Luigi Speranza -- Grice e Peano: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – il deutero-esperanto
di Grice -- formalisti ed informalisti –
modernisti e neotradizionalisti – la riforma della lingua d’Italia -- la scuola
di Spinetta di Cuneo -- filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Spinetta
di Cuneo). Filosofo italiano. Spinetta di Cuneo, Piemonte. Peano citato da Croce
nella “Logica, o della sicenza del concetto”. L’unico italiano citato da nome
da Croce nella Logica. La polemica Croce e il logicismo. Croce, Peano, e la
lingua universal – Per che la lingua d’Italia non e formale per Croce. Grice: “My type of philosopher; he quotes from Breal, Mueller – I wish I
could!” Spinetta di Cuneo, Piemonte. Grice: “As I reduce “the” to “every,” I am
of course following Peano, who predates Russell!” -- important Italian
philosopher. Linceo.
P. Fa la sua comparsa una delle proposte di lingua internazionale inventata d’italiani
che conosce più risonanza, il latino sine flexione di Peano, presentato nella
Revue de Mathématique -- La Revue de Mathématique è creata dallo stesso P.
Egli, assieme a molti altri filosofi, vi pubblica propri studi e ricerche
sulla logica e sulla storia della matematica. Il suo creatore non è in realtà
un linguista o un esperto di lettere - sebbene partecipa più volte a dei
congressi dove vienneno discussi problemi, oltre che di matematica, anche di
filosofia, didattica e linguistica - ma, come per altri filosofi, i suoi
interessi principali sono la matematica e la geometria. Dopo frequentare il
liceo classico a Torino, s’iscrive al corso di laurea di matematica e nello
stesso anno in cui consegue la laurea comincia ad insegnare presso Torino alla
cattedre di algebra, geometria analitica, e calcolo infinitesimale. Le sue
scoperte in ambito scientifico gli valgeno importanti riconoscimenti, la
partecipazione a numerose accademie, come quella dei Lincei, e gli permetteno
di mantenere frequenti contatti con i massimi esponenti del campo della
ricerca matematica. Proprio per questo, egli intrattenne numerosi carteggi con
gli altri filosofi, ed è perciò incentivato all'apprendimento delle lingue
straniere. Nonostante la lingua latina avesse smesso d’essere la lingua
internazionale delle scienze, P., che crede ancora fortemente nella sua
internazionalità pubblica i suoi studi sui concetti primitivi di zero, numero e
successore, intitolati “Arithmetices Principia”, proprio in latino – Grice:
“Whereas the only Latin Whitehead and Russell had allowed them to play with
PRINCIPIA in the title one – Moore was worse with his Principia ethica! -- . P.
si dedica similmente alla stesura di una imponente enciclopedia di concetti e
teorie matematiche, il FORMOLARIO, di cui furono stampate cinque edizioni, la
prima delle quali in francese e l'ultima proprio nella lingua internazionale da
lui elaborata, il Latino sine flexione. Le informazioni biografiche sono
tratte da treccani.it/enciclopedia Dizionario Biografico, cur. Roero. Eco, La ricerca della lingua perfetta in
Italia, Roma-Bari, Laterza. P., Vocabulario de latino Internationale comparato
cum anglo, franco (o gallo), germano, italo, russo, Greaco et sanscrito,
Torino, Cooperativa. L'esigenza di creare una lingua internazionale deve essere
nata in P. proprio in risposta alla necessità di comunicare in maniera precisa
e veloce con quanti più studiosi e colleghi di ogni nazione. Ma l’evento che da
il via alla composizione pratica di questa lingua è probabilmente la
pubblicazione, avvenuta qualche anno prima e curata da Couturat, di frammenti
inediti di Leibniz, nei quali il filosofo tedesco discute intorno
all'istituzione di una lingua universale. La scelta, ricadde sul latino, sul
quale egli opera una minuziosa opera di semplificazione, su esempio anche della
lingua immaginata prima da Leibniz, che prevede una drastica regolarizzazione e
semplificazione della grammatica, con una sola declinazione e una sola
coniugazione, l'abolizione dei generi e del numero, l'identificazione d’aggettivo
e avverbio, la riduzione dei verbi a copula + aggettivo (“... is shaggy” –
Grice), e come rivela nelle parole di apertura del vocabulario de latino inter-nationale,
quando dice «In scriptio precedente "De latino sine flexione", me
explica idea de Leibniz, que declinatione et conjugazione non es
necessario. L'uso della lingua inventata allora, evidentemente a posteriori, è
indirizzata alla comunità scientifica - la quale si suppone avesse già delle
discrete basi della lingua antica. Così P. ne parla in un altro articolo. La
differenza fra questa nuova applicazione e le precedenti è che mentre in
matematica le idee sono precise, e le uguaglianze esatte, qui invece le idee o
parole su cui si opera sono un po’elastiche, e l’uguaglianze sono solo
approssimate. Quindi sostituendo l'uno all'altro membro dell'eguaglianza, spesso
si trascura il COLORE (implicatura, Farbung) della frase. Ma ciò è un vantaggio
nel linguaggio scientifico – formale: Grice: formalists ad informalists
--, che tende al massimo di semplicità. Vedasi l'articolo
Il latino quale lingua ausiliare internazionale di P.,
wikisource.org/wiki/Il_latino-quale_lingua_ausiliare_internazionale. Sulla base
di studi compiuti su altre lingue moderne, P. decide d’eliminare una buona
parte del lessico latino dal vocabolario della sua lingua, così come avevano
già fatto altre lingue romanze 9000 nomen, 1700 adjectivo, et 2500 verbo Latino
es mortuo in Franco. Ergo lingua moderno ignora numero enorme de voce de
latino classico. P, Vocabulario de latino Internationale comparato cum
Anglo, Franco, Germano, Hispano, Italo, Russo, Graeco et Sanscrito. I casi nel latino
sine flexione si esprimono solamente mediante l'uso di preposizioni, così com'è
al giorno d'oggi per le lingue romanze, e non solo. In particolare si indica. Il
genitivo con la preposizione DE. Il dativo con AD. L’ablativo con AB,
ex, ecc. L’accusativo si desume dalla sintassi, secondo l'ordine SVO
(nominativo-verbo- accusativo – PARIDE AMA ELENA) o secondo la costruzione qui
(accusativo)-nominativo-verbo. Il nominativo non prevede l'uso di preposizioni.
I nomi si desumono talvolta dal nominativo, talvolta dal genitivo, applicando
le seguenti regole. Mantenendo la forma del nominativo (per esempio nel caso di
parole di terza declinazione come il lat. MATER > «mater», o il lat. NOMEN
> «nomen»); dal
nominativo mutando le desinenze -US, -UM, -U, -ES (per esempio il latino
classico LUPUS, BELLUM, CORNU, DIES) in «-o, -o, -o, -e» (in latino sine
flexione «lupO, bellO, cornO, diE»). Dal genitivo, cambiando la desinenza -i in
-o e -is in -e (es. lat. URBS > Lat. s.fl. «urbe»). La conseguenza di questo
tipo di semplificazione è la ri-unione di tutte le parole sotto un unico caso,
l'ablativo. I pronomi personali sono: me, te, is (ea, id), nos, vos, iis
(eae, eos). I pronomi dimostrativi sono isto e illo. Il pronome relativo è ‘que.’
I pronomi indefiniti sono: omni, ullo, nullo, alio, multo, e pauco (cf.
Grice on Altham pleonetetic – Geach). Come sostene Leibniz, la categoria del
genere non ha senso in una lingua razionale, poiché i referenti inanimati di
per sé non hanno genere. P. decide di indicare il genere, per i soli referenti
animati, con le parole «mas» e «femina» (ad esempio al posto di lat. MATER EST
BONA P. preferisce le forme indeclinabili «mater est femina bono. Ma poiché
nell'idea di 'madre' è già contenuta l'idea del femminile, è sufficiente «mater
est bono. Cf. Bachelor is bona – Grice/Strawson, In defense of a
dogma. Il
femminile si mantiene poi nel caso dei pronomi personali «is, ea, id»
(es. «ea est bono»). Come per il genere, anche il numero non è marcato
morfologicamente. Per indicare il singolare e plurale è sufficiente apporre
«uno» e «plure» (ad esempio la frase latina UNUM OS HABEMUS ET DUAS AURES [it.
'abbiamo una bocca e due orecchie'] in Latino sine flexione diviene «habemus
uno uno ore et plure duo aure», che semplificato - visto che nell'idea di 'due'
è già contenuta quella di 'plurimo' - appare «habemus uno ore et duo
aure». Ai verbi devono essere omesse le desinenze di persona, modo e quasi
sempre del tempo. La forma del verbo deve essere scelta dalla sua forma
all'imperativo (del tipo lat. EGO CURRO > Lat. s. fl. «me curre»). Per
comporre la forma dell'infinito è sufficiente aggiungere il suffisso -re alle
forme dell'imperativo (del tipo «curre» > «currere») e allo stesso modo si
formano anche le forme del passivo (es. sul verbo latino AMARE si ha la forma
indeclinabile ama, il cui infinito e passivo sono “amare.” Così al presente
attivo si ha «me AMA te – PARIDE AMA ELENA» e al presente PASSIVO «me AMARE te;
ELENA AMARE PARIDE. Vi sono alcuni casi particolari. Solo nel caso dei verbi
es, pote, vol, e fi, le forme INFINITE sono «esse, posse, volle, e fieri». I
verbi deponenti vengono trasformati in attivi per limitare le irregolarità. Per
esprimere i tempi si aggiungono locuzioni come «heri, jam, in passato, nunc,
cras, in futuro, vol, debe», ecc. Esempi: lat. EGO SCRIBO > «me (nunc) scribe»; lat. VOS
LEGITIS > «vos lege»; lat. NOS
AUDIVERAMUS > «nos IN PASSATO aude». Per indicare la funzione del verbo
(modo) si usano le particelle si, ut, quod, ecc. e alcune perifrasi.
Esempi: lat. LAUDANDO > «dum lauda»; lat. LAUDATO >
«qui aliquo lauda»; lat. LAUDATURO > «qui lauda IN FUTURO». P. spiega
anche come si compone il vocabolario o LESSICO del Latino sine flexione. Ogni
nome e verbo deve essere invariabile. Devono essere presenti anche i vocaboli
internazionali - scientitici - come «dyne, metro» ecc. I vocaboli possono
essere scelti non solo dal latino classico ma anche da quello che egli
identifica come latino popolare, ovvero diremmo oggi le lingue romanze o i
volgari, qualora questo esista in almeno due di questi (come ad esempio
caballus. La derivazione e la composizione dei vocaboli devono essere ridotte
al modo seguente. I diminutivi si ottengono preponendo la parola «parvo» [it.
'piccolo/minuto']. I sostantivi astratti derivati da aggettivi sono sostituiti
dagli aggettivi. Così il lat. ALTITUDO > «alto», il lat. BONITAS > «bono.Gl’aggettivi
che derivano da sostantivi sono sostituiti dal sostantivo al genitivo. Così il
lat. AUREO > «DE oro», il lat. ROMANO > «DE Roma. I sostantivi astratti
derivati da verbi sono sostituiti dai verbi. Così il lat. VIVERE EST COGITATIO
> «vive es cogita»; e. i sostantivi che esprimono colui che fa l'azione sono
sostituiti da perifrasi. Così il lat. LAUDATORE > «qui lauda», allo stesso
modo degli aggettivi derivanti da verbi, così il lat. ERRABUNDO > «qui saepe
erra». Gl’avverbi derivati d’aggettivi valgono tanto come aggettivi quanto come
avverbi. Così il lat. BREVI > «brevi», it. 'brevemente/breve.’ Per
esprimere opposizione è sufficiente apporre il prefisso ne- (su analogia con le
forme latine SCIO/NESCIO, FASTUM/NEFASTUM, ecc. Così il lat. DIFFICILE >
«ne-facile», ABNORMALE > «ne-normale». In alcuni casi è possibile
utilizzare anche la preposizione «ab» Le informazioni sono tratte dalla
trascrizione del saggio di P., De latino sine flexione. Lingua auxiliare
internationale,gutenberg. Nonostante il latino sine flexione sia stato pensato
come lingue di comunicazione scritta, l'autore dà anche qualche informazione
sulla sua pronuncia, che è simile a quella dell'italiano, ma non in tutti
i casi: c k t t th ph f ch X
h h rh qu ku P. sul finire del suo saggio
asserisce che l'adozione di una lingua storico naturale come lingua
internazionale è improponibile per via dei suoi risvolti politici. Così si
spiega la sceltadel latino, lingua antica e ormai lingua di nessuno stato
particolare e, se vogliamo, perfetta proprio perché senza esercito. A
sostegno della sua tesi riporta gli studi di altri filosofi che nel tempo hanno
avanzato proposte simili alle sue, tra i quali compaiono i lavori di Lullo,
Kircher, Dalgarno, Wilkins, Leibniz e decisamente più recenti, quelli di ROSA
(si veda), Zamenhof, Schleyer, Couturat e Leau (Histoire de la langue
universelle). P. da mostra di conoscere la storia delle proposte di lingua
universale anche nel suo saggio Il latino quale lingua ausiliare
internazionale, Atti della Reale Accademia delle Scienze di Torino, dove elenca
le tipologie di proposte che sono state avanzate per risolvere il problema
della confusione linguistica, quasi babelica, e in particolare si sofferma
sulle due principali correnti dei suoi tempi: chi propone una semplificazione
del latino e chi propone la creazione di una lingua internazionale a partire
dal lessico internazionale. Ma poiché le parole facenti parte del lessico
internazionale sono quasi tutte di origine latina – cf. Hare: dictor/dictum,
Grice, implicatura, Strawson: prae-positio, Austin, per-forma --, P. ritiene
più sensato ricorrere alla prima tipologia proposta, quella a cui in effetti è
da ricondursi anche il progetto del latino sine flexione.Vedasi P.wikisource.org/wiki/11
latino-quale lingua ausiliare_ internazionale. A differenza del
deutero-esperanto di Grice, non usato ma da Grice, il latino sine flexione è
utilizzato anche da altri filosofi come VACCA (si veda), in Sphoera es solo
corpore, qui nos pote vide ut circulo ab omne puncto externo, LAZZARINI (si
veda), in Mensura de circulo iuxta Leonardo[VINCI (vedasi) Pisano, e PANEBIANCO
(vedasi) che discute proprio della lingua internazionale nell'opuscolo “Adoptione
de lingua internationale es signo que evanesce contentione de classe et bello” (Padova,
Boscardini). Vedasi ALBANI, BUONARROTI. PANEBIANCO (vedasi) è anche un grande
appassionato di Esperanto, tanto che è solito firmarsi "esperantista socialista".
Quest'ultimo, come si evince anche dal titolo della sua opera, vede nella
lingua internazionale un modo per mettere la parola fine ai contrasti
internazionali, e in particolare al capitalismo spietato. Inter-linguista,
quale que es suo opinione politico aut religioso es certo precursore de novo
systema sociale. Isto novo systema, in que homines loque uno solo lingua magis
facile, commune ad illos non pote es actuale systema de "homo homini
lupus", sed es systema sociale in que toto homines fi socio. Per ben
adempiere a un tale compito, la lingua perfetta di PANEBIANCO (si veda) deve
seguire gli stessi principi di quella di P. Es evidente que essendo id sine
grammatica, id es de maximo facilitate et simplicitate. Ergo, es per illo quasi impossibile ad fac ambiguitate, excepto ad
praeposito [“As when the conversational maxim, ‘avoid ambiguity’ is FLOUTED for
the purpose of bringining in a conversational implicature”]. Etiam es
multo plus rapido compone et scribe in isto lingua que in proprio lingua
nationale. Si capisce allora che egli auspica che il latino sine flexione
assurga a lingua di comunicazione non solo internazionale, ma anche quotidiana,
e forse i suoi auspici si spingono sì avanti che lo vorrebbe elevato a lingua
naturale, lingua madre di tutti i popoli. Nonostante sia stata utilizzata in
più occasioni e sia tra le lingue ausiliarie internazionali italiane che conosceno
più fortuna, la lingua di P. non raggiunse mai la fama e la diffusione d'uso
che in vari momenti raggiunsero altre LAI, come ad esempio l'esperanto – se
non, tra i griciani, il deutero-esperanto. Ad ogni modo, rimane indubbia
la qualità del progetto di P.: un filosofo che vede nella parola un'unità
semplice e combinabile, indeclinabile, capace di esprimere il mondo in maniera
esatta, così come fanno i numeri. Sua è infatti la citazione, parecchie
equazioni logiche sono nello stesso tempo equazioni etimologiche.
wikisource.org/wiki/il_latino_quale_lingua_ausiliare_internazionale, la lingua
di P. si limita a giustapporre, a comporre i suoi elementi invariabili secondo
un ordine logico, eliminando gl’imbarazzi della grammatica latina
classica. P. divenne presidente dell’Accademia internazionale di lingua
universale, e la ri-nomina Academia pro Interlingua. L'accademia nasce sotto la
presidenza di Kirchhoff con il nome d’accademia internazionale di VOLAPÜK.
I suoi membri potevano utilizzare la lingua a loro più congeniale e intorno ad
essa orbitarono esponenti dei più prestigiosi progetti di lingue ausiliarie
internazionali. L'accademia pubblica la proposta di una nuova lingua universale
di base latina con il nome, appunto, d’inter-lingua, sotto la quale si cela il latino
sine flexione del suo presidente, con qualche leggera modifica (come ad esempio
l'uso della desinenza -s per indicare il plurale). P.’s postulates, also called P, axioms, a list of assumptions from which
the integers can be defined from some initial integer, equality, and
successorship, and usually seen as defining progressions. The P. postulates for
arithmetic are produced by P. He takes the set N of integers with a first term
1 and an equality relation between them, and assumed these nine axioms: 1
belongs to N; N has more than one member; equality is reflexive, symmetric, and
associative, and closed over N; the successor of any integer in N also belongs
to N, and is unique; and a principle of mathematical induction applying across
the members of N, in that if 1 belongs to some subset M of N and so does the
successor of any of its members, then in fact M % N. In some ways P.’s
formulation was not clear. He had no explicit rules of inference, nor any
guarantee of the legitimacy of inductive definitions which Dedekind established
shortly before him. Further, the four properties attached to equality were seen
to belong to the underlying “logic” rather than to arithmetic itself; they are
now detached. It was realized by P. himself that the postulates specified
progressions rather than integers e.g., 1, ½, ¼, 1 /8,..., would satisfy them,
with suitable interpretations of the properties. But his work was significant
in the axiomatization of arithmetic; still deeper foundations would lead with
Russell and others to a major role for general set theory in the foundations of
mathematics. In addition, with Veblen, Skolem, and others, this insight led in
the early twentieth century to “non-standard” models of the postulates being
developed in set theory and mathematical analysis; one could go beyond the ‘...’
in the sequence above and admit “further” objects, to produce valuable
alternative models of the postulates. These procedures were of great
significance also to model theory, in highlighting the property of the
non-categoricity of an axiom system. A notable case was the “non-standard
analysis” of Robinson, where infinitesimals were defined as arithmetical
inverses of transfinite numbers without incurring the usual perils of rigor
associated with them. Fu l'ideatore del latino sine flexione, una lingua
ausiliaria internazionale derivata dalla semplificazione del latino
classico. Nacque in una modesta fattoria chiamata "Tetto Galant"
presso la frazione di Spinetta di Cuneo. Fu il secondogenito di Bartolomeo P. e
Rosa Cavallo; sette anni prima era nato il fratello maggiore Michele e
successivamente nacquero Francesco, Bartolomeo e la sorella Rosa. Dopo un
inizio estremamente difficile (doveva ogni mattina fare svariati chilometri
prima di raggiungere la scuola), la famiglia si trasferì a Cuneo. Il fratello
della madre, Giuseppe Michele Cavallo, accortosi delle sue notevoli capacità
intellettive, lo invitò a raggiungerlo a Torino, dove continuò i suoi studi
presso il Liceo classico Cavour. Assistente di Angelo Genocchi all'Torino,
divenne professore di calcolo infinitesimale presso lo stesso ateneo a partire
dal 1890. Vittima della sua stessa eccentricità, che lo portava ad insegnare
logica in un corso di calcolo infinitesimale, fu più volte allontanato
dall'insegnamento a dispetto della sua fama internazionale, perché "più di
una volta, perduto dietro ai suoi calcoli, [..] dimenticò di presentarsi alle
sessioni di esame". Ricordi del grande matematico (e non solo della
vita familiare) sono raccontati con grazia e ammirazione nel romanzo biografico
Una giovinezza inventata della pronipote Lalla Romano, scrittrice e poetessa. Aderì
alla massoneria, iniziato nella loggia Alighieri di Torino guidata dal
socialista Lerda. Morì nella sua
casa di campagna a Cavoretto, presso Torino, per un attacco di cuore che lo
colse nella notte. Il matematico piemontese fu capostipite di una scuola
di matematici italiani, tra i quali possiamo annoverare Vailati, Castellano,
Burali-Forti, Padoa, Vacca, Pieri e Boggio. Peano precisa la definizione del
limite superiore e fornì il primo esempio di una curva che riempie una
superficie -- la cosiddetta "curva di Peano", uno dei primi esempi di
frattale -- mettendo così in evidenza come la definizione di curva allora
vigente non fosse conforme a quanto intuitivamente si intende per curva.
Da questo lavoro partì la revisione del concetto di curva, che fu ridefinito da
Jordan (curva secondo Jordan). Fu anche uno dei padri del calcolo
vettoriale insieme a Levi-Civita. Dimostra importanti proprietà delle equazioni
differenziali ordinarie e idea un metodo di integrazione per successive
approssimazioni. Sviluppa il Formulario mathematico, scritto dapprima in
francese e nelle ultime versioni in interlingua, come chiama il suo latino sine
flexione, contenente oltre 4000 tra teoremi e formule, per la maggior parte
dimostrate. Da un eccezionale contributo alla logica delle classi,
elaborando un simbolismo di grande chiarezza e semplicità. Da una definizione
assiomatica dei numeri naturali, i famosi assiomi di P. che vennero poi ripresi
da Russell e Whitehead nei loro Principia Mathematica per sviluppare la teoria
dei tipi. I contributi di Peano sulla logica furono osservati con molta
attenzione da Russell, mentre i contributi di aritmetica e di teoria dei numeri
furono osservati con molta attenzione da Vailati, il quale sintetizzava in
Italia il passaggio tra l'esame delle questioni fondamentali e l'applicazione
di metodiche di analisi del linguaggio scientifico, tipica degli studi logici e
matematici, e anche specifica gli interessi di storia della scienza, allargando
la prospettiva anche agli studi sociali. Per questo P. ha dei contatti molto
stretti con il mondo degli studiosi di logica e di filosofia del linguaggio
nonché gli studiosi di scienze sociali empiriche (Cfr. Rinzivillo, P., Vailati.
Contributi invisibili in Rinzivillo, Una Epistemologia senza storia” (Roma
Nuova Cultura). Ha ampi riconoscimenti negli ambienti filosofici più aperti
alle esigenze e alle implicazioni critiche della nuova logica formale. E affascinato
dall'ideale leibniziano della lingua universale e sviluppa il "latino sine
flexione", lingua con la quale cercò di tenere i suoi interventi ai
congressi internazionali di Londra e Toronto. Tale lingua e concepita per
semplificazione della grammatica ed eliminazione delle forme irregolari,
applicandola a un numero di vocaboli "minimo comune denominatore" tra
quelli principalmente di origine latina rimasti in uso nell’italiano. Uno
dei grandi meriti della sua opera sta nella ricerca della chiarezza e della
semplicità. Contributo fondamentale che gli si riconosce è la definizione di
notazioni matematiche entrate nell'uso corrente, come, per esempio, il simbolo
di appartenenza (“x ∈ A”) e il
quantificatore esistenziale "∃".
Tutta l'opera di P. verte sulla ricerca della semplificazione, dello sviluppo
di una notazione sintetica, base del progetto del Formulario, fino alla
definizione del latino sine flexione. La ricerca del rigore e della semplicità lo
portano P. ad acquistare una macchina per la stampa, allo scopo di comporre e
verificare di persona i tipi per la “Rivista di Matematica” da lui diretta e
per le altre pubblicazioni. Raccolge una serie di note per le tipografie
relative alla stampa di testi di matematica, uno per tutti il suo consiglio di
stampare le formule su righe isolate, cosa che ora viene data per scontata, ma
che non lo era ai suoi tempi. Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia
Ufficiale della Corona Commendatore della corona L'asteroide P. è stato battezzato così in suo onore.
Il dipartimento di Matematica di Torino è a lui dedicato. Molti licei in
Italia portano il suo nome, come ad esempio a Roma, Cuneo, Tortona, Monterotondo,
Cinisello Balsamo o Marsico Nuovo, così come la scuola di Tetto Canale, vicina
alla sua città natale. Saggi: “Aritmetica”; “Algebra” (Torino, Paravia,);
“Forma matematica” (Torino, Bocca); “Calcolo differenziale”; “Calcolo integrale”
(Torino: Bocca); “Analisi infinitesimale” (Candeletti); “Calcolo infinitesimale
e geometria” (Torino: Bocca), “Logica della geometria” (Torino: Bocca)”; “Principio
dell’arimmetica” (Torino, Paravia); “Giochi di aritmetica e problemi interessanti”
(Paravia, Torino). Provai una grande ammirazione per lui quando lo incontrai
per la prima volta al Congresso di Filosofia, che e dominato dall'esattezza
della sua mente. Russell. Amico, Storie della scuola italiana. Dalle origini (Zanichelli,
Bologna); Celebrazione, Luciano e Roero Torino); “Storia di un matematico” (Boringhieri).
L. Romano, “Una giovinezza inventata” (Torino,
Einaudi); Racconta episodi del rapporto con il prozio Giuseppe. Assiomi di P., Glottoteta, Lingua
artificiale, Matematica, Latino sine flexion, Cassina Calcolatori ternari M. Gramegna
Treccani Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. E P. stregò
Russell. The third kind of term, things, are only the entities indicated by
proper names, but they have no additional relation with other terms. This leads
Russell to consider the sole denoting concept which presupposes uniqueness -- "the.”
Russell admits the great importance of this term, recognizes the merit of P.'s
notation, and attributes to P. the capacity to make possible genuine
mathematical definitions defining terms which are not concepts, the meaning of
a word with its indication-reference and the meaning of a denoting concept with
its denotation. P. does something more than provide the standard notation. The
pre-eminence of a description over other forms of denotation is definitive. The
notation for a description is inspired in the Peanesque symbolism (i.e.
"laeb"). Membership to a class is replaced by a propositional
function (i.e. (l£)(<I>X)). A propositional function is explained as a
certain denoting function of <l>x, which, if <1>£ is true for one
and only one value ofx, denotes that value, but in any other case denotes (P).p.
Perhaps most interestingly for us is the insistence on the indefinability of
"the" – P.'s inverted iota is already used -- together with the
notion of denotation. The article, as published, adds the expression of the
main definition in terms of propositional functions together with the previous
manuscript definition in P.'s terms of existence and uniqueness, albeit if not
in symbolic form. The two essential definitions are Principia, * 14.01.02: .
\jI(IX)(epX) • =.(3b) : epx •=~ .x=b : \jib E ! ( 7 X ) ( e p X ) • = . ( 3 b )
: 4 > x . =• . x = b. This expresses the conditions of existence and
uniqueness essentially with P.’s resources, i.e., in terms of quantification
and identity, although adding propositional functions. P. has different vresources
to eliminate the definite article – his inverted iota -- from a proposition. P.
actually recommends this line in cases where the required conditions of
existence and uniqueness are doubtful, precisely through a sort of definition
in use. The descriptor is by no means indefinable in his system. Russell:
"I read Schrader on Relations and found his methods hopeless, but P.
gave just what I wanted (Letter to Jourdain, in Grattan-Guinness). If, as
Russell maintains in Principia, following P., that a definition is to be always
nominal, the definienda is only an abbreviation. Russell formulates his principle
to preserve the admissible part of Bradley’s analysis -- (his methodological
and analytical resourses -- and almost the entire Moore, in so far as they were
compatible with the requirements of Peano's logic. Some of the mostti mportant ideas
and symbolic devices that made Russell's theory of descriptions possible are already
present in essays Peano that Russell knows well. We may proceed by a detailed
comparison between the relevant parts of Russells theory -- including
manuscripts now published-and some of Frege and, . . ht as well as a discussion
of numerous possible obJectlons that P.’s mSig s, . . fl db could be posed to
the main claim. Even if Russell was not actually influenced by those insights,
the parallelisma are close enough to be worth analyzig, especially in the case
of P., whose writings are not very well known. (r) can be clearly found in Frege and Peano,
that (2) was almost admitted by Frege and was admitted explicitly-including the
symbolic expression by P.. THE SYMBOLIC ELIMINATION OF "THE" IN P.. The
source in P. of the symbols relevant to Russell's theory of descriptions have
been noted and sometimes explained (see, .for instance, 1988a and 199Ia, Chap.
3). I will confine myself to recalling that they were the letter iota (i) for
the unit class, and the same letter inverted (1), or denied ("fa), for the
only member of thiS class, i. e., the definite article of ordinary language. P.'s
ideas evolved in three stages towards greater precision in the treatment of a description.
This last P. starts from the definition in terms of the unit class. He then adds
a series of possible definitions (the ones allowing an alternative
logic al order), one of which offers this equivalence. P. introduces his
fundamental d~fimt~on ~f the u:l1t class as the class such that all of its
members are identical. In P.’s symbols, tx =ye (y =x). Likewise, P. defines
indirectly the.unique member of such a class: x = "fa • = • a = tx.
However, concerning the definability of the definite article, P. adds the crucial
idea that any proposition containing “the” can be reduced to. the for,? ta eb,
and thiS, again, to the inclusion of the referr~d .um~ class in the oth~r class
(a ~ b), which already supposes the elimination of the symbol t: Thus, P. says,
we can avoid an identity whose first member contams thiS symbol. Here we find
the assertion that the only individual belonging to a unit II As an anonymous
referee pointed out to me, one ~aj~rdifferenc~between P. and Russell's
treatment of classes in the context of descnption theolJ' is that, while, for
Peano, a description combines a class abstract with the inverse of the umt
class operator, for Russell the free use of class abstracts is not available
due to the discovery of paradoxes. P. does not explicitly state that the
mentioned expression would be meaningless, but rather "nous ne donnons pas
de signification a ce symbole si la classe a est nulle, ou si elle contient
plusieurs individus.” But this is equivalent in practice, given that if we do
not meet the two mentioned conditions, the symbol cannot be used at all. There
are, however, other ways of eliminating the same symbols according to P.. One which
is very similar and depends on the same hypothesis: laE b. = : a = tx. :Jx • Xc
b(ibid). class (a) such that it
belongs to another class (b) is equal to the existence of exactly one element
such that this element is a member of that class (b). In other words: "the
only member of a belongs to b" is to be the same as "there is at
least one x such that (i) the unit class a is equal to the class constituted by
x, and (ii) x belongs to b" (or "the class of x such that a is the
class constituted by x, and that x belongs to b, is not an empty class").
This seems to be equivalent to Russell's definition. P., of course, speaks in
terms of classes instead of a propositional function, i. e., in terms of the property
or the predicate, which define a class – P. often read the membership symbol as
"is" -- which expresses the same idea in a way where any reference to
the letter iota has been eliminated. We can read now "the only member of a
belongs to b" as the same as "there is at least one x such that (i)
the unit class a is equal to all the y such that y =x, and (ii) x belongs to
b" (or "the class of x such that they constitute the class ofy, and
that they constitute the class a, and that in addition they belong to the class
b, is not an empty class"). Thus, the full elimination underlies the definition,
although P., in lacking a specifically explicit philosophical goals, shows no
interest in making this point. Peano is totally aware of the importance of this
device as a way to reduce the definite article to more primitive logical concepts,
i.e. to eliminate it, as a result of which the symbol would cease to be
primitive. That is why P. adds that the above definitions
"expriment la P[proposition] 1a Eb sous une autre forme, OU ne figure plus
Ie signe 1; puisque toute P contenant le signe 1a est reductible a la forme
1aEb,OU bestuneCIs, on pourra eliminer Ie signe 1 dans toute P.” Therefore, the general belief according to which the symbol
"1" was necessarily primitive and indefinable for P. is wrong. By
pointing out that in the "hypothesis" preceding the quoted definition
it is clearly stated that the class "a" is defined as the unit class
in terms of the existence and identity of all of their members (i.e.
uniqueness): Before making more explicit the parallelism with Russell's theory,
let us consider possible objections against this rather strong claim. All of
these objections are either misconceptions or simply have no force with regard
to P.’s main claim. This is why"a"is equal to the expression ''tx'' (in
the second member). The objection could still be maintained by insisting that
since"a" can be read as "the unit class", P. did not really
achieve the elimination of the idea he was trying to define and eliminate, as
it is shown through the occurrence of these words in some of the readings
proposed above. However, as I will explain below, the hypothesis preceding the
definition only states the meaning of the symbols which are used in the second
member. Thus, "a" is stated as "an existing unit class", which
has to be (1) It is true that the symbol "1" has disappeared, but in
the definiens we still can see the symbol of the unit class, which would refer
somehow to the idea that is symbolized by ''tx'', so the descriptor has not
been really eliminated. The answer is very simple: for P. there were at least
two forms ofdefining this symbol with no need for using the letter iota (in any
of its forms). However, the actual substitution would lead us to rather
complicated expressions,14 and given P.'s usual way of working (which can be
First, by directly replacing tx by its value: y 3(y = x), as defined above.
Making the replacement explicit, we have: 14 Starting from this idea, we can
interpret the definition as stating that "la Eb" is only an abbreviation
for the definiens and dispensing with the conditions stating exist- ence and
uniqueness in the hypothesis, which have been incorporated to their new place.
Thus, the new hypothesis would contain only the statement of"a"
and"b" as being classes, and the final entire definition could be
something like the following: la Eb • =:3x 3{a =y 3(y =x) • X Eb}, a, bECls.::J
:. ME b. =:3XE([{3aE[w, zEa. ::Jw•z' w= z]} ={ye(y= x)}] •XEb), a E Cis. 3a: x,
yEa. ~x.y.X = y: bE CIs •~ : ... (Ibid.) understood in this way: " 'a'
stands for a non-empty class su~h that all of its members are identical."
Therefore, we can replace "a", wherever it occurs, by its meaning,
given that this interpretation works as only a purely nominal definition, i.e.
a convenient abbreviation. characterized as the constant search for
shorter and more convenient formulas), it is quite understandable that he
preferred to avoid it. In fact, the operation is by no means necessary, for the
symbolic expression above was already enough to obtain the full elimination of
the descriptor. We must not forget that the important thing is not the intu-
itive and superficial similarity between the symbols "la" and ''tx'',
caused simply by the appearance of the letter iota in both cases, or the
intuitive meaning of the words "the unit class", but the conditions
under which these expressions have been introduced in the system, which were
completely clear and explicit in the first definition.IS "k e K" as
"k is a class"; see also the hypothesis from above for another
example). But this by no means involves confusion with i~clusion,as. it is
shown by the fact that P. soon added four defimte properties precisely
distinguishing both notions, which made it po~siblefor.hi~~.~ for Russell
himself, to preserve the useful and convenient readmg is (2) The supposed
elimination is a failure, for (i) it depends upon Peano's confusion of class
membership and class inclusion, so that (ii) a singleton class (la) and its
sole member (lX) are not clearly distinct notions; it follows that (iii)
"a" is both a class and, according to the interpretation of the
definition, an individual (iv), as is shown by joining the hypothesis preceding
the definition and the definition itself This multiple objection is very
interesting because it can be taken as proceed- ing from the received view on P.,
according to which his logic not only falls s~ort ofstrict logical standards,
but also contains some import- ant confuSions here and there. However, the four
points can easily be s~own t? be mistaken. (Incidentally, I think this could
have been recog- mzed With pleasure by Russell himself, who always thought of P.
and his school as being strangely free oflogical confusions and mistakes.) .
Fir~t, it ~n hard~y be said that P. confused membership and mcluslOn, given
that it was he himselfwho introduced the distinction through his symbol
"e" (previously to, and therefore independently of, Frege). If the
objection means (which is rather unlikely) that P. would admit the symbol for
membership as taking place between two classes, it is true that this was the
case when he used it to indicate the meaning of some symbols, but only through
the reading "is" (e.g. full clarity that"1" (T) makes sense
only before individuals, and ''t'' before classes, no matter which particular
symbols we use for these notions. Thus, ''ta'', like "tx", both have
to. be read as "the class consti- tuted by ...", and" la"
as "the only member of a". Therefore, although P., to my knowledge,
never used "lX" (probably because he always which could be read as
" 'a and b being classes, "the only member of a belongs to b" is
to be the same as "there is at least one x such that (i) 'there is at
least one a such that for eve~,': and z belonging to a,.w = z' is equal to
't~ey such that y =. x', and (ii) x belongs to b,where both the letter Iota and
the words the unit class" have disappeared from the definiens.
aeCis.3a:x,yea.-::Jx,y. x=y:beCIs•~:. . l a e b . = : 3 x 3(a = t x . x e b),
15 There is a well-known similar example in the apparent vicious circle of
Frege's famous definition ofnumber. the reply to objection (1). There are
other, minor objections as well. Second, "la" does notstand for the
singleton class. P. stated with thought in terms of classes), had he done so
its meaning, of course, would have been exactly the same as "la",
with no confusion at all. Third, "a" stands for a class because it is
so stated in the hypothesis, although it can represent an individual when
preceded by the descriptor, and together with it, i.e. when both constitute a
new symb.ol as a w.hol~. Here P.'s habit could perhaps be better understood by
mterpretmg it in terms of propositional functions, and then by seeing"
la" as being somewhat similar to <!>x, no matter what reasons
ofconvenience led him to prefer symbols generally used for classes
("a" instead of"x"). There is little doubt that this makes
a difference with Russell. It could even be said that while, for Peano, the
inverted iota is the symbol for an operator on classes, which leads us to a new
term when it flanks a term, for Russell it was only a part of an
"incomplete symbol". I am not sure about P.'s answer to this, but at
any rate for him the descriptor could be eliminated only in conjunction with
the rest of the full express- ion "la e b", so that the most relevant
point of similarity again can be found in P.. Last, there is no problem when we
join the original hypothesis and the definition: as I have pointed out in the
interpretation contained in the last part of (3) If, as it seems,
"a" is affected by the quantifier in the hypothesis, then it is a
variable which occurs both free and bound in the formula (if it is a constant,
no quantifier is needed). I am not sure about the possible reply by P. himself
Perhaps he did not always distinguish with present standards o f clarity
between the several senses o f "existence" (or related differences)
involved in his various uses of quantifiers,r6 but in principle there is no
p'roblem when a variable appears both bound and free in the same expression,
although in different occurrences. At any rate, I cannot see how this could
affect my main claim; the important thing here is to recognize the fundamental
similarities between the elim- ination of the descriptor in P. and Russell.
However, in the several readings I proposed I hope to have clarified a little
the role of ".3" in P. . (5) P. could hardly have thought that he was
capable of eliminat- ing the descriptor, for he continued to use the symbol and
his whole system depended on it as a primitive idea.IS The only additional
reply is that only reasons ofconvenience can explain the retaining ofa symbol
in a system in cases where the symbol can be defined, i.e. eliminated. (After
all, Russell- himself continued to use the descriptor after its elimination by
means of his theory of descriptions.) But, as we have seen, there is no doubt P.
thought that the descriptor could easily be eliminated from propositions. (4)
Russell rejected definitions under hypothesis, therefore he would have rejected
the Peanian definition of the descriptor. Of course, we must admit that Russell
(like Frege) rejected this kind ofdefinition, but this took place especially in
the context of the unrestricted variable of Principia.I ? Besides, he himself
used this kind of definition for a long period once he mastered P.'s system. It
was because he interpreted these definitions as P. did, i.e. merely as -a
device for fixing the meaning of the letters used in the relevant symbolic
expressions. Thus, when for instance one reads, after whatever symbolic
definition, things like" 'x' being ..." or" 'y' being ...",
this would really be a definition under hypothesis, but, of course, only
because the meaning of the sym- bols used always has to be determined somehow.
Anyway, there is no point in continuing the discussion ofthis objection, given
that it is hard- ly relevant to my main claim. Even if P.'s original
elimination of the descriptor does not work because of its taking place in the
framework of a merely conditional definition, the force of his original insight
could well have influenced Russell; at any rate, it is worth knowing in itself
(6) The reduction mentioned, even if it really took place, was by no means
followed by the philosophical framework which made Russell's theory of
descriptions one of the most important logical successes of the century. Thus,
P. did not realize the importance of the elimination. This last point can
hardly be denied, but P.'s goals were very different from Russell's, so I think
that to point out a "lack" like this makeslittle sense from a
historical point ofview. 16 I would like to recall here that it was P.
himselfwho discovered the distinction between bound and free variables (which
he respectively called "apparent" and "real"), and
probably-and independently of Frege-also the existential and universal
quantification (see my I988a and I99Ia for a detailed account of both
achievements). Quine wrote that "1" was a primitive and indefin- able
idea in P. However, now that we have exchanged several letters concerning an
earlier version ofthis article, I must say he has changed his mind. His letter
to me ofII October 1990 contains the following passage: "I am happy to get
straight on P. on descriptions. I checked your reference and I fully agree. P.
deserves all the credit for it that has been heaped on Russell (except perhaps
for Russell's elaboration of the philosophical lesson of contextual
definition)". As for the sense in which the philosophical consequences of
the elimination of the descriptor were not very important for P., I have faced
the problem in my reply to an objection. And also in previous stages, through
the (finally unsuccessful) attempt at a substitutional theory based upon
propositions, with no classes and no propositional functions. . For according
to him the descriptor cannot be defined in isolation, but only in the context
of the class (a) from which it is the only member (la), and also in the context
of the clas~ from which that class is a member, at least to the extent that the
class a is included in the class b, although this supposes no confusion between
membership and inclusion; see the second point of my reply to objection (2)
above. I think this is just the right interpretation ofthe whole expression"1a
Eb". In any case, I cannot help being convinced that none of these objec-
tions seems to have any force against my main claim: that the elimin- ation of
the descriptor was present in P. with essentially the same symbolic resources
as in Russell. This is equivalent to the first two claims at the beginning of
this paper: P. clearly stated the conditions of existence and uniqueness as
providing the true significance of the descriptor; and (2) he had enough
symbolic techniques for dispensing with it, including those required for
constructinga definition in use. We have a few relevant passages, but the
clearest one occurs. There we can read that" Ta" is meaningless if
the conditions of existence and uniqueness are not ful- filled. Thus, even the
third claim was made by P.. Perhaps under certain different interpretations of
P.'s devices it could be shown that his elimination of the descriptor was not
exactly equivalent (in the tech- nical sense) to Russell's. Yet even if so, I
think that from the historical viewpoint, which means to do justice both to P.
and Russell, it is important to know that P. had these resources at his
disposal,' and that they may have influenced Russell. However, we can see the
heritage from P. in a clearer way if we compare the definition with the version
for classes in the same letter: . The parallelism is therefore complete, but
before finishing this paper I want to insist on my main claims by resorting now
to one of Russell's manuscripts, "On Fundamentals. First, we find there a
definition stated in terms similar to P.'s, and with almost exactly the same
symbolic resources: Finally, I am not accusing Russell of plagiarism. I only
affirm that some ofthe ideas and devices which are important for the
eliminative definition of the descriptor were already present in Frege and P.,
including the conceptual and symbolic resources, and that these works are ones
that Russell had studied in detail before his own theory was formulated. Second,
the later improvement of this definition is precisely in the sense of making
clearer that, although the method of the propositional function was preferable
to the one of class membership, the symbolic expression of the conditions of
existence and uniqueness is preserved. Even the idea -- also coming from P. -- according
to which we cannot define the expression “la" alone, but always in the
context of a class (which in Russell became the form of a propositional
function), appears here. Benacerraf, and Putnam, Philosophy of Mathematics (Cambridge). The first appearance of Russell's
definition, under the form which was adopted as final, took place, not in
"On Denoting", but in a letter to Jourdain: According to that, all
other influences must be regarded as secondary. Concerning Meinong's influence,
for Russell the principle of subsistence disappears as a consequence of the
eliminative construction of the definite article, which was a result of the new
semantic monism. Russell's later attitude to Meinong as a "main
enemy" was only a comfortable recourse (v. however, Griffin). As for
Bacher, Russell himself admitted some influence from his nominalism. In fact, Bacher describes mathematical objects
as "mere symbols" and he advises Russell to follow this line of work
in a letter (only two months before Russell's key idea): "the 'class as
one' is merely a symbol or name which we choose at pleasure" (quoted by
Lackey [Russell). Finally, for MacColl it is necessary to mention his essay
where he spoke of "symbolic universes", which include things like
round squares, and also spoke of "symbolic existence". Russell pub-
lished his essay as a direct response to this author, and there we can see some
conclusions from the unpublished manuscripts, although still by solving
peculiar cases in a Fregean context. I agree with Grattan-Guinness that MacColl
was an important part of the context of Russell's ideas on denoting (personal
communication), but I have no room here to devote to the matter. There is,
however, a previous occurrence of this definition in the,manuscript "On
'JI(lX)(<I>x)•=•(:3b):<j>x.=x.X =b:'JIb. (Grattan-Guinness Substitution" written with only slight symbolic
differences. I am indebted to Landini for the historical point.
'JI(t'u)•=:(:3b):xEU.=x.X =b:'JIb. Peano, G., as. Opere Scelte, ed.
