviologia. È certo come un lavoro di scavo; ma non abbiamo da riportare al
celeste raggio nessuna sepolta Pompei. Non procediamo, in senso freudiano, a
rimestare nella memoria, nel sogno, recuperando oggetti rimossi, tutt’altro.
L’oggetto è diventato uno scheletro che va dimenticato, ritenuto per non posto:
mai esistito. La dimenticanza è dapprima una sola pratica; quasi l’abitudine a
dimenticare le chiavi di casa. Poi assurge a tecnica e, infine a teoria e
pratica dell’oblio. Corre, in un certo senso, parallela alla terapia
farmacologica del sonno, indotto da dosi opportune di psicofarmaci. Si tratta
di togliere le fissazioni tramite la dimenticanza: di riportare il conosciuto
agl’elementi puri ma allo scopo di favorire un intervento di maggior forza
ectoplasmica sugli oggetti e sugli eventi esterni, e per eliminare il noto
processo di invecchiamento e, infine, di morte mentale. Scendendo al piano
sperimentale, abbiamo cancellato i sovraccarichi delle impressioni
mnemonizzatrici e fatto sparire le figure retoriche fantasmatiche, i “mostri” o
“giganti” che si fissano e si ripetono continuamente, oberando la mente
affralita. Dimenticare diventa così l’ausilio migliore del vivere senza alcun
sforzo il presente. Non è la panacea, non si raggiunge il Nirvana; non si
recuperano paradi- si perduti. Si vive riconquistando un più corretto rapporto
col corpo, i sensi, la natura. La memoria deve servirci, non turbarci. Se è una
soffitta ingombra rischia di confonderci nel suo disordine; dobbiamo far
pulizia perché la vita va vissuta non sopportata E arriviamo infine a una
considerazione alquanto complessa ma di facile comprensione. Quella stessa
nostra propensione che chiamiamo fede altro non è, finanche nella sua forma più
umile, che sempre e soltanto costruzio- 36 ne della ragione, in quanto
ogni fede presuppone sempre un giudizio della ragione. Da tale considerazione
deriva la plateale conseguenza che la fede non è altro, alla fin fine, che la
nostra visione più o meno razionale della realtà; pertanto quella fede nel
numinoso e nel fantastico che è la fede re- ligiosa dei fedeli e che alla
nostra razionalità più sofisticata ripugna, è solo un puro e semplice equivoco,
imposto dall’educazione, dalle convenzioni e mai può derivare dalla nostra
libera scelta intelligente che in tal modo si contraddirebbe9. Credere, altro
non è che atto razionale; in quanto, rigoro- samente, non c’è fede senza il
sostegno della ragione. Ma, ci si chiede, fino a che punto? Il limite è il sano
buon senso. Oltre c’è la follia e l’assurdo; ma follia, sempre ed
esclusivamente della ragione stessa, unico vero soggetto di quanto chiamiamo
fede! 4. Emarginazione femminile e non. La donna da oggetto a soggetto di
pensiero Da differente angolatura l’oggetto del mistero che chiamano la verità,
si svela gradatamente, di sotto il velame delli versi strani. Del resto, a ben
pensare, quando penso, penso al maschile, ho sempre pensato al maschile. La
storia, la civiltà tutta, occidentale e orientale, hanno pensato soltanto al
maschile. Non solo: per secoli, il vero, il bene, il bello sono stati visti, si
al maschile, ma ancora nella implicita insignificanza oltre che della donna, di
altre figure sociali di grande rilevanza: del bambino, del disadattato o del
diseredato o escluso dalla comunità, dell’alienato o del demente. Interi uni-
versi come continenti inesplorati si sono schiusi appena abbiamo provato a
visitarli. Erano emersi, nella dannazione dell’inferno dantesco, nei mosaici e
negli affreschi allucinati di Coppo, nei battisteri, nelle chiese medioevali,
nelle allucinazioni di raffiguratori fantasiosi fino al paradosso come in Bosch
o in Goja, nei racconti favolosi delle mitiche origini di intere popolazio- 9
Cfr. Martinetti, Scritti di metafisica e di filosofia della religione, a cura
di Agazzi, Ed. di Comunità, Milano, dove tra l’altro si legge: «Anche LA
FILOSOFIA è sotto certi rispetti una fede; in quanto essa è uno sforzo verso
l’unità sistematica che in ogni grado raggiunto si pone come una visione
definitiva della realtà; ciò che non può fare che trasformandosi in una fede
razionale; la fede nella dottrina kantiana. D’altra parte la fede comune non è
assolutamente irrazionale; è una razionalità adatta alla mente comune, ma è una
forma di razionalità; non v’è sistema di dogmi così assurdo che non tenti
subito una razionalizzazione. Ogni esposizione d’un sistema di filosofia è,
sotto questo riguardo, l’esposizione di una fede. Non ha quindi ragion d’essere
la contrapposizione della ragione e della fede (come qualcosa di irrazionale):
la fede è l’espressione stessa di una formazione razionale; ogni grado della
vita razionale in quanto si esprime, si fissa e diventa una realtà operante, è
una fede». Più analitica esposizione della questione si trova nel mio, Ateismo
e filosofia. Considerazioni sull’ateismo latente nel pensiero moderno e
contempora- neo e sul conflitto tra la fede e la ragione, Il Cannocchiale, ni, tramandate oralmente nei miti e nelle
leggende che correvano per l’Eu- ropa come fiumi carsici, uscendo di tanto in
tanto al “celeste raggio”, dove l’oblio di secoli li aveva
segregati....Soltanto oggi cominciamo a prenderne consapevolezza, filosofica e
scientifica: scopriamo un nuovo continente speculativo, il pensiero al
femminile come rinnovato modo di guardare la vita, la storia, la natura.
Proviamo a riandare di qualche secolo addietro. Le cosiddette scienze umane ci
si erano accostate per via di quel loro par- ticolare porsi dalla prospettiva
del diverso, ma solo l’assurgere di quell’og- getto alla dignità di soggetto
pensante e determinante trasforma del tutto la prospettiva. La partecipazione
del femminile come quella del diverso, del disadattato alla ricerca della
verità completa veramente il mondo storico della cultura portandolo al suo
stadio più alto, fuori da ogni gilepposo pa- ternalismo o indulgente
concessione caritatevole. Del tutto trascurati o stipati alla rinfusa nella
soffitta anodina della eru- dizione, alcuni sprazzi di consapevole
disponibilità al diverso erano emersi già nel passato, in ambito borghese
progressista, presso spiriti particolar- mente sensibili. Ma restava un fatto
isolato che non ha vissuto significanza o storicità. Sentite questa: siamo: E
dei disadattati all’ambiente non è giusto parlar con tanto disprezzo. Ol-
trecché esercitano alcune funzioni non esercitate dagli altri, essi sono un
lievito sociale utile e necessario; tengon viva nell’organismo collettivo
un’inquietezza nemica delle stagnazioni prolungate, e non avvien mutazio- ne
alla quale in qualche maniera non cooperino che se i geni fossero pazzi davvero
bisognerebbe riconoscereche i più disadattati fra i disadattati, quali son per
l’appunto i pazzi, resero alla misera umanità più di un buon servigio. Da altra
banda è da considerare che un perfetto adattamento all’ambiente farebbe gli
uomini supinamente contenti e tranquilli e porte- rebbe fine al moto della storia,
per la ragione potentissima che chi sta bene non si muove. Lo direi il
vademecum per l’onest’uomo del nostro tempo! Ma molto an- cora resta da fare: e
questa è la vergogna del nostro tempo. La chiesa cat- tolica ad es., che ha
chiesto, solo di recente, con un pontefice tormentato e disponibile al dialogo,
perdono al mondo islamico, ha ancora da chiedere scusa alle donne, ai bambini,
alle coppie di fatto, agli omosessuali, agli atei, agli agnostici, agli
scienziati onesti e laici che dalle dottrine e dai dogmi della chiesa vengono
quotidianamente offesi, respinti e vilipesi. I libri proibiti e il rapporto
sessuale come “peccato” contro il sesto precetto del Decalogo Tra i compiti
primari che si assunsero al loro tempo gli apologisti catto- lici e i controversisti,
figura subito in primo piano quello della lotta ai libri proibiti, che è come
dire a tutta la prodizione libraria moderna. Prendo an- cora ad es. emblematico
il santo teologo moralista e dottore autorevole della Chiesa: L. Ne La vera
sposa di Gesù Cristo10, a dimostrazio- ne di quanto possa essere pericolosa la
lettura in genere, sconsiglia alle Mo- nache addirittura lo studio sia della
Teologia Morale che di quella Mistica. Parimenti libri inutili ordinariamente
sono, ed alle volte anche nocivi per le Religiose, i libri di Teologia Morale,
poiché ivi facilmente possono inquietarsi con la coscienza oppure apprendere
ciò che lor giova non sapere. An- che nociva può essere a taluna la lettura dei
libri di Teologia Mistica, giacché può essere che ella si invogli dell’orazion
soprannaturale, e così lascerà la via ordinaria della sua orazione solita, in
meditare e fare affetti, e così resterà digiuna dell’una e dell’altra. Vige,
come una sentenza inappellabile, il motto lapidario di San Paolo: Sapienza carnis
inimica est Deo. L’amore del sapere viene paragonato ad un vizio, alla libidine
sessuale: libido sciendi11. Circa i classici del pensiero che pur contengono
delle verità, si domanda con San Girolamo: Che bisogno hai di andar cercando un
poco d’oro in mezzo a tanto fango, quando puoi leggere i libri devoti, dove
troverai tutt’o- ro senza fango?». La lettura è importante, fondamentale anche
alla via della salute, ma ha dei rigorosi limiti. Quanto è nociva la lettura
de’libri cattivi, altrettanto è profittevole quella de’buoni. Il primo autore
de’libri devoti è lo Spirito di Dio; ma de’li- bri perniciosi l’autore n’è lo
spirito del Demonio, il quale spesso usa l’arte con alcune persone di
nascondere il veleno, che v’è in tali suoi libri, sotto il pretesto di
apprendersi ivi il modo di ben parlare, e la scienza delle cose del mondo per
ben governarsi, o almeno di passare il tempo senza tedio. Con determinate
categorie di persone, l’esclusione si fa radicale. Alle suore scrive così: Ma
che danno fanno i romanzi e le poesie profane, dove non sono parole 10 Cito
dall’ed. Remondini, Bassano, Vedi l’uso di tale espressione nella denuncia
controversistica cattolica (aristotelica) della filosofia cartesiana e moderna
nel saggio di chi scrive, «Libido sciendi». Immagini dell’empietà
nell’apologetica cattolica tra Sei e Settecento (Da Magalotti al padre
Valsecchi), Giornale critico della filosofia italiana, immodeste? Che danno voi dite? Eccolo: ivi si
accende la concupiscenza de’ sensi, si svegliano specialmente le passioni, e
queste poi facilmente si gua- dagnano la volontà, o almeno la rendono così
debole, che venendo appresso l’occasione di qualche affezione non pura verso
qualche persona, il Demonio trova l’anima già disposta per farla precipitare12.
Contro il risveglio delle passioni e contro la concupiscenza dei sensi, i
controversisti scagliano i loro dardi infuocati e avviano le loro sottili
disqui- zioni teologiche su quanto vada considerato peccato mortale. Ed è
questo un fardello che la chiesa si porta dietro così come uno ster- corale si
rotola la sua palla di escrementi. L’ossessione del sesso: la cura me- ticolosa
con cui si prova da secoli a disciplinarlo, legittimarlo, canalizzarlo,
evirandolo della sua essenza: la ricerca del piacere e costringendolo alla sola
funzione riproduttiva. Ci serviremo non di un semplice scrittore di opere di
pietà ma di un autorevole moralista della chiesa cattolica, santo per giunta,
dottore della chiesa, uomo di grande pietà e d’erudizione: che CROCE define il
più santo dei napoletani, il più napoletano dei santi. Ecco cosa scrive il
nostro moralista sul sesto precetto del Decalogo e in che modo espone le sue
precauzioni con cui anticipa una minuziosa tratta- zione di quanto potremo
chiamare la fattispecie del peccato mortale. Il peccato contro questo precetto
è la materia più ordinaria delle Confessioni, ed è quel vizio che riempie
d’Anime l’Inferno; onde su questo precetto parleremo delle cose più
minutamente; e le diremo in latino, affinché non si leggano facilmente da altri
che dai confessori, o da quei sacerdoti che in- tendano abilitarsi a prendere
la Confessione; e preghiamo costoro a non leg- gere né in questo né in altro
libro di quella materia (che colla sola lezione o discorso infetta la mente) se
non dopo tutti gli altri trattati e quando ormai sono prossimi ad amministrare
il Sacramento della Penitenza. Affronta perciò subito lo scabroso tema della
fornicazione, e dei rapporti carnali con l’altro sesso con minuta casistica
sessuofobica: de tactibus, de muliebre permittente se tangere, an puella
oppressa teneatur clamare, an possit unquam permittere sua violationem, de
aspectis, de verbis, de audientibus verba turpie, ecc. Ma non manca di
precisare: Ante omnia advertendum, quod in materia luxuriae (quidquid alii
dicant de levi attrectatione manus foeminae, vel de in torsione digiti) non
datur par- vitas materiae; ita uti omnis delectaio carnalis, cum plena
advertentia, et consensu capta, mortale peccatum est. La vera Sposa di G.C., L.,
Istruzione e pratica per li Confessori, Giuseppe Di Domenico, Napoli, e sgg.,
anche per le citaz. successive. 40 Il pio moralista, scaltrito nella
casistica giuridica, sa che bisogna scende- re nei minimi particolari per
trovare la situazione peccaminosa: se grave o lieve o poco rilevante o,
addirittura, del tutto inesistente; perciò distingue gli atti sessuali compiuti
nel matrimonio o extra matrimonium. In situazio- ne extra coniugale, tutti i
toccamenti, oscula et amplexus ob delectatione, mortale sunt. Vi sono numerosi
casi dubbi da esplicitare: ne va di mezzo la salute delle anime, calate in
situazioni mondane sempre diverse e comunque sempre a stretto contatto con le
tentazioni della carne. Ad es., la donna o il fanciullo non peccano se si fanno
toccare secondo la consueta pudicizia dettata dalla simpatia o dalla buona
affettuosa disposizione; peccano invece se non si op- pongono a contatti
impudichi, o a baci insistenti (morosis) e furtivi. E anco- ra: la fanciulla
aggredita allo scopo di usarne violenza è tenuta a urlare ad se liberandam a
turpitudine? Nel caso non invocasse aiuto con la dovuta forza e insistenza lo
stupro si cambierebbe facilmente in consenso peccaminoso. Ma la questione resta
controversa se debba ritenersi consenso il non aver gridato o invocato aiuto,
secondo un’antica sentenza per la quale, praesume- batur puella non clamans
consentiente. Perviene infine a definizioni accurate degli atti turpi,
differenziando quelli compiuti naturalmente da quelli innaturalmente. Ecco la
definizione di fornicazione e di concubinaggio, quali peccati mortali:
Fornicatio est coitus intersolutos ex mutuo consensu. Concubinatus autem non
est aliud quam continuata fornicatio, habita uxorio modo in eadem vel alia
domo; [e quella di stupro, come:] defloratio virginis ipsa invita, et ideo praeter
fornicationis malitiam habet etiam injustitiae. Attraverso una minuziosa
casistica quasi boccaccesca, buona – si direbbe - ad arricchire la
documentazione erotica di un romanziere libertino, il moralista passa in
rassegna le svariate forme di rapporti sessuali, da quelle legittime a quelle
addirittura più strane e peregrine, come l’accoppiarsi in luogo sacro, quali
una chiesa, il cimitero, l’oratorio, il monastero, ecc. Pone addirittura
questioni dubbie sulle maniere e le condizioni in cui tale rap- porto potrebbe
verificarsi. Pur ammettendosi il peccato, sorge la questio se si tratti o meno
di sacrilegio. Ad es. «an copula maritalis, aut occulta abita in Ecclesia, sit
sacrilegium?» Vi si potrebbero emanare tre sentenze differenti: una che ritiene
irrilevante la condizione di coniugi, un’altra la situazione occulta (che
l’abbiano fatto di nascosto) e una terza che ritiene essere sacri- lego l’atto
in ogni caso. Addirittura se si tratta di marito e moglie, secondo alcuni
teologi, l’atto consumato in chiesa potrebbe essere scusato, si ipsi sint in
morali necessitate coeundi, puta si ipsi in pericolo continentitiae, vel si diu
in Ecclesia permanere debeant. Il lettore ne trae l’impressione che l’autore
(più che dietro suggerimenti letterari coevi) vada ad estirpare direttamente
dalla vita, dalle lussuriose esperienze dei peccatori, dalle situazione più
impensabili, apprese nelle lun- ghe ore passate al confessionale ad ascoltare
ed a sollecitare le confessioni più intime dei fedeli, tutte le forme, i modi
che la secolare ricerca del piacere ha suggerito di epoca in epoca all’uomo,
dalle più rozze e volgari maniere di accoppiamento fino alle più raffinate arti
di amare e trarre godimento che proprio I LIBERTINI andano perfezionando e
praticando in forme sempre più sofisticate. La stessa lingua latina – ma qui
dovrebbe- ro dirla i linguisti – si fa molto particolare fino all’uso di
neologismi non presenti nei classici. Parlando della sodomia distingue quella
propriamente detta da quella impropria ed eterosessuale coitum viri in vase
praepostero mulieris esse sodomiam imperfectam, specie distinctam a perfecta.
Si quis autem se pollueret inter crura aut brachia mu- lieres, duo peccata
diversa committeret, unum fornicationis inchoatae, alterum contra naturam. An
pollutio in ore fit diverse speciei? Affirmant aliqui, vocantque hoc peccatum
irrumantionem, dicentes quod sempre ac sit pollutio in alio vase quan naturali,
speciem mutat. Sed probabilius sentiunt quod si pollutio viri sit in ore maris
est sodomia; si in ore feminae, sit fornicatio inchoata, et in super peccatum
contra naturam ut mox diximus... Arriva addirittura ad ipotizzare il coito cum
femina morta, che non rien- trerebbe nella fattispecie dei rapporti bestiali ma
nella polluzione e in quella che Alfonso chiama fornicatio affective. Dalla
sessuofobia all’erotismo peccaminoso: Cortigiane poetesse e libertini filosofi.
L’Eros redento Prendiamo due secoli di storia molto emblematici. Dall’Italia
delle corti signorili alla Francia della grande rivoluzione. Due secoli in cui
l’eros vive una sua storia illustre, tra cortigiane raffinate poetesse e abati
filosofi e libertini. A dirla franca alla sua maniera sull’eros e a dargli
veste poetica disinibita, ci pensa subito Pietro Aretino: ma sempre da una
angolatura tutta maschile. Nonostante si salvi la dignità della partner che qui
giuoca un ruolo attivo di co-protagonista del rapporto amoroso, in cui l’atto
sessuale si trasforma in una sticomitia drammatica non priva di poetica
oscenità. Soltanto nel petrarcheggiare delle cortigiane, come la soave Franco
che riceve sotto le sue lenzuola di tela d’Olanda finanche Enrico III di
Valois, la donna trova finalmente il suo primo vero riscatto sul maschio, con
un suo modo raffinato (di alto erotismo) di 42 pilotare la barca
dell’Amorosa Dea; ad esse, tra principi, sovrani, alti prela- ti, pontefici
gaudenti, spetta il compito di riscattare dall’eterna dannazione l’Eros e
fargli recuperare il valore perduto colla tradizione ebraica-cristiana. Un
recupero, tutto al femminile, del paradiso perduto. Così canta il suo ufficio
amoroso, guidato da Apollo, la dolce Veronica. Febo che serve a l’ amorosa Dea
E in dolce guiderdon da lei ottiene Quel che via più che l’esser Dio il bea, A
rilevar nel mio pensier ne viene Quei modi che con lui Venere adopra Mentre in
soavi abbracciamenti il tiene. Ond’io instrutta a questi so dar opra, Si ben
nel letto, che d’Apollo all’arte Questa ne va d’assai spazio di sopra E il mio
cantar e ‘l mio scrivere in carte S’oblia in chi mi prova in quella guisa Ch’a
suoi seguaci Venere comparte. Nel Settecento, cui ora vogliam far cenno, sia
pur per sommi capi, le cose stavano in modo ben differente da come ce le hanno
rappresentate quando a scuola ci hanno spiegato quel periodo. I libri del
Marchese de Sade rap- presentano, ad es., una nuova filosofia morale e non sono
la pura e semplice invenzione di tecniche erotiche pervertite, come comunemente
si crede. I recenti studi hanno sfatato quella immagine del divin marchese. “La
filo- sofia deve dire tutto”, egli ha affermato: tutto senza ipocrisie e
fingimenti. Egli non fu né il primo né il solo a sostenere i diritti della
carne, che grida la sua legittima soddisfazione contro le assurde costrizioni
della cosiddetta civiltà. Il celeberrimo sadismo: ricerca del piacere
attraverso il godimento per la sofferenza del partner, ha ben altre origini che
le sole discendenze da Sade. Bisognerebbe intanto rifarsi alle meticolese
ricerche di Skipp, di Leeds, che ha schedato tutti i testi erotici inglesi scoprendovi
come l’uso educativo della frusta e le sculacciate a pelle nuda sui ragazzi,
era praticato dai gesuiti in chiave educativa e correttiva, ma finiva per
confinare molto spesso con l’erotismo portando addirittura all’orgasmo vero e
proprio. Nacque un termine: “orbinolismo” che vuol dire “smania di frustare”
(Cfr. Rodez, Memorie storiche sull’orbinolismo). Né si dimentichi, oltre la
pratica, anche l’elogio cattolico, presso non solo l’ordine dei gesuiti ma
anche di Scolopi e Salesiani, fatto in termini pedagogici della frusta e della
sua frequente pratica a scopi educativi e correttivi: virga tua et baculus tuus
salus mea fuerunt!.... A tali osservazioni sul costume del secolo va aggiunto
che la proverbia- le sporcizia che caratterizzava il ménage domestico
dell’epoca anche tra le famiglie nobili e abbienti, non era poi così
generalizzata. Soprattutto le donne avevano introdotto l’uso davvero innovativo
dell’erotico bidet (che ha la forma di violino e, al tempo stesso, quella dei
fianchi femminili) che permetteva loro di mantenere igiene e pulizia in quelle
parti del corpo che ne avevano più bisogno. A tal proposito restano molto
istruttive le pagine dei romanzi erotici e libertini, tra i quali spicca Restif
de La Breton con il suo Anti Justine dove si nota l’uso frequente e
generalizzato di tale strumento da toilette, prima e dopo gli incontri
amorosi.. Perciò, una volta sfatata l’immagine stereotipata del Settecento
illumi- nistico, astrattamente razionalista, irreligioso e dai costumi
depravati, pro- viamo a riguardare sotto diversa luce e angolatura, libere da
pregiudizi e remore moralistiche e confessionali, la letteratura erotica e
d’amore di quel secolo che, oltre tutto, fu di Mozart, di Kant, di Bach, oltre
che di Voltaire, di Rousseau e di Goethe e ci lasciò in eredità non soltanto la
grande rivoluzione dell’89 ma anche quella che fu la più colossale e universale
summa di sapere moderno: l’Enciclopedia, ovverosia dizionario ragionato di
tutte le scienze, le arti e i mestieri contro la quale pullularono subito una serie
di Anti-Enciclo- pedie anche da noi in Italia per porre un argine all’avanzata
di quelle idee di libertà e di progresso civile. Il ricordare LEOPARDI è qui
d’obbligo: Così ti spiacque il vero, dell’aspra sorte e del depresso loco che
natura ci diè, per questo il tergo vigliaccamente rivolgesti al lume che il fe
palese... Insomma lo zelo sessuofobico, la guerra dichiarata all’istinto
sessuale porta il sacerdote, il ministro del culto cattolico, il confessore a
scendere nei particolari della vita sessuale singola e della coppia, sia entro
che fuori del matrimonio: a scoprire i più segreti momenti dell’intimità delle
coppie fino a scrutare e distinguere, entro le fantasie erotiche più raffinate,
i comporta- menti più o meno peccaminosi, cioè conformi a canoni tutti da
verificare di volta in volta (casistica). Una sorta di filo invisibile lega
pertanto il pio cen- sore al libertino e al peccatore o la peccatrice (lo
denuncia la stessa corrente espressione possessiva: il” mio” confessore!) tanto
da diventare complemen- tari, avvincersi in un legame indissolubile fino a non
poter più fare a meno l’uno dell’altro14. Ma il legame tra religiosità e
libertinismo, così come tra l’erotismo e la religione cattolica in particolare,
si fa sempre più stretto fino a dipendere l’uno dall’altro: come, in regime
capitalistico, domanda e offerta. Il cattoli- 14 Cfr., infine, “L’Asino” di
Podrecca a Galantara e le critiche positivistiche e anticlericali alla morale
alfonsiana, Feltrinelli, Milano] cesimo deve disciplinare a suo modo il sesso
e, in genere, tutta l’attività e la fantasia umane; l’eros deve trovare entro
una nuova coscienza storica la sua rinnovata voluttà. Ecco allora il piacere
stesso trovar vie differenti rispetto al piacere degli antichi, allor quando
quella ricerca non veniva combattuta, non era un tabù, anzi era apprezzata come
uno dei più ambiti doni della na- tura. Vengono a far parte del piacere anche i
marchingegni e i sotterfugi per eludere le prescrizioni correnti e i limiti che
le norme religiose impongono dall’esterno. Finanche i pregiudizi siano di
ispirazione cattolica o meno - diventano materia di raffinato erotismo.
L’esecrabile peccato della lussu- ria, prodotto tipico del Cristianesimo,
diventa perciò stesso fonte di piacere (la Jouissance illuministica), proprio
perché vietato e esecrato: soprattutto quando l’atto viene compiuto di
nascosto, cogliendo quello che è diventato, dopo la mitica cacciata dal
Paradiso terrestre, il frutto proibito, il godimen- to raggiunto di soppiatto e
contro la legge o la morale corrente perciò più seducente e ricercato per la
sua illegtittimità! La letteratura è piena zeppa di esempi e finisce per
produrre un genere di scrittura narrativa particolare che chiamiamo “erotica” o
“pornografica”: di libri che s’han «da leggere con una mano sola», un genere
che non si spiegherebbe prima del cristianesimo e della dannazione dell’eros e
del piacere e che va dai canti carnascialeschi al Decamerone, al Ruzante, all’ARETINO,
ai poeti dialettali: da BAFFO, veneziano, al grandissimo BELLI, romanesco, al
dimenticato TEMPIO, siciliano, nato a Catania, per arrivare alla letteratura
erotica del romanzo libertino francese in cui confluiscono le innumerevoli
forme e modi di estraniazione, di sogno, di fuga dalla realtà che delineano
l’universo fantastico che sarà la base della letteratura romantica europea e
soprattutto del romanzo e della grande narrativa ottocentesca e contemporanea,
da Balzac a Flaubert, a Hugo a Dumas, dal romanzo russo al nostro MANZONI, a
Zola, a VERGA alla miriade dei narratori dei nostri giorni. In conclusio-ne, ma
in una maniera tutta nuova, possiamo ritenere avesse davvero visto giusto il
grande saggio napoletano CROCE quando affermò che non possiamo non dirci cristiani.
Se persino l’erotismo è stato, malgré lui, influenzato e raffinato dal
cristianesimo. Se ne stanno accorgendo anche in Francia dove nasce la
letteratura libertina e la illuminata filosofia del piacere: dal materialista
La Mettrie all’esecrato marchese De Sade16. 15 Emblematico, per quanto qui si
va rilevando, il romanzo libertino, non ancora tradot- to, D.A.F. de SADE,
Alina et Valcour, ovvero il romanzo filosofico. Cfr., la Mostra: BNF, L’Enfer
de la Biblioteque Nazionale. Eros au secret, Paris, 2 Ricco di titoli, è venuto
alla luce un significativo numero di opere e autori soltanto ad opera di specialisti che li vanno pubblicando
e illustrando. Intanto segnalo l’originale antologia da Mettrie e Diderot,
curata da Quintili, L’Arte di godere. Testi dei filosofi libertini, Manifesto libri,
Roma. Alfonso di Liguori. Girolamo de Liguori. Liguori. Keyword: “Associazione
Filosofica Ligure” – Keywords: implicature critica, ‘… is the true abyss of
human reason” – “il baratro della ragione conversazionale” – l’anima distilata
– il lambicco dell’anima”, redenzione dell’eros, la lussuria, la degenerazione,
la metamorfosi dei linguaggi – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Lilla: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale di Vico – la scuola di
Francavilla Fontana -- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Francavilla Fontana). Filosofo italiano. Francavilla Fontana, Brindisi,
Puglia. Grice: “I like Lilla; for one, he ‘revindicated,’ as he puts it, the
philosophy of Vico, which, in Italy, is like at Oxford ‘revinidcare’ Locke!” Formatosi nelle scuole dei Padri Scolopi aderì alle
idee cattolico liberali divulgate dai filosofi della prima metà dell'Ottocento:
Gioberti, Minghetti, Balbo e SERBATI al quale dedicherà molteplici studi
subendone una marcata influenza. Lascia Francavilla per l'ostentata contrarietà
di tutto il clero alle sue idee
patriottiche d'ispirazione giobertiana, manifestate apertamente nel
"Programma d'insegnamento filosofico" pubblicato sul giornale il
"Cittadino leccese", decise di trasferirsi a Napoli ove ebbe modo di
confrontarsi con le idee di Sanctis, Spaventa, Settembrini, Tari e Vera. Si
laurea e insegna a Napoli. Durante questi anni videro la luce "La
provvidenza e la libertà considerate nella civiltà", "Dio e il
mondo", e "La personalità originaria e la personalità derivata"
(Nappoli, Rocco), nei quali getta le premesse degli studi filosofici e
giuridici in cui si cimenterà per tutta la vita: la storia della filosofia, la
filosofia teoretica e la filosofia del diritto; sviluppando altresì e
precorrendo una moderna concezione del rapporto tra "diritti umani e
progresso scientifico" sin da “La scienza e la vita” (Torino, Borgarelli)
-- titolo paradigmatico del suo saggio – cf. Grice, “Philosophical biology,”
“Philosophy of Life” Insegna a Messina. Furono quelli gli anni più fecondi
della produzione scientifica volta a perfezionare la sua concezione dello
Stato, approfondire le fonti rosminiane, confrontarsi con le teorie
evoluzionistiche di Spencer e contemporaneamente intrattenere contatti
epistolari con alcuni fra i maggiori filosofi, giuristi, patrioti e storici
dell'epoca quali: Jhering, Bluntschli,
Roy, Tommaseo, Capponi e molti altri. Altri saggi: “Kant e SERBATI” (Borgarelli,
Torino); “AQUINO” (Torino, Borgarelli); “Filosofia del diritto,”“Critica della
dottrina utilitarista liberale empirica etico-giuridica di Mill”“Le supreme
dottrine filosofiche e giuridiche di Vico ri-vendicate” -- “La pretesa persona
giuridica e le funzioni personali degl’enti morali” (L. Gargiulo); “Della
Riforma civile di Spedalieri” (Messina, Amico); “Le fonti del sistema
filosofico di Serbati-Rosmini” (L.F. Cogliati); “Due meravigliose scoperte di
Rosmin-Serbatii: l'essere possibile e l'unità della storia dei sistemi
ideologici, Cogliati, Il Canonico Annibale Maria Di Francia e la sua Pia Opera
di beneficenza, Messina, San Giuseppe, Manuale di filosofia del diritto,
Milano, Società editrice, Pagine estratte. Martucci, Il concetto dello
stato Antonio Tarantino, Diritti umani e
progresso scientifico: Polacco, La "Filosofia del diritto” (Randi);
“Filosofia” (Milano, Giuffré); Tarantino, “La filosofia della giustizia sociale,
Milano” (Giuffré) – cfr. H. P. Grice, “Social justice” in “The H. P. Grice
Papers,” Bancroft, MS. In occasione del conferimento della "Cittadinanza
onoraria (di Messina) alla memoria, su nettuno press.Tarantino, Diritti umani e
progresso scientifico: emeroteca. provincia. brindisi. Martucci, Il concetto
dello stato, su emeroteca.provincia. brindisi. Treccani, su treccani. Lettere a
Jhering. non accordabile col supremo principio della Scienza Nuova Ilmiolavoro
Vico rivendicato» meritòl'onoredi essere preso in considerazione dai due più
competenti degli stu dii vichiani, ed al giudizio dei competenti bisogna dare
gran peso, perchè effetto di conoscenza bene approfondita sopra un determinato
autore, specialmente se si mira ricostruire la mente di Vico. Questi scrittori
sono Ferri e Fornari i quali si trovarono in pienissimo accordo, tanto da far
supporro che fosse effetto di un concetto prestabilito. L'accordo fu pie
nissimo nella prima parte del lavoro di carattere puramente critico e
riconobbero che la rivendicazione delle dottrine filoso fiche e giuridiche da
tutte le fallaci interpetrazioni fatte in Europa Rivista Italiana di Filosofia.
Quando gli opuscoli hanno un valore così notevole come quello qui sopra
indicato del prof. Lilla, è giusto segnalarli all'attenzione degli studiosi
piuttosto che i volumi di gran molo o di poca sostanza. Questo lavoro dice
molto in poche pagine e il suo intento è questo: rivedere i giu dizi che sulle
dottrine del Vico sono stati portati in Italia, in Germania e in Francia
particolarmente, ricostruire dietro indagino esatta il concetto di questa
dottrina e questo intento ci pare raggiunto. Il Vico non è sem plicemente un
ontologista platonico, come parrebbe dal giudizio del Gioberti, nè un
razionalista kantiano, o piuttosto un precursore del Kant, come sembra a Spaventa,
nè un positivista como fu rappresentato da altri. Questi apprezzamenti risultarono
dall'interpetrazione parzialeesoggetti va di qualche parte dei pensieri
filosofici del Vico che nelle sue opero non sono esposti in ordine sistematico,
e che l'autore di questo lavoro con grande dili genza raccoglie e combina
riferendo le formole e le parole proprie dell'autore della scienza nuova sparse
nei moltiplici suoi scritti. » era esauriente e condotta con
criterii elevati. La mia interpretazione sulla vera mente di Vico fu
riconosciuta vera ed adeguata tanto che il Fornarì mostrò vivissimo desiderio
di veder fecondare quelle supreme linee con svolgimenti ed appli cazioni.
Dominato da tale pensiero concepii il disegno di scrivere un lavoro di lena,
mirante ad un triplice scopo di rivendicare, illustrare, ed integrare la mente
dell'autore della « Scienza Nuova» A tale scopo indirizza i tutte le mie ricerche
attingendo sempre maggiori lumi dalle sue opere edite ed inedito e fin anche
dai manoscritti che si conservano gelosamente nella bi· blioteca Nazionale di
Napoli. I grandi genii, e segnatamente il Vico che, come non ha guari, fu
appellato da un poderoso intelletto di una delle più famose Università il più
grande filosofo del mondo, muovono da una idea madre fecondissima ed alla quale
rannodava tutte le idee secondarie e particolari. Uvità ed armonia cioè
perfetto organismo è la nota caratteristica del lavoro dei sommi.Ed io vado
riunendo non poche idee per ricostruire su solide basi quest'opera di
architettura gigante e le mie indagini non ric scono infruttuose, e ne è prova
evidentissima questo frammento inedito dal titolo « Pratica della Scienza nuova
. » Non poche censure mosse la turba dei filosofanti al Vico perchè s'ispirava
a concezioni idealistiche negligentando la pra tica della vita. Tale critica
presenta apparenze di verità tanto che VICO stesso no rimase impressionato,ma
raffrontando dottrine a dottrine si coglie il genuino e loro vero significato.
La grand o idealità diquestamassima la storia ideale eterna delle nazioni. L.
ha liberato la dottrina del VICO da tutte le fallaci inter petrazioni. La sua
dottrina che mi pare giusta, merita di essere più larga mente svolta. » Nel
volume delle Onoranze; è una vera esagerazione, e chi si addentra nella parte
riposta del sistema Vichiano si accorgerà che non si possa ascrivere ad essa
une perfetta interpetrazione astratta e specialmente raffrottandola colla
psicologia sociale che sta a base del processo del filosofo napoletano. Bisogna
por mente innanzi tutto alle tre fasi che percorre l'umanità nella sua storica
evoluzione; età del senso, della fantasia, e della ragiono. E molto più alla
dottrina del corso e ricorso delle nazioni, cioè al loro periodo d'infanzia, di
giovinezza e di vecchiaia. Valga ciò a smentire l'assoluto idealismo del VICO
il quale è puramente immaginario. Tutta la seconda Scienza nuova è derivata
dalla psicologia sociale evoli tiva e tutti i diritti, i costumi, le religioni,
le costituzioni plitiche degli stati sono emanazionidiquesto principio. Nelprimo
stadio tutto è divino, gli uomini inselvatichiti hanno un diritto divino, tuttoprocededagli
Dei; il Governo teocraticorappresen ato dagli oracoli, la lingua divina per
atti muti di religiose cerimonie. In Giove e Giunone si personifica ciò che si
riferisce agli auspicii ed alle nozzo: la Giurisprudenza è scienza d'intendere
i misteri della divinazione; il giudizio divino, cio è che nei templi
divini,tutte le azioni sovo invocazioni agli Dei :ogni dritto è divino,ogni
pena è sacrificio, ogni guerra assume carat tere religioso ed ha giudici gli
Dei: od il giudizio di Dio si riduce a duello ed alle rappressaglie : tali
categorie sono sim boleggiate dal lituo, dall'acqua e fuoco sopra un altare.
Seguo poi un ordine di fatti eroici da cui deriva la natura eroica, o dei nati
sotto gli auspicii di Giove, il costumo eroico como quello di Achille, il
governo civico o aristocratico o dei for tissimi, la lingua eroica o delle armi
gentilizie o stemmi. I caratteri eroici come Achille ed Ulisse, che
personificano tutte le grandezze e i savii consigli. La giurisprudenza eroica,
che stà nella solennità delle formule della legge, la ragione di
stato conosciuta dai pochi provetti del governo, il giudizio eroico che
consiste nell'esatta osservanza delle formule e precipua mente deriva il feudo
dalla proprietà dei forti. Infine c'è un or dine di fatti umani, cui
corrisponde la natura umana intelligente e perciò benigna,modesta, che riconosce
per legge lacoscienza, la ragione, il dovere, e poi il costume officiale, indi
il diritto umano fondato dalla ragione, il governo umano dettato dalla ragione,
la lingua umana, Abbiamo motivo di credere che VICO impressionato dalle
obiezioni dei contemporanei vollo dichiarare il supremo princi pio della
Scienza Nuova, cioè la storia eterna ed ideale delle nazioni con questo
frammento e senza addarsene disconobbe l'efficacia positiva della Scienza
nuova. Egli dotato di mente speculativa, pratica e progressiva, non si
poteva mai acconciare a vivere di formule astratte e di umana, il parlare
articolato, i caratteri in telligibili, che la mente umana rivelò dai generi
fantastici se parando le forme e le proprietà dai subietti. La giurisprudenza
umana che mira non al certo, ma alvero delle leggi. L'auto rità umuna che nasce
dalla rinomanza di persone capaci e sa pienti nelle agibili ed intelligibili
cose, la ragione umana o ragione naturale che divide a tutte le uguali utilità.
Il giu dizio umano velato di pudore naturale e mallevadore della buona fode che
ai fatti applica benignamente le leggi temperandone il rigore. E questi fatti hanno
ancheiloro simboli nellabilanciache rappresenta le qualità civili nelle
repubbliche popolari, perchè la natura ragionevole è uguale in tutti gli
uomini. Questi tre ordinidifatti riposanointreprincipii, chesono:iltimore,
l'amore, il dolore, simboleggiati dallo altare, dalla pace e dal
l'urnacineraria,ecosì sifondarono loreligioni, imatrimoni e l'immortalità
dell'anima.In questi concetti siriassume tutta la seconda Scienza nuova.
Rispettaro tutto quanto i nostri maggiori operarono di grande è la disposizione
più favorevole a quest'opera di conciliazione, ma perchè il ri spettonon portia
delle idee esclusive e non soffochi la libertà dei nostri giudizi verso lo
scopo ultimo della scienza, avvicinata a questo scopo la pro duzione più
perfetta dell'uomo, ci rivela la sua imperfezione, in questo modo è riconosciuta
la necessità dell'Ideale, perchè fossecriticatoemiglio rato il presente. puri concetti metafisici, poichè il processo
inquisitivo che egli seguiva aveva un fondamento storico e dava origine ad un
temperato e ragionevole positivismo, pel quale non si poteva disgiungere la
scienza dalla vita.Egli ben vedeva che la scienza fuori la vita era una vana
supellettile intellettuale, un giuoco dialettico del pensiero e non punto
proficua al beninteso pro gresso delle nazioni. Esiste un ideale di
perfettibilità, supe riore, ma non indipendente dalla vita, verità questa
intuita dall'antesignano della scuola storica tedesca, da Savignys, ilquale era
ammiratore passionato delle istituzioni giuridiche romane nelle quali vedeva la
più alta manifestazione del progresso giu ridico. Ma fatto maturo di anni e di
senno confessò apertamente che per quanto possono sembrare perfette le
istituzioni romane, pure comparate all'idealità mostrano la loro incompiutezza.
VICO gittò le basi di una vasta costruzione scientifica fondata nel
processostorico– filosofico. E dàbiasimo al divorzio fraquesti due processi
metodici, in questa memoranda sentenza Peccarono per metà i filosofi perchè non
accertarono le loro idee coll’autorità dei filogici; peccarono per metà i
filologi perchè non inverarono la propria conoscenza coll'autorità dei filosofi».
La storia ci rivela il certo, l'origine, le fasi o gl'incrementi degl'istituti
politici, sociali giuridici, e la filosofia rivela l'ele mento razionale e
addita le perfezioni ideali, cui si possono inalzare; veritá questa intuita da Bacone
da Verulamin. I filosofi, dic'egli, scoprono molte cose belle a contemplarsi,
ma impossi bile ad essere attuate, ed i giuristi ragionanı) come prigionieri
nelle catene. Alla mente di VICO si affaccia, un dubbio che poteva presentare
questo supremo principio della scienza studiossi ripararvi con questo frammento
inedito. Tutla quesť opera è stata ragionata come una scienza puramente spe
culativa intorno alla comune natura dello nazioni. Però sembra per quest’istesso
mancare di soccorrere alla prudenza umana, ond'ella si adoperi perchè le
nazioni, le quali vanno a cadere o non ruinino affatto, o non s'affrettino alla
loro ruina ed in conseguenza mancare nella pratica, qual dev'essere di tutte le
scienze, che si ravvalgono d'intorno a materie, le quali dipendano dall'umano
arbitrio, che tutte si chiamano attive. Anche nella coscienza dei grandi vi
sono delle oscil lazioni sulle loro concezioni. VICO nel fram . citato, dice
che la scienza pratica non si possa dare dai FILOSOFI, ma i filosofi civili e i
reggitori degli stati possono creare costituzioni politiche e leggi, e
richiamare le nazioni al loro stato di perfe zione. Niente di più vero: le nazioni
e tutto il mondo moralo creato dall'arbitrio umano non può ridursi a categorie
logiche, non può essere sottoposto alla legge ferrea della necessità, e quindi
la scienza puramente contemplativa o ideale non può contenere nella sua orbita
le leggi relative dei fatti umani. Se quest'ordine è indipendente dalla
necessità logica, può essere [Qui do legibus scripserunt, omnes vel tanquam PHILOSOPHI,
vel tan quam Jureconsulti, argumentum illud tractaverunt. Atque Philosophi
proponunt multa dictu pulcra, sed ab uso remoto. Jureconsulti autem, suae
quisque patria legum, vel etiam Romanorum, aut Pontificiarum placctis
abnoxüetad dicti, judicio sincero non utuntur,sedtanquam evincolis
sermocinantur. Tractatus de dignite et augmentis scientiarum ; solo regolato o
disciplinato dalle scienze pratiche ed attive e non dall'ordine puramente
scientifico. Nel capitolo VIII della seconda Scienza nuova pare che VICO
incorra in un'incoe renza, in quanto si propone di trattare di una storia
eterna sulla quale corre di tempo la storia di tutte le nazioni con certo
originiecerteperpetuità,e poidico chelescienze pratiche possono regolare la vita.
Ma come si può parlare d'una storia eterna, sulla quale sono modellate le
storie di tutte le nazioni se il mondo morale, con tutti i suoi fattori,
procede dall'arbitrio umano ? Questo ardito disegno del filosofo napoletano
racchiude un pen siero riposto. Questa Storia eterna delle nazioni,
modellatrice, esemplatrice di tutte le storie delle nazioni è uno dei più
grandi problemi della Scienza Nuova, che è assai bisognoso di com menti
illustrativi ed esplicativi. In questo capitolo si nasconde una speculazione
alta, e, dirò meglio, vertiginosa. Qui il Vico si rivela come idealista, o
meglio tale appare, poichè nello stabilire un ideale comune a tutte le nazioni
pare che proceda con un metodo astratto e formale, cioè como un ideale fanta
stico di pura creazione del cervello. Parvenza vana inganna trice! Ad un
pensatore meditativo apparisce,com'è infatti, una dottrina a fondo realistico.
Essa non è generata ma è ricavata da uno studio coscienzioso ed accurato dei
fatti. Il diritto naturale delle genti è reale quanto la natura umana, ed è la
fonte di questa dottrina. Secondo la mente di VICO non si potrà revocare in
dubbio l'esistenza d'un dritto naturale, comune a tutti i popoli. Cotal
diritto, comune a tutte le nazioni, ricavasi dalla psicologia sociale, la quale
ci attesta la natura comune sociale dei popoli. Questo argomento
comparativo trova la sua conferma nel fatto irrecusabile che questo diritto
comune, patrimonio di tutto le genti, non poteva essere stato trasferito o
comunicato da popolo a popolo, perchè fra loro non vi era, nè era possibile nes
suna comunanza di relazione. Ponendo mente all'esistenza di un diritto naturale
identico a tutti, o perciò universale e necessario, non si può negare un sicuro
fondamento all'esistenza d'una sto ria eterna nella quale corrono di tempo in
tempo le storie di tutte le nazioni. Il diritto é uno, come uno è il tipo
umano. Nella varietà dei costumi dei popoli vi è qualche cosa che non va ria nè
si trasforma. Dunque uno è il diritto, ed una è la storia ideale delle nazioni,
la quale è fondata sull'unità del diritto. Dunque dalla medesimezza del
costume, sigenera ildirittona turale,e da ciò nasce ildisegno di una storia
eterna delle na zioni Concetto ardito e profondo, poichè in tanto è possibile
una storia eterna ed ideale, in quanto vi è un tipo unico nel di ritto e nel
costume. I grandi genii hanno il presentimento di certe verità che poscia
approfondite dalle venture generazioni acquistano piena coscienza. Questa
divinazione del VICO oggi è rifermata dalla analisi comparativa degli istituti
giuridici e politici, e questa scienza divinata dal Vico è una delle più belle
glorie dei nostri tempi, a cui un forte ingegno siciliano addisse il suo
ingegno e ne abbozzò il primo disegno. E qui si adombrano le prime lince di un
metodo armonico fra il vero e il fatto, fra LA FILOSOFIA e la Storia La Storia
dei costumi deve emanare da due cause coefficienti: dall'ordine reale e
dell'ordine ideale,e così si avvera il gran principio di VICO, verum et factum
reciprocantur. Ma l'ordine ideale per non essere una chimera deve Ideo uniformi
nate appo interi popoli fra essi loro non conosciuti, debbono avere un motivo
comune di vero. Scienza nuova, Dignitá. avere un'origine per quanto
rimota,ma sempre realistica, non è fantasmagorico, ma ricavato,o meglio
osservato nell'elemento comune che presenta il costume dei popoli,e perciò non
è in fecondo e sterile,ma proficuo alla vita. (1Questo brano è tolto dal capitolo
Incoerenze di Vico del mio saggio: La mente del VICO rivendicata, illustrata e
integrata. A riassumere la dottrina giuridica di Vico è
indispensabile determinare i principi fondamentali dell» scuola
storico-filosofica da Ini splendidamente rappresentata. La
Scienza Nuova è lu riprova più sicura della lenominazione apposta ; iu
quel lavoro di architettura gigante si vede adombrato il disegno dell’armonia
fra i principii razionali e il fatto storico. La psicologia sociale è il
substratum delle leggi, delle religioni, delle lingue e di tutti gli
altri elementi della civiltà. In quella filosofia della storia contenuta
in germe LA FILOSOFIA DEL DIRITTO POSITIVO, perchè le costituzioni civili,
sociali e politiche sono conseguenza necessaria della vita, della cultura
e dei costumi delle varie nazioni. Egli divide in tre grandi
periodi la storia civile delle nazioni, cioè l’età del senso, della
fantasia e della ragione, e tutti i fattori dell’incivilimeiito,
dalla religione alla lingua, da questa alla giurisprudenza c infine
alla politica rispecchiano fedelmente le immagini e i caratteri di quei tre
grandi avvenimenti '‘tarici. Anche nell’opera, De universi iurte et
prtnùfno et fine uno le ricerche del DIRITTO FILOSOFICO sono accompagnate
dall’indagine storica e innumerevoli applicazioni fa al diritto romano, da
cui poi si eleva ai supremi principii giuridici. Questo sapiente
indirizzo trova la ragion di essere in quel supremo pronunziato del De
antiquissima Italorum sapiential, che « verum et factum reeiprocantur. Il fatto
adunque deve procedere di conserva col vero, altrimenti si cade o nel
formalismo astratto o nell’imperiamo gretto. E con questo criterio VICO dà
biasimo ai FILOSOFI ed ai filologi; mancarono per metà I FILOSOFI perché
non accertarono le loro idee con l’autorità dei filologi, e mancarono per meta
i filologi perchè non avverarono le loro idee con l’autorità dei
filosofi. Il vero e il fatto sono due termini convertibili, e,
perchè convertibili, l’indagine storica trova la sua vera integrazione
nei principii di ragione, e questi hanno il loro fondamento nell’ordine
dei fatti bene accertati. Storia e Ragione sono adunque i due
fattori del diritto filosofico e, quando si scinde il fatto dal
vero, si avrà del diritto un’idea esclusiva, incompiuta,
o fallace. Il diritto, secondo VICO, è un’idea umana, vale a
dire un principio ideale e storico, o meglio un principio ideale che si
attua nella storia; e tanto è vero ciò che mette radice nell’ordine
eterno dell’eterna ragione o dell’eterna volontà in quanto prescrive alia
volontà umana l’equo bono. Secondo questa dottrina il diritto deriva da
due cause coefficienti, cioè: l’utile e l’eterna ragione. L’una dà la
forma e l’altra la materia. Utilità» fiiit occasio iuris, honestas causa.
Tutto ciò risponde esattamente allo spirito del sistema vichiano. Infatti la
plebe, insorgendo contro il patriziato, conquistava i propri diritti, eppure
era mossa dalla molla dell’interesse. Sicché il progresso morale e
civile delle nazioni era occasionato dalle passioni, lagli interessi, i
quali contribuivano a far riconoscere i principii razionali. Quao vis veri sen
liumann ratio virtus est quantuin cum cupiditate pugnat. Quantum utilitates
diligit et exquat, quao nnum universi iuris principium unusque iincs. L’utile
non è per sè stesso né onesto nè turpe, ma pnò divenire l’uno o l’altro
quando è o confonne o disforme alla giustizia. Ecco dunque come il diritto
ha l’anima e il corpo, la materia e la forma, ed lia un contenuto etico,
che applica nell’utile. E da ciò segue la definizione del
diritto: Igitur ius est in natura utile a eterno, coniincusu acquale. I
punti salienti nei quali si rias mine la teorica del Vico sono i seguenti
: l’indagine storica, base della ricerca razionale, convertibilità. del vero
col fatto; insidenza del diritto nel bene, incarnata nella formula
dell’equo buono : inerenza dell’equo buono nell’ordine eterno; futilità
in quanto è regolata dalla ria veri; l’utile è materia; e la ragione forma
del diritto. Vincenzo Lilla. Lilla. Keywords: implicature, Vico, Vico
ri-vendicato, Vico ri-vendicate, Luigi Speranza, “Grice e Lilla: la semiotica
di Vico” – The Swimming-Pool Library. “Il Vico di Lilla” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza --
Grice e Limenanti – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. La dialettica come
materia di studio trapassa DA ROMA a BOLOGNA nel Medio Evo. Gli scritti
tratteggiati di Marciano Capella, di BOEZIO (si veda), di Cassiodoro, e in
parte anche di Agostino e del Pseudo-Agostino, son le fonti esclusive che
offrirono allora il materiale per lo studio della logica a BOLOGNA, la prima
scuola d’Europa. Li tutt’i luoghi dove, in connessione con il (Rifondersi del
Cristianesimo, o sorsero numerosi centri di cultura del tutto nuovi, o anche fu
talvolta possibile riattaccarsi ad istituti antichi, troviamo comunemente
adottato il corso di studi, più o meno compiuto, del TRIVIO – grammatica
filosofica, dialettica, e retorica -e del Quadrivio – arimmetica, geometria,
astronomia, e musica. E sebbene il quadrivio non e coltivato dovunque alla
stessa maniera, regna tuttavia per lo più una certa uniformità nello studio del
trivio, in quanto che non c’e scuola dove queste tre arti mancano. Non è frase
o esagerazione il giudizio che pronunziamo relativamente alla dialettica, che
cioè l’intiera ITALIA, per tutta la estensione in cui in generale la filosofia
nella sua graduale diffusione è venuta a contatto con esso, è stato
addottrinato dalla tradizione dei filosofi, testé nominati, della tarda
ROMANITÀ, che cioè in ITALIA si venne effettivamente a conoscenza di un certo
materiale di teorie logiche, e anzi soltanto, in modo esclusivo, sul fondamento
di quella tradizione. Appunto per questo riguardo, tuttavia, sembra che la
storia della dialettica non deve già esorbitare dal campo che le spetta. Si dà
cioè il caso che da notizie isolate sopra istituzioni scolastiche, o da
cataloghi di biblioteche, e via dicendo, non risulti assolutamente nient’altro,
se non che in questo o quel luogo o era semplicemente conservato, o in una
qualunque scuola claustrale era anche soltanto letto uno saggio di dialettica,
opera di Marciano Capella o di BOEZIO (si veda) ecc., ovvero che c’ è stato chi
si è coltivato la mente con questa lettura, o l’ha raccomandata ad altri, e
così via. Orbene, queste notizie, per quanto preziose ci possano apparire,
proprio a cagione della loro sporadicità, noi dobbiamo lasciarle alla storia
generale della filosofia o alla storia della universita di BOLOGNA; poiché per
la storia della dialettica basta in generale il fatto di un diffuso esercizio
delle sette così dette arti liberali, quale generico fondamento per entrar a
parlare del Medio Evo, e su questa base dobbiamo poi andare qui in traccia di
ciò che e prodotto da ima personale, per quanto ristretta, attività, di singoli
filosofi, e che perciò presenta elementi, i quali hanno contribuito al
progresso della filosofia nel corso della sua storia. Inoltre, simili dati,
anche se per essi non si oltrepassi la cerchia del materiale apparentemente
insignificante, conterranno poi bene in sè a lor volta qualche elemento, che
permetta di trarre induzioni relativamente a ciò che dicevamo dianzi, che cioè
accanto all’attività individuale isolata, ha da esserci stata una operosità
collettiva, rimasta attaccata semplicemente al testo della tradizione dei libri
scolastici. Si diffonde nelle scuole la dialettica della tarda LATINITÀ. Ma ima
osservazione sola, riguardo a questo materiale scolastico, bisogna premetterla
subito qui, in tutto il suo rigore e in tutta la sua estensione. Dobbiamo cioè
fin dal principio tener fisso lo sguardo sopra l’assoluta esclusività del
materiale stesso, cioè in primo luogo sopra il fatto che questi prodotti
filosofici LATINI sono incondizionatamente i soli che si trovassero in
circolazione, e che pertanto l’ITALIA non conosce nè poteva adoperare in
generale, per la dialettica, nessun’ altra fonte, all’ infuori da Marciano
Capella, BOEZIO (si veda), Cassiodoro e l’autentico o lo spurio Agostino. A
questo periodo del Medio Evo e possibile, intorno alle opere che stanno a
fondamento della dialettica, solamente quella conoscenza di seconda mano, che
puo esser attinta appunto a questi filosofi; e particolarmente gli scritti del LIZIO
(anzi in generale addirittura anche il nome soltanto di Aristotele) sono
conosciuti esclusivamente in quella sola forma, in cui li aveva trasmessi
BOEZIO. Quando in documenti si trovano menzionati saggi del LIZIO, non si può
pensare a nient’altro assolutamente, se non appunto a queste traduzioni di
BOEZIO. Così p. es., quando ') Per Tintento presente debbo pertanto lasciar da
parte un materiale di fonti, non scarso e che sono riuscito a raccogliere non
senza fatica, un materiale che o si gonfierebbe sino a formare una storia di
BOLOGNA, oppure, anche a volersi limitare (cosa del resto non facile a farsi),
a una scelta di passi, strappati dal contesto e solo attinenti alla dialettica
filosofica, comprenderebbe pur sempre soltanto la documentazione di un fatto,
anche senza di ciò universalmente noto, che cioè il contenuto della scienza
scolastica e formato da quelli filosofi nominati più sopra.] tra i libri della Biblioteca di York viene
nominato anche un « aoer ArisBobeles » 2 ), o quando troviamo ricordate a
Tegemsee le Categorie di Aristotele. Certamente, che simili passi sieno tutti
da spiegare soltanto a questa maniera, e perfettamente chiarito al lettore,
grazie, per così dire, alla sua personale esperienza, soltanto da ciò che si
dirà appresso, come pure dal trapasso a quel periodo, in cui venne a conoscenza
del Medio Evo il testo del LIZIO. Ma si è ritenuto non superfluo delimitare
esattamente fin da questo momento il campo visivo. Naturalmente una eccezione
soltanto apparente è data dalla tradizione di un Bulgaro, un certo Simone, che
avrebbe studiato a Costantinopoli la sillogistica di Aristotele. Poiché, che
nell’IMPERO ROMANO di Oriente i greci si occupassero di tale materia, si è
ba[La biblioteca fondata a York da Alberto è descritta dallo scolaro di lui,
Alcuino, nel suo poema De Pontificibus et Sanctis ecclesiae Eborucensis,
Aixuini Opera, ed. Frobenius. Ivi si legge, [Fersus de Sanctis Euboricensis
Ecclesiae: cfr. MGH, Poetile latini nevi Carolini, ed. Dùmmler]: Qiute Victor
inus script ere BOEZIO alque, Historici velerei, Pompeius, PLINIO, ipse Acer
Aristoteles, rhetor quoque TuUius CICERONE ingens [P!L]) Un monaco di Tegernsee
scrive in una lettera (riferita dal Pez, Thesaurus Anecdotorum Novissimus, [Codex diplomaticohistorico-epistolaris di
Pez e Hueber): stultam fecit Deus sapientiam mundi huius (queste son parole di
S. Paolo, ad Corinth.), poslquam exsiccayit fluvios Ethan. Prae dulcitudine
enim decem chordurum Davidis.... paene oblitus sum totidem culegoriarum
Aristotelis.Posso qui rinviare fino da ora per il momento al noto eccellente
lavoro di Jourdain, Recherches critiques sur Page et l’origine des traductions
latines (TAristote, Parigi, sia pure riservandomi di doverlo in più luoghi
correggere e integrare. Liutprandi Antapodosis Pertz, MGH: hunc etenim Simeonem
emiargon, id est semigraecum, esse idebunt, eo quod a puericiu Bizantii
Demostenis rhetoricam Aristotelisque silogismos didicerit [PL]. Ma c’ è una
notizia isolata, e una soltanto, che potrebbe sembrare in contraddizione con il
giudizio da noi pronunziato. Cioè, Papa Paolo I manda a Pipino il Breve, vari
scritti, citando egli stesso tra questi, nella lettera relativa, anche libri
del LIZIO; tuttavia il documento, se è genuino, e della sua autenticità non
sembra esserci ragione di dubitare, parla assai più a favore che non contro la
nostra tesi, poiché manifestamente questo esemplare, unico allora in quella
regione, di mi testo del LIZIO, rimane sepolto presso la corte di Francia,
oppure anda perduto, non riscontrandosi almeno in alcun luogo la minima traccia
di uso che ne sia stato fatto. Inoltre, per quei paesi, la prima sicura notizia
di traduzioni dal LIZIO, cade anzi in generale soltanto all epoca di Carlo
Magno, e appresso verniero ancora i lavori dello Scoto Eriugena (traduzione del
Pseudo-Dionigi. La lettera è stampata da Cajetanus Cenni, Monumenta
dominationis pontificiae, si ve Codex Carolinus (Roma), dove figura il passo.
Direximus edam excellentiae vestrae et libros, quantos reperire potuimus, id
est, Antiphonale, et Responsale, in simul artem grammaticam, Aristotelis,
Dionysii Ariopagitae libros (nel Cenni si legge, senza segno di divisione,
artem Grammaticam Aristotelis), Geomelricam, Orthographiam, Grammaticam, omnes
Graeco eloquio scriptores. La frase “graeco eloquio’, il cui significato nel
linguaggio dell’epoca è fissato con piena sicurezza, si rifere certo
esclusivamente ai libri su nominati, soltanto a incominciare da Aristotele,
perchè 1’ Antiphonale e il Responsale sono naturalmente in latino, e così pure
probabilmente la prima grammatica, mentre la seconda e in greco. Del resto non
si trova questa notizia utilizzata in Jourdain. P. es. nel Chronieon Saxoniae
et vicini orbis Arcloj di David Chttraeus (Lipsia [ed. di Rostock): Instiluit autem Carolus
Osnabrugae, ut in collegio [BOLOGNA] assidui lectores Latinae linguae essent.
Vidi enim cxerulli um literarum fundationis, ut vocant, quas ecclesiae
Osnabrugensi Carolus dedit. E così in molti luoghi, ma sempre con riferimento alla
nota ambasceria della Imperatrice Irene e alle relazioni diplomatiche, che ne
furono determinate. La tradizione della dialettica scolastica, nei riguardi
delle traduzioni di BOEZIO, è limitata e s’ignorano le principali opere logiche
di Aristotele. In secondo luogo, tuttavia, anche quel materiale di fonti IN
LATINO è, a sua volta, proprio nella parte essenziale, limitato. Mentre cioè
gli scritti del LIZIO avrebbero potuto esser letti tutti quanti nelle
traduzioni di BOEZIO, che sono per tale oggetto LA UNICA FONTE, proprio qui si
presenta ima rigorosa delimitazione; poiché della su citata produzione
letteraria di BOEZIO, si adoperano in modo esclusivo soltanto quelle
traduzioni, eli egli stesso illustra con commenti e apprestate per uso
scolastico A BOLOGNA, cioè, oltre alla doppia ri-elaborazione dell’ “Isagoge”
di Porfirio, soltanto la traduzione delle Categorie e le due edizioni del libro
de interpretatione [cf. “the only two things on which I lectured with J. L.
Austin at Oxford” – H. P. Grice], a cui si aggiungono poi a poco a poco ancora
i compendi che son opera dello stesso BOEZIO. All’ incontro, le versioni dei
due Analitici, come poire della Topica aristotelica e dei Sophistici elenchi,
tutte opere che BOEZIO lascia LATINIZZATA si senza commento, rimaneno, appunto
per questo motivo, escluse dalla considerazione, e si sottrassero pertanto alla
conoscenza, a tal punto che per lungo tempo non si sa in generale nemmeno più
che esistesno. Sicché, quando a poco a poco incominciarono a rendersi note
quelle opere principali del LIZIO, e questo un momento decisivo per lo sviluppo
della dialettica. E mentre L, ritene fallaci tutt’ i tentativi di dividere in
periodi, per motivi interni, la così detta « filosofia » medievale, mi sembra
resa possibile per 1 intiero Medio Evo una partizione in singoli periodi,
esclusivamente dal punto di vista della quantità del materiale, di volta in
volta esistente o novamente apportato. Così potrei anche nettamente qualificare
la differenza, rilevando elle prevale qui una conoscenza frammentaria di
BOEZIO, mentre nella Sezione prossima si manifesta un influsso chiaramente
visibile, così della conoscenza, che a poco a poco si acquista, DELL’INTIERO
BOEZIO, come pure dell’ apprestamento di traduzioni nuove delle opere non
utilizzate finora; a ciò si aggiungono in sèguito per le Sezioni successive
analoghi arricchimenti di materiale. La dimostrazione di queste 1 mie idee e
presentata, come ben s’intende, qui appresso. In poche parole, dunque per ripetere la delimitazione così recisamente
e chiaramente quant’ è possibile , il materiale tradizionale della dialettica,
per questa prima sezione del Medio Evo, è costituito esclusivamente da quanto
segue: Marciano Capella, Agostino, pseudoAgostino. Cassiodoro, e BOEZIO. E,
precisamente, di BOEZIO: ad Porphyrium a VITTORINO translatum, ad Porphy rium a
se translatum, ad Aristotelis Categorias, ad Aristotelis DE INTERPRETATIONE, ad
CICERONE Topica, Introductio ad categoricos syllogismos, De syllogismo
categorico, De syllogismo hypothetico. De divisione, De defninone, De differentiis
topicis. Manca invece in questo primo periodo la conoscenza dei due Analitici,
della Topica e dei Sophistici elenchi di Aristotele. E limitandosi lo studio
della filosofia in modo esclusivo alla DIALETTICA, mentre altri rami, come ■s
p. es. la PSCIOLOGIA RAZIONALE e l’ETICA, sono sistematicamente intrecciati con
la teologia morale, anche per la filosofia in generale i suddetti filosofi
formano il materiale quasi esclusivo; poiché vi si aggiunge ancora solamente,
riguardo alla COSMOLOGIA, la traduzione del Timeo piatonico, opera di Calcidio:
come pure, d’altra parte, per la così detta questione della teodicea, un
materiale spesso sfruttato era fornito dal De consolatione philosophiae di
Boezio. Ma duplice e l’attività personale, esercitata da insegnanti o da
filosofi di tutto questo periodo, sopra siffatto materiale esclusivo della
tradizione scolastica. Vale a dire, o si tratta di aggiustare compendi, per lo
più dominati da un affastellamento di svariate fonti, accozzate a casaccio (in
maniera del tutto simile a quel che abbiamo dovuto rilevare particolarmente a
proposito dello scritto di Cassiodoro [De artibus ac disciplinis liberalium
littcrarum ]), oppure ci si occupa di un più o meno minuto COMMENTO dei libri
già in uso, tra i quali si fanno avanti in prima linea la Isagoge e le
Categorie nella redazione (traduzione e commento) di BOEZIO. Ma inoltre, alla
discussione dei problemi della dialettica s’intrecciavano questioni di teologia
GIUDEO-CRITSTIANA – non romana --, come pure le controversie della logica fanno
risentire il loro possente influsso sopra le contese della dommatica, e anzi in
generale domina da principio, per questo riguardo, una situazione molto
caratteristica, che non si può lasciar esclusa dalla nostra considerazione.
Atteggiamento della ortodossia rispetto alla logica. La dottrina
GIUDEO-CRISTIANA, cioè, in se stessa
fatta del tutto astrazione dal processo di formazione delle idee
GIUDEO-CRISTIANE in generale e in
verità, nel suo primo manifestarsi, informata ad assoluta semplicità e immediatezza,
e parla all’ animo suscettibile di emozione religiosa. Ma nello stesso tempo si
trova determinata, nel corso della sua ulteriore propagazione, a operare su di
una popolazione, la quale in parte possede una cultura, formata per opera delle
scuole che funzionavano nella tarda antichità, e che puo cosi cougiungere al
contenuto nuovo di dottrma giudeo-cristiana e di Anta cristiana, un aspetto
formale del mondo antico. Come da questa mescolanza d’immediatezza religiosa e
di addottrinata capacità didattica, si svolgesse rapidamente l’antitesi fra
LAICATO e clero, si formasse cioè una ecclesia docens, e come la Chiesa, per il
fatto eh era docens, affatto naturalmente ponesse le mani sopra le istituzioni
scolastiche, e così facendo si appoggiasse, formalmente, a quel che già esiste,
sou cose che non c’interessano punto qui, nè più nè meno che le lotte, condotte
con le armi della dialettica, e attraverso le quali si veniva compiendo la
formazione del dogma. Invece è di grande interesse per noi la circostanza, che
venne a manifestarsi da un lato una valutazione positiva, e dall’altro lato un
disdegno della logica, come già si è appunto veduto per due eminenti
rappresentanti della teologia giudeo-cristiana, cioè Girolamo e Agostino, che
abbiamo dovuti ricordare più sopra, e dei quali particolarmente il secondo
mostra molto chiaramente il presentarsi di quelle due tendenze, una accanto all
altra. Ma quanto più energicamente e accentuato in tale contrasto il punto di
vista specificamente giudeo-cristiano, tanto maggior importanza dove essere
riconosciuta a quella intima immediatezza, che Agostino denomina lux interior:
e non soltanto è cosa che si spiega facilmente, ma addirittura risponde a una
esigenza teorica, che proprio i più rigidi fra i primi teologi giudeo-cristiani,
mentre conduceno la polemica obbligatoria contro il contenuto dell’antica
filosofia, hanno un atteggiamento molto riservato anche verso le forme di
quella filosofia, da'l quale la fede non soltanto non può essere sostituita, ma
resta anche sovente turbata. Fatto sta che così si forma anzitutto
un’avversione sistematica contro la logica o dialettica, e se riflettiamo che
nelle lotte per la formazione dei dogmi, proprio gl’Ariani e i Pelagiani hanno
una effettiva superiorità per cultura e ABILITA DIALETTICA, ci riesce facile
spiegarci come quell’avversione si sia sviluppata sino a diventare animosa
ostilità. Non soltanto da Ireneo e Tertulliano, ma particolarmente nell’epoca
culminante della contesa intorno ai dogmi, da Basilio il Grande, Gregorio Nazianzeno,
Epifanio, Hieronymue Presbyter [Stridonensis: S. Girolamo], Faustino, Mansueto,
Eusebio, Socrate, Teodoreto e altri, può citarsi una stragrande quantità di
passi, nei quali LA DIALETTICA è tacciata di superfluità, o è denominata un
ozioso operare, che distrugge se medesimo, e un’artificiosa filastrocca senza
scopo, la quale per il suo carattere mondanamente versipelle non può profittare
alla semplice pura verità, e in generale è ANTI-cri[Basilo Magni adversus
Eunomium (Opp ., ed. di Parigi): ij xòrv \ApioxoxéXo'JS 5vxwj xal Xpoaduioo
auXÀoY'.sp&v éìei rcpòp xà |iaOetv Sxi 6 iYÉvvrjxo; où YSY^vrjxat ; [PG « mira vere Aristotelis aut Chrysippi
syllogismis opus nobis erat, ut disccrcmus eum qui ingenitus est, (neque a
seipso, neque ab altero) genitum fuisse. Tertulliani de praescriptione
haereticorum, Opp., ed. di Venezia): Miserum Aristotelem! qui illis dialecticam
instituit, artificem struendi et destruendi, versipellem in sententiis, coaclam
in coniecturis, duram in argumentis, operariam contentionum, molestarli etiam
sibi ipsi, omnia relractantem, ne quid omnino tractaverit [PL], Grixohii
Nazi.anzeni Oratio 26 (Opera, ed. di Colonia): oOx ol5s Xóy“ v o-potfà(, faas
xe ooyibv xa l atviy|iaxa, xal xà; nóppcovo? ivaxàosig, f; è:pééeij, f)
àvxiO-éosif, xal xù>v Xpualintou auXXoYiaptùv xàp éiaXùast?, ■?, xiòv
'ApioxoxéÀoog xsxvùv x^v xaxoxexvlav. Oratio: yaipovxsg xalj pspVjXoi;
xsvo^òiviatf, xal àvxtOéaect xfjg (tsuìiovòpou Y v( ',aso) f’ xa i? eig oòSèv
xpL ( at|iov cpepoùaaij XoY 0 l ia X^ al » [PG: Oratio nec verborura flexus et
captiones novit, nec sapientoni dieta et aenigmata, nec Pyrrhonis instantias,
aut assensus retentiones, aut oppositiones, nec syllogismoruin Chrysippi
solutiones, aut pravorn artium Aristotelis artificiuin. PG Oratio quique
inanibus verbis, et contentionibus falso nominatae seientiae, ac disputationum
pugnis, quae nullam utilitatcm afferunt, obleetantur Epiphanii adversus
haereses Opera, ed. Petavius, Colonia): Ssivóxrjxt gàXXov iaoxoùg
ÈxSsStiixaaiv, èvSuaà|ievot ’ApiaxoxsXrjv xs xal xoòj SXXoog xoO xóo|iou
StaXexxixoùs, iùv xal xo'jf xaprcoùg iiexlaat, |n;8Éva xapnòv 8ixaiooóvi){
eiSóxsf. lbid.. Ili, praef. (p. 809): èx ouXXoYiapffiv y àp xal ’Apiaxo-]
-stiana. Epperò tutta la sillogistica, come deve venir meno dinanzi alle
semplici parole degli Apostoli, serve dal canto suo ancor mia volta soltanto a
contraxsXixcòv xal Y Et0 ]iSTptxà>v xòv S-sòv Ttaptoxàv jìoóXovxaiIbid.,
Ili, 76, 20 (p. 964): xaòxa Ss dxpatpstxai itàaav ooD xùv Xóyiov ouXXoyumxijv
nuÀoXoytav. Kal oì)x èv&èxt'tat ^{*^6 rcpoipé^aatf-ai jiath^ràs
Yevéa&ai ’Apia'coxéXoos toD ao5 éicioxdtou»... Où Y a «° * v Xif(p
aoXXoYtaxixip r/ [ìaa'.Xs'.a xcòv o&pavù>v, xal èv Xó^iji X 0 |iJta:mx,
àXX" èv Suvct|isi xal àXYiO-stqc (v. nota 20). Ibid., 76, 24 (p. 9il):
xpooèXaps xò 0-stov, ibg xaxà xòv aiv Xoyov, si; xr ( v auxoO xiaxiv xijv
ouXXoYiaxtx^v xaùxnjv aou x^v xsxvoXoyiav. 1PG, calliditatem potius amplexi
sunt, seque et ad Aristotelem ac caeteros mundi huius DIALECTICOS accommodare
maluerunt: quorum fructus ita consectantur, nullam ut justitiae frugem
proferant. PCI, quippe syllogismis quibusdam Aristotelicis ac geometrici Dei
naturato explicare studeut. PG atque haec omnia tuam illam argumentorum fabulam
circumscribunt. Neque id hortatione ulla pcrficere potes, ut Aristotelis
praeceptoris lui discipuli esse velimus. Non enim in syllogismis argumentisve
regnum cadeste positura est, neque IN ARROGANTI INFLATOQUE SERMONE, sed in
virtute ac ventate ». PG, Deus, ut asse rere videris, tuum illud DIALECTICAE
SVBTILITATIS ARTIFICIVM, velut quandam lidei euae accessioncm adjecit. Inoltre
proprio in Epifanio si presenta con la massima frequenza affermazioni di questo
genere. Cfr. Hieronvmi de perpetua virginitale B. Mariae adversus Helvidium (i
Opp ed. di Parigi: Non campimi rhetorici desideramus eloquii, non dialecticorum
tendiculus nec Aristotelis spineto conquirimus: ipsa Scripturarum verbo ponendo
sunt [PL. Faustini de Trinitate adversus site de Fide contrai Arianos,
Bibliolheca Veterum Patrum, cura Andreae Gallando, Venezia, VIE. Noli injelix
adversus Christum Dominimi tolius creuturae, Aristotelis artificiosa argomenta
colligere, qui te Christiunum qualitercumque profileris, quasi ex disciplina
terrenae supputationis circumscriptor advenias [P.L. Theodoreti sermo de natura
hominis (Opp., ed. Sirmond, Parigi) [ed. Festa] : fjpslg 8è aòxffiv xf ( v
ipjtXrjgiav òXo^upò|isi>a 8xi 8»; ópùvxsg gapfapocpwvoog àvOpuixoug xtjv
'EXXtjvtxTgv eÒYXtoxxlav vevixrjxóxag, xal xoòg xsxop'jis’Jiiévo'Jg pùS-ODg
xavxÉX&g ijsXtjXapivous, xal xoùg àXiEuxixoog ooXoixp opob? xoùg ’Axxixoùg
xaxaXeXoxóxag E'jXXoyi3|ioù? [PG Graecarum affectionum curatio ): trad. Festa:
Ma noi compiangiamo la stupidità dei derisori. Vedono' pure che uomini di
barbara favella hanno vinta la facondia ellenica, hanno spazzato via. le loro
ben composte favole, vedono che i solecismi dei pescatori hanno dissolto i
sillogismi attici. Quest’allusione alla semplice parlata dei pescatori si trova
pure altrove ancora piuttosto di frequente.] stare e falsificare la fede, come
in particolare si vede nel caso degl’ariani, e così via dicendo. Ma se per tal
modo LA DIALETTICA, della quale per lo pj£i g]*£} latto responsabile
Aristotele, e precisamente in particolare a cagion della sofistica contenuta
nelle Categorie, era quasi diventata oggetto di orrore, insorge tuttavia in
pari tempo da se stesso il senso della necessità di potersi difendere ad armi
uguali contro i nemici della dottrina ortodossa, ed è naturale che finisce con
il prevalere questo motivo, che cioè LA DIALETTICA è UTILE per la lotta contro
gli eretici. Quel che ora importa, e dunque lo spirito e la intenzione, con cui
si coltiva lo studio della DIALETTICA, e a questa maniera si [Irenaei adversus
contro haereses, Opp., ed. di Venezia): minutiloquium miteni et sublimitatem
circa quaestiones, cum sit Aristotelicum, injerre fidei collant II r [cfr.
PO, Eusf.bii historia ecclesiastica,
Opp., ed. di Parigi: Christum ignorarli, sed quaenam syllogismi figura ad suoni
impietalem confimiaridaiti reperilur, studiose indagarunt; quod si quisquam
forte illis aliquod divini eloquii testimonium pròjerat, quaerunt, ulriim
CONIVNCTAM VN DISIVNCTAM syllogismi figuram possit efficere sollerti impiorum
astutia et subtilitate simplicem ac sinceroni divinarum scripturarum fidem
adulterant [cfr. PC, e Griechische Chrisùiche Schriftsteller traduzione latina
di Rufinus, Hieronymi. adversus [Diulogus contrai Luciferianos, Ariana haeresis
magis cum sapientiu seculi facit, et argumentationum rivos de Arislotelis
fontibus mutuatur [PL) Socratis Historia ecclesiastica, ed. Valesii, Torino:
siiOòc o&v èjjsvo?cóva: (intendi Aezio) xoòg èvxUYXàvovxag. ToOxo 8è
Ijxoìei, ta:j xaxrjYOpEcus’ApiaxoxéXoos zioxsóiov gtjìXEov Ss oilxojf ixxlv
èmYSYpa|i|isvov a 5 x(j> ig aòxàìv xs SiaXsYÓpsvog [xal] iauxijì allaga
7xotv ’ApioxoxéXoos.] puo persino menar vanto delle proprie conoscenze in
materia di DIALETTICA ; ma con ciò puo benissimo rimaner legata la idea, che
proprio soltanto per ragioni estrinseche la teologia dommatica ha, servendosi
della dialettica, messo il piede nel campo di un verbalismo affatto esteriore,
e pertanto non ci fa meraviglia trovare più oltre ripetutamente un’aperta
ostilità contro qualunque dialettica in generale. La Isagoge di Porfirio. Ma in
ogni caso, come si è detto, la ecclesia docens e per questa via, pervenuta ad
accogliere nell’ambito della propria attività una certa somma di teorie
logiche, e una volta che, per uso dei chierici, sono adottati compendi quali si
vogliano, se pure con le debite riserve
per quel che riguardava lo spirito informatore e la intenzione -, puo e dove
bene presentarsi inevitaouXÀoytO|ix é>S àXy,9-eiav èxrtaiSeùovxa, àXX’oif;
gjtXa x-ij« àXr^slaj xaxà xoù 4>eó8oo£ Y‘T vé l 1 ® va 82 > 1189 ‘
Aristotelis syllogismos, et Platonis facundiam aurium adjumentis e cieco
didicit Didymus, non quasi veritatem ista doceant, sed quod arma sin! veritatis
contra mendacium. Cyrilli Alexandrini Thesaurus de Trinitate, 11 ( Opp, ed.
Auberl, Parigi: Ex pa8-vjpàxtov r,|nv xiòv'ApiaxoxéXoug ipiuópevot, xal xj
Seivóxr ( xt xi)£ Ev x6o|i(p aotplag àTioxsxpxinivoi, xxóxoug èystpcuat
^'rjp.àxtov XEVtòv, oòx e18óxs£ 8 xi xal tipEg xaóxtjv àpaiHB? 8/ovxej èXsYX s
' 1 Ì 30VTal ' S-aupiaai 5 vxwj àxiXooS-ov. 6 xi 8V) xàv iispl xoa |isi^ovo£
xal xoO EXàxxovog Esexàsovxsf Xéyov, i-l xòv Ttspl xoO 6|ic£o’J xal àvopolou
|iexar:sTCX(óxaotv, oOx eISóxe; 6 xt, xaxà xr/V ’ApiaxoxéXouj xiyyrp, 4 tp* %
pàXiaxa |iEYaXo:ppovEtv Etónlaaiv aòxol, oùx et; xaùxòv xaxaxàxxExat. Y* V °S
33 1:5 6 l i0l0v xal xè àvópoiov. ó)( xal xò pst^ov xal xò IXaxxov [PG. Ea Aristotelica
disciplina nobis insultantes, et mundanae sapientiae fastu turgidi, inanes
verborum crepitus excitant, parum sibi persuadente se Aristotelicae disciplinae
ignaros ostendi posse. Mirandum enim est quod, rum rationeni majoris et minoris
excutiant, ad sermonem de simili et dissimili prolabantur, nescientes, juxta
Aristotelis placita quo ipsi plurimum sese jactitant, simile et dissimile non
in eodem genere collocari, in quo maius et minus.] bilmente anche il caso di
filosofi isolati, i quali, di quel materiale che dove altrimenti servire quale
mezzo ordinato al fine, fanno oggetto speciale e indipendente del loro studio.
E furono, per questo riguardo, prima di tutto le Categorie, che, in dipendenza
dalla tradizione scolastica della tarda età classica, trovarono largo impiego
nelle fondamentali questioni teologiche non pagane ma giudeo-cristiane, e
soprattutto, precisamente, proprio in Agostino (relativamente alla Trinità e ai
così detti attributi del divino. Anzi è persino possibile che già abbastanza anticamente
si ritene autentico lo scritto pseudo-agostiniano sopra le Categorie, e ci si
sente così francheggiati, nello studio di quest’oggetto, dall’AUTORITA dello
stesso Agostino. Ma se le Categorie avevano in ogni caso un valore rilevante
per la teologia pagana o romana e giudeo-cristiana, si ha in verità nello
scritto di Porfirio, cioè nelle Quinque voces – genus, species, proprium,
accidens, differentia -una introduzione alle Categorie, ritenuta indispensabile
nella scuola, e ben e’ intende come, sia per l’insegnamento sia per lo studio,
si prende sempre principio dall’ “Isagoge”, che da uno dei commentatori e stata
anzi persino indicata come condizione preliminare della beatitudine eterna. Ma
tutti due, sia cioè il libro delle Categorie sia anche lo scrittarello di
Porfirio, sono accessibili, per la Chiesa latina, nella traduzione di BOEZIO, e
inoltre corredati anche di note illustrative, e così diventarono i principali
testi scolastici medievali di dialettica. [Miseria del pensiero medievale]. Il
corso della storia ci mostra come, esclusivamente dallo stu[L’argomentazione e
di questo tenore. Chi non studia l’ “Isagoge”, non intende le Categorie, e chi
non intende le Categorie, non intende il resto dell’Organon. Ma chi non intende
l’Organon, non sa pensare rettamente, e chi non pensa rettamente, non sa AGIRE
rettamente. Ma a un tale uomo non può toccare la beatitudine eterna.] -dio
ininterrotto di Porfirio e di BOEZIO prende origine quella contesa intorno al
valore dei così detti ‘universali’, che, secondo si è finora comunemente
ammesso, si presenta come antitesi di
due termini soltanto, realismo e NOMINALISMO, ma in verità fa venire in luce
una variopinta moltitudine di opinioni, caratteristiche di altrettanti numerosissimi
indirizzi. Queste battaglie sul terreno della dialettica non sono già suscitate
da una filosofia personale, segnato della impronta di una individualità
autonoma, di mi uomo eminente. E bensì una materia tradizionale, sono pensieri
ereditariamente trasmessi per via scolastica dall’antichità, e ora non si fa
che prenderli a poco a poco in considerazione alquanto più rigorosamente, nè
altra che questa e la occasione al formarsi di determinati atteggiamenti,
caratteristici delle varie tendenze, e le cui radici sono di già riposte nella
tradizione stessa. Di creazione, intimamente indipendente, di un motivo nuovo,
non è il caso di parlare, nemmeno nello Scoto Eriugena, e neanche in Abelardo.
E im’epoca che sta ancora attaccata tutta quanta nel modo più assoluto alla
pura tradizione, e così puo tutt’al più, con uno studio assiduo, pieno di
abnegazione, forse anche minuzioso, appesantirsi più ostinatamente, entro
gl’angusti limiti che le sono dati, sopra singoli punti, ma non mai dominare
liberamente la materia. Giustamente colpisce gli scolastici non la taccia di
confidente avventatezza o di tumida vacuità, che li porta forse a scaraventare
nel mondo sistemi belli e fatti, nè ci fan rabbia con la loro verbosità. Ma ben
piuttosto ci prende un senso di compassione, quando vediamo, con un campo visivo
estremamente ristretto, sfruttate fedelissimamente sino all’esaurimento, con
una solerzia senz’ombra di genialità, le vedute unilaterali possibili entro
quel campo 6 tesso, o quando a questa maniera si sprecano secoli intieri nel
vano sforzo d’introdurre metodo nella insensatezza. Simili pensieri malinconici
sopra tanto tempo perduto, si destano in noi per lo più proprio là dove con
maggior violenza si fan guerra, relativamente agl’universali, le diverse
opinioni, svolte sino alle ultime conseguenze, mentre il primo sorgere della
contesa ci può pur sempre apparire in parte come principio di un’azione
fecondatrice e stimolatrice. Per il progresso di quella scienza che si denomina
propriamente filosofia, bisogna considerare questo periodo come un millennio
assolutamente perduto, poiché ci si dove, per mezzo del Rinascimento,
riattaccare proprio a quel punto, a cui ci si e trovati. [La questione degli
universali determina un CONTRASTO DI TENDENZE NEL CAMPO DELLA DIALETTICA:
PREVALENZA DI UN REALISMO platonico]. Se riflettiamo che la “Isagoge” di
Porfirio e il testo scolastico più universalmente diffuso, il quale e ritenuto
condizione preliminare per aver adito allo studio della dialettica, certamente
si riesce a spiegare che in tutte le scuole il filosofo della materia,
nell’interesse suo e de’ suoi scolari, dovesse indugiarsi alquanto più a lungo
sovra UN PASSO d’importanza decisiva, che si trova subito in principio del
libriccino (si sa bene che da principio si va avanti volentieri più
minuziosamente e più lentamente), cioè sopra quel passo, che nella traduzione
di BOEZIO è di questo tenore: essere cioè prima quaestio se gl’universali hnno realtà obbiettiva come
esseri IN-CORPOREI, o sieno solamente finzioni nella sfera dell’intelletto
umano. E se ora la risposta più precisa a questa domanda, che riguarda nel modo
più chiaro l’antitesi di platonismo e aristotelismo, viene evitata da
Porfirio-BOEZIO, perchè altioris ne gotti, proprio da ciò i filosofi piu
provetti sono determinati a decidersi per uno o l'altro dei due indirizzi. Vero
è ora che il neo-platonico Porfirio dice espressamente in quel luogo, che egli
si attene alla tesi della natura obbiettiva degl’universali. Ma in pari tempo
ha aggiunto eh’ egli ha svolto la
propria trattazione, per lo più secondo l’indirizzo del LIZIO anche BOEZIO, dal
canto suo, dichiara, nella forma più sbrigativa, che gl’universali esistono in
verità, e vengono appresi consideratione animi. Cosi da questo passo, di
decisiva importanza, del testo di scuola, e bensì reso possibile che molti con
tutta ingenuità credreno fosse loro dato di seguire insieme un modo di pensare
platonico dell’ACCADEMIA e uno aristotelico del LIZIO. Cf. H. P. Grice, A. Dodd,
IZZING and Hazzing, platonism. Ma
proprio per quelli che vuole pensarci su con alquanto maggior precisione, si
tratta di un aut aut, e rispetto a quest’ alternativa, dal punto di vista
teologico romano e giudeo-cristiano, la risoluzione e propriamente presa di già
in antecipo a favore di un realismo platonico. Poiché, quando la dialettica e
considerata tutta quanta un vuoto formale strimpellamento verbale, quei che si
occupano purtuttavia di questa materia, doveno necessariamente industriarsi di
dare a tutto il complesso un fondamento reale, e precisamente, come ben
s’intende, non puo in ciò esercitare decisivo influsso alcun’altra realtà,
all’infuori da quella che si trova nelle idee giudeo-cristiane. Ed è pur anche
possibile che, come per altri riguardi, così anche relativa[V. Col'SIN,
Ouvrages inédits d'Abélard, Parigi: riprodotto con alcune correzioni e aggiunte
nei Fragnients de philosophie du moyen-àge, Parigi, ha il grande merito di
essere stato il primo a mostrare questa vera fonte del nominalismo e del
realismo, e in base alle indicazioni di lui, Havréau, De la philosophie scolastique,
Parigi, Hist. de la phil. scol., Parigi, ha tratto dai manoscritti ancora vario
materiale prezioso.] -mente alla dialettica, hanno cooperato qual autorità
perentoria, sentenze che si trovano nell’epistole paoline. Per lo meno vediamo
enunciata da Teodoro Raitliuensis, con riferimento diretto a Paolo, la opinione
che si trovi in contraddizione con l’apostolo chi designi lo studio delle
Categorie come un eminentissimo pregio del teologo, e così porta la pia
disposizione d’animo del giudeo-cristiano a non consister d’altro che di parole
o suoni [FLATVS] di parole. E sebbene non vogliamo citare questo passo
addirittura come la prima e più antica manifestazione dell’anti-tesi fra
nominalismo e realismo, è comunque tanto chiaro tuttavia, che, dalla parte
della teologia romana e giudeo-cristiana, dev’esserci, in dialettica, una
corrente prevalente, nel senso del platonismo dell’ACCADEMIA, e non del
nominalismo o concettualismo del LIZIO. La sostanza indi[Per es.: ud Corinth.,
I, 1, 17 : s'ia-;~;s'/JX!i^ba.'. oòx èv ao?!a [evangelizare: non in sapientia
verbi]: xal 6 Xóyos poo xal xò xV/pUYPà poi» oòx Iv nsiOotc aocflaj Xifo i?,
àXX' èv àjtoSelgs'. nvsùpaxos xal Suvà|isioj, iva Jtlaxif 6p(3v pf/ ^ èv
aotplqt àvOptóittov 4XX' èv Sovàpei O-soO [et sermo meus, et praedicatio mea
non in persuasibilibus humanae sapientiae verbis, sed in ostensione spiritns,
et virtutis: ut fides vestra non sit in sapientia hominuni, sed in virtute Dei]
; ad ThessaL. I, 1, 5: xó «flaYYèXiov ^ptòv oOx è^sv^a-ig 5tpò? 5pàs èv Xóyip
póvov, àXXà xai èv Sovdpei xal èv nveùpaxi Stylqt Evangelium nostrum non fuit
ad vos in sermone tantum, sed et in virtute, et in Spiritu sancto »] ; ad
Timoth., I, 6, 3-4: et xtj éxspoSiSaaxaXsì..., xsxù?(oxai, pr|5èv émaxàpevog,
àXXà voacòv itspi ^TjxVjasts xal Xoyopaxiap Si quis aliter docet superbus est,
nihil sciens, sed languens circa quaestiones, et pugnas verborum. Theodori
Presbìteri Raithuensis Praeparatio de incarnatione ( Bibl. Patr. Galland.):
i-ziiy, 5è 4 Heuijpog cJiiXat; jtpoxaOé^Exai cpfflvalj. èv fr/paoi xs póvotp
xal ij/oip T1 ì v sùaéjistav 0noxi8-exaf xalxoiYE xoD àrcoaxóXou XéYOvxop „oò
Y“P èv Xiyip ij gaoiXeta xoS 6so0, dcXX’ èv 5ovàps: xal àXvjOsl:?,, (ad
Corinth., I, 4, 20). o5xos 5è xap* a&x(j> Seotjptp xpolxiaxog S-sÌXoyos
y vwpijsxat. tì)g àv xàf xaxrjYopiaj 'AptoxoxéXooj. xal xà Xouxà xiòv S?o)
cpiXoaó;pci>v xoptjià Jjaxrjpévop toyX
) Orig. II, 23 (p. 29a)
[Lindsay]. In his quippe tribù» generibus Philosophiue etium eloquio divina
consistunt. Nam aut de natura disputare solent, ut in Genesi et in Ecclesiaste:
aut de moribus, ut in Proverbiis et in omnibus sparsim libris: AVT DE LOGICA
[DIALETTICA], prò qua nostri Theoreticam [ma Prantl legge tlteologiorni sibi
vindicant, ut in Cantico canlicorum, et Evangeliis [PL. Per lo meno, quanto al senso, la distinzione coincide
perfettamente con quel che si legge nella introduzione allo saggio di VITTORINO
da noi conservato, Expositio in CICERONE Rhetoricam (ed. Capperonicr ed. Halm,
RHETORES LATINI Minores: Q. Faro Laurentii VITTORINO Explaruitionum in Rhet. M.
T. CICERONE, Orig.: Inter arlem et disciplimim Plato non soltanto e possibile
tenere staccati come due rami separati il dominio della retorica e quello della
speculazione, ma era anche consentito a quest’ultimo di trovare, dal suo lato
estrinseco e tecnico, una particolare maniera di trattazione. Compendio di
dialettica nelle Origines. Così Isidoro divide tutta la sfera della logica o
dialettica, anche tenuto conto della dictio e del sermo, in grammatica,
dialettica, e retorica – il trivio, e a quel modo che, rispetto alla
distinzione adottata nelle scuole tra questa e quella, si attiene parola per
parola a Cassiodoro, così in generale proprio il mostruoso compendio di quest’
ultimo, già da noi più sopra tratteggiato, è quel che Isidoro trasmette, con
alcune varianti o aggiunte. Dopo avere cioè compiuto il passaggio dalla
PARTIZIONE DELLA FILOSOFIA – psicologia razionale, grammatica razionale -alla
Isagoge in et Aristoteles hanc difjerentiam esse tolueruiit, dicetiles artem
esse in his quae se et aliler habere possunt. Disciplina vero est, quae de liis
agii quae uliter evenire non possunt. Nam quando veris disputationibus aliquid
disseritur, disciplina erit. Quando uliquid verisimile atque opinabile
tractatur, nomen artis habebit [PL], e differ. spir. Nunc partes logices exsequamur.
Constai autem ex dialectica et rhetorica. DIALECTICA est ratio sive regala
disputatali, intellectum mentis acuens, veraque a falsis distinguens. Rhetorica
est RATIO DICENDI, jurisperitorum scientia [cf. Grice, the devil of scientism],
quam oratores sequuntur. Hac, ut quidam ait, sicut jerrum veneno, sententia
armalur eloquio [PL Orig.]: Logicam,
quae rationalis vocatur, Plato subiimxitdividens eam in DIALECTICAM et Rlictoricam. Dieta autem Logica, i. e.
RATIONALIS Aóyoj cnim apud Graecos et SERMONEM significai et rationem [PL Logici quia in natura et in moribus rationem
adiungunt. RATIO enim Graece Xifog dicitur [PL.
Dialectica est disciplina ad disserendas rerum causas inventa. Ipsa est
FILOSOFIA species, quae Logica dicitur, i. e. rationalis definiendi, quaerendi
et disserendi potens. Aristoteles ad regidas quusdam huius doclrinae argumenta
perduxit, et Dialecticam nuncupavit, prò eo quod in ea de dictis disputatile.
I\'um Xextdv dictio dicitur Ideo autem post Rheloricam disciplinam DIALETTICA
sequitur, quia in multis utraque communio existunt [PL] quella «tessa maniera
secca, che abbiamo veduta iu Cassiodoro), egli presenta una enumerazione e
illustrazione delle quinque voces – genus, species, differentia, proprium,
accidens - dove prende occasione di far risaltare i meriti di Porfirio, di
fronte ad Aristotele e CICERONE), e manifestamente non ha fatto che attingere
alla traduzione di VITTORINO, commentata da BOEZIO, al quale VITTORINO anzi
rinvia egli medesimo). Particolare a lui è, a tal proposito, la pensata
sommamente scolastica, di esprimere a mo' d’esempio le cinque voci – genus,
species, differentia, proprium, contingents -in una proposizione. Appresso
viene, relativamente alle categorie, una notizia che in principio e in chiusa è
ricavata letteralmente da Cassiodoro), ma nella parte centrale è più estesa, e
particolarmente più ricca di esempi. Dopo di ciò viene naturalmente de
interpr., una Sezione che qui per la prima volta incontriamo con la barbarica –
NON-LATINA -intestazione De Perihermeniis [ Aristoteli s] Le parole
introduttive e il nu[Orig. Cuius disciplinae definitionem plenum existimaverunt
Aristoteles et Tulliiis CICERONE ex genere et differentiis consistere. Quidam
postea pleniores in docendo eius perfectam substantialem definitionem in
quinque V partihus. veluti membris suis, dividerunt [PL]. Boezio, ad Porph. [a
Vict. fransi., ed. Brandt [Opp.], ed. di
Basilea [PL]: Isagogas aulem ex Crucco in Latinum transtulil VITTORINO orator,
commentumque eius quinque libris BOEZIO edidit [PL]: et est ex omnibus his
quinque partihus oratio plenae sententiae, ita, “Homo est animai ralionale,
mortale, risibile, boni malique capax” [PL.]. Anche le parole della chiusa del
testo d’Isidoro, eh’è guasta, son da leggere secondo il tenore del luogo
corrispondente di Cassiodoro. Si ravvisava cioè in Perihermeneias inspi ip
|iv)vsia?!. SCRITTO IN UNA SOLA PAROLA, un accusativo plurale, e s’imaginava un
corripondente nominativo, “Perihermeneiue”. Invero troviamo nella Storia di S.
Gallo di Ii-defons v. Arx, I, p. 262, “die Periemerien » di Aristotele”.] eleo
centrale vero e proprio -la definizione di nomen, verbum, ORATIO (indicativa o
enunciativa, imperativa), nuwtiatù, affirmatio, negatio, contradictio) sono
copiate parola per parola da Cassiodoro, ma in mezzo ci sono alcune
osservazioni più generali, che son prese da BOEZIO, e che, concernendo la
relazione tra linguaggio e la psicologia RAZIONALE, vennero ad assumere grande
importanza; ma le parole di chiusa segnano il passaggio alla SILLOGISTICA in
ima maniera più tollerabile che non sia quella tenuta da Cassiodoro. Segue ora
LA SILLOGISTICA stessa, che, dopo un
monito introduttivo a guardarsi dall’abuso sofistico, è presa con la più
letterale fedeltà da Cassiodoro. Appresso viene la teoria della definizione,
che Isidoro copia da VITTORINO, ragion per cui abbiamo dovuto riferirne il
contenuto. Ma dalla definizione si passa alla TOPICA con le stesse parole di
Cassiodoro, e anche nella enumerazione dei loci è utilizzato solamente
quest’ultimo. Ma anzitutto rimangono qui affatto escluse quelle
interpola[[Isidoro riproducel anche il motto su Aristotele: Omnis quippc res,
quae una est et uno si^nìficiitur sermone, aut per nomen significatur, aut per
verbum: quae dune partes orutionis interpretanlur totum, quidquid conceperit
mens ad loquendum. Omnis enim elocutio CONCEPTAE rei mentis interpres est [PL],
Particolarmente dobbiamo a questo proposito mettere in rilievo la locuzione
concipere, concepito. \Utililas~\ Perihermeniarum haec est, quod ex his
INTERPRETAMENTIS syllogismi fumi. Vnde et analytica pertructantur: plurimum
lectorem adiuvat ad veritatem investigandam tantum, ut absit ille error
decipiendi adversarium per sophismata falsarum conclusionum [PL).] -zioni
estranee), e inoltre, omessi i loci retorici, vengono, di quelli dialettici,
accolti integralmente soltanto di CICERONE, e tre inoltre di quelli di
Temistio. Finalmente la chiusa è data da ima speciale Sezione De opposilis, che
senza dubbio qui non sta nella solita connessione con la teoria delle
categorie, ma si riattacca ancora al materiale della topica, coni’ è anche di
fatto estratta dal commento di BOEZIO alla Topica di CICERONE. Altri spunti di
teorie logiche. Ma, oltre a questo compendio di dialettica, c’ è in Isidoro
qualche cos’ altro ancora, che, grazie all’ autorità da lui goduta esercita
influsso sopra la storia. Da un lato cioè si trovano frammenti isolati di
teorie logiche in altre sezioni della sua opera enciclopedica. Così, p. es.,
oltre a ripetere la solita definizione degli omonimi ecc. (nella Sezione
intorno alle categorie), Isidoro viene anche nella Grammatica razionale a
parlare di quest’oggetto, ma qui egli fa uso delle forme verbali greche.
Inoltre, della retorica, è da ri[fra i loci ivi riferiti di Temistio, troviamo
qui soltanto: a loto, a partibiis [PL Invece, in altra forma: Primum genita est
contrariorum, quod iuxta CICERONE diversum (leggi AD-versum) vocutur. Secundum
genita est relalivorum. Tertium genus est oppositorum -si osservi la terminologia
inesatta -habitus vel orbatio. Quod genus Cicero privationem vocat. Quartum vero genus ex
confirmutione et negatione opponilur. Quod genus quartum apud Dialecticos
multimi liabet conflictum, et appellatur ab eis calde oppositum [PL. La fonte di questo vedila in BOEZIO, ad. CICERONE
Top. [PL]; il luogo relativo di Cicerone
e citato. Orig. : Synonyma, hoc est PLVRINOMIA. Homonyma [AEQUI-VOX]. hoc est
VNINOMIA PL]] cordare in particolare la Sezione De syLlogismis, perchè, da un
lato, fa riconoscere, per l’argomentazioue, un’alto valore all’entimema O
IMPLICATURA o raggionamento implicito --, e perchè, dall’altro lato, contiene
una, per quanto meschina, notizia della esistenza della IN-duzione. II
contenuto di questa teoria del sillogismo non offre, coni’ è naturale,
assolutamente NULLA DI NUOVO, bensì è preso da VITTORINO, e attraverso
VITTORINO rinvia «ino a CICERONE e ivi particolarmente il passo relativo,
concernente 1 ’ cnthymemd. D’ altra parte, infine, con alquanti semplici
accenni a punti particolari, che in se stessi stanno FUORI DAL CAMPO DELLA
LOGICA – ma la prammatica di Grice -Isidoro
quasi direi senza volere da
occasione a quelli che son venuti dopo, di sollevare questioni, delle quali noi
dovremo citare appresso le soluzioni, come elementi del corso della storia. Una
delle cose sopra le quali a tal proposito fermiamo l’occhio, è la
determinazione di mia DIFFERENZA TRA RAZIONALE E RAGIONABILE [cf. GRICE], che, evidentemente
fondata sopra un passo del commento di BOEZIO alla Isagoge, può aver [ Orig.:
Syllogismus Graece, Latine ARGVMENTATIO – RATIONAMENTVM -appellatur.
Syllogismorum apud rhetores principulia genera duo sunt: inductio et
RATIOCINATIO [PL. Sebbene dunque possa far maraviglia al lettore che di tali
cose io faccia menzione qui, risulteranno più sotto sufficentemente i motivi,
per cui è bisognato che, dello straricco tesoro di scienza scolastica isidorea,
io facessi risaltare proprio questi, e anzi esclusivamente questi due elementi
particolari. Si tratta in generale di rendersi conto dell’assoluta intima
MANCANZA D’INDEPENDENZA dei ‘filosofi’ di questo periodo. De difjer. spirit., [PL] GRICE: INTER RATIONABILE ET RATIONALE
hoc interesse sapiens quidam [Agostino, De ordine, PL, dixit RATIONALE est,
quod rationis utitur intellectu – ut: “homo.” RATIONABILE vero, quod ratione dicium vel factum est.
Lo stesso, quasi alla lettera,’ Differ. PL. Porfirio aveva cioè, nell’indicare
quel eh’è comune al yivoc e alla Staqsopà, adoperato come esempio il Xoy ixóv,
in un passo che nella traduzione di BOEZIO (p. 95 [In Porph. a se avuto per
conseguenza che in seguito si facessero oggetto di ancor più accurata
ponderazione le parole del passo. Invece l’altra cosa consiste nell’
affermazione, connessa alla creazione dal nulla, che LE TENEBRE *NON* sono
sostanza, e di ciò non tarderemo a trovare appresso ima conseguenza ulteriore.
Alcuino: sua compilazione di un compendio di dialettica. Lo stesso punto di
vista d’Isidoro, così riguardo al valore della dialettica, come anche nella
bislacca compilazione di un compendio, prevale pure in Alcuino: coni’è noto,
dell’insegnamento, da lui impartito, della logica allora in voga, profitta lo
stesso Carlo Magno. Non soltanto troviamo in Alcuino la partizione delle
scienze secondo transl.: ed. Brandt, suona cosi: Cumque sit differentia
RATIONALIS praedicatur de ea ut differentia id quod est ratione ufi, non solum
aulem de eo quod est RATIONALE, sed etiam de his qttae sunt sub rationali
speciebus praedicabitur ratione uti [PL]. Ora nel commento di queste parole BOEZIO
dice (p. 96 [ ittici ., ed. Brandt): de RATIONALI duae differentiae dicuntur.
Quod enini RATIONALE est, utitur ratione nel habet rationem. Aliud est aulem.
uti ratione, aliud habere rationem.... ergo ipsius RATIONABILITATIS quaedam
differentia est ratione uti, sed sub RATIONABILITATE homo positus est [PL,
Sentent. : Materia ex qua coelum terraque formata est, ideo informis vocata
est, quia nondum ea formata erant, quae formari restabant, verum ipsa materia
ex nihilo facta erat: Non ex hoc substantiam habere credetulae sunt TENEBRAE,
quia dicit dominus per prophetam. Ego Dominus formans lucem, et creans tenebras
[Eisa.] ; sed quia angelica natura, quae non est praevaricata, lux dicitur.
Illa autern quae praevaricata est, tenebrarum nomine nuncupatur [PL) Einhahdi
Vita Karoli lmperatoris [Pertz, MOH: audivit in discendis caeteris disciplinis
Albinum cognomento Alcoinum apud quem et rethoricae et dialecticae ediscendae
plurimum et temporis et laboris impertivit [PL. Poeta Saxo, Annalium de gestis
Caroli Magni Imperatoris, nel Pertz, MGIT, I, p. 271: Artis rethoricae, seu cui
diulectica nomen. Sumpsit ab Alquini dogmute noticium [PL]] uno schema che si
conforma a quello d’Isidoro, ma egli inoltre ripete letteralmente, attingendo a
quest’ultimo, la su riferita concezione teologica romana o giudeo-cristiana
della logica. Nello svolgere questi pensieri, mostra dappertutto di apprezzare
altamente LA FILOSOFIA, non la TEOLOGIA, e mentre spesso a tale apprezzamento
associa lamentele per la ignoranza largamente diffusa, si leva a sentenziare
che le arti liberali son le sette colonne della sapienza, e così, nelle
principali questioni teologiche romane e giudeo-cristiane sopra il concetto del
divino fa largo uso, rimandando ad Agostino, della tradizionale filosofìa scolastica,
cioè della teoria delle categorie. Ma che lo stesso Alcuino scrive intorno a
tutte sette le arti, è ima credenza già da gran tempo confutata, essendo stato
dimostrato che passa per essere opera di Alcuino mi compendio del De artibus di
Cassiodoro, molto letto. È bensì vero invece eh’ egli coltivò la grammatica, la
retorica e la dialettica, e che inoltre accompagnò 1’ invio a Carlo Magno del
libro pseudo-agostiniano sopra le Categorie con mi prologo metrico dove nel
modo d’in[Ai.cuini Operu, ed. Frobenius, Ratisbona PL e Dialectìca, P. cs., E
pisi. Epist. 68 (p. 94), E piu. ed. Diinimler, MGH, Epist. Grammatica PL:
Sapicntia liberalium litlerurum septem columnis confirmatur; nec alitar ad
perfectam quemlibet deducit scienliarn, itisi bis septem columnis vel etiam
grndibus exaltetur. De Fide S. Trinitatis ed Epistola nuneupatorio: ed.
Diinimler, Epist.], Quaestiones de Trin., Epist., Epist. ed. Dummler, Epist.