U. Cassina, Roma: Cremonese, Studii di logica matematica". Repr. Logique
mathematique. Repr. Analisi della teoria dei vettori, repr. Formules de logique
mathematique. CONGRESSO INTERNAZIONALE DI
FILOSOFIA BOLOGNA. Una questione grammatica RAZIONALE,
speculativa, filosofica – morfo-sintattica, semantica, prammatica. STftBILIMEMro
iJOLICiKMNCO EMILIHMO BOLOarifì. Discorso. UNA QUESTIONE DI GRAMMATICA
RAZIONALE. Leibniz, nel suo saggio “de grammatica rationali” pone le basi
di un nuovo campo di studi, che solo in questi ultimi tempi comincia ad essere
coltivato. Il compianto VAILATI (si veda), rapito or sono due anni da immatura
morte alla filosofìa, presenta al Congresso della Società Italiana pel
progresso delle scienza, tenutosi a Firenze e pubblica un saggio, La grammatica
dell’algebra, ove studia a che cosa corrispondano gl’elementi grammaticali –
sintattica, semantica e prammatica – in una formula – logica o algebrica. P. tratta
del valore logico – semantico -- delle categorie “grammaticali” – sintattica,
semantica, prammatica. La grammatica latina di DONATO (la prima,
essecutata in eta volgare) classifica le espressioni in categorie o, meglio, parti
del discorso, -- le otto parti dell’orazione -- chiamate I nome sostantivo, nome
aggettivo, pronome, verbo, avverbio, preposizione, intergezione, etc. Il
loro numero è generalmente nove. Alcuni grammatici posteriori al Donato ne
hanno meno. La grammatica greca di Dioniso ne hanno dieci, compreso l’
articolo – soppresso nella lingua latina, ma represso nella lingua italiana e
nella lingua francese. Questo numero dieci è fìsso nella grammatica
francese ispirata da DONATO. I italiani sono più variabili, o volatili –
la prima grammatica del volgare e di un filosofo che parla una forma molto
primitiva del toscano! Peano si propone di esaminare se questa classificazione –
di DONATO, basato nel VARRONE, o nella grammatica volgare del toscano –
“grammatica sine authore – sia meramente formale o REALE, cioè se l’essere una espressione
nome sostantivo, nome aggettivo (Grice da un solo essempio, “shaggy”) o
verbo, o avverbio (“non), o preposizione, o congiunzione (“e,” “o”, “se”) è una
proprietà dell’ente che l’espressione indica, ovvero solo meramente della
forma dell’espressione La questione presenta un interesse di
attualità, ora che molti si occupano di lingue inter-nazionali, più o
meno artificiali. Il Volapiik, in grande voga or sono venti anni, termina
ogni nome aggettivo colla desinenza indo-europea, aria, o indo-germanica “-ico”
del tipo latino “prosaico,” “publico,” “classico,” ed ellenistico “logico,” “geometrico,”
“conico,” ecc. Questa idea, sotto forme diverse, e adottata da alcuni filosofi
di interlingue più recenti. Il Deutero-Esperanto di H. P. Grice, nelle
varie forme, fa terminare ogni nome sostantivo in “-o” e ogni nome aggettivo in
“-a.” (L’essempio di Grice: “shaggy-a”. Quindi i filosofi di queste lingue
ritengono che la classificazione delle parti del discorso – parti dell’orazione
-- e non meramente formale, ma reale. Un esempio rischiarerà la
differenza fra proprietà reale e proprietà formale – use and mention –
Grice, la parola ‘MOTHER’ used as a paper-wright. Le proposizioni, L’uomo è
animale razionale,” “ “Uomo” consta di quattro lettere” esprimono
rispettivamente una proprietà reale o materiale ed una formale di “uomo”. Si
suol anche dire che la prima esprime una *proprietà* dell 'ente uomo (linguaggio
oggeto) e la seconda una proprietà dell’espressione ‘uomo’
(meta-linguaggio). Si tratta di vedere se la proposizione: “uomo
è sostantivo” e del tipo formale o reale. Un criterio che spesso
permette di distinguere una proprietà reale da una formale o meramente verbale
– o espressiva -- è la versione della proposizione in altra lingua, come nel
francese. Cosi se al posto di uomo metto l’equivalente francese ‘homme’, la
proprietà reale rimane vera – French men
are rational --, la formale non è più verificata, perche “homme” consta
di cinque lettere, non quattro, come nella lingua italiana. Questo criterio
non basta sempre. Per es. se sostituisco l’italiano “uomo” con, allora,
il latino “homo,” tanto la proprietà reale quanto la proprieta formale
risultano verificate. La versione della proposizione nelle lingue
europee, non permette di riconoscere chiaramente se sostantivo sia una
proprietà meramente formale dell’espressione o reale del topico che si tratta,
perchè la grammatiche della lingua italiana (‘sine autore’) adotta la
nomenclatura della grammatica latina di DONATO che si adatta loro
abbastanza bene, perchè una lingua neo-latina come l’italiano o il francese sono
tutte parenti prossime del latino. Esse non sono che varie fisionomie di
una stessa lingua. Qualche differenza già si intravvede. II latino “homo”
è certamente un nome sostantivo perché ha tutta la declinazione: nominativo:
homo, familiaris o genitivo: hominis, dativo: homini, causativo hominem,
ablativo homini, locativo homine, vocativo, homine, etc. Invece l’inglese “man”
è dato nei vocabolari o come un sostantivo, = I. uomo, o come un *verbo*
attivo, nel senso di equipaggiare una nave, di provvedere di soldati un
forte, etc. La differenza si fa più evidente, confrontando lingue di
origine differente. La distinzione fra la proprietà reale e la proprieta formale
si incontra pure in matematica o arimmetica (Austin, Frege). Il segno “=” indica
sempre l’eguaglianza fra i valori dei due membri (Clark Kent = Superman). Ma
“Clark Kent e meno da Superman, x<y, o mai da Superman (x>y) e un
assurdo. Da x~y, segue che ogni proprietà *reale* di a: è pure una
proprietà reale di y. Le proprietà formali possono essere diverse.
Delle due proposizioni: */, è frazione minore di 1. s /
3 è frazione irreduttibile, la prima esprime una proprietà reale,
la seconda una formale di s / 3 . Essendo */ 3 = */, sostituendo alla prima
forma la seconda, la prima proposizione rimane vera, la seconda
falsa. Bréal, nell’ Essai
de sémantique (Paris), dice: Il y a des langues qui ne distinguent pas
les categories. La stessa osservazione è ripetuta più volte da Mùller. In “The
science of Thought, London, egli spiega che le dieci categorie del LIZIO
– I SUBSTANTIA OvGlu, II QVALITAS stoGÓv, III QVANTITAS tcoióv, IV RELATIO xyóg
ti, V tcov. •xot £, VI xbìó9'CU ì VII tytup sroiffr, VIII nàd'ft IX X tv
-- dopo essersi fuse, decomposte e trasformate, diedero luogo alle dieci
parti dell’orazione delle grammatica di DIONISO e DONATO (per la lingua latina).
Mùller osserva che il LIZIO trasse le dieci categorie, non dalle
grammatica greca di DIONISO (ancora da scriversi), ma dalla *lingua* greca. E
che se il rettore del LIZIO (questo Aristottele)i, invece che un
provinciale che adotta il greco volgare parlato a Stagira, fosse stato (o
parlato) semita o cinese, avrebbe latto una differente classificazione in
categorie. Ma possiamo osservare il carattere formale delle categorie *grammaticali*
-- d’espressione --, nella lingua italiana nostra *senza* ricorrere a una lingua
non europee. Considero ad esempio la proposizione di Fedro [1, fij. Sic
est locutus “leo,” ego primam tollo, nominor *quia* “leo” – Huxley: Rightly is
a pig named ‘pig’. Qui, “ego = leo.” (Io sono un leone – tu sei la crema del
mio caffe). Ma “leo” (o crema) è nome sostantivo secondo le grammatica senza
autore – italiana --, ego è pronome, dunque: pronome =
sostantivo, cioò ogni pronome è un sostantivo ed ogni sostantivo può
essere rappresentato da un pronome – “questo,” “quello” – Bradley, thisness,
thatness, Merton/Magdalen, Oxford. La differenza fra nome sostantivo e
pro-nome (cioe, quello che sta PRO nomine -- non e pertanto reale; ma
meramente formale o dell’espressione, e precisamente *morfologica* -- o lessica
– la forma, morphe – morfologia morfo-sintassi. I pro-nomi nella lingua latina
hanno una declinazione differente dalle cinque dei nomi sostantivi *propriamente
detti*, quindi conviene, come osserva l’autore della grammatica senza autore, di
farne una categoria a parte. L’identità fra pro-nome e nome sostantivo è
indicata dalla stessa espressione grammaticale – da Dioniso a Donato – “pro-nome,”
che significa letteralmente: che *e le veci* di un nome o nome sostantivo,
ma che si deve intendere che ha il valore di un sostantivo. Il valore di
un pronome cambia con il contesto del discorso o della profferenza (the context
of utterance, citato da Grice, tratto da FIRTH e GARDINER --, secondo la
persona che parla – il proferente -- ed a cui si parla – il recipiente. Ma ciò
non modifica l’eguaglianza fra pro-nome e nome sosntantivo. Anche in algebra le
lettere “x” ed g hanno un valore *variabile* (non costante) colla questione. Ma
se in una questione risulta x = 2, segue che x è un intero, pari e primo
al pari di 2, cosi si da “ego leo” segue che “ego” ha la proprietà di
essere un nome sostantivo, al pari di “leo” -- supposto che la proprietà
di essere un nome sostantivo è reale. Anche l’*avverbio*, qua e là, ha un
valore dipendente dalla persona che parla --- o del ‘profferente,’ come
dicevano i dialettici delle scole. Pure l’avverbio “là” non si mette in
una classe a parte, ma si mettono nella stessa classe degl’avverbi, con “bene,”
“liberciliter” etc., che hanno un valore *costante* e non sensitivo al cotesto.
E se ne fa una classe sola perchè tutti indeclinabili. Chi scrive in una
lingua europea, come l’italiano, o il francese, può fare a meno di
risolvere il problema se il “pro-nome” --
come Grice’s “I,” or “Someone” -- è un nome sostantivo. La lingua dei
Romani, come dice Varrone, si ha
sviluppata per secoli prima che ad essa si applicasse la nomenclatura
grammaticale – a Roma, i grammatici erano i schiavi. Chi scrive in Deutero-Esperanto,
sotto una delle sue varie forme, deve cominciare a risolvere questo
problema per sapere se ai pronomi deve dare o no la caratteristica “-o.” E
mentre la maggioranza dei filosofi non considera il pro-nome quale nome sostantivo,
una minoranza, con a capo LEMAIRE lo considera *logicamente* -- o
concettualmente, o in termini della grammatica filosofica o grammatica
razionale o grammatica speculativa -- come un nome sostantivo e dà loro
la desinenza “-o.” Passo ora alla relazione fra il nome sostantivo (“leo”) ed il
nome aggettivo (“shaggy”) – AD-IECTVM. Il
Larousse dà le definizioni seguenti. Un “nom substantif” e un “mot qui *dèsigne*
une personue, ou une chose.” Un “nom adjectif” e un “mot qui seri à *qualifier*
une personnem ou une chose. Considero i due giudizi: Pietro
è buono. Paolo e bravo. Pietro è poeta. Paolo e filosofo. Essi hanno la
stessa costruzione; “buono” (o “bravo”) e “poeta” (o “vago”) servono egualmente
a, per usare la terminologia naif del Larousse, *designare* ma anche *qualificare*
la persona Pietro (o Paolo). Cf. Grice on Pegasus pegasusises. Sono amendue
nomi di classi di enti. Ma “buono” (o “bravo”) è nome *aggettivo*, “poeta” è nome
*sostantivo*. Dunque: aggettivo = sostantivo. ( fv ad -'iv ’ à. La
differenza fondamentale fra il nome sostantivo e il nome aggettivo è che,
in generale, l’aggettivo è accompagnato da – si aggiunge a -- un sostantivo,
con cui concorda in numero – singulare, duale, plurale --, genere – maschio,
epiceno, femina --, e caso – retto o
monimativo, o obliquo: genitivo, o familiare, accusativo o causativo, dativo,
ablativo, locativo. Quindi la necessità di un capitolo della grammatica (non
razionale) che spiega queste flessioni nell’italiano del nome aggettivo nel
grado positivo, e quelle dei comparativi (comparativo e superlativo), etc. Ma
questa differenza evidentemente appartiene alla morfologia della lingua latina
e della lingua italiana o la lingua francese. L’aggettivo può benissimo restar
solo come in: veruni dico, audaces fortuna juvat, miscuit utile
dulci. Cosi nella lingua italiana, “dico il vero” [dico vervm] = “dico cosa
vera,” “dico la verità, onde risulta: “il vero” = “cosa vera” = “la verità”.
La concordanza nella lingua latina vive ancora nella linua italiana,
limitata al genere e numero. Il caso è morto – eccetto nelle forme
pronominali, “ti amo”; ed è del tutto scomparso in una lingua agglutinativa
come la lingua inglese. Quindi per esempio, nell’Enciclopedia Britannica,
nell’articolo sulla grammatica, leggiamo che la distinzione fra nome sostantivo
ed nome aggettivo non è applicabile nella lingua inglese (Che idiota ha scritto
questo articolo?). Questa distinzione fra nome sostantivo e nome aggetivo sta
nella veste. Spogliata la parola – o l’espressione, come dice H. P. Grice -- della
veste della concordanza latina, non c’è più criterio per distinguere il nome
sostantivo dal nome aggettivo. Dal fatto che nella lingua latina “bonus”
concorda col soggetto – essempio: Cesare --, chiamno “bonus” i schiavi grammatici
nome aggettivo. La grammatica di DONATO, che è la prima grammatica
importante, è dell’era *volgare*. Varrone non necessita grammatica! Si
commette un anacronismo e si scambia la causa coll’effetto quando, prima, si
definisce il nome aggettivo (“bonus”) e poi si enuncia la regola della
sua concordanza col nome sostantivo (“dictator bonus”). Come si parla la
lingua latina per secoli, prima che nascessero i grammatici, cosi si può
continuare a parlare in una lingua moderna come la lingua italiana o la lingua francese,
lasciando ai schiavi grammatici la stupida cura di decidere se la differenza
fra il nome sostantivo (“dictator”) e il nome aggettivo (“buono”) e meramente formale
o reale. Ma chi scrive in una delle forme di Deutero-Esperanto è
costretto a dire dopo ogni parola: questo è un nome sostantivo, questo e un
nome aggettivo e questo è un verbo. Ciò ha senso nella forma latina, che
e lingua che H. P. Grice chiama NATURALE, a questa, il Deutero-Esperanto, lingua
artificiale, o, come prefire H. P. Grice, ‘inventata’ -- avendo soppressa
la forma latina, la distinzione non è più possibile. In
conseguenza, i seguaci del Deutero-Esperanto, discutendo di una cosa non
esistente come se esistes, arrivano a risultati fra loro contradditori.
Per esempio, in un sistema si ha l’eguaglianza: Pietro è
buono-aggettivo = Pietro è
buono-sostantivo. In altro sistema – il Deutero-Esperanto di Grice -- solo la
prima forma è lecita. Ivi, “buono-sostantivo” significa “bontà” e si
riferisce a quello che Grice chiama ‘SECOND-order predicate calculus.”
Parimenti l’articolo che ossessiona Strawson è messo dalla maggioranza dei
deutero-esperantisti fra i nomi aggettivi. Ma Lemaire osservando che l’articolo
“il” deriva da un antico pronome demonstrativo nella lingua latina (“ille”),
che è, per Lemaire, un sostantivo, pone l’articolo definito fra i nomi sostantivi!
(“Il presente re di Francia e calvo”). Poche parole sul carattere formale
del verbo. La proposizione latina, Ars longa, vita brevis, corrisponde
all’Italiano, l’arte è lunga, la vita è breve. Nella lingua italiana, vi è il
verbo “essere” – la copula -- che in latino non sta detto. Il
latino “brevis” corrisponde all'ialiano “è breve”. Ma “è breve” è il PREDICATO
TOTALE della proposizione o orazione, e quindi è un verbo. Dunque, si
conclude, anche la forma latina abbreviata “brevis” è un verbo. Ma questo
è un aggettivo, dunque l’aggettivo — verbo / i u C ttj. Alcuni filosofi
della lingua dicono che, in vita brevis, il verbo, la copula, è
sottinteso – sous-entendue – IMPLICATED, implicito --, e che la frase o
l’orazione è elittica e entimematica. Ciò significa che l’ “est” non sta DETTO
(ma impiegato, implicato) ed è cosa evidente. Non bisogna intendere però
che la parola “est” sia stata sottintesa (sous-entendue, empiegate, implicata) o
soppressa, non espressa, ma so-pressa; cioè, che essa parola “est” – o
IZZING, come prefirisce Grice -- sia l’abbreviazione di una frase ipotetica più
antica contenente l’ “est.” Man mano noi risaliamo nella storia, troviamo
la mancanza (soppressione, implicatura, impliciture) della copula “est” sempre
più frequente. La incontriamo in greco ed è ancora frequente in
russo. Altri esempi da Max Muller – da non confendere con Max Miller, il
comediante giudeo-inglese cockney -- nix
alba = nix albet; sarculum acutum = sarculum caedit. Quindi la
forma originale della proposizione e soggetto (-aggettivo; l’ausiliario “essere”
è posteriore. Pare che il suo significato primitivo dell’IZZING di Grice fosse
di respirare. Dice Muller. An auxiliary verb is the
shadow of a verb, which originally means ‘to grow,’ (become), to dwell, to turn,
to breathe. L’identità nome aggettivo = verbo può parere una novità al
pubblico moderno, benché nota ai filosofi della lingua. E evidente ai scolari
del LIZIO, chi affermano che “antropos,”
“uomo,” è “onoma”, nome, mentre “levxóv” è “rhema,” verbo. Se nome sostantivo =
nome aggettivo ed nome aggettivo = verbo, segue che sostantivo — verbo.
Eccone alcuni esempi diretti. Nel greco tivò'Qanog ùv&Qcòxcp òca
jióviov, homo homini deus, e nel pessimista latino, homo homini lupus, il
“deus” e “lupus” valgono come “si comporta come un amico (deus)” e “si
comporta come un nemico (lupus)”, e perciò sono verbi. VACCA (si veda) che
visita gran parte della Cina coll’occhiodel filosofo, mi cita la
frase cinese che risulta dalta triplice ripetizione del simbolo di uomo,
letteralmente tradotta diventa: uomo, uomo, uomo» e significa: l’uomo
tratta umanamente l’umanità. Nulla impedisce di dire che il primo
simbolo è un nominativo, il secondo un verbo, il terzo un accusativo, ma
nessun segno indica questa proprietà. Cosi nella scrittura che noi
deducemmo dagl’arabi (non dai romani), “222,” possiamo dire che il primo ‘2’
rappresenta centinaia, il secondo, decine, e il terzo unità, e cosi
enunciamo varie proprietà delle varie figure “2,” *non* del numero
2. Le parole soggetto e predicato di una proposizione, sono termini
relativi alla proposizione. Si potrebbe studiare se le parole ‘sostantivo’
ed ‘aggettivo’ possano avere valore relativo. Ma mi basta l’aver provato che non hanno valore
assoluto, e che una definizione di sostantivo è *impossibile* -- cf. Grice on
‘Fido is shaggy,’ – “It is impossible to expect the philosopher to provide
meaning-specifications for all parts of speech, so I will restrict myself to
the ‘predicate,’ “shaggy.””. Vedasi sullo stesso soggetto il
saggio su «Discussione de Academia prò Interlingua. Giuseppe Peano.
Peano. Keywords: implicatura, l’operatore iota. Refs.: Luigi Speranza, “Peano e
Grice sull’articolo definito,” -- Luigi Speranza, “Peano e Grice sull’operatore
‘iota’, Deutero-Esperanto, l’errore di Quine, il carattere non primitive
dell’operatore iota. -- H. P. Grice,
“Definite descriptions in Peano and in the vernacular,” Luigi Speranza, "Grice e
Peano: semantica filosofica," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Peano.
Luigi Speranza -- Grice e Pecoraro: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del conflitto – la scuola di Salerno -- filosofia campanese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Salerno). Filosofo italian. Salerno, Campania. Grice: “He must
be the only philosopher who philosophised about ecstasis!” Grice: “Many don’t consider
him an Italian philosopher seeing that he got his maximal degree without (not
within) Italy!” – Filosofo e storico della filosofia italiano. Dopo studi giuridici presso la Facoltà di Scienze
Politiche, si laurea in Filosofia presso l´Università di Salerno con una tesi
sulla filosofia di Cioran. Collabora con il Corriere della Sera, Il Messaggero,
Il Giornale di Napoli come cronista di nera e di giudiziaria. Si avvicina ad
alcuni artisti contemporanei che gravitano intorno all´Accademia di belle arti
di Brera organizzando due Mostre a Ravello e dedicandosi al coordinamento
editoriale dei rispettivi cataloghi. Tra i partecipanti:Paladino, Pisani, Galliani,
Knap, Montorsi, Melioli, Battaglia. Un'esperienza che è importante in seguito,
quando i tratti metafisici e di rivolta dell´opera d´arte contemporanea
verranno riscoperti in chiave nichilista. Fonda "Quadranti"
dedicato a Marotta dell´Istituto italiano per gli studi filosofici di
Napoli. È possibile dividere il percorso di studi e del suo pensiero in
due momenti distinti. Il primo, attivismo filosofico, comprende tutte le
attività e le iniziative tese a vivacizzare e svecchiare il dibattito critico e
filosofico; la divulgazione di temi e autori poco studiati -- tecnoscienza, Nichilismo, Filosofia del
suicidio, Metafisica e Teatro, Vattimo, Esposito, Agamben. Contatto con Vattimo,
Esposito, Givone, Volpi, Mattei, Ferraris. Studia nichilismo, suicidio e
filosofia negative, politica e morale. Una filosofia disperata e
negativa, assolutamente slegata da prospettive etico-politiche. Si tratta di
una filosofia fondata sul nichilismo e su una tradizione di filosofi maledetti.
I voyeuristic "esteticamente salvificano di un datato phatos
esistenzialista, del “tutto è vano” risultato ultimo della sua analisi
filosofica del suicidio, della psicanalisi e dei lacci concettuali e storici
tra nichilismo, nullae negazione. Il risultato è una filosofia
anti-fondazionale, che poggia le sue radici in una inter-soggettività
pessimista e malincolica, che nega qualsiasi etica, sociale e politica
estremizzando così l´accusa contro l´umano e tutte le sue costruzioni sociali,
storiche e morali. In questo orizzonte
di assenza di senso, decadenza e corruzione metafisica, l´unica, eventuale,
maniera di ribellarsi e resistere si concretizza, paradossalmente, nell´appello
alla responsabilità e all´azione di un noi (Freud ego et nos) tragico-nichilista
-- Ricerca un orizzonte di senso diverso
e più profondo che lo porta, però, alla perdita quasi totale dei suoi
precedenti fili conduttori. Interessi,
letture, pubblicazioni, ricerche si frammentano e perdono in intensità e
chiarezza. Decisive, in questa fase, sono le questioni etico-politiche, la
critica dell´umanismo sociale contemporaneo e l´impegno filosofico. In primo
luogo devono essere segnalati, per l´importanza che rivestono, i due Seminari
tenuti presso l´Istituto per gli studi Filosofici di Napoli dedicato al “Bio-potere"
e la Bio-politica" Riformula il concetto di bio-potere usando come chiave
interpretativa il "Bios" di Esposito. La bio-politica discute e mette
alla prova la sua lettura radicalmente sistematica”della volontà di potenza,
avvento dell´oltre-uomo e ultrapassamento del nichilismo. Oltre a questi due
temi, il rigetto del relativimo, lo studio delle relazioni tra massa e potere;
l´affermazione di una visione essenzialista dell´umano, la riscoperta della
psicanalisi, del movimento Modernista. Elabora di un percorso teorico che,
fondandosi sulla necessità di pensare il presente e non il future di una
filosofia dell’attuale e sulla
convinzione che le categorie filosofiche sono obsolete e dannose per spiegare e
trasformare il mondo, si concentra in due diversi ambiti di ricerca in una
complessa e non risolta tensione tra aspirazioni pluriversalistiche e l´impegno
filosofico nella realtà e nella cultura. Il primo etico-morale si occupa delle
condizioni di possibilità di forme dell’inter-soggettivo nell´epoca dei
"diritti di tutte le cose del mondo" e della reazione alla crisi di
fondamenti, delineando quindi le basi di una filosofia del dovere di stampo
post-illuminista. Il secondo opolitico-sociale– attraverso la
critica del politicamente corretto e della retorica democratica, la de-costruzione
del concetto di democrazia attraverso la ripresa dell´idea di servitù
volontaria, la lotta contro il fascismo tende a ripensare il concetto di democrazia
e la pratica democratica" nei sistemi di potere e, più specificamente, si
dedica all´esame delle possibilità di una trasformazione radicale del pensiero
filosofico e di una concezione del “politico” in senso non tecnicista e non
"sinistroide-reazionario". Saggi: “I voyeuristi” (Salerno, Sapere);
“Metafisica e poesia” (Roma); “Cosa resta della Filosofia?”; “Dal sacro al
Profano”; “Dall´Arcaico al Frammento” “Bio-potere, Bio-politica”. Rossano
Pecoraro. Pecoraro. Keywords: fascismo, voyeuristic. Leopardi, I voyeuristi, conflitto
e mediazione, voir, voyant/voyeur. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pecoraro” –
The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Peisicrate: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone – Roma
– filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A Pythagorean,
cited by Giamblico. Grice: “Cicerone spells this Pisicrate, since he finds that
dipthongs are un-Roman!” -- Peisicrate.
Luigi Speranza --
Grice e Peisirrodo: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone – Roma
– filosofia pugliese. filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A
Pythagorean cited by Giamblico. Grice: “Cicerone spells this Pesirrodo, since
he says that dipthongs are un-Roman!” -- Peisirrodo.
Luigi Speranza -- Grice e Pelacani: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Parma --
filosofia emiliana -- filosofia italiana
– Luigi Speranza (Parma). Filosofo italiano. Parma, Emilia-Romagna.
Grice: “At Oxford, Strawson used to confuse Pelacani with Pelacani!”. Lettore (Grice: “reader or
lecturer?”) a Bologna, divenne consigliere di Visconti. In questa veste si trova più volte coinvolto
in processi per eresia montati da Giovanni XXII per gettare nella polvere il
Visconti. Grande commentatore di Avicenna e Galeno. Treccani Dizionario
biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia. Saggi: “Circa intellectum possibilem et agentem”; “De unitate
intellectus”; Utrum primum principium sive deus ipse sit potentie
infinite”; “De generatione et corruptione"; “Questiones super tre
metheorum.” Antonio Pelacani. Pelacani. Keywords:
passivo/attivo; non-agens/agens. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pelacani” –
The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Pelacani:
la ragione conversazionale, la dialettica, e l’implicatura conversazionale – filosofia
emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Noceto). Filosofo italiano. Noceto,
Parma, Emilia-Romagna. Grice: “Some like Pelacani, but Pelacani’s MY man.” Dottore
diabolico. Grice:
“I would call him a philosophical grammarian; he considers the topic of
‘meaning,’ ‘significatio,’ and agrees with me that ANYTHING can signify, a
handwave, etc – hardly just ‘vox’! He is especially interested in ‘significatio
naturaliter,’ which he explains, er, naturally. He deals with the concepts
expressed by the different parts of speech – adverbs, etc. – and disapproves of
the idea that the ‘arts’ of language are ’scientia.’ He saw himself, as I do,
as a PHILOSOPHER, and would consider everything related to the language used by
philosophers as PRO-PEDEUTIC --. Parente
di Antonio P. Della sua medesima casata un altro filosofo. Frequenta la facoltà
artium philosophie a Pavia, dove, come titolare della cattedra di magister
philosophie et logice, delegato dal vescovo, diploma in arti un certo Bossi. Insegna
a Bologna e Padova. Contesta molte regole della meccanica del LIZIO e
sostenne l'applicazione di strumenti matematici per sostituire le regole
obsolete. In particolare conduce studi sull'ottica nelle Quæstiones de perspectiva.
Nel saggio De ponderibus si occupa di statica ed elabora in De proportionis una
teoria del vuoto che si contrappone alle tesi del continuo dei fisici del
Lizio. Si occupa anche del moto dei pianeti in Theorica planetarum e mette in
discussione la cosmologia del Lizio negando che si puo sostenere
l'incorruttibilità dei cieli e l'interpretazione teo-logica dell'esistenza di
un primo motore immobile, vale a dire del divino. Nega quindi la possibilità
delle dimostrazioni a posteriori dell'esistenza del divino e dell'immortalità
dell'anima individuale. Concepisce la natura o l'universo come un ente
ANIMATO -- ‘animismo – cf. Grice on ‘mean’ and ‘mean,’ ‘Smoke ‘means’ fire” --,
un grande eterno animale in continuo movimento dove gl’esseri nascono per
generazione spontanea e, quando gl’influssi astrali sono favorevoli, vengono
alla luce anche l’anime intellettive umane. Riguardo alla morale, è convinto
che gl’uomini deveno conformarsi alla virtù per sua libera scelta. Per il
materialismo delle sue dottrine, il dottore diabolico, com'è soprannominato, è accusato
d'eresia e condannato ma ciò non gl’impede d’essere apprezzato come un grande
astrologo dai principi Carraresi di Padova e dalle corti dei sovrani tanto da
ottenere di essere sepolto nel duomo di Parma. Gli si attribuiscono dei commenti
a Witelo per una corretta interpretazione della prospettiva e a Bradwardine
nell'opera questiones super tractatu "De proportionibus”. Beduerdini. Robolini,
Notizie appartenenti alla storia della sua patria, Pavia. Memorie degli
scrittori e letterati parmigiani raccolte da Affò (Stamperia reale, Bodoni), citato
anche per la sua avarizia in Veratti, De' matematici italiani. Commentario
storico, Majocchi, Codice diplomatico, Pavia, Enciclopedia Garzanti di filosofia, Camerota,
Nel segno di Masaccio: l'invenzione della prospettiva e la filosofia della
percezione. Giunti, La scuola francescana di Oxford. Altri saggi: Quæstiones de
anima, Firenze, Olschki; Super tractatus logice (Parigi, Vrin); Circa tractatum
proportionum magistri Bradvardini (Parigi, Vrin); Super perspectiva communi (Parigi,
Vrin); Quæstiones de anima: alle origini del libertinismo, Sorge, Napoli,
Morano, Firenze, Sismel, Galluzzo. Scientia de ponderibus. Tractatus de
ponderibus, Treccani Dizionario biografico degl’italiani, Istituto
dell'Enciclopedia. Francesco P. is
yet another of the P.. There are at least four of them: two Antonios, un
Biagio, and one Francesco. QUÆSTIONES DIALECTICÆ; Quaestiones
super tractatus logicales: quæstiones dialecticæ -- utrum dialectica sit
scientia – arguitur quod non; VENEZIA, San Marco, Martanova, in Padova: hunc
librum donavit eximius artium et medicinae doctor magister MARTANOVA (si veda) de
Venetiis congregationi canonicorum regularium sancti Augustini ita ut tamen sit
ad usum dictorum canonicorum in monte sancti Johannis in Vicocis, torate
pund nd Hai Cananci d an Astio dal convento di san Giovanni in Viridario;
expliciunt regulæ questiones super tractatum compositæ per reverendum doctorem
magistrum Blaxium de Parma, Frater Johannes de Mediolano ordinis
Cruciterorum SCRIPSIT hunc librum IN
CARCERIBVS – “the best time to spend your time in jail” – H. P. Grice -- sancti
Marci de VENEZIA; OXFORD, Bodleian Library, Canonici, miscellanco, explicit hic
codex per Simonis eque manumque, leggere varianti formali: possiede in fine
alla ultima questione, prima dell'explicit una raccolta di sophismata,
diversamente dal ims di Venezia. (Su cio cfr. Le questioni dialetriche di P. da
Parma, Medioevo, Padova, Quæstiones dialecticae, ms, Venezia, Mare, lat. De
introductionibus de dialectica; Oxford, Bodleian Lib., utrum dialectica sit SCIENTIA
et arguitur quod NON – ma un arte, cf. natura vs. Artifizio – ‘natural’ --; utrum
dialectica sit scientia [regina] scientiaram, arguitur quod NON; utrum in
acquisitione scientiarum dialectica debeat esse prior et arguitur quod NON; utrum
disputatio dialectica sit SERMO DVORVM, scilicet opponentis et respondentis -- et
arguitur quod NON; utrum A SONO tamquam a priori sit incoandum -- et
arguitur quod NON; utrum hæe sit concedenda: SONVS est quicquid proprie auditu
auris percipitur -- et arguitur quod NON; utrum vox SIGNIFICATIVA sit illa qua
auditui ALIQVID REPRÆSENTAT et videtur quod NON; utrum vox SIGNIFICATIVA AD
PLACITVM sit illa qua AD VOLVNTATEM INSTITVENDIS ALIQVID SIGNIFICAT -- et
arguitur quod NON; utrum vox SIGNIFICATIVA NATVRALITER sit illa qua apud omnes idem
segmticat; utrum definitio data DE
NOMINE sit bona cum dicitur nomen est vox etc.; utrum definitio data de VERBO
sit bona et arguitur quod NON; utrum diffinitio data de ORATIONE sit
sufficienter posita et arguitur statim quod NON; utrum PROPOSITIO sit ORATIO
verum vel falsum significans -- et arguitur quod NON; utrum omnis
propositio sit categorica vel ipotetica; utrum omnis propositio ipotetica
sit quanta et arguo quod NON; utrum omnis propositio categorica sit aftirmativa
vel negativa -- et arguitur quod NON; utrum quæcumque fuit contraria fuit
universalis negativa eiusdem subieeti et eiusdem prædicati -- et arguitur
quod NON; utrum omnis propositio sit necessaria, contingens, vel impossibilis
et illa quæstio movetur super illum passum propositionum triplex est materia et
statim probatur quod nulla sit necessaria -- et arguo SIC; utrum
contrariarum si una est vera et reliqua est falsa et statim -- arguitur quod NON;
utrum possibile sit contradictoria simul esse vera vel falsa in aliqua materia
-- et arguitur quod SIC; quia magister dicit quod lex subalternarum talis est
quod si universalis est vera, particularis est vera et non e contra et ideo quæratur
in quæstione utrum si universalis est vera particularis cius debeat esse vera
et statim arguitur quod non; de conversionibus sit illa utrum omnis conversio
sit bona consequentia -- et arguitur quod NON; circa capitulum de ipoteticis
sit prima quæstio; utrum definitio data de propositione ipotetica sit bona in
qua dicit auctor propositio ipotetica est quæ habet duas categoricas
principales partes sui -- et arguitur quod NON; utrum omnis conditionalis vera
sit necessaria, falsa, aut impossibilis, quia illa quæstio duo quacrit, ideo
argumentum (arguo O) primo contra primum, secundo contra secundum; utrum ad
veritatem copulativæ requiratur utramque partem elus esse veram er hoc
sufficiat et statim – et arguitur quod NON; utrum ad veritaten disiunative
requiratur alteram partem erus esse veram et hoc sufficit statim, patet quod NON;
utrum ad veritatem causalis requiratur consequens sequi ex antecedente et hoc
sufficit -- et arguitur quod NON. Non si trova nel testo di Pietro. Qui Biagio
sviluppa un tema della logica di Occam sulle proposizioni causali. Scrive
Biagio. Si consideras consequenter quæ sunt illæ de quibus non determinavit, ad
hanc respondetu quæstio proposita quærit de una illarum, scilicet de causali de
qua nihil dixit; utrum si aliquis terminus. positus in propositione steterit
ratione alicuius SIGNI confuse et distributive contingat illum stare
determinate alio confundente et illa quæstio rationabiliter quæritur propter
quaddam dicta in quæstione praccedenti,
arguitur in questione pro parte negativa – quod NON; utrum si alquis terminus
positus in propositiones stererit ratione alicuius signi confuse et
distributive contingat illum stare determinate alio confundente et illa quuæstio
rationabiliter quæritur propter quaddam dicta in quæstriones præcedenti — argutur
in question pro parte negative – quod NON; utrum si aliquis TERMINVS positus in
propositione steterit ratione alicuius signis confuse et distributive quæritur
propter quadam dicta in queæstrione præcedenti, arguitur in quauestione pro
parte negative – quod NON; utrum omnes duæ propositiones modales ex eisdem
terminis constitutæ se mutuo inferant in bona consequentia et statim -- arguitur
quod NON. De prædicabilibus; utrum prædicabilia sint *quinque*
et non plura et arguitur quod prædicabilia sunt *plura quam quinque* et deinde
quod pauciora. Primum argumentum est hoc, De prædicamentis, sit prima quæstio
de prædicamentis utrum quando alterum de altero prædicatur de prædicato prædicetur
de subiceto et statim -- arguitur quod NON; utrum SVBSTANTIA sit GENVS
GENERALISSIMVM in prædicamento substantiæ
prædicatione essemill de quelbe ponibili possibili Vin prædicamento
substantiæ, Ista questio aliqua qværit et aliqua præsupponit. Arguam de primo
supposito, dende de quæito; utrum substantiæ sit aliquod contrarium et statim --
videtur quod NON; utrum ab eo quod res est vel non est, ORATIO dicatur esse VERA
VEL FALSA, vel sic, utrum omnis propositio habens correspondentiam rei dicatur
esse vera, non habens aulem correspondentiam ex parte rei dicatur
esse falsa; vel sie, ut ex co quad ita est sicut propositio principaliter SIGNIFICAT,
ipsa propositio sit vera, ex co quod non ita est sicut propositio SIGNIFICAT,
propositio dicatur esse falsa, et statim arguitar contra partem affirmativam –
quod NON; utrum substantia quanta distinguatur a quantitate eius vel idem sit
quod sua quantitas et extensio, sive quæram sub his verbis utrum omnis
quantitas sit substantia vel qualitas; utrum eadem quantitas possit esse et
dici continua et discreta et statim -- arguitur quod SIC; utrum quantitas sit
genus generalissimum de predicamento quantitatis et statim apparet quod sie per
autoritatem et per LIZIO; utrum hace sit vera 'omne tempus est' et statim -- arguitur
quod NON; utrum numerus sit res numerata vel distinguatur ab eis et statim
probo qued numerus non sit ipsa res numerata, sed quod potius ab ipsis rebus
distinguatur; argumentum; utrum puncta sint in linea et statim -- arguitur quod
SIC; utrum quantitati sit aliquod contrarium et statim -- videtur quod SIC;
utrum quicumbue duo TERMINI qui sunt præradicabiles de se invicem in OLBLIQVO
CASU sint possibiles in prædicamento ad aliquid et statim -- viderur quod SIC; utrum
ab uno correlativorum ad aliud valeat consequentia; utrum RELATIO sit res
distincta a rebus invicem relatis et importatis per terminos de prædicamento ad
aliquid ut velim quarere in illa quæstione utrum paternitas sitilla res quæ est
pater vel distincta a patre, dependentia sit res distincta a dependentia et
statim arguo quod relatio sit res distincta a rebus invicem relatis [cf. H. P.
Grice, ACTIONS AND EVENTS, PARIDE AMA ELENA); utrum quilibet terminus prædicabilis
in quale si de prædicamento qualitatis -- et statim arguo quod NON; utrum
termini de predicamento qualitatis sint de se invicem prædicabiles de suis
inferioribus cum his ADVERBIS 'magis et minus' -- et statim videtur quod NON; utrum
proprium sit actionis ex se inferre passionem et est quærere utrum ab activo ad
passivum valeat consequentia -- et statim arguitur quod NON. DE
CONSEQVENTIIS: utrum quælibet consequentia sit bona – et arguitur quod
NON; utrum ex duabus PREMISSIS in modo et figura dispositis de necessitare
sequatur aliqua CONCLVSIO -- et statim viderur quod SIC; utrum quilibet SYLLOGISMVS
sit BONA CONSEQVENTIA -- et statim apparet quod NON; utrum licitum sit ex puris
negativis sillogisare et statim per plura argumenta videtur quod sie; utrum
negativa possit inferre affirmativam -- statim videtur quod SIC; utrum qualiber
CONSEQUENTIA cuius ANTECEDENS est impossibile sit BONA et hoc est quærere illud
quod communiter logici quærunt, scilicet utrum ad impossibile sequatur
quodlibet vel sequi possit -- et statim arguo pluribus argumentis quod NON;
utrum quælibet CONSEQVENTIA curus CONSEQVENS est necessarium sit BONA et hoc
est quærere utrum necessarium sequatur ad quodlibet -- et arguitur quod NON; utrum
possibile sit ex veris sequi falsum -- et arguitur quod SIC; utrum qualibet
proposition SIGNIFICET sicut ad eam sequitur – et statim arguitur quod NON, per
multa iconvenientia. De locis, circa locos sit prima questio utrum QVATVOR SINT
SPECIES ARGVMENTATIONIS, scilicer SYLLOGISMUS, INDVCTIO, ENTIMEMA (H. P. Grice,
“Implicit reasoning”) et EXEMPLVM; CONSEQVENTIA BONA -- et arguitur quod NON; utrum
CONSEQUENTIÆ tenentes vel quæ vigorantur per locum a toto in quantitate ad cius
partem sunt bonæ -- et statim arguitur quod NON; utrum consequentia qua arguitur
a toto in modo ad eius partem sit bona -- et statim arguitur quod NON; utrum a
toto in loco ad cius partem sit CONSEQUENTIA bona -- et statim arguitur quod
NON; utrum a toto in tempore ad eius partem sit BONA CONSEQVENTIA -- et
arguitur quod NON; utrum quæ libet talis consequentia valeat: generatio huius
castri vel civitaris est BONA CONSEQVENTIA, igitur hoc castrum est bonum vel
illa civitas. Similiter quæro de illa consequentia: corruptio istius hominis
vel illius mulieris est bona, igiur ille homo fuit malus vel illa mulier, et hoc
est quærere idem quod sequeretur utrum a generatione ad generatum, similiter a
corruptione ad corruptum, sit bona equitare est bonum, igitur equus est bonus –
arguitur quod NON; utrum a disiuncta cum opposito unius partis ad aliam
partem veleat consequentia, et hoc est quærere utrum consequentia quæ vigoratur
per locum a contradictoriis fuerit bona – et statim videtur quod NON.CONCLUSIONES
DE CONSEQUENTIS VENEZLA, Marc, Bessarione, Valentinelli, quæstiones
ordinatæ per me Blasium de Parma, quaccumque CONSEQVENTIA posita nulla talis
est mala, sed quælibet bona. Si tratta dell'elenco di
petitiones di logica 'de consequentiis', seguite da conclusioni, non di Physica
come ritenuto dal THORNDIKE (A History, GRANT (Blasius of Parma, in Dictionary
of scientific Biography, ad vocem, New-York, et sie sit finis sententiæ
conclusivæ totalis libri Ethicorum Aristotelis secundum in domo filiorum
quondam magistri Jofredi Ferrariæ». Segue Elenchus quæstionum ordinatarum per
me Blaxium de Parma e segue Tabula quæstionum Johannis Buridani super libris
Ethicorum. QUESTIONES PERSPECTIVÆ Quæstiones perspectivæ, incipit
:«uæritur utrum pro visione causanda necesse sit ponere species diffusas ab
obiecto in oculum et arguítur primo quod non»; 1) FERRARA, Pavia, VENEZIA, San
Marco, Valentinelli, expliciunt quæstiones super perspectiva scriptæ anno
domini 1399; 3) OXFORD, Bdl. Canonici, misc.quæstione super aliquibus
propositionibus primac partis perspectivæ (copia incompleta); OXFORD, Bdl.
Canon, misc, FIRENZE, Laurenziana, Plut. in Firenze, cfr. I Studi sulla
prospettia medtevale. Torno, Giappichelli, e per la edizione da questo ms.
delle questiones I, qu. 14 € 16, e Ill qu. 3, de iride, cfr. Le questioni
di perspectival di P., "Rinascimento", FIRENZE, Laur.
Ashburnham; MILANO, Ambrosiana, con figure seguito da Opus Prosdocimi super Jo.
de Sacrobosco tractatum de sphæra, segue: Collectanca ex Thadeo de Parma super
Theorica planetarum Gerardi Cremonensis; 8) MILANO, Ambrosiana, si arresta alla
quæstio -- MILANO, Ambrosiana, in Pavia, Explicit opus eximii viri artium
et mediciac doctons magistri Blasi Parmensis super propositionibus et
conclusionibus perspectivis scriptum per me magistrum Marinum sacrac theologiæ
doctorem de Castignano ordinis Minorum provinciæ Marchæ Anchonitanæ dum Papiæ
studens essem discipulus magistri Francisci de P. film supradicti
auctoris VATICANO, Vat. Barb., lat.; dopo la tabula quæstionum si legge:
Explicit opus eximii viri artium et medicinæ doctoris magistri Blaxii Parmensis
super propositionibus et conclusionibus perspectivis scriptum per me
Theodoricum Goth almanum, seguito probabilmente dalla perspectiva communis d iPeckham (non menzionato da David Lindberg ed., PECKHAM,
Perspectiva communis, Madison, VATICANO, Vat. lat., vet sic finitæ sunt quæstiones
perspectivæ secundum Blaxium de Parma, deo gratias; expliciunt quæstiones super
perspectivam communem secundum famosissimum artium monarcham et philosophum
dominum magistrum Blasium de Parma». Si trova citata 'l'illusione ottica che
gli capito a Busseto, che non si trova, ovviamente, nelle copie anteriori a
quella data e che costituiscono un diverso gruppo di questioni di prospettiva;
VIENNA, Nationalbibliothck, edizione delle questioni del primo libro da questo
ms. a cura di ALISSIO, Rivista critica di storia della filosofia", VIENNA,
Nationalbibliothek, LODI, Biblioteca, PARMA, Bibl. Palatina, fondo parmense
codex, trascritto da Pasini dal codice della Biblioteca Marciana di Venezia con
una dichiarazione del Valentinelli; NEW YORK, Columbia, Plimpton
(Boncompagni). SIVIGLIA, Colombina, EXPOSITIONES e QUÆSTIONES DE CÆLO
EXPOSITIONES DE CÆLO Expositiones o summa de cælo, datata in Bologna,
incipit: «obmissis causis aliis super libro decacloct mundo
compilata per famosissimum artium doctorem magistrum P. in Bononia: ROMA,
Angelica, VIENNA, Nationalbibliothek, copiata, ma stesa a Bologna: Explicit
summa super librum de cælo et mundo compilata per famosissimum artium doctorem
magistrum P. in Bononia recollecta anno domini M COCEXXx in scolis reverendi
doctoris.. scripta per manum Nicolinum artium nune studentem M'OCCe LI
die quarta Marti, amen, in felicissimo studio paduano». (efr, anche FRANz
UNTERKRCHER, Die datierten Handschriften der Oesterreicheschen
Nationalbibliothel Vienna, QUESTIONES DE CÆLO Questiones de cælo Alberti
de Saxonia datæ per magistrum Blasium de Parma: ROMA, Angelica: si tratta va
del testo delle quæstiones de cælo di Alberto, seguite quindi da quelle di
Biagio, Imapit e, quindi, delle quæstiones de cælo di Alberto: Prologo, scælo
et mundo Aristoteles considerat de totali mundo et detractatu primi libri
partiali concludere et volo ergo circa illud tractare duas quæstiones quarum
prima est ista (incipit): utrum cuilibet corpori simplici insit tamen unus
motus simplex». Tale incipit corrisponde con quello del ms. Monaco lat. del
Vat. Palatino, lat. 980, ft. 88ra-117 ra, opera ristampata a Parigi, 1516 come
questiones de cælo Alberti de Saxonta; altra copia è ms. Roma, Angelica, di
questa copia si legge: «Expliciunt questiones super primo libro cæli et mundi
Aristotelis secundum Albertum Novum de Saxonia per me Anthonium de Armannis de
Regio tune Bononiæ studentem in artibus 1368 dic 18 februarto (cir. Anche THORNIKE
- KIRE, Catalogue of Incipits, Londra. Dunque a f. 37va del ms. Angelica,
595 iniziano le questiones de cælo di Biagio probabilmente dalla 12- questione
perche corrispondono con la questione 12' del primo libro contenute nel ms.