Dal Frobenius, nella Praef., PL Tale prologo è del seguente tenore ed. Dummler,
MGH Continet iste decem naturile verbo libellus, Quae iam verbo tenenl remm
ratìone stupenda Omne quod in nostrum poterit decurrere sensum. Qui legit
ingenium veterum mirabile laudet, Atque suum studeat tali exercere labore,
Exomans titulis vitae data tempora honestis. Rune Augustino placuit transferre
matender le categorie è implicito il punto di vista di BOEZIO. Lo stesso
compendio di dialettica, che reca parimente in cima mi simile INSIGNIFICANTE
prologo, è scritto in forma dialogica. LE DOMANDE SONO SEMPRE FATTE DA CARLO
MAGNO. Ma Alcuino dà le risposte. In
questo compendio, da principio TUTTO E LETTERALMENTE preso da Isidoro, anche la
divisione della logica in retorica e dialettica. Ma al contenuto vero e proprio
si passa con una partizione, in sommo grado scolastica, della dialettica in
cinque specie, La prima Sezione, cioè, coni’ è naturale, la Isagoge, è COPIATA
PAROLA PER PAROLA da Isidoro, e neanche manca quell’unica proposizione
esemplificativa. Fa seguito una minuziosa notizia, intorno alle categorie, che
è interamente estratta dal compendio pseudo-agostiniano, con trascrizione
BARBARICA delle parole greche che vi s’incontrano. Di nuovo c’è aggiunta una
cosa soltanto, che cioè anche per le categorie viene ora formala qui una frase
unica, presentata come esempio [Ma mentre nel pseudo-Agoslino dopo la decima
categoria dell’habere viene la solita trattazione degli opgislro De veterum
guzis Graecorum clave latino. Quem libi rex, magnus sophiae sectator, umator,
Munere qui tali gaudes, modo mitto legendum [PL, K. Quot sunt species
dilecticae? A. Quinque principales; isagoge, categoriae, syllogismorum.
formulae, diffinitiones, topica, periermeniae. In veri là una disposizione
mostruosa, che mal si accorda inoltre con il numero di cinque, che si chiude
con le seguenti parole: tlaec commentario sermone de isagogis Porphyrii dieta
sufficiant. Pinne ardo postulat ad Aristotelis categorias nos transire. K. Ex
his omnibus decerti praedicamentis unam mihi conjunge orationem. A. Piena enim
oratio de his ita conjungi potesti Augustinus magnus orator, filius illius,
stans in tempio, hodie infulatus, disputando fatigatur.] posti, per tale
argomento Alcuino disdegna questa fonte, limitandosi a COPIARE ORA PAROLA PER
PAROLA, con la intestazione De contrariis vel oppositis, la Sezione corrispondente
in Isidoro. Invece immediatamente dopo, per i così detti Postpraedicamenta
(prius e simul), fa ancora un salto per ritornare al Pseudo-Agostino, omettendo
tuttavia affatto, di quest’ultimo testo, il cap. sull’immutatio. Viene poi, con
la intestazione De argumentis, prima di tutto un riassunto estremamente
sommario di quell’ estratto della teoria del giudizio, che BOEZIO incorpora al
suo scritto De differentiis topicis, e poi, in quanto che proprio lì si viene a
parlare anche dell’argomentazione, ima meschina scelta di alcuni esempi di
sillogismi ipotetici, svolti da BOEZIO in quello stesso scritto. Ma a ciò si
attaccano ancora subito i quattro primi modi dei sillogismi categorici, che son
tratti da Isidoro. La teoria della [Con la sola differenza che negl’esempi i
nomi propri o il contenuto degli esempi stessi sono trasportati ■iella sfera
morale-teologica romana e giudeo-cristiana. Nè al principio di questi
postpraedicamenta nè in chiusa, è stato segnato un qualsiasi trapasso, che li
riconnettesse alle trattazioni precedenti. Dopo ch ! è stato determinato che
cosa sia urgumentum (rei dubiae affirmatio) e che cosa sia oralio (veruni Dial. Particolarmente si trova anche fatta
qui novamente menzione di concetti imaginari, p. es.: HIRCOCERVVS quod graece
trngelaphus dicitur. PL. K. Num et Ulne aline species quatuor (non enunciativa,
ma, cioè interrogativa, imperativa, deprecativa, e vocativa) ad dialecticos non
pertinenl? A. Non pertinenl ad
dialecticos sed ad grammaticos.] zione, ma adduce inoltre alquanti esempi
attinenti alla sfera delle fallacie sofistiche, servendogli qui da fonte Aulo
GELLIO (si veda)[ Fredegiso da Tours]. Se questi due compendi che abbiamo
sinora considerati, ci presentano esclusivamente la forma di opere a centone,
nella compilazione delle quali non si fa neanche sentire più il bisogno
astrattamente logico di un qualsiasi ordine di successione che tenesse unito il
complesso, certamente, al paragone di tali prodotti scolastici, ravvisiamo già
un progresso, quando vediamo questo o quello filosofo sentirsi per lo meno
stimolato, dal materiale divenuto tradizionale, a proporre questioni, alle
quali tenta di dar tale o talaltra risposta. Ma non possiamo pretendere gran
che da siffatti primi tentativi: e nient’ altro che un documento di assoluta
mancanza di chiarezza, in quelle questioni che non tarderanno a determinare
dissidi di tendenze, ci è dato dalla maniera in cui Fredegiso, scolaro di
Alcuino, abate di Tours, in una Epistola de nihilo et tenebris, indirizzata ai
teologi della corte di Carlo Magno, viene alle prese con i concetti di « nulla
» e di « tenebre », dei Dialogus de Rhetorica et Virtutibus PL: Si dicis, non
idem ego et tu; et ego homo, consequens est, ut tu homo non sis. Sed quot syllabas habet
homo? Duas. Nunquid tu dune itine syllubae es? Nequaquam. Sed quorsum ista? Ut sophislicam
intelligas versutiam. Cfr. La [Stampata nella Steph. Baluzii Miscellanea, ed.
Dom. Mansi, Lucca, e di là riprodotta nella PL: ma la edizione migliore,
fondata sopra una nuova comparazione dei manoscritti, si trova curata da Ahner,
Fredegis von fours, Lipsia. Le parole introduttive son di questo tenore.
Omnibus fidelibus et domini nostri serenissimi principis mjt ' J acro eius F
tdntio consistentibus Fredegysus Diaconus [IL, quali, secoudo la maniera usata,
vuol parlare così ratione, cioè logicamente, come anche auctoritate, cioè
conforme alla teologia ortodossa, romana e giudeo-cristiana. La occasione a
tutto il dibattito è data certamente, in generale, dal passo già citato di
Isidoro, ma il modo d’intendere le questioni, a prescindere dal generale punto
di vista teologico romano e giudeo-cristiano, è, per riguardo alla dialettica,
cosi rozzo o così ingenuo, che di fatto non troviamo un termine per
qualificarlo. Poiché, dove non si presenta neanche la più tenue traccia di
riflessione sopra i così detti ‘universali’, ci è impossibile parlare di
realismo o di nominalismo. Insomma si tratta di ima mostruosità tale, da non
potersi neanche designarla come un primo passo verso idee venute fuori in epoca
più tarda. Non soltanto cioè si afferma, in termini secchi, che, insieme con
l’ESPRESSIONE (EXPLICATVRA) verbale, noi intendiamo immediatamente la cosa, ma
vengono inoltre assunte senz’altro come identiche la signi[Chl j. m,ue Studichi
senza prevenzione, consentirà che questo dualismo di ratio e auctoritas. il
quale si manifesta dappertutto rondo li • nd,e de ' le Par ° 1 ! '' *
Fredegiso. Queste, sei rondo la piu antica lezione riportata dal Baluze i
suonano come segue: huic responsioni oblia,uhm est primari'. Ubet’ sedrZT
‘‘"'T' rfe,We betoniate, non q ua., ’ r "',0 ’,r ‘ dumtaxat, quae
sola auctoritas est salame immola " f 7 urd / NeS6Uno infaUi si Presterà
ad accreditare derZi^ ). Ma poi, anche nello scritto De institutione clericorum,
Hrabano viene a parlare delle sette arti liberali: e dopo che ivi egli lia già
in generale ammonito i teologi a guardarsi dall’abuso dell’arte di disputare,
questo atteggiamento circospetto è quel che predomina in lui, anche là dove,
seguendo l’ordine solito di successione, viene propriamente a trattare de
DIALETTICA dopo avere parlato della grammatica filosofica e della retorica.
Ripete cioè, per prima cosa. Opera, ed. Colvener, Colonia) Hrabani Mauri) De
universo: Logica autem dividitur in duus species, hoc est DIALECTICAM et
Rhetoricam. De instit. cler.: Sed disputationis disciplina ad omnia genera
quaestionum. quae in litteris sanciis sant penetranda et dissolvendo, plurimum
valet; tantum ibi colenda est Pl 'ioTTo I ^ PUenl ' S e I’815 "or 10 fra r887 « r890) abbia
esercitato in . en era e Ti r r ” rì,,i “ ) ’ “,,ra « t:: 1,: è noto; ma può
darsi che a noi ~z:: e t abbia T imes ° qn6to s. decisiv ° -*• °° ICa >
^iche, relativamente al punto il 122» voT ddla Patralógii TeWiomtP-"-,«/;
F, t0SS ’ e toTm * ferisco qui nelle citazioni. Ma a nurlli J"*' 18j ? ’
al qua,e n,i ri ‘ opera dell’ Hauréau il Commentairede le % 3ggl £ n . t0
'"Cora,,, r lionus Cupella (nelle Nolices et Extraitì T ^ Ér,gène sur Mar.
2, Parigi 1862 [p. 1 ss.]) Extraits dea Manuscrits, non r’imér^no r qui*'ì!’a 1
nno ' ^ròv^to un rifl'’ 8 *" 0 C °" lo Soot ° letteratura, avendo
Nicola Mofli ™T,nten f° anche "ella und seme Irrthiimer OC S F,• tLEB
preso posizione (J. S. E tro Fr. Am. Staudr™*™ U sT 1844) con Ze« 1«G. S. E. e
la sci. nl,,,1 1 . • dle Wissenschuft seiner te 1834), e contro il Saint-Rtné
TaiTi.andifr I>1, Gotha 1860), nè da V Kin. ' m"” C dottrina System des
J. S E r« TI Jl. » Naulicm (Dos speculatil e, negli Atti 3,'ll ó è ™ s
Peeulativo di G. S. E » IP™!), nè da Gio v. Hubeh (/. slVf ili vista logico, che lo Scoto si trova ad
avere assunto, non sembra comunque essersi pronunziato ancora un giudizio
esauriente, quando ci si limita a qualificarlo come realismo, o magari anche
come realismo stravagante. Vero è invece che con l’atteggiamento realistico,
che in generale è fondato sopra la concezione biblico-teologica romana e
giudeo-cristiana, e che naturalmente a nessuno può passare per il capo di
negare allo Scoto, si unisce qui, in maniera sommamente caratteristica, un
motivo dialettico, al quale ci sembra di dover attribuire somma importanza,
perchè in esso ravvisiamo i primi lineamenti del nominalismo scolastico. La
prima cosa che certo si manifesta con la massima evidenza a qualsiasi lettore
dello Scoto, è la forma rigorosamente sillogistica, nella quale si volge questo
filosofo, mettendo con ciò in mostra nello stesso tempo, per così dire, le sue
conoscenze scolastiche di logica. È questa ima cosa, della quale per se stessa
non faremmo già particolare menzione, non essendo qui compito nostro di
registrare per avventura tutti quanti gli scritti di tutti quanti i Padri della
Chiesa o filosofi medievali, nei quali si riveli un addestramento logico.
Tuttavia nel caso presente sussiste, a quanto ci pare, una stretta connessione
fra tale cultura scolastica estrinseca e l’intima struttura dell’ordine d’idee
professato dal filosofo. Lo Scoto Eriugena manifestamente, nella persuasione
che la sillogistica, proprio nella sua forma rigorosamente scolastica, abbia un
valore filosofico, trae partito da tutte le cose consimili. Così ne’ suoi
scritti, a prescindere dalla frequente
larga trattazione delle categorie in senso teologico romano o giudeo-cristiano,
si presenta, p. es., della teoria del giudizio, la divi[Des ]. E. Stellung zur
mittelalterlichen Scholastik und Mystik f« La posizione di G. E. rispetto alla
scolastica e alla mistica medievale], Rostock), nè da Lod. Noack (Weber Leben
und Schriften des ] J. S. E.: [die Wissenschaft und Bildung seiner Zeit, Della
vita e degli scritti di G. S. E.: la scienza c la cultura del tempo suo »),
Lipsia.] aione in giudizi affermativi e giudizi negativi, e anzi con fa
terminologia affirmativus e abdicativus, o la indicazione delle varie specie di
opposti, tra i quali inoltre viene sovente messo in particolare rilievo il cosi
detto opposto CONTRADITTORIO: come pure viene fatta menzione delle relazioni
anti-tetiche sussistenti fra il possibile e 1 impossibile. Si trova anche presa
in considevolia ilio Scoto (de dlctóone a^°I'^ 1 p una Cap. delle Categorie
pseudo-azostini»,,» r W3j 111 C0 P‘ are *1 10° sario, -“j! ch è neces ' de div. nat., I, 14, p.
462: Et hoc Ir i • i’ ^“ 8nto a * giudizio, v. p. es. ^soXoyla iKo^onix-rj del
Pseudo Dioniei ° r£ “ ; xaxcreaTtxrj e la damus exempio. Essentia tZaZf A
reopag,ta) brevi conci,,. coda : « supe’ressetZTLT ** ^ terminologia che
ricorre ancor più volte nelIoVom 6 * 0 ''""' alla confusione che
abbiamo trovata di eb n r ’ Va r / 1 f 0n ® chiaro dalla spieoare Pian, ad
duplum... ; am per negat’ionZ Z Z SÌnt ’ ut s, ' m ‘ propter) qualitates
naturales per abZntiam’m°h “*\ °“*^ (, leggi AVT SECVNDVM PRIVATIONEM, ut mors
etvUaL n tenebrae sanitas et imbecillitas. Su questo numi „ s, u contrarl “m,
ut desuma fonte che Isidoro (v. sopri la „mwn? aU ' n, ° alla, ne ' cavato
malamente dalle parole di 11 *.. : s °hanto che ha rie absentia. 1 ' BOEZIO °
una distinzione tra PRIVATIO [De praedestinatione, 5, 8 n ì"». i,„,, i
oluntate posset simul dici « libera est iihe quomodo de eadem CONTRADICTORIE
dicuna,r, quia simul fieri n “ l>; haec enim nat.: comradictoZnJZ r p0ssunt
~ De divis. erit veruni, alterimi falsimi Non !«' 9'"a fient, et
necessario unum ”r l htsa calidario ZloaZ 7e sZZ versahter sint, sive
particulariter fi, : subjecto eodem, sive unidelia terminologia di BOEZIO (clntradZ
** Vede ’ C è '"escolanza nota 113) con quella di M^ianoTl n ). Copella
(proloquium) De divis. nat., II, 29 n 597Pn*.n,ir in numero rerum computi
impossibile dicet.... De quibus quisquis alene T . pl,lloso P lum tium
coniraOwi-E, hi JZ’Z,u,‘Z,ZZ": hoc p Z£L~ illt razione la solita
enumerazione delle varie specie di definizione. Ma principalmente sono messe in
rilievo dallo Scoto, tanto frequentemente, proprio dal punto di vista formale,
le forme dell’argomentazione: e non soltanto troviamo in lui, in molti luoghi,
intrecciati nel testo, sillogismi formulati assolutamente secondo la regola
delle scuole, bensì ancora egli molto si compiace di menzionare, con i loro
nomi tecnici, sillogismi appartenenti alla topica. Ma appunto per quest’ ultimo
riguardo ha grande importanza per noi, che lo Scoto accuratamente distingua il
procedimento dialettico propriamente detto, cioè il sillogismo in generale,
dalla rimanente sfera puramente retorica, e per la dimostrazione dia importanza
decisiva alla sopito dispulutum est. È ben facile capire cbe questo è tutto
preso da BOEZIO. Quamvisque multae definitionum species quibusdam esse
videuntur, sola ac vera ipsa dicenda est definitio, quae a Graecis oòaubSr jj,
a nostris vero essentialis rocari consuevit. Aline siquidem aut connumerationes
intelligibilium partium oùatag, ai il argumentationes quaedam extrinsecus per
accidentiu, aut qualiscunque sententiarum species sunt. Sola vero oòauóSrjs id solum recipit ad definiendum,
quod perjectionem nuturue, quam definit, complet ac perjicit. Questo può essere
ricavato da Alcuino o da Isidoro (v. sopra le note 38 s.) o da BOEZIO. Tali
passi non si discostano da quella terminologia ch’è usuale in Boezio; così, p.
es., affirmativus, negativus, termini, diulectica proposito, jormula syllogismi
condilionulis, e così pure connexio (v. la Sez. XII, nota 141), e persino
tropus; inoltre troviamo ancora collectio e reflexio, che son termini propri di
Apuleio (v. la Sez. X, note 15 e 19). 81 ) Così, p. es., de praedest., 14, 3, p. 410; ibid.,
16, 4, p. 420. De div. nat., I, 49, p.
491 ; v. anche qui appresso le note 94 ss. 92 ) P. es., de div. nat., I, 27, p.
474: sunt loci diidectici u genere, a specie, a nomine, ab antecedenlibus, u
consequeiuibus, a contrariis, ceterique hujusmodi, de quibus nunc disserere
longum est. De praedest.: argumentum, quod ub
effectibus ad causam sumitur, locus a contrario e locus a similitudine, e
similmente più volte. Anche nel Comment. ad Muri. Gap. tres purles
syllogismorum, i. e. ab antecedentibusi, a consequentibus, a repugnantibus. Ma la
conoscenza di tutti questi loci lo Scoto la poteva ricavare esclusivamente de
Cassiodoro. 'orma logica soltanto. Anzitutto cioè viene da lui attribuito già
il più eminente valore a quèlla formulazione del sillogismo disgiuntivo, che,
da CICERONE in poi, si e conservata nella tradizione come enthymema, e che per
tal via aveva avuto accoglimento anche nella Enciclopedia d Isidoro (e ripetuta
la stessa cosa, a proposito di Alenino: ed effettivamente Scoto in questa forma
del sillogismo ravvisa il punto culminante di tutti gl’argomenta, i quali
invero sono ancora pur sempre considerati congiuntamente ai signa i r ra in:
anzi la forma dell’entimema ha potere d’in•'«rio a qualificare l’entimema
stesso senz’altro come syllogismus: e in verità in un altro passo, dove dice
espressamente di volersi servire deIl’*ico8«i*Tix* le dimostrazioni che
seguono, sono appunto presentate esclusivamente in quella forma disgiuntiva; ma
nello stesso tempo egli assegna tuttavia decisamente alle forme del cosidetto
sillogismo categorico un posto ancor più eievato, appun to perchè queste non
appartengono al meccasumuntur. Qribm tanta ’rii inll [ R Stu " t
contrarietatis loco excellcntwe suae merito a ('rimri^'è'h""'' qt ‘°
(ìam privilegio conceptiones rLZ sicJZZ e,,lhymemnt “ dicantur. hoc est, munì
est illud, nuoci sumitur * '‘ rsu . met },orum omnium forlissicalium aptissimum
est. quo d ducitur "ab end" ° mnU,m . si S"°rum volhid.. m, 1 n
193 . „ \ tU, et >dem conlranetatts loco.
Diulècticisac RhètorZiseZnt"” ^ediyimus. a xaTavTC'fpaat .5 IW
4vtt*p«oi ^ TestZmTi’uZ grnmmaticis ver ° gnorumque verbalium nobilissima v
loT^T ar ^ n -n'orum stiri fine, e cfr. poi la nota 189 * qm appresso la nota
96 > concluditur, quodsemperesTn coni nulo °c" "" '',,r *
umento (ora segue un sillogismo della l'orma Non eZnVn'B* 4 ° “** ergo B non
est: v. la Se? Vili t.n i l 1 „ et
A est. Idem quoque syllogismiis hnr 'm 1 ' p a • XII, note 13 e 69 )....
cibici. 4 3 n T?J w connectitur (id. c. *.). àitoS.txxtx^ utamur,
primufnfadversus ZT"e uTl^’ * C *f" r sillogismi della forma
ricordata or ,U f ann,° S, '* U1| ° due parole, da uomo consapevole della
vitro* P °A S ‘ con queste Via igitur regia gradiZdtm, r, ?''' C ° ncIllsum est igitur.... vcrtendum, etc. ’ °
" d d^ternm, nec ad sinislram dinismo dell’argomentazione retorica,
apparentemente più efficace Bli ). Ma che questa preponderanza della forma
sillogistica sia stata anche subito sentita come tale dai lettori dello Scoto,
ci è confermato dalla ineccepibile testimonianza di un anonimo del IX secolo,
il quale dice che Scoto fa consistere la dialettica in un continuo incalzarsi e
cacciarsi (fuga et insecutio) delle proposizioni. Scoto, del resto, la
conoscenza delle forme sillogistiche da lui usate, la poteva ricavare
esclusivamente da 8l! ) Vale a dire, in occasione di una dimostrazione
piuttosto lunga, relativa alla immaterialità della sostanza ( de div. nat., I,
47 ss.), troviamo anzitutto, dopo le parole introduttive hus inique paucas de
pluribus dialecticas collectiones considera, due sillogismi categorici secondo
il primo modo della prima figura, c appresso segue un'argomentazione in forma
dilemmatica; ma dopo questa si trova la seguente transizione: l’t uulem piane
cognoscus,... hunc argumentalionis accipe speciem. [Discipulus] Acci piani ;
sed prius quondam formulalii praedictae argumentationis fieri necessarium
video. Nam praedicta ratiocinatio plus argumentum u contrario videtur esse,
quam dialectici syllogismi imago. [Magisteri Fiat igilur maxima propositio sic:
e ora seguono quattro sillogismi secondo il modo 2° della 1* figura, con le
parole conchiusive: huec formula idonea est; ma immediatamente appresso: [D.]
Hoc etiam certa dialettica formula imaginari volo. | M. | Fiat itaque fornuda
syllogismi conditionalis ; il che si verifica nella forma : Si A est, lì est, A
vero est; e dopo tutto questo si trova, per chiudere in maniera energica,
ancora un entimema: Si autem èvtì-upijiiaTOf. hoc est, conceptionis communis
animi syllogismum, qui omnium conclusionum principatum oblinet, quia ex his,
quae simili esse non possimi, assumitur, audire desideras, accipe hujusmodi
formulam. Riferita da V. Cousin, Ouvr. inéd. d’Abél: Secundum vero Joannem
Scottum, est dyalectica quaedam fuga et insecutio, ut cum quis dicit « omnis
honestus est », et insequitur alius dicendo omnis honestus non est, talis haec
disputatio fugae et insecutioni videtur esse consimilis. Se del resto già
l’abate Benedetto da Aniane [Francia Merid.], si lamenta di un syllogismus
deltisionis iipud modernos scholasticos, maxime apiid Scotos (Baluzii Misceli.,
ed. Mansi), non è leeito già inferire da ciò, che lo Scoto abbia potuto
ricavare la propria abilità dialettica da studi di logica che fossero con larga
diffusione coltivati nelle scuole della Scozia: bensì quel lamento si riferisce
esclusivamente a un singolo contrasto dommatico (riguardo alla Trinità), il
quale può esser denominato syllogismus nella sua formulazione, nè più nè meno
che cento altri simili Isidoro o da Marciano Capella, e non c’èun solo passo
che ci costringa ad ammettere eh egli abbia mai conosciuto anche gli Analitici
di Aristotele, nella traduzione di BOEZIO os ). [b) posizione dello Scoto,
rispetto alla dialettica Ma proprio questi elementi, che per così dire
appartengono alla prassi logica dello Scoto, ci apron la via per passar a
considerare anche la posizione teoretica di lui, nei rispetti della dialettica.
Nelle arti liberali in generale, egli ravvisa i prodotti di una naturale
attitudine dell amma umana, e pertanto un suo ornamento B8a ), in quanto che
esse sono le compagne e le investigatrici della sapienza "); ma nello
stesso tempo riconosce che quel che importa qui è la disposizione di spirito,
trovando hi particolare la dialettica, della quale è facile abusare, il proprio
compito essenziale nella lotta contro gli eretici 10 °). ) 1 oicliè questo
punto avrà ancora più volte importanza ner noi ho dovuto di proposito fin qua
richiamare còsi n inutàumnte rat’tenzione sopra le fonti della logica dello
Scoto. )G ommenl. ad Mari. Cup. [Artes
libe:tZ ] n, 0la iPSa amma P erci P' umur ’ nec uliunde assi,n,untar sed
nalurahier in anima mieli,gannir ; p. 30: Liberales disciplinar ’natu r ali ter
insunl in anima, ut aliunde venire non intelligunUir ■ et ideo TCTTìI ~, Cfr
q,,i appresso la noia l78 (cioè ri.-’ fi • ’’ ’• P430: ^ rrorem saevissimum
eorum (cioè de suoi avversari dommaUci) ....e* utilium discinlinarum alias, psa
sapienti a suas comites investigatricesque fie^voluTTdr S ira la notai 50),
ignorantia credtdenm sumpsisse primordio In un A ìSi " 4 "'“ » aZerS denTk 77™ Gotes UerumSez. XII note 84 J ST: Tt ^zrZiiri
uctìones ’ sensui subjacet: cirro nnnm ... . • P nr, ‘ l ' s _>'st, nulhque
corporeo versuntur. Al si illa incorporea est^nuTtìb' Ziter'vìd t omnia, quae
ani ei adhaerent, au, in P « subsistoZ, ' non possimi, incorporea sint 9 ‘slum,
et sine ea esse se immutabiles puro mentis contuitn „ t f r ! ale f* Q h*er res
per ' rontl ‘“" perspiaenlur in sua simplicisce anche il concetto di
genere in maniera del tutto realistica 115a ), anzi ripete minutamente la
dimostrazione, ricavata dal Pseudo-Dionigi, che essentia e corpus sono
totalmente diversi e non possono essere mai scambialino. In una parola, è un
avversario sistematico della sostanza individuale (del xóSe ti) di Aristotele.
[e) ontologia e dialettica], Ma dobbiamo riflettere che, per lo Scoto, tutta
quanta la sfera del molteplice (dimque infine anche la pluralità delle
categorie stesse) viene a cadere in quello stadio in cui la sussistenza
concreta è propriamente qualche cosa che non dev’ essere, perchè la pluralità è
provenuta per via di divisione dalla unità, e ha essenzialmente per funzione di
essere di nuovo risolta nella unità, e in tale processo proprio il punto
mediano dev’ essere quello di massima lontananza, sia dalla unità originaria sia
dalla unità finale. Così la formazione delle cose infinitamente molteplici del
mondo sensibile è la prima parte del processo, come dire una scissione della
Divinità: e Scoto spiega, in accordo con Gregorio da Nissa, il manifestarsi
concreto delle cose sensibili e in tute, aliler senati corporeo in ali quii
materia ex concursu earum facto compositae. Omnia erìim, quae intellectus in
rulione universaliter considerai, particulariter per sensum in rerum omnium
discretas cognitiones definitionesque partilur (dunque rSpiattxóv delle
definizioni speciali viene già a esser più pertinente alla sfera sensibile. Il
passo di BOEZIO).,ls ‘) Comm. ad Alari. Cap„ Genus est multarum formarum
substantialis unitas.... Est enim quaedam essentia quae comprehendit omnem
naturam, cujus participatione consistit omne quod est. Substantia generalis est multorum individuorum
substantialis unitas. De div. nat. Sed adversus eoa, qui non aliud esse corpus,
et aliud corporis essentiam putant, in tantum seducli, ut ipsam substantiam corpoream
esse, visibilemque et traclabilem non dubilent, quaedam breviter dicendo esse
arbitrar: f t autem firmius cognoscas, oòalav id est essentiam, incorruptibilem
esse, lege librum sancti Dionysii Areopagilae de divinis Nominibus eie.: e a
ciò fa seguito la dimostrazione estesa. generale la origine della materia, con
il fatto che alcune categorie vengono a trovarsi insieme, per modo da poter
essere apprese dai sensi) : e nello stesso tempo, in questo generarsi,
analogamente che per i filosofi precristiani, opera poi il fuoco, come quello
che dà la forma alle cose sensibili. Ma poiché ora, secondo lo Scoto, non in
altro che in questa molteplicità del mondo deve, per opera della filosofia,
essere scomposta (5iaipruxVj) la unità divina, e da quella deve da capo partire
la via da percorrere per il ritorno alla unità (àvaXtmxrj), quel grado
intermedio della pluralità acquista una speciale importanza anche per la
dialettica, poiché proprio in quella stessa pluralità del sensibile si viene a
contessere la favella umana, come mezzo di espressione. A quel modo perciò che
nelle cose sensibili le categorie, incorporee in se stesse, sono alla fine
diventate corporee (per quanto m maniera enimmatica e mistica), così anche il
linguaggio, in quanto è sensibile, afferrerà le categorie soltanto nella forma
verbale sensibile-corporea (per quanto parimente con un intrecciarsi di motivi
mistici), e appunto lo stadio intermedio della dialettica, vale a dire **? rh '
d ' 34 ’ Quantitàs vero, qualitasque. situs, et habifT \ nte \r COeu ’ ltes
mater iem.... jungunt, corporeo sensu per Wcl nU alluTT GregoriusN y s ^-orti*
raHonibu, ita esse ahud dicens matenam esse, nisi aecidentium quondam compositi
0, nem ex mvis.lnlibus causi® ad visibile® materica, pròcedentem [Lo Scoto cita
il Sermo « De Imagine» del NiTsen” ma forse parafrasa I cap^XXHHV del libro «
De hominis opificio *] interni 2 ’ 5' 494 S : Formarum al,l ‘e in oùoia. aline
in qualitate uVc" r; j ^ '"°' iOÌa « "‘bstantùdes speciel
generis ti^ 'seu mLtn* 8 ’ °, ‘"Tatque P° XÌ,Ì onem naturali um par “7
" Ì r r r «d quahtatem referri, formatnque proprie vomembra e [ l ",T
dl ? ìtt . am 1 en ‘ e « forma, bensì all’armonia delle membra e bellezza del
colorito] ex qualitate ignea, quae est color FXfrDe i rr tur Et h r n vocatur a
form °’ h ° r si rai ' d (v! 1 estus [De
I erborimi significata ed. Lindsay, p. 73] s v forma) Udum Sa rii diffinitione non dissential.... (PL 9
lj,y oj. ): Aristoteli genus, speciem, difjerentiam. propnum et accidens,
subsistere denegava (se. Minerva), quae Platani subsistentia persuasa. Aristoteli
an Plotoni magis credendum pulatis. Magna est utriusque aucloritas, quatenus rix audeat quis
allerum alteri dignitate praeferre [PL]. Cui
rei Aristoteles in libro Peri Ermenias congrua bis verbis: Sunt ergo ea quae
sunt in voce, earum quae sunt. Altre notizie ancora, appartenenti alla seconda
metà o alla fine del secolo X, possiamo citarle soltanto come documento del
perpetuarsi della tradizione scolastica; tal è il caso, quando vien riferito
che il vescovo \ olia n g o a Ratisbona in una disputa teologica trovò maniera
di applicare le varie specie in cui può esser diviso Yaccidens (a tal proposito
c degno tuttavia di nota, che il metodo dialettico viene denominato carnali^
antidotus), o quando vengono menzionati gli studi di logica, di lAbbone da
Orléans, che studia a Fleury e ivi successivamente insegna, e del vescovo
Bernward a Hilin anima passionimi nolae [cfr. BOEZIO, p. 216 e 297; Prima
cditio, I 1 ed. Meiser, Pars Prior, p. 36; Secunda edilio, I, 1, ed. Meiser,
Pars Posi.; PL, 64, 297 e 410], Omnis nota aUcujus rei nota est. Prius ergo res
est quam nota. Res ergo prius ponderando est, quum nota».... Boetius tir
eruditissimus in libro Peri Ermenias secundae editionis [p. 450; VI, 13, ed.
Meiser, Pars Post., p. 4a), Spira pret.. Analitici e Topica, e a proposito di
quest’ ultima, d’accordo con BOEZIO (de diff. top.), riconosca che i due campi,
dialettico e retorico, sono a contatto uno con l’altro, per accennare da ultimo
a Cicerone, rappresentante della retorica vera e propria, in quanto questa non
venga a ricadere nella sfera dialettica 206 ). [§ 22. Gerberto, figura ASSOLUTAMENTE
INSIGNIFICANTE: a) materiale degli studi di logica al tempo suo]. J "*) Il
1° Libro (ibid., p. 35) s'intitola: Primus libeUus de studiopoetae, qui et
scholasticus, e dopo aver trattato della poesia, fa seguire la filosofìa: Inde
ubi maiorum tetigit nos cura ciborum, Porphyrius claras nobis reseravit
Athenas, Qua multi indigente librabunt verba sophistae. Cernere erat quondam
vidtu pallente puellam. Pructica cui limbum pinxitque theorica peplum, Et licet
effigiem macularet parva (leggi: prava) vetustas, Ipsa tamen ternas suspendit
ab ubere natas (v. ibid. la tripartizione della sfera teoretica). Praeslitit
haec nobis summi subsellia ledi. Et postquam strato licuit discumbere cocco.
Proceduta senae turba comitante SORORES (cioè dialettica, retorica, ritmica,
matematica, musica, astronomia). Ingenui vultus non absque gravedine gestus
Adducit famulas praestanti corpore quinas (cioè le cinque parti che vengono
subito appresso) Omnia sub gemino claudens Dialectica puncto (il duplice punto
di vista è invenlio e io dicium, v. la Sez. XII, ibid.). Prima quidem (la
Isagoge) miles generali nomine pollens Insignita tribus (cioè genus, species,
difjerentia) unum selegit amictum. Hanc vice continua sequitur gradiente
secunda (le Categorie). Tertia (la teoria del giudizio) discredi quidquid
primaeva coegit, Dans operam sane cirros crispare secundae, Quos quartae
(sillogistica, cioè Analitici) solido collegit fibula nodo. Inslabilem fucum
lulit ultima (la Topica) quinque sororum Dodo quibus geminas decernens Graecia
jormas (cioè loci dialettici e retorici) Pinxit « quale » tribus, « quid sit »
reperendo duabus (cioè il Quale consiste in persona, tempus, circumstanliae , e
invece il Quid in definitio e descriptio), Ut reboant nobis deliramentu
Platonis (questo non riesco a spiegarlo). Inde suam stipai comilem pressura
sodalem Rhetoricam duplicis vestitam flore coloris, Quuc iaciens varias nervo
pulsante sagittas Monstrat hypothetici nobis spedaicula ludi. Et ioni cornuta
surgens ad sidera fronte Causarum rivos putido profudit ab ore. Sed postquam
illatas pepulit conclusilo lites Ipsaque gravigenas conipegit pace sophistas.
Omnibus asseculum veniente porismate laetis Sub pedibus Eogicae recubabat nexa
coaevae, Commissura tibi reliquie rum munia, Tulli. A ciò fanno seguito la
ritmica e le altre discipline nominate più sopra. Anche del famoso Gerberto
(Papa Silvestro II) dobbiamo anzi affermare la stessa cosa, che cioè egli,
senza originalità, rimase assolutamente irretito nella tradizione scolastica:
purtuttavia c’è d’ uopo bitrattenerci sopra di lui alquanto più a lungo,
appunto perchè a lui e al suo comparire si riconnettono notizie preziosissime
riguardo ai limiti ristretti, entro i quali era contenuta in quell’epoca la
trattazione della logica). Ci racconta cioè anzitutto un contemporaneo di
Gerberto, come questi in gioventù fosse iniziato alla logica da un chierico
eminente (probabilmente Giselberto) a Reims, dove poi incominciò subito la sua
operosità di maestro delle solite discipline scolastiche). Ma, come colui che
riferisce la notizia enumera a tal proposito distesamente e compiutamente anche
tutto m ) Per notizie sul conto di lui in generale, v. M. Buedincer, Gerbert’s
U’issenschaftliche und politische Stellung («Posizione scientifica e politica
di G. »), Cassel, e K. Werner, Gerbert !’• Aurillac, die Kirche und
Wissenscfiaft seiner Zeit (« G. da A., la Chiesa c la scienza del tempo suo»),
Vienna [2* ed.,J. a ®) Richeri Historiarum
(Pertz, :MGH, V, p. 617): luvenis igitur apud pupam relictus, ab eo regi
(cioè Ottoni) oblatus est. Qui (vale a dire Gerberto) de urte, sua
interrogatus, in mathesi se satis posse, logicae vero scientiam se addiscere
velie respondit.... Quo tempore G. Remensium archidiaconus in logica
clarissimus habebalur. Qui etium a I.othario Francoricm rege eadem tempestate
Ottoni regi Italiae legatus directus est (un arcidiacono di Reims in quel tempo,
con il nome incominciante per G, sarebbe Giselberto, presente al Concilio
d’ingelhcim: v. Marlot, Metropolis Remensis historia. Lilla; il Buedincer e 1
Olleris; v. [per la precisa citaz. delPoperg;, ai quali si unisce il Werner,
pensano a Garamnus, menzionato [dal Mabillon] negli Acta Sanctorum Ordinis S.
Benedicti : Saec. [dove precisamente trovo ricordato il « Signum.... Geranni
Archidiaconii »]. Cuius adventu iuvenis exhilaralus, regem adiit, atque ut
G.... o committeretur obtinuit. E G.o per aliquot tempora haesit, Remosque ab
eo deductus est. A quo etiam logicae scientiam accipiens, in brevi admodum
profecit, G....S vero cum mathesi operam daret, artis difficultate iictus, a
musica reiectus est. Gerbertus interea studiorum nobilitate praedicto
metropolitano commendatus, eius gratium prue omnibus promeruit. linde et ab eo
rogatus, discipidorum turmas artibus instruendas et adhibuiI [PL il repertorio
di scritti di logica, di cui si serviva Gerberto nell’ insegnamento, così
veniamo in possesso di un documento tanto importante quanto decisivo, per
provare che pur alla fine del secolo X restava ancora sempre sconosciuta la
traduzione, dovuta a Boezio, degli Analitici e della Topica di Aristotele:
perchè proprio di questi manca la menzione, mentre vengono citate in fila tutte
le altre traduzioni e i lavori originali di Boezio (v. la Sez. XII, note 72
s.); ed è altresi degno di nota che Gerberto facesse venire l’insegnamento
della retorica soltanto di seguito a quello della dialettica, come pure che il
cronista nel suo racconto assegnasse ancora la retorica alla logica, trovandosi
pertanto a considerarle da quel punto di vista, che abbiamo veduto proprio
d’Isidoro, Alcuiuo e Hrabano (note 27, 54 e 79 di questa Sezione) 209 ). Ma ci
viene riferito inoltre che Gerberto si occupava di delineare una figura, nella
quale fosse rappresentata in una Tabula logica la distribuzione di tutte le
cose; venne tuttavia su questo punto a contesa con Otrico, e con ciò va messa
in relazione una disputa filosofica che si svolse =l *l Ibill, (in
continuazione) L4-6-8J : Dialecticum ergo ordine librorum percurrens, dilucidis
senlentiarum verbis enodavit. In primis enim l’orphyrii ysagogas id est
introductiones secunduin Pictorini rhethoris trunslationem, inde etinm easdem
secunduin Mani inni explanavit, Cathegoriarum id est pruedieamenlorum librino
Aristotelis consequenter enucleans. Periermenius vero, id est de
interpretatione librimi, cuius luboris sit, aplissime monstravit. Inde edam
topica, id est argumentorum sedes, a Tullio de Graeco in Latinum translata et u
Manlio constile sex commenlariorum libris dilucidala, suis auditoribus
intimavi!. Necnon et quatuor de
topicis differentiis libros, de sillogismis cathegoricis duos, de ypotheticis
tres, diffinitionumque librum unum, divisionum aeque unum, utililer legil et
expressit. Post quorum laborem cum ad rhethoricam suos provehere velici, id sibi
suspectum erat, quoti sine locutiontim modis, qui in poelis discendi sunt, ad
oratoriam arlem ante perveniri non queat. Poelas igitur adhibuit quibus
ussuefactos, locutioniunque niodis composilos, ad rhethoricam trunsduxit. Qua
instructis sophistum adhibuit: apud quem in controversiis exercerentur, ac sic
ex urte agerent, ut praeter arlem agere viderentur, quod oratoris maximum
videtur. Sed haec de logica. In mathesi vero. etc.
[PL a Ravenna, al cospetto di Ottone II, allora quindicenne 21 °). Un’ altra
più minuziosa narrazione concernente questo colloquio, ci fa chiaramente
riconoscere, che sopra l’argomento i contendenti sapevano semplicemente a
memoria quel che aveva detto Boezio (nel commento alla Isagoge), e su tal
fondamento dibattevano la controversia, se cioè il concetto di RAZIONALE sia
più ristretto che quello di Mortale, o non piuttosto, viceversa, si dimostri
più ristretto quest’ ultimo Z11 ). Huconis monachi Virdunensis, abballa
Flaviniacensis, Chronicon (P'ertz, MGH) : Quo tempore Otrieus apud Saxones
insigni* habebatur.... Adalbero Romam cum Gerberto petebat, et Ticini Augustum
(cioè Ottonem) cum Ottico reperit, a quo.... duo tus.... Ravennani, et quia
anno superiore Otrieus Gerberti se veprehensorem in quudam figura cum
mulliplici diversarum rerum distribuitone (presa da Boezio, p. 25 (in l’orph. a
Vict. transl.: ed. Brandt; PL) monstraverut, iussu Augusti omnes pnlatii
sapientes intra pululium colletti sunt, tirchie piscopus quoque cum Adsone
abbate Dervensi et scolasticorum numerus non parvus; et coeptu disputatone, cum
iam pitene lotum diem consumpsissent. Augusti nulu finis impositus est. È
inconcepibile che il Werner, abbia potuto, con accento di biasimo, rinfacciarmi
di aver antccipato la data della disputa, riportandola all'anno 870, perchè
nella prima ediz. di questo volume (pag. 54) si poteva pur leggere chiaramente
il numero 970; senza poi contare che non è lecno ritenermi capace di far
partecipare a un dibattito nell' 870, un uomo che io stesso dò come morto nel
1003. "“) Richerj op. cit., e. 60 e 65, p. 620 s.: Otrieus.... a il:
«Quoniam pliilosophiae partes uliquol hreviter uttigisti, ad plenum oportet ut
et dividas, et divisionem enodes...... Tunc quoque Gerbertus: 4 ....secundum
Vitruvii (leggi Victorini ) atque Boctii divisionem dicere non pigebit. Est
enim philosophia genus; cuius species sunt. predice, et theorelice: praclices
vero species dico, dispensativam, distribulivam, civilem. Sub theoretice vero
non incongrue intelligunlur, phisica naturalis, mathematica intelligibilis, or
theologia intvllectbilis. La fonte è BOEZIO. Tunc vehementius Otrieus admirans
I versa circa la distinzione tra l’octu.s necessaria, l'actus non necessanus,
il quale ultimo ha origine a palesiate ovvero a subsistendo. e analmente la
pura e semplice potenzialità. Gerberto mette questa partizione in forma di
tabella: ma in ciò può ben ravvisarsi soltanto un modesto titolo di merito,
poiché, ch’egli non abbia neanche un solo pensiero suo personale. Io
dimostriamo, qui come apP m?’/ IC ? 1 no\emotiva di Monaco (C.od. lui. 14272),
contiene questa lettera. tuisce l’oggetto di giocherelli sillogistici: dopo
averla rappresentata cioè in modo assoluto come una disutilaccia, a Adalberone
viene in mente di saggiare logicamente la validità universale di questo
giudizio riprovativo, e procede ora a una disquisizione in forma dialogica, per
sostenere che il giudizio è singolare, che c’è un opposto contraddittorio del
giudizio stesso, e via dicendo: viene appresso l’invito a fornire a regola d’
arte la dimostrazione della inutilità di quell’animale 2S0 ) ; ciò si fa
percorrendo nel dialogo, in forma antitetica, l’intiero elenco dei giudizi
ipotetici 233 ), e a ciò si trovano anche fram-, hc riempie una pagina e mezzo
in folio (fol. 182 tO. Pare elle il titolo riferito più sopra sia stato
semplicemente combinato dal Pez. FUilco). Denique haec mula.... non esset
universaliter, seri polius aut particulariler aut indefinite, quae paene unum
suiti, inutilis proponendo.... Igitur quae particulariter quoquo modo utilis est,
omnimodis universaliter inutilis non est.
A(dalbero). Si hanc iauliiem atque
inhonestam indefinite vituperarem, veruni a falso non diseernerem, nam huius
mulae inutilitas, si universaliter esset dedicatila. particulariler esset
abdicatila (cioè sarebbero allora predicati nello stesso tempo concetti
contraddittori). Sed haec viluperatio
ncque universaliter ncque particulariter est determinata.... igitur quia
singularis est, neutrum horum est. F. Singulare dedicativum nonne suum hubet
abdicativum?... Putasne, universale propositio universali, purticularis
particolari, indefinita indefinitae sicut siaglilares contrudictorie
opponuntur? A. Piane opponuntur: si substantia fuerit, erit praedicativa, sive
sit sive non sit. F. Putasne. si accidens? A. Eodem modo opponuntur, si illud
fuit inseparabile. F. Omne inseparabile contrudictorie opponitur? A. Non. _F.
Illud tanlummodo cui aliquid possit uccidere, et illud dicitur substuntiale.
Sed nunc ex arte, non de arte, nostris affirmalionibus cum luis repugnantiis
hanc mulani esse inulilem atque inhonestam
onci nei profiteberis. Qui sono mescolate insieme la teoria di Boezio
(fin Ar. de interpr.. ed. seconda, II, 7 e III, 10: ed. Meiser, p. 117 ss. e 255
ss.; PL, e la terminologia di Alareiano Capella (ibid.. nota 66). 31 ) A. Mula
haec si claudicai, male ambulai; atqui claudicai : igitur male ambulai. F. Mula
haec si claudicai, mule ambulai: utqiii non claudicai; igitur non male ambulai
. A. Mula haec non. si claudicai, male non ambulai; atqui claudicat: igitur
male ambulai. F. Mula haec non. si non male ambidat, claudicai : atqui non male
ambulai; igitur non claudicat. A. Si valida non est. debilis est; atqui valida
non est; igitur debilis est, e via dicendo. 106 mischiate enunciazioni di
regole logiche) ma l’insieme, clf è
preso tutto quanto da BOEZIO, si chiude con l’accenno a lma causalità demoniaca
della inutilità della mula, una spiegazione, questa, che dovrebbe, a quel che
sembra, sodisfare ambedue le parti contendenti. Scolaro di Gerberto e panmente
Fulberto, vescovo di Chartres (dove nel 990 aveva aperto una scuola, e vi resse
la sede vescovile dal 100/ [o 1006] sino alla morte,che godette di grande reputazione
come conoscitore della dialettica 234 ), sì che persino gli f u conferito il
soprannome di Socrate dei Franchi). Ma, mentre assolutamente nulla di preciso
ci è noto, in ordine alla sua teoria F e' A ' et negalio semper est in
pruediculis nota 119) adhibetur,
vind/cat sibi vini contradictionis et modus in1 A Hon et eodZTn em P
°"" P, r “ cA ' c ""' s Sminati» subiectis. 4 7>liL
f'i nominali appresso da Tritenuo, sono
d. contenuto puramente teologico). erio iì““S . Ji Bereiim’SLST logica 23B ),
dobbiamo in ogni caso tenerlo in gran conto quale maestro di Berengario da
Tours, sebbene sia lecito argomentare che da Fulberto le conoscenze e
l'abilità, relative alla dialettica, erano ancora tenute del tutto lontane dal
campo teologieo-dogmatico, poiché per quest’ultimo riguardo egli esortava i suoi
scolari alla più rigorosa ortodossia 237 ). Ma possiamo, in generale, scorgere
un segno di più intensa operosità, relativamente alle condizioni di
quell’epoca, già nel fatto che di nuovo si procedeva ad apprestare compendi o
si elaborava con commenti continuativi il materiale esistente a uso delle
scuole, poiché, quantunque in ciò non donimi ancora una energia creativa
ùltimamente personale, purtuttavia si torna a ravvisare nella conservazione o
nell’ incremento del sapere logico il vero e proprio fine: l’attività si volge
cioè alla teoria come tale, sebbene senza originalità. [Anonimo rifacimento
metrico della Isagoge e delle Categorie: colorito nominalistico]. Cosi un A il
o n i ni o Ila rifuso in esametri la Isagoge
e le Categorie), per imprimersi nella memoria, con questo primo suo lavoro,
come dice egli stesso nella introduzione in prosa, indirizzata a un certo
Belinone, il contenuto di quei libri 239 ). Inco3, l La notizia, che Fulberto
abbia mandato la Isagoge allo « scholaslicus » di un chiostro (v. Fui.berti
Opera, ed. Villiers, Parigi 1608, Ep. 79, fol. 76 b [PL: Ep.) è priva
d'importanza. I Adelmanno, loc. cit., p. 3 [§ 6-8): obtestans per secreta
ilio.... [colloquiai..., et obsecrans per lacrymas,... ut illue omni studio
properemus, viam regioni directim gradientes, sunctorum Patrum vestigiis
obsenantissime inhaerentes, ut nullum prorsus in diverticulum. milioni in novam
et fallacem semitoni desiliamus etc. f PL. loc. cit. or ora, nella nota 2351.
Il lavoro è riprodotto a stampa, di su un codice di St. Germain (n. 1095), dal
Cousin, Ouvr. inéd. d’Abél., p. 657-669. ) Chi sia stato o dove sia vissuto
quel tal Bennone, non può mincia con il prendere da Boezio la divisione (Sex.
XII, nota 77) dell’ Organon aristotelico, e pensa a tal proposito che la
faccenda sia andata cosi: che cioè Aristotele abbia incominciato con lo
scrivere i primi Analitici, e poi, siccome questi erano riusciti
incomprensibili, abbia scritto appresso gli Analitici secondi, ai quali per lo
stesso motivo ha dovuto far seguito la Topica, come pure poscia il De interpr.,
e quindi ancora le Categorie; ma non avendo voluto Aristotele scendere, per
farsi capire, a un livello ancor più basso, e avendo perciò passato sotto
silenzio le quinque voces, è intervenuta qui per fortuna, a compier V opera,
l’attività di Porfirio. II contenuto della Isagoge viene poi spicciato molto
sommariamente con la semplice indicazione della definizione delle quinque voces
241 ), e indi fanno seguito le Categoricavarsi dalla introduzione, che si tiene
affatto sulle generali. Del no stesso lavoro dice ivi l'Autore: Quoniam
complurium mci ordinis scholusticorum, praesul venerande, oblatus tibi litteras
omni gradarum idacritate saepius te audio suscepisse,... tuue confisus....
pietati uliqua et ego offerre litterarum jocularia praesumo tliae maiestati.
Feri animus, Dei aspirante grada, quum puueissimis oratione metrica absolvere,
quod Porphyrii Isagoge et Aristotelis Calegoriae videntur in se continere. Quod
batic ob causam maxime decreta agere, ut, quae illi latius difjudere, breviter
collecta per me tenaci diligentius crederem memoriae. Nomina quoque grueca
quaedoni interposui, ubi lege metri constrictus latina non potili.... Id mihi
ne duculur litio, primum abs te, pater piissime, cui hoc litterarum munere ingenii
mei primitias immolo, deinde ab omnibus veniam /tostalo. ) lbid„ p. 658: Doctor
Aristoliles, cui nomen ipsa dedit res, Ingenio pollens miro praecelluit omnes. Hic, natis post se diulectica ne
latuisset, Primos componens Analilicos studiose. De syllogismis ratio
perpenditur in quis, Credidit ut sapiens hos planos omnibus esse. Sed cum
nullus eis intellectu capiendis Sufficeret, rursus tentai prof erre secundos :
Quos ncque posse capi cum sensit. Topica scripsit ; Hinc Perihermenias,
postremo Cathegorias : Post quas finitas. descendere noluit infra. Hic genus ac
speciem, proprium, distantia, stritigens, Simbebicos edam quid sint omnino
tacebat. Porphyrius tandem cernens, nisi cognita quinque Haec sint, bis quinus
nesciri cathegorias, Cuique smini finem signavit convenientem. (Cfr. anche
Bokzio, p. 113 rio Ar. prued.. I;
PL, 64, 160 s.] ; Sez. XII, nota 841. t Jbid. Dopo la definizione delle cinque
voces, si legge: Ni nimis est longutn. communio dicier horuni (vale a dire ciò
di cui rie. Dice espressamente l’autore, a proposito di queste, sin dal
principio, che si tratta lì non già delle cose per se stesse, ma soltanto delle
voces signativae delle cose 242 1, si che troviamo qui una ripetizione di quel
punto di vista nominalistico, considerato più sopra (note 149 ss. e 159); ma hi
ciò consiste anche tutto quel che di più importante dobbiamo rilevare in questo
compendio; poiché nel rimanente esso si tiene cosi strettamente attaccato allo
scritto pseudo-agostiniano intorno alle categorie (Sez. Xll, note 43-50), che
di l'atto lo si può denominare, in una parola, una versificazione dello scritto
stesso; tutfai più si può osservare inoltre, che i numerosi termini greci, i
quali vi figurano barbaramente trascritti, derivano ugualmente da quella
medesima fonte, dove pure si trovano abbastanza spesso intercalati, restando
con ciò molto semplicemente eliminata ogni ipotesi che eventualmente sorgesse,
relativamente a studi che fin d’allora si facessero sopra l’originale greco 243
). appreso viene a trattare Porfirio: v. la Sez. XI, note 49 ss.), Non nos
barrerei : sed malumus ergo lucere. Ne generelur in his libi nausea
discutiendis. :l: ) lbid., p. 658 s. : Post haec, bis quinus pandamus
cuthegorias. In quis rir doclus
non ex ipsis quasi rebus, Sed signativis de rerum vocibus orans. SuiniI ab omonymis tractandi synonymisque Principium
eie. ***) Poiché tutto questo scrino è semplicemente una ripetizione metrica di
quello del Pseudo-Agostino, appare superfluo fare citazioni particolari. Ma per
quel che riguarda i termini greci, spiegati per lo più in latino con glosse
interlineari, può ricordarsi: usya, simbebicos e simbebicota, enarithnui
(àvdpiitpa : Sez. XII, nota 43), epiphania (a proposito della quantità) T6601,
poi, a proposito delia relazione, Pesametro 1662): Thesin, diuthesin,
episthemin, estesili, exin (cioè èiuaxrjprjv, aloDijoiv, IJ'.v e similmente [
il). | Dicilum ornile quod est, rei eneria dinamite (cioè évspysJa e Suvàpzi),
come pure, a proposito della qualità 16631: Exis, diathesis, phisices dittamis
poelesque (rcoiÓTrjg Passibilis, potius seu pathos, scemala morphue (axtipaTa
popcff,c), nella Sezione che tratta degli opposti 1667 \habitus sleresisque
atépr,oi;, e, a proposito del postpraedicamentum del moto [668-9] : Auxesis,
megesis, genesis, florus, aliusis. Et Itala ton joras, metabeles associato
(cioè aB(;l}Olg, |ia£o)atg, YÉvEatg, àXÀoùasig, xatà xòv tónov, pexagoXtJ).
no [§26.
Intensa attività della Scuola di S. Gallo. Notker Labeo: a) un Tractatus
insignificante ].Ma principalmente a S. Gallo noi troviamo, intorno a
quell’epoca, una più estesa rielaborazione del materiale logico in uso nelle
scuole, e per tale riguardo spetta in ogni caso al famoso NotkerLabeo il merito
di aver dato P impulso e diretto la esecuzione, sebbene non tutt’ i lavori dei
quali qui si tratta, sieno venuti fuori proprio dalle sue mani 24 *). Non c’è
dubbio che qui pure il fondamento è dato solamente dal materiale tradizionale,
e non c’ è da aspettarsi propriamente novità 245 ): ma questo materiale
tradizionalmente trasmesso è in parte trattato tuttavia in maniera più libera,
mostrandosi in ogni caso un interesse, che si volge con abbandono all’ oggetto
della trattazione per se medesimo. J4 *) Mentre cioè J. Gbimm («Gott. Gel. Anz.
», 1835, N. 921 è (li opinionr che Notker sia l'autore unico di tutti quegli
scritti, e a questa opinione aderisce incondizionatamente anche H. Hattemer
iDenkmiiler des Mitteltdters « Monumenti del M. Evo », III [S. Gallo, p. 3 ss.),
ci sembra invece più giusto, tenuto conto della diversità intrinseca di quei
lavori, ammettere con W. WackerNACEL I Orse il ichte dir deulschen Lilteralur
«Storia della letteratura tedesca », p. 80 s. 12* ed., Basilea 18791 : v. di
lui anche la orazione accademica sopra le benemerenze degli Svizzeri verso la
letteratura tedesca, Basilea 1833) che le opere recanti il nome di Notker sieno
state composte da vari autori, semplicemente sotto la direzione di lui: rfr.
inoltre appresso la nota 262. FI1 Franti non cita Die Schriften Natkers und
seiner Scinde (« (ili scritti di Notker e della sua scuola») editi da P. Piper,
Voi. I (Scritti di argomento filosofico). Frihurgo-Tubinga, 1882], ' 45 l Cose
straordinarie si posson leggere invero nella Geschiehte Din St. Gallai («Storia
di S. Gallo») di Ild. v. Arx. Nella Dialettica, ch’essi dividevano in Logica,
Peripatetica, Stoica e Sofica [sic/l, furono loro maestri Aristotele, Platone,
Porfirio e BOEZIO: eran loro ben note le dieci categorie e le Periemerie del
primo tra essi, le cinque Isagogi di Porfirio e il metodo d’insegnamento di
Socrate. Ma nientr’ è facile scorgere subito che tutta questa notizia può
fondarsi solamente sopra la più crassa ignoranza dell'autore, si dovrebbe
supporre tuttavia ch’esso abbia ricavato da mi qualche manoscritto la
informazione che dà, relativamente alla partizione della dialettica; tuttavia
anche su questo punto sono -tato messo tranquillo dal mio amico e collega
Hofmann, il (piale, in occasione di sue ricerche personali, fece a S. Gallo Tra
questi scritti il più insignificante è un « Tractatus inter magistrum et
discipulum de artìbus »: l’autore infatti si è limitato qui a riassumere il
Compendio di Alenino (v. sopra le note 48 ss.), conservandone la forma
dialogica, e ha inoltre utilizzato in compendio anche BOEZIO, ma epiest ultimo
soltanto da principio, cioè a proposito della Isagoge e della categoria della
quantità 24 °). [§ b) rifacimento delle Categorie]. Invece un più diligente studio delle opere di
BOEZIO e una rielaborazione alquanto più libera del materiale che vi si trova,
sono manifesti in altri due scritti, notoriamente di somma importanza anche per
la storia della lingua tedesca, cioè nel rifacimento delle KaTTjyopi'at, e nel
rifacimento del libro IlepUppTjvelas 247 ). Il primo di questi scritti si
attiene in complesso rigorosamente, quanto al testo, alla anche nel mio
interesse una verifica relativamente alle opere di logica, ma non potè trovare
assolutamente nient’altro, all’ infuori da quali t’è stato di già pubblicato, o
per lo meno accennato dal (iraff. dal Wackernagel e dallo Hattemer; v. anche
appresso nota 271. ’ / bsisle manoscritto alla Biblioteca Governativa di Monaco
(Coti. lat..), di dove lo Hattemer ( Denkm. d. Mitlelalt.. [già Cil.l, III, p.
532 ss.) trasse per pubblicarle le sole intestazioni dei capitoli. La
partizione della filosofia e della logica è quasi letteralmente presa da
Alcuino, ma dove si tratta delle quinque voces, la ' numerazione delle diverse
loro sottospecie e gli esempi illustrativi -ono ricavali da Boezio; la Sezione
che tratta delle categorie è da principio un riassunto da Alcuino, con
omissione degli homonyni" ecc.; e dopo che di nuovo è stato utilizzato
Boezio, solamente riguardo alla categoria della quantità, si viene in seguito a
parlaridelie rimanenti categorie, attingendo parola per parola ad Alenino, ma
soltanto fino alla categoria dell’/iufiere: e da quell" unica proposizione
esemplificativa (v. qui sopra la nota 57) si passa subito, con la intestazione
Quid su,il formulile syllogismorum, alle notizie !" -Alcuino intorno all
argomentazione, le quali sono altrettanto '"eraunente riassunte, quanto le
seguenti che riguardano Biffi niil( *\ topica e Periermertine. .. 1 F ;^ P 7 Ìo
24S ). ma frammezzo al testo, periodo traduzione di Boezio t n te per periodo,
vi è intrecciata una spiegazione, contendi, S ua volta la parte più importante
del commento dello «Z Boezio, e a BOEZIO una volta Fautore espressaniente si
richiama: molto spesso la dimostrazione queste spiegazioni viene articolata ne suoi
e 1 maniera perspicua, mediante cenni sommari del conte unto o altre
intestazioni, anzi anche con la indicazione Propositi io, Asmmptio, Conclusi
o«): e gh esempi esplicativi sono in alcuni luoghi personalmente escogitati da
Notker; si può osservare ancora che Fautore, con manifesta predilezione per la
geometria, s indugia piu a lungo e con maggiore originalità su quei passi, che
contengono un accenno a tale disciplina • re) rifacimento del De
mlerpretalione). Il rif"'" menlo del II.pt nlliene «« 1»"• a 1
™r«n «tesso della storia della logica, lo ho prealcun influsso nel torso, zwe i
altesten Compendien srwfttiSX* gj d r p,l l8™“,b ‘ di logica in tedesco»),
Monaco,, ^ aria ’ zion ;. ta,l V olta sono abbrevT.zSi od Soni ^ *
dere, e via dicendo. a pedo mule [el disposino ist PÌP -; €o S t 4 p. lC
eTaT4 a n9 le s Quesfulti.na terminologia è presa da Hoizio. de syll. hyp.\ v.
la nota a • intu itiva «) A questa maniera non soltanto lp. WZ ss. « u5
mediante disegni "jò^l'^niTesaurita la trattazione della *„ .... diseano
diverso che in Roezio. to al testo, parola per parola alla traduzione di
BOEZIO, e i commenti che si trovano alla stessa maniera intrecciati anche qui,
si fondano parimente sopra il commento di Boezio, del quale l’autore, come
accenna egli stesso, ha utilizzato ambedue l’edizioni ***). Ma ha importanza la
introduzione, eh’ è premessa all’ insieme, in quanto che novamente c’
imbattiamo qui pure nel punto di vista nominalistico, che ravvisa nel
significato delle parole l'oggetto delle Categorie; ivi inoltre, notizie, ed
espressioni tecniche, tratte da Marciano Capella, vengono intrecciate in
maniera caratteristica con quelle osservazioni die riguardano l’ordine ili
successione dei libri dell’ Organon, e che sono ricavate da BOEZIO: e appunto
rispetto a queste ultime notizie, ci è consentito ancora di ricavare dagl’
ingenui equivoci dell’autore la conchiusione sicura eh’ egli conosceva gli
Analitici e la Topica di Aristotele, proprio soltanto per sentito dire, da quel
passo di BOEZIO, Hattemer, p. 474 a [ ed. Piper, p. 511: rifacimento del De
interpr., Lili. I, 111: Est hoc \tractare 1 nlterius negotii. Taz isl anders
uuur zelerenne, samoso er chade, lis mine metaphisicu (v. BOEZIO, p. 230 [ in
de interpr., Prima editio: ediz. Meiser, I, 5, p. 74; PL, 64, 3151), dar lero
ili tih iz. Ahere boetius saget iz fure in, in secunda editione etc. (cioè
Boezio, p. 326 I ih., Seeunda editio: ediz. Meiser, II, 5, p. 101; PL. [Est hoc
alterius negolii. Ciò dev’essere insegnato in altro luogo; così disse egli: «leggi
la mia Metafisica; li te lo insegno». Ma BOEZIO lo dice apertamente in secunda
editione ete. (Della traduzione, di questo, come dei segg. passi di N. L.,
debbo esser grato alla dottrina, tanto cortese quanto sicura, del rh.mo collega
BATTISTI (si veda). Neanche mancano qui quelle figure, con le quali BOEZIO
rende intuitiva la teorica del giudizio, e anzi per esse l’autore rinunzia a
servirsi del tedesco. “’) ìhid.. p. 465: Aristotiles sreib cathegorias, chunl
zcluenne, uutiz einluzziu uuori pezeichenen (cfr. più sopra le. note 149 ss.,
159 c 242, e subito appresso la nota 256); nu lutile er samo chunt ketuon in
periermeniis, uuaz zesumine gelogitiu bezeichenen, an dien veruni linde falsum
fernomen uuirdet; tiu latine heizent proloquia; an dien aher neuueder uernomen
neuuirdet, tilt eloquio heizent (la fonte di questa terminologia, vedila in
Marciano Capella, Sez. XII, nota 51, e in Agostino, ibid., nota 33); tero
uersuiget er an disamo buoclie. I nandù ouh proloquia geskeiden sint, unde
einiu heizent 8. il «De parlibue loicae»; nominalismo]. Un altro scrittarello,
intitolato « D e partibus loicae»™) si presenta come una compilazione
compendiosa per uso delle scuole, essendovi anzitutto enumerate le sei parti*
della logica, compresa la prima, che fu aggiunta da Porfirio alle cinque
aristoteliche) : alla enumerazione fa poi Simplicio, dar eia uerbum ist, ut
homo uiuit, andenu duplicia, dar zuei ucrba sint, ut homo si uiuit spirat, so
leret er hier simplicia, in topicis leret er duplicia. Fone simplicibus uuerdent
predicatoli syllogismi, jone duplicibus uuerdent conditionules syllogismi (la
fonte di questa distinzione, in BOEZIO: A ah periermeniis sol man lesen prima
analitica, tur er beidero syllogismorum kemeina regida syllogislicam heizet:
taranah sol man leseti secunda analitica, lar er sull Arrigo leret predicutinos
syllogismos, tie er heizet upodiclicam (anche chi avesse dato appena una
occhiata superficiale agli Analitici stessi, non si potrebb esprimere a questa
maniera); zc iungisl sol man lesen topica, un diener oidi sunderigo leret
conditionales, tie er heizet dialecticam. Jiu purtes heizenl samenl logica. Nu
uernim uuio er dih ielle zuo dien proloquiis (anche nel commento stesso,
accanto alla terminologia di BOEZIO, vediamo sovente figurare proloquium).
[Aristotele scrive le Categorie, per indicare che cosa significhino le parole
isolate. Invece nelle Periermeniae egli stesso dichiarerà quello che
significano le combinazioni di parole, con cui viene enunciato il verum e il
falsimi, e che in latino soli dette proloquia ; se invece non viene enunciata
nessuna delle due cose, «on dette eloquio. Ala su ciò egli tace in questo
libro. Inoltre anche nei proloquia si può fare una distinzione, e taluni, p.
es. « homo viviti, in cui c è un verbo solo, vengon detti « simplicia », altri,
in cui ci sono due verbi, p. es. « homo si vivit spirat», vengon detti «
duplicia». Dei simplicia egli ragiona qui, dei duplicia nei Topica. Dai
proloquia semplici si fanno i predicativi syllogismi. dai duplici i
conditionales syllogismi. Dopo le Periermeniae, si leggeranno i primi
Analitici, dove si chiama sillogistica la regola comune agli uni e agli altri
sillogismi; dopo di che si leggeranno i secondi Analitici, dov’egli insegna
separatamente i sillogismi predicativi, la cui regola chiama apodittica; per
ultimo si leggeranno i Topica, dove insegna separatamente i sillogismi
condizionali, la cui regola egli chiama dialettica. Queste parti
complessivamente portano il nome di logica. Ed ora apprendi coni’ egli ti guida
ai proloquia (ed. Piper, p. 499, op. ull. cit., « Praefatiuncula »)]. 251 )
Edito, di su un manoscritto zurighese, dal XX ackernacel negli Altdeiilsche
Bliitter (« Fogli Altotedeschi ») di FIaupt e Hoffmann, II, p. 133 ss., e dallo
Hattemer, op. cit., p. 537-540. *“) Hattemer, p. 537: Quot sunt partes logicue?
Quinque secundum Aristolelem, sextum partem addidit aristotelicus Porphirius;
quae sunt: isagoge, calhegoriae, periermeniae, prima analitica, secunda
analitica, topica. seguito una più o meno lunga indicazione del contenuto delle
parti stesse. Dopo che cioè della Isagoge sono state citate soltanto, nella
traduzione di Boezio, le definizioni delle quinque voces, viene brevemente
illustrata mia sola delle categorie, la sostanza, senza che sieno neanche
nominate le altre nove, ma in tale occasione viene enunciata 2o6 ) la
concezione nominalistica, ancor più nettamente di quel che s’è veduto or ora,
alla nota 253; segue poi, riguardo ai giudizi, la semplice enumerazione delle
quattro specie (universale affermativo, universale negativo, particolare
affermativo, particolare negativo), tratta da Marciano Capella e con la
terminologia di lui 2r ‘ 7 ). Ma ciò che viene detto poi intorno agli Analitici
primi e secondi, ha ugualmente per fondamento quello stesso passo di Boezio, dove
questi espone 1’ ordine delle parti dell’ Organon, e certo neanche qui è fatto
uso della traduzione da lui curata degli Analitici 23S ). Infine si tratta
minutamente della Topica, e anzi in piena conformità con Isidoro (v. sopra la
nota 39), aggiungendo qui 1* autore proverbi tedeschi come esempi dei singoli
loci 259 ). fe) scritto De syllogismis, e sua importanza ]. Ma il più
importante fra tutti questi scritti, provenuti da : “ 8 ) Ibid., p. 538 a: Quid
tractutiir in cathegoriis? Prima rerum significano et quid singulae dictiones
significent, utrum substantiam an accidens etc. sn )Ibid.: Quid narratile in
periermeniis ? Quid consideratile in primis analiticis? SILLOGISTICA quae est
communis regula omnium sillogismorum, necessariorum et probabilium, cathegoricorum
et ippolhelicorum, item praedicativorum et condilionalium (raddoppiamento
insulso, risultante daH’aver tirato dentro la terminologia di Marciano Capella.
Quid traclatur in secundis analiticis? Apodictica id est demonslraliva quae
demonstral veritatem, id est necessarios siilogismos. w ) È parimente copiato
da Isidoro (nota 27) quanto lo Hattemer (ibid., p. 530 s.) riporta, da un altro
luogo dello stesso manoscritto, intorno alla differenza tra dialettica e
retorica. S. Gallo, è la monografia De syllogismis 2G0 ) ; poiché, sebbene si
fondi parimente ancli’essa sopra una compilazione di materiale svariato, il suo
autore, con un maggior corredo di letture, mette mano qui anche sopra cose, per
cui non bastava una conoscenza puramente superficiale dei compendi scolastici
d’Isidoro o di Alcuino; inoltre egli conserva una notevole indipendenza, in
quanto che mostra la tendenza verso una interna, unitaria finalità della
logica: con la esposizione di tale finalità si chiude la monografia. Prima
viene enunciata ) la definizione del SILLOGISMO, presa da Marciano Capella, con
l’aggiunta di alcune parole della Retorica d Isidoro, e qui già un considerevole numero di esempi
in tedesco serve a chiarire la trattazione: poscia 1 autore, facendo uso di una
terminologia mista, presa sia da Marciano sia da Boezio, adduce la divisione
dei sillogismi in categorici e ipotetici 2 ' 12 ); presenta quindi, attingendo
a Marciano (Sez. XII, note 63 e 67), le parti costitutive del sillogismo
categorico e del giudizio categorico), per far poi seguire a ciò la esposizione
integrale dei diciannove modi del sillogismo, la quale è tratta da Apuleio
(Sez. X, 1 Integralmente riprodotto a stampa nello IIattf.mer; in forma di
estratti, nel Deutsches Lesebuch [« Antologia tedesca»] di Gucl. Wackfrnacel,
I, p. Ili ss. ) C. 1, ibid., p. 541 a: Quid sii syllogismus. Syllogismus
graece, lutine dicitur ratiocinatio.... quuedam indissolubilis oralio .... quae~ dam orutionis
catena et inficia ratio. Et ex iis videntur quidam esse qui latine dicuntur
praedicativi, alii autem qui dicuntur conditionales.... (p. >12 b) Constai
autem omnis syllogismus proloquiis i. e. proposilionibus. Dalle parole che vengono appresso proloquia dicumus cruezeda, similiter
proposiliones cruezeda [ incroci, combinazioni di voci CI, itera proposiliones
pietunga O Bietungen », offerte, trad. lett. di proposiliones 3, alii diami
pemeinunga [« Bemeinungen », enunciazioni) risulta altresì che in ogni caso
erano in parecchi a occuparsi di simili rifacimenti della logica Od. Piper: r r
hti minori, attinenti a Boezio, lì : «/le Syllogismis », 1], Cioè sumpta,
illatio, subiectivum, declaralivum.n-ote 18 ss.), e chiarita con esempi
tedeschi, che son opera dello stesso compilatore 2M ). Si passa quindi ai
sillogismi ipotetici, e anzi per prima cosa viene presentato, alquanto
liberamente elaborato e con intercalati termini di Boezio, quel che su tale
argomento si ritrova in Marciano: solamente appresso trova posto la indicazione
compiuta dei sette modi sillogistici enumerati da Cicerone (Sez. Vili, nota
60), e illustrati qui con una minuta spiegazione, che l’autore trae dal
commento di BOEZIO alla Topica di CICERONE, e correda parimente di esempi in
tedesco 20 °). Ma ora c’ era pur iuoltre in Isidoro un syllogismus rhelorum (v.
sopra la nota 43), e in connessione con quanto da lui era stato detto, viene
colta qui la occasione di passar a considerare più minutamente la teoria
retorica, illustrandosi, con esplicito rinvio a CICERONE (de Inventione, v. la
Sez. Vili, nota 59), l’argomentazione retorica, e facendosi uso perciò di un
esempio che si trova in Cicerone stesso 2B7 ). Ma subito 1’ autore s’industria
di ricondurre al sillogismo categorico tale specie di sillogismo, in quanto che
questo è adeguato all’ esigenze formali della riprova della verità, accennando di nuovo sulle orme di Boezio agli
elementi semplici dei sillogismi in generale 2B8 ), e a ciò unendo spiegazioni
reC. 3-8, p. 543-47. ) C. 912, p. 548 s. L’espressioni usate «la Marciano vengono
qui intese come specifica terminologia, cioè: pro/Htsitio, assumptio,
conclusio. **) C. 13, p. 55(4553. Qui LA FONTE è BOEZIO, ad CICERONE Top., V,
p. 831 [PL, 64, 1142] ss. I C. 14, p. 553 a: Transeunt vero syllogismi et nd
rlietores iam latiores et diffusiores factì.... Ilorum esempla sunt upud Ciceronem in libri*
Rhetoricorum. L’esempio ciceroniano del governo delI universo (de Invcntione,
I, 34, 59), elle del resto figura anche in BOEZIO, de cons. phil., I, p. 958
[PL,, viene poi svolto parimente in tedesco. l Ibid., p. 554 a: Praedicntivus
est ille syllogismus nut condi lative al giudizio 269 ). E dopo che a ciò hanno
fatto seguito disquisizioni etimologiche sopra alcuni concetti, affini per
significato al syllogismus disquisizioni
che sono tratte o direttamente da Isidoro, o dal così detto Glossario di
Salomone (v. sopra la nota 185), e in parte anche da BOEZIO 27 °) vien approfondita, in base alla Topica
ciceroniana, la differenza tra dialettica e apodittica 2T1 ) ; tale differenza
coincide con quella tra sillogismi ipotetici e categorici, ma proprio per
questo, nel fine unico della scoperta del vero, si risolve in ima superiore
unità, poiché con il magistero del ragionare si apprende ogni verità umana,
mentre il divino trascendente s’intende senza tale arte 272 ). tionulis?....
Piane ergo praedicativus est.... nam et omnes purtes syllogismorum, sire
propositio sive approbalio sive sumptum sive illatio sive conclusio sive ut
alii dìcunt complexio (v. la Sez. Vili, nota 59) aut confectio, communi nomine
enuntialio vocantur (v. ibid. la nota 45). La fonte di questa riduzione alla
proposizione semplice è Boezio, ad Cic. Top., V, p. 823 [PL, 64, 1129]: cfr.
anche la Sez. XII, note 131 e 140. "’) lbid.: Est autem enuntialio oratio
verum aut falsum significans.... huius species sunl affirmatio et negatio (Sez.
XII, nota 111): successivamente si vien a trattare, in lingua tedesca, di
assumptio, illatio, conclusio. OT ) C. 15, p. 555 a: Cioè sopra ratiocinari,
disputare, iudicare, experimentum ; e inoltre: argumentum dicitur, ut BOEZIO
(ad CICERONE Top., I, p. 763 [PL, 64, 1048]) placet, quod rem arguii i. e.
probat. '”) C. 16, p. 556 a: Quuerendum autem magnopere est, quare CICERONE
dialecticam in ypolhelicis tantum conslituerit syllogismis.... Est enim medius
inter Arislolelem et Stoicos (forse che quella tale notizia, accennata più
sopra, nota 245, I. v. Arx l’ha attinta di qua?).... Proplerea Boetius
Arislolilem in thopicis dialecticam et in secundis analiticis apodicticam
docuisse testalur, cioè il complesso è preso da BOEZIO, ad Cic. Top., I, p. 760
LPL, 64, 1045] g., dove si trova uno svolgimento ulteriore del punto di vista
ricordato. De potentia disputandi, i. e. Fone dero muhte des uuissprachonis. Si
ergo satis intellectum est, omnem apodicticam constare in decem et novem modis
syllogismorum et dialecticam in septem modis syllogismorum, non sit dubitandum,
totam earum utilitatem esse in invenienda veritate. Ube niunzen sloz
apodicticae unde sibeitiii dialccticae muda gelirnet sin, so uuizin man
dormite, duz sie nuzze sint, alla uuarheit mit in zeeruarenne [Quando si sono
bene appresi i 19 sillogismi apodittici e i 7 dialettici, con ciò Così
l’autore, la cui concezione già con questo ci rammenta, in maniera tanto chiara
quanto consolante, 10 Scoto Eriugena (note 111-120), può, per la sfera della
umana aspirazione alla verità nel mondo di qua, enunciare una definizione
unitaria della logica, nella quale ha la propria essenza la dialettica «ovvero»
apodittica: e quel ch’egli trovava detto già da Boezio (Sez. XII, nota 76),
prende da lui mia espressione più precisa ed energica, là dove dice,
analogamente allo Scoto, che la logica è la scienza del giudicare o disputare
273 ) : perchè 11 potere della forma, che si manifesta nei sillogismi di
qualunque specie, è per lui quel che decide, è il termine, nel quale vengono a
confluire tutte le differenze che si manifestano entro la sfera della logica
274 ); la retostesso apprendiamo che essi giovano a riconoscere ogni sorta di
veritàl. Omnia enim his Constant, quae in humanam cadunt rationem. Al daz
menniskin irratin mugin, taz uuirdit hinnan guuissot [Quanto gli uomini
arrivano a intendere, tutto viene saputo con questo mezzo]. Divina excedunt
humanam rationem, intcllectu enim capiunlur. Tiu gotelichin ding uuerdent
keistlicho uernomen ane disa meistrrskaft ILe cose divine vengono apprese con
l’intelletto, senza questa maestria (nel ragionare) (ed. Piper. Quid sit
dialectica vel apodictica. Ergo diffinienda est dialectica sire apodictica,
possunt enim unam et eandem suscipere diffinitionem in hunc modum.. Dialectica
est sive apodictica iudicandi peritia vel ut olii dicunt disputandi scientia
(proprio questo già si trova anche nello Scoto, v. sopra la nota 112).
Meisterskafl chiesennes linde rachonnis, taz ist dialectica, taz ist ouh
apodictica [La maestria nel giudicare e nel disputare, è la dialettica o
l'apodittica (ed. Piper, ed. Piper,
ibid.] : l'rius diximus. quia ratio est quae ostendit rem. Reda skeinit uuaz iz ist. Pi
dero redo sol man chiesen. ube iz uusen nuige.... Taranah mag er [Il discorso dimostra quel che una
cosa è; con questo discorso si ricercherà se una cossa possa sussistere. In
seguito egli potrà] rachon i. disputare, ioh [e anche] uuarrachon. i.
ratiocinari.... Ter uuarrachot. ter mit redo sterchit. linde ze uuare bringel.
taz er chosot. Reda errihtet unsih allis tes man stritet. Ter dia chan uinden.
(p. 621) der ist [Ragiona colui che con il suo discorso rafforza e dimostra
quanto ha ricercato.... Il discorso c’istruisce in tutto ciò su cui si viene a
contesa. Chi può trovare questo, è un] index, ter ist raliocinator. ter ist
disputator. Ter ist argumentator. ter ist dialecticus. der ist apodicticus et
sillogisticus. rica invece, la quale serve soltanto alla verisimigliauza ma non
già alla verità, è perciò situata su di un altro campo, mentre quel che c’è di
comune e di più veramente omnicomprensivo è la espressione verbale (verbum),
nella quale deve spaziare così il sermo filosofico come anche la diclio
retorica. Ma proprio per questa ragione il punto di vista che è per l’autore
assolutamente ovvio e naturale, è quel punto di vista nominalistico, che
abbiamo trovato nello Scoto, poiché la differenza tra vero e falso, cioè
l’oggetto di ogni atto giudicativo o di ogni disputa nella sfera della logica,
può manifestarsi solamente nella forma di giudizi umani, e anche i
praedicamenta non sono appunto nient’altro che enunciazioni 276 ). Comunque, è
una cosa che ci fa veramente piacere, esserci qui imbattuti in un autore, che
sa quel che si vuole, e per noi questo scritto è infinitamente superiore ai
giocherelli pedanteschi e senza costrutto di un Gerberto o di un Anseimo; è
anche ben difficile imaginare che si sarebbe venuti a presentar le « prove
della esi) C. 19, p. 558 b [ed. Piper]: Nec panini hoc altendendum est. quantum
intellectu quaedam distata, quae simili modo solent interpretati, ut sunti
verbum, sermo, dictio.... Qiuie si unum significatela, nequaquam sermo daretur
philosophis, dictio vero rhetoribus; ut auctores docenl (cioè Isidoro: v. sopra
la nota 27); nani et Aristotiles dialecticum, quae interprelatur de dictione,
ad rhetores traxil et voluit eam esse in argumentìs rhetoricis, i.
probabilibus, quae ille iudicavit esse (nel manoscritto: rum esse) discernenda
a necessariis argumentìs, de quibus fiunt ypothetici syllogismi et tota dialecticu,
ut Cicero docuit (v. Boezio, cit. nella prered. nota 271).... Dignior est namque sermo et
gravior, ut sapientes decet, dictio humilior est et plus communis data
rheloribus. Verbutn autem omnium est. ■ ''> IbidEt in interpretando proprie
sermo (cfr. la nota 321[?]) saga diritur. sic et enuntinlio, quae similiter philosophis
tradita est. et disputantibus necessaria est. quia inest ei semper veruni aut
fcdsum.... Praedicare autem est, inquit Doetius To
non forse 124? ad Ar. pracd., I; PL, 64, 1761), aliquid de aliquo dicere, i.
eteuuaz sagen fone etcuuiu. linde et praedicnmenlum dicitur et praedicatio,
einis tingis kesprocheni fone demo undermo [Tesser una rosa detta di un’altra
cosa]. stenza di Dio », se in generale si fosse conservata quell’avvedutezza,
di esercitare cioè belisi in tutte le direzioni la maestria deH’argoinentare,
iiell’ànibito della realtà da noi percettibile, ma di lasciare invece al pio
sentimento dei credenti la rivelazione del Divino nella sua immediatezza. Del
resto, dobbiamo pure qui far ugualmente rilevare che l’autore di questa
monografia non può aver conosciuto la traduzione degl’analitici curata da
BOEZIO, perchè altrimenti, se gli fosse stata accessibile la sillogistica
stessa di Aristotele, egli, che pur mostra in generale un corredo di letture
maggiore di quello degli altri, non sarebbe certamente andato già a prendere i
diciannove modi da Apuleio, nè, con la sua aspirazione alla unità interiore
della logica, si sarebbe riattaccato esclusivamente a quegli stessi passi, che
a ciascuno erano noti, dalle traduzioni e dai commenti più diffusi di BOEZIO.
Ma in quello studio esteso della logica, quale ci si presenta a quest’epoca in
S. Gallo, potremmo ben anche ravvisare un fenomeno piuttosto isolato, sempre
che non sia determinato solamente da mancanza di notizie il giudizio che
pronunciamo, quando diciamo che nella prima metà del secolo XI in generale ha
prevalso una mancanza di attività, per quel che concerne il dibattito delle
questioni di logica, o persino la *") In siffatti casi sembra che
l'argumentum ex silentio sia assolutamente calzante, e elle pertanto si
aggiunga, come una convalidazione mollo precisa, alla circostanza generale,
vale a dire non esserci, in tutta questa letteratura, un solo indizio positivo
che sia stato fatto uso di quegli scritti aristotelici. TSoggiugerò qui che lo
scritto del Prantl. da lui citato più sopra, comparso negli Atti della Regia
Accademia Bavarese delle Scienze (Classe I, voi. "Vili, Scz. I), riguarda
non gli scritti logici di Notker L., bensì due compendi dovuti uno a Ortholph
Fuchsperger, l’altro a Volfango Biitner, e rispettivamente stampati ad Augusta
e a Lipsia. compilazione di compendi. Nel corso della nostra indagine, dobbiamo
invero a ogni passo tener presente la possibilità clic una parte del materiale
die esisteva, sia stata sottratta totalmente alla nostra conoscenza, sebbene si
sia portati ad ammettere che difficilmente le manifestazioni di una certa
importanza sarebbero dileguate senza lasciar alcuna traccia, e che un silenzio
assoluto di tutte le fonti non sarebbe pensabile, se realmente lo studio della
logica fosse stato più largamente diffuso. [Altri documenti relativi allo
studio DELLA LOGICA NEL SECOLO XI: FrANCONE A LlEGI, OtLOH a Ratisbona, Pier
Damiani], Dalla metà circa del secolo XI ci giunge la notizia che un tal
Francone, scholasticus a Liegi (intorno al 1047), compose, sopra la quadratura
del circolo (v. le note 191 e 251 di questa Sezione), ima monografia che si
riattacca al relativo passo di Boezio 278 ) : e forse della stessa epoca
possiamo citare almeno l’espressioni, con le quali un monaco di St. Emmeram,
Otloh, morto a Ratisbona [dove appunto sorgeva il chiostro di St. Emmeram],
vien a riconoscere che ci sono alcuni dialectici ita simplices, che applicano
il canone dialettico a tutte le parole della Sacra Scrittura, e credono a
Boezio più che alla Bibbia stessa 278 ). Ma da quest’ultima doglianza bisogna
con*") Sicebekti Gemblancensis Chronica ad unnum 1047 (Pertz, MiGH, :
Franco scolaslicus Leodicensium et scìentia litterarum et morum probitate
claret; qui ad Herimannum archiepiscopum scripsit librum de quadratura circuii,
de qua re Arislolelcs (com’è riferito da Boezio I in Ar. praed., II; PL, 64,
230], p. 165) ait: Circuii quadratura, si est scibile, scìentia quidem non est,
illud vero scibile est |PL, 160, 209]. ”°) Oti.ohni Dialogus de tribus
Quaestionibus (riprodotto dal Pez, Thesaur. Anecdot., HI, 2, p. 143 ss.), p.
144-5: Peritos autem dico magis illos, qui in Sacra Scriptura, quarti qui in
Dialectica sunt instructi. Nani dialecticos quosdam ita simplices inveni, ut
chiudere che il su riferito monito di Fulberto (nota 237) non fu disdegnato
solamente da un Berengario, ma che da varie parti fu designata la dialettica
come pietra di paragone in questioni teoretico-dommatiche ). La maggioranza
invece, com’è ben facile intendere, rimaneva fedele al punto di vista
originario del Medio Evo cristiano, e può perciò, poiché stiamo ormai per
entrare in un’epoca di contese, ricordarsi soltanto a mo’ d’esempio come Pier
Damiani, assegnasse alla dialettica il compito di starsene quale pia ancella al
servizio della Chiesa, e di tener dietro umilmente pedisequa alla sua padrona
2S1 ), senza che in verità la divota anima del Damiani abbia ancora il minimo
presentimento che anche questa domestica possa licenziarsi e fondarsi un
proprio focolare. omnia Sacrae Scriplurue dieta juxta dialecticae auctoritatem
constringendo esse decernerent: mugisque Boèlio quam Sanctis Scriptoribus in
plurimis dictis crederent. Linde et eundern Boètium secuti, me reprehendebant,
quod personae nomen, (dicui, nisi substimtiae rationali, adscriberem etc. [PL],
W. Scheber, Leben VTilliram’s Ables von Ebersberg [« Vita «li Williram, abate
di Ebersberg »] (nei Rendiconti dell’Accademia imperiale, Classe filosoficostorica,
voi. 53, Vienna, 1866), p. 289, riferisce queste allusioni a scolari di
Lanfranco; cfr. appresso la nota 299. '*') Poiché, a prescindere dal fatto che
nei vari scritti teologici di Otloli non si parla in maniera particolare della
questione della Santa Cena, e pertanto è difficile che la sua polemica contro i
dialettici si riferisca a Berengario, nel passo sopra citato si tratta proprio
di casi personali, che Otloh designa come conseguenza di un indirizzo generale
dell’epoca. *“) Petri Damiani Opera, ed. Cajetano, Parigi,De. divina
omnipolentia, V; PL, 145, 603]: Haec piane, quae ex dialecticorum vel rhetorum
prodeunt argumentis, non facile divinaivirtutis sunl optando mysteriis; et quae
ad hoc inventa sunt, ut in syllogismorum instrumenta proficiant, vel clausulas
dictionum, absit ut sacris legibus se pertinaciter inferant et divinae virluti
conclusiotiis suae necessitates opponant. Quae tamen artis humanae peritia, si
quando tractandis sacris eloquiis adhibetur, non debet jus magisterii sibimet
arroganler arripere; sed velut ancilla dominue quodam famulatus obsequio
subservire, ne, si praecedit, oberrel eie. Movimento più vivace nella seconda
metà del SECOLO XI: la scienza giuridica.
Ma proprio nella seconda metà del secolo XI si manifestò nella storia
della cultura l’azione di fattori, i quali portarono, entro la tradizione della
logica delle scuole che si conservava uguale a se medesima, un movimento più
vivace, e anche un violento rinnovarsi di vecchi contrasti fra le varie
tendenze. Da due lati diversi si risente un influsso sopra la logica, ma in
varia maniera e in molto vario grado, perchè di questi lati uno possiamo
scorgerlo qui dapprima soltanto in tenui inizi, per poi novamente riattaccarci
a questo punto, quando lo stesso fattore si manifesterà più tardi con maggiore
intensità, mentre l'altro lato sùbito si leva su con tutta la sua forza, e per
molto tempo determina le condizioni in cui la evoluzione compie il suo corso.
Ma questi due lati corrispondono alla giurisprudenza e alla teologia
dominatica. Se cioè l’amministrazione della giustizia già per se stessa in
generale implica un richiamo alla prassi dialettico-retorica, è facile spiegare
come, in un’epoca in cui in Italia s’iniziava un rinnovamento della scienza
giuridica e incominciavano a sorgere scuole di diritto), si desse ora maggior
peso alla logica pratica, cioè a ima logica, la quale veramente mal si
distingue dalla retorica, ma nella teorica dell’argomentazione e nella topica
rimane pure conforme al solito materiale ch’era in uso nelle scuole di logica.
Come noi stessi per il nostro presente intento abbiamo potuto già da prima
(Sez. Vili, note 52 e 68) trovare la nostra fonte in passi che prendevamo dalle
Pandette, così sembra d’altra parte fL ) Vedi Savigny, GESCHICHTE DER ROMISCHEN
RECHTS IN MITTELALTER Geschichte dea Ròmischen Rcchts im MiUelalter [Storia del
diritto romano nel Medio Evo],. [trad. it., Torino, J, e Giesebrecht, De lìti, attui, ap.
Itiilos, Berlino, 1845, in -4° [ir. it. Pascal, già cit.]. che IN ITALIA lo
studio della grammatica filosofica e della retorica abbia conservato una
connessione ininterrotta con le materie giuridiche del DIRITTO ROMANO ) : e
sebbene noi preferiamo lasciar da parte l’aneddoto letterario, secondo il quale
tutto quanto lo studio del DIRITTO ROMANO a BOLOGNA avrebbe preso principio da
una spiegazione grammaticale della parola « As » 2S ) Ibid., Aristotelica
didicimus disciplina duarurn specierum commistione lertiam gigni minime. Rerum
etiam naturam puli nomino non posse, duo contraria simili in eodem esse vel,
quod trovava nel commento (li Hoezio alle C-utegorioo. Ma questa medesima
questione fu anche oggetto di una disputa che Anseimo sostenne a Magonza, e
della quale diede minuta relazione in una lettera al suo maestro Droone. Ecco
il nòcciolo della questione: Quando sussiste un’alternativa (p. es. tra lode e
biasimo), si può creder di cogliere il giusto mezzo, non facendo nè una cosa nè
l’altra; ma si obbietta in contrario, die il giusto mezzo è la unione degli
opposti (come p. es. il rosso è la unione di nero e bianco), dunque bisogna
pure scegliere per conseguenza una delle due cose, qualora non si voglia farle
tutte due al tempo stesso. Ma a ciò da capo si obbietta che il mezzo è
propriamente la negazione dei due opposti (dunque p. es. è impossibilius,
eandem essentium procreare. Quod veruni sit necne, quaerimus f Hbetorim., iib.
I]. M ° c ) Laudare enim vel vituperare necesse est. «Non laudabo, inquid, nec
vituperabo, cuoi medium faciam, quod nec laus est nec viluperatio. Est igilur
possibile utrum non lucere, ubi aliquod neutrum est invenire. Si medium,
inquam, ut dicitis, fecerilis, lune et utrumque. Constai enim medium ex utrisque,
ut ex albo et nigro rubrum, et ideo medium. Sicque in faciendo neutrum facietis utrumque. Utrum
ergo facere necesse est, quoniam in utro vel ulroque utrum non lacere possibile
non est». « Medium, inquid, ut dicitis, non ex utrisque, sed ex nega!ione
confìcitur utrorumque, ut non quod et album et nigrum illud rubrum, set quod
est neutrum, illud dicimus rubrum, sicque omne medium. Utrum ergo lacere
necesse non est, quia in meo neutro utrum vel utrumque possibile non est ». «
Si ex negatione utrorumque. medium confectum est, quod, ut dicitis, neutrum
est, non magis utrorumque quarti omnium rerum neutrum est. Quod bene perspectum
nichil est. Non enim magis ex albi et nigri negatione confìcitur rubrum, quam
cucii et lerrae ceterarumque rerum. Quia sicut est veritas ut, quod nec album
nec nigrum est, illud rubrum existat, sic quod nec caelum nec terra nec celerà,
illud esse rubrum a veritale non [58] discrepat, Quod aulem omnibus rebus
negatis nichil illarum est, illud res praedicari inpossibile est. Rcs vero,
quod non est illud, nichil esse necessario consequens est. Sicque in faciendo
(diquid facietis nichil. Utrum ergo facere necesse est, utrumque enim vel
neutrum impossibile vel nichil est. Epistola Anseimi ad Droconem (sic)
mugistrum et condiscipulos de logica disputatione in Gallia habitat. rosso,
quel che non è nè bianco nè nero); ma questa obiezione viene respinta, perchè
una tale negazione va di là dall’alternativa data (perchè allora si potrebbe
dire altrettanto bene, che è rosso, quel che non è nè cielo nè terra), e
metterebbe capo infine a una negazione di tutti gli opposti, cioè dunque a un
nulla. Il risultato è, per conseguenza, che nella presente alternativa bisogna
pure scegliere proprio un solo dei due termini. Abbiamo una prova ulteriore di
come la scienza del diritto entrasse in giuoco nello sviluppo della logica,
quando in due uommi eminenti di quell’epoca, Lanfranco e Irnerio, vediamo
presentarcisi, per così dire, ima unione personale di quei domìni. È infatti
incontestabile che Lanfranco dedica ampiamente e con buon successo la prima
metà della sua operosità, prima che scoppiasse la contesa intorno alla Santa
Cena, principalmente allo studio del diritto 291 ), sebbene non si possa, per
ragioni cronologiche, pensare a una relazione diretta, quale persino gli è
stata attribuita con lo stesso Imerio); ma in ogni modo, come risulta dalle
testimo"9 Milonis Crispini Vita Beati Lanfranci, c. 11, riprodotta dal
Mabillon, Acia Bened. [Sacc. VI, P. II], Tom. IX, p. 639 [PL, Ab annis
puerilibus eruditus est in scholis liberalium nrtium, et legum saecidarium ad
siate morern patriae. Adolescens orulor veteranos adversantes in uctionibus
causarum frequentar revicit, torrente facundine accurate dicendo. In ipsa
aetale sententias depromere sapuit, quas gratnnter Jurisperiti aul Judices vel
Praetores civitatis acceptabanl. Meminit horum Papiu (cioè PAVIA sua patria).
At cum in exsilio philosopharetur, accendit animum ejus divinai ignis, et
illuxit cordi ejus amor venie sapientiae. Notizie varie, specificamente
giuridiche, vedile nel Merkel, op. cit., p. 14 e 46 s. [12 s. e 35 ss. della
cit. trad. it.??J. 5 ") Roderti De Monte Auctarium ad chronicam Sigeberti
Gemblacensis ad anntan 1032 (Pertz, MGII): Lanfrancai Papiensis et Garnerius
socius eius, repertis upud APVD BONONIAM LEGIBVS ROMANIS quas Iustinianus....
emendaverat, Itis, inquarn, repertis, 9.
C. Prantl, Storia della logica in Occidente, II, manze, quella medesima
abilità dialettica, della quale fanno fede le battaglie da lui più tardi
sostenute contro i suoi avversari teologici, lo ha assistito di già fin
d’allora. Ma Imerio, e cbe con la sua comparsa segnò, com’è noto, per LA SCUOLA
O LO STUDIO DI BOLOGNA, il passaggio dal pruno’ periodo embrionale a una più
ricca espansione, viene, nelle glosse di Odofredo, designato espressamente come
«logico»; e la circostanza ch’egli sia stato antecedentemente maestro delle
arti liberali, spiega quella esagerata sottigliezza cb’è venuta a trovarsi
nelle sue glosse-’ Avendo d'altra parte lrnerio composto anche un Formularium,
a questo fatto dobbiamo connettere una osservazione preliminare, essersi cioè
venuta a creare una particolare ed estesa letteratura, la quale serviva
all’arte e alla prassi del notariato, e che valse a mantener viva per
l’avvenire la relazione tra la retorica in uso nelle scuole, e la materia del
diritto. Questi « F o r m u operam dederant eas legere et aliis exponere; sed
Garncrius in hoc « vero disciplinas liberales et litteras divi, tuis m Galli,s
multo* edoccns, tandem Beccum verni, et ibi mona, ehm facili* est [PL], Forse
tuttavia la obiezione croTologira sollevata dal Savigny [p. 25-6 della trad. it
|) e m generale fuor di luogo, se, dove si dice « socius », non pensiamo a
relazione personale, ma piuttosto a un comune atteggiaspirituale nei riguardi
della concezione del diritto. minorameli Uge 1 ldtima de in "tegrum
resti,utione "l", . 2, 22); Or, segnar,, plura non essent dicendo
super lege ista Dom.nus lumen } rnenus, quia loicus fui,, et mogister fui. In c
rifate istu in arti bus, antequum docerel in legibm, fecit imam g ssam
sopitisticun ?, quae est obscurior, quam sii textus. E (CoÌi% l, n /r^ miCa M,and. Urstis, Francoforte, 1585, p. 433
[Pebtz, >MGH, XX, 376]): l’etrus iste (se. Abailardus).... habuit.... primo
praeceptorem Rozelinum quondam, qui
primus noslris temporibus in logica sententi am vocum instiluil, et post
ad gravissimos viros Anshelmum Laudunenscm, GwUhelmum Campellensem Catalauni
episcopum migrans, ipsorumque dictorum pondus, tanquam sublilitatis acumine
vacuum iudieans, non diu sustinuit. Inde magistrum induens Furisius venit (v.
la Sez. seguente, nota 258). "') [Johannes Turmair detto] Aventinus,
Atinales Ducum Boiariae, VI, 3 (ed. Riezler. Hisee quoque temporibus fuisse
reperto Rucelinum Brilanum, magistrum Petri A belar di, novi lycaei conditorem,
qui primus scienliam (leggi sententinm) vocum sive dictionum insliluit, novam
philosophandi ciani invertii. Eo namque authore duo Arislolelicorum,
Peripateticorumque genera esse coeperunt, unum illud vetus, locuples in rebus
procreandis, quod scientiam rerum sibi vendicai, qttamobrem reales vocantur,
allerum noviim, quod eam distrahit, nominales ideo nuncupali, quod avari rerum,
prodigi nominum atque notionum, verborum videntar esse adsertores.
"") Joannis Saresbehiensis Metalogicon, (Opera, ed. Gilè?, V, p. 00
[ed. Webh. Naturata lamen tmiversalium hic omnes expediunt, et allissimum
negotium et maioris inquisitio-[Le notizie sul conto di Roscelino rivelano
Vastio degli avversari]. Ma poiché
Anselmo 31B ), che nella sua ortodossomania, inventò la squisita espressione di
« eretici della dialettica » e la usò a carico di Roscelino, dice, per cieca
passionalità o maligna esagerazione, che secondo quella opinione le sostanze
universali non sono nient’altro che un flatus vocis, sarà bene che noi accogliamo non senza
cautela anche le altre notizie comunicate da quello zelatore del realismo, tanto più che, come vedremo, se si sta ai
prodotti originali della sua dialettica, non si può ritener che fosse capace di
giudicare sopra questioni di logica; così pure egli non fa invero che dar
espressione al più intransigente odio partigiano, quando rampogna i seguaci di
Roscelino, perchè danno nis contro menlern auctoris esplicare nituntur. Alius
ergo consistit in vocibus; licei haec opinio curii Rocelino suo fere omnino iam
evanuerit. Alius sermones (v. sotto la noia 324) inluetur et ad illos detorquet
quicquid alicubi de universalibus meminit scriptum; in bue autem opinione
deprehensus est Peripateticus Palalinus Abaelardus noster, qui multos reliquit
et adhuc quidem aliquos habet professioni huius sectatores.... [iPL, 199, 874], Così anche nel Polycruticus (Opp., IV, p. 127
[ed. Webb, U, p. 142; PL, 199, 6651): Fuerunt et qui voces ipsus genera
dicerenl esse et species ; sed eorum inni explosa sententia est et facile cum
auclore suo evanuil (v. la nota 325). "*) Ansfxmi de fide Trin., c. 2 (ed.
Gerberon, p. 42 s. [PL, 158, 265J): llli utique nostri tempori dialeclici (imo
dialeclicae haeretici, qui non nii flatum voci putant esse universales
substantias, et qui colorem non aliud queunt inielligere quam corpus, nec
sapienliam hominis aliud quam animami prorsus a spiritualium quaestionum
disputatione sunt exsufflandi. In eorum quippe animabus ratio, quae et princeps
et judex omnium debel esse quae sunt in /tornine, sic est in imaginationibus
corporulibus obvoluta, ut ex eis se non possit evolvere, nec ab ipsis ea, quae
ipsa sola et pura contemplari debel, valcat discernere. Qui enim nondum intei
ligit, quomodo plures homines in specie sint uniis homo, qualiter in illa
secretissima et altissima natura comprehendet, quomodo plures personae.... sint uiius Deus? Et cujus meris
obscura est ad discemendum inter equum sinim et colorem ejus, qualiter
discernet inter unum Deum et plures relationes ejus? Denique qui non potest
intelligere aliquid esse hominem, nisi individuum, nullalenus intelliget
hominem, nisi humanam personam. Omnis enim individuus homo, persona est. Quomodo ergo iste intelliget hominem assumptum esse a
Verbo eie. la ragione in balia corporalibus imaginationibus : e in verità è
lecito sperare, tutt’al contrario, che proprio nulla ci faccia assurgere così
alto al disopra dell accidentalità sensibile, come il penetrare a fondo nell
universale contenuto concettuale delle parole, e che soltanto a questa maniera
ci sia aperta la via a un sapere effettivo, conquistato da noi stessi, mentre a
una ontologia soprannaturalistica è spesso indispensabile ima imaginazione
irretita nella sensibilità. E possiamo lasciar stare il rimprovero ridicolo,
mosso a Roscelino, ossia di non intendere come la pluralità degl’individui nel
concetto della specie sia una unità poiché anzi proprio questo è riuscito
invece a intendere Roscelino, che cioè la unità risiede nella parola
enimciatrice del concetto. Dovremo ora piuttosto rimettere, come si conviene,
le questioni nei loro veri termini, per quanto concerne le altre osservazioni
mosse contro Roscelino: vale a dire ch’egli fa confusione tra il colore di una
cosa e la cosa stessa, e tra le proprietà e i loro substrati, e parimente
ch’egli non si rende conto, come altro sia « Uomo », e altro il singolo uomo.
Infatti la prima osservazione può significare solamente che, secondo la
opinione di Roscelino, il concetto di una qualità, in quanto concetto, contiene
altrettanta universalità quanta ne contiene il concetto di una sostanza, in
quanto concetto. L’altra osservazione poi comprende, se la sfrondiamo di quella
interpetrazione odiosa che le dà il relatore, il semplice principio
fondamentale del nominalismo, che cioè obbiettivamente, nell’essere concreto,
esiste dappertutto soltanto l’individuale, mentre i concetti della specie e del
genere si trovano soltanto subbiettivamente nelle parole dell’uomo, che insomma
obbiettivamente gli universali non hanno esistenza separata dall’individuale.
Che per conseguenza la Trinità, come obbiettiva essenza di Dio, debba parimente
consistere di tre individui), è implicito in una tale veduta logica,
coerentemente svolta: e così fu che, analogamente a quanto era accaduto con
Berengario, la teologia venne a essere coinvolta nella lotta fra le tendenze
che si dividevano il campo della logica. Ma sembra che Roscelino in generale
abbia molto conseguentemente svolto sino in fondo da tutt i lati il suo punto
di vista, perchè altrimenti sarebbe difficile spiegare, come mai nelle scarse
informazioni che ci sono pervenute sul conto di lui, ci sia ancora una volta un
certo punto isolato, che ci rhuanda in pieno a quel medesimo principio: si
tratta cioè del concetto di parte, che Boezio aveva preso a considerare in vari
luoghi, e riguardo al quale, così per Roscelino come per l’Anonimo già
ricordato (nota 171 g), il momento subbiettivo è ugualmente il momento
decisivo; poiché la notizia, relativa al punto in questione 321 ), va intesa
nel senso seguente: Se p. es. il tetto dev’essere considerato come parte della
casa, si ha da riflettere che obbiettivamente, in “>) Ibid., Epist. n, 41,
p. 357 [PL quia Roscelinus clericus dicil, in Deo tres personas esse tres ab
invicem separatns, sicut sunt tres angeli, ita tamen ut una sit voluntas et
poteslas: aut Pulrem et Spiritum sanctum esse incarnatum, et tres deos vere posse
dici, si usus admilteret. *») Abaelardi [Dialectica, P. V*. liber] divisionum
et defin., p. 471 (ed. Cousin): Fuit aulem, memini, magislri nostri Roscellim
tam insana sentenlia, ut nullam rem purtibus constare velici, sed sicut solis
vocibus species, ila et partes adscribebat. Si quis aulem rem illam, quae domus
est, rebus aliis, pariele scilicet et fondamento, constare diceret (è questo il
solito esempio di divisione del tutto in parti, usato da Boezio, p. es. a p. 52
s. [in Porph. a se trami., I, 8; ed. Brandt, p. 154, 156; PL, 64, 80 s.] e a p.
646 [de divisione ; PL, 64, 888]), tali ipsum urgumentatione impugnabili: si
res illa quae est puries, rei illius quae domus est, pars sit, cum ipsa domus
nihil aliud sit quam ipse paries et tectum et fundamentum, profecto paries sui
ipsius et caeterorum pars erit. At vero quomodo sui ipsius pars fuerit?
Amplius, omnis [pars] naturaliter prior est loto suo : quomodo aulem paries
prior se et aliis dicelur, cum se nullo modo prior sit? quanto è una cosa, il
tetto è una entità perfettamente indipendente, poiché, nel riguardo della
obbiettività o dell’essere reale, quel che ci può essere, è appunto soltanto un
tetto di ca6a, e parimente soltanto una casa fornita di tetto (dato cioè che
debba essere realmente una casa); perciò, se il tetto fosse oggettivamente una
parte della casa, verrebbe a essere ima parte di quella che è ima totalità
obbiettivamente indivisibile, e pertanto, in seguito a tale indivisibilità,
finirebbe con l’essere anche una parte di se stesso: vale a dire che il
concetto di parte, dal punto di vista obbiettivo o dell’essere reale, conduce a
contraddizioni, e la couchiusione giusta è che il tetto viene caratterizzato
come parte esclusivamente dalle nostre parole, racchiudenti in sé i concetti,
sicché dunque il concetto di parte, come tale, si trova essere di spettanza
della espressione verbale subbiettiva. Lo stesso può ripetersi, anche
relativamente alla priorità della parte di fronte al tutto, poiché dal punto di
vista obbiettivo, in quanto è cosa, non è possibile che il tetto sia
antecedente alla unione obbiettivamente inscindibile di se stesso con qualche
cos’altro, poiché allora alla stessa maniera, a cagione della inscindibilità,
risulterebbe che il tetto sarebbe prima di se medesimo : sicché bisogna
conchiudere che anche la priorità del concetto di parte ha luogo solamente nel
pensiero subbiettivo. Ma, come anche questa idea di Roscelino fu malignamente
deformata da’ suoi avversari), così egli stesso l’applicò spiritosamente contro
il ra ) Abaelardi Epist. (Opera, ed. Amboes. [ed. Cousin; PL (Epist., Hic sicut
pseudo-Dialecticus, ita et pseudo-Christianus, cum in Dialeclica sua nullam
rem, sed solam vocem partes habere astruat, ita divinam paginam impudenter
perverlit, ut eo loco quo dicitur Dominus parlem piscis assi comedisse, partem
huius vocis, quae est piscis assi, non purtem rei intelligere cogatur. Che
questa lettera [indirizzata a Gilberto vescovo di Parigi] sia stata scritta da
Abelardo, o, com’è opinione del Du Boulay, da un altro intorno al 1095, è, per
quel che ri-mutilato Abelardo, da ciò prendendo occasione per assegnare,
coerentemente, all’atto intellettuale subiettivo anche il concetto di totalità,
poiché, modificandosi la consistenza obbiettiva di una unione inscindibile,
deve essere subito sostituita con una denominazione diversa la denominazione
che si conformava al suo concetto, e che allora non è più in grado di tener
saldo il pensiero soggettivo di una totalità" ')[c) conchiusione sopra
Roscelino ]. Che del resto il punto di
vista di Roscelino non fosse, in sostanza, affatto nuovo, risulta manifesto dal
confronto con quel che siamo venuti dicendo più sopra; soltanto che, dopo la
comparsa di Berengario, la idea che, nella questione degli universali e della
formazion dei concetti, si tratti solamente di parole, e dell’uso che ne fa
l’uomo, aveva pròvocato ima maggiore circospezione e una più aspra ostilità per
parte della ortodossia. C è invece un punto solamente, e forse anzi il più
importante, che, in seguito alla mancanza di fonti, ci rimane assolutamente
oscuro; nel passo sopraccitato di Giovanni da Salisbury, è fatta cioè una netta
distinzione tra coloro che riponevano gli universali nella « vox », e quelli
che li riferivano ai « sermones », e si soggiunge che Abelardo era di questi
ultimi. Ora, tenuto conto del valore gramguarda questo passo, indifferente; del
resto quanto è stato detto più sopra, nota 314, sembra avvalorarne
l’attribuzione [oggi infatti non contestata] ad Abelardo). [Il passo citato, in
Lue., XXIV, 421. ra ) Roscelini Epist. [ed. Remerà, p. ol I. S,,J forte Petrum
te appellavi posse ex consuetudine mentiens. Certus sum aulem, quod masculini
generis nomea, si a suo genere deciderit, rem solitam significare recusabit
Solent emm nomina propriam signìficationem ami tte r e, cum eorum significata
contigerit a sua perfeclione recedere. /Veglie emm ablalo tecto vel pariete
domus, sed imperfecla domus vocabilur. Sublata igitur parte quae hominem facit,
non Petrus, sed imperfectus Petrus appellandus es. maticale delle parole vox e
serrno, e antecipatamente riferendoci a quel che prenderemo a considerare più
sotto (Sez. seguente, note 308 ss.) a proposito di Abelardo, dobbiamo
senz’alcun dubbio congetturare che Roscelino, con veduta unilaterale, abbia
tenuto presente soltanto il concetto isolato, e pertanto, senz’avere riguardo
alla connessione della proposizione, abbia considerato le parole come concetti
compiuti 324 ); ma non sappiamo invece determinare se la teoria del giudizio
sia stata da lui semplicemente trascurala, o se forse egli non abbia contestato
anche direttamente il valore del giudizio, o quale procedimento abbia seguito,
nel portare così il nominalismo alle ultime sue conseguenze). Raimberto a
Lilla, e la logica « vecchia » di Ottone da CambraiJ. Ma proprio per l’epoca,
nella quale aveva fatto la sua comparsa Roscelino, possediamo una notizia
sommamente caratteristica, relativamente alla lotta delle tendenze sul terreno
della lo***) [Cfr., su questo punto, Ueberwec-Gf.yer]. Tra i più vecchi
nominalisti potrebbero pertanto essere riawicinati a Roscelino, per aver dato
un più unilaterale rilievo alla vox, quel tale Pseudo-Hrabano, Jcpa, l’Anonimo,
l’Anonimo del Cousin (nota 242), e l’Anonimo di S. Gallo, che ha rifuso il
libro De interpr., come pure in parte anche lo Scoto Eriugena; sarebbero invece
più affini ad Abelardo, per aver tenuto eonto del serrno e del rapporto
predicativo, Erico, l’Anonimo di S. Gallo, autore della monografia De
syllogismis, e Berengario. Sarebbe possibile, qualora Roseclino avesse re alm
ente avvalorato con argomenti questa orientazione unilaterale del nominalismo,
prender alla lettera la succitata espressione di Ottone (primus.... sententiam
vocum instituit ); ma risulta comunque da Giovanni da Salisbury, che i seguaci
del nominalismo non tardarono ad abbandonare questo punto di vista angusto;
soltanto non ci si può, come ha pur fatto già qualcheduno, esprimer nel senso
che Giovanni da Salisbury abbia dichiarato il nominalismo in generale ormai
spento; v. la Sez. seguente, note 76 ss. 150
gica 326 ). C’era cioè a Lilla un certo Raiinberto, che insegnava la
dialettica, al pari di « moltissimi altri », se**) Hekmajvni Narratio
Heslaurulionis Abbuliae Sancii Martini Tornacensis, riferita dal D’Acheby,
Spicilegium, ed. De la Barre, PL, 180, 41 ss.; MGH, XTV, p. 274-5]: Iam vero,
si scolae appropiares, cernercs magistrum Odonem nunc quidem Feripulelicorum
more cura discipulis dovendo deambulanlem, nunc vero Stoicorum instar
residentem, et diversus quaestiones solventem.... Sed cum omnium septem
libcruliurn artium esset peritus, praecipue tamen in dialeclicu eminebat, et
prò ipsa maxime clericorum frequenlia eum expetebat. Scripsit etiam de ea duos
libellos, quorum priorem, ad cognoscendu devitandaque sophismala valde utilem,
inlitulavit « Sopliistem », alterum vero appellavit libruiti « Complexionum »;
tcrcium quoque «De re et ente » composuit; in quo sol vii, si unum idemque sit
res et ens. In his tribus libellis.... non se Odonem, sed, sicut lune ab
omnibus vocabatur, nominubat Odardum. Sciendum tamen de eodem magistro, quod
eandem dialecticam non juxta quondam modernos (è questo, qualora non si
vogliano per caso invocare le parole citate il testo più antico dove si trovano
designati i nominalisti come moderni) in voce, sed more Boetii antiquorumque
doctorum in re discipulis legebat (dunque, in opposizione alla pretesa
innovazione, Boezio e Porfirio, in quanto realisti, vengon chiamati antiqui.