Milano, Ambrosiana, sup-, quacitur con sorenti in de nece ente e posit
perpean parole: vexpliciunt quæstiones primi libri de cælo et mundo
secundum Blasium expliciunt questiones de caclo et mundo datæ per magistrum
Blasium de Parma doctorem reverendum ».Su ciò in particolare cfr. FEDERICE
ViscoviNi, Note sur la circulation du commentatre d'Albert de Saxe an 'De cælo'
d'Aristote en Italie, in Itéraire d'Albert de Saxe, a cura di J, Biard,
Paris, Ven, 1991. ROMA, Biblioteca Angelica, quæstiones
de cælo per Blasium de Parma (incompleto con ordine diverso delle quæstiones
rispetto alla copia di Milano, Ambr.: incipit, «quacritur primo circa primum de
cælo et mundo utrum omnis quantitas sit divisibilis in semper divisibilia». Si
trovano Notæ di Problemata: «Nota aliqua... problemata, primum quia causam
agens in os sicut ignis prima sui actione... et per consequens nigrum et hacc
est causa problemas huus, has veriticationes dixit magister ille Blasius in
scolis suis -- Sic sint finitæ istæ quæstiones de caclo secundum Blaxium de
Parma»: MILANO, Ambrosiana, quæstiones de caclo et mundo scriptæ pro
magistro Antonio de Abruzio, expliciunt Basi de Faih iphe pro hig to
Atono de Ardetoris hagsri Tabula questionum de cælo VATICANO, ms. Var. lat. QUESTIO DISPUTATA DE TACTU CORPORUM
DURORUM 1J OXFORD, Bdl. Canonici, mise. quæriturutrum
duo corpora dura possint se tangere Blaxii de Pelacanis de Parma famosi
doctoris parisini, incipit, «quæritur utrum duo corpora dura possini se
tangere) VENEZIA, Bibl. Marciana, Valentinelli, Dabitatur utrum duo corpora
dura vel plana possint se tangere;3) BOLOGNA, Bibl. Universitaria, Edizione,
per Scoto, Venezia, UTRUM SPHÆRICUM TANGAT PLANUM IN PUNCTO OXFORD, Bdi.
Lib. Canonici, mise.utrum sphærcum tangat planum in puncto et posito super
planum tangat in cui dice espressamente che non è una questione che
riguarda la filosofia naturale, quanto invece la geometria QUÆSTIONES DE
SPHÆRA PARMA, Bibl. Palatina, fondo parmense, quæstiones super tractatum
sphærac Johannis de Sacrobosco per Blasium de Parma, doctorem excellentissimum
mathematicum singularem circa tractatum de sphacra, primo quacritur utrum
diffinitio de sphæra sit bona qua dicitur sphacra est transitus. Expletæ sunt
quæstiones de sphæra secundum venerabilem doctorem magistrum Blasium de Parma
Parisiensem"- QUÆSTIONES e TRACTATUS DE PONDERIBUS Quæstiones
de ponderibus: 1) MILANO, Biblioteca Ambrosiana, Et ideo ad instantiam amicorum
ego Blaxius Lombardus de P. de P'armadum Parisius me visitabat (sic), volui
aliqua dubia super tractatum de ponderibus inquirere et illa conclusionibus et
corollariis posse meo declarare -- primo quæritur utrum omnis ponderosi motus
sit ad medium, arguitur quod non. Ad rationes potest patere solutio per ea quæ
dicta sunt. Expletæ sunt quæstiones super tractatum de ponderibus compilatæ et
ordinatæ per magistrum Blaxium de Pellacanis de Parma artium doctorem
eminentissimum». Tractatus de ponderibus. FIRENZE, Nazionale, Conventi
Soppressi, San Marco, Tractatus de ponderibus magistri Blasit de Parma
«Explicit tractatus de ponderibus ordinatus per magistrum Blasium de Parma
tempore magnarum vacationame (codice appartenuto a Cosimo de' Medici, cfr.
GARIN, Storia di Milano, Milano, PARIGL, Bibl. Nat., lat. ed. E. Moody-M.CLAGETT, The Medieval Science of Weights,
Madison -- Napoli. CONCLUSIONES
DE GENERATIONE ET CORRUPTIONE Conclusiones de generatione et corruptione:
VATICANO, ms. Urb. lat. conclusiones Blasii de generatione et corruptione
scriptæ per me Antonium artium scolarem Bononiæ studentem. De generatione iste
est liber de generatione quem inter alios libros naturales volo in tertio loco
situari ut sie dicam -- et sic finitur sententia primi libri de generatione
edita ab eximio doctore artium magistro Blaxio de Parma. (Dje mistione,
iste est secundus liber. Expliciunt conclusiones primi et secundi de
generatione et corruptione compilatæ per eximium artium doctorem magistrum
Blaxium de Parma scriptæ per me Antonium artium scolarem Bononiæ
studentem, QUESTIONES DE GENERATIONE ET CORRUPTIONE Questiones de
generatione et corruptione: VATICANO, Vat. Chigi, scritte a Bologna dopo le qu.
de cælo, Padi de Mar hode Vinisa 0, au sa Nel arigacura in legno del
codice si legge, infatti, «Blasius de Parma, Paduæ doctor de generatione et
corruptione, de meteororum, de anima prin et secundi physicorum collezit
Marinus de Lagoussao, Incipit: «circa primum librum de generatione et
corruptione quæritur utrum sit nobis evidens aliquid posse simpliciter
generare; f. 58vb: «expliciunt quæstiones primi libri et secundi degeneratione
et corruptione secundum reverendum doctorem magistrum Blaxium de Parma scriptæ
per me Marinum de Lagonissa». QUESTIONES METHEORORUM VATICANO, Vat.
Chigi. Primo quacritur circa primum librum metheororum utrum iste mundus
generabilium et corruptibilium gubernetur a caclo»; f. 74va: «Expliciunt quæstiones
primi libri metheororum factæ per egregium virum magistrum Blaxium de
Parma omnium liberalium artium protessorem et incipiunt quæstiones secundi
libri; tabula quæstionum pri-mi, secundi, tertii et quarti metheororum: ROMA,
ms. Vat. lat. Expliciunt quæstiones super libris quattuor metheororum secundum
magistrum Blasium de Parma»; FIRENZE, Laurenziana, Expliciunt quæstiones totius
libri metheororum recollectæ sub reverendo et excellenti artium doctore
magistro Blaxio de Pelacanis de Parma et scriptæ per me Barnabutium de Favero
in monte Silice tempore quo pestis vigebat Paduac CHICAGO, Universitaria, copia non
completa, alcune questioni de diversi libri mancanti: «Expliciunt questiones
super libro methaurorum Aristotelis quas compilavit magister Blasius de Parma
completæ et scriptæ per me magistrum Johannem de Medicis deyter (P)-
Tabula quæstionum methaurorum VATICANO, ms. Vat.
lat. Tabula delle prime 16 questioni del primo libro, CONCLUSIONES DE ANIMA. VATICANO,
Urb, lat. [BJonorum honorabilium nottam... iste est primus tractatus hurus
primi libri de anma habens unicum capitulum quod dividitur in tot partes quot
sunt conclusiones in co... nobis necessario non insunt. Expliciunt conclusiones
super tribus libris de anima compilatæ per magistrum Blaxium de Parma. Amen PADOVA,
mutilo dell'inizio,, ma carte in materia et hoe est philosophia. Expliciunt
conclusiones super libris de anima secundum eximium doctorem magistrum Blasium
de Parma per me fratrem Antonium ordinis Servorume. Biagio segue
fedelmente il testo della translatio antiqua del de anma come è pubblicato, con
il commento di Averroé nella edizione giuntina. Le due copie, una
contenuta nel Var. Urb. lat. e l'altra a Padova, Bibl. Univ.,
corrispondono tedelmente, compilata da Bragio come risulta dall'expliat:
expliciunt conclusiones super tribus hbris de anima compilatæ per magistrum
Blaxium de Parma, Amen Il ms. Padova, Bibl, Univ. ha alcune carte strappate, ma
è identico al Vaticano. Differenza rilevante che abbiamo riscontrato da una
collazione tra le due copie è l'introduzione nel ms. Urb. lat. delle opiniones
antiquorum de anima, mancanti nel seguito del Padovano, Univ., e non perché la
carta sia stata strappata. In questo ms. Urb. lat. a proposito dell'opiniones
antiquorum. riferite per esteso e mancanti nel padovano: «errores antiquorum et
hoc secundum Bridanm, quia hos Blaxius non recitavit de anima. Inoltre esistono
alcune differenze tra le due copie, che sono, a nostro avviso, molto
importanti. E sulla base di questa diversità che abbiamo supposto che la copia
del manoscritto padovano sia un poco anteriore a quella del vaticano e da
collocarsi, forse, in un periodo anteriore alla condanna del vescovo di Pavia
per la forza di una espressione che si trova nelle prime carte e che viene por
modilicata nella copia del manoscritto Urb. lat, compilata da Biagio, Biagio corregge
in altri termini l'espressione materia regitiva totius universi quæ est ipse
deus», con natura regitiva totius universi quæ est ipse deus. Diamo qui la
collazione delle due copie da cui risulta la correzione. PADOVA Hic
asculta quod licet in conclusione dicatur quod generare sit generalissimum seu
naturalissimum viventibus etc., non intelligitur tamen qued hace operatio
quæ est generare sit cateris perfectior et magis intenta a generante, quia non
est dubium quad unum quodque animatum principalius intendit conservare
seipsum quam generare. Sed tamen verum est quodp er conservationem
specier hacc operatio est maxime intenta ab agente particulari et
materia regitiva totins inversi quæ est ipse dense. VATICANO, Vat.
Urb. lat, Hie asculta quod licet in conclusione dicatur quod generare
sit generalissimumseu naturalissimums viventibus ete., non
intelligitur tamen quod hace operatio quæ est generare sit cacteris perfection
et magis intenta a generante, quia non est dubium quod uodque
animacum principa intendit conservare
seipsum Sed tammen verum per conservationem
speci hace operatio est maxime intenta agente particulari et a
matura regitiva totins universi gide est ip QUÆSTIONES DE
ANIMA VATICANO, Vat. Chig, Circa primum librum de anima primo quacritur
utrum aliqua notitia sit nobis possibilis. Expliciunt quæstiones primi, secundi
et terti libri de anima datæ per excellentem artium doctorem Blaxium de Parma,
recollectæ Adsit principio Sancta Maria meo, amen, Utrum aliqua notitia
sit nobis possibilis. Expliciunt quæstiones super libris tribus de anima,
disputatæ Paduæ per reverendissimum et egregium artium doctorem Magistrum
Blasium de Parma [.. Expletac Paduæ, ma prima augusti die. Tabula
questionum de anima secundum magistrum Blasium de Parma, doctorem dyabolicum.
Queste due copie corrispondono fedelmente. Vat. Chig. Circa primum librum
de anima primo quæritur utrum aliqua notitia sit nobis possibilis. Et arguitur
quod non. Primum argumentum: staliqua notitia esset nobis possibilis
maxime. Consequenter quæritur secundo utrum de anima sit nobis
aliqua notitia possibilis. Consequenter quæritur utrum cognitiones
distinctæ distin- guantur proporzionaliter secundum distinetionem suorum
obiectorum Consequenter quæritur quarto utrum diversæ scientiæ
proportionaliter se excedant secundum excessum obiectorum. Consequenter
quæritur utrum scientia de anima sit alfis scientiis difficilion.
Consequenter quæritur utrum cognito unius rei possit causare cognitionem
alterius rei. Consequenter quacritur septimo utrum spericumpositum
supri planumtangatipsum praccisem puncto. Utrum anima intellectiva
possit a corpore separari. Ms. Napoli, Bibl. Naz. Adsit principio Sancta
Maria Utrum aliqua notitia sit nobis possibilis. Arguitur qued non. Si aliqua
notitia esset nobis possibilis maxime esset ilia. Consequenter
quacratur utrum de anima sit nobis aliqua notitia
possibilis. Consequenter quæritur utrum cognitiones distinctæ
distinguantur proportionaliter spundum distinctionem suorum
obiectorum. Consequenter quæritur utrum diversæ scientiæ
proportionaliter se excedant secundum exces- sum
obiectorum. Consequenter quæritur utrum scientia de anima sit
aliis scientiis difficilior. Consequenter quæritur utrum
cognitio unius rei possit causare cognitionem alterius rei. Consequenter quænturutram
spericum positum supra planum tangat ipsum precise in puncto.
Consequenter quæritur utum animaintellectiva possitacorporeseparan.Quæritur
primo circa secundum de anima et sit prima quæstio scilicet utrum omne vivens
sit compositum ex duplici substantia, ut puta ex amma et corpore. Consequenter
quacritur utrum diffinitio de anima sit sufficienter posita qua dicitur
anima est actus primus substantialis. Consequenter quærtur utrum ex anima et
corpore fiatunum. Consequenter quærtur utrum in qualibet creatura
rationali anima intellectiva sit distincta a sensitiva et vegetativa
crus. Consequenter quæritur utrum in homine anima intellectiva sit tota in
toto et in qualibet parte ipsius hominis, Quæritur utrum in latitudine
viventium sit essentialis perfectio penes accessum ad summum
attendenda. Quacritur utrum naturalissimum sit unumquodque generare
sibi tale quale est. Quacritur utrum qualitas in vigore proprio possit
formam substantialem producere. Si combusebile non dehvat augeaturignis
quantum libet in infinitum. Consequenter quæritur utrum animal
possit nutriri ex impiei de Comequente quærinur utrumomne animal
dum vivie nutsarur. Consequenter quæritu utrum exures sit
appetitus calidi et sicci. Conseguenter quæritur utrum sensus sit virtus
paxiva. 1HConscquenterquænturtrum species conserventur in organo
sensus temporaliter in abisentia obicetorum. Consequenter quæritur
utrum omne quod apparet sit tale, Quæro istam quæstionem circa materiam
secundi utrum omne vivens sit compositum ex duplici substantia, ut puta ex
anima et corpore. Quæro istam quæstionem utrum definitio de anima sit
sufficienter posita, qua dicitur anima est actus primus substantialis. Quæro
istam quæstionem utrum ex anima et corpore fiat unum, Quacro istam quæstionem
utrum in qualibet creatura rationali anima intellectiva sit distineta a
sensitiva et vegetativa eiusdem. Quæro istam quæstionem utrum in homine
anima intellectiva sit tota in toto et in qualibet parte ipsius
hominis. Quæro utrum in latitudine viventium sit essentialis perfectio
penes accessum ad summum attendenda. Quacritur utrum naturalissimum sit
unumquodque generare sibi tale quale ipsum est. Quacritur utrum
qualitas in vigore proprio possit tormam substantialem producere.
Quæritur utrumsi combustibile non deficiat augeatur ignis quantumliber in
infinitum. Quacritur utrum animal possit nutriri ex simplici
elemento. Quacritur utrum omne animal dum vivit nutriatur. Quæritur
utrum esuries sit appetitus calidi et sicci, Quacritur utrum sensus
sit virtus passiva. Quæritur utrum species conserventur in organo
sensus temporaliter in absenta obrectorum. Quæritur utrum omne quod
apparer sit tale tantum et ubitantum et ubi, quale et quantum et ubi apparet quæ
quæstio consucta est proponi sub hac forma, Consequenter quæritur utrum lumen
multiplicetur per medium subito et in istanti. Consequenter quacritur
utrum visio fiat in istanti. Consequenter quæritur utrum possibile sit
aliquem sonum esse vel bert Consequenter quæritur utrum idem sonus possit
a pluribus audiri. Consequenter queritur utrum odor
multiplicetur spiritualiter per medium. Consequenter quenturutrum
sensus tactus sit inus ct non plures, Consequenter quænturutrum duo
corpora dura possint se tangere. Consequenter quæritur utrum ad
sentiendum tangibile requiratur medium extrinsecum. Conseguenter guæntur
utrum quinque sint sensus exteriores et non plures nec pauciores. Consequenter
quæritur utrum sensibile positum supra sensum causet
sensitionem. Consequenter quæritur utrum evidenti ratione ostendi possit
sensum communem esse ponendum. Consequenter quac- ntur urum oranum
sensus communs sit in cerebro vel in corde... Et hace hie sit finis
questionum secundi libri de anima. quale quantum et ubi apparet.
Quacritur utrum lumen multiplicetur per medium subito et in istanti. Quæritur
utrum visio fiat in instanti. Quacritur
utrum possibi le sit aliquem sonum esse vel hier. Quæstio sit ista utrum
idem sonus possit simul a pluribus audiri. Quæritur utrum odor multiplicetur
spiritualiter per medium. Quæritur utrum sensus tactus sit unus et non
plures. Quæritur utrum duo corpora possint se tangere. Quæritur
utrum ad sentiendum tangibile requiratur medium extrinsecum. Quacriturutrum
quinque sint sensus exteriores et non plures nec pauciores. Queriturutrum
sensibile positum supra sensum causet sensationem. Quæritur utrum
evidenti ratione ostendi possit sensum communem esse ponendum. Quacritur
utrum scnsuS commanis organum sit in cerebro vel potius in corde...
explicit secundus de anima. Dubitatur circa tertium hbrum de anima et quæritur
primo utrum intellectus humanus pati possit ab aliquo agente.
Conseguenter guæritar utrum possit persuaderi quod intellectus humanus
sit denudatus ab omni qualitate. quæritur utrum intellectus humanus
pati possit ab aliquo agente. Quacritur utrum possit persuaderi intellectus
numanus sit denudatus ab omni qualitate. Quacritur utrum omnis
veritas possit ab intellectu cognosci. Quæritur utrum intellectus
humanus possit intelli- gere quod non est. Consequenter quæritur
utrum intellectus possit simul plura intelligere. Consequenter quæritur
utrum per speciem lapidis intellectus intelligat se
ipsum. Consequenter quæntur utrum actus intelligendi et habitus et cum hoe
species, sint idem quod anima actualiter vel habitualiter
intelligens. Consequenter quacritur utrum voluntas sit praccisa causa
activa suæ volitionis et nolitionis. Consequenter quæritur utrum voluntas
humana in utramgue partem contradictionis sit libera. Quacritur
utrum principium motus localis in corporibus viventibus sit anima vegetativa
vel sensitiva an magis intellectiva. Ultimo quæritur utrum natura in erus
operibus deficiat in necessaris et habundet in superfluis;
Expliciunt Guarde anima rima peredi leneri artium doctorem Blaxium
de Parma recollectæ per me Marinum de Leonissa in studio Paduano deo
gratias ad cuius finem me perducat qui vivit per infinita saccula amen amen
amen. Incipit tabula praccedentium quæstionum super libro de anima.
Utrum omnis veritas possit ab intellectu cognosci. Quacritur utrum
intellectus humanus possit intelligere quod non est. Quacriturutrum intellectus possit simul plura
intelligere. Quæritur utrum per speciem lapidis intellectus
intelligat sespsum. Quacritur utrum actus intelligendi et habitus
et cum hoc species, sint idem quod ipsa anima actualiter vel habitualiter
intelligens. Utrum voluntas sit præcisa causa activa suæ volitionis et
nolitionis. Utrum voluntas humana in utraque (partem] contradictionis sit
libera. Quacritur utrum principium motus localis in
corporibus viventibus sir anima vegetativa vel sensitiva an magis intellectiva.
Quæritur utrum natura ineius operibus deficiat in necessaris et habunder in
supertluis, Expliciunt questiones super libris tribus de anima. disputata
Paduæ per reverendissi-mum et egregium artium doctorem Magistrum Blasium
de Parma, deo Me si nome sei en sicci Expletæ Paduæ prima augusti die. Tabula quæstionum de anima
secundum magistrum Blasium de Parma doctorem dvabolicum.
CONCLUSIONES e QUÆSTIONES PHYSICORUM CONCLUSIONES PHYSICORUM
TREVISO, Bibl. Comunale, raccolte da un discepolo l'ultima cifra è andata
perduta nella rilegatura): *Glose per Blasium de Parma super librum physicorum
utiles cumanima boni philosophi (Buridano secondoil ms.), Incipiunt recolecte
(.)per Blasium de Parma super libro physicorum»; t. 43vs «Explicit
compendium recollectarum super 8 libros physicorum per dominum magistrum
Blastum de Parma- (per Matheum de Tervixio): f. 13va: «Et finis questionum secundi
libri physicorum que sunt recolecte per me Matheium de Tervixio philosophum
minimum ex dictis valentium doctorum 138 (?)», QUESTIONES
PHYSICORUM VATICANO, Vat Chigi, O. IV, 41, sec. XIV,
ff. 226r-280vb, prima redazione limitata al primo e secondo libro della física,
questione settima del secondo libro. Incipit« Circa primum librum physicorum quæritur
primo et su prima questio in ordine, utrum nobis de rebus naturalibus sit
possibile aliqua cognitio sensitiva vel intellectiva, expliciunt quæstiones
primi libri physicorum recollectæ per me Marinum sub reverendo doctore magistro
Blaxio de Parma in studio paduano ordinane legente Padova IUDICIUM
In quodam iudicio magistri Blasii de Parma, ms. VATICANO, Reg, lat., 1973, ff,
48rb-vb, incipit: «qui maxime se diligit»; cfr, la edizione, Rinascimento
Firenze Pavia QUESTIONES SUPER TRACTATUM DE
PROPORTIONIBUS THOMÆ BRADWARDINI Esistono due redazioni diverse di
questa opera. Le seguenti tre corrispon-dono salvo lievi varianti formali
sebbene una di esse sia stata corretta e rivista in parte da Biagio e in parte
da Pietro de Raimundis de Cumis, contengono 12 questiom; una quarta copia non
corrisponde e contiene salo 11 questioni. VENEZIA, San Marco, lat. codice
posseduto da Marcanova, le questioni di Biagio sono, Bradvardin anglico
sacræ paginæ professore scriptæ et completæ per me Andream de Castello,
questiones super eisdem proportionibus secundum magistrum Blasium artium
venerabilem doctorem. Incipit: счастисит ситса proportones utrum
conungar omnem motum alteri in velocitate et tarditate proportionar.
Negative: arguitur primos; t. 37ra: «expliciant questiones super
tractatum de proportionibus utrum contingat omnem motum alter in velocitate et
proportionibus secundum venerabilem doctorem magistrum Blaxium de Parma scriptæ
per me Andream de Castel-lo Bononiæ sub anno Domini 1391 19 die mensis iulii«: OXFORD,
Bdl. Lib., Canonici, mise, expliciunt questiones magistri Blaxii super
tractatum proportionum Bardvardini, amen»; VATICANO, Var. lat., se-guito da carte bianche, testo rivisto in
parte da Biagio e da Raimondo da Cuma: incipit: quæstiones super tractatum
proportionum magistri Thomac Berverdini ab eximio artium doctore
monarchaque domino magistro Blaxio de Parma «utrum contingat ombem motum alteri
in velocitate et tarditate proportionarie; si legge istas quæstiones super
tractatum de proportonibus ego frater Petrus de Raymumdis de Cumis emi a
magistro Jacobo de Panicalibus artium et medicinæ doctore et ipsas pro parte
correxit magister Blaxis de l'arma huius operis compilator, in residuo autem
pars ego correxi». Una redazione diversa, più breve che comprende solo 11
questioni si trova AMILANO, Ambrosiana, Expletæ suntquæstiones
super tractatum de proportionibus Tomæ Bervardini compilate per magistrum
Blaxium Pelacanum de Parma, incipit: «utrum intensio qualitatis attendatur
penes accessum ad summum gradum vel penes recessum a non gradu-, la quæsto e
mutta; segue la seconda, f, 6ra, «consequenter quacritur proprianemi edit
pre ioni, taranel dabi, si sandra: ROMA, Angelica, Su cio cfr. in
particolare il muo studio Due comment anonimi al Tractatus proportionum di
Bradwardine, Rinascimento, QUESTIONES DE LATITUDINIBUS FORMARUM Esistono
tre redazioni diverse con particolare riguardo alla prima questio-ne. Primo
gruppo: 1) OXFORD, Bdl. Lib., Canonici, misc.; esse seguono l'explicit delle
crusdem tractatus de latitudimbus formarum quæritur primo utrum alicurus formæ
set latitudo unforms quod non.., exphcunt questiones super tractatu de
latitudinibus formarum datæ per venerabilem artium doctorem magistrum Blaxium
de Parma per me Donatum de Monte artium doctorêm et in medicina studentem, 1392
die 29 decembris regnante domino Francisco de Francia Paduæ secunda vice Amen MILANO,
Ambrosiana, circa tractatum de -latitudinibus formarum quæro primo utrum
cuiuslibet formæ latitudo est coitounde l difinis con litur quad die
(quesa prima pratione, por questa prima questione si avrebbero dunque,
tre stesure diverse). F. «Explicitæ sunt questiones super tractatu de
latitudinibus formarum editæ et ordinatæ per me Biaxium Pelacanum parmenseme,
Un secondo gruppo di mss, contiene le questioni de latitudinibus formarum in
una redazione quasi uguale, salvo licvi varianti formali, con le prime ediziom
di questa opera, Padova, per Matteo Cerdone, Venezia, per Scoto, La
redazione della I questione è diversa da quella d ei 2 mss. sopra citati:
FIRENZE, Laurenziana, Ashburnham, quæstiones de latitudinibusformarum,
mapu quæritur primoutrum cuushbet formæ latitudo sit
uniformis vel dillormis et arguitur primo quad non de forma substantiali ut de
anima intellectiva quæ est indivisibilis»; expliciunt quæstiones super
tractatum de latitudinibus formarum determinatæ per venerandum doctorem
magistrum Blasium de Palma (sic) scriptæ per manum Roberti de sancto Petro» VATICANO,
Vat. lat, SIENA, Comunale, expliciunt quæstiones super tractatu de
latitudinibus formarum edito a magistro Blasio subtilissimo viro de Parma Paduæ
vero scripto per me fratrem Johannem Angeli Senensem ordinis prædicatorum OXFORD,
Bdl. Lib. Canonici, quæritur primo utrum cuiuslibet tormæ latitudo sit
uniformis vel difformis et primo arguitur quod non de forma substantial ut de
anima intellectiva quæ, expliciunt questiones utiles super tractatum de
latitudinibus magistri Blaxii de Parma per me Vendraninum scholarem artium 1404
die 19ª Man stante discordia non modica inter Venetos et dominum Pad.». Questa
copia ha maggiori varianti rispetto alle altre tre. QUÆSTIO DISPVTATA DE
INTENSIONE ET REMISSIONE FORMARUM 1) OXFORD, Bdi, Lab., Canonici,
musc. sit aliqua qualitas posse intendi similiter et remitti, arguitur primo de
supposito»; f. 39rb: «explicit questio de intensione formarum disputata per
reverendum doctorem magistrum Blaium de Pelacanis de Parma»; VENEZIA, San
Marco, classe codex (Valentinelli),
comprato da Marcanova, lasciato ai frat di San Giovanni in Verdario, contiene
una redazione un pò diversa, fatta da Biagio per il figlio Francesco (con bella
capitale miniata). Contiene dopo il terzo articolo e prima dell'inzio del
quarto articolo, dubia di statica e di meccanica che non si trovano nella copia
di Oxford sopra citata, ft. 13rb-tova: vantequam condescendam ad quartum
articulum pro declaratione matori doctorum necnon dicendorum ego quæro adhue
hane dubitationem utrum a proportione acqualitatis vel minoris inacqualitatis
proveniat vel possit aliquis ellectus provenire» (con figure e note nel margine
basso): f. Lova: «et hace dicta sint pro toto isto dubio cum eis
difficultatibus motis et etiam de isto tertio articulo principalis questionise;
expliciunt ca quæ sufficienter sub veritate dici possunt circa materiam de
intensione et remissione formarum in hac notabilissima questione secundum
excellentissimum artium monarcham necnon studiorum Italiæ illustratorem
magistrum Blasium de Pellachanis de Parma quae quidem quaestio est mei
Francisci fili cius. Il folo seguente porta la copia dell'epitaffio della tomba
di Biagio posto sulla porta della cattedrale di Parma; OXFORD, Bdl. Lib.,
Canonici, misc. emutilo in fine); incipin cum sit evidens aliquam qualitatem
posse intendi vel remitti. CONCLUSIONES e QUESTIONES PHYSICORUM
CONCLUSIONES PHYSICORUM Seconda redazione: VATICANO, Vat. lat, expositio
primi libri physicorum per conclusiones secundums serenissimum artium
illustratorem magistrum Blaxium de Parma. Incipi: quoniam quidem
intelligere et scire contingit circa omnes scientias quarum sunt principia»;t.
49va: set in hoc cum der laude finitum (sic) sententia actavi et ultimi libri
physicorum secundum solemnissimum virum artium illustratorem preclarissimum
Blasium de Parma, Expliciunt conclusiones octavi libri et ultimi physicorum
secundum Blasium de Parma qui subtilis doctorappellatur in studio papiensi scriptae per me Bernardum
a Campanea de Verona hora tertia noctis»; (sui codici copiati e posseduti da
Bernardo cfr. il mio studio A propos de la diffusion des oeuvres de Jean
Buridan en Italie, The Logicof Buridan, ed. PinnoRG, Copenhagen) e Caror, I
codici di CAMPAGNA (si veda), Roma, Manziana, QUESTIONES DISPUTATAE SUPER OCTO
LIBROS PHYSICORUM Seconda redazione, in Pavia, VATICANO, Vat. lat. Gratia
regis caelorum qui totius are elementalis summus est imperator in laudem et
gloriam serenissimi ducis. Incipit, utrum scientifiça notitia sit nobis a
rebus naturalibus passibilis-, Diamo qui di seguito i titoli di tutte le
questioni da questa copia. Questionum
physicorum tituli: Liber primus utrum scientifica notitia sit nobis
de rebus naturalibus possibilis, arguitur quod non. secundo quaeritur
utrum cognita causa totalis alicurus rei cognoscatur statum illa res et non
aliter, arguitur negative. tertio quaeritur utrumin nacuralibus ordine
doctrinae ab universalibus in singularia sit processus, et arguitur primo
negative. quarto quaeritur utrum asserentes omma esse unum possint
probabiliter in hac opinione substentari, arguitur quod sie. sexto
quaeritur utrum asserentes omnem rem cxtensam et suam extensionem non
differre, possint probabiliter positionem corum substentare, et statim arguitur
quod sic. quacritur et septimo utrum in materia quantum-cumque parva
forma substantialis hora generationis producatur, primum naturalium esse
tantum tria possint potenter impugnari et arguitur quod sic. quaeritur et nono
utrum per potentiam finitam vel infinitam possit aliquid fieri ex nichilo,
arguitur quod sic.naturalie appela peranque rur de quadron Expibe ena
estrale primi libri physicorum secundum excellentissimum doctorem Blaxium
de quæstiones secundi libri physicorum secundum antedictum
doctorem. Bernardus antedictas quaestiones Liber secundus circa
secundum librum physicorum primo quaeritur utrum domificator vel faciendo domum
faciat aliquid rebus naturalibus condistinctum et sie ista quaestio duo
quaerit, secundo quaeritur utrum quodlibet ens naturale habeat in se
principium motus et quietis, arguitur quod non. tertio quacritur utrum
omnis forma in latitudine perfectionali entium sit perfectior quam sit
materia. quarto quaeritur utrum diversæ scientiae perfectione
essentiali secundum proportionem obiectorum proportionaliter excedant se,
et arguitur primo negative. sexto quaeritur utrum possit evidenter probari
aliquid esse causa altenus, arguitur negative. septimo quaeritur utrum ad
cuiuscumque rei naturalis generationem practer agens particulare requiratur
influxus causae universalis quae causa universalis dicitur sol quia secundo
huius dicebatur quod homo generat hominem et sol et ita intelligitur de aliis
planetis, arguitur octavo quaeritur utrum inter agentia particulani
supposita semper generali influentia superiorum possit qualitas una vel plures
formam substantialem producere et arguitur primo affirmative. nono
quaeritur utrum asserentes omnia de necessitate evenire et nhil a casu vel a
fortuna, possit corum positionem substentare et arguitur primo
affirmative: Liber tertius circa tertium librum physicorum primo
quaeritur utrum in aliquo casu necesse sit ignorare naturam, probatur quod
non. secundo quacritur utrum hacc propositio 'motus est' significans
motum esse et precise sie et non aliter, sit vera et arguitur primo
negative. tertio quaeritur utrum motus sit ipsum mobile, arguitur
primo quod non. quarto quaeriturutrum contradictionemincludat aliquam
magnitudinem esse actu infinitam et arguitur quod non. Liber
quartus quartur 1 i poss sto ci gequari ato, aria quad primo secundo
quaeritur utrum entia naturalia distantia ab corum locis naturalibus moveantur
ad illa, impedimentis subtractis, arguitur quod non. tertio quacritur
utrum corpora naturalia ab corum locis naturalibus distantia remoto impedimento
moveantur ad illa per lineas rectas tamquam per lincas breviores, arguitur
négative. possiblis arguit pro quo guinto quacritur utrum in vacuo sit
morus sexto quaeritur utrum
penetratio corporum sit possibilis et arguitur qued sic. septimo
quacritur utrum rarefactio sit possibilis, octavo quaeritur utrum hace
propositio sit concedenda "nune est tempus', et arguitur quod non
nono quaeritur utrum aliquid sit praecise per instans, arguitur quod sic.
Liber quintus circa quintum librum physicorum quaeritur primo utrum agens
naturale hom qua agit in passum agat in ipsum secundum arguitur quod
sic. tertio quaertur utrum alteratio sit motus, arguitur quod
non. quarto quaertur utrum augmentatio sit motus
quintoguaritrucumcontadicionemindudat motum localem esse et non esse
motum, arguitur quod non. sexto quaeritur utrum unitas motus sit
principaliter attendenda penes unitatem temporis aut magis penes unitatem
mobilis, etista quaestio quaeritur quia philosophus ad testum dicit quad ad
unitatem numeralem motus requiritur unitas temporis et mobilis et dispositionis
secundum quam est motus, primo arguo negative. septimo quaeritur utrum
aliqui motus differant specie arguitur qued non. octavo quaeritur utrum in
motibus sit penes contrarietatem terminorum ad quos contrarieras attendenda,
arguitur primo negative. nono quacritur utrum possibile sit
contraria in codem simul complicari, affirmative arguitur. decima quaestio
quaeritur utrum qualitas sit intenlegi ego Bernardus a Campanea de Verona, in
felici studio papiensi, Explevi etiam ipsas vero recoligere die Mercurii
XI' Juli hors XXI, Liber sextus Incipiunt questiones sexti libri
physicorum secundum praedictum doctorem quas incepi recoligere die Jovis XII'
Julii in civitate Papiac, circa sextum librum physicorum primo quaeritur utrum
per bonas rationes concludi possit continuum esse ex indivisibilibus
compositum, arguitur quod sic. secundo quacritur utrum continuum sit in
infinitum divisibile, et arguitur quod non. tertio quaeritur utrum mobile
velox per idem tempus vel aequale plus pertranseat de spatio tardiori, arguitur
primo negative: quaeritur et quarto utrum indivisibile moveri localiter
vel alio modo rationibus obviet philosophorum, arguitur quod non. quinto
quaeritur utrum sit possibile motum velocitari in infinitum, et statim arguitur
quod non. sexto quaeritur utrum omne quod moverur prius
movebatur et post hoc movebitur, et arguitur quod non. seprimo quaeritur
utrum possibile sit magnitudinem infinitam transiri tempore finito et finitam
transiri tempore infinito, et arguitur primo ad primam partem quod sit
possibile. octavo quaeritur utrum potenter possit improbari alquod moven
localiter et arguitur primo affirmative. Expliciunt quaestiones sexti libri
physicorum secundum Blasium de Parma. Liber septimus Incipiunt
questiones super septimo libro physicorum secundum Blasium praedictum,
primo circa septimum librum physicorum quaeritur utrum omne qued movetur moveatur
ab alio, arguitur primo. negative. secundo quaeritur utrum in
motibus et motis sit processus in infinitum aut potius sit venire ad primum
motorem et arguitur primo affirmative. tertio quaeritur utrum in
omni motu movens et motum sint simul et quia ista terminus 'simul* potest
dicere simultatem loci et temporis, ideo primo arguitur negative ex parte
loci. quarto quacritur utrum morus rectus et circularis sint invicem
comparabiles, et arguitur primo affirmative. quinto quaeritur utrum
acqualiter gravia moveri, et arguitur affirmative. sexto quacritur utrum
in alteratione sit certa velocitas attendenda, arguitur quod non. septimo
quaeritur utrum in motu locali sit certa velocitas attendenda, et arguitur quod
non. octavo quacritur utrum in augmentatione sit certa velocitas attendenda,
et arguitur quod non.nono quaeritur utrum in motibus proportio velocitatum sit
sicut proportio causarum, et arguitar quod non. ultimo quacritur utrum
agens naturale sit limitatum et arguitur affirmative. Expliciunt quaestiones
super septimo libro physicorum Aristotelis disputatae et in scriptis traditae
per magistrum Blaxium de Parma doctorem famosissimum artium. Liber
octavus Inepiunt quaestiones super octavo libro et ultimo physicorum
Aristotelis secundum praedictum magistrum Blaxium de Parma, primo circa octavum
librum physicorum quaertur utrum philosophicis rationibus patenter concludi
possit matum fusse ab aeterno et arguitur affirmative: item dubitatur et
secundum utrum 'deum non esse' contradictionem includat, arguitur primo negative. tertio
quaeritur utrun contradictionem includat caclum fuisse acternaliter productum
et arguitur quod sic. quarto quaeritur utrum caclum moveri in instanti
contradictionem includat et arguitur quod sic. quinto quaeritur utram
possibile sit primum motorem caclum movere in instanti et arguitur quod
sic, sexto quaeritur utrum inanimata sive gravia sint sive levia ex se
moverntur vel nata sint ex se mover et arguitur quod sici Vseptimo quacritur
utrum motus localis sit primus motuum arguitur quod non. Ira: octavo quaeritur
utrum asserentes motos contrarios quiete media interrumpi possint per rationes
naturales improbari: nono quaeritur ut rum praecise motus circularis sit
perpetuus, arguitur negative: decimo quacritur utrum per rationes naturales
amar possit a quo protecta moveantur contra inclinationes naturales cumab
impellente recesserunt, et arguitur quad non., undecimo quaeritur utrum
per naturales rationes concludi possit primum motorem qui est ipse deus et
vigore et duratione esse inhnitum, et arguitur attrmative: ultimo quacritur
utrum primus motor st -ubique, tamen magis in circumferentia quam in
centro, arguitur negative sic. Expliciunt quaestiones super primo,
secundo, tertia, quarto, quinto, sexto, septimo et octavo libris physicorum
Aristotelis disputatae et in scriptis traditae in civitate Papie per perspicuum
doctorem Blaxium de Parma. Altra copia, stessa redazione,
non completa, manca l'intero ottavo libro e alcune colonne degli altri nonché
aleuni problemata: VATICANO, Vat. Lat. quaestiones physicarum. Cratia re
favente qui totus... utrum scientitica noutia de rebus naturalibus sit nobis
possibilis; consequenter circa septimum physicorum quacritur primo utrum omne
quod movetur moveatur ab alio, quaeritur trum omne agens sit in cius actione
limitatum et arguituraffirmative», si arresta al primo articolo; si legge:
istae questiones Blaxii super libros physicorum sunt fratris Petri de Raymundis
ordinis Prædicatorum quas scribi fecit et sub ipso magistro Blaxio audivit IN
THEORICAM PLANETARVM ALPETRAGI In Theoricam planetarum Blasii
demonstrationes et dubia. Si tratta di opera diversa dalle semplici
Demonstrationes geometricæ in theoricam planetarum: Demonstrationes et dubia in
theoricam planetarum Alpetragii, VATICANO, Vat. lat. Super theoricam
planetarum aliquas demonstrationes et dubia circa materiam gratiarum largitor
pulsando occultare ne me quis invidum reputaret qui non papirum combustilem,
sed pergamenum magis ignis extinctum gratus vobis cognovi lineandum, quia etc.
omnibus licitum est ordinem servare doctrinalem, consequar quod promisi,
videlicet primo orbes solis depingendo ut sic inde conclusius videat apparentas
et nequaquam naturalibus principiis derogando et naturali obviat qui vacuum
pont qui corporum penetrazionem admittit et minus qui orbes facere fluere et
stationes cum praedictis, deinde propositiones demonstrationem parientes ut
gloriosus deus concesserit discursu apodiacon demonstrabo et ultima demonstrata
pro tabulistis quantum ad corum proposita sufficit, applicabo. Tres orbes mundo
eccentricos et difformes per applicationem speram solis eccentricam fabricare,
Istam conclusionem propositam non intendo demonstrare...; f. 60va: «patet
quomodo respondetur ad demonstrationes contra istam et sie sit finis per me
Petrum de Fita, Expletae sunt theoricae planetarum per magistrum Blasium de
Pelacanis de Parma editace: FIRENZE, Laur., Plut, codex, sec. XV, ff. 8ra-14v,
non completo, si arresta al commento della proposizione Dunam sex motibus
moveri quibus datis, con le parole: set tertium ab eis distat vel illud tertium
quod a duobus coniunctis distat est Sol vel epiciclus; BERLINO,
Staatsbibliothek, ms. lat Demonstrationes et dubia theoricae Blasii de
Pelacanis de Parma; VENEZIA, San Marco, Demonstrationes et dubia Blasii
Parmensis super theoricam planetarum, 11. 175г-216v; FIRENZE, proprieta
Olschki, Super theoricam planetarum aliquas demonstrationes et dubia secundum
subiectam materiam gratiarum Tres orbes mundo eccentricos et difformes per
applicationem speram solis fabricare, istam conclusionem propositam non intendo
demonstrare», edito sotto l'attribuzione a Pietro da Modena da G. BoerTo E U,
MAzzIA, D'un ignoto astronomo del secolo XIV, Pietro da Modena, da un ms. della
collezione Olschki, Bibliofilia; in realtà si tratta dell'opera di
Biagio, cfr. anche L, THORNDIKE, Notes upon some medieval latin
astronomical astrological and mathematical manuscripts at the Vaticana,
Isis, PARMA, Bibl. Palatina, In theoricam planetarum demonstrationes geometricæ
VATICANO, Var. lat, Blas Parmensis demonstrationes geometricae in
theoricam planetarum, mapit: « Centrumsolis acqualiter distat a centro
eccentrici solis et a centro terrac existentis in duobus punctis terminantibus
lineas existentes plus sex signis luna peragit cursum suum. Finis theorica
lunae»; branco: f. Laurenti Bonincontri Miniatensis super Centiloquio Photomer.
Nella prima carta del codice se legge Nicolai comitis patavini de motu octavae
sphaerac, Tractatus sphaerae Johannis Sacrobosco, Demonstrationes Blasir
parmensis, Comentum Albertum magnum super sphacram, Eiusdem Blasti
demonstrationes mathematicae super theorica planetarum, Centiloquiam Ptolomei
cum commento mei Laurentii Bonincontri»; nell'indice, dunque sono indicati i
due testi di Biagio, ma noi ne avremmo individuato uno solo. VIENNA,
Bibl. Nat., mapu, centrum solis acqualiter distat a centro eccentrici.
Corrisponde salvo lievi varianti, fino a f. 66v (con la proposizione 22a), con
il Vat, lat., VENEZIA, Museo Correr, Provenienza Cicogna; contiene solo
l'explicit, evidentemente errato: finiant demonstrationes Blasii de Parma super
theorica planetarum compilata per ipsum in gymnasio mia edizione Il
'Lucidator' dubitabilm astronomiae di Pietro d'Abano SCHIAVONE, Padova,
Editoriale Programma, Le Demonstrationes geometricæ sono pubblicate anomime
nell'edizione per Scoto, Venezia, Sphaera mundi cum commentaris. Anche THORNDIKE,
Notes upon some mediaeval latin astronomical astrological, JUDICIUM
ladicium revolutionis anni 1405, PARIGI, Bibl. Nat., lat., ludicium revolutionis
anni cum hors et fractionibus secundum
magistrum Blasium de Parma, incipit: cantequam invadam pracsentem materiam pro
mei informatione et alterius cuiuscumque priesupponam aliqua in modum
propositionum iuxta formam et consuetudinem philosophantium, Su questa opera
efr. il mio studio P. una storia astrologica, Abstracta. Biagio Pelacani. Pelacani.
Keywords: implicature, prospettiva, filosofia della percezione, origini del
libertinismo, commentario in detaglio sulla semiotica di Occam – dialettica –
segno, nota, sermo. Refs.: Luigi Speranza, “Pelacani, Grice, e Shorpshire
sull’immortalità dell’anima.” Luigi Speranza, “L’animismo di Pelacani e Grice,
‘smoke means fire, literally.’” Pelacani.
Luigi Speranza --
Grice e Pelagio: la ragione conversazionale - l’implicatura conversazionale –
la scuola di Giulano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Tutor of Celestio and
Giulano di Eclano. Pelagio
Luigi Speranza --
Grice e Pellegrini – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Pesaro). Filosofo italiano. Pesaro. “Grammatica di
lingua italiane semplificate”. Italia Italia, in Basel. Del urbe Pesaro esseva
un pionero de interlingua. Ille adhere al movimento pro interlingua e pois
devene representante pro Italia del Union Mundial pro Interlingua, sequente
professor, adv. GUGINO (si veda), qui pro rationes de supercarga de labor,
demissiona como le prime secretario national del Union Mundial pro Interlingua in
Italia. Ille examina le grammatica de
esperanto e lo ha judicate non apte al solution del problema del lingua
auxiliar international specialmente pro su lexico hybride e semiartificial e le
uso del desinentia -n pro indicar le accusativo e in le parolas que exprime
direction, data, duration, precio, mesura e peso. Ille examina anque le Latino
sine flexione de PEANO (si veda), ma mesmo iste systema non le place a causa
del manco del articulo e per le conjugation verbal troppo simplificate e
innatural. Desde alora P. pensa que
usante le parolas commun al linguas neolatin e al anglese e alicun vocabulos
latin on po codificar un lingua international facile e belle. Iste conviction
resta sempre in su mente. In "Eco del Mondo" ille lege le articulo
"Le lingue internazionali moderne" per Percival, in le qual on parla
del labores del "International Auxiliary Language Association" e
indica su adresse. Ille constata que su opinion in re le lingua auxiliar
international ha essite quasi realisate per Occidental de Wahl, Mondial de
Heimer e Neolatino de Schild, systemas del quales le articulo presenta un texto
specimen, ma ille pensa que le labores del IALA haberea date al mundo le lingua
auxiliar melior. Quando le pressa publica le nova que le esperantistas habeva
interessate le UNESCO a fin que esperanto venirea recognoscite qua lingua
international, P. scribe al IALA precante de voler intervenir presso le UNESCO
al scopo de facer cognoscer su labores re le lingua auxiliar international, in
modo que esperanto, jam refusate per le Societate del Nationes, non haberea
alicun successo. Assi ille vene in contacto con Gode, Schild, Fischer, Berger,
Bakonyi (vedasi) e tante alteros e comencia a propagandar interlingua in tote
Italia. Ille publica multe articulos in le pressa italian in re le problema del
lingua international. In collaboration con Schild, ille edita le "Corso
d'Interlingua in venti lezioni" a uso del italo-phonos e le manual
"Interlingua" (grammatica, vocabulario interlingua-italiano e
italiano-interlingua). Malgrado su effortios P. non succede a facer adherer al
UMI multe italianos e formar con illes un societate italian pro interlingua.
Ille esse in correspondentia con multe interlinguistas europee, usante
esperanto, ido e super toto interlingua, e initia al studio de interlingua
Negalha e Castellina, de Suissa, qui ha devenite valide collaboratores del UMI.
P. ha participa al Conferentia International de Interlingua que ha loco in
Basilea, ubi ille incontra multe amicos de Interlingua. Ille collabora al
periodicos "Currero", "Heraldo de Interlingua" e al
Panorama, e ille esse un active collaborator al "Dictionario
Italian-Interlingua" sub le redaction de Castellina. P. esse empleato in le Officios de
Contabilitate provincial statal e vain pension con le qualification de director
general de iste officios. Ille participa al secunde guerra mundial qua official
inferior de infanteria. More su car sposa, e P. mesme cade malade, lo que le
impee laborar pro interlingua, como esse su calide desiro. Un signo typic de su
minutiositate e grande labor es que ille mesme scribe le majoritate de iste
lineas in le qual "io ha contate mi historia qua interlinguista e isto
potera interessar le lectores del revista". In Pesaro (Italia), al more ma esse
rememorate como pionero italian de interlingua. Ugo Pellegrini. Refs.: “Grice e
Pellegrini”. Pellegrini.
Luigi Speranza -- Grice e Pellegrini:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’amore come
affezione dell’animo – e la sua manifestazione nei maschi nobili – filosofia
lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sonnino). Filosofo
italiano. Sonnino, Latina, Lazio. Grice: “I like Pellegrini: he found Aristotle’s
‘obscure’ for the youth the manual Ethica Nichomaechaea is intended for!” È, secondo TIRABOSCHI, filosofo che da' suoi meriti e dalle
promesse fattegli da più pontefici pareva destinato a' più grandi onori; ma che
non giunse che ad ottenere alcuni beneficii ecclesiastici. Tenne la cattedra di
filosofia a Roma. Pubblica il “De affectionibus animi noscendi et emendandis
commentaries” e un'edizione della traduzione in latino di Lambin dell' Etica
Nicomachea di Aristotele -- i “De moribus libri decem -- corredandola di un
riassunto e di commenti, nei quali altera il testo di Aristotele di cui lamenta
la difficoltà e l'oscurità. Benché Aristotele del Lizio sconsigli lo studio
dell'etica ai giovani, ancora immaturi per una retta comprensione dei principi
morali, al contrario, ritiene che lo studio dell'etica deve essere impartito
prima ancora di quello della filosofia della natura, in modo che i giovani
possano affrontare gli studi scientifici con animo libero dalle passioni. È più
oratore che flosofo. Nn pensa ad inovar cosa alcuna, e segue costantemente
insegnando i precetti del filosofo stagirita. Altri saggi: “Oratio habita in
almo urbis gymnasio de utilitate moralis philosophiæ, cum ethicorum Aristotelis
explicationem aggederetur” (Roma); “De Christi ad coelos ascensu” (Roma); “Oratio
in obitum Torquati Tassi philosophi clarissimi” (Roma); Tiraboschi, “Storia
della letteratura italiana” (Società tipografica de’ classici italiani, Milano); Carella, “L'insegnamento
della filosofia alla "Sapienza" di Roma: le cattedre e i maestri”
(Olschki, Firenze); Renazzi, “Storia dell'università degli studj di Roma”
(Pagliarini, Roma – rist. anast. Forni, Bologna). P. scrive II important
commenti su Aristotele del LIZIO, uno in cui enumera gl’affezioni dell’anima –
dall’amore all’ira – amore, speranza, ira, audacia, temore, dolore, animosità.
Nell’introduzione, elabora un concetto generale di che cosa e un’affezione
dell’anima – il corpo non è menzionato. Ma P. elabora sulla questione
dell’anima e il corpo per l’affezione – chè è affetato nell’affezione? Il secondo
è un commentario sull’onore e la nobilità. Due trattati sono menzionato dai
storici della filosofia. Nel III trattato, P. elabora la questione di TASSO (si
veda) ‘filosofo chiarissimo’. Finalmnte, nella sua funzione di censore papale,
riceve un saggio sulla politica d’Aristotele da un filosofo tedesco. P. critica
la toleranza del filosofo alla posibilità del fraudo – ma il filosofo no
considera l’oggezioni di seria considerazione. P. è associato al ginnasio di
Roma. Il ginnasio è una istituzione laica “for I cannot imagine naked monks, playng
around!” – Grice. Keywords: implicatura. H. P. Grice, “Il Tasso di Pellegrini”.
DE AMORE £X didis antiquorum oHenditur, quanta fit eius vts,
atque præflantia S8S8©Ii RINCIPE M in hac difputatione fibi locum amor
vendicat, quod fons fit atfe&ionum, quæ bonum fpe&antjiuxta
illud Parmenidis VELIA Cundorumq, Deum primum quæfiuit amorem nec non vi
atque potelVate ijs antecellat ideo
rerum dominus, ferorum cordium mollitor, alijsq. honorarijs principatus
nominibus appellatur • quippe fera non eft adeo immanis, quæ confpcfto
foetu non mitefcat.antiquifsimi mortales, homines agreftes atque truces,
liberorum illecebris, et amore deiiniri coeperunt, vt cecinit LUCREZIO £f
Fenus imminuit vires, pueriq. parentum Blandicijs facile ingenium fregere
fuperbum . Plato in fympofio amorem dixit magnum dacmo na, præfidentem
rebus humanis ; quod eius du&uomnia gignantur . Orpheus eundem
aiferuit C' a claues 3»qKi 3 6 DE claues
habere fuperorum et inferorum, quod artis et naturæ opus quodeumque
extrudat in lucem; vnde inuentoris artium, atque magiftri appellationem
obtinuit, ferunt Poetæ, solis amantibus a Plutone reditum ad nos concedi
; cum in ceteros exiftat implacabilis; 8r folollri&o iure, vt
Sophocles ait, vtatqr. quid ni? cum fub tutela fint eius, quem claues
tenere, atque inferna fuo arbitratu referare fabulantur? Hefiodus mortalium et immortalium mentes amore domari
cecinit. Homerus louemeiufdem mancipium fecit. Plutarco
in Amatorio amorem coparat Dictatori, quo crea to cedant omnes
magiftratus. Indices criminum, cpnfcij vehemccifsimæ perturbationis
delifta no pauca vel impunita, vel leuifsitne caftigatadimife runt,
quod amoris impulfu admiffa conftaret; idq. non femel hoc feculo
fa&itatum teftanturij, qui de criminibus vindicandis confcribunt.
Sclethum Crotonia tamdepræhefum in adulterio fraternaq vxoris, cum se
amore victum peccasse diceret, a ciuibus fuis exulare iuifum in lib. pro
mercede condudis refert Lucianus, capitis poen. aremifefed jllum,fcu
pudore violatæ germanitatis, Ceu legun amore, quas nalletlabefa& atasjin
ignem fponte i infiluitfe,ac poenam fubiilfe, quam ipfe met ftatuerst in
adulteros. Mundus» equeftris militiæ du&or fab Tyberio, paulinam
Romanam deperibat;eam &uprauic in templo Ifidis ; facerdotibus
pecunia corruptis, facinore comperto,Tyberius, in crucem eg i :,iemplu m
$uertir, fijup. ftituam in Ty berim coniecir ; Mundum vero exilio punire
faris habuit ; quod, amoris vehementia fu peratus, peccalfet;Charmo,vim
amoris edo&u$j illi aram in Academiæ ingreffuexcit.iuit. Athchienfes
Aatiiam dicarunt in tempk) Palladis, a-u amico bonarum artium; remq. ei
diuinam inOituerunt, Erotidia, ntincuparam: Samij in ciu/dem honorem
Eleutheria facra habuerunt. ANTEROTE quoque finxit,coluitq. mendax græcorum
antiquitas, ex Venere et MARTE
natum; vt eft apud CICERONE de natura Deorum. in Themiftij
fermonibus Themis Dea hortatur Venerem, vt Anterota gignat, fi amorem adolefcere,non
perpetuo pufioriem elfe velit. Hinc OVIDIO Almafkue dixi geminorum mater amorum
.£& Horæ. Mater fæua cupidinum . qtio loco hæret
Lambinusob ANTEROTE vel obliuionem,vel incogitantiam : In Gymnafio Eleorum
erant vtriufq. icones; EROS palmaccum ramum tenebat, quem ANTEROTE nitebatur
eripere, ‘amicitiæ, vti reor,limii lacrum.amici enim ita fe mutuo
diligfit,vtin amo re alter alteri præire Audeat. Crefcit Eros
Antero tos ortu; quod reciproco amore amans animatur et accenditur
magis ad amandum. EA autem hæc de amore difputatio non paruifacienda;
quam Socrates auide cofe&atur; et cum fe reliquorum omnium
profiteatur ignarum, egte gium tamen amatorem ia&at, et haberi Audet.
Neque vero quis illu hic arguat impuritatis . adeO enim eafte
amauit,vtnec lycophantæ acerbifsimi C 3 AnirtiSi
I $$ D E tus, et Melitus
impudicas ei obiccennt amores 5 nec Ariftophanes, eidem
inimicifsimus,tali accufatione hominem pupugerit ; et cum pauperem,
loquacem, fophiftam appellairet in fcæna; impurum certe amatorem dicere nec
potuit, nec au r us fuit . Phædrus amorem maximorum bonorum cauffam
appellauit; quod ab eo {ludium in honeflis, verecudia in turpibus immittatur.
Spartiatæ cum hoftibus congreffuri, facrificabant amori, quafi ad
fortia egregiaq.impulforijquem morem, vtplerosq. alios,aCrerenfibus eos
accepi{Te,arbitror. eodem enim inftituto Cretenfes ex parte vfos,
Soficrates eft audior . Inde fa&um cenfeo, ve /æra, quæ appellabatur
Thebanorum cohors, conflata ex amatoribus, fregerit Spartanos . nec
inutile fuerit in acie illos, qui fe mutuo diligunt, flatuere vicinos;
parentes, liberos, fratres,confanguineos, amicos ; exercitus enim eiufmodi
aplerisq. cenferur infuperabilis . notum eft feftiuum illud Pammenis
didum a Plutarcho in Pelopida, relatum ; ignoralfe Homerum vd foret acies
in(Iruenda, cum iubet, Et tribui tribu*, et fua curia curiæ rt ad
fit, Cum amicus apud amicum potius locandus videatur. Scribit Xenophon Aflaticos in bello circum duxi (Te vxor
es et natos, vt eos defendere coadi, fierent pugnaciores . Eorundem
occurfure-ilitutas acies non paucas, et vidoriam confequuras, legimus, demum,
cum Harmoniam Marte ac Venere prognatam fabulæ tradunt, eandem amo
risin re bellica vim defcribunt. Verum ad (oli*' dam amoris
commendationem nihil maius, vel accommodatius afferri poteft, quam quod
magnus Areopagita protulit ; amore fuperiora ad inferiorum prouidentiam
allici ; hæc vero,qua(i fomite igneo fuccenfa, refilire, atque ad fupei
na conuerti j fieriq* circulum a bono, per bonum, in bonum perpetuo
reuolutum . Proclus quoque pulchrum amorisprotulit elogiumjefle illum
cauf fam conuerfionis rerum omnium in primam pulchritudinem ;quæ de
purifsimo fandifsimoq. in Deum, ipfumq bonum amore dida,ad mortales
fluxasq. curas traduci accomodariq. non poffunt. Carolus Cardinalis vim amoris
erga consanguineos perpetuo habuit fufpe&am/ eosq. ali* quid
populaturos libentius audiebat per internuncios; veritus, ne fangninis impulfu
ad res ini* quas concedendas imprudens adigeretur Explicantur Varia
nomina huius affeftionis, et quotuplex
fit, declaratur. E laboremus ambiguitate vocum, quæ varijs
amoris nominibus fubie&a notio fit, primo loco difpiciamus ; quid
fcilicet inter amorem, dile&ionem, caritatem, pietatem, cultum, amicitiam,
beneuoletitiam interfit. Amor eftvt genus, et quid vniuerfum; locum enim
habettumin homine, tum in brutis dile &io eft amor cum ele&ione,
vt nomen indicat; nec repentur in ijs, quæ non deliberant caritas
fertur in res pretiofasjdiftinguere veropretiofa a vulgaribus vnius eft mentis,
pietas eft in fu periores, quod bruta vt plurimum non agnofcunt; hi funt
Deus, patria, parentes, cultus eft fignum pietatis.amicitia eft amor
mutuus, hinc in de perfpeftus, officijs confirmatus . beneuolcntia eft
effedus amoris . alias pro leui amore vfurpatur; vtlib.p. ad
Nicom.^.ha&enusde nomine. Amor duplicis generis exiftit; alter
naturam fe quitur, alter agnitionem. ille rebus omnibus ineft,
etiam inanimis; hic animantium proprius, de illo Hefiodusintdligendus,cum
in Theogonia, primo loco fadum Caos cecinit, poft terram, et Tartaru;
tertio amorem, ex terra Caoq. ortum.quis non vi deat hic accipi amorem
pro vi rei cuilibet a natura indica, vt feipsa,quo ad poteft,expoliat,&
tueatur ? quod et Orpheus voluit, cum amorem irtmor talitatis defiderium
appellauit. fuit enim veterum poetarum hæc de rerum ortu fententia ;
eundas ; fpecies, in obfcura, et confufa deformitate implicatas, ab
initio iacuifte; tu defiderio lucis, et quietis, impellente amore fui,
difiundas,ad fedes naturæ conuenientes migraffe ; vnde rerum vniuerfitasjin
ordinem difpofita, conftiterit. Empedoclea GIRGENTI (si veda) rerum
principia, litem et amicitiam, non alio, quam ad ift hæc poetarum
commenta fpedafle dixerim . Amor vero, qui agnitionem fequitur, et aftedio
eft animi ; fi ad henefta fertur, recinet appellationem ; fin ad impudicitiam,
vel immdderatum appetitum delabitur, significantius LIBIDO vel cupido ab effedu
nuncupatur. Poetæ diim amorem appellant et defcribunt, eam potifsime
cupidinem accipiunt, quæ in Venerem fertur; et fub inuolucris
fabularum multa recondunt ad rei, de qua agitur, notitiam attinentia.
Puerum igitur defcribunt, nudum, alatum, cæcum, curarum plenum, arcu, et fagittis inftrudum ; fatum Venere atque
Vulcano . puerum conftituunt, ob infipientiam 5 nudum, propter infelicem
condicionem ; feu quod occultari facile nequit; alatum, quod cito
aduenit, citius labitur; cæcum, vel ob impudentiam, (eft quippe pudor in oculis,)
vel quod mortales plerumque amant fine deledu, fine iudicio, fine
ratione ; et quafi oculis capti fedantur deteriora, melioribus omifsis ;
plenum curarum, quia eius arboris hi exiftuntfrudus; inftrudum arcu&
fagittis ; feritenim curis ægritudine plenis; Venere demum et Vulcacano fatum,
humore scilicet, et calore ; quod ea temperatio cenfetur apprime
libidinofa. Hunc eundem Cupidinem ex node atque æthe- : re natum
voluit Acufilaus; hoc eft, ex tenebrofo et lucido; amantes enim cæci
finit, et vna viderit acutifsime. Simonides ex Venere, ac MARTE procreat ; quod
viri bellicofi a Venere plerumque non abhorrent. Alcæus ex lite et Zephiro;
diflenfione fcilicet, ac reditu in gratiam; Olea 4 i
-/ t> E Olcn Lycius ex Ilythia, feu Iunone Lucina, quod ea
maxime amemus, quæ a nobis prodeunt* llythia enim partubus opitulari
credebatur* Sappho demum ex cælo et Venere»* quod amorem viftellarum et gratia
oris conciliari multis fuerit perfuafum . Pidores multos pingunt amores,
paruulos, colludentes, curfitantes, (quos Poetæ faciunt Nympharum filios)
quoniam mul ta funt, quibus inæfcamur, et capimur; vt notauit philollratus
in imaginibus . Diotima mulier faga,fybillis a Socrate comparata, a qua
amandi artem fe haufifte profitetur, amorem ex copia procreat, tanquam ex
patre ; et indigentia, tanquam matre . vt eft inopiæ ac indigentiæ filius,
apparet aridus, macilentus, fquallidus, nudus pedes, humilis, fine
domicilio, fine ftramentis ac tegmine
vllo; perno&ans fub dio ; femper egensidem qua copiæ filius, virilis,
ferox, callidus, infidiator, pulcher, fagax, venator, prudens, facundus,
per omnem vitam philofophans, potens fafcinator,*vt non immerito bi&enrn ab
Orpheo fit appellatus, vtrefert Paufanias apud Platonem;. Huius fabulæ hæc eft
allegoria, vulgo amari, quæ nec omnino funt in poteftace noftra
(cito enim ea vilcfcunt, ) nec diffidimus aliquan' do futura . ideo copiam et indigentiam
amoris vulgaris parentes ponit Diotima . quæ vero inter f e valde
pugnantia eidem adferibit, affedus indicant eorum, qui re amata potiuntur,
contrarios ijs, qui infunt non potientibus . Ha&enus de fabulis ; in
quibus illud magnopere damnandum» quod cupidinem Deum faciunt, vt
libidini patrocinenrur damnat hoc ipsum Phædræ nutrix apud Senecam in
Hyppol. Deum efie amorem, turpiter ritio Jauens Finxit libido ;
quoque liberior foret, Titulum furori nummis fklfi addidit. Cetera vero
fabulis contenta non inutiles ad hanc luem arcendam continent
admonitiones. Admittit quoque amor, qui agnitionem fequitur, aliam partitionem
. eft enim amor amicitiæ didus, atque beneuolentiæ,qui rei amatæ commodum
intuetur; eft amor cupiditatis, qui proprium commodum refpicit.fibi enim multi
amat; eoq. amorem traducunt, vnde vtilitatis aliquid fe percepturos
confidunt ; amor ifte amicitiam paritvtili innixam; fuperior vero eam producit quæ
ab honefto J>romanat. Poftremo Amorem vnum facere, qui feratur in diuinam
pulchritudinem, alium, qui fiftat in humana, non eft præfentis inft
ituti. agimus enim de affedionibuf inferioris animæ partis; etfi non
pauca fint vtriq. amori communia; et pleraq. vnius per analogiam»
et metaphoram ad alium transferantur. Quid fitt amor ACCADEMIA amorem dixit,
defiieriwn pulchri LIZIO amare*ac beneuelle pro eodem accipitlib.i.de arte
dicendi. id Rhetori fatis, qui hlfe&us vti commoueantur, nofie
ftudet; limatiorem cognitionem ad philofophum remittit D. Auguftinus de
Trin. cenfet efie fturam duo copulantem, in quam fententiam Leo
Hebræus ait, efie -voluntarium ajfcffum qumcopulatijjime fi nendi ijs, quæ bona
iudicamws . deferiptiones hæ funt, ab elfe&u petitæ ; non quæ amoris
explicent naturam, finitiones . nam defiderium, benetiolcntia, appetitus copulæ
cum re amata fequutur amorem; vbi enim quem amoj eidem bene efie
cupio, eiusq. confuetudinem appeto. Thomas definit efie complacentiam appetibilis
. allubefcendam appellat Ludouicus Viues, qua amatum amanti allubefcic . hanc
fententiam ita demum recipio, fi ailubefcenria, et quæ minus latine, significantius
tamen, complacentia dicitur, pro motione illa fumatur, quam appetens
facultas elicit circa rem, quæ illi allubefeit ; non pro illecebra appetibilis,
qua excitat mouetq. appetitum. atfe&iones namq. animi funt
abappetitu,vta mouente moto ; quod Ariftoteles voluifie videtur tertio de anima
Grego*» tiu$ Nvfænus eleganter id ipfum exprefsit hotnih mil. 8. in
Ecclefiaften, cum ait, amorem eflfe habitudinem animi intimam in id, quod animo
eft jucundum . feliciter quoque D. Auguftinus 2. de ciu.. amorem
ponderi corporum comparauit, inquiens, Animum ferri amore quocumque
fertur, vc corpus pondere. Neque vero exiftimandum illam complacentiam efle
cauffam amoris, nam inter cauflfas rerum, et ipfarum primos efferus
daturneceftario medium; idq. vnum,& folu, nempe res ipfæ ; fed inter
appetitionem potiundi re amata, (hæc prima eft amoris proles,adeoq.
illi affixa, vt fæpe pro amore vfurpetur) et complacebam nihil omnino
intercedit; igitur compla centia non eft amoris caufTa,fed ipfeamor; quandoquidem
primus amoris cffedus, eam illicofequitur, adeoq. inuice hæret, vt ne
tenuifsimo quidem cuneo præbeant aditum . præterea fi hæc AQUINO finitio
excludatur, nihil remanet in quo amoris naturam conftituamus, præterqua in
defi derio, feu cupiditate fruedi. id fi admittatur, amor et deliderium
confunduntur.at funt feparatæ affedionesjre enim præfente ceflat
dcfideriujamor vero natura fua magis augefcit.na fi fatictas aman
tem capit, culpa eft humani ingenij,quod vel mutatione deledatur, vel
voluptates impuras perfequitur; fincera aute voluptas non parit
faftidium, deniq.defideriueire amoris effedii LIZIO docet li.o #
Et.c.^.vbi agens de beneuoletia,vt eft leuis amor minimeq. adulta aftedio
a.it, Beneucldtia no eflam a fflttff 'SuLTxar babst ncq.
o^iv^uaa^nati.Mg 4 6 DE confequuntur.o?i*tc defiderium eft ; feu
vehemens et acuta appetitio,quam Juuenalis cum rabie con iunxit,
inquiens, rabidam fatturus orexim . cum igitur of t£/f confequatur amorem,
ab eo neceflario diftinguetur ; Quod autem fubiicit LIZIO cum qui forma
dele&atur non continuo amare» fed tum demum, cum abfentem defiderat,
et præ fentem cupit, ita eft accipiendum ; vt amori defiderium comitetur
neceifario, fitq. eius indicium, leuis enim voluptas non arguit amorem,
qui vero cupit et defiderat, fc prodit amatorem . eft igitur amor
appetitus allubefcentia, feu complacentia in eo, quod vti bonum pulchrumue
fuerit perceptum. De caujjis Umoris, ONVM
integra est amoris cauisa, et omnem eius
exæquat ambitum, præclare igitur Auguftinus de Trinit. ait, non amatur
nift bonum, huc pulchrum reducitur et formofumjtum etiam vtile quodcumque,
atque iucundum . pulchrum vero idem eft, quod bonum conceptum vti iucundu
m ; vt Areopagita docet de Diu. nomin. Deus quippe immortalis, vt eft au&or
atque feruator rerum, Cunfta fouensy atque ipfe ferens fuper omnia
[eft* bonum dicitur; vt vero ad fe trahit, allicitq. omnia, pulchrum,
inde qui pulchritudine minus capiuntur, minus amant 5 vt barbari, ruftici,&
qui duriore funt ingenio, et moribus afperis, Aliæ funt amoris caudæ,
quæ etfi boni ambitu continentur, feparatimnihilorciinus ponuntur, quod
aliquidbono addant ; et alia, atque alia ratione ad amorem conciliandum
concurrant. Similitudo igitur morum, et ingcnij amorem parit firmum,
atque conftantem. docuit hoc Areopagita; fuitq. Menandri didum,a comicis et ACCADEMIA
vfurpatum, Deus femper fimilem ducit ad fitnilem, et quidem fimilitudine inter
amantes conuenit, vtcuin amans diligit, fui ipfius fimilitudinem, ac proinde fe
ipfum, in re amata diligat, hinc animantia omnia ducuntur ad limiles sibi
formas ; non ad fpecies al ienas. Canis cani videtur pulcherrima, et boui
bos, ait Epicharmus . et Formica grata ejl formicæ ; cicada cicadæ ; accipiter
placet accipitri, Theocritus inquit in Idillijs . hoc inftindu parentum amor in
liberos augetur; funt enim nati vjuentia fpirantiaq. parentum firnulacra.nec
alia Crafsi erga Sulpitium volutatis cau£* fa exiftir, quam quod
intellexiffct, ftudere Sulpitium, vt ei dicendo fimilis euaderet, Euander
apud VIRGILIO Pallanta filium ENEA ca rii reddere nititur, quod illius
fir imitator futurus. Hunc tibi præterea, (pes& folatianojlri,
T allanta adiungam ; fltb te tolerare magiflro Militiam graue MARTE
opus, tua cernere faft a, Mffucfiat; primis et te miretur ab
annis. Illud non fuerim infitiatus; ob paria vitæ infliruta creari
aliquando inuidiam, fieriq. aliquos adeo inimicos, quam fune artificij
conditione pares j nam et figulo figulus, et fabro faber inuidet ; cuiufmodi
genus pugnacium artificum in conuiuijs Plutarco coniungi vetat.verum ex
euentu id eft. cum enim lucro faciendo impediant fe mutuo, inter eos
oritur contentio, eadem ceffatvbi cauetur, ne alter alterius cauffa
damnum -patiatur jeiusq. loco amicitia fuboritur. CICERONE profelfuseft,
cum Hortenfio de eloquentiæ palma ita fe contendiffe, vt vnius ad laudem
curiiis non effet ab alio impeditus; ac proinde viuentem amaffe,
dolereq. vita fundum . Sæpe etiam qui ftudi js diuerfis
priuatimviuunt,fed in maioris momenti rebus conueniunt, funtamicifsimi .
Pelopidas et Epaminundas, etfi vita priuata efient difsimiles, quod hic ftudijs
philofbphiæ, ille venationibus profufius incumberent, quod tamen afferenda
patriæ libertate, incredibilem animorum con sensionem retinuerint, certa
illis amicitia conflitit ab initio ad finem. Sunt etiam ingenia inter
fedifsimilia,quænihi lomiuus coeunt facile ad vitæ societatejhoc
enim habent, vtfimul aptari, et componi pofsint, quemadmodum vox acuta
iun&a grani certa proportione, harmoniam efficit s quod spedare licuit
in Socrate, et Alcibiade. Consuetudo quoque, atque conuidus
amorem gignit,:ei!dit enim homines moribus iifdem affue tus, ac
vnius mentis eaque vis efi confuctudims, vt habitum nedum animi, fed
corporis quoque immutet ad rei amatæ formam notauit id Piutarco in
Alexandri amicis, quos leniter inflexa ceruice, facie furfum verfus con
uerfa folicos incedere, fcribit, quali Alexandro attentaturos; cum
nihilominus vi afluetudinis habitum illum impru dentes contraxittent .
Summopere igitur aduertendum, quo cum vitæ focietatem ineas ; præcipue vero
monendi adolescentes meretricum cœnis, nodibus,omnique conuidu abftineant, quibus
illæ magnopere ftudent; cum norint confuetudine amoris vincula fieri
tenaciora. Parem amoris conciliandi vim focietas in hono
ribus, et rebus, tum fecundis, tum aduerfis habet, et quandoque maiorem . vt
enim maximum amoris vinculum ducitur, plurima et maxima beneficia
accepitte, fic fimul accepiife, proximum iudicari debet. Qui fimul fecere
naufragium, vel vna pertulere vincula, vel canfilij
alicuius,coniurationisue focietate iunguntur, facile amant inuicem tfnde adagium, Conciliant homines mala
. Brutum et Cassium invicem insesos Cæsariarius dominatus conciliauitjac
fumma fide coniun xit. M. EMILIO LEPIDO et GIULIO
FLACCO cum ettent inimicifsimi, Cenfcres renunciati, simultates illico
depofuere. Tacitus, Latiaris arque Sabini fermones, quibus vetita
mifcuerant, ardæ amicitiæ speciem fecifle, annotauic; speciem
dixit; nam vr plurimum participes fcelerum non tam amore copulantur, quam
metu, atque noxa D conscientiæ. Sunt etiam qui exiftiment, vi quadam
occulta ne&i animos; vel difiungi quidam enim primo afpe&u
amantur ab omnibus; ali j contra contemnuntur. inter aliquos ftatim
conuenit; alios nulla beneficiorum,officiorumq. confuetudo conciliat ; nec vnde
voluntatum ifthæc difcrepancia nafcatur, liquet, nulla enim hic morum
fimilitudo, nullavitæ communitas . Astronomi » vt nodum hunc foluant, ad
Venerem, ceteraq. aflra, quæ benigna vocanr, confugiunt; quibus homines
ad amandum inuitari volunt, hæc, vti longe a nobis pofita, neque certam
habent fidem, neque manifeftum errorem. ACCADEMIA schola dæmonibus ad'cribit, qui
vitæ hominum præfunt.facit enim dæmonum, hos quidem confimilisingenij,
hos diuerfi.qui difsident interfefe, d fienfionesad clientelas deducunt;
qui vna fentiunt, amorem iis immittunt, quorum gerunt procurationem,
demum nonnulli gratia pol-‘ lent, et au&oritate; ali j odio habentur
a collegis; qui vtrifque fubfunt homines, eandem quoque gratiam
inuidiamq. apud nos nancifcurur.ifthætf f ACCADEMIA commenta non aliter
confutarim 9 quam quod tollunt funemum,ex euentu,peritUla immerite
alicui creata conciliant amorem iriperpetieritem Tacitus de Nerone Germanici
filio . aderat \uutnH modcfiia et forma principe piro digna j notis in
eum Seiani odiis, Stv, quod omnes ad fe vocet; abiitq.in prouerbium,
quo Plato vtiturin iyfide ; quod pulchrum femper amicum ; cenfeturq. a
Mufis et gratiis primo vfurpatum, vbi ad nuptias Cadmi et Harmoniæ, puIchrirudinenouaf
nupta? ore, fi Deo placet, immortali cecinerunt ; vr in I heognidis
epigrammate, cuius hæc exiftit fententia; Mttfæ, et Gratiæ, filiæ Iouis,
quæ olim Cadmi jtl nuptias cum veoijlis, pulchrum xeciniflrs carme,
Quicquid pulchrum amicum e[l, non pulchrum autem non eft amicum. Mimus
dixit, formofam faciem effc mutam commendationem LIZIO vero; habere illam
longe maiorem vim ad commendandum, quam accurate feriptam epijiolam.
Carneades appellauit C E hoc est, dulce amarum . eft enim
mors voluntaria V vc mors amarorem, vt fponte fufcepta, voluptatem
aflrert . amorem vero effe liiorcem, inde apparet maxime, quod amans de fenon
cogirat, fed de alio ; in fe igitur non operatur, fed in alioj -
qui in fe non operatur, in fe non eft ; qui in fe non eft,in fe non
viuit; amans igitur in fe mortuus eft .quare Plato in quendam, qui
perdice amabat, dixit ; h'ic in proprio corpore mortuus eft ; viuit in
alieno et Plautus in Ciftellar. Trullam mentem animi habeo ; vbi fum, ibi
non fum . vbi non fumi ibi $1 1 animws « Cato fenior aiebat, animum effe
potius vbi amat, quam vbi animat . Quod fi amans vicit Jim ametur,
reuiuifcit in re amata j alias mortuus cenfetur.has autem vicifsitudines
atque mutationes quoad aflfe&um accipere oportet; non quo ad ipfam
eflentiam animorum . appetunt quidem amates fieri re ipfa vnum, iuxra di&um
Aristophanis ab Ariftotele 2 . polit, cap. 2 relatum ; fed quia illorum
inde corruptio fequeretnr, quærunt coniunctioriem, quæ faluis corporibus
obtiqeri pofsit. hæc autem afFe&u confuetudineq* habetur, animis
interim quo ad cupiditates permiftis et in tertiam quandam temperaturam reda
mere contendit, quo conatu Lyfias Phædro similis euafit; et Macedonum proceres
colli flexura, orisq.ere&ione Alexandro similes redditos ex Plutarco
supra retulimus. Pulchre vero 2. Rher. monet LIZIO, vereri
nos turpia committere apud illos,quos amamus; 1 vt inter amoris opera
pofsitreuei entia numerari; quod maxime declarat eius aifeitionis
excellentiam. Crafsi illa funt;Equidem cuiri peterem magi ftratus,folebam in præhenfandodimitttre
a me Scæuolam, cum ei ita dicerem, me velle efle ineptum .Nemo quippe
curat probari ijs, ejuos negligit; Et quidem apud eos, qui ius haoent puniendi,
veremur turpia facere ob metum legum ; apud alios ob metum infamiæ ;
fedapud eos, quos diligimus," obreuerendam et amorem .
Sed et fui, aliorumq. omnium, præterquam' rei amatæ contemptum amor
parit in amante lacob, rarum amoris exemplum, quattuordecim annos æftu
geluq. vexatur, in morem feræ, vt pulchra Rachde potiatur; ac tria
fereluftrama gnis tradu&a laboribus, paucas exiftimatincom modi
tolerati horas t certe diuinus Moses paucos ei dies præ amoris
magnitudine vifos teftatur. et ficaftifsimo amatori falaconem in
exemplum admngerdicet,r uiCM, Autonius incertum atque
preui- DE pr jaifum exitium, vt Cleopatra; morem gerat,
fic fuidefertor, vt placeat concubina; falutem profundit, ne amati vultus
turbet ferenitatem. Fugatur demum Veteranus Imperator ab adolefcente,
atque tyrone, quod prius fuiffet dementatus ab ægyptia Syrene . his
ftipendijs fæue cupido muneras eos, qui nominibus datis, tua figna
fequutur. G:gnit quoque amor magnam voluptatem,vbi re amata
potimur, cum enim affequi finem fit omnium iucundifsimum, quilibet eo habito,
quod amat, contentus viuit, vt ACCADEMIA ait in Phædro fæpe autem tanta
voluptas adeptionem rei amatæ confequitur vt multi in complexu rerum
carifsimarum exfpirarint • Ex oppofito amor vehemetior, fi quid afiequutionem
propofiti moretur, vel impediat, triftitiam, et moerorem affert, voluptati,
de qua diximus, æqualem, llafis medicus amore:n morbo melancholico proximum facit,
euolant quippe fpiritus fubtiliores, et purior fanguis per teouifsimos
poros, excitati appetitio nis impetu, erga rem amitam tendentis;
fanguis vero crafsior, quod exitus non pateat, remanet conclufus;
vnde in at-um humorem, atque bilem facile concrefcit, cum fit meliore
fanguinedeftitu tus. inde vaporibus opplecur caput; animus triftitia
premitur, ac fæpe ad infaniamdeducitur LUCREZIO (si veda) amator primum effectus
eftjtum demens; ad extremum fui ipfius parricida. Hæc sunt vehementioris
amoris et frequentius impadici ; qui amittendi quoque timorem affert,
atque trepidationem 5 tum etiam furorem in eum, qui auferre conatur;
fufpicioneS vehementes, zelum amarum, aliaque animo lancinando, et excarnificando
inftrumentacommodifsima. In eodem ordine raptum mentis
collocamus: græcebts^; quem amori quoque diuino Areopagita
tribuitjquafiDeusob amorem e&afim paf fus fuerit, emergit quippe
foras knimo,qui amat ; tum quod ad rem amatam commeare appetit; tu
quodafsiduode illacogitat, fuioblitus; accurritq. aliquando fanguis
tenuior ad cerebrum, vt iuuec contemplationem ; aliquando præfente re
amata adeamconuolatjfedfiftitin externis corporis par tibus,
uehiculo deftitutus . vtrumque ftupor fequitur, opprefio cerebro vi nimij
caloris,vel partibus vitalibus ab eodem derelidis. Inde fequitur amantis
valetudo et imbecillitas, debilitatur enim alendi vis recedente calore;
cor etiam, atque cerebrum vicifsim conftringuntur! ob copiam
fanguiu is, vt opem ferat parti laborati, ab vno ad aliud comeantis . id
enim ei natura indidit, ut inferuiat vitæ principijs. Et quidem cor,, vbi
feptum efi vi fanguinis,& quafi vallo circumatum, quærit aggerem per
fufpiriaperrumpere ; quævel non emergunt, vel omnino emittuntur^
difficillime, ac plerumque. non integra, verum, dimidiata, nec fine magno
conatu, ab eadem con ftridione ccrdis prodeunt cantiones interruptæ,
a E" &ftatim dimittit ; modo aliud quærit, et propofitum
illico mutat,pænitetq. cæpti inftituti ; vt prorfus ij faciunt, qui longo
et acuto morbo decumbunt . Huc maciem palloremq. amantum refero ; corrupto enim
calore, colorem quoque obfcurari necefle eft . f OVIDIO de Amante Fugerat ore
color, maciefj. obdukerat artus. Opprefsionem vero cerebri lachrymæ
fequuntur . Sanguis enim fabrilior, cogente cerebri frigiditate, vertitur in
lachrymas; quæ, vti graues, defcedunt per oculos; natura quoque remmolestam,
nulliusque ufus, foras propellente. His
adde oculorum tumorem, et inflationerii labiorum. Suetonius de Tyberio.
Sed et Agrippinam ab egi ftc pofi diuortium doluit; et femel omnino ex occurfu
vi[am,adeo contentis et tumentibus ocuUs profecjmtus e$t, vt cuftoditum fit, ne
vnquam in ciusconfpeftum veniret . eius fa&i caufla dft, quod
ad præfentiam, vel memoriam amatæ rei fpiritus petunt partes extimas, quali
amatum amplexaturi ; maxime vero feruntur ad oculos, qui fant afnimi
internuncij et conciliatores amoris, inde fequitur tumor, et plerumque
etiam ardor. Nec est prætereundum, ad præfentiam, vel recordationem rei
amatæ commoueri pulfumvena rum, fiue arteriarum, fieriq. concitatiorem,
et inconftantem ; idque vel quia cor
trepidat et pauet; vel quia nititur quodammodo de loco fuo conuelli, et in
amari pedus transferri; quo argumento dcpræhen dic Galenus amici vxorem
amore Pyladæ cuiufdam laborare . Denique,vt etiam quæ leuiora
fu nt, attingam, amor mutat mores ex taciturno garrulum facit, ex
garrulo taciturnum ; ex focorde induftrium; ex afpero mitem et fiiauem.
quæ omnia ftngillatim profequi,eifet immenfi laboris. Antiquitas morum
comitatem amori adfcripfit, quemadmodum Dionyfio mifterium, vaticinium
Apollini, Mufis poefim. Docet quoque muficen; quod ACCADEMIA a fpirituum
vehementia deducit; qui dum magna vi erumpere conantur, impellunt ad cantionem.Quid
quod poetas facere non vno depræhefiim eft experimento?Plato idipfum afsignat
excitationi, agitationi, eleuationifpirituum.ij enim co moti, agi tatiq.
apt funt aliquid parere citra commune vfum; cuiufmodi eft oratio metro
conftans, minime vaga, vel foluta. Bion poeta in Bucolicis fub
perfona paftoris amorem facit fuorum carminum au&orem veriibus a Stobæo
relatis,quos ad verbum conuerfos ita legimus . Mufæ amorem
non metuunt crudelem, Quin amant ex animo et veftigia fequuntur
eius. Quod fi quis ingenio præditus inamabili ipfiti comitetur, Illum
refugiunt et docere nolunt jit fi amore captum gerens animum
fuauiter cecinerit, o idipfum fimul omnes feflinæ confluunt; Quod
autem hic fermo plxne verus fit, ego teflis ftim, )~ -v-i
E (am 06 DE 7^am fi hominum quempiam, aut
immortalium et, ' mine celebro C efflat mea lingua; nec yt ante solebat,
canit . At cum in Amorem rei in Lycidam aliquid molior. Tunc mibi lætum
ore carmen profluit. • fli&um vecordis poetæ fceleratum, quodq.
fati$ indicet perditos hominis mores, ac nihil miraqdum iq o impudico
amore ad verius fundendos eum incitari folicum, qui meliorem non
agnofcebat .agnouit autem Propheta Regius, iljoq. impetu, quæ Deus didabat,
fuaiiifsimis yerfibus effudit. Hanc de amoris effedibus tradationem
eleganti Caroli Cardinalis dido cocludam: Amore perfici fundiones humanas, quæ
enim abamg fe prodeunt,, quam accuratifsime geruntur. De renfedijs amoris,
REMEDIA non nifi morbis quæruntur, quare de impuro nobis amorehic fermo
exiltit, prrrium igitur amorem negofia > curæ, honotu m cu p
diras, labores, calamitates deterunt, et corrodi unt; Otia
flt Ilus, periere cupidinis ignes. Sed &egeitas eijvaide aduerfatur.
na flue Cerere dr Daccb-j fliget Vtnus^t ait Chremes Terentianus,
ia gr æcorum collectaneis verius legitur, qui LATINE «e cxprcfTus
> sic habet. Mortua res venus fine Cerere et Baccho. Ariftophanes
apud Athenæum vinum lac Veneris appellat, quod alat libidinem Vinum
bibenti fuaue lac Cypriæ Deæ Apuleius in Metamorphofi ex Cerere, et Baccho
Veneris /ytarchiam confici fcribir. Sed et Menandri hi exfiant Senarij .
Amorem [edat fames, aut æris penuria ; {emo mortalium viftum
mendicans amauit; Sed in opulentis puber hic innafcitur .