Unde et magister Baimbertus, qui eodem tempore in oppido Insulensi dialecticam
clericis suis in voce legebat, sed et alii quam plures magistri ei non parum
invidebant, et delrahebanl, suasque lectiones ipsius meliores esse dicebant;
quam ob rem nonnulli. ex clericis conturbali, cui magis crederent, haesitabant,
quoniam et magistrum Odardum ub antiquorum doctrina non discrepare videbant, et
tamen aliqui ex eis, more Alheniensium aut discere aut audire aliquid novi
semper humana curiositate studentes, alios potius laudabant, maxime quia eorum
lectiones ad exercilium disputandi, vel eloquentiae, immo loquacilatis et
facundiae, plus valere dicebant (Alcuni dunque desideravano di poter
congiungere tuttavia all’ortodosso realismo il virtuosismo formale dei loici
propriamente detti, cioè dei nominalisti). Unus itaque ex eiusdem ecclesiae
canonicis, nomine Gualberlus.... tanta sentenliarum errantiumque clericorum
varietate permolus, quendam pbitonicum (cioè un indovino rpyt/ion/cum]), surdum
et mutum, sed in eadem urbe divinandi famosissimum, secreto adiit, et, cui
magistrorum magis esset credendum, digilorum signis et nutibus inquirere
coepit. Protinus ille (mirabile dictu!) quaestionem illius intellexit,
dexteramque manum per sinistrae pulmam instar aratri terram scindentis
perlrahens, digitumque versus magistri Odonis scholam protendens, signifkabat,
doctrinam eius esse rectissimam ; rursus vero digìlum contro Insulense oppidum
protendens, manuque ori admota exsufflans, innuebat, magistri Raimberti
lectionem nonnisi ventosam esse loquacitatem. Haec dixerim, non quo pbitonicos
consulendos.... arbitrer..., sed ad redarguendum quorundam superborum nimiam
coudo le « moderne » idee nominalistiche (in voce), e costoro, insieme con i
loro seguaci, apertamente si atteggiavano ad accanita rivalità contro Oddone,
vescovo di Camhrai, il quale aveva ricostituito il chiostro di S. Martino a i
ournai, e ivi insegnava logica secondo lo stile « vecchio », cioè secondo
l’indirizzo realistico (in re). Ora, poiché ci sono diversi che dal fascino
della novità si sentivano attratti verso Raimberto, ma poiché nello stesso
tempo, bilanciando tra loro i pregi delle due scuole, non sembrava si potesse
ottenere im risultato ben determinato, uno dei canonici di Touruai si rivolse a
un indovino che godeva allora di gran fama. Questi, SEBBENE SORDOMUTO, intese
subito la questione che gli era rivolta, e con il linguaggio dei gesti si
pronunciò incondizionatamente nè altro
ci si poteva aspettare nel senso di
riconoscere come giusta ed eccellente la tendenza rappresentata dalla scuola
realistica di Oddone. Se del resto chi ci riferisce questa storia (l’abate
Ermanno, vivente a Tournai nella prima metà del secolo XII), il quale del pari,
da buon ortodosso, si professa naturalmente nemico della ventosa loquacità del
nominalismo, ricorda nello stesso tempo scritti di logica, composti da Oddone,
dobbiam certo deplorare ch’essi sieno andati perduti; puramente si può
congetturare che forse il « Liber complexionum » fosse semplicemente tolto di
peso da Boezio (de syll. categ.: v. la Sez. XII, note 131 ss.), e così pure che
il « Sophistes » sia stato putacaso in relazione più stretta con le polemiche
teologiche, o che, com’è possibile, si limitasse anche a ripetere le nozioni
esposte da Cassiodoro (Sez. XII, nota 182); praesumptionem, qui nihil aliud
quarentes nisi ut dicantur sapientes, in 1‘orphirii Aristolelisque libris magis
volimi legi suarn adinventitiam novitatem, quam Boetii caetcrorumque antiquorum
exposilionem. maggiore importanza può invece aver avuta lo ecritto « De re et
ente », poiché la questione, se res ed ens sien lo stesso, era ivi risolta certamente
in senso realistico, quantunque sia da presumere come la cosa più verisimile che tutto il complesso semplicemente si
limitasse a richiamarsi a un passo isolato di Boezio (Sez. XII, note 89
s.). Comunque, si potrebbe ammettere
tuttavia che il nominalismo rosceliniano di allora sia stato rappresentato in
un numero di scritti, più considerevole di quel che le nostre fonti non ci diano
a divedere; poiché, per siffatte notizie letterarie occasionali, siamo invero
quasi esclusivamente rimandati ad autori teologici, mal disposti sin da
principio, quali avversari di una minoranza ch’era loro sospetta, a parlare
lungamente di questa, e invece più propensi ad accordarsi con un Fulberto (nota
237) o un Lanfranco (nota 309) nella condanna della dialettica in generale.
Anselmo d’AOSTA (si veda): a) Vargomento ontologico Se pertanto ci volgiamo a
considerare) F inventore del concetto di haerelicus dialecticae e dunque il
rappresentante attendibile di una logica correttamente ortodossa, cioè Anseimo
[d’AOSTA, arcivescovo] di Canterbury, per prima cosa c’interessa soprattutto
quel così detto argomento ontologico, al quale egli deve la sua •") Così
dice p. es. Ildeberto da Lavardin, arcivescovo di Tours, Sermo (Opera, ed.
Beaugendre [PL Quidum enim in philosophicis jacultatibus qiumulam subtilitalem
inutilem vel inutilitatem subtilem quaerentes, quibusdam minutiis verborum in
cavillatione respondenles utunlur, quibus in disputatione uli, ossa Christi est
incinerare.... Ktsi enim deus convertii nos, arlium liberalium phanlusmatibus
uli, si in hac Scriptum voluerimus similiter sophistice incedere, odibiles Deo
erimus, strepitum ranarum Aegypti in terram Gessen traducere molientes. ra )
Quel che nella prima edizione costituiva il contenuto delle note 328-333, è
stato qui soppresso. pretesa gloria imperitura 33i ), e che, quanto al suo
contenuto teologico o speculativo, viene a cader fuori dai limiti che qui ci
sono imposti, dovendo fermarsi la nostra attenzione puramente sopra il suo
aspetto formale. Che in generale l’assunto di voler dimostrare la esistenza
obbiettiva di Dio, sia tutto quanto una pazzia (perciò anche lo Hegel, proprio
solamente nella sua qualità di neoplatonico ha ripreso per suo conto
l’argomento ontologico), è cosa ammessa da chiunque non sia filosoficamente già
prevenuto, a quel modo stesso che sicuramente si riterrebbe un controsenso
l’assunto di dimostrare per sillogismi la esistenza di un mondo obbiettivo; ma
che in quell’epoca antifilosofica e senza idee chiare potesse venir fuori un
tale tentativo, si spiega benissimo, soprattutto perchè c’era allora, come
sostitutivo della filosofia, solamente ima sfera culturale, limitata alla
teologia dommatica e ad un’abilità tradizionale nella logica delle scuole;
tostochè, per effetto delle controversie teologiche, ci si era dunque fatta
l’abitudine di unire tra loro questi due elementi, in tal maniera che si
tentava di dare un fondamento logico anche a singole frammentarie parti del
domma (v. sopra la nota 303), era semplicemente questione di coerenza, che a tale
formulazione si procedesse, incominciando subito da quello che, nella
professione di fede obbiettivamente dommatica, è il punto supremo. Ma era
perciò naturalmente da porre, quale condizione essenziale, che la posizione
dell’Autore si presentasse come un realismo logico, poiché a un nominalista,
che avesse informato il [La esposizione esaurientemente particolareggiata che
del pensiero di Anselmo è stata pubblicata da Hasse ( Anselm von Canterbury,
Lipsia), è informata a una costante sopravvalutazione della importanza di lui.
Cfr. del resto anche G. Runze, Der ontologische Gottesbeweis, kritische
Darstellung seiner Geschichte [« La prova ontologica della esistenza di Dio:
esposizione critica della 6ua storia»]. Halle.
proprio pensiero a una certa coerenza, non sarebbe venuto mai in niente
di dimostrare con parole subbicttivamente umane la esistenza obbiettiva di Dio
(abbiamo veduto più sopra, nota 272, per questo rispetto, un esempio molto
onorevole di circospezione); e questa connessione con il modo di vedere
realistico, è anche il solo motivo, che c’induce a menzionare questi tentativi
di dimostrazione, al loro primo comparire (cfr. anche la Sez. seguente, nota 94
a); perciò siamo anche ben contenti di rinunziare per tutt’i successivi sviluppi, nei quali
vien meno il punto di vista della logica formale, con la relativa distinzione
di contrastanti tendenze a ricordar le
diverse trasformazioni, per le quali è passato l’argomento ontologico (p. es.
nella filosofìa di Cartesio, Leibniz, Wolff, Mendelssolm, ilaumgarten, Kant).
Anseimo si atteneva, nè altro c’è da aspettarsi da un discepolo di Lanfranco,
al punto di vista, secondo il quale il sapere ha, nella fede cristiana, la
propria condizione e il proprio limite) ; per conseguenza, egli trova, di
fronte al pensiero, una realtà incondizionatamente obbiettiva, nel riguardo
intellettuale già bell’e compiuta, sì che a questa realtà obbiettiva il
pensiero può semplicemente o partecipare o non partecipare: Anseimo, cioè,
com’è di per sè chiaro, in logica è un realista. E il singolare desiderio di
costringere irrevocabilmente il nostro pensiero a questa partecipazione in
senso obbiettivo, cioè d’imporre per forza di dimostrazione il punto di vista
realistico al pensiero umano, è il motivo fondamentale dell’argomento
ontologico 336 ) : ar’“) Epist., Il, 41 (Opera, cd. Gcrberon, Parigi, 1675), p.
357: Chrisliunus per fidem debet ad intellectum proficere, non per intelleclum
ad fulem accedere, aul, si intelligere non valel, a fide recedere. Sed cum ad
intellectum valel perlingere, deleclalur, cum vero nequit, quod capere non
potest, veneralur [PL], ”*) Broslogion, c. 2, p. 30 [te6to curato dal Daniels:
Beitrage del Baumker, voi. "Vili, fase. I-IIJ : Convincitur ergo etiam
insipiens gomento clie ci offre lo spettacolo della massima contraddittorietà,
dovendo invero per esso 1 obbietlivismo sistematico più rigoroso, ricevere,
come tale, proprio un fondamento subbiettivo. il controsenso di questa
intrapresa consiste dunque nel proposito stesso del realista, il quale, mentre
a priori riconosce l'ideale solamente come obbiettivo, vuole dimostrarne la
esistenza obbiettiva ancor soltanto con mezzi subbiettivi; ora un tale
controsenso fu scorto cou perfetta esattezza da G a unilone (monaco
nell’abbazia di Marmoutier [Tours]), come dimostra la sua aff ermazione che
l’argomento varrebbe altrettanto bene anche per provare la esistenza di
un’isola incondizionatamente perfetta 337 ), poiché, di fatto, con la medesima
formula il realismo avrebbe poesie vel in inlellectu aliquid quo nihil maius
cogitari palesi, quia hoc, cum audii, intelligil; et quicquid inlelligitur, in
inlellectu est. Et certe id quo maius cogitari nequit non palesi esse in solo
inteileclu. Si enim vel in solo inlellectu est, potest cogitari esse et in re,
quod maius est. Si ergo id quo maius cogitari non potest est in solo
inlelleclu, id ipsum quo maius cogitari non potest est quo maius cogitari
potest. Sed certe hoc esse non potest. Existit ergo procul dubio aliquid, quo
maius cogitari non valet, et in intellectu et in re [PL, 158, 228J. Liber apologeticus contro Gaunilonem [testo
c. s.J : Ego dico: si vel cogitari potest esse, necesse est illud esse. Nani
quo maius cogitari nequit, non potest cogitari esse nisi sine initio. Quicquid
uutem potest cogitari esse et non est, per initium potest cogitari esse. Non ergo quo maius cogitari
nequit, cogitari potest esse et non est. Si
ergo cogitari potest esse, ex necessitate est, e via dicendo, con grossolana
continua confusione tra cogitari ed esse [PL, 158, 2491. U! ) Liber prò
insipiente, c. 6 (Anselmi Opp., p. 36 [testo c. s.]): aiunt quidam ulicubi
oceani esse insulam, quam ex difficultale vel potius impossibilitate inveniendi
quod non est cognominanl aliqui perditam, quamquam jabulanlur.... universis
aliis.... usquequaque praestare. Hoc ita esse dicat mihi quispiam.... At si
lune vel ut consequenter adiungat ac dicat: non potes ultra dubitare insulam
illam lerris omnibus praestantiorem vere esse alicubì in re, quam et in
intellectu tuo non ambigis esse, et quia praestantius est, non in intellectu
solo sed eliarn esse in re, ideo sic eam necesse est esse, quia nisi fuerit,
quaecunque alia in re est terra, praeslantior illa erit; ac sic ipsa iam a le
praestantior intellecta praestantior non erit , si inquam per hacc ille mihi
velil astruere de insula illa, quod vere sit, etc, etc. [PL]. Più minute notizie sopra Gaunilone son date
da B. Hauréau, Singularités historiques et littéraires, Parigi tuto dimostrare
anche la esistenza reale di tutte quante le idee platoniche. Ma quando a ciò
Anseimo replica ch’egli non ha parlato già della esistenza del concreto, bensì
ha parlato proprio soltanto dell’ Incondizionato 338 ), si lascia
necessariamente prendere al suo stesso laccio; poiché si trova costretto a
ricorrer ora tuttavia a un’ascesa per gradi successivi, onde soltanto a poco a
poco ci eleviamo dal minore condizionato, mentalmente, sino al pensiero del
superlativo incondizionato 339 ) ; per conseguenza, come essere reale, questo
Incondizionato non può naturalmente avere se non una realtà che sia posta dal
pensiero; ma, da capo, con questa conchiusione molto male si armonizza invece
quel che dice d’altra parte lo stesso Anseimo, quando in ciascun pensiero, e
anzi espressamente anche nel pensiero drizzato verso cose concrete, distingue
mi aspetto puramente nominale (vox signìfìcans) e un intendere reale (id
ipsiirn quod res est), in maniera tale, che in quest’ultimo sia già implicita
la esistenza, ma nel primo sia possibile ogni assurdità 340 ); e infatti,
stando così le cose, non c’è *“) Apoi. c. Gaun., c. 3, p. 38: Sed tale est,
inquis, ac si aliquis insulam oceani etc . Fidens loquor; quia si quis
invenerit mihi [ aliquid] aut re ipsa aut sola cogitatione existens praeter
quo[d] maius cogitari non possit, cui optare valeat connexionem huius meae
argumenlationis, inveniam et dabo illi perditam insulam amplius non perdendam
[PL]. “*) Ibid., c. 8, p. 39: Quoniam namque omne minus bonum in tantum est
simile maiori bono in quantum est bonum, patel cuilibel rationabili menti quia
de bonis minoribus ad maiora conscendendo ex bis quibus aliquid maius cogitari
potest multum possumus conicere illud quo nihil potest maius cogituri,... Est igitur linde possit conici
quo maius cogitari nequeat | PL. M0 ) Prosi., c. 4, p. 31: Aliter enim
cogitatur res cum vox eam significans cogitatur, aliter cum id ipsum quod res
est intelligitur. Ilio ilaque modo potest cogitari Deus non
esse, isto vero minime. [Nella ed. Gerberon: Nullus quippe intelligens id quod
sunt ignis et aqua palesi cogitare ignem esse aquam secundum rem ; licet hoc
possit secundum voces, ita igitur nemo intelligens id quod Deus est....]
IS'ullus quippe intelligens id quod Deus est potest cogitare quia Deus non est,
licet haec verbo dicat in corde aut sine ulta aut cum aliqun estranea significatione
[PL bisogno, in generale, nè di ima prova della esistenza, nè di un’ascesa
all’Incondizionato, bensì non c è allora nient’altro da fare, che pensare
appunto ciascuna cosa dal suo lato obbiettivo reale. Con molta accortezza
perciò Anseimo non si addentra con una sola parola neanche nella più calzante
obiezione di Gaunilone; quest’ultimo rappresenta un nominalismo molto
ragionevole, quando dice eh è bensì vero che la vox da sola, come semplice vox,
cioè puramente come suono di lettere (dell’alfabeto), non contiene verità di
sorta, ma che nella Bfera della esperienza, dove il significato intelligibile
della parola viene connesso con cose note e commisurato a queste, si pensa
effettivamente nelle parole l’essere obbiettivamente reale, dovendosi dunque,
per quella sfera che trascende ogni esperienza, star contenti alla significano
perccptae vocis, che non implica in sè la esistenza obbiettivamente reale della
cosa significata 341 ). Dice cioè Gaunilone: nelle no*“) L. prò insip., c. 4,
p. 36[testo c. s.] : Neque enim aut rem ipsam [girne deus est] novi aut ex alia
possum conicere simili, quandoquidem et tu talcm asseris illam ut esse non
possil simile quicquam. Nam si de homine aliquo mihi prorsus ignoto, quem etiam
esse nescirem, dici lamen aliquid audirem, per illam specialem generalemve
notiliam, qua quid sit homo vel homines novi, de ilio quoque secundum rem ipsam
quae est homo cogitare possem. Et tamen fieri posset ut, mentiente ilio qui
diccret, ipse quem cogitarem homo non esset; cum tamen ego de ilio secundum
veram nihilominus rem, non quae esset ille homo sed quae est homo quilibet,
cogitarem. Nec sic igitur ut haberem fulsum istud in cogitatione vel in
intellectu, habere possum istud, cum audio dici « Deus » aut « aliquid omnibus
maius », cum, quando illud (cioè quell'uomo) secundum rem veram mihique notum
cogitare possem, istud (cioè Dio) omnino nequeam nisi tantum secundum vocem,
secundum quam solam aut vix aut nunquam potesl ullum cogitaci verum. Siquidem
cum ila cogitatur, non tam vox ipsa quae res est utique vera, hoc est
litterarum sonus vel syllabarum, quam vocis auditae significatio cogilelur, sed
non ita ut ab ilio qui novit quid ea soleat voce significavi, a quo scilicet
cogitatur secundum rem vel in sola cogilatione veram : verum ut ab eo qui illud
non novit et solummodo cogitat secundum animi molum illius auditu vocis
effeclum significationemque perceptae vocis conanlem effingere sibi. Quod
miruin est si unquam rei peritate potuerit. Ita ergo. stre parole abbiamo la
esperienza concreta convertita in concetti, e nelle parole possediamo anche la
forza di trascender la immediata realtà; ma tostochè questo accada, ci troviamo
esclusivamente nella sfera del pensiero, ed è fatica sprecata voler fare venir
fuori da questo, in quanto puramente subbiettivo, la esistenza obbiettiva del
pensato, perchè, proprio quando ci si volge al cogitavi, si rende manifesto che
esse e non esse appartengono alla sfera obbiettiva, sicché la prova ontologica
non prova niente, perchè va di là dal proprio campo, e così prova troppo. [b)
realismo anselmino, privo di fondamento scientifico, nel Dialogus de
veritate]. Se dunque l’argomento
ontologico è nato solamente perchè Anseimo non era riuscito a venire
logicamente in chiaro neanche del suo proprio punto di vista realistico, questa
medesima debolezza si mostra anche in quella professione di fede realistica,
cli’è contenuta nel « Dialogus de veritale s >. Già più sopra (nota 319),
nel passo indirizzato contro Roscelino, abbiamo veduto la espressione
schiettamente realistica «substantiae universales » ; ma proprio un tal modo
d’intendere impedisce naturalmente ad Anseimo qualsiasi comprensione di quel
che significhi la forma del giudizio logico: poiché, potendo egli sin dal
principio considerare la enuntiatio solamente come ricalcata sopra l’essere o
il non-essere obbiettivo, nemmeno in tale forma assegna alla enuntiatio stessa
la verità, ma questa trasferisce in modo esclusivo nella sfera obbiettiva, la
quale, lungi dall’esser vera nel suo presentarsi come oggetto del giudizio,
contiene invece solamente la nec prorsus al iter. adirne in intellectu nuo
constai illud haberi, cum audio intelligoque dicentem esse aliquid maius
omnibus quae valeanl cogitari. Haec de
eo quod somma illa natura iam esse dicitur in intellectu meo [PL]. causa della
verità del giudizio 342 ) ; Anselmo auzi espressamente irride alla forma del
giudizio: questo infatti com'egli si
esprime anche quando è in contraddizione
con lo stato di fatto oggettivo, continua pur sempre a essere un giudizio
giusto, per quanto si attiene puramente all’enunciare e al significare, mentre
la vera giustezza, cioè la stessa verità, risiede appimto solamente in quella
obbiettività, a raggiunger la quale, in senso obbiettivo, s’ha da tender con
uno sforzo, ch’è designato quasi come dovere morale 343 ) : poiché, dato che
tutte le cose ricevono Tesser loro solamente dalla suprema Verità 344 ),
Tessere stesso prende infine la forma di un *°) Dialogus de ventate, Magister.
Quando est numi intuì vera? Discipulus.
Quando est, quod enuntiat si ve affermando sive negando; dico enim esse quod
enuntiat, eliam quando negai esse quod tuta est; quia sic enuntiat, quemadmodum
res est. An ergo libi videtur, quod res enunliata sit veritas enunlialionis?
Non. Quare? Quia nihil est veruni, itisi
participando verilatem: et ideo veri veritas in ipso vero est; res vero
enunliata non est in enuntialione vera, unde non ejus veritas, sed causa
veritatis ejus dicendo est [PL. "*’) Ibid., p. 110: XI. Ergo non est illi
[se. enuntiationi\ aliud veritas [?], quam reclitudo. Video quod dicis: sed doce me,
quid respotulere possim, si quis dicat, quod ctiam cum [ojratio significai esse
quod non est, significai quod dehet: ttariler namque accepit significare esse
et quod est et quod non est. Nam
si non accepisset significare esse eliam quod non est, non id significarci.
Quare eliam cum significai esse quod non est, significai quod debet. Al si,
quod debet significando, recto et vera est, sicut ostendisti, vera est oralio,
edam cum enuntiat esse quod non est. XI.
Vera quidem non solet dici, cum significai esse quod non est; veritatem tamen
et rectitudinem habet, quia jacil quod debet. Sed cum significai esse quod
est, dupliciter jacil quod debet: quoniam significai et quod accepit
significare, et [adì quod facta est. Sed secundum hanc rectitudinem et
veritatem, qua significai esse quod est, usu recto et vera dicitur enuntiatio,
non secundum illam, qua significai esse eliam quod non est.... Alia igitur est
rectitudo et veritas enuntiationis, quia significai ad quod significandurn
facta est: alia vero quia significai quod accepit significare. Quippe ista
immutabilis est ipsi oralioni: illa vero, mutabilis [ PL, p. 111-2: An putas
aliquid esse aliquando, autalicubi, quod non sit in stimma ventate, et quod
inde non accepcril quod est inquantum est: aut quod possil aliud esse, quam
quod ibi est? [PL], Dovere S4B ). Per conseguenza
risulta sì un fondamento unitario, semplicemente obbiettivo, della verità 346
), ma con quanto maggior energia vien dato rilievo all’ apprendimento
esclusivamente spiritualistico di quello), tanto meno si riesce a capire, come
mai rimanga ancora una qualsiasi funzione di principio alla forma logica del
giudizio. [c) punto di vista compassionevolmente basso, nel Dialogus de
grammatico]. Ma quanto poco accuratamente elaborata sia stata in generale
nell’opera di Anseimo la concezione della logica, appare manifesto con la
massima chiarezza dallo scritto intitolato « Dialogus de grammatico » 34S ). È
vero che si tratta semplicemente *“) : In rerum quoque exislemia, est simililer
vera vel falsa significano ; quoniam eo ipso quia est, dicil se debere esse
[PL], Con quest’affermazione è connessa anche la totale identilicazione che
Anseimo stabilisce tra il Non-essere reale, ovvero il Nulla che è, da una
parte, e, dall’altra, il Male ( Epist., II, 8, p. 343 s. [PL), onde,
confrontato con lo Scoto Eriugena (note 133 ss.), egli fa una più risoluta
professione di realismo platonico. '“) Ibid., c. 13, p. 115: Si recliludo non
est in rebus illis, quae debent rectiludinem, nisi cum sunt secundum quod
debenl, et hoc solum est illis rectas esse, manifestum est, earum omnium unam
solam esse rectiludinem.... Quoniam illa (se. veritasj non in ipsis rebus, aut
ex ipsis, aul per ipsas, in quibus esse dicitur, habet suum esse; sed cum res
ipsae secundum illam sunt, quae semper praesto est his, quae sunt sicut debent,
tunc dicitur hujus vel illius rei veritas IPL,Nempe nec plus nec minus continet
isla diffinitio veritatis, quam expediat, quoniam nomen reclitudinis dividii
eam ab ornili re, quae rectitudo non vocatur. Quod vero sola mente percipi
dicitur, sepurat eam a reclitudine visibili [PL]. **) Dice lo stesso Anseimo
(Prologus ad dial. de ver., p. 109 [PL): [edidi tractatum ] non inulilem, ut
puto, inlroducendis ad dialecticam, cujus initium est « De grammatico»: e da un
passo di SiciBKftTO da Gsmbloux (de scriptoribus ecclesiaslicis, c. 168), dov’è
ripetuta questa notizia (vedilo riprodotto dal Fabricius nella Dibl. eccl., p.
114 [PL, 160, 586] : scripsit.... alium librum inlroducendis ad dialecticam
admodum utilem, cujus initium est « De grammatico »), ha avuto origine la
opinione erronea, ch’egli abbia scritto una particolare « Introducilo in
dialecticam ».di un esercizio scolastico, composto da Anseimo, come dice egli
stesso, soltanto in considerazione delle solite numerose trattazioni analoghe 3
'* 9 ) ; ma mentre ci è ignoto se quegli altri scritti consimili sieno mai
stati migliori, scorgiamo in ogni caso che questo di Anseimo si tiene a un
punto di vista compassionevolmente basso. Poiché è un continuo insulso giocare
con proposizioni ricavate da Boezio, e apprese macchinalmente, senza trarsi
fuori dalla tediosa fatica di scovare in un primo tempo difficoltà, là dove un
uomo ragionevole non ne saprebbe trovare, e poi da capo presentarne la
soluzione adeguata; insomma è il
prodotto di una erudizione scolastica estremamente limitata, tanto meschino
quanto lo scritto ricordato più sopra di Gerberto; e di un qualche impulso che sia
da esso derivato allo studio della dialettica, si può tanto meno parlare, in
quanto che, persino relativamente alla questione che divideva il campo della
logica in contrarie tendenze, si presenta estremamente ottuso e scolorito.
Tutta la trattazione si volge intorno alla questione, se « grammaticus » sia
sostanza o sia qualità, dato che ima e l’altra alternativa debbano entrambe
esser ammesse, ma non sia possibile che sieno in pari tempo tutt’e due vere 35
°). Ma alla risposta ragionevole, che **) Diulogus de grammatico, Tamen quoniam
scis, quantum noslris temporibus diulectici certent de quaestione a te
proposila, nolo le sic his quae diximus inhaerere, ut ea perlinaciter teneas,
si quis validioribus argumentis haec destruere et diversa valuerit astruere:
quod si conti gerii, saltem ad exercitationem disputandi nobis haec profecisse
non negabis [PL, . B °) lbid., c. 1, p. 143: De grammatico peto ut me cerlum
jacias, utrum sit substantia an qualitas, ut, hoc cognito, quid de aliis quae
similiier denominative dicuntur, sentire debeam, agnoscam. La questione ha la
propria fonte in Boezio (p. 121 [in Ar. praed., I; PL, 64, 171-2]), il quale,
dove nelle Categorie vien citato grammaticus come denominalivum da grammatica,
nomina nel commento Aristarco quale esempio di grammaticus, e inoltre, nel trattare della categoria della
sostanza (p 134 [ibid.; PL, 64, 189]), espressamente riconduce grammaticus su
su ad animai, mentre è da agli. cioè son pur vere tutte due le alternative, ci
si arriva per via indiretta nel modo più artificioso 351 ). Alla opinione di
chi ammette che « grammaticus » è sostanza, perchè invero il grammatico è un
uomo, ma l’uomo è sostanza, si contrappone cioè anzitutto un sillogismo
deforme, il quale ha per conchiusione che nessun grammatico è uomo 352 ) :
conchiusione, che per prima cosa viene confutata con l’argomento, che alla
stessa maniera potrebbe anche dimostrarsi che nessun uomo è un essere vivente
353 ) ; ora soltanto a tale argomento vien disgiungere che (p. 185 s. [i6., HI;
PL, 64, 256-7J) per la categoria delia qualità, grammuticus era diventato
l’esempio stereotipato. Perciò Anselmo pone ora una accanto all'altra come
reciprocamente contraddittorie le seguenti espressioni: Ut quidem grammaticus
prò betur esse substantia, sufficit quia omnis grammaticus homo, et omnis homo substantia
(cfr. Boezio [ad Porph. a se fransi.], p. 63 s. [probabilmente si deve leggere
36 6.: lib. H, c. 11; ed. Brandt, p. 103-4; PL, 64, 57]).... Quod vero
grammaticus sit qualitas, aperte jatentur philosophi, qui de hoc re
tructaverunt, quorum aucloritalem de his rebus est impudenlia improbare. Item quoniam necesse est, ut
grammaticus sit aut substantia aul qualitas.... Cum ergo alterum horum verum
sit, alterum jalsum, rogo ut julsìtatem detegens, aperius mihi veritatem [PL,
158, 561]. K1 ) Ibid„ c. 2: Argumenla, quae ex
utraque parte posuisti, necessaria sunt; nisi quod dicis, si alterum est,
alterum esse non posse. Quare non debes a me exigere, ut alteram partem esse
falsam ostendam, quod ab ulto fieri non potesti sed quomodo sibi invicem non
repugnent, aperiam, si a me fieri polest. Sed vellem ego prius a te ipso
audire, quid his probalionibus tuis oblici posse opineris \ib., 561-2]. K ‘)
Ibid.: Ulani quidem propositionem quae dicit, grammaticum esse hominem, hoc
modo repelli existimo : quia nullus grommati• cus potest intelligi sine
grammatica, et omnis homo polest intelligi sine grammatica. Item, omnis
grammaticus suscipit magis et minus (questo è ricavato da BOEZIO, p. 186 [in
Ar. Praed., Ili; PL, 64,
257]), et nullus homo suscipit magis et minus: ex qua utraque contextione
binarum propositionum conficitur una conclusio, id est, nullus grammaticus est
homo [PL, 158, 562]. * sl ) C3, p. 143 s. : Non sequitur.... Contexe igitur tu
ipse quatuor.... propositiones.... in duos syllogismos:... « Orane animai
polest intelligi praeler rationalitatem; nullus vero homo potest intelligi
praeter rationalitatem>. Item: que multipliciter appellatur.... Et communis
est multiplex appellatio, edam in his nominibus, quae veluti genera de
speciebus dicuntur;e (p. 183 [ibid., PL): Grammatici enim a Grammatica
nomìnantur, atque hoc est in pluribus, ut posilo nomine, si quid secundum ipsas
qualitales, quale dicilur, ex his ipsis qualilatibus appellatio derivetur. Etc . distinctis qualitatum vocabulis appellantur....
Così neanche Anseimo oltrepassa dunque assolutamente la limitata sfera delle
fonti sin qui note, e se si fosse già fin d’allora conosciuta la traduzione
degli Analitici, è da credere che in generale tali disquisizioni sarebbero
state impossibili. Anseimo tuttavia non ci consente ancora di gustare subito la
sua concezione realistica, bensì ancora per qualche tempo ci mena strascicando
attraverso uno sciocco gingillar con le parole. Se cioè si obietta che «
grammatico » e « uomo » vengono per conseguenza a essere ugualmente predicati
significativi, e che pertanto il primo abbraccia del pari in una unità reale il
concetto di uomo e il concetto di grammatica
tale obiezione dev’essere ora confutata con la considerazione, che allora
« grammatica » non sarebbe accidente, ma differenza sostanziale, il che
dovrebb’essere altrettanto vero di tutte le qualità simili: e così pure ne
risulterebbe la illazione che un non-uomo, il quale fosse grammatico, dovrebbe
allora proprio perciò essere nello stesso tempo uomo 364 ) ; inoltre bisogna
ben riflettere appunto sopra la forma di aggettivo che ha la parola
grammaticus, poiché se « uomo » fosse già per sè contenuto in « grammatico »,
potrebbe darsi che, con la sostituzione, si dovesse continuar a ripetere
all’infinito la parola « uomo », e in generale si sconvolgerebbe il punto di
vista proprio degli appellativi derivati, perchè allora p. es. anche hodiemus
dovrebb’essere un verbo 363 ). J C. 13, p. 14 ì: Sicut enim homo constai ex
ammali et rationalitate et morlalitale, et idcirco homo significai liaec trio,
ila grammatici^ constai ex homine et grammatica; et ideo nomen hoc significai
utrumque.... M. Si ergo itti est, ut tu
dicis, diffinitio et esse grammatici est « homo sciens grammalicam ».... Non
est igitur grammatica accidens, sed substantialis differentia; et homo est
genus, et grammaticus species: nec dissimilis est ratio de albedine, et
similibus accidentibus: quod falsum esse totius artis traclatus ostendit
((BOEZIO fin Porph. a se transl., IV, 1: ed. Brandi, p. 239 ss.; PL, 64, 115
ss.], p. 79 ss.).... Ponamus, quod sit animai aliquod rationale, non tamen
homo, quod ita sciai grammalicam sicut homo ... Est igitur aliquis non homo
sciens grammaticam.... At omne sciens grammalicam est grammaticum.... Est
igitur quidam non homo grammaticus.... Sed tu dicis in grammatico intelligi
hominem.... Quidam ergo non homo est homo quod falsum est [PL, 158, 571-2], )
Jbid. : Si homo est in grammatico, non praedicatur cum eo simul de aliquo...;
non enim apte dicitur, quod Socrates est homo animai (Boezio [loc. ult. cit.,
II, 6: ed. Brandt, p. 192; PL Dopo che si dà così
per dimostrato che grammatica* non chiude in sè unitariamente la sostanzialità
dell’uomo, bensì vale soltanto quale significazione adeguata della grammatica,
deve adesso chiarirsi ancora tuttavia in qual modo grammaticus sia puramente un
appellativo mediato dell’uomo; e ciò si fa, con il più balordo scambio di
concetti attributivi, mediante questo esempio, che cioè, se ci sono, uno
accanto all’altro, un cavallo bianco e un bove nero, dicendosi senz’altro S, qUoJ 7. homo solus, i. e. sine grammatica,
est gromma auinno f b ‘ m °' l,S,ntell W POtest: uno vero, altero falso. Homo
quippe (questo e il verni modus) solus, i. e. absque grammatica est qiTnecToh
Ter habe ^ ^ m maticam: grammatica namque, nec sola nec cum honune. habet
grammaticum. Sed homo so irammn ' grammat,ca ««* grammatici; quia, absente
grammatica, nullus esse grammatici potest (il falsus modus consi alerebbe cioè
ne 1 intender quella proposizione nel senso che non per^ r „a n n e ted a n>
^amniotica alla sostanza 7 ». stante dell uomo): sicut qui praecedendo ducit
alium, et so . 1 praevius, quia qui sequitur non est praevius,... et solus non
lvL pr i5T l 5m l, !cr n T f qui T‘ evius esse non P° test la prima delle due
alternative viene utilizzata per la professione di fede realistica, e qui
Anselmo aderisce, con l’accento di chi si rassegna di mala voglia, alle idee
dei dialettici aristotelici, per salvare almeno quel che poteva essere salvato,
poiché, visto che le Categorie godevan pure di ima così grande autorità, da non
poter essere del tutto rigettate, bisognava far il tentativo d’interpetrarle in
senso realistico. Dice Anselmo cioè, che designare il grammatico esclusivamente
come qualità, è giusto soltanto dal punto di vista delle Categorie
aristoteliche, poiché in quest’opera si tratta in verità non dell’essere reale
delle cose stesse, e neanche della designazione puramente appellativa mediante
parole, bensì delle voces significativae (v. sopra la nota 363), in quanto che
queste significano immediatamente l’essere sostanziale in se stesso: e perciò è
giusto che tra i dialettici sia rimasto in uso di tenersi puramente nell’orbita
di questa significazione sostanziale, cioè di servirsi del grammatico, soltanto
com’esempio di qualità 3T0 ) ; peroc”“) C. 16: Cum vero dicitur, quod
grammaticus est qualilas, non recte, nisi secundum tractatum Aristotelis de
categoriis, dicitur. C. 17: D. An aliud habet ille tractatus quam « omne quod est, aut est
substantia, aut quantitas, aut qualilas, etc. » (BOEZIO [in Ar. Praed., I;
PL).... M. Non tamen fuit principalis
intentio Aristotelis, hoc in ilio libro ostendere, sed quoniam omne nomen vel
verbum atiquid horum significai; non enim intendebal ostendere, quid sint
singulae res, nec qiiarum rerum sint appellalivae singulae voces, sed quorum
significativae sint. Sed quoniam roces non significant nisi res, dicendo quid
sit quod voces significant, necesse fuit dicere quid sint res.... De qua
significatione videtur libi dicere, de illa qua per se significant ipsae voces,
et quae illis est subslantiulis, an de altera, quae per aliud est, et
accidentalis? D. Non nisi de ipsa, quam
idem ipse eisdem vocibus esse, diffiniendo nomen et verbum (Boezio [in de
interpr., ed. Becunda, I, 1: rdiz. Meiser, Pare Post.,
p. 13 ss. ; PL, 64, 398-9], p. 293 s.), assignuvil, quae per se
significant. M. An pulas.... aliquem eorum,
qui eum sequentes de dialectica scripserunt, aliter sentire voluisse de hac re,
quam sentii ipse? D. Nullo modo eorum scripta hoc aliquem opinari
permilliinl: quia nusquam invenitur aliquis eorum posuisse aliquam vocem ad
ostendendum aliquid quod significet per aliud, sed semper ad hoc quod per se
significai [PL, chè, in questo senso realistico, il grammatico, per rispetto
alle categorie, è, parimente dal punto di vista del linguaggio come nella
realtà, una qualità laddove, fatta
astrazione da questa considerazione dialettica, la quale tuttavia deve pertanto
contenere Tessere essenzialmente sostanziale, ciò che rimane è solamente il
campo della comune maniera di parlare appellativa, nella quale il grammatico è
chiamato «uomo»: non diversamente p. es., nel considerare le forme
grammaticali, è giusto chiamare maschile il sasso, mentre, nell’uso comune del
linguaggio, non c’è nessuno che designi il sasso come mi essere mascolino 3n ).
Dunque Anseimo scorge bensì nelle categorie un pòtere formale, ma lo riferisce
esclusivamente alla Tabula logica, già obbiettivamente data, dell’Essere
sostanziale. Ma quanto rozzamente ciò da lui sia stato inteso, appare manifesto
dalla concliiusione dello scritto, dove si discute ancora la questione, se una
sola cosa possa cadere sotto più categorie; poiché, quando p. es. si dice c ìe
armatus può anche rientrare nella categoria della sostanza, perchè l’armato ha
in sè una sostanza, vale a In C ' 18, U s .: Si crgo proposila divisione
oraefata (cioè L!X n 7 e ;' leCÌ categorie), quaero a te, q uid sii grammaticm
secundum hanc divisionem, et secundum eos. qui illuni scribendo D P™lT2Z
qUUn,Ur t: qU,d QUaer0 ’ ° Ut QUÌd mihi rospondebi? _ -A " ÌUC P ° test
quaeri ’ nisi de voce aut de re quam significati quare, qu ia constai
grammaticum non significare respondebo^i '"'“'"'T hominem sed
grammaticum, Incuneiamo Tve^oauàerlde de V ° Ce ' quu ) vox significans quali
totem, si vero quaens de re, q uia est q ualitas.... Quare si ve quaeralur de
yZZlil Ve J e,lf’ CUm quuer,tur quid sit gr animai-ras secundum A ristoici s
tractatum et secundum sequaces ejus. recte respóndZr -Mila' "t t * men s f
cundum oppellationem vere est subslanliu. scribuntd emm V Vere " OS debet
' quod d ulectici ahler utùmur InLc J bUt S0C ‘,ndum quod sunt
significativae,,diter eis dèi Idi //T '" secun dum qiwd sunt appellativae:
si et grommatic ahud dietim secundum formam vocum. aliud secundum reium
naturam. Dicunt quippe lapidem esse mascolini generis.... cum tu rno dicat
lapidem esse masculum [PL, dire le armi, cou ciò si tocca veramente il colmo
della incomprensione della logica; e a noi piace chiudere con la sentenza che
Anselmo pronuncia su tale argomento, essere difficile cioè ( poiché non vuole
affermare neanche questo con assoluta certezza ) che una cosa, la quale eia un
tutto uno, possa cadere sotto più categorie, laddove invece una parola,
includente più significati, può ben essere considerata, come non unitaria, dal
punto di vista di più categorie: tal è p. es. il caso di albus, ch’e di
pertinenza così della categoria della qualità, come anche di quella dell’avere.
Cosi quest’ottuso realismo s’inviluppava, per la sua propria impotenza, in
difficoltà, che in generale, per chi consideri le questioni secondo un criterio
realmente logico, sono inesistenti, e tutto l’atteggiamento di Anseimo ci
appare soltanto come un documento di una congenita disgraziata disposizione,
dalla quale è affetto, in ordine alle questioni di logica, l’oggettivismo
realistico. [§ 35. Grado ancor basso di
sviluppo del contrasto FRA LE TENDENZE. ONORIO DA AUTUN. Ma ili generale sembra
in quel tempo, cioè al limite fra l’XI e il XII secolo, essersi manifestato,
quale risultato di più Nam, si grammaticus est qualilus, quia significai
qualitatem, non video cur armalus non sit substantia,... quia significai
habentem substantiam, i. e. arma:... sic grammaticus significai habere, quia
significai habentem disciplinam. M.
Nullalenus.... negare possum, aut armatum esse substantiam aut grommaticum
[esse] habere.... Rem quidem unam et eamdem non puto sub diversis apiari posse
praedicamentis, licet in quibusdam dubitari possit: quod majori et altiori
disputationi indigere existimo (saremmo stati in verità smaniosi (li leggerla,
questa altior disputatio).... Unam aulem vocem plura significamela non ut unum,
non video quid prohibeat pluribus uliqucndo supponi praedicamentis, ut si albus
dicitur qualitas, et habere [PL], Successivamente si prende ancor in esame il
concetto di albus, per sostenere ch’esso non è unitario, ma risulta appunto da
qualitas e habere appiccicati insieme. e meno recenti controversie logiche e
teologiche, un contrasto, ancora dichiaratosi in maniera anzichenò grossolana,
tra nominalisti e realisti: si era cioè incapaci, all’infuori da questi due
punti di vista, di prenderne in’ considerazione alcun altro, come pure si
enunciava ciascuno di quei due unilateralmente, ancora in forma estrema e per
così dire grezza. Uno svolgimento di gran lunga più ricco e meglio
disciplinato, ce lo presenteranno di già subito i prossimi decenni, e più che
mai 1 epoca ulteriore, che per il momento preferiamo tuttavia passar del tutto
sotto silenzio. La usata logica delle scuole poteva anzi esser allora intesa da
alcuni singoli scrittori in maniera tale, che rimanesse ancor affatto immune da
qualsiasi influsso del contrasto fra le tendenze, e qual esempio di assoluta
ingenuità, così per questo rispetto come relativamente alla logica in generale,
possiamo, per chiudere questa Sezione, citare ancora, del principio del secolo
XII, alcune amene osservazioni di Onorio da Autun, il quale rappresenta le
sette arti liberali come altrettante sedi dell’anima: ed ecco tutto ciò che, a
tal proposito, egli sa metter avanti, relativamente alla dialettica: per cinque
porte (le quinquc voces) si entra nella vera e propria fortezza (cioè le dieci
categorie), dove stan pronti due campioni, vale a dire il sillogismo categorico
© quello ipotetico, che Aristotele ha armati nella Topica e ha portati poi, nel
libro de interpr., sul campo di battaglia, sicché ci si può qui metodicamente
addestrare nella lotta contro gli eretici S7S ). TO ) Honorii Aucustodunensis
de Animae Exsilio et Patria, c. 4, riprod. dal Pez, Thesaur. Tenia civilus est
Dialettica, multis quaestionum propugnando munita.... Uaec per quinque portas
adventantes recipit, scilicet per genus, per species, per differens, per
proprium, per accidens; unde et Isagogae introductiones dicuntur, quia per has
repatriantes introducuntur. Arx hujus urbis est substantia; turres
circumslantes novem sunt accidentia. In hoc duo pugiles sunt et litigantes
certa ratione dirimunt: Calhegorico et hypothetico Syllogismo quasi praeclaris
armis viantes muniunt. Quos Aristoteles
in Topica recipit, argumenlis instruit, in Perihermeniis ad lalum campum
syllogismorum educit. In hac urbe
docentur itineranles haereticis, et aliis hostibus armis rationis resistere
eie. [PL PROGRESSO GRADUALE VERSO LA CONOSCENZA COMPIUTA DELLA LOGICA ARISTOTELICA
Si colmano le lacune del materiale degli STUDI DI LOGICA, CON LA CONOSCENZA DEI
DUE ANALITICI e della Topica, oltre che degli Elenchi Sofistici]. Dopo aver
detto più sopra che c’è un solo motivo di dividere in periodi la storia della
logica medievale, motivo che consiste per me nella misura estrinseca della
conoscenza, più limitata o più estesa, che si aveva degli scritti aristotelici,
e che la differenza di contenuto fra la precedente e la presente Sezione si
riduce in ultima analisi al fatto che sino al principio del sec. XII non erano
noti nè utilizzati i due Analitici e la Topica, insieme con gli Elenchi
Sofistici, mentre in seguito, a poco a poco, anche questi libri furon tratti
entro la sfera dei dibattiti sopra le questioni di logica, m’incombe ora qui per prima cosa il dovere di
fissare anzitutto precisamente quei dati di storia letteraria, che stanno a
fondamento della separazione. Per tutta questa Sezione, con la quale entriamo
nell’agitata epoca di Abelardo e procediamo sino al termine del XII secolo,
bisogna cioè in primo luogo metter sott’occliio l’àmbito del materiale di cui
disponevano gli studiosi di logica, e dal quale scaturirono le numerose
controversie di questo periodo, vale a dire bisogna mostrare che, e in qual
modo, a poco a poco, per un verso si pervenne alla conoscenza di tutta quanta
la produzione letteraria di Boezio, che aveva appunto tradotto l’Organon per
intiero, e per l’altro verso si apprestarono traduzioni nuove dei libri
suddetti: perchè, solamente dopo fatto ciò, potremo riferire quale attività si
sia svolta nel frattempo sopra questo terreno gradatamente ampliato. Che quella
suindicata limitazione sia effettivamente sussistita fino al principio del
secolo XII, si può forse darlo ora per dimostrato, sia dalle notizie positive,
addotte nella Sezione precedente, sia anche dall’assoluta mancanza di qualsiasi
accenno in contrario. Ma appunto, quanto più per questo periodo antecedente
invochiamo in nostro favore la forza dell 'argumentum ex silentio ’), tanto più
diligentemente abbiamo preso in considerazione anche le tracce isolate e per
così dire cancellate, di manifestazioni, dalle quali quel silenzio viene rotto,
a partire da un dato momento. Il punto critico si ha cioè, quando viene presa
conoscenza degli Analitici e della Topica, oltre che degli Elenchi Sofistici*),
e per quanto ciò sia accaduto soltanto insensiCerto non deve perciò negarsi la
possibilità di nuove scoperte in qualche Biblioteca, dalle quali vengano messe
in luce notizie, contrastanti con questa nostra veduta; ma tuttavia si
tratterebbe sempre soltanto di casi isolati, senz’alcun indosso sopra lo
svolgimento generale della logica in quel tempo, perchè a riconoscere
l’andamento della logica in generale, sembrano sufficienti le fonti sinora
accessibili, ") Jourdain nelle sue Rechcrches critiques si era invero
proposto solamente il compito di ricercare le traduzioni nuove, venute fuori
nel Medio Evo, e poteva escludere dunque dalla propria considerazione questa
rivoluzione, in quanto essa concerne la conoscenza di Boezio: ma gli sono
sfuggiti testi d'importanza decisiva anche per quel suo intento particolare
bilmente e a poco a poco, ci si può bene aspettare che una conoscenza, sia pur
ancora frammentaria, di queste principali opere aristoteliche non sarà senza
connessione con lo studio della logica, fattosi ora più ricco e variato.
Giacomo da VENEZIA (si veda). Già una notizia che c del seguente tenore: un
tale Giacomo da Venezia [SI VEDA] tradusse dal greco i due Analitici, la Topica
e gli Elenchi Sofistici, e nello stesso tempo li corredò di un commento,
sebbene degli stessi libri ci sia stata una traduzione più antica » *), riguarda, come si vede, proprio quelle opere,
che il periodo precedente non aveva nè conosciute nè utilizzate: e, com’è da
rilevare da un lato, che l’informatore, appartenente egli pure al secolo XII,
era edotto della esistenza della traduzione, curata da BOEZIO, di quei
libri, poiché dove si parla di una traduzione
« più antica », non può alludersi se non a quella , è parimente chiaro, d’altra
parte, che quel tale Giacomo di VENEZIA (si veda) ignorava che la traduzione
stessa esistesse, e proprio da ciò era stato indotto a curar egli stesso la sua
propria versione di quei libri. Ma il paese, al quale siffatte circostanze
vanno ambedue riferite, è L’ITALIA. Prima ancora che si disponga del testo DEI
LIBRI ARISTOTELICI SU RICORDATI, TRAPELANO D’ALTRA FONTE NOTIZIE SPORADICHE. Si
DIMOSTRA CIÒ CON ARGO*) In nota a un passo di Roberto da Mont-St.-Michel
(Roberti de Monte Cronica, riprod. dal Pertz, MGH, Vili, p. 489), un
continuatore (cioè « alia manus », ma, come afferma il Pertz [rectiiu: L. C.
Bethmann]) osserva quanto segue: Iacobus Clericus de VENEZIA (si veda)
transtulit de Graeco in Latinum quosdam libros Aristolilis, et commentatili est;
scilicet Topica, Anal. priores et posteriores, et Elencos; quamvis anliquior
translatio super eosdem libros haberetur fPIL MENTI TRATTI dagli scritti di
AbelardoJ. Questa importante notizia, la quale contiene dunque elementi
relativi alla conoscenza di quelle opere, e inoltre nello stesso tempo elementi
relativi alla non-conoscenza delle opere stesse, non sta tuttavia così isolata,
come si eredeva 4). Una conoscenza di quei libri sembrerebbe cioè, ben è vero,
rimaner esclusa a prima vista da dichiarazioni di Abelardo, affatto categoriche
e di amplissima portata. Fatta astrazione dal lamento ch’egli leva, e che qui
non c’interessa, per la mancanza di una traduzione della Fisica e della
Metafisica di Aristotele 5 ) Abelardo
c’indica egli stesso espressamente le fonti della sua logica, e dice che la
letteratura in lingua latina, riguardante la logica, ha per fondamento sette
scritti, ripartiti fra tre autori: di Aristotele cioè si conoscono soltanto le
Categorie e il de interpr., di Porfirio la Isagoge, ma di BOEZIO sono in uso i
trattati de divisione, de differenti™ topicis, de syllogismo categ., de
syllogismo hypoth. b ); inoltre, anche una osservazione, tratta dagli, ora ’
®“P ra Giacomo da V., anche Ueberwec-Geyer, p. 146] .11I Cousin (Ouvr. inédits
d’Abélard, p. L ss, e anche Fragni. de pini, du moyen àge Parigi) è
assolutamente in errore, e dai passi di Abelardo che dovremo citare subito
appresso, trae conchiusioni, solamente in base al tenore delle parole,
estrinsecamente considerate, senza por mente al contenuto delle dispute intorno
ai problemi della logica. . “I Abaelardi Dialectica, negli Ouvr. inéd. (ed.
Cousin), p. 200: in l hysicis [et].... in his libris, quos Metaphysica vocat,
exequitur (se. Aristoteles). Quae quidem opera ipsius nullus adhuc translator
latinae linguue aptavit. Confido.... non pauciora vel minora me praestiturum
cloquentiae peripateticae munimenta, quam illi praestiterunt, quos latinorum
celebrat studiosa doclrina.... Sunt autem tres, quorum septem codicibus omnis
in hac arte eloquenza latina armalur. Aristotelis enim duos tantum,
Praedicamentorum scilicel et l J eri ermenias libros usus adhuc latinorum
cognovil; Porphyrii vero unum, qui videlicet de Quinque vocibus conscriptus,
genere scilicet, specie, differentia, proprio et accidente, introductionem ad
ipsa praeparal praedicamenta; BOEZIO autem qualuor in consuetudinem duximus
libros, videlicet Divisionum et [2291 Topicorum cum Syllogismis tam Categoricis
quam Hypotheticis. Quorum omnium summam noElenchi Sofistici, Abelardo la cita
una volta, soltanto di seconda mano, espressamente riferendosi a BOEZIO, come a
propria fonte 7 ). Mentre dunque Abelardo, com’è di per sè chiaro, da quei
passi di BOEZIO già più volte menzionati, doveva aver appreso esattamente quali
sieno i libri scritti da Aristotele, si direbbe ch’egli riconosca con le parole
ora riferite, in modo assolutamente inequivocabile, che non gli era possibile
far "uso delle traduzioni degli Analitici, della Topica e degli Elenchi
Sofistici. Ma tutto quel che ci è lecito conchiudere anche da questo
riconoscimento, si è che Abelardo non aveva a disposizione quelle opere
principali di Aristotele, perchè queste in generale non si trovavano tra gli
scritti entrati nell’uso (si ponga mente all’espressioni « usus.... cognovit »
e «in consuetudinem duximus »); vediamo cioè che allora in Francia, in tutti
quei luoghi, per i quali Abelardo si andò aggirando o dove in generale ci si
occupava di logica, non si possedeva un esemplare del testo genuino di quei
libri; poiché 6e se ne fosse posseduti, con l’ardore per gli studi di logica,
caratteristico di quell’estrae dialecticae textus pienissime concludet etc. Che
per Topica qui non sia da intendere nient’altro che lo scritto de diff. top., è
dimostrato, oltre che dalla esposizione che di questo ramo della dialettica si
trova nello stesso Abelardo, anche da una quantità di passi, dov’egli cita
punti singoli 'del de di/}, top. come « Topica» di BOEZIO, tout court: così, p.
es., lntrod. ad thcol. [ed. Amboes.], II, 12, p. 1078 [ed. Cousin, II, 93; PL,
178, 1065] (si riferisce al de diff. top., I, p. 858 s. [corrisponde a PL),
Theol. Christ. [ed. Martène], IU, p. 1281 [ed. Cousin, II, p. 488: PL] (si
riferisce c. s.). Sic et Non, c. 9, p. 41 della ediz. Henke e LindenkohI [PL
(de diff. top., II, p. 866 [PL, ]), ibid., c. 43, p. 105 [PL, 178, 1405] (de
diff. top., III, p. 873 [PL, 64, 1197]), ibid.. c. 144, p. 397 [PL] (de diff.
top., II, p. 867 [PL]). ') Dialect., ed. Cousin, p. 258: Sex autem sophismatum
genera Aristotelem in Sophisticis Elenchis suis posuisse, Boethius in secando
editione Peri ermenias commemorai (BOEZIO, p. 337 s. [in de inlerpr., Secunda
editio, II, 6: ed. Meiser, Pars Post., p. 133-4; PL, 64, 460 s.]). poca, li si
sarebbe certamente messi in piena luce. Non rimane invece esclusa in tali
circostanze la possibilità che qualche elemento di quegli scritti sia tuttavia
venuto altrimenti a conoscenza del pubblico dei dotti: e sol che si trovasse
anche una unica notizia soltanto, della quale si riuscisse a dimostrare che non
possa essere stata ricavata da uessun’altra fonte se non da uno di quei libri,
sarebbe fornita la prova che in qualche maniera, da qualche altra parte, dati
isolati ricavati dagli Analitici e dalla Topica sono filtrati nell’atmosfera
degli studiosi francesi di logica. Ma dimostrare per opera di quali uomini e in
quale maniera ciò sia accaduto, non è compito da assegnare a noi; è impossibile
fornir tale prova, anzi nemmeno possiamo designare la fonte locale. Che cioè al
tempo di Abelardo si fosse venuti a conoscenza di elementi staccati, tratti da
quegli scritti aristotelici che fin allora non erano ancora stati messi a
profitto, è cosa della quale possiamo trarre le prove precisamente da Abelardo
stesso, e anzi riferendoci non a un pimto soltanto, ma a parecchi. Abelardo
osserva una volta, a proposito della definizione del genus 8 ), che in
determinate circostanze anche l’individuo può fare da predicato, come p. es.
nella proposizione « hoc album est Socrates», oppure «/tic veniens est Socrates
» : una considerazione questa, che
sarebbe vano ricercare in tutta la serie dei commenti di BOEZIO, ma che si
trova bensì negli Analitici Primi, con letterale coincidenza di quelle
proposizioni esemplificative; e proprio di là questa notizia dev’essere venuta
anche a cono[Glossae in Porph., ibid., p. 560: videtur esse falsum, quod
individua de uno solo praedicenlur, cum hoc individuum Socrates de pluribus
habeat praedicari, ut « hoc album est Socrates », « hic veniens est Socrates».
Il luogo aristotelico corrispondente si trova negli Anal. pr., I, 27 (nella
traduzione di BOEZIO PL. scenza di vari altri cultori della logica 9 ).
Abelardo riferisce inoltre che ci son « molti » che traspongono la essenza
della definizione esclusivamente nella indicazione delle qualità 10 ) : e non sarebbe
il caso di dire che questa opinione è soltanto una conseguenza estrema ricavata
da un passo [delle Categorie] già da gran tempo conosciuto [nella traduzione di
Boezio] ll ), perchè un contemporaneo di Abelardo formula quella opinione
stessa in termini tali da ricondurci alla vera sua fonte, che troviamo soltanto
nella Topica di Aristotele 12 ). Abelardo poi, a proposito della controversia
intorno agli universali, usa inoltre una maniera di esprimersi (cioè
universalia « appellant in se »), spiegabile soltanto ove si ammetta che la
idea fondamentale di quei passi degli Analitici secondi, dove Aristotele tratta
di xaxà •) Che la cosa abbia dato occasione a una controversia di moda nelle
scuole, ai desume da Joh. Saresb., Metalog., II, 20 (p. 110, ed. Giles d. Webb;
PL]) : Hoc enim ex opinione quoTundam sensisse visus est Aristotiles in
Ancdeticis dicens (segue quel passo medesimo [cit. nella nota precedente]). ’”)
Dialect., p. 492: Unde multi, cum significationem substantiae hitjus nominis
quod est « homo » agnoscant, nec qualitates ipsius satis ex ipso percipiant,
tantum propter qualitatum demonstrationem diffinitionem requirunt. “)
Abistotele, Cut., 5 ; in BOEZIO, PL. L’autore dello scritto De generibus et
speciebus, dal Cousin attribuito a torto ad Abelardo (v. sotto le note 49 e
148), dice a p. 541 9.: Concedunt omnes, species ex differentiis constare....
Dicunl, omnes differentias esse in qualitate etc. In tale forma accentuata,
quest’ultima affermazione poteva esser ricavata solamente da Aristotele. Top.
(cioè dalla trattazione, che ivi si trova, della definizione, con la quale si
accordano poi altri passi), e ha dovuto in tal maniera appartenere al novero di
quelle notizie sporadiche, che ora contribuivano a moltiplicare, le
controversie scolastiche; l’autore del De gen. et spec. fa poi sforzatamente
risalire la idea ora citata a un altro passo di BOEZIO, p. 62 (ad Porph. [a se
transl., II, 5: cd. Brandt, p. 186; PL, 64, 93-4]), e dunque è certo che
possedeva come fonti solamente i testi universalmente diffusi. Invece Joh.
Saresb., loc. cit., p. 100 [edL Webb, p. 103; PL, 199, 880] mette già in
connessione con tale questione anche Sopii. El., 22, 178 b 36. 7tavTÓ£ e di xn
pr,ma d °° Magalo! bi >]U,S cairn istas
concedei ; « nllLl, Secunda figura coni,agii m > oni oe justum possibile est
! lum Possibile est esse bo zs‘?r, • *» : ìt . ’z *• vZ’-£z iz"tr;«,ur
Zssrzzzr 6 “ *5 (ibid., nota 5721 _ E-.-, . 41 jnstani esse». Sic et ..._ 6u veraciter
componi. ÉZpus enT n Td Syllog,smi
Ibid., c. 27, p. 183 [ed. Webb, p. 193; PL]: Ceterum conira eos qui
veterum favore potiores AristotiUs libros excludunt Boetio fere solo contenti,
possent plurima allcgari. ed. Webb,
p. 170-1; PL, 199, 919-20]: rosteriorum vero Analeticorum subtilis quidem
scientia est et paucis Ma come da questa lamentanza risulta naturalmente
manifesto che quei libri eran conosciuti, così d’altra parte viene riferito
ancora che la Topica aristotelica, da gran tempo trascurata, proprio allora è
stata, per così dire, richiamata da morte a vita 2S ) : e alla informazione,
secondo la quale questa idea di tirar fuori la Topica ha anche trovato a sua
volta i suoi oppositori, si collega anche l’altra notizia, concernente un certo
D r o g o n e, che non ci è ulteriormente noto, e che a Troyes manifestamente
lavorò attorno alla topica, secondo il modello di quella di Aristotele 2B ). [|
7. Nuove traduzioni dell’Organon, nella
Bassa Italia e nell’Impero Bizantino].
Ma per quanto concerne ora in particolare il venire in luce di
traduzioni nuove, si ricava in verità assai poco da una lettera di Giovanni,
che da Costanza richiede copie ingeniis pervia.... Deinde huec ulenlium
raritate iam fere in desuetudinem abiil, eo quod demonstralionis usus vix apud
solos malhemalicos est.... Ad haec, liber quo demonslrativa trudilur disciplina
(cfr. la nota 25), ceteris longe lurbutior est, et transposilione sermonum,
traiectione litterarum, desuetudine exemplorum, quae a diversis disciplinìs
mutuata sunt, et postremo, quod non conlingil auctorem, adeo scriplorum depravatiti
est vitio, ut fere quot capita, tot obstacula hubeul. Et bene quidem ubi non
sunt obstacula capitibus pluru. Unde a plerisque in interpretem difficultalis
culpa rejunditur, asserenti bus librum ad nos non vede translulum |
pervenisse]. A qual traduttore si fa qui allusione, a Boezio o a un altro? B )
Ibid., Ili, 5, p. 135 [ed. Webb, p. 140] : Cum itaque tam evidens sii utilitas
Topicorum, miror quare cum aliis a maioribus tam diu intermissus sit
Aristotilis liber, ut omnino aul fere in desuetudinem abierit, quando aetate
nostra, diligentis ingenii pulsante studio, quasi a morte vel a somno excitalus
est, ut revocarvi errante* et i iam veritalis quaerenlibus aperiret [PL]. “)
Ibid., IV, 24, p. 181 [ed. Webb, p. 191: e v. ivi la nota]: Salis ergo mirari non
possum quid mentis habeant (si quid tamen hubent) qui haec Aristotilis opera
carpunt.... Magisler Theodoricus, ut memini. Topica non Aristotilis, sed
Trecasini Drogonis irridebat; eadem tamen quandoque docuil. Quidam auditores
magistri Rodberti de Meliduno (v. appresso le note 453 e.) librum hunc fere
inutilem esse calumnianlur [PL I di Jibn aristotelici in generale, e prega
inoltre che vengano anche aggiunte annotazioni, data la possibilità che non ci
sia da fidarsi del traduttore 3 °). È invece di grande importanza veder da lui
citato un medesimo passo, sia nella traduzione di Boezio, sia anche, e
contemporaneamente, nella versione « nuova >«); e come quest’ultima si
distingue per essere più letterale, così in generale Giovanni si era fatta una
opinione abbastanza precisa in latto di traduzioni (soltanto cioè quando queste
aderìscono, quanto strettamente è possibile, secondo una regola rigorosa,
all’originale, è dato ottenere una con,prensione, garentita contro qualsiasi
pericolo di unilateralna da una « ratio indifferentiae »); egli dice che una
tale opinione ha trovato allora conferma e appoggio in un Greco da Severinum
(cioè da Szoreny in Ungliena), versato in entrambe le lingue 32 ). Ora quella I
Epist. 211 (II, p. 54 s ed. Giles 1PL 19Q oacn ri. > stotehs, quos habelis,
mihi facialis exscribi ) \. M,ro . s Ar " supplicatione, quatinus in
operibus Aristoteìis ubiZitr 'T "7"“ haaonetn: cicadàtionès enimJùntJ
-IL ^ rPL 199 io A m ct ' 11 .’ Sl sunt > menu ad rutionem Sei HI° IT ^
ÌPÌat ° n T dÌ ArÌS, °, • A’sitcaftratio indifferentiae per se stessa non
c’interessa per il momento qui, bensì la si vedrà intrecciarsi alla nostra
esposizione della logica di Giovanni da Salisbury (note 574 ss.); ma è ben cosa
che c’interessa lino da ora, che, in connessione con quella, egli ricordi
inoltre anche un secondo traduttore (parimente, è vero, senza riferirne il
nome), del quale aveva l'atto la conoscenza nelle Puglie 33 ). Ma se, coni’ è
attestato da questi importanti passi, il comparire di traduzioni nuove, ebbe
impulso nell’ Impero tuzantino, e, per opera di Greci, nell’ Italia
meridionale, e se di ciò ebbero notizia gli studiosi di logica a Parigi o in
Inghilterra, si avrebbe qui una prima traccia, sebbene passeggierà, di un
influsso dell’epoca di Anna Comncna (v. qui appresso le note 219 e 370, come
pure altre notizie nella prossima Sezione, note 1-5 ss.). Finalmente può ricordarsi ancora, per così
dire ad abundantiam, che negli scritti di Giovanni, accanto a citazioni coincidenti
in modo assolutamente letterale con la traduzione di Boezio, se ne trovano
anche di quelle, che bisogna chiamare per lo meno inesatte, semprechè non sieno
state originariamente attinte ad altra fonte 34 ). manga, aU’infuori da quel
Severinum che si trova in Ungheria [Webb: / orsan e civitate Sanctae Severinae
in Calabria (Santa Severina, prov. di Catanzaro)]. ") Ibid., I, 15, p. 40
[ed. Webb, p. 37; PL, 199, 843] : non pigebit re/erre, nec forte audire
displicebit quod a Graeco interprete et qui Latinum linguam commode noverai,
durn in Apulia morarer, accepi eie. M ) Tra le prime vanno annoverate: Metal.,
II, 15, p. 86 [ed. Webb, p. 88; PL, 199, 872] (Top., I, 11: nella traduzione di
Boezio, p. 667 [I, 9: PL, 64, 916]) e
II, 20, p. 110 [ed. Webb. p. 113; PL, 199, 887] (Anal. pr., I, 27: p. 490 della
traduzione di Boezio [I, 28: PL, 64, 669]).
Tra le seconde vanno annoverate: Metal., II, 9, p. 76 [ed. Webb, p.
75-6; PL, 199, 866] (Top., I, 11: p. 667 della traduzione di Boezio |I, 9; PL,
64, 917]) - II, 20, p. 100 [ed. Webb, p. 103; PL, 199, 880] (De sophisticis
Elenchis, cap. 22: nella traduzione di Boezio, p. 750 [II, 3; PL, 64,
1032]) III, 3, p. 126 [ed. Webb, p. 131;
PL, 199, 897] (Top., I, 9: p. 666 della traduzione di Boezio [I, 7; PL, 64,
915. Invece lo Webb rinvia a Cat., 4, 1 b 25 ss.]). CARLO PRANTL f§
S’iIVTENSIFlCA LO STimm np,, . A LOGICA C„„ la " tT Cm ' BEL
Pseudo-BoezioJ. Ora ch’è f, Tr filate
strato a sufficienza come antece 1, C °“ C1 ° dÌmo " letteraria di
Abelardo ^ “ f 1 ^ 6 aI1 ’ atti vità studio della logica fos’se stataT^à
arrfccWt^ T ^ sovra punti particolari e „ P arricchita, abneno piersi a poco a
dopo 1, ^ Ve “ Uta P OÌ a c °®Jisbury (di questo sr T°i 3 temP ° ^ Giovanni da
Saranno ancora “ ale « ; 0m P Ìme «‘o « si presenteci è reso noto cosìVfattor
T’* ?8 ’ 219 allora derivare un birre T t™™: ^ qUale doveva nell’attività
svolti 1 • "V™ ° ' lntensità e di estensione si SDie^a t rapporto
scambievole die ben SJ spiega, una forza cooperante era do, . . . dalla
teologia donunatica: e ciò nere! ' “ a f Uardo ' die Sia di fronte allo Scoto
EringLt a ortodossia,,„„l le ta Materi, * * " ' “ «“'»«. ’• stata all’erta
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n,e(lesin '° intesi» «.loro. z:::~ * r**r « lotte, si tiraron fuori a Ài * propria
vita d intime incularlo teologico affinclo" ordeea>
dall’armaeon,tastanti J '* Sci. era 'L SS ““ •“'« 1o»n« eliic’ mischiati anche
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fatta mettersi in più inten ^ d " C ^ pOSltlvamente a nitrologica messa in
condizioTeTdot ““ !" 8t ° rÌa deUa ~ no'opera di grazie a una certa
formulazione di principii logico-ontologici, potè esercitare azione
cooperatrice nelle controversie dei dialettici. Si tratta del de Trinitene del
Peeudo • B o e z i o, e a tal proposito non mancò naturalmente di manifestar il
proprio influsso il fatto che fosse ritenuto suo autore proprio Boezio, il
rappresentante di tutta la logica S5 ). Appunto in quell’epoca cioè, ossia a K
) Da Fr. Nitzsch (Dos System des Boethius und die ihm zugeschriebenen
theologischen Schrijten [«Il sistema di Boezio, e gli scritti teologici a lui
attribuiti »]), Berlino, 1860, furono svolte le più valide ragioni elle si
oppongono alla tesi [oggi invece generalmente accettata] che sia Boezio
l’autore dei trattati teologici a lui attribuiti. E se poi Hermann Usener,
Anecdoton Holderi [ : ein BeiIrug zur Geschichte Roms in Ostgotischer Zeit («
Testo inedito comunicato all’Usener da Alfred Holder: contributo alla storia di
Roma nel periodo ostrogotico »). Festschrift zur Begriissung dcr XXXII.
Versammlung deutscher Philologen und Schulmiinner in Wiesbaden], Lipsia
[rectius : Bonn] ha pubblicato di su un manoscritto di Reichenau del secolo X
un passo di un sunto di uno scritto di Cassiodoro finora sconosciuto ( il passo
Tp. 4] suona così: « Boethius dignitatibus summit excelluit. ulraque lingua
peritissima orator fuit.... scripsit librimi de sanciti trinitate et capita
quaedam dogmatica et librum contro Nestorium. condidit et carmen bucalicum. sed
in opere artis logicae id est dialecticae transferendo ac mathematicis
disciplinis talis fuit ut antiquos auctores aut uequiperaret aut vinceret » ) e
a ciò è unito un tentativo di dimostrazione dell’autenticità di quei
trattati, non direi che gli sia
riuscitoconciòdiconfutareffettivamente la opinione, rappresentata dal Nitzsch e
ripetutamente suffragata dai competenti specialisti. Poiché rimane senza
soluzione la contraddizione innegabile, che cioè un uomo, il quale si mantiene
assolutamente entro la sfera della filosofia della tarda antichità e non fa mai
il nome di Cristo, nè dice mai una parola intorno alla consolazione della idea
cristiana dell’opera di redenzione, si sia occupato minutamente di sottili
questioni di doinmatica cristiana. Se l’Usener (p. 50) dice che si devono
appunto tener separate le due personalità, dell’uomo e dello scrittore
appartenente alla storia della letteratura, questa è cosa che non sembra
possibile in tal maniera per l’autore della Consolatio philosophiae, il quale
anzi si trova direttamente in presenza della questione della teodicea,
questione appartenente all’orbita della religione. Ma poiché in quel
manoscritto di Reichenau neanrhe abbiamo un testo che sia dovuto allo stesso
Cassiodoro, bensì solamente l’opera di un epitomatore, che, come ammette
l’Usener (p. 28), riassume tutto il lavoro originale frettolosamente, e
attribuisce a Boezio fra l’altro anche un Carmen bucolicurn, rimane comunque
possibile che l’epitomatore stesso, stando sul terreno della tradizione ch'era
in circolazione dal tempo di Alcuino, abbia fatto partir da Abelardo 36 ), si
accumulano le citazioni tratte da quei quattro libri intorno alla Trinità, e
Gilbert de la Porrée li accompagnò con un ampio commento, sì che non era più
possibile lasciarli da parte, nel trattar delle questioni relative.,. Ma ’ 111
ordine a un influsso esercitato sopra la logica, c interessano qui
essenzialmente quegli assiomi, che l’Autore in principio del 3» Libro [cioè del
libro «Quomodo substantia, in eo quod sint, bonae sint, cum non sint smistanti
alia bona »] mette in testa a tutto, per poi ri arsi da essi, quando costruisce
nel corso ulteriore deiopera l’edifizio delle sue prove. Premessa una
definizione della communis conceptio, gli assiomi stessi”) si riferiscono alla
differenza, invalsa nella teologia, tra essenza Oòcfa) ed esistenza
(òrtóaraai?), in quanto che a quest ultima deve ancora aggiungersi la forma
dell’Essere, e per essa lia pertanto luogo una partecipazione, come pure risulta
la possibilità di un avere-in-sc, il che poi conduce alla distinzione di
sostanza e accidente, e serve di fondamento a distinguere due modi di essere di
quella partecipazione; ma, a tale proposito, viene ato rilievo anche alla
unità, in cui sono congiunte negli esseri semplici, a differenza dai composti,
la essenza e la es.stenza, e da ultimo viene messa in vista mia naturale
affinità di essenza in seno alla diversità esplicata. “Tp* * di Parigi, traua
r]af uth ’ ’ !•’ P ' ? 039 ’ Amho ™[ed. di d’Anjboisel W.Co^II.mTpI.iS
10Mr,Ser,,ti ^ Fra " S ° ÌS ZtaontZb no,a tìSu/ti£'Za rÌ39Ue etiam d “
ci,jlinis:Pr ° pOSUÌ «EQuesti prineipii, dei quali non ci concerne qui 1 uso
che se ne faccia nel campo teologieo-dommatico, non tardarono a essere citati, anche
da cultori della dialettica, come « regulae », insieme con altre « auctoritates
», e e da ritenere che vari studiosi di logica sin da principio, su questioni
ontologiche, si guardassero daH’andar contro questi assiomi, perchè poteva
inoltre esserci la minaccia di conseguenze pericolose, relativamente alla
Trinità. Così ne venne, che si ebbe qui non già soltanto una più larga
applicazione della logica alla teologia, ma anche un diretto influsso di
elementi dominatici sopra il movimento di elaborazione della logica nel suo
aspetto ontologico. [§ 9. Contrasto fra
logica e dogma]. Senza dubbio, con
questa mescolanza viene a verificarsi una situazione caratteristica, ed è cosa
notevole che in quell’epoca, naturalmente incapace di una chiara e meditata
separazione dei due campi (nel senso in cui 1 hanno intesa p. es. Cristiano
Thomasius o Pietro Bayle), venga enunciata tuttavia la incommensurabilità delle
due verità, teologica e logica, mentre si continuava a svolgere nello stesso
tempo i due punti di vista inconciliabili. Anzi proprio Abelardo stesso, il
Peripateticus Pwlatinus, ne dà la più eloquente testimonianza, quando 2)
Diversum est esse, et id quod est. Ipsum enim esse nondum est. At vero quod est, accepta
essendi forma, est alque consistit. 3)
Quod est, participare aliquo potest. Sed ipsum esse nullo modo aliquo
participat.... 4) Id quod est. Iutiere aliquid praeterquam quod ipsum est,
potest, ipsum vero esse nihil aliud praeler se, habet admistum. 5) Diversum est.... esse
aliquid, et esse aliquid in eo quod est: illic enim uccidens, hic substantia
significalur. 6) Omne quod est, parlicipat eo quo est esse, ut sit, ulio vero
participat, ut aliquid sit.... 7) Omne simplex esse suum, et id quod est. unum
habet. 8) Omni composito aliud est esse, aliud
ipsum est. 9) Omnis diversitas est discors, similitudo vero quaedam appetendo
est. Et quod appetii aliud, tale ipsum esse naluraliter ostenditur, quale est
illud ipsum, quod appetit fFL, dice che ai cultori della logica, ovvero
Peripatetici, Dio rimane ignoto, perchè da quelli tutto viene sussunto a una o
l’altra delle dieci categorie, laddove Dio non può cadere sotto alcuna di
queste 38 ) : e mentre ciò potrebb’eseere ancora interpetrato come il punto di
vista generale, venuto in uso fra i teologi da Agosthio in poi (efr. lo Scoto
Eriugena, Sez. precedente, note 120 s.), Abelardo, proprio relativamente alla
dottrina della Trinità, si pronuncia con la massima chiarezza, nel senso che
quella ha i suoi nemici più pericolosi nei dialettici o peripatetici 39 ),
argomentando costoro, dal punto di vista della logica, la unità individuale
dalla unità di essenza delle tre Persone, e, viceversa, dalla diversità delle
tre Persone la diversità della loro essenza 40 ). E non ténTI D B nRANn D VP
e0/ ' Chrht " V1271 (ne,la di Martene e Uuram) Thesaurus novus
Anccdotorum, Parigi, 1717, voi V) edt-ousin, II, p. 478]: Quod autem illi
quoque doctore's nostri UT intendimi Logieae. ill„ m summam majestatem, quam in
n . L eUm eSSe ',rofì "; nt ", r omnino ausi non sunt attingere, aut
Cum e Z oZ ? COm P rehender *’ ex ipsorum scriptis liquidum est. Cum erum omnem
rem aut substantiae aut alieni aliorum generalissimorum sub],ciani: inique et
Deum, si inter res ipsum eomdZnnZT ’ aut ? ubstantiis ’ quanti tali bus, aut
ceterorum pruedicamentorum rebus connumerarent, quod nihil omnino esse ex ipsis
convmcitur (p. 1273) [480].... qui tamen omnem rem aut siibstantiae aut alieni
aliorum praedicamenlorum applicanti palei leni 1’ ruCU,lu h .enpalelicorum
illuni summam [481] majeslatem omnino esse exclusam [PL], ' Christi'^tion / C 1
’, P ‘ 1242 C44, 8] j S " Pr " univers °> s autem inimicos
sani-lue TriniZZZ*’ J,,daeo \ sive Oenliles, subtilius fide,,, essores d el
Perquuunt. e, ucutius arguendo contendimi pròfessores dialecticae, seu import,mitas
sophistarum. quos verborum agrume atque sermoni,m inundatione bentos esse Plato
irridendo apZtzl mm T dem ’ ° ^ nane dZeZeos [PL^l 78, ]2 lT™ UUaS ^ maXlmM
haere *es.... esse repressas eie. eillinl "'Z'f 'I' P ' 1266 r472,: in
loco Kravissimae et difficili,mae Dialecticorum quaestiones occurrunt. Hi
quippe ex unitale duZsTtn, n ",tuU ' m Pecsonarum impugnanti ac cursus ex
[473] rìnZn, Pf ‘ rSO " an,m ldentlt !' u ‘ m essentiae oppugnare
laborant. rPL T?8 A C, TH Z'T"r P onamus ' r>°'« a dissolvamus di A . r
'° A, "dfd fa ora seguire una enumerazione, ' f P t nl, . tre *,
‘•«""•o 'a Trinità, ricavate dalla logica, per confutarle poi
teologicamente. 1 è facile (lifatti
metter d’accordo il concetto aristotelico della sostanza individuale con il
domina della Trinità, sicché a rigore tutt’i cultori della logica, che
seguivano Aristotele, si trovavano inevitabilmente esposti alla taccia di
eresia. [ § io. Pietro Lombardo.
Bernardo da Ciiiaravalle]. Così si
riesce a spiegare come Pietro Lombardo (morto nel 1164 [1160.'']), mentre sta
ad attestare la connessione tra la controversia intorno alla Trinità, e la
scissione delle tendenze sul terreno della logica, respinga nello stesso tempo
qualsiasi applicazione della logica a quella fondamentale questione della
teologia 41 ). Anzi egli stesso è esclusivamente puro teologo in così alto
grado, che per lui la questione degli universali in generale non è neanche
oggetto di contesa; e mentre più tardi (particolarmente nella Sez. XIX) avremo
a sazietà occasione di ravvisare nei numerosi commenti ai « Sententiarum libri
quatuor » del Lombardo (ch’eran divenuti, com’è noto, il fondamento di tutta
quanta la letteratura teologica) un principale teatro della guerra intorno agli
universali, il Lombardo “) Petri Lomhardi Sententiarum 1, 19, 9 (/. 27, ed. dl
Ira, 1516 fdi Quaracclii: S. Bonaventurae Opera omnia l,p. ifUj): Videlur tamen
mihi ita posse accipi. Cum alt (seAugustinusJ « substantia est commune, et
hypostasis est particulare » ; non ita haec accepit, cum de Pro dicantur, ut aecipiuntur
m phtlosophtca disciplina, sed per similitudinem eorum quae a philosophis
dicuntur. locutus est; ut sicu/ ibi commune vel universale dicitur quod
praedicatur de pluribus. particulare vero vel individuimi quod d uno solo; ita
hic essentia divina dieta est universale, quia de omnibus personis simili et de
singulis separutim dicitur, particulare vero singula quaelibet personarum, quia
nec de alus hoc de aliqua aliarum singulariler praedicatur. I ropter
similitudinem ergo pruedicalionis substantiam Pei dixit universale, et P^ s
°nas particularia vel individua.... (e. 101 Dicuntur enim ^ d^erre numero,
quando ita difjerunt. ut hoc non sit tUud.... dl b ferunt Socrates et Pialo et
huiusmodi, quae apud philosophos dicuntur individua vel particularia; iuxta quemi
modum non possunt dici tres personae differre numero. Etc. [PI-, 192, 57 1 (I,
1, 14 e 1 )]. non si è in alcun luogo immischiato egli medesimo in questa
controversia, bensì solamente, con l’uso di determinate innocenti parole, ha
offerto a’ suoi conunentatori motivo occasionale di dare, nella lotta già
divanipata, libero corso al loro infiammato zelo. E come ciò si è verificato
nella più larga misura per le parole testé mentovate del Lombardo, così il
lettore delle « Sente*tiae » non può, a proposito di moltissimi luoghi, avere
neanche il piu lontano sentore della caterva di discus«oni, attinenti a,
problemi logici, che vi si sarebbe più tardi riattaccata la). De] resto ^ p.^
riproducono anche le sofistiche quistioni, più sopra (Sez. precedente, nota
303) citate, dibattute dalla teologia medievale « ■»). Nello stesso senso può
ricordarsi che anche un altro celebre contemporaneo, cioè Bernardo da Chi ara
valle (nato nel 1091, morto nel 53) apertamente si professa nemico della
dialettica «). simplex, i. e.'indivisibìlh et inmateliaÙs^pluna’ Es " cn,
j a restie! f r ia ’ te r de •h 1-2)1. O similmente L^L^ T-'T^ Qua «u,r'rÌ’ V
49 ’ r 61 ‘ 5 f?) ’ n, 17, i m ; ’ 19 ’ 1 fed ' logia trovò e aÌche°i dd
in -Ha teotenga esclusivamente alla
letteratura tcXrir° 0013 478) ’ appar " libro di Fr. Protois Pierri* tomi
ì .° 0f!ter m veniendam necescst logica causa elLuenZZ N P™ Slma «»'*•» omnium
inventa disciplinas investigarmi et ’unireM Tert'’ ^ prn ! !tl ' ct, as Principales
tractare, et disserro de UlZc Zà veracl ™’ honestius dlas cius per dialecticum,
honestius ner rhoZ ** ^ (,mmati c«m, veracundiae rectitudinem veritatem heU,
rtcam. Logica namque fa^asi testualmente nel mZZ’X"‘TZ ad ^ nitt ^ U
s,esso 809]); cfr. ibid.. I r „ ) ì 2 Vn 7 m’ TI ; P 39 fPL > 17 6, 745,
752, 765], P ' ’ 2 (l >7); III, 1 (p . i 5) tPL> 176 . 1 Lhdasc., I, 12
(Opp., HI, p . fj) mj j 7fi 7 . q| . repertae fuerant; sed necesse luitloZ ’ *
. ' • Ceterae pnus nemo de rebus con veniente J PljZ quoque invemn ; quoniam
quandi rationem agnoverii. / 6,u"vi
TmÓ' iqf IpZZZm ^ Istae tres usu prirnae lucrimi to/ i * * 176, 8091: venta est
logica Ouae cum dt i p ? stca P r °Pter eloquentiam indebet in doctrina Fr, J
‘, -''"'T' Ul " ma ' prima tamen Excerpt. pnor., loc. ciL, c. 23: In
designa la logica come « sermocionalis », perché tratta « de vocibus » 47 ), e
la divide ora in una maniera che ci ricorda molto da vicino lo Scoto Eriugena
(Sez. precedente, nota 105), dimodoché, appartenendo alla logica, secondo la
più vasta accezione della parola Àóyoc, ogni manifestazione della facoltà di
parlare, la logica stessa si divide così in grammatica e logica rarìonalis:
quest’ultima, corrispondente all’accezione più ristretta della parola Àóyo;,
viene poi ulteriormente suddivisa nella maniera ordinaria, tenuti presenti i
passi ovunque divulgati di BOEZIO. Movimento più intenso: grande estensione, E
IN PARI TEMPO CARATTERE UNILATERALE, DELLA LETTERATURA ATTINENTE ALLA
LOGICA]. Ben è vero che sarebbe stato
certo più comodo lasciare sin da principio legendis urtibus talis est orda
servandus. Prima omnium comparando est eloquentia, et ideo expetenda logica,
deinde etc. [PL], ) Didasc., II, 2 (p. 7) [PL Philosophia dividitur in
theoricam, practicam, mechanicam, et logicum. Hae quatuor omnem continenl
scientiam.... Logica sennotionalis, quia de vocibus tractat.... Hanc divisionem
Boetius fucit uliis verbis.... (segue il passo citato più sopra, Sez. XII, nota
76). *) Ibid., I, 12 (p. 6): Logica dicitur a Graeco vocabulo Àóyog, quod nomen
geminam habet interpretationem. Dicitur enim Xiyog sermo sive ratio (v.
Isidoro, Sez. precedente, nota 27): et inde logica sermotionalis sive
rationalis scientia dici polesl. Logica ralionalis, quae discretiva dicitur,
continet dialecticam et rhetoricam. Logica sermotionulis genus est ad
grammaticum, dialecticam atque rhetoricam: et continet sub se disertivam. Et
haec est logica sermotionalis, quam quartam post theoricam, practicam et
mechanicam annumerami^ [PL, 176, 749-501.
Excerpt. prior. TI1, c. 22 (p. 339): Logica dividitur in grammaticum, et
rationem disserendi. Ratio disserendi dividitur in probabilem, necessariam. et
sophisticam. Probabilis dividitur in dialecticam et rhetoricam. Necessaria
pertinet ad philosophos, sophistica ad sophistas (v. BOEZIO). Grammatica
filosofica est scientia RECTO loquendi. Dialeclica dispulalio acuta, verum a
falso distinguens. Rhelorica est disciplina ad persuudendum quaeque idonea [PL,
177, 201-21. Didasc., Il, 29 (p. 14):
Logica dividitur in grammaticam. et in rationem disserendi. Grammatica razionale,...
est litteralis scientia.... Ratio disserendi agii de vocibus secundum
intellectus fPL, 176, 7631. Ibid-, 31
(p. 15): Ratio disserendi esaurirsi tutta quauta la logica in un simile cliché
tradizionale, e a questo modo anche le idee platonico-cristiane, del pari che
la dommatica teologica, avrebbero potuto continuare, senz’essere turbate nella
loro ingenuità, la innaturale loro alleanza con avanzi di aristotelismo
atrofici e contorti. Tuttavia l’intimo impulso ch’è peculiare alla dialettica,
era pur anche rimasto vivo, già fino a questo momento, in seno alla stessa
ecclesia docens, e poiché ora, come s’è visto, da due lati si faceva strada una
più energica spinta (da due lati: vale a dire, da un lato, proprio per effetto
della controversia dommatica intorno alla Trinità, e dall’altro, per effetto
della conoscenza sporadica, la quale gradualmente veniva compiendosi, dei libri
aristotelici fin allora ignoti), si levò ora, nel tempo stesso, sul terreno
della logica, accanto alla scuola di S. Vittore, con tutto il suo misticismo,
un ricco movimento, diviso in molteplici diramazioni : e qui la stona della
logica, dovendosi stare alle fonti esistenti, entra in un periodo di difficoltà
estrema. La difficoltà consiste cioè per prima cosa in questa circostanza, che
le informazioni a noi accessibili discendono bensì con abbondanza di notizie
sino al minuto particolare, ma intanto, con la loro forma semplicemente
frammentaria, ci lasciano all’oscuro, riguardo a tutt’i fili di collegamento: a
ciò si aggiunge ancora il carattere indeterminato della usuale espressione «
quidam » ch’era in uso [per designare i rappresentanti di una data tendenza], o
della integrale partes habet, inventionem et judicium (v. più sopra Boe:
divisivas vero demonstrationem, probabilem, sopluslicam. Demonstratio est in necessariis
argnmentis, et pertinet ail philosophos. Probubilis pertinet ad dialecticos et
ad rhetores. Sophistica ad sopliistas et caviliutores. Probubilis dividitur in
dialecticam et rhetoricam, quorum utraque integrales partes habet invenhonem et
judicium [PL, 176, 764], Parimente ibid.. Ili, 1 • i i * k’ 176, 765], Le stesse notizie
ritornano in una € Epitome iti philosophiam » «li Ugo, edita dall’ Hauréau
(Hugues de Saint-Victor: nouvel examen de l’èdition de ses oeuvres, Parigi
indicazione del nome di im cultore della logica, con la semplice lettera
iniziale; e così in generale (particolarmente p. es. riguardo a quel frammento,
al quale il Cousin diede il titolo « De generibus et speciebus ») 4 "), la
ricerca, che comunque sarebbe di già malagevole, viene attraversata inoltre da
molteplici difficoltà letterarie; per di più fra i relatori ce n’è parecchi che
in se medesimi son poco degni di fede, e c’imbattiamo in contraddizioni, che
non possiamo, per mancanza di altre fonti, risolvere in maniera adeguata. Ma se
poi si domanda ancora come questo materiale slegato e lacunoso debba venir
elaborato per la presente esposizione, ecco quel che debbo limitarmi a
rispondere: data la impossibilità di svolgere il pensiero dei singoli autori
(per la maggior parte non meglio conosciuti) secondo Cordine della successione
storica, io sono riuscito a trovare, dopo molta riflessione, soltanto
l’espediente di presentare l’epoca di Abelardo in blocco, e precisamente in tal
modo che, analogamente a quel che ho fatto nella Sezione XI, vengano messe
sott’occbio le numerose controversie, secondo l’ordine di successione di quei
gruppi che, negli studi di logica di quell’epoca, prevalgono per importanza,
quanto al contenuto; a tal riguardo è da notare che le varie opinioni intorno
alla Isagoge, cioè la disputa intorno agli Uni«) Non poteva non esser «ausa di
grave confusione, l’errore degli eruditi francesi, i quali con il Cousin hanno
ritenuto che questo frammento sia opera di Abelardo; sopra tale punto ha più
rettamente giudicato H. Ritter (sebbene non sia per noi accetta» bile la sua
congettura, riguardo l’autore di quello scritto: v. appresso la nota 146);
invece a prescindere dal Rousselot, che
non poteva ancora avere sott* occhio, quando compose la sua opera [Études sur
la philosophie dans le Moyen a Parigi, 1840-21, il VII 0 volume del Ritter anche il RÉMUSAT e persino I’Haureau han
fatto le. viste di non conoscer affatto la opinione del Ritter,. e, aderendo al
Cousin, si sono fondati sopra quello scritto per costruire argomentazioni, che
dovevano nuocere alla esatta esposizione della controversia intorno agli
universali. CABLO PRANTL versali, offrono un materiale più vasto che non i
dibattiti sopra le rimanenti parti della logica. Ma mentre degli autori più
eminenti e meglio conosciuti si viene così a parlare, in connessione con questi
motivi attinenti al contenuto, bisognava senza dubbio che io facessi una
eccezione, proprio per Abelardo: le vedute di lui intorno agli universali
potranno pine a loro volta esser fatte oggetto di sufficiente disamina
solamente più tardi, quando si tratterà di esporre la caratteristica di tutta
quanta la sua Dialettica, poiché egli è invero il solo, del quale possediamo
uno scritto, che abbracci quasi intiera la sfera della logica. Tuttavia mi è
sembrato che un tale smembramento della esposizione delle controversie, per
quanto si riferiscono agli universali, fosse qui proprio il minore
degl’inevitabili inconvenienti. Ad Abelardo potremo poi far seguire, allo
stesso modo, principalmente Gilbert de la Porrée e Giovanni da Salisbury. Per
effetto delle ragioni suindicate, lo studio della logica, a prescinder dalla
sua universale diffusione in tutt’i paesi, decisamente progredì, quanto alla
intensità, in rigore e precisione, e per quanta era la estensione del materiale
allora accessibile ai cultori della logica, ci si abituò, con la maggior
esattezza possibile, a ponderar e lumeggiare da vari lati tutte le particolari
tesi o controversie: certo con questo lavoro, mancando in modo assoluto una
base propriamente filosofica, poteva venir fuori soltanto una sottigliezza
contraddistinta da unilaterale formalismo, e die per un verso doveva condurre
al massimo sminuzzamento nella formazione di contrastanti indirizzi, mentre per
l’altro verso fu, a sua volta, parimente alimentata e rafforzata da quello: e
il numero dei magiatri, che in tal maniera, per lo più risolvendo polemicamente
i contrasti di opinioni, esplorarono con cura tutto il campo della logica, non
può forse, nella sola Francia, essere rimasto molto al di sotto del centinaio.
Non farà meraviglia che in un tale movimento quelli che non avevano a priori,
per ragioni teologiche, un sacro orrore della logica, si trovassero spesso
imbrogliati, al primo momento che ne intraprendevano lo studio 50 ) ; anche a
noi vengon pure quasi le vertigini, quando dai particolari frammentari
risaliamo a una conchiusione concernente quella totalità, alla quale essi
avevano appartenuto. È una grande illusione, a proposito del movimento di
quell’epoca nel campo della logica, creder di potersela cavare con i due
termini di « nominalismo » e « realismo », tutt’al più aggiungendone ancora un
terzo, cioè « concettualismo », poiché in primo luogo, come apparirà manifesto,
la divisione in tendenze contrastanti è ben più molteplice, e questa, in
secondo luogo, costituisce soltanto una parte dell’attività complessiva
spiegata nello studio della logica. Le
vicende dello studio della logica, NEL RACCONTO CIIE NE FA GIOVANNI DA
SALISBURY. Se ci possiamo interamente fidare di Giovanni da Sali-sbury, il
quale spesso in verità si è limitato a metter giù impressioni generiche, e in
buona parte puramente a memoria (v. appresso la nota 536), in quei decenni il
corso seguito dalla logica nel suo svolgimento, in quanto essa fu rielaborata
in compendi (artes) o in commenti o semplicemente in glosse 51 ), sarebbe 6tato
in complesso il seguente. Giovanni parla cioè di un awerM ) Abael. Dialect.,
ediz. Cousin, p. 436: Sed quia labor hujus doclrinae diuturna*.... jatigat Icctores,
et multorum studia et aelates sublilitas nimia inaniter consumit, multi.... de
ea diffidentes, ad ejus angustissimas fores non audenl accedere; plurimi vero
ejus subtilitate confusi, ab ipso aditu pedem referunt. 51 ) Joh. Sakesb.
Metal., ITI, Prol., p. 113 (ed. Giles, voi. V [ed. Wclib, p. 117; PL): Nec in
transitu vel semel dialecti- corum attigi scripta, quae vel in arlibus vel in
commentariis aul glosematibus scienliam pariunt aut retinent aut reformanl. II
sario della sua concezione della logica, da lui simbolicamente denominato
Cornificio (v. appresso le note 528 se.), e in tale occasione dice 52 ) che
quel modo di fare, venuto in voga, di chi, senza uno studio metodico e
faticoso, vuol diventare filosofo, ma riesce in realtà a diventare solamente un
sofista e a addestrare gli altri nella pura sofistica, proviene da quella
scuola, nella quale ) Ibid., I, 1, p. 13 [ed. Webb, p. 8]: Cornificius non ter,
stu- diorum eloquenliae imperilus et improbus impugnatoti. (2, p. 14 [ed. Webb,
p. 9]): populum qui sibi credat habet; et.... ei.... turba insipientiurn
adquiescit. lllorum tnmen maxime, qui.... videri quam esse appelunt
sapientes.... 3, p. 15 ss. 110J: sine arlis beneficio.... faciet eloquentes et
tramite compendioso sine labore philosophos.... Eo autem tempore ista
Cornificius didicit quae nunc docenda reservut,... quando in liberalibus
disciplinis Intera nichil erat et ubique spiritus quuerebutur, qui (ut aiunt)
latet in littera. Ylum esse ab Hercule, validum scilicel argurncnlum a forti et
robusto argumentutore..., et in hunc modum docere omnia, sludium illius aetatis
erat. Insolubilis in illa philosophantiurn scola lune temporis quaestio
habebatur, an porcus, qui ad renalicium agilur, ab homine an a funiculo
teneatur. Item, an capucium
emerit qui cuppam integram comparava. Inconveniens prorsus erat oratio, in qua
haec verbo, «conveniens » et « inconveniens », « argumentum » et « ratio» non
perslrepebant, multiplicatis particulis negativis, et traiectis per « esse » et
« non esse », ita ut calculo opus esset, quotiens fuerat disputandum.
Sufficiebat ad victorium verbosus clamor; et qui undecumque aliquid inferebat,
ad propositi perveniebat metam. Eoetae, liisloriographi habebanliir infames, et
si quis incumbebat labori bus anliquorum (cioè degli autori dell’antichità,
Porfirio, Boezio), .... omnibus erat in risum. Suis enirn atit magistri sui
quisque incumbebat inventis. l\ec hoc tamen diu licitum, curn ipsi
auditores.... urgerentur, ut et ipsi, spretis bis quae a doctoribus suis
audierant, cuderent et conderent novas scctas. Fiebant ergo summi repente
philosophi; nani qui illiteratus accesserat, fere non morabatur in scolis
ulterius quam eo curriculo temporis, quo avium pulii plumescunl. Jtaque
recentes magistri e scholis ... pari tempore.... avolabanl. Bcce nova fiebant
omnia; innovabatur gramalica, immutabatur dialectica, contemnebatur rethorica;
et novas totius quadruvii vias, evacuatis priorum regulis, de ipsis
philosophiae aditis proferebant. Solam « convenientiam » sive « rationem »
loquebantur, « argumentum » sonabat in ore omnium, et.... nominare.... aliquid
opertim naturar instar criminis erat aut ineptum nimis aut rude et a philosopho
alienum. Impossibile credebatur « convenienter »
et ad rationis » normam dicere quicquam, aut facere, nisi « convenientis» et «
rationist mentio cxpressim esset inserta. Sed nec argumentum fieri licitum,
nisi praemisso nomine argumenti [PL ci si voleva mostrar geniali di suo, con
l’occuparsi, senz’altro fondamento che l’attitudine logica innata, di
controversie del genere più balordo (p. es., se un maiale, portato al mercato,
è tenuto dalla fune o dall’uomo, e simili), sempre tuttavia sputando con
arrogante albagìa alquanti termini tecnici della logica, un indirizzo, questo, tanto intollerante nei
riguardi di qualsiasi altra scienza e studio, quanto destinato, con la sua
mania del nuovo e il rapido trapasso dall’apprendere all’insegnare, a
frantumarsi subito nella più confusa varietà di vedute individuali. Questo
anfanare senza ima direzione, ha avuto ora per conseguenza 53 ), che ialini,
persuasi della vanità di siffatte cose, in preda a un pessimismo universale, si
son rifugiati nei monasteri, altri han posto mano, a Salerno e a Montpellier,
allo studio della medicina, per coltivare ora questa scienza con lo stesso
spirito cavilloso che prima mettevano nello studio della logica : ma altri a
lor volta cercavano di campare alle corti dei ricchi e dei potenti, e altri
infine, a nulla pensando fuorché a guadagnare quattrini, si son dedicati alle
sfere più basse di attività (v. appresso la nota 530): insomma, con tutta
questa genia, la logica e la scienza in generale son cadute nel massimo
dispregio. In seguito tuttavia continua
Giovanni ) per opera ") Ibid., c.
4, p. 18 ss. [ini. Webb, p. 12; PL, Alii
namque monuchorum aul clericorum claustrum ingressi sunt.... deprehendentes in se et aliis
praedicantes quia quicquid didicerant vanitus vanitatum est. Alii autem....
Salernum vel ad Montem Pessulanum projecli, facti sunt clientuli medicorum, et
repente, quales fuerant pliilosophi, tales in momento medici eruperunt...Alii....
se nugis curiulibus mancipaverunt ut, magnorum virorum patrocinio jreli,
possent ad divitias aspirare.... Alii autem.... ad vulgi profession.es easque
profanas relapsi sunt; parum curante* quid philosophia doceat.... dummodo rem
faciant f 11 » 6 > P138 [ed. Webb, p.
143; PL, 199, 904]: Non... inanem reputem operam modernorum, qui equidem
nascentes et convalescentes ab Aristotile, inventis eius nudlas adiciunt
rationes et regalas prioribus aeque firmas..Habemus graliam.... Peripatetico
Palatino, et alus praeceptoribus nostris, qui nobis proficere studuerunt vel in
explanatìone veterum vel in inventione novorum. ) Epist. 181 (voi. I, p. 298,
ed. Giles) [PL, 199, 179]: Sludiis tuis cangratulor, quem agnosco ex signis
perspicuis in urbe garrula et ventosa, ut pace scholarium dictum sit, non tam
inutilium argumentationum locos inquirere, quam virlutum. Tuttavia è anche possibile, poiché non sappiamo
nient’allro sul conto del Maestro Ra«E*» N,CER ' destinatario dt questa
lettera, che per urbs ventosa debba intendersi Avignone, essendo passato in
proverbio: « Avenio ventosa, stne vento venenosa, cum vento fastidiosa » fluiva
col non sapere nemmeno più quale fosse la opinione sua propria S8 ) : e intanto
poi, per amor di gloria personale, si disprezzavano anche gli autori antichi, e
si metteva da parte quell’ordine, al quale la logica scolastica si soleva
attenere 5B ). E infine vien fatta ora inoltre espressamente la osservazione,
che questo enorme e stupido dispendio di tempo e di energie aveva per suo
principale obbietto la Isagoge, e che questa veniva commentata, assumendosi a
compito esclusivo e supremo la contesa intorno agli universali 60 ), sicché da
ultimo nella *') Melai., II, 6, p. 72 [od. Webb, p. 71]: Indignantur....
puri philosophi et qui omnia praeter logicam dedignantur, aeque grammaticae ut
phisicae experles et ethicae.... c. 7, p. 73 [72] : qui damant in compilis et
in triviis docent, et in ea, quam solam profitentUT, non decennium aut vicennium,
sed lolam consumpserunt aelatem.... Fiunt itaque in pile rili bus Achadcmici
senes, omnem dictorum aut scriplorum excutiunt sillabam, immo et litleram;
dubilanles ad omnia, quaerentes semper, sed numquam ad scientiam pervenientes;
et tandem convertuntur ad [73] vaniloquium, nesciente* quid loquantur aut de
quibus asserant, errores condunt novos, et antiquorum (cioè degli autori
dell’antichità, come più sopra, nota 52) aut nesciunt aut dedignantur
sententias imitari. Compilant omnium opiniones, et ea quae eliam a vilissimis
dieta vel scripta sunt, ab inopia iudicii scribunt et referunl.... Tanta est
opinionum oppositionumque congeries, ut vix suo nota esse possit auctori
[PL], lbid-, c. 18, p. 93 [96; PL] : De
magistris ani nullus aut rarus est qui doctoris sui velit inhaerere vesligiis.
Ut sibi faeiat nomea, quisque proprium cudit errorem. Polycr., VII, 12, p. 126 [cd. Webb, li, p.
141] : Veterem.... quaestionem in qua loborans mundus iam senuit, in qua plus
temporis consumptum est quam in adquirendo et regendo orbis imperio
consumpserit Coesarea domus.... Haec enim tam diu multos tenuit ut, cum hoc
unum in tota vita quaererent, tandem nec istud nec aliud invenirent [PL, 199,
664]. V. inoltre appresso, nota 540. “1 Enthetìcus, v. 41 ss.: Si sapis
auctores, veterum si scripta recenses, Ut staluas, si quid forte probare velis,
Undique clamabunt « i ctus hic quo tendit asellus? Cur veterum nobis dieta vel
acta refert? A nobis sapimus, docuit se nostra juventus, Non recipit veterum
dogmata nostra cohors. Non onus accipimus, ut eorum verbo sequamur, Quos habet
auctores Graecia, ROMA colit.... » (v.
59) « Temporibus pioniere suis veterum bene dieta. Temporibus nostris jam nova
sola placent ».... Haec schola non curat, quid sit modus, ordove quid sit, Quam
teneanl doctor discipulusque viam [PL Metal., II, 16, p. 89 [ed Webb, p. 901:
Sed quia ad hunc elementarem librum (cioè le Categorie) magis elementarem
quodamSTORIA DELLA LOGICA IN OCCIDENTE disamina dello scritto di Porfirio si
finiva con il cacciar dentro tutta la filosofia, offrendosi in tal modo un
campo alla sodisfazione della vanità personale, e ugualmente recandosi danno
all’insegnamento La polemica intorno agli universali: si PUÒ DIMOSTRARE CHE
ALMENO TREDICI ERANO LE CORRENTI, NELLE QUALI SI DIVIDEVANO LE OPINIONI SU
QUESTO PROBLEMA. Così le notizie, di carattere più generale, trasmesseci da
Giovanni da Salisbury, ci portano naturalmente a prender in esame le
controversie intorno agli universali, e da quel che abbiamo veduto sinora, ci è
lecito concliiudere legittimamente, che la contesa divampò, in quella maniera
unilaterale e sofistica, nei primi decenni del secolo XII, sicché qui si
presenta manifesta la connessione storica con la comparsa di Roscelino e con le
lotte insorgenti in quell’epoca (v. la Sez. precedente, note 312 ss., e
particolarmente 326). Ci sono anzi ragioni interne, militanti a favore della
opimodo scripsit Porphirius, eum ante Aristotilem esse credidit antiquilas
praelegendum. Recte quidem, si
recte doceatur; id est ut tenebras non inducat [91] erudiendis nec consumat
aetatem.... c. 17, p. 90: Naturam tamen universtdium hic omnes expediunt, et
altissimunì negotium et maioris ìnquisitionis contro menlem auctoris explicare
[92] nituntur. Ibid., Ili, 5, p. 136 [141]: qui in Porphirio aut
Categoria explanandis singuli volumina multa et magna conscribunt [PL, 199:
873-4, 903]. Ciò trova conferma in una espressione di Abelardo: v. appresso la
nota 104. I Ibid., I], 20, p. 113 [ed. Webb] : Nec fideliter cum / or ph trio
nec utiliter cum introducendis versantur qui omnium de generibus et speciebus
recensent opiniones, omnibus obviant, ut tandem suae inientionis erigant
titulum. Ibid., Ili, 1, p. 117 [ c d.
Webb, p. 121]: Austerus nimis et durus magister cst'lollens quod positura non
est et metens quod non est seminatum, qui Porphirium cogit solvere quod omnes
pbilosophi acceperunt; cui salisjactum non est, nisi libellus [122] doceat
quicquid alicubi scriptum invenitur.
Polycr., VII, 12, p. 129 [ed. Webb, II, p. 144]: Qui ergo Porpniriolum
omnibus philosophiae partibus replent, introducendorum obtundunt ingenia,
memoriam lurbant | PL, 199: 888, 891, 666], Vedi inoltre il passo di Guglielmo
da Conches, che si troverà citato appresso, ne, secondo la quale, a partir da
quel momento, nelle controversie concernenti gli universali, sarebbe stata
piuttosto prevalente, in un primo tempo, la concezione nominalistica : non
soltanto infatti è indizio di una tale prevalenza la circostanza, che quei
cultori della logica, a quanto riferisce Giovanni, assumevano un contegno
esclusivistico e intollerante contro qualsiasi scienza reale (note 52 e 58), ma
riesce anche facile argomentare che gli scrittori citati da Giovanni, come
benemeriti del risveglio degli studi di logica, tutti quanti alieni da un
nominalismo estremo, o anche in parte avanzati sino ai limiti estremi del
realismo, hanno provocato o promosso in ogni caso una rivoluzione, la quale
determinò il passaggio dai principii nominalistici verso differenti cammini. Ma
da una più esatta e approfondita ispezione delle fonti a noi accessibili,
risulta chiaro che, per tale riguardo, come abbiamo già detto, il dissidio
delle opinioni non si aggirava soltanto entro i limiti di un contrasto
dicotomico o tricotomico, bensì si manifestava distinto in una serie di graduazioni
più numerose. La più precisa notizia ce la dà ancor una volta Giovanni da
Salisbury, e, stando a quella, la diversità di opinioni relativamente agli
universali, ha preso la forma seguente: 1) la opinione di Roscelino, che gli
universali sieno voces 6J ) : v. le note
76 ss. di questa Sezione; 2) quella di Abelardo e de’ suoi seguaci, che cioè
gli universali vadano ridotti a sermones, non potendo K ) Metal., Il, 17, p. 90
[ed. Webb, p. 92; PL, 199, 874], dove alle parole testé citate (nota 60) fa
seguito immediatamente quel passo intorno a Roscelino, che abbiamo veduto alla
nota 318 della Sezione precedente. mai il predicato di una cosa esser esso
stesso una cosa 03 ): v. appresso le
note 283 ss.; 3) la tesi, che intellectus o nono, nel senso attribuito a questi
termini da Cicerone (cioè dagli Stoici), sia ciò che si chiama « universale » M
) : v. appresso le note 581 se. Da
costoro Giovanni distingue poi quelli che si tengono attaccati alle cose ( «
rebus inhaerent »), ma a lor volta si scindono in varie tendenze, e dunque: 4)
la opinione che fu poi subito ancora abbandonata, di Gualtiero da Mortagne,
secondo la quale gli unie! ) lbid.: Alius sermones intuetur et ad illos
detorquel quicquid alicubi de universalibus meminil scriptum ; in hoc attieni
opinione deprehensus est Peripateticus Palatinus Abaelardus nosler, qui multos
reliquit et adhuc quidem aliquos habet professionis huius sedatores et testes.