Huc fpe&at antiquum epigramma græcum an &oris incerti, in
latinum (ic verfum . Fames amorem fidat; id fi fit minus Tempus
medetur ; fin nec i fla exttingucre Flammam queant^ tum reflat, vt funem
pares . quod epigramma ex dido Cretetis Thebani Cynici philofophi
confedum ett . tria enim ab eo afferebantur amoris remedia, htftfe Cfiy?s,
id eft, fames, tempus, laqueus . digna cynica immanitate fententia. porro
paupertatem prodefle amori pellendo
in confefToefi;tum etiam tempus, et longam diem ; nam vt ait Ouid. lente
fiunt tempore curæ et Martialis Quid non longa dies, quid non confutuitis armi
? fedti hæc duo minime pro finr, a^liafunc remedia, præter laqueum
; a quo abftinendum natura docet, et humanæ diuinæq. leges præcipifit. quantum
euim illud ad amorem eiiciendum valet, fi E a quid 6Z t>
E quid vitij inre amata eft, fæpc animo voluere, vfc illa
tandem apud nos vilefcat? inomnivero.humana pulchritudine aliquam deformitatem
corporis, vel faltim animi nancifci, facillimum videturjmores fcilicet
improbos, impotentiam animi auaritiam, fæuitiam, inconftantiam et quando
hæc defunt, foeces fub uenuftifsima forma latentes, fordesq. innumeras eo
conceptaculo conci ufas. indignatio eti^mjquod a vili foemina, vel abie
6to mancipio quis contemnatur ; vel in feipfum, quod adeo foedum toleret
feruitium,cocepta iracundia tenacifsimos frangunt amores; quibus liberatum
Heroem illum ab amore Indicæ Regin^ Ludouicus Arioftus perbelle finxit;
cum equitem induxit armatum, quem indignationem poftea nuncupauit,
tædis ardentibus foedam et immanem belluam, quæ JReginaldum fub vnguibus,
præmebat, et moleftifsimeinfeftabat, fugantem et adtartarum detrudentem, quippe
fera illa libidinem, et amorem impuru referebat. Medici cmiffionem fanguinis
atque defoecationem ad idem Cenfent non inutilem; quod ea minuatur calor,
et ardor coeundi . Platonici idiptom
probant ; quod sanguis morbida qualitate affectus eiicitur, ac fincei^is
de nouo gignitur quare medici amantibus ebrietati cenfent aliquotenus
indulgcndum ; tum vt fpiritus recentes procreentur ab illa tabe inta-
I veteribus per sudorem vino excitatum, exhalatis; tum,
vtindudaobliuione,paulatim curæ ; iuollefcant, et amatæ rei memoria
deleatur. Remedium vero illud, clauum clauo pellendum, nec recipio, nec
ferendum cenfeo,fi clauus de nouo adhibitus fit eiufdem cuni vetere
materiei, nam expellens, nifu tenaciore occupat expulsi locum quare
amantem, si eo vtatur consilio, in peius dela bi, non est ambigendum, fin
alterius naturæ clavus affumitur et cado vel omnino philosophico et quod magis
ampledendum, divino amore contra Venereum agitur, medicinam salutarem, nemini
respuendam iudico. STRABONE scripit prope Lebcada promontorium cfie
templum Apollinis, vbi faltus fit ad fedandos amoris ædus; ex quo
Deucalion ob Pyrrham, Cephalus ob Pterelam, Sappho item et Calicæ fœminæ fefe
præcipites dedere, viri servati funt incolumes, ab amore immunes fœminæ
interierunt; mifelfæ; quod scilicet faltus ille Leuchadius virilis edet, nec fœminis
conveniret. Fabulofa hæc sunt. Sed si quid veri adumbrant illud ed;
vehementissimo timore amorem interii re; quod et nos fatemur pericula
enim ad meliorem sæpe mentem homines reddunt; (io dat intellectum „
v . .r et ifp i yJh t ii; ; OH ifttO
rjorr- r hi ibo:.» nlsr; ritBT&J' > 1
'« : fyy \ £§5*? :• r < b ftV; % i IOC CE' 'Vrn. 0
f <»! Vropommtur et diluuntur dubii non pauca id Amorem
pertinentia P tl I M V M dubiam. An verum sit, quod Socrates ex Diotima
retulit, amorem nasci indigentia. ACCADEMIA in Lyfide affirmauit. CICERONE
autem censet istumesse miiiim. generosum amoris et amicitiæ ortum j alias lucri
causa amaremus, et beneficia fœneraremur; quod fordiduol videtur i Sed ACCADEMIA
dictum de amore, qui cupiditatis dicitur, intelligencfeM, CICERONE
autenii de amore amicitiæ, quæ nititur honesto sic inter mentes separatas
amor intercedit, cum nihilo minus non egeant secundam. Qaibus maxime
reperamentis inna scitur amor? Iis, quæ calore et humare abudant humidum enim
facile concipit externas impressiones; calidum vero fouet amorem quod si calido
sit admixtum aliqu id ficcitatis, cupiditares existunt acutæ et vehemente$, qu
2 fs celerrimelrelfec expleri, nec retinent v^lde diu; quod sanguine sint
tenui, atque raro et in cpntinua motione posito. Eiusmodi sunt adolescentes,
quorum amores levis flammæ vapori Seneca in Hyppoliro comparavit.
Frigidioris vero naturæ, ac tristioris ingemj homines tard amorem admittunt, sed
per se u crint magis, 6b crafsitiem, atque pigritiam sanguinis fi gutm’s, et admixtionem atræ
bilis, quæ diffidi iut recipit, sed firmius reti net, quicquid
imprimitur, Vt argilla non adeo tenuisset liquida, inde lenes excipiendo
amori duriores videntur jquem nihilo mi hus semel imbibitum retinent
lumina firmitudine. illos dixeris; quali ftipUlam quæ flammant
bcyfsimeconcipit, et dimittir; hos, quili ligna solidiora, quæ non adeo sunt ad
exardescendum facilia; sed admotam, ac tandem tecepraui flammam diutius
alunt; Tertiui Qua potilsimum via cocipiatur amor; Respondeo,
venenum illud oculis maxime hauriri. vt LIZIO; docetlib. p.Eth. tdlaturq.illc
apud Poetaifi. Vt vidi d vt perij Ivt me maltis abstulit error d sed
et aures aliquando funt operis tanti adminiUrie; qua ratione Medaæ lafonem
ardere coepit lenotiniuiri per quietem absolvente phantasia. cd
tadufi idipfurh præftat; vbi phantasia pulchram tei conta&æ formam
effingit; sed in hac concerttione palmam oculi libi vindicant, vt quibus
eunt re ipsa commercium intercedit; quod aures no hal ber,Vt Phylo
noratlit .de ludice iilæenim occit fantur circa sonos; obtutiis in rem ipsani
fertur aclimatissimum æque superbissimunide illa fert iudicium; conta6his
verb cralsior est, et aptior ad fruitionem, quam ad iudiciumde re pulchra
fasciendani allerunt ACCADEMIA amorem pulchritiidi lie potissimum
commbueri; quæ oculis maxitrid feleipitur; contactui vero nullatenus subiieitur
j £ 4 Itita b E r ideo amorem oculis potius
excitari, quam tactu amorem præterea fpiritibus adminiftris gigni
vo lunt, hosq.per oculos emitti, et immitti . ex quo fic,vr qui
oculorum venuftate possent, faci!ein alie nis pedoribus benevolentiam sibi
conficiant. Hanc ego spirituum per oculos eiaculationem negare non poffum, quod
multis experimentis com probetur.Scribit S.Bafilius lib.de Virginitate,
nos firmius ægrotos intuendo ccrrupijneque n.irrpu ne peltifera spiramenta
ocuiishauriutur. Teftatut Lapndius de ALESSANDRO SEVERO, ad eius obtutu
f^pe opus fuifle oculos dimittere; id no eflet; nifi agens vis
aliqua ab oculo in ocuju e£funderetur; qux illu afficeret et subigeret. læditur.n.
fenfus a fenfili ve henrienti,vt Arilbdocuit. Auguftus, referete Sueton
10,0 cui os habuit daros,ac nitidos, quib. etia exi flimari volebat
ineflfe quidda diuini vigoris;gaude batque,fi quis fibi acrius cotuenti,
quafi ad fulgo re fblis, vultu fubmitteretjqua porro leuitare Silenus
apud Iulianum trasfugam facetifsime derifit. Aspedu ne rei amatæ magis,an
ofcu lo, complexuq. amantis expletur appetitus? Respondeo. Amantem quærere
coniun&ionem cum te amata; id vero complexu magis obtinetur,
qui intuitu, quare mater film ad fe peregre reversum hon fatis
habet oculis ad fatietatem intueri ; nifi etia amplexetur, osculodato et repetito,
quiefcit. maxima nihilominus voluptatem oculis pefcipi, non eft
negandum; elTcq. magis perennem, quod, cum purior exiftat, minus amantem
fatiget.. An amor iit erga bruta et inanima. Respondet LIZIO Eth.c. ideft
ama tione, in res quoque inanimas conferri, quod lata
acceptione LIZIO loquutum crediderim. na inanima etia fi timemus, non odimus,
vt fulme. ergo nec amamus, cii contraria circa idecontingat.qua re LIZIO
Eth. magis proprie loquensait; ridiculu effe illu,qui dicat, se vino bona
euenireve! le; sed vt qua liberalissime agamus, dabimus ei, vt
velit vinu faluu et incorruptum manere, vt ipse habeat.cu igitur amoris effedus
fit bene velle, sequitur crga inanima no esse proprie amore; et
multo minus amicitia. Aristippo cu perdite amaret Lai de, nec ab
ipfa amaretur, ab amico reprxhesus est, quod eo amore traduxifiet, vnde
par no acciperet.fed cxcufabatfe Aristippo quod etia vino et cibo
vteretur, pluri muque caperet inde voluptatis jetfi no igno raret, se no
amari ab illis.acute et appofite. neq.n. cude vero amore fermo eflet, se
cibu amare dixit fedab eo multu capere iucuditatis. Quo ad animata
rationis expertia, certu est cuijs non efie amicitia; qa comunia cu hominibus
officia no obeur, nec ferutur ad eunde fine, nec habet electione, nec
honestua turpi diftinguunt. Sed an hominis amor ad illa excedatur, in
dubio res eft diligimus enim canes et vicissim amamur ab illis et cum fint capæia
doloris et voluptatis, illis bene, vel male cupixnus. nonulli etiam ardentissimo
amore fœda animalia sunt prosequuti. Glauca Cythariftria anferem, fcu anatem
amauic Xenophontis filius in Cilicia canem et quidem obftinatifsfme;
f^der Spartiata monedulam habuere in delitijs; quid quod adolescens
bonæ fortunæ statuam iri Fri tanæo ere&am deperi jtj eaq. pretio non
obteri ti sibi manus intulit quippe lapidem ilum qiiaii anima præditum
ob mentis perturbationem existitnavit, quod ex Xerxi vifutn tu ille
crediderim; Curii infarto Flatani amote captus ad eam extrei tum illum
immensuin cohfiftere atque choreas ducere voluit; nec ante abscessit,
quam armillis torquibusq. aureis amatum ornattet; curatore quoque
dato qui cuftbdiret; ac tueretur ab militia. Sed amorem proprie atque per
fe&e ad ea tari tu elfe dixerim, qux ratione polletit est enim
amor Appetitus coniunctiohis, atque convictus; quis ve to cani, vel
anati, vel cuilibet manfuetifsimæ belluæ iungi velit, vel vfia convivere? quod si
qui de formes adeo prætulere cupidi taces, eos irrationali amote ductos
di xerim, et feritati, i m mani tarique obnoxio; cuius perversæ appetitionis
caullæ tre ab LIZIO referuntur lib^'. £thicitap.$. Sed, (i tationem
sequimur et naturæ propensionen T inanima cara habemus j bruta adhuc
noftri cauCfa diligimus; vt equos nobiles, vt catulos feftiuos; fed noti
qrtæcumque cara nobis funt; continui amamus; etfi quæ amamus, necessario
etiam cara habemus et omnino catum elfe latius patet quam amari mieb Sex
tu . An artiare præfiantius fit, quaniamdti hæc dubitatio accipienda est
formaliter; fci- [AMORE] T licet, an amans vc amans nobilitate
antecellat amato, vt amatur de quo ACCADEMIA non dubitant, cum, vt FEDRO
ait apud ACCADEMIA, amans divino furore rapiatur, videaturque particeps
fadut divini luminis. Equidem cæteris paribus flatum amantis
celfiorem existimo amate enim eftactu Caritatis, quæ prædantissima est
omnium virtutum et tum etiam quod amare cum fundtione virtutis existit; amari
autem est prorfus Ociosum illud vicem
habet agentis, hoc patientis Septimum Cur amans amati vereatur aspectu} vt
sæpe viri fortissimi ad præsentiam vilissimæ fæminæ trepidarint, et ad
infimas preces obceilationesque defcenderint. Respondent ACCADEMIA, non
eife quid humanum quod eos percellit, sed fui goremdiuinitacis emicantem
in humana specie; quo posito, consternationis eius cauflam fe tradidiflfe
putanti et principium indicasse, quo per multæ difficultates de a^pore
diluantur, nam ad ama ti præfentiam sæpe honot, plerumque divitiæ
Contemnunturj quod fortunæ bona non fint cum fummd bono, cuius radij
pulchritudine correptus est amans, conferenda. Et amans cupit vnum
cum amato fieri, deferet e condicionem propriam, e se in amati
perfonam transfefrej quia ex homine cupit fieri Deus, quis enim efl,qui humanam
condicionem cum divina non libentissime commutet? Et amote capti vicifsim
fufpiriapromunt et gaudent. dolent quippe quod se ipsos deferant ætan tur quod
ad meliorem Ratum transferantur. Calene DE AMORE. Calent etiam
atque frigent; deferuntur enim calore proprio; tum fuperni radij fulgore
accenduntur. demum timent et audent, quod calor audaciam pariat, frigus metum.
Ego vero LIZIO firmitate deledatus, pleraque ex his vti speciosa quidem
didu, are ipsa non admodum folida reiicio. alia etiam, vti ad velandam
turpitudinem Veneris induda, damnare cogor; Amantem id cupere, vt per
Metamorphofim fabulofam in alienam mucetur naturam,plane fum antea
inficiatus. effc dus vero illos amoris varios,& multiplices ab
et ebullitione fanguinis, per vim phantafiae, deduco; vt diximus in i j$,quae
de amoris eflFedibus at tulimus; plura quoque in difpucatione de
timore paulo poft fubiiciemus. v 2 S 8 et 268 et pWC2ihii P*‘t Hi Lellio Pellgrini. Pellegrini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza,
“Pellegrini e Grice sulla etica nicomachea,” The Swimming-Pool Library. Pellegrini.
Luigi
Speranza -- Grice e Pempelo: la ragione conversazionale della diaspora di
Crotone -- l’implicatura conversazionale – Roma – filosofia pugliese --
filosofia italiana – Luigi Speranza (Turi). Filosofo italiano. Turi, Bari, Puglia. His name is
attached to some surviving fragments of Pythagorean writings on parenthood, or
fatherhood – ‘patria’. Pempelo.
Luigi Speranza -- Grice e Pennisi: all’isola
– la ragione conversazionale del blityri, o dello spirito nazionale – filosofia
dell’isola – filosofia della sicilia – la scuola di Cataia -- filosofia
siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Catania). Filosofo
italiano. Grice: “I like Pennisi’s
irreverent tone – typically Italian! – to evolution – and especially evolution
of language. By obsessing with linguistic tokens, we have lost our capacity to
mean otherwise than non-naturally!” Grice: “His metaphor of ‘the price of
lingo’ is very apt – we win, we lose!” – Grice: “Pennisi is a Griceian at heart
in that in his study of both schizo ad paranoic (both psychotic) systems of
communication, he focus on what he and I call the ‘adequazione pragmatica,’
i.e. the ability or competence, to irritate Chomsky, to implicate!” Dirigge il Dipartimento di Scienze Cognitive,
Psicologiche, Pedagoche e degli Studi Culturali a Messina, presso cui è
titolare della cattedra di filosofia del linguaggio. I suoi interessi
riguardano prevalentemente la psicopatologia del linguaggio e, più in generale,
la relazione tra linguaggio, evoluzione e cognizione umana. Consegue la
laurea in Lettere Moderne presso la Facoltà di Lettere e Filosofia a
Catania con una tesi dal titolo “I
presupposti ideologici della teoria della storia linguistica di B. TERRACINI,” sotto
la guida di PIPARO. Vince il concorso
libero per ricercatore e svolge la
carica presso l'Istituto di Filosofia della Facoltà di Magistero dell'Messina.
Diventa professore associato di filosofia del linguaggio nella Facoltà di
Magistero di Messina. Vince la procedura di valutazione per l'ordinariato-- è direttore del Dipartimento di Scienze
cognitive e della formazione della Facoltà di Scienze della Formazione e preside
presso la stessa Facoltà. -- è coordinatore del Collegio di Dottorato in
Scienze cognitive dell'Messina. Aree di ricerca Psicopatologia del
linguaggio. L'ipotesi di base per l'analisi del linguaggio psicopatologico
parte da un confronto sistematico tra il linguaggio psicotico nelle sue due
declinazioni più significativequella schizofrenica e quella paranoica con il
linguaggio tipico delle patologie cerebrali e con quello caratteristico dei
soggetti normali. La tesi di P. è che i soggetti psicotici, a differenza di
quelli con deficit cerebrali, non mostrino difficoltà visibili dal punto di
vista dell’articolazione fonica, della proprietà lessicale o della capacità
sintattica e semantica, ma che invece la cifra elettiva del loro linguaggio
consista in un depauperamento della complessità dei significati. Questo
impoverimento della dimensione della complessità si manifesta nella
schizofrenia con un linguaggio privato e pragmaticamente inadeguato, e nella
paranoia con un unico tema delirante che riassume e congela tutto il destino del
soggetto. La psicopatologia del linguaggio rappresenta inoltre una delle sfide
più difficili per le scienze cognitive, in quanto le psicosi, tra tutte la
schizofrenia, sembrano a tutt’oggi resistere ad ogni tentativo di spiegazione
neuroscientifica. Nella sua impostazionei, il linguaggio può essere considerato
una forma di tecnologia corporea. Il linguaggio è, in particolare, la
tecnologia specie-specifica di Homo sapiens che ne ha caratterizzato
l'adattamento a tal punto da rischiare di minacciarne l'esistenza. La
cognitività linguistica del Sapiens, infatti, modificando profondamente le
regole stesse dell'evoluzione biologica se da un lato ci ha consentito di
essere i dominatori naturali dell'intero pianeta, dall'altro è "ciò che
beffardamente ci avvicina alla fine, il messaggero della nostra imminente
estinzione. In continuità con le tesi sul linguaggio, propone un nuovo concetto
di bio-politica, in antitesi con il concetto sviluppato da Foucault. In
particolare, propone di investigare i fenomeni sociali e politici mediante la
comprensione delle dinamiche naturali che li sottendono. L'errore di Platone è,
nel sistema di idee proposto da P., l'idea di poter ingegnerizzare la società e
di poterme controllare ogni possibile esito. Ancora una volta, tale illusione è
data dal linguaggio e dalla razionalità linguistica che contraddistingue Homo
sapiens. Accadimenti come le crisi economicheal pari di altri fenomeni
socio-politicipossono essere compresi solo se si indagano i fenomeni naturali
che ne stabiliscono le dinamiche, come ad esempio i flussi migratori e la riproduzione. Altre
saggi: “L'errore di Platone – biopolitca, linguaggio, e diritti civile in tempo
di crisi” (Bologna, Mulino); “Il prezzo del linguaggio” (Bologna, Mulino); “L’isola
timida: Forme di vita nella Sicilia che cambia” (Roma, Squilibri); “Le scienze
cognitive del linguaggio” (Bologna, Mulino); “Scienze cognitive e patologie del
linguaggio” (Bologna, Mulino); “Segni di luce” (Mannelli, Rubbettino). “Psicopatologia
del linguaggio: storia, analisi, filosofie della mente” (Roma, Carocci); “Le
lingue utole: le patologie del linguaggio fra teoria e storia” (Roma, Nuova
Italia Scientifica); "La tecnologia del linguaggio tra passato e presente,
in Blityri, Pisa, ETS, Pievani, Linguaggio, proprio tu, ci tradirai. Eugeni,
Per una biopolitica a-moderna. Il pensiero del potere in Kubrick oltre, in Le
ragioni della natura” (Messina, Corisco, Piparo, Mauro, Eco. Dip. Scienze
cognitive, psic., ped. su unime. Pennisi. Keywords: filosofia dell’isola,
filosofia della sicilia, filosofia siciliana, cariddi, capo peloro, blityri. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Pennisi” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Pera: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale e il ragionere – la
scuola di Lucca -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo italiano. Lucca,
Toscana. Important Italian philosopher. Si diploma in ragioneria all'istituto
Carrara di Lucca. Studia a Pisa sotto BARONE. Insegna a Pisa. Convinto che le
libertà civile si e riconduce alla dignità intrinseca della persona umana, che
permane quale che sia la verità delle convinzioni di ciascuno, rileva come sia
sbagliato fare del relativismo elitario il fondamento della società. Questa sorge
grazie a quel terreno fertile rappresentato dal principio della tolleranza Un saggio filosofico di rilievo riguarda il
metodo scientifico e l'induzione. Dedicato nell’”Espresso” ai filosofi che
avevano tentato di confutare Marx, il primo e Popper. Ulteriori studi furono
dedicati alle teorie sui metodi di ricerca di Hume e ai metodi induttivi e
scientifici. Saggi "Hume, Kant e l'induzione". Sviluppa ricerche sui
primi studi di elettricità compiuti nel settecento da Volta e da Galvani. Analizza
in dettaglio il rapporto tra scienza e filosofia, in particolare nel
rinascimento volgare italiano -- GALILEI, TELESIO. La metafora delle palafitte
(anche usata da Vitters): come le palafitte dell'uomo preistorico, la filosofia
(in particolare la teoria della relatività e la fisica atomica) non si fonda su
una base solida come la roccia, ma e soggetta a modifiche e revisioni, a
seguito della scoperta di nuove particelle, di nuovi fenomeni, o di nuove leggi
fisiche che in parte modificano quelle precedenti della fisica classica. C’e
progresso in filosofia. Non poggerebbe su un fondamento immutabile, ma su un principio
che puo essere oggetto di ulteriori analisi ed approfondimenti.. La filosofia
ha validità limitata a un determinato contesto – e. g. Oxford. Secondo questo
orientamento il griceianismo e modificabile. Fra le revisioni di sistemi
scientifici studiate da lui vi è la rivoluzione di TELESIO e GALILEI che reca
obsoleto il geo-centrismo. Sono poi analizzate le teorie elettromagnetiche, a
partire dalle prime formulazioni empiriche di VOLTA e GALVANI. Pera analizza il
progresso della filosofia in relazione a quella del metodo, basato su
procedimenti razionali ed induttivi. Altri saggi: "Induzione,
scandalo dell'empirismo", i "La scoperta scientifica: congetture
selvagge o argomentazioni induttive?",
"È scientifico il marxismo?", “Il canone del razionale” Craxi.
Lei mette in discussione i fondamenti stessi dello stato di diritto, la
rivoluzione ha regole ferree e tempi stretti. Quei politici che, come Craxi,
attaccano i magistrati di Milano, mostrano di non capire la sostanza grave,
epocale, del fenomeno. Si occupa soprattutto dei problemi della Giustizia in
Italia. La democrazia è quel regime di governo che permette a chi si oppone di
sostituire pacificamente chi prende le decisioni a nome della maggioranza. Lo istrumento
della democrazia non è soltanto il voto, ma l'argomentazione, il discorso, il
confronto. Per sostituire chi governa, prima di votare occorre confutare e
criticare. Allo stesso modo per governare occorre argomentare e convincere. Partecipa
anche ad alcuni temi di politica locale, in particolare in Toscana e a Lucca.
vivere “velut si Deus daretur”. "Se Dio esiste, ci sono limiti morali alle
mie azioni, comportamenti, decisioni, progetti, leggi e così via. Il denominatore
comune e il rinascimento e l’'illuminismo. Il concetto di eguaglianza fra gl’italiani
e di solidarietà sociale, che sono oggi alla base della costituzione dellea nazione
italiana. È lo stesso soffio del vento di Monaco. Defende nostra autonomia
individuale, che è la condizione su cui dobbiamo sempre vigilare (da ciò il
nostro liberalismo)”.
Altre
opere: “Apologia del metodo” (Pisa, Scientifica); “La scienza su palafitte” (Roma,
Laterza); “Induzione” (Bologna, Mulino); “Il razionale e l’irrazionale nella
scienza” (Milano, Saggiatore); “La rana ambigua. La controversia
sull'elettricità animale tra Galvani e Volta” (Torino, Einaudi)’ “Scienza e
retorica” (Roma, Laterza); “Persuasione” (Milano, Guerini); “Senza radici.
Europa, relativismo, cristianesimo” (Milano, Mondadori); “Il libero e il laico”
(Siena, Cantagalli); “Etica liberale” (Milano, Mondadori); “Il liberalismo di
Pannunzio” (Torino, Centro Pannunzio). La scienza non poggia su un solido
strato di roccia. L'ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire
sopra una palude. È come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte
vengono conficcate dall'alto giù nella palude: ma non in una base naturale o
"data"; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare
le palafitte più a fondo non significa che abbiamo trovato un terreno solido.
Semplicemente, ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per
il momento i sostegni siano abbastanza stabili da sorreggere la struttura. “Il
mio e un relativismo elitario” Marcello Pera. Pera. Keywords: implicature,
relativismo elitario, implicatura elitaria, ragione, filosofo come ragionere,
le radici romana del ragionere, ratio, ragionere, l’assenza del concetto di
ratio nella lingua greca, la ‘ratio’ di Pitagora, la ‘ratio’ della scuola di
Crotone. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice e Pera," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice e Peregalli: la ragione
converazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. I luoghi e la
polvere Incipit All'inizio della Genesi il serpente convince Eva a mangiare con
Adamo il frutto dell'albero della conoscenza. Così i loro occhi si apriranno e
vedranno per la prima volta la loro nudità. Comincia in questo modo la storia
della conoscenza e del desiderio. Vedere, desiderare e infine morire. Il tempo,
il suo scorrere nelle nostre vene, diventa dominante. Lo splendore
dell'attimo, la sua rivelazione abbagliante, ne sancisce la caducità. Il tempo
corrode la vita e la esalta. Insieme alla conoscenza e al desiderio nasce anche
l'amore per la fragilità dell'esistenza. Le cose si rovinano. Citazioni
Se si vuole vedere, o meglio, se nel destino è scritto che si veda a tutti i
costi, se si vuole desiderare, se si vuole conoscere (così si capisce quanto
poco la conoscenza abbia a che fare con principi puramente razionali), si deve
diventare mortali. Gli dei sono indifferenti. Per gli uomini inizia così la
differenza. Finché non conosci, finché non mangi il frutto dall'albero della
conoscenza, sarai eterno. Non saprai cosa sono il bene e il male, il desiderio,
l'attrazione dei corpi, la morte. Il tempo è la nostra carne. Siamo fatti di
tempo. Siamo il tempo. È una curva inesorabile che condiziona ogni gesto della
nostra vita, compresa la morte. La superficie di qualunque "cosa",
sia essa un oggetto o un luogo, è intaccata dal tempo, riposa nel tempo. Viene
corrosa, sporcata, impolverata in ogni istante. Sono la sua caducità e la sua
fragilità che la fanno vivere nel trascorrere delle ore, dei giorni, degli
anni. L'eternità è un miraggio, e non è la salvezza. Stare in casa significa
poter assaporare il piacere di sapere che fuori c'è un paesaggio meraviglioso
e, quando vuoi, apri la porta o la finestra e lo guardi. Deve esserci lo sforzo
del gesto. Il desiderio va centellinato, perché sia più profondo. Il bianco è
il profumo dei colori. Il bianco, ancora più del nero, laddove usato nella sua
purezza, è uno dei colori più difficili che esistano, e meno imparziali. Usato
in quantità massicce la sua forza ci si ritorce contro. Diventa indifferente
solo in apparenza. In realtà l'indifferenza non esiste. Nulla è indifferente. È
un abbaglio, un alibi. Equivale all'apatia. I vetri, il bianco sono materia,
colore, carne, vita. L'ombra, come la polvere, è il nostro fondo nascosto. La
si vuole cancellare. Deve essere un eterno meriggio. Così si elimina la
"carnalità del luogo", il suo erotismo sottile, la sua terrestre
caducità. Purtroppo in estetica la dittatura di un elemento è identica alla sua
democratizzazione. Il livellamento dei luoghi conduce alla dittatura della luce
e viceversa. Tutto diventa uguale nell'indifferenza. Di fronte all'ottusa
sicumera che ci avvolge esiste un tempo altro che non possiamo controllare,
dirigere, comandare e che può aprire nuove prospettive, trovando sentieri
tortuosi, o spesso non tracciati. Nelle sacche dell'errore (che è un erramento)
può ancora trovarsi un cammino. Il passato è stato messo in una teca,
sigillato, perché non nuoccia. Lo si può venerare, ma lo si teme. E comunque
non deve essere imitato. Gli antichi, invece, in ogni momento hanno sempre
guardato indietro. Da lì traevano ispirazione. Cancellavano per ricreare. Credo
che in quest'epoca falsamente luccicante e rassicurante, che vuole esorcizzare
la morte e la fragilità della vita a ogni passo, e dove colori sgargianti,
superfici nitide e sorde, luci accecanti circondano il nostro vivere, un
sentiero possibile sia quello di cercare negli interstizi delle cose prodotte
dall'uomo una crepa, una rovina che ne certifichi la fondatezza. In un mondo
che teorizza le guerre "intelligenti" e gli obiettivi
"mirati" la barbarie non è costituita dalle distruzioni, ma dalle
costruzioni. Il decadimento fa parte dell'essere. Tutto decade, crolla, si
disfa. Ma questo decadimento è un frammento di noi. Il concetto di
incontaminato è fondamentalmente falso. Tutto è contaminato dal tempo e
dall'uomo. Nell'attimo stesso in cui mettere le sue radici in un luogo lascia
un segno e l'incanto si sbriciola. Esistono nelle città, nei paesi, nelle
campagne, "rovine semplici"...Cascine abbandonate, un muro senza
aperture, uno spiazzo solitario con una fabbrica dismessa, una vecchia
ciminiera diroccata, una strada che non finisce, chiese, mausolei, tumuli
lasciati al loro destino, attraversati dal tempo. Luoghi che apparentemente non
dicono nulla di più della loro solitudine e del loro abbandono e in cui il motivo
delle loro condizioni non si legge più tra le pieghe dell'architettura. Le
ferite, se mai ci sono state, non mostrano la loro origine. Troviamo queste
rovine dappertutto nel mondo, sparse tra le nuove costruzioni, o isolate e
lontane. Quello che colpisce è la tranquillità, la pacatezza. Non servono più a
nulla, non possono essere sfruttate, manipolate. Possono solo essere cancellate
da una ruspa. Questa fragilità è la loro forza. Ci affascinano perché ci
somigliano. Somigliano al nostro essere caduchi, alla nostra mortalità, alla
sete dei nostri attimi di felicità. Nel mondo c'è un'ansia di eternità. L'idea
che tutto debba tornare a risplendere com'era. È un'epoca, questa, in cui da
una parte si desidera l'infinito e dall'altra ci si spaventa per la fragilità
delle persone e dei luoghi. Pensare che un luogo possa cristallizzarsi in
un'eternità senza tempo è una chimera che denota, mascherato di umiltà, un
senso di presunzione infinito. La nostra vita è la nostra memoria. Attraverso
il passato guardiamo il futuro. Se lo distruggiamo e lo ricostruiamo in modo
fittizio non resterà più niente. La bellezza di un oggetto deriva in buona
misura dalla sua patina. Più che la frattura tra antico e moderno, ciò che dà
consistenza alla nostra vita e la rende accettabile è la patina del tempo. La
certezza che le cose e i luoghi deperiscono serenamente. È questa una
"decrescita" estetica, un principio che vede nella caducità la
traccia della loro bellezza. Una volta le cose erano fatte per durare ed erano
caduche. Quindi veniva calcolata la loro deperibilità per farle diventare
sempre più belle. Oggi le cose si producono per essere effimere, e al tempo
stesso si proteggono con vernici e altre sostanze, perché sembrino eterne. Una
città per avere un'anima non deve essere perfettamente pulita. Devono rimanere
le tracce di quello che accade. Così i resti della nostra vita possono
affiorare, come i ricordi dagli angoli delle strade, dai cespugli, dai muri. La
materia di cui sono fatte le cose deve plasmarsi sull'aria che si respira, deve
ricevere l'ombra. La durata delle cose nel tempo non si può comperare. Il corpo
va amato per quello che è. La sua fossilizzazione, invece, rischia di tradirne
l'essenza, la cui forza è la caducità. Il motivo per cui ci attrae, ci eccita,
ci tiene con il fiato sospeso in tutti i suoi anfratti più segreti, il suo
odore, la sua superficie, il suo colore, è la sua consistenza che muta negli
anni e si adatta a noi e al mondo. Parole come design e lifting hanno un suono
sinistro. Dicono lo stesso. La plastificazione degli oggetti e dei corpi, il
loro luccicare senza vita, come i pesci lasciati a morire sulla riva. Tracciamo
un mondo che dovremmo indossare come una muta per aderirvi perfettamente e in
cui però i nostri movimenti diventano falsi e rallentati, chiusi in un cofano
che toglie il respiro. Corpi rimodellati che abitano e usano luoghi altrettanto
rimodellati. Il museo deve introdurre la gente in un mondo speciale, in cui le
opere dei morti dialogano con gli sguardi dei vivi, in un confronto duraturo e
fecondo. I musei, che sorgono sempre più numerosi in quest'epoca, sono divenuti
edifici-scultura. Vengono chiamati a progettarli gli architetti più accreditati
del momento, che inventano dei mausolei per la loro gloria, prima ancora di
sapere a cosa serviranno. In essi la gente non va tanto a vedere le esposizioni
o le opere presentate quanto i monumenti stessi. Gli allestimenti museali sono
un riassunto e uno specchio drammatico dell'epoca in cui viviamo. I vetri
antiproiettile, l'illuminazione da stadio o catacombale, i colori sordi e
luccicanti dei muri, il gigantismo insensato, le ricostruzioni senz'anima. Via
la polvere, via la patina, via l'ombra, via la carne di cui siamo fatti. Tutto
è asettico. Cancellando la mortalità della vita, il luogo diventa eternamente
morto. L'arte è mimesi della natura. La mima, la reinventa, la accompagna
fedelmente nel cammino del tempo. Non c'era contrasto e nemmeno violenza.
L'abitare sulla terra era una convivenza armonica in cui l'uomo beneficiava
della natura, e questa traeva profitto e bellezza dalla presenza dei disegni
dell'uomo. Così nascevano i luoghi. L'occhio che guarda questi luoghi, luoghi
diroccati e abbandonati, immagina il loro passato, sente attraverso la pelle
consumata dal tempo l'anima che li avvolge. La patina, come la polvere, si
deposita sulle cose. Dà loro vita. Le inserisce nel tempo. Un tavolo, una
sedia, un bicchiere parlano del passato, delle mani che li hanno toccati,
attraverso la pelle del tempo che li avvolge a poco a poco. Le tracce del
passato si leggono tra le crepe dei muri, oltre l'umidità della pioggia e il
calore riarso del sole. Roberto
Peregalli, “I luoghi e la polvere,” Bompiani. Roberto Peregalli. Peregalli.
Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Peregalli” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Perniola: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Asti -- filosofia
piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Asti). Filosofo italiano. Asti, Piemonte. Studia la
filosofia del meta-romanzo a Torino sotto PAREYSON. Incontra VATTIMO ed ECO,
che si è fatto tutti gli studiosi di spicco della scuola di Pareyson. Allegato
alla all'avanguardia dei situazionisti. Insegna a Salerno e Roma. Collabora a agaragar, Clinamen, Estetica
Notizie. Fonda Agalma. Rivista di Studi Culturali e di Estetica. L'ampiezza,
l'intuizione e molti-affrontato i contributi della sua filosofia gli fa
guadagnare la reputazione di essere una delle figure più importanti del
panorama filosofico. Pubblica “Miracoli e traumi della Comunicazione”. Le sue attività ad ampio raggio coinvolti
formulare teorie filosofiche innovative, filosofare, l'estetica di
insegnamento, e conferenze. Si
concentra sulla filosofia del romanzo e la teoria della letteratura. Nel suo saggio
“Il meta-romanzo:, sostiene che il romanzo da James a Beckett ha un carattere
auto-referenziale. Inoltre, si afferma che il romanzo è soltanto su se stesso. Il
suo obiettivo e quello di dimostrare la dignità filosofica del meta-romanzo e
cercare di recuperare un grave espressione culturale. Montale gli loda per
questa critica originale del romanzo come genere filosofico. Però, non solo
hanno un'anima accademica ma anche una anima anti-accademica.. Quest'ultima è
esemplificato dalla sua attenzione all’espressioni alternativa e trasgressiva. Un
saggio importante appartenente a questa parte anti-accademico è “L'alienazione
artistica”, in cui attinge la filosofia marxista. Sostiene che l'alienazione
non è un fallimento di arte, ma piuttosto una condizione dell'esistenza stessa
dell'arte come categoria distintiva dell'attività umana. I situazionisti (Castelvecchi,
Roma) esemplifica il suo interesse per l'avanguardia. Dà conto dei
situazionisti e post-situazionisti nel quale è stato personalmente coinvolto.
Ha videnzia anche le caratteristiche contrastanti dei membri del movimento. In
“Agaragar” continua la critica post-situazionista della società capitalistica e
della borghesia. Saggio sul negativo” (Milano: Feltrinelli). – cf. Grice,
“Negation and privation”. Il negativo qui è concepito come il motore della
storia. Post-strutturalismo. Offre alcuni dei suoi contributi più
penetranti alla filosofia. In Dopo Heidegger. Filosofia e organizzazioni
culturali sulla base di Heidegger e GRAMSCI, include un discorso teorico
sulla organizzazione sociale. Sostiene la possibilità di stabilire un rapporto
tra cultura e società nella civiltà. Come l'ex interrelazioni tra la metafisica
e la chiesa, la dialettica e lo stato, la scienza e professione sono state
decostruito, la filosofia e la cultura rappresentano un modo per superare il
nichilismo e il populismo che caratterizzano la società. Pensare rituale. La sessualità,
la morte, Mondo contiene sezioni sulla Società dei simulacri e Transiti. Venite
si va Dallo Stesso allo Stesso (Transiti. Come andare dalla stessa per lo
stesso). Teoria dei simulacri si occupa con la logica della seduzione. Anche se
la seduzione è vuoto, è comunque radicata in un contesto storico concreto.
Simulazione, tuttavia, fornisce immagini che sono valutati come tali
indipendentemente da quello che effettivamente implicano riferiscono. Una immagine
e una simulazione in che seducono e ancora fuori loro vuoto ha un effetto.
Illustra il ruolo di tale immagine in una vasta gamma di contesti culturali,
estetiche e sociali. La nozione di transito sembra essere più adatto per
catturare l’aspetto culturali della tecnologia che altera la societa..Transit
di oggivale a dire che vanno “dallo stesso allo stesso” evita di cadere nella
contrapposizione della dialettica che avrebbe precipitare pensare nella
mistificazione della metafisica”. Postumano include altri territori nella
sua ricerca filosofica. In Del Sentire -- indaga un modo di sentire che non ha
nulla a che vedere con i precedenti che hanno caratterizzato l'estetica. Sostiene
che sensologia ha assunto. Ciò richiede un universo emozionale im-personale,
caratterizzato da un’esperienza anonima, in cui tutto si rende come già sentito.
L'alternativa è quella di tornare indietro al mondo classico e, in particolare,
all’antica Roma. In “Il sex appeal dell'inorganico”, riunisce la filosofia e la
sessualità. La nostra sensibilità trasforma il rapporto tra una cosa e gl’esseri
umani. Sex si estende oltre l'atto e i corpo. Un tipo organico di sessualità
viene sostituita da una sessualità neutra, in-organica, arti-ficiale, indifferente
alla bellezza o forma. Esplora il ruolo dell'eros, il desiderio e la sessualità
nell’esperienza estetica e l'impatto della tecnologia. La sua è una linea che
apre prospettive sulla nostra realtà contemporanea. La caratteristica più
sorprendente è la sua di coniugare una rigorosa re-interpretazione della
tradizione filosofica con una meditazione sul “sexy”. Si rivolge aspetti
perturbanti come rapporto sessuale senza orgasmo, apice o qualsiasi rilascio della
tensione. Si occupa dell’orifizio e l’organio, e la forma di auto-abbandono che
vanno contro un modello comune di reciprocità erotica. Tuttavia, attingendo
alla tradizione critica trascendentale, sostiene anche che ogni coniuge e una cosa,
perché in costanza di matrimonio ogni affida il suo la sua intera persona
all'altra al fine di acquisire un diritto pieno su tutta la persona dell'altro.
In “L'arte e la sua ombra” popone
un'interpretazione alternativa dell'ombra che ha una lunga storia nella
filosofia. Nell'analisi dell'arte e del cinema, esplora come l'artisti sopravviveno
nonostante la comunicazione di massa e la riproduzione. Il senso dell'arte è da
ricercarsi in ombra creato, che è stato lasciato fuori
dallo stabilimento arte, comunicazione di massa, mercato e mass
media. La sua filosofia copre anche la storia di estetica e teoria estetica. Pubblica
“Enigmi -- Il momento egizio nella Società e nell'arte” in cui analizza l’altra
forma di sensibilità che si svolgono tra gl’uomini e le cose. La nostra società
vivendo un “momento egizio”, caratterizzato da un processo di rei-ficazione.
Come il prodotto di alta tecnologia assume sempre una proprietà organica, gl’uomini
si trasformano in cosi, nel senso che si vedeno deliberatamente come oggetti
sessuali. In L'estetica del Novecento fornisce un resoconto originale e la
critica alle principali teorie estetiche caratterizzato il secolo precedente. Traccia
le tendenze basate sulla vita, la forma, la conoscenza, l’azione, il sentimento
e la cultura. In Del Sentire cattolico. La forma culturale di Una religione universale
la sensazione di Cattolica. La forma culturale di una religione universale),
sottolinea l'identità culturale del cattolico (kath’holou”), piuttosto che il
suo uno moralistico e dogmatico. Propone il cattolico senza l'orto-dosso e una
fede senza dogma che consente il cattolico ad essere percepito come un senso
universale di sentimento culturale. “Strategie del bello: estetica italiana” analizza
le principali teorie estetiche che ritraggono le trasformazioni avvenute in
Italia. Mette in luce il rapporto tra i tratti storici, politici e
antropologici radicati nella società italiana e il discorso critico sorto
intorno a loro. La conoscenza e la cultura sono concessa una posizione
privilegiata nella nostra società, e dovrebbero sfidare l'arroganza degli
stabilimento, l'insolenza degli editore, la volgarità dei mass media, e il
roguery plutocratico. La filosofia dei media. La sua ampia gamma di
interessi teorici includono la filosofia
dei media. In “Contro la Comunicazione” analizza l’origine, il meccanismo,
la dinamica della comunicazione e suo effetto degenerative. “Miracoli e traumi
della comunicazione” si occupa dell’effetto inquietante della comunicazione
concentrandosi sull’evento generative: una rivolta degli studenti, la
rivoluzione iraniana, la caduta del muro di Berlino, World Trade Center
attacco. Ognuno di questi episodi sono tutti trattati con sullo sfondo dell’effetto
miracoloso e traumatico in cui la comunicazione offusca la differenze tra il
reale e impossibile, cultura alta e cultura di massa, il declino delle
professione, il successo del populismo, il ruolo della dipendenza, le
ripercussioni di internet sulla cultura di oggi e la società, e, ultimo ma non
meno importante, il ruolo della valutazione in cui porno star sembrano aver
raggiunto i più alti ranghi del chi è chi grafici. In finzione, e l'autore del
romanzo Tiresia, che si ispira all'antico mito greco del profeta Tiresia, che è
stato trasformato in una donna. Altra narrativa è del Terrorismo come una delle
belle arti (al terrorismo come una delle Belle Arti. Altri saggi: “Il meta-romanzo” ( Milano, Silva); “Tiresia,
Milano, Silva); “L'alienazione artistica” (Milano, Mursia); “Bataille e il
negativo, Milano, Feltrinelli); “Philosophia sexualis” (Verona, Ombre Corte); “La
Società dei simulacra” Bologna, Cappelli); “DOPO Heidegger. Filosofia e
organizzazione della cultura” (Milano, Feltrinelli, Transiti. Venite si va
Dallo Stesso allo Stesso” (Bologna, Cappelli); “Estetica e politica” (Venezia,
Cluva); “Enigmi. Il momento Egizio Nella Società e nell'arte” (Genova, Costa et
Nolan); “Del Sentire, Torino, Einaudi); “Più che sacro, Più che profane” (Milano,
Mimesis); “Il sex appeal dell'inorganico” (Torino, Einaudi); “L'estetica del
Novecento, Bologna, Il Mulino); “Disgusti. Nuove Tendenze estetiche” (Milano,
Costa); “I situazionisti” (Roma, Castelvecchi); “L'arte e la SUA ombra” (Torino,
Einaudi); “Del Sentire cattolico. La forma culturale di Una religione
universale, Bologna, Mulino, “Contro la Comunicazione” – Grice: “This poses a
stupid puzzle, alla Sextus Empiricus, how can you argue against communication
without communicating? But Perniola is
using ‘comunicazione’ the way Italian philosophers use it: pompously! And with that I agree! ” -- Torino, Einaudi, Miracoli
e traumi della Comunicazione, Torino, Einaudi, "Strategie Del Bello.
Quarant'anni di estetica italiana, Agalma. Rivista di studi culturali e di
estetica, Strategie Del Bello: estetica italiana” (Milano, Mimesis); “Estetica:
Una visione globale” (Bologna); La Società dei simulacra” (Milano, Mimesis, Berlusconi
o il '68 Realizzato” (Milano, Mimesis); Estetica e politica (Milano, Mimesis);
“Da Berlusconi a Monti. Imperfetti Disaccordi, Milano, Mimesis); “L'avventura
situazionista. Storia critica dell'ultima avanguardia” (Milano, Mimesis); “L'arte
espansa” (Torino, Einaudi); Del Terrorismo Come una delle belle arti, Milano,
Mimesis, “Estetica Italiana Contemporanea, Milano, Bompiani,“Pensare rituale”;
“La sessualità, la morte, Mondo, l'umanità “Estetica: Verso una teoria di sentimento”“Di
volta in volta”, “La differenza del filosofica
Cultura italiana”,“Logica della Seduzione”, “Stili di post-politici”, differenziazione,
“Venusiano Charme”, “decoro e abito da sera”. G. Borradori, ed.,
Ricodifica METAFISICA. La filosofia Nuova italiana. “Tra abbigliamento e nudità”, Zona “Al di là di postmodernità”, Differentia “La
bellezza è come un fulmine”, Moderna
Museet, “Riflessioni critiche”, “Enigmi di temperamento italiano”, Differentia,.
“Primordiale Graffiti”, Differentia, “Urban, più di urbana”, Topographie, ed in
Strata, Helsinki, “Emozione”, Galleria d'Arte del Castello di Rivoli, Milano,
Charta, “Verso visiva filosofia”, la 6a
Settimana; “Burri ed Estetica”, Burri” (Milano, Electa); “Stile, narrativa e
post-storia” Tema celeste, europea, “Un
estetico del Grand Style: Debord”, Sostanza, Arte tra il parassitismo e
l'ammirazione”, RES, “Sentire la
differenza, Estetica, Politica, Morte.
“La svolta culturale e sentimento” “il Ritual nel cattolicesimo”, Paragrana,
Ripubblicato come “La svolta culturale
nel cattolicesimo”, il dialogo. Annuario della filosofica ermeneutica, Ragione,
Strumenti di devozione. Le pratiche e gli oggetti di Religiois Pietà; “Ricordando Derrida”, sostanza, “La
giustapposizione”, Rivista Europea.”, Celant, e Dennison, L’arte, architettura,
cinema, performance, fotografia e video, Milano, Skira, “Cultural Turns in
Estetica e Anti-Estetica”, Guarda anche Estetica Anti-art Internazionale
Situazionista simulacro cyberpunk fetish abbigliamento filosofia italiana; La
filosofia del sesso; filosofia occidentale; La sessualità, la morte, mondo -- è il più utile e punto di partenza per P., Fondazione
desanctis Perniola Reading. Un introduzione". Pensare rituale. La
sessualità, la morte, Mondo. E. Montale, “Entra in scena il metaromanzo”. Il
Corriere della Sera, Verdicchio, “Leggere P. Reading. Un introduzione".
Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Bredin "L'alienazione
artistica" di P., Inverno Verdicchio, “Leggere P. Reading. Un
introduzione". Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Con
//notbored.org/ debord a.html
I situazionisti, Roma, Castelvecchi, “ Pensare rituale. La sessualità, la
morte, Mondo “Pensare rituale. La
sessualità, la morte” (Mondo). Verdicchio in, pensiero rituale. La sessualità,
la morte, Mondo. Sulla influenza della nozione di simulacri vedere Robert
Burch. “Il simulacro della Morte: P. al di là di Heidegger e la metafisica?” Sentire
la differenza, Extreme Beauty. Estetica, Politica, Morte. Stati di emergenza.
Le colture di Rivolta in Italia. Verso, Per ulteriori interpretazioni del
concetto di transito vedere White, "la differenza italiana e la politica
della cultura", Ricodifica. La filosofia Nuova italiana. Catalogo Einaudi
di Francoforte Fiera del Libro, Verdicchio, Thinking Ritual. La sessualità, la
morte, Mondo. catalogo IAPL, Siracusa. La Teoria Pinocchio, P., il sex appeal del
inorganica, Londra-New York, Continuum, Sulla ricezione della teoria di Perniola
in inglese vedi Shaviro, “il sex appeal della inorganica”, La Teoria
Pinocchio,//shaviro.com/Blog/ Farris Wahbeh, Critica d'arte, Filosofie del desiderio nel mondo
contemporaneo”, in Filosofia Radical (Londra), Anna Camaiti Hostert sexy cose,// altx.com/ ebr/ebr6/6cam;
intervista tra Contardi e P. psychomedia /jep/number 3-4/ contpern
Prefazione di Per l'influenza di arte e la sua ombra v. Wahbeh, Recensione di
“arte e la sua ombra” e “il sex appeal della inorganica”, The Journal of
Aesthetics e Critica d'arte, Sinnerbrink,
“Cinema e la sua ombra: di P. l’arte e
la sua ombra”, Filosofia Film, film-philosophy /sinnerbrink Verdicchio,
Thinking Ritual. La sessualità, la morte, Mondo. Con una prefazione di
Silverman, tradotto da Massimo Verdicchio, Sulla ricezione di Enigmi. Il
momento egiziana nella società e Arte vedere; “Retorica postmoderno ed Estetica” in
“Postmodernismo", la Stanford Encyclopedia of Philosophy, Zalta, post modernismo “La svolta culturale del cattolicesimo”.
Laugerud, Henning, Skinnebach, Katrine. Gli strumenti di devozione. Le pratiche
e oggetti di pietà religiosa. Aarhus ulteriore lettura Giovanna Borradori,
ricodifica METAFISICA. La filosofia Nuova italiana, il simulacro della Morte: P.
al di là di Heidegger e la metafisica?, Nel sentire la differenza, Estetica, Politica,
Morte, New York-London, Continuum, Carrera, revisione a Disgusti, in Canada
Rassegna di letteratura comparata, Filosofie del desiderio nel mondo moderno,
in stati di emergenza: Culture di rivolta in Italia,la differenza italiana e la
politica della cultura, in Laurea Facoltà di Filosofia, Farris Wahbeh, Rassegna
di Arte e la sua ombra e il sex appeal della Inorganica, in The Journal of
Aesthetics e Critica d'arte, O' Brian, L'arte è sempre scivoloso, il valore dei
valori sospensione, in Neohelicon, Civiltà,
Dell'Arti Giorgio, Parrini, “Catalogo dei viventi italiani” (Notevoli, Venezia);
Roller, simulazione, una conversazione tra Contardi e P. psychomedia/ jep/ number3-4/
contpern Recensione di “La sessualità, la morte, World” sirreadalot.org/religion/ religion/ ritualR.
Recensione di Sinnerbrink di “arte e la sua ombra” /film-philosophy il rilascio
Il corpo dell'immagine / italiaoggi.com.br/ not12/ ital_ ed Estetica (//agalmaweb./ ) Blog su “Feeling Thing” (in
italiano) (//cosachesente. splinder). Mario Perniola. Perniola Keywords:
‘seduzione’ ‘le strategie del bello’ ‘altre il desiderio e il piacere’ sesso,
sessuale, psychologia del sesso, Perniola’s misuse of ‘sesso’, eros. -– Luigi
Speranza, “Grice e Perniola” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Perone: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Torino -- filosofia
piemontese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Torino). Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice: “While Perone can be a pessimist, I think the
party is NEVER over!” Grice: “I especially appreciate two things in the
philosophy of Perone: his emphasis on the the intersection between modality and
temporality: ‘the possible present’ – vis-à-vis memory – a theme in my
“Personal identity” and also the implicature: what is actual is also possible”
– AND his idea of an ‘interruption,’ which I take it to the rational flow of
conversation!” Speranza, “The feast of conversational reason,” “The feast of
reason and the bowl of soul” -- important Italian philosopher. Studia a Torino sotto PAREYSON (si
veda). Studia la filosofia della liberta. Insegna a Roma e Torino. Si dedica alla filosofia ermeneutica. La politica è
l’invenzione dell’ordine che con-tempera il “per me” e il “per tutti”. Studia
la morale creativa, capace di forzare l’etica oltre se stessa, verso una
normatività più inclusiva. la secolarizzazione;
Una
metafora ha ispirato l'intero percorso di pensiero di Perone, quella della
lotta di un uomo, Giacobbe, con il divino, l'Angelo (Genesi). Nella
notte del deserto, uno straniero interrompe la sua solitudine e combatte con
lui in una battaglia che non ha vincitore. All’alba scopre di essere stato
ferito dall'angelo. La ferita significa anche la
benedizione e un nuove nome: Giacobbe, che ha combattuto con Dio e non è stato
ucciso, d'ora innanzi si chiama “Israele”. Il racconto è la cifra dell'estrema tensione
che sussiste tra il finito e l'infinito, tra il penultimo e l'ultimo, tra i
singoli significati e il senso complessivo. La filosofia ha un'obbligazione di
fedeltà al finito che la conduce a non rinnegare mai le condizioni storiche del
pensiero, ma anche a non rinunciare alla sua vocazione a trascenderle con
l'ascolto del non immediato, il lavoro e la fatica. Riconosciuto il moderno come
condizione, il pensiero non può illudersi di potersi semplicemente installare
nell'essere o nel senso, come se tra finito e infinito non si fosse consumata
una cesura. E tuttavia, ugualmente inopportuno e un
appiattimento sui semplici significati storici, dimentico dell'appello
dell'essere. La necessaria protezione del finito
(peiron) (protezione del finito anche nei confronti dell'essere, che in qualche
modo va sfidato, perché è coi forti che è necessario essere forti) non significare l'eliminazione di nessuno dei due
contendenti. Sulla soglia tra finite
(peiron) e infinito (a-peiron), tra storia e ontologia, si realizza una
mediazione, che non implica il superamento della distanza, ma la sua
conservazione. Al fine di preservare la doppia eccedenza del finito (peiron) sull'infinito
(a-peiron) e di questo su quello, è sbagliato cancellare la distanza tra essi,
sia trasformandola in identità alla Velia, sia indebolendola fino a un punto
d'in-differenza. Così, è vero, per esempio, che la memoria non conserva
che questo o quello frammento, né può pretendere di ricordare direttamente
l'intero (la totalita – cf. Grice ‘total temporary state’). Ma è altrettanto vero che questo o quello frammento
non va abbandonato a una deriva nichilistica, perché nel frammento – che la
memoria ricorda – non è un semplice istante, ma appunto l'essenziale (di una
vita, di una storia…) a dover essere ricordato. La filosofia resta ossessionata
dal tutto (cf. Grice’s ‘total temporary state’), ma questo tutto non ha
l'estensione della totalità, ma l'intensione di un frammento in cui ne va dell'intero,
il totto. Peiron ed apeiron, Modernità e memoria, Storia e ontologia: si tratta
di *dire* sempre insieme due cose, due poli opposti, secondo una dialettica
dell'et-et, dell'indugio e dell'anticipazione. Il finito, la parte -- il soggetto, il
presente, il sentimento -- e analizzato come una “soglia”, come un luogo che
non puo nemmeno essere vissuto senza la memoria dell'altro polo. Come nel caso
di Giacobbe/Israele, la ferita finite, parziale, e un luoo che porta la ferita
inferta loro dall’altro polo -- l’infinito, il tutto -- come una
benedizione. Elabora la filosofia ermeneuticamente, a partire da uno
studio in profondità – spesso svolto contro-corrente, Parte integrante della sua ricerca filosofica è altresì un
confronto continuo con Guardini. Altri saggi: Esperienza divina” (Mursia,
Milano); “Storia e ontologia” (Studium, Roma); “La totalità interrotta” (Mursia, Milano); “La memoria” (Sei, Torino);
“La lotta dell’angelo e il demonio” (SEI, Torino); “Le passioni del finite” (EDB,
Bologna); “Il gusto per l’antico” (Rosenberg, Torino); “Nonostante i soggetti” (Rosenberg, Torino);
“Il presente possible” (Guida, Napoli); “Sentimento vero” (Napoli, Guida); “Sentimento”
(Cittadella, Assisi); ” “Umano e divino” (Queriniana, Brescia); “Il racconto
della filosofia. Breve storia della filosofia, Queriniana, Brescia); Un tema
che è diventato predominante nella produzione più recente è la riflessione
etico-politica. Tra le sue pubblicazioni sul tema si ricordano: “Lo sspazio
pubblico” (Mulino, Bologna); “Identità, differenza, conflitto” (Mimesis, Milano);
“Secolarizzare” (Mursia, Milano). Givone, I sentieri della filosofia, Torino. Una
cospicua parte della sua produzione di si concentra sul finite e sul rapporto
tra filosofia e narrazione. Anche il tempo e la memoria: “Il tempo della
memoria” Mursia, Milano); “Memoria, tempo e storia; Il tempo della memoria, Marietti,
Genova); “Il rischio del presente”; “L'acuto del presente: una poetica” (Orso,
Alessandria); “Ateismo”; “Futuro”; “Memoria, Passato, Pensiero, Presente,
Riflessione, Silenzio, Tempo. Curato
e introdotto presso Rosenberg la scuola di formazione filosofica: “Dialogo con
l'amore”; “Metafisica”; “Dare ragioni”; “Coscienza, linguaggio, società” “Un'antropologia
della modernità”; Volontà, destino, linguaggio. Filosofia e storia
dell'Occidente,; Estraneo, straniero, straordinario. Saggi di fenomenologia responsive;
“Valori, società, religione”. Vii fa esplicito riferimento, tra l'altro, in
Modernità e Memoria, L'Angelo – cioè l'IN-finito, ma più in generale l'oggetto,
il mondo – non è un limite che i soggetti poneno a se stessi, ma una barriera
che loro è posta e che, dunque, non si lascia ultimamente inglobare dal soggetti,
per quanto potente loro siano. Ai limiti estremi dell’estensione e la ptenza, i
soggetti incontrano la resistenza testarda del mondo e misurano così la propria
im-potenza di in-finito. Questa lotta scontro con la barriera lascia nei soggetti
una ferita che appartiene per sempre all'identità delle sue coscienze. L'angelo
può quindi essere definito quella misteriosa ulteriorità contro cui il finito
urta Il tema della tensione tra cielo e terra è centrale. Come dimenticare che la
teologia è forse l'unica rama della filosofia che osato vedere nella tensione
tra l’uomo e il divino non una tentazione, ma un guadagno tanto per il cielo
quanto per la terra? E attiva
un'originalissima interpretazione del rapporto tra il segnato e il senso. Con ‘segnato’
intendo una cristallizzazione storica di una scelta determinata, avente in sé
una ragione sufficiente. Con ‘senso’ intendo una direzione capace di UNI-ficare
una MOLTE-plicità in sé dispersa fra il segnato S1, il segnato S2, … il segnato
Sn, in modo da costituir il segnato come un progetto e un'interpretazione della
realtà. La definizione del gusto per l’antico come tempo della cesura risale in
“La totalità interrotta”. Il tema è ripreso proprio in apertura di Modernità e
Memoria, dove individua nella modernità l'epoca della cesura. Il moderno è
dunque chiamato a essere il tempo della memoria. La memoria è sempre memoria
della cesura. L’uso della categoria d’illuminismo non simpatizza per quella
interpretazione del moderno, dimentiche della tensione. Semplicemente pone l'umano
in luogo del divino come fonte di legittimazione -- puntando tutto sul continuio,
anziché sul dis-continuo della storia. Per un approfondimento a tutto tondo del
significato dell'ateismo, contro l'essere, ciò che è forte, è lecito essere
forti, perché la minaccia non lo vince, ma lo lascia stagliarsi in tutta la sua
maestà e incommensurabile grandezza. Per una trattazione sistematica del
concetto di "soglia”, che svolge con particolare attenzione cfr. Il
presente possibile -- il presente come soglia.
Se una totalità è interrotta, non possiamo ricordare se non frammenti, e
quasi istantanee del tempo. Tuttavia, se la memoria afferra brandelli e
frammenti, è perché in essi vi legge il tutto, perché li pensa capaci di dar *senso*
e di riscattare, perché in essi vi scorge l'essenziale. La memoria sa che non
tutto può essere salvato. Ma osiamo credere che nella memoria salvata vi possa
essere un senso anche per ciò che è andato perduto. Nel rivalutare la funzione
dell'indugio osserva che perlopiù la filosofia non ha seguito la strada
dell'indugio e del rinvio, puntando invece sulla funzione anticipative. Particolare
rilievo riveste a questo proposito la distinzione che traccia tra spazio
pubblico e spazio comune. Individua anzi
come rischio immanente della democrazia» il ri-assorbimento dello spazio pubblico
entro la semplice logica dello spazio comune. Lo spazio pubblico si espone al
rischio di un inglobamento nello spazio comune. Guglielminetti, ed.,
Interruzioni. il melangolo, Genova. theologie. hu-berlin.de/de/ guardini/ mitarbeiter/
li, su theologie. hu-berlin.de.vips/ ugo.perone, su sdaff. lett.unipmn/ docenti/perone/,
su lett.unipmn oportet idealismo su spazio filosofico. spazio filosofico/ numero-05//il-pudore/#more-2052, su
spaziofilosofico. Ugo Perone. Perone. Keywords: implicature, peiron/apeiron,
Velia, Grice on ‘other’; finito/ infinito, Velia, Elea, I veliani, Guardini.
Total temporary state, Israele, etimologia, la ferita di Giaccobe dopo la lotta
coll’angelo, nella Vulgata. Israele, la lotta di Giacobbe e il angelo, la
ferita, Giacobbe zoppo, iconografia, controversia sull’etimologia di israele,
ei combatte, la tradizione di VELIA, l’infinito di Velia – il continuo e il
discontinuo, l’infinito della scuola di Crotone, Cicerone, l’infinito di
Giordano Bruno. Infinitum, indefinititum, dal verbo, finire, finio in romano,
-- I due rappresentanti della scuola di Velia, Melisso, peras, pars. Guardini,
il sacro, il divino, I dei, uomo e dio, opposizione, -- la storia della
filosofia di Perone, il presente possible, la totalita interrota, I soggeti,
trascendentale e immanente. Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Perone," per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Luigi
Speranza -- Grice e Persio: la ragione conversazionale e la filosofia nel
principato di Nerone – TREASEA CONTRO LA TIRANNIA – Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). He is best known as a satirical poet,
but he studies philosophy under Luccio Anneo Cornuto, to whom he wrote a
tribute and to whom he leaves his works on his death. A strong belief in the
value of the ethics of the PORTICO lies beneath much of his satire. He is a
friend of Trasea Peto (vide RENSI – TRASEA CONTRO LA TIRANNIA), and is related
to him by marriage. Through this connection, Persio becomes associated with the
PORTICO opposition to Nerone – but he dies before Nerone can take action
against him. Ed. Broad, Loeb. Flacco
Aulo Persio
Luigi
Speranza -- Grice e Persio: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale nella storia della dialettica – CICERONE – BOEZIO – TELESIO – la
scuola di Matera -- filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo italiano. Matera,
Basilicata -- Dei lincei. Studia a Napoli. Conosce TELESIO di cui diventa
discepolo, e scrive diverse saggi a difesa e chiarimento: “De naturalibus rebus”
(Venezia, Valgrisio). Pubblica il “Trattato dell'ingegno dell'uomo” (Venezia,
Manuzio) in cui riprendeva la teoria di TELESIO di uno “spirito” come principio,
movimento, vita, e intelligenza. A Roma conosce CAMPANELLA (si veda) e GALILEI
(si veda) e pubblica “Del bever caldo costumato dagl’antichi romani” (Venezia,
Ciotti) in cui riprende diverse idee già trattate in precedenza riguardo allo
spirito e ai consigli per la sua conservazione. Altri saggi: “Digestum vetus, seu Pandectarum iuris civilis:
commentarijs Accursii praecipua autem philosophicae illustrates cum pandectis
florentini” (Venezia, Franceschi); “Novarum
positionum in rethoricis dialecticis ethicis iure civili iure pontificio
physicis triduo habitae” (Venezia, Sambeni).
“De
ratione recte philosophandi et de natura ignis et caloris” (Roma, Mascardo). Treccani Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di filosofia, Roma. la dialettica di Telesio -- Campanella --
Gailei -- contro CICERONE (si veda) – contro BOEZIO (si veda) – LIZIO -- vitium
itium dialecticum, point Aristoteles. PRO POSITIONES DIALECTICA FACVLTATE. I Dialectices artis magistros
primos requiramus. Non Aristotelem
profecto fuisse cenfendum est. Sed multò antea, quun plurimos ex stitiffe, mania
i testantibus. Sed ne referas ad tam antiquos: neges etiam, Pythagora eos fuisse
logicos quod tamen falsumn, inde deprehenditur, cum mathematicis artibus; quae sine
logice tractari non possant. Itta accuratem sstuduerint Zeno tamen Eleates
[Velia, velino], ex Platone et Laertio, inventor efficitur quod et ad Parmenidem
nostrum I Dehip. Et Plar. plac.li. gularis
fuit, non infophifticis de arte ipla contentionibus, sed in explicatione historiarum,
incaricorum, Lucanum Galenus extendit. Clinomachus Thurius; noster coterraneus primus
deaxio DIALECTICIS IN METAPHORAM enumerar Aristoteles intervitia dialectica. Grammaticum
est et grammaticae syntaxeos vitium
festum est; uel cum Platone Prometheum, velim ci deorum interpretem
existimabimus, quem in sacris litteris noeum docti existimant; vel cum aliquot doctis,
Mofis sacrum illum sacerdotisor natum, et vestitum ex hodiex pressum. Itaque
Logices exercitatio apud hebraeorum liberostin et epoëi natum compositione, inque
aenigmatum enodatione, doctis viris at matis seu enunciatis conscripsit si Laërtio
credimus quod si berum est, principi doctrine huiusci philosopho debeatur; qua odeindecranslarakc
ab Aristotele. In libru “De interpretatione” Non ita que Democritum Dialectices
inventionis dispositioni SIGNARUM ut nec Protagora n elenchorum jutex Platorum
et Peripateticorum sectae manarunt. Dialecticen
igitur, facultatem, seu virtutem bene differendi tenemus, hocest disputandi, disceptandi
ratiocinandi. Quotiesita que ratione utimur, toties dialectico munere diendique
ita Logicen hanc, esse facultatem, omnia disputandi, intelligendique Recte
itaque Aristoteles, omnes IDIOTAS quod ammodo uti Dialectice, confirmauit.
Duplex itaque; quin immo haec, uel utiilius magistra, cólatuitur; cum omnis disciplinae
principium sit experientia, ob item ne patet; principem negare possumus. Quinneque Platonem ipsum cum
Socrate a dialectices perfectae cognitiones secludimus; de cuius schola academico
fungimur. Naturalis ergo logice facultas. Utenim visus et auditus facultas est naturalis,
videndi, au Standis, vel uti prudentia quaeda in communis omnibus artificibus, quicum
differunt, non sua quadam et propria, sed communi dialecticorum facultate differunt.
Si, ut ait Aristoteles, finisa discipline a habetur, quando prac statur quod
attisuiribu s continetur, dialectices finis erit, be a ne differere. Subiecum uerum dialectices ponimus
res omnes. Quod vel Aristotele teste confirinamus. Quid etiam fi. Non ens, subiectum
dialectices ponamus et iudicium. Quas Adrastus Simplicii testimonio, peripateticus
nobilissimus adprobauit, ad aures fuisse Aristotelis. A servatio et inductio dialectice
itaque communis oinnibus rebus. Ratione tra: ut omnino quid libet seu verum seu
falsum quid tractari, ac ratione disputari et explicari possit. Dialectices uerum
partes duas esse tenemus, inventionem, licet, necessarium, verisimile, captiosum
dari potest; non obid enunciate logice partim necessaria, partim verisimilis, partim
capsiofa esse debet. Sed tota necessaria.
“Genus” illud verem esse dicimus, totum partibus essentiale. Unde hominem genus esse Catonis
et Ciceronis. Catonem verum et Ciceronem *speciem* esse hominis. Cum verum satius
putemus; veri et propria sermonis usum aiuris consultis et rei publicae principibus,
quam a scholis in ertium philosophorum petere; melius quae duo individua, vulgò
dicunt et unam speciem n, ili duas species et unumge nus dixisse videri debent.
Sed sideri debunt consultos, non ridebunt
Platonem [ACCADEMIA] ne que Aristotelem [LIZIO], terse comparationes intelligi.
Genus item et speciem
ad locum de toto et partibus rectem ablegamus. Categorias etiani ad inventionem dialecticam sternere
viam, melius est ut concludamus. Paronyma ad coniugatare verti debere aestimamus.
Locum ad numeramus in subiectis et tempus in adiun rum referamus. Animi sensum,
aet intelligentiam, rerum similitudine mer itemque Cicero [CICERONE] e
Quinctilianus. Quam vis itaqueo pusali quod artis huius g enuntiatum scia. Differentiam,
quam Porphyrius declarare ad grediebatur. Vel ad formam et causam vel ad comparatorum
locum et ad inventionem rectius asscriberem. Accidentium nominee e rectius facta adiuncta et rerum
in ctis. Quae verum cum aliquo conferantur, ad speciem opposito: seu oluit Aristoteles.
Quae verum sint in voce, NOTAS ET SIGNA en forum mentis esse: utea, quae scribuntur,
eorum, quae fintin Puoc essensa ila apud
omnes eadem esse, SYMBOLA a et ligris non
s cadem, deprehendamus. Quo sit ut dialectices et grammatices lata differentia
nis mentionem, sed syllogismi genesin et
analysin, tribuster minis et PROPOSITIONIBUS
conclusit et terminavit non enim AD
EXTERNUM SERMONEM dirigi voluit, sed ad internum. “Aliquis homo currit”. “Aliquis
homo non currit”, nullum cum sub-alternae dicuntur. Multum iustiore ratione collantur.
Quiai: tem esse tenemus. Ex causis itaque necessariis futurum necessarium, ex liberis
liberum, ex physicis physicum esse cue syllogismis maximem necessariam putamus.
Quod et Graeci Aristotelis interpretes profitentur, inventionem illam Theophrasti
et Eudemi propriam ess. Cui et BOETHIUS desu
omulta addidisse etiam, testatur; sed utrum o m átio absolute vera; sit etiam
necessaria, cami et si IN PARTIBUS SERMO consistere. Rectem igitur in analyticis
nullam Aristoteles interpretatio sunt ambae affirmantes vel ambae negantes. Quales
sunt antecedentes causae, talem eventus veritamur. Nos logicen compositorum
enunciatorum et per se, et in 6. Nia rectem, alias dictum. Datur igitur enuntiatum,
compositum, eeu CONIUNCTUM, praeter simplex. Quod multas sententias coniunctas habet.
Cuius et sunt suae species, ar COPULTATUM difiunctum, con nexum et elatum et
cetera. Accamen in DISIUNCTIONE illud tenemus, ut
omnis disi un paratim nulla sit necessitasi. Nam difiunctionis necessitate penderee
partium non ucie ritate, sed dissentione, palam est contineatur, cum illatota sit
animi, eadémque apud omnes gea tes. Haectota SYMBOLICA in voce. Logice ita que sine
SYMBOLIS INTERPRETATIONIS potest in ani tradictionis nomen meretur. “Homo albus
est.” “Homo non albus est”, tantundem. “Omnis homo albus est”, s vidam homo albus et contra. Quae
praenotionem duplicem esse dicimus, verborum alteram, dum concluderetur ab
antecedente, Quid si hoc idein dixerit Aristoteles. Rerum autem praecognitiones,
et anticipationes genera sit. Definitiones et partitiones este principia omnium
ferèar, tium, uel in desumptas quasdam maximas. Principia uerum non tantum priùs nota, sed esse notiora,
ait, Aristoteles; immo verò ita clara, ut contraria quoque in de rerum verum
alteram. Et verborum illam dicimus,
quae in omnibus definitionis, requiritur. Rerum verum, quae debet esse in
definitione ad explicanberent. Immo eandem de terminis mediis et extremis ut consta hil explicaret. Itaque syllogismi
maior et minor hanc praenotionen habes et universales esse, unde speciales illis
comparatae ptotimus concipiantur et concludantur. At verum id praecipuè in INFORMATIONE artis integra cue
rifli mum esse putamus, ut a generalibus ad specialia progresia unde modi per ee
emanant. Et primum illum tenemus,
quando attributum est in essen et definitis totius et partium. Demonstrationis
et demonstratii omnisque Explicationis et eiuste rminorum vocabuli somnino dum
quod definitur in distributione ad explieta dum quod distribuitur, in demonstratione
et qua vis expositione ad demonstrandum et ad exponendum quod quaeritur. Alioquini
ret essere sis SIGNIFICATAS. Conclusio ergo, et problema, quod concluderetur, hang
duplicem haberet praecognitionem Non: acciperet aucem siant manifestissima. Cum
autem quae in scientia sunt, per se finto portet, sit, cum quid alicui aderit
vel simpliciter vel quod amodoerit: cia tiasubie et i, et ineius
definitione ad hibetur. mus definitioni: quod uel exempla Aristotelem .palàm faciunt.
Accedit QUARTUS MODU. Per se in est quòd causa sit certa et non fortuita
generalis ergo hic modus per se, quotiessci licet causa e de suis effectibus dicuntur.
PROPRIORUM ACCIDENTIUM eritne ullus. Tertius hic enim modus affections et
accidentia cognata quod ammovo sensu, Aristotelis contextum declaratum iri.
Omnes itaque modos per se ab Aristotelem retinerit enemus nec ab iici duos
reliquos. Unde fit, ut consequentes artes antecedentibus subalternae sint, ubi aliquid
docent, superiorum decretis explitionis uel inueniendae, uel iudicandae. Omnem
disciplinam fieri autper demonstrationem, aut firmauit. Ac per definitionem et distributionem,
accuratiorem sci entiam confici, quam per demonstrationem, tenemus. Quare non sequitur, Scio ex causa, propter quam res est
quonia milius est causa. Nec aliter habere potest. ergo, Scio steriorum, e Platone
ferem sumpta es e qui v is animaduerterepoterit. Plato enim ad instituendas artes,
definitionem et distributionem proposuit. Syllogistica e demonstrationis, qualem
Aristoteles cominentus est, non meminit. Tunc enimartes bene disputare, docere,
demonstrare po secundus modus per se est primo contrarius. Per se est quod
est in essentia et definitione attribute qui inodus distribution generis in species,
aut differentias conuenit, ut pri 17 cabile. Ergo sic dialectice omnes sub-alternaes
intin genererat: per definitionem, concedimus quod et Aristoteles rectem con
per syllogisticam demonstrationem. De definitione uerò tam multa, quae differuntur
in lib. Po do complectitur. At quo pacto ex Aristotelis littera Ex diffentaneo.
Ideoque no terit Son3 terit quis, cum logicam inventioneimn ipsarum
natura, qua litateque tota, ex causis, effectis, subiectis, adiunctis, ceterisque.
Quirendam, recte fortassis affirmet Aristototele, tamen illud falsum, quod ad percipiendam
hanc disciplinam de moribus praecepit, ut paedia in auditore praecedat. Quod autem ne adolescentes quidem
percipiendis moribus esse idoneos voluit Aristoteles. Falso. Certem pueros quos
damui dimus divinitate quad ammen ti, confirmarunt. Quae non protinus quid
rectum, prauúinque sit; discar. Quincum Chrysippo putarunt et ante trienniumil
tis praeditos, ut in quibusdam, multorum virorum iudicia ex E los 1 argumentis per
videnda. Cum dispositionem, in eadem vel uel syllogistico
conclusionis iudicio a e vortino enunciati tandem ordinanda, ab ini stimanda et
iudicanda, universatio per media ad extrema exercuerit. Et hoc pacto NOSTER
TELESIUS est progressus in sua philosophia conscribenda. Antonio Persio. Persio. Keywords: implicature, dialecticis, Telesio,
Campanella, spirito come vita, animo come aria, Cicerone, Catone, Boezio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Persio,” per
il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria. Persio.
Luigi Speranza -- Grice e Pessina: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Napoli
-- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli,
Campania. Studia a Napoli sotto GALLUPPI. Cura la sua storia della filosofia. Di
idee liberali, prende parte ai moti. Pubblica un saggio sulla costituzione italiana
che gli procura la persecuzione della polizia e il carcere. Recluso nell’isola
di S. Stefano, sposa la figlia di Settembrini. Fugge dal regno, insegna a Bologna.
Fonda “Il Filangieri”. Dei Lincei. Muore
nella suo palazzo in via del Museo, strada che prese in seguito il suo nome: Anche
il palazzo dove visse. Aula a lui intitolata.
A lui è dedicato un busto alla passeggiata del Pincio. Saggi “Che cosa e
il diritto private?” (Napoli: Poligrafico); “Procedura del diritto (Napoli, Jovene);
“Il naturale e il giuridico – alla regia di Napoli” (Napoli, Accademia Reale
delle Scienze); Il piu privati dei diritti (Napoli, Marghieri, Diritto e
privacita (Napoli, Marghieri); Il privato del diritto (Napoli, Marghieri); Che
e private nel diritto privato? (Napoli: Marghieri); “Il diritto privato” (Napoli:
Priore); “Storia della filosofia” (Milano: Silvestri); Treccani Dizionario
biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia. La scuola italica venne fondata da Pitagora che crea
una filosofia matematica a CROTONE e TARANTO. L’anima, secondo Pitagora, è un numero
che si muove. L'armonia dell'anima, o la sua rassomiglianza col divino
costituisce la virtù; e la giustizia è l'equa retribuzione. La scuola di VELIA
svolge pienamente l'idealismo dei Crotonesi; e la varietà, non negata da
Pitagora, esclusivamente affermata dalla scuola gionica, venne assorbita
dell'unità da Senofane, trascurata interamente da Parmenide – VELINO (si veda)
--, e negata da Zenone – VELIA (si veda) --, il velino. Empedocle di GIRGENTI (si
veda) ed Anassagora seguirono l'eclettismo, ma il primo fu più proclive alla
setta dei crotonesi, ed il secondo alla scuola gionica. La scessi ha a fautori
i sofisti I quali sorgeano da tutte le scuole. GORGIA di di Lontino o LIONZO
(si veda), discepolo di Empedocle di GIRGENTI (si veda), è sofista, e tale era
benanche Protagora, discepolo di Democrito. Ma questi non pensano che a sedurre
il popolo colle loro vane disputazioni e colla loro effeminata eloquenza. Nulla
possiamo dire della filosofia appo i romani perocchè essi, rivolgendo il
pensiero alle cose pubbliche, non poteano ri-concentrarsi nella severa
meditazione filosofica. Epperò, anche quando la filosofia del dritto e la giurisprudenza
fiorirono del romano impero, i giureconsulti non fanno che freddamente seguire
ora la filosofia dell’orto o del portico. E se alcuno ci obbiettasse le opere
di CICERONE, di Senеса, o di PLINIO, risponderemmo che questi filosofi saranno
sempre degni di venerazione de’ filosofi, ma che non fondarono alcun sistema NUOVO.
Neander, origine e sviluppamento de’ principali sistemi gnostici. Walsch de
gnosticorum systematis fonte Lewald de doctrina gnosticorum. Olearii, De philos.
eclectica. stitui. D. Italia. Anco in Italia ebbe il sensualismo
degl’adetti. Ma in alcuni è originale, in altri una imitazione di Locke, di
Gassendi, e di Condillac. Fra’primi possiamo annoverare ZANOLLI, MURATORI,
BIANCHI, e VERRI. Il primo di questi,
7 2 be spazio è la relazione di due 'corpi di stanti l'uno dall'altro, che il
tempo è la successione o consistenza per gli es seri creati, e che la felicità
rattrovasi la scessi, tenta formare i principii più stabili dell'umana
credenza, assegna la sola probabilità alle idee morali, e riconosce che i sensi
ci fanno aperti i fenomeni esteroi ed il loro ordine successivo, ma non la
natura della causa. Kirwan sostenne che non possono aver luogo gl’esseri senza
una causa, che lo nello stato di piacere assoluto non-misto a veruna pena. Da
ultimo, Young, dettando un trattato sulla forza della testimonianza, la
rinchiuse ne’ confini della probabilità, e sostenne che essa è capace di un
convincimento superiore ad ogni altra esperienza, tentando la spiegazione di
molti fenomeni intellettuali colla dottrina sulla forza attrattiva delle idee,
dimostra che tutte le umane azioni si rifondono in semplici probabilità. MURATORI,
che è il solo curato fra’ filosofi ed il solo filosofo fra’ curati, indagando
le forze dell'umano intendimento, confuta la scessi mediante una morale
poggiata su’ principii della ragione e dell'amor proprio – cf. Grice,
SELF-LOVE, OTHER-LOVE. BIANCHI fa dipendere il piacere dalla cessazione del
dolore.VERRI vuole che si fosse a’ suoi tempi effettuata la dottrina del
sentimento o del senso morale. Fra’ secondi, BALDINOTTI nega che si puo discoprire
le essenze delle cose co’sensi o colla riflessione ed ammise il principio che
ogni nostra cognizione debb'esser di fatto. Lo studio di Locke, dopo l'opera di
BALDINOTTI attira in Italia molti proseliti, fra'quali possiam nominare a
cagion di onore SARTI, PAVESI, TETTONI, CAPOCASALE, e BRIGANTI. Iovano molti filosofi,
arversi per fede a’principii del Lockianismo, cercarono bandirlo; egli vi
avea radicato i suoi profondi germi che si estesero insino all’aurora del
secolo presente. Fra suoi seguaci si distinsero SOAVE, TOMASO, e VALDASTRI.
SOAVE, seguendo il sistema di Locke sulle idee acquisite, riguarda l'idea come
l'immagine degl’obbietti e fonda la certezza sulle tre evidenze di Condillac. VALDASTRI
fa derivare dalla sensibilità tutte le nostre idee, trasse il criterio del vero
dal senso intimo e sostenne nulla esservi di vero in meta-fisica se non fondato
sulla economia del nostro essere. An co Rezzonico, Corniani e Prandi danno
opera alla propagazione del condillachismo. Ma gl’italiani, benchè sensualisti,
non si nabissano nelle funeste conseguenze del materialismo francese, perocchè
risenteno ancora l'influenza della vera e sapa filosofia, la quale mai è, che si
scompagni dalle verità che crediamo DIVINA. C. Italia. Giovenale, Magneni,
Rufini, e Miceli segueno l'idealismo ed hanno a scopo comune quello di
determinare l'ideale principio costitutivo delle cose. Ma Pino da a luce la sua
proto-logia che, quantunque tenuta in dispregio da’ sensualisti, pure non
lascia di onorare l'autore e la patria di lui. Questo saggio venne diretto ad
indagare il primo della verità de' principii e delle scienze, l'uno che in se
racchiude il principio delle scienze tutte. Egli con prove ingegnose e con
sottili ragionamenti dimostra che le parole non ànno il primo senso nelle umane
convenzioni, che esiste un primo, causa ed origine dell'umana intelligenza, che
il primo principio della ragione è divino. Law e Hutton sono i suoi più
forti sostenitori – Law negando ogni realtà obbiettiva alle idee di spazio e di
tempo; Hutton inclinando alle opinioni del celebre Berkeley. è strato all'uomo,
che le parole non sono [Borovshi, Notizia sulla vita e sul carattere di Kant; Jachman,
Lettere ad un amico in torno Kant - Wasianki, Emmanuele Kant negli ultimi anni della
sua vita.- Biografia di Emmanuele Kant. - Rink, Tratti della vita di Kant.
Bouterweck, Em. Kant. Rimembranze. Grohman, Alla memoria di Kant. Cousin,
Lezioni sulla filosofia di Kant -- versione italiana di F. Triochera con note
del BENEMERITO [B.] Galluppi -- Kant, Idee sulla maniera di apprezzare le forze
vive Principiorum metaphysicorum nova dilucidatio. Considerazioni
sull'ottimismo. Sogni di un uomo che vede gli spiriti] SEGNI DELL’IDEE, nè le
idee segni delle parole, che il primo pensiero dell'uomo è il mistero nel senso
dell'uno o primo, ovvero del divino; che l'analisi è la distinzione della
pluralità costituita dall'uno; e da ultimo che non già la dimostrazione
matematica, sibbene la scienza del primo è la ragione primitiva della scienza. Dietro
l'impulso di Premoli, dietro gli sforzi di qualche altra e università che cerca
difenderlo, il misticismo ha in Italia parecchi coltivatori, fra'quali si distinsero
FERRARI e LETI. FERRARI fa derivare la filosofia dalla rivelazione del divino, dalla
esperienza, e dalla ragione, ed assevera che il filosofo dove seguir laprima in
preferenza dell’altre. LETI, attenendosi ad un principio rivelato o positivo,
tenta fondare un sistema cosmologico sul “Genesi.” Epperò, secondo lui, tutte
le cose han principio dal divino, lapima si congiunge con uno spirito materiale
costituito come la vera forma delle cose materiali, e contenente la luce, l'acqua,
la terra, che sono volatili o fissi, e formano gl’altr’obbietti. Ma la
riforma conoscendo la propria fallacia ed illusione, De ti intese della
massime a divinità determinare derivare di S.,edi le idee Tomuniaso gli Secco
che immediatamente attribu, segue facendo da, le però il divino [Rousseau,
Discorso sulla quistione se il risorgimento delle scienze e delle arti hanno
contribuito a depurare i costumi. Discorso sull'origine e su’ fondamenti della
ineguaglianza tra gl’uomini Lettere scritte dalla montagna; Del contratto
sociale o principii del dritto Politico; Emilio o dell’educazione; Jacobi, L'idealismo
ed il realismo Lettera a Fichte Alcune lettere contro Schelling Delle cose
divine, Romanzi filosofici - Introduzione alla filosofia. Koeppen Della
rivelazione considerata per rispetto alla filosofia di Kant e di Fichte
Trattati sull'arte di vivere; La dottrina di Schelling Sul fine della filosofia.
Guida per la logica. Saggio del Diritto naturale. Esposizione della natura della
filosofia. Filosofia del Cristianesimo. Politica secondo i principii dell’Accademia.
Teoria del Dritto secondo i principii di l’Accademia. Lettere ad un amico su'] C
C filosofica sperimentale preoccupa gli spiriti per lo studio degl’obbietti
sensibili; ed è questa appunto la ragione per cui le speculazioni del
misticismo non ven nero accolte e ridotte ad una dottrina generale. tori.
L'eclettismo ha de’ forti e valenti sostenitori. Ceva confuta Gassendi e
Cartesio; la celebre Agnesi, prevenendo il Cousin, dice non doversi aderire a
setta alcuna, ma scegliere tra le sentenze dei filosofi quelle che rispondono
alla esperienza ed alla ragione. Corsini insegna non doversi seguitare ne i
Cartesiani, nè il Lizio, ma le migliori opinioni di tutte le sette con una
specie d’eclettismo. S. 7. venne sostenuto da molti 'Glo [L'Empirismo –
Razionalismo] sofi, tra' quali si distinsero Luini, Gorini, Scarella, Ansaldi,Vico
Stellini, e Genovesi. LUINI si oppone all'armonia prestabilita di Leibnitz
accostandosi al pensiero della forma sostanziale [viene le categorie di
Kant, ammettendo nello spirito certe idee prime, e discer de la percezione
della convenienza o discrepanza di due idee dall'assenso dissenso a tale
percezione. Secondo lui, la mente umana non può comprendere come convenienti
due cose che re dell'anima, distingue nell'anima la sostanza 'le potenze i
modi, afferma che nel percepire un oggetto noi ci distinguiamo dall'atto della
percezione, che le potenze s'argomentano col ragionamento, che le forze sono
una certa condizionata esigenza delle sostanze, che colla filosofia è dato di
scoprire nell'anima una certa sovra-esistenza, e che il razionale non debbe
superare il fatto. Gorini, elevando la dottrina dell'associazione, considera
l'idea come semplice rappresentazione dell'oggetto, e sostenne il principio
logico che la cognizione intuitiva è composta di due idee e la dimostrativa di
tre. Scarella concilia il principio di contraddizione e quello della ragion
sufficiente, prepugnano fra loro, il principio della cognizione stà nel predicato
che chiaramente si vede convenire o disconvenire dal soggetto. Infine egli
distingue gl’errori secondo le facoltà dello spirito, divide la psicologia in
fenomenale e PSICOLOGIA RAZIONALE, classifica le facoltà, spiega i sogni con
certe continue commozioni cerebrali, distinguel'anima umana da quella de’ bruti,
indica due specie d'appetito, l'una sensitiva, l'altra razionale; ed ammette
l'anticipazione in noi di qualche cosa innata, che dicesi idea. Ansaldi
dimostra che il portico non è atto a diminuire i momenti di infelicità, confuta
l'uomo macchina di Mettrie, il principio dell'associazione di Hartley, distingue
il sentimento dalla sensazione; e provando che è impossibile dedurre il fisico
dal morale, che le facoltà dell'anima sono indipendenti da’principii dell
organismo, fonda il principio morale sopra una virtù costitutiva dell'ordine
invariabile delle cose, lontanandosi dall’Utcheson e dalla dottrina dell’amor
proprio – Grice: SELF-LOVE, OTHER-LOVE. Gerdil divide l’idee in idee di modi, di
sostanze, e di relazioni, pone il criterio del vero nell’osservazione e nella
esperienza regolate dalla ragione, dichiara l'idea dell'ente un idea di
formazione, pone il criterio morale in un naturale criterio diapprovazione, che
indipendentemente dalla considerazione e del proprio utile determina il
giudizio o dettame pratico in virtù di una certa e conosciuta legge di
convenienza – il principio di co-operazione -- di che l'uomo si compiace per
natura; fa consistere l'ordine nel rapporto comune fra molti oggetti, deduce
l'immaterialità dell'anima dalla diversità tra la sostanza pensante e qualunque
sostanza corporea, dall'impossibilità che la materia contenga la prima
origine del moto di sostanza e di modo; deduce l'esistenza del divino dalla
necessaria esistenza di qualchecosa ab eterno; pone per principio che le regole
della morale per condurre al buon fine dove trarsi dalla natura umana, e colloca
il fine o la e dalle nozioni. Egli si eleva ad un sistema empirico razionale
fondato sulla storia e sulla ragione, e getta le fondamenti della scienza dell'umanità.
Il suo metodo è ricavato dalla psicologia, dalla natura della scienza, e dal la
geometria, ed in esso la facoltà inventrice, o la facoltà certa del sapere è
preposta a quella dell'ordinare o comporre. Esso è l'analisi geometrica ben
diversa da quella di Condillac. VICO venne a ridurre la filologia ad una vera
forma di scienza e da ritrarre dalla mitolo [Il nostro celebre
concittadino VICO, conosciuto più a’ tempi nostri che a'suoi, più dagli stranieri
che dalla sua patria, scrive la scienza nuova, monumento di gloria italiana, in
cui egli avea indagato i principii filosofici della storia, precedendo di un
secolo le teorie di Hegel, e Cousin . per а gia starei felicità nel bene sommo,
o nell'amore divino. dire una vera storia; ei pose il meta-fisica,
che in sostanza è una vera teo-logia, si è di stabilire un vero appoggiato al
senso comune ed all'ordine eterno delle cose, qual è il divino. Da questo
priocipio VICO deduce che tutte le scienze emanano dal divino, rimangono
comude 3 una na velle; che e criterio del vero: nel senso cerca surrogare
il principio dell'autorità universale a quello della ragione individuale.