Amici mei sunt ; licet ita plerumque captivatam detorqueant litleram ut vel
durior animus miseratione illius movetur. Rem de re praedicari monslrum
dicunt; licet Aristotiles monstruositatis huius auctor sit, et rem de re
saepissime asseral praedicari; quod palam est, nisi dissimulent, familiaribus
eius. **) lbid. (in continuazione): Alius versatur in intellectibus, et eos
dumtaxat genera dicit esse et species. Sumunt enim occasionem a Cicerone et
Boetio, qui Aristotilem laudani auclorem, quod haec credi et dici dcbeant
noliones. « Est autem », ut aiunt, « notio ex ante
perceplu forma cuiusque rei cognitio enodatione indigens » (cosi effettivamente
Cicerone, nel passo citato alla nota 37 della Sez. Vili, passo che mostra
tuttavia nello stesso tempo com’egli si riferisse non già ad Aristotele, bensì
a « Graeci », cioè agli Stoici). Et alibi; « Nodo est quidam intellectus et
simplex animi concepito » (così Boezio, ad Cic. top. [Ili], p. 805 [PL, 64,
1106], dove si commenta quel passo di Cicerone: solo [che in Boezio si legge r,
" ltUr ea in Versoi r "“°" e singularibus specialissima
genelerce 1 aque ™nstuml. Sunt qui more mathematicorum « fornuis » 142] rifinì
AW'/ 1 lddquid de univLalibus lert.l.,,1
referunl. Alu discutiunt «
tntellectus » (3) et eos uniiZ “ U uomimbus censeri confirmanl. Fuerunt et qui
«voces» (lt ìm*h. UùJZ U L S "'“ *•-»» «M,,c qui r l JVella ediz. Cousin
degli Outr. inéd. d’Abélard p 513n P genertbus et speciebus diversi diversa
sentiunt. Alii namqul voces rebus Zo a n?hil P ho PS «dngularcs esse affirmant,
in rebus vero mìni horum assignant. Alti
vero res generales et speciales universales et singulares esse dicunt; sed et
ipsi interne cieTe» 0 *, ' ntlUnt P'"d« m enim dicunt singularia individua
esse species et genera subalterna et generalissima, alio et alio modo alterna
mento la distinzione tra coloro che qualificano gli universali come vox
[voces], e quelli che li considerano come res, ma della posizione di questi
ultimi vengono nominate soltanto due sottospecie, cioè 10) la così detta ratio
indifferentiae (v. appresso le note 132 ss.) e 11) il punto di vista di
Guglielmo da Champeaux, v. le note 102
ss. Di queste varietà di opinioni parla inoltre una volta anche Abelardo 7S ),
ricordando, in seno al realismo, pri(lo stesso autore indica questa opinione
come « sentendo de indif- ferendo »: v. appresso la nota 133). Atti vero
quasdam essendas universales fingimi, quas in singulis individuis totas
essentialiter esse credunt (che qucst'ultima sia la opinione di Guglielmo,
risulterà chiaramente appresso). ™) iE cioè nelle Glossulae super Porphyrium,
già più sopra (nota 13) ricordate, e riferite dal Rémusat, op. cit., p. 96
(neanche qui purtroppo ci vicn fatto conoscere il testo originale): La grande
queslion que PorphyTe indique en débutant.... arrète Abélard, et il est
presque obligé de la traiter seulement pour la poser. Toules les opinions sur
les universaux se prévalent, diuil, de grundes auto- rités [testo originale,
ed. Geyer: «De generibus et s peci eh us quaestiones enodarc compeUiinur, quas
(nec ipse Por- pkyrius ausus est solvere, cum cas tamen tangendo ad earum
inquisitionem accenda! lectorem ». E,
dopo aver accennato alla varietà delle soluzioni proposte : «tamen unusquisque
lue- tur se aurtorilate i u d i c e » (p. 512)] (già qui la traduzione del
Rémusat è sbagliata, poiché nella nota egli riproduce le parole dell'originale,
« unus quisque se tuetur auctoritale iudice », e queste voglion dire che
ciascuno avvalora la propria opinione con l’autorità tradizionale, cioè
Aristotele).... p. 97 : Le premier syslème est celiti de l’existence des choses
universelles. lì est plusieurs manie- res de Vétablir. Suivant l’une eie. [Geyer, p.
515: .... primam (se. sententiam de universalihus) quae de rebus est, primi-
tus exequamur. De qua etiam sunt plurcs opiniones, cum alii aliter res
universales esse affirmant. Nominili
cnim....] (ora viene la opinione di Guglielmo da Champeaux: v. appresso la nota
105)... p. 99: «La seconde manière» ecc. [Geyer, ma di tutto le due tesi dottrinali anche
testé ricordate, ma poi 12) una concezione, secondo la quale la differenza ra
genere e individuo risiede soltanto in un modo par- ticolare (propalasi) di
esistere, in quanto che 1W versale può presentarsi così in parecchie cose
insieme come anche in esseri singoli. Invece nel De intellectibus del
Pseudo-Ahelardo (v appresso le note 416 ss.) si trova soltanto espressa, in
amerà ^determinata e generica, la distinzione tra rea- sii, nominalisti, e
opinione di Abelardo u ). l'ZL'mZp mTtó, appreso pou r soutenir que les
universali sonldesdoses VoulZT "T^ la communauté, l’on dii ai,'entri- l„
Voulant expliquer singtdière est une diffide TlrtruTl et l * cho.se a etre
universelle, la proprietà ani Inni' ",> . ropne, ' i ( l ul consiste
mal, le corps est nniZZl et Zel " ? ^ • bt ****- L'ani- et quelque corps ;
mais dire un étre qui aliter re,
universales esse videninV affi “ " n® r, u m a 1 i i, nitatem assignnntes
dicunt rem .,t;„ • ®,rniare * Hj re bns comrmi- id est alterins proprietatis
(il C uru . ver . 6a ^ em > aliam singularem, inéd., p. 522 IDe Zen et s Jc
\ « V “ CoVSIN ’ Ou.tr esse ex hoc quod est onivTsai et ^ V ” EAV ’ V, 313)
Iaris. Ut animai est
universale et mm!!""* h ° C q ” od est sin SB- vel aliquod corpus.
Tale est enini ^ ’ j CC t ? men al| quod animai mal esse universale, ne si
dieatnr- ni. Undum,lanc sen tentiam ani- animal est, et tale est hoc animai
" a s “ nl quorum unumquodque dieatnr: una sola rea«J°hoc d T, 8ol °» ac -
espressa in forma indeterminata la r „ n l . na]ment ^ (P- 106) segue, voces
[cfr. Geyer, p. 522 - 31 . ’
oncezione degli universali come ^à-VtoZ^ 63 : Philosophie sco - Quidam enim
volimi omnZloZ f * diversa -^ntiunt. dam nullas ^ro folti snnt (mane. Il lo,.,
”ha "“(til T :zh r p- * T„,-irr rato vel albo Zane cana l VOCabul °'
!" ^pus ipsum a colo-altri invece, e certamente i più sconsiderati e più
radicali, come p. es. un tal magister « \ . si appigliavano unicamente al «
significare », sì che per e6si in ciascuno dei predicati assegnati a una cosa
qualunque, si trova insieme già significata la cosa stessa: e degno di nota è
che costoro si appoggino per tal riguardo alla grammatica, secondo la quale
ogni nome significa così una sostanza, come anche, al tempo stesso, una qualità
83 ). Dovevan essere nominalisti di quest’ultima specie anche coloro che, forse
seguendo in maniera unilaterale le vedute di Rosceliuo (Sez. precedente, nota
321), si spinsero sino ad affermare che la semplice dictio (vale a dire la
parola singola, in opposizione con il giudizio) non porta in generale affatto
in sè parti dell’atto intellettivo, vale a dire neanche parti simultanee, bensì
come un punto, comprende in uniLà indifferenziata tutto quel che cade entro
l’accezione della parola 84 ). Alcune
particolari conseguenze del nominalismo, in ordme alla teoria delle categorie,
vedile appresso, alle note 196 s. e 199. M J lbid.: ....Hi vero, qui onirtem
vocum impositionem in significutionem deducunt, auctorilatem protendimi, ut eu
quoque significati dicant a voce, quibuscumque ipsa est imposila, ut ipsum
quoque hominem ab animali, t ei Socratem ab homine, vel subjectum corpus ab
albo vel colorato; nec solum ex arte, verum edam ex auctoritate grammalicae
id conantur ostendere. Cum enim tradat
grammatica, omne nomen substantium cum qualitate significare, album quoque,
quod subjcctam nominat substantium, et qualitqlem determinai circa eam,
utrumque dicitur significare (dunque, secondo il Cousin, questo dovrebb’essere
il modo di vedere proprio del realista Guglielmo da Cbampeaux!). M )
Pseudo-Auael. de ititeli-, loc. cit-, p. 472: Sunt iluque inteilectus
conjunctarum ve! divisatimi rerum, dictionum tantum; cotijungentes vero vel
dividentes intellectus, oralionum tantum sunt. liti quippp simplices sunt, isti
compositi (Tale la opinione del1 Autore). Sunt plerique fortassis (cioè
nominalisti), qui intellectus simplices nullas ninnino purtes habere concedant,
ncque scilicet per sticcessionem nequc simili (vale a dire parti
non-simultanee, o successive, ne ba in generale soltanto il giudizio, ma non
mai la parola singola). Qui enim, inquilini, plura simul intelligit, una simplici
actione omnia simul attendit [Arali.. Opera, ed. Cousin, La teoria che gli
universali sono « maneries » : Ucuccione].
Ma era certo una ramificazione del nominalismo la tesi sostenuta
relativamente alla « manerics » (v. sopra la nota 69); poiché è vero che
Giovanni da Salisbury l’annovera tra le opinioni realistiche; ma, d’altra
parte, non soltanto suscita in noi gravi dubbi quel passo di lui, riferito più
sopra (nota 70), dov’egli già finisce con il qualificare tutto quanto come
realismo, bensì dobbiamo anche tener conto di un’altra fonte d’informazioni:
infatti, secondo quel che viene altrove perentoriamente riferito, erano i
nominalisti che, a sostegno della loro opinione, secondo la quale generi e
specie sono soltanto le parole, piu universali o più particolari, enunciate nel
soggetto o nel predicato, senz’altro denominavano, nei rispettivi passi di
Boezio e di Aristotele, la « res » « vox » e il « gemisi « maneries » *>).
La parola « maneries » per "se stessa non e, parimente, nè così mostruosa
nè così rara, come Giovanni mostra di ritenere nella notizia più sopra’
riferita: non soltanto infatti la s’incontra, con accezione generica, in
Bernardo da Cliiaravalle 8S ), ma, addirittura in senso specificamente logico,
in un altro au) De gen et spec., loc. cit., p. 522: Ntmc illam sementiam quue
toces solas genera et species unìversales et partici,lares praesubjectas
asserii et non res, insistamus.... ( p 523 ) Boethius, ira commentano super
Categorias ([L. I], p . 114 rp[, 64 162n dici « quoniam rerum decem genera sunt
prima, necessefuUdSem suhilrH i eSS \ S,m f. llces voces > dune de
simplicibus fin Boeziosubtectis J rebus d,perenti,r ». Hi tamen exponunt: «
genera id est Z"Z1* S L r : 0 r dam ™ Aerili 1 S f 7 Jm rme p aS,raduzi0ne
di BOEZIO [Prima Ldino, 1, 7. ed. Meiser, Pars Pnor, p. 82; PL, 64, 318], p
233)«rerum alme sani unìversales, aline sunt singulares». Hi tamen rUatibic Lo
r onTì;,d T ° C " m HU "“ tem tnm «PertM auctomentili aut e n‘ l
ir"* ",lentes ’ aut di ™nt «udori,a,es TncTdunt. P labor «utes, quia
excoriare nesciunt, pellem . Epi y402 S° pera ’, d Martène, Venezia, 1765, 1,
p. 156)m"614] 1 wn ' s pro *,f!lll ° sU dilla ad mommi non erat [PL, tore
dei primi del Duecento, cioè nel canonista Uguccione (morto nel 1212), il quale
nel suo scritto lessicale definisce « species » come « rerum maneries » 87 ). E
a quel modo che questa parola (il francese « manière »), se stiamo alla sua
precisa etimologia, ci riporla da ultimo al significato di « maneggio » o «
modo di trattare » [« Behandlungsweise » da « Hand », come «maneries » da «
manus »] S8 ), cosi, nel suo uso logico, ha dovuto anzitutto significare il
modo d’intendere subbiettivo, e pertanto raccostarsi alla concezione
nominalistica, o a quel tale « colligere » che abbiamo veduto alla nota 68;
invece, soltanto allorché «maneries» dall’accezione « maniera, guisa », a poco
a poco fu volta a significare una « sorta », fu possibile prenderla, come
termine della logica, in senso oggettivo, per tal modo che potè entrare in
giuoco la questione dello « status » (nota 65), sebbene, anche trattandosi di «
sorta », venisse ancor fatto abbastanza facilmente di pensare all’ « assor¬tire
» (cioè colligere). I Platonici: a)
Bernardo da Cliartres Gli avversari unilaterali degli unilaterali nominalisti
furono comunque i veri e propri platonici, tra i quali ci si presenta per
primo, come principale rappresentante, Bernardo da Cbartres, soprannomi*0
Uguccione, autore di una Stimma Decrelorum e di altri scritti canonistici (sul
conto di lui, notizie più precise nel Sarti, de clarissimis Arcbigymnasii
tìononiensis projessoribus, I, p. 296 ss., c nella Prefazione del Du Cange al
suo Glossario,Ugutionis vocabularium »]), aveva scritto un vocabolario (liber
derivationum), ricavato in parte da quello su ricordato (Sez. precedente, note
286 ss.) di Papias, e conservatoci in numerosi manoscritti. Da esso il Du Cange
j. v . «Maneries » riferisce le seguenti parole: Species dicitur rerum
Maneries, secundum quod dicitur « Herba huius speciei, id est, Maneriei,
crescit in borio meo ». “) Vedi Diez, Etymtdogisches Wórlerbuch der romanischen
Sprachen, p. 216 [s. v. «Maniero», p. 203 della 5" ediz.j. Parola del
tutto diversa è maneria, derivante da maneo e affine a mansio, con il
significato di « soggiorno » (v. il Du Cance, s. v. « Maneria »).nato Sìlvester
(viveva intorno al 1160). [Oggi dai P,U . 81 r,t, ° '' dell, pera idea
platonica, laddove il “tLÀTSH”' fica iniziarsi della mescolanza co „
"*”>la olitolo l’aggettivo {album) è ritenuto e, •’ m °“ lre contaminazione
insanabile della idea coó 1 T"' '* orna Pertanto ci didicUe del".;.7b
‘ “"T sieno state rese ne.» . «eptorare che non ci * i .™.,r,:;LT H ~ ri,e
nere)], _ PmtaLtt',2ri tu’in
893hVr"“ a o f C 2;;.™* idem 120 [ed i Wcbb ’ 124; PL AÌebai a R et q “ Ìbus dominamtur den
°a ~r, 2 ?»SSS. tn ffi emm il/ud, ‘ x culiàs^ l qùod^vJ r b 1 ui^ l lg > ',t
^ nem,/ >v. nelle Opere del Venerabile Beda (ediz. di Colonia, 1688, li. p.
206 ss. [PL, 90, 1127 ss.]). Ma proprio questa medesima parte della Philosophia
detta minor la si ritrova da capo, non soltanto ristampata nella Maxima
Bibliotheca Patrum [di Lione], voi. XX, p. 995 [PL, 172, 40 ss.], dov’è
indicato come suo autore Onorio da Autun (Sez. precedente, nota 373) [Honorii
Augustodunensis De Philosophia Mundi 11 IVI. bensì ancora in un libro che sta a
sè, con il titolo: Philosophicarum et astronomicarum institutionum Guilei mi,
Hirsaugiensis olim abbatis, libri tres, Basilea, 1531, in -4°. (Questo abate
Guglielmo da Hirschau, nato nel 1026, morì nel 1091: v. Pertz, MGH, VII, p. 281;
XII, p. 54 e p. 64 ss.; XIV, p. 209 ss.). Se ora 1’ Hauréau ( Singularilés
hist. et litlér., p. 240) a favore dell’attribuzione di quello scritto a
Guglielmo da Conches può richiamarsi a un manoscritto di Parigi, e nello stesso
tempo allega la testimonianza di Guglielmo da S. Thierry, un avversario
contemporanco, io ritengo senza dubbio questi argomenti conte decisivi, ma è da
richiamare in ogni caso l’attenzione sopra il fatto che nella stampa nominata
per ultima (fatta astrazione da frequenti piccole modificazioni della
espressione letterale) è menzionato in più luoghi per nome l’autore arabo
Costantino Cartaginese, e del pari è nominato una volta anche Johannitius, cioè
Hunain Ibn Tshàk, mentre nelle altre edizioni a stampa, in luogo di questi nomi
figurano soltanto le espressioni indeterminate « philosophus » o « philosophì
», sicché questa variante richiede forse ancora una ricerca più approfondita.
Le glosse di Guglielmo da Conche* al De consol. phil. di Boezio ei sono state
fatte conoscere da Ch. JourDAIN (nelle Notices et Extraìls des manose., voi. XX, p. 21. Ma se, come vuole 1’ Hauréau ( op. ull. cit ., p. 242
s.ì sia da attribuirai al nostro Guglielmo anche il commento al Timeo, che il
Cousin (Ouvr. inéd. d’Abél., p. 644 ss. r648-157]) ha pubblicato in estratti,
attribuendolo a Onorio da Autun, sarebbe cosa da lasciar in dubbio. Senza
contestazione sono invece di Guglielmo quei frammenti [della secunda e tertia
philosophia (Antropologia e Cosmologia)], che il Cousin ha pubblicati ibid.. p.
669 ss. r670-7. 1,’Ott AVMNO ha curato
la pubblieaz. di Un brano inedito della « Philosophia » di G. di C., Napoli,
1935, illustrando nella Prefazione lo stato attuale delle questioni relative].
glielmo »^) svolge, secondo I ‘ P l8tIca ~ che G u . grafìa, psicologia e
fisica 9 ‘ c ). ben sì ^p 21 ™ 16 di co »niof, oens! ci limiteremo a quel Bcda,
p. 207 r (PL. e 9o" 112820l per
mundi ère,,iohoc foctus est aLmT ** ° ngel,,s “-/"'deus \ f To nnifice ;
(irlif(, x mundutn creanti )T°’ r,i ^
v„i. 75 ( 'i873! R ;.1;rs. dc,rArcatlt ' mi; d 'Vie.;: poco clic c’è ila rammentare, in ordine alle
questioni di logica vere e proprie. Guglielmo, che sul terreno della
gnoseologia si pone dal punto di vista platonico, di un idealismo che procede
verso l’alto er ’), e anche espressamente sentenzia che tra i filosofi pagani
egli dà la palma a Platone " 6 ), distingue si una quadruplice maniera di
considerare tutte quante le cose, cioè dialettica, sofìstica, retorica,
filosofica 87 ), ma relativamente alle prime due (quanto alle due ultime, è per
lui cosa che già s’intende da sè) si schiera risolutamente dalla parte dei
realisti, combattendo coloro che volevano escludere qualsiasi realtà, o infine
da ultimo neanche volevano ammettere più i nomi delle cose, bensì, in generale,
alquante parole solamente (che sarebbero poi le quinque voces) 9S ). Ma,
analogamente allo Scoto Eriugena, egli almeno riconosce tuttavia, richiamandosi
a Boezio, che appartiene allo spirito umano la funzione d’imporre alle cose che
hanno “) V. i frammenti riprodotti dal Cousin, op. cit., c specialmente p. 673
s. M ) Nella edizione già ricordata del Gratarolus, p. 13: Si gentili*
adducenda est opinio, malo Plalonis quam alterius inducalur; plus numque cum
nostra fide concordai. ”) Ibid., p. 4: De eodem numque dialectice, sophistice,
rhelorìce, vel philosophice disserere possumus. Considerare numque de ali quo,
an sit singultire un universale, est dialeclicum; probare, ipsum esse quod non
est vel non esse quoti est, sophisticum est: probure, ipsum esse dignum proemio
vel poena, rhetoricum: sed de natura ipsiusque moribus et officiis disserere,
est pbilosophicum. Dialecticus ergo, sophistn, oralor, philosophus, de eudem re
diversa considerunles et intendentes disputare possimi. ”) Ibid., p. 5: Quod
intelligentes quidam res omnes a dialeclica et sophisticu di sputulione exter
minar erunt, nomina lamen earum receperunt, eaque sola esse universalia vel
singulttria praedicaverunt; deinde supervenit stultior aetas, quue et res et
earum nomina exclusit alque omnium disputationem ad qualuor fere nomina
reduxit; ulraqiie tamen seda, quia non erat ex deo, per se defecit. Quei qualuor nomina non posson essere altro elle le
quinque voces, escluso forse il proprium : in antitesi ron una siffatta
riduzione di numero, incontreremo in compenso anche sex voces: v. la nota 278.
mulo franti. ^r^roi 1 zj,,on'» Se Be 'ZlTcZ, “‘“T* O»»]. 8rao platonico,
princiml mamfe8tava J ano realilenm affermazioni idealistiche"' 6 .
e8prÌBlendo8Ì con soficanti, era in ogni caso imn ° 3 am P lificazi om edit0ria
*”**• d i prender oranti JT ° ^ meri * relazione debba pensarsi che L,]i “
8lderare “ quale esistenti, stiano con gl’individuf.U1 "r erSah> come
eose c7° C ° nSÌ8te Ia ^portanza 2*^J, * ten * C h ani P e a ux (morto nel 119
!) ; U ^ llel «o da ! ma lo 8Ìeo, nel realismo di hii n ’ U pnnto * Imea,
rispetto al pimto di ’ P “” ancora m seconda varsi tuttavia, fin da principio i
^ De ™ rileGuglielmo da Champeaux siàm^l "‘T" 0 * Ue idee di C081
minutamente informati, ^,lmgi dall’essere 8in ; di ahri,. pe re h è rir; r r^
ioj,e dei c assolutamente andar oltre il n na non Possiamo notizie, a noi
accessibili, che,mnT° * ^ ghw ono le a equivoci «»*). “ lascino per nulla adito
w ) Ibid., p. 29 o, • i Hit 12’un°A OCUlÌS muìlT 1 constituto tr :~«4 ^.rr »"
stolrfe in prìmam T? “‘T"' sub °P™£ dicati?’s "’ m istn Stendi .
aliai,,,,,,} * secun dam dividitur ali,, ‘H*’ un et e "b Ari \ T ° P° S!
"*sio. ’ allf P‘»ndo ... actus b . 199, 8321 ’ SARESB I, s, p . 2, S li r
. led ^cbl», p. 16-7; PL Della produzione letteraria di Guglielmo, non abbiamo
sotto mano nulla, cbe riguardi oggetti di pertinenza della logica 103 ) : siamo
così ridotti a servirci principalmente di una notizia di Abelardo, il quale
mena vanto di avere combattuto con felice successo le idee di Guglielmo intorno
agli universali, di guisa che quest’ultimo le modificò in misura notevole: ma
con questo il suo insegnamento ci scapitò, per autorità e per concorso di
uditori, a tal punto che finirono con il passare forglielmo da Champeaux tutte
quante quelle abbreviazioni (« magister V. », « magister noster V. ») che si
trovano nel manoscritto, nè più nè meno che quei passi, dove si trova « If
illelmus » ; anzi ha persino fatto lo stesso in un certo luogo, dove (de gerì,
et spec., p. 509) con le parole « Vel uliter secundum magistrum G. », è
indicata in modo abbastanza chiaro una posizione antitetica a quella del
mngister Willclmus antecedentemente (p. 507) nominalo, E come ora è francamente
segno di leggerezza trovare ugualmente in quel magister G. un'allusione al
nostro Guglielmo, cosi non è detto cbe in compenso abbiamo un punto di appoggio
nell’abbreviatura € V. », tanto più che questa lettera stessa parla in senso
contrario. Poiché Abelardo, prima di recarsi presso Guglielmo da Cliampeaux,
aveva cercato d’istruirsi presso tutti i dialettici eminenti ( Epist ., I, c.
I, p. 4, Amboes. Ted. Quercetanus di Parigi 16161, [ed. Cousin, I, p. 4; PL,
178, 115]: Proinde diversas disputando perambulans provincias, ubicunque huius
arlis vigere studium audieram, peripaielicorum uemulalor fuctus sum), come «
magister noster » egli può indicare una quantità di uomini, dei quali ci è
ignoto il nome, c dobbiamo guardarci daU’argomentare, senza sufficiente
ponderazione, che si alluda a persone determinate, per evitar di andare fuor di
strada (v. per es. più sopra la nota 82 ). Ma alle deduzioni del Cousin
aderirono il Rousselot, l’Hauréau, e anche H. Rittcr. lra ) L’Hauréau (De la
phil. scoi., I, p. 223 [cfr. Ili ut. de la phil. scol^, I, 322]) riferisce che
il Ravaisson ha trovato, nella Biblioteca di Troyes, 42 frammenti di Guglielmo;
e con la pubblicazione di questi frammenti, E. Michaud, nel suo scritto
Guillaume de Champeaux et les écoles de Paris au Xll.e siede (2’ ediz., Parigi,
1868), si sarebbe potuto acquistare una benemerenza. In base a quel ch’è stato
detto più sopra (nota precedente), non si può argomentare che Guglielmo da
Champeaux abbia scritto «Glossulae super Periermeneias », perchè il passo
relativo nella Dialectica di Abelardo (p. 225) attribuisce uno scritto così
intitolato semplicemente a un « magister noster V. ». [Ma ora son da vedere i
47 frammenti « Guillelmi Campellensis Sententiae vel Quaestiones XLVII » puhbl.
da G. Lefèvrk. Les variations de
Guillaume de Champeaux et la question des Universaux, Lilla, 1898, pp. 19 ss.].
malmente tutti alla opinione di Abelardo
104 ). Guglielmo cioè avrebbe affermato ili primo luogo che gli universali, in
quanto sono, nella loro unità, cose uguali, ineriscono nello stesso tempo
essentialiter, in indivisa totalità, a tutti cpianti gl’individui che cadono
nella loro estensione, e pertanto fra gl’individui non sussiste differenza di
essenza, bensì le differenze hanno fondamento soltanto nella molteplicità di
determinazioni accidentali. E come ciò trova letterale conferma nel passo del
De gen. et spec., citato più sopra (nota 72), ivi appunto ci viene data una
spiegazione più precisa-la quale persino ci riporta a un passo, affatto
isolato, di Boezio, e ci dà così maniera di veder bene addentro come il daffare
che si davano a quel tempo con le controversie tra opposti indirizzi, avesse
fondamento in minuzzaglie di erudizione scolastica, piuttosto che in contrasti
intimi fra modi di vedere teoretici. IM ) Abaf.l. Epist., 1, c. 2, p. 4 [ed.
Consinl : Perveni tandem ransius, uh, jam maxime disciplina liaec florere
consueverat, ad \rUiUclmum scilicet Campellensem praeceptorem meum in hoc lune
magisleno re et fama pruecipuum: cum quo aliquanlulum moratus primo et
acceptus, poslmodum gravissimiis extiti, cum nonnuttas scuicet ejus sententias
refellere conarer, et ratiocinari conira eum saepius aggrederer, et nonnunquam
superior in disputando viderer tp. a) lum ego ad eum reversus, ut ab ipso
rhetoricam audirem. mler caetera disputationum nostrarum conamina, antiquam
ejus de uni versali bus sententiam patentissimis argiimentorum dispulationihus
ipstim commutare, imo destruere compiili. Erat autem in ea senlenlia de
commentiate universalium, ut eamdem essentialiter rem imam simul smgulis suis
inesse astenerci individuisi quorum quidem nulla esset m essenti!, diversitas,
sed sola multitudine accidentium vanetas. ile autem tstam lune suam correxil
sententiam, ut deinceps rem eamdem non essentialiter. sed individualiter (la
variante « indilferenter » [accolta dal Comuni, che la ed. d’Ambois segna in
margme Si trovava anche in vari manoscritti; vedi I’Hauréau, op. cit, 1, p. 236
( H,st. de la ph. scoi., I. p. 3381), dicere,. Et.... quum hanc "le
correxisset, imo coactus dimisisset sententiam, in tanlam lectio ejus devoluta
est negligentiam, ut jam ad dialecticae lectionem vix admitteretur: quasi in
huc scilicet de universalibus senlenlia tota hiijiis artis consisterei summit
(cfr. la nota 60). Ilinc tantum roboris et auctontatis nostra suscepit
disciplina, ut ii, qui antea vehemenj nogutro tilt nostro adhaerebant. et
maxime nostram infestabant aoctnnam. ad nostras convolarent scholas fPL
Affermava cioè Guglielmo che in quel quid di accidentalmente superaddito
(adveniens) son da ravvisare le forme individuali, le quali improntano la
materia, consistente nel concetto del genere (malcriam informarli), in tal
maniera, che con ciò la essenza universale ne risente una individualizzazione
secundum totam sitarti quanlitatem : e lo stesso può ripetersi poi, a questa
maniera, per tutta quanta la scala, dal genere, attraverso la specie, sin giù
giù airindividuo 103 ). Inoltre, come riferisce altrove Ahelardo, Guglielmo,
incominciando dalle dieci categorie, svolgeva a fondo questo processo
d'informazione giù giù sino agl’individui, e poteva allora, poiché quelle
stesse forme più individuali differenzianti rimandano da capo agli universali,
spiegare la predicahilità degli universali con il fatto che questi spettano
agl'individui, o essenzialmente o adiettivamente iadjacenter) 10 °). Ma proprio
in ciò consiste decisamente Ite gen. et sper., p. 513 s. : Uomo quaedam species
est, res una essenti ali ter, cui adveniunt forntae quaedam et efficiunt
Socralem: Ulani eamdetn essentiuliter eodem modo informata formae facientes
Platonern et caetera indiridua hominis ; nec aliquìd est in Socrate, praeler
illas jormas informanles il latti malcriam ad fuciendum Socratem, quia iìlud
idem eodem tempore in Platone informatimi sit formis Plalonis. Et hoc intelligunt de singulis
spcciebus ad individua et de generi bus ad species.... Ubi enim Socrates est, et homo universalis ibi est,
secundum totani suoni quantitatem informatus Socratitate (riguardo al concetto
di Socratitas, v. la concezione corrispondente di I orfirio e Boezio: Sez. XI,
nota 43). Quicquid enim res universalis suscipit, tota sui quantitate
retinet.... Quicquid suscipit, tota sui quotifilale suscipit. Ma anche questo'
è proprio ricavato da Boezio, che dice, a proposito della differenza {ad Porph.
a se transl., p. 87 tEd. Brandt, IV, 9, p. 263; PL, 64, 1261): Aeque enim sicnt
in corpore soler. esse alia pars alba, alia nigra, ita fieri in genere potcst;
getius enim per se consideratimi partes non habet, itisi ad species referalur.
Quicquid igitur habet, non purtibus, sed tota sui magnitudine retinebit. Cosi,
dove si tratta di storia della filosofia medievale, spesso 1 apparenza [della
originalità, o della novità! viene a ridursi | grazie alla indicazione delle
fonti antiche] a quella ch’è la vera sua portata: “ r H U ' a PP r re riprod.
XTTe": dÌ ( ?* differentiam et
secundum IdZtiZ^eZd^^' ^ Secundum intUfferentiam l>, e J ll *dem prorsus
essentiae. n hZ£ s : adem -=£t2; nrtlSTò
ifhix Sfe isrF"’ SS ff *7 rs s »;s£*Atas pure appartiene infine alla
tradizione la notizia isolata, che, riguardo alla topica, egli portava la
essenza della inventio a consistere nella scoperta di un termine medio 110 ).
[§ 21. Le difficoltà e i gradi del
realismo]. È probabile che proprio le
difficoltà, alle quali si trova esposta la opinione di Guglielmo da Champeaux,
abbiano dato ai realisti mentre in
generale essi potevano approvare il punto di vista di lui motivo di scindersi essi medesimi a lor volta
fra loro, a forza di tentativi di correggere quella opinione, o di darle nuovo
fondamento: si è così formata una quantità d’indirizzi divergenti, ai
quali anche passando affatto sotto
silenzio il nome dei loro rappresentanti
non ci è più possibile tener dietro, considerando minutamente il
determinarsi delle loro particolari differenze. A parte le difficoltà
teologiche die si sollevavano, sia che si assumessero gli universali quali
prodotti di una creazione, sia che li si assumesse quali entità eterne, tanto
più che alcuni effettivamente designavano per tal modo come « cose » tutt’i
singoli attributi di Dio nl ),
positìonem ejusdem parti* sequatur pars illius. Sequitur enim
bipunctalem lineam pars ejus, i. e. punclum., non tamen ad punctum pars ejus
sequitur, quia indiani habet. u ") Joh. Saresb. Metal. Ili, 9, p. 115 [ed.
Webb, p. 152] : Versatur in his (se. in Topici*) incentionis muteria, quam
hilaris memoriae fVillelmus de Cam pelli*.... diffinivil, etsi non perfecte,
esse scienliam reperiendi medium terminimi et inde eliciendi argumentum [PL,
199, 9091. m ) De gen. et spec., p. 517 : Genera et species aut creator sunt
aut creatura. Si creatura sunt, ante juit suus creator quam ipsa creatura. Ila
ante juit Deus quam justitia et jortitudo.... Itaque ante juit Deus quam esset
justus vel fortis. Sunt auleta qui.... illam divisio- nem.... sic jaciendam esse dicunt:
quicquid est, aut genitum est aut ingenitum. Universalia autem ingenita
dicuntur et ideo coaeterna, et sic secundum eos qui hoc dicunt,... [noni Deus
aliquorum jactor est. Abael. Inlrod. ud theol., II, 8, p. 1067 ( Amboes.
[ed. Cousin, II, p. 85; PL, 178, 1057]): Terlius vero praediclorum (se.
magistro- rum divinae paginae, cioè un magister in pago Andegavensi ) non so-
ciò che dal punto di vista ontologico si voleva evitare era proprio quel
vicendevole invilupparsi di tutti eli universali. 6 Perciò alcuni si
appigliarono all’espediente, certo grossolano di assumere quel
«sovraggiungersi» (che abbiamo veduto piu sopra, alla nota 105) delle
differenze specifiche, come qualche cosa di puramente passeggierò, per salvare
così la indipendenza del genere »*) Altri invece tiraron fuori un modo di
vedere, ch’era proprio di Aristotele, considerando il genere come la materia
che nella sua essenza rimane identica, e che viene diversamente formata nelle
specie: ma, proprio per quella identità di essenza, vennero a trovarsi in con-
lutto con la teoria degli opposti 11S ). Onde a ccadde, da un lato, che,
relativamente a questo «i™ isssrwtsar ir-" -s™ ~~~ hujusmodi, quae iuxta
fiumani * erlcor( i‘,im, tram et caelera gnificantur, res quasdam et amil i
lonls, c ? nsuetu di nem in Deo si- t ig jfer res diversas conslituat. '
aicumur, tot in Deo dicunt quidam, quia differentiÌe "quldmn m "J° rU
. slm P l icitatis, quod genere non fondanti* U%kVt generi ’ sed in subjectum.
per se d,c,tur e- sia inasprita, e ahL ia n* 1 « a anZ * C ^ C c * uesta
diffìcile controversia si « gran somaro », non essendo C cT alu U " C
" t0 ^ r Z ° sco,astico del passo del De gen. et spec u ( man,era . dl
comprendere il quod scilicet incoteMens eduttl „ ° PPOSlta - «*• in codem,
sententiam tenenl perchè non *" • n { >oss n nt > qui grandis asini
:±,rr"° év-J quale n.n fl 1ZS
processo, con il quale alla materia si dà la forma, venne fuori da capo
la questione, se cioè la differenza specifica sia solamente il mezzo per
formare le specie, o se essa invece, insieme con il genere, trapassi nello
stesso tempo nella essenza della specie medesima, e alcuni (evidentemente tenendosi più vicini
a Guglielmo da Champeaux) si son pure effettivamente decisi a favore della
seconda soluzione 114 ) : e così, d’altra parte, per i concetti di genere e di
specie, veniva in luce una difficoltà, anche per il fatto degli opposti che
(almeno nella loro esistenza individualizzata) si trovano in imo e medesimo
soggetto: ciò ha per conseguenza che, qualora un uomo sia bensì casto ma in
pari tempo sia avaro, dovrebbe in lui coincidere l’universale del bene con
quello del male; ora, taluni se la cavavano con una distinzione tra i generi
superiori da un lato, e dall’altro lato le specie degli opposti, nella loro
specializzazione, escludendo almeno queste ultime dalla possibilità
d’incontrarsi [in un medesimo soggetto], laddove altri estendevano persino ad
esse la pericolosa concessione 115 ). 1H ) Abael. Dial., p. 477 : RATIONALITAS
enim et mortalitas, adve- niente* subtantiae animulis, eam in speciem creunt. quae
est homo. Nec cum ipsae generis substuntium in speciem reddunt, ipsae quoque in
essentiam speciei simul transeunt, sed sola genera vel subjecta
specificantur.... non quidem cum differentiis, sed per differentias.... Si enim
differentiae in speciem transferrentur cum genere,.... sicul quorumdam
sententia tenet,... profecto cogeremur jateri, et dijjeren- tias ipsas cum
genere aeque in essentia speciei convenire ; linde et ipsas de substanlia rei
esse, et in partem maleriae venire contingcrel. m ) Ihid.. p. 390: Sunt uutem
quidam qui contraria genera in eodem esse non abhorrent, sed contrarias species
in eodem esse impossibile confitentur. Dicunt enim quod cum omnia accidenlia
per individua in subjecta veniant, et ipsa contraria genera per individua sua subjeclis
contingunt . ut virtus et vitium, quae in hoc homine per hanc castitatem et
hanc avaritiam recipiunliir, quae individua sunt caslitatis et avaritiae, quae
invicem species non sunt contrarine.... Verum species contrarias esse in eodem
per aliquu sua individua, illud prohibet, quod nec ipsarum individua in eodem
possunt esse, quorum sunt tota substantia ea quae sunt contraria, utpote
species.... Sunt autem et qui species contrarias in eodem posse consistere non
denegant. adol e, T ^ C1 " aUrÌ 3UCOra « indotti a adottare 1 esperte
radicale, di affermare cioè che la .uizmne della differenza specifica in
generale ha luogo tu ta quanta solamente nella categoria della sostanza
laddove, quando si tratta delle qualità, le così dette sue’ eie o sottospecie
son propriamente da considerare sen z altro come formazione d’individui, sicché
n es h' e nero sarebbero due essenze diverse a cuci 1 h che son tali due
individui umani ”)’ " ^ 816880 farina, non c’è nane », . 3,10n c e * c e
pane », dovendo prima la ~7 n p, *“’ ” c,,e “ cb '»a»c»„r;.jr,o " awo cì
**•£ [§ 22. Controversie intorno alla definizioneINTORNO al CONCETTO DI PARTE |
E cakie»j. M a controversie ) De gerì,
et spec. d ?4i. c tmnsubnantiae differentiis haberTdilZTe?™ Solum P^edicamentn
duas proximas species. dicunt illaT'nn l cllm . J ff uaht ^ dividati,r aliquas
differenti,: »ed et in micas converti tur linde nèn • sc, i,c el furinam esse
deserit non sit, panis desit. Eie. equicquam concedila ut, si farina di questo
genere, che venivano per lo più agitate, con grande sfoggio di passi di Boezio,
sfiorando già, come si vede, il confine della stupidità, venivano altresì
dibattute, secondo il modello della logica in uso nelle scuole, anche nell
arringo affine della teoria della divisione (v. sopra la nota 75) e della
definizione. Ben è vero che i realisti si trovavano tutti d’accordo nel
preferire, in armonia con il modo di pensare di Boezio (Sez. XII, nota 98), o
piuttosto di Porfirio (Sez. XI, note 41 ss.: cfr. la Sez. Ili, note 78 ss.), il
procedimento platonico di ima continua dicotomia 118 ); ma subito a proposito
della divisione del genere, necessaria per la definizione, doveva già
ripresentarsi la questione del come vadan le cose con le parti della essenza,
distinguibili nel concetto del genere: e mentre da taluni si affermava che tali
parti sono unite per mescolanza, press’a poco a quel modo che anche dalla
mescolanza di bianco e nero si genera un terzo colore differente 119 ), altri
facevano osservare che tutte le parti della essenza del genere posson pure,
anche singolarmente, esser enunciate come predicati degl’individui,
appartenenti al genere stesso 120 ); per con) Ibid., p. 458: Si aulem genus
seni per nel in proximas species t ei in proximas differenlias dìvideretur,
omnis divisio generis, sicut Boethio (de divis p. 643 [PL, 64, 8831) placuit,
bimembris essel.,.. Hoc autem ad eam philosophicam sententiam respicil, girne
res ipsus, non tantum voces, genera et species esse confitetur. ) Oilberti 1
orretae in l. 1 . Boethii de S . Trinitele commenta • ria_ (Bokth. Opera, eri.
[costantemente cit. dal Franti] di Basilea, 1570), p. 1144 [PL, 64, 12721 :
Butani quidam imperiti.... quod non sit vera dictio. si quis dical « homo est corpus
», non addens et anima »: uut si dicat « homo est anima », non addens c et
corpus ». Opi nantes quod, ex quo diversa, ut unum componant, conjuncta sunt.
esse utriusque adeo sit ex illa conjunctione confusimi, ut sicut cum album et
nigrum permìscentur, quod ex illis fit, nec album nec nigrum dicilur, sed
ciijusdam alterius coloris ex illa permixtione provenienti».... 1 Ibid., p. 1143:.... corporalitàs, non modo de
hominis illa parte I qua e corpus e.st], verum etiarn de homine praedicetur. Et.... rationalitas.... non modo
de hominis illa parte, quae spiritus est, sed etiam de homine praedicatur.... (p. 1144).... quicquid de parte nuturaliter, idem et
de composito affirmandum [PL, 64, 1272-3]. irò, anche questo fu da capo
contestato da alcuni, perche quelle parti della essenza sono predicati,
soltanto in quanto sono concetti più generali, fatta cioè astrazione dalla loro
connessione con altre note essenziali; dellW mo, p. es„ viene affermata cioè,
come predicato, non -dà la corporeità specificamente umana, ma proprio in
gèneraie la corporeità nella sua accezione universale, e tosi parimente anche
la spiritualità 121 ). Un’altra controversia manifestamente comiessa con quel
che precede, concerneva la seguente questione se ' fr J “ dMÌ *"• ^ il
7o,Z f dilTereuza -pacifica si riferisca «oltau.o alla .peci. O anche, nello
stesso tempo, al genere che st r, ’ mento della specie 122 ! Y, 3 fonda ia
specie ). Via via che si separava più net. amente a t ìlferenza dal genere
(note 112, 114) g j po z::i re p t n r pit °
lbid., p . H44 f PL 6,,,
'illuni rationalitatem guani Uhm quuè est A,"” al ‘ qU ‘ d ‘ cere 8esti
unl, d‘ci. et simUiter scienti,, a liam et alUmr ‘ T™"*' de homine human,
corporis est. ’ 1 sparai,totem quam quae notila. PaSS °
re,atÌV ° è ri P r « d »« integralmente più sopra> • ^ Abael. Dialect. n 402
• \f 1 * * noe hujus nominis quod est « homo » 'nen™ s,gn, fi cat ‘t»iem
substans, at ±' f* x P so percipiant, tantum nronlèr nT 7?’ nec ^ ualitat ^
ipsius diffinitionem requirunt. P P r qualitatum demonstrntionem il suo
significalo concettuale, fosse stata accolta, in senso realistico, quest’ultima
soluzione, sicché la proprietà sarebbe definita come un quid, formato da un
universale (p. es. [il «bianco» è un] formatum albedine), si poteva da capo
domandare se questa sia la definizione della proprietà stessa ( albedo ), o del
sostrato qualificato (album); e se poi ci si atteneva alla seconda alternativa,
dato che la prima conduce a mia reduplicazione priva di senso, sorgeva il
dubbio, se con ciò sia definito ciascun singolo di siffatti sostrati, o non
forse invece tutti quanti insieme: e necessariamente ambedue le ipotesi si
mostravan da capo insostenibili, poiché da un lato non si tratta di definire le
cose stesse, bensì soltanto ima proprietà, nè d’altra parte le cose, per una
sola proprietà che abbian comune, sono identiche nella loro essenza 121 ). Ma a
quel modo che tutta questa discussione si atIbid., p. 495: Ai vero in fiis
diffinitionibus quae sumplorum (con questo termine Abelardo suole indicar gli
aggettivi: v. appresso la nota 321) sunl vocabulorum, magna, memini, quaestio
solet esse ub his, qui in rebus universalia primo loco ponunt....; duplex enim
horum nominum quae sumpta sunt, significatio dicitur, altera.... principalis,
quae est de forma, altera vero secundaria, quae est de formalo. Sic enim «
album », et albedinem, quam circa corpus subjectum determinai, primo loco
significare dicitur, et secundo ipsius subjectum, quod nominai. Cum ilaque
album hoc modo diffinimus « formatum albedine », quueri solet. ulrum haec
diffinitio sii tantum hujus vocis, quae est « album », an alicujus siine
significationis. Al vero cum vocem non secundum essenliam suam, sed
significulionem diffiniamus, videlur haec diffinitio recte ac primo loco illius
esse. Restat ergo
quaerere, sive illius significationis sit, quae prima est, i. e. albedinis, sit
e cjus, quae seconda est. quae est « subjectum idbedinis ». At vero si haec
diffinitio albedinis sit, praedicalur de ipsa, et de quocumque albedo dicitur,
et ipsa diffinitio prucdicatur. At vero quis vel albedinem vel hanc albedinem
formuri albedine concedei?... Si
vero diffinitio supraposita ejus rei, quam « album » nominani, esse dicatur,...
quaerilur, utrum uniuscujusque sit per se, quod albedinem susci pi unt.... | il
Cousin corregge: suscipiat], sive omnium simul acceptorum. Quod si uniuscujusque
sit illa diffinitio, utique et margaritae. Vnde de quocumque illa diffinitio
dicitur, et margarita praedicatur, quod omnino falsum est. Si vero omnium simul
acceptorum esse concedatur, oporlebit ut, de quocumque diffinitio illa
enuntiatur, omnia simid praedicenlur. quod iterum falsum est. tiene ancora di
regola a quello stesso basso punto di vista, che abbiamo trovato più sopra
(Se*, precedente, note 350 ss.), dove si trattava del realista Anseimo, cosi
anche le dispute sopra il secondo metodo di divisione, cioè sopra la partizione
della o alita ne suoi elementi, recano in sè una ben grave unilateraLta. I
oiche la questione di stabilire che cosa s’intenda per parte originaria (pars
principalis), fu forzata a prendere la forma di un’alternativa, in quanto che
cioè gli uni denonimavano originarie quelle parti le quali, mentre
costituiscono la essenza della totalità, non sono piu a lor volta parti di una
parte (p. es„ nell’uomo, anima e corpo), e invece gli altri consideravano come
origmane quelle parti costitutive ultime, distrutte le quali viene distrutto il
tutto (p. es. la testa o il cuore) -»)• ma a questa maniera, in seguito al
realismo ontologico, adotandosi la prima soluzione, tutto questo punto di vista
della divisione rimaneva falsato, e surrettiziamente scambiato con il terreno
proprio della definizione, laddove, se »! adottava la seconda soluzione,
sconsideratamente « trasponeva la funzione subiettiva dell’intelletto urna“’ !•
q S ° la . Crea ÌJ COncetto di P«le, nella realtà ZTl ì C0MCeZ1One "«usa, della
quale già si era linoi ^ 9 ! “T m ° r ° 8CelÌniauo (Sez. precedente, note 321
s.). Mentre gli uni intendevano la divisione ab «finito come obbiettivamente
materiale, ed escludeno cosi dalla considerazione l’attività formale [die
gècundarias'^àrtès ZocaH^TnTat^alf 0 ’ ocrates. destructa ungula, remanet
Socrates et ila quod prius non erat Socrates, fìt Socrates. O, similmente,
ibid., p. 512: Haec.... sen-La teoria dello « status », come tentativo di
conciliazione: Gualtiero da Mortacne].
Se a questa maniera il realismo offriva in realtà molteplici documenti
di quella cattiva sorte, che nelle questioni di logica propriamente dette, deve
rimanere insepara. . Je da esso ’ non fa maraviglia che da vari lati si sieno
battute vie nuove per rendersi conto degli universali, r csidcrandosi co 8I di
sfuggire alle difficoltà del realiamo non meno che alla unilateralità del
nominalismo. mbra doversi interpetrare quale forma di passaggio prima di tutto
quella concezione, che potrebbe, dal suo termine tecnico caratteristico,
denominarsi «teoria e lo status »: e parimente sembra (cfr. la nota “ e *f a
813 8tata originata dalle obiezioni sorte contro le affermazioni di Guglielmo
da Champeaux. Se cioè la essenza universale del genere deve, per tutta quanta
la sua estensione, venire specializzata mediante lorme individuali (v. sopra la
nota 105), è difficile veder bene addentro, come stiano le cose, riguardo a
quelle «proprietà superaddite » (advenicntia), che, in seno a IimiT’ ° T Ìan °
° 80U0 S ° lamente P asse ggiere. Ora alctmi si appigliarmi qui all’espediente
di ammettere che ! universale e bensì modificato da siffatte qualità, ma non
tuttavia proprio in quanto è un universale: e una faeffe 1 ir e a arriVatÌ dn °
3 qUeSt ° P unto ’ 8i rendeva acile la effettiva trasformazione degli
miiversali, i quali dai realisti erano stati tenuti b, conto di cose (res) in
daT >: i CÌOè ° ra ne »a serie graduale che va dal genere all individuo, non
fu più tenuto conto del1 Universale, bensì dello .status universali*»: ima
concezione questa, che era così abbastanza facilmente suggerita dal motivo
usuale di ma Tabula logica, come anlentia medium digiti naturam unam esse
nonni, creaturam esse merito dubitat. Aut er J Zò, 'che poteva, dal canto suo,
trovare parimente appoggio in un passo di Boezio 129 ). Un rappresentante di
questo modo di vedere fu Gualtiero da Mortagne [de Mauretania] (insegnante a
Parigi al tempo di Abelardo, e morto, vescovo di Laon, nel 1174) : egli dedicò,
è vero, con preponderante ardore, la propria attività alle controversie
dommaticlie ), ma fece sentire, per incidenza, il suo influsso anche nel campo
della dialettica. Cercò cioè di conciliare la unità numerale deH’universale con
la connessione essenziale, in cui esso sta con le cose singole. > Ibid., p.
514 s.: Amplius sanitas et lunguor in corpore animahs fundalur; albedo et
nigredo simpliciter in corpore. (Juod si animai totum existens in Socrate
languore afficilur, et totum, quia quicquid suscipit. Iota sui quantitale
suscipit, eodem et momento nusquam est sine lang[u)ore; est autem in Platone
totum illud idem; ergo edam ibi languerel; sed ibi non languet. Idem de
albedine et nigredine circa corpus. Ad haec enim non rejugiant, ut dicani
etc.... Addurli: animai universale languet, sed non in quantum est universale.
L tinum se videant !... Si ad status se transfer ani, di centes I animai in
quantum est universale non languet in universali statu », respondcant, de quo
velint agere per has voces $ in stata universali ». Ma di questo concetto di «
status universalis » scorgeremo a buon diritto la fonte in Boezio, là dov’egli
dice, a proposito della qualità (ad Ar. praed. [I. 11IJ, p. 180 |PL, 64. 250J):
Nihil impedit, secundum aliam scilicet ulque aliam causam, unam eamdemque rem
gemino generi spedai suae supponere, ut Socrates in eo quod pater est, ad
aliquid dicitur, in eo quod homo, substantia est, sic in calore atque frigore,
in eo quod quis secundum ea videtur esse dispositus, in disposinone numerula
sunt, perchè quel rhc qui deride, è lu espressione « in eo quod » : e rosi pure
in un altro passo ancor più chiaro (ibid., p. 189 [PL, 64, 2611): Si secundum
aliam atque aliam rem duobus generibus eadem res.... supponutur, nihil
inconveniens cadit. Ita quoque et habitudines, in eo quod alicuius rei
habitudines sunt, in relutione ponuntur, in eo quod secundum eas quales aliqui
dicuntur, in quotitele numerantur. Quare nihil est inconveniens, unam atque
eamdem rem, secundum dnersas naturae suae potenlias (proprio questo son gli
universali),... pluribus adnumerare generibus. Le euc lettere (stampate nello
Spicil. del D’Achery, ed. De la Barre, Parigi, 1723, III, p. 520 ss.) sono
soltanto di contenuto dommatico, e non hanno menomamente rhe fare con la storia
della filosofia. [Ora è da vedere il trattato sopra la teoria della indifferenza,
attribuito a Gualtiero da Mortagne e pubblicato dall’Haurcau (1892), poi dal
Willner procedendo a questa maniera, vale a dire con il distinguere
nell’individuo, uno per uno, come status differenti, la individualità, e il
concetto della specie, e così pure il concetto del genere, fino su su al sommo
genere 1SI ). Comunque, sebbene ci manchino del tutto notizie più precise sopra
un tal modo di vedere, c’è questo di notevole in esso, che cioè da un lato
l’universale è raccostato alle cose singole, e dall’altro lato, per quel tenere
distinti i diversi « stati », la operazione intellettuale subbiettiva si fa più
avanti nel primo piano. Perciò neanche appare indegna di fede quella notizia
(v. sopra la nota 69), secondo la quale sembra che taluni, dalla tesi
nominalistica della « maneries » sieno passati alla questione dello status (v.
la nota 88). [§ 24. La teoria
dell’iindifferenza. Ma la evoluzione interna degli studi di logica ci conduce
con ciò spontaneamente alla teoria della indifferenza, la quale in particolare
occupa ima posizione di mediatrice tra le varie tendenze. A suo fondamento sta
il principio, che una medesima cosa è, nello stesso tempo, universale e
singolare, nel senso non già che si dia un universale essenzialmente inerente
alle cose, bensì semplicemente che in queste, in quanto sieno più cose e simili
per natura, si presenti alcunché, che esse hanno indifferenziatamente (
indiff&renter ) in comune; per conseguenza, ciò che più cose hanno
d’indifferente o intrinsecamente simile (indifferens o consimile), è dunque
indicato nella definizione come « genere », e, per l’universale così inteso, è
salva la possibilità della predicazione (praedicari de pluribus ), laddove il
realismo ha sempre corso pericolo di dover, di una cosa, predicare ima cosa (v.
appr. la nota 287): e quest’ultimo aspetto suhbiettivamente logico poteva ora
caso mai venir pure M1 ) Il passo in appoggio, vedilo più sopra, alla noia unilo anche con il concetto di status, di
modo die ciascuna cosa avrebbe in sè uno « stato » d’individualità e nello
stesso tempo uno « stato » di universalità 132 ); ma si tratta nonpertanto di
un punto di vista, tutto diverso da quello di Gualtiero. Mentre là, cioè, si
tiene ancor ferma la esistenza delu ‘) Abael. Glossulae sup. l’orph., riferite
dal Rémusat (v. le note 13 e 73), p. 99 s. : La seconde manière de soutenir
l’universalilé des choses, c’est de prétendre que la ménte chose est
universelle et particulière; ce n’est plus essentiellement, mais indifféremment
que la chose commune est en divers.... Ce qui est dans Platon et dans Socrate,
c’est un indifférent, un semblablc, « indifferens vel consimile ». Il est de
certaines choses qui conviennenl ou s’accordent entre elles, c esl-à-dire qui
sont scmblables en nature, par exemple en tanl que corps, en lant qu’animaux ;
elles sont aitisi universelles et particulières, universelles en ce qu’elles
sont plusieurs en conimunaulé d attributs essenliels, particulières, en ce que
chacune est disimele des autres. La définition du genre (« praedicari de
piuribus »....) ne s’applique alors aux choses qu’elle concerne qu’en tanl
qu’elles sont semblables, et non pus en lant qu’elles sont individuelles. Ainsi
les mèmes choses ont deux états, leur étal de genre, leur état d’individus, et,
suivant leur étal, elles comportenl ou ne comportenl pas une définition
differente. [Vedasi ora il testo originale, ediz. Geyer, p. 518: Sunt a lii in
rebus unii-er salitatela assignantes, qui eandem rem universalem et
parlicularem esse astruunl. Hi
namque eandem rem in diversis in differente r, non essentialiter inferioribus
affirmunt. Veluti cum dicunt idem esse in Socrate et Plutone, « idem » prò
indifferenti, idest consimili, intelligunt. Et cum dicunt idem de pluribus
praedicari vel inesse aliquibus, tale est, ac si aperte diceretur: quaedam in
aliqua convenire natura, idest similiu esse, ut in eo quod corpora sunt vel
ammalia. Et iuxta hanc.... senlentium eandem rem universalem et particularem
esse concedunt, diversis tamen respeclibus; universalem quidem in eo quod cum
pluribus communitutem habet, particularem secundum hoc quod a ceteris rebus
diversa est. Dicunt enim singulas substunlius ita in propriae suae essentiae
discretione diversas esse, ut nullo modo haec substantia sii eadem cum illa,
etiamsi substantiae materia penitus formis carerei, quod tale secundum illos
praedicari de pluribus, ac si dicatur: aliquis status est, participatione
ctiius multae sunt convenientes, praedicari de uno solo, uc si dicatur: aliquis
status est, parlici patione cuius multae sunt non convenientes 1 . Se il
Rémusat abbia effettivamente trovato qui [come (v. s.) effettivamente ha
trovato] nel manoscritto il termine « status »
cosi almeno sembra che sia o se si
tratti di un’aggiunta, fondata solamente sopra il suo personale modo di vedere,
io non lo so. l’universale, e proprio a quest’ultimo vengono atmbu «stati»
differenti, per i sostenitori della tesi della indifferenza viene avanti in
prima linea, con tutto il suo rigore, la idea, appartenente al nominalismo
(note 77 ».), vale a dire che in generale null’altro esiste, all infuori dai
soli individui, e apprendendosi il pensiero a questi, come a’ suoi propri
oggetti, gli universali si generano soltanto per la diversità
dell’apprendimento (aliter et aliter attentum), sicché status o natura dell’essere
individuo o dell’essere specie e via dicendo, sono da considerare soltanto come
modi di vedere soggettivi: e a tal proposito è prima di tutto da considerare il
carattere, per così dire, negativo del procedimento che conduce dall’individuo
all’universale, in quanto che Ymtellectus gradualmente lascia da parte (non
concipit), intenzionalmente dimentica ( oblitus ), posterga e abbandona (
postponit, relinquit) le differenze individuali, per prògredire
nell’apprendimento dell’indifferenziato, sino al grado supremo, cioè alla
sostanza 1 ). Pertanto anche questo modo di vedere, analogamente «*) De geli,
et spec., p. 518: Nane itaque >Uam, quae de indifferentia est. sententi,im
perquiramus Cujus *«£«**£**£ JJJJ ninnino est nraeter individuimi; sed et illud
aliter et aliter atten tum specie* et genus et genertdissimum est (ugualmente
nel pas.o ' ùo già opra! nota 72). Itaque Sacrate* in ea natura (m ponga mente
al termine « natura », in luogo del quale subno dopo « de Socrate, quod nota,
idemj homo » -^CmfPponat ZioaagsH’S z zzi: zzi::‘oli.. „ . .» «» bocr “ m quod
notul « substantia », generulissimttm est. agli altri, può richiamarsi a passi
isolati di Boezio, quando si tratta di affermare che l’individuo, considerato
come individuo, non reca in sè nulla d indifferenziato, ch’egli abbia in comune
con altri individui, bensì, per così dire, egli è la differenza stessa,
laddove, quanto più si considera questo medesimo individuo come specie o come
genere, tanto in maggior numero si scoprono in lui momenti indifferenziati
comuni, e allora si abbraccia, come concetto del genere o della specie, tutto
quel che c’è di elemento comune 134 ) : cosicché con ciò, poiché infine ogni
manifestarsi d’individui si può prenderlo anche dal lato (status) del suo
genere più universale, ci sono in verità tanti generi universalissimi, quanti
sono gl’individui: ora questi generi supremi si raggruppano a lor volta in
dieci classi (categorie), soltanto mediante la considerazione di quel che
d’indifferenziato hanno in comune, ma d’altra parte tutt’insieme vengono a
formare da capo una unità universalissima, consistente m ) Ibid. : Socrates, in
quantum est Socrutes, nidlum prorsus indifferens habet, quod in alio
inveniatur; sed in quantum est homo, plura habet indifferentia, quae in Platone
et in aliis inveniuntur. Nam et Plato similiter homo est, ut Socrates, quamvis non
sit idem homo essentialiter, qui est Socrates. Idem de animali et substantia. Ma per ricondurre
questo testo alla sua fonte, bastano i seguenti passi di Boezio, ad Porph. a se
trunsl., I, 11, p. 56 [ed. Brandt, p. 166; PL, 61, 85J : Cogitantur vero
univcrsalia, nihilque aliud species esse putanda est, nisi cogilatio collecta
ex individuorum, dissimilium numero, substantiali similitudine: genus vero
cogitano collecta ex spoderimi similitudine. Sed haec similitudo cum in
singularibus est, fit sensibilis: cum in universalibus, fit intelligibilis ;
inoltre ibid.. Ili, 9, p. 76 [ed. Brandt, p. 228; PL, 64, 111]: Individuorurn
quidem simililudinem species colligunl, specierum vero genera. Similitudo autem nihil est
aliud, nisi quaedam unitas qual itati s ; c ibid., TU, 11, p. 78 [ed. Brandt,
p. 235; PL, 64, 114]: ea enim sola dividuntur, quae pluribus communio sunt; his
enim unum quodque dividitur, quorum est commune, quorumque naturam ac
simililudinem continel. llla vero, in quibus commune dividitur, communi natura
parteciparti, proprietasque communis rei his, quibus communis est, convenit. Al vero individuorurn proprietas nulli communis est.
Qui cioè è abbastanza chiaramente preannunriato così il simile o commune, come
anche il colligere (nota 136). 17. C.
Pbantl, Storia della logica in Occidente, II.CARCO prantl ili ciò che son
proprio essi 1 elemento comune e indifferenziato 135 ). Nella stessa maniera si
configura poi anche la relazione predicativa, poiché, mentre l'individuo è
sempre soltanto il suo proprio predicato, quell’aspetto suo, che viene inteso
come specie o come genere, può recare con sè un riferimento reciproco ad altri
individui: cioè, p. es., Tesser uomo, di Socrate, è predicato (inhaeret) anche
per Platone, e viceversa: e questo esser genere, dell’individuo, è concetto
collettivo (colligitur), cosi per questo stesso individuo come anche per gli
altri della medesima specie 13 °) insomma il rapporto dell’universale e del
singolare si riduce a un « in quntum », e, non essendoci nè un puro universale
nè un puro individuale, dipende dalla diversità del punto di vista (diversus
respectus), che l’universale venga considerato come singplare, e il singolare
come universale 13T ). [Adelardo da Bath: intonazione platonica DA LUI DATA
ALLA TEORIA DELLA INDIFFERENZA]. Ora U5 ) Jbid., p. 519: Solvunt.... illi
dicentes: generalissima quidem infinita esse essenlialiter, sed per
indifferentiam decem tantum ; quot enim individua substanliae, tot et sunt
generulissimae substantiae. Omnia lamen illa generalissima generalissimum unum
dicuntur, quia indifferentia sunt. Socrates enim in eo quod est substantia,
indifjerens est cum qualibel substantia in eo statu, quod substantia est. ”“) Ibid.:
Sed et hi dicunt: Socrates in nullo slatti aliati inhaeret nisi sibi
essenlialiter; sed in statu hominis pluribus dicitur inhaerere, quia olii sibi
indifferentes inhaerent; eodem modo in statu animalis.... (p. 520) Dicunt ita:
Socrates, in quantum est homo, de se colligitur (si ponga mente a questa
espressione) et de Platone caelerisque; unumquodque individuimi, in quantum est
homo, de se colligitur. ls, > Ibid., p. 521: Itti tamen non quiescunt, sed
dicunt: nullum singulare, in quantum est singulare, est universale, et e
converso; et cum universale est, singulare est universale, et e converso. Ibid., p. 520: Negant hanc consequenliam € si
est universale, non est singulare». Nam imposilione suae sententiae habelur:
omne universale est singulare, et omne singulare est universale diversis
respcctibus. questa dottrina dell’ indifferenza viene tuttavia a sua volta ad
armonizzare infine con il principio « Singultire senti tur, universale
intelligitur », sicché le era dato di trovare un appoggio anche in Boezio (Sez.
XII, nota 91), e comunque si poteva ammettere che per noi quaggiù, in questa
valle di lacrime, gli universali soltanto come individui hanno una esistenza
percettibile, mentre va riconosciuta a essi in verità una realtà intelligibile:
stando così le cose, anche i Platonici, particolarmente per via di quella
tendenza dell’ individuale a deviare all’insù, « lasciando » [relinquere] le
sue caratteristiche singolarità, potevano prender gusto alla teoria della
indifferenza, mentre nello stesso tempo gli Aristotelici erano inclini a por
mente in essa alla relazione scambievole tra universale e particolare, come
anche al conto in cui quella tiene la operazione suhbiettiva dell’intelletto
(di quest’ultimo modo di vedere troveremo un esempio appresso, note 432 s., in
imo scolaro di Abelardo). S’intende pertanto come Adelardo da Bat li, il quale
compose intorno al 1115 [tra il 1105 e il 1116] imo scritto De eodem et
diverso, che aveva per fondamento il platonismo 138 ), credesse di potere,
proprio con la dottrina della indifferenza, comporre il contrasto fra Platone e
Aristotele. Si lamenta Adelardo dell’aspro contrasto fra opposte tendenze, nel
campo della logica, come pure della mania d’innovazioni dominante al tempo suo
13,) ), ma è d’opinione che, lss ) V. sul conto suo maggiori particolari nelle
Recherches critiques dello Jourdain (2* ed. 1843, p. 26-7, 97-9 e 258-277),
dove si riproducono tradotti, di su un manoscritto parigino, notevoli frammenti
di questo libro. [Ma ora del trattato di Adelardo è stato pubblicato
integralmente il testo originale, a cura di H. Willner, nei Beitriige del
Baunikcr, IV, 1, Miinster, 1903, p. 3-34]. “”) Ibid., p. 262: L'un prétend
qu’on doit partir dcs choses sensibles, l'autre commence par les choses non
sensibles. Celui-là soutient que la Science n'est que dans les premières,
cclui-ci qu’elle est. hors des dernières; ils s’inquiètent aitisi mutuellement,
à fin qu’aucun d’eux ne s’altire la confiunce.... (p. 263) A qui donc faul-il con il venir bene in
chiaro di quel che concerne gli universali, si potrebbe appianare la contesa
140 ). Intorno ai concetti di specie e di genere, egli si esprime qui in
perfetto accordo con la teoria della indifferenza, anzi facendo pereino uso
quasi degli stessi termini (p. es. diversus respectus, oblivisci, non attendere
ecc.), sicché può ritenersi che il nostro informatore su citato [v. s. la nota
133] avesse sottocchio lo scritto di Adelardo, non essendoci altra variante, se
non che qui non è messo in campo il concetto di status, ed è forse dato un
certo maggior peso alla denominazione 141 ). Ma croire d'entre ceux qui
tourmenle.nl nos oreilles de leurs innovations journalières, qui cheque jour
naisscnt pour nous, nouveaux Aristotes et nouveaux Piatomi, qui prometterà
également et les choses qu’ils savent, et celles qu’ils ignorent? Ili testo originale, ediz. Willner, p. 6, suona così:
« Alius enim a sensibilibus invesligundas (se. res) esse censuil, alter ab
insensibilibus incepit; alius eus in sensibilibus tantum esse arguii, alter
praeter sensibilia etiam. esse divinavit. Sic dum uterque alterum inquietat,
neuter fidem adipiscitur.... (p. 7) Cui tandem eorum credendum est, qui
cotidianis novitatibus aures vexant.” Et assidue quidem etiam nunc cotidie
Platones, Aristoleles novi nobis nascuntur, qui aeque ea, quae nc sciant, ut et
ea, quae scianl, sine frontis iacluru promittant.... » |. M “> Ibid., p. 267: L’un
d’eux (cioè Platone e Aristotele), transporté par l’élévation de son esprit et
les uiles qu’il semble s’ètre créés par ses efforts, a entrepris de connuilre
les choses par les principes eux-mémes ; a esprime ce qu’ils élaient avant
qu’ils ne se reproduisissent dans les corps, et a definì les formes archétypes
des choses. L’autre, au conlraire, a commencè par les choses sensibles et
composées ; et puisqu’ils se rencontrent dans leur route, doit-on les dire
opposés? Si l’un a dit que la Science étuit hors des choses sensibles, et
l’autre, qu'elle était dans ces mémes choses, voici conimela il jaul les
interpréter. [Ed. Willner, p. 11: « Unus eorum merilis altitudine clatus
pennisque, quas sibi indui obnixe nisus, ab ipsis iniliis res cognoscere
aggressus est, et quid essent, antequam in corpora prodirent, expressit,
archelypas rerum formas, dum sihi loquilur, definiens. Alter autem.... a sensibilibus
et compositis orsus est. Dumque sibi eodem in itinere obviant, contrarii
dicendi non sunt.... Quod autem unus ea extra sensibilia, alter in sensibilibus
tantum existere dixit, sic accipiendum est. »1. «*) Delle parole ohe ora fanno immediatamente seguito
(p. 267-8 del Jourdain), FHauréau (De la philos. scol., I, p. 255 IHistoire de
la phil. scol.) riproduce il testo latino originale [che qui si riferisce
secondo la ediz. Willner] : Genus et species
de his enim senno est etiam rerum
subiectarum nomina sunt. fan poi seguito, secondo lo spirito del platonismo,
espressioni di lamento, perchè agli uomini runiversale si presenta oscurato
dalla indispensabile percezione sensibile, mentre gli universali, nella loro
pura semplicità, esistevano originariamente soltanto nel No0{ divino 11); e*a
questo si connette subito la strana affermazione, che proprio perciò hanno
ragione tutti due, così Aristotele, il quale ha trasportato gli universali in
quella sfera, cli’è la sola dove sieno a noi accessibili, come anche Platone,
che li confina là dov’essi hanno la vera loro realtà, che insomma entrambi,
mentre nella maniera di esprimersi sembra si contraddicano, nel merito si
trovan d’accordo 143 ). Per arrivare a questa conciliazione, AdeNam si res
consideres, eidem essentiae et generis et speciei et individui nomina imposita
sunt, sed respectu diverso. V olcntes etenim philosophi de rebus agere
secundurn Itoc quod sensibus subiectae sunt, secundurn quod a vocibus
singularibus notantur et numeraliter diversae sunt, individua vocarunt, se.
Socratem, Platonem et celeros. Eosdem autem altius intuente s, videlicet non
secundurn quod sensualiter diversi sunt, sed in eo quod notantur ab liac voce «
homo », speciem vocavertuti. Eosdem item in hoc tantum, quod ab hac voce « animai
» notantur, considerantes genus vocaverunt. Nec tamen in consideratione
speciali jormas individuales tollunt, sed obliviscuntur, cum a speciali nomine
non ponantur, nec in generali speciales oblatas inielligunt, sed incsse non
attendunt, vocis genendis significatione contenti. Vox enim haec « animai » in
re illa notai substantiam cum animatione et sensibililate ; haec autem « homo »
totum illud et insuper cum ralionulitale et mortalitate: « Socrates » vero
illud idem addila insuper numerali accidentium discrelione [ed. Willner, :
Assueti enim rebus . cum speciem intueri nituntur, eisdem quodammodo
caliginibus implicantur nec ipsam simplicem notam.... contemplari nec [350] ad
simplicem specialis vocis positionem ascendere queunl. Inde quidam, cum de
universalibus ageretur, sursum inhians « Quis locum earum [se. vocimi] mihi
ostendet? », inquit. Adeo rationem imaginatio perturbai.... Sed id apud
mortales. Divinae enim menti.... praesto est muteriam sine formis et jormas
sine aliis, immo et omnia cum aliis.... distincte cognoscere. Nani et antequam
coniuncta essent, universa quae vide?in ipsa noy simplicia erant [ed. Willner,
p. 12]. lbid.: Nunc autem ad propositum redeamus. Quonium igitur illud idem,
quod vides, et genus et species et individuimi sit, merito ea Aristoteles non
nisi in sensibilibus esse proposuit. Sunt etenim ipsa sensibilia, quamvis
acutius considerata. Quoniam vero ea, inlardo non deve davvero essersi molto
stillato il cervello 144 ). [§ 26.
Gauslenus o Joscellinus da Soissons: sua idea del colligere ]. Un modo di vedere analogo al principio della
teoria della indifferenza, sebbene il metodo seguito fo9«e alquanto diverso,
potrebbe ravvisarsi nella opinione di Gauslenus o Joscelli¬ nus da Soissons
(dove fu vescovo dal 1125 [1122] al 1151), il quale ritiene cioè che gli
universali non si trovano già negl’individui presi per se stessi, bensì com¬
petono a questi, solamente in quanto l’individuale viene raccolto in una unità
(in unum collectis ) 145 ) ; poiché questa è ima tesi che sarebbe perfettamente
in armo¬ nia con il principio su riferito (nota 133), vale a dire che esistono
esclusivamente individui; soltanto che il formarsi degli universali nel
pensiero umano sarebbe ottenuto qui non già con mi lasciar da parte
[(re/inquere ) le differenze individuali], bensì fin da principio con un metter
assieme ( colligere ), del quale infine non poteva pur fare a meno neanche la
teoria della indiffe¬ renza (nota 136). Ma sopra la opinione di Gauslenus non
sappiamo assolutamente nulla di più preciso 14e ) : quantum dicuntur genera et
species, nemo sine imaginatione presse pureque intuetur (qua pertanto troviamo
veramente «li già la « ignota cosa in sé»), Plato extra sensibilia, scilicet in
niente divina, et concipi et existere dixit. Sic viri illi, licet verbis
contrarii videantur, re lamen idem senserunt [ed. Willner, p. 12], Tanto più
che poteva ben essergli accessibile, almeno attra¬ verso Agostino (de civ. Dei,
Vili, 6 f?j), il noto passo ciceroniano dello stesso tenore ( Acad. Prior., I,
6 Tv. anche ih., 41, relativa¬ mente ad Antioco [d'Ascalonal). Abbiamo veduto
più sopra (nota 66) come anche Bernardo da Chartres si sforzasse di conciliare
Pla¬ tone e Aristotele. ’“) Vedi la fonte più sopra, nota 68. “*) Poiché, se H.
Bitter, che sopra Gualtiero da Mortagne, Adelardo da Balli ecc. ci dà notizie,
in parte prive della necessaria precisione, in parte addirittura erronee, vuole
senz’altro riven¬ dicare a Gauslenus lo scritto De generibus et speciebas, per
indurci e mentre da un lato già molto
avanti abbiamo veduto (Sez. prec., nota 175) cbe anche il realista Ottone da
Cluny si serviva di una espressione analoga, e anzi an¬ che Giovanni da
Salisbury sembra riconoscere in Gaueleno un realista (il che tuttavia non ha
forse grande importanza: v. sopra le note 70 e 85), d’altro lato può darsi che
soltanto la separazione degli universali da¬ gl’individui singoli sia per noi
il principale motivo che c’induce a raccostare la tesi di Gausleno alla teoria
della indifferenza: e a conferma di ciò potrebbe fors’anche valere il fatto,
ch’egli ha promosso il passaggio alla teo¬ ria nominalistica della « mancries »
(v. sopra la nota 68). Allora avremmo qui una ripetizione di quel che fu già
affermato, a proposito dei primi inizi di una formazione di contrastanti
tendenze dalla parte dell’indirizzo nomi¬ nalistico liT )Lo scritto anonimo de
generibus et speciebus: punto di vista del suo autore: a) critiche ad altre
soluzioni del problema degli universali],
Ma se, relativamente agli universali, l’ordine al quale dobbiamo dar la
preferenza (v. sopra la p. 208), ci porta a prender in esame le vedute di
AEelardo, come pure di Gilbert de la Porrée e di Giovanni da Salisbury,
solamente qui appresso, in connessione cioè con la totalità della loro
dottrina, per il momento ci rimane da
conati ammettere quest’attribuzione non basterebbero le poche parole di quel
l'unica fonte che possediamo intorno a Gauslenus, neanche qualora esse fossero
in armonia con le vedute dell’autore dello scritto Do gen. et spec. Ma che un
tale accordo sia molto dubbio, può risultare da quanto dovremo ora subito dire,
a proposito di quello scritto anonimo [che invece oggi si tende ad attribuire
appunto a Gauslenus o a un discepolo di lui. Del Ritter v. la 3“ parte della
già cit. St. d. fil. cristiana, p. 381-6 (Allei, da Bath) e 397401 (Gualt. da
Mortagne)]. Cioè il Pseudo-Rabano (Sez. precedente, nota 153) e quel co,i detto
Jepa (ibid., nota 170) si sono espressi, intorno al concetto di genere, in
maniera affatto simile. CABLO PRANTL siderare un unico scrittore ancora, e
questi è l’autore sconosciuto dello scritto «De generibus et speciebus» liS ),
il quale ci mostrerà taluni punti di contatto o di affinità con parecchie delle
opinioni menzionate «inora. In origine il lavoro, nel suo complesso, si
presentava certo come ima monografia «De divisione » (cfr. le note 118-128),
assolutamente alla stessa maniera dello scritto omonimo di Abelardo (v.
appresso le note 277 e 353 ss.), e, come in principio del testo da noi
conservato si tratta ancora della questione delle parti originarie di ima
totalità, così anche qui l’Autore, altrettanto colto quanto acuto, ha poi preso
occasione, dalla discussione intorno alla divisione del genere, per intervenire
nella disputa intorno agli universali, e lumeggiando criticamente le opinioni
degli altri, e ancora esponendo le ragioni delle sue proprie vedute 149 ). Per
prima cosa combatte alla spiccia il nominalismo, con l’argomento che le parole
in generale non hanno un essere, poiché ciò che si genera soltanto per
successione temporale, non può costituire un tutto unitario: ima osservazione,
questa, che è volta appunto, per 14 “) Del libro, edito dal Cousin ( Ouvrages
inédits d'Abélard, p. 507-550) di su un manoscritto di St. Gerniain, manca il
principio; e il titolo, che è invenzione dello «tesso Cousin, si può forse
continuare a adottarlo, ma certamente fatta eccezione per l’aggiunta «Petti
Abelardi » ; poiché, che nel suo complesso non sia un’opera di Abelardo (v.
sopra la nota 49), se ne sarebbe dovuto accorgere anche il Cousin; la cosa
appare manifesta non soltanto da particolarità stilistiche (p. es. Fespressioni
« Attende » o « Solutio », intercalate dove si tratta di risolvere obiezioni, o
ancora, il caratteristico termine « rationabile ingenium », clic l’Autore
mostra di prediligere, ecc.), ma anche da intrinseche divergenze che modificano
la teoria stessa, e si acuiscono persino in forma polemica. Sopra questo punto,
a scanso di ripetizioni, mi limito a rinviare alle note seguenti, 150, 167,
168, e particolarmente 171, dove si vedrà addirittura designata come « ridicola
» una opinione che è di Abelardo. ’*) Con lo studio accurato di questo scritto,
potrebbero forse venir meno del tutto le censure enunciate a suo carico da H.
Rrr- ter (VII, p. 363), che lo giudica malcostrutto e oscuro. quanto in essa si
attiene alla funzione del pensiero nel giudizio, anche contro le idee di
Abelardo (v. appresso la nota 315) 15 °); ma poi la relazione tra materia e
forma, dominante nel passaggio dal genere alla specie, neanche sarebbe già assolutamente
possibile esprimerla con parole, poiché mai ima parola è materia di un altra
parola 151 ). D’altra parte, l’Autore combatte anche il realismo di Guglielmo
da Champeaux, poiché se l’universale, in tutto quanto il suo contenuto, viene
individualizzato nell’individuo (nota 105), non soltanto questo medesimo
contenuto dovrebbe pur trovarsi da capo nello stesso tempo tutto quanto in un
altro individuo 152 ), ma dovrebbero altresì spettare a tutti gl’individui
anche le proprietà varianti o transitorie 153 ), e nioltre nel concetto del
genere si troverebbero poi simultaneamente anche gli opposti 154 ). E
ugualmente egli assume più oltre un atteggiamento m ) Cousin, loc. cit., p.
523: ltem voces nec genera sunt nec species nec universales nec singulares nec
praedicatae nec subjectae, quia omnino non sunt. Nani ex his, quae per
successionem fiunt, nullum omnino totum constare, ipsi qui hanc sententiam
tenent, nobiscum credunt. Quemadmodum statua constai ex aere materia, forma
autem figura, sic species ex genere materia, forma au- tem differentia (v. la
nota 160 s.), quod assignare in vocibus impossibile est. Nam cum animul genus
sit hominis, vox vocis nullo modo est altera alterius materia. m ) p. 514: Quod
si ita est, quis polest solvere, quin Socrates eodem tempore Romae sii et
Athenis? Ubi enim Socrates
est, et homo universalis ibi est, secundum totani suam quantitatem infor- matus
Socratitate.... Si ergo res universalis, tota Socratitate affecta, eodem
tempore et Romae est in Plutone tota, impossibile est, quin ibi etiam eodem
tempore sii Socratitas, quae totani Ulani essentiam conlinebat. Ubicumque autem
Socratitas est in homine, ibi Socrates est: Socrates enim homo Socraticus est. Ibid. Il passo si trova citato già più sopra, n. 129.
”*) p. 515: Quam statim enim rationalitas illam naluram tangit, se. animai, tam
statim species efficitur, et in ea rationalitas fundatur. llla ergo totum
informat animai.... Sed eodem modo irrationalilas totum animai informat eodem
tempore. Ita duo opposita sunt in eodem secundum idem. polemico contro la
teoria della indifferenza, cosi attaccandola nel suo principio, cioè in quel
tale concetto del « comune » (nota 134) 155 ), come anche contraddicendo sia la
opinione, che i sostenitori di quella teoria professano, relativamente al
concetto collettivo (collidere, nota 136) 15 “), sia del pari la conseguenza,
che si ricava, e che consiste nelTobliterarsi della differenza tra universale e
particolare 157 ). [b) soluzione da lui stesso proposta ]. La sua propria opinione traspare già, in
primo luogo, dov’egli tratta della divisione all’infinito (note 126 s.), e
riconosce che una totalità può ancora continuar a sussistere, quand’anche una
sua parte perda la propria forma e subisca, quanto alla materia, ima
diminuzione 158 ), e cosi pure
particolarmente, in secondo luogo, dov’egli esprime la idea, che due punti non
vengono ancora a formare una linea, se non c’è la cooperazione di una energia
creatrice unitaria (una creatura ) 15B ). Anche nella p. 519: Ncque enim
Socrnles aliquam naturarti, quarti habeat, fiatoni communicut, quia neque homo
qui Socrales est neque animai, in aliquo extra Socratem est. !M ) p. 520: Socrates.... lumen
nullo modo de pluribus colligitur, quia in pluribus non est. Già questo dovrebbe renderci circospetti, nell
attribuzione di tale scritto a Gausleno: ma v. appresso la nota 162. 15t ) P521: Al vero nec
particuluritas nec universalitas in se transenni. Namque universalitas potest
praedicari de particularitate, ut animai de Socrate vel Platone, et
particularitas suscipit praedicalionem universalitatis ; sed non ut
universalitas sit particularitas, nec quod particolare est, universalitas fiat.
[Queste parole fan parte di una eitaz. da
Boezio, ad Ar. Praed., I, p. 120; PL, 64, 170]. P510: Non sequitur « si hic
asser est, et medietas hujus asseris est»; posset enim destrui medietas,....
non quanlum ad totani ejus massam, sed quanlum ad formam, et tamen remanentibus
ejus aliquibus particulis non destrueretur hic asser, quoniam medietatis ejus
materia, forma tantum pereunte, tota non periret. P511 : Si quuelibet duo
puncta proxime juncla faciunt bìpunctalem lineam, quue sit una creatura, tunc
habebit unum fundamentum; sed una atomits non erit ejus fundamentum; jam polemica contro un emendamento [proposto per
sfuggire alle difficoltà] del realismo, egli risolutamente si attiene alla
similitudine derivata da Porfirio (Sez. XI, nota 44), e indi passata nelle
teorie di Boezio (Sez. xn, nota 97) : la similitudine, cioè, dell’opera d’arte,
sicché per lui il genere è la materia e la differenza è la forma, ma il
prodotto stesso, cioè la specie, nella quale la materia è il sostrato della
forma (formarti sustinet ), viene considerato come una unione permanente, e
designato anche con il termine « materiatum » 160 ) ; in luogo di questo
termine, d’altro canto, trovasi pure, ferma restando rigorosamente la idea di
parte, la caratteristica espressione « diffinitivum totum » J01 ). Ma un più
preciso fondamento a questa sua opinione egli lo dà nella maniera seguente:
Nell’individuo una certa «essentia», cli’è la materia, porta in sè ( sustinet )
la forma della individualità, ed è composta con essa, dal che appunto si genera
la diversità degl’individui singoli; ora, proprio questa essenza, in quanto la
si trova non soltanto in uno o nell’altro individuo, ma nello stesso tempo
anche, come materia, in tutti quanti insieme, è la specie, la quale pertanto,
per molte che sieno le essenze singole ( essenrìaliter multa), viene tuttavia
designata come concetto collettivo ( collectio) con le enim esset bipunctaliter
linentum.... p. 513 : postarlius dicere quod ipsa bipunctaìis linea fundutur in
illis duabus alomis ut in subjeclis, non in subjecto. ’*’) p. 516: Sed dico:
facta est species ex genere et substanliali differentia, et sicut in statua aes
est materia, forma autem figura, similiter genus est materia speciei, forma
autem differentia. Materia est, quae suscipit formam. Ita genus in ipsa specie
constituta formimi sustinet. Nani et postquum constituta est, ex materia et
forma constai, i. e. ex genere et differentia.... p. 517: ontne materiatum
sufficienter constituitur ex sua materia et forma. ’") p. 522: Speciem ex
genere et substanliali differentia constare, ut statua ex aere et figura,
alidore Porphyrio (in Boezio, ad Porph. a se trinisi., IV, 11, p. 88 fed. Brandt, p. 268; PL]), constat.
Itaque pars est speciei materia et similiter differentia. Ipsa vero species est totum diffinitivum eorum.
parole « un universale », ovvero « una natura », press a poco come anche il
concetto di «popolo» abbraccia molti individui 162 ); non già viene cioè
individualizzata in ciascun individuo singolo la specie tutta quanta, bensì
solamente una sua parte, cioè appunto una sola siffatta essenza, la quale non è
già identica alla totalità che costituisce la specie (concollectio), ma ha con
essa in comune soltanto la simile composizione o la simile energia creatrice
(similis compositio, similis creatio ): onde neanche la similitudine con il
popolo o con un esercicito calza perfettamente, sussistendo tra l’essenze smgole
e la loro totalità, data quella somiglianza nella produzione, una maggiore
identità di essenza che non tra un soldato e l’esercito; tutta questa relazione
si presta invece meglio a esser paragonata con il caso di una massa di metallo
piuttosto grande, la quale in una delle sue parti può esser lavorata in forma
di coltello, e nello stesso tempo, in un’altra sua parte, in forma di stile.
Quid nobis polius lenendum rideatur de his, Deo annuente, amodo ostendemus.
Unumquodque individuimi . ex materia et forma compositum est, ut Socrates ex
homine materia et Socratitate forma; sic Plato ex simili materia, se. homine,
et forma diversa, se. Platonitale, componitur; sic et singuli homines. Et sicut
Socratilas, quae formaliler constituit Socratem, nusquam est extra Socralem,
sic illa hominis essentia, quae Socralitatem sustinet in Socrate, nusquam est
nisi in Socrate. Ita de singulis. Speciem igitur dico esse non illam esscntiam
hominis solum, quae est in Socrate, vel quae est in aliquo alio individuorum,
sed tolam illam collectionem ex singulis tdiis [5251 hujus naturae conjunc.tam.
Quae tota colleclio, quamvis essentialiter multa sit, ab auctoritatibus (cioè
da Porfirio e Boezio) tamen una species, unum universale, una natura
appellarne, sicut populus (v. la Sez. precedente, nota 153), quamvis ex multis
personis collectus sit, unus dicitur. Speciem esse dicimus multitudinem
essentiarum inter se similium. ut hominem.... lllud tantum humanitatis
informatur Socratitate. quod in Socrate est. Ipsum autem species non est, sed
illud quod ex ipsa et caeteris similibus essentns conficttur. Attende. Materia
est omnis species sui individui et ejus formam suscipit, non ita scilicet, quod
singulae essentiae illius speciei informentur illa forma sed una tantum, quae
tamen.... similis est
compositioms, prorsùs cum omnibus aliis ejusdem naturae essenliis.... Neque.... diversum judicaverunt [se. auctores] unam
essenJiam illius con[Ora questa medesima relazioue si ripete per il concetto di
genere, essendo ciascuna delle esscntiae, appartenenti alla totalità di una
specie, composta a sua volta di una materia e di una forma, con questa sola
differenza, che cioè la forma qui non è più esclusivamente quella sola della
individualità, ma involge essa medesima in sè la pluralità delle differenze
specifiche, cioè sostanziali; ma quella materia come tale appare
indifferenziata ( indifferens ) in quelle essenze singole, che, come materia,
stanno a fondamento della formazione della specie, e si chiama ora genere la
multitudo dell’essenze, che possono far da sostrato (sustinere, recipere) alle
differenze specifiche 164 ). E lo stesso può infine ripetersi anche
relativamenteal « primo principio », perchè le essentiae appartenenti a un
genere, consistono a lor volta di materia e forma, e sono, quanto alla materia,
parimente indifferenziate colleclionis a tota collectione, sed idem, non quod
hoc esset illud, sed quia similis creationis in materia et forma hoc eral cum
ilio.... Massam aliquam ferream, de qua fuciendi suiti cultellus et Stylus,
videntes, dicimus: hoc fulurum materia cultelli et styli, cum tàmen nunquam
tota suscipiut formam alterulrius, sed pars styli, pars cultelli.... (p. 527)
Major.... identitas alicujus essentiae illius collectionis ad totum, quarti
alicujus personue ad cxercitum; illud enim idem est cum suo tato, hoc vero
diversum. Inoltre p. 535: Hoc enim habet
nostra sententia, quod animai illud genus in parte sui suscipit rationalilalem
et in parte irrationalitalem. 1M ) p. 525 : Item unaquaeque essentia hujus
collectionis, quae humanitas appellalur, ex muteria et forma constai, se. ex
animali materia, forma autem non una, sed pluribus, rationalitate et
mortalitate et bipedalitate, et si quae sunt ei aliue substantiales. Et sicut de homine dictum est,
se. quod illud hominis, quod sustinet Socrutitalem, illud essentialiter non
sustinet Platonitatem, ita de animali. Nam illud animai, quod formas [Cousin
corregge: formami huma. nilatis, quae in me est, sustinet, illud essentialiter
alibi non est, sed illi indifferens est in singulis materiis singulorum
individuorum animalis. Hanc itaque mullitudincm essentiarum animalis, quae
singularum specierum animalis formas sustinet, genus appellandum esse dico:
quae in hoc diversa est ab illa multitudine, quae speciem facit. Illa enim ex
solis illis essentiis, quae individuorum formas sustinent, collecta est; ista
vero, quae genus est, ex his, [quae] diversurum specierum substantiales
differentias recipiunt. C (indiff erentes
), mentre recano in sè, come loro forma, le differenze del genere, e così ancor
una volta si arriva a una multiludo di essenze, come al generalissimum, del
quale infine può ancora dirsi soltanto, che la sua materia è la « mera essentia
» o la sostanza stessa, mentre la sua forma è la susceptibilitas contrariorum
165 ). Così l’Autore, con il suo caratteristico potenziamento o incastramenti
della essenza, si accosta tuttavia ancora molto dappresso a Guglielmo da
Cliampeaux; pertanto non si può in verità dire di lui che, come Gauelenus,
abbia staccato l’universale dalPiudividilo (v. le note 145 s.), ma nello stesso
tempo, mediante i concetti di collectio e d’indifferens, egli viene a contatto
con la teoria della indifferenza, mentre quei concetti stessi, hanno certamente
per lui, in grado di gran lunga maggiore, una validità obbiettiva. [c) dottrina
del giudizio ]. Ma tanto più caratteristica è perciò la forma che deve qui
assumere la concezione della funzione logica subbiettiva, cioè del giudicare,
nei riguardi degli universali, mentre d’altra parte, soltanto con la
enunciazione del modo di vedere dell’Au’*) Ibid.: Item, ut usque ad primum
principium perducalur, sciendum est, quod singulae essentiae illius
multitudinis, quue animai genus dicitur, ex materia aliqua essendo corporis et
formis substantialibus, animatione et sensibililale, constat, quae, sicut de
animali diclum est, nusquam alibi essentialiler sunt; sed illae indifferentes
jormas susdnent omnium specierum corporis. Et haec taliurn corporis essentiarum
multiludo genus dicitur illius naturae, quam ex moltitudine essentiarum
animalis confectam diximus. Et singulae corporis, quod genus est, essentiae ex
materia, se. aliqua essentia substandae, et forma, corporeitate Constant. Quibus indifferentes essentiae incorporeitalem, quae
forma est, species, sustinent ; et illa taliurn essentiarum multiludo
substantia generalissimum dicitur, quae tamen nondum est simplex, sed ex
materia mera essentia, ut ita [526] dicam, et susceptìbilitate contrariorum
forma constattore sopra questo punto, le idee di lui trovano la loro
esplicazione compiuta. Egli si lamenta della mancanza di una definizione della
relazione predicativa; poiché intenderla senz’altro come inerenza obbiettiva, è
un uso non giustificato, a prescinder dal fatto che la inerenza stessa la si
può prendere soltanto nel senso sumdicato di divisione: e come ci si deve
guardare dalle conseguenze della teoria della indifferenza, è in generale da
respingere la identificazione di praedicari e di esse, dal punto di vista del
contenuto definitorio della specie: mia osservazione, questa, che certamente è
rivolta contro Abelardo (v. appresso la nota 318), e più che mai assume il
carattere di una espressione specificamente polemica, allorquando, prendendosi
posizione, come non si può disconoscere, contro una teoria di Abelardo
(relativamente ai « sumpta»: v. appresso la nota 321), si afferma che tutte
quante le denominazioni universali, sieno aggettivi eieno sostantivi, si
riferiscono indirettamente a forme obbiettive 166 ). Insomma, il giudizio ) p.
526: Audi et attende; praedicari quidem inhaerere diclini. Usus quidem hoc
habet; sed ex auctoritate non imeni con cedo tamen; inhaerere autem dico
humanitatem Socrati, non quod tota consumatiliin Socrate, sed una tantum ejus
pars Socratitate mformatur (v. la nota 163). p. 531: Nasse debes quod nusquam,
quid sii praedicari, piane dicit auctoritas. Nani quod solet dici quod
praedicari est inhaerere, usus est ex nulla auctoritate procedens., p ; 21 '
ltem «pec'es in quid praedicatur de individuo (quest abbreviazione «praedicari
in quid» la incontriamo qui per la prima volta efr. la nota 282: cioè nella
traduzione di Boezio [in p. 527 8.: Sed,
dicuril^.. « ralionale » alterius nomen est, prò impositione scilicet animalis,
et aliud est quod principaliter significai, se. rationalitas, quam praedicat et
subjicit; t homo non asserisce mai che quel dato soggetto e quel dato
predicato, bensì asserisce solamente che il soggetto va annoverato fra quell’
essenze, che o son costituite da una determinata materia, o sottostanno a una
determinata forma 168 )! pertanto (e ad avvalorar le sue parole 1 Autore può
persino richiamarsi qui a un passo isolato di Boezio) il nome che significa una
specie, viene dato appunto soltanto ai rispettivi individui singoli, ma non mai
alla specie stessa 170 ); e per tal riguardo si distinguono i sostantivi e gli
aggettivi, in quanto che quelli si riferiscono alla materia e questi alla
forma, sicché chi parlasse di un accidentale, cioè di un « adiacens » ma è proprio ancora Abelardo che fa così : v.
appresso le note 283 s. , commetterebbe il più grande degli errori m ) ; ma se
così stanno le cose per quel che concerne il significato originario dei termini,
modi di dire, come p. es. « Uomo è un concetto di specie », sono soltanto
espressioni traslate, imposte dalla necessità 17 ). vero nihil aliud vel
nominai vel significai, quam illam speciem. Absit hoc; imo, sicut «
Tallonale » et « homo», sic et quodlibet aliud universale substantivum alterius
nomen est, per impositionem quidem ejus, quod principaliter significai. V. g.:
rationale vel album imposi timi luit Socrati vel alicui sensilium ad nommundum
propler formas, i. e. rationalitalem et albedmem, quas principaliter
significant. . . . ’*) p. 528 : Itaque cimi dicitur « Socrates est homo », lue
est sensus «Socrates est unus de materialiter constitulis ab homine».... Sicut
cum dicitur « Socrates est ralionalis », non iste est sensus « res subjecta est
res praedicata », seti « Socrates est unus de subjectis huic jormae, qvae est
rationalitas ». ... "») Ibid.: Quod aulem « homo » impositum sit lus, quae
materialiter consliluiinlur ab homine, i. e. individuis, et non speciei, dicit
Boethius, in commentario super Calegonas, his verbis etc. (v. BOEZIO liti ir.
praed.. II. p. 129); cfr. la Se-/., precedente, nota 121. m ) Ibid.: Nomina
illa tantum dicunlur substantiva, quae imponuntur ad nominandum aliquem propter
ejus malenam.... vel.... expressam essentiam .; adjectiva
vero Ma dicuntur, quae,mponuntur alicui propler formam, quam principaliter
significai.... I\a quod dici solet, adjectivum esse, quod significai accidens,
secundum quod adjacet, et substantivum, quod significai essentiam, ut
essentiam, ridiculum est vel sine inlellectu. '”) p. 529: Sciendum est ergo:
vocabula, quae imposita sunl [d)
propensione al platonismo ]. Già da ciò
è manifesto che l’Autore (in antitesi con Abelardo) disconosce il valore
effettivo della sintesi che ha luogo nel giudizio, e, secondo lo spirito del
platonismo, isola le parole tutte quante, come imagini subbiettive di esemplari
obbiettivi: pensiero che non potrebb’enunciarsi con maggior chiarezza di quel
ch’egli stesso fa, quando p. es. dice : « razionale » non è il nome di ciò che,
come soggetto, sottostà al predicato della razionalità, bensi è il nome di una
entità, che vien costituita dalla « razionalità » 17S ) ; anzi, a questa
maniera, bisogna ch’egli concepisca il rapporto predicativo in guisa così
indeterminatamente generica, ch’esso si trovi in generale a coincidere con il
prodursi del termine « significante », ed essendo quest’ultimo momento, per il
soggetto e per il predicato, il medesimo, la differenza tra uno e l’altro si
riduce a essere puramente esteriore e accidentale; ma, a tal proposito,
l’Autore si appoggia a un passo di Prisciano, dove, in base alla terminologia
generalmente adottata dagli Stoici (v. la Sez. VI, note 112 ss.), le particelle
vengono denominate « syncategoreumata », dal che si può argomentare che allora
tutte le altre parole sono appunto categoreumata, cioè predicati 174 ). rebus
propter aliud significandum principaliter circa eas, quandoque transjerunlUT ad
agendum de principali signi ficatione ; ut cum.... translative .... dicilur «
rationale est differentia » et « album est species coloris i, nihil aliud
intclligo quam « ralionalitas » et « albedo ». Sic.... cum dicilur « homo est
species ».... Concedimus itaque, hanc translationem necessitate fieri. *”) p.
547: Rationale enim non est nomen subjecti rationalitatis, sed rei quae a
rulionalitale constiluitur, quae non est ipsum animai. m ) p. 531: Mihi autem
videlur, quod praedicari est principaliter signi ficari per vocem praedicatam;
subjici vero, significavi principaliter per vocem subjectam, et hoc quodammodo
videor habere a Prisciano, quod in tractatu orulionis, unte nomen (cioè nel
capitolo che precede la trattazione del Nomen), dicit praepositiones et
conjunetiones « syncategoreumata », i. e. consignificantia. Scimus autem « syn
» apud graecos « cum » praepositionem [532] significare, « categorare » autem «
praedicuri » ; unde « categoriae » « prne1S.
Questi syncategoreumaia die, presi dalla
grainma. tica, son qui messi in campo di passata, e che noi in questa Sezione
incontreremo ancora qualche volta, esercitarono più tardi, a partire da Psello
(Sez. seguente, note 9 e 92) e da Pietro Ispano (Sez. XVII, nota 256), un
influsso estremamente esteso: ma questo è im argomento che, com’è ben naturale,
dobbiamo riserbare al seguito della presente esposizione. Invece la conseguenza
che da ciò ricava qui il nostro anonimo Autore, conduce a un platonismo, che
deve farci ricordare da vicino lo Scoto Eriugena. Se cioè « praedicari », a
questa maniera, è la stessa cosa che « significari principaliter », la funzione
dell’intelletto umano trapassa in quelle forme e maniere di essere obbiettive,
che stanno a fondamento degl’individui, poiché il concetto si genera
(intellectus consti tuitur, generante) per mezzo della parola, in vista
dell’universale obbiettivo 1 ”), e anche la inerenza, se con essa si vuole,
secondo l’abitudme tradizionale, identibeare la relazione predicativa, ha
tuttavia appunto esclusivamente mi valore obbiettivo nel processo del divenire
delle cose ”•). Insomma si tratta soltanto delle irifcantLl d,"" ur S
.' td . em est «eategoreumata» quoti «sifótér» Til n d0m p « praedicari » quoti
« significar, principavol i, S41 s „,n SCUN ',°> II, 15 [ed. Hertz, voi I p.
54] suona così: Partes ignur orationis sunt secundum dudecticos dune, uomo,, et
verbum, quia hae solae eliam per Te coniunctae plenum facium ortUionem, alias
attieni partes « syncategoremata », hoc est consignificantia, appellabant).
WiJJV i" 1 erl * « praedicari. » quoti « si.gnificari principali ’ q i SO
r‘ m s, Z m J ìc ationem recepit Aristoteles, juxta iUud albani mi significai,
msi qualilatem (Cai., 5: v. la Sezione IV nota 476; cosi si storceva qualsiasi
testo a favore del proprio perso’ " • m °'!° dl V e dere) : n Cu m enim
album «subjectum albedinis » nominando significa, illuni solam significationem
notaviI. Aristole- les m qua mtellectus constituitur per vocem.... Sicut ensis
et g/a- diuseumdem generant mlcllcelum, ita ilio duo nomina jacerent. ) p.
53.1: Quod si «praedicari» quidem prò « inhaerere » ac- liPl ì q “° d ?* c °
ncedl ™us, ncque enim bonum usimi abo- e lolumus sic dicendum est: omms natura,
quae pluribus inolierei indivulins materuiliter, species est. nature »
unitarie, che stanno a fondamento delle cose: e, quando il concetto di natura
viene ridotto alla similis creatio (v. sopra la nota 163) o rispettivamente,
per mantener la separazione da altre formazioni, alla dissimilis creatio m ), a
ciò si connette una teoria platonico-mistica della Creazione, la quale qui non
c’interessa 17S ). Ma è da considerare, a questo proposito, che, da un lato,
secondo è stato detto più sopra, vien a essere posta massimamente in rilievo,
per la predicazione, la distinzione tra essentia materialis ed essendo forma-
lis 17 °), come pure, dall’altro lato, che nel rispetto ontologico viene
attribuita una efficienza alla forma soltanto 1S0 ) ; per tali ragioni va
combattuta quella opinione la quale del
resto appartiene del pari ad Abelardo (v. appresso la nota 306) secondo la quale il sommo genere ( genus generalissimom)
sarebbe la materia stessa, e pertanto le forme sarebbero le sue specie prossime
181 ); OT ) 1 Ititi. : Hic aulem tantum agitur de naturis. Si uutem quae- ras,
quid appellem naturimi, exaudi: naturam dico, quicquid dissimilis crealionis est
ab omnibus, quae non sunt vel illud vel de ilio, sive una essentia sii sive plures,
ut Socrutes dissimilis crea- tionis ab omnibus, quae non sunt Socrates. Similiter et homo spe- cies est
dissimilis creationis ab omnibus rebus, quae non sunt illa species vel aliqua
essentia illius speciei. Anche
la obiezione relativa alla f enice, la quale esiste soltanto in esemplare unico
(v. la Sez. XII, nota 87), viene presa in ronsiderazionc, ma la si rimuove, con
la osservazione che la opposizione tra materia e materiatum (v. sopra la nota
160) dev’essere tuttavia mantenuta nella sua universalità. ™> p. 538-540.
*'") P- 548 s. : Concedo, rationulilatem praedicari de homine in
substantia, ut animai, sed illud ut formalem essenliam, aliud [Cou- sin
corregge: animali vero ut materialem. Vere attieni assero, imi- Inni simpUcem
jormam de alio praedicari substanlialiter, quam de his, quae formaliter
constiluit. P- 549: Non est diversus effectus materiarum, imo forma- rum.... Apparvi, quod ille effectus
sequitur formas, et non maleriam. m ) p. 546: .... ne concedere cogamur, et
muteriam substantiae generalissimum esse genus, et susceptibilitatem
contrariorum, et quaslibet simpliccs formas esse species.... Respondendum est, quod in diffinitione generis
intelligcndum est, id quod genus est debere 276 e questo perchè, come s’è
veduto (nota 165), già nel sommo genere stesso l’Autore ravvisa un prodotto di
materia e forma, e perciò per queU’ultima materia suprema, cioè per la « mera
essenza », altro predicato non gli rimane all’infuori dal puro essere, vale a
dire « est » 182 ) ; precisamente alla stessa maniera che anche (v. la nota
170) quella essenza, la quale, come materia, sta a fondamento degl’individui,
non ha di già essa stessa un nome che sia dato a lei quale predicalo, perchè
invece mi tale nome collettivo viene predicato solamente dei rispettivi individui
183 ). Ma quest’ultima considerazione viene ora estesa anche alle forme, cioè
alle differenze specifiche; in un lungo dibattito, d’intonazione polemica
estremamente accentuata, contro la tesi usuale (Sez. XI, nota 44, e Sez. XII,
nota 87), si dimostra cioè la impossibilità che la differenza specifica venga a
cadere sotto la categoria della qualità, perchè allora la qualità dovrebbe
scomporsi in due specie supreme, ciò sono la differenza e la qualità residua,
ma ciascuna di esse a sua volta potreb- b’essere costituita solamente mediante
mia differenza specifica, e quest’ultima d’altra parte dovrebbe pure venir a
cadere parimenti sotto la categoria delle qualità, il che non le è possibile in
nessuna maniera, cioè nè come genere nè come specie o sottospecie; e così
anche, nemmeno in un’altra categoria ci può essere poi ima dif- praedicari de
pluribus speciebus proxime sibi supposids, quod, quia deest illi maleriae
[Cousin corregge: materia], idcirco non est genus. *) Ibid.: Possumus edam
dicere, quia illa mera essendo ad interrogadonem factum per quid convenienler
non respondetur.... Si ergo quaeritur «quid est [547] substantia »,
respondeamus «est». Neque enirn potest responderi per nomen « sub stantia »;
namque non est nomen nisi materialorum a substantia, vel ipsiits substan- dae.
Per transladonem supervacue responderi manifestum est. “’) p- 534: Opponetur:
illa essendo hominis, quae in me est, aliquid est aut nihil.... Respondemus,
tali essentiae nullum nomen esse dalum, nec per imposidonem nec per transladonem.ferenza
specifica, poiché ciascuna specie della qualità (e a queste la differenza
stessa dovrebbe ben appartenere) potrebb’essere soltanto una differenza
specifica nell’àmbito della qualità stessa 18, II, p. 98; PL, 199, 640]: Sunt
autem dubitubilia sapienti quae.... suis m ulramque parlem nituntur firmamenti.
Talia.... sunt, quae quaerunlur.... de materia et motu et principiis corporum.
de progressu multttudims et magnitudini sectione an terminos omnino non habeanl
(v. sopra le noie 125 ss.). de tempore et loco de numero et mattone, de codoni
et diverso, in quo plurima attrilio est, de dividilo et individuo, de
substanlia et forma vocis, de statu universalium, de usu et fine orluque
virlulum eie. logica, la tendenza propria di quell’epoca; con ciò diremmo di
poter in pari tempo rendere compiuta la conoscenza del terreno, sul quale si
esercita la operosità tal proposito, anzitutto le Categorie, di fronte alle
quali alcuni che ne hanno trattato, hanno assunto invero di Abelardo. [a) sopra
le Categorie]. Per quel che riguarda, a
un atteggiamento svalutativo 18 “), già quei concetti preliminari di
aequivocum, univocum e denominativum (v. sopra la nota 93) hanno dato motivo a
discrepanze ™°). Ma poi la contrapposizione di sostanza e accidente (Sez. XII,
nota 90) fu da taluni contestata, da altri invece o giustificata, limitatamente
alle cose naturali concrete, o riferita alla mera relazione predicativa (cfr.
la nota 186), o anche, con uno scambio tra forma e accidente, trasportata nel
concetto di totalità costituita da parti m ). *'"l Lo stesso, Metal., IV,
2-1 ( Opp ., V), p. 181 [ed. Velili, p. 191J: Alti detrattimi Catliegoriis IPL,
199, 930J. *) lbid-, III, 2, p. 120 [ed. Wehb, p. 124; PL, 199, 893]: Ex
opinione plurima idem principtditer significala denominativa et ca a quibus
denominuntur (un’affermazione come questa, può essere stata fatta
esclusivamente da segnaci dell'indirizzo realistico). Arali. . Dialecl., p. 481 : Alee aequivoca ex
sola debent praedU catione judicari ; sed nec unìvoca propler eamdem
communionis causarti.... Sani autem nonnulli, qui.... non ad ca, quibus est
impositurn vocabulum acquivocum et de quibus enuntiatur, respiciunt; imo ad ea,
ex quibus est imposilum ; ut « amplector », cum ad eamdem personam,
amplectenlem simul et umplexam. acquivocum dicatur, secundum diversarum
proprietatum diffinitioncs, uclionis scilicet et passionis, non ad personam
commune dicatur, sed ad pròprietales, quas aeque designat. M Pseudo-Abael. De
inlell. (riferito dal CousiN, Fragments pitilosophiques, Parigi, 1840, p. 493
[Abael. Opera, II, p. 753]): Quaeritur, un linee divisin, leonini qttae sunt,
aliud est substantia, uUud est accidens », sit sufficicns. Quod si concedatur, tunc, cum
Tulionulitas sit, opnrtet esse substantiam vel accidens. Si autem accidens
fuerit, potesl adesse et abesse....; quod falsum est.... Quidam dicunt, quod de
quocumque veruni est dicere « istud est una res», de eodem veruni est dicere,
esse substantiam vel accidens. Hi
tamen non conceduti/, rem imam debere dici, quod per opus hominum liabet
exislentium, ut domus, nec quod habet pnrtcs disgregalas, sicut popuAnche la
disamina delle singole categorie diede parecchia materia a controversie, le
quali non varcarono tuttavia il limite di quel che si trovava negli scritti di
Boezio. Così, per quel che riguarda la relazione, la divergenza, che già si era
manifestata fra Platone e Aristotele, rispetto al modo d’intendere questa
categoria, si era trasmessa, attraverso i commentatori (Sez. Ili, nota 49; IX,
nota 31; XI, nota 71), sino a farsi sentire anche nella discussione che
s’incontra in Boezio (Sez. XII, nota 93), e pertanto questo punto controverso
torna a comparire anche qui I92 ). Si disputava altresì, se i concetti di
somiglianza o di uguaglianza non sieno da ascrivere alla qualità, piuttosto che
alla relazione, a quel modo che studiosi isolati assegnavano alla qualità
persino la categoria della situazione ( situs) 193 ). Ovvero si metteva hi
dubbio che fosse giusto considerare ubi e quando come categorie, dato che son
ricavati dai concetti di spazio e di tempo, i quali appartengono alla quantità,
e lus.... Alti vero duobus modis dicunl [754] divisionem sufficiente ni esse:
praedicatione scilicet, et continentia secundum naluram. Predicanone quidem....
v. g.: animalium aliud est rationale, aliud irrattonale ; haec divisto est
sufficiens praedicatione, quia de quocumque poterit dici: «istud est animai»,
de eodem statim consequelur, esse vel rationale vel irrutionale.
Continentia.... ut tale sit exemplum: « domus alia pars paries, alia tectum,
alia fundamentum Accidens tamen ibi large accipitur prò forma. ) Abael,
Dialect., p. 201 s.: Quae quidem [ diffinitio ] ab alia in eo maxime diversa
creditur, quod itane Aristoteles secundum rerumnaluram protulil, illam vero
Plato secundum conslruclionein nominum dedit.... Sunt autem qui quemadmodum
Platonicam diffinilionem nirnis laxum vituperata, ila et Aristolelicam nimis
strictam uppellant. ' (kid., p. 204: Sunt tamen, qui « acqualis et inaequalis, simihs et
dissimilis » inter qualitates contrarias recipianl. p.
208: Hi vero, qui similitudinem potius inter qualitates enumerant, ut Magislro
nostro V. (v. la nota 102) piacili t. (La fonte di questa controversia è
Boezio, messa a confronto con p. 187 \in Ar Praed., II e III: PL, 64, 219 e
259]). Ibid., p. 201: Unus, memini,
Magisler noster erat, qui positionis nomea ad qualitates quasdam aequivoce
detorqueret. sono pertanto in perfetto parallelismo, p. es., con l’avverbio
interrogativo « qualiter » 104 ). O, ancor una volta, si domandava quale fosse
la corretta subordinazione dei concetti di « morte », o di « sonno », e simili
1B5 ). Oppure si discuteva sul come vada inteso il magis vel minus che compare
sovente nelle Categorie, se cioè la graduazione concerna puramente il sostrato,
o puramente la proprietà, o uno e l’altra al tempo stesso 106 ). Li tali
occasioni poteva anche venir fuori la distinzione tra i diversi indirizzi sopra
la questione di principio, in quanto che i nominalisti, p. es., designavano il
concetto di « ieri » come un Non-essere 1B7 ), o facevan valere il proprio lw )
Ibid., p. 199: Videntur autem nec generalissima esse « Ubi » vel « Quando », eo
quod prima principia non videantur. Quae enim ex alio nascuntur, prima non
videntur principia, sed ipsa quoque principia habenl; Ubi autem ex loco. Quando
autem ex tempore..,, originem ducimi.... Solel autem a multis in admiratione[m]
ac quaesi ione [ ni ! deduci, cur magis ex loci vel temporis udjaccntia
praedicamenta innascantur, quum ex adhaerenlia aliarum specierum sire generum.
Tarn enim bene « Qualiter » unius nomiti generalissimi videtur, sicut « Ubi »
vel « Quando », cujus quidem species bene vel male dicerentur [Cousin: bona vel
mala dicereturl, sicut « Quando » heri vel nudiustertius, vel « Ubi » Romae vel
Antiochiae [200] esse. La fonte di questa controversia, oltre che la Sezione riguardante la quantità,
e nella quale anzi locus e tempus hanno avuto una speciale trattazione
(Bof.zio, p. 146 [in Ar. praed.. Il: PL, 64, 205]), è in particolare il commento dello stesso
Boezio, p. 190: « quando» et «ubi» esse non polesl, nisi locus ac tempus fuerit
[in Ar. praed.. Ili: PL, 64, 262], ”“) Ibid., p. 402: Solel autem de morte et
vita quaeri, utrum in privalionem et habilum, un potius in contraria
recipiuntur. p. 406: Si.... f in dormiente
], inquiunt, visio esset..., ridere eum oporleret. Si vero caecitas inesset,
nunqunm amplius ipsum ridere contingeret. “*) Gilb. Porret. de sex princ., 8
(puhhl. nella ediz. lat. delle Opere di Aristotele, Venezia, 1552, I, f.34) :
Dicitur autem « magis et minus suscipere » tripliciter. Aiunt enim quidam
secundum erementum vel diminutionem eorum, quae suscipiunt, subiectorum. Aliter
autem et olii, ipsa quidem, quae suscipiuntur, in suscipiente diminuì et
crescere, annuntiant. Alii autem secundum ulrumque, amborum diminutionem et
augmentationem [cfr. PL, 188, 1268. e la nota 21 di questa Sez.]. w ) Abael.
Dinlect., p. 196: Cum.... « Iteri » rei existentis designativum non
videatur.... Sed fortasse hi, qui magis in speciebus 282 CABLO PRANTL punto di
vista, anche in ordine alla relazione e agli op. posti, mentre allo stesso modo
operava, dal canto suo, la corrente realistica 19S ). Ma sembra che, più spesso
di tutto, si sia parlato della categoria della quantità, già per il fatto che
questa offriva la opportunità di passare di nuovo alle questioni concernenti il
concetto di parte (note 125 ss.). Mentre i nominalisti intendevano i concetti
numerali in modo perfettamente analogo a tutto il resto [ intendi : dei
concetti], e perciò designavano i singoli numeri come specie, il cui genere è
il concetto stesso di Numero I99 ), ciò era negato dai loro avversari; secondo
costoro infatti, mancava nei numeri quella essenziale unità di natura, eh e
necessaria per il concetto di specie o di genere, e per conseguenza i numeri
vanno semplicemente qualificati come espressioni aggettivali di un procedimento
collettivo; quest’ultimo poi si applicava altresì a tutti quanti i momenti
della quantità, in quanto che a ima realtà sostanziale posson pretendere
soltanto i fondamenti semplici della quantità, vale a dire i concetti di rerum
naturimi quarn vocabulorum impositionem attendimi, per * ^ Qunmduiji praesentem
(idjacenliam designari volunt. ) lbid., p. 392: Quod qitidem multos in hanc
sententiam induxtt, ut contrarium nomen tantum universalium, non eliam
sitiglilarium confiterentur, albedinis quidem et nigredinis, non hujus albedmis
vel hujus nigredinis. Sic quoque et relutivum et « privalio et habitus » nomina tantum
universalium diclini. Relativa quidem.... tantum universalìa dicebanl ex
relatione construclionis. « Habitus» quoque et « prie alio » universalium
tantum nomina diclini, eo quod in individuis non possimi servaci. lbid..
p. 398: Quidam talem eum (se. Boethium ) divisionali invilisse dicunl, quod
contraria alia siint genera, alia specialissima. Specialissima vero sic
subdividuniur, ut cornili alia sub eodem genere, alia sub diversis contrariis
ponantur. ' ') lbid., p. 190: Hi vero, quibus videtur. in speciulibus uut
generalibus vocabulis non solimi ea contineri, quae una sunt naturaliter, sed
magis ea, quae substantialiter ab ipsis nominantur, possimi forlasse et istu
(rior i singoli ronrrtli numerali) species appellare, quum videlicel magis
logicum in impositione vocimi sequuntur, quam physicam in natura rerum investigando. punto, unità, istante, lettera
[dell’alfabeto, come suono elementare], luogo, ma tutto il resto si riduce a
pure espressioni collettive 200 ); fu altresì da alcuni fatto cenno della
differenza che sussiste, rispetto alla divisibilità, fra il concetto di tempo e
quant’altre quantità ci sono, divisibili e continue 201 ). [b) sopra la teoria
del giudizio in generale]. Nella teoria
del giudizio sembra essere stato spesso compendiato tutto quanto il contenuto
essenziale della logica, entro i limiti in cui di questo si faceva uso,
semplicemente per la istruzione degli scolari più giovani; imperocché si
riduceva il libro De interpretatione in forma di compendi, di « Introductiones
» o di « sumrna artis », ”») Ibid., p. 188 Numentm autem colleclionem unilatum
determinimi....’ I ndo maxime Magistri nostri sementiti, membri, confirmabut,
binarium, ternarium, caeterosque numeros spectes numeri non esse, nec numerimi
genus oorum, cujus videlicet res una natur,diter non esset. Hae namquc dime
unitates in hoc homine liomae habitante, et in ilio qui est Antiochiae
consistimi, atque lume binariunì componimi. Quomodo una res in natura
diceretur, aut quomodo ipsae spatio tanto disluntes imam simili specialem seti
generalem naturam reci pieni? Linde potius numeri nomen et binarli et ternani
et caeterorum a collectionibus imitatimi sumpta dicebant [così il codice: ma il
C. legge « (Magister noster) dicebal»].
Ibid., p. 179 s.: Ilarum autem (se. qu.mtilalum) aline sunl simplices,
alme compositae. Simplices vero quinque dicunt: punctum scilicet. unitotem,
instans quod est indivisibile lemporis momentam, dementimi quoti est vox
individua, simplicem locum.... Ilas autem tantum, quae simplices sunt, Magistri
nostri sementili speciales appellabili naturas, eo videlicet quod sint unite
nuturaliter, quae partibus careni, quae vero e* bis sunt compositae, composita
individua dicebat, nec una naturaliter esse....; mugisque eurum nomina....
sumpta esse a collectionibus quibusdam.... ™) Ibid., p. 186: Cimi autem res
singulae sua habeant tempora in se ipsis jundata, sua scilicet momento, suas
horus, silos dies, rei menses, vel annos, omnes lumen dies simul existentes,
vel menses, vel anni prò uno accipiuntur.... (p. 187) In ttliis.... lotis,
lotum positum ponil partem, et pars desimela perimit totum.... In tempore vero e converso est, velati in die. Si
enim prima est, dies esse dicitur, sed non convertitur.... Al vero si dies non
est, prima non est. sed non convertitur.... In his itaque totis, quae per unum
tantum partem semper existunt, iUud, quod de inferenlia totius et partis
Boethms (de difj. top.. TI, p. 867 [PL, 64, 1188]) docet, non admittunt. e si mettevano assieme regole sopra le parti
e le forme del giudizio, la quantità, qualità ed equipollenza, il contrano e il
contraddittorio, la verità e la falsità, la con versione e la modalità dei
giudizi ecc., cercandosi a que sta maniera di meglio conformare, per così dire,
il li. bro aristotelico all’uso scolastico, e di apportarvi in vari mod!
compimenti o ampliamenti 202 ). Ma, per quest’ultimo riguardo, nessuna più
precisa notizia ci è stata tramandata: che a tale lavoro si collegassero da
capo altre controversie sovra punti particolari, ci risulta invece ani le t a e
ristrette fonti, a noi accessibili. Furon così solevale subito difficoltà, già
riguardo al concetto di vox significativa (Se*. XII, nota 109), e tali
difficoltà, relativamente alla propagazione del suono, arrivarono a un tale
colmo di astruseria, che alcuni finirono con il de«ignare addirittura l’aria,
come ciò che ha la funzione di « significare » *). Non vale molto di più la
questione, QuiZ^n 135]: manifestiti* poteril nuilihet, mterpr.), compendiosius
et excepla reverenti vZborZL fn ZT’ T° d " quas Introduciiones foconi Vix
est Jn," l ‘ b "r rudintentìs > non doceat, adirai* aUis non
mtnTn^LlrS^a qmd nomea, ql,id verbum, quid oratio none Urrunt,taque quae vires
enuntiationom 1 orano, qU ae spectes eius, tate, q U ae determinate verae sunt
auUahà^ SOrtÌant “ T aut ( i,lnlU team, quae consentiant sibi quae dissentine? 11 ™ qu,bus, l ?qu>pol
visim, coniunctim praedicenlur alt con? " ’ 9 “ ae P raed,ca ‘“ dU quae
sii natura modalium et auae si et quae non >' il em n ni 11171 . /> • *
Quae smgularium contradìctio _ Pcriermeniis docet?"o'uis^'liimd? *** quae
vel Aristotile* in cairn totius artìs sumZm Zfc, C ° nq “ lslta l « dicit? Omnes Cfr ! qUÌaPP^’la noU 366. /aC ‘ 7,7 "“
fra, „ b „ n j~ sollevata a proposito della unità della significano, se cioè
una parola possa « significare » anche le lettere da cui è costituita 204 ). Poteva
invece esercitare più profondo influsso,
sebbene non ci sia stata tramandata notizia di ulteriori conseguenze ,
la netta delimitazione che si segnò, a proposito del nomea, tra significare e
nominare, in quanto che di quello è oggetto la universalità, e di questo il
singolare 205 ). E così pure, prima di tutto,
in occasione della controversia, se le preposizioni e le congiunzioni
sieno parimente parole « significanti », o non possano invece assolutamente
esser annoverate tra le parti del discorso
grande importanza potè avere il contatto che si venne a determinare tra
i dialettici e i grammatici: di questi ultimi, taluni si decisero, da un punto
di vista unilaterale, per la seconda alternativa, ma altri tennero conto anche
degl’interessi della logica, rendendo con ciò effettuabile una conciliazione,
in base alla quale si potè almeno preparare a quelle parti del discorso
aeres..., ipsis etiam, quos reverberat, consimilem soni formam attribuita
illeque fortasse aliis, qui ad aures diversorum perveniunt. Nostri tamen,
mcmini, sententia Magislri ipsum tantum aèrem proprie audiri ac sonare ac
significare volebat. Cfr. qui appresso la nota 499. ) lbid., p. 488: Totum
constai ex suis parli bus, vox ex suis non conslituitur significationibus. Et
fil quìdem divisio totius in partes, vocis vero [non] in significationes. Nam
etsi hoc in quibusdam vocibus contingat, ut scilicet ex suis jungantur
significationibus. ut hoc vocabulum quod est xens» ex littcris suis, quas etiam
significai, non tamen id ad naturam vocis, sed totius referendum est; in eo
enim quod ex eis constai, totum est earum, non eas significans. Est etiam et
alia quorumdam solutio, ut scilicet concedant, nullam vocem conjungi ex signi
ficationibus diversis, ad quas videlicet diversas impositiones secundum
aequivocationem habeal. Ncque enim « eris » ad quaelibet plora dicunt
aequivocum, sed tantum ad divcrsorum subslantias praedicamenlorum. linde de
lilleris, quae in eodem clauduntur praedicamento. aequivoce non dicilur. *“>
J°«Saresb. Metal., II, 20, p. 100 [ed. Webb, p. 104; PL, 199, 881] : Quod fere
in omnium ore celebre est, aliud scilicet esse quod appellativa significant et
aliud esse quod nominant. Nominante singularia, sed universalia significantur.
(analogamente, si direbbe, al modo tenuto dall’autore del De gen. et spec.: v.
«opra la nota 174) il successivo loro ingresso nella logica 20 °). Può essere
ugualmente attribuita a im influsso della grammatica (ed è possibile sia stato
per opera di Bernardo da Cliartres: v. la preced. nota d9) la introduzione di
una terminologia, per la quale giudizi, come ad es. «Uomo è un sostantivo»,
furon denominati « materialiter im posila», ovvero giudizi « de significante et
significato» 207 ). Ma nei dibat¬ titi sopra la questione della essenza
deiraffermazione e della negazione, poteva ricomparire il contrasto fra opposti
indirizzi, attenendosi alcuni alla forma gramma¬ ticale, altri ai concetti,
altri ancora alla realtà obbiet¬ tiva 208 ). ) Abael. Dialect., p. 216:
Praepositiones et conjunctiones de rebus corion, quibus apponuntur, quosdum
inlellectus facere videntur, alque in hoc impericela canon significalo dicilur,
quod... ipsu quoque res, de qua inlellectus habetur, in hujusmodi dictionibus
non tenelur stetti in nominibus et eerbis, qtute simul et res demonstrant
ac..... I nde certu apud grammaticos de praepositionibus sementili exlitit, ut
res quoque eorum, quorum vocabulis apponuntur, ipsae destgnarent.... Vnde illa
quorumdam dialecticorum setitentia potior yidetur, qttam grammaticorum opinio,
quae omnino a parlibus orationis hujusmodi voces, quas signifieativas esse per
se non judicavit, divisti, uc magis ea quucdarn supplemento ac colligamenta (v.
la Sezione XII, note 43, 60 e 111) partirne orationis esse aicit.... (p. 217)
soni etiam nominili, qui omnino a significativi hujusmodi dictiones remorisse
diulecticos adstruant. Cfr. appresso le note 349 Reggi: 348] e 620. 1Q0
1J?"1 S . AK T B MetaL ’ jfl,. 5, P137 [ed. Webb, p. 142; PL, JU4J.
Interdum tamen dictionem rem esse contingit, cimi idem sermo ad agendum de se
assumitur, ut in his quae jtraeceptores nostri materialiter dicebant imposi la
et dicibilia; quale est: «Uomo est nomea », «CurriI est verbum ». Abael. Dial... p 248IJitidam tamen
trnnsitivam grummaticam in quibusdam propositiom US esse volimi; qui quidem
propositionum alias de consignificantibus vocibus ulias vero de significante et
significato fieri diclini, ut soni dlae, quae de ipsis vocibus nomina sua
enunciant hoc modo « homo est nomea vcl vox vel disyUabum ». Cfr. la nota 618.
) Abaei.. Dialect., p. 404: Quidam aiitem per « jacere sub affirmatioae et
negatione » finitum et infinitum vocabulum accipiunl.[c) sopra questioni
particolari, attinenti alla teoria del giudizio]. Anche a proposito di vari punti parti¬
colari, che si trovavano dibattuti nel commento di Boe¬ zio, ci si decise
senz’altro iu senso contrario all’autorità di lui: così, p. os., riguardo alla
unità del giudizio 2UB ), o relativamente alla scomposizione del verbo in due
ele¬ menti, la copula e un participio 210 ), o a proposito di cpiei giudizi,
nei quali 1 « est » non implica la esistenza effettiva del soggetto 211 ), o a
proposito della questione del rapporto quantitativo tra soggetto e predicato
212 ), ut « sedet, non sedetti quidam vero intellectus ab affirmalione et negatione
generalos (v. la nota 175): sed nos polius va, quae ab affirmatione et
negatione dicunlur, aceipimus, essentias scilicel rerum, de quibus per
affirmulionem et negationem agitar. Ma non si riesce a intender bene Joh. Saie
Metal., 11, 11, p. 81 Led. Webb, p. 83; IL, 199, 869]: expedit [ dialeclicu J
quaestiones...; quale est: An affirmare sit enuntiare (viceversa, se si potesse
leggere « an titillitiare sit affirmare », ci sarebbe qualche maggiore
possibilità di congetturare un significato), et: An simili exture possit
contradictio. •“) Abael. L)ial., p. 298: Sunt aulem, qui udslruanl, diversa
accidentia unam enuntiationem lucere, cum tulio sumuntur, quae ad diversa
referuntur, veluti si dicatur : «/ionio citliaroedus bonus» (v. Boezio, p. 419
[in de interpr., ed. secunda, V, 11; cdiz. Meiser, Pars Post., p. 363: PL,
64, 573J). '") lbid., p. 219: Idem dicit « homo ambulata, quunlum prò-
ponit «homo est ambulatisi) (Boezio [ ib., V, 12; p. 390: PL, 64, 586], p.
429). Sed ad hoc, memini, magister nosler V. opponete so' let: si, inquit,
verbum proprium significationem inhuerere dicit, ve¬ runi autem sii, cam
inhuerere, projeclo ipsum verum dicit, ac sen- sum propositionis perfidi. ‘ )
Ibidem, p. 223 s.: Unde quidem, cum dicitur, Homero quo¬ que defuncto, «Homerus
est poiitu » (Boezio [//>., V, il; p. 3734: PL, 64, 578], p. 423).... «esse»
quoque, quoil inlerponilur, in desi- gnatione non existentium vqlunt accipi....
Nostri vero sementili Ma- Bistri non secundum verbum accidentalem dicebat
praedicationem, sed secundum tolius construclionis significaturam, atque impro-
priam loculionem.... Sed quaero in
ilJu significativa locutione, « Ho¬ merus est poeta», cujus nomea « Homerus»
aul « poeta» acci- piatur. At vero, si hominis, falsa est enunciutio, co
defuncto ', si vero poemutis.... est.... nova vocis aequivocalio. ' ) lbid., p.
247: In liis autem quae secundum accidens praedi- cunlur nec totani subjecti
substantium continent, sed in parte tan¬ tum subjectum attingunt (Boezio [in de
interpr., ed. prima, II, 11; ed. Meiser, Pars Prior, p. 159: PL, 64, 358], p.
263).... non est necesse, praedicatum vel majits esse subjecto vel aequale,
veluti cum dicitur « animai est homo », vel « quiddam animai est homo alla
quale questione potevan riattaccarsi pure sottigliezze grammaticali 213 ). Anzi
le opinioni furono divise, anche in ordine a quei cenni intorno al « giudizio
indefinito », con i quali Boezio aveva dato il compimento che ci voleva allo
scritto aristotelico De interpretatione (Sez. XII, nota 115), essendo stato tale
compimento da taluni giustificato, ma da altri respinto, e fra questi ultimi ci vien fatta menzione di
un Magister « V. », autore di « Glossulae super Periermenias » 214 ). Riguardo
ai giudizi modali v. la Sez. XII, nota
119: il termine tecnico « modalis » appare ora pienamente invalso •, si deve
ravvisare veramente un modo di vedere individuale nell’ atteggiamento di
alcuni, i quali deducevano i giudizi stessi dai giudizi non-modali, in tal
maniera che dalle parole « possibilmente » o « necessariamente » rimanesse
modificato non il contenuto di fatto, ma il senso della enunciazione, ovvero nell’atteggiamento di altri, i quali
dicevano che in tali giu- (cfr. Boezio ( iniroiì. ad cuthegoricos Syll.: PL,
64, 768], p. 562). Quamvis tamen et hic quidam concedunt, animai quod subjicitur non esse
majus homine. Diclini cnim, quia animai, quod homo est, ibi subjicitur, quod
non est majus homine. “> J° H - Saresb. Metal., n, 20, p. 101 [ed. Webb, p.
105; PL, 199, 881]:.... quia « omnis homo diligit se». Quod si ex relativae
dictionis proprietate discutias, incongrue dictum forte causabaris et falsum;
siquidem.... sive collcclive sire distributive accipialur quod dicium est «
omnis », pronomen relativum « se », quod subiun- gitur, nec universitati
singulorum nec alicui omnium veraciter el necesse est, So- cralem non esse
equum, possibile est vel necesse esse non equum.... In.... universali bus.... non ita concedunt, ut
videlicet tantumdem va- leat « non » ad «esse» praepositum, quantum id [Cousin:
ei], quod « esse » copulai compositum. "i Ibid., p. 442: Sunt lamen
quidam, qui nec discretionem ul- lam inler categoricam et hypotheticam in
disjunclione compositas habenl. sed idem dicunt proponi, cum dicitur « Socrates
est vel sanile vel aeger », et cum dicitur « aut Socrates est sanus aut aeger
»; ut scilicet omnis enunliatio, quae disjunctas recipit conjunctiones,
hypothetica credatur. Volunt itaque semper in hujus modi categorici s. quae
disjuncliones recipiunl, hypotheticae sensurn intelligi. veduti cum dicitur «Socrales
est sanus vel aeger », tale est ac si dicatur « aut Socrates est sanus aut
Socrates est aeger. [d) sopra difficoltà inerenti alla teoria del sillogismo
]. Dalla sfera della sillogistica non
possiamo a tutta prima aspettarci ima così fatta letteratura sovra punti
controversi, perchè, mentre da un lato i relativi compendi di Boezio, essendo,
per così dire, puri formulari scolastici, non porgono occasione a divergenze di
opinioni, dall’altro lato, come abbiamo veduto (qui sopra, note 8-34),
solamente a poco a poco si venne, appunto in quell’epoca, a conoscenza degli
Analitici aristotelici, i quali inoltre mancavano anche allora di mi apparato
esegetico, quale da gran tempo erasi avuto per le rimanenti parti della Logica.
Si trova tuttavia, almeno in Giovanni da Salisbury, una notizia, dalla quale
sembra potersi argomentare che sia stato preso particolarmente in
considerazione quel tal passo estrema- mente difficile degli Analitici Primi,
concernente la conversione dei giudizi modali (Sez. IV, nota 546), in quanto
che si trovò necessaria una particolare terminologia ( materia naturalis,
contingens, remota), per significare i concetti, che ivi s’incontrano, di quel
eh’ è naturalmente determinato [tte^’jxcs], del possibile, e del non-aver-luogo
219 ). Dalla medesima fonte apprendiamo altresì, che dei sillogismi, già noti
ad Abelardo ") Joh. Sar. Metal., IV, 4, p. 160 [ed. Webb, p. 168; PL, 199,
918], dove in un sommario del contenuto degli Analitici Primi si legge anche
quanto segue: quid in loto esse aul non esse, quas prò positiones ad usum
sillogisandi converti contingat et quas non; quidve optinent in his quae
modcrnorum (v. la nota 55) usti dicuntur esse de naturali materia aut
contingenti aul remota. Quibtis praemissis, trium figurarum subneclit rationes
etc. La eennata tripartizione poteva essere ricavata da Boezio (Sez. XII, nota
119), il quale dal canto suo aveva attinto ad Ammonio (Sez. XI, nota 157); la
terminologia di quest’ultimo passò nel Compendio di Psello (Sez. XV, nota 14),
dove il passo corrispondente presenta, nelle traduzioni latine, le tre
espressioni testé ricordate (Sez. XVII, note 38 e 155). Ci troviamo pertanto,
anche qui, dinanzi alla possibilità che verso la fine delI’XI secolo si sieno
fatti strada nell’Occidente latino sparsi frammenti della letteratura
scolastica bizantina. (nota 17), formati
da giudizi modali, fu ora fatto uso frequente, così per parte dei teologi, come
pure nelle scuole di dialettica 220 ). Un’argomentazione insidiosa, occasionalmente
menzionata ima volta, e relativa alla possibilità del futuro, è d’imitazione
ciceroniana 221 ). [e) sopra questioni di Topica ]. Invece la Topica ebbe a godere ancor una
volta di una più vasta e varia attività di studiosi; e ciò risulta già in
generale dall’opera di Abelardo, il quale, a proposito dei singoli loci, si
esprime in tal modo da indurci a ritenere ch’egli abbia trovato dappertutto già
pronto un numero determinato di « regole » formulate, le quali rappresentavano
la redazione, fatta nelle scuole, delle notizie riferite da Boezio nel suo
scritto De diff. top. 222 ); inoltre, a partire dal tempo in cui fu tratta
fuori novamente la Topica aristotelica (v. sopra le note 28 s.), ci furono
effettivamente alcuni, che tentarono di arricchire questo ramo della dialettica
con la invenzione di nuovi loci e di nuove « regole » 223 ), Ibid. : Deinde
habila modalium rutione transit ad commixtiones qitae de necessario sunt aut
contingenti rum bis quae sunt de inesse.... Expositores vero divinar paginae
rationem modornm pernecessariam esse diclini.... [169] Est enim modus, ut
aiunt, quasi quidam medius habitus terminorum (ofr. la Sez. XII, nota 150). Et
prafecto, licei nullus modos omnes, linde modales dicuntur, singultitivi
enumerare sufficiat, quod quidem nec ars exigit (v. ibid., noia 163), lumen
mugistri scolarum inde commodissime disputant, Cfr. appresso la nota 623. Lo
stesso, Polvcr.. II, 23. p. 125 [ed. Webb. I, p. 132; PL, 199. 455] : Restai libi illius Stoici
lui quaestio.... Quaerebat.... enim.... an posses aliquid facete eorum quae
minime faclurus es etc. Cfr. la Sez. VI, note 136 e 164. '“) Abael. Dialect.,
p. es. p. 334 (sunt igitur quatuor hujus inferentiae regnine), p. 353 (regulae
antecedentis et consequentis), p. 375 (regidae ab interpretatìone), p. 376
(tres autem regidas a genere in usum duximus), e cosi via pereorrendo tutta la
Topica. ’l Joh. Sar. Metal., Ili, 9, p. 145 [152]: Non omnes tamen locos buie
operi (cioè BOEZIO, de diff. top.) insertos arbitror, quia nec potuerunt, cum
et a modernis, huiiis praeeunte benefìcio, aeque necessarios evidentius cotidie
docerì conspiciam. lbid., 6, p. 138 [1431: ma potè nello stesso tempo
diffondersi altresì una idea giusta del posto e della importanza della
dialettica ). Trasparivano tuttavia anche qui le differenze di ordine generale
tra punti di vista, quando da taluni erano posti unilateralmente in maggior
rilievo i concetti isolati, fatta astrazione dalla espressione verbale 225 ),
da altri invece s’insisteva solamente sopra la necessità interna dell’ordine di
successione nell’argomentazione 22 “), mentre altri ancora, al contrario, ci
tenevano a veder presa in considerazione proprio la probabilità subbiettiva. Ma
c’erano poi varie controversie, che si collegavano anche a singoli loci o a
regole particolari 22S ). Non tamen huic operi (cioè alla Topica aristotelica)
tantum tribuo, ut inanem reputem operam modernorum, qui equidem nascentes et
convnlescentes ab Aristotile, inventis eius multas adiciunt rationes et regulas
prioribus aeque jirmus | PL, 199, 909 e 9011. V. appresso la nota 413 a. “)
Ibid., 5, p. 134 [ed. Webb, p. 139; PL, 199, 9021:... scienti Topicorum.... ex
opinione multorum dialeclico et oratori principuliter faciat. ™) Abael.
Dialect., p. 426: Dieunlur in argumentis ea, quae a propositionibus ipsis
significanti^, ipsi quidem intellectus, ut quibusdam plucet, quorum conceptio,
sine eliam vocis prolulione, ad concessionem alterius ipsum cogit dubitanlem.
**•) Ibid-, p427: Sunt autem, meniini, qui, verbis auctoritatis nimis
adhaerentes, ornile necessarium argumentum in se ipso necessarium dici velini.
**) Ibid., p. 335: Sunt autem quidam, qui non solum necessarias consecutiones,
sed quaslibel quoque probabiles verus esse fateanlur. Dicunl enirn, verilatem hypotheticue
proposilionis modo in necessitale, modo in sola probabilitale consistere; in
qua quidem sentenliu Magistrum etiam nostrum deprehensum dolco.... (p. 336)
Dicunl tamen, quia omne quod probabile est, verum est, saltem secundum eum, cui
est probabile. *“) Così taluni volevano che tra le maximae propositiones (Sez.
XII, nota 165) fossero annoverate anche le regole principali del giudizio
categorico (Abael. Dial., p. 339 s.), e c’eran altri che volevano estenderle
anche di più (ibid., p. 366): oppure si trasferivano l 'antecedere e il
consequens nei [intendi: «si allargava l'applicazione delle regulae antecedenti
et conseguenti, fino a comprendere anche le relazioni tra i »] singoli termini
del sillogismo (ibid., p. 353 s.), o si restringeva il locus a praedicalo
puramente a giudizi categorico-ipotetici (p. 381), mentre da altri lo si faceva
valere soltanto come principio di prova del locus a genere (p. 384); 293 U 29 . Negli studi di logica, la qualità
continua A RIMANER MOLTO AL DISOTTO DELLA QUANTITÀ]. Ma riflettiamo ora come
quasi tutta la materia, che avevamo da presentar sino a questo punto, si sia
dovuto ricavarla da due scrittori soltanto, vale a dire Abelardo e Giovanni da
Salisbury, dei quali per caso ci sono conservate opere di più lunga lena,
cosicché ci sarebbe comunque da imparar ancora ben di più, qualora si
disponesse di fonti più abbondanti: e riflettiamo così pure, inoltre, che
ciascuna delle opinioni sopra citate, relative a punti particolari, ci permette
di argomentare, per parte dello scrittore che se ne fa sostenitore,
un’operosità di studioso, estesa a tutta quanta la sfera della logica di
quell’epoca; se terremo presenti queste considerazioni, ci sarà difficile andar
tropp’oltre, nell’ imaginarei la estensione dell’attività, svolta in quel
tempo, soprattutto in Francia, nel campo della logica. Ben è vero che, ad
avvalorare, per così dire, una impressione generale ben nota, può darsi che,
quanto a intensità, le cose andassero diversamente, perchè in nessuna parte
abbiamo trovato, non che una concezione filosofica, neanche segni di effettiva
originalità. Come in generale il Medio Evo era e rimase dipendente dal
materiale di una tradizione, imposto dal difuori, così anche le numerose
controversie attinenti alla logica, non prendevano principio da un intimo
impulso, bensì si fondano sopra uno stimolo esterno, dato dal materiale della
tradizione scolastica, e bisognava, a così dire, che aspettassero questo
stimolo, per avere in generale occasione di inoltre, anche sopra questo stesso
ultimo /ocus, si dibatteron da rapo varie controversie, disputandosi cioè se
esso abbia validità incondizionata (p. 378), o sia da intendere soltanto in
senso causale (p. 386): e controversie analoghe concernevano il locus ab
efficiente. con partecipazione anche di motivi teologici (p. 413), o il locus
ab interpretatione, trattandosi di decidere fino a qual punto coincida con la
etymologia. manifestarci. Così anche i
rappresentanti delle più importanti opinioni, caratteristiche dei vari
indirizzi, abbiamo pur dovuto spogliarli della gloria di essersi aperti da sè
la loro strada; poiché certi passi isolati di Boezio, strappali dal contesto, e
che sono stati appunto oggetto di studio appassionato, ci si sono rivelati
(note 105, 129, 134, 170) come i punti di partenza, in base ai quali, a forza
di stiracchiare, è stato poi messo insieme il resto, E se in mani nostre
neanche Abelardo si sottrae forse a un simile destino (nota 286), non ne
abbiamo colpa noi, ma la ragione ne va rintracciata nella verità storica come tale.
[§ 30 . Abei.ardo : a) suo ingegno:
caratteristica generale], Proprio la considerazione ora esposta, che cioè in
quell’epoca, da un lato, una grande moltitudine di maestri si occupavano,
discendendo sino ai più minuti particolari, del materiale di studi di logica,
quale veniva tramandato, e che, dall’altro lato, per l’appunto nella
letteratura tradizionale tutto questo genere di produzione veniva a trovare le
proprie condizioni, derivandone il suo proprio indirizzo ci doveva già da principio indurre a procedere
con circospezione nel nostro giudizio sul conto di Abelardo (nato nel 1079,
morto nel 1142): e di fatto, a prender in esame più da presso l’opera sua in
connessione con quella dei contemporanei, ci troveremo anche messi in guardia
contro ogni esagerazione nell’apprezzamento di lui 22B ). Mentre “) In
particolare gli studiosi francesi sembrano propensi a sopravvalutare il loro
connazionale, e in ciò, fra i tedeschi, va per lo meno a pari con loro
[Federico Cristoforo] Schlossf.r [in un libro del 1807, su Ab. e fra Dolcino].
La vasta opera di Charles de Rémusat, Abélard, Parigi, 1845, in due voli., è,
per la parte biografica, quanto di meglio possediamo, nella letteratura
moderna, sul conto di Abelardo: aH’inoontro, nella esposizione della dottrina,
i presupposti storici, consistenti nei movimenti spirituali generali, propri di
quell’epoca, son forse lasciati troppo nell’ombra, in concioè, riguardo
all’etica, ci compiacciamo di ravvisare e riconoscere in Abelardo un eretico
del tempo suo, e delle sue benemerenze di teologo 22Ba ) dobbiamo lasciare
invece che si occupi la storia della teologia, ci apparirà chiaro come, nel
campo della logica, egli non abbia esplicato un’attività più originale di forse
cento altri suoi contemporanei 23 °). È innegabile la sua grande vivacità
d’intelletto, e prima di tutto la sua straordinaria abilità nella forma
retorica di esposizione: anche alla dialettica, come a tutto ciò su cui metteva
le mani, si slanciò sopra con appassionato fervore, e si manifestò subito come maestro
estremamente suggestivo; la sua attenzione era qui essenzialmente volta
all’intento di fronto con le benemerenze personali di Abelardo : a ciò si
aggiunge ancora, riguardo alla dialettica, l’inconveniente già più sopra (nota
49, e cfr. la nota 148) rilevato con espressioni di biasimo. w ‘) Su questo
argomento, v. la vasta opera di S. Maht. Deutsch, Peter Abàlard: ein kritischer
Theologe des 12. Jahrhunderts [P. A.: un teologo critico del XII secolo],
Lipsia, 1883. a ") Non s’insisterà mai abbastanza nel ricordare che la
nostra indagine si svolge tutta quanta entro i limili segnati esclusivamente
dal quantitativo del nostro materiale di fonti. E tra Abelardo c gli altri
dialettici dell’epoca sua sussiste qui una differenza soltanto, che cioè di
quello ci sono conservati casualmente moltissimi scritti, si che di lui, per
conseguenza, siamo in grado di riconoscere e pienamente svolgere le idee
fondamentali, più largamente ricostruite nel loro ordine sistematico, mentre
per gli altri non ci è possibile fare altrettanto. Ma dobbiamo guardarci dal
convertire in una obbiettiva superiorità di Abelardo, questa circostanza
favorevole, che torna a vantaggio della nostra esposizione. m ) Ch’egli sia
stato scolaro di Roscelino, ma anche di Guglielmo da Champeaux, e che inoltre
abbia cercato e trovato ispirazione in tutti gli altri eminenti maestri, si
vede dalla nota 314 della Sezione precedente, c dalle note 102 e 104 di questa.
Del suo presentarsi come maestro fa il racconto egli stesso, Epist., I, c. 2,
p. 4 (Amboes.) [ed. Cousin, I, p. 4 c 6] : Perverti tandem Parisius... Factum
tandem est ut supra vires aetatis meae de ingenio meo praesumens, ad scholarum
regimen adolescentulus aspirarem, et locum, in quo id agerem, providerem ;
insigne videlicet tunc temporis Meliduni castrum, et sedem regiurn.... (p. 5)
Ab hoc autern scholarum noslrarum lyrocinio [Amboes .: exordio] ita in arte
dialeclica nomea meum dilatori coepit, ut non solum condiscipulorum meorum,
verum etiam ipsius magistri (cioè Guilelmi Campellensis) fama farsi capire
facilmente, adattandosi egli, anche nella scelta del materiale, all’esigenze
della scolaresca ), ed è naturale che fosse perciò invitato sovente a
esercitare a profitto di altri il suo talento di maestro di logica **). Ma il
nomignolo di « Peripateticus Palatimis » [nativo di Palet o Palais] egli lo
deve soltanto a questo suo virtuosismo formale, perchè, da un lato, per i suoi
contemporanei « peripatetico » e « cullor della logica » eran espressioni
sinonime, nulla conoscendosi in generale di Aristotele aH’infuori dall’Organon,
e con quella espressione volevasi soltanto significare uno che si occupasse
molto estesamente o con particolar efficacia di questi scritti aristotelici 2S4
), senza che con ciò si pensasse già a un pieno esauriente svolgimento del
principio aristotelico; ma, d’altro lato, lo stesso Abelardo ha avuto pure
contrada paulatim extinguerelur.... (p. 6) [6] 1 unc ego Melidunum reversus, scholas ibi
nostras, sicut antea, constitui.... Meliduno
l'arisius redii . extra civilatem in monte S. Genovejae, scholarum noslrarum
castra positi [PL) Joh. Saresb. Metal., Ili, 1, p. 116 (ed. Giles [cd. Webb, p.
120]): Sic omnem librimi legi oportet, ut quam facillime potasi eorum quae
scribuntur hubeatur cognitio. Non enim occasio quaerenda est ingerendue
difficultatis, sed ubiqiie facilitas generando. Qttem morem secutum recolo
Peripateticum Palatinum. Inde est, ut opinor, quod se ad puerilem de generibus
et spedebus, ut pace suorum loquar, inclinavit opinionem: malens instruere et
promovere suos in puerilibus quam in gravitate philosophorum esse obscurior.
Faciebat enim studiosissime quod in omnibus praecipit fieri Augustinus, i. e.,
rerum intellecltii serviebut I PL, 199, 890-1J. at ) Abael. Introd. ad llteol.,
I, Pro!., p. 974 (Amboes. [ed. Confiti, II, 31): Ad has itaque dissolvendas
controversias cum me sufficere arbitrarentur, quem quasi ab ipsis eunubitlis
[Cousin: inainabulis] in Philosophiae studiis ac praecipue Dialecticue, quae
omnium mugislra ralionum videtur, conversatimi sciant, atque experimento, ut
aiunt, didicerint, unanimiter postulane, ne talenlum miht a Domino commissum
multiplicare differam. Ep. 1, c. 2, p. 5
[51 : Non multo aiitem interjecto tempore, ex immoderata studii affliclione
correptus infirmitate, coactus sum repatriare, et per unnos atiquot a Francia
quasi remolus. quaerebar ardentius ab iis, quos dialectica sollicitabat
doctrina [PL]. =“) Joh. Saresb., loc. cit., I, 5, p. 21 [171 : Peripateticus
Pulatinus, qui logicue opinionem praeripuit omnibus coetuneis suis, adeo ut
solus Aristotilis crederetur usits colloquio [PL una felice idea, a tenor della
quale poteva, rifacendosi da un unico passo che si trova in Boezio [v. appr.
nota 2861, «connettere ad esso il riconoscimento della giu"tozza della
teoria aristotelica del giudizio; ma invece e;>/., p. 226, Abelardo dice,
nel passare da questa prima parte principale alla seconda: Hactenus quidem,
Dagoberte frater, de partibus orationis, quas dictiones appeUamus, sermonem
texuimus. Quorum tractatum tribus vóluminibus comprehendimus. Primarn namque
partcm libri Partium ante Praedicamenta posuimus ; dehinc autem Praedicamenta
submisimus, denique vero Postpraedicamenta novissime adjecimus, in quibus
Partium textum complevimus. Come vengano intesi gli Antepraedicamenta, apparirà
chiaro appresso; ma intanto nel procedere dai Praedicamenta ai
Postpraedicamenta, si dice (p. 209): Evolutus superius textus ad discretionem
significanonis nominum et rerum natura s, quae vocibus designantur, diligenter
secundum distinctionem decem praedicamentorum aperuit. Nunc autem ad voces
significativas recurrenles, quae solae doctrinae deserviunt, quol sint modi
significanti studiose perquiramus ( similmente alla p. 245: Non itaque
propositiones res aliquas designant simpliciter quemadmodum nomina): e
pertanto, alle p. 209226, segue non già, come fa ritenere il titolo,
arbitrariamente imposto dal Cousin, la Sezione de intcrpretationc, bensì
solamente una trattazione delle parti della proposizione. Con questa
denominazione e suddivisione della prima parte principale si accordano poi
anche le citazioni che Abelardo fa di se stesso, sia che rinvìi alla Sezione
complessiva, denominandola Liber partium (p. 377 : sicut in libro Partium
docuimus, e p. 477: sicut in libro Partium, tractatu speciei, disseruimus ),
sia che ricorra proprio a quella denominazione nel menzionar pure le
suddivisioni (p. 174: sicut secundus anle-praedicamentorum de differentia
continet; p. 249: Nam« homo mortuus»
....compositura nomen est.... sicut in primo Posl-praedicamentorum ostendimus :
e questa citazione, al pari delle due altre dello stesso tenore, alle pagine
296 e 299, si riferisce alla p. 214; negli altri due rinvìip. 204: sicut in
Libro Partium ostendimus, e p. 205: in Libro Partium requi rantur va certamente letto primo, anziché libro).
Dei resto, con tutto questo sistematico rilievo dato alle « parti del discorso
», riusciamo ora a spiegarci come Abelardo potesse effettivamente denominare «
Grammatica » un rifacimento delle Categorie (v. qui sopra la nota 241). 273 )
p. 227: Susta et debita serie textus exigente, post tractatum singularum
dictionum occurrit comparano orationum .... Non autem quarumlibet orationum
construclionem (anche questa e una esptesquesta Sezione Abelardo diede il nome
di « Libcr calegoricorum » 274 )Ma quando ha poi da far sèguito la teoria del
giudizio ipotetico, Abelardo, anche a ciò determinato da Boezio (de diff. top.:
v. la Sez. XII, nota 167), fa che la validità di queste forme di giudizio sia
condizionata dai loci (v. la nota 269), e pertanto premette il « Liber
topicorum », così che soltanto dopo di esso vengono lo stesso giudizio
ipotetico e i sillogismi fondati sopra di questo 275 ) : a quest'ultima Sezione
dà il nome di « Liber hypotheticorum » 27e ). Così Abelardo, secondo il suo
modo d’ intendere, ha compiutamente svolto la teoria deirargomentazione,
procedendo dal semplice, cioè dagli elementi, al complesso: quanto al « Liber
divisionum », designato dal Cousin come quinta parte della dialettica, non ha
alcun nesso sione di Prisciano; v. sopra la noia 263) exequimur, sed in his
tantum opera consumenda est, quae verilatem seu falsitatem continent, in quorum
inquisitione dialecticam maxime desudare meminimus. Undc cum inter
propositiones quaedam earum simplices sinl et natura priores, ut categoricae,
quaedam vero compositae ac posteriores, ut quae ex categorici jungunlur
hypotheticae, has quidem quae simplices sunt prius esse tractandas...., unaque
earum syllogismos ex ipsis componendos esse apparet. 274 ) È vero che il
manoscritto reca qui il titolo (p. 227) « Abaelardi.... Analyticorum priorum
primus», ma non soltanto si corregge da se stesso nella seconda suddivisione di
questa Sezione, dove a p. 253 si legge questo titolo: « Explicit primus;
incipit secundus eorundem, hoc est categoricorum », bensì ancora dallo stesso
Abelardo questa Sezione è citata come Liber categoricorum (p. 395: Sed de hoc
quidem uberius in libro Categoricorum egirnus). 275 ) p. 437 : Congruo....
ordine, post categoricorum syllogismorum traditionem, hypotheticorum quoque, tradamus
constitulionem. Sed sicut ante ipsorum categoricorum complexiones categoricas
propositiones oportuit tractari, ex quibus ipsi materiam pariter et nomea
ceperunt, sic et hypotheticorum tractatus prius est in hypotheticis
proposìtionibus eadem causa consumendus, de quorum quidem locis ac veritate
inferentiae, quia in Topicis satis, ut arbitror, disseruimus, non est hic in
eisdem immorandum. Sed satis earum divisiones exequi. 27e ) Anche qui si
verifica la medesima singolare circostanza, che cioè il manoscritto reca da
prima (p. 434) il titolo « Abaelardi.... Analyticorum posteriorum primus », ma
poi nel passaggio dalla prima alla seconda suddivisione, la indicazione esatta
(p. 446): Explicit primus hypotheticorum, incipit secundus. con quel che precede
2 "), ma è ima monografia che sta a sé, concernendo lo stesso oggetto che
lo scritto De getter, et spec.; in questa monografia Abelardo unì
immediatamente uno all’altro gli scritti di Boezio, de divisione e de
definitione, cosicché, a chi consideri 1’ intima diversità fra questi due (Sez.
XII, nota 103), appare con tutta chiarezza, come in Abelardo l’interesse per la
logica si converta in interesse per la retorica. Seguendo noi ora perciò, per
la nostra esposizione, il suindicato motivo, dominante nella divisione della
materia secondo Abelardo, ci atterremo interamente all’ordine già tenuto per
Boezio, e inseriremo, ancor prima della teoria del giudizio, quel che sarà
necessario dire della Sezione de divisione, la quale si riattacca alla teoria
del concetto. [li) esposizione della Isagoge (Antepraedicamenta), quale risulta
dalle Glossae, e soprattutto dalle Glossulae, super Porphyrium: atteggiamenti
polemici sopra la questione degli universali].
Quanto alla prima Sezione della prima parte principale, cioè la Isagoge
o i così detti Antepraedicamenta, la grave lacuna già ricordata dobbiamo cercar
di colmarla attingendo ad altra fonte, e precisamente, in special modo, ai
testi riferiti dal Rémusat (nota 238) : ma inoltre ricorreremo anche a tutti
quegli altri luoghi, che possano aiutarci a comprendere, con maggior vigore o
maggior ampiezza, la posizione di Abelardo nel contrasto fra i diversi
indirizzi, sicché già qui si ha da chiarire, quante possibile compiutamente, le
questioni essenziali e di principio, e da ottenere mia conoscenza esatta e
approfondita della logica di Abelardo in generale: resterà poi, relativamente
alle altre parti della dialettica, da addurre ancora, su tale ) Neanche si
trova, in alcun punto del libro, fatto cenno a un ricollegamento con altre
parti della dialettica. fondamento, soltanto i testi relativi a punti più
particolari. Ha in sè qualche cosa di sorprendente il fatto che Abelardo, nelle
glosse alla Isagoge, non soltanto parla di « sei parole », aggiungendo alle
solite cinque anche « individuum », ma osserva altresì che si tratta, oltre che
di queste parole stesse, anche di ciò ch’esse significano significala eorum 27S ); tuttavia la prima circostanza si
spiega in parte con quel passo di Boezio ch’è la fonte, a cui Abelardo attinge
2T9 ), e in parte con la espressa osservazione [fatta dallo stesso Abelardo],
che cioè Porfirio non ha avuto bisogno di comprendere, subito da principio, nel
novero delle voces il concetto d’individuo, perchè già 1’ individuo vien
comunque a rientrare sotto le altre cinque parole, e in se stesso è una
denominazione predicativa di un oggetto, nè più nè meno che i generi e le
specie 28 °). Ma se ora proprio questo rilievo che 27s ) Glossae in Porph.,
riferite dal Cousin, p. 553: Intendo Porphyrii est in hoc opere tractare de sex
vocibus, i. e. de genere, e! de specie, et de dijjerentia, el de proprio, et de
accidenti, et de individuo et de signijìcatis eorum.... Considerare, nullas
voces magis esse necessarias ad Categorias quam istas sex voces, quoniam ex istis
sex vocibus con stituunlur praedicamenta, ideo perelegit tractare de istis sex
vocibus. Hujus operis sunt materia istae sex voces el earum significata, finis
ipse catcgoriae (il Cousin. con le sue modificazioni e con la interpunzione, ha
guastato il giusto significato del manoscritto). Scicntiae inveniendi
supponitur iste traclatus ([passo già più sopra cit.,] nota 268), quia hic
docemur invenire rationcs sufficienles ad probandas quaslibet quaestiones
Jactas de istis sex vocibus et de signijìcatis earum. Cfr. appresso la nota
603. 27 *) Questo numero di sei non ha cioè niente che fare, come si capisce da
sè, con quel passo, che si è avuto da citare, ricavandolo dai commentatori
greci (Sez. XI, nota 134). ma ha per fondamento il contenuto di quelle notizie,
date da Porfirio (ibid., nota 43), che son riferite come segue da Boezio, p. 15
[ad Porph. a Vict. transl. I, 16; ed. Brandt, p. 44: PL, 64, 28]: Eorum, quae.
dicuntur, alia ad unitatem dicuntur, sicut sunt omnia individua, ut est
Socrates et hic et illud, alia quae ad mulliludinem, ut sunt genera (et)
species et differentiae et propria et accidentia. 280 ) p. 553: Et cum intendat
tractare de istis sex vocibus et omne (leggi omnes) tractat, lamen non proponit
nisi [Cousin: vocibus, et omne tractare tamen non proponit, nisi....] de quibusdam tantum ; ideo Abelardo dà alla relazione predicativa, torna
a coincider pure con il secondo punto, cioè con la presa in considerazione
anche di « quel ck’è significato dalle sei parole », d’altra parte Abelardo
sopra tale questione fondamentale non presenta qui spiegazioni più precise:
bensì, persino a proposito di quel passo
di essenziale importanza (prima quaestio), al quale da gran tempo abbiamo
veduto riattaccarsi tutta la questione, che dividea tra loro le tendenze
contrastanti egli presenta
esclusivamente una sottile distinzione, insignificante nei riguardi degli
universali, tra solus intellectus, nudus intellectus e purus intellectus 2S1 )
: e anche nel rimanente della esposizione, si tiene aderente al testo della
Isagoge, prevalentemente limitandosi a dare spiegazione delle parole 282 ).
Invece proprio sopra questo punto che ci rimane qui ancora oscuro, gettano la
più vivida luce le altre così dette glosse minori alla Isagoge. Ivi cioè
Abelardo, alle notizie che dà sopra le opinioni altrui (e per questo ci è
servito più sopra egli stesso quale fonte) collega in primo luogo osservazioni
polemiche, per poi svolgere la sua personale concezione degli universali.
Contro Gunon ponit de individuo, quia individuum continetur sub unoquoque, et
in significatione et in praedicamentali ordine : nam quemadmodum genera et
species proprie ponuntur in praedicamento, eodem modo individua ipsorum. Anche
questo si trovava nel commento di Boezio al passo citato dove (p. 16 s. [loc. ult. cit., p. 49: PL,
64, 30]) si legge: Ita individua, quae ad unitatem dicunlur, cunctis
superioribus (cioè quinque vocibus) supposita sunt.... Individua vero.... ad
nihil aliud praedicantur nisi ad se ipsa, quae singula atque una sunt.
Atque.... « ad unitatem dicunlur». Abelardo cioè ne ricavò che le denominazioni
individuali vengono purtuttavia predicate
dicunlur, praedicantur. 2S1 ) p. 555: Illa dicimus poni in solis
intellectibus, quae tantum intelliguntur et non sunt.... Illa dicimus poni in
nudis intellectibus. quae, cum sint, aliter intelliguntur esse, quam sirtt....
Illa dicimus poni in puris inlelleclibus, quae intelliguntur simpliciler ut
sunt. a82 ) Si può osservare che anche qui la locuzione abbreviata, ricordata
già più sopra (nota 167) „praedicari in quid “ o ., praedicari in quale “ è
comunemente adottata nel senso di „ praedicari in eo quod quid “ o,, praedicari
in eo quod quale". glielmo da Champeaux osserva (v. sopra la noia 106)
che, se si ammette una così poco stretta connessione tra le forme
individualizzanti e le sostanze universali, tutte le sostanze _non eccettuata
neanche la Fenice, che esiste esclusivamente mia volta sola appunto come sostanze, dehhon finir con
l’essere uguali e identiche fra loro, e neanche possono per conseguenza
distinguersi dalla sostanza di Dio : e parimente osserva che questa identità di
essenza di tutte le sostanze, o la loro indifferenza rispetto a qualsiasi forma
individuale che vengan a prendere, conduce a dover ammettere anche la
coincidenza degli opposti in ima stessa sostanza Glossulae s. l’orph .,
riferite dal Rémusat, toc. cit., II, p. 97-99: Ce SYStème exige que les jormes
aient si peu de rapport avec la malière qui leur seri de sujet, que dès
qu'elles disparaissenl, la malière ne diffère plus d'une aulre malière sous
aucun rapport, et que tous les sùjets individuels se réduisent n l'unité et à
l'identité. Une grave hérésie
est au bout de cotte doctrine ; car avec elle, la substance divine, qui est
reconnue pour n'admettre aucune forme, est nécessairement identique à toute
substance quelconque ou à la substance en generai.... Et non seulement la
substance de Dieu, mais la substance du Phénix (v. la Sez. XII, nota 87), qui
est unique, n'est dans ce système que la substance pure et simple, sans accident,
sans propriélé, qui, partoul la méme, est ainsi la substance universelle. C'est
la mème substance qui est raisonnable et sans raison, absolumenl camme la mème
substance est à la Jois bianche et assise ; car étre blanc et ótre assis ne
soni que des jormes opposées, comme la rationnalité et son contraire, et
puisque les deux premières Jormes peuvent notoirement se trouver dans le méme
sujet, pourquoi Ics deux secondes ne s'y trouveraient-elles pas égalemenl ?
Est-ce parce que la rationnalité et Virrationnalité soni contraires ? Ellcs ne
le sont point par l'essence, car elles sont toutes deux de Vessence de qualité
; elles ne le sont.... per adjacentia, car elles sont, par la supposilion,
adjacentes à un sujet identique. Du moment que la mème substance convient à
toutes les Jormes, la contradiction peut se réaliser dans un seul et mème ótre
[ed. Geycr del testo originale, p. 515:... « Quibus hoc obicimus: quod si hanc
sententiain concedi convenit, quippe si formas contingeret a subiecta materia
discedere, ita scilicct quod subiecta bis penitus rarerent, in nullo pcnitus
hir et ille differrent, sed iste et ille omnino idem efiicerentur. Ex quo
scilicet pessimain haeresim incurrunt, si hoc ponatur, clini scilicet divinam
substantiam, quae ab omnibus formis aliena estidem prorsus oporteat esse cum
substantia. Nec (propter) deum solum verum est, sed etiam propter alias
substantias fortasse, ut est phoenix. Oportet igilur secundum praedictam Contro la dottrina
della indifferenza, egli oppone (v. la nota 132) per prima cosa la definizione
del concetto di genere ( genus est, quod praedicatur de pluribus ), dalla quale
rimane escluso che ima e medesima cosa possa essere mai al tempo stesso genere
e individuo: e poi le oppone anche la relazione predicativa in generale, stando
alla quale bisogna mantenere la distinzione tra individui e concetti specifici,
e deH’universale stesso è impossibile predicare la individualità, laddove, se si prende l’individuo già nello
stesso tempo come specie o come genere, il concetto di genere, in quanto vieu
predicato, resta privato del proprio soggetto, o, quando si tratta di qualità
(cioè di adiacentia ), non può appunto essere più un predicato, valido per
diversi soggetti [cfr. il testo originale, ed. Geyer, p. 520: « .... non omni
generi convenit, eum omne genus non habeat praedicari in adiacentia »] 2Si ).
sententiam substantiam divinam idem esse cubi qualibet substantia, quam constat
esse veram et simplicem et ab ni nni proprietate irnmuncm. Praeterea si cadem
substantia essentialiter sit in omnibus, ita scilicet (ut) ea quae informata
est ralionalitate, sit irrationalitate occupata, quomodo negari potest, quin
substantia rationalis sit substantia irrationalis ? Quibus obiectis nidlatenus
refragari queunt, cum eadem substantia penitus omnibus f'ormis informari
ostendatur. Quis enim cum eandem substantiam albedine et nigredine et sessione
occupatam viderit, ncgabit substantiam albani esse sedentem ? Si quis vero dicat insistens rationale esse
irrationale, veluti substantia alba est substantia sedens, cum hae oppositae
formac contrarrne sint, illae vero non, fallitur, quia nec in essentia magis
sunt oppositae istae quam illae, cum eadem essentia qualitatis sit penitus, nec
in adiacentia, cum eidem substantiae penitus adiaceant. Sed si quis dicit formas istas
oppositionem habere ex oppositis formis quibus informantur, fallitur, cum eadem
ratione non possit assignare, onde illae oppositionem trahant »]. 2S1 ) Ibid.,
p. 100: Muis c’est là ce qui n'esl pus soutenable. La défirtition qui veul que
le gerire soit ce qui est attribuable à plusieurs, a été donnée à l'exclusion
de Vindividu. Ce qu’elle définit ne peut en soi étre à aucun titre, en aucun
état, individu. Dire qu'une méme chose tour à tour comporle et ne comporte pas
la définition du genre, c'est dire que cette chose est, comme genre,
attribuable à plusieurs, mais que, comme genre aussi, elle ne Vest pas, car un
individu qui serait attribuable ò plusieurs serait un genre ; par conséquent
Vassertion est con[Finalmente, anche contro quella tesi, a noi non meglio nota,
che concerne una proprietas delle cose (v nota 73), rivolge ripetutamente la
stessa obiezione tratta dalla definizione del concetto di genere, e denota in
generale come la cosa più pericolosa e insostenibile. tradicloire, ou plutòt
elle n’a aucun gens. Les auteurs
disent que celle nroposition : L’homme se promène, vraie dans le particulier,
est fausse de l’espèce (qui tuttavia il Réniusat deve o aver avuto sottocchio
un testo scorretto, o aver inteso scorrettamente il testo corretto, poiché lu
dottrina ripetutamente enunciata da BOEZIO, a p. 15 [in Porph. a Vici, transl.,
I, 16: ed. Brandt, p. 45; PL, 64, 27], p. 36 [i6.. II, 10 (Cicero sedet, homo
sedei): cd. Brandt, p. 103; PL, 64, 57], ecc., facendo uso dello stesso esempio
Cicero ambulai, homo ambulai è espressa
naturalmente nel senso, che l’accidente è predicato, primitivamente dell’
individuo e derivativamente della specie, ma non che questa seconda
predicazione sia falsa). Commenl maintenir cotte dislinction, si une ménte chose
est espèce et individu ? (p. 101) V individuai ile résultant de formes
accidentelles ne saurait èlre l'attribut essentiel d’une substance susceptible
d'universalité ; ccpendant certe substance, en tant que particulière, distincte
de ses somblables, est esscntiellement individueUe, violation manifeste de la
règie de logique qui porte que „dans un mème, Vaffirmalion de l'opposé exclut
Vaffirmation de l’autre oppose’'’. Lorsqu'on dit que le genre est atlribuable à
plusieurs, on parie ou d'attribution essentielle (praedicari in quid), ou de
toute autre ; s’il s’agit d'attribution essentielle, camme on le nie aprìs
Vavoir affirmé, elle cesse d’ètre essentielle, ou elle emporte avec elle son
sujet ; s'il s’agit d’attribution accidentelle (in adjaceutia), la définition
n’est plus exacte, elle ne convient plus à tout genre [ed. Geyer Huic autem
sentcntiae o p p o nani u s . . . . In primis inquirendum iudico, quomodo
Porphyrius dicit praedicari de pluribus ad cxclusioncm individuorum, cum illa
scilicet praedicentur de pluribus secundum illos. Sed dicunt mihi, quod cum
dicitur genus de pluribus praedicari, tale est, ac si dicatur: genus in quantum
est genus, praedicatur de pluribus. quod constare non potest. Amplius cum
diffinitio generis sit, quod praedicatur etc., oportet eum concedere quod
individuimi ex stalli individui sit genus, quia ex ilio quod praedicatur de
pluribus, [quod] est animai. Propterea quomodo dicunt « praedicari de pluribus
», quod generi convenit, genus ab individuo removcrc, cum idem prorsus
individuo conveniat ?... Amplius
quomodo dicit B o e t h iu s super Peri ermenias [Boezio, in libr. de
interprete ed. seconda, L. II, c. 6 (ed. Meiser, Pars Post., p. 133: PL, 64,
461), p. 337] quod haec propositio « homo ambulat » de speciali falsa est, de
particolari vero vera est ? Numquid et de universali similiter vera est, cum idem sit
universale et particulare ? Sed fortassis inquies, quod ab hoc universali
ambulatio prorsus removeri potest, a particulari vero non, hoc modo: nullum
universale ex statu universali ambulat. Sed
similiter dici potest, quod nullum particulare ex statu particuqualsiasi
scambio o confusione tra individuo e universale. [i) soluzione proposta da
Abelardo : il senno praedicabilis]. Ma
secondo il suo personale modo di vedere, egli credeva di aver trovato la via
giusta per poter alfine comporre, com’è sua opinione, il contrasto fra Platone
e Aristotele, vale a dire appigliandosi a quell’unico passo del libro De
interpr., dove l’universale è designato come ciò, ch’è « naturalmente fatto per
essere predicato laris anilnilationcm habeat. Haec quippe enuntiatio: « in co
quod est universale, non ambulata, duobus modÌ9 potest intelligi, sive
interpositum sive praepositum. Interpoeituin sic: in eo quod universale, non
ambulat, ac si diceretur: proprictas universalis non patitur ambulationem, quod
omnino falsum est, eum eidem subiecto universalitas et particularitas et
ambulatio adiaceant. Quod si praeponilur, intelligitur boc modo: non in eo quod
est universale, ambulat, sicut est illud: non in eo quod animai est, habet
caput, hoc est: non exigit proprietas universalis, ut ambulet, sicut non exigit
natura animalis, quod habeat caput. Sed eodem modo verum crii de particulari, orai proprietas
particularis non exigat ambulationem ». Ecc. ecc., sino alla p. 521], 286 )
Ibid., p. 102: La difficulté est toujours de faire cadrer ce système avec la
définition du genre. Il faut que la propriété d'ètre attribuable à plusieurs
séparé Vuniversel de l'individuel ; or, on vieni de dire que de plusieurs
choses chacune est individuellement animai ; le nom indiriduel d'animal
seraitil donc le nom de plusieurs ? V indie Uhi serait-il attribuable à
plusieurs ? Cela ne se peut. Mais comme animai ne peut plus se dire de
plusieurs, mais de chacun, il n’y a plus de genre, ou plutòt tout est renversé,
c'est l’individu ou le non-universel qui prend la place de Vuniversel, c'est ce
qui ne peut s'ajfirmer de plusieurs qui s'affirme de plusieurs. et c'est une
pluralité où chacun s'affirme de plusieurs que l'on appelle Vindividu [ed.
Geyer, p. 521-22 : « Primum quaerendum est.... quomodo secundum hanc sententiam
individuimi ab universali differat per praedicari de pluribus, cum individuimi
habeat praedicari de pluribus, id est plura sunt, quorum unumquodque est individuimi.
Sed fortasse inquies, quod recte praedicari de pluribus in diffinitione
universalis ponitur ad exclusionem individuorum, cum omne universale praedicari
de pluribus habeat, nullum autem individuimi de pluribus praedicetur. Sed eodem
modo inter universale et animai differentia potcrit assignari, cum omne
universale de pluribus et nullum animai de pluribus... Praeterea secundum banc
sententiam concedere oportet, quod non-universale sit universale et res quae
non praedicatur de pluribus, praedicetur de pluribus et multos quorum
unumquodque de pluribus praedicatur, concedat individuimi appellali»]. di
più cose» (quod natura est de pluribus praedicari ); poteva Abelardo con
questo, nella maniera già più sopra ricordata (nota 254 1, far procedere
insieme la genesi delle cose qual è data obbiettivamente in natura, e quella
produzione subbiettivamente umana che è la denominazione, e anzi esprimere
questa relazione, persino ricorrendo alla similitudine della statua, la quale è
costituita dalla pietra, che lia esistenza obbiettiva, e dalla forma, ch’è
aggiunta dalla mano dell’uomo 286 ). Ma su ciò si fonda ora il vero e proprio
sciboleth, che contraddistingue la posizione di Abelardo nel con2BC ) liuti.,
p. 104 s. : Aristote, au dire d'Abélard, parati l'insinuer clairement, qunnd il
définit l'universel ce qui est né altribuable à plu~ sieurs, quod de pluribus
natum est praedicari. Cest une propriété uree laqtielle il est né, qu’il a d’origine, a
nativitate sua. Ór, quelle est la nativité, l'origine des discours ou des noms
? Vinstitution humaine, tandis que l’origine des choses est la création de
leurs natures. Celle différence d’origine peut se rencontrer là méme où il
s’agit d’une mème essence. Ainsi dans cel exemple : cette pierre et cette
statue ne font qu’un, l'étal de pierre ne peut ótre donné à la pierre que par
la puissance divine, l’état de statue lui peut ótre donné par la main des
hommes. [ed. Geycr, p. 522: «Est alia de universalibus sententi a rationi
vieinior, quae nec rebus nec vocibus communitatem attribuit; sed serinones sivc
singulares sive universales esse disserunt. Quod etiain Aristoteles ... .
aperte insinuat, cuin ait: « Universale est, quod est natum praedicari de
pluribus », idest a nativitate sua hoc contrahit, ex institutione scilicet....
Hoc enim quod est n o m e u sive s c r m o, ex hominum institutione eontrahit. Vocis
vero sive rei nativitas quid aliud est, quam naturar creatio, e uni proprium
esse rei sive vocis sola operatione nalurae consistat ? Itaquc nativitas vocis et sennonis diversitas,
etsi penitus in essentia identitas. Quod diligentius exemplo declarari potest.
Cum idem penitus sit hic lapis et haec imago, alterius tamen opus est iste
lapis et a[terius haec imago. Constat
enim a divina substantia statura lapidis solummodo posse conferri, statum vero
imaginis hominum comparatione posse formari»]. Nella traduzione di Boezio, p.
338 [ed. secunda, II, 7: ediz. Meiser. Pars Post., p. 135; PL, 64, 462], il
passo aristotelico citato nella Sez. IV. nota 197, è cioè del seguente tenore:
Quoniam autem sani haec quidem rerum universalia, illa vero singillatim ; dico
autem universale, quod in pluribus natum est praedicari, gingillare vero, quod
non, etc. Qui dunque Abelardo poteva appoggiarsi, per la tesi realistica, alla
parola « natum », e al tempo stesso, per la tesi nominalistica, alla parola «
praedicari ». Così in quell’epoca, ch’era incapace di assurgere alla visione
dei principii, ma si limitava allo studio
« tra ' Van mdirizzi; ««Perocché, una volta che il predicato venga r,
conosciuto come naturalmente determi nato, ne consegue che nè le cose come
tali, nè le paroJ ' come tali sono 1 universale, bensì la universalità è ri
posta soltanto nello stesso praedicari, e dunque in' quella maniera di
esprimersi ch’è il giudizio, insomma el « sermo » : con questo si evita ora la
opinione sba ghata e insostenibile, che cioè di una cosa possa ori carsi una
cosa, sì che, a questa maniera, mia co a f ugual r e in più e una cm., ma « per
r.ppnnto „„ preJica | 0 ' E, mettendo „ ra Abelardo in eo„„e„i„„ e eon '
conseguenza 1, definizione già riferita del genere ne ‘ espressamente che nega mo) sia di • universale il predicato
(ser” 3 3ll ° ra ‘“tersale anche la parola in quanto paro a poiché alla stessa
maniera si potrebbe d mLT U Cl,e è “• «. 'ce dell alfabet o; „ deve rnvece,
in,„eli„ definir .. tener rizzi sano statesenz^tmcozUuIt^o^^* 1 !, 0 he dei J '
vcra ' 'odilati diversi da uno all’altro scrittore 77'l f°? dame ? to di passi
isolai/ Ctteratura in uso nelle scuole Cfr -Y* !u testi e l‘e formavano ^)Ibid
aPPre S .° k DOta 293 -‘ P1U S ° Pra n ° tC I05 ’ 129 ’ buatte à plufieurs, ni
ìefchòses'n'i fet* 1 umversel Pst d'origine altri c p n est paste mot. la voix.
mais le dilriu, T" Car stori du mot, qui est attribuable à divers C e ? t
~ d ~ dire l ' p *prcsdis mots, ce ne sont pas les mots mais Ù . 9 lw, g “ P '
Ù S ° Pra (nota 63 > "tato, di GiovauTda Salisb^ “ PaSS °’ fisso
l’occhio sopra l’oggetto da essa definito, cioè sopra lo stesso genere, e con
ciò si rende manifesto che nella parola singola non è già contenuto il genere
stesso nella sua totalità, bensì invece la parola ch’esprime il genere, viene,
in un giudizio, predicata di diverse cose, insomma che proprio il giudizio è
predicabile, « sermo est prue dicabilis
» , perchè il pensiero dispone per ordine le parole, in vista della descrizione
delle cose 2SS ). Se per conseguenza la parola è predicata, non secondo la
esteriorità del suo effettivo suono, bensì secondo il suo intimo significato, e
è dunque il suo significato che ne fa un uni) Ibid., p. 107 s.: Mais Abelard se
faii des objeclions. Comment l oraison peni-elle elre un,vergelle, et non pas la voix, quand la
descriplion du genre convieni aussi bien à l’une qu'à Vautre ? Le genre est ce
qui se dii de plusieurs qui diffèrent par Vespèce ; ainsi le décrit PorphyTe.
Or, la descnption et le décrit doivenl convenir à tout suiel quelconque ; c est
une règie de logique, la règie De quocumque, et camme le discours et Ics mots
ont le ménte sujet, ce qui est dit du discours est dii des mots. Vane, comme le
discours, la voix est le genre. Celle pròposti,on est incongrue, non congruit;
car la lettre étant dans le mot et par consequent s attribuant à plusieurs
comme lui, il s'ensuivrait que la lettre est le genre. Cesi que, pour que la
description ou définition du genre so,t appi,cable il faut qu'on Vapplique à
quelque ckose qui uit en so, la realite du défim, rem definiti; c'est la
condilion de l'applicatwn de la regie De quocumque, et ici catte condition
n'existe pus Le mot ne contieni pas tout le défini, il n'en a pas laute la
compréhens,on et,1 n est atlnbue a plusieurs, affirmé de plusieurs, pracdicatum
de pluniras. qU e parce que le discours est prédicable. est sermo pracdicabibs,
c est-a-d,re parce que la pensée dispose des [si direbbe che Franti intenda
come « fosse scritto « Ics »] mots pour décrire toutes choses [ed. Geyer. p.
522-23: «Cui sementine opponitur. 1 rimimi enun quaeritur, cur sermones et non
voces esse universale? astmant cum descriptio generis tam vocibus quam
sermombus conveniate De quocumque enim praedicatur descriptio, et descriptum;
sed descriptio generis praedicatur de voce, cum vox sit ifiud quod praedicatur
de pluribus differentibus specie etc.; vox «ritur est genus. Quod
sic s o 1 v i t u r: Huic argumentationi; Cst ', ., '',j US ' ^ mUd q "° d
praedicatur ' ( iuia est sermo PaANTL, Storia detta logia, in Occidente,
II.versale 289 ), ben può dirsi a questa maniera che il genere e la specie sono
una parola (vox), ma non già, viceversa, che la parola è la specie o il genere,
perchè la essenza individuale, che è la parola, non può essere predicata di più
cose, mentre si può, con una tale concezione, ammettere invece, senza
difficoltà, un essere obbiettivamente reale, corrispondente ai generi e alle
specie 2D0 ). Generi e 2#s )
Ibid.. p. 108: On peut dotte dire que le discours étanl un gente, et le
discours étant un mot, un mot est le genre. Seulement il faul ajouter que c'est
ce mot uvee le sens qu’on a entendu lui donner. Ce n'est pus l essence du mot,
en tant que mot, qui peut ètre attribuée à plusieurs ; le son vocal qui
constitue le mot est toujours actuel et particulier à chaque fois qu’on le
prononce, et non pas universel ; mais c'est la signification qu'on y attaché
qui est générale [cd. Geyer, p. 523-4:« Cum haec vox sit hic sermo et hic sermo
sit genus, quomodo ratiouab iliter negari poterit, quin haec vox sit genus ?
Quod sic solvitur: Cum dicimus « hic sermo est genus», tale est ac si dicamus:
sermo huius institutionis est genus. Sed cum dicimus « haec vox est genus », tale
est ac si dicamus: haec essentia vocis est praedicabilis ctc., quod falsum
est.... Concedimus itaque has esse
veras: Hoc nomen est genus, hoc nomen est universale. Similiter: Hic sermo «
animai» est genus, hoc vocalndum « animai » est genus et universale, et
similiter omnes in quihus subicitur vox innuens institi! tionem, non
simpliciter essentiam vel prolationem, sed signifìcationem et praedicans
eommunitatem, sicut est: genus, universale, sermo, vocabulum, dictio,
oratio.... »]. *®°) Ibid., p. 108-9: Abélard.... permei qu'on dise que le genre
ou l'esp'ece est un mot, est vox, et il rejette les propositions converses ;
car si l on disait que le mot est genre, espèce, universel, on attribuerait une
essence individuelle, celle du mot, à plusieurs, ce qui ne se peut. C'est de
mème qu'on peul dire: cet animai ( hic status animai) est cette matière, la
socratité est Socrate, l’un et l’aulre de ces deux est quelque chose, quoique
ces propositions ne puissent ètre renversées [ed. Geyer, p. 524: « Nota tamen,
quod haec propositio vera est: genus est vox et species est vox. Tale est enim
ac si dicatur: generale vocabulum est vox vel speciale. Convcrsae harum,
scilieet: vox est genus vel vox est species, non sunt concedendae, cum per
illas communitas essentiae ostendatur, quae similiter in omnibus reperitur.
Concedimus exiirn propositiones: hic status animai est, haec materia Socratis
est Socrates, utrumque istorum est aliquid; conversas vero istarum negamus
omnino, scilieet: homo est hic status animai, Socrates est materia Socratis,
aliquid ast utrumque istorum»),
Dialect., p. 480: in significationibus suis vocabula saepe nominantur,
ut cum ea quoque vel genera vel species vel universalia vel singularia rei
substantias vel accidentia nominamus. Nomen
autem.... hoc loco accipiendum est quaelibet vox significativa simplex, qua
rebus praeposita vocabula praedicamus. specie, cioè, in quanto sono da noi
pensati, si riferiscono bensì a qualche cosa che esiste, e questa cosa
afferrano, ina soltanto in senso figurato poteva dirsi che essi esistono quali
universali pensati da noi, poiché il senso proprio di tale espressione è
solanieute questo, che esiste cioè qualche cosa che dà luogo a questi
universali 291 ). 2tfl ) Ibid., p. 109 10: Il décide que. bien que ces concepts
(ma chi sa se nell’originale latino ri leggerà in questo punto « conceptus » ?
io eongetturo piuttosto che vi si dica « intellectus » : v. appresso le note
313 ss.) ne donneiti pas les choses camme discrètes, L, 64, 121-2], p. 84: rfr.
la Sez XI, nota 44), secundum quas ipsa genera, quae ab ipsis divisa sii nt.
specificantur.... Nec cum ipsae generis subslantiam in spederà reildunt, ipsae
quoque in essentiam speciei simul transcunt, sed sola "enera vel subjecta
specificantur, non qmdem separata a difierentiis. sed, nisi ei differentiae
adveniunt, ipsa sola non etiam differentiae species efficitur, non quidem cum
differentiis, sed per differentias, sicut in libro Partium, tractatu speciei,
disseruimus (v la nota 272). Si enim differentiae in speciem transferrentur cum
lenere . ipsas de substantia rei esse, et in partem malenae venire
rontineeret.... (p. 478) Nihil.... aliud materia jam fannie aclual,ter contunda
quam ipsum materiatum, ut nihil aliud est hic annulus aureus quam aurum in
rotundilalem duetum.... Stalline.... compostilo, quem Boethius (p. 88) ponit .
species non riddar, cum nec materia sit unum, sed operatione hominum, nec
substantiae nomen, sed accidentis cum statua videtur et a quadam compositione
sumptum. z»«) Introd. ad t/no/.. II, 13, p. 1083 [98]: Cum autem species ex
genere creaci seti gigni dicantur, non lanieri ideo ri eresse est,genus speries
suas tempore, vel per existentiam precedere, ut videlicet ipsum prius esse
contigeril quam Mas. Numquam eternai genus nifi per aliquam speciem suam esse
contingit, vel ullatenus animai juit, antequam calumale vel irrationale fuerit
: et ita quaedam species cum suis generibus simul naturaliter existunt, ut
dMlatenus genus sino illis, sicut nec ipsae sine genere esse‘pomerint [PI.,
178, lOtuj. praedicatio, la quale può riferirsi ora alla forma, ora alla cosa
formata da questa, e via dicendo 29? ). Ma dovendosi, a proposito di questo
generarsi delle specie dai generi, toglier di mezzo quella più difficile
questione riguardante gli opposti (v. sopra le note 113 e ilo s.), ecco qual è
su questo punto il modo di vedere di Abelardo: La diversità delle specie può
essere determinata soltanto dal fatto che sussiste ima diversità delle
sostanze; ma questa è un prodotto della differenza specifica la quale si chiama
sostanziale, proprio perchè realizza entro la sostanza ima separazione di
gruppi, e con ciò, al tempo stesso, una unità dei gruppi così separati,
eiascuno dei quali ha una comune natura 888 ); e a quel modo che, per
conseguenza, la materia, ch’è il genere, non si presenta più, hi identità di
essenza, in tutte quante le specie, cosi dalla differenza specifica vengono
esclusivamente prodotte soltanto le specie della sostanza stessa; se perciò
tutte le altre specie, che non procedono dalla sostanza, si debbono generare
senza l’azione esercitata da una differenza sostanziale e debbono pertanto aver
il pròpno fondamento nella sola materia, la unità di quest’ultnna va intesa
come somiglianza di essenza (consimilitudo), dalla quale per es„ nonostante la
comune essenza ipslls^nriti^t ^ P> 1277 f183]: ^oprie,as ilaque n,aterine
ZZ, v/,, secundum quam ex ea materialitcr al,quid fieri habe'. Materiati vero
proprietàs est ipsa e converso postcrioritas Pro prietates itaque ipsae
impermixtae sunt per praedicMionem licei iosa proprietà.... permixtim de eodem
praedicentur. Aliud quippe est prue Ì7{/~\^]. f ° rma,Um ÌPSUm ' h e iP sam
Jormae subjec“ ) Dialect., p. 418: Diversitas itaque subslantiae diversitatem
quae natura substantiae divina univit operatio.
(lell'esser colori, non rimane esclusa la opposizione contraria del
bianco e del nero 2 "). Così Abelardo tiene distinte, da un lato, quelle
forme, che son, esse medesime, essenze, e che bisogna pur che entrino nella
materia, la quale sta a loro fondamento ( subiectum ), per far di questa
qualche cosa, che senza quelle non sarebbe,
e, dall’altro lato, quelle forme, che per se stesse non sono essenze, ma
son di già contenute nella materia del genere 300 ) ; naturahnente nelle prime
c’è la differenza specifica vera e propria, a quel modo che nelle seconde c’è
la così detta nota casuale di differenze accidentali, cioè queU’adiacerma (nota
284), cli’è oggetto della predicazione non-sostanziale 301 ). Ma, con ciò, gli
opposti, nelle forme sostanziali, sono derivati soltanto ! ") Uh/., p.
400, dove al passo citato più sopra (nota 113) fa sèguito: Si enim omnium
specierum est eadem in essentia materia, tunc albedinis et nigredinis et
caeterorum contrariorum, quae omnia.... ejusdem generis species esse necesse
est.... Nostra quoque sententi a te net, solas substantiae species differentiis
confici, caeterasque species per solam subsistere materiam, sicut in libro
Partium ostendimus. Si ergo eadem prorsus est materia, quae est in ipsis
diversitas ? Sed eadem (cioè diversitas in ipsis est), quae est in
consimilitudine substantiae, non indeterminatae essentine. Ncque enim ea
qualitas, quae est essentia albedinis, essentia est nigredinis, essel enim
albedo nigredo, sed consimilis in natura generis superioris. Consimilitudo
autcm vel substantiae vel jormae contrarietatem non impedit. Riguardo alla
consimilitudo, e£r. qui appresso la nota 307. 30 °) Pseudo-Abael. de intell.,
edito dal Cousin, Fragm. phil. (1840), p. 495 s. [Opera, II, p. 755]: Alii
autem, qui quasdam formas essentias esse, quasdam minime, perìiibenl. sicut
Abaelardus et sui, qui artem dialecticam non obfuscando sed diligentissime
perscrutando dilucidante nullas formas essentias esse approbant, nisi quasdam
qualitates, quae sic insunt in subjecto, quod subjectum ad esse earum non
sufficit, sicut ad esse quantitatum ipsum subjectum sufficit... et ad esse
sessionis necessaria est dispositio partium... Nullam enim formam essentiam
esse asserunt, cui... poterit assignari... subjectum ad esse illius sujfficere.
Theol. Christ., Ili, p. 1280 [487]: sire illa forma sii communis differentia,
h. e. separabile accidens. ut nasi curvitas, si ve magis propria differentia,
i. e. substantialis, sicut est rationalitas, quae sci licet substantialis
differentia non solum facit alterum, i. e. quoquo modo diversum, verum etiam
aliud, h. e. substanlialiter atque specie diversum [PL, 178, 1251]. Qui la
fonte è Porfirio (Sez. XI, nota 44), cioè Boezio [ad Porph. a se transl., lib.
IV], p. 79 ss. dall'attività della differenza specifica e sono senz'altro separati,
mentre, trattandosi delle forme non-sostanziali, ci si presentano nella materia
del genere, quali possibilità’' 2 ): e Abelardo, dato che per lui a base di
tutte quante le opposizioni puramente qualitative non c’era un substratum
sostanziale, mentre un tale substratum andava riconosciuto esclusivamente per
quelle opposizioni che vengono a costituir delle specie, poteva molto
facilmente, con il mantenere la non-unificabilità degli opposti, sottrarsi a
quella difficoltà che più sopra (nota 115) abbiamo veduta 303 ). ' Ma mentre a
questo modo quel processo di creazione, nel quale la differenza specifica opera
separando, e le specie cosi separate si raccolgono in raggruppamenti unitari
(nota 298), si estende, in progrediente graduazione, sino all individuo
singolo, il quale è, come tale, essentialiter o entialitcr (non tuttavia
secondo la sua sostanza) separato dal suo simile 3 °fre (B0tZI0 ’ P™ nox7Lì h
-md ÌS lil l P Ì80 3 r487F-T ^ già, più s °P ra ' aUa mero sun, difierenlia. q
uae loia JL,.,L. Z^ZTentt disTctsum sire solo numero ab inviami disteni, ut
Socrate* e, i>LT ’ mente come im nome generale equivoco 305 ), ma invece la
« subsiantia », in quanto è questo il concetto del genus generalissimum,
dev'essere consideratacome quella suprema ultima materia, sulla quale
incomincia a esercitarsi Fattività della differenza specifica 308 ). Così
Abelardo, in quanto è platonico, insegna mia ontologia obbiettiva degli
universali, la quale da un lato vantaggiosamente si distingue, per la maggior
cura con cui si giova di Boezio, dal più grossolano realismo di Guglielmo da
Cbampeaux, ma al tempo stesso, mediante il concetto già sopra menzionato (nota
299) di consimilitulio, viene, d’altra parte, in certo modo, a mettersi in
contatto con l’autore dello scritto De gen. et spec. (note 163 e 177) o con la
teoria (nota 132) della indifferenza 807 ). [mi ma dallo stesso principio
Abelardo trae insieme partito secondo il punto di vista aristotelico ]. Ma ora, quanto a quell’altro modo di vedere
di Abelardo, die si 305 ) Glossae ad Porph. (riferite dal Cousin), p. 568: Ens
est aequivocimi.... [569] videlicet illam definilionem, quam habel ens in
praedicamento substantiae, nunquam habebit in praedicamento quantitàtis.... Ens non habet unam substantialem
diffinitionem, cum qua praedicalur de omnibus generalissimis, cum hac
diffinitione praedicatur ens de substantia : substantia est ens, quod ncque est
qualitas nec quantitas etc. V. la Sez.
XII, nota 89. 30li ) Ibid.. p. 565: Substantia est generalissimum, quia est
solum genus.... (p. 566) quemadmodum
substantia est genus generalissimum, cum suprema sii, eo quod nullum genus
supra eam sit, etc. Inoltre il passo citato più sopra, nota 298, e
Dialect., p. 485: Genus omne naturaliter prius est suis speciebus.... genus
[est materia] specierum. 307 ) In una maniera consimile, che ricorda quelle
teorie, si esprime Abelardo, Theol. Christ., Ili, p. 1261 [468]: Sed nec
Socrates, cum sit a Platone numero diversus, li. e. ex discretione propriae
essentiae ab ipso alius, litio modo ideo ab ipso aliud dicitur. h. e.
substantialiier differens, cum ambo sinl ejus[dem ] naturae secundum ejusdem
speciei convenientiam, in eo scilicet [1262] quod uterque ipsorum homo
est. Ibid., p. 1279 [486]: Idem vero similitudine
dicuntur quaelibet discreta essentialiler, quae in aliquo invicem similia sunl,
ut specics idem sunt in genere vel individua idem in specie [PL]. accorda con
il punto di vista logico di Aristotele, bisogna che tentiamo di metter in
chiaro, in qual maniera dovesse, secondo lui, intendersi il concetto già
ricordato (note 286 ss.) di « sermo », e com’egli ne determinasse minutamente
il fondamento: e qui fin da principio sembra esser degno di nota ch’egli,
rimanendo assolutamente fedele al punto di partenza da cui lì aveva preso le
mosse, si attiene a passi contenuti nel libroDe interpr. Se cioè deve tenersi
fermo il principio dianzi enunciato, vale a dire che il praedicari è degli
universali, quali sono naturalmente determinati, si ha anzi tutto una semplice
parafrasi dello stesso principio, quando si afferma che la predicazione (sermo)
è in rapporto di originaria affinità con le cose 308 ) : tuttavia, com’è
naturale, ciò va inteso nel senso che la denominazione (vocum impositio ),
venendo dopo, è condizionata e dipendente dalle cose obbiettive che essa
significa ( res significala) 30S ), anzi che, in questo senso, anche la
significano della parola è ancora quel primum, dal quale soltanto dipende la
parola come parola 310 ). Vero è poi che a questa maniera i generi e le specie
non sono nient’altro che ciò che da queste parole è significato 3n ), ma quel
che da esse è significato. 3 " 8 ) Introd. ad theol., II, 10, p. 1074
[90]: Conslat quìppe, juxta Boethium ac Platonem, cognatos de quibus loquuntur
rebus oportere [91] esse semiortes [PL, 178, 1062]. V. Boezio, ad Ar. de interpr. [ed. seconda,
II, 4: ediz. Meiser, Pars Post., p. 93; PL, 64, 440-11, p. 323. J 30 °)
Dialect., p. 487: vocem secundum imposilionis suae originem re significata
posteriorem liquet esse. Ibid., p. 350:
Si nòminis hujus. quod est « homo », propriam impositionem tenueril, secundum
id scilicet, quod substantiae hominis ut existenti ex animali etrationalitote
et mortalitate datum est, ratam omnino conseculionem viderit. Inoltre il passo ricordato più sopra, nota
255. 31 °) Dialect ., p. 345: neque enim nomina ncque verbo sunt, suis non
existentibus significationibus. Ibid.. p.
482: [propria significatio. illa ] scilicet. de qua inlelleclum proprie vox
queal generare. 3iI ) Glossae in Porph.. p. 567: genera et species. id est ipsa
significata harum vocum, come pure nel passo riferito più sopra (nota 278) si
dice sempre: sex voces et significata eorum. in altro non può consistere, a sua
volta, se non nei prodotti (li quel processo di creazione, onde dal genere si
scende giù giù sino all’individuo: e avendo i generi e le specie una esistenza
concreta soltanto negl’individui, nella proposizione « Socrate è un uomo » noi
parliamo per esempio soltanto di quel che significato da queste parole, ina non
già delle parole stesse, in quanto parole 312 ). Ma proprio poiché i generi e
le specie non sono ciò ch’esiste concretamente, l’antico motto « singultire
sentilur, universale intelligitur » conserva il proprio valore: ed essendo, dal
concetto intellettivo ( intellectus ), afferrato ciò che non cade sotto i sensi
3113 ), bisogna che poiché
quell’universale che non cade sotto i sensi, è ciò ch'è destinato a esser
predicato 1 esso concetto
necessa¬riamente contenga in sé il principio onde si genera la predicazione, e
venga alla coscienza, attraverso qualsiasi predicato, come principio del
generarsi di questo, ovverossia: sermo generalur ab intellectu et generar
infelicetum 314 ). Così il « predicare » (sermo) è il terreno degli 312) Diale
et., p. 204: Neque enim substantia specierum diversa est ab essentia
individuorum, sicul in Libro (leggi primo: v. la nota 272) rartium ostendimus,
nec res ita sicut vocabolo diversas esse contingit. Sunt namque diversae
vocabulorum in se essentiae specialium et singularium, ut « homo » et « Socrates
sed non ita rerum diversae sunt essentiae. Unde Ulani rem, quae est Socrates.
Ulani rem. quae homo est, esse dicimus ; sed non illud vocabulum, quod est «
Socrates », illud, quod est « homo», linde quod in re speciali contingit, et in
ipsius individuis necesse est contingere, cum videlicet nec ipsae species
habeanl nisi per individua subsislere, nec in ea, quae informant et ad invicem
jaciunt respicere, nisi per individua, venire (cfr. la nota 296). 313) Introd.
ad theol., li, 3, p. 1061: Proprie.... de invisibilibus intellectus dicitur,
secundum quod quidem intellectuales et risibiles naturar dislinguuntur [PL,
178. 1052: e cfr. PL, 76, 1202], 3U ) Theol. Christ.. I, 4, p. 1162 a. [365]:
Licei etiam ipsum nostrae mentis conceptum ipsius sermonis lan i effemini quam
causam ponere, in proferente quidem causam. in audiente effeclum, quia et sermo
ipse loquenlis ab ejus intellectu proficiscens generalur, ut cum (leni rursus
in auditore generel intellectum. Pro hac itaque maxima sermonum et intellectuum
cognatione non indecenler in eorum nominibus mutuas fieri licei translationes :
quod in rebus quoque et nominibus propter adjunctionem significationis
frequenter contingit [PL, 178, 1130]. alcunché di predicato), bensì soltanto
nel fn) ispirazione aristote/im al giudizio (praedicari) I _ jù a m dato
ceintellettivo lin e" ^ 1“' “nnon cade,,1,,,; e "p *» »“» lenivo. Con
Jè U 00 “ en “ U Intelpovalità (cfv. la nota 252) Tv '7 ’ m mon,e n‘o di tem.
M»v enunciato, richiede „„ cèrio i'.'mm,!!" per "'ente significante,
* non dopo che tnt.e k,T ' '“'i .teno successi va mente fatte innanzi- e r, '
r„ alicujus exist.it.... fìuod intei cativam dicere, quod unum P de
hU*eó"""l ."™‘ 9u, ' ml,bel ’ta signifi-,V U !,a f,,nte è
Boezio (ad Ar de ituern l ? tellectus ooncipiatur. Meiser p ars Post ^ ss • PI T, P
‘ Ynf 1 ' 1 seeu “ da - I. 1; ed. Sez.
XII, nota 110. - 64 ’ 402 S -L P- 296 s.; V. Ja
siste nella unità di quel pensiero, che esso fa nasce- -re sl8 )- Ma
proprio perciò il giudizio, al pari della parola, in quanto
questaèelementodelgiudiziostesso, ha essenzialmente due lati a un tempo, uno
dei quali consiste nelle cose, delle («de») quali il giudizio tratta
{significai io reali*), mentre l’altro riguarda il pensiero, che esso giudizio
contiene e genera, ma del quale non tratta (significatio intellectualis ): e
c’è pertanto parallelismo tra essere e non-essere, nella realtà obbiettiva, ed
esser vero e falso, rispetto al giudizio 317 ). Ben è vero, cioè, 316 ) Ibid.,
p. 297: ....ut multiplìcem illam dictionem dicamus, quae pluribus imposila est,
ex quibus non fit unum, li. e. plura in sentenlia tenet non secundum id, quod
ex eis unus procedal intellectus. Sic autem e converso omnis illa una est
diclio, quae plurium significativa est. secundum id, quod ex eis unus intellectus
procedal. V. Boezio, p. 335 [o non forse 328? Loc. ult. cit. II. 6. p. 106 ss.:
PL, 64, 447-8] (cioè Aristotele: v. la Scz. IV, note 185 ss.). 317 ) Ibid., p.
238: Sunt igitur veruni ac falsum nomina intel- lectuum, voluti cum dicimus
„intellectus verus et falsus “, h. e. habitus de eo, quod in re est vel non
est, quos quulem intellectus in animo audientis prolata propositio generai....
Sunt cursus vertim ac falsum nomina proposti 1 onum, ut cum dicimus,,propositio
vera vel falsa" i. e. veruni vel falsum intellectum generane. Significant propositiones idem,
quod in re est, vel quod in re non est. Sicut enim nominum et verborum duplex
ad rem et ad intellectum significatio. ita etiam propositiones, quae ex ipsis
componuntur, duplicem ex ipsis significationem contrahunt, unam quidem de
intelleclibus, aliam vero de rebus.... Patet insuper adco, per propositiones de
rebus ipsis. non de intellectibus nos agere.
p. 240 s.: Restat itaque, ut de solis rebus, ut dictum est,
propositiones agant, sive idem de rebus, quod in re est, enuncient, ut „homo
est animai, homo non est lapis “, sive id, quod in re non est, proponant, ut
„homo non est animai, homo est lapis “, ut etiam de significatione reali
propositionis, non tantum de intellectuali, suprapositae [Prautl corregge:
supraposita] propositionis diffinitio (Boezio, p. 291 [? Corrisponde a loc.
ult. cit., Prooem., p. 7 ss.: PL, 64, 395-6]) possit exponi sic significane
veruni vel falsum, i. e. dicens illud, quod est in re vel quod non est in re“,
et in hac quidem significatione veruni et falsum nomina sunt earum
exislentiarum rerum, quas ipsae propositiones loquuntur. Cum autem eamdem
dijfinilionem et de intellectibus ipsis hoc modo exponimus „significanles
[Prantl: significane] verum vel falsum, h. e. generane secundum inventionem
suam de rebus, de quibus agitur. verum vel falsum intellectum “, lune quidem
ipsos nomi- nani [Prantl: nominai] intellectus. Nota autem, sive de intellectibus sive de rerum
existentiis exponamus, orationis praemissionem necce-che la parola « praedicari
» ha tre significati: vale a dire,ni primo luogo la si usa, in modo affatto
estrinseco, per significare la semplice collocazione di un soggetto e di un
predicato, imo di seguito all’altro, fatta astrazione da qualsiasi contenuto
reale; ma poi quella stessa parola concerne, in doppio senso, la relazione,
qual è data effettivamente nella realtà obbiettiva, in quanto che, riguardo a
quel tale processo di creazione (note 294 ss. e 312), il praedicari mette in
rapporto con la materia del genere o il formato ( materiatum ) o la forma ;
tuttavia, com’è naturale, soltanto tale relazione, espressa dal termine
praedicari in queste due ultime sue accezioni, è ciò di cui («de quo») tratta
il giudizio: e in tale significalo praedicari vai quanto esse, sicché, in quanto non possiamo enunciare giudizi, se
non con parole che im giudizio sia
affermativo, o un altro negativo, e via dicendo, queste son distinzioni che
ricadon nell’orbita della modalità della espressione 318 ). Inoltre c’è pur
coincidenza tra quel duplice riferimento che può esser contenuto nei giudizi, e
l’antica distinzione tra « de subie- soriani esse. Qui la fonte si trova in
Boezio, p. 321 [corrisponde a tm iM ' V/ 7 64 ’ 437 ~ 8] -~ Cf "- anche la
347 - ) Unii., p. 366-7 : Tnbus autem modis „praedicari “ sumilur : uno quidem
secundum enuntiationem vocabulorum ad se invicem in conslructione ; duobus vero
secundum rerum ad se inhaerentiam, aut cum videlicel in essentia cohaeret sicut
materia materiato, aut cum alterum alteri secundum adjacentiam adhaeret, ut
forma materiae. Ac secundum
quidemenuntiationem omnis enunliatio.... praedicatum et sub- jectum li a bere
dicitur.... Sed non de his in propositione aeitur.
sed de predicanone tantum rerum, illa scilicet solum. quae in essentia, quae
verbo subs,antico expnmitur. consista!.... Tantum itaque ..praedican illud
accipimus, quantum si „hoc Mud esse 1 * diceremus. tantum per,,removeri'\
quantum per,,non esse 1 *.... Cum itaque per ..praedicari, „esse accipiamus,
superflue rei „rere“ vel .. affermative “ apponitur: Quod emm est aliquid, vere
est illud, affirmative autem enuntiatioms est determinano, quia tantum in
vocibus consisti/ affirmatio sicul et modi vel determinationis oppositio [leggi
con il Pronti appositio). Modus emm vel determinano (v. la Sez. XII, nota 119)
tantum vocum sunt designatila, quae solae moderanmr vel determinata [Prantl:
determinantur] in enuntiatione positae.
c/o» e « in subiccto » (v. la Sez. XII, nota 92), e la h>x
praedicamenti ha la propria sfera d’influenza proprio in quelle due accezioni
reali del giudizio 31 °). Con ciò ci è resa ora soltanto interamente perspicua
la su riferita partizione della dialettica (note 272 ss.) secondo Abelardo.
Tutto sta nel sermo, cioè nel giudizio. Ma è anche vero che gli universali sono
i predicati che son nati, che sono stati generati nel processo della creazione,
e il pensiero li aff erra, secondo la dottrina di Platone, e, secondo la logica
di Aristotele, li enuncia, come universali, nel giudizio: e anzi perciò
Abelardo, accanto alle solite quinque voces, ne annoverò ancora mia sesta, cioè
anche l’individuo (note 278 ss.), poiché l’individuo, quale prima substantia
(Sez. XII, nota 91), ovvero, come qui anche lo si denomina, quale principalis
substantia, viene designato appunto con quella parola (vox), che corrisponde
all’ultimo grado del processo della creazione 3l2 °). Ma poi, giacché Abelardo
considerava la differenza specifica esclusivamente come forza efficiente, e non
come tale che passi essa medesima nella materia del genere (nota 295), egli si
trovava a dover prendere qui il nome della differenza non quale sostantivo,
come aveva fatto Guglielmo da Champeaux) Glossae in Categ . omnia.... aut dicuntur de princi ’palibus
substantiis sibi subjectis.... servata lege praedicamenti.... aut sani in eis subjectis. Un diverso modo di
esprimersi, in luogo di questo, si ha (ibid ., p. 585 s.) nella distinzione tra
praedicari sub stantialiter e praedicari accidentaliter (Boezio, p. 131 \i.n 4r
Praed I; PL, 64, 189]): cfr. la nota 322. m> ) Ibid., p. 584: species, in
quibus conlinentur principales subslamine.... genera et species ordinata post
principales substantias sola.... dicuntur secundac substantiae (e ripetutamente
a questa stessa mamera). p. 591 : Vere primae substantiae significanl aliquid
hoc individuale, quia illud, qund significatur a prima substnnlia, scilicet
quae tox est sicut et consimilia (così si deve leggere secondo il manoscritto,
con una piccola modificazione; la lezione del Cousin dà un controsenso), est
individuum et unum numero, i. e. parificalum numerali descriptione, i. e.
significatur ab hac voce, quae est individuum et unum numero., bensì alle
obiezioni che su questo punto furono sollevate anche da altri (nota 122),
poteva sottrarsi con l’interpetrare la parola che designa la differenza, come
un aggettivo derivato da questa (sump-, um » ,) ss)). Ma a quei predicati nati
seguono poi nelle Categorie le cose stesse, in quanto vengono designate con
parole « naturae, quae vocibus
designatitur » e per conseguenza le
categorie contengono le cose a22 ), mentre appresso vengono prima di tutto
considerate le parole, in quanto esse sono ciò che designa, e costituiscono il
passaggio al giudizio (sermo) stesso, che è composto da quelle. [o) anche il
preteso intellettualismo di Abelardo deriva dal suo aristotelismo]. Ma allora il giudizio non contiene già le
cose, bensì contiene il pensiero ( intelleetus), e invece tratta intorno alle
cose, ma non 321) Dialect., p. 456 : De nominibus dififerentiarum sciendum est,
ut non quidem substantiva, sed sumpta a dififierentiis sumantur, posita lumen
loco specierum. Oportet eitim in eadem significai ione vocabula dijjerentiarum
sumi in divisione generis, in qua significatione ipsa in dijfinitione speciei
ponuntur, cum scilicel nomini generali adjacent.... (p. 457) sicut in nostra
fixum est senlentia, nullo modo inter accidentia dififerentias admiltamus (v.
sopra le note 300 s.). Quod autem Porphyrius per dififerentias genus in species
dividi dixit, secundum eam dictum est sentenliam. qua naturam generalem in
species redigi atque distribuì per susceptionem dififereniiarum realiter voluit
; aut potius per dififerentias genus in species dividi voluit, cum earum
vocabula adjuncla nomini generis speciem designant, atque diffinìtionem speciei
componunt. hoc modo „animai aliud ralionale, aliud irrationale animai .‘ Ihid, p. 189: In sumplis enim non ea, quae ab
ipsis nominantur, comparantur, sed tantum fiormae, quae per iosa circa subjccta
determinane tur ; alioquin et subslantias ipsas comparaci contingeret, quae
saepe a sumptis nominibus nominantur, ut ab eo quod est album.... 322 ) lbid..
p. 209 e 245, cioè due passi, che sono stati citati di già più sopra, nota 272.