Questo senso comune di Vico è un giudizio senz’alcuna riflessione, comunemente
sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta nazione, o da tutto il
genere umano. Secondo VICO, il vero è diverso dal CERTO, inquantocchè quello è
riposto nella conformità della mente coll'ordine delle cose, e questo nella
coscienza sicura dal dubbio, quello fondasi sulla ragione, e questo
sull'autorità. La meta-fisica è quella che stabilisce l'ente e il vero, ed è
legata necessariamente alla religione romana cattolica. Lo scopo della sua, nel
divino, e tornano al divino solo; che il divino è l'infinito posse, nosse,
velle > ; corpo, contiene una virtù infinita di estensione che va
all'infinito, e che dipende dallo sforzo dell'universo; e che il conoscere
chiaro in meta-fisica è vizio, cosicchè approfitta in meta-fisica colui che si è
perduto nella meditazione di questa scienza. Nella sua Psicologia VICO
distingue la sostanza intelligente dalla corporea. Indi sostiene che quella è
l'anima ed ha la sua sede nel cuore, che
in essa esistono le facoltà della memoria, della fantasia, dell'umano arbitrio;
che la mente umana l'uomo è il posse, posse, nito, che tende all'infinito; che
l’Ea te è Dio, e le creature esistono per partecipazione; che la causa unica è
quella che per produrre l'effetto non abbi sogna d'altra; che l'essenza
consiste ia una indefinita virtù; che l'anima è diversa dal corpo e dalla
materia;che il 4 > 2 pe'pervi, che si danno gl’universali, o l’idee come forme
delle cose che queste sono create dal divino, e che l'anima distingue l'uomo
dalle bestie. Il non intende [VICO considera l'uomo come ente fioito
procedente dal divino, superiore agl’altri animeli per la ragione, e in cui
distinguesi la natura innocente dalla corrotta. L’uomo è naturalmente
socievole, onde in lui un LINGUAGGIO. La sua vita propria è quella che è
consentanea alla natura. A lui appartengono l'umanità o l'altrui
commiserazione, il desiderio dell'utile, il carattere d'una comune cognazione di
natura, l'istinto alla fede, il pudore, e infine la brama dell'onore. L'uomo
insomma è un essere costituito d'intelletto e di volontà, corrotto in entrambi
dagl’errori e dalle passioni, ma capace dello sforzo della mente al vero che
come equo bene è il giusto, conformità della mente all'ordine è l'onesto. La
giustizia, secondo VICO è la virtù universale. La virtù è la stessa ragione, e
distinguesi in prudenza, come, temperanza e fortezza; e causa della
società è l'onestà. Noi abbiamo verso il divino de’ doveri a soddisfare col
culto, senza onestà non può darsi società civile, la giustizia dev'essere
universale o architettonica, perchè uno è il divino. VICO nella sua Scienza
nuova parte dall'idea o cognizione del divino che illumina gl’uomini e tutto
dispone co'suoi ordini prestabiliti. A questa idea principale si rannodano le
seguenti. Questo mondo è diretto dalla provvidenza divina. Questo mondo civile
fatto dagl’uomini non è molto antico. In esso tutte le nazioni convengono sulla
religione, sul matrimonio solenne, e sulla sepoltura. Su questi surgeno le
nazioni più barbare. Tutte le nazioni percorrono III età: I età degli dei –
GIOVE, MARTE, QUIRINO --, II età degl’eroi – ENEA, ASCANIO, ROMOLO --, III età
degl’uomini – BRUTO, CICERONE, OTTAVIANO; III diverse lingue: I geroglifica, II
simbolica, III volgare – il latino. Le nazioni furo prima di natura cruda, indi
severa, quin di benigna, e poscia dilicala; la forma di governo è o teo-cratica
o è delle repubbliche democratiche o aristocratiche, o finalmente è quella
delle monarchie; formate le città nasco BO.le tras-migrazioni de’ popoli, ed il
dritto naturale delle genti. Cresciute le nazioni, l'equità civile rafforza il
dritto naturale. Tutto ciò dura finchè non sopravvengono delle grandi crisi per
mutare il mondo civile. Queste vicissitudini umane formano il corso e il
ricorso della nazione italiana nel quale si ravvisano III età, degli dei –
GIOVE, MARTE, QUIRINO – II degl’eroi – ENEA, ASCANAIO – ROMOLO; III degl’uomini
– BRUTO, GIULIO CESARE, OTTAVIANO; tre specie di natura: fantastica, eroica, e
intelligente; tre specie di costumi: religiosi, colerici, e officiosi; tre
specie di dritto naturale: divino, eroico, umano; tre specie di governo: I teocratico,
II aristocratico o III democratico, e monarchici; tre specie di lingue, I mentale,
II eroica e III di parlari articolati; tre specie di caratteri, geroglificii,
eroici e volgari, aleo VICO idea gli dini lesi doè nesto nė joni atri pri
-in SUI are ; elit 10 specie di giurisprudenza, divina, eroica, ed umana; tre
specie di autorità: divina, eroica ed umana; tre specie di giudizi: divini,
eroici, umani; tre specie di tempi: religiosi, eroici, e civili. Tutte queste
cose hanno apco un ricorso. Il corso e ricorso è fondato sul fatto. La storia
ideale non è propria de Romani, tre Tor oé Iri. del co ed ute ma di
tutto il mondo. La Scienza nuova si offre sotto gli aspetti di Te-ologia ragionata,
di filosofia, di storia delle umane idee, di critica filosofica, di storia
ideale eterna, di sistema del dritto. naturale e delle geộti, di scienza de’ principii
di storia universale. Questo grande uomo ha delle lodi e delle accuse, ma
sarebbe lungo e difficile il giudicarle per vedere se le une o le altre preponderano.
Epperò altro non facciamo che rimapere stupiti come intempi tantomeno
civilizzati de' nostri che si addimandano civilissimi l’Italia abbia dato alla
luce un ingegno sì 'straordinario e maraviglioso. La filosofia del VICO rimane
ignota per lungo tempo all'Europa. Ma ha anco ra de continuatori fra’ quali
vennero ad altissima rinomanza STELLINI e GENOVESI. STELLINI analizza le facoltà
umane, affermando che il bene o l'ottimo stato dell'anima dipende dalla
proporzione o dall'equilibrio di tutte, e fecede rivare la virtù
dall'equilibrio tra le facoltà e le affezioni umane. Nella sua opera sull'originee
su’ progressi de’costumi dimostra esservi tre epoche della natura umana, cioè
quella de’ sensi che servono all'animo, quella dell'animo che serve a’sensi, e quella
del mutuo commercio tra l'anima e i sensi. STELLINI integra, per dir così, la
filosofia vichiana, in quantocchè Vico cerca nella storia la morale delle
nazioni con quella degl’individui, e STELLINI fa la storia de costumi degl’individui
colla morale delle nazioni, comprendendo l'assoluta necessità di dedurre i
principii morali dalla natura delle cose che si offre spontanea alla nostra
contemplazione, dando una unità sistematica alla scienza della morale, e
riducendo la dottrina della virtù alla sola grandezza. FILANGIERI, PAGANO, ed
IEROCADES proseguino quasi in silenzio la via luminosamente segnata da VICO e
STELLINI, ma colui che si fa chiaro, e fra' Vichisti e tra gli’empirici razionali,
è GENOVESI, nostro concittadino. Egli nella sua meta-fisica sostiene che non
possiamo avere idee distinte intorno alla sostanza, che l'essenza consiste in
varie proprietà, e che si distingue in reale, nozionale e nominale. L'anima
secondo lui, è lo stesso subbietto pensante ed intelligente, ed è dotata
d'intelletto e di ragione della percezione, del giudizio e del raziocinio; per
ben filosofare è mestiere che si faccia uso di quelle idee che possiamo avere, che
la verità sia chiara ed evidente, mai il filosofo non il principio
dell’autorità e dell'arte critica, cità della mente umana e della estensione
della conoscenza. Secondo lui, la > 1 1 debbe scostarsi dalle dimostrazioni
stabilite se non quándo ci si presentano dell’obbiezioni. Egli dichiara
imperfetta la scienza teo-sofica e conchiude che ascendiamo al Verbo per via
della ragione. Segue il principio che rion sidapno nemmeno l’idee intellettuali
senza; un moto corrispondente nel cervello> ammette il principio del vero e
del falso il cui criterio è l'evidenza intelligibile sensuale e storica >
> . della capa ra umana morale è mossa dal conoscere la
natu in che trovansi due forze, l'una concentrica e l'altra diffusiva che
entrambe dalla morale devono esser di rette alla felicità. Scopo della morale è
quello di regolare e non distruggere l'uomo. La legge naturale è risposta de
dae precetti di attribuire i proprii diritti al divino a te ed agli altri, e di
fare tutto che conviene alla felicità del genere umano. Egli ripone la legge
morale nella ragione e distingue questa come facoltà calcolatrice dalla regola
che la governa e che consiste nel tenore dell'essenze e dei rapporti essenziali
delle cose ordinate, e per la quale v’ba un'obbligazione perfetta che è della
forza e della giustizia, ed un obbligazione imperfetta che è la legge
dell'umanità. Egli dimostra ancora che l'utile è il più bello indizio di una
legge generale che punisca o premii talune azioni, e che tutti i doveri si
riducono si a rispettare le palu rali proprietà di ciascuno che ad acquistar le
proprietà, perchè non s'invadano le proprietà di coloro i quali sono al
medesimo piano dell'universo con noi. GENOVESI non è un filosofo originale, ma
è originale pel suo metodo, per la sua chiarezza, per la sua critica; e se
talvolta si desidera in lui maggior ordine, maggior precisione, ciò nasce
appunto dalla difficoltà di riunire in un sol corpo l'intera filosofia
italiana. S all'immaginazione- De 2 Antropologia di Gorini-Luini, Meditazione
Ansaldi, Riflessioni sui mezzi di perfezionare la filosofia morale. Saggio in torno
traditione principiorum legisnaturalis- Elementa Logicae, Psychologiae, ac
Theologiae naturalis, auctore Scarella Gerd il., Anti Emilio o Riflessioni
sulla teoria e la pratica dell'educazione contro Rousseau. Piano degli Studii Logicae
Institutiones Storia delle sette de’ filosofi. Principii della morale cristiana.
Origine del senso morale. Memoria dell'ordine del divino e della immaterialità
delle nature intelligenti. Philosophicae Institutiones quibus Ethica seu
Philosophia practica continetur VICO: De nostri temporis studiorum ratione-
Dell'esistenza De antiquissima italorum sapientia. De uno uni versi juris
principio et fine uno liber unus. De Constantia jurisprudentis liberalter-
Principii di scienza nuova STELLINI: Ethices Opera omnia PAGANO, Saggi politici
Discorso sull'origine e natura della poesia. GENOVESI: Elementa metaphysicae. Elementorum
artis logico criticae. La Logica. Istituzioni di meta-fisica pe’ principianti. Diceosina
o sia Filosofia del giusto e dell'onesto. Per dar compimento alla esposizione
dell'attuale filosofia italiana e insieme allo svolgimento storico de'si stemi
filosofici non rimane che esporre lo stato della filosofia in Italia al secolo
presente. I filosofi italiani oggdì si dividono nelle V classi dei sensualisti,
degl’idealisti, de’ mistici, degl’eclettici e degl’empiristi razionalisti. La
tendenza della filosofia italiana al dì d'oggi è l'Empirismo Razionalismo
benchè si ravvisi qualche avanzo di sensismo, e som qualche
imitazione dell'idealismo alemanno non che del misticismo francese e del
eclettismo scozzese. È il chiarissimo Barone GALLUPI che, colla potenza della
sua dialettica, e colla severità del metodo analitico, rappresenta
eminentememente la filosofia in Italia, movendo guerra sì all'idealismo di Kant
che al sensualismo del Condillac. Noi per seguire l'ordine ideo-logico dei
diversi sistemi di filosofia esporremo pri mamente le dottrine degl'empirici.
Po scia verremo agl’idealisti, a’ mistici, ed agl’eclettici; e da ultimo agl’empiristi-Razionalisti.
POLI: Supplimenti al Manuale della Storia della filosofia di Tenneman. Gioberti:
Del Primato morale e civile degl'Italiani. I capi del sensualismo italiano nel
secolo presente sono Gioia, Romagnosi, e Lallebasque. GIOIA (si veda), fondando
la sua filosofia sul la ricerca de’fatti, non fa che mirare aduna scienza
popolare. Procedendo in tal modo egli trova tre facoltà fondamentali: la
sensazione, l'attenzione ed il raziocinio. Indaga l'origine delle sensazioni e
dell'istinto, ammise l’organizzazione e gli stimoli esterni come cause
dell'istinto, e spiega l'anomalia delle sensazioni, e le loro leggi, por gendo
un cenno storico sulle norme materiali che furono falsamente riguar date come
norme misuratrici della in telligenza. Riguardo a'prodotti intellet tuali e
morali, egli inclinò ad una i deologia fisiologica, che egli conchiude con una
teoria del piaceree del dolore, in cui considera il dolore come n o n sempre
proveniente da lesioni organiche, e il piacere come non sempre effetto
della cessazione del dolore, e stabilisce l'azione reale del piacere e del
dolore, e le loro sorgenti come inoti maggiori o minori del moto ordinario
delle fi bre. Poscia dimostra che essi influisco no sulla felicità, sulle
facoltà intellet tuali,sulle affezioni sociali, e sulle passioni ; e
rettificando le nozioni false sulla vita, mostra che le sensazioni u- nite alla
forza intellettuale cisvelano l'e sistenza del me e del fuor dime epro ducono
certe operazioni diverse dalle semplici sensazioni ; cpperò distingue la
sensazione dalla idea e dal giudizio. Nella filosofia morale, GIOIA dove
soggiacerealleconseguenzedelsuo si stema empirico ; ed infatti il suo prin
cipio è che la morale è la scienza della felicità, riponendo egli la felicità
dell'a vanzo delle sensazioni gradevoli su’mali; e che la virtù è una somma di
atti uti li disinteressati. Il sistema di GIOIA è erroneo e difettoso, perchè
tende a generalizzare il sensualismo, favorisce il sistema del piacere,
approssima l'ideologia alla fisica, analizza superficialmente ed inesattamente
i fenomeni psicologici, e deduce da un fatto incerto una teori ca o un
principio. Ma la comunicazio ne della scienza al popolo, una filoso fia
pratica e sociale, una mente vasta e perspieace, un giudizio avvalorato dalla
induzione,una ammirabile chiarezza d'idee e di ragionamenti;ed una scelta
erudizione, sono le doti che se fossero andate disgiun
tedanonpochierroriavrebbero formato di Gioia un pensatore non mediocre. ROMAGNOSI
(si veda) segue, nel suo metodo, ne'suoi principii, e nelle suededuzioni, l'empirismo,
ma un'empirismo psicologico, da lui manifestato, cercando il principio del dritto
nale nelle relazioni appoggiate Pe all'es senza ed alle reali connessioni delle
co se, dimostrando che l'arte di governar la società deve riuscire l'ordine
morale di fatto perfezionato, e che nella spo sizione dell'ordine teoretico e
pratico debbe aver luogo la storia della natura umana e delle sue relazioni 3
nendosi la ricerca de'fenomeni e propo psicolo gici sperimentali, lasciando le
astruse indagini della metafisica psicologica. E gli definendo la psicologia,
la dinamica dell'uomo interiore; stabilisce le tre funzioni psicologiche
del conoscere, del volere, e dell'eseguire, dichiara l'esi stenza del me e
degli altri corpi il cui carattere esclusivo è la pluralità di so stanze
compresa in un sol concetto ; e dimostra che le sensazioni sono i segni reali e
naturali cui in natura corrispon dono le cose e i modi di esseri reali che il
sentire è diverso dall'intendere che stà nel percepire l'essere e il fare delle
cose ; che il senso intimo è una facoltà occulta che unisce all'uno il
moltiplice, al semplice il complesso, che perciò è suo ufficio il conformare
gliatti psicologici che qualificano l'in tendere, il dettare un sentimento in
ogni giudizio, l'attrarre ciò che è ana logo e respingere ciò che ripugna ; che
laleggedell'umana intelligenzaè funzione in cui il senso dell'azione ri cevuta
e quello della reazione corrispo sta concorrono a produrre la percezio ne
dell'essere e del fare ideabile delle cose. Nulla,secondo lui,avvi d'innato o a
priori riguardo alle idee che tutte e una derivano dalla
sensazione combinata col la reazione o dalla competenza dell'Io combinata con
quella degli obbietti e sterni. Egli ripone il criterio del vero nel principio
di contraddizione, consi dera la causa come un non so che rac chiudente il
concetto d'una potenza pro duttrice di un atto o di un fatto; ne ga le idee
iunate pel principio che l'Io vedendo tutto in sè stesso non può di stinguere
dall'acquisito ciò che vi si rattrova d'innato; considera il valore della prova
nella certezza, e nel dubbio, e conchiude che lo stato esterno e sensibile
degli ele menti delle prove è fondamento univer sale e primitivo del loro
impero. La morale, secondo lui, stànel proporzionare la natura de' mezzi
secondo la speciale considerazione del fine. Il principio generale della sua
morale è l'ordine della perfezione, cheper leg ge di fatto reagisce su quello
della conservazione tanto coll'insegnare quan to col somministrareimezzi
delmiglior bilità, e nel dubbio nella proba Lallebasque congiunge alla
scienza del pensiere la filosofia naturale. Secondo [È comune opinione che sot
to il nome di Lallebasque tenga celato quello del caraliere BORRELLI:
essere umano; e che mira al benesse re all'utilità fisica o morale ed alla
umana felicità che costituiscono l'uomo attuale e le leggi naturali per cui
l'uo > mo, com 'essere perfettibile è tenuto a seguire l'ordine morale di
natura. E gli distinse l'incivilimento dalla civil ne pose le basi nella natura
nella religione, nell'agricoltura, nel governo, nella concorrenza; ed il prin
cipio nell'incivilimento sempre dativo. Una mente vasta, un ingegno acuto e
profondo ed una dialettica rigorosa formano tutti i suoi pregi; ma è in e
qualche modo oscuro e confuso, né fu tanto innovatore quanto lo predica rono i
suoi proseliti, e per l'empirismo da lui professato, e per le diffi coltà della
scienza, là; g
lui,lasensazioneèprimitiva, conti nuata, riprodotta ed aumentata; ed è lo
stesso che l'idea, tranne che questa si adopera più di frequente a signifi care
le funzionidell'intelletto. In quan to al giudizio, egli distingue quello di
occupazione da quello di attenzione;e riduce ogni giudizio a quello di diver
sità; considera il raziocinio come l'atto onde due idee producono un giudizio
per via d'una terza. Riguardo alla vo lontà egli sostiene che il calcolo voli
tivo e l'atto prelativo si risolvono in un giudizio di preferenza pel quale la
volontà sisviluppa come un'azionecon cui l'animo eccita i nostri organi a pro
cacciarci ciò che abbiam prescelto. In trattando della scienza etimologica, egli
ripartisce le lingue in radicali e produttive. Indaga l'origine delle parole e
le loro cause, che sono l'imitazione, il bisogno, il comodo, l'arbitrio. Riconosce
due mezzi per trovare le lingue radicali: la ricerca de'popoli che han
comunicato con quello per la cui lingua han luogo le indagini etimologiche,
e l'attignere dalla lingua derivata la noti zia di quelle che àn concorso a
formarla. Un luogo stuolo di empiristi tenne dietro a questi Àtre pensatori.
Gigli de finisce la filosofia la scienza di ciò che può conoscersi con esatte
osservazioni e con esperienze bene istituite. SAVIOLI è seguace di Locke e di
SOAVE. Troisi riconosce ne'sensi gli strumenti delle po stre prime idee.
MAZZARELLAriconosce l'attività e la sensibilità come proprietà costitutive
dell'essere semplice ;Bini dichiaratutte le idee provvenire all'ani ma col
mezzo de'sensi. PEZZI nega l'e sistenza delle appercezioni e delle idee
astratte. Accordino fadipendere tutte le facoltà dell'anima dalla sensibilità,
e riguarda l'uomo neiprimi momenti della sua esistenza come una tavola .rasa
ove non è impresso alcun carattere; MARA no distingue la percezione dall'idea e
preferiscel'analisi. ABBÀ fa dipendere le idee dal senso e dall'azione
dell'anima. ZELLI afferma che l'uomo riceve le losofico sulla coscienza. TESTA afferma
che il sentimento non può fallire al ve e che l'osservare la natura e fi -prime
idee per mezzo de'nervi ; Alberii dichiara pescibile tutto che esce dalla sfera
del mondo sensibile. PASSERI riconosce l'influenza del fisico sulla rettitu
dine delle nostre azionispirituali. SANCHEZ niega alla ragione la conoscenza
dell'assoluto e trae tutte le idee da' sensi. GATTI dichiara esser la
sensazione il risultamento di una conformazione spe ciale vivente. BONFADINI riconosce
il metodo induttivo come mezzo logico della verità, e spiega l'origine delle
idee coll'analisi e coll'astrazione. REGULEAS pretende nell'anima altro non
esservi che il sentire. BRUSCHELLI trae l'esistenza del mondo e del divino dall'osservazione
de' fatti che ne circondano. GRONES dichiara la metafisica la scienza delle
cose astratte conoscibili per mezzo dell'osservazione costante e delle esperienze
accurate. PIZZOLATO forma della filosofia una scienza fenomenical. BUTLURA poggia
il sapere ro, studiarne i fatti sono i soli mezzi sicuri d'ammaestramento.
BRADI riduce la certezza alla diretta cognizione del modo di essere speciale
degl’obbietti. FAGNANI fonda il suo sistema gloso-fico sul dinamismo e sulla sensibilità.
BRAGAZZI propone per facoltà d'apprendere l'osservazione de'fenomeni dello
spirito e per criterio del vero la verificazione. COSTA sostiene la memoria e
le altre facoltà a simiglianza della sensazione, ed ammette l'origine delle
idee generali e normali dall'idea individuale. FERRARI segue il principio
dell'associabilità interna e FELLETTI quello dell'utile umanitario. L'empirismo
venne applicato alla pedagogia da PASETTI, FONTANA, TOMMASEO, e RENZI, alla storia
da ROSSI, alla estetica da CICOGNARA e DELFICO, e dalla genealogia delle
scienze da PAMPHILIS, ROSSELLI, e FERRARESE, che riunisce tutti i rami delle
scienze a quella dell'uomo, seguendo il principio che in esse tutto è relativo a
noi. [e Gioia : Il nuovo Galateo ca Tavole Statistiche sofia ad uso delle
scuole Logica Statisti Elementi di filo Ideologia. Esercizio logico. Nuovo
prospetto delle scienze economiche. Del merito e delle ricompensa. Dell'ingiuria,
de'danni, e del soddisfacimento. Indole, estensione, e vantaggi della
Statistica ROMAGNOSI: Che cosa è mente sana? Indovinello massimo. Della suprema
economia dell'umano sapere. Vedute fondamentali sull'arte logica. Dell'insegnamento
primitivo delle matematiche. Assunto primo della scienza del dritto naturale. Introduzione
allo studio del dritto pubblico universale. Dell'indole e de'fattori dello
incivilimento. Biblicteca italiana. Vari articoli di filosofia. L'antica
filosofia morale. Genesi del dritto penale. Progetto del codice e della procedura
penale. LALLEBASQUE: Introduzio De alla filosofia naturale del pensiero
la - - - cu mo Fa il - - - cato su! si dal per Ista OS ette mali Fel en -ia oi.
Eila, alla . ea dal Fer àa cipii della Genealogia del pensiero. BORRELLI: Gia
Troisi: L'arte di ragionare. Istituzioni metafisiche. Mazzarel Intorno
a'principii dell'arte etimologica gli. Analisi delle idee la. Corso d'ideologia
elementare. BINI: Lezioni logico-metafisico-morali. PEZZI: Lezioni di filosofia
della mente e del cuore, riformata e dedotta dall'analisi dell'uomo. ACCORDINO:
Elementi di filosofia. Regole dell'arte logica. Marano ABBÀ: Elementa Lo
Pringices et Metaphysices. ZELLI: Elementi di metafisica. PUNGILEONI: Dell'udito
vista. Alberic: Del nescibile. Passeri: - e della Della natura umana socievole.
Sanchez: Influenza delle passioni sullo scibile umano. GATTI (si veda): Principii
d'ideologia. BERTOLLI: Idee sulla filosofia delle scienze morali e politiche.
GERMANI: Dell'umana perfezione. SCARAMUZZI: Esame analitico della facoltà di
sentire. BONFADINI: Sulle categorie di Kant. REGULEAS: Nuovo piano d'istruzione
ideo-logica elementare. BRUSCHELLI: Praelectiones elementares logico-metaphisicae.
BUTTURA: La coscienza logica. TESTA: Introduzio ne alla filosofia dell'affetto.
Filosofia dell’affetto. BRAVI: Teorica e Pratica del Probabile. FAGNANI: Storia
naturale della potenza umana. Elementi dell'arte logica. BALDINI: Cenni sopra
un corso di filosofia. RAMELLI: Prospetto degli studii filosofici nelle scuole
comunali. NESSI: Schizzo intorno i principii di ogni filosofia. OCHEDA: Filosofia
degl’antichi. GRONES: Ricerche metafisico-matematiche sulla lingua del calcolo.
PIZZOLATO: Introduzione allo studio della filosofia dello spirito umano.
SAVIOLI: Institutiones metaphysicae in Epitome redactae. ZANDONELLA: Elogio di
Bacone. COSTA:Del modo di comporre le idee. FERRARI: La mente di Romagnosi.
FELLETTI: In torno ad una nuova sintesi delle scienze. PASETTI: Sull'educazione
fisico-morale. FONTANA: Manuale per l'educazione umana. TOMMASEO: Scritti varii
sull'educazione. RENZI: Sull'indole de'ciechi. ROSSI: Studii storici.
CICOGNARA: Ragionamenti su bello. DELFICO: Pensieri sulla storia e sulla
incertezza ed inutilità della medesima. ricerche sul bello. PAMPHILIS: Genografia
dello scibile considerato nella sua unità d’utile e di fine. ROSSETTI: Dello
scibile e del suo insegnamento. FERRARESE: Saggio di una classificazione sopra
le scienze del l'uomo fisico e morale. Delle diverse specie di follte. Ricerche
intorno all'origine dell'istinto. Trattato della mòno-mania suicidia. Esame dello
stato morale ed imputabile de'solli mono-maniaci. Elementi di ito e dela.
PASERI Paseri: Sanchez:In - - umano Bertolli: 1 orali epolis perfezione- a
facoltà di orie di Kant uzione Praelectiones - Buttura : -latroduzio ilosofia
tiia delPro e delap e logica- del ideo orso dinilo spetto del ali- NESSI
filosofia – e sula oduzione a GRONES : lin - ee umano – in Epitome Bacone
elletti . For :lo S 3. Non ostante il gran numero di fautori che si procaccia
l'empirismo, pure si avverte ilbisogno di spiegare la natura umana non
dall'esperienza, ma dalla subbiettività dell'uomo. Epperò sorgeno i razionalisti
a combat, il secondo affermando l'assoluta necessità delle idee innate, o de principii
apriori, ed il terzo annunziando esser la filosofia una scienza degl’enti di
ragione. LUSVERLI considera le facoltà come COLUI il quale da una forma
siste ! un potere di produrre qualche effetto, dipendente dalla forza
spirituale. DEFENDI riconosce ne'sordo muti l'idea dell'ente in universale, e
PARMA nel fondo di ogni esistenza rattrova l'essere. CERESA afferma essersi im
battuti nel vero coloro i quali riposero il principio del conoscere nella pura
subbiettività che è sola infinita, spontanea, positiva, e tale che l'uomo per
suo mezzo elabora la sua obbiettività. o tere le tendenze empiriche; ed aspira
rodo a spiegare i problemi più difficili della filosofia; ma non si elevarono
alle chimere ed alle astrazioni del trascendentalismo alemanno. Maggi, Bianchetti,
e Receveur coltivarono il razionalismo pel suo lato obbiettivo. MAGGI cerca un
sommo archetipo logico e supremo, P 1aspira 1 dificili ronoale
Trascen ilBian: tempo, di spazio, di iriposero 0 ilha etiro, RECEVEUR an na scienza considera che tipolos afermando
ionate, 0 prodare Jalla fora nesont ersale; eld stenza rat essersi im pura
possibilità dell'essere medesimo. Secondo RECEVEUR, quest'idea è è innata, poichè
non proviene nè da'sensi nè dal sentimento dell'io, nè dalla riflessione; e da
essa derivado tutte le idee acquisite diforma e di materia, di sostanza. Egli
si propone di ricondurre la filosofia dell'intelletto sulla giusta via,
combattendo i sistemi che hanno perturbate le menti e disonorata la filosofia,
e stabilire un criterio saldo e irremovibile alla verità ed alla certezza.
SERBATI segue ilprincipio che l'idea unica ed innata si è quella dell'ente
nell'universale. Egli preferi che riducesi a’ due sce il suo metodo assiomi di
non assumere nella spiegazio ne de'fatti dello spirito umano, nè meno nè più di
quel che è necessario a spiegarli. Egli parte dal principio che l'uomo pulla
può pensare senza l'idea dell'ente; che quindi la qualità più generale delle
cose è l'esistenza nella pura suk 7 spontana I suo mez matica al razionalismo
si e SERBATI. Egli si di di essenza, di causa, rma siste moto, e di estensione. sso è il senti mento
intellettuale, l'intelletto medesimo. Ecco i punti principali della sua teoria.
L’anima ha due potenze originali: l'intelletto, che ha per obbietto essenziale la
forma e la sensibilità che è esterna se ha per obbietto un corpo, interna se ha
per obbietto l’io. La coscienza upisce la sensibilità all'intelletto con una
sintesi primitiva, il cui effetto è la ragione scorgendo i rapporti generali,
ed è la facoltà di giudicare congiungendo l'attributo al subbietto la
sensibilità esterna è tratta ad operare colla materia prima, e la ragione
produce le percezioni intellettive; donde la facoltà di generalizzare e la
libertà all'indefinito svolgimento delle facoltà dell'uomo. Egli distingue la
sensazione dalla percezione sensitiva, l'idea di una cosa dal giudizio sulla
sua sussistenza, la percezione sensitiva dalla intellettiva, un atto dello
spirito dall'avvertenza dell'atto. Finalmente dimostra che è impossibile che
l'uomo percepisca una cosa diversa da sè;
I che lo spirito comunica le sue proprie forze alle cose
percepite; che l'idea del l'essere è fonte e criterio del vero e genera la
cognizione de'corpi, di noi; del divino, ed anco la legge morale. Per tal modo
l'idea dell'ente è, secondo lui, il primo principio innato nella psicologia e
nell'ontologia, il criterio del vero e del certo nella logica, il principio
supremo del bene e del dovere nella m o rale. senti nedesi lasua Itoeso
chee le quattro idee di spazio, di tempo, rigio io огро, lacr eleto to| gene
CON Terce adal 0;he :cold acele Non rimane che dirqualche cosa in torno al
nostro concittadino COLECCHI, seguace in qualche modo della filosofia di Kant.
COLECCHI pone di sostanza, e di causa efficiente, colle quali espone le leggi
della ragione che egli dichiara comuni ad ogni sistema fi losofico.Il principio
del suo sistema è questo: l’io non potrebbe determinare la sua esistenza nel
tempo senza una esi stenza interna, dal quale deriva che la cagione movente la
sensibilità non può riponersi nello stesso me, cioè che il cel indef. uomo
berce 7atto atto. eche vario delle rappresentazioni nasce
all'occasione del di fuori che modifica il sen so; che la riunione del vario nello
spazio e nel tempo è opera della fantasia, è e quindi chel'unità sintetica
dell'oggetto nell'esperienza è un prodotto della fantasia di accordo con
l'intelligenza. Secondo lui, l'induzione fisica è diversa dall'induzione
matematica inquantocchè quella mena allo scetticismo e questa a cono scenze
necessarie ed universali; se il rap porto tra le idee è neeessario, le idee e i
termini di questo rapporto son tali anch'esse ; ogni nostra conoscenza in
comincia da'sensi, e passa da questi al la intelligenza. Riguardo alle leggi
della ragione egti sostiene che la ragione esi ge inogni esperienza come data
la to talità delle parti dello spazio e degli arti colideltempo non confondendo
quello che è con quello che appare,. lità delle parti del tutio dato nella
divisione, la totalità delle condizioni nella catena delle cause e degli
effetti, pro nunziando l'accordo delle due causalità la tota- della
natura e della libertà, il necessa rio nella serie de contingenti ed infine un
ente assoluto, dotato di tutte le possibili realtà, il divino. Nella morale, egli
sostiene che il principio della propria felicità non può elevarsi alla dignità
di legge morale, che le due idee del giusto e dell'ingiusto sono originarie e
non fattizie, e che le regole etiche, le quali dirigono l'uomo interno sopo
essenzialmente diverse dalle giuridiche che dirigono l'uomo esterno. Colecchi
non è solamente seguace del Kant; ma egli cerca armonizzare colla morale i
pensamenti del Vico sulla filosofia e sulla legislazione; anzi poichè le verità
del Kantismo eran sepolte nella scienza ila lica, Colecchi ha saputo
raccogliere un seme da'principii di questa per produrre novelli frutti e
contribuire allo a vanzamento delle filosofiche discipline. Receveur: Institutionum
philosophicarum elementa Maggi: Critica sistematico-univerle e guida alla rigenerazione
della filosofia. Bianchelti: Studii filosofici tuzioni logico metafisiche. Lusverli:
Isti Defendi: Sul dolore estetico e sull'entusiasmo, ragionamento. Parma: Supplimenti
sul sansimonismo. Serbati: Saggio sulla felicità. Saggio sulla unità
dell'educazione. Opuscoli filosofici. Saggio sull'origine delle idee. Principii
della scienza morale. Frammento di una storia dell'empietà pii e leggi generali
di medicina e filosofia speculativa, Colecchi: Quistioni filosofiche. Ceresa:
Princi.] Il sensualismo venne anco combattuto da taluni che, seguendo l'esempio
della scuola teologica Francese, si elevarono al misticismo e fondarono la
scuola de’ soprannaturalisti, che fanno prevalere la fede ed il sentimento
sulla riflessione e sulla ragione. Primo fra questi, Palmieri attacca di fronte
l'empirismo, mette in campo le idee innate come impressioni permanenti e
modifcazioni dello spirito, afferma che sonovi nello spirito delle idee e delle
impressioni non avvertite e la teologia hanno lo stesso scopo,
cercano un solo vero discutono gli stessi principii, esse non ponuo essere due
scienze. Mastrofini si vapta autore di una meta-fisica subli- .attualmente che
la ragione per giudi care debbe seguire certe basi e regole impresse nell'anima;
e ri-vendicando l'autorità de'libri sacri, confutando il Kantismo e negando
alla filosofia la facoltà di spiegare lo stato èdell'uomo sostiene che tutti i
suoi sistemi sono contraddizioni manifeste, e che il solo vero è il
soprannaturalismo che è l'unico, e non contraddittorio, quando anche la ragione
non potesse sentirne chiaramente l'evidenza. Manzoni stimando incompiata la
filosofia che anno gli uomini sul giusto e sull'ingiusto indipendentemente
dalla religione, e la distinzione tra la filosofa e la religione come una
imperfezione, si accosta al soprannaturalismo, sostenendo che la filosofia
morale va congiunta alla teologia, che la ragione naturale è imperfetta, e che
se la filosofia e. Il nome di Licinio Ventebranz è anagrammatico ed é celato in
esso quello di Albertini me in cui applica la filosofia alla teologia;
Ventenbranz predica una filosofia eclettico-cristiana; Perolari Malmignati
sostiene che la sola filosofia verissima è la morale cristiana. Olivieri e Pasio
sostengono una morale dedotta dalla ri-velazione. Cesare Cantử dimostra che,
dovendosi basare la giustizia positiva sull'assoluta, non puo giammai mepare ad
effetto questa sua condizione se non colla religione positiva; che l'umanità è
regolata dal divino, che il linguaggio della parola è dato dal divino all'uomo
e con esso tutte le idee primitive di giustizia e di rettitudine morale. Parma
pretende che ogni sistema filosofico debba dipartirsi da un dato primitivo
anteriore alla dimostrazione, e che sola la filosofia religiosa assume tutti gl’elementi
del materialismo, dell'idealismo e dello scet Riccardi fa consistere il difetto di ogni
filosofia del vizio logico e morale di sostituire la parola natura al divino; e
pretende la scienza essere essenzialmente religione, non potersi dar conto di
alcuna cosa che risalendo al divino, la filosofia non dover concludere contro i
fatti della ri-velazione, la stessa fisica esser falsa se a questa è opposta.
Ventura cerca identificare la filosofia alla ri-velazione. Secondo lui, la
filosofia statutta nel metodo, il fondamento della certezza è riposto nel senso
comune, l'intelletto e la verità costituiscono un tutto indissolvibile, l'uomo
si rapporta al divino, la convenienza dell'ente coll'intelletto forma ad un
tempo il sommo vero ed il sommo bene, l'uomo debbe conosce ticismo,
epperò, secondo lui, la teologia è un ingrandimento dell'umana ragione, o la
scienza dell'umanità illustrata da'più alti intelletti, la filosofia non è che
la religione, essa comprende la teo-logia, 1'etica, la logica e la fisica e
debbe re Dio mos [Gioberti è un sostenitore del misticismo. Egli cerca
surrogare l'ontologia al ta psicologia, e il metodo sintetico all'analitico;
segue il dommatismo, cercando dedurre ogni cosa con logica stretta e severa;
unisce la filosofia alla teo-logia, subordinando la prima alla seconda; e
distinguendo la parte razionale da quella che è superiore alla ragione,
incomincia dal primo ente, in relazione alla mente umana; e, dopo aver presentata
una dottrina dell'assoluto si intrattiene a mostrarne lo svolgimento in tutte
le forme delle scienze umane e divine. Secondo lui, la un tutte le sue
parti decidere coll'autorità generale. Intorno a Gioberti e mestiere leggere la
nota di ROVERE (si veda) SULĽ ONTOLOGIA E SUL METODO ed un articolo di Massari
cui è titolo: CONSIDERAZIONI SULL’INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA FILOSOFIA
propo DI GIOBERTI (Progresso). V. de e combinati con essa formapo tre
realtà indipendenti dallo spirito, cioè una sostanza ed una causa prima
moltiplicità di essenze e di sostanze, ed un atto col quale l'ente si collega
alle esistenze; il nostro pensiero intuisce questa realtà con un atto semplice
e simultaneo che precede ogni intuizione particolare, e per cui mezzo
l'intelletto percepisce leproprietà essenziali dell’ente mercè la ri-velazione;
l'idea non può addivenire obbietto di riflessione senza la parola interna,
quindi è necessario l'intervento del linguaggio per opera della ragione; vi è
gran differenza fra l'intuizione e la riflessione, fra il metodo ontologico e
il metodo psicologico, e d'accanto alle facoltà che a p > > sizione. L’ente
crea le esistenze è la formola ideale che comprende tutte le nozioni dello
spirito umano; ogni suo membro esprime una realtà obbiettiva assoluta e
necessaria nell'Ente, relativa e contingente delle esistenze; questi due membri
son legati dalla creazio una > e non ha lasciato di cadere in
molti gravi errori, specialmente quando egli prendono l'intelligibile, avvidell'uomo
un istinto che mira al sopra intelligibile senza poterlo giammai conoscere. L'ente
si offre al nostro pensiero come lecido e tenebroso; e da ciò sorge il legame e
strettissimo tra la filosofia e la teologia tra’dogmi ri-velati e i razionali. Egli
applica la sua formola ideale a molti problemi di logica, d'ideologia, e di
meta-fisica; prova la sua fecondità e larghezza in lei rattrovando la ragione e
la fonte del sapere; imprende a delinear nela storia attraverso le opinioni, le
credenze, e le rivoluzioni de'popoli, ed a mostrare che dessa abbraccia la
ragione di tutti sistemi potevoli di filosofia. La sua filosofia offre il primo
esempio di una meta-fisica ortodossa, ma ardita ed originale; sicchè può dirsi
aver egli tentato di mostrare i legami tra la filosofia e la ri-velazione
cattolica estimando il progresso delle scienze sperimentali e lo svolgimento
della civiltà ma attaccando il metodo psicologico, afferma che esso e la cagione del mate e quando
sostituisce al metodo analitico il sintetico. È principio riconociuto da ogni
sana mente che l'analisi di per sè sola non può menare allo scoprimento della
verità; ma è falso che la sola sintesi si adatta a darci la nozione del vero.
L'unico metodo è quello di conciliare l'analisi alla sintesi; perocchè vi sono
delle idee che conoscia mo per mezzo della sola analisi, e delle altre che
conosciamo per mezzo della sola sintesi. E poi l'accagionare Cartesio di tutte
le dottrine materialiste palesa una immoderata avversione al psicologismo che
da alcuni si vuole esser l'ultimatum della filosofia, ma dal quale noi stimiamo
doversi partire per giungere al l'ontologia, alla conoscenza della legge che
regge il mondo sensibile ed il mondo soprassensibile. Del resto Gioberti
evitando ed il pan-teismo ed il " rialismo che nel secolo scorso ebbe lao
go, · rolar [Malmignati : Lezioni filosofiche. Parma: Sulle opere di
Gerbet. Supplimento sul Sansimonismo. Cantù: Notizia di Romagnosi. Riccardi: Lapratica de'buoni studi. Discorso sulla
filosofia. Ventura: De methodo philosophandi. Gioberti: Introduzione allo
studio della filosofia. Errori filosofici di Serbati. Teorica del
sovrannaturale filosofia estetica. Saggio sul bello e Principii di Del Primato
Morale e civile Lettera sulle dottrine filosofi degl’italiani co-politiche di Lamenoais.
parallogismo nel dedurre con ragionamenti a priori la scienza de' Gniti da
quella dell'infinito, non fa altro che proclamare la verità della ri-velazione cattolica.
Palmieri: Analisi ragionata de'sistemi e de' fondamenti dell'ateismo e della
incredulità. Manzoni: Osservazioni sulla morale cattolica. Mastrofini: Le usure
Olivieri: La filosofia morale. Pasio: Elementa philosophiae moralis cum notis. Albertini:
Discorso critico intorno a’ pregiudizii ed errori ed a'tanto disputati due
metodi d'insegnare le scienze astratte. Lo Spirito della Dialettica. Pe C C
- osserva che i sensualisti hanno preso una strada erronea occupandosi
della quistione sull'origine delle idee e mischiandola con quella sulla realtà
dell'umano sapere che essi non han conosciuto l'uomo che per le sole sensazioui
tralasciando l'analisi dell'essere interno, che non hanno avanzato la scienza, non
potendovi essere scienza Glosofica filosofica senza la cognizione dell'uomo
intelligente e morale; epperò cadde in errore coloro i quali lo annoverarono
tra'sensualisti. Il suo metodo è di ricercare tutto che i filosofi italiani
hanno scritto intorno ad esso .1
ida e de ta scien emo 1 oried -A Pour tosul Ro studi ala ra : tro 2 cibi
do, iïdi osofi civile che zione della scuola scozzese. Oltre Sebastiani e Corradini,
dobbiamo poverare S 5. Sonovi in Italia alcuni filosofi che si addano a
coltivare l'eclettismo tra questi ROVERE (si veda) e WINSPEARE (si veda) Winspeare.
Rovere, comparando, sceglien e fondendo i loro trattati, ecco l'ecletismo. Il
principio che egli accoglie è di esaminare non solo i fenomeni sensibili, ma gl’interni,
cioè i fatti e rigettare tutte le idee non comprovate dall'esperienza come
fatti esteroi, o incompiute per aver trascurato una di queste serie; e, secondo
lui, le ultime conclusioni della filosofia razionale debbono combaciare con le
opinioni del senso comune, quindi pos sono tacciarsi di false quelle teorie che
credono mostrare che il genere umano sia caduto in errore. Ora se tali sono i
principii e tale è il metodo degl’eclettici e degli scozzesi, e se la scuola
cui appartiene un autore debbesi rilevare dal metodo e dai principii, possia modire
che l'autore si approssima all'eclettismo della scuola scozzese. Veniamo ora al
le sue principali opinioni. La filoso > venne dagl’uomini cercata; ma questi
hanno mancato di buon metodo non serbando proporzioni tra’ diversi elementi che
costituiscono la natura; ne’ filosofi italiani ben meditati e specialmente nel
Galilei vi è il vero metodo sperimentale. ROVERE lo riduce ad un mezzo che ha
per fia esiste, della coscienza materia lo scibile, per fine il vero e lo
fa consistere nelle V arti: preparatoria, inventiva, induttiva, dimostrativa,
distributiva. Egli pone il criterio di certezza nell'intuizione immediata, o
meglio nell'identificazione dell'oggetto con noi, distingue nella conoscenza
l'atto di giudicare dall'oggetto giudicato, e cercando un legame tral'oggetto
el'idea, lo colloca ove l'ente si converte col vero ed il conoscitore si
identifica col cogoito; ammette l'intuizione immediata o l'atto di nostra mente
il quale conosce le proprie idee e le loro vicende voli attinenze, nonchè
l'intuizione mediata o l'atto di nostra mente, il quale per la certezza
assoluta dell'intuizione immediata prova in un modo assoluto l'esistenza delle
realtà estrinseche o i loro rapporti con lo spazio e col tempo; fonda la
certezza sulla duplice intuizione sul senso intimo e sul senso comune, nega che
i principii apodittici e gl’assiomi siano atti a dimostrazione o aspiegazione, fa
derivar la causa dalla' > SCO unde 1. Sofia che me èil ile to eria pos Bano
di 001 clet cer cu Idee Cati dal dire 2 SIDO 080 LIO SCO successione
delle esistenze e ripone il criterio del vero nella conversione del fatto
operata dalla intuizione creatrice la quale è un prodotto della nostra
spontaneità e mette capo al senso comune. L'ultimo che sia venuto in campo
a sostenere l'eclettismo scozzese è Winspeare in suoi Saggi di filosofia
intellettuale. Dalla prefazione ove egli fa manifesto il piano del lavoro si
rileva che egli è parteggiano della scuola scozzese, pero chè la difende dalle
accuse promosse contro di essa, e sostiene che seguirla svolgendo la è il solo
mezzo per far progredire la scienza filosofica. Winspeare vuole ristaurare un
sistema che egli stima più atto a far progredire quelle verità necessarie al
progresso dell'intelligenza ed alla osservanza della morale. Un simile
tentativo gli apporta sommo onore, perocchè lo à immaginato ed eseguito con
molto studio e coscienza. Nul l'altro possiam dire intorno a lui poichè è una
rapida rassegna delle dottrine filosofiche da’ Greci infino al XVIII se. colo,
non si può dedurre un sistema formolato ne’ principii e delle sue conseguenze .