Ma vedi inoltre a p. 220: Subiectarum vero rerum diversitas secundum decem
Praedicamentorum discretionem superius est ostensa, qua [Cousin: quae]
principale ac quasi substantialis nomini significano detur. Caeterae vero
significationes, quae secundum modos significando accipiuntur, quaedam
posteriores atque accidentale* dicuntur. già ili quanto le significhi, bensì in
quanto contiene la connessione, afferrata dal pensiero, tra le cose e il
processo di creazione. Laddove per conseguenza il predicare Tessere (nel
giudizio) non è esso medesimo un essere, nel predicare si tratta di uno stato
di cose reale, cioè della connessione obbiettivamente reale tra ciò ch’è
significato dal soggetto, e ciò cli'è significato dal predicalo 323 ). Questa
distmzione fra « contenere » e « trattare » forma l’intimo nòcciolo della
concezione del giudizio secondo Abelardo 324 ). È ben vero, cioè, che il
predicato ha un suo aspetto grammaticale, e che, designando noi nel giudizio
una sola e medesima cosa con varie denominazioni (come per esempio quando
chiamiamo Socrate ora uomo, ora corpo, ora sostanza), appunto in ciò consiste
una differenza tra la espressione verbale e la realtà (efr. la nota 312); ma
mentre la praedicatio per eè sola, avulsa dalla obbiettiva rerum inhaerentia,
non è assolutamente nulla, precisamente la logica ha il compito di studiare il
giudizio, in questo senso, dal lato della espressione verbale S2S ). Anzi quel
che più importa è pro32S ) lbid., p. 241: Digrumi miteni inquisitione censemus,
utrum Mae existentiae rerum. quas propositiones loquiintur, sint aliquae de
rebus existentibus. Clanim ilaqiie ex suprapositis arbitrar esse, res aliquas non esse ea, quae
a propositionibus dicuniur.... Palei insuper, ea quae propositiones dieunt
nullas res esse, cum videlicet nulli rei praedicatio eorum apiari possit ; de
quibus enim dici putest, quod ipsa sint ..Socrates est lapis “ vel ..Socrates
non est lapis"?. ...Esse
autem rernaliquam vel non esse, nulla est omnino rerum essentia. Non itaque
propositiones res aliquas designant simpliciter quemadmodum nomina. Imo
qualiter sese ad invicem habeant, utrum scilicel sibi conveniant annon,
proponunt ; quae idcirco verae sunt, cum ita est in re sicut enunciant, lune
autem falsae, cum non est in re ita. Et est projecto ita in re, sicut dicit
vera propositio, sed non est res aliqua, quod dicit. linde quasi quidam rerum
modus habendi se per proposiliones exprimitur, non res aliquae designantur. s24
) Soltanto dall’avere disconosciuto questa differenza è derivato, che il
Cousin, e con lui l’Hauréau e il Rémusat, abbiano ravvisato nella dottrina di
Abelardo un intellettualismo o concettualismo. 3 “) Dialecl., p. 247 s.: Si
quis itaque secundum rerum inhaeren tiam rcalem acceperit praedicationem ac
subjectionem, secundum id prio ciò, di cui il giudizio « tratta »; ma ciò non è
nè la parola nè il pensiero (intellectus), poiché non può dirsi che dalla
esistenza di tuia data parola venga posta la esigenza che esista un’altra
parola, e neanche sussiste, tra i pensieri, che i giudizi « contengono », una
reciproca affinità che li leghi a forza: poiché in ciascun giudizio abbiamo
pure un unico pensiero soltanto, e ad ammettere che ne abbiamo parecchi
insieme, si arriverebbe alla conseguenza che avremmo al tempo stesso un numero
infinito di pensieri, essendo obbiettivamente, di fatto, contenuti in ciascuno
stato elementi infiniti in serie continua: invece solamente in ciò, di cui il
giudizio « tratta », deve trovarsi o fissarsi la connessione reale, ovvero
quell’obbiettiva relazione reciproca: e perciò anche la modalità della
espressione, sia cioè affermazione o negazione o via dicendo (v. la scilicet,
quod unaquaeque res in se recipit ac subsistit, sicut nihil esse eam viderel
praeter ipsam, ita eam nihil esse per se ipsam invenerit. Al vero magis
praedicationem secundum verbo proposiiionis, quam sedi ndum rei exislenliam,
nostrum est attendere, qui logicae deservimus, secundum quod quidem de eodem
diversas facimus enuntialiones hoc modo Socrates est Socrates vel homo vel
corpus vel substantia. Aliud enim in nomine Sacratis quam in nomine hominis vel
caeteris intelligitur ; sed non est alia res unius nominis, quod Socrati
inhaeret, quam altcrius. V. inoltre il passo citato più sopra, nota 255. 328 )
lbid., p. 352 s.: Neque enim veram Itane consequenliam „si est homo, est animai
“ de vocibus agentem possumus accipere, sive diclionibus sive propositionibus. Falsum est enim, ut, si haec vox
..homo" existat, haec quoque sit quae est,.animai “ ; ac similiter de
cnuntiationibus sive earum intellectibus. Ncque enim necesse est, ut qui
intellectum praecedenti propositione generatum habet, habeal quoque intellectum
ex consequenti conceptum. Nulli enim diversi intellectus ita sunt affines, ut
ulterum cum altero necesse sit haberi, imo nullos simul intellectus diversos
animam retinere, ex propria quisque discretione convicerit, sed totani singulis
intellectibus, dum eos habet. vacare invenerit. Quod si quis essentiam
intellecluum ad se sequi sicut essentiam rerum, ex quibus habentur intellectus,
concesserit, profecto quemlibet intelligentem infinilos intellectus habere
concederei, secundum id scilicei, quod quaelibet propositìo innumerabilia
consequentia habet.... Ut igitur
verilatem consecutionis teneamus, de rebus tantum eam agere concedamus, et in
rerum natura regulas anteccdentis ac consequentis accipiamus. nota 318), non
risiede nè nelle parole nè nei pensieri, bensì è da ricondurre soltanto al loro
fondamento obbiettivamente reale 32r ). [p) ma in Abelardo, vero spirito
aristotelico non c’è: il suo interesse centrale è volto, sotto l’impulso di
Boezio e dello stoicismo, alla teoria retorica dell'argomentazione}. Ma se a questa maniera, secondo Abelardo, nel
giudizio si ha clic fare non con il pensiero ( intellectus ), ma con la
inerenza di fatto nella sfera della oggettività, si capisce ora altresì perchè
egli (e il motivo al quale in ciò si conforma, è dato dal giuoco di combinare
assieme elementi stoici con elementi boeziani) tratti il giudizio categorico
solamente come un grado preparatorio al giudizio ipotetico, nel quale ultimo
s’inserisce la topica, come base della sua validità. Il giudizio ipotetico, in
quanto è complesso, ha anzi la funzione di servire come espressione adeguata
della connessione, e questa viene resa manifesta nel procedimento
dell'argomentazione, mediante ragionamenti, nella ipotesi che le premesse
abbiano, per chi ascolta, un valore di enunciazione espressiva. Quel, cioè, che
l’uomo pensante afferra con la mente, nella maniera rivelata da Platone, ed
enuncia con il giudizio, nella maniera fissata da Aristotele, deve ora esser
utilizzato per l’argomentazione, nella maniera propria della tradizione
retorico-ciceroni alia. Vale a dire che anche neH’argomentazione come viene osservato con tono polemico contro
altri studiosi: v. la nota 225 non si
tratta già dei pensieri ( intellectus ), bensì di quel medesimo oggetto del
quale trattano i giudizi, che costituiscono rargomentazione stessa, con questa
sola differenza, che cioè qui la necessaria connessione (necessitas) che ci si
presenta nello stato di fatto obbiettivo, è nel RAGIONARE espressa precisamente
dalla sussunzione (inferentia): ne ad Abelardo sembra d’insistere mai
abbastanza nel rilevare che la relazione di dipendenza tra antecedens e
CONSEQUENS non è data nel pensiero, ma, come esclusivamente obbiettiva,
sussiste già da se stessa nella natura creata, e nel fondamento reale di tutt i
giudizi 329 ). L perciò, anche a quel1 altro modo di vedere unilaterale, che
abbiamo incontrato più sopra (nota 215), egli nettamente contrappone la idea,
che alla modalità dei giudizi, anche relativamente ai concetti di possibile e
di necessario (del pari che più sopra, nota 327), sia da metter a fondamento
una modificazione obbiettiva dell’essere. Dicunlur in argumentis ea. quae a
propositionibus ipsis significantur. ipsi quidem inlcllectus, ut quibusdam
placet, quorum conceptio, SINE ETIAM VOCIS PROLATIONE, ad concessionem alterius
ipsum cogit dubitantem. XJnde et bene rationis nomea in praemissa diffinitione
(cioè in quella di Cicerone [intendi la definizione di CICERONE di ARGVMENTVM ;
Top., cap. 2, § 8]: vedila, riprodotta in BOEZIO, neljla Sez. XII, nota 165)
dicunt apponi ; ratio enim nomen est intcllcclus. qui in anima est. Sed, si
divisioni verbo altendamus, potius argumentum accipiendum erit in designatane
eorum, quae a propositionibus dicunlur, quam eorum intellecluum, qui ab ipsis "
enerantur.... Neque enim in propositione quidquam de intellectu dicilur. sed,
cum de rebus agitur, per ipsam intcllectus generatur, qui neque in sua essentia
necessilatem tenet, neque in/erentiam ad alterum ... linde potius de bis, quae
propositiones ipsae dicunt, supraposita diffinitio ....est accipienda. 3 “ 9 )
Introd. ad theól III. 7, p. 1134 [141] : Ex quo apparet, quarti veruni sit,...
in illa.... philosophorum regula, cujus possibile est ante cedens, et
consequens, eos ad creaturarum tantum nomea accommodare [IL. 178, 1112]. Dialect. Ex his itaque manifeslum est, in
consequentiis per propositiones de earum inlelleclibus agendum non esse, sed
magis de essentia rerum.... Et in hoc quidem significalione eorum, quae
propositiones loquuntur, una tamen exponitur regula, quae ait, posito antecedenti,
poni quodlibet consequens ejus ipsitts, h. e.: existente aliqua antecedenti
rerum essentia, necesse est existere quamlibet rerum existentiam consequentem
ad ipsam. Ibid., p. 351: Si quis itaque
vocum impositionem recte pensaverit, enunliationum quarumlibet veritatem
facilius deliberaverit, et rerum consecutionis necessitatali velocius
animadverterit. Parimente alle p. 343 s.
e 382. 33 °) Dialect. Unde oportet, ut rcctae sint modales, ut etiam de rebus,
sicut simplices. agant ; et tunc quidem de possibili et impossibili et
necessario ; quod quidem tam in his, quae singultire subjectum hdbenl, quam in
his, quae universale, licei inspicere. Con quel che siamo venuti dicendo
intorno alla essenza, al principio e allo svolgimento della dialettica di
Abelardo, crediamo di esser giunti a farcene ima idea giusta e approfondita,
che, ove ce ne fosse bisogno, potremmo noi stessi avvalorare con un documento
estrinseco, servendoci di un epitafio) composto in onore di Abelardo, da un suo
contemporaneo. In questa dialettica, non è certamente spirito aristotelico quel
che ci alita in fronte, bensì di gran lunga più manifesto vi risentiamo
l’influsso ammorbante dello stoicismo (v. la Sez. VI, note 47-56), che s’era
fatto strada negli scritti di Boezio; poiché quell’associazione di mi rozzo
empirismo con un motivo formale, dato dal progresso verso mia sempre più
complessa composizione, e con l’interesse retorico delFargomentazione,
prende proprio là, dove Abelardo
sacrifica dappertutto i motivi logici, per considerare lo stato di fatto
obbiettivo il posto di una sillogistica
che torni veramente a profitto del sapere definitorio: e a chi tenga presente
la logica di Abelardo nel suo nucleo centrale, egli appare come un retore che
fa la teoria dell’argomentazione, piuttosto che come un platonico o un
aristotelico. Tuttavia egli è ampiamente giustificabile, perchè delle opere
principali di Aristotele, conosceva, semplicemente per sentito dire, soltanto
alcuni particolari frammentari (note 8-18), e in special modo perchè, dato, per
un verso, 1 ordine irrazionale in cui erano disposte le parti dell’Organon,
come pure date, 881) Citato, attingendo al Rawlinson, dal Rémusat, II. p. 101:
Hic docuit voces cum rebus significare, Et docuit voces res significando
notare; Errores gencrum correxit, ita specierum. Hic genus et species in sola
voce locavit, Et genus et species sermones esse notavit . Sigili* ficativum quid sit (questo, cioè, è il
giudizio: v. la nota 315), quid significatami Significans quid sit (questa è la
parola singola), prudens diversificar il. Hic quid res essenti quid voces
significar enti Luci dius reliquis palefiecit in arte perilis. Sic animai
nullumque animai genus esse probalur. Sic et homo et \sed?] nullus homo species
vocitatur [PL, 178, 104], per 1 altro verso, le idee che Boezio aveva prese da
Porfirio, era inevitabile che traesse origine da ciò mia concezione contorta e
contraddittoria. In Abelardo, e forse in tutti i suoi contemporanei, si compie
la vendetta del fatto che, da un lato la Isagoge e le Categorie [delle quali,
come sappiamo, il Franti contesta l’autenticità: v. la Sez. IV, nota 5] si
tengono più vicine al platonismo, e che d’altro canto, al tempo stesso, nei
libri successivi si trova contenuto l’aristotelismo; e inoltre può darsi che
Abelardo dal suo medesimo personale talento fosse portato a non curarsi
d’intendere più profondamente queste antitesi, e trascinato ad assumere
Patteggiamento del retore. Si direbbe ch’egli, se fosse vissuto in quei secoli
più vicini a noi, sarebbe stato certamente un seguace di Pietro Ramo. [ql
continua l'analisi del contenuto della Dialettica: le Categorie]. Ma adesso ci rimane il compito di seguire,
anche attraverso le singole parti della dialettica. Io svolgimento che questa
ha avuto da Abelardo, il quale ci si presenta sulla stessa linea degli altri
autori di cui sopra, che hanno promosso le particolari controversie già
ricordate, e dei quali ci è ignoto il nome. Seguendo la partizione dello stesso
Abelardo (note 2,2 ss.), dobbiamo supporre colmata la lacuna del testo qual è a
noi giunto, dovuta alla mancanza degli Antepraedicarnenta, e pensar di essere
già stati condotti così a trattare le questioni più generali, e che più
propriamente si posson dire questioni di principio. Agli Ante praedicament a
tien ora dietro la seconda Sezione della prima parte principale, cioè i
Praedicamenta, dove, come ben s’intende, è preso a fondamento Boezio, che viene
ormeggiato a passo a passo. I concetti di univocum, e simili, conforme a quanto
abbiamo detto più sopra, sono naturalmente di spettanza dell [a teoria della
predicazione, in quanto quest’ultima ha anche un] aspetto grammaticale 332 ).
La categoria della substantia, che altrove, d’accordo con il de Trin. del
Pseudo-Boezio, viene intesa anche come subsistentia 333 ), è l’atta qui oggetto
di una trattazione, che in tutto e per tutto si mantiene nel più pieno accordo
con Boezio 334 ). Più minutamente è presa in esame la quantità, sebbene qui
Abelardo si dovesse appoggiare a quel che n’era stato detto da altri, perchè,
com’egli medesimo confessa, era ignorante di aritmetica M5 ) ; egli consente
con coloro Icfr. le note 109 e 127), i quali eran di opinione che la linea
consista di punti 33 °), e, riguardo al concetto di numero, si attiene al principio
della unità naturale, condizionata dal processo della creazione (nota 304) :
per conseguenza, in contrasto con le su riferite opinioni di altri (note 199
s.), qui il fondamento realistico è formato dal singolo, in quanto è
particolare, cosicché da un lato il « numero in generale » include già la
pluralità e ha lo stesso significato che « [le] unità », e d’altra parte i
diversi numeri determinati sono, come sostantivi, le denominazioni di diverse
unità collettive superiori, in maniera comparabile con il procedimento
collettivo, onde, secondo diversi punti di vista, raccogliamo 332 ) Così,
occasionalmente, Dialect., p. 480: Hoc ituque nomea, quoti est aequivocum sive
univocum, ex vocabulis tantum in rebus contingit. 333 ) Introd. ad theol., II, 10.
p. 1071 [88]: Unde et subslanliae quasi subsistentiae esse dictae sunt, et
cactcris rebus, quae ei assistunt, [ci] non per se subsistunt. naturaliter
priores sunt [PL, 178, 1060], 334 ) Dialect., p. 173178. (Il testo del manoscritto incomincia propriamente
soltanto a mezzo della categoria substantia, cioè in corrispondenza con Boezio
[in Ar. praed., I: PL, 64, 187-8], p. 133). 333 ) Ibid., p. 182: Etsi multas
ab arithmeticis solutiones audierim, nullam tamen a me praeferendam judico,
quia ejus artis ignarum omnino me cognosco. 336 ) Ibid. : Talem autem, memini, rationem Magistri
nostri sententia praetendebat, ut ex punctis lineam constare
convinccretur.... (p. 183) Alioquin
supraposita Magistri sententia, cui et nostra consentii, etc. le cose ili
specie, o sottospecie, o altrimente ili gruppi 337 ). In quanto che nello
stesso luogo si deve trattare anche del discorso umano inteso come alcunché di
quantitativo, Abelardo combatte il modo di vedere unilaterale, che abbiamo
trovato più sopra, onde si ritenne che fosse l’aria a adempiere l’ufficio di
«significante»: e, assegnando egli invece al suono questa funzione di «
significare », va in cerca di autorità che suffraghino tale sua opinione 338 ).
Ma, immediatamente dopo la quantità, fa posto alle categorie ubi e quando, come
a quelle che per natura sono collegate, nella loro origine, con i concetti di
luogo e di tempo, presi hi esame nella trattazione della quantità 339 ), e
mentre così intende quelle due categorie in 337 ) P186: [numerus] semper.... in
natura discretionem habct, qui solam unitatis parlicularilatem requiril.... cum
nomea numeri plurale simpliciter videatur atque idem cum co, quod est unitates.
Unde opportunius nobis videtur, ut, sicut supra tetigimus, numeri nomea
substantivum tantum sii ac particulare unitatis, atque idem in significai ione
quod unitates. Binarius vero vel ternarius cacteraque nu merorum nomina
in/eriora sunt ipsius pluralis, sicut homines vel equi ad animalia, aut albi
homines et nigri, vel tres vel quinque homines ad homines. Et fonasse quoniam
omnia substantiva numerorum nomina in unitalibus ipsis pluraliter accipiuntur,
omnia ejusdem singularis pluralia poterunt dici, secundum hoc scilicet, quod
diversas unitatum collecliones demonstranl (c£r. la nota 307). Numerus quidem
simplex metialur plurale, alia vero secundum certas collectiones determinala. A
ciò fa poi seguito il passo citato più sopra, nota 199. Cfr. anche alla p. 421: Haec
enim unitas hominis Parisiis habitanlis et illa hominis Romae manentis, lume f
aduni binarium. Unde sola unilatum pluralitas numerimi
perfidi. Così pure a p. 486. ) P* 190:
Nos autem ipsum proprie sonum audiri ae significare concedimus: unde et
Priscianus ( Inst. gramm., I, 1 [ed. Hertz, p. 5]) ait, voccm ipsam tangere
aurem, dum auditur, ac cursus ipse Boethius (deMusica [cap. XIV: PL,63, 1177],
p. 1071 [della ediz. delle Opere di Boezio, Basilea 1546, cit. dal Cousin: p.
1379 della ediz. di Basilea 1570, alla quale, come s’è visto, suol riferirsi il
Prantl]) totam vocem.... ad aures diversorum simul venire perhibet, dopo di che
ci si richiama ancora, con le seguenti espressioni, di forma singolare, ad
Agostino e a Boezio (p. 193): Ipsum etiam Augustinum in Categoriis suis
asserunt dixisse..., e etiam Boethius dicitur in libro musicae artis.... [194] adhibuisse.
33 °) P195: Hactenus de quantitale disputationem habuimus. Nunc ad tractalum
pracdicamentorum reliquorum operam transferamus, eaqtie geuso realistico,
includendovi anche p. es. il concetto di « ieri » * * 3 '* 0 ), arriva, per via
dell’« essere nel luogo » e delT« essere nel tempo », a considerare i vari
significati di « messe » 341 ), ma cerca, in contrasto con obiezioni di altri,
riferite più sopra (nota 194), le quali mettevano in campo l’analogia con
l’avverbio interrogativo qualiter, di assegnare quell’espressioni concernenti
l’inesse, all’uso del linguaggio secondo la grammatica 342 ), e di giustificar
invece quelle due categorie, come tali, con la considerazione che in quelle è
possibile una comparazione, e che pertanto non è il caso di ricondurle alla
quantità, la quale esclude ima comparazione 343 ) : a ciò del resto si lega
ancora il lamento che Aristotele sia stato in generale così parsimonioso nella
trattazione delle ultime sei categorie 344 ). posi quantitatem exequamur, quae
ei naturalitcr adjuncta videntur ac quodam modo ex ea originem ducere ac nasci.
Ilaec aulem ., quando *" ei ..ubi." nominibus Aristoteles designai.
Quorum quidem alterum ex tempore, alterum ex loco duxit exordium. ***) p. 196:
v. sopra la nota 196 [reclius 197J. 3)l ) p. 197 : Quum aulem et ..quando"
in tempore esse et ..ubi" in loco esse determinamus, non incommodo hoc
loco demonstrabimus, quot modis ..esse in aliquo" accipimus ; Boelliius
autem in edilione prima [198] super Categorias novem computai (dei quali modi segue
qui la enumerazione, ricavata da Boezio [in Ar. praed., I; PL, 64. 172], p.
121: v. Sez. XII, nota 92; Cousin si scandalizza, per non aver trovato questo
passo di Boezio!). 3 «) p. 200: Si quis autem „qualità “ dica! nihil aliud quam
qualitatem demonstrare, et ..ubi"' dicemus nihil aliud quam locurn
designare, vel „ quando “ nihil aliud quam lempus. Unde et carlini definitiones
recte vel „in loco esse “ vel „in tempore [esse]" dicimus, quae, si
grammaticae proprietatem insistamus, nihil aliud a loco vel tempore diversum
ostendunt.... Videntur itaque magis prò nominibus accipienda esse ..esse in
loco “ vel ..esse in tempore", quam prò definitionibus. M3 ) Ibid .: Haec
autem generalissima ipsa, ut arbitror, comparationis necessitas meditari
compulit. Cum enim quantitates non comparaci constarci (Boezio [in Ar. praed..
II; PL, 64, 215], p. 154), non poteramus comparalionem,,diu “ vel „diuturni “
vel ..extra" ad tempus vel locum reducere: indeque maxime inveniri
pracdicamentu arbitror, ad quae illa reducantur. 3M ) Ibid. : Ac de his quidern
praedicamenlis difficile est pertractare, quorum doctrinam ex auctoritate non
habemus, sed numerum tantum. Ipse enim Aristoteles, in tota praedìcamentorum
serie, sui studii operam Nella controversia intorno alla categoria della
relazione (v. sopra la nota 192), Abelardo finisce con il decidersi a favore
dell’autorità della definizione aristotelica 3, * n ), e così pure la questione
del posto da assegnare ai concetti di simile e di uguale (nota 193) è da lui
risolta nel senso che essi appartengano alla qualità 346 ). [r) i
PostpraedicamentaJ. I Postpracdicamenta
poi, che costituiscono la terza Sezione del Liber partium, contengono, come si
è veduto (nota 272), la trattazione del nome e del verbo, in quanto questi sono
i modi di significare le cose, e vengono considerati quali parti, da cui il
giudizio, come totalità, è costituito. La opinione di Abelardo, riguardo al
concetto di significavi o SIGNIFICATIO (cf. Grice, “Meaning”), da noi
precedentemente messa in chiaro, lo porta qui a dichiararsi d’accordo con quel
Garinondo (nota 82), ch’era un nominalista moderato, e ìwn nisi qualuor
praedicamerUis ndhibuit, Substanliae scilicct. Quantitali, ad Aliquid,
Qualitati ; de Facere autem vel Pati nihil aliud docuit, nisi quod contrarietatem
ac comparalionem susciperent.... De reliquis autem qualuor. Quando scilicet. Ubi, Situ,
Ilabere, eo quod manifesta sunt, nihil praeter exempla posuit.... De Ubi quidem
ac Quando, ipso quoque attestante Boethio (p. 190 [in .-Ir. praed., HI; PL. 64,
262 s.].), in Physicis, de omnibusque altius subtiliusque in his libris, quos
Metaphysica vocat, exequilur. Quae quidem opera ipsius nullus adirne translator
lalinac linguae aplavit ; ideoque minus natura horum nobis est cognita. Cfr. più sopra la nota 18, dove abbiamo dovuto
accennare di già alla integrazione, portata più tardi da Gilbert de la Porrée:
v. appresso le note 488 ss. Ms ) p. 204: Aristoteles de imperfcelione
restrictionis sicut Plato de acceptatione nimiae largilatis culpabilis videlur
; uterque enim modum excesserit, alque hic quasi prodigus, ille tanquam avarus
redarguendus. Sed et si Aristotelem Peripateticorum principem culpare
praesumamus, quem amplius in hac arte recipiemus ? Dicamus itaque, omni ac soli
relationi ejus diffìnitionem convenire eie. 346 ) p. 208: At vero, cum
similitudo relationibus aggregetur (Boezio [in Ar. praed., II; PL, 64. 219], p.
157),.... non videtur secundum solas qualitates simile dici.... His autem. qui
simile ac dissimile inter qualitatcs computant (Boezio [in Ar. praed., Ili; PL,
64, 259], p. 187), monstrari potcst, res quaslibct in eo, quod dissimiles sunt,
esse similes.... At fortasse non impedit, si in eo, quod dissimilitudinem
participanl, similes inveniantur (si attiene cioè al passo ult. cit. di BOEZIO.
pertanto scorgeva la essenza della significazione non nella parola come tale,
bensì nel contenuto concettuale della parola stessa: un modo di vedere, questo,
che Abelardo trova confermato da passi di Boezio,7 ). Nella disputa intorno
alla questione, se le preposizioni e le congiunzioni sieno da considerarsi come
parti del discorso ( nota 206), cerca di conciliare i punti di vista
imilaterali dei grammatici e dei dialettici, attribuendo bensì a quelle parti
del discorso la capacità di significare, ma riconducendo questa capacità, alla
stessa maniera che la modalità della predicazione (note 327 e 330), a una
modificazione obbiettiva 348 ); onde, come si vede, anche secondo la opinione
di Abelardo, i così detti byncategoreumata (cfr. le note 174 e 206) dovrebbero
coerentemente trovar posto in una o nell’altra parte della logica. . Ma in
tutto il resto egli si tiene strettamente vicino a Boezio, e cerca di confutare
obiezioni, sollevate da altri 349 ), cogliendo la occasione che di ciò gli era
offerta. sn\ 210, dove alle parole già citate (nota 82) fa seguito
immediatamente: linde manifestimi est, eos velie vocabula non omnia illa
significare, quae nominimi (che p. es. animai non « significhi » •ria
senz’altro homo), sed ea tantum, quae definite designata, ut animai se, Hat
animai sensibile, aut album albedinem, quae semper m ipsis denotanlur. Quorum
scntentiam ipse commendare Boethius (p. bij ['«' divisione: PL, 64, 877])
videlur, cum ait in divisione vocis „vocis attieni in proprias significationes
divisto fit etc .(p. ZÌI) Oiiamen sanificare" proprie ac secundum rectam
et propnam ejus dijjinilionen, signamus, non alias res significare dicemus, msi
quae per vocem concipiuntur. Cfr. la
nota 317. 348 ) p. 217: llla ergo mihi sententia praelucere videtur, ut
grammatici consentientes, qui eliam logicae deserviunt, has quoque per se
sisnificativas esse confiteamur, sed in eo significatwnem earum esse dicamus,
quoti quasdam proprietates circa res forum vocabulorum, quibus apponi,ntur
praepositiones, quodam modo determinerà.... t.onjunctiones quoque, dum quidem
rerum demonstrantconjiinctionem, quamdam circa eas determinant
proprietatem. Cfr. la nota 620. ;n ») p
eg219, dove di fronte alla obiezione ricordata piu sopra (nòta 210), si
osserva: Veruni ipse verbo deceptus erat, ac prave id ceperat, verbum dicere
rem suam inhaerere. così relativamente a quei giudizi (nota 211) che non
implicano la esistenza effettiva del proprio soggetto 35 ), e questo nesso, che
consiste in quella rispondenza, onde i due concetti son riferiti uno all’altro,
è ciò per cui si distingue esso giudizio dal giudizio categorico: questo cioè
enuncia la semplice esistenza, mentre l’ipotetico c valido con assoluta
necessità, fatta astrazione dalla esistenza delle cose, ma appunto per questo
ricorre all'aiuto dei loci, relativamente a ciò che non può desumersi dalla
semplice realtà 396 ). In questo senso ex loco firmitalcm halent. Cujus quidem
loci proprietas hacc est : vim inferentiae ex habiludine, quarti habet ad
terminum illatum, conferre consequentiae, ut ibi tantum, ubi imperjecta est
inferentia, locum valere confiteamur.... Hoc ergo, quod ad per]eclionem inferentiae deest, loci
supplet assignatio. La deno mutazione
« inferentia » è derivata dal termine boeziano « inferre » : e così parimente
anche la idea che la consecuzione abbia a fondamento il nesso della necessità,
è presa da Boezio: v. la Sez. XII, note 153 s. 301 ) p. 330 s.: Quae enim in ea
ponuntur vocabula, essentiae tantum, non habitudinis, sunt designativa, ut «
homo » et « animai » et « lapis». Qui itaque dicuut « si est homo, est animai, si est homo,
non est lapis», nullo modo de habitudinibus rerum, sed de essentiis agunt,
ila.... ut, si aliquid sit essentia hominis, et essenlia animalis esse
concedatur, et lapidis subslanlia esse denegelur. 39S ) p. 336: Quod autem veritas hypotheticae
propositionis in necessitate consistat, tam ex auctoritate quam ex ralione
tenemus. Questa maniera d’intendere il giudizio ipotetico sembra essere stata,
in modo speciale, peculiare di Abelardo. (Jon. Saresb. Polycr. II, 22, p. 122
[ed. Webb, I, p. 129]): Solebai nostri temporis Peripateticus Palalinus omnibus
his conditionibus obviare, ubi non sequentis inteileclum anlecedentis conceptio
claudit, aut non antecedentis contrarium conseqitentis destructoria ponit, eo
quod omnes necessariam tenere consequentiam velint. Dello stesso, Metalog.: Miror tamen quare
Peripateticus Palatinus in ipoteticarum iudicio tam artam praescripseril
legem.... Siquidem.... ipotelicas respuebat, nisi manifesta necessitate urgente
[PL, 199, 453 e 904]). 39 °) p. 343: Categoricarum autem propositionum veritas,
quae rerum aclum circa earum existentiam proponil, simul cum illis incipit et
desinit. Hypotheticarum vero sententia nec finem novit nec princi pertanto,
nelle discussioni dialettiche la concessione fatta daH’mterlocutore va intesa,
fatta astrazione dalla sua esatta corrispondenza alla realtà, come una tale
necessità 3B7 ), e nel giudizio ipotetico non si tratta già, come taluni
ritengono (nota 228), de’ suoi singoli membri, bensì proprio di tutto quanto il
nesso tra antecedens e consequens 3BS ) ; inoltre, per la medesima ragione, nel
giudizio disgiuntivo, come già è stato mostrato da Boezio (v. la Sezione XII,
nota 141), è semplicemente da ravvisarsi un’altra forma di enunciazione del
giudizio ipotetico 3BB ). Li base a tale fondamento si parla poi, d’accordo con
Boezio, delle cosi dette « maxitnae proposi tiones » (v. ibid., nota 165), le
quali, in polemica con le idee di altri (v. sopra la nota 228), vengono
ristrette alla forma del giudizio ipotetico 1B0 ). Indi fan seguito pium. Ulule
el antequam homo et animai creata Juerint, vel postquam cliam omnino perierint,
aeque in veritate consisti! id, qupd haec consequentia proponit « si est homo
animai ralionale mortale, est animai. Quia vero calegoricae enuntiationes actum
rerum proponunt quuntum ad enuntiationes inhaerentiae praedicati. actus vero
rerum ex ipsarum rerum praesentia manifestila est, necessitas autem inferentiae
ex aclu rerum perpendi non potest, quae acque, ut dictum est, et rebus
existcntibus et non existentibus. permanet, arbitror. hinc. locum tantum in
hypotheticis propositionibus requiri ; cum de vi inferentiae rerum earum
dubitatur, quae ex actu rerum convinci non possimi. 3BT ) p. 342: Ncque mirri
dialecticus curai, sive vera sit sive falsa inferentia proposilae
consequenliae, ilummodo prò vera eam recipiat ille, cum quo sermo
conseritur.,.. Seti liaec.... concessio vcrae inferentiae in necessitate
recipienda est. >W) p. 353: Quidam lamen has regulas non solum in tota
anteccilenlis et consequcntis enuntiatione, veruni ctiam in terminis eorum
assignaiUes.... Sed.... regulae
sunt accipiendae in his, quae tota propositionum enuntiatione dicuntur. Quoti
autem antecedens et consequens in disjunctis quoque lloethius accipit, non ad
renna essentias, sed ad enuntiationum constitutionem respexit ....Quod ex
resolutione disjunctae di e nosci tur ; ex qua etiam resolutione. hypothelicae,
i. e. condilionales, disjunctivae quoque sunt appellatae. 40 °) p. 359 s.:
Maximarum.... proposilionum proprielales inspiciamiis, quibus quitlem
singularum veritas consequenliarum exprimitur, quaeque ultimam et perfeclam
omnium consecutionum probationem tcnent.... Cum itaque diximus, eas conseculionis sensum habere,
categoricas enuntiationes exclusimus. i singoli loci, e qui Abelardo, esclusi
quelli retorici, vuole metter in campo solamente i dialettici 401 ); l’ordine
di successione in cui son disposti, trova fondamento in Boezio, che, trattando
di questo argomento, cerca (de dijf. top . : v. la Sez. XII, nota 168) di
accordare i loci di Temistio (Sez. XI, nota 96) con quelli ciceroniani
‘"'); ma la conchiusione è costituita da osservazioni sopra ^argomentazione
in generale, e sopra la importanza che han per la retorica la induzione e
l’entimema 40S ). Come già più sopra (nota 222) è stato rilevato, la
dichiarazione dei singoli loci consiste nella indicazione ed enumerazione di «
regole », fissate secondo l’uso delle scuole: e anche nella esposizione dello
stesso Abelardo si fa manifesto, hi connessione con quel che 401 ) p. 334 :
Illud praesciendum est, nos, qui haec ad doctrinam artìs dialecticae scribimus,
eos solum laens exsequi, quibus ars ista consuevit uti. 102 ) In confronto con
quell’ordine di successione [seguito da Cassiodoro], del quale abbiamo dato
notizia nel 1° voi. (Sez. XII, nota 184), la materia si dispone qui nella forma
seguente: Anche qui (p. 368) si presentan da principio i loci tratti dalia sostanza
stessa, cioè a diffinitionc, a descriptione, a nominis inter pretal ione ; ma
appresso vengono, in una scelta risultante da una combinazione di elementi
derivali da Temistio c da Cicerone, i loci che son tratti dalle conseguenze
della sostanza (p. 375), cioè a genere, a toto, a partibus divisivis, a
partibus constilulivis, a pari, a praedicato, ab antecedenti, a consequenli ; a
questi fan seguito (p. 386), come loci presi extrinsecus, solamente le
sottospecie del locus ab oppositis, cioè a relatione (inclusi simul e prius), a
contrariis, a privatione et habitu, ab ajfirmatione et negatione (in questa
trattazione delle quattro specie di opposizione vien tirata dentro quasi per
intiero la corrispondente Sezione delle Categorie); poi, come loci medii, seguono
a relativi^, a divisione et parlitione, a conlingenlibiis, e sono quindi
indicati inoltre a compimento come
quelli che vengono raramente in uso (p. 409 : sunt autem alii, quibus diabetici
raro ac nunquam fere utuntur, quos tameri Boethius.,.. non praetermisit) tra i « loci» ex consequentibus substantiam,
quelli a causa, a materie, a forma, a fine, a motu. Del resto in tutta questa
Sezione il Cousin si è spesso limitato ad accennare con intestazioni di titoli
l’ordine della successione, senza pubblicare il contenuto stesso. 4 " 3 )
p. 430 ss. I passi ai quali attinge qui Abelardo, son presi da Boezio, de dijf.
top., su cui si fondano queste notizie: v. la Sez. XII, note 82 e 137. »i è
visto più sopra (nota 228), a quanto muneroso conLvorsic generale abbi. 1.
..pi» tonato nelle svuole l’argomento e la occasione 404 )r z) i sillogismi
ipotetici. Giudizio conclusivo sopra l'opera di Abelardo]. Infine nel Liber
hypo, h e ticorum, cioè nella teoria dei gtudtzi e 8 dlo gismi ipotetici, viene
ora riprodotto per urti ero d con tenuto dello scritto di Boezio de syll.
hypoth Attui trendo a tale scritto, Abelardo incomincia con lo syol aere per
prima cosa 406 ) la partizione del gmdmo ipo tetico (v. la Sez. XII, note 139
ss.), e, relativamente ai giudizi che s’iniziano con la congiunzione « cum
» n( . h,, intorno alla causa efficiente
e a motu (p. 41.5 ss.) si e g . 376 8B .) causalità divina del creatore de
mondo H locas « ge ^ Crca . porla a prender in coimderazione il processo
Stendere il locus a ..one e così comdde cernii m iUimit;, ta,nenie universale
praedicato (p. 484), i fi incontriamo qui la ter(p. 381). A proposito del Incus
°*>opP 4fl7 . comp lexa autem miuologia « complexa » c « in P ^ ^ cod em
contraria cnuncontraria eas dicimus proposilionc, 7 acgerrt). e così pure tiant
hoc SS* immediata inferra« constantia » (p. 408 [nassunto ue ' imme diMa smt ;
qiiam linai habeant, adjietendumesse..ag»J p hrdus]) _ Abelardo ìss'ù.w ù.
>. (v. le note 18 e 344). 405) p. 437-439.
tici 406 ); inoltre combatte la opinione già ricordala (nota 218) di
altri, relativamente alla posizione del « vel.... vel » nei giudizi disgiuntivi
407 ). Ma è poi notevole quel che vien detto appresso, circa la conversione dei
giudizi ipotetici; questi cioè, quando sono in forma disgiuntiva, potrebbero
esser convertiti simpliciter (scambiandosi di posto i termini della
disgiunzione!), e lo stesso potrebbe pure ripetersi del giudizio, che contenga
[la enunciazione di] una [relazione di] contemporaneità, e che incominci con
«cum»; invece, quando si tratti del giudizio propriamente ipotetico, fondato
sopra il nesso della necessità naturale, il principio fondamentale, a tutti
noto, della consequenlia (vedilo in Boezio, Sez. XII, nota 145) sarebbe da
prendere [cfr. ibid., nota 130] nel senso che qui si dia un caso di conversiti
per contrapositionem 40S ). Ma se questo preteso compimento della teoria
tradiziosed ad conceptus tummodo leritatem Aeque cairn unus est intellectus
..lapis ratio,lamultos intellectus ' *“"iplicem l’ero intellrctum dicimus
muuos intellectus ab invicem dissolutos, ut si dicam animai" pauluhim
quiescens, addam „rationale'\ ’ Cfr iuvece ' 4 ?» C " Abc,:!r US Wmim P erso ' lalem discreti,m,m attendimi, h. e.
simpliciter hominem excogilo,,n eo scilicel tantum, quod homo est i e animai
rat tonale mortale, non edam in co, quod esVhic ho moti file ri!!ru rSale h “ J
iu ‘ c ", s “hslraho individui s. SU itaque abstractio superna r‘ l
"feTtor, lbus : «“ scilicet universalium ab individui per praedicationem
subjecds, sme Jarmari,m a materiis per fundationem no/, Subtrac "° f ero e
con, rario dici potest,... cum alìquis subjeclae naturam essenti,,,absque omn,
forma nidtur speculari. Uterque autem mtellectus, tam abstrahens scilicel quam subtrahens, aliter
quam res se habet concipere V, detur.... p. 482: Nusquam enim ita pure
subsistit S smt“Pl T C ° n rP llUr 'E *. m,ìla esl na •) a: Non vidctur ergo
transferenda conversatio dialeclicorum ad huiusmodi propter
inconvenientia.... 33, p. 91 b: Quod ergo dica Johannes Damasceni is (v.
la Scz. XI. nota 170), non ita accipiendum, ut universalia et individua ita
accipiantur sicut in philosophicis disciplinis.... Si quaeratur, an hoc
praedicabile,.deus“ sii universale rei CARLO PRANTL tavia in molte delle sue
trattazioni al De Trinitate del Pseudo-Boezio (v. le note 35 ss.), e anzi con
la comica osservazione che quello scritto è fdosofico (!) più che teologico, e
che perciò non si deve lasciarsene sviare 451 ) ; inoltre la distinzione della
sostanza come soggetto e della sostanza come forma, del pari che la distinzione
della forma sostanziale come produttrice dell’individuo e come suscitatrice
delle specie e dei generi, ci fan soltanto vedere il realismo
platonico-teologico nella sua forma più rozza 452 ). Parimente nel suo
contemporaneo Roberto da M e 1 u n [m. 1167], molto celebrato per la sua
superficiale abilità nella dialettica 453 ), si trova nient'altro che il solito
realismo ontologico, il quale teoreticamente è tanto ottuso da non poter in
generale interessarsi ai momenti individuimi, neutrum hic admittendum [PI,, 211
922 e 921], E tuttavia fu anche lui accusato di eresia : v. lu nota 478. 451 )
Ibid., I, 4, p. 8 b: Ideo imponitur Boelio, quod illam diffmitionem (cioèfdi
persona ) magis posuit ut philosophus, quam ut thcoloP" s 32, p. 93 b. : Sed nostri thcologi plerique
non habent illam diffinitionem prò aulhentica, quia magis Juit philosophus quam
theo^^923 I {t mag * S “) Ibid,, 1,6, p.
12 a: Subslantia a subslando dicitur ipsum subjectum, quod substat Jormis, sive
sit corpus sive alia res. Substantia a subsistendo dicitur forma, quae adveniens
subjecto illud subsistit, i. e. sub se et aliis Jormis sistit, i. e. substare
sibi et aliis Jacit, sìcut imago sigilli ceram.... Sed substantialis forma
duplex est, vel quae facit „quis“, et lalis est omnis individualis proprielas,
i, e. individuo et proprio nomine, ut Platonitas, cujus parlicipatione Plato
est quis ; vel quae facit „quid“. ut speciale vel generale, i. e. quae speciali
vel generali nomine significatur, ut humanitas, animalitas, cujus participatione
Plato est ..quid", non vero „quis“ [806-7], 4M ) Joh. Saresb. Metal.. II,
10, p. 78 s. (ed. Giles [e Webb]): Sic ferme loto biennio conversatus in monte
(cioè Sanctae Genovefae), artis huius praeceploribus usus sum Alberico (v.
sotto la nota 521) et magistro Rodberto Meludensi (ut cognomine designetur quod
meruil in scolarum regimine, natione siquidem Angligena est); quorum alter....
Alter aulem (cioè Roberto), in responsione promptissimus, subterfugii causa
propositum numquam declinavit articulum, quia alteram contradictionis partem
eligeret ani determinata multiplicitate sermonis doceret unam non esse
responsionem.... In responsis perspicax, brovis et
commodus [PL logici, oppure, dove s’interessa, si mostra appunto in tutta la
sua debolezza, come p. es. quando si polemizza contro chi riconosce carattere
unitario al significato che è racchiuso in « est », e a quello ch’è racchiuso
in « ens » 154 ). Ma per conseguenza non fa maraviglia che gli scolari di
questo Roberto vilipendessero la Topica aristotelica, giudicandola un libro
inutile (v. sopra la nota 29). [§ 35.
Gilbert de la porrée: a) il commento al De Trinitate del Pseudo-Boezio :
posizione teoretica ingenua e contraddittoria].
Invece LnGilbert de la Porrée (nato a Poitiers, e perciò detto anche
Pietàviensis, morto nel 1154) l’alterco dei teologi intorno alla Trinità ha
dato occasione a una concezione logica, nettamente determinata, riguardo agli
universali, e bisogna pertanto che ci teniamo presente più da vicino, oltre
allo scritto De sex principila, reputato di grande importanza nei secoli
successivi, anche il commento dello stesso Gilberto al De Trinitate del
Pseudo-Boezio 45 °). Che Gilberto conoscesse di già gli Analitici di
Aristotele, è stato ricordato già più sopra (nota 21); tuttavia, fatta
astrazione da quella citazione, egli in realtà non trae ulteriormente 1M )
Oltre alle notizie che si trovano nel De Bollai', Hist. Universitatis Paris.,
II. p. 264 [ivi, p. 585628, testi di R. da M.], I’IIauréaU, de la phil.
scolasi., I, p. 333 ss. [Hist. de la ph. scol., I, p. 491ss.], ha riprodotto
ancora vari tratti da manoscritti ; di quel ch’egli riferisce, poiché tutto il
resto non ha che fare con il nostro presente intento, può citarsi, riguardo a
un punto di logica, il passo seguente (p. 333 [492]): Has verovoces „esl“ et
„ens** ejusdem esse significationis, omnes philosophicae clamitanl scriplurae.
In istis ergo locutiotlibus,,tiiundiis est ens**, ..mundus esf”, terminis
oppositis idem significatile; sed nullus tanta amentia ignorantiac excaecatus
est, qui aliquam harum vocum „essentia, est, ens** in illa significalione
retenta, in qua creaturis convenit, Deuni vcl essenliam divinam significati
praesumut, e via dicendo [Su Rob. da Melun, v. ora Uebervveg-Geyer, p. 272 e
276-8], «*) Riprodotto a stampa nel voi. delle Opere di Boezio, ed. di BasUea
1570, p. 1128-1273 [PL, partito da una conoscenza intrinseca dei principii ivi
contenuti, bensì si limita ad aggirarsi entro l’orbita, più ristretta, della
logica scolastica generalmente in uso 4S0 ). Mentre anch’egli ci mostra il
singolare spettacolo della contraddizione, onde da un lato si fa sfoggio di
tutto l’acume logico nella discussione sopra la Trinità (v. tuttavia la nota
478), e intanto, dall’altro lato, si mantiene ima separazione assoluta di Dio e
del mondo della natura, semiira in
verità che, sul compito e la posizione della logica, egli non sia stato in se
stesso del tutto chiaro. Nè si può in Gilberto, neanche allo stesso modo che in
Abelardo, distinguere le sfere della ontologia e della logica, ma, a mal grado
di tutto il suo fondamentale tono realistico, egli accetta con piena ingenuità
e senza incertezze il principio della funzione della espressione linguistica
umana; poiché l’eccitazione della intelligenza egli la fa dipendere affatto
ugualmente, ripetendo un detto di Boezio, dalla proprietà delle cose,
altrettanto che dal significato costituito delle parole 45 . 7 ): e se alla
stessa maniera trova la qualità del giudizio nella successione delle cose e
delle parole, o nella modalità della espressione, ciò che potrebbe rammentarci Abelardo : v. le
note 318, 327, 330 , e con questo richiama energicamente l’attenzione sopra la
forma verbale 458 ), egli torna da capo
156 ) Così p. es. a p. 1185 [1315] egli ricorda la differenza tra sillogismo ed
entiinena, a p. 1187 [1317] la« dialecticorum omnibus nota topica generalis, »,
a p. 1225 [1361] la «regula dialeclicorum [de conversione] », ap. 1187 [1317]
la «concepito communis », a p. 122 1 [1360] il « conceptus non entis [rectius :
ejus quod non esl] » (p. es. i Centauri), a p. 1226 [1362] il nihil come nomea
infinitum. e via dicendo: c anche la menzione che fa de’ sei sofismi (p. 1130
[1258]) può averla attinta alla stessa fonte che Abelardo (v. sopra la nota 7).
457 ) Cum in aliis inlelligenliam excilel rei certa proprietas, aul certa vocis
positio, ctc. Trio quippe sunt.
res, et intellectus, et sermo. Res intellectu concipitur, sermone significatur
(Boezio, p. 296 [toc. tilt. cit. (alla
nota 436), p.20:PL, 64, 402]: v. la Sez. XII, nota 110). 45s ) p. 1130 [1258]:
Qualitas autem orandi vel in rerum atque dietionum consequentia. vel in
earumdem tropis attenditur. logica in occidente a collocare il contenuto
filosofico, che 6 considerazione approfondita della proprietàs rerum,
immediatamente accanto alle loqttendi rationes, che son di competenza della
logica, e in pari tempo accanto a, momenti grammaticali, e a quelli sofistici,
e a quelli retorici • ). fb) concetto di sostanza. Teoria delle formae
nativae]. Pertanto Gilberto, nelle questioni riguardanti la relazione della
obbiettività ontologica con la subbie»,vita logica, è persino ancor più ingenuo
che non fosse stato lo Scoto Eringena: ma invece, dal primo di tal, punti d,
vista, cioè dal lato obbiettivo-ontologico, il concetto, ond eg i prende
posizione tra gl’indirizzi che si contrastavano nella contesa intorno agli
universali, è il concetto d, sostanza; e se la sua posizione ci mostra punti d,
contatto essenziali con altre correnti, questa è appunto una prova novella
dell’incrociarsi delle opposte tendenze in vari punti nodali. . Nel concetto di
sostanza che, in maniera omnicomprensiva, va considerato come genere supremo d,
tutti gli esseri, così corporei come incorporei, Gilberto distingue cioè,
conforme al punto di vista della terminologia teologica (ossia dtel
Pseudo-Boezio), due aspetti, onde m un essere viene designata quale g ua
sostanza così que ch’esso è (quod est subsistens), come anche ciò, per cui esso
è quel che è {quo est subsistenUa) ). Ma ora, m # [1406]: Quia omnis dictio diversa
significa,, quid e, de quo diligens “ u,U X 1246 113831: Ne ergo lectorem
decipere possit aliqua dictio, «Hfndat ; ^ locis am siderans, de tot
signifiirSX’lSto pertinet, convenientium illi rationum admtnÌC ‘t i'X 2 [1281]:
Hoc nomea, quod est ..substa,aia“ non a pe_-\ d. 1145 112741: Subsistentia
causa est, ut id, quod per eam est aliquid, suis propriis sit subjectum. p. 1175 [1305]: Quoties enim subsistens ex
subsistentibus conjunctum est. necesse est, ejus totum esse, i. e. Ulani qua
ipsum perfectum est subsistentiam, ex omnium parlium suarum omnibus
subsistenlus esse conjunctam. concetti ili genere e di specie hanno un altro
essere da quel delle cose stesse; poiché i primi hanno appunto solamente
l’essere della sussistenza, e invece le seconde hanno l’essere, come soggetti e
sostrati degli attributi unificati nella sussistenza 4 ' 0 ). E così il
pensiero intende i concetti generici e specifici, come gli universali di fronte
alle cose particolari, argomentando, con un atto di metter assieme (colligere),
dagli oggetti particolari concretamente esistenti, ai quali ineriscono gli
attributi, l’essere della sussistenza 471 ); e da tale punto di vista poi le
cose naturali, rispetto alla sussistenza del genere e della specie, alla quale
[sussistenza] partecipano, come le cose singole partecipano all’essere
sostanziale, vengono significate con i nomi di specie e di genere, del pari che
gli attributi vengono enunciati come predicati, e, anche denominativamente, la
sussistenza stessa viene chiamata soggetto 472 ). Ma, come il concetto del
metter assieme ( collectio ), for47,) ) Genera et species, i. e. generales et
speciales subsistentiae, subsistunt tantum, non substanl vere.Ncque enim
accidenlia generibus speciebusve contingunt. Ut quod sunt, accidentibus debea
ni (il concetto di accidens, qui come dappertutto, è preso in tal senso da
comprendere, di fronte alla sostanza, tutte nove le altre categorie)....
Individua vero subsistunt quidem vere.... Informata enim sunt jam propriis et
specificis differentiis, per quas subsistunt. Non modo autem subsistunt, veruni
etiam substanl individua, quoniam et accidentibus, ut esse possitit, ministrant
: dum sunt scilicel subjecta.... accidentibus. 471 ) p. 1238 [ 13715] :
Essentiae in universalibus sunt, in partimilaribus substant . Subsistentiae
[così il Prantl, ma nelle ediz. cit. : substantiae] in universalibus sunt, in
parlicularibus capiunt substantiam, i. e. substant.... Universalia, quae
intellectus ex parlicularibus colligit, sunt, quoniam particularium illud esse
dicuntur, quo ipsa particularia aliquid sunt. Particularia vero non modo sunt,
quod utique ex hujusmodi suo esse sunt, veruni etiam substant. 472 ) p. 1137
[1265]: Ad generales quoque et speciales subsistcn tias, quae subsistentium, in
quibus sunt. esse dicuntur, eo quodeis, ut sint aliquid, conferunt, ejusdem
nominis, i. e. matcriae, alia fil denominatio.
p. 1140 [1269]:
Essentia est illa res, quae est ipsum esse, i. e. quae non ab alio lume mutuai
dictionem, et ex qua est esse, i. e. quae caeteris omnibus eamdem quadam
extrinseca participatione communicat .... Namque et in naturalibus omne subsislenmaluiente
usato da Gilberto per dar una definizione del genere 473 ), lo abbiamo di già
incontrato più sopra nella teoria della indifferenza (nota 136), in Gausleno
(nota 146) e nell’autore dello scritto De gen. et spec. (nota 162), così Gilberto associa a questo concetto,
ispirandosi a vedute realistiche, una concezione, da lui designata con le
espressioni « substantialis similitudo » o « conjormantes subsistentiae », ma
di preferenza con il termine, che ricorre in lui così frequentemente, di«
conjortnilas», anche esteso ai nomi delle cose 471 ); nè può qui disconoscersi
tinnì esse ex forma est, i. e. de quocunque subsistcnte dicitur « est »,
formar, quam in se habet, participatione dicitur. p. 1141 [ 1270J : Omnia de subsistente
dicuntur : ut de aliquo homi/ie tota forma substanliae, qua ipse est perfectus
homo, et omne genus omnisque differcntia, ex quibus est ipsa composita, ut
corporalitas et animatio, ...et denique omnia, quae vel loti illi formae
adsunt, ut humanitati risibilitas, vel aliquibus partibus ejus. p. 1145 [1274]: Quoniam... subsistentia causa
est, ut id quod per eam est aliquid, suis propriis sit subjectum, ipsa quoque
per denomi nalionem eisdcm subjecta dicitur, et eorunUkm materia.... (p. 1146 [rectius : 1142
(1270)]): et ideo gerteraliter cum qualitalibus qualitas ....dicitur, et cum
solis albedinibus specialiter albedo. Atque
adeo multa sunt. quae de. istis dicuntur : ut saepe etiam efficiendi ralione a
coaccidentibus ad ea, quibus coaccidunt, denominativa transsumptio fiat. Ut «
linea est longa, albedo est clara». p.
1199 [1329]: Hoc igitur, quod* habet a sua substantia, nomea, ad ea, quae ex
ipso [il Pranll legge: ipsa] fluxerunt, denominative transsumptum est. 473 ) p.
1252 [1389]: Genus vero nihil alimi putandum est, nisi subsistentiarum secundum
totam eorum proprietatem, ex rebus secundum species suas differentibus,
similitudine comparata collectio. 174 ) p. 1135 [1263] :,l)iversae,... subsistentiae,
ex quartini aliis homines, et ex aliis equi, sunt ammalia, non imitationis vel
imaginaria, sed substantiali similitudine ipsos, qui secundum eas subsistunt,
facilini esse conformes. p. 1136 [1263
s.] : Dicuntur etiam multa subsistentia unum et idem, non naturar unius
singularilate, sed multarum, quae ralione similitudinis fit, unione ....Ilio,
quae divcrsarum nnlurarum adunai conformitas, genere vel specie unum dicuntur
.... Tres homines.... neque genere ncque specie, i. e. nulla subsistentiarum
dissimilitudine, sed suis accidenlibus dissimilitudinis distant . Sunt
conformantium ipsos subsistentiarum numero plures. p. 1175 [1305]: Conformitate aliqua....
plures homines dicuntur unus homo. p.
1192 [1322]: Secundum proposìtae naturar plenitudinem.... dicitur substantialis
similitudo : qualiter album albo simile est, et homo homini. p. 1194 [1324]: Tales sunt omnes differentiae
illae, quae[cunque] rei huic generalissimo proxime cum ipso quaedam contrae-l’affinità
con la« similia creatio» del libro De gen. et spec. (nota 163), e
particolarmente con la « consimilitudo » di Abelardo (nota 299) ; ma è degno di
nota che il termine « indìfierentia », che pur doveva offrirglisi affatto
spontaneamente, Gilberto lo usi esclusivamente a proposito di discussioni
teologiche intorno alla Trinità « 5 ), e che pur si serva invece, così per
sostanze come per attributi, del termine « identitas» 47B ). In generale egli
intende questa virtù formativa degli universali in senso realistico, a tal
punto, che, p. es., non solamente la bianchezza, ma anche la unità appare a lui
come una tale forma, la quale deve, qualunque sia il predicato, cooperare per
far del soggetto di esso una cosa 477 ): e, mentre con ciò si trova esposto
alla obiezione sopra citata (nota 438) : ed è possibile che fosse diretta
proprio contro Gilberto), arriva qui a stabilire una distinzione, utilizzabile
per la questione della Trinità, ma poi da capo violentemente combattuta da
altri, fra la unità e 1’ Uno, o in generale tra gli aggettivi numerali e le
forme ideali che stanno loro a fondamento
in quanto che quelli posson essere predicati soltanto delle fiorii
similitudinis consumimi genera, quae a logica.... subalterna vocanlur ■ vel
subalterna similiter adhaerentes, quamlibet siib ipsa Subsistentiam specialem
componuntp. 1231 [Ì370]: ffomo subsistentia spedala, quae est hujus nomina
qualità» una uulan conformilate, sed plures essenliae singulantate, de singola
honunibus.... Parimente p. 1251 [?}» 1262 [1399], ecc. |9Q0) in ) Così, p. es.,
p. 1134, 1152 e 1169 [1262, 1280 e 1-99]. 4tg\ p H 69 [1299]: Identitate
unionis.... homo idem quod nomo est. Nam'piato et Cicero unione speciei sunt
idem homo. .. auae ex proprietate est unitatis |Prantl legge: propnetata est
unitale ], q “ra,ion P ale P idem quod rationate est, eduli anima hommu, et,pse
homo, non unione speciei, sed unitale propnetata, sunt unum ra donale. [ 1309
]: Vnilas omnium.... praedicamentorum Comes est. Narri de quocunque aliquid
praedicatur, idpraticato ?“**'” «* hoc, quod nomine ab eodem sibi indilo, et
verbi iubifonm'i compos.tione ... esse significata, sed unitale,psi cooccidenfe
esf um m ul album albedine quiden, album est, sed un,late cocce,dente albedim,
unum, et simul albedine et ejus comite annate est album unum. cose concrete, che
appunto sottostanno all’azione formativa degli universali ideali 478 ). Ma poi
al concetto di conjormitas si associa inoltre anche un modo d’ intendere,
secondo il quale nell’ individuo tutte le determinazioni possibili sono
unificate per tal maniera, che esso, nella totalità della sua sussistenza (cfr.
la nota 462), non è conforme a nessun altro essere, e pertanto la individualità
consiste in questa dissimiglianza di essenza, mentre all’ incontro tutto quel
che c’è di nonindividuale si fonda sopra una somiglianza, e può pertanto venire
compartito ne’ suoi modi di manifestarsi, individuali e concreti, che in esso
sono simili, ma tra loro son dissimili: concezione questa, che Gilberto
carat47S ) p. 1148 [1277]: Quod est unum, res est unitali subjecta, cui scilicet
vel ipsa unilas inest, ut albo : rei adest, ut albedini. Unitas vero est id,
quo ipsum, cui inest, et ipsum, cui adest, dicimus unum: ut album unum, albedo
una. liursus ea, quae dicimus esse duo, in rebus sunt, i. e. res sunt dualitati
similiter subjcctae, quae dune sunl.... ldeoque non unitas ipsa, sed quod ei subjeclum est, unum
est ; nec dualitas ipsa, sed quod ei subjectum est, recle dicitur duo . Nani vere omnis numerus non numeri ipsius, sed rerum
sibi suppositarum est numeriti. Ma che in generale persino questo sforzo,
ispirato alla più stretta ortodossia, abbia raccolto poca gratitudine dalla
parte di vari altri teologi, lo desumiamo dal fatto che, come riferisce il Du
Houlay, Il istoria Universitatis Parisiensis, I, p. 404 [rectius : p. 402 ss.:
y. inoltri ibid. p. 741, e particolarmente p. 200], il Priore Gualtiero di S. V
ittore compose egli stesso uno scritto contro i« quattro labirinti di trancia»
[Contro qualtuor labyrinthos Franciae : lo scritto si suol citare appunto con
questo titolo], cioè contro Pietro Lombardo (v. sopra le note 41 ss.),
Abelardo, Pietro da Poitiers e Gilberto; da manoscritti di tale opera
(conservati nella Biblioteca di S. Vittore) il Launoi, de varia Aristot. in
Acad. Paris. Jori., c. 3. p. 29 [p. 189 della ediz. di Vittemberga, 1720],
comunica il passo seguente: Quisquis hoc legerit, non dubitabit, qualuor
Labyrinthos Franciae, i. e. Abaelardum et Lombardum, Pelrum. Pictavinum et
Gilbertum Porretanum. uno spiritu Aristotelico afflalos, dum ineffabilia
Trinitatis et Incarnationis scholastica levitate tractarent, multas haereses
olim vomuisse, et adhuc errores pullulare [Cfr. UEBERtYEG Geyer, p. 271].
Maggiori particolari sopra questo alterco fra teologi sono stati riferiti
dall’UsENER nei Jahrbiicher fiir protestantische rheologie, voi. V (1879), p.
183 ss. [« Gislcbert de la Porrée» è il titolo della nota, riprodotta nel IV
voi. della raccolta delle Kleine Schriflen dell’Usener, Lipsia terizza
scegliendo, per i così detti nomina appellativa, il termine « dividila », che
troviamo qui per la prima volta, e, per i così detti nomina propria, il termine
« individua » 479 )Per la logica, una maniera di trarre partito da questo
realismo ontologico consiste nell’andar su e giù per la Tabula logica, come si
fa, secondo il procedimento di Boezio, nella definizione e nella divisione 48
°) : consiste pertanto nella funzione predicativa, inquantochè quel che dal
predicato si predica, relativamente alle cose concrete, non è mai l’essere
concreto per se stesso, ma solamente la essenza, cioè la sussistenza e gli
attributi essenziali 481 ): vale a dire che il realismo di Gilberto trova la
propria espressione in ciò, ch’egli considera tutte le categorie come le
causalità reali del loro manifestarsi nelle cose concrete, e le designa pertanto
come sommi generi non dei 47 9\ y 1164* 112941: Si enim dividuum facit
similitudo, consequens est ut individuimi dissimilando. p. 1236 11372]: Homo et
sol a Grammatici appellativa nomina, a Dialeclicis vero dividila vocantiir
Plato vero et eius singularis albedo, ab eisdem Grammatica propria, a Dia
lecticis vero individua. Sed horum homo tam aclu quam natura appella tivum vel
dividuum est; sol vero natura tantum, non aclu. Multi nam que non modo natura,
verum etiam actu, et fuerunt, et sunt, et sant, subslanliali similitudine
similes hommes. Pestai igitur, ut illa tantum sint individua, quae ex omnibus
composita. nullis aliis in loto possimi esse conformia, ut ex omnibus, quae et
actu et natura fuerunt vel sunt vel futura sunt, Platoms collecta Hatomtas. 112g jj 255 j. Sia* in diffinitiva demonstratione
specie» aenere, sic in divisiva genus specie declaratur. Nulla species de suo
genere praedicatur» in diffimtionum genere verum est; itero « orarti* species
de suo genere praedicatur » in divistonum genere verum est., 48 i\ p. 1244
[1381]: Nunquam enim id, quod est, praedicatut % sea. esse et quod illi adest,
praedicabile est, et sine tropo, non msi de eo, quod est. (Se Gilberto con
queste parole designava ì giudizi puramente esistenziali come inconcludenti, si
metteva con ciò da capo in contrasto con certi teologi: v. Otto Frisino, de
gest. Fnd.. I, 52 n. 437, ed. Urstis [MGH, XX, p. 379-80]: Erat quippe
quorunda'm in logica sententia, [quod.] cum quis diceret, Socratem esse, nihil
diceret. Quos praefatus episcopus [intendi appunto 1 episcopus (i tctaviensis)
Gisilbertus ] seclans, talem dicti usuro haud premeditate „d theologiam
verterà!). predicati ma degli oggetti,
si che per conseguenza la jacultas logica contiene semplicemente un ricalco
della realtà 482 ). Ma, su questo punto, non si limita a distinguere le
categorie, alla solita maniera, onde quella della sostanza si contrappone a
tutte le altre nove, bensì queste ultime si dividono a lor volta, secondo che
appartengono all’ intima essenza, o han per contenuto solamente una relazione
estrinseca 483 ) ; cioè, qualità e quantità, che appartengono alla « natura»
(nota 461) o alla sussistenza, servono perciò ancora a predicare il vere esse,
laddove le altre sette categorie,
inclusa dunque pur quella della relazione , esclusivamente ricadono
nella sfera degli status e delle loro esterne mutevoli circostanze (status :
cfr. circumstantia in Boezio, Sez. XII, nota 166) «“). 4S2 ) p. 1173 [1303]:
Ilorum nominum illa significata, quae diversis rationibus Grammatici
qualilates, Dialectici cathegorias, i. e. praedicamenla, vocant, praedicantur
substantialiter, p. 1153 11281-2]:
Qualilas ....omnium qualitatum gcneralissimum est, et quantilas omnium
quantilatum.... Ideoque qualitas est qualitas genere cujuslibet qualitatis,
quale vero est quale qualitate cujuslibet generis.... Sirniliter nullum, quod
est ad aliquid, relatio est. et nulla relatio est ad aliquid. Sed.... id, de
quo ijJsa dicilur, est ad aliquid.... Ubi quoque, et quando, et habere, et
situm esse, et Jacere, et pati, rwmina sunt generalissima, non eorum quae
praedicantur, sed eorum de quibus praedicantur.... Ilaec igitur praedicamenta
talia sunt relationibus logicae jacullatis, qualia illa subjecta, de quibus ea
convenit dici, permiserint. p. 1146
[1274]: Caeteras, quae in corporibus sunt, vocantes formas, hoc nomine
abutimur, dum non ideae, sed idcarum sint eìxóveq, i. e. imagines, quod ulique
nomen eis melius convenit. Assimilantur enim.... quadam extra substantiam
imitatione his formìs, quae non sunt in materia constitutae, sinceris) p. 1153
[1282]: Quidquid hoc est subsistentium esse; eorundcm substantia dicilur. Quod
ulique sunt omnium subsistentium speciales subsistentiae, et omnes ex quibus
hae compositac sunt, scilicet, eorumdem subsistentium, per quas ipsa sibi
conformia sunt, generales, et omnes, per quas ipsa dissimilia sunt,
dijjerentiales.... Accidenlia vero de illis quidem substantiis, quae ex esse
sunt, aliquid dicuntur, sive in eis creata, sive extrinsecus affixa sint, sed
eis tantum, quae esse sunt, accidunt. 484 ) p. 1156 [1285]: Ilare quidem, i. e.
subslantiae, qualitates, quantitates, sunt talia, quibus vere sunt, quaecunque
his esse proponuntur, ideoque recte de ipsis praedicari dicuntur. Reliqua vero
sep[d) lo scritto De sex principiis: un'abborracciatura]. Ma proprio quest’ultimo argomento ci porta a
prender in esame lo scritto di Gilberto De sex principiis, un pasticcio
veramente pietoso, che fu già commentato da Lamberto da Auxerre (v. la Sez. XVII,
nota 116), e poi, in conseguenza dell’autorità goduta da Alberto Magno (ibid.,
note 439 s.), venne a essere tenuto in così grande conto da essere formalmente
incorporato aH’Organon 485 ). ivi c’ imbattiamo novamente (cfr. la nota 461)
nel concetto di essere sostanziale, nel quale risiede la forma di un
intrecciarsi degli elementi della essenza 486 ) : e a tale proposito si fa la
osservazione, la quale, come più sopra (nota 464), resta senza motivazione, che
cioè dalla singolarità delle cose concrete il pensiero trae fuori e intende
quell’elemento, cb’è, nella sua unità, commune e universale 487 ). Ma poi si
passa a considerar le categorie. lem generai» accidentia.... [non] vera essendi
rationc praedicantur. Narri.... extrinsecis scilicet eircumfusus et
determinatili minime praedicaretur, si non prius suis esset per se propri
elalibus informatili. p. 1160 [1290]:
Sic ergo praedicatio alia est, qua vere inhaerens inhaerere praedicatur ; alia,
quae quamvis forma inhaerentium fiat, tamen ila exterioribus datur, ut ea nihil
alieni inhaerere inlelligatur. Caetera vero (cfr. la nota 461). quae de ipso
noturaliter dicuntur, quidam ejus status vocantur, eo quod nunc sic, nunc vero
aliler, rctinens has. quibus aliquid est, mensuras et qualitalcs et maxime
subsistentias, statuatur.... Situ, vel loco, vel Inibita, vel relatione, vel
tempore, vel actione, vel passione slatuitur. Cori, quanto alla categoria della
relazione, vien detto inoltre, nella forma più esplicita, a a p. 1163: relativa
praedicatio ....consislil.... non in eo, quod est esse. 485 ) In conseguenza
del suo accoglimento neH’Organon, è stato stampato in quasi tutte le più
antiche traduzioni latine di Aristotele; io cito dal voi. I delle Opere di
Aristotele in versione latina, Venezia 1552, in fnl. [Qui s’includono tra
parentesi quadre i riferimenti al testo accolto nella PL: cfr. più sopra la
nota 21]. 4S “) Cap. 1, f. 31, v. A: Forma est compositioni contingens,
simplici et invariabili essentia consistens.... Substanliale vero est, quod
conferì esse ex quadam composilione compositioni, ut in pluribus, quod
impossibile est deesse ei [PL, 188, 12589]. 487 ) f. 31, v. B: Sicut ex plurium
partium coniunclionc constitutio quaedam primorum excedens quantitatem
ejfìcilur, sic ex singularium discretione unum quoddam intelligilur. eorum
excedens praedicationem. Così anche
[Cap. 2], f. 32, r. B: omnes quidem homines eius hominis. qui communis est, et
universale con quella stessa dicotomia (note 483 ss.) di categorie intrinseche
ed estrinseche, ma con questa differenza tuttavia, che cioè qui la categoria
della relazione non viene ora più annoverata fra le categorie estrinseche,
bensì questo gruppo viene a esser costituito dalle ultime sei categorie
soltanto (actio, passio, ubi, quando, situs, habere) : e poiché delle prime
quattro categorie ha di già parlato a sufficienza Aristotele, Gilberto vuole
trattare ora più compiutamente appunto di queste altre sei 488 ). Sodisfa cosi
un bisogno, che abbiamo veduto di già manifestato piu sopra (note 18 e 344): e
qualificando Gilberto, con la sua mania realistica, anche queste categorie come
« principia» (cfr. le note 477 e 482), tale suo scritto, privo di senso comune,
venne ad assumere più tardi, anche in considerazione del suo titolo, una cosi
grande importanza, da esser accolto per cosi dire nelFOrganon come sua parte
integrante. [e) i sei « principii»: actio, passio, quando, ubi, situs,
habitus]. Per prima cosa vien definita l
'actio, e, con il più netto dualismo tra azione corporea e azione psichica, la
si qualifica come legata da relazione di reciprocità con il concetto di
movimento 489 ) : a ciò fa seguito la osservazione che la particolarità
delazione ha per 4#8 ) [Cap. 2], f. 32, r. A: Eorum vero, quae contingunt
exislenti, singultirli aul extrinsecus advenit, aul intra subslanliam
consideratur simpliciler : ut linea, superficics, corpus. Ea vero, quae
extrinsecus contingunt, aut actus, aut pati, aul dispositio, aut esse alicubi,
aul in mora, aut habere necessario erutti. Sed de his, quae subsistunt, et quae
non solum in quo existunt exigunl, in eo qui « de Categoriis» libro
inscribilur, disputatimi est: de reliquis vero continuo aeamus [1260], * 4S “)
Cap. 2, ibid. : Actio vero est, secundum quam in id, quoti subiicitur, agere
dicimur.... Differunt autem, quoniam ea, quae corporis est, rnovens est
necessario illud, in quo est,.... actio autem animae non id movet, in quo est,
sed coniunclum : anima enim, dum agii, immobile est.... Omnis ergo actio in
mota est : omnisque motus in actione firmabitur sua proprietà (li produrre la
passio, e che pertanto l'actio è il « principio » primordiale 49 °): a questo
punto il concetto di « jacere » viene applicato anche a tutte le rimanenti
categorie in ima serie di affermazioni che son delle più aride e peggio fondate
491 ) : e secondo il modello delle quattro prime categorie si fa vedere, anche
nel jacere e nel pati, il rapporto di contrarietà e la graduazione di più o
meno 492 ). Ma poi viene, ciononostante, in secondo luogo la passio, dandosi
per essa rilievo alla varietà di accezioni di questo termine 493 ). Viene
appresso presentata, in terzo luogo, la categoria del quando, la quale è bensì
afline al tempus, ma pur se ne distingue, in quanto che i tre tempi, passato e
presente e futuro, non son già un quando, ma sono solamente un effetto e una
proprietà, conforme a cui qualche cosa viene denominata come passata e via
dicendo (v. alcunché di simile alla precedente nota 194); inoltre nulla può
misurarsi secondo il quando, ma secondo il tempo sì 494 ). 49 °) f. 32, r. B: Naturqlis
vero actionis propnetas est, passionem ex se in id, quod subiicitur, inferre :
omnis enim aclio passionis est effectiva.... Et sic actus quidem est
primordiale principiata [1261]. 491 ) Ibid.: Facere vero id, quod quale est, ex
se gignit.... Quantitatum vero particularium positio effectrix est, et qunlilatum
universa enim liaec a situ substantiam et generalionem kabent.... Situs autem, agere et pati : in dispositionis nonuple
compositione quaedam generalio simplicium fil, quam in motiva actione
consistere necesse est. Quando vero tempus. Ubi vero locus. Habere autem corpus
: ea enim, quae circa corpus sunt, habere dicuntur [1261], 492 ) Ibid.: Recipit
autem facere et pati contrarielalem, et magis et minus : secare enim ad
plantare contrarium est....: et calefieri magis et minus dicilur [1261-2]. 493 ) C. 3, f. 32, v. A: Passio
est effectus illatioque actionis.... Est autem pati eorum, quae multipliciter
dicuntur : animae enim actionum unaquaeque passio dicitur.... Dicilur quoque passio, quod in naturam agii : ut
morbus.... Ea vero, quae nunc relinquuntur, in eo qui est « de Generatione»
libro tractanlur (questa citazione è presa da Boezio [in Ar. praed.. Ili: PL,
64, 262], p. 190). 494 ) C. 4, ibid. : Quando vero est, quod ex adiacentia
(cfr. la nota 504) temporis reliquitur. Tempus vero quando non est, utriusque
autem ratio coniuncta est, ut tempus quidem praeteritum quando non est, A ciò
fa seguito, come il colmo della stupidità, la indicazione di una differenza tra
quando e ubi, in quanto che il quando del presente, in pari tempo che l’istante
stesso, è in eodem, ciò che non si verifica per Vubi 49S ), e cosi pure ima
divisione del quando e del tempus in semplici e in composti 496 ), e infine la
notizia che la relazione di contrarietà, e di più o meno, non ha luogo nel
quando 497 ). Quarto viene ora ubi, e qui si presenta la distinzione analoga
tra ubi e locus 498 ): e alla impossibilità che due cose sieno in uno stesso
luogo o una stessa cosa in diversi luoghi, si collega anche la controversia
sopraccennata (nota 203) circa la propagazione del suono); anche Vubi vien
distinto in semplice e in complesso, e si esclude che, rispetto ad esso, abbia
luogo la relazione di più efeclus autemcius, et affectio, secundum quarti
dicilur aliquid fuisse, quando est. Instans autem quando non est, sed secundum
quod aliquid aequale, tei inacquale est: eius autem affectio, secundum quam
aliquid dicilur in instanti esse, quando est. Futurum similiter tempus quando
non est. — f. 32, v. B: Distai autem et tempus ab eo, quod quando: quoniarn
secundum tempus aliquid est mensurabile : ut motus animus.... Al vero secundum quando ri ih il mensuratur, sed
aliquando dicilur esse [1262]. 4 96 ) f. 32, V. B : Differì enim quando ab eo,
quod est ubi : quoniarn in quocunque, tempus est vel fuitvcl erit, in eo quidem
quando, est vel fuit vel erit, quod secundum idem tempus dicilur: quando enim,
quod exislenti est, curn ipso instanti est, et simili in eodern sunt.... Ubi
vero et locus, a quo est, vel fit, nunquam simili in eodem : ubi enim in
circumscriptione est: locus autem in compicciente [1263], 19a ) Ibid. : Quando
....sicut autem et tempus, aliud quidem compositum est, aliud vero simplex. Est
autem compositum, quod in composita anione consista: simplex vero, quod cum
simplici procedit [1263], 497 ) Ibid.: Inest autem quando, non suscipere magis
et minus.... Amplius quando nihil est contrarium) C. 5, f. 33, r. A: Ubi vero
est circumscriptio corporis, a circumscriptione loci proveniens. Locus autem in
eo, quod capii, est, et circumscribit.... Non est autem in eodem locus et ubi:
locus enim in eo, quod capii, ubi vero in eo, quod circumscribitur et
complectitur [1264]. 4 ") Ibid, : Nequaquam igitur duo in eodem loco esse
simul possunt, nec idem unum in diversis.... Movet autem quis quaestionem f
orlasse, idem in diversis et pluribus concludens ; etenim vox in auribus
diversorum est.... Confiteli oportel omnino, urtarti particulam aeris ad aures
diversorum pervenire.... Relinquitur igitur, diversum sensum esse
imaginabiliter se generanlium, et similiter [1264-5]. o ili meno, e così pure
quella di contrarietà, a proposito della quale l’Autore persino espressamente
si riferisce ai concetti di sopra e di sotto 50 °). Quinto segue situs, ovvero
la categoria, come la chiama Gilberto, della positio, intesa secondo il
realismo più rozzo possibile, sicché tutte le particolari manifestazioni di
questa categoria, nel cui novero vengono compresi, p. es., anche lo scabro e il
levigato (cfr. la nota 193), sono considerate soltanto come espressioni
derivate 501 ); si contesta che questa categoria comporti opposizione
contraria, e ciò perchè i contrari appartengono soltanto a un medesimo genere,
e invece lo star seduti e il giacere vanno assegnati a generi differenti, in
quanto che soltanto esseri ragionevoli possono star seduti, laddove gli altri
stanno a giacere 502 ); e mentre qui è inammissibile anche la relazione di più
o di meno, questa categoria va messa nella più stretta connessione con quella
della sostanza, proprio in essa trovando le sostanze il loro ordinamento 503 ).
Ml °) f. 33. r. B: Ubi autem. aliud quidem simplex, aliud vero composilum.
Simplex quidem, quod a simplici loco procedit : composilum autem, quod ex
composito.... C.arct autem libi inlenlione et remissione : non enim dicitur
alterum altero magis in loco esse vel minus.... Inesl autem ubi, nihil esse
contrarium.... Sursuni enim et deorsum esse contraria pluribus videntur....
Conlingit autem contraria in eodem esse.... Si enim sursum esse et inferius
esse contraria sunt, cum idem sursum et deorsum sit, colligitur, idem sibimet
contrarium fieri [1265]. 601 ) C. 6, f. 33, v. A: Positio est quidam parlium
situs, et generati onis ordinatio, secundum quam dicuntur stantia vel
sedentia.... Sedere autem et lacere positiones non sunt, sed denominative ab
his dieta sunt. Solet autem quaestio induci de curvo et recto, aspero et
leni.... Non sunt autem positiones ea, quae dieta sunt omnia, sed qualia circa
situm existentia [1265-6]. 60S ) Ibid. : Suscipere autem videtur situs
contrarietates : nam sedere ad id quod stare contrarium esse videtur....
Ponentibus autem nobis, haec contraria esse, inconvenientia recipere cogimur,
hoc, quod unum sit contrarium plurium.... Amplius autem conlrariorum quidem
ratio est, circa idem natura existere. : sedere enim et iacere non circa idem
natura sunt seiuncta : est enim sedere proprie circa ralionalia, iacere vero et
accumbere circa diversa) f. 3, V. B.: Proprium autem positionis, ncque magis
neque minus dici.... Magis autem
proprium videtur esse positionis, substantiae Riinane poi ancora in sesto luogo
Vhabitus, categoria identificata con il concetto di adiacentia, già familiare a
noi, che conosciamo Abelardo (nota 284) 504 ); quando poi si legge che per
habere la relazione di più o di meno è, di regola, ammissibile, ma talora,
come, p. es., nel caso dell’« esser vestito », è inammissibile, e che in questa
categoria non sussiste contrarietà, perchè esser armato ed esser calzalo non
sono opposti 505 ), — anche ciò rende sufficiente testimonianza del talento
logico dell’Autore; come particolarità di questa categoria, viene indicato il
fatto che essa rimanda sempre a una pluralità, il che può, soltanto per certi
rispetti, ripetersi anche per le categorie della quantità e della relazione 508
); finalmente vengono citate ancora cinque accezioni differenti del termine
habere 507 ). [f) la controversia intorno al magis e al minus]. — Ma venuta poi
a una conchiusione questa disamina dei « principi » 508 ), fa ancor seguito una
trattazione speciale del proxime assistere, omnibus qiiidem aliis/ormis
suppositis. Posilio autem nihil aliati est. quatti naturalis ipsius subslantiae
ordinatio [1260]. S04 ) C. 7, f. 33, v. B: Habitus est corporum, et eorum quae
circa corpus suoi, adiacentia : secundum quam hoc quidem habere, illa vero
dicunlur halteri. Haec autem non
secundum totum dicunlur, sed secanti uni particularem divisionem, ut armatum
esse [1267], s01i ) f. 34, r. A: Suscipit autem habitus magis et minus :
armatior enim est eques pedite.... In quibusdam autem non videtur, quoti rum
magis et minuspraedicentur : ut vestitum esse, et similia. IIabitui quoque
nihil est conlrarium : elenim armatio calceationi non est contraria [1267], 60
°) Ibid. : Proprium quidem habitus est, in pluribus existere.... In paucis
autem aliis principiis huiusmodi invenies : in quantilate enim solum, et in his
quae ad aliquid sunt, similia reperies.... Habitus autem omnis in pluribus
necessario existit, ut in corpore. et in his quae circa corpus sunl) Ibid. :
Dicilur autem habere multis modis : habere enim dicitur alterationem.... Dicilur etiam ras aliquid habere.... Habere quoque in
membro dicimur,... Dicitui vir uxorem habere, et recipere uxor virum.... Quare
modi habendi, qui dici consueverunt, quinario numero terminanlur [1267-8], 50s
) Ibid. : Et quidem de principiis haec dieta sufficiant : reliqua vero in eo,
quod de Analylicis est. quaerantur volumine magis et minus ; e qui Gilberto
taglia il nodo della controversia ricordata più sopra (nota 196), non potendo
l’ordine delle graduazioni risieder già nella sostanza stessa, poiché questo
urta contro il concetto di sostanza, ma d’altra parte nemmeno negli accidenti,
perchè allora il grado superiore, p. es., di bianchezza dovrebbe consistere
nell’ampiezza della superficie (!) : donde consegue che il più o il meno
neanche ha la propria sede nell’ima e negli altri insieme, cioè nella sostanza
e ne’ suoi accidenti 509 ). Ma la soluzione positiva, che dà ora Gilberto, ha
questo fondamento, che cioè il magis vel minus consiste nel grado in cui lo
stato di fatto reale sta più vicino o più lontano dall’accezione del termine
che designa la qualità, una graduazione questa che non si manifesta, dove si
tratta di sostanze, per la ragione che la denominazione delle sostanze stesse
rimane compresa entro saldi confini (in terminis) : tuttavia a tal proposito
viene a confessare egli stesso quali assurdità sieno queste che presenta,
quando deve aggiungere che una tale saldezza si ritrova tuttavia anche nella
denominazione di talune qualità 51 °). In60 “) C. 8, f. 34, r. B: Non ergo
secundum suscipicntium ipsorum Crementum vel decremenlum, cum „magis vel minus
“ aliqua dicuntur. Nulla cnim ratio obviarel dicenti, hominem et animai et
substantiam et caetcra consimilia cum „magis et minus" dici.... Mons eliam
alio monte maior dicitur, cum neuler crescat vel decrescat.... Amplius autem
ncque secundum ea, quae inficiunt. Si enim, secundum magnitudinem albedinis vel
alicuius caelerorum, dicitur aliquid albius aliquo, vel, secundum parvitatem,
minus album, vel quomodolihet aliter, utique et magis albus equus vel homo, vel
quodlibet aliud albius margarita dicetur : etenim maior albedinis quantitas
equo accidit quam margaritae.... f. 34, v. A: l’atet itaque, nihil
secundum,.magis et minus“ praedicari, ncque secundum suhiecti solum augmentum
vel diminutionem, neque secundum accidentis ; quare ncque secundum utrunaue
[1268-9], ^ 61 °) 6 34, v. A: Oportet igilur ab alio ea invenire, quae cum
„magis et minus" dicantur. Huiusmodi vero sunt ea, quae. sunt in voce
eorum, quae adveniunt, et non secundum subiecti vel mobilis cremenlum vel
diminutionem, sed quoniam eorum, quae sunt in voce, impositioni propinquiora
sunt, sive ab eadem remotiora sunt : de his etenim cum „ magis" dicuntur,
quae proximiora sunt ei, quae in ipsa voce est, impositioni, cum „minus"
autem de his, quae remotiora consistunt.... Quanto igitur tìne la faccenda
mette pur capo anche alla tesi essenziale, che cioè nella pluralità della
realtà materiale in generale, hanno loro proprio luogo il divenire e la
relatività 511 ), e F illogico realista assume poi a criterio per questo campo
la espressione verbale, mentre, per Forbita del vero essere, possiede nella
parola solamente il ricalco di una idea. Così lo scritto di Gilberto intorno
alle categorie ci porge un documento veramente miserevole, per provare come
quell’epoca non fosse per nulla meno goffa e inetta dei secoli precorsi,
tostochè sol si tentasse mai, senza le dande della tradizione, di muover un
passo indipendente, anche senza uscir dall’ambito delle cose più semplici. [§
36. — Ottone da Freising, seguace di Gilberto. Lo scritto pseudo—boeziano De
imitate et uno]. — Ma quale seguace di Gilberto, riguardo alla concezione degli
universali, ci si presenta Ottone da Frei8 i'n g (nato nel 1109 [rectius : nel
1114 o 1115], morto nel 1158), che alle sue opere storiche intreccia talvolta
disgressioni formali di contenuto filosofico, manifestando in esse, con i modi
consueti di espressione, il suo rispetto di teologo verso Platone, e in pari
tempo il conto in cui ad vocis impositionem accedens puriori inficitur
alitarne, tanto et candidior assignabitur.... Dubitabit autcni aliquis, quarc
haec quidem cum ..magis et minus LL dicantur, substantiae vero minime : hoc
autem contingit. quoniam subslantiarum impositio quidem in termino est, ultra
quem transgredi impossibile est. Additur autem et de accidenlibus quibusdam,
quae sine ..magis et minus “ dicuntur : ut quadrangulus, et triangulus, et
similia [1269], 6U ) f. 34, v. B: In subiecto enim duo sunt. quorum haec quidem
estjorma secundum rationem, haec autem secundum materiam ; quando igitur in his
duobus est transmutatio, generatio et corruptio crii simpliciter secundum
veritatem.... Est autem materia
maxime quidem subieclum gencrationis et corruptionis proprie susccptibile....
Haec autem hoc aliquid significant et substantiam, haec autem quale, haec autem
quantum. Quaecunque igitur non substantiam
significant, non dicuntur simpliciter, sed secundum aliquid generari tiene la
logica aristotelica 512 ). Come Ottone occasionalmente aderisce una volta alla
tesi, che gli esseri concretamente esistenti formano il contenuto e l’oggetto
dei predicati dichiarativi, laddove i concetti di specie e di genere vengono
predicati, avuto riguardo alla causalità delle cose che ha in essi fondamento
513 ), — così un’altra volta egli si pronunzia più distesamente sopra questa
relazione, in tutto e per tutto ripetendo la opinione di Gilberto, con il quale
si accorda anche nella espressione letterale ( nativum, natura, Jorma,
con.jorm.is, coadunatio, — « omne esse ex Jorma est» —) 514 ). Nello stesso
senso, 612 ) Chron. II, 8, p. 27, cri. Urstis [MGH, XX, p. 147]: Sacrale*....
educaviI Platonem et Aristotilem, quorum alter de potentia. sapientia, bonilate
creatoris ac genitura mundi creationevc hominis tam luculenter, lam sapienter,
tam vicine verilati disputai.... alter vero dialecticae [libros] arti* vel
primus edidisse, tei in melius correxisse, aculissimeque ac disertissime iride
disputasse invenilur [cfr. il testo della ediz. Wilmans (M G II), e ivi
l’apparato critico], 61a ) De gest. Frid. Prolog., p. 405, cd. Urstis [MGH, XX,
p. 352]: Sicut enim iuxta quorundam in logica nolorum positionem, cum non
formarum, sed subsistentium proprium sii praedicari seu declarari. genera tamen
et species praedicamento transsumpto ad causam praedicari dicuntur. Vel, ut
communiori utar exemplo, sicut albedo clara, mors pullida, eo quod claritatis
altera, palloris altera causa sit, appellatur, etc. (La espressione transsumptio,
come pure lo stesso esempio albedo clara, si trovano in Gilberto, p. 1142
[1270] : v. la nota 472). M4 ) De gest. Frid. I, 5, p. 408 [354]: Nativum velut
natimi aut gemtum, descendens a genuino (v. la nota 464).... In nalivis igitur
omnem naturata seu formam, quac integrata esse subsistentis sii, vel adii et
natura, vel natura sallem conformem habere necesse est.... Partes aulem hic
vaco eas formas (nota 468), quae ad componendarn speciem aut in capite
ponuntur, ut generales, aut aggregante, ut differentiales, aut eas comitantur,
ut accidentales.... [355] Potei.... humanitatem Socratis secundum omnes partes
et omnimodum effectum humanitali Plutoni* conformem esse, ac secundum hoc
Socratem et Platonem eundem et unum in universali dici solere (nota 474),... Concretìo
etiam in naturaiibus non solum coadunatione formae et subsistentis. sed ex
moltitudine accidentium, quae substanliale esse comilantur, consideravi potest
(note 464 e 471).... Sunl aliae formae subiectum integrum informante*, quae
naluram tantum conformem habenl. Esse quippe soli*, etsi non aclu, natura
conformem habere noscitur. Quare, quamvis plures soles non sint, sine repugnanlia
tamen naturae plures esse possunt (nota 479).... (p. 410) Omne namque esse ex
forma est.... Tantum de co, quae a philosophis genitura, a nobis faclura seu
creatura dici solet, disputai inumi inslituimus. Sed notandum, quod compositio alia forébìin altro
luogo (con. intonazione polemica contro Guglielmo da Champeaux) qualifica
l’universale come« quasi in unum versale», e a ciò unisce una giustificazione
etimologica dei termini e dei concetti di dividuum e individiium 515 )',
inoltre condivide con Gilberto l’ingenuo raccostamento delle cose e delle
parole 516 ), come pure ricorda altresì ima volta quell’esercizio ginnastico,
che vien fatto nello studio della logica, sull’albero di cuccagna della Tabula
logica 517 ). Appartiene allo stesso gruppo anche uno scrittarello anonimo
[oggi è riconosciuto esser opera di Domenico Gundissalino] «De unitate et uno»,
che manifestamente è una produzione determinata dalle polemiche di quel tempo
intorno alla Trinità, ma che, al pari di quella più antica opera De Trinitate
[oggi, come abbiamo veduto, attribuita appunto a Boezio], fu ritenuta marum,
alia est subsistentium.formarum ex formis, subsistenlium ex subsistentibus..,.
[356] Formarum autem aliae compositae, aline simplices ; simplices, ut albedo,
compositae, ut humanitas.... Ulule Boetius in oclava rcgula libri llebdomade
„omni composito aliud est esse, aliud ipsum est“ (v. la noia 37). 61S ) Ibid.,
53, p. 437 [380] : Universalem..., dico, non ex eo, quod una in plurilius sii,
quod est impossibile (noia 105), sed ex Iwc, quod plura in similitudine vivendo
[rectius : uniendo] ab assimilamii unione univcrsalis. quasi in unum versalis
dicalur.... Ex quo palei . quare.... singularem, individualem vel parlicularem
dixerim proprietatem, eam nimirum, qttae suum subiectum non assimilai aliis. ut
humanitas, sed ab aliis dividii, discernit, partitur. ut ea, quam fido nomine
solemus dicere,,Platonitas “, a dividendo individua, a parliendo particularis,
a dissimilando singularis dieta. Nec opponas, quod potius a dividendo dividuam,
quam individuam dici oporteat. Nam cum suum subiectum non solum ab aliis
dividat vel dissimilet. sed etiam in sua individualitale et dissimilitudine tam
firmiter manere faciat, ut nec sii nec fuerit neo futurum sit aliud subiectum,
quod secundum eiusmodi proprietalem illi assimUari queat, melme individuum
privando, quam dividuum ponendo vocalur, eiusque oppositum, quod dividendo
pluribus communical, et communicando dividii, rectius dividuum dici debet (noia
479). “ 1G ) Ibid., p. 438 [ifc.] : Cum enim omne esse ex forma sii, quodlibet
subsistens rem et nomea a sua capit forma (note 458, 174, 482). s17 ) Ibid..
60, p. 444 [386] : iuxta logicorum enim regulam methodus a genere ad
destruendum, a specie valet ad aslruendum (nota 480). fattura di Boezio (v.
sopra la nota 35) «»). Domina nella questione della unità, che anche Gilherto
era stato tratto a discutere (note 477 s.), quello stesso realismo di Gilberto
o di Ottone 519 ), e forse possiamo tutt’al più ricordare che qui si trova una
singolare enumerazione di accezioni varie del termine « unum» Alberico (da
Reims ?), a Parigi. WilliRAM DA SoiSSONS. VARI ALTRI AUTORI, MENZIONATI DA
Mapes]. Ma nello stesso tempo, cioè press’a poco tra il 1140 e il 1170, viene a
cadere anche la comparsa di alcuni altri autori, dei quali conosciamo quasi
esclusivamente i nomi, e a ogni passo della nostra indagme torna a imporsi la
considerazione, che cioè le fonti a noi accessibili ci consentono pur sempre
soltanto una conoscenza frammentaria. Si dovrà anzi designare come casuale la
notizia dataci da Giovanni da Salisbury, quando, raccontando il corso de’ suoi
studi, fa il nome di un certo Alberico, che, morto Abelardo, insegnò aS.te
Geneviève in Parigi, e imprese energicamente la „ Q M^n. tampata °P cre di
Boezio, ediz. di Basilea 1570, p. 1274 l'òleslpaTJTwTìMiT l * 3 bibli0thè 1 ue
* *.s dipar,ements de . ’ 1 ungi 1841, p. 169) trovo m un manoscritto di St
-Michel Hd/nf t0 an0nmM p rh e T nd ° aUe righe “ iziali d “ lui citate, c
identico a questo Pseudo-Boezio. ".*> p -.,. 1274 t PL ’ „ 63 1075]:
Omne enim esse ex forma est, in unita* r f ' S> ' " ullum eSSC ex f°
rma nini cum forma maleriae unita est. Esse xgitur est nonnisi ex eoniunctione
formae cum materia j.m autem forma matenae unitur, ex eoniunctione utriusque
necessario al,quid unum consti,ni,ur.... Uni,io autcm non fi, nisi un.tatZ Zmam
autcm non tene, uni,am cum materia nisi unitasi ideo materia egei untiate ad
umendum se.... et de natura sua habet multiplicari Uni,as vero retine,, umt e,
colligi,. Ac per hoc ne materia divida,ur et spargami -, necesse est, ut ab
unitale retineatur ecc. [testo cit. se0nd ° a ed £C r ™ (Beitràge del Baumker,
I, 1, p. 3 5 )]. ) p. 12/6 fPL, 63, 1077-8]: Unum enim aliud est essentiae
Simpl,Citate.... Ahud simplicium eoniunctione.... Aliud.... continuitate....
Ahud... compositione.... Alia dicuntur unum aggrega,ione Alta....
proportione.... Alia.... accidente.... Alia.... numerai Alia ZZI'"' Al,a
":;. natura . unum ’ ut participatione speciei plures hommes unus.
Alia.... natwne.... Alia.... more [testo c. s„ p. 9-10]. STORIA DELLA LOCICA IN
OCCIDENTE lotta contro i nominalisti, nella quale pare lo abbia sostenuto un
considerevole talento per le distinzioni 521 ). Riferisce inoltre Giovanni,
ch’egli stesso ha impartito 1’ insegnamento della logica a tale W i 1 1 i r a m
[Guglielmo ?] da Soissons, il quale, da lui presentato poscia a Adamo dal
Petit-Pont (note 440 ss.), ha ideato in seguito una speciale machina contro i
seguaci della vecchia logica (antiqui, logicae vetustas: v. sopra le note 55
ss.) 522 ). Giovanni menziona poi un’altra volta, oltre 621 ) Jou. Saresb.
Metal., II, 10, p. 78 s. (ed. Giles [e Wcbbj): Contali me ad Peripateticum
Palatinum qui. Iurte in monte Sanctae Genoue/ae clarus doclor et admirabilis
omnibus praesidebat. Ibi ad pedes eius prima artis huius rudimento accepi....
Deinde post discessum eius, qui michi praeproperus visus est, adhaesi magistro
Alberico, qui inter ceteros opinalissimus dialeclicus enitebal et erat revera
norninalis sectae acerrimus impugnator. Sic ferme tota biennio conversatus in
monte, artis huius praeceptoribus usus sum Alberico et magistro Rodberto
Meludensi (v. sopra la nota 453)....; quorum alter (cioè Alberico), ad omnia
scrupulosus, locum quaestionis inveniebal ubique, ut quamvis polita planilies
ojjvndiculo non carerei et, ut aiunl, ei [sjcirpus non esset enodis. Nam et ibi
monstrahat quid oporleal enodari ....Apud hos, toto exercilatus biennio, sic
locis assignandis assuevi et regulis et aliis rudimentorum elementis, quibus
pueriles animi imbitumar, et in quibus praejati doctores potentissimi crani et
expeditissimi, ut etc. [PL, 199, 867-8). Menzione di questo Alberico si trova
fatta da Giovanni anche nell’ Enthelicus, v. 55 s. : Iste loquax dicaxque parum
redolel Melidunum, Creditur Albrico doctior iste suo [PL, 199. 966). Ma di
quale Alberico si trattasse, fra i parecchi con questo nome, menzionati in
quell’epoca, non è possibile determinare con sicurezza; la indicazione
cronologica su riferita rende probabile che fosse Alberico da Reims,
soprannominato de Porta Veneris, il quale fece più tardi accoglienza ospitale a
Giovanni da Salibury e all’arcivescovo Tommaso [Becket], quando furon esuli in
Italia. V. Du Boulay, Hist.
Univ. Par.. II, p. 724. e la Ilistoire littér. de la France, XII, p. [72-6, e
particolarmente] 75. 522 ) Ibid., p. 80 [81]: linde ad magistrum Adam....
familiarilalem contraxi ulteriorem.... Interim Willelmiim Suessionensem, qui ad
expugnandam, ut aiunt sui, logicae vetustatem et consequentias inopinabiles
construendas et antiquorum sentcntias diruendas rnachinam postmodum fedi, prima
logices docili dementa et tandem iam dieta praeceplori appositi. Ibi forte
didicit idem esse ex contradictione, cum Aristotiles obloquatur, quia « idem
cum sit et non sit, non necesse est idem esse » (queste parole si trovano negli
Anni, pr., II, 4, 57 b 3: v. la Sez. TV, nota 614), et item, cum aliquid sit,
non necesse est idem esse et non esse. Nichil enim ex contradictione [82]
evenit et conlradictionem impossibile est ex aliquo evenire. Unde nec amici machina ima quel suo avversario,
denominato da lui Cornificio (v. subito appresso), il rappresentante di un
altro indirizzo, a quanto sembra, esagerato e astruso, nello studio della
logica, e lo designa con il nome imaginario di Sertor i u s 523 ). Ma a ciò si
aggiunge, oltre a notizie mal verificate circa un tal Davide, a ITirschau, e un
Giovanni Serio, a A ork r ’ 24 ), un’altra informazione ancora, che dobbiamo a
un autore della fine del secolo XII», cioè a Walter M a p e s, il quale nelle
sue poesie occasionalmente dimostra conoscenza delle personalità e delle
tendenze dominanti nelle scuole; costui menziona (con la osservazione, che il
maggior numero di seguaci lo ha Abelardo), oltre a Bernardo da Chartres, Pietro
da Poitiers e Adamo dal Petit—Pont, anche un certo Regina I d o, uno
straordinario sbraitone, che criticava tutti pellente urgeri potili ut credam
ex uno impossibili omnia impossibitia provenire [PI,, 199, 868], Anche a
prescindere dalla questione di determinare in che cosa inai potesse consistere
questa misteriosa machina, tutto il passo, del quale può anche ben darsi che il
testo sia guasto, mi è rimasto assolutamente incomprensibile; tutto quel che
risulta da un altro passo (v. appresso la nota 624), è che si tentav f di
riattaccare a quelle parole di Aristotele i sillogismi ipotetici. ) Enthet.,\.
116 ss. |PL, 199, 967-8]: Si i/uis credatur logicus, hoc satis est ; Insanire
putes potius. quam philosophari, Seria sani etemm cuncta molesta nimis.
Dulcescunt nugae, vultum sapientis abhorrent, lormenti geritts est saepe videre
librum. Ablactans nimium tencros Sertorius olim Discipulos Jerlur sic docuissc
suos ; Doctor mini juvrnum prelio compulsila et aere Pro magno docuit munere
scire nihil. tuo ), 1THKMI1 Ann ? liì Uirsaugienses, ann. 1137 (ediz. di S.
Gallo. 1690, I, p. 403): David.... monachicum habitum suscepil.... Scripsil
quaedam non spernendae lectionis opuscolo.... de grammatica L. 1, in
Perihermenias Aristotelis libros duos. Che tuttavia le notizie di Tritemio
abbiano scarso valore, lo sanno tutt’ i competenti; d’altra parte è noto che le
cose vanno di gran lunga anche peggio per il 1 ITSEUS [John Pits, 1560-1616],
il quale spesso, quando non copiava il Lei and [John Leland (Leyland,
Laylonde), antiquario inglese m. 1552], inventava semplicemente menzogne,
sicché forse neanche vai la pena di ricordare quel ch’egli dice. De illustribus
Anghae scriptoribus. p. 223 s. (ad ann. 1160): Joannes Serio dictus magister
Serio.... ex Eboracensi canonico Jactus est.... Fontanus Abbas.... Scripsit....
de aequivocis diclionibus librum unum, de univocis dictionibus librum unum. e
appiccò Porfirio alla l'orca (laqueo suspendit), sicché potremmo forse
ravvisare in lui quel Comifìcio di cui parla Giovanni da Salisbury [e da altri
diversamente identificato; cfr. la nota del Webb alla p. 8 della sua ediz. del
Metalogicus] ; menziona inoltre, insieme con Robertus Pullus, un Manerius,
estremamente sottile, mi arguto Bartolomeo e un Roberto Amici a s 525 ). Si può
anche ricordare che la poesia finisce con la cacciata dei monaci dalle scuole
dei filosofi 528 ): e c’è del pari un’altra poesia, che appartiene press’a poco
alla stessa epoca, e rappresenta con molto spirito il contrasto fra il pretume,
dedito ai piaceri del senso, e la fine cultura logica 527 ). 5 “) The latin
poems commonty attributcd to Walter Mapes, collected and edited by TnOMAS
Wrigiit (Londra, 1841-4), dove uella Introduzione è anche esposto quel che di
più preciso risulta sul conto di Walter Mapes. In una delle poesie, Metamorph.
Goliae, v. 189 ss. (p. 28), si trova il passo seguente: Ibi doctor cernitur
ille Carnotensis, Cujus lingua vehemens truncat vclut ensis ; Et hic praesul
praesulum stai Pictaviensis, Prius et nubenlium [studenlium ?] miles et
castrensis (seguono i versi cit. più sopra, nota 442).... [v. 199 ss.)
....Celebrem theologum vidimus Lumbardum ; Cum Yvone, Helyam Petrum (entrambi
grammatici), el Bernardino [p. 29], Quorum opobalsamum, spiralo*, el riardimi. Et professi plurimi sunt
Abaielardimi. Reginaldus monachus dumose contendit. Et obliqui s singulos verbi
s comprehendit ; Hos et hos redarguii, nec in se descendit. Qui nostrum
Porphyrium laqueo suspendit. Roberlus theologus corde vivens mando Adest, el Manerius
quem nullis secando ; Alto loquens spiritii el ore profundo. Quo quidem
subtilior nullus est in rnundo. Hinc et Bartholomaeus faciem acutus. Retar,
dialecticus. sermone astutus, Et Robertus Amiclas simile secutus, Cum hiis quos
praetereo, populus minutus. 5 -’) Ibid., v. 233 (p. 30): Quidquid tantae curiae
sanctione datur. Non ceda t in irritum, ratuni habealur ;
Cucullatus igitur grex vilE pendatur. Et a philosophicis scolis expellatur. —
Amen. 5 “') De presbytero et logico (parimente edito dal Wrigiit, op. cit., p.
251 ss.) in 216 versi, dove a dire il vero non si trova alcun contributo d’
informazione storica per il nostro intento. Il contrasto degl indirizzi ha p.
es. la sua espressione nei versi 29 ss.: Logicus: «Fallis. fallis, presbvter,
coelum Christianum, Abusive loqueris. laedis Priscianum; Te probo falsidicum,
te probo vesanum»; ....Presbyter. « Tace, tace, logice ; tace, tir fallator;
Tace, (lux insaniae, legis vanne lator ;....» Log. — « Peccasti, sed gravius
adjicis peccare. Legem hanc adjiciens vanam nominare; Sanum est, dissercre nel
gramC. Prantl, »S 'torio, della logica in Occidente, H. [§ 38. — Il così detto Cornificio, oggetto
della polemica di Giov. da Salisbury]. — Ai già nominati si unisce finalmente
ancora tutto quell’ indirizzo, che Giovanni da Salisbury, volendo combattere
non contro la persona, ma esclusivamente contro la cosa, qualifica con il nome
simbolico di Cornificio 528 ). I numerosi passi dov’egli rammenta questo suo
avversario o i seguaci di lui, coincidono in un punto, che è questo: c’erano
cioè parecchi, i quali a priori respingevano come inutile ogni tecnica della
parola nudrita di pensiero (eloquentia o logica), perchè tutto ha fondamento
nella disposizione naturale, e pertanto, chi possieda questa, senza punta
tecnica, tocca da se medesimo il segno, e invece chi non ha talento, non fa
progressi neanche in grazia della teoria 629 ). E quando si soggiunge che
questi « filosofi di mutilare, — Si insanum reputai, velim dicas quare». Prcsb.
— « Dco est udibile vestrum argumentum ; Ibi nulla veritas, toturn estfigmentum
;», o p. es. ai versi 129 ss.: Log. —« Audi, inter phialas quid philosopharis ;
follus, non philosophus, bine esse probaris ; Stulto sunt similia singola quac
faris, [parte tua caream quarti ibi lucraris ]. Epicure lubrice, dux ingluviei,
Cujus Deus venter est, dum sic servis ei etc. ». 62S ) J OH. Saresb. Metal., I,
2, p. 14 [ed. Webb, p. 8|: Utique par est sine derogatione personae sententiam
impugnari ; nichilque lurpius quam cum sententia displicet aut opinio, rodere
nomea aucloris.... [9] Celerum opinioni reluclor, quae multos perdidit, eo quod
populum qui sibi credat habet ; et licei antiquo novus Cornificius ineptior
sii, ei tamen turba i nsipienlium adquiescit. — Polycr., I, Prol., p. 15 [16]:
Aemulus non quiescit, quonium et ego meum Cornificium habeo.... Quis ipse sit, nisi ab iniuriis temperet, dicam....
Procedat tamen et publicet, arguat meum ralione vel auctoritate mendacium [PL,
199, 828 e 388], Dal modo di esprimersi dello scrittore in questi due ultimi
passi, risulta come Giovanni non abbia fatto che trasportare simbolicamente il
nome di Cornificius da un personaggio del1 antichità al suo proprio nemico, e
può ammettersi con certezza che a ciò gli abbiano dato occasione le notizie di
Donato (Pila Virgilii, c. 17 s. : vedi le Opere di VIRGILIO, ed. Wagner, I, p.
XCIX s.), riguardo a un tale Cornificio, avversario di Virgilio « ob perversam
naturami> [cfr., nella ediz. Brummcr delle Vitae Vergilianae, il « Plenus
apparatus ad vitam Vergilii Donatianam», p. 31], 529 ) Ib., Metal., I, 1, p. 12
[ed. Webb, p. 6]: Miror ilaque.... quid sibi vull, qui eloquentiae negat esse
studendum.... p. 13 [8[: Cornificius noster, studiorum eloquentiae imperitus et
improbus impugnalor. — C. 3, p. 15 [10]: Fabellis tamen et nugis suos pascit
interim auditesta propria », avendo a disdegno F intiero trivio e quadrivio. si
son gettati sopra forme di attività pratica e sovra profitti pecuniari ;>3
°), sarebbe in ciò da riscontrare un indizio significativo, in quanto si
direbbe che tale corrente, non prendendo ispirazione da vedute clericali o
dommatiche bensì per effetto di un impulso pratico, si sarebbe mostrata avversa
al farraginoso viluppo della scienza scolastica, e avrebbe richiamato
l’attenzione sopra il valore immediato del talento individuale. Così potremmo
intendere tali manifestazioni come un preludio di tendenze svoltesi più tardi.
Qualora ci fosse lecito riferire al così detto Cornificio anche la notizia, che
taluni rigettarono le Categorie e la Isagoge come inutili libri elementari 531
), potremmo forse ritenere che il già tores quos sine artis beneficio, si vera
sunt quae promittit, fa ci et eloquentes et tramite compendioso sine labore
philosophos. — C. 5-6, p. 23 [20]: Neque erti rii. ut Cornificius, meipsum
docui.... Non est ergo ex eius sententia.... sludendum praeceplis eloquentiae ;
quoniam eam cunctis natura ministrai aut negai. Si ultra ministrai aut spante,
opera superflua et diligentia ; si vero negai, inefficax est et inanis. — C. 9,
p. 29 [26]: Eo itaque opinionis vergit intentio, ut non omnes mutos faciat.
quod nec fieri potcst nec expedit, sed ut de medio logicam tollal. — Ibid.. II,
Praef., p. 62 [60]: Logica, quam. etsi mutilus sit et amplius mutUandus,
Cornificius, parielem solidum eccoti more palpans, impudenter attemptat et
impudenlius criminatur. — Ibid., IV, 25, p. 181 [192]: Sed Cornificius nosler,
logicar criminator, philosophantium scorra, non immerito contemnetur. —
Enthel., v. 61 ss. « Quum sit ab ingenio totum, non sit libi curae. Quid prius
addiscas posteriusve legas ». Ilare schola non curai, quid sit modus ordove
quid sit. Quam teneant doctor discipulusve viam [l’L, 199: 827, 828, 833 837,
857, 931, 966], 530) j \Jctal. I, 4, p. 20 [15]: Alii autem Cornificio similes
ad vulgi professiones easque prophanas relapsi sunt; parum curantes quid
philosophia doceat, quid appetendum fugiendumve denuntiet ; dummodo rem
faciant, si possunt, recte ; si non, quocumque modo rem (Hor. Ep. 1, 1,
65[-6])....Evadebant illi repentini philosophi et cum Cornificio non modo
trivii nostri sed totius quadruvii contemptores IPL, 199. 831], 531 ) Ibid.,
III, 3, p. 123 [128]: Sunt qui librum islurn (cioè le Categoriae), quoniam
elementarius est, inutilem fere dicunt, et satis esse putant ad persuadendum se
in diabetica disciplina et apodictica esse perfectos, si contempserinl vel
ignoraverint illa, quae in primo commento super Porphirium anlequam artis
aliquid attingatur docel Boelius praelegenda [PL nominato Reginaldo fosse per
lo meno un rappresentante di questa tendenza 532 ), se non apparisse inutile,
con tante lacune nella conoscenza delle fonti, presentare semplici congetture.
Ma quale idea si fosse fatta lo stesso Giovanni della origine di siffatta opposizione
alla logica scolastica, è stato già più sopra indicato, alle note 52 s. [§ 39.
— Giovanni da Salisbury: a) i suoi studi: il « Metalogicus»]. — Ma così è
venuto il momento di occuparci proprio di quello stesso autore, che già tante
volte abbiamo finora dovuto usare quale fonte, cioè di Giovanni da Salisbury).
Costui (morto nel 1180) aveva intrapreso lo studio della logica alla scuola di
Abelardo, lo aveva proseguito presso il già ricordato Alberico, Roberto da
Melun e Guglielmo da Conches, M2 ) È possibile che nella espressione sopra
citala « laquco suspendi!» (nota 525) si celi anche un’altra volta un giuoco di
parole con Cornificius e carni/ex. V. upprcsso, nota 545, un altro giuoco di
parole con cornicari. 693 ) Approfondite ricerche sopra Giovanni da Salisbury,
dal punto di vista della storia letteraria, sono state presentate da Cristiano
I’ETERSEN nella sua edizione dell’Uref/ietieus (Amburgo, 1843). La monografia,
nella quale Ermanno Reuter (Johann von Salisbury : Zur Geschichte der christlichen
Wissenschaft im 12. Jnhrhundcrl [G. da S. : Per la storia della scienza
cristiana nel 12° Secolo], Berlino, 18 12) ha tentato di svolgere la dottrina
di Giovanni, generalmente si risente dell’orientamento proprio dell’Autore, e
che è tanto sbagliato quanto estremamente insufficiente. Una ricca esposizione
della dottrina stessa la dobbiamo a C. ScHAARSCHMIDT, Joh. Saresberiensis nach
Leben und Studiai, Schriften und Philosophie [G. da S. ueda vitu e negli studi,
negli scritti e nella filosofia] (Lipsia, 1862): ma le osservazioni ch’egli
muove in questo suo libro (p. 303 ss.) contro il mio modo di vedere, non in’
inducono per nulla a modificare la mia opinione, che trova appoggio nelle
fonti. — Le citazioni son fatte sulla base della edizione complessiva di A.
Giles (Oxford 1848, in 8°, 5 voli., dei quali il 3° e il 4° comprendono il
Policraticus, mentre il Metalogicus si trova nel 5°), sebbene tale edizione non
sia adatto compiuta con diligenza, e sia particolarmente da rilevare conte
essa, con la più assurda interpunzione, renda spesso difficile l’intelligenza
del testo (le necessarie modificazioni ce le introduco tacitamente). [Qui sono
aggiunti, per il Policraticus e per il Melalogicon, i rinvii alle più recenti
ediz., curate dal Webb. e seguite in massima nella riproduzione dei testi]. poi
entrò in relazioni scientifiche con Adamo' dal PetitPont, ascoltò di nuovo
lezioni di dialettica presso Gillierto de la Porrée, di teologia presso Roberto
Pulleyn [e Simon Pexiacensis], indi ritornò agli Abelardiani, che nel corso di
quei vent’anni nulla avevano appreso e nulla dimenticato 534 ), e compose
intorno al 1160 535 ) il suo Metalogicus, dove principalmente espose le sue
vedute relativamente alla logica. Giovanni ha scritto, come dice egli medesimo,
quest’opera sua soltanto a memoria, frettolosamente e in breve tempo, dopo che
da molti anni aveva interrotto i suoi studi di logica, e fu suo intento non già
di comporre un commento che servisse a insegnare o a imparare, bensì
essenzialmente di dimostrare la utilità della logica, contro gli attacchi che
le erano stati mossi, e così difenderla 636 ). 534 ) Metal., II, 10, dove al
passo citato più sopra (n. 521) fa seguito (p. 79) [79]: Deinde.... [80] me ad
gramaticum de Concilia transtuli, ipsumque triennio docentem audivi. Viene
appresso il contenuto della precedente nota 522, e poi [82]: Reversus
itaque.... repperi magistrum
Gileberlum. ipsumque audivi in logicis et divinis ; sed nimis cito subtractus
est. Successa Rodbertus Pullus, quem vita pariter et scienlia commendabanl. Deinde me excepit Simon Pexiacensis [J’issiacensis.
Pisciacensis, cioè da Poissy: è lecito congetturare eon lo Wcbb che si tratti
dello stesso Simone, di cui v. qui sopra. nota 54].... Sed hos duos in solis
theologicis habui praeceptores.... locundum itaque visum est veteres quos
reliqueram et quos adhuc diabetica detinebat in monte recisero socios, conferve
cum eis super ambiguilatibus pristinis, ut nostrum invicem ex collatione mutua
commeliremur profectum. Inventi suiti qui fuerant et ubi ; neque enim ad palmam
visi sunt processisse. Ad quaesliones pristinas dirimendas neque
propositiunculam unam adiecerant. — Ibid., Ili, 3, p. 129 [134]: Habui enim
hominem (cioè Adamo dal Petit — Pont: v. la nota 441) familiarem assiduitate
colloquii et communicatione librorum et cotidiano fere exercitio super
emergentibus articulis conferendi ; sed nec una die discipulus eius fui. Et
lamen Italico gratias, quod eo docente plura cognovi, plura ipsius.... ipso
arbitro reprobavi [PL, 199, 868-9 e 899]. Cfr. inoltre la nota 54. 53ó) V.
Petersen, loc. cit., p. VI e 73 ss. 63B ) Metal.. Prol., p. 8 [2]: Siquidem cum
opera logicorum vehementius tanquam inulilis rideretur, et me indignanlem et
renitenlem aemulus cotidianis fere iurgiis provocare!, tandem litem excepi et
ad.... cnlumnias.... studiti responderc.... [3] Placiti! itaque sociis ut hoc
ipsum tumultuario sermone dictarem ; cum nec ad sententias subtiliter . [b)
punto di vista utilitaristico, alla maniera di Cicerone. La divisione del
sapere ]. — Per lui il punto di vista decisivo è quello della utilità, e per
conseguenza dobbiamo già aspettarci di trovar in lui un eclettico, che procede
assolutamente senza scorta di principii 537 ). Dominato com’è anche lui dalla
pratica tendenza utilitaria, si distingue dal suo avversario Cornifichi,
soltanto perchè non rigetta, come costui, la dottrina delle scuole, bensì vuole
render pratica questa dottrina stessa; ma egli è filosofo tanto poco quanto
Cicerone, con il quale si trova in intimo accordo. Anzi fa anche espressamente
professione di aderire alla dottrina probabilistica di quella setta degli
Accademici, ch’era caldeggiata da Cicerone 63S ), e per conseguenza trova nella
utilità pratica il fine unico di ogni scienza 539 ). In tal senso si esprime
circa il peexaminandas nec ad verbo expolienda studium supcresset aut otium....
(p. 9) Nam ingenium hebes est et memoria infidelior quarti ut antiquorum (v. le
note 55 ss.) subtilitates percipere aut quae aliquando percepta sunt diutius
valeam retinere.... Et quìa logicae suscepì patro cinium. Metalogicon inscriptus est liber. Praef. p. 113 [117]: Anni fere vigilili elapsi sunt
ex quo me ah officiai» et palaestra eorum qui logicam profitrntur rei
jamiliaris avulsit angustia.... Unde me excusaliorem habendum pillo in bis quae
obtusius et incultius a me dieta leclor internet. Ergo procedat oratio. et quae
anliquatae occurrent memoriae de adolescentiae sludiis, quoniam iocunda aetas
ad menlem reducilur ctc. — III, 10, p. 156 [164]: ....pròpositura est ;
scilicet, ut potius aemulo occurratur, quarti ut in artes, quits omnes docenl
aut discunt, commentarli scribantur a nobis TP!, 199: 824, 889-90, 916], 1 ’
537 ) Reuter s’inganna a partito, quando parla di un « superiore punto di vista
filosofico», che Giovanni avrebbe assunto, elevandosi al disopra degl’
indirizzi allora contrastanti. ) I olycr., I, Pro!., p. 15 [1. 17] :
[cum]....in phitosophicis academice disputane prò ralionis modulo quae
occurrebant probabilia sectatus sim. Nec Academicorum erubesco professionem.
qui in bis quae sunt dubilahilia sapienti, ab eorum vestigiis non recedo. Licei
enim seda haec tenebras rebus omnibus videalur inducere, nulla ventati
examinandae jidelior et, auctore Cicerone qui ad eam in senectute divertii,
nulla profectui familiarior est. — Metal., II, 20, p. 102 [106]: qui me in bis,
quae sunt dubitabilia sapienti, Academicum esse pridem pro/cssus sum [PL, 199:
388 e 882|. 63 ") Metal., Eroi., p. 9 [4]: De moribus vero nonnulla
scienter inserui ; ratus omnia quae legiintur aut scribunlur inutilia esse, nisi
dantesco verbalismo e la sottigliezza dei dialettici, facendo uso di termini
così energici, che il più sistematico nemico della logica in generale, non
potrebbe pronunziarsi con maggiore veemenza 54 °); anzi persino in quelle
discettazioni sopra le Categorie, alle quali il suo maestro Gilberto s’era
dedicato, egli trova, pur essendo per molti lati d’accordo con lui (v. appresso
le note 582 ss., 593 ss. e 606 ss.), da criticare tuttavia qualche cosa, che
possa cioè scapitarne la conoscenza morale di noi stessi 5U ) : e trascinato
dal suo zelo per la teologia morale, qualifica la logica aristotelica, che pur
vuole difender contro chi l’attacchi, con il termine aslutiae, che siamo
abituati a veder usato dai nemici fanatici della filosofìa 542 ). quatenus
afferunl nliquod adminiculum vilae. Est enirn quaelibet professi philosophandi inutili et
falsa, quae se ipsam in cultu virlulis et vitae exhibitione non aperit [PL,
199, 825]. MO) Polycr., VII, 9, p. 110 [II, 123]: Suspice ad moderatores
philosophoruni temporis nostri....; in regula una aut duobus aut pauculis
verbis invenies occupalos. aut ut mullum pauculas quaesliones aplas iurgiis
elegerunt, in quibus ingenium sutim exerceant et consumatit aetatem. Eas tamen
non sufficiunt etwdare, sed nodum et tolam ambiguitatem cum ititricntione sua
per auditores suos transmittunt posteris dissolvendum.... Latebras quacrunt,
variant faciem, nerba distorquenl,... si in eo perstiteris, ut quocumque verbo
defluant et volvantur. quid velit, intelligas et quid sentiat [II, 124] in
tanta varietale varborum, et tandem vincietur sensu suo et capielur in verbo
oris sui, si substantiam eorum quae dicunlur attigeris firmiterque tenueris. —
lbid., 12, p. 122 [II, 136]: Erranl ulique et impudenler errant qui
philosophiam in solis verbis consistere opinantur ; erranl qui virtutem verbo
putant.... Qui verbis inhaerent, malunt videri quam esse sapientes.... [II,
137] quaestiuneulas movent, intricala verbo ut suum et alienum obducant sensum,
paratiores ventilare quam examinare si quid difficultalis emersit [PL, 199, 654
e 662]. Inoltre, la precedente nota 58. 511 ) Jbid., Ili, 2, p. 164 [I, 174]:
Inde est forte quod illi, qui prima totius philosophiae elemento posteris
tradcre curaverunt, substantiam singulorum arbitrati sunl intuendam,
quantilatem, ad aliquid. qualitotem, situai esse, ubi, quando, habere, facete,
et pati, et suas in omnibus his proprietates, ari intcnsionem admittant, et
susceptibilia sint contrariorum, et ari eis ipsis aliquid invenialur adversum
(queste ultime son tutte questioni discusse appunto da Gilberto: v. le note
489-509 [507]). Provide quidem haec et diligenter, etsi in eo negligentiores
exstiterint. quod sui ipsius notitiam in tanta rerum luce non asseculi sunt
etc. [PL, 199, 479]. 5! -) Jbid., IV, 3, p.
227 [I, 243]: Astutias Aristolilis, Crisippi acuMa se cerchiamo quindi di
scoprire quale sia la posizione che Giovanni assegna alla logica, dal punto di
vista di un ordinamento sistematico, vediamo una volta, relativamente alla
divisione delle scienze, accennato da lui un tono fondamentale, che ci ricorda
molto da vicino Ugo da S. Vittore (note 45 s.), designandosi come forze
ancillari, sotto la sovranità della divina pagina, le discipline meccaniche,
teoriche e pratiche, e con esse la filosofia che erige il saldo baluardo 543 )
: e a tal proposito è degno di nota che anche da Ugo il compito della logica è
trasferito nel perfezionamento della espressione verbale. E quando un altra
volta, tenendosi attaccato, nella maniera più lampante, a Gilberto (nota 465),
Giovanni distingue ima triplice funzione della ratio, — in quanto che l’uso
concreto di questa (modus concretivus) è rivolto alla natura sensibilmente
percettibile, Tattivita astrattamente analitica ( resolvere ) conduce alla
matematica, e la comparazione riferente (conjerre et rejerre) è compito della
logica 544 ), — già da ciò desumiamo l’attitudine di Giovanni ad afferrare a
capriccio opinioni varie di altri, e a metterle ancora, ecletticamente, una
accanto all’altra. mina, omniumque philosophorum lendiculas resurgens mortuus
confutabat. Metal., Ili, 8, p. 141 [147]: Pithagoras naluram exculit, Socrates
morurn praescribit normam, Plato de omnibus persuader, Aristotile* argutias
procurai [PL, 199. 518 e 906], Cfr. la nota 560.,,J3 ) Enthet., v. 441 ss.:
Ilaec scripturarum regina vocalur, eandem Divinam dicunt.... Haec caput
agnoscil Philosophia suum ; Huic omnes artes famulae ; medianica quaeque
Dogmala, quac variis usibus apio videi, Quae jus non reprobai, sed publicus
approbat usus, Iluic operas debent militiamque suam ; Practicus buie servii
servitque theoricus; arcem Imperli sacri Philosophia dedii [PL, 199, 971-5].
Riguardò a Ugo, cfr. più oltre la nota 555. 64 ‘) Ibid., v. 659 ss.: Res
triplici spedare modo ratio perhibetur, Nec quartum poluit meni reperire modani
; Concretivus hic est, alius concreta resolyit, Res rebus confert tertius atque
refert ; Naluram primus, mathesim medius comilatur, Vindical extremum logica
sola sibi [c) punto di vista retorico,
come in Cicerone. Grammatica e dialettica ]. — Ma invero per la logica il punto
di vista propriamente eclettico è il punto di vista retorico, perchè questo si
libera di tutte le difficoltà che si possono presentare nelle questioni
filosofiche fondamentali: e così anche Giovanni è esonerato dalla fatica di
decidersi per ima data concezione filosofica, a preferenza delle altre. Senza
determinare più precisamente il posto della logica nel campo delle scienze, nè
discutere in base a una qualsiasi veduta, pur che fosse una e ben definita, la
relazione del pensiero subbiettivo con la obbiettività o con la forma della
espressione verbale, egli può qui accontentarsi di opporre ai nemici della
logica, sfoggiando una ricca colorita varietà di frasario, e traendo partito
dalla solita tradizione scolastica, il concetto e il valore della « eloquentia»
64S ). La maniera in cui il pensiero si atteggia rispetto alla espressione
verbale, è qualificata mercè un fioretto retorico, parlandosi di un « dolce e
fecondo connubio» della ragione e dell’eloquio 546 ), nè diverso valore ha
l’altra frase, che cioè le proprietà delle cose « ridondano» nelle parole: e
data l’affinità che sussiste fra le cose e ciò che di queste si dice
[.sermones] (lo stesso 5Ji ) Melai.. I, 7, p. 24 [21]: Cornicatur haec domus insulsa (suis
tamen verbis ) et quarti constai totius eloquii contempsisse praecepta.... [22]
Ait cairn : Superflua sunl praecepta eloquentia, quoniam ea naturaliler adest
aut abest (nota 529). Quid, inquarti, falsius ? Est enim. eloquentia facullas
dicendi commode quod sibi cult animus expediri.... (p. 25) Ergo cui facilitas
adest commode exprimendi verbo quidem quod sentii, eloquens est. Et hoc
faciendi jacultas rectissime eloquentia nominatur. Qua quid esse praeslantius
possit ad usum, compendiosius ad opes. fidelius ad gratinai, commodius ad
gloriam, non facile video [PL. 199. 834]. M6) lbid., I, 1, p. 13 [7]: Ratio,
sciattine virlutumque parens..., quae de verbo frequentius concipil et per
verbum numerosius et fructuosius parit, aut omtrino sterilis permanerei aut
quidem infecunda, si non conceptionis eius fructum, in lucem ederet usus
eloquii; et invicem quod sentii prudens agitano mentis hominibus publicaret.
Haec autem est illa dulcis et fructuosa coniugatio rationis et verbi, quae etc.
[PL si legge in Abelardo — cfr. la nota
308 —, e qualche cosa di simile in Gilberto — cfr. la nota 457), si tratterebbe
semplicemente di possedere in mente una quantità di cose, e in bocca una
quantità di parole 547 ). Insomma per Giovanni il punto di vista più essenziale
è rappresentato dalla consistenza dei mezzi, che s’abbiano una volta a
disposizione, appropriati per la manifestazione del pensiero con il discorso, e
pertanto la « logica nel significato più esteso» della parola, è da lui
definita in termini ciceroniani come ratio loquendi vel disserendi, onde è di
sua competenza l’addestramento all’uso del discorso (magisterimn sermonum): e
qui essa, mentre da un lato rivela la propria utilità, dall’altro lato tiene
anche il primo posto fra le arti liberali, poiché in quella più vasta accezione
comprende anche la sfera della grammatica 548 ). Ma mentre con ciò si
renderebbe tuttavia manifesta la esigenza di una più rigorosa determinazione,
in ordine a questa estesa definizione, della relazione reciproca tra grammatica
e logica (cfr. subito appresso la ) Ibid., 16, p. 42 [39]: Natura enìm copiosa
est et ubertatis suae pratiam Immotine mdigentiae facit. Inde ergo est, quod
[401 pròpnetas rerum redundat in voces, dum ratio offertat sermone, rebus de
quibus loquUur esse cognatos. — Polycr., VII, 12, p. 124 fll. 1391 A telili
cairn utilius, nichil ad gloriam aut rcs adquirendas com'modius inventati quam
eloquenza quae ex eo plurimum comparatile si rerum ln r re copia sit ver,l °
rum fPL, 199, 845 e 6631. etuTrìJ, 1 ': 10 ’ P ‘ w 8 [ 2 J ]: Est ita ^ e lo *
ica ' ). Ma poiché
ciascun’argomentazione o disputa consiste di espressioni verbali, si la ora la
distinzione — in maniera simile che in Abelardo (nota 271), e tenuto conto di
questa definizione più ristretta (cfr. invece la nota 548) — fra la grammatica,
che tratta soltanto della dictio, e la dialettica, che ha per oggetto e
contenuto i dieta : ma a tal proposito, con atteggiamento di puro
indifferentismo, si qualifica come irrilevante la questione se si tratti qui
del profferire, o di quello che vien profferito 556 ). E mentre Giovanni a ciò
novamente ricollega la parcisecundo super Porphirium asserii (p. 47 [PL, 64,
73; ed. Brandt, 140]), est orlus logicai disciplinae. Oporluit enim esse
scientiam quae veruni a falso discerncret. et doceret quae ratiocinatio veram
teneat similari i disputarteli, quae verisimibm, et quae fida sit, et quae
debeat esse suspecta ; alioquin veritas per ratiocinantis operam non poterai
diveniri. — I, 15, p. 41 [39]: Diabetica autem id dumtaxalaccentai. quoti verum
est aut verisimile, et quicquid ab his longius dissidet ducil absurdum [PL.
199: 857, 858 e 844]. 5M) ihid.. II, 3. p. 65 [64]: Profecta igitur hinc est et
sic perfecta scientia disserendi ; quae disputandi modos et rationes
probationiim aperit...; aliis philosophicis disciplinis posterior tempore, seti
ordine prima (parimente Ugo da S. Vittore, nota 46: e cfr. la nota 543). Inchoanlibus enim philosophiam
praelegenda est, eo quod vocum et intellectuum inlerpres est. sine quibus
nullus philosophiac articulus recte procedil in lucern [PL, 199, 859]. 5M )
lbid., 4. p. 67 [65] : Est autem diabetica, ut Angustino placet (v. la Sez. XII,
nota 30), bene disputandi scientia.... Est autem disputare, aliquid eorum, quae
dubia sunt aut in [66] contradictione posila aut quae sic rei sic proponunlur
catione supposita probare rei irnprobare ; quod quidem quisquis ex arte
probabiliter facit, ad dialectici pertingil metani. Hoc autem ei nomea
Aristotiles auctor suus impostili, eo quod in ipsa et per ipsam de diclis
disputatile : ut enim gramatica de diclionibus et in dictionibus. teste
Ilemigio (Sez. precedente, nota 172), sic ista de dictis et in diclis est. Ilio
verbo sensuum P rln ~ cipaliter : sed linee examinat sensus verborum ; nani
lecton [aev. .ov] graeco eloquio (sicut ait Isidorus) (Sez. precedente, nota
27) dietum appellalur. Sire autem
dicatur a Graeco lexis [>.£''.;], quod locutio interpretalur.... site a
lecton [)£Xt6v], quod dietum nuncupatur. non multum refert ; cum ex aminare
loculionis vim et eius quod dicitur veritalem et sensum. idem aut fere idem sit
; vis enim verbi sensus est. — III, 5, p. 137 [142]: Est autem res de quo
aliquid, dicibile quod de aliquo, dictio quo dicitur hoc de ilio : e a ciò fan
seguito le parole sopra citate, alla nota 207 [PL. zione delia logica, venuta
in voga nella scuola, da Boezio in poi 537 ), la conoscenza ch’egli ha di
Aristotele, lo porta in pari tempo a distinguere tra apodittica e dialettica:
in tale distinzione tuttavia, neanche la prima delle due reca in se stessa una
propria interna finalità, bensì rimane pur sempre come cosa essenziale la
utilità della logica, così divisa, nella sua totalità 558 ). [d) conoscenza
compiuta . 66 [64]: Pro co namquc logica dieta est. quod rationalis, i. e.
rationum ministraloria et examinalrix est. Divisti eam Plato in dialeclicam et
rethoricam ; sed qui efficaci am eius altius metiuntur, et pitica attribuunt.
Siquidem ci demonstrativa. probabilis et sopii'stira subicmntur, ecc., in piena
conformità con Boezio (v. in Sez. XH, nota 82). Così pure 5, p. 68 [67]:
Demonstrativa. probabilis, et sophistica, omnes quidcm consistimi in inventione
et iudicio, et itidem dividentes, diffinientes, et colligentes, domestici
rationibus utuntur : v. ibid. la nota 76 [PL, 199, 859 e 861], yotq Uiid.. II,
14, p. 85 [87]: Principia inique dialecticae probabilia sunt ; sicut
demonstralivae necessaria . — III, IO, p. 152 [160]: Sophisma est sillogismus
litigatorius ; philosofimn vero, demonstrativus ; argumentum aulem. sillogismus
dialecticus ; sed aporisma (v. la Scz. IV, nota 33), sillogismus dialecticus
contradictionis. Horum omnium necessaria estcognitio, et in facultatibus
singulis perutilis est exercilalio. — p. 154 [162]: Sic simrum instrumentorum
necessc est logicum expedilam habere faciillatem, ut scilicet principia noverii.
probabilibus habuntoo et inducendi omnes ad manum habeat rationcs [PL iiosce
più gli scritti logici parzialmente, e soltanto per sentito dire, è da lui
qualificato come vero duce (campiduc- tor) di tutti gli studiosi di logica, e
in ogni caso, sebbene con le riserve dovute all’autorità della fede cristiana e
della teologia morale, come maestro dell’arte di disputare 559 ): al
ciceroniano Giovanni, cioè, manca naturalmente il senso dell’ intimo valore
filosofico della logica aristotelica, nella quale scorge invece soltanto una
tecnica estrinseca: e perciò è anche sua opinione questo ci fa ricordare la espressione su
ricordata (nota 542) « astu- tiae» — che Aristotele mostri maggior vigore nella
polemica contro altri, che non nella costruzione positiva della sua propria
dottrina 58 °). Prese le mosse dalla tesi che la logica, come tecnica dei
discorsi ( sermones ), comprendendo inventio e iudicium (Sez. XII, nota 76), è
lo strumento di tutte le discipline, per la quale ragione appunto Aristotele si
è meritato di essere soprannominato « il Filosofo » 581 ), Giovanni con- 559 )
Ihid., Ili, 10, p. 147 [154]: Rei rationalis opifex et campi- doctor (Giles
legge campi doctor [PrantJ, campiductor ]) eorum qui lo- gicam profitentur.
Campidoctor (come sopru) itaque Peripateticae disciplinae, quae prae ceteris in
veritatis indaga- lione laboret, infelicem summam operis dedignatus, taluni
compqnil (allusione a Hor. Ars poet., v. 34); cerlus quoti cuiusque operis per-
fectio gloriam sui praeconalur aucloris. — IV, 23, p. 180 [190] : Sicul optimus
campidoctor (qui anche il Giles dà la lezione corretta [ campiductor ]) hunc ad
infcrendam pugnimi, illum inslruit ad cau- telam. — 27, p. 183 [193]: Nec tamen
Aristotilem ubique bene aut sensissc aut dixisse protestar, ut sacrosanctum sit
quicquid scripsit. Nam in pluribus [194], optinente ratione et auctoritatc
fidei, con- vincitur errasse . linde sic accipiendus est, ut ad promovendos iu-
vrnes ad gravioris philosophiae instituta doctor sit, non morum sed
disceptaiionum [PL, 199: 910, 915-6, 930, 932], 5 ““) Ibid., III, 8, p. 141
[147]: Aristotilem prue ceteris omnibus tam aliae disserendi ratiocinationes
quam diffiniendi titulus (cioè il contenuto del 6° Libro della Topica)
illustrarci, si tam patenter astrarrei propria quam potenter destruxil aliena
[PL, 199, 906], M1 ) Enlhel., v. 821 ss.: Magnus Arisloleles sermonum possidet
artes Et de virtutum culmine nomen habvt. Judicii libros componil et inve-
niendi Vera, facultales tres famulantur ei; Physicus est moresque docet, sed
logica servii Alidori semper officiosa suo ; Haec illi nomen proprium Jacit
esse, quod olim Donai amatori sacra Sophia suo ; Nam qui prae - sidera
l’intiero Organon in una maniera che perfettamente si accorda con il modo di
pensare di Abelardo (note 271 ss.); Aristotele cioè avrebbe ricevuto dalle mani
dei grammatici la semplice vox significativa, della quale avrebbe preso a
trattare nelle Categorie, in tal guisa che essa possa poi (De Interpretatione)
venire considerata come elemento della complessa struttura del giudizio, e a
ciò possa far seguito Io svolgimento di quanto si attiene alla inventio e al
iudicium ; la Isagoge compilata da Porfirio [per introdurre] alla prima di
queste parti principali, appartiene al tutto, proprio soltanto quale introduzione,
e non si deve, come si suole da molti (note 56 ss.), farne per così dire la
cosa principale 562 ). Così però si opera nell’Organon anche una nuova
divisione in due gruppi principali, in quanto che la Isagoge, le Categorie e il
De interpr. posson valere solamente da gradi preparatorii (praeparaticia
artis), essendo tali libri ad artem, piuttosto che de arte, laddove la tecnica
vera e propria, nella quale la inventio e il iudicium trovano la loro piena
esplicazione, si presenta nelle tre opere celiò, liluli communis honorem
Vindicat. — Metal., II, 16. p. 88 [90]: fìrnnes se Aristotilis adorare vestigio
gloriantur ; adeo quidem, ut communi' omnium philosophorum nomea praeminentia
quadam sihi proprium fecerit. Nam et antonomasice, i. e. excellenter. Philo- sophus
appellatile [PL, 199: 983 c 873], 562) jVf e (a/., II, 16. p. 89 [90]: Ilic
ergo (cioè Aristotele) proba- bilium rationes redegit in artem et, quasi ab
dementis incipiens, usque ad propositi perfectionem evexit. Hoc autem pianura est his qui
scru- tantur et diseutiunt opera cius. Voces enim primo significativas. i. e.
sermones incomplexos, de gramolici menu accipiens, differentias et vires eorum
diligenler exposuit, ut ad complexionem enuntiationum et inveniendi
iudicandique scientiam facilius qccedant. Sed quia ad lume elementarem librum
magis elementarem quodammodo scripsit Por- phirius, eum ante Aristotilem esse
credidii antiquitas praelegendum. Recte quidem, si recte doceatur ; i, e. ut
tenebras non inducal [91] erudiendis nec consumai aetatem,,.. linde quoniam ad
aliu introduclorius est, nomine Ysagogarum inscribitur. Itaque inscriptioni
derogant qui sic versantur in hoc, ut locum principalibus non relinquant [PL,
principali: Topica, Analitici e Soph. Elenchi 563 ). Ma proprio per rispetto alla inventio e al iudicium,
risulta di nuovo un altro punto di vista da adottar quale principio della
partizione, in quanto che la Topica, insieme con i libri precedenti, riguarda
prevalentemente e fondamentalmente la inventio, laddove alla stessa maniera
Analitici e Soph. El. debbono servire al iudicium ; tuttavia neanche si
potrebbe daccapo mantenere rigorosamente questa partizione (della quale poi non
sappiamo davvero perchè in generale sia stata assunta come fondamentale),
perchè alla inventio contribuiscon pure gli Analitici e i Soph. El., e
viceversa anche la Topica giova al iudicium 564 ). D’altra parte, oltre a tutto
ciò, troviamo che Giovanni, per far intendere che cos’è l’Organon, utiM3 ) Dopo
che cioè nel lib. Ili, cap. I, del Metal, si è trattato della Isagoge, nei cap.
2 e 3, delle Categorie, c nel cap. 4, del De interpr., al principio del c. 5,
p. 134 [139] si legge: Artis praeparalitia praecesserunl, ad quam suus opifex
et quasi legislator rudem omnino tironem irreverenter el, ul dicisolet, illotis
manibus non censuit admittendum.... Utilissima quidem sunt et, si non satis
proprie dicantur esse de arte, satis vere dicuntur esse ad artem : parum autem
refert, si magis dicatur ari sic. Ipsum itaque quodammodo corpus artis, deditctis
praeparatiliis, principaliter consistit in tribus ; scilicet Topicorum.
Analeticorum. Elenchorumquc notitia; his enim perfecte cognitis, et habitu
eorum per usum et exercilium roboratis, inventionis et iudicii copia
suffragabitur in omni facultate tam demonstratori quam dialectico et sophistae
[PL, 199, 902]. M4 ) Ibid., IV. 1, p. 157 [165]: Unde cum inventionis
instrumenta procurasset et usum. quasi in conflatorio setlens, examinatorium
quoddam studuit cadere, quo diligentissima fieret examinatio rationum. Ilic
autem est Analeticorum liber, qui ad iudicium principaliter special, et lanieri
ad inventionem aliquatcnus proficit. Nani [166] disciplinarum omnium connexae
sunt rationes, et qucelibel sui perfectionem ah aliis mutuatur. — III. 5, p.
134 [139]: Scientia Topicorum. quae, etsi inventionem principaliter instruat,
iudiciis tamen non mediocriler sujjragatur.... Siquidem sibi invicem universa contribuunt. coque in
[140] proposito facultate quisque expeditior est, quo in vicina el cohaerente
instructior fueril. Ergo et tam Analetice quam Sophistica conferunt inventori,
et Topice itidem conducit indicanti ; facile tamen adquieverim singulas in suo
proposito dominari et accessorium esse beneficium cohaerentis. — IV, 8, p. 164
[173]: Licei ad iudicium maxime dicatur hacc scientia (se. demonstrativa)
pcrtinere, invenlioni tamen plurimum conferì [PL izza una similitudine, e
compiutamente la svolge, facendo corrispondere alle lettere dell’alfabeto le
Categorie, e alle sillabe il libro De interpr. 56S ); fa poi seguito la Topica,
che rappresenta la parola (dictio) e v’incliiude la colleclio degli elementi
566 ) : e ciò anzi in tal guisa, che, procedendo lo sviluppo nel senso di una
costante ascesa, a fondamento di tutta quanta la logica stia il primo libro
della Topica 567 ), e cosi poi il libro ottavo corrisponda alla connessione
della proposizione ( constructio, espressione di Prisciano — cfr. la nota 273),
ond’è proprio questo il libro, in cui si dà la scalata al punto culminante
della logica, ed esso, al paragone di tutta la letteratura moderna (dei moderni
: v. le note 55 ss.), dev’essere qualificato come lo scritto di gran lunga più
utile 588 ). Gli Ana5C5) Jbid., Ili, 4, p. 130 [135]: Libcr Pcriermeniarum, vel
potius Periermenias (v. la Sez. precedente, nota 33), ratione proporlionis
sillabicus est, sicul Praedicamenlorum elementarius ; nam dementa ralionum,
quae singulatim tradii in sermonibus incomplexis. iste colligil, et in modum
sillabae comprehensa producit ad veri falsiquc signijlattionern. Tantae quidem
subtilitatis est habitus ab antiquis, ut in praeconium eius celebralum ferat
Isidorus (v. ibid. la nota 34), quia Aristotiles, quando Periermenias
scriplilabat, calamum in mente tinguebat [PL, 199, 899]. _ 66r >) Ibid.. 6,
p. 137 s. [143]: Sicul autem elementarius est Praedicamentorum, Pcriermeniarum
vero sillabicus, ila et Topicorum liber quodammodo dictionalis est. Licei enim
in Periermeniis agatur de simplici enunliatione, quae ulique veri falsine
dictio est, nondum tornea ad vim colligendi pertingit, nec illud assequilur. in
quo dialecllces praecipua opera versalur. Ilic vero prirnus est in
rationtbus ex piicandis, doctrinamquc facit localium argumentationum, et
sequcntium complexionum pandit initia ]PL, 199, 904]. _ 567 ) Ibid., 5, p. 135 [140]: Odo quidem
voluminibus clauditur, fiuntquc semper novissima eius potiora prioribus. Primus
autem quasi materiam praeiacit omnium reliquorum [141] et lolius logicae
quaedam conslituit fundamenta [PL, 199, 903]. 56S ) Ibid., 10, p. 147 [154]:
Arma lironum siiorum locami m arena, dum sermonum simplicium significationem
evolverei et ilem cnunliationum locorumque naturam aperiret.... Ut autem
praemissae similitudinis sequamur proporlionem, quemadmodum Categoriarurn
clcmentarius, Pcriermeniarum syllabicus, proemiasi Topici dictwnnles libri sunt
; sic Topicorum octavus constructorius est ralionum, quorum eiementa vel loca
in praecedentibus monstrala sunt. Solus itaque versatur in praeceptis, ex
quibus ars compaginatur, et plus confort ad scientiam litici Primi, che si riattaccano a quel libro
stesso, vengono, con l’aggiunta di una barbarica interpretazione [etimologica]
del titolo (cfr. la nota 23 e la Sez. precedente, n. 288), lodati bensì
parimente per la loro utilità, ma nello stesso tempo criticati tuttavia per la
sterile loro forma, poiché non soltanto si trova lo stesso contenuto svolto
altrove (cioè evidentemente in Boezio, de syll. cat. e Introd. ad syll. cat.)
in forma molto più facile e penetrante, ma ancora perchè quell’opera, in
generale, con il suo stile conjusus e inintelligibile, è poco meno che
inservibile per dare all’argomentazione il suo apparato esteriore (ad phrasim
instruendam) : e però ci si doveva limitare a imparar a memoria le regole in
essa contenute (dunque press’a poco alla stessa maniera che troviamo in Boezio,
loc. cit. [direi che si riferisca alla nota 77 della Sez. XII, richiamata nella
nota — o, più precisamente, al seguito del testo corrispondente, dove si parla
di Boezio, come del primo autore di una logica, indirizzata all’unico intento
di far entrare un certo numero di regole nelle teste dei più stupidi]), ma il
rimanente si poteva lasciarlo da parte, come loppa o foglie secche 589 ).
disserendi, si memoriter habeatur in corde... .quam omnes fere libri
dialecticae, quos moderni patres nostri in scnlis legere consueverant ; nani
sine eo non disputatile arte., sed casu [PI]. 60 °) Jbid.. IV, 2, p. 158 [166]:
Analeticorum quidem perutilis est scienlia, et sine qua quisquis logicam
profitetur, ridiculus est. Ut
vero ratio nominis exponatur, quam Graeci Analeticen diclini, nos possumus
Rcsolutoriam appellare (questo è un pensiero che Giovanni ha preso da Boezio :
v. la Sez. XII, nota 77), familiarius tamen assignabimus. si dixerimus aequam
locutionem; nam illi anu « acquale », lexim « locutionem » dicunl. Frequens autem
est, cum sermo parum est inlellectus, et eum in notiorem resolvi desideremus
aequivalenter ; unde et interpres meus (probabilmente uno o l’altro di que’ due
traduttori, che abbiamo trovati più sopra, note 32 s.), cum verbum audirei
ignotum, et maxime in compositi », dicebat « Analetiza hoc » quod volebat
aequivalenter exponi . Ceterum, licei necessaria sit dottrina, liber non
eatenus necessarius est ; quicquid enim continet, alibi faci lius et fidelius
traditur, sed certe verius aut forlius nusquam. Siquidem et ab invito fidem
extorquel.... Porro exemplorum confusione et traiectione litterarum quas tuoi
de industria, tum causa brevilatis, tum E se è opinione di Giovanni che questa
incomprensibilità si manifesti per es. particolarmente neU’ultimo capitolo
degli Analitici Primi (Sez. IV, note 649 s.) 57 °), lo stesso biasimo è da lui
rivolto anche contro tutti quanti gli Analitici Secondi, soltanto con
raggiunta, che una parte di colpa ce l’ha forse la traduzione 571 ). Invece il
ciceroniano Giovanni si trova ora di nuov o, da buon retore, nel suo elemento,
con i Soph. Elenchi, che pertanto, staccati dalla Topica, egli colloca alla
fine dell’Organon; dice che nessun altro libro è più utile di questo per la
gioventù, e com’esso porge il più grande ausilio per la retorica (ad phrasin),
così va preferito anche ai due Analitici, perchè promuove, in maniera più
facilmente intelligibile, la eloquentia, cioè la espressione del pensiero
mediante la parola). Ma dalla Topica ne falsitas alicubi cxemplorum argueretur,
interseruit, coleo confusus est, ut cum magno labore co perveniatur, quoti
faciliime tradì potest. Sicut autem regulae utiles sunt et necessariae ad
scientìam, sic liber fere inutilis est ad frasim instruendam, quam nos verbi
supellectilem possumus appellare.... Ergo scientia memoriter est firmando, et verbo pleraque
excerpenda sunt ; ....quac alio commode transferunlur et quorum potest esse
frequentior usus. Reliquae coaequantur foliis sine fructu, et oh hoc aut
calcantur aul sua relinquuntur in arbore. (Qui fa seguito il passo citato più
sopra, nota 20). — Ibid., HI, 4, p. 132 [137]: Sunt autem pleraque quae, si a
suis avellas sedibus, aut nichil aul minimum sapiunt auditori; qualia fere sunt
omnia Analelicorum exempla, ubi litterae ponunlur prò terminisi quae, sicut ad
doclrinam profìciunt.. sic tracia alias inutilia sunt. Regulae quoque ipsae,
sicut plurimum vigorie habent a veritate doclrinae, sic in commercio verbi
minimum possunt [PL, 199, 916-7 e 900-11. 67 °) Ibid., IV, 5, p. 162 [170]:
Postremo agii de cognitione naturarum. Grande quidem capitulum et quod, licei
aliqualenus proposito conferai, fidem tamen prom issi nequaquam irnpìet. Unum scio, me huius capituli beneficio neminem in
cognitione nalurarum vidisse perfectum [PL, 199, 919], Il passo è stato citato
di già più sopra (nota 27). E72 ) Metal., IV. 22, p. 178 s. [188]: Sophisticam
esse dicium est, quae falsa imagine tam dialecticam quam demonslralìvam
acmulatur, et speciem quam virtulem sapientiae magis affettai.... Opus quidem
dignum Aristotile et quo aliud magis expedire diventati non facile dixerim ....
Frustra sine hac se quisquam [189] gloriabitur esse philosophum; cum nequeat
cavere mendacium aut alium deprehendere menlientem.... Unde et ad frasim
eoncilìandum et totius philosophiae in[di Aristotele], che contiene proprio il
fondamento della logica, sono scaturiti i rispettivi scritti di Cicerone e di
Boezio, come pure il libro di quest’ultimo De divisione (su questo punto non c’è
dubbio che Giovanni ha perfettamente ragione), il quale tra le opere di Boezio
occupa un posto particolarmente eminente 573 ). [e) la « ratio indijjerentiae »
come indifferentismo scientifico]. — Con questo ci siamo ora perfettamente
orientati riguardo al punto di vista di Giovanni, e in esso ravvisiamo certo
con buon fondamento un’accentuazione di quella, che Abelardo aveva chiamata
(nota 267) eloquentia Peripatetica ; e se nel rispetto filosofico già in
Abelardo aveva prevalso una conciliazione inorganica di opinioni opposte, anche
questo può ripetersi in più alto grado per Giovanni. È in verità un
atteggiamento coerente il suo, quand’egli, stando con l’attenzione rivolta in
modo esclusivo alla eloquenza dell’argomentazione, va in cerca persino di una
formula determinata, con cui elevarsi a tutta prima al disopra di quante
difficoltà potrebbero esser riposte in una salda posizione filosofica, che
fosse assunta nel contrasto fra le tendenze. Questa formula è la sua« ratio
indijjerentiae », vale a dire il procedimento del perfetto indifferentismo.
Egli cioè anzitutto, trattandosi della conoscenza delle cose che posson essere
oggetto dei discorsi (rerum praedicamenlalium : v. appresso vesligationes
sophisticae exercitatio plurimum prodest ; ita tamen ut veritas, non
verbositas, sit huitis excrcilii fructus. In eo autem michi videntur (se.
Elenchi ) Analelicis praejerendi, quod non minus ad exercitium conferunt et
faciliori intellectu eloquenliam promovent [PL, 199, 929-30], 57a ) Ibid.. Ili,
9, p. 145 [152]: Qui vero librum hunc (cioè la Topica aristotelica) diligentius
perscrutatur, non modo Ciceronis et Boetii Topieos ab his septem voluminibus
(cioè dai primi sette libri) erulos deprehendet. sed librum Divisionum, qui
compendio verborum et eleganlia sensuum inter opera Boetii, quae ad logicam
spectant, singularcm gratiam nactus est [PL, e dei discorsi stessi (sermonum),
richiama l’attenzione sopra la molteplicità di significato a cui i discorsi si
prestano, e osserva che questi all’epoca di Aristotele potevano avere un
significato diverso, perchè invero, secondo la sentenza oraziana, le parole van
via scorrendo in continuo mutamento, e solamente 1’ uso le fissa a questo o
quel modo). E sebbene ora si conceda che, a parità di significato, la
terminologia degli antichi sia più degna di reverenza, che non quella dei
moderni), in linea di principio tuttavia l’uso è più potente che non sia lo
stesso Aristotele: e perciò, in quanto venga in questione la verità di fatto
nella sua obbiettività, e con essa il senso reale delle parole, ben possono
anche sacrificarsi l’espressioni verbali, mentre d’altra parte, fin che la cosa
sia soltanto ammissibile, si può conservar insieme, del1 antica dottrina, e la
lettera e l’intimo significato 576 ). S71 ) Ibid., 3, p. 128 [133]: Profecto
rerum praedicamentalium et sermonum pcrulilis est notitia.... Et quia
multiplicitas sermonum plerumque inlelligentiam claudit, quoliens dicatur
unumquodque docci (se. Aristotiles) esse quaerendum.... Conlingit autem tractu
temporis, et adquiescente utentium voluntate, multipticitalem sermonum nasci
itemque extingui.... (p. 129) [134: Esse in aliquo] multiplicius dicitur quam
Aristotelis tempore diceretur ; et quae lune verbo aliquam. nunc forte nullam
habenl significalionem ; siquidem « Multa renascentur quae iam recidere,
cadentque Quae nunc sunt in honore vocabuia, si volet usus, Quem penes
arbitrium est et ius et norma loquendi » (Hor. Ars poet., v. 70 ss.) [PL, 199,
898-9J. “"') Ibid., 4, p. 131 [136]: Praeterea reverentia exhibenda est
verbis auctorum, cum culla et assiduitale utendi ; tum quia quondam a ma gnis
nominibus antiquitatis praeferunt maiestalem, tum quia dispendiosius
ignorantur, cum ad urgendum aut resistendum potentissima sint.... Licei itaque modernorum et
veterum sii sensus idem, venerabilior est velustas [PL, 199, 900]. 6,r ') Patet
itaque quod usus Aristotile potentior est in derogando verbis vel abrogando
verbo ; sed veritatem rerum. quoniam eam homo non statuii, nec voluntas Humana
convellit. Itaque. si fieri polest, artium verba teneantur et sensus. Sin autem
minus, dum sensus maneat, excidant verbo ; quoniam artes scirc non est
scriptorum verbo revolvero, sed nasse vini earum atque senlentias. Enthel., v. 27 ss.: Qui sequitur sine mente sonum,
qui verbo capessit. Non sensum, judex integer esse nequit : Quum vim verborum
dicendi causa minislrel, Ilaec si nescilur, quid nisi ventus erunl? [PL Già di
qua si desume che tale principio deve condurre a una maniera estremamente
comoda di fare sparir tutte le difficoltà che vengono a galla, perchè in tutti
questi casi basterà dire che la espressione verbale nel corso del tempo è
venuta ad assumere un significato diverso, oppure che in generale essa non ha
importanza. Cosi dice appunto Giovanni stesso (a proposito di una opinione di
Bernardo da Cliartres) che non è per lui di nessun momento il prender una
parola alla lettera, e che non c’è punta necessità di metter in armonia con un
singolo passo, in tal senso, anche tutti gli altri passi). E di fatto a questa
maniera la ratio indijjerentiae, ch’egli ritiene il punto di vista giusto anche
ai fini del tradurre (nota 32), prende forma, dov’egli si richiama a essa, di
esplicito metodo di negazione dello spirito scientifico. Poiché certamente è
somma leggerezza non soltanto il considerare, com’egli fa, « significare-» e «
praedicare » quali perfetti sinonimi, mentre Abelardo si era pure sforzato di
arrivare a una rigorosa definizione (nota 318), — ma anche il denotare, a tal
proposito, come cosa assolutamente indifferente che p. es. con gli aggettivi si
voglia intendere la qualità, ovvero l’oggetto che n’è qualificato; e
rimettendosi egli su questo punto per ciascun singolo caso a una benigna
interpretatio, fa valere le Categorie come un fondamento essenziale ad
avvalorare il suo procedimento, proprio perchè in esse si tratta, ora delle
parole significanti, ora delle cose significate 578 ). Similmente ) Metal.,
dove al passo che abbiamo già citato qui sopra (nota 93) fa seguito: Habet haec
opinio sicut impugnatores, sic defensores suos. Michi prò minimo est ad nomea
in talibus disputare, cum intelligentiam dictorum sumendam noverim ex causis
dicendi. Nec sic memoratam Arislotilis aliorumve auctoritates interprelandas
arbitrar, ut trahalur istuc quicquid alicubi dictum reperitur [PL, 199, 893].
57S ) Ibid., p. 122 [126]: Ex quo liquel quoniam « significare », sicut et «
praedicare », multipliciler dicitur ; sed quis modus familiarissimus sit,
discernere palam est. Inde est, quod iustus et similia si comporta Giovanni, a
proposito di un passo aristotelico, e viene su questo punto, conforme alla sua
indifferentia o ratio licentiae, al risultato, che 1’ individuo singolo,
percettibile per mezzo dei sensi, può essere tauto predicato quanto
soggetto”»). E se nella trattazione di tali questioni siamo con Giovanni al
punto dove la logica finisce, prima di esser in generale neanche incominciata,
non può farci maraviglia che, presentandosi difficoltà un poco più riposte,
egli enunci subito con tutta disinpassim apudauctores rame dicuntur iustum,
nunc iustitiam significare vel predicare.... [127J Tale est iUud Aristntilis :
Qualitalem significant, ut album; quantilatem, ut bicubitum (Cai., 4: v. la
Sez. IV. nota 303 [dove la citaz. si arresta avanti le esemplifieaz. : Sinr/u
Xsuxiv...]; in Boezio [ad Ar. praed., I; PL, 64, 180], p. 127) .Sic ulique quia
dantur a quahtale vel quanlitate, ila et qualitalem praedicant, quam apposita
demonstrant inesse subieclis ; inlerdum dicuntur significare quatta, quomam
apposilione sua declarant quali,i sint subiecta. Sed haec a se, si sit benignus
inlerpres, non multum distaili, etsi andito albusintelhgatur in quo albedo ;
cum autem albedo (licitar, non mteUigiturin quo talis color ; sed polius color
jaciens tale. Illud vero quod nudità voce concipit iniellectus, ipsius
familiarissima significalio est. 3, p. 122 s.: Quia ergo aut acquivoce aul
univoco aut denominative, ut sequmtur indifferentiae rationem, singula
praedicanlur, ipsaque praedicatio quaedam ratiocinandi materia est.
praedicamenlorum praemissa sunt instrumenta.... Rationem vero indifferentuie,
LI—“J quarti semper approbamus, liber iste commendai prue cetens ; etsi ubique
dilìgenter inspicienti manifesta sit. Agii enim nunc de sigmficantibus, nunc de
significati, aliorumque doctrinam J acU n nomuitbus aliorum [PL, 199, 894-5], «
Ih>d " 2 ;?‘ P'., 110 Mine forte est illud in Analeticis Aristomenes
intclligibihs semper est; Aristomenes autem non semper . ( Ar l al pr .,, I,
33; in Boezio [PL], p. 445). Et hoc quidem est singulariter individuum, quod
salum quidam munì posse de al,quo praedicari.... Ego quidem opinionem hanc
vehementernec impugno, nec propugno; nec enim multum referre arbitror, ob hoc
quod illam amplector indifferentiam in vicissitudine sermonum, sino qua non
credo quempiam ad mentem auctorum fidehter pervenire. Itaque hic. sicut et alibi,
executus est quod decet libertdium artium pracceptorem, ugens, ut dici solet.
Minerva pinguion [Cic. de Amie., V, 19] ut intelligeretur.... Quid ergo
prohihcl,uxta hanc licentiae rationem ea quae sunt sensibilia vel praedicari
vel subici? Nec opinor auctores hanc vim imposuisse sermoni, ut alligatus sit
ad imam in iuncturis omnibus signìficationem, sed doctnnaliter sic esse
locutos, ut ubique servianl inlelleclui Ino c ° n ‘™ n f!' !i '! mus est el Q upm ‘bi haberi prue ceteris ratio
exigit [PL. 149, 886-/]. V. inoltre appresso [il seguito, nella] voltura il suo
punto di vista, come p. es. quando, riguardo al giudizio universale, prende per
equivalenti la inerenza obbiettiva e la predicazione subbiettiva, e tutt’al più
ravvisa qui ima modificazione di terminologia, presentatasi nel corso del tempo
580 ). [f) la Isagoge. Concezione deglia universalia in re»]. — Se dopo di ciò
seguiamo nei loro particolari l’espressioni di Giovanni relativamente alla
sfera propria della logica, tenendo dietro al filo della partizione da lui
stesso assunta come fondamentale per l'Organon, — incontriamo in lui anzitutto,
come ben s’intende, nell analisi della Isagoge, cioè nella questione degli
universali, 1 estremo sincretismo o eclettismo, cbe sfocia da ultimo in una
concezione stoico-ciceroniana. Non già al punto di vista di un filosofo cbe
stia al disopra della unilaterale contesa tra i contrastanti indirizzi, bensì a
mancanza di acume filosofico o a faciloneria da retore praticone, s’informa
l’atteggiamento di Giovanni, quando qualifica come infantile tutta la disputa
sui concetti di genere e di specie : e invero, a tal proposito, egli si limita
a tirarsi indietro, riferendosi a quella molteplicità di significati delle
parole, di cui più sopra (note 574 s.) abbiamo fatto cenno : imperocché genere
e specie possono significare cosi il principio della generazione, cioè la base
ontologica delle cose, come anche il predicabile, cioè il valore logico dei
concetti universali 58 ^). E a quel modo cbe su questo punto m°) JHd„ IH, 4, p.
132 [137]: Quod dicitur „in loto esse allerum alteri “ vel .. 'in loto non esse
", et „universaliler aliquid de aliquo prae dicari '“ vel „ab aliquo
removeriidem est (cfr. la nota 16); frequens tamen usus est alterius verbi, et
alterius fere inlercidit, nisi quatenus ex condicto inlerdum admittitur. Fuit
/orlasse tempore Aristotilisutriusque usus celebrior, sed nunc prae altero
viget alterum, quoniam ita vu lt usus. Sic et in co quod dicitur contingens.
aliquatenus derogatimi est ei quod apud Aristotilem optinebat [PL, 199, 901]
(cfr.la nota 216). 581 ) lbid., 1, p. 116 s. [120]:... sed ad puerilem de
genenbus et speciebus.... inclinavit opinionem (s’intende Abelardo); malens in
Giovanni si appoggia al commento boeziano della Isagoge di Porfirio, così
insomma è ancor una volta, come vedremo (nota 602), in un passo isolato di
Boezio che ci si offre concentrata la opinione di lui, sicché anche in lui
ritroviamo di nuovo un argomento per provare quanto strettamente tutto il
movimento degli studi di logica in quell’epoca si tenesse attaccato a sentenze
frammentarie degli autori tradizionalmente più autorevoli. Perfettamente
analogo all’atteggiamento di Abelardo, che si riattaccava a un solo unico passo
[della versione boeziana del De inlerpr.] per avvalorare la duplicità del suo
modo di vedere [nella questione degli universali] (nota 286), è l’atteggiamento
complessivo anche di Giovanni, in quanto ch’egli presta agli universali un
valore ontologico, e logico al tempo stesso; con la sola differenza, che in lui
la confusione dei punti di vista è non soltanto più complessa e stravagante, ma
anche ben più contraddittoria che non in Abelardo. Giovanni, cioè, non soltanto
parla occasionalmente, quale teologo, intorno ai concetti di sostanza e di
essenza, alla stessa maniera che si trovano trattati questi argomenti nel
Pseudo-Boezio de Trin. e in Gilberto 582 ), ma anche in quello scritto ch’è
dedislruere et promovere suos in puerilibus quam in gravitate philosophorum
esse obscurwr.... Itaque sic
Porphirius legendus est, ut sermonum de quibus agitar, significatici teneatur,
et ex ipsa superficie habeatur sensus verborum.... Sufficiai ergo introducendo nosse quia nomen generis
multiplex est et a prima instilutione significai generationis prìncipium....
Deinde hinc translatum est ad significandum id, quod de differentibus specie in
quid pratdicatur (sopra questa terminologia abbreviata, v. la nota 282). Item
et species multipliciter dicilur ; nam ab instilutione formam significai....
Hin autem sumptum est ad significationem eius quod in quid de differentibus
numero praedicalur. (lutto ciò ha fondamento in Boezio [ad Porph. a Vict tranci
I 22: ed. Brandt, p. 66; PL, 64. 38], p. 22, e [od Porph. a se fransi, lì, 2:
ed. Brandt, p 171 ss.; PL, 64, 87-8] 57 s.).... Quid ergo sibi volunt [Webb:
voi in qui.... quicquid aliud exeogitari potest, adiciunt ?.... Vocabulorum
simpliciter aperiantur significai ioncs, apprehendatur illa quae proposito
congruit per descriptiones certissimas etc. [PL]. oS ") Epici. Quicquid
autem subsistit, sine dubìo in genere vel in natura vel in substantia manet.
Quum ergo essentiam cato alla logica, espressamente manifesta il suo accordo
con Platone e con il suo realismo ontologico, secondo il quale il vero essere
appartiene all’ intelligibile, mentre le cose concrete neanche son degne del
verbo «esse» 083 ). E com’egli all’erma quale base reale dell’essere la natura
non peritura della sostanza e la persistente efficienza della forma,
attenendosi in ciò pedissequamente al motto, trasmesso per antica tradizione «
singultire sentitur, universale intelligitur » 6M ), così a lui Gilberto è
guida, anche relativamente alla definizione della natura, e alla forza
plasticadella differenza specifica 686 ): Giovanni anzi si serve persino del
termine « jorma nativa » (cfr. la nota 467); nè parimente manca in lui, come
non manca in alcuno tra i realisti, il concetto di partecipazione 586 ) ;
infine la dicimus significare naturam, vel genus rei suhstantiam. intelligimus
ejus rei, qua e in his omnibus semper esse subsistat.... Quod si apud Graecos
expressam habent dififerenliam lutee, quae Ilio totics inculcata sunt, essendo,
natura, genus, substantia, cam expediri omnium arbitror interesse quamplurimum
[PL, 199. 162-3]. i > 83 ) Metal., IV, 35, p. 193 [204]: Plato quoque eorurn
quae vere sunt et eorum quae non sunl sed esse videntur, dififerenliam docens,
intelligibilia vere esse asseruit.... Unde et eis post essenliam primam reale
competei esse; i. e. firmus certusque status, quem verbum, si proprie, ponilur,
[205] cxprirnil substantivum ; temporalia vero videntur quidem esse, co quod
intelligibilium praetendunt imaginem. Sed appellatione verbi substanlivi non
satis digna sunt quae rum tempore transeunt, ut nunquam in eodem statu
permansavi, sed ut fumus evane scant ; fugiunt enim, ut idem ail in Thimaeo (p.
49 E), noe expeetant uppellutionem .... p. 195 [206]: Ideam vero.... sicut
aelernam audebat dicere, sic coaeternam esse negabal [PI., 199, 938-9]. 6M)
Enthet. Nulla perire potasi substantia, formaque jormae Succedens prohihet,
quod movet, esse nihil. Solis corporeis sensus carnalis inhaeret, Res
incorporcae sub ratione jacent [PL. 199. 987 e 992]. m ) Metal., I, 8, p. 26
[23]: Est autem natura, ut quibusdam placet (evidente allusione a Gilberto: v.
la nota 461), ( licei eam sit dijfinire difiìcile,) vis quaedam genitiva, rebus
omnibus insita, ex qua /arare vel [24] pati pnssunt. Genitiva autem dicitur, eo
quod ipsam res quaeque controllai, a causa suae generalionis, et ab eo quod
cuique est principium existendi.... (p. 27) Sed et unamquamque rem injormans
specifica differenza, aut ab eo est, per quem facta sunt omnia. aut omnino
nichil est. Esto ergo ; sit potens et ejficax vis illa genitiva, indita rebus
originaliter [PL, 199, 835—6]. 686 ) Énthet.. v. 395 ss.: Est idea potens veri
substantia, quae rem stessa concezione della individualità assume una forma
tale, che vi riconosciamo la distinzione di Gilberto tra dividila e individua
587 ). [g) grossolano eclettismo, nella questione degli universali]. Ma, dopo
avere udito Giovanni pronunziarsi in tal maniera, che non lascia adito a
equivoco, abbiamo ragione di maravigliarci che egli, per il fatto che
l’intelligibile non può esser universale, ma può soltanto esser concepito
universalmente, dichiari che quella intorno agli universali è una disputa priva
di oggetto, nella quale si cerca di acchiappare la sostanzialità di un’ombra o di
una nube fuggevole 688 ). Vien ora anche, per quel che riguarda la logica, dato
formalmente congedo a Platone, oltre che ad Agostino e a tutt’ i Platonici, per
far posto ad Aristotele, sia pure con l’aggiunta, a mo’ di consolazione, che la
dottrina di quest’ultimo può ben darsi Quamlibet informat ut Jacit esse, quod
est ; Omne quoti est vcrum, convinci! forma vel actus, Necfalsum clubites, si
quid utroque caret. Forma suo generi quaevis addirla tcnelur Et peragil semper,
quicquid origo jubet; Ergo quod informa nativa constai agilve, Quod natura
mancns in ratione rnonet Esse sui generis, veruni quid dicilur idque Indicai
effectus aut sua forma probat. — Polycr.. Iniplet autem haecvita omnem
creaturam, quia sine ea nulla est substantia creaturae. Omne enim quod est,
eius participatione est id quod est [PL]. Metal. Ergo si genera et species a
Deo non sunt, omnino nichil sunt. Quod si unumquodque eorum ab ipso est, unum piane et idem
bonum est. Sì autem quid unum numero est, protinus et singulare est. Nam quod
quidam unum aliquid dicunt, non quod unum in se. sed quod multa unial expressa
plurium conformitate, articulo praesenti non derogant.... Omnis namque
substantia acciden tium pluralitate numero subest. Accidens autem omne et forma
quaelibet itidem numero subiacet, sed non accidentium aut formarum
participatione, sed singularitate subiecti [PL, 199, 884], Polycr., VII, 12, p.
127 [II, 141]: Sicut in umbra cuiuslibel carpari, frustra solidilatis
substantia quaeritur, sic in his quae intelligibilia sunt dumtaxat et
universaliter concipi nec tamen univcrsaliler esse queunt, solidioris
existentiae substantia nequaquam invenitur. In his aetatem terere nichil agentis et frustra
laborantis est ; nebulae siquidem sunt rerum fugacium et, cum quaeruntur
avidius, citius danese uni [PL che non sia per nulla più vera, ma è comunque
his disciplinis magis accommoda [tale (v. la nota 589) è la espressione di
Giovanni, resa dal Prantl con le parole « fiir die logischen Partien passender
»] sa9 ). Vengon ora pertanto criticati tutti coloro, che nella Isagoge voglion
metterci dentro un modo di vedere ispirato al platonismo, o che in altra
maniera si scostano da Aristotele: e, richiamandosi nel modo più risoluto alla
sentenza aristotelica, che cioè gli universali non hanno per se stessi
esistenza separata, Giovanni respinge a priori qualsiasi teoria che parli di un
essere degli universali stessi 590 ), combattendo così in particolare, da
questo punto di vista, anche la teoria dello status 591 ). Ma se siamo ora
effettivamente curiosi di vedere come si risolva cjuesta contraddizione con le
tesi prima enunciate, il nostro stupore crescerà forse ancora di passo in
passo. Giovanni cioè anzitutto mette pur in prima linea P intellectus, in tal
maniera che, accordandosi quasi 58 B ) Metal., II, 20, p. 112 [115]: Licei
Plato cetum philosophorum grandetti et lam Augustinum quatti alios plures
nostrorum in statuendis ideis habeat assertores, ipsius lanieri dogma in
scrutinio universalium nequaquam sequimur ; eo quoti hic Peripateticorum principem
Aristotilem dogmatis huius principem prafilemur. Ei qui Peri palei ieorutn
libros aggredilur, magis Aristotilis sentendo sequenda est ; forte non quia
verior, sed piane quia his disciplinis magis accommoda 'est [PL, 199, 888], 60
°) Ihitl.. 19, p. 94 [97] : Quasi ab adverso pectentes (cioè i commentatori
della Isagoge), veniunt contro menlem auctoris et, ut Aristoliles planior sit,
Platonis sententiam docent aut erroneam opinionem, quae aequo errore deviai a
sententia. Aristotilis et Platonis; siquidem omnes Aristotilem profilentur. 20,
p. 94: Porro hic genera et species non esse, sed intelligi tantum asseruit
(Anni, post., I, 22 e 11: v. la Sez. Ili, nota 66, e la Sez. IV, nota 373)
....(p. 95) Ergo si Aristotiles verus est. qui eis esse tollit. inanis est
opera praecedentis investigationis.... [98] Quare [oul] ab Aristotele
recedendum est, concedendo ut universalia sint [oul....] [PL], e via dicendo.
B91 ) Ibid., 20, p. 102 s. [106]: Sed esto ut statimi aliquem generalem
appellativa significent,... status ille quid sit, in quo singola uniuntur, et
nichil singulorum est, etsi aliquo modo somniare possim ; lamen quotando
sententiae Aristotilis coaptetur. qui universalia non esse conlendit, non
perspicuum habeo [PL, parola per parola con l’autore dello scritto De
intellectibus, non soltanto dà rilievo all’ intellectus coniungens et
disiungens, e in priino luogo principalmente alla forza dell’astrazione (
intellectus absirahens: v. la nota 432), — ma, respingendo anche la obiezione
che 1 intellectus abstrahcus sia illegittimo ( cassus : v. la nota 429),
rivendica all’ intellectus la facoltà di considerar le cose, altrimenti da quel
che sono in concreto (v. le note 432 s.): e con ciò designa l’astrazione, quale
condizione fondamentale di tutta la tecnica dell’intelletto : a tal proposito,
mentre si trova d’accordo con Gilberto (abstractim attendere: v. la nota 464),
va facendo uso altresì di espressioni che abbiamo trovate adottate dai
rappresentanti della teoria della indifferenza ( generaliter intueri, diverso
modo attendere: v. [per una terminologia analoga] le note 133 e 13/), e nello
stesso tempo viene a trovarsi ancora d’accordo, nel concetto del raccogliere le
somiglianze (v. le note 162 s.), con l’autore dello scritto De genenbus et
speciebus: anzi, con la risèrva che si tratta qui soltanto della facoltà
intellettiva subbiettiva, e che obbiettivamente nella natura gli universali non
esistono, si serve persino di quello, ch’era il ter min e invalso nella teoria,
da lui combattuta, dello status (v la nota 132) S92 ). ’*-) limi., 20, p. 95
[98]: Nec verendum ut cassus sii intellectus, qui ea percepent scorsimi a
singularibus, cum lumen a singularibus seorsum esse non possint. Intellectus
enim quandoque rem simpliciter tntuetur, velut si hominem per se intucatur...;
quandoque gradalim suis inceda passibus, ut si hominem albore.... contemplelur.
Et hic quidem dicitur esse compositus. Porro simplex rem interdum inspicit ut
est, ut si Platonem attendai, interdum alio modo ; nunc enim componendo quae
non sunt composita, nunc abstrahendo quae non possunt esse distancta. Ceterum
componens, qui disiuncta coniungit (l’esempio è HIRCOCERVVS [oltre che
centaurus]), inanis est ; abstra hens vero fidelis, et quasi quaedam officina
omnium artium. Et quiocm rebus
existendi unus est modus, quem scilicel natura conlulil, sed easdem
intelligendi aut significatali non unus est modus. Licet enim esse nequeat homo qui non sit iste vel
alias homo, intelligi tamen potest et significari. Ergo ad significationem
incomplexorum per abstra -Se così, in una variata scelta di motivi, ricavati
dalle opinioni di altri autori, si vedon convergere diversi fili, a formar la
concezione della operazione subbiettiva delT intelletto, deve ora riuscirci
inaspettato che a ciò si ricolleghi da capo il realismo di Gilberto: la
dottrina, cioè, secondo la quale la incorporeità qualifica gli universali
soltanto negativamente, laddove, rispetto al loro fondamento positivo, questi
debbono, come in generale tutte le cose, esser messi in relazione di dipendenza
da Dio; ma Dio ha creato la materia formata, vale a dire che tutte quante le
forme, sicno sostanziali sieno accidentali (v. questo punto in Gilberto, alle
precedenti note 461 s.), hanno da Dio il loro essere e la loro efficienza, e
così nell'atto onde sono state espresse le cose, ha predominato un riguardo ai
concetti delle specie, concetti che pertanto il cultore della logica non può
tener separati da Dio, ma in virtù dei quali « le cose son venute fuori [ma
Prantl rende « prodierunt » con « eingiengen»] dapprima nella loro propria
essenza, e appresso nell’intelletto umano» 593 ). In seguito a tale cauhentem
inteUectum genera concipianlur el species ; qaae tamen, si quis in rerum natura
dùigentius a sensibilibus remota quaerat, nichil aget et frustra laborabil;
nichil cnim tale natura peperit. Ratio autem ea deprehendil, substantialem
simililudinem rerum differentium perirnetans apud se. — Polycr., II, 18, p. 96
[I, 103]: InteUectus.... nunc quidem res ut sunt, nunc aliter imudar, nunc
simpliciter, nunc composite, mine disiuncta coniungit, nunc coniuncta
distroihil et disiungii. Si abstrahentem tuleris inteUectum, liberalium arliurn
officina peribit.... Sic hominem intellectus attingit, ut ad neminem hominem
aspectus illius descendat, generaliter intuens, quod non nisi singulariter esse
potest. Dum itaque rerum similitudines et dissimilitudines colligit, dum
differentium convenientias el convenientium dijfcrentias altius perscrutata,
multos apud se rerum invenit status, alios quidem universales, alias singulares
[PL]. Metal.: Sed et nomina, quae proemisi,,.incorporeum“ et insensibile “,
universalibus convenire, privativa in eis dumtaxat sunt, nec proprietates
aliquas, quibus natura universalium discernatur, illis attribuunt ; siquidem
nichil incorporeum aut insensibile universale est.... Quid est autem
incorporeum quod non sit substantia creata a Deo vel ipsi concretum ? Valeanl
autem, immo salita mistica di quella clic Gilberto aveva chiamata forma
sostanziale, Giovanni ora può dire che la sostanzialità degli universali è
vera, soltanto riguardo alla causa cognitionis, e in pari tempo riguardo al
generarsi delle cose (natura), perchè ciascun ente, secondo ch’è situato a un
grado più basso nella Tabula logica, ha bisogno, per il suo proprio essere ed
essere pensato, di un altro ente, che si trovi rispettivamente a un grado più
alto; ma d’altra parte gli universali non hanno un essere, nè come corpi, nè
come spiriti, nè come individui). Cosi dunque Giovanni, mentre segue Gilberto,
crede di poter in pari tempo essere un aristotelico, e come ritiene di sfuggire
a quella non necessaria duplicazione di sostanze, ch’è una conseguenza della
concezione platonica), cosi dice nella maniera dispereant univcrsalia, si ei
obnoxia non sunt. Omnia per ipsum farla sunl, inique lam subiecta formarum quam
formae subiectorum.... Formae quoque, tam substantiales quam accidentales, habenl ab ipso ut sinl
et ut suos subiectis operentur effectus. Quod itaque ei obnoxium non est,
omnino nichil est. Ut enim ait Auguslinus, formatam creavit Deus materinm.... Eo
spectat illud fìoetii in primo de Trinitate,.omne esse ex forma esl“ CuiUbet
ergo esse quod est, aul quale aut quantum est, a forma est. fundamenta iecit
Deus; et in ipsa expressione rerum habita est mentio specierum. Non illarum dico, quas logici fìngunt non obnoxias
creatori ; sed formarum in quibus res pròdierunl primo in essentiam suam, et in
liumanum deinde intelleclum. Nam hoc ipsum quod aliquid coelum aut terra
dicitur, formae. effectus est [PL]. Quod autern univcrsalia dicuntur esse
substantialia singularibus, ad causam cognitionis referendum est singulariumque
naturam (analogamente lo Scoto Eriugcna aveva, riferendosi agli universali,
fatto uso dell’espressioni causaliter ed effectualiler); hoc enim in singulis
patet. siquidem inferiora sine superioribus nec esse nec intelligi possunt....
Quia ergo tale exigit tale, et non exigitur a tali, tam ad essentiam quam ad
notitiam, ideo hoc illi substantiale dicitur esse. Idem est in individuis, quae
exigunt species et genera, sed nequaquam exiguntur ab eis.... Universalia tamen
et res dicuntur esse, et plerumque simpliciter esse ; sed non ob hoc aut moles
corporum aut subtilitas spirituum aut singularium discreta essentia in eis
attendendo est [PL]: Itaque detur ut sint univcrsalia, aut etiam ut res sint,
si hoc pertinacibus placet ; non tamen ob hoc rerum erit più esplicita che gli
universali — i quali stanno a fondamento delle cose, non diversamente dal modo
in cui il piano detrazione, che è incorporeo, sta a fondamento delle azioni,
che sono invece sensibilmente percettibili, — li troviamo appunto,
esclusivamente, soltanto nelle cose singole, le quali ultime si presentano
visibilmente come ex empia, in cui gli stessi universali si fanno manifesti:
Giovanni cioè risolutamente rappresenta — e su questo punto è il primo, ad
assumere tale atteggiamento — la concezione degli « universalia in re», e
persino combatte la dottrina platonica degli « universalia ante rem », perchè
fuori dal singolo non c’è universale 596 ). Ma poiché, in questa sua posizione,
gli sta sempre dinanzi il concetto che ha Gilberto della forma sostanziale, è
naturale che si attenga a quei passi di Aristotele, dove il concetto di genere
e il concetto di specie vengono designati come qualche cosa di qualitativo 597
). rerum numerum aligeri vel minai prò eo, quoti iuta non sunl in numero' rerum
[PL], C ' J6 ) Ihid. : Nirli il au tem universale est, nisi quoti in
singularibus invenitur.... Nec moveat quoti singularia et corporea exempla sunl
universalium et incorporalium ; cttm omnis ratio gerendi... incorporea sit et
insensibile, illud tamen quoti geritur, et actus quo geritur, plerumqite
sensibilis sit (anche ciò fa tornare a mente il significato che lo Scolo
Eriugena ripone nel termine,,agcre“. Habita tamen ratione aequivocationis. qua
ens vel esse distinguitur prò diversilate subiectorum, species et genera
utrumqite non sine ratione esse dicuntur. Persuadet enitn ratio ut ea dicantur
esse, quorum exempla conspiciuntur in singularibus, quae nullus ambigli esse.
Non autem sic dicuntur genera et species exemplaria sitigli lorttm, ut. iuxta
Platonicidogmalis sensum, formae sint exemplares, quae in mente divina
intelligibiliter constiterint, antequam prodirent in corporei (questo è il
passo di Prisciano. già cit. nella nota 263); sed quotiiam, si quis eius quod
communiter concipitur, audito hoc nomine ..homo", aut quod dijjinitur,
cttm dicitur ..homo esse animai rationale mortale l % quaerat exemplum, slalim
ei Plato aliusve hominum singulorum oslenditur. ut communiter significantis aut
dìffinientis ratio solidelur [l’L, 199, 879 e 885-6]. ia, ) : /lem Aristotiles
: Genera, inquit, et species circa substantiam qualitatem determinanl
(Cai.).... Item in Elenchis (in Boezio [PL], con una traduzione che alquanto si
scosta dal testo: v. soIn queste forme qualificanti scorge la « mano
[dell’Artefice] della natura», che ha dato alle cose la veste delle forme,
perchè l’uomo le possa più facilmente comprendere: e perciò si presenta ora con
il più spiccato rilievo la prima substantia di Aristotele, cioè l’individuo,
movendo dal quale l’intelletto da sè solo si eleva, in linea ascendente — per
mezzo della uguaglianza di forma che accomuna i singoli ( conjormitas : v.
questo concetto in Gilberto) sino alla
universalità dei concetti di specie e di genere): e come Giovanni si ritrova su
questo punto ancora in accordo con la teoria della indifferenza, così adopera
anche a tal riguardo persino la espressione» conjormis status» 599 ). A pra la
nota 34):,,/Jomo et omne commune non hoc aliquid, sed quale quid, (rei) ad
aliquid vel aliquo modo vel huiusmodi quid significai". Et post paura :
„Manifestum quoniam non dandum hoc aliquid esse quod communiter praedicalur de
omnibus, sed aut quale aut ad aliquid aut quantum aut talium quid
significare". Profecto quod non est hoc aliquid, significatione espressa
non potest explanari quid sii [PL]. 69S ) Polycr., II, 18, p. 98 [I, 105]: Et
primo substantiam, quae omnibus subest, acutius intuetur (se. intellectus), in
qua manus naturae probalur artificis, dum cam variis proprietatibus et formis
quasi suis quibusdam vestibus induit et suis sensuum perceplibilibus informat,
quo possit aptius humano ingenio comprehendi. Quod igitur sensus percipit,
formisque subiectum est, singularis et prima substantia est. Id vero sine quo
illa nec esse nec inlclligi potest, ei substantiale est, et plerumque secunda
substantia nominatur.... Universale, si, licei non natura, conformitate tamen
sii commune multorum. Quod forte facilius in intellectu quam in natura rerum
poterit inveniri, in quo genera et species, dijferenlias, propria et
accidentia, quae universaliter dicuntur, planum est invenire, cum in actu rerum
subsistentiam universalium quaerere exiguus fructus sii et labor infinitus, in
mente vero Militar et faciliime reperiuntur. Si cnim rerum solo numero differen'.ium substantialem
similitudinem quis mente pertractet, speciem tenel; si vero etiam specie
differentium convenientia menti occurrat, generis lalitudo mente diffunditur.
Denique dum rerum, quas natura substanlialiter vel accidenlaliter assimilavit,
conformitatem percipit intellectus, in universalium comprehensionc movetur. Numquid
abstrahens intellectus, dum haec agit, otiosus est aut inutilis, per quem
animus honestarum artium gradibus ad thronum consummatae philosophiae
consccndit? [PL]. Enthet. Est individuum, quicquid natura creavit, Conformisque
status est ralionis opus : Si quis Arislotelem primum questo modo la
uguaglianza delle cose tra loro, riguardo alla forma, viene messa in connessione
immediata con la inlellectus communitas (communiter intelligi) ), ma gli
universali stessi vengono, come tali, trasferiti puramente nel modus
intelligendi (e ciò è in armonia anche con la teoria della maneries), sì
ch’essi vengono denominati parole « figurali», e appartenenti esclusivamente
alla « dottrina » (di figura locutionis avevano parlato anche i nominalisti: v.
la nota), o, in una parola, « jigmenta », che, con le cose singole, si trovano
nella relazione scambievole di mostrare e di essere mostrati, e però han potuto
da Aristotele esser acconciamente denominati « monstra » (monstrare) concetto
indeterminato di notio. Ma questo modo di considerare gli universali è ora in
verità così elastico, che nel concetto di« figmentum» Giovanni ci può trasportare
anche l’apprendimento, per parte dell’ intelletto, non censet liabendum, Non
reddit merilis proemia digita sttis [PL], Melai. Ergo quod mcns communiter
inteìligil et od qingularia multa aeque perlinet, quod vox communiter
significai et acque de mullis ve rum est, indubitanter universale est. Secundum
intellectum illuni deliberari palesi de re subiecta, i. e. actualiter
exemplificari, ob inlellectus communitatem ; res, quae sic intelligi potest,
etsi a nullo intclligalur, dicitur esse communis ; res enim conjormes sibi
sunt, ipsamque conjormilatem deducta rerum cogitatione perpendit inlellectus
[PL]. Ergo dumlaxat intelligunlur, secundum Aristotilem, universalia ; sed in
actu rerum nichil est quod sii universale. A modo enim intelligendi figuralia haec, licenter
quidem et doctrinaliter. nomina indila sunt. Ergo ex sententia Aristotilis
genera et spccies non omnino quid sunt sed quale quid quodammodo concipiuntur ;
et quasi quaedam sunt figmenla rationis, seipsnm in rerum inquisilione et
doctrina suhtilius exercentis.... [112] Possunt et monstra dici (si riferisce
al noto passo antiplatonico di Aristotele: vedilo qui più sopra, nota 31),
quoniam invicem res singulas mon.siranf, et monstrantur ab eis. Ea vero quae
intelligunlur a singularibus abstracta,.... animi figmenla sunt.... quae ex
conformitale singularium intellectu non casso concipiuntur [PL]. dei modelli
originari (exempiano), che misticamente esercitano il loro influsso, dalle cose
(exempla), sopra l’anima: a tal proposito enuncia con sufficiente chiarezza il
suo sincretismo eclettico, qualificando,
oltre che far uso di quell’espressioni d’intonazione nominalistica —,
gli universali come prodotti psicologici (phantasiae, termine che ricorda lo
Scoto Eriugena: v. appresso la nota 613 [per altre reminiscenze delle dottrine
doU’Eriugena]), ma a ciò collegando nel medesimo tempo la concezione
stoicociceroniana, secondo la quale gli universali stessi sono concetti
subbiettivi (svvoiou, notiones); e inoltre egli passa ancora, in modo molto
manifesto, rasente al platonismo, o per lo meno va d’accordo con Gilberto, in
quanto che anche da lui gli universali son tenuti in conto d’ imagini di una
originaria purezza ideale, tralucenti dalle somiglianze delle cose singole: con
ciò si trova infine ancora commisto l’aristotelismo, poiché queste figurazioni
fantastiche non possiedono già una esistenza separata dalle cose singole,
bensì, quando si volesse così afferrarle, si dileguano come ombre o come
imagini di sogno). Se ora sembra che non sia effettivamente possibile
accumulare, una sull’altra. 602) lbid.. II, 20, p. 96 [99]: Sunt itaque genera
et species nor. quidem res a singularibus aclu et naturaliter alienae, sei!
quaedam nottiralium et aclualium phantasiae (anche questo termine si trova
parimente — cfr. [per la concezione di Giovanni degli universalia in re, nella
sua relazione con quella dello Scoto Eriugena] le note 594 c 596 — nello
Scoto.Eriugena: v. la Sez. XIII, nota 125) renitentes in intellectum, de
similitudine aclualium. tamquam in speculo, nativae puritatis ipsius animar,
quas Gracci ennoyas [evvoia;] sire yconayfanas [elxovo22 ) Policr.: Sic et
geometrae primo petinones quasdam quasi totius artis iaciunt fondamento, deinde
commanes animi conceptiones adiciunl et sic quasi acie ordinala ad ea quae stb,
sunt demonstranda procedunt [PL ch’è stata colmata dagli studiosi venuti più
tardi, ma anche riguardo ai sillogismi consistenti in combinazioni di giudizi
categorici con giudizi di necessità e di possibilità (Sez. IV, note 558 ss.),
dice che essi non sono esposti da Aristotele in maniera esauriente: e pertanto
rimane qui ancora aperto ad altri il campo a un’attività, la quale tuttavia,
sussistendo il bisogno pratico di così fatte forme di ragionamento, dovrà
fornire. per sodisfarlo, mezzi che sieno, dal punto di vista pratico, più
convenienti) e queste sono ehiaccbieie, per le quali, anche dal canto suo, egli
stesso sembra dover pretendere quella benigna interpretatio, di cui s’è fatto
cenno più sopra. Similmente Giovanni si pronunzia circa i sillogismi ipotetici,
da Aristotele lasciati forse intenzionalmente da parte, a causa della loro
difficoltà; tuttavia, oltre a un accenno a questi sillogismi, che si trova già
nella Topica, è stato in particolare un certo passo degli Analitici. che ha
determinato Boezio e altri a colmare la lacuna, sebbene neanche per opera loro
sia stata ancora raggiunta la vera compiutezza 624 ). Che Giovanni anche 623)
Metnl.. IV, 4, p. 160 [168]: Trium figurarum subnectil rationes (se.
Aristotiles) et qui modi in singulis figuri* ex complexione extremitatum
provenirmi docci : data quidem semente rationis eorum quos, sicul Boetius
asserii (il passo è stato citato più sopra, Sez. V, nota 46), Theofrastus et
Eudcmus addiderunt. Deinde habita modalium ratione transil ad commixtiones quae
de necessario sunl aul contingenti cum his quae sunl de inesse.... A ec tamen
dico ipsum Aristotilem alicubi, quod legerim, nisi forte quod ad propositum, de
modalibus sujficienler egisse ; sed procedendi de omnibus fidelissimam
scientiam trudidit. Exposilores vero divinae paghine rationem modorum
pernecessariam esse dicunt. Et prof celo licei nullus modos omnes, unde modale
s dicuntur, singulatim enumerare sufficiat. quod quidem ncc ars exigit, tamen
magistri scolarum inde commodissime disputali t. et, ut pace multitudinis
loquar, Aristotile ipso commodius [PL] Dialecticam et apodicticam.... prue
cedentia docent ; in his tamen de ipoteticis syllogismis nichil aut parum est
actitatum, Seminarium tamen datum est ab Aristotile, ut et istuc per industriam
aliorum possit esse processus. Cum cairn tam probabilium quam necessariorum
loci monstrati siili, ostensum est quid ex quo sequilur probabiliter aut
necessario. Quod quidem ad vpoteticarum negli Analitici avesse dinanzi agli
ocelli soltanto lo scopo pratico dell’argomentazione, è manifesto dove fa
menzione così della pelino principii B2S ), come pure di alcuni altri momenti
della tecnica, tra cui il procedimento della controprova, per il quale sceglie
il termine « catasyllogismus » «»). Dagli Analitici secondi lia potuto
attingere la conoscenza dei così detti quattro principii aristotelici 6 “'), e
aneli egli è stato inoltre portato a entrare nelle questioni di teoria della
conoscenza, che tuttavia discute assai peggio che non l’autore dello scritto De
intellectibus (note 418 ss.), perchè a un esordio, d’intonazione ancora
abbastanza aristotelica, concernente la percezione sensibile, la fantasia e la
opinione, fa seimUcinm maxime special.... Praeterea Boetius (De syll.
hypothetico ( 1. IL, 01 . 836], p. 609) hoc prò seminio inveniendorum dicit
acceptum quod Aristotile$ ait in Analeticis (v. sopra la nota 522): ..Idem cum
su et non SI', non neresse est idem esse." Ergo ipse et olii (v. la Sez.
XII nota 139) aliquatenus suppleverunt imperfectum Aristotilis in line . parte;
seti quidem, ut michi visum est, imperjecte (sino a qual punto ‘,‘Zn r:r oss I
er ': azione sia v. Md., note 155 e imi [188],Sea forte ab Aristotile de
industria relictus est hic lahor. co quòd plus difficultatis quam utilUatis
videtur habere libcr illius qui dilLenttssime scnpsit. Prof ceto si hunc
Aristotiles more suo exequerelur, vensimile est tantae difficultatis fare
librum ut praeter Sibillam inlelligat nomo. Nec tamen hic de ypotelicis satis
arbitrar expeditum, sudP ien ^ nia vero scolorimi perutilia et necessaria sunt
[PI,. 199 928-01 nota 62BW 5 ' P | 161 t 1 . 7 ?] 1, Adicit (-inai. pr.. II,
16: v. la Sez. IV\ nota 628) et regulampetitwnis principii, quae speculatio tam
demonstraton quam diabetico satis accommodata est ; licei hic probabilitale
gaiiaeat* tue verUatem aumtaxat amplectatur. PL. Segui tur de causa falsae
conclusioni, et catasillogismi (cosi è anche intitolato effettivamente nella
traduzione di Boezio, p. 516 [cap. XX „De falsa ratiocinalione. catasyllogismo
iZlZTu l Z l '° ne ì e l e ' en rt° : PL 64 ’ 7 ° 51 ’ 11 ri8 P««ivo capitolo
AnaL pr II, 19. v. la Sez. IV, nota 631) et elenchi et de fallacia secundum
opinionem (ibid. : nota 634 s.) et de conver sione medi! et extremerum (ibid.,
nota 636 s.), cuius tamen tota utili tas longe commodius tradi potest [PL, 199,
919], w ') Enthct., v. 375 ss. [PL. 199, 973]: Quatuor ista solerei laudem
praeslare creatis : Subjectum, species, artificisque manus. Finis item cunclis
qui nomina rebus adaptat. Arist. Anal. post., II, 11: v la’ Sez. IV, nota 696.
Era pertanto affatto inutile che si mettesse in librila SS U " a
COnOSCenZa ’ P" ài Giovanni, dei guito subito il concetto ciceroniano di
prudenza pratica, al quale viene appresso la concezione platonica della rado i,
per metter capo infine alla sapientia, intesa in senso teologico, come ultima
meta 628 ). Parimente, come tratto dalla conoscenza dei Sopii. Elenchi, posti
da Giovanni a conchiusione dell’Organon aristotelico, potrebbe tutt’al più
essere degno di ricordo il termine « reluclatorius [eluctatorius : v. la nota]
syllogismus), e così pure, come ricavata dairàmbito degli scritti di Boezio, la
menzione delle quindici specie di definizione (v. la Sez. XII, nota 107); e qui
la lettura superficiale del libro di Boezio ha indotto Giovanni a ritenere che
Cicerone abbia composto anche lui uno scritto De definidone 63 °). 6as ) Melai.: Cum sensus
secundum Aristotilem ( Anal. post.) sit naturalis potenlia indicativa rerum,
aut omnino non est aut vix est cognitio, deficiente sensu.... p. 166: Aristotiles
autem sensum potius vim animae asserii quarti corporis passioncm. Imaginatio
itaque a radice sensi!um per memoria’ fomitem oritur. Primum enim iudicium
viget in sensu.... Secundum vero imaginationis est; ut cum aliquid perceptorum.
relenta imagine, tale vel tale asserii, de fiuturo iudicans vel remoto. Hoc autem alterutrius iudicium opinio appellalur
(così in Boezio si trova tradotto il termine Só^a: v. sopra la nota 19; invece
per existimatio v. la nota 423). — 12, p. 169: Prudentia autem pst, ut ait
Cicero, virtus animae, quae in inquisitione et perspicientia sollertiaque veri
versatur. Inde est quod maiores prudentiam vel scientiam ad temporalium et
sensibilium notiliam retulerint : ad spiritualium vero, intellectum vel
sapienliam. Nam de humanis
scientia, de divinis sapienlia dici solet. Ergo et potenlia et potentine motus
ratio appellatur. Ilunc autem motum asserii Plato in
Politia vim esse deliberativam animae ctc. Sapendo vero sequitur intellectum,
co quod divina de his rebus quas ratio discutit, intellectus excerpsit, suavem
habenl gusta ni et in amorem suum animas intelligentes accendunt [PL, 199:
921-3, 925, 927], 629 ) Ibid., IV, 23, p. 180 [ed. Webb]: Sicut enim
dialecticus elencho, quem nos eluctalorium dicimus sillogismum, eo quod contradiclionis
est,.... utitur ctc. [PL, 199, 930]. — Cfr. Polycr., II, 27, p. 145 [ed. Webb,
I, p. 153; PL, 199, 467], dove, sotto il nome [di syllogismus] „cornutus“,
viene messo in opera un dilemma. oso) Vietai., Ili, 8, p. 141 [147]: Sumpserunt
hinc (cioè da Arist., Top. VI) doctrinae suae primardio Marius Victorinus et
Boelius cum Cicerone, qui singuli libros dififinitionum cdiderunt. Illi quidem
difi . — Alano da Lilla], Mostra qualche
affinità con Giovanni da Salisbury, nei riguardi della ontologia teologica.
Alano da Lilla [ab Insulis], scrittore tanto scipito quanto affettato (morto
intorno al 1200 [circa nel 1203]), a entrambi servendo da comune punto di
partenza, circa tali questioni, la concezione di Gilbert de la Porrée. Alano
tuttavia non ba trovato che valesse la pena di prender in considerazione,
neanche a quella maniera che ci si fa manifesta in Gilberto o magari anche in
Giovanni, il valore di questa ontologia dal punto di vista della logica,
dovendo, in ordine a quella, rimanere riservato ai teologi il compito di
giudicare o apprezzare: bensì ba assunto, nell’ampolloso suo poema «
A/iticlaiidianus », rispetto alla logica, il punto di vista della dottrina
scolastica piu volgarmente ordinaria, che ancb egli ha in buon conto, solamente
come mezzo di argomentazione per la battaglia contro gli eretici). Facendo
comparire, analogamente a Marciano Capella, le sette arti quali figure
simboliche, egli, dopo che per prima è stata introdotta la grammatica,
rappresenta, in secondo luogo, la logica come una vergine estremamente
industriosa e solerte, nel cui volto scolorito si scorgono solamente pelle e
ossa, sicché vi si riconoscono le conseguenze delle veglie trascorse
nell’applicazione allo studio 63 -); enumera poi i suoi doni, ch’essa reca con
sé finicndi nomen usque ad quindecim species dilataverunl, describcndi modns
dijfinitionis vocabulo subponentes ; hiiic vero de substanliali praecipue cura
est fPL, 199, 906] (v. la fonte di questo errore alla Sez. XII. note 103 c
106). Anticlaud. (Alani Opp., ed. C. de Visch, Anversa [PL]: Succedit Logicae
virlus arguta, Haec docet argutum JMartem ralionis mire, Adversae parti
concludere, frangere vires Oppositas, parlenupie su ani ratione Uteri :
Eestigare fugarti veri, falsumque fugare, Schismaticos logicce, falsosque
retundere fratres. Et pseudologicos et denudare sophislas [testo cit. secondo
la ediz Wright: Dist. VII, eap. VI, 1 ss.]. 6 ‘-) [PL]: Latius inquirens,
sollers, studiosa, laborans. Virgo secando starlet, intrat penetralia mentis,
Sollicitatque manum, mentem manus excitat, urget Ingenium.... Et decor nella
battaglia per la verità, e tra essi precisamente nomina anzitutto la topica,
con le sue maximae propositiones, a questa intrecciando la sillogistica, come
pure la induzione e Vexemplum: seguono poi la definizione, con inclusa la
descrizione, e la divisione del genere nelle specie, come pure del lutto nelle
parti, e inoltre il ricostituirsi della connessione tra i membri così
differenziati: tutte funzioni, queste, con le quali la logica agisce quale
strumento o chiave della verità, come pure quale arma per tutte le altre arti).
Finalmente Alano, enumerando gli scrittori di logica, esalta Porfirio come un
secondo Edipo, critica Aristotele, per la confusione di parole che ha
introdotta, onde la logica è stata novamente oscurata e velata : ma dopo di lui
è venuto Boezio a riportare nel tutto, luce e ordine). e t species afilasset
virginia arlus, Sicul praesignis membrorum disseril orda. Ni facies quadam macie, respersa
iacerel. Vallai eam macies, macie vallata profunde Su lisi del. et nudis culis
ossibus arida nubit. Ilaec habitu . gesta, macie, pallore, figurai Insomnes
animi motus, vigilemque Minervam Praedicat, et secum vigiles vigilasse lucernas
[Dist.]. [PL]: Monslrat elenchorum pugnas, logicaeque duellum : Qualiter
ancipiti gladii mucrone coruscans Vis logicae veri facie tunicata recidit
Falsa, negane falsum veri latitare sub umbra.... Quid locus in logica dicalur
quidve localis Congruitas, quid causa loci, quid maxima, quid sitVis argumenli,
mattana a fonte locali, C.ur argumentum firmeI locus, armet elenchum Maxima,
quae vires proprias largitur elencho. Cur ligel extremos medius mediator eorum
Terminus, et firmo confibulel omnia nexu...., Qualiter usurpans vires et robur
elenchi Singula percurrit inductio, colligit omne.... Qualiter excmplum de se
paril.... Quomodo diffinit, parlitur, colligit, unii Singula, quaegremio
complectitur illa capaci. Quomodo res pingens descriptio claudit easdem, Nec
sinit in varios descriptio currere vultus. Quid genus in species divisum
separai, aut quid Dividit in partes totum, rursusque renodal, Quae sunt sparsa
prius, divisaque cogil in unum. Qualiter
urs logicae tanquam via, janua, clavis, Ostendil, reserat, aperii secreta
sophiae. Qualiter arma gerii, et in omni militai arte [PL]: Auctores logicae,
quos donai fama perenni Vita, recole.ns defu nctos suscitai orbi. [Illic
Porphyrius directo tramite pontem Dirigit, et monstrat callem quo lector
abyssum latrai Aristotilis, penetrane penetralia libri.] Illic Porphyrius
arcana Passaggio alla letteratura]. Eccoci giunti così al limite del XII 0 e
del XIII° secolo, limite caratterizzato anche dal fatto, che proprio in quel
momento da varie parti è stato recato all’Occidente latino materiale nuovo : la
considerazione di questo deve formare l'oggetto delle due prossime Sezioni,
perchè sia poi possibile distesamente illustrare i vasti effetti di questo
materiale nuovo che ha da sopraggiungere. Per quanto si attiene al progresso
della storia della civiltà, è un fatto che la nostra ricerca, sino al punto a
cui Pabbiamo condotta, non ci ha davvero presentato punti di vista, i quali ci
dian motivo a rallegrarci. Ci siamo sì fatti passare dinanzi multa, ma
certamente non multum. Anzi, persino la conoscenza che un poco per volta si
ridesta, delle principali opere aristoteliche, non è stata feconda di frutti
che meritino di essere ricordati: e al posto di un modo veramente filosofico d’
intendere la logica, quale avrebbe potuto essere determinato dallo studio di
Aristotele, sembrò infine volersi ancora far valere, più che mai di gusto, P
impulso alla retorica pratica. E anche le Sezioni che seguiranno più tardi, ci
faranno, pure in un’epoca in cui uno spirito nuovo spezza le catene della tradizione
e dell’autorità esteriore, assistere, nel campo della logica, solamente a una
ripetizione intensificata di questo giuoco della storia, onde la logica,
frammezzo a molte diverse concezioni, continua sempre a esser di nuovo cacciata
via da una base intimamente filosofica. resolvit, ut alter Aedipodes nostri
solvens aenigmata sphingos, Verborum turbator adest, et turbine multos Turbai
Aristotiles noster gaudelque Intere. Sic logica tractat, ut non tractasse
videtur ; Non quod oberret in hoc, scd quod velamine verbi Omnia sic velai,
Quod vix labor ista revelet.... In lucem tenebrosa rejert, nova ducit in usum,
Exusalque 1 rapo s, in normam schema reducit, Exerit ambiguum Severinus ; quo
duce linquens Natalem linguam nostri, peregrinai in usum Sermonis logicar
virlus, ditatque Latinum. Abbone da Orléans Abelardo abstractio Adalberone
Adamo dal Petit-Pont Adelardo da Balli udjticcnler, adjacentia aequi pollentia
Alano da Lilla Alberico Alberico da Monle Cassino Alcuino Anonimo, De gener. et
specieb. De intellectibus De
interprete De unii, et uno San gali. De p<irt. Loicae SangaU. De syllog., 115 Anselmo d’AOSTA (si veda) Anseimo il
Peripatetico Anlepraedicamenta antiqui antiqui e moderni Aristotele (nuove
traduzioni di) Arnolfo da Laon Asino (Prova dell’) Bartolomeo Berengario Questo
Elenco è mantenuto ei eli'erano stati segnati dai Franti (N. Bernardo da
Chartres Bernardo da Chiaravalle Bernhard da Hildesbeim, 93. Borgognone da PISA
(si veda) calasyllogismus Categorie colligere concepito conceptus communes conformilas
consimilitudo contingens c possibile copida Cornifieio Costantino Cartaginese
[note] Damiani Davide da Hirsebau Definizione Differenza, v. Porfirio Diritto
(Scienza del), v. Giurisprudenza dividenlia dividuum Drogone da Troyes
eloquentiu eloquentia peripatetica Erico da Auxerre forma subslantialis formae
nativae Formularii ìtro gli stessi limiti, molto ristretti (I. J'.) Francone da
Liegi Fredegiso Fulberto da Charlrcs Gannendo Caunilone Gauslenus da Soissons
Genere (Concetto di), v. Universali Gerberto Giacomo da Venezia Gilbert de la
Porrée Giovanili da Gorze Giovanni da Saiisbury Giovanni Scoto Eriugena
Giovanni Serio Giselberto da Reims Giudizio Giurisprudenza Gualtiero Mapes, v.
Mapes Gualtiero da Mortagne Gualtiero da S. Vittore [nota] Gualtiero da Spira
Guglielmo da Champeaux Guglielmo da Conches Guglielmo da llirscliau Gunzone
ITALO (si veda) Uraliano Mauro identitas Jepa indifferentia Indifferenza
(Dottrina della) individualiter inesse informare Intellettualismo inlelleclus
intellcclus conceptus intellectus coniungens e dividens Josccllinus da
Soissons, v. Gauslcnus Irnerio Isidoro da Siviglia Lanfranco Logica, vecchia e
nuova, v. antiqui c moderni maneries Manerius Mapes malerialite.r imposila
materialum modulis moderni moderni e antiqui, v. antiqui e moderni monstra,
Nominalismo Nominalismo e realismo nominaliter notio Notker Labeone Oddone do
Candirai Onorio da Autun Otloli da Ratisbona Ottone da Cluny Ottone da Freising
Papia Parte (Concetto di) perihermeniae Pietro LOMBARDO (si veda) Pietro da
Poitiers Plutonici Poppone Porfirio (Isagoge di) possibile e conlingens, v.
contingens e possibile postpraedicamenta praedicamentalis praedicari praedicari
in quid [nota] proprium, v. Universali Pscudo-Abclardo Pseudo-Boczio, De Trin.
Pseudo-Boezio, De unii, et uno Pseudo-Erico Pseudo-Hrabano Rainibcrto da Lilla
rntionale Realismo Realismo e nominalismo, v. Nominalismo e realismo Reginaldo
Reinhard da Wiirzburg Remigio da Auxerre res de re non praedicalur Rhahano
Mauro, v. Hrahano Roberto Amiclas Roberto da Melun Roberto da Parigi Roberto
Pulleyn Roscelino Salomone (Glossario di) S. Gallo Scoto Eriugcna, v. Giovanni
S. E. Sensismo aerino sermocinalis Sertoriu9 sex principia significatimi
Sillogismi' (Teoria dei) Sillogismi ipotetici Silvestro li, v. Gerberto Simeone
speries, v. Universali status sumplum syllogismi imperfccti syncalegoreumata
Tendenze contrastanti Teologia Topica Ugo di S. Vittore Ugucrione universale
intelligitur, singultire sentitur Universali (Disputa intorno agli), v.
Tendenze contrastanti Universali in re vcrbaliter, v. nominaliter vocalis voce»
signativae vocis flatus vocum impositìo Volfango da Ratisbona Williram da
Soissons Finito di stampare, in 1500 esemplari numerati, nella Tipografia
Fratelli Stianti in Sancasclano Fai di Pesa Esemplare N. IL PENSIERO STORICO SOTTO
GLI AUSPICI DELL’ENTE NAZIONALE DI CULTURA. CONOSCENZA INCOMPIUTA DELLA LOGICA
LIZIO Delimitazione dell’oggetto e dell’intento della presente ricerca. Si
diffonde nelle scuole lu logica della lorda latinità .La tradizione della
logica scolastica, nei riguardi delle traduzioni di Boezio, è limitata: e
s’ignorutto le principali opere logiche di Aristotele. Atteggiamento della
ortodossiarispettoallalogica L’Isagoge di Porfirio, Miseria del pensiero
medievale. La questione degl’universali determina un contrasto di tendenze nel
campo della logica: prevalenza di un realismo platonico .Pensiero e linguaggio
. Isidoro da Siviglia: Logica e Teologia Compendio di dialettica nelle «
Origine, Altri spunti di teorie logiche . Alenino: sua compilazione di un
compendio di dialettica INDICE DELIE MATERIE Fredegiso da Tours . Pag. 35
Hrabuno Mauro: suoi scritti di sicura autenticità. Il « De TrinUate » del
Pseudo-Boezio, Giovanni Scoto Eriugenu, Sua abilità nella logicu formale
.Posizione dello Scoto, rispetto alla dialettica, Realismo teologico dello
Scoto, il quale tuttavia fu unche mollo conto della Sterilità: tenui tracce di
studio della logica: Poppone a Fulda, Reinhard a W'iirzburg, Giovanni da Garze,
Canzone Italo ( prende cosci mitemente posizione nel contrasto delle tendenze),
Wol fungo a Ratisbona, Abbone du Orléans, Bernward a llildesheim, Gualtiero da
Spira, Gerberto, figura assolutamente insignificante: Materiale degli studi di
storia di logica altemposuo. Lo scritto
«De rationale et ratione uti Adalberone di Laon . Fulberto di Chartres .
Anonimo rifacimento metrico della Isagoge e INDICE DELLE MATERIE XV delle
Categorie, del secolo XI: colorito nominalistico .Intensa attività della scuola
di Sun Gallo. Notker Labeo: Un trattato insignificante Rifacimento delle
Categorie . Rifacimento del «De interpretatione Il «De partibus loicae»:
nominalismo. Scritto anonimo De syllogismis, e sua importanza . » Conclusione .
Altri documrnti relativi allo studio della logica nel secolo XI: Francane u
Liegi, Otloh a Ratisbona, Pier Damiani .Movimento più vivace, la scienza
giuridica l’apia. Anseimo il Peripatetico, Lanfranco, Irnerio; i Formulari .
Movimento più vivace, la teologia. Nominalismo di Berengario nella questione
della Santa Cena, e atteggiamento
Movimento più intenso: grande estensione, e in pari tempo carattere
imilaterale, della letteratura attinente alla logica. Le vicende dello studio
della logica, nel racconto che ne fece Giovanni da Salisbury Contrasto caratteristico fra logica «vecchia»
e «nuova» . La polemica intorno agli tuiiversuli : si può dimostrare che almeno
tredici erano le correnti. xvn nelle quali si dividevano le opinioni su questo
problema. Nominalismo che rasenta il sensismo Grudi vari di questo nominalismo
(Garmondo) La teoria che gli universali sono « maneries »: Uguccione / Platonici: . a) Bernardo da Chartres .
Guglielmo da Conches (e Costantino Cartaginese. Il realismo di Guglielmo da
Champeaux .Le difficoltà e i gradi del realismo Controversie intorno alla
definizione e intorno al concetto di « parte La teoria dello «status», come
tentativo di conciliazione. Gualtiero da Mortagne La teoria della «
indifferenza Adelardo da Balli : intonazione platonica da lui data alla teoria
della « indifferenza Gauslenus o Joscellinus da Soissons: sua idea del
colligere. Lo scritto anonimo « de generibus et speciebus »: punto di vista del
suo autore: Critiche ad altre soluzioni del problema degli universali.
Soluzione da lui stesso proposta . Dottrina del giudizio . Propensione al
platonismo . Controversie sovra punti speciali. Sopra le « Categorie Sopra la
teoria del giudizio in generale Sopra cpiestioni particolari, attinenti alla
teoria del giudizio. Sopra difficoltà inerenti alla teoria del sillogismo . e)
Sopra questioni di Topica .Negli studi di logica, la qualità continua a rimaner
molto al disotto della quantità Abelardo : a) Suo ingegno: caratteristica
generale Scritti di logica . Dialettica e teologia: intimo dissidio della
dottrina di Abelardo) Abelardo aristotelico. Ma il « Peripatetieus Palalinus è
al tempo stesso anche platonico, Nè aristotelico, nè platonico, infine: bensì,
retore, La « Dialettica » è la principale tra le. opere logiche di Abelardo:
disposizione della materia . Esposizione dell’Isagoge o Antepraedicamenta », quale risulta dalle «
Glossae », e soprattutto dalle « Glossulae », « super Porphyrium»:
atteggiamenti polemici sopra la questione degli universali, Soluzione proposta
da Ahelardo: il « sermo praedicabilis) L’universale inteso come « quoti natum
est de pluribus praedicari »: uso di questo principio, secondo lo spirito del
platonismo, Ma dallo stesso principio Ahelardo trae insieme partito, secondo il
punto di vista aristotelico . » 331 n) Ispirazione aristotelica, nel maggior
rilievo dato al giudizio (« praedicari »)) Anche il preteso intellettuulismo di
Abelurdo deriva dal suo aristotelismo) Ma in Abelardo, vero spirito
aristotelico non c’è: il suo interesse centrale è volto, sotto l’impulso di
Boezio e dello stoicismo, alla teoria retorica dell’argomentazione .Continua
l’analisi del contenuto della « Dialettica»: le « Categorie La topica . zi l sillogismi ipotetici.
Giudizio conclusivo sopra l’opera di Ahelardo Accentuazione dell’ aspetto
aristotelico della «Dialettica» di Abelardo: .l Ja B371 In un commento anonimo
del De interpretatione. Nell’acuto untore dello scritto pseiulo-abelurdiano De
intelleclibus, Punto di vista aristotelico, Dottrina del « sermo In Adamo dal
Petit-Ponl prevale la teoriu del giudizio Scetticismo logico di Roberto
Pulleyn: e reazione teologica di Pietro da Poitiers e di Roberto da Melun
Gilberto de tu Porrée: . Il commento al « De Trinitate » del PseudoBoezio:
posizione teoretica ingenua e contraddittoria, Concetto di sostanza. Teoria
delle « formae nativae ». Realismo di Gilberto .I.o scritto « De sex principiis
* : un’abborracciatura . > e) I sei « principii » : « actio, passio, quando,
ubi, situs, habitus » » /) La controversia intorno al « magi» » e al « minus
Ottone da Freising, seguuce di Gilberto. Lo scritto pseudo-boeziano « De
unilate et uno Alberico (da Reims?), a Parigi. WUliram de Soissons. Vari altri
autori, menzionati da Walter Mapes . Il cosi detto Cornijìcius, oggetto della
polemica di Giovanni da Salisbury . Giovanni da Salisbury: a) I suoi studi: il
« Metalogicus Punto di vista utilitaristico, alla muniera di Cicerone. La
divisione del sapere. Punto di vista
retorico, come in Cicerone. Grammatica e dialettica. Conoscenza compilila dell
« Organon ». Punti di contatto con Abelardo, soprattutto nel modo di intendere
e giudicare l’opera logica di Aristotele . Pag. 430 e) La « ratio
indifferentiae » come indifferentismo antiscientifico, L’Isagoge, Concezione
degl’universalia in re, Grossolano eclettismo, nella questione degli universali,
Concetto indeterminato di « notio, Le Categorie, Teoria del. Giudizio, Topica,
sillogistica, teoria dei sofismi Uno scritto insignificante di Alano da Lilla, Passaggio
al XIII secolo. LA LOGICA MEDIEVALE
CONOSCENZA INCOMPIUTA DELLA LOGICA ARISTOTELICA NEL PRIMO MEDIO EVO
Delimitazione dell’oggetto e dell’intento della presente ricerca]. Saggio su
PRANTL, STORIA DELLA LOGICA IN OCCIDENTE NELL’ETÀ MEDIEVALE. LA NUOVA ITALIA
FIRENZE. La Geschichte der Logik ini Abendlande, di Prantl, curata da Fock a
Lipsia, è divisa in parti. La prima ha por oggetto lo svolgimento della Logica
nell’Antichità. Gli fecero sèguito una seconda parte dedicata alla Logica nel
Medio Evo. In una Collezione, che ha per suo programma di rendere largamente
accessibili ai filosofi italiani quello grande saggio di esplorazione e
ricostruzione della storia della filosofia, che sono imperitura gloria della
cultura, doveva esser fatto luogo a un classico trattato qual è questo del
Prantl. Per ragioni editoriali l’ordine di apparizione dei volumi della
traduzione italiana non corrisponde all’ordine di successione del saggio
originale: e si è dovuto dare la precedenza al Medio Evo, la quale forma un
tutto unico e continuo, dotato di una certa autonomia. Alla traduzione del
primo volume che vedrà successivamente la luce, diviso in due o tre tomi, sarà
premesso un discorso introduttivo intorno all’Autore, e alla importanza e.
vitalità della sua opera: bastino qui brevi cenni, a giustificare il lavoro e a
render ragione dei criteri adottati dal Traduttore. Il disegno di Storia della
Logica Medievale presentato dal Franti non è stato sostituito da opere più
recenti: il suo intento, di risparmiare, almeno per lungo volger (Tanni, agli
studiosi venturi, la immane fatica di riprender ex novo l'argomento, rifacendosi
direttamente dalle fonti, è stato raggiunto: e il trattato è ancor oggi cosa
viva, sì che nessuno studioso, mettendosi, con un suo particolare obbietta, a
lavorar attorno a questa materia, può far a meno di ricorrere e di ricollegarsi
a quello: è, a giudizio di CROCE, il solo, tra i libri special, recanti il
titolo di Storia della Logica, che, fondato sopra lunghe ricerche, sia
veramente insigne per dottrina e per lucida e animata esposizione. Animata,
vorrei soggiungere, ancor più che lucida: non di rado, in venta, la espressione
è negletta e contorta, e la perspicuità e sacrificata alla rapidità e alla
efficacia: lettura dunque, non tutta agevole, ma tale da far desiderare una
versione che, se non sembri troppo ambizioso il proposito, elimini almeno in
parte, pur attenendosi con scrupolosa cura di fedeltà all'originale, quelle
cause che non possono non render ostica a noi Italiani la greve prosa * f-CXC
SC Q, Dei progressi che gli studi son venuti facendo in questi cinquant anni si
doveva naturalmente tener conto, ma senz alcuna intenzione di metter assieme un
Prantl nuovo, in luogo di ri presentare nella sua integrità il I rantl vecchio:
e la questione era soltanto del modo piu opportuno di far posto a quel
pochissimo ch'è del traduttore, nella poderosa costruzione innalzata dall
Autore. i\on era dunque il caso di contrapporre all'atteggiamento che il Pronti
assunse, con icastiche espressioni di disprezzo, di fronte al pensiero
medievale, un giudizio valutativo diverso o per lo meno più temperato: anche se
nessuno si sentirebbe disposto a ripetere senza riserve che una filosofia
medievale non c'è stata, intensificandosi anzi da molte parti lo sforzo di
rintracciare nel Medio hyo anticipazioni e presagi del pensiero moderno, il
giudizio del Prantl va conservato in tutta la sua crudezza, per lo meno quale
documento significativo di un momento importante nella storia della cultura:
d'altra parte, in antitesi con la corrente che, sempre tendenziosamente
talvolta nostalgicamente, porterebbe ad abohre la differenza tra Medio Evo ed
età moderna, o a sopravvalutare quello, a tutto danno di questa, può avere
virtù correttiva, od operare come reazione salutare, la ricomparsa dell'opera
di un eminente ricercatore., il quale, proprio studiando lo sviluppo di quella
disciplina filosofica che fu più largamente e appassionatamente coltivata nella
età di mezzo, ne trasse occasiime a rivelare lo spirito medievale nel suo
aspetto deteriore: quasi si direbbe ch’egli si fosse accinto all’ardua impresa
di esporre classificare giudicare i cultori illustri e oscuri della logica nel
Medio Evo, con la persuasione di vedersi dispiegare dinanzi agli occhi un
panorama tanto interessante quanto poco conosciuto, e tale comunque da
compensare il travaglio della indagine: e nei giudizi recisamente svalutativi
da lui pronuziati nei riguardi di quasi tutti gli autori che ha studiati,
diresti di sentire la eco di un’amara delusione o un movimento di dispetto, se
non addirittura l’accento scorato di chi è tratto ad esclamare: «et oleum et
operata perdi di » ! Rimaneggiare l'opera di Prantl, conservando immutate
quelle sole parti che han conservato oggi tutto il loro valore, e sostituendo
integrando rifacendo quelle che appaiono antiquate o inadeguate, sarebbe stato
in contrasto con l’indirizzo al quale, come s’è accennato, la Collezione si
attiene: il rispetto dovuto alle opere in essa incluse, ne esige la
riproduzione compiuta, senza modificazioni o mutilazioni, che han sempre l’aria
di manomissioni arbitrarie. Primo dovere era quello di rivedere l’ingente
materiale accumulato nelle numerosissime note, che prevalgono per ampiezza
sopra il testo del Prantl: poderosa raccolta di testi accortamente scelti,
della quale riconoscono l'incomparabile valore anche i meno disposti a seguire.
l’Autore ne’ suoi apprezzamenti e nelle sue interpetrazioni. È Prantl uno
studioso di esemplare diligenza, e fa veramente, maraviglia che, con lina
smisurata mole di lavoro, egli sia soltanto eccezionalmente incorso in errori
di trascrizione, sviste nella correzione delle bozze, inesattezze nelle
citazioni e nei rimandi. Ma alcune mende s’è pur dovuto rilevare, che, com’era
inevitabile. sono state naturalmente travasate tutte quante nel « Manuldruck.
In una traduzione, invece, bisognava procurare di eliminarle, e riscontrar le
citazioni, una per una, con i testi, per ottener la massima possibile
correttezza, evitando altresì che, come pure in alcuni luoghi è accaduto all
Autore, la trascrizione frammentaria possa alterare o non render intiero il
pensiero dello scrittore: si direbbe che il Franti qualche volta prendesse
frettolosamente le sue note dai testi da citare, e poi le trascrivesse per la
stampa, senza più darsi pensiero di collazionarle con l originale. Inoltre, era
suo costume di servirsi a caso di una o altra edizione che trovava, per ciascun
autore, consert ata nelle Biblioteche di Monaco, rendendo così a noi, molto
spesso, difficile il riscontro delle sue citazioni con i testi originali da lui
usati: era dunque necessario non solamente emendare e aggiornare le citazioni,
ricorrendo, ogni qual volta fosse possibile, a edizioni moderne criticamente
condotte, ma inoltre sodisfare una esigenza di uniformità e di unificazione,
aggiungendo a ciascun passo il riferimento al luogo corrispondente di un grande
repertorio, largamente diffuso e facilmente accessibile, qual è la Patrologia,
Greca e Latina, del Migne (designata nelle note, tra parentesi quadre, con la
sigla PC o PL, seguita in cifre arabiche dalla indicazione del volume, poi
della colonna o delle colonne corrispondenti). Testi che il Franti aveva potuto
conoscere solamente di seconda mano, riferendoli secondo le parafrasi di
benemeriti studiosi francesi, son oggi editi, e dovevano naturalmente venir
citati anche nella forma originale, così rendendosi manifesti i
progressirealizzatinella conoscenza di scrittori, quali Adelardo e Abelardo.
Successivamente alla comparsa del secondo volume (seconda edizione) della
Storia del Pronti, la letteratura concernente gli Autori da lui studiati si è
venuta accrescendo in misura molto rilevante: e non c’è forse un solo scrittore
o argomento, per il quale non si rendano necessarie allo studioso informazioni
bibliografiche supplementari: ma si è voluto evitar di gonfiare la mole della
traduzione, introducendovi dati che ciascuno può facilmente trovare raccolti in
opere di uso comune, universalmente apprezzale per ricchezza ed esattezza
d’indicazioni, qual è, per citare la più nota, il Manuale d’Ueberweg, nelle più
recenti edizioni curate dal Paumgartner e dal Geyer. Questioni che si giudicano
definitivamente risolte, in senso contrario alle tesi sostenute dal Pronti —
quelle, per esempio, che riguardano l’autenticità degli scritti teologici di
Boezio, o le relazioni tra le Summulae » di Pietro Ispano e la Sinossi di Psello — non potevano venir qui dibattute:
e al lettore basterà veder accennato il presente stato delle questioni stesse.
I volumi del Pronti son tipici esemplari dell arte tipografica tedesca, intorno
alla metà del secolo scorso: pagine massicce, caratteri minuti, scarsità di
capoversi: tutto quelchecivuole,perdisvogliaredalla lettura, o per renderla più
che mai fastidiosa. Ben diverso è l’aspetto delle pagine della traduzione: la
necessità di conformarla al tipo prescelto per i. volumi precedenti della
Collezione, portava di necessità a un considerevole aumento di mole, in
confronto con l’originale: e s è dovuto ripartire in tre volumi la materia
compresa dal Pronti nel secondo e nel terzo volume: effettivamente le due
ultime Sezioni del secondo volume del testo, la XV a («Influsso dei Bizantini»)
e la XVI a («Influsso degli Arabi»), trovano il loro posto più adatto, meglio
che nel presente volume, in quello che gli farà sèguito: non servono di
conchiusione. alla Storia della Logica, ma d’introduzione alla Storia della Logica
nel XIII 0 secolo: e formeranno dunque opportunamente, insieme con l’amplissima
Sezione XVIP, il contenuto del prossimo successivo volume. Ho avuto cura di
render sensibile al lettore come si compartisca e articoli la trattazione del
Prantl, moltiplicando i « da capo », e soprattutto dividendo e suddividendo in
paragrafi le varie Sezioni, ciascuna delle quali forma nel testo un tutto
compatto: una modificazione, questa, che osiamo sperare sarà apprezzata
segnatamente dagli studiosi, quando ricorreranno al libro per consultazioni e
ricerche particolari. I titoli dei paragrafi e sottoparagrafi corrispondono
inpartealleindicazioni che il Prantl ha raccolte nell’ Indice delle Materie, e
anche riprodotte in capo alle pagine, in parte sono state aggiunte dal Traduttore,
il quale ha cercato di tener distinta, compilando l’Indice stesso, una
dall’altra parte, mediante l’uso di tipi differenti. Di regola, e nel corso
dell’intiero lavoro, ha incluso tra parentesi quadre tutto ciò ch’è aggiunta
sua, dichiarativa o emendativa o integrativa, evitando tuttavia di esporsi alla
taccia di pedanteria con una frappo minuta registrazione delle varianti:
solamente il raffronto fra i testi quali sono riferiti nell'originale e nella
versione potrebbe, a chi volesse, fornire la misura della pazienza che ha
richiesta la revisione dell’estesissimo prezioso materiale. Il traduttore non
s’illude di esser riuscito a evitare errori e sviste nel lavoro di versione,
trascrizione, rettificazione: ma ha coscienza di aver fatto tutto quello che
stava in lui, per ridurli al minimo: è grato a quanti gli hanno agevolato le
ricerche, condotte per lungo periodo di tempo, presso Biblioteche italiane e
straniere: in particolare ringrazia l'insigne collega Mons. Geyer della
Università di Bonn, che gli ha liberalmente offerto ospitalità nella sede
dell’Albertus Magnus Institut di Colonia. Nell’attendereaquestanuova edizione
riveduta, era mio primo dovere, come ben s*intende, di adeguarla alla presente
condizione degli studi: e sebbene non sieno stati molto numerosi i contributi,
recati negli ultimi ventiquattr’anni allu storia della logica medievale,
bisognava certamente trarne profitto con la massiina accuratezza. Ma la nostra
conoscenza attuale della letteratura logica di quell’epoca presentando pur sempre,
sovra punti particolari, varie lacune, sarei lieto di dare rinnovellato impulso
alla pubblicazione di testi supplementari, quali appaion desiderabili, tratti
dai preziosi fondi manoscritti delle Biblioteche. Questo augurio vale ancor
oggi segnatamente nei riguardi della questione pselliana [sopra la quale son da
vedere le Sezioni XV e XVII, nel volume successivo di questa versione], clic io
sono bensì convinto di avere oramai risolta in linea di principio, ma che debbo
tuttavia qualificare come una questione aperta, in quanto che presentemente ci
manca tuttora la conoscenza degli anelli intermedi, che si erano avuti
antecedentemente su terreno bizantino. Pbantl. Monaco di Baviera.Relativamente
al Medio Evo si trattava ancora di studiare criticamente tutto quanto il'
materiale accessibile, come pure di rintracciare la linea effettivamente
seguita dal corso della storia. E, per quest’ultimo rispetto, si rese subito
manifesto che proprio la storia della logica può aver il compito di correggere
o di compiere la conoscenza della così detta filosofia del Medio Evo. A quel
modo cioè che, in ordine alla controversia intorno agli universali, è venuta in
luce una varietà di tendenze contrastanti. della quale finora non si aveva la
idea, — così si .è potuto in compenso non soltanto delimitare esattamente, in
quale misura fosse, in quei secoli, conosciuta la letteratura logica, ma anche
fornire la dimostrazione incontestabile, che nell’intiero Medio Evo, senza
eccezione di sorta, non c’è stato un solo autore che abbia cavalo fuori dalla
propria testa un pensiero che fosse suo: bensì la letteratura di quell’epoca
era tutta dipendente e condizionata dalla estensione di un materiale
preesistente, trasmesso per tradizione. Soltanto sobbarcandomi alla fatica
indicibile di sollevare e di risolvere, quasi direi frase per frase, la
questione della fonte dalla quale la frase! fosse stata ricavata, sono riuscito
a esporre in maniera obbiettivamente esatta il corso della evoluzione; e anche
quella sola volta che (cioè a proposito di Escilo) non sono stalo più in grado
di dar una risposta a quella domanda « Di dove? », non è già che su questo
punto resti da ciò alterata la giustezza della mia tesi generale, ma in quel
caso speciale semplicemente manca alla ricerca il materiale necessario. Se del
resto io per principio mi sono limitata a quella produzione letteraria, che
abbiamo a nostra disposizione in pubblicazioni a stampa, sono tuttavia contento
di ammettere la possibilità che da varie Biblioteche, utilizzandosi materiale
manoscritto, vengano tratti alla luce elementi per rettificare o integrare la
mia ricerca, e anzi in più luoghi ho espressamente formulato l’augurio che ciò
awengà. Purtuttavia in un caso soltanto ho derogato a quel mio principio: da
manoscritti parigini, additati dall’ Hauréau, ho potuto cioè desumere con gioia
ch’era mio dovere addurre il materiale che ivi si trova; poiché n’è derivata
luce, non meno nuova che interessante, sopra la relazione di Psello con Pietro
Ispano, o piuttosto con i predecessori e contemporanei di quest’ultimo: un
risultato, al quale non si sarebbe mai potuti pervenire, con la letteratura a
stampa. | Il l J rantl allude qui munì lestamente a scritti inediti di
Guglielmo da Shyreswood e di Lamberto da Auxerre, dei quali tuttavia egli si è
giocato non per il 2”, ma per il 3" volume di questa sua Storia. Si veda,
nel volume successivo della presente traduzione italiana, la Sezione XVII J. Se
i passi delle fonti, copiosamente riportati nelle Note, sembrano spesso
(particolarmente nella Sezione [la XVI': vedi il voi. successivo della
traduzione ] che tratta degli Arabi) contenere più ancora di quel che ho
esposto nel testo, il lettore vorrà scusarmene, considerando che io mi sono
sempre sforzalo di attenermi alla massima possibile brevità, e che pertanto mi
son provato a presentare nel testo non una semplice traduzione e neanche un
riassunto, bensì la intima essenza dei passi originali. Al medesimo intento di
brevità servono anche i numerosi reciproci rinvii, nei quali il lettore vorrà
ravvisare non un ozioso abbellimento, o imbruttimento, ma un mezzo compendioso
di tener dinanzi agli occhi in molti casi una più ampia connessione. Monaco di
Baviera. Le
difficoltà che s’incontrano in una rassegna del ‘positivismo’ italiano
dipendono, in primo luogo, dall’incerto significato del nome stesso, onde puo
essere ugualmente designate come POSITIVA, filosofia -della quale sembra più
interessante mettere in luce le caratteristiche differenziali che non i tratti
comuni. I positivisti non si definiscono come tali per la concorde adesione a
una rigida dottrina, o per la collaborazione consapevole alla costruzione di un
sistema ben determinato: si tratta piuttosto di un indirizzo metodico, di una
forma mentale che impronta di sè non solamente la ricerca filosofica
propriamente detta, ma l’intiero mondo della cultura. Il positivismo ripone e
ricerca la verità nel fatto, intende la conoscenza come relativa, la esperienza
come unica fonte del sapere e ultimo criterio della certezza, ritiene che la
cognizione filosofica non sia diversa per natura dalla scientifica, e anche non
possa se non prepararla e integrarla, assume di fronte ai problemi della
metafisica un atteggiamento agnostico o semplicemente negativo, concepisce la
natura come universale meccanismo, escludendone la teleologia e, pure
affermando la irreducibile diversità della materia dallo spirito, non crede che
da ciò rimanga spezzata la unità e interrotta la continuità del reale,
interpetra il mondo dei valori come prodotto della evoluzione psicologica, e
dei valori stessi domanda la spiegazione e la giustificazione alle leggi della
psicologia. Ma l’accordo — che può anche essere parziale — sopra questi
principii non esclude la possibilità di svolgimenti molteplici e autonomi,
perchè i principii stessi valgon piuttosto a dirigere nella selezione e nella
discussione dei problemi, che non ad anteciparne in concreto la soluzione:
onde, chi voglia essere cronista esatto del vasto e vario movimento, si trova
di necessità a ravvicinare pensatori che si sono reciprocamente ignorati e che
proverebbero senza dubbio grande maraviglia di trovarsi messi insieme:
particolarmente in Italia il positivismo è affermazione perenne della libertà
filosofica, sì che sembra vano ogni tentativo di esprimerlo con una formula, e
si manifesta la necessità di determinarne la fisionomia, considerando in modo
distinto la operosità de’ suoi seguaci. E tale necessità risulta ancora dal
fatto che nella maggior parte dei positivisti italiani, sopra il gusto delle
costruzioni sistematiche, ha prevalso la tendenza a esplorare determinati campi
della indagine: e però limitarsi a registrare le concezioni generali del mondo
e della vita, trascurando i contributi recati da più modesti studiosi alle
scienze filosofiche speciali, equivarrebbe a dare del movimento una idea
affatto inadeguata. Inoltre, appunto perchè in alcune almeno tra le
fondamentali assunzioni del positivismo possono, senza chiaro intendimento del
loro più profondo significato, consentire anche quegli scienziati che sono
affatto estranei agl’interessi speculativi, avvenne che si decorasse del nome
di positivismo anche la loro afilosofia, che fu qualche volta, per dirla con
Bruno, la loro filasofia, cioè una metafisica grossolana, ingenua sino alla
inconsapevolezza, e di gran lunga peggiore di quella metafisica contro la quale
il positivismo era sceso in campo: positivismo non può infatti essere ignoranza
della tradizione metafisica e incapacità d’intenderne le ragioni, bensì
dev’esspre revisione critica dei postulati assunti e dei metodi tenuti dalla
metafisica stessa. Eppure in un quadro sommario che aspiri a riuscire completo,
anche queste manifestazioni di pensiero più povere di critica hanno il loro
significato e debbono trovare il loro posto. D’altra parte, in Italia, in
questi ultimi anni, le fortune della filosofia idealistica, soprattutto nella
sua forma attualistica, indussero i dissenzienti a costituire una fronte unica
contro una dottrina che romanticamente presentava la filosofia, piuttosto come
opera di fantasia e prodotto di subbiettiva ispirazione, che non come
sistemazione di conoscenze vere: e il comune, se pur tutt’altro che uguale,
atteggiamento di opposizione e di reazione, ebbe come conseguenza che
tendessero a obliterarsi i caratteri differenziali del positivismo da altri
indirizzi. A far la rassegna dei filosofi che pròfessano oggi di essere
positivisti, si sarebbe indotti a conchitidere che i « quadri » non sono stati
mai poveri come adesso : eppure mai come in questo momento è apparsa chiara la
influenza del positivismo sopra la educazione mentale e la posizione dottrinale
di quei pensatori che non si sono ralliés alla filosofia di moda. Il periodo
storico che qui si considera, coincide con il cinquantennio dell’attività
filosofica di R. Ardigò; questi, nato a Casteldidone, pubblica La psicologia
come scienza positiva », segnandovi le linee fondamentali della sua dottrina,
già preannunziata l’anno precedente, quand’egli era ancora prete, nella
commemorazione di Pomponazzi — e morì a Mantova, avendo atteso fin quasi all’ultimo
giorno, all’opera sua di scrittore. Ma alla costruzione del sistema ardighiano
erano precorse in Italia altre manifestazioni di pensiero positivistico. Il
sorgere e vigoreggiare della filosofia del fatto si lega in Italia come
all’estero, a ragioni complesse, fra le quali prevalgono i maravigliosi
progressi della scienza, nell’ordine cosi delle invenzioni come delle scoperte,
il fervore degli studi storici, la reazione contro le intemperanze del pensiero
metafisico, il disgusto dei sistemi dogmatici. Le origini prossime del
movimento positivista sono da ricercare nella scuola di Romagnosi, dalla quale
uscirono Ferrari e Cattaneo. Ma Ferrari, rappresentante di un fenomenismo
estremo che reca le tracce d’influenze discordi e tende a sboccar nello scetticismo,
non orientò il suo pensiero verso il positivismo così decisamente come il
Cattaneo: questi è comunemente riconosciuto come l’iniziatore del movimento e
il più ef. ficace banditore della dottrina. Nel Cattaneo, patriotta insigne,
cittadino intemerato, scrittore magnifico, mente poliedrica, si manifesta
l’interesse per la glottologia, la storia e la politica, la demografia, la
economia e la organizzazione tecnica della industria e dell’agricoltura:
ne’suoi scritti filosofici, non ammette conoscenza che non sia di fatti, e
attribuisce alla filosofia una funzione sintetica rispetto alle altre scienze:
raccogliendo la eredità del Vico, pone come fondamentale il pro-^ bleina
deH’incivilimento: la civiltà è opera dell’uomo; ma l’Uomo dei metafisici è una
finzione mentale, che non può adeguarsi alla varietà e alla concretezza del
mondo umano; la psicologia individuale deve integrarsi nella psicologia
sociale, o psicologia delle menti associate; mente non si dà, nè funziona e si
forma se non in un giuoco di azioni e reazioni, che, poiché i conviventi
operano uno sopra l’altro e ogni generazione scomparsa sopra le successive.] è
a un tempo il fondamento della unità sociale e della continuità storica. La
dottrina del Cattaneo s'intona al positivismo del Comte e all’umanismo del
Feuerbach, sebbene si sia costituita in perfetta indipendenza dall'uno e
dall’altro, e contiene germi che dovranno maturare nella filosofia dell’Ardigò
(« Opere edite e inedite di Cattaneo). Maestro acclamato e autorevolissimo
nelle scienze storiche, Villari, che aveva mostrato, nel « Saggio sull’origine
e sul progresso della Filosofia della Storia, di risentir la influenza di Comte
e Mill, illustrò e favori («La Filosofia positiva e il metodo storico)
l’indirizzo storico già prevalente nelle scienze morali, sostenendo che queste
non avrebbero potuto fiorire come le scienze naturali, se non ne avessero fatto
proprio il metodo, positivo o sperimentale. La influenza esercitata dalla
divulgazione della dottrina darwiniana, che apriva nuovi orizzonti agli studi
biologici ed ebbe fra noi il suo apostolo più fervido in Canestrini ( «
Antropologia » La teoria dell’evoluzione
esposta ne’ suoi fondamenti La teoria di Darwin), è manifesta negli scritti di
Tommasi, medico insigne che promosse il progresso delle scienze biologiche
dallo stato metafisico allo stato positivo, e ammoniva i discepoli a porsi
dinanzi ai problemi della natura, con l’animo sgombro da ogni apriorismo
dottrinale e metodico. Il suo naturalismo è concezione della filosofia come organamento
del sapere scientifico, è realismo rigoroso, che tende a identificarsi con il
materialismo, e non meno rigoroso empirismo: è evoluzionismo che esclude da sè
ogni teleologia («Il naturalismo moderno, Il rinnovamento della medicina in
Italia). Positivista fu pure Cantani, collega del Tommasi e suo successore
nella clinica di Napoli. Il positivismo italiano non è tutto nella dottrina d’Ardigò
e della sua scuola: ma l’Ardigò ne è, per concorde giudizio, la figura più
rappresentativa. Di lui gli undici volumi delle Opere Filosofiche rispecchiano
il genio speculativo e l’animo candido e generoso, la fede inconcussa nel Vero
e il culto operoso dell’ideale etico, celebrato nella esemplare austerità della
vita. Il positivismo del Comte era stato giudicato impari, se pur non affatto
insensibile, alla esi genza gnoseologica: nè questa era sodisfatta, in modo
positivo, dalITnconoscibiie spenceriano, che rappresenta ancora una entità
ontologica, onde si mantiene l’antitesi di sostanza e di fenomeno, e il
fenomeno è un relativo che postula un Assoluto e trova alla soglia di questo il
proprio limite: il sistema dell'A. si forma fuori da ogni diretta influenza di
queste dottrine, per la rivoluzione che lo studio delle scienze naturali opera
nella sua mente, resa, da lunga consuetudine, familiare con i classici della
teologia e della metafisica: il distacco dalle vecchie credenze non è
definitivo, fin ch’egli non ha trovato la soluzione del problema gnoseologico,
e non ha inteso come si possa spiegare la origine delle idee, senza ricorrere
alla trascendente facoltà dell’intelletto. La posizione centrale assegnata alla
teoria della conoscenza è la caratteristica più significativa del sistema
dell’A. « Non è senza significato che il positivismo assuma in Italia, quasi al
suo apparire coll’A., fisonomia spiccata di naturalismo sistematico affrontando
subito il problema dell’infinito cosmico e traducendone la visione in una
concezione organica dell’universo, e che in questa, come unicamente esteriore
ed obiettiva non si acqueti, ma la integri subito colla ricostruzione sintetica
dell’uiiità della coscienza, e invece che tener separata la questione
gnoseologica dalla cosmologica trasfonda l’una nell’altra creando un nuovo
concetto si della natura, sì dell’esperienza, tale che l’uria dall’altra non si
separano se non per distinzione sopravveniente; questo non è il positivismo di
Comte, nè quello di Spencer, è il positivismo di un popolo ove è indigeno il
naturalismo del Rinascimento» (Tarozzi). Il fatto è divino, i principii sono
umani: ma il fatto primo e assolutamente certo, per la consapevolezza immediata
che ne abbiamo, è il fatto di coscienza, la sensazione: la esperienza che sta a
fondamento di ogni verità e che non si può tentar di trascendere senza
trascorrere dal reale nel chimerico, è esperienza psicologica. Il monismo
dell’A. che elimina ogni residuo di trascendenza, esclude come fantastica così
la contrapposizione dell’oggetto al soggetto, come l’annichilazione
dell’oggetto nel soggetto; e sfugge al pregiudizio del realismo ingenuo senza
incorrere nei sofismi del soggettivismo radicale. La contrapposizione è fra
termini di pensiero, fra gruppi di sensazioni: la sensazione afferma se stessa
assolutamente, il conoscere non si deve che alla sua virtualità; ma la sensazione,
e l’attività psichica in generale, ponendosi, si sdoppia in due mondi, per il
doppio sguardo (diblemma psicologico) onde si compie da un lato la sintesi
delle sensazioni interne (Autosintesi, Me), dall’altro, la sintesi delle
sensazioni esterne (F.terosintesi, Non-Me): le sensazioni non sono per se
stesse nè interne nè esterne, ma il differenziamento si opera, per la
specificazione degli organi di senso e per il contrastare di attività stabili e
costanti, ad altre accidentali e intermittenti. La sensazione, in quanto tale,
è solo quello che è essa stessa in se medesima; ma la reciproca integrazione
delle sensazioni pertinenti a sensi diversi (le quali son tutte fra loro
incommensurabili o reciprocamente trascendenti), converte la sensazione in
percezione, aggiunge alla osservazione l’esperimento («Il fatto psicologico
della percezione). Ed è un imperativo logico la sensazione, non soltanto in se
stessa, in quanto conoscenza assoluta o posizione di se medesima, ma anche come
percezione, o conoscenza relativa e posizione della propria causa: si definisce
cosi la oggettività del sapere, mentre si evita l’errore di risolvere il
soggetto nell’oggetto. La conoscenza è relativa, ma non perchè abbia il suo
termine antitetico in un Assoluto che trascenda la esperienza e figuri come
possibile oggetto di una Mente sovrumana, bensì per quel rapporto
d’irreducibilità che il pensiero stesso pone fra i propri termini sensibili, e
che, come tale, è noto («L’Inconoscibile di Spencer e il positivismo). La
materia non farà mai conoscere lo spirito, nè lo spirito la materia: ma la
trascendenza così intesa, in senso affatto diverso dal tradizionale, non
esclude la fondamentale unità, che è l ’indistinto sottostante ai distinti (Me
e Non-Me) che vi si costituiscono, collegandosi in un organismo logico unico.
«L’unità dell’indistinto sottostante alla molteplicità dei distinti, e la
continuità del processo della duplice distinzione ('spaziale e temporale)
caratterizzano la concezione naturalistica del cosmo » (Marchesini). È una formazione
naturale la psiche, e la legge della distinzione, che ne spiega l’essere e ne
domina lo sviluppo, è legge di tutte le formazioni nelle quali si specifica la
realtà: la preminenza e la priorità del problema gnoseologico rispetto a tutti
gli altri problemi filosofici si esprimono nel fatto che appunto dallo studio
del fenomeno cogitativo induttivamente si ricava il concetto della natura come
indistinto, matrice onnigena inesauribile, infinita virtualità di successivi
che si realizza nella infinità dei coesistenti. Il processo dall’indistinto al
distinto è governato dalla legge del ritmo, la quale spiega come ogni
formazione naturale debba sempre essere un ordine, malgrado le accidentalità
proprie di ogni ordine dato, che è sempre l’effettuazione di uno tra infiniti
altri possibili. Per la universale ritmicità si ha infatti nella natura non il
caso, ma la cosa e il fatto, il tipo e la legge, l’impero, dunque, della
causalità; ma causalità non è forma a priori dello spirito, nè semplice
successione che generi per abitudine l’attesa del riprodursi del passato;
l’idea di causa è una formazione naturale endogenetica per l’esperienza subita
dal mondo esterno, onde avvertendo costantemente una determinata successione,
siamo costretti ad ammettere che il fatto precedente ha in sè una condizione e
ragione di causare: ogni fatto, dunque, emerge in modo necessario
dall’indistinto che lo determina. Ma, d’altra parte, la necessità non esclude
il caso, perchè l’ordine si attua in seno all’universo che è infinito: onde il
fatto può a un tempo dirsi, per la sua intrinseca necessità, equazione del
determinato, e, per la imprevedibilità della sua determinazione necessaria,
equazione dell’infinito: poiché l’indistinto non è un sistema chiuso, il
distinguersi di uno o dell’altro ordine è casuale. Il determinismo non elimina
dunque la casualità, nè semplicemente l’ammette come espressione della nostra
ignoranza: ma la riconduce alla varietà infinita che è un positivo aspetto
della realtà, non meno che la causalità: il caso è l’effetto prodotto per
necessità naturale da una causa imprevedibile, assolutamente parlando, e quindi
non assegnabile, o non fissata nella stessa natura, a motivo dell’infinità del
suo principio, non solo nei momenti del tempo, che è senza limiti, ma anche negli
elementi costitutivi, eccedenti ogni confine di spazio (« La formazione
naturale nel fatto del sistema solare; la trilogia: « Il Vero» «La Ragione» L’Unità della Coscienza). E’ una
formazione naturale anche la filosofia, che non soltanto ha funzione coordinatrice
e sintetica rispetto alle scienze, ma è la matrice perennemente feconda del
sapere scientifico e dei problemi che alla scienza appartiene di risolvere.
Come l’indistinto si specifica, per un processo di ascendenza dinamica, nei
sistemi ritmici, corrispondenti a gradi sempre più alti di autonomia, cosi la
filosofia si viene differenziando nelle discipline speciali che in essa si
unificano e di essa risentono l’azione propulsiva (« Lo studio della Storia
della filosofia Il compito della filosofia e la sua perennità). Sopra i
contributi recati dall’A. alle distinte scienze filosofiche non posso
intrattenermi qui: basti ricordare come il suo realismo psicofisico e il
prevalente interesse gnoseoiogico lo abbiano portato alla costruzione di un
sistema di psicologia, dove la unità della coscienza figura come idea
direttrice, e la critica del vecchio associazionismo prepara la teoria della
confluenza mentale — come inoltre sovra basi fisiopsicologiche si eriga una
concezione della vita morale, nella quale la impulsività della sensazione è
assunta a spiegare la imperatività della idealità sociale antiegoistica (« La
Morale dei positivisti) — come, ancora, la morale s’integri in una sociologia
che è piuttosto una filosofia del diritto, o lo studio della formazione
naturale della Giustizia, intesa come forza specifica della società
(Sociologia) — come infine le dottrine fondamentali si coordinino e sbocchino
in ima pedagogia, che pone l’esercizio a fondamento cosi della educazione
intellettuale come della educazione morale (La Scienza dell’educazione).
Ardigo, prof, di storia della fil. a Padova, fu un caposcuola, e fra i suoi
discepoli vogliono essere ricordati in primo luogo Marchesini, Dandolo,
Tarozzi, Ranzoli, Troilo. MARCHESINI (vedasi), prof, di ped. a Padova,
fondatore e direttore della « Rivista di Filosofia, pedagogia e scienze affini,
illustrò la figura del Maestro e ne propagò la dottrina, elevandosi dalla
esposizione acuta e fedele alla originale ricostruzione e rielaborazione (« La
vita e il pensiero di Ardigo; Ardigo, L’uomo e l’umanista. Il M. ha definito il
positivismo d’Ardigò come naturalismo umanistico e questa denominazione designa
la duplice direzione nella quale egli stesso ha svolto la propria attività di
scrittore, integrando felicemente il sistema, che rivela così nella varietà e
la novità degli sviluppi la propria feconda vitalità. Il naturalismo del M. si
fonda sopratutto sul principio dell’unità come sintesi universale: egli
concepisce la unità come continuità dinamica dei fatti fisico, biologico,
psichico, postulando il « fatto minimo », come idea-limite, in armonia con lo
stesso concetto della continuità nella eterogeneità, e spiegando con la
impossibilità di depotenziarci la presunta inintelligibilità del trapasso, alla
quale si devono le due estreme concezioni, idealistica e materialistica. La
conoscenza, in quanto è determinata dal reale, in ordine al principio della
continuità stessa ha un valore assoluto ed obbiettivo, non già puramente
simbolico (« La crisi del positivismo e il problema filosofico, Il simbolismo
nella conoscenza e nella morale). Umanistico è detto dal Marchesini il
naturalismo dell’Ardigò, principalmente perchè riesce alla celebrazione della
persona umana e dà fondamento razionale e positivo all’idealismo etico e alla
dottrina dell’autonomia; negli ultimi libri del M., e non soltanto in quelli
che hanno più diretta attinenza con la pedagogia (« L’educazione morale» I
probi, fond. dell’ed., Disegno stor. delle dottr. ped.), si manifesta più che
mai spiccata la sua eminente vocazione di educatore. Anche per il M. la
continuità non esclude, ma comprova l’autonomia del soggetto umano, come
formazione naturale e pedagogica superiore, sulla quale si fonda il diritto a
un orgoglio umano razionale come vera e propria virtù etica (« Il dominio dello
spirito, ossia il problema della personalità eildiritto all’orgoglio). Sulla
stessa autonomia si fonda il principio della tolleranza come rispetto della
personalità nella sua costituzione specifica (« L’intolleranza e i suoi presupposti).
L’ideale è relativo alla personalità, ma pensato come assoluto acquista da ciò
uha particolare potenza utilizzabile pedagogicamente (Le finzioni dell’anima).
In esso, e nelle sue singole specie, si reintegrano le inclinazioni umane
fondamentali, all’infuori d’ogni trascendenza metafisica, ch’è puramente
simbolica («La dottrina positiva delle idealità). Nella teoria del M. si
ravvisa antecipata in alcuni de’ suoi elementi più caratteristici e
significativi la filosofia del « come se », che ha avuto in questi ultimi anni
singolare fortuna e grande diffusione. Dandolo, prof, di fil. teor. a Messina,
concepì il problema gnoseologico come problema psicologico, e lo fece oggetto
d’indagine accurata e penetrante, rivelando rare attitudini all’analisi e alla
rappresentazione della vita mentale. Tra fatti psichici e fatti fisiologici
corre un rapporto unitario di correlazione: il fatto psichico non è il
riverbero di un evento fisiologico, ma ha la sua specie caratteristica nella
coscienza, che è autonoma, è un distinto che si pone assolutamente e del quale
è artificioso e vano ricercare il perchè. I limiti dell’esperienza
edelconoscerecoincidono; e continuo è il processo dal senso all’intelletto, se
pur non sia possibile risolvere senza residuo la conoscenza nella sensazione;
ciò che è necessità di origine si conserva come necessità di sviluppo: la pura
sensazione, unità indistinta, s’integra nella percezione, come l’appetito
s’integra mercè la conoscenza nel desiderio, e mercè la ragione nella volontà.
Contro il realismo ingenuo e l’idealismo dogmatico il D. afferma la relatività
reciproca di soggetto e oggetto; il conoscere in generale, mentre si pone come
fatto di coscienza, accenna alla necessità di un eterogeneo, d’un termine
correlativo esteriore, distinto e in pari tempo inseparabile dal pensiero.
Questo incontra nella esperienza un limite alla propria libertà: nella
oggettività della percezione ha fondamento la oggettività della causa, della
legge, della scienza. Contro la dottrina della scienza sostenuta dal Mach, il
D., mentre riconosce la incommensurabilità della spiegazione scientifica con i
fenomeni naturali, sostiene che fra questi e quella intercede un vincolo, che è
un adattamento speciale della intelligenza alle cose: il vero è adattamento
conquistato dal pensiero sulla realtà naturale (« Le integrazioni psichiche e
la percezione esterna, Le integrazioni psichiche e la volontà, La causa e la
legge nell’interpretazione dell’universo, Intorno al valore della scienza, Studi
di psicologia gnoseologica, oltre a numerosi altri saggi, soprattutto di psic.
e di st. della psic.). TAOROZZI (vedasi), prof, di fii. a BOLOGNA, occupa in
Italia, rispetto alla tradizione storica del positivismo sistematico, una
posizione spiccatamente personale: è stato, e si è professato sempre, discepolo
delI’Ardigò: e del positivismo infatti accetta il metodo e alcuni fondamentali
postulati: la filosofia è anche ricerca, perennemente promossa dai risultati
della scienza e dallo sviluppo dei pensiero comune; scienza e filosofia si
differenziano non per il metodo bensì per l’oggetto, e insieme tendono a un
fine comune cioè alla obbiettività, la quale può essere raggiunta dallo spirito
umano solo entro l'ambito della categoria quantitativa, onde ha grande valore
filosofico lo sforzo di esprimere il qualitativo in termini quantitativi; la
esperienza non è di atti ma di fatti; non è concreto se non ciò che è
sicuramente determinabile nel tempo e nello spazio. Ma la originalità del T. si
è rivelata anzitutto nelle critiche alle quali egli sottopose il determinismo,
ravvisando in questo un residuo metafisico e un elemento estraneo allo spirito
del positivismo. il suo indeterminismo, diverso da quelli del Boutroux, del
Bergson, del Mach, congiunge le due concezioni del divenire e della spontaneità
del fatto singolo, senza lasciarsi sedurre dal Xóyo; àgy ò? del finalismo («
Della necessità nel fatto naturale e umano). Con l’indeterminismo si collega il
realismo gnoseologico, li principio che « la realtà è il fatto della esperienza
» consente una soluzione esauriente della questione relativa alla
determinazione qualitativa e quantitativa della realtà; ma non basta a dar
fondamento alla persuasione della esistenza della realtà: la conoscenza è
contingente, e però presuppone il reale come altro da se stessa, e implica
l’idea della esistenza come incondizionalità dell’essere rispetto alla
conoscenza; da ciò s’inferisce un reale, di cui tutte le determinazioni
appartengono alla esperienza, tranne una, cioè la esistenza, che le si sottrae.
Il reale così inteso sfugge a quella determinazione del finito che è propria
della conoscenza razionale : e però è l’infinita varietà, che come tale non può
essere se non dinamica: infinito dev’essere dunque il principio dinamico dell’infinitamente
vario in ciascun essere che l’esperienza ci presenta come determinato e finito.
La contingenza della conoscenza, da un lato, giustifica la distinzione della
conoscenza pura dalla conoscenza empirica e quindi il riconoscimento di leggi proprie
del pensiero, dall’altro, ha in tale distinzione e nella esistenza di queste
leggi la propria riprova. Nella conoscenza pura, intesa come conoscenza
deH’autonomia dello spirito, consiste il fondamento gnoseologico e logico,
dell’idealismo etico. Caratteri dell’idealismo etico sono la coscienza della
libertà dello spirito, la responsabilità, l’impero effettivo dell’ideale. La
libertà dello spirito, come rivelazione dell’infinito nella coscienza, e
capacità che ha l’uomo di creare il regno della sua umanità morale, non esclude
ma implica la obbligazione, l’impero dell’universale: l’antitesi che sussiste
fra necessario e infinito, in quanto quello pone un limite che questo esclude,
vien meno, infatti, nella necessità morale, e in essa soltanto, perchè in essa
l’infinito si limita non negandosi, ma rivelandosi. La responsabilità, in
quanto è correlativa alla obbligazione, è responsabilità non soltanto del male,
ma anche del bene, in quanto è indipendente dalla obbligazione, trascende i
limiti dell’attività del soggetto, onde questi tende ad assumere sopra di sè il
carico del male della umanità intiera. Effettivo è l’impero dell’ideale, perchè
esso come autonomia dello spirito, è, per natura sua, un fine: ma non può
essere fine a se stesso, bensì presuppone un reale ateleologico che si offre
come oggetto e materia al teleologismo in cui esso ideale si esplica;
presuppone dunque, nell’ordine degli oggetti, la natura indifferente,
nell’ordine dei valori, l’utile, il regno dell’interesse egoistico, in cui
l’uomo a questa natura indifferente obbedisce. Moralità è spiritualità, e
spiritualità è successiva trascendenza di fini gli uni rispetto agli altri. Con
il sentimento dell’infinito ha affinità profonda il sentimento estetico:
l’estetica non determina una distinta regione dello spirito, ma si afferma
sovrana, come espressione sintetica della humanitas. La pedagogia idealistica
che risolve la educazione nell’autoeducazione, ripugna al senso comune: la
educazione dev’essere spiritualistica, perchè promuovere negli educandi il loro
valore propriamente umano, significa avviarli a pensare come vera vita la loro
vita interiore. Nonostante le ragioni profonde di dissenso, la dottrina del T.
appartiene alla storia del positivismo italiano: il suo spirito fervido, aperto
a interessi molteplici, non si ferma appagato sulle posizioni raggiunte, bensì
è portato a rispondere con sintesi sempre più alte e più vaste e logicamente
meglio coerenti, all’esigenze poste dalla fede generosa e sincera nei valori
umani; ma egli non ha mai dubitato che quella rivendicazione morale
dell’energia dello spirito, che è nello spirito suo il bisogno fondamentale
(Gentile), non sia appunto il programma che il positivismo propone a se stesso
e ha virtù di realizzare (Del T„ che finora non ha divulgato in modo
sistematico tutte le idee qui accennate, vedi: « La coltura intellettuale
contemporanea, Ricerche intorno ai fond. della certezza raz. » Menti e
caratteri » «La virtù contemporanea» 1900 « Idee di una scienza del bene Il
contenuto mor. della libertà del n. Tempo L’educazione e la scuola Note di
estetica sul Par. di Dante. Anche Troilo, prof, di fil. a Padova, operoso
cultore della st. della fil. (« La dottrina della conoscenza nei mod.
precursori di Kant, Telesio » La fil. di Bruno Figure e studii di st. della
fil.), manifesta, nella esposizione delle sue vedute teoretiche, il travaglio
perenne di uno spirito che si cerca: tutta la sua feconda attività di scrittore
è infusa di pathos profondo. Egli riferisce a un’antitetica che si rivela
fondamentale nell’attività dello spirito, il perenne avvicendarsi dei due
indirizzi, positivistico e idealistico: e tende a uscirne con una dottrina, che
superando la unilateralità delle contrastanti vedute, integri il positivismo
con una sua propria costruzione teoretica (Idee e ideali del Pos. Il Pos. e i diritti dello spirito). Il suo
atteggiamento di calda simpatia per il sistema d’ARDIGÒ non gli vieta di
criticarne il concetto dell’Indistinto psicofisico, nel quale ravvisa una
pericolosa concessione al dualismo; d’altra parte, il fenomenismo puro riesce a
una finale identificazione con il soggettivismo idealistico: a questi indirizzi
egli oppone lo schietto Monismo ontologico, la necessità dell’Essere come Dato
primo assoluto, assolutamente autonomo. Monismo ontologico, ma, d’altra parte,
dualismo gnoseologico: nell'Essere, includente in sè quella forma della Realtà
ch’è lo Spirito, la legge è l’Unità: nel Conoscere, il quale altro non è che
funzione, la legge è la Dualità: cosi organicamente si compongono Immanenza e
Trascendenza, spoglie di ogni residuo metafisico. Ogni filosofia, come
espressione integrale teoretica e pratica dello spirito, è filosofia morale,
pedagogia dello spirito umano: Philosophia sire Vita : la filosofia che non
deve limitarsi a interpetrare il mondo e deve mutarlo, trapassa in storia («
Filosofia, vita, modernità, La conflagrazione). Il positivismo del Trailo si
determina come Realismo Assoluto: e un Realismo assoluto è anche la dottrina di
RANZOLI (vedasi), prof, di SI. teor. a Genova. L’oggetto della conoscenza non è
nè una imagine dell’oggetto esterno, nè una creazione del soggetto, bensi lo
stesso oggetto che conosce se stesso, e, conoscendosi, .si pone come identico a
sè e come diverso da sè, come conoscente e conosciuto, come spirito e come
natura (L’idealismo e la fil.). Porsi come natura significa rappresentarsi e «
distendersi » in quei rapporti spaziali e temporali che risultando dalla mutua
irreducibilità degli elementi della conoscenza, e quindi del reale, si possono
definire come la visione panoramica che il reale ha di se stesso («Teoria del
tempo e dello spazio). Lo spirito costituisce il ritmo supremo dell’esistenza,
ossia il limite di quel processo d’individuazione che rappresenta la legge
fondamentale della realtà : legge che non ha nulla in sè di finalistico, ma
esprime al contrario la fusione del caso con la causalità (« Il caso nel
pensiero e nella vita). Queste idee sono espresse dal R. in una prosa ch’è
sovente un modello di stile filosofico: anche di lui può dirsi, come di DANDOLO
(vedasi), che la natura sobria dell'ingegno si riflette nella composizione
nitida e organica delle dottrine, ma non vieta di avvivarne efficacemente la
espressione con imagini colorite e vaghe. Ranzoli, in un pregevole saggio sopra
« La fortuna di Spencer in Italia, ha dimostrato che il positivismo nostro
mosse i suoi primi passi sotto la sola guida del Comte e del Littré, ma se n’è
staccato ben presto, attratto dalle ampie formule della filosofia spenceriana,
che meglio si accordavano con la natura del nostro ingegno e delle nostre
tradizioni filosofiche, rappresentate non soltanto dal naturalismo del
Rinascimento, ma anche da quel filone solitario di filosofia sperimentale che
si continua ininterrotto attraverso il Sette e l’Ottocento: il positivismo
dello Spencer, meglio di quello del Comte, aiutò l’ingegno italiano a ritrovare
se stesso: l’Italia di platonica che era, divenne spenceriana, passando per lo
hegelismo: fra questo e il positivismo è l’abisso, ma la scuola hegeliana,
dalla quale uscirono alcuni fra i primi positivisti (Marselli, Villari,
Angiulli) annovera anche pensatori (basti ricordare il Fiorentino) che,
rimanendo sul terreno dello hegelismo, riconobbero, nei limiti della filosofia
della natura, il valore del principio della evoluzione. E il positivismo
italiano fu, per molta parte, evoluzionistico: il fascino esercitato sopra le
menti dalla idea di evoluzione trae il sacerdote giobertiano Trezza, bene a ciò
preparato dagli studi storici filosofici religiosi, a convertirsi a una intuizione
naturalistica, della quale egli fu il poeta piuttosto che il filosofo: le sue
idee si organizzarono (La critica moderna) intorno ai due concetti, della
relatività di tutti i fenomeni, onde natura e storia gli appaiono come una
serie di trasformazioni perenni — e. della immanenza delle leggi cosmiche che
sottrae la natura e la storia all’intervento e all’arbitrio delle volontà
trascendenti (Melli). La sintesi spenceriana trovò largo consenso fra gli
scienziati: minor favore incontrò la dottrina dell’Inconoscibile, combattuta,
per opposte ragioni, da hegeliani e da neo-criticisti, da spiritualisti e da
positivisti; ma è manifesta la influenza dello Spencer sopra quel movimento di
pensiero che ebbe per organo la Rivista di filosofia scientifica, fondata e
diretta da MORSELLI, prof, di psichiatria a Genova. L’opera di lui è
soprattutto notevole per lo sforzo assiduo di richiamare i filosofi alla
scienza e gli scienziati alla filosofia, combattendo la metafisica
antiintellettualistica, e reagendo contro io spirito antifilosofico,
manifestato o anche ostentato da molti scienziati puri. Il M. rappresentò
autorevolmente una filosofia monistica ed evoluzionistica, consapevole della
propria funzione sintetica e non ignara delle proprie intime difficoltà, ma da
ciò indotta non a cedervi bensì a superarle e una psicologia che si rende conto
dei limiti, ma anche del valore del metodo introspettivo («La fil. mon. in
Italia» Id. id.» L’evoluz. monistico nella conosc. e nella realtà, Il
darwinismo e l’evoluzionismo La psic. scient. o pos. e la reaz. neo-ideal.
» ecc.). Classiche sono le ricerche
biopsicosociologiche del M. sul suicidio. Anche a dire del M. («C. L. e la fil.
scient.), LOMBROSO (vedasi), prof, di antrop. crim. a Torino, non fu un
filosofo: la sua Weltanschauung è schiettamente materialistica, la sua
psicologia è puro somatisino; ma se si pensa quanta luce è derivata dalle
indagini ch’egli compì o promosse, alla conoscenza delle manifestazioni
psicologiche anormali o supernormali; se si considera quante idee, accolte,
quand'egli le mise in circolazione, come scandalose o ridicole, sono diventate,
quasi insensibilmente, elementi vitali della comune cultura e hanno agito sopra
la costituzione deila nostra coscienza morale: se infine si pensa alla influenza
che la sua antropologia criminale, ispirata a un rigoroso determinismo bio
sociologico, ha esercitato in tutto il mondo sopra la legislazione penale è
debito di giustizia ricordare l’attinenza dell’opera di lui e de’ suoi
discepoli, con il movimento della
filosofia scientifica («L’uomo delinquente» L’anthrop. crim. L’uomo di genio,
«Nuovi studi sul genio). Alla negazione del libero arbitrio e alla fondazione
.di una dottrina della imputabilità penale non costituita sopra la
responsabilità morale, diede opera, con altri, FERRI (vedasi), fondando quella
scuola del diritto penale, o piuttosto della criminologia, che fu detta
positiva, e che propugnò lo studio e la considerazione non del delitto, ma del
delinquente. Il Lombroso diffuse in Italia, La circolazione della vita » di
Moleschott. Questo saggio, nel MOLESCHOTT, prof, a Torino, sostenne le proprie
vedute materialistiche, ebbe parte notevole nella ispirazione della dottrina
lombrosiana. Al materialismo aderirono o per lo meno inclinarono molti fra i
cultori delle scienze biologiche: e un tale indirizzo è manifesto nelle
ricerche psico-fisiologiche di Schiff, prof, di fisiologia a Firenze («Sulla
misura della sensaz. e del movimento»
«La fisica nella filosofia» 1875), del suo discepolo, Herzen (Fisiol. e
psicol., La condizione fisica della coscienza » « Della nat. dell’attività
psich. » «Il moto psich. e la coscienza) che nell’« Analisi fisiologica del
libero arbitrio umano illustrò il doppio determinismo, organico e sociologico,
delle azioni umane; e dell’antropologo Sergi, già prof, a Roma (« Elem. di
psic. L’origine dei fenomeni psichici), studioso anche di problemi pedagogici
(« Per l’educazione del carattere » Educazione e istruzione). Le vedute di
SERGI (vedasi) sono impugnate da REGALIA (vedasi), sostenitore della tesi che
il dolore è l’antecedente costante e immediato di ogni azione (saggi vari,
cinque raccolti nel voi. « Dolore e azione). Un altro antropologo, Vignoli,
coltivò la psicologia comparata (animale e etnografica) e genetica («
Peregrinazioni psicologiche » 1895). L’esclusivismo psicologico nella
spiegazione delle malattie mentali e le ragioni filosofiche che sono poste a
suo fondamento furono combattuti dal grande clinico MURRI (vedasi) (Nosologia e
psicologia. Non si staccò dall’indirizzo materialistico BUCCOLA (vedasi), il
quale a Reggio Emilia — dpve sotto la direzione di TAMBURINI (vedasi), e più
recentemente di Guiceiardi (vedasi), ebbero grande impulso la psicopatologia e
la freniatria — avvia ricerche psicometriche che ebbero larga eco anche
all’estero («La legge del tempo nei fenomeni del pensiero). Ma scarso è il
contributo direttamente recato dai filosofi positivisti alla psicologia con
ricerche sperimentali, alle quali attesero prevalentemente seguaci di altri
indirizzi o studiosi estranei alla milizia filosofica. Allo studio sperimentale
delle emozioni contribuì poderosamente MOSSO (vedasi), prof, di fisiologia a
Torino (La paura, La fatica), studioso anche di problemi educativi, il quale
aderì alla teoria Lange-James: a lui e alla sua scuoia (particolarmente al
lombrosiano PATRIZI (vedasi)– no il da Dazia --, prof, di fisiologia a Modena)
è dovuto il primo impulso alle ricerche di psicologia applicata ai problemi
sociali e del lavoro (psicotecnica). Il nome del Patrizi è legato anche a
tentativi d’interpretazione delle opere d’arte con il sussidio della psicologia
positiva («Saggio psico antropol. su 0. Leopardi, Il Caravaggio e la nuova
crit. d’arte. Treves, scolaro del Mosso, contribuì alle stesse ricerche (per
es. con studi sopra le relazioni fra emozioni e lavoro muscolare) e
particolarmente coltivò le applicazioni della psicologia alla pedagogia e alia
tecnica scolastica, portando modificazioni alla scala metrica del Binet. Al
problema della valutazione della intelligenza, e inoltre agli studi di
psicologia e pedagogia dei deficienti («Educazione dei deficienti)si dedica
Sanctis, prof, di psicol. a Roma), autore anche di apprezzate ricerche sopra i
sogni. Benemerito della pedagogia correttiva è Ferrari, direttore dal 1905
della Rivista di Psicologia. BROFFERIO (vedasi), prof, di st. della fil. a
Milano (La filosofia delle Upanishadas », postumo), esercitò la propria
attività nella sistemazione della psicologia e, sopra saldo fondamento
psicologico, della gnoseologia positivistica : si propose il problema della
classificazione delle specie della cognizione, come propedeutico rispetto al
problema dell’origine, razionale o sperimentale, della cognizione, e ridusse le
intuizioni, per le quali la esperienza è resa possibile, alla intuizione
fondamentale del numero (unità e molteplicità), la quale s’integra in quelle
della quantità (intensità) e della qualità; ma di quella intuizione egli
illustrò la natura sperimentale. Scarso è il contributo recato dai positivisti,
alla estetica. Oltre a Mantegazza, professore a Firenze (Epicuro), autore anche
di molto fortunati studi sulle emozioni, si può appena ricordare Pilo
(«Estetica Psicologia musicale) e BARATONO (vedasi) («Sociol. estetica»). Quest’ultimo,
autore anche di lodati Fondamenti di psicologia sperimentale ha coltivato poi
di preferenza la pedagogia, con indirizzo criticistico. il preteso a priori non
è se non la esperienza accumulata della razza. Il positivismo affermando, in
contrasto con il materialismo degli scienziati, la relatività della cognizione
e precludendosi la via alla ricerca della realtà assoluta, lascia la
possibilità di fondare sovra prove morali la credenza nella esistenza di Dio e
di appagare la invincibile aspirazione alla immortalità. Il B. ravvisò poi
nelle esperienze spiritiche la verificazione sperimentale di quelle ipotesi che
aveva da prima accolte per volontà di credere («Le specie dell’esperienza »
Man. di psic., Per lo spiritismo). Anche Ettore Galli, lib. doc. a Padova, pone
a fondamento della filosofia la psicologia, analitica e genetica: origine del
conoscere è il sentire, che è fatto biologico. Le leggi della ragione sono le
leggi dell’apprendere; e si apprende quando un fatto di sentire secondo una
legge dinamica universale si fonde, in ciò che ha di comune, con virtualità di
sensazioni anteriori: tale processo si ripete in tutte le operazioni del
pensiero. La realtà è tutta relativa al conoscere, e quindi al sentire: dal
sentire nascono così l’io come il nonio. E il sentire è anche base della
morale. La vita, la quale per conservarsi e integrarsi suggerisce agli uomini
la collaborazione e la divisione del lavoro, ha nel dovere un mezzo che poi
agli effetti pratici vien postulato come fine delle azioni. E al dovere
s’informa anche la educazione, in quanto è mossa dall’esigenze della vita (Nel
regno del conoscere e del ragionare» «Alle radici della morale» «Nel dominio
dell’io, Alle soglie della metafisica. Dell’attività esplicata dall’Ardigò, da
Marchesini, dal Tarozzi come pedagogisti, già si è fatto cenno. L’indirizzo
positivistico ebbe, in generale, grande influenza sopra la scienza della
educazione: e si onora anzitutto del nome di GABELLI (vedasi), che professa un
positivismo agnostico, combattendo le degenerazioni materialistiche; ma più che
ai problemi speculativi, volse la mente ai problemi della pratica: propugnò
l’applicazione del metodo sperimentale alle scienze morali, e delineò un’etica
utilitaria, fondata sopra l’amor di sè, distinto daH’amor proprio (« L’uomo e
le scienze morali » 1869). Esplicò la sua missione socratica (Credaro) con la
diagnosi severa — condotta da un punto di vista rigidamente conservatore — dei
mali morali del popolo italiano e con la indicazione del rimedio, che doveva
consistere in una educazione diretta a formare le teste, a bandire l’artifizio,
il verbalismo, la retorica, ad assumere come elementi integranti del carattere
idee chiare verificate al paragone della esperienza: il miglioramento morale è
indissolubilmente legato al progresso intellettuale: non sussiste contraddizione
tra il fine umanistico e l’indirizzo realistico della educazione («Il metodo
d’insegnamento nelle scuole elementari d'Italia Riordinamento dell’istruzione
elementare. Relazione, Istruzioni e programmi» L’istruzione in Italia).
Angiulli, prof, di ped. a Napoli, reagisce contro l’imperante hegelismo con un
sistema, ispirato alla fede nel valore teoretico e sociale della scienza
positiva, .che è legata con la filosofia da un vincolo d’interdipendenza:
ripudia l’Inconoscibile e ammette la possibilità, per la virtualità
dell’astrazione, di una metafisica critica e scientifica, evoluzionistica e
relativistica. La dottrina della evoluzione cosmica informa di sè anche la
morale scientifica progressiva (migliorismo), la quale s’integra con la
cosmologia in una religione nuova: l’A., determinista, ammette negl’individui
anche il determinismo dell’ideale. Ma l’ideale non si realizza se non nella e
per la educazione, intesa non come sempiice adattamento alle condizioni
esistenti, ma come preparazione a nuove conquiste. Tutti i problemi sociali
s’incontrano nel problema pedagogico, che dev’essere risolto teoricamente con
la costituzione della pedagogia sopra fondamento scientifico e filosofico,
praticamente con l’attuazione sua negli ordini della scuola e della vita.
Liberale in politica, l’A. rivendica allo Stato il diritto, che è dovere,
d’impartire la educazione nazionale e la istruzione obbligatoria e laica.
L’incremento della cultura femminile deve render possibile che si armonizzino,
nella scienza, la educazione domestica e la pubblica. La istruzione scientifica
deve in tutti i suoi gradi essere animata da spirito filosofico («La Filosofia
e la ricerca positiva, La Ped., lo Stato e la Famiglia, La Fil. e la Scuola). SICILIANI
(vedasi), prof, di ped. a BOLOGNA, aspira a una sistemazione del positivismo
italiano, sulla traccia di Galileo e di Vico e in armonia con l’evoluzionismo
(«Sul Rinnovamento della Fil. pos. in Italia). La sua pedagogia ha a fondamento
la storia della educazione e ne ricava i due principii della dignità intrinseca
della «santa» personalità umana, e dell’autodidattica (La Scienza nell’Educ.
Rivoluzione e Ped. moderna). FORNELLI (vedasi), prof, di ped. a Napoli,
contribuì a diffondere in Italia la dottrina herbartiana (Studi herbartiani),
la quale tuttavia dovette la sua maggiore fortuna fra noi all’opera di Luigi
Credaro (« La Ped. di Herbart): ebbe vivo il senso della importanza del
problema pedagogico nello Stato liberale e propugnò la laicità della scuola che
deve trovare nella scienza il proprio centro. La misura dell’esigenze che si
pongono sopra il fanciullo dev’essere ricavata dalla considerazione non della
sua costituzione psicologica, ma della finalità civile della educazione. La
volontà è determinata, ma tra i fattori che la determinano è compresa anche la
individualità: e in ciò la responsabilità trova il proprio fondamento. Fu
sostenitore, nella istruzione secondaria, di un temperato classicismo
(«Educazione moderna» «L’Insegnamento pubblico
ai tempi nostri» 1881 «L'adattamento nell’educazione). DOMINICIS (vedasi), già
prof, dì ped. a Pavia, si è ispirato ai principii dell’evoluzionismo e del
darwinismo («La dottrina dell’evoluzione); ha determinato, in base alla
esperienza naturalistica e storica, i fattori, le leggi, i fini della
educazione, il fondamento e i limiti della sua efficacia, acutamente
analizzando la vita interna della scuola (« Scienza comparata della Educ.), e
ha esercitato grande influenza («Linee di Ped. elem.) sopra la formazione dei
maestri. Colozza, prof, di ped. a Palermo, concepisce non diversamente dal suo
maestro Angiulli la scienza della educazione nel sistema della filosofia
scientifica ed evoluzionistica («Saggio di Ped. comparata» La Ped. nei suoi
rapporti con la Psic. e le Se. Soc.): ma ha temprato il forte e indipendente
ingegno nell’analisi psicologica, nella ricerca del fondamento psicologico
della pedagogia, nello studio di problemi educativi e didattici, nella
revisione di concetti comunemente accolti senza discernimento critico: dal
ripensamento originale della dottrina del Rousseau ha tratto conforto alla fede
nella virtù del metodo attivo; ha risposto negativamente al quesito se esista
la educazione dei sensi («Il giuoco nella psic. e nella ped., Del potere
d’inibizione, La meditazione, Questioni di Ped. «Il metodo attivo nell 'Emilio.
Ripensando l ’Emilio » La matematica nell’opera educativa). VALLE, prof, di
ped. a Napoli, studiò la formazione dell’autocoscienza, nel riguardo della
forma e del contenuto (« La Psicogenesi della coscienza): ma prevale nell’opera
sua il gusto delle vaste costruzioni. La vita umana dà materia alla indagine
sperimentale del lavoro mentale (che è sempre un mezzo), e alla indagine
speculativa del Valore (che è sempre un fine,): donde due dottrine pure
(Psicoenergetica, Axiologia) e due dottrine applicate (Psicotecnica,
Teleologia). Il D. V. può dirsi positivista, quando ricava « Le Leggi del
lavoro mentale » per induzione da esperienze, anche originali, e ravvisa nella
pedagogia sperimentale un capitolo della psicotecnica (come la ped. fil. è un
capitolo della teleologia). Ma la sua axiologia realistica lo allontana dal
positivismo. I Valori (esistenziali, logici, estetici, morali, economici) sono
rivelati ma non contenuti dalla coscienza: sono il prodotto di una sintesi a
priori ; possono esser creduti, ma non dimostrati; sono assoluti, trascendenti,
cioè indipendenti da ogni singola mente e validi potenzialmente, anche se non
intuiti empiricamente da alcuno. Si unificano oggettivamente nella Realtà
assoluta trascendente (Dio), soggettivamente nella coscienza generica assoluta.
L’educazione consiste nella creazione e acquisizione delle varie classi di
valore (« Teoria Gen. e Formale del Valore, come fondamento di una ped. fil.:
Le premesse dell’Axiol. pura»).Montessori ha coltivato l’« Antropologia
pedagogica, ma il suo nome è soprattutto legato alle Case dei bambini, che
hanno avuto ampia diffusione anche all’estero e nelle quali il principio di
spontaneità è portato alle sue estreme applicazioni («Il met. della ped.
scient. applicato all’educ. inf. nelle Case dei bambini» 1910 « L’autoeduc.
nelle se. elem. » 1916 «Manuale di ped. scient.). Tauro, lib. doc. a Roma,
autore di un lodato profilo del Pestalozzi, ha propugnato il metodo positivo ed
evoluzionistico nella ped., scient. e filosofica, della quale ha delineato un
piano sistematico (« Introd. alla ped. gen.): ha studiato « Il probi, delia
coltura nelle sue attinenze con la scienza e con la scuola, ha affrontato
questioni di ped. applicata, relative alla educaz. intellettuale (« L’unità
mentale e la concentraz. della istruz.) e alla formazione del maestro (« La
preparaz. degl’insegnanti elem. e lo studio della ped.), ha, infine, assunto il
silenzio a oggetto di analisi psicologiche e di ricerche storiche accurate, fermandosi
a considerare il silenzio interiore come mezzo e processo dell’autoeducazione
(«Il Silenzio e l’Educazione dello Spirito). Per Resta, lib. doc. a Roma,
realtà propria del vivere umanno è non l’errare a caso in balia delle
contingenze (attualità,ed eterogenesi dei fini), ma la conformità dei risultati
complessivi a un piano di svolgimenti progressivi (persistenza, e omogenesi dei
fini). Occorre perciò (ed è tendenza dell’uomo) una forma o norma di vita, per
la progressiva riduzione dell’ordine naturale e attuale dello sviluppo umano,
secondo l’ordine ideale o finale della vita. Una tale forma o legge delle
realizzazioni umane è la educazione: e questa è, da un lato, inerente al vivere
umano, ma si rivela anche, dall’altro lato, specifica cioè distinta e
originale, in quanto si definisce come legge di maestria, cioè come il farsi
maestro e far da maestro, mediante una progressiva azione di corrispondenza
delle potenzialità ed inclinazioni del soggetto (ordine attuale) alle finalità
della vita (ordine finale). La educazione è dunque attività di sforzi
perfettivi possibili (legge di convenienza progressiva) che si trasformano in
abilità o autonomia (legge di maestria) del soggetto nei fini della vita: suo
modello dev’essere la personalità più saldamente autarchica (l’autonomia) nella
migliore realizzazione dell’ordine ideale (Peunomia) « L’anima del fanciullo e
la ped., I probi, fond. della ped. » Trattato di Ped. 1 » L’educaz. del
geografo. 11 carattere umanistico della morale dei positivisti è stato già rilevato.
Troiano, prof, di fil. mor. a Torino, studioso benemerito dell’etica greca,
defini come umanismo la sua filosofia : umanismo critico e integrale, distinto
dall’umanismo pragmatistico, perchè tien separate le categorie gnoseologiche e
quelle pratiche. L’uomo è il centro teoretico e appreziativo del mondo: tutto
da lui prende luce e si predica, tutto da lui prende senso e si avvalora.
Fondamento di ogni valutazione è uno spirito individuale, che è l’unico reale:
lo spirito assoluto è impensabile, lo spirito collettivo una metafora. Ma
nell’individuo esistono pure tendenze collettive e storiche, e tendenze
universali: individualismo e universalismo sono aspetti inseparabili
deH’umanesimo concreto. Ogni etica metafisica è essenzialmente eteronoma e dogmatica:
la concezione subbiettivistica dei valori porta a costruire la morale sopra
fondamento psicologico. Centro della vita psichica, organo dei valori finali,
regolatore supremo della vita è il sentimento, che è il Iato subbiettivo e
vissuto d’ogni fenomeno psichico, e però espressione immediata dello stato del
soggetto: fondamento di una morale autonoma è il sentimento non come dolore
(tendenza) o piacere (fruizione), bensì come sentimento di calma che rivela lo
stato di tregua per la sodisfazione avvenuta e l’armonia di tutte le tendenze:
all’edonismo va sostituito l’alipismo: il senso di tutto il mondo dello spirito
umano è spirito, sospiro o conato di pace, di liberazione dal dolore.
L’umanismo pedagogico assume a fine della educazione la perfetta formazione
degli organi individuali dei valori umani, informandoli al sistema storico
della coltura: la educazione deve tendere a sostituire i valori religiosi con
valori spirituali più alti, vincendo la superstizione del divino con la
celebrazione divina dell’umano (« Etilica. I » « Ricerche sistematiche per una
fil. del costume. I » «La fi!, mor. e i suoi probi, fond. » 1902 « Le basi
dell’umanismo, L’umanismo ped.). L’umanismo etico di CESCA (vedasi), prof, di
st. della fil. e di ped. a Messina, è fondato sul fenomenismo gnoseologico ed
esclude da sè il trascendentalismo, ma culmina nella concezione di una
religione morale e umanitaria (« La religione morale dell’umanità» La Fil.
della vita» La Fil. dell’az.). La religione identificata con la forza della idealità
continuamente aspirante al meglio, viene anche a identificarsi con la
educazione moderna che, distinguendosi dall’addestramento, deve rivolgersi
all’Io profondo dell’educando («Religiosità e ped. mod.). Il C. costruisce la
pedagogia generale sopra fondamento evoluzionistico: il suo pluralismo critico
tende a superare « Le antinomie psicologiche e sociali della educazione» (1896)
nella concezione della educazione stessa come processo unitario, realizzantesi
nella concordia di discordi molteplici fattori. In JUVALTA (vedasi), prof, di
fil. mor. a Torino, è particolarmente viva la consapevolezza della esigenza
critica. Non ha scritto molto: ma gli scritti suoi (« Prolegomeni a una morale
distinta dalla metafisica » 1901 « Su la possibilità e i limiti della morale
come scienza» 1907 «II vecchio e il nuovo problema della morale » I limiti del razionalismo etico) son tutti il
frutto di meditazione severa, promossa da un irresistibile bisogno di chiarezza
che lo trae a rivedere assiduamente non soltanto le soluzioni dei problemi
etici che sono state proposte nel corso della storia, ma anche i termini e la
posizione dei problemi stessi. Le esigenze di ordine morale sono fondamentali e
decisive nella posizione e nella soluzione dei problemi di ordine metafisico; e
direttamente o indirettamente ne dipendono anche le questioni filosofiche, che
a primo aspetto si presentano come d’interesse prevalentemente teoretico. È
dunque, nonché opportuno, necessario affrontare i problemi morali
indipendentemente da presupposti di qualsiasi indirizzo filosofico, implicanti
una particolare soluzione dei problemi della realtà e della conoscenza. Nella
scelta fra le diverse intuizioni religiose, o fra i diversi sistemi filosofici,
prevale l’atteggiamento personale della coscienza morale. JUVALTA crede alla
possibilità di una scienza normativa etica, ma la fa consistere in un sistema
di relazioni e di leggi, le quali non hanno valore di norme da seguire, se non
nella ipotesi che sia assunto come fine quell’effetto o quell’ordine di
effetti, del quale esse leggi esprimono le condizioni e i fattori. Una tale
scienza differisce dalle altre scienze precettive soltanto perchè suppone che
al fine suo sia riconosciuto un valore di universale preferibilità e precedenza
sopra ogni altro fine. Perchè la determinazione delle norme etiche possa dirsi
scientifica, si richiede che il fine sia umanamente possibile, cioè in
relazione di dipendenza da una certa forma di condotta collettiva o individuale
(e particolarmente per questa maniera d’intendere il carattere scientifico
della morale, il punto di vista dello J. si differenzia da quello che ha
prevalso tra i positivisti). Perchè le norme sieno norme etiche, si richiede
che sia ammesso come postulato che il riconoscere al fine assunto valore di universale
preferibilità e precedenza rispetto a qualsiasi altro fine umanamente
possibile, è una esigenza morale. L’esigenza caratteristica di una norma morale
(esigenza giustificativa, diversa dalla esigenza esecutiva, che è relativa ai
mezzi di assicurare la osservanza della norma stessa) è quella di una
universale giustizia; e il fine che sodisfa a questa esigenza è una forma di
società umana tale, che tutti i socii trovino nelle sue stesse condizioni di
esistenza la medesima o equivalente possibilità esteriore di rivolgere la loro
attività alla ricerca di qualsivoglia dei beni ai quali la convivenza e
cooperazione sociale è mezzo. Allo studio del conflitto fra i criteri
fondamentali di valutazione morale, lo J. ha recato, e ancora promette,
notevoli contributi. ORESTANO, prof, di st. della fil. a Palermo, ha coltivato
la storia della filosofia e della pedagogia («Der Tugendbegriff bei Kant» 1901
«Le idee fondam. di F. Nietzsche»
«L’originalità di Kant» Comenio » Angiulli » Rosmini» L. da Vinci) e la
filosofia morale (« I Valori umani» 1907 «La scienza del bene e del male»
Gravia Levia» Prolegomeni alla scienza del bene e del male, Pensieri’). Meglio
che fra i positivisti, va annoverato fra i seguaci dell’indirizzo critico. Egli
ritiene che il positivismo coerente non possa uscire dalla descrizione della
vita morale: ma la scienza si rivela insufficiente di fronte alle questioni più
essenziali che la mente umana può proporsi di fronte alla realtà, e delle quali
nell’operare umano è implicita una soluzione : la esperienza morale, forse
tutta la esperienza umana, non rivela al pensiero la totalità delle condizioni
sue: non tutta la realtà è nell’esperienza. 11 progresso dello spirito è
segnato dall’accrescimento dei problemi. D’altra parte ORESTANO ha finora
soprattutto inteso a costruire sul terreno della esperienza una scienza del
bene e del male, che si limita alla descrizione più economica, cioè più
semplice e più completa, dei rapporti funzionali elementari (espressi
possibilmente nella forma del calcolo) dei fenomeni morali; e ha portato nn
ricco geniale contributo al problema del valore e della valutazione,
considerato cosi in generale come dal punto di vista etico. Ogni sistema di
vita morale consiste infatti in un complesso di valutazioni, tendenti a obicttivarsi
mediante azioni e a svilupparsi in un sistema di principii e di leggi. Ammessa
la subbiettività del valore, non per questo se ne assume come sufficiente la
spiegazione psicologica: la coscienza non è che una piccola sezione della
personalità: e quest’ultima è coestensiva col sistema della vita, il quale
presenta, nell’aspetto organico psicologico sociale, una composizione multipla
e pluricentrica. L’unità trascendentale dell’io è un mito che non spiega nulla.
La valutazione è una funzione dell’interesse (che è reazione totale dell'io): è
la coscienza riflessa di uno stato d’interesse riferito al suo oggetto. Il
concetto ontologico del valore non può essere fondamento della scienza morale,
la quale deve adoperare il concetto del valore come un principio formale di
sintesi dell’esperienza morale senza obbedire ad alcuna intuizione concreta;
caratteristico della reazione morale è pertanto il riferimento di un oggetto
particolare d’interesse al concetto fondamentale che si ha della vita nella
totalità de’ suoi scopi: questo concetto è il vero fondamento di tutt’i giudizi
etici: fondamento relativo, ma che una volta fissato, agisce come principio
assoluto. Tale definizione s’integra nella definizione del fatto morale come
impiego effettivo, cosciente e volontario della vita in funzione di un tale
concetto unitario, esplicito o implicito, di essa: è la vita che pensa e vuole
se stessa, che sceglie da sè i suoi propri modi di essere: il mondo morale è
una teleologia in azione. Ma la vita non può pensarsi nè volersi che
socialmente: la personalità sociale è il soggetto della esperienza etica, la
quale presenta cosi due aspetti, sociale e personale. L’O. riconduce tutte le
valutazioni a un comune denominatore, la vita, che è la massima misura umana
della realtà e del valore: il valore della vita, poi, è una funzione dipendente
del valqre supremo idealmente concepito: per VALLI (vedasi), lib. doc. a Roma,
Il Valore Supremo s’identifica con la vita stessa. La sua teoria generale del
valore come simbolo di una corrente d’impulsi o di volontà concordi in una
direzione, mette in luce la legge di proiezione dei valori, per la quale la
coscienza crea ai valori stessi una meta fittizia, considerando come valore
proprio l’ujtima parte consapevole di ogni processo vitale, e con ciò crea i
falsi assoluti della morale, che devono via via decadere. Valore proprio,
rispetto al quale tutti gli altri sono valori relativi, è soltanto la vita,
unico valore vero e perciò supremo, nel quale e per il quale esistono gli altri
valori, compresi i valori conoscitivi che sono anch’essi valori strumentali
della vita. In questa stessa Rivista, il V. ha presentato modificata in senso
antiintellettualistico, la teoria della religione sostenuta nel libro « Il
fondamento psicol. della religione). ZINI
(vedasi), lib. doc. a Torino, aderisce, sul terreno della gnoseologia, al
realismo critico: afferma l’intima unità o mutua compenetrazione dello spazio e
del tempo, e svolge una teoria dinamica dello spazio, concepito come emanazione
del tempo: la nostra sensibilità, cioè ia nostra vera vita spirituale in quanto
è formata di rappresentazioni e di sentimenti, d’intuizione e di volontà, è
soggetta alla legge fondamentale del tempo e delio spazio; ma le condizioni per
cui nella realtà soggettiva sorgono queste forme fondamentali, esistono nella
realtà oggettiva, nella natura (« La doppia maschera dell’universo). Nel campo
della morale, Z. haprofessato sempre la insufficienza dell’empirismo e si è
venuto sempre più accostando (La morale al bivio) alla posizione criticistica,
in antitesi con il naturalismo etico e il determinismo: ma può essere
annoverato qui per l’opera data alla costruzione di una morale logica, la quale
sia l’applicazione alla condotta dei sistemi di cognizioni formulati dalla
scienza. ZINI ha vigorosamente criticato la morale religiosa, emotiva ed
eteronoma, tutta volta alla espiazione del passato e alla redenzione dai
peccato, e, svelandone il meccanismo psicologico, l’ha presentata come
impedimento alla formazione della personalità libera e responsabile (« Il
pentimento e la morale ascetica): egli ha ricostruito la storia psicologica del
sentimento e della idea di « Giustizia, e studiato il problema sociale come
problema che è anche morale e che trova la sua soluzione non nella socializzazione
della proprietà, ma nella partecipazione di tutti alle condizioni di una
civiltà superiore (« Proprietà individuale o proprietà collettiva?). Scolaro d’ARDIGÒ
e di MARCHESINI (vedasi), LIMENTANI, prof, di fil. inor. a Firenze, ha
sostenuto che un’etica indipendente dalla metafisica deve abbandonare ogni
pretesa normativa o deontologica: il valore morale si specifica come rapporto
formale fra la coscienza del dovere la
quale si spiega con la costituzione pluralistica della personalità e della
società e la condotta effettivamente
praticata: misura del valore morale è lo sforzo, ed è però competente a
giudicarne, in più eminente grado, lo stesso soggetto agente. Dalla valutazione
morale strido sensu vanno distinte come « quasi morali » altre valutazioni, fra
le quali caratteristiche son quelle dipendenti dalla relazione fra la condotta
del soggetto e le aspettazioni dei socii (« I presupposti formali della
indagine etica » «La morale della
simpatia «Moralità e normalità» «L’onore e la vita morale). Salvadori, lib.
doc. a Roma, contribuì efficacemente alla diffusione della dottrina
evoluzionistica, con traduzioni di opere dello Spencer e monografie
illustrative (Spencer e l’opera sua, La scienza economica e la teoria
dell’evoluzione. Saggio sulle teorie econ.-soc. di Spencer, L’etica
evoluzionista. Studio sulla fil. mor. di Spencer); combattè gli errori del
trasformismo meccanico («Natura, evoluzione e moralità) ed ebbe a guida
l’evoluzionismo così nel sostituire una spiegazione razionale dei sentimenti morali
alle spiegazioni metafisica e puramente empirica, rivelatesi insufficienti
(Determinaz., classificaz. e spiegaz. dei sent. mor.), come nel fondare sopra
la conciliazione dell’antitesi essere-divenire, un concetto positivo del
diritto naturale (Das Naturrecht und der Entwicklungsgedanke. Il positivismo
italiano già nel suo fondatore, CATTANEO (vedasi), è, sulle orme del Vico,
storicismo: MARSELLI (vedasi), scolaro di SANCTIS (vedasi), dopo avere, ne’
primi suoi lavori di fil. della st. e di estetica, ormeggiato lo Hegel, prova
poi il disgusto dello abuso che gli hegeliani avevano fatto della Idea astratta
e della scienza a priori, e concepì la storia come la più alta tra le scienze
di osservazione, che con lo stesso metodo adottato dalle scienze naturali, deve
rivelarci le manifestazioni della natura umana e le sue leggi. Il positivismo
del M. è una metafisica monistica, che non oppone lo spirito alla natura, nè
risolve questa in quello, ma spiega con la legge di evoluzione il progresso da
una all’altro («La scienza dellastoria» Le leggi storiche dell’incivilimento»,
postumo). P. R. TROIANO (vedasi) da opera alla costituzione de La storia come
scienza sociale, combattendo il concetto dellastoria come opera d’arte. Da
apprezzate ricerche d’etnologia preistorica e protostorica (L’origine degli
Indoeuropei), condotte sulla traccia luminosa d’intuizioni del Cattaneo, MICHELIS
(vedasi) procede ad approfondire il problema della conoscenza storica. Le
scienze di leggi dalla matematica alla sociologia e la storia lato sensu, rispondono a due
distinte esigenze del pensiero: le prime hanno per oggetto quei rapporti
condizionalmente necessari delle cose e dei fenomeni che costituiscono la
«Natura»: la seconda riesce invece alla costruzione e rappresentazione del reale
a titolo di « mondo » o «universo». Hanno torto quei positivisti che vorrebbero
sostituire la storia con le scienze di leggi, estendendo a quella il contenuto
logico e il tipo epistematico di queste; ma è anche infondata (o fondata
soltanto sopra un’analisi insufficiente delle categorie sotto le quali viene
pensato il reale come natura, e sovra persistenti vedute astrattistiche e
sostanzialistiche) la svalutazione del conoscere matematico-naturalistico. Se
la costruzione della storia è il termine d’arrivo di tutto il conoscere, ogni
progresso della conoscenza storica ha per condizione il progredire delle
scienze di leggi; e se queste avessero un valore puramente convenzionale,
neanche la storia potrebbe aspirare a un valore filosofico («II problema delle
scienze storiche). BERTAZZI (vedasi), prof, di st. della fil. a Catania,
fecondo studioso del pensiero antico, medievale e moderno, ha avviato ampie
ricerche sovra «I presupposti fondamentali della storia della filosofia.
Asturaro, prof, di fil. mor. a Genova, considera i problemi morali dal punto di
vista dell’evoluzionismo, che, meglio del semplice associazionismo, offre il
modo di conciliare il naturale egoismo con l’ideale del disinteresse («Saggi di
fil. mor.): si adoperò sopratutto a sistemare la sociologia mediante la
classificazione e seriazione dei fatti sociali: approfondì la dottrina del
metodo delle scienze morali e la dottrina della classificazione delle scienze (
« La sociologia, i suoi metodi e le sue scoperte). Ma della vastissima letteratura
sociologica che dilagò per l’Italia sul finire dello scorso secolo e nel primo
decennio del presente, non è il caso di far parola: sopra quella emergono per
l’austera serietà degli intendimenti e la rigorosa fedeltà al metodo positivo
gli « Elementi di scienza politica di MOSCA (vedasi), prof, di diritto
costituzionale a Roma, e il «Trattato di sociologia generale di PARETO: questi
scrittori, se pure non fecero professione di filosofia, con il loro pensiero
robusto e originale esercitarono grandissima influenza sopra la formazione
delle giovani generazioni. Scolaro d’ARDIGÒ, LORIA (vedasi), prof, di economia
politica a Torino, sociologo ed economista dei più eminenti, ricercò un
principio che lo guidasse alla spiegazione organica della vita sociale: non si
propose la soluzione di problemi speculativi, ma intese il materialismo storico
come un ferreo determinismo economico e ne trasse nel modo più intransigente
estreme illazioni (Le basi economiche della costituzione sociale). Diffuse con
parola lucida colorita efficace la conoscenza del movimento sociologico
contemporaneo («La sociologia, il suo compito, le sue scuole, i suoi recenti
progressi» «Verso la giustizia sociale). La concezione della storia come
divenire automatico e fatale dei processi economici, e la interpretazione del
materialismo storico come applicazione della filosofia materialistica alla
storia, sono state vigorosamente combattute da MONDOLFO (vedasi), prof, di st.
della fi!, a BOLOGNA. LABRIOLA (vedasi), prof, di fil. mor. a Roma, aveva sostenuto
che il materialismo storico deve fondarsi sopra una dottrina di attività, sopra
la marxista filosofia della praxis: l’uomo non è un essere passivo e inerte,
docile all’azione delle condizioni esistenti: queste, mentre limitano e
ostacolano la sua azione, lo stimolano a volgersi contro di esse per reagirvi e
trasformarle: le condizioni stesse che l’uomo ha create sono da lui, nel
processo della lotta fra le classi, superate e trasformate. Il marximo del L.,
contro ogni teoria dei fattori storici, artificiosamente separati ed
entificati, rivendica il principio della unità della vita e della storia
(«Saggi intorno alla concez. mater. della st. » ). Anche MONDOLFO, autore di
pregevoli saggi di psicologia (Studi sui tipi rappresentativi) e di storia
della filosofia (Condillac, La morale di Hobbes, Le teorie mor. e poi. di
Helvétius, Il dubbio metodico e la st. della fil., Il pensiero di Ardigò» «La
fil. di Bruno nella interpretaz. di F. Tocco» Rousseau nella formaz. della
cose, mod., Acri e il suo pensiero) e studioso di problemi pedagogici e
culturali («Libertà della scuola), interpreta il materialismo storico come
intuizione volontaristica della vita e concezione critico-pratica della storia
(Il materialismo stor. di F. Engels, Sulle orme di Marx). A fondamento della
ricostruzione della dottrina sta lo stesso criterio, per cui la dialettica
reale del Marx si opponeva alla dialettica hegeliana della idea, ossia il
principio, derivato dall’umanismo del Feuerbach, che restituisce all’uomo la
sua concreta realtà ed azione nella vita, affermando di fronte alla realtà
dello spirito la realtà della natura. La conoscenza e la storia umana si
sviluppano in un rapporto dialettico fra soggetto (bisogni, aspirazioni,
volontà degli uomini) e oggetto (condizioni naturali e storiche): questo si
pone come limite, ostacolo e perciò stimolo progressivo all’attività umana e
alle conquiste e creazioni, ch’essa compie nella diuturna sua lotta, e che si
convertono nelle condizioni nuove, alle quali nuovamente spetterà la funzione
di limite e perciò d’impulso a nuovi sforzi di superamento. In questo
volontarismo concreto, che riconosce fra i bisogni umani la preminente
impellenza del bisogno economico, è l’essenza del processo storico e, insieme,
la direttiva di ogni azione aspirante a inserirsi efficacemente nella storia.
Alla conoscenza della dottrina e dell’attività politica degli estremi partiti
rivoluzionari ha contribuito validamente ZOCCOLI (vedasi) (« L’anarchia Gii
agitatori Le idee I fatti), autore anche di saggi sopra la filosofia dello
Schopenhauer e del Nietzsche e già prof, di fil. mor. a Catania. Largo
contributo recarono i positivisti agli studi di filosofia giuridica, nei quali
aveva già stampato un’orma profonda ARDIGÒ (vedasi) con la sua Sociologia. Uno
sforzo di conciliazione fra le dottrine positivistiche e il criticismo si
ravvisa nei tre volumi delle Opere di VANNI (vedasi), prof, di f. d. d.° a
Roma, che assegna alla fil. del dir. il triplice problema gnoseologico,
fenomenologico, deontologico: mette in luce la esigenza gnoseologica implicita
nello stesso positivismo comtiano e illustra la dottrina etico-giuridica di
Spencer: segna le linee fondamentali di un programma critico di sociologia,
riconoscendo la caratteristica della vita sociale nella «storicità-. Le sue
Lezioni ebbero grande efficacia sulla educazione mentale di parecchi giuristi.
Piuttosto eclettica che propriamente positivistica è la dottrina di Carle,
prof, di f. d. d.° a Torino (« La vita del diritto nei suoi rapporti colla vita
soc.» «La F. d. d°. nello Stato mod.),
ispirata ai principii dello storicismo. La necessità di una larga concezione
sociologica e storicistica del diritto fu sostenuta da BRUGI (vedasi), prof,
d’istituz. di d° civ. a Pisa ( Introduzione enciclopedica alle Se. giur. e soc.
4 , seguace e propugnatore dei principii della scuola storica, il quale accolse
e illustrò la dottrina d’ARDIGÒA; da DALLARI (vedasi) (La esigenza del posit.
crit. per lo studio fil. del dir. » Il pensiero fil. di Spencer, Il nuovo
contrattualismo nella fil. soc. e giur.. F. d. d.° e scienza storica
dell’incivilimento); e da SOLARI (vdasi) (La scuola del diritto naturale nelle
dottrine etico-giuridiche, «La idea individ. e la idea soc. nel d°. privato» li
probi, mor.), professori di f. d. d°. a Pavia e Torino. Rigoroso positivista è
FRAGAPANE (vedasi), prof, di f. d. d°. a BOLOGNA, che sostenne contro il
contrattualismo l’unità dell’individuo e del gruppo, dell’idea e del fatto,
della coscienza e della società (Contrattualismo e sociol. contemp.), applica al
campo della filosofia giuridica il metodo genetico evolutivo (Il probi, delle
origini del dir.) e combattè l’eclettismo di VANNI (vedasi), negando il compito
deontologico della f. d. d.° (Obbiettò e limiti della f. d. d.° ). Scolaro di
FRAGAPANE e illustratore dell’opera di VANNI è FALCHI (vedasi), prof, di f. d.
d.° a Parma («L’opera di I. Vanni» Sulla differenziaz. del diritto dalla mor.
» «Le mod. dottrine teocratiche» I fini
dello Stato e la funz. del Potere »), che negò la legittimità della esigenza
metafisica nella f. d. d.° Particolare attenzione all’aspetto psicologico della
fenomenologia giuridica presta MICELI (vedasi), prof, di f. d. d.° a Pisa, che
sostenne la riduzione della f. d. d.° per la parte speculativa alla filosofia
morale, e per la parte tecnica alla dottrina generale del diritto (« Le fonti
del d.° dal p. d. v. psichico-soc. » Principii di F. d. d.° »). Considerarono
la vita del diritto da un punto di vista evoluzionistico e antropologico SCHIATTARELLA
(vedasi), AGUANNO (vedasi), e PAPALE (vedasi),prof, di f. d. d.°
rispettivamente a Palermo, Messina, Catania. Dalla scuola dell’Ardigò sono
usciti Alessandro Grappali e Alessandro Levi: il primo (n. 1874), prof, di f.
d. d.° a Modena, contribuì alla critica della Sociologia del Maestro dal punto
di vista del materialismo storico (« La genesi soc. del fenomeno scientifico),
fece conoscere in Italia le principali correnti del pensiero sociologico
straniero (« Saggi di sociologia » I fondamenti giu.el solidarismo) e assegna
alla sociologia la triplice funzione critica, sintetica e teleologica
(«Sociologia e psicologia). LEVI (vedasi), prof, di f. d. d.°a Catania, assegna
alla filosofia il compito di discutere il problema gnoseologico, e
conseguentemente intende la f. d. d.°come logica o gnoseologia del diritto,
differenziato dalla economia e dall’etica come una distinta forma logica o
guisa dello spirito umano; assume come concetto fondamentale dell’ordinamento
giuridico, quello di rapporto giuridico, individuazione della forma logica del
diritto, che è l’apprezzamento delle attività nel loro profilo intersoggettivo:
«ubi societas, ibi ius». («Contributi ad una teoria fil. dell’ordine giur.» F.
d. d.°e tecnicismo giuridico Saggi di
teoria del d.° » « La Fil. poi. di
Mazzini). BARTOLOMEI (vedasi), prof, di f. d. d.° a Napoli, in un
saggidiscusse, alla stregua di una metafisica monistica e apprezzò con
equanimità e acume « I principii fondam. dell’etica di ARDIGÒ e le dottrine
della fi], scientifica, ma il suo ulteriore pensiero si svolse in direzione
piuttosto criticistica che non positivistica. DONATI (vedasi), prof, di f. d.
d.° a Macerata, porta contributi allo studio del diritto come fenomeno, e si è
poi rivolto specialmente alle ricerche storiche, rendendosi benemerito degli
studi vichiani («Interesse e attività giuridica» 11 socialismo giur. e la
riforma del d.° » Il rispetto della legge dinanzi al principio di autorità.
Critica alla Fil. civ. di Hobbes »
«Autografi e documenti vichiani inediti o dispersi » Essenza e finalità
della scienza del d°). VACCA (vedasi) traccia le linee di un programma di f. d.
d.° sulla base del metodo sperimentale («Il d.° sperimentale. Il positivismo è
portato naturalmente a contribuire a quel movimento che può definirsi di
filosofia della scienza. Positivistico è l'atteggiamento assunto nel suo libro
«Scienza e opinioni» da VARISCO (vedasi), prof, di fil. a Roma, il quale non
potrebbe esser annoverato oggi più tra i positivisti, dopo la revisione e le
integrazioni alle quali è stato indotto dal suo indomito spirito di ricerca. Il
V. distingue assolutamente pensiero e realtà. Questa si compone d’infiniti
corpuscoli, estesi ma fisicamente indivisibili, dotati di proprietà
psico-fisiche. Fisicamente, i corpuscoli si muovono e all’occasione si urtano;
e, quantunque duri, negli urti si comportano come se fossero elastici. La
fisica del V. si riduce integralmente a una meccanica, sul genere di quella di
SECCHI (vedasi): l’accadere fisico è quello che ha luogo tra i corpuscoli,
mentre l’accadere psichico è provocato, In ogni corpuscolo, degli urli a cui va
soggetto. Non esistono mentalità indipendenti dal fatto del nostro pensare (il
V. mantiene anche oggi questo suo concetto, che per altro ha reso più
coerente). L’esigenza del nostro pensiero non è se non l’esigenza causale dei
fatti psichici che lo costituiscono, Ciascun fatto psichico (separatamente
preso) è insieme una forza, e un conoscere affatto embrionale, ma certo
assolutamente. Quello che è vero va distinto da quello che consta. P. es.:
consta che C è conseguenza necessaria di P; consta che il remo nell’acqua si
vede spezzato. Ma C non è vera che sotto condizione; e che il remo sia
spezzato, non è puntovero. Quello che consta non è dunque vero, in generale,
che relativamente; peraltro è un vero noto e certo. Al di là di quello che
consta c’è un vero assoluto (p. es., la dipendenza necessaria di C da P è
assolutamente vera), che può essere in parte ignoto, o non conosciuto con
certezza. Per giungere alla cognizione del vero assoluto, è necessario che ci
fondiamo su quello che consta. E a ciò si riduce quello, che dal V. fu chiamato
il suo positivismo: constano soltanto le conclusioni delle scienze positive
(dimostrative, secondo GALILEI BUONAUTI, il quale riteneva opinabili tutte le
altre dottrine). Fine della filosofia,secondoilV.,ilqualeinpropositononmutò
molto le sue opinioni, è la discussione del problema, se oltre alla natura
psico-fisica ci sia o non ci sia un soprannaturale, cioè se la religione sia o
non sia giustificata. Ed egli rispondeva allora che alla riflessione il
soprannaturale non può constare; il sentimento del soprannaturale, qualunque ne
sia il valore oggettivo, non può essere tradotto in cognizione distinta, non
può servire di fondamento alla costruzione del sapere. 1 nomi di ENRIQUES e di RIGNANO
si trovano associati nell’impresa di promuovere con la rivista Scientia
(fondata e tuttora fiorente sotto la direzione del R.) la coordinazione del
lavoro scientifico, la critica dei metodi e delle teorie, e di affermare un
apprezzamento più largo dei problemi della scienza. «Problemi della scienza»
s’intitola il saggio con il quale l’E. , matematico di fama già mondiale, si
annunziò come rappresentante di un positivismo che può dirsi critico, dominato
come tale, dalla consapevolezza della esigenza gnoseologica. La teoria della
conoscenza, sostenuta dall’E., deriva dall’esame della scienza, non accettata
dogmaticamente ma investigata nelle sue origini e nel suo significato: ed è ben
giustificata la definizione della sua costruzione come positivismo critico:
l’E. infatti elimina il dualismo di assoluto e relativo, sostanza e fenomeno
rappresenta il lavoro scientifico come un progresso senza fine, perchè sono
senza fine i rapporti che legano fra loro le cose, e il concatenamento delle
cause naturali: e questo progresso concepisce come procedimento di
approssimazioni successive, dove dalle deduzioni parzialmente verificate e
dalle contraddizioni eliminanti l’errore delle ipotesi implicite, sorgono nuove
induzioni più precise, più probabili, più estese ricerca la origine empirica
delle concezioni metafisiche, alle quali può attribuirsi soltanto il valore
d’ipotesi, capaci talora di preparare scoperte e teorie scientifiche fa oggetto
di studio il fondamento psicologico e il contenuto sperimentale delle supreme categorie
logiche opera una revisione delle stesse dottrine positivistiche, con il fine
di escluderne i residui metafisici assume come criterio della verità la
esperienza, la quale dimostra se sussista o meno l’accordo fra l’elemento
subiettivo della previsione e l’elemento obbiettivo della realtà riconosce come
dati immediati della realtà non le sensazioni pure, ma piuttosto i rapporti fra
sensazioni e volizioni che condizionano le nostre aspettative, e ne esprimono
gl’invarianti elementari riconosce pertanto che la nostra credenza a qualcosa
di reale suppone un insieme di sensazioni che invariabilmente susseguono a
certe condizioni volontariamente disposte riesce con la definizione del reale
come invariante della corrispondenza fra volizioni e sensazioni a unificare,
contro le teorie della scienza, nominalistiche e convenzionalistiche, la
comprensione del «fatto bruto» e quella del «fatto scientifico». Tutta l’opera
dell’E. è ispirata alla fede razionale nel valore della scienza e al principio
della continuità e interdipendenza di scienza e filosofia. Nella valutazione
del contrasto razionalismo-storicismo il pensiero dell’E. va sempre più
evolvendosi nel senso del razionalismo, ch’egli cerca tuttavia di comporre con
l’empirismo da un lato e con lo storicismo dall’altro («Scienza è
razionalismo» «Per la storia della
logica). RIGNANO (vedasi), lib. doc. a Pavia, ha coltivato gli studi
sociologici biologici psicologici: ha esposto criticamente la sociologia
comtiana, soprattutto dal punto di vista metodologico («Là sociol. nel Corso di
Fil. pos. di A. C. ): ha spiegato il meccanismo di trasmissione ereditaria dei
caratteri acquisiti con una ipotesi ontogenetica, che rende conto dei fatti
recati a favore così del preforniismo come della epigenesi. L’altra ipotesi sussidiaria
suH’accutnulazione specifica, che sarebbe la proprietà fondamentale ed
esclusiva della energia nervosa, base della vita, spiega i fenomeni mnemonici
propriamente detti e la proprietà mnemonica della sostanza vivente in generale.
Così la ipotesi centroepigenetica rientra fra le teorie delio sviluppo, ed è
fornito un modello energetico, capace di dare una idea della natura intima
della vita (Sulla trasmissibilità dei caratteri acquisiti). Hanno origine e
natura mnemonica anche le tendenze affettive (« Essais de synthèse
scientifique). L’analisi del ragionamento, cioè del più complesso tra i fatti
psichici, porta a studiare gli altri fatti, sempre meno complessi, che lo
costituiscono, fino ai due più elementari, che dànno luogo a tutti gli altri: da
un lato, cioè, sensazioni ed evocazioni sensoriali, dall’altro, tendenze
affettive (« Psicologia del ragionamento). Così la sola proprietà mnemonica
spiega e unifica tutte le manifestazioni finalistiche della vita, dalla
ontogenesi e dal preadattamento anatomo-fisiologico ali’ambiente, fino
agl’istinti più complessi e alle più alte manifestazioni del pensiero (« La
memoria biologica). I nomi di Varisco, d’Enriques e di Rignano mostrano come il
pensiero italiano abbia preso parte attiva a quel movimento di revisione
critica della scienza, che è una delle caratteristiche più notevoli del
pensiero contemporaneo. Ma non debbo dimenticare pur vedendomi costretto, per non esorbitare
dai limiti del mio tema, a un accenno sommario e pur troppo insufficiente l’opera di Peano (Calcolo geometrico, 1
principii di Geometria logicamente esposti) e de’ suoi discepoli Pieri, Padoa,
Forti, la quale tanto ha contribuito a dare alla matematica una rigorosa
sistemazione logico-deduttiva, con tendenza nominalistica, escludendo qualsiasi
appello all'intuizione. E vuol essere anche ricordato il valore logico e
filosofico che, partendo dagl’insegnamenti di PEANO (vedasi) e di GARBASSO
(vedasi) (Fisica d’oggi. Filosofia di domani), PASTORE (vedasi), prof, di fil.
teor. a Torino, ha dato alla logica-matematica e alla teoria dei modelli
meccanici (Sopra una teoria della scienza Logica formale dedotta dalla
consideraz. di modelli meccanici » «Del
nuovo aspetto della scienza e della fil.»
«Sillogismo e proporzione» «Il
pensiero puro» «Il problema della
causalità). Il calcolo logico, secondo il P., non è che uno degl’infiniti
modelli con cui si può rappresentare l’ordine dei fenomeni e prevederli; e
tutti sono immagini o simboli equivalenti dell’infinita verità. Ma nelle sue
ultime opere PASTORE (vedasi), superando la posizione di questo suo iniziale
nominalismo, accenna ad orientarsi verso unaforma di panlogismo. Al positivismo
anzi al positivismo più rigoroso ed estremo va pure ascritta la « filosofia
scettica » di RENSI (vedasi), prof, di fil. mor. a Genova, pensatore fervido,
scritore suggestivo, polemista animoso. Egli muove in tutt’i suoi libri
principali una vivace battaglia contro l’idealismo assoluto, negando
radicalmente ogni assolutezza delle forme o attività spirituali, e sostenendo
che nell’ambito della sfera della pura ragione (in quanto cioè la pura ragione,
o lo spirito, costruisca cavando esclusivamente dal proprio fondo, a priori, e
si concepisca non come determinata dal fatto, dal dato, ma come generante essa
l’oggetto) impera sovrana e invincibile l’antinomica ossia lo scetticismo. Ma,
quindi, certezza v’è solo nella constatazione sensibile del fenomeno come tale,
e a questa certezza è parallelo l’accordo universale, in ciò, delle menti.
Comincia il regno dell’incertezza, della mera opinione, e quindi della fantasia
(e perciò in un certo senso dell’arte) quando si vuole salire oltre la
constatazione del fenomeno per interpretarlo. Dunque, o la filosofia è la
constatazione del fenomeno, ed è positivismo e scienza; o è l'interpretazione
di esso, ed è mera espressione d'impressioni, cioè arte, e, dal punto di vista
del sapere, scetticismo (« Lineamenti di Fil. scettica » ). Di conseguenza,
anche nel campo pratico, morale e diritto non sono costruzioni razionali che lo
spirito cavi con apodittica assolutezza dal proprio fondo, ma sono determinati,
qua e là variamente, dalla «Autorità» del fatto esteriore, come il positivismo
sofistico e quello hobbesiano avevano scorto («Il diritto», ib. «Filosofia
dell’Autorità» «Introduzione alla scepsi
etica). Anche l’estetica è, come forma a priori dello spirito, nient’altro che
scepsi estetica (« La scepsi estetica) e come «bello» non può valere se non la
valutazione di fatto che pronuncia il gruppo sociale o la specie. Negli ultimi
suoi scritti (L'irrazionale, il lavoro, l’amore, Interiora Rerum, Realismo) RENSI
(vedasi) accentua i caratteri realistici e nello stesso tempo pessimistici del
suo scetticismo. Non come positivista, ma come scettico, vuol essere qui
ricordato LEVI (vedasi), prof, di st. d. fil. a Pavia e operoso cultore della
st. d. fil. ant. (« Il concetto del tempo nei suoi rapporti coi probi,
dell’essere e del divenire nella fil. gr. sino a Platone» « Id. nella fil. di Platone» «Sulle
interpretaz. immanentistiche della fil. di PI.»), mod. («La fil. di Berkeley) e
conteinp. (« L’indeterminismo nella fil. frane, contemp. » ecc.). Il L. («Sceptiea) rappresenta un
radicale scetticismo che eliminando da sè ogni elemento dommatico, sfugge alla
consueta accusa d’intima contraddizione. Tutte le metafisiche, compreso
l’idealismo assoluto, si fondano sopra una concezione realistica, che, in
quanto voglia rispondere a esigenze non pratiche ma puramente teoretiche, è
senza giustificazione, anzi in contrasto con il presupposto fondamentale del
conoscere (costituito dal mio io pensante): tuttedico — fuorché una, il
solipsismo, che da questo presupposto direttamente deriva, e che, sebbene
criticabile perchè includente innegabili irrazionalità, è fra tutte la più
plausibile. Contro il positivismo, il solipsismo sostiene che il dato
dell’esperienza esige una interpretazione del pensiero, e però non ha valore
per sè. L’estetica del L. («La fantasia estetica) si riassume nella tesi che «
l’opera d’arte nasce dal mistero, ha caratteri non determinabili completamente
ed esaurientemente e suscita in chi la contempla uno stato particolarissimo,
irreducibile e non del tutto definibile ». In SICILIA (non Italia) il
positivismo si presenta con aspetti caratteristici nella filosofia
dell’identità di CORLEO (vedasi), prof, di fil. mor. a Palermo, e nel radicale
empirismo di GUASTELLA (vedasi), prof, di fil. teor. a Palermo. In CORLEO.,
positivistico è il metodo, o il punto di partenza: ma egli con la pura
osservazione dei fatti e senza nulla presupporre vuol giungere alla metafisica
e a conclusioni eminentemente razionalistiche. Non vi è qualità la quale non si
riduca a quantità, e questa riduzione che è il compito della scienza, rende
possibile la costruzione di una filosofia che adegui la esattezza della
matematica. CORLEO ha una concezione atomistica della vita psicologica: dalle
percezioni che sono gli atti primordiali del pensiero, e, presentandosi come in
parte identiche, in parte non identiche fra loro, sono tutte complessi,
identici con la somma delle parti risultano l’analisi e la sintesi spontanee,
che operano sopra le percezioni stesse, onde i punti simili di queste si
presentano similmente, e i punti per cui si differenziano si separano
naturalmente: così si spiegano le formazioni mentali superiori. Lo stesso
fondamentale assioma della identità non è dunque che un dato della esperienza,
emergente dalla osservazione del fatto del pensiero: ma è un tale dato che
consente di trovare nell’empirico l’assoluto, perchè assoluto è che
identicamente apparisca ciò che identicamente apparisce. La noologia del C. è
per un verso psicologia empirica: ma per l’altro verso è, in quanto la sua
psicologia è piuttosto una schematizzazione matematica di esperienze
psicologiche, anche logica e gnoseologia. La esperienza si eleva al grado di
concetto per virtù della legge di priorizzazione, onde gli elementi costanti
della rappresentazione di un oggetto «prendono il davanti», diventando tipo e
norma degli altri, e quel che vieti dopo, o si assimila a ciò che precedette e
riproduce quegli elementi costanti, o non si assimila e non li riproduce: qui è
la fonte della universalità e della necessità: ma i giudizi si fondano tutti
sull’analisi del fatto o del concetto e sul riconoscimento d’un’identità
parziale o totale: non esistono giudizi sintetici a priori. Alla stregua del
principio d’identità il C. esamina e critica le idee madri (categorie) e
procede a rettificare e giustificare, contro i positivisti, le idee della
metafisica, da quella di atomo a quella di Dio, mostrando che esse hanno pure
fondamento positivo e valore obiettivo, perchè sono composte con elementi presi
dalla esperienza mediante l’astrazione e la sintesi degli astratti (« Fil.
univ. Il sistema della fil. univ. ovvero la fil. dell’identità). GUASTELLA
procede sulle orme del Mill, sforzandosi di ridurre il pensiero di lui a
maggior coerenza, e professa un assoluto nominalismo. Il suo sistema
nell’aspetto ontologico, è un fenomenismo radicale (esse est percipi) e,
nell’aspetto logico, psicologico e gnoseologico, un non meno radicale
empirismo. Fenomenismo, perchè questa dottrina non afferma niente, nè come
conosciuto nè come inconoscibile, ai di là del mondo empirico, intendendosi per
mondo empirico l’insieme dei fatti di cui si ha esperienza o che s’inferiscono
da questi in virtù della generalizzazione dei rapporti costanti osservati fra
di essi, ed essendo esso null’altro che la stessa esperienza. Empirismo, cioè
una dottrina sul criterio della verità, che tra i motivi delle nostre
affermazioni di quelle che non sono semplici atti di memoria o comparazione non
ammette come legittimo che la induzione, e respinge come illegittimi l’evidenza
intrinseca (non confermata dall’induzione) e l’influenza della passione e della
volontà. Il pensiero ha natura sensibile, e non è costituito se non da imagini
concrete e particolari: non esistono giudizi a priori : tutte le nostre
proposizioni sono affermazione o negazione della esistenza di certi fatti
particolari. Anche le nozioni di causa (notevole la critica dissolvente del
concetto di causa efficiente) e di sostanza derivano daglielementi del senso.
Non si può affermare altra esistenza che quella dei fenomeni: fenomeni interni
o subbiettivi nei quali si risolve il Me, fenomeni della natura esteriore, che
si risolvono in sensazioni reali o possibili: non vi è altra scienza possibile
che quella delle uniformità di successione, coesistenza, somiglianza tra i
fenomeni. E il fenomeno è il fatto dell’esperienza, e non esiste se non in
quanto se ne ha esperienza: ma questa conoscenza fenomenica è completa e
assoluta. Anche la credenza nella esistenza degli altri soggetti ha fondamento
nella esperienza, che dà cosi la via di sfuggire al solipsismo. Il postulato
della corrispondenza tra spirito e realtà deve essere ammesso come obbiettivamente
valido, senza uopo di prova, perchè esso è anzi implicito in ogni prova, e non
si potrebbe contestarlo senza rinunziare all’uso del pensiero: rientra, in
sostanza, nel postulato universale, che noi dobbiamo aver fiducia nelle nostre
facoltà. La parte più originale della dottrina di GUASTELLA è la Filosofia
della Metafisica, cioè la ricerca del fondamento psicologico delle costruzioni
metafisiche e la dimostrazione del loro carattere illusorio. Quel fatto che è
la metafisica, richiede di essere spiegato: come nasce la tendenza
irresistibile a trascendere la esperienza, e come si determinano le varie forme
sotto cui ci apparisce questo preteso al di là dei fenomeni? Tale tendenza è
tutt’uno con quella che porta ad assimilare tutti i fenomeni e tutte le idee
che ci formiamo su di essi ai fenomeni, e alle idee sui fenomeni, che ci sono
più familiari: particolarmente ai fenomeni dell’azione della volontà sul nostro
corpo donde la filosofia volizionale — e del movimento per urto — donde la
filosofia meccanica o impulsionistica («Saggi sulla teoria della con. I. Sui
limiti e l’ogg. della con. a priori. II. Fil. della Metafisica» «Le ragioni del
fenomenism). Non e il compito di L. considerare le relazioni del positivismo
italiano con le filosofie ch’esso trova già vigoreggianti al suo primo
manifestarsi, e con le altre correnti che successivamente, in antitesi o in
continuità con esso, hanno avuto o'ritrovato fortuna tra noi. La precedente
rassegna analitica basta a dimostrare la profondità, l’ampiezza, la fecondità
di un movimento che scaturisce da una necessità, immanente allo spirito umano.
Fin dal suo apparire il positivismo fu accompagnato in Malia con i segni aperti
di una ostilità che non ha disarmato mai : è leggenda tanto più insistentemente
ripetuta quanto più esaurientemente sfatata ch’esso abbia mai ottenuto il
predominio nell’insegnamento superiore o aspirato a esercitarvi una tirannica
dittatura. Ha tenacemente resi¬ stito all’imperversare di polemiche, le quali
hanno sovente trasceso i limiti segnati alla critica onesta e serena, mossa
unicamente da zelo di verità. Seguendo la traccia d’ARDIGÒ, e trovando in sè la
virtù di reagire contro la tendenza al semplicismo e al rozzo empirismo, è
venuto progressivamente interiorizzandosi e affinando in sè il senso della
esigenza storica e critica: inflessi- bile nel rivendicare alla filosofia la
stffi autonomia e la sua distinta funzione, ha tenuto fede al patto di alleanza
con la scienza, stretto sul fondamento della unità di metodo : e non è
certamente questa la sua minore benemerenza verso la cultura nazionale.
Firenze, R. Università.Ludovico Limentani. Luigi Speranza, “Grice e Limentani”. Limentani.
Luigi Speranza -- Grice e Limone: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della simbolica del
potere – la scuola d’Atella -- filosofia basilicatese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Atella). Filosofo
italiano. Atella, Potenza, Basilicata. Grice: “I like Limone; like me, he has
explored the idea of value in terms of catastrophe – I didn’t. He has explored
the poetics of philosophy – and he has investigated on a concept that Strawson
and I always found fascinating, that of a person!” -- “Che cosa è, nel mondo
umano, la persona?” “Tutto.”
“Che cosa è, nel mondo contemporaneo, la persona?”” Nulla.” Persona e memoria,
Rubbettino. La sua ricerca filosofica si inserisce nel solco del personalismo
comunitario. Si laurea a Napoli e il
Roma. Studia a Parigi e a Châtenay-Malabry, sede dell'Association des
amis de Mounier, presso la Comunità dei muri bianchi, cui appartenevano
Fraisse, Ricœur, Mounier, Domenach. Insegna a Napoli. I suoi interessi di
ricerca abbracciano aspetti epistemologici, etici, filosofico-pratici e simbolici.
Al centro della sua attenzione teoretica è “la persona”. Fonda la rivista
"Persona” e "Symbolicum" sulla simbolica. SIMBOLO. Sonda in
profondità l’idea di persona. Là dove la persona non è né la semplice
nobilitazione dell’essere umano in generale, né una singola unità seriale.
Della persona si può dare idea, non “concetto”, perché l’idea è aperta come la
vita, mentre il concetto è chiuso. L’idea di persona, però, non è l’idea di un
quid ma di un “QVIS” perché la persona è un “chi” (“Someone is hearing a
noise”) non un “che” (“Something is hearing a noise”)– That’s why it’s very
wrong to call “the chair is red” as third-PERSON seeing that the chair is
hardly a person!” è l’idea di un’essenza che non può essere separata dalla
concreta singola esistenza, originalissima e dotata di dignità. In quanto idea
di un “quis”, la persona si presenta come l’altro versante del teorema
d’incompletezza di Gödel. Il significato della persona si delinea all’interno
di una costellazione in cui essa: -è realtà singolare e la sua idea; -è
prospettiva ontologica sussistente e la sua verità; -è la parte di un tutto che
solo parzialmente è parte, perché per altro verso si presenta come un tutto, in
quanto è irriducibile al tutto e indivisibile in sé; -è l’eccezione istituente
una regola che riesce, e non riesce, a farsene istituire; -è l’idea di qualcosa
che resiste alla possibilità di essere ricondotto a un’idea; -è l’idea di un
appartenere che resiste all’idea di appartenere. L’essere della persona
richiama, a suo modo, il problema delle antinomie di Russell. Un tale
arcipelago di paradossi costituisce, però, una forza virtuosa che interroga
ogni sistema. La persona si configura come invenzione teorica, paradosso logico
e misura epistemologica, e rappresenta il punto strutturale di base che istituisce
la visione del gius-personalismo. Altri saggi: “Tempo della persona e sapienza
del possibile: Valori, politica, diritto (ESI, Napoli); “Tempo della persona e
sapienza del possibile: Per una teoretica, una critica e una metaforica del
personalismo (ESI, Napoli); La catastrofe come orizzonte del valore, Monduzzi,
Milano. Bellezza e persona, su “Aisthema” “La macchina delle regole, la verità
della vita. Appunti sul fondamentalismo macchinico nell’era contemporanea, in
La macchina delle regole, la verità della vita (Angeli, Milano); Che cos’è il
gius-personalismo? Il diritto di esistere come fondamento dell’esistere del
diritto, Monduzzi, Milano. Ars boni et aequi. Ovvero i paralipòmeni della
scienza giuridica. Il diritto fra scienza, arte, equità e tecnica (Angeli,
Milano), Filosofia e poesia come passioni dell’anima civile. La persona fra potere
e memoria in Persona, Artetetra, Capua. Persona e memoria – cf. Grice,
“Personal identity” -- “Oltre la maschera” il compito del pensare come diritto
alla filosofia, Rubbettino, Soveria Mannelli. Poesia Polifonia d’un vento
(Salerno-Roma). Dentro il tempo del sole (Salerno-Roma). Ore d’acqua
(Salerno-Roma). Incontrando il possibile re (Salerno-Roma). “Notte di fine
millennio” (Bari). Fenicia, sogno di una stella a nord-ovest (Roma). L'angelo
sulle città, in onore del figlio (Roma ). Le ceneri di Pasolini (Pasturana, Alessandria).
Aforismi di un impiccato felice (Salerno). Aforismi del passato duemila:
distruzioni per l'uso (Salerno). Ossi di limone. Aforismi di uno scostumato
(Vatolla). Sierra Limone. Dai taccuini fenici di Er Limonèro (Vatolla). NV.
Melchiorre, Essere persona, Fondazione A. e G. Boroli, Milano Fondazione roberto
farina. Giuseppe Limone. Limone. Keywords: simbolo, simbolismo, la dimensione
del simbolo, ventennio, fascismo, simbolica
del potere, mistica fascista, damnatio memoriae, la composita, la simbolica,
simbolo, composito. Strawson, “The concept of a person” – Ayer: “The concept of
a person” – Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Limone: la composita” --. Luigi Speranza, “Grice e Limone: umano e
persona” – The Swimming-Pool Library.
Luigi
Speranza -- Grice e Lisi: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone
-- Roma – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo
italiano. Taranto, Puglia. A Pythagorean. When the Pythagoreans were being
persecuted in Italy, L. escapes and makes his way to Teba. There he becomes the
tutor of Epaminonda, the city’s military leader. He writes a letter to Ipparco. Lisi
Luigi
Speranza -- Grice e Lisiade: all’isola – la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
siciliana – scuola di Catania. filosofia italiana – Luigi Speranza (Catania). Filosofo italiano. Catania,
Sicilia. A Pythagorean according to Giamblico di Calcide.
Luigi
Speranza -- Grice e Lisibio: la ragione conversazionale e la diaspora di
Crotone -- Roma – filosofia pugliese – scuola di Taranto -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Taranto). Filosofo
italiano. Taranto, Puglia. A Pythagorean according to Giamblico di Calcide.
Luigi
Speranza -- Grice e Lisimaco: la ragione conversazionale al portico romano -- Roma – filosofia toscana – filosofia
fiorentina – scuola di Firenze -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo
italiano. Firenze, Toscana. He belonged to The Porch. The tutor of Amelio
Gentiliano. Since Amelio comes from Firenze, that may be taken as having been
the home of L. as well.
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