- che dal solo primo volume dell'opera, Corradini: Utilità della filosofia
Prospetto delle Lezioni di filosofia razionale Sebastiani: Novum Systema Ethices-
ROVERE: Del Rionovamento dell'antica filosofia in Italia. Lettere a SERBATI. Dell'Ontologia
e del metodo Lettere a Mancini intorno alla filosofia del Dritto ed all'origine
singolarmente del Dritto di punire. Winspeare: Saggi di filosofia intellettuale.
Blanch: Articoli due sul Winspeare nel Museo di Scienze e Lettere. Per dar
compimento alla filosofia italiana non rimane che esporre le opinioni di coloro
che si diedero all'Empirismo-Razionalismo. Tamburini confuta Holbach,
Condillac, e Kant; ri l' pose l'obbligazione morale del bisogno l'altra
su’limmiti di essa. Riguardo alla prima, abbattendo la scessi, egli prova
essere in noi reale la cognizione, esistere le facoltà intellettuali come cause
delle della perfezione che si appoggia all'umana natura, al senso
universale ed all'ordine naturale, si oppose alle dottrine dell'amor proprio e
dello interes combatte le opinioni di Condorcet sul progresso o meglio
sull'umana perfettibilità da lui circoscritta al reale, al possile, alla
storia, e considerata non come infinita, sibbene come progressiva; stazionarla,
e retrograda. 1 se, per opera di Galluppi che combattendo le opposte dottrine di
Condillac e di Kant, ne viene salutato a buon diritto il fondatore ed il sostenitore.
Egli incomincia dal proponersi lo scioglimento di due importanti quistioni, l'una
sulla realtà dell'umana conoscenza Pa. Gli sforzi del Tamburini prepararono la nuova
era della filosofia italiana, la quale sorse insieme
coll’Empirismo-Razionalismo per opera 2 305 US idee, e lo spirito
giungere al vero al lorchè dietro la testimonianza del senso intimo afferma ciò
che è e piega ciò che non è. Ecco perchè Galluppi appar tiene alla filosofia
moderna, alla scuola psicologica di Cartesio. Nell'analisi dei fenomeni
intellettuali egli ammette le verità primitive di esperienza interna contenenti
principii a priori ed a posteriori riconosce il principio dell'oggettività
della sensazione e della intuizione inmediata in quella; dimostra il passaggio
dalla regione del pensiero a quella dell'esistenza per mezzo del punto di
comunicazione tra la conoscenza intellettuale e la reale, pel quale egli
ammette l’idea universale come legge dello spirito derivante dalla sua
soggettività, la quale forma il giudizio analitico e si risolve in due ordini
di conoscenze: le une di esistenza e le altre di ragione, queste servendo di
base alle verità de dotte, e quelle supponendo l'applicazione delle verità
razionali a’ dati dell'esperienza. Secondo lui, benchè tutti i giudizii puri
sieco identici, pure lo spirito allarga la sfera delle sue conoscenze, ed il
raziocinio ci istruisce, perchè ordina e classifica le nostre conoscenze, e perchè
ci mena a conoscenze che 1 1 pon potremno avere senza di esso. Per mezzo della
causalità da una esistenza sperimentale ci eleviamo ad esistenze che tali non
sono; la sensibilità è esterna ed interna, questa percepisce il me e le sue
modificazioni, quella ci rivela l'esistenza del fuor di me e delle sue
modificazioni. Riguardo a’limiti delle nostre conoscenze egli cerca
determinarli dimostrando esserci ignote l'essenze delle cose, e la natura divina,
ed ignoto il modo onde le cause effettrici agiscono non che quello onde gl’esseri
producono in sè o in altri quelle date modificazioni. Il sistema delle facoltà
dello spirito introdotto da Galluppi ha per iscopo la ricerca delle facoltà
elementari; e queste sono la coscienza e la sensibilità che presentano allo
spirito gl’obbietti, l'analisi che li sepa la sintesi che li riunisce, il
desiderio, e la volontà che mossa da questo dirige le operazioni dell'analisi
della sintesi. L'illustre filosofo di Tropea professa le medesime teorie in
tutti i suoi saggi filosofici; se non che degl’elementi e nelle lezioni di
filosofia, poggiate sull'empirismo-razionalismo, segue il metodo analitico
procedendo dal noto all'ignoto. Egli divide la logica in pura o scienza delle
idee e mista o scienza di fatti seguendo il principio dell'identità progressiva
ed istruttiva, considerando come ufficio del ragionamento il rapnodare e
subordinare le nostre idee, dichiarando il sillogismo un'analisi del discorso, e
stimando molto importante l'entimema. Secondo lui, la religione naturale è
l'insieme delle verità che si possono provare per mezzo della ragione, che ci
svelano come dobbiamo pensare del divino, e de'suoi rapporti cogl’esseri creati.
La ragione ne insegna che il divino è eterno immutabile uno iqboito; la sua
eternità, non ha ra, e } successione fisica nè meta-fisica. La
relazione fra il divino e le creature è quello di causalità cioè tutte le
creature sono state create dal divino. L’esistenza di due principii eterni
dell'universo è assurda. Il male non ripugna alla bontà divina. L’esistenza
de'doveri ne vien manifestata dalla coscienza ed è una verità primitiva. Il
dovere non può definirsi per e, chè è una nozione semplice, un’azione
soggettiva che deriva dalla natura umana. Le verità morali sono necessarie ma
sintetiche. Il principio del dovere è distinto da quello dell'utile che gli è
subordinat. La massima: si giusto è primitiva. Il principio di BENEFICENZA non
basta a mostrarci i nostri doveri verso gl’altri. Noi abbiamo de'doveri non
solo verso gl’altri, ma verso il divino e *verso noi stessi* (amore proprio),
la filosofia ci manifesta l'immortalità dell'anima umana, il congiungimento
della felicità colla virtù, verità che vengono dimostrate dal premio della
virtùe della pena del vizio, verità provate dalla naturale indistruttibilità
dell'anima e dal desiderio costante negl’uomini di un bene supremo, rità
enunciate dalla ragione non solo ma anche dalla ri-velazione che è un'azione
immediata del divino sullo spirito umano con che il divino produce nello
spirito le conoscenze che vuol produrre, e la cui possibilità deriva dalla
semplice nozione dell'onnipotenza. Egli riponendo la legge morale nella retta
ragione che dirige la nostra volontà al nostro benessere seguendo il sistema
del dovere indipendente dall'utile, introducendo qualche cosa d'innato nella
morale ed ammettendo il dovere come un principio sintetico a priori, si eleva
dall'empirismo psicologico ad un ragionevole idealismo nella morale. Ecco le
principali opinioni professate dall'immortale Galluppi, cui va tanto debitrice
l'attuale filosofia italiana de’ suoi progressi, ed in cui non sappiamo se sia
maggiore l'elevatezza e l'acume d'ingegno o la forza e la potenza del
ragionamento. Molti altri filosofi dietro l'esempio del ve GALLUPPI pure
si addissero all’empirismo-Razionalismo. Tedeschi la forza dell'anima come unica
ed divisa, sostiene le idee assolute ed immutabili, distingue le idee io
riflesse o prodotte dall'astrazione, e spontanee o prodotte d’un intimo impulso
che de mena dal sensibile all'intelligibile sino alla cognizione della
sostanza. Zantedeschi presenta un sistema di facoltà de dotto dal percepire dal
sentire, e dal l'appetire intellettivo, sensuale, e razionale, considerando la
logica come quella scienza che dirigela facoltà conoscitiva a perfezionarsi,
stabilisce il metodo induttivo sulla causalità e l'analogia. La sua melafisica
è la dottrina dell'ente che s'accosta alla teoria del VICO e degl’antichi
italiani. Nella filosofia morale egli racchiude i principii delle azioni, come
la coscienza, la libera volontà, e la legge morale, ed il precetto comune. Quod
tibi non vis alio ne feceris. Mancino concepisce la filosofia come scienza
dello spirito uma considera in sul > / 311 S corpo ; la filosofia è la
scienza dello spirito umano in sè ed in tutte le sue relazioni. Per conoscere l'anima
è me stiere l'analisi che scompone il partico lare per ridurlo a principii
generali; la vila dell'anima stà nella cognizione-azio pe no, e ne deduce
uoa filosofia eclettica cioè equitativa e completa che accoglie il vero da per
ogni dove; epperò divide la filosofia in soggettiva cioè diretta a disaminare
le forze dell'iplendimento . ed oggettiva o diretta a disaminare gli obbietti della
conoscenza; rionega l’Empirismo ed il Razionalismo ; e conside ra le iee come
prodotte dalle sensazio ni, dalla coscienza, e dall'attività dello spirito e POLI
è uno de'più for ti propugnatori dell'Empirismo-Razionalismo. Secondo lui,
l'uomo consta di due elementi, anima che si riduce all'atto del giudizio o
idea-volizione-coscienza; conoscere pon è che giudicare e giudicare non è che
conoscere, ma il giudicare è il modo del conoscere e il conoscere è l'effetto
del giudicare, il giudizio non è una sintesi tra l'attributo ed il subbietto
perchè l'anima non ha forza sintetica potendo solo percepire e vedere, il
giudizio ha le sue applicazioni come il bello, il buono, il vero, le sue
perfezioni, che sono il buon senso, lo spirito, il gusto, l'ingegno, il carattere
l'istinto e le sue relazioni che sono i rapporti dell'anima coll'età col sesso,
coll'indole, colla fisonomia, col clima, col vitto, col sodoo, colle malattie o
colle altre circostanze. Il giudizio è un tutto composto ed un effetto che non
può sussistere senza parti componenti e senza facoltà generatrici, che sono
due: volontà-intelletto ed intelletto-volontà fondate sul principio di
simultanea in divisibilità; tutte le altre facoltà son modi empirici di queste
due facoltà primitive che colle loro leggi sono attributi dell'anima. Il
giudizio e le rispettive facoltà dell'intelletto e della volontà hanno per
fattori supremi l'oggettivo ed il soggettivo messi tra loro in rap
donde il commercio del fisico col morale nell'uomo; la filosofia si Altri
Empiristi-Razionalisti non hanno pubblicate delle opere; ma il loro sistema
traspare da vari articoli di giornali e ragionamenti disparati. RICCI è amante
del metodo empirico-speculativo; porto, rannoda alla religione ed alla teo-logia
perocchè questi fattori dipendono dal divino; la vita dell'anima e il giudizio sono
oggetti limitati perfettibili; questo perfezionamento è dato come legge di
natura e come scopo all'anima ed alle sue facoltà, esso è riposto nel maggior
aumento ed equilibrio possibile delle facoltà dell'anima congiunto al maggior
grado possibile di scienza e di felicità, esso può ottenersi avendosi de’ mezzi
facili e corrispondenti che si riducono all'uso reiterato e frequente degli stessi
atti o delle stesse funzioni; quindi l'uomo perrendersi perfetto al maggior grado
deve operare e usare per quanto può delle proprie facoltà, secondo la loro
natura e la loro destinazione. Rivato limita il sapere filosofico e
e cioè il pro filosofico, sostenendo che l'uomo dee tutto studiare e nel mondo
esterno e nello interno tutto riferire alla coscienza, Riccobelli si accinge a
combattere il Trascendentalismo di Kant sullo spazio e sul tempo; Devincenzi
pone per primo fondamento dell'ecletismo la cognizione perfetta di tutte le
filosofie e scegliere il vero da tutte; e per lui l'eclettismo è quella
modesta filosofia che nulla sprezzando esamina tutte le dottrine e segue il
vero ovunque il rinviene. Cusani sostiene che lo spirito umano ha due sole vie
nella ricerca del vero, cedimento empirico ed il razionale, che i principii
assoluti sono anteriori nel loro stato fenomenale, ma contempora nei nella loro
essenza alle idee necessarie, che la tendenza filosofica dev'essere l'Ontologia,
e che dovrebbesi elevare una metafisica sul fondamento psicologico degli
eclettici francesi e sul fondamento ontologico dei filosofi alemanni. Molti
altri recenti filo C Supplimenti al Manuale della Storia della filosofia di
Tennemann Ricci: Articoli sul Cousinismo (Antologia di Firenze), Rivato e sul +
sofi han coltivate le scienze filosofiche pel lato d'un tal sistema ma i limiti
di brevità che abbiamo imposti a poi stessi ci vietapo di noverarli. Tamburini:
Introduzione allo studio della filosofia morale. Elementa Juris Naturae Cenni
sulla perfettibilità dell'umana famiglia. Galluppi: Saggio sulla critica della
conoscenza. Filosofia della volontà. Lezioni di Logica e Metafisica. Elementi
di Filosofia. Lettere filosofiche sulle vicende della filosofia relativamente a’
principii delle umane conoscenze da Cartesio insino a Kant Introduzione allo studio
della Filosofia. Memoria sul sistema di Fichte o sul Razionalismo assoluto
l'idealismo Trascendentale di Kant Tedeschi: Sulla filosofia. Zantedeschi:
Elementi di Psicologia empirica, di Logica e Metafisica, e di Filosofia morale.
Mancino. Elementi di filosofia. Poli: Saggio filosofico sopra la scuola de’ moderni
filosofi naturalisti. Saggio di un corso
di filosofia. Primi elementi di filosofia. Intorno al vero e giusto spirito
filosofico. Riassum to sempre, identico stesso nell'India, nella Grecia nel
cadere del medio-evo, nella filosofia moderna, e nel l'attuale filosofia. del
Progresso. Gall è que gli che rappresenta eminentemente in Francia la filosofia
empirica spingendola sino al materialismo. Il razionalismo ha pochi adetti,
fra'quali la Baronessa de Stael; il misticismo ha de’seguaci; ma quegli che più
di tutti imprese a difenderlo si e Lamennais. L'eclettismo comprende gl’eclettici
propriamente detti o Cousinisti, gl’eclettici scozzesi, tra’ quali Jouffroy, e
i filosofi Storici che muovono tutti dal Guizot; cosicchè tre sono i grandi
campioni dell'ecletismo Cousin, Jouf ' In Francia la filosofia superando i
limiti dell'ideologia e della psicologia empirica, a malgrado alcuni avanzi di
sensualismo, ha cangiato la sua direzio ne; ed ha dato luogo alle cinque scuo
le degli Empiristi, de'Razionalisti, dei Mistici, degli Ecletici, e de Filosofi profondità dell'Alemagna, si presenta
una lotta di varii sistemi.Qualche avanzo del sensualismo invalso nel secolo
scorso as sume l'originalità italiana; ma l'Idea lismo ben presto gli fa guerra
benchè numeri pochi seguai; il misticismo non ha'che pochissimi coltivatori,e
l'eclet tissimo scozzese comincia ad introdur sinelleopere de'Filosofi
italiani; ma froy e Guizot. Il sansimonismo inva se i dominii delle
scienze morali e sociali ; ed a malgrado le sue stranezze attirò de'fautori,
frà quali alcuni sco standosene alquanto fondarono la filoso fia del progresso
continuo, che è addi venuta la filosofiapredominante in Fran cia ma che debbe
esser posta in accor do colla Religione Cristiana. Il fondatore del
Sapsimonismo è Saint-Simon; e Leroux è quegli che lo ha tra mutato nella filosofia
del progresso con tinuo. Nell'Italia, che è chiamata a tenere il giusto mezzo
tra la eccessiva superfi cialità della Francia e l'eccessiva 9
l'empirismo-razionalismo combatte tutti questi sistemi e viene a fondarsi
sulla ragione e sull'esperienza. Ogni sistema in Italia ha un grande ingegno
che lo difende. Romagnosi segue ilsensualismo Rosmini l'idealismo, Gioberti il
misticismo, Mamiani l'eclettismo scozzese e Galluppi l'Empirismo-Razionalismo.
Questo sistema, proprio de’filosofiitaliani, che è l'ultima espressione dello
svolgi mento della filosofia, debbe mirare ad una nuova formola più compiuta, e
ten tare lo scioglimento de'più ardui pro blemi per mezzo dell'esperienza combi
nata colla ragione; esso abbisogna di un metodo e diun prịåcipio che spie ghi
il commercio de sensi colle idee del mondo esterno col mondo interno ; ed al
suo ampliamento contribuiscono non solo leversioni delle operestraniere, ma
anche altri lavori filosofici degli italiani che preparano una restaurazione
definiti va delle scienze filosofiche. Noi di que sto sistema abbiamo
lodevolmente par lato al cominciamento del nostro lavoro; e facciam voti perchè
tutti gli Italiani pensatori presenti ed avvenire di unanime consentimento siraccolgado
sotto una sola e medesima bandiera, sotto le inse goe
dell'Empirismo-Razionalismo, ricono scendo per loro capo e maestro
l'immortale filosofo di 'Tropea Pasquale GALLUPPI. Enrico Pessina. Pessina. Keywords: storiografia filosofica in Italia, la
storia della filosofia romana, Galluppi, diritto private. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Pessina” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Petrarca: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di Cicerone – la scuola
d’Arezzo -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Arezzo). Filosofo
italiano. Arezzo, Toscana. Grice: “There are a few studies on Petrarca and
‘filosofia’: “Petrarca platonico,” etc. – but his most important contribution
is via implicatura, as when I deal with Blake or Shakespeare.” ir«^|#»rtit«»
,i\ARK TP Jt^ -'f \t. \ 3FICO ^1 PP TIGI03
-.^ i^C/->>.« —
t -nF CARLINI LA FILOSOFIA di P. Saggio Tipografia Editric
e Cooperativa Jesi - V A SEVERINO FERRARI DELLE OPERE
PETRARCHESCHE CONOSCITORE PROFONDO CON ANIMO RIVERENTE E
GRATO 559654 INDICE
Proemio Pag. 7 L La tradizione platonica e religiosa nel Medio evo
- Caratteri del misticismo italiano - Il Cristia- , nesimo e il
Papato » 9 II. II pensiero religioso e la Scolastica - Dante e
Platone - II Petrarca e Aristotele - Il Petrarca e Averroe*- Il Petrarca
e Platone - Il criterio filosofico del Petrarca è afl'atto religioso ...»
17 III. Filosofia della Religione - Paganesimo e Cristia- nesimo -
Se il Petrarca sia cattolico - Colui che fece per viltade il gran
rifiuto » 35 IV. Se il Petrarca sia un mistico - Varie specie di
misticismo - Il De vita solitaria - II De ocio RELiGiosoRUM - Ascetismo e
misticismo sano . V. II
pessimismo del Petrarca - II pessimismo cri- stiano - La vita umana
secondo il Petrarca - Il De REMEDiis UTRiusQUE FORTUNAE - II P. e
il Leopardi - L' acedia e le contraddizioni del P. hanno radice nel suo
sentimento re- ligioso » 55 VI. Il P. non e strettamente un
filosofo - Ma ne' suoi scritti è un ampio contenuto filosofico - E
aveva ancora ingegno filosofico - P. e la Scienza - Meriti filosofici del
P. - Il Rerum memorandarum - Carattere morale, so- ciale e politico
della nuova filosofia .... » 67 VII. II Pet rarca e il Risorgimento filosofico
religioso - Il sentimento della natura - Carattere psico- logico
della filosofia del P. - Le Rime - II Secretum - Eternità del P. » 79
Note » 93 ptoemio Il pensiero
religioso può precedere o seguire il pensiero filosofico, secondo che V
uomo è credente o no : sempre poi esso ' è dalla filosofia
iìiseparabile^ se vtwle divenir cosciente. Questo chiamo pensiero
filosofico religioso: e penso che sia la remota cagione anche delle
mani- festazioni letterarie e artistiche de' nostri grandi
scrittori. Della multiforme opera petrarchesca poi questo mi parve il
segreto ; e però con amore mi misi a cercarlo. Non credo, per le
mie piccole forze, di averlo scoperto; ma spero che questo saggio sarà
poca favilla che gran fiamma seconda. Luglio Carlini. La
tradizione platonica e religiosa nel Me- dio evo Caratteri del Misticismo
italiano - Il Cristianesimo e il Papato. 'ift^ È
^^w ^M 'fìJS
^^^p^ « Abelardo, w^ audio, 8uspecti»e fidei ». PLATONE,
dichiarando che Dio è il puro I essere e la materia il non essere,
scavava per primo, come anche il ^P. osservò (*), quell'abisso tra
il finito e l'eterno, tra la materia e lo spirito, tra la natura e Dio,
che poi né Aristotele né alcun altro filosofo riuscì mai a colmare. E
però in rispetto a questo grande problema il Cristiane- simo ebbe
il merito di tentarne per la prima volta la soluzione con il dogma di
Cristo, che é insieme uomo e Dio, l'universo finito e l' infinito. Di
qui tutta la filosofia nel Medio evo; la quale nel pen- siero
platonico trovò molti addentellati sin dai primi gnostici, che diedero
Alla religione un contenuto filosofico e alla filosofia un ufficio
religioso. E Origene, succedendo nel secondo periodo della
filosofia medioevale che é la patristica, rinnovella la dottrina
platonica, affermando la preesistenza delle anime umane e l'eternità
della creazione. Un'altra schiera di Padri si dedicava intanto
sopratutto alla parte pratica della filosofia cristiana, alla morale: fra
essi era Lattanzio, tanto caro a Francesco P.. Si giunge cosi ad
Agostino, al pseudo Dionigi e a Boezio, che, raccolto tutto il lavoro
precedente, diedero una meravigliosa filosofia cristiana; la quale,
per l'universalità propria del nostro genio, ninna parte trascurò della
filosofia psicologica, morale^ metafisica e politica. Ma, come è noto,
già è sorto con questi filosofi fiorente il misticismo. Il
misticismo per ciò non è solamente una fi- losofia speculativa, ma anche
una tendenza religiosa, e morale e politica. Il Bartoli, parlando del
misti- cismo del P., dice che esso fu « la peste bub- bonica delle
anime nel gran lazzaretto del Medio evo » (*): là frase è speciosa, ma
l'affermazione è troppo vaga. Già anzitutto il misticismo della
filo- sofia straniera è ben diverso dal misticismo latino: quello
fu sopratutto con lo Scoto e con l'Eckardt un'intuizione speculativa che
ebbe per confine la stessa filosofia: questo si diffonde per le
migliori menti e per il popolo, e ci dà un misticismo cri- stiano
che è tutto psicologico e religioso, come nel De imitaUone GhHati.
E questo carattere religioso e pratico che ebbe il misticismo in Italia è
il segreto del pensiero e del sentimento italiano nel Medio evo, e
sopratutto nel 1200 e nel 1300: esso, dice il Barzellotti (^), non
ci apparisce bene « se non quando lo cerchiamo nell'idea religiosa che
alimenta con la irrigazione secreta delle sue sorgenti sprizzate dal
cuore del popolo tutto il sottosuolo della vegetazione di quel-
l'età storica ». 11 sentimento religioso poi, irrigando il misti- cismo
italiano, per una parte tende spesso nel si- lenzio de' chiostri
all'ascetismo; per l'altra va ad alimentare quella fortissima corrente,
che derivando dalla nostra latinità ereditaria dà al pensiero ita-
liano un indirizzo costantemente pratico e romano e sociale (^). Così
la corrente cristiana e l'altra pagana, riu- nite nel sentimento
religioso, 'sboccano parimenti nel cuore del popolo; laddove i grandi
pensatori all'una o all'altra si aflBdano maggiormente: in Fran- I
Cesco P. poi si sogliono chiamare senz'altro misticismo e paganesimo, e
si equilibrano. » Né quest'equilibrio è cosa nuova: che
nella co- scienza italiana, come il Barzellotti dimostra, è tra-
dizionale la contemperanza fra religione e vita, fra Dio e la natura, fra
l'uomo e la società. Così l'isti- tuzione francescana, per esempio, oltre
che religiosa è al tutto democratica, e si diffonde fra il popolo
nelle manifestazioni sue letterarie e artistiche non solo, ma anche
politiche: laonde, venute di Germania le lotte fra guelfi e ghibellini, i
comuni si chiaman guelfi, benché in fondo non siano né guelfi né
ghi- bellini, o meglio siano l'una e l'altra cosa: nel senso che per una
parte vogliono il ritorno all'antica gran- dezza, rappresentata nel
concetto, non nel fatto del rinnovato Romano Impero; e per l'altra
vogliono la vittoria della fede, rappresentata dalla Chiesa di Roma
quale avrebbe dovuta essere, non quale era. Ond'è che il popolo italiano
non dà né seguito né scuola alle speculazioni di Ioachim de Flore,
l'unico mistico astratto sorto in Italia, e fra Salim- bene nella sua
Cronica dà a questi mistici visionari l'appellativo di uomini mezzo
pazzi; e non dà nep- pure séguito né scuola alle grandi eresie e ai
moti che non agitano un'idea politica e religiosa in- sieme: ond'é
che Dante nella sua Divina Commedia non fa neppure parola dei grandi
eretici di que' secoli e mette Federico II all'inferno. Né delle
grandi eresie e mistiche concezioni medioevali pure Fran- cesco P.
fa parola ne' suoi scritti (^); e Abe- lardo stesso, il grande maestro di
Arnaldo da Brescia che pur tanta comunione di idee doveva avere col
P., passa inosservato nel De vita solitaria^ e se ne dà la ragione con
queste parole: « Abelardo, ut audio, suspectae fidei » (^). « Da
S. Benedetto, da Gregorio Magno, da Lan- franco, da Pier Damiano a
Ildebrando, ad Anselmo d'Aosta, a Pier Lombardo, a Innocenzo III, a
Tom- maso d'Aquino, a Dante e a quanti altri si avvici- nano più a
questi, lo spirito latino romano ha con- cepito il Cristianesimo più che
come un ideale nuovo di vita tutto interiore che ogni credente debba
ri- fare a se stesso e vivere in comunione arcana con Dio, come una
forte disciplina della coscienza so- ciale che prenda il suo valore
principalmente dal- l'unità di consenso con cui essa opera su le
menti e per mezzo delle menti su le anime umane »: così il
Barzellotti; il quale molto giustaihente conclude che il. popolo italiano
al sentimento religioso con- giungendo la tradizione pagana prende da
quello ciò che a questa non repugna e riesce cosi, direi, a un
classicismo religioso che dà al cattolicismo italiano un carattere
profondamente diverso da quello delle altre nazioni d'Europa, anche delle
la- tine. Questo ci spiega perchè il Papato proteggesse
l'Umanesimo; e ci dice ancora che quella meravi- ghosa resurrezione delle
morte cose (come scrisse il' Machiavelli) non è infine che un risveglio
intenso di un innato classicismo, e che la nuova filosofia del
Rinascimento ha cause ben più remote che la presa di Costantinopoli.
Andrebbe dunque ben lungi dal vero, chi pen- sasse che il pensiero
religioso nel Rinascimento nostro filosofico fosse venuto a mancare:
neppure il Valla (') intese combattere il cristianesimo più che
nelle false interpretazioni che gl'ipocriti ne avevan date. E se
il Ficino e Pico cercheranno di conciliare paganesimo e platonismo col cristianesimo,
ciò non farà meraviglia più del P. che cristianeggiava Cicerone,
Seneca e Platone e credeva con quest'ultimo in un'esistenza futura di premio
delle anime nel cielo degli astri. Il pensiero religioso di
Francesco P. tende adunque per una parte, come in Francesco d'As-
sisi, a un idealismo cristiano che è spesso in an- titesi stridente con
la Chiesa di Roma divenuta una mitologia del cristianesimo e un potere
più che una fede; e per l'altra cerca nel classicismo un carattere
sociale e politico e letterario, cristianeggiando la fi- losofia antica,
combattendo le scuole del suo tempo che trascuravano la morale e
l'averroismo che av- versava la fede, e propugnando il sentimento
pa- triottico e la restaurazione della Repubblica o del- l'Impero,
che è la missione a cui Roma, come Agostino aveva dimostrato, era dalla
divina prov- videnza destinata. Il pensiero religioso e la
Scolastica - Dante e Platone - P. e Aristotele - P. e Averroe - P.
e Platone - Il criterio filosofico del P. è affatto religioso. Vero
filosofo è soltanto il buon Criatiano. E due correnti del
pensiero religioso che Imetton fóce l'una al misticismo e al guel-
fismo, l'altra al paganesimo e al ghibellinismo, confluenti nel cuore del
popolo italiano, divergono invece sempre più nelle scuole filosofiche del
pe- riodo detto defla Scolastica. Nella quale sono perciò a
distinguere due direzioni principali: la prima condusse al Nominalismo,
l'altra al Realismo; l'una fu un rinvigorire del misticismo, la seconda del
razionalismo : e dico anche del razionalismo, perchè non bisogna scordare
che nell'Italia meridionale la tradizione filosofica antica tenne sempre
in onore la speculazione razionalistica, che fiorisce poi alla
corte di Federico IL Così adunque Bernardo di Ghiaravalle, Ugo e
Riccardo di San Vittore e poi Bonaventm*a di Ba- gnorea videro l'anima
umana sciogliersi dal carcere del corpo e ricongiungersi nella pura
regione degli aspiriti e perdersi in Dio: il primo di essi mostrerà
nel Paradiso Dio a Dante; il quale, ritenendolo con Dionigi TAreopagita
piii che viro a dimostrargli la gloria di Colui che tutto ^ muove che è
il fine ultimo della Divina Commedia, diede a questa prima co- rona
de' filosofi scolastici, presieduta nel cielo del sole da Bonaventura,
molto più onore che non al- l'altra di cui è capo Tommaso d'Aquino. Per
che (so che mi si giudicherà eretico) io credo che la fi- losofia
di Bonaventura, richiamante il sentimento reUgioso italiano all'amore di
una vita profonda- mente cristiana e all'antica povertà francescana
é al culto della dottrina platonica, ch'ei stimò più conciliabile
dell'aristotelica con quella della Chiesa; essendo per ciò molto più
vicina all'indole del pen- siero italiano che non la filosofia di
Tommaso, che, come il Barzellotti notò {% « ebbe forse in se per
eredità qualche goccia di sangue normanno e te- desco »; mi pare, dico,
che il pensiero mistico e pla- tonico trovi nella Divina Commedia un'eco
molto maggiore di quella che comunemente si crede anche da valenti
filosofi. Certo essi esagerano quando in- gannati dall'onore reso nel
limbo al mastro di color chs sanno, cioè al conoscitore maggiore che fu
mai, dicono che la Divina Commedia è una Somma tra- dotta in versi
(^). Comunque sia, è noto che Aristotele in sul fi- nire del Medio
evo, sopratutto per colpa degli orien- taU panteisti, i quali più che
commentarne i Ubri tendevano a travisarne il pensiero, apparve
quale gigantesca minaccia contro la Chiesa e il sentimento
rehgioso. E già su la fine del duodecimo e il principìo del tredicesimo secolo
AiAimco di Bena e Da- vide di Dinantson condannati entrambi quali
ere- tici, e nel sinodo di Parigi nel 1909 si decreta che sia
proscritta da Parigi la lettura delle opere di Aristotele « de naturali philosophia
Sorge al- lora l'altra scuola della scolastica che movendo dal mite
razionalismo del credo ut intelligam di Anselmo, è tutta piena della
grande Somma del santo di Aquino. Questi, avendo vigorosamente
combattuto Averroe ("), si rivolse indi ai libri di Aristotele,
di cui si procurò la traduzione migliore che potè, e cercò di
vincere anche questo grande terrore della Chiesa, cristianeggiandone il
pensiero e incatenan- dolo prigioniero al trionfo del cattolicismo.
In verità fu una grande vittoria; ma degenerata in esagerazione e
ridottasi la filosofia a una formula sofistica, s'inizia l'ultimo periodo
della scolastica, che cade nel tempo del lavoro massimo di Fran-
cesco P.; il quale, visto il dissolversi del grande edificio, ne promosse
in Italia prima di ogni altro la distruzione. I maestri di
Teologia si eran ridotti a una pro- fana e bugiarda dialettica, e
imbrattavano il sacro nome di Dio facendo gl'indovini e gl'incantatori.
E la filosofia medesimamente era una logica dicace; e come le teologia
circoscriveva (dice P.) l'onnipotenza divina con 'gonfiati sofismi e a
Dio poneva stoltamente legge, così quella prese a disputare dei segreti
della natura con tanta leggerezza che parve spudorata. I dialettici
finirono col pren- dere sommo diletto solo della contraddizione, e
non gik di trovare il vero ma solo di altercare si pro- ponevano; e
gli scolastici in generale erano tutti ciarlieri e vanitosi e si davan
vanto di essere solo essi filosofi: ma la loro non era la vera
filosofia < che negli animi ha sede più che ne' libri e meglio
di fatti si nutre che di parole > (*^). Di qui la grande guerra mossa
ad essi da Francesco P. per tutte le sue opere, nelle quali si mostra
acerrimo nemico della filosofia contemporanea. Ma in quest'opera
di distruzione è merito gran- dissimo del P. l'avere salvato sempre il
ri- spetto e il nome di Aristotele. « O esotica dottrina (egli dice
de' dialettici e degli scolastici) (^*) e mai non sognata da
quell'Aristotele di cui costoro infa- mano la memoria! »; e altrove: «
essi si coprono con lo splendore del nome di Aristotele; ma Ari-
stotele, uomo di ardentissimo ingegno, delle più sublimi cose a vicenda e
disputava e scriveva. E se così non fosse, onde sarebbero a noi venuti
tanti volumi, obietto di immensi studi e di sterminate vigilie? ) Che
se alcune volte dovè schierarsi contro la dottrina aristotelica, egli
fece ciò molto rispettosa- mente, come non di rado fa con Cicerone e
con Seneca e con Platone medesimo. E se si trovò a doverne diminuire
la fama tanto per lui preziosa, di eloquenza, egli premise che avendo
scritto Ari- stotele di retorica e di arte Qpetica valorosamente,
riteneva per certo che i traduttori latini o per pi- grizia o per invidia
o piuttosto per ignoranza l'ave- vano guastato (*®). Egli per ciò
sostenne fortemente che s'ingannavan tutti trovando tracce
d'eloquenza nelle traduzioni aristoteliche; e mise così grande
desiderio di conoscere le dottrine nel testo, come poco di poi accadde.
Credo che si possa concludere che anche per P. Aristotele è il
ìnaestro di color che satino^ inteso nel senso delle parole su citate. Ma
ciò non toglie ch'egli non potesse preferire Platone ad Ari-
stotele per ragioni che ora vedremo. Del resto il grande colosso non era
stato debellato dal grande d'Aquino? e P. non era libero ormai di
sce- gliere quella filosofia che più gli piaceva? Neppiu'e nel De
8ua ipsius et multorum igno- rantia egli mosse guerra al culto delle
aristoteliche dottrine, ma all'arabo commentatore e ai presun- tuosi
suoi seguaci. Il grande panteista aveva inti- morito il Medio evo col suo
pensiero incredulo che si rivolgeva sopratutto contro il cristianesimo.
San Tommaso lo combattè valorosamente: tuttavia la vittoria non fu
forse compiuta se alla metà del se- colo XIV frate Urbano per il suo
commento ad Averroe era con titolo d'onore chiamato Averroista
philosophus 8ummu8, e Pietro d'Abano esaltava Averroe nel Conciliatore. E
Dante, piuttosto che nel cerchio degli eresiarchi, perchè l'aveva
collocato nel castello de' sapienti con gli spiriti magni? Il
Renan (^') non sa rendersi ragione per che P. si schierasse contro
l'averroismo. Al- cuno gli ha risposto che P. confessava di sentire
ripugnanza per tutto ciò che venendo dagli Arabi tendeva ad ecclissare la
gloria del genio clas- sico: (**) sarebbe insomma una ragione al tutto
uma- nistica. Mi pare che sarebbe meglio dire che egli doveva aver
poca simpatia per un popolo maomet- tano che con i Turchi contribuiva a
tener schiave le terre che videro il grande dramma di Cristo (^®).
Ma ad ogni modo la ragione vera non è neppur questa. L'averroismo,
che rappresentò per alcun tempo la libertà del pensiero contro le scuole
teologiche, > aveva preso nell'ultimo quarto del secolo XIV in
alcuni luoghi d'Italia un significato tutt'altro che fi- losofico,
tentando di rovesciare non solo il cattoli- cismo ma ogni pensiero
religioso e di instaurare l'empietà (*^) : e contro di esso P. già
vecchio combattè una memorabile battaglia. Ma da che quella setta
più che filosofica era in alcuni luoghi, come in Venezia, divenuta
scuola d'irrehgione; cosi non è poi a far meraviglia, come molti
fanno, che nel De stia ipsius egli combatta Averroe non con argomenti
strettamente filosofici, ma con pensiero essenzialmente religioso. Né
scrisse per bile, avendo preso la penna solo dopo un anno e più da che
seppe delle critiche de' quattro averroisti veneti, mentre un dì
risalendo le acque del Po si sentì annoiato del non far nulla. Da
molto tempo inoltre egli aveva pensato di scri- vere qualcosa di simile,
anche prima che Donato lo spingesse a ciò ("). Quando mise alla
porta quel- l'averroista che in presenza sua e in sua casa be-
stemmiavo, di Cristo e della sacra Scrittura e del Cristianesimo, lo
accompagnò con queste parole: « Vecchia è per me questa contesa con altri
eretici pari tuoi ». E altrove scrivendo ad Antonio, figlio di
Donato, gli raccomanda di tenersi lontano dal- l'averroismo: « sii
divoto, cerca la scienza, ma più di quella la virtù. Averroe, nemico di
Cristo sia da te fuggito come nemico. Così che il De sua ipsius in fondo
è un trat- tato scritto non contro Averroe, sì bene contro l'ir-
religione che ne' suoi tempi imperava sovrana ("). Ne tuttavia al P.
sfuggiva che la corru- zione religiosa aveva la sua radice nel pensiero
fi- losofico; e con tutta sincerità, invece di far pompa di
un'erudizione che a lui dopo i lavori di S. Tom- maso e di altri non
doveva, credo, esser difficile procurarsi; impedito di approfondire la
sua scienza filosofica dalle molte faccende e dalla salute tristis-
sima; scrisse al padre Marsigli agostiniano, affinchè si preparasse con
profondi studi a scrivere: « un trattato contro quel rabbioso cane ch'è
Averroe, il quale agitato da infernale furore, con empi latrati, e
con bestemmie da ogni parte raccolte, oltraggia e lacera il santo nome di
Cristo e la cattolica fede »: e aggiungeva: <f Io, come sai, vi posi
mano; ma parte per le faccende mie cresciute a dismisura, parte per
manco della necessaria scienza fui costretto a de- porre il pensiero.
Se la battaglia contro l'averroismo fu fiera, ben- ché tarda
e breve; ciò non avvenne della lotta contro i nemici di Platone, la quale
occupa gran parte della vita e dell'opera sua. Quali scritti di
Platone conosceva P.? Si suol credere che solo del Timeo tradotto da
Gal- cidio avesse egli conoscenza. Certo egli ne posse- deva le
opere in greco e alcune di. queste cono- sceva almeno in parte.
Contro i denigratori di Platone così egli scri- veva: « Ho io a casa
sedici e anche. più (sexdecim vel eo amplius) de' libri di Platone: ed
essi dicono che ne ha scritto uno o due »; e aggiunge: « stu-
pebunt si haec audient >►. E però il Fiorentino nota giustamente: «
Una certa meraviglia farà anche og- gidì il sapere che non solo in greco,
ma tradotti in latino -aveva P. alquanti dialoghi non visti per lo
avanti; perchè di questa traduzione non han fatto menzione neppure coloro
che han discorso de' platonici libri posseduti dal gran poeta » (-^).
Infatti P. afferma (*') che egli di Platone possedeva tutto ciò che
da' latini fu nella lingua patria tradotto; e il resto egli, pur non
giovandogli, tuttavia si dilettava vedere nella greca veste; e
proponeva di dedicarsi allo studio di questa lingua: « né voglio
(egli scriveva vent'anni prima di morire) al tutto deporre la speranza di
fare in questa età alcun pro- fitto, sapendo che tanto ne fece Catone
nell'estrema vecchiezza ». Ora si noti che le lezioni di greco, da
Barlaam impartite al P., sebbene brevi, pur non dovettero essere, io
credo, un esercizio affatto grammaticale, come a' dì nostri costuma nelle
prime scuole; ma probal)ilmente esse eran date su i testi stessi di
Platone: e non è poi strano a pensare che Barlaam stesso gli facesse de'
brani principali la traduzione (*^). So bene che di tutto questo non
si può recar prove certe; ma d'altronde non posso cre- dere che P.,
il quale cita sempre le dot- trine degli autori a lui cari riferendosi o
al testo o all'autorità di alcun altro che egli nomina sempre (sì
che giunge, come nel Rerum Meìuorandarum, a notare le parole e le frasi
ch'egli prende a prestito da Cicerone o da Seneca o da altri), parlasse
poi più volte del Fedone, del Critone (*^) e del Fedro e del De
Repubhca e del De Legibus e dell'Apologia senza conoscerne più o meno
adeguatamente al- cuna parte (^^). Certo oltre il Timeo anche il
Fedro era stato tradotto in latino, come attesta Coluccio Salutati
(^*); laonde si può tener per fermo che in Italia, non solo prima
della venuta de' greci, ma prima ancora che Leonardo Bruni desse
principio alle note traduzioni, Platone era stato in parte tradotto. E in
ogni modo P. conosceva la dottrina plato- nica più e meglio che per i
libri di Cicerone e di Agostino, nei quali essa è o monca o nascosta
o trasmutata, per il libro non inelegante di L. Apuleio Medaurense
intitolato De Platone; nel quale oltre che la vita sono esposte di
Platone tutte le dot- trine: « De Deo, de Ideis, de mundo, de anima,
de natura, de tempore, de stellis erraticis, de anima- libus, de
providentia, de fato, de daemonibus, de fortuna, de partibus animae et
corporeo singulari domicilio, de sensibus, de figura corporis
humani ac dispositione membrorum, de divisione honorum, de
virtutibus, de triplici virtute ingeniorum, de tri- bus causis
appetendorum honorum, de voluptate,^ de labore, de amicitia
inimicitiaque, de turpi amore, de trihus amorihus, de speciebus
culpabilium ho- minum, de statu et morihus atque exitu sapientis^
de civitatibus,. de Repuhlica deque eius institutione legibusque optimis
> (^^). Come si vede sono in questo schema contenuti tutti gli scritti
di Platone, e forse esso è, direi, il riassunto che delle
platoniche dottrine P. avea fatto. Or quale fu la cagione, per la
quale P. a dispetto della filosofia contemporanea preferì Pla- tone
ad Aristotele? — Il Voigt, e dietro lui molti altri, movendo
dall'affermare che P. non conosceva le dottrine né dell'uno né dell'altro
('^)^ danno risposte molto varie: trovando la cagione o in un
innato sentimento di simpatia; o nel desiderio di contraddire, levando il
primato ad Aristotele, alla filosofia del tempo; o nel volere P.
seguire costantemente il giudizio di Cicerone e di Agostino. Le
quali cose sono tutte vere; ma oltre che rimpic- cioliscono grandemente
l'opera del grande Aretino^ mi pare che non colgano il suo pensiero
principale. In tanta idolatra adorazione del nome di Arw stotele
si era arrivati al punto che un amico del P. gli scriveva confessando
candidamente di credere che Platone fosse un poeta e non un filo-
sofo. A lui fra meravigliato e indignato rispondeva P. f ^) : «
l'universale consenso dei dotti ha proclamato Platone principe de'
filosofi. Cicerone, Agostino ed altri mille, mentre Aristotele in tutti
i loro scritti mettono sopra gli altri filosofi, eccettuan sempre
Platone: or come tu vorresti farlo poeta? — Tullio in certo luogo delle
lettere ad Attico non chiamò Platone suo Iddio? Tutti o in un modo
o nell'altro dicono divino l'ingegno di Platone »; e altrove invoca
anche molte altre autorità, quali Se- neca e Apuleio e Plotino « comecché
insigne ari- stotelico ) f ^), e Ambrogio e Agostino. Ma non
l'autorità solamente valse a fargli pre- ferir Platone. Né d'altronde io
oserò affermare che egli per conoscenza delle dottrine platoniche e
ari- stotehche fosse in grado di tentar la soluzione di quell'arduo
problema che poi affaticò tanti insigni intelletti. Egli è persuaso che
Platone fosse divino per ingegno e insuperato, e che Aristotele fosse
un d<iemonium di scienza: sa che alla sentenza di CICERONE (vedasi) e
di Agostino si oppone il grande Averroe che preferisce Aristotele a
Platone, ma non osa nep- pure di tentarne la confutazione e canta:
^ Non nostrum inter nos tantas componere litas » (^^). Che se nella
questione filosofica egli dovè confessare di non poter esser giudice, non
così fu nella parte religiosa della questione. P. aveva notato che
Platone intorno a Dio e alla crea- zione la pensava come i filosofi
cristiani; laddove Aristotele se ne scostava grandemente,:dicendo
che il mondo non aveva avuto principio, e negando così la,
provvidenza divina che Platone aveva ammessa (®'), Spesso poi nota che
alla filosofia di Platone unus fuerit philosophandi finis et vivendi. E
se nel De remediisy oltre ad altre cosuccie, lo biasima me-
ravigliato che vecchio cedesse alcuna volta alla lus- suria, pure (forse
pensando a ciò che a lui giovine era avvenuto) non manca di osservare che
per tutto il resto il grande Ateniese fu di ottimi costumi, e morì
di ottantun anno, numero phe contenendo due volte il nove per fattore
attesta la santità della vita sua (^^). Tornando ora alla dottrina
platonica, egli ammirava quanto profondamente avesse gittato lo
sguardo nella intimità dell'anima umana, e vedesse ciò che prima era
misto e confuso divenire segre- gato e distinto: perocché «> seguendo
la scorta della natura » vi scoperse la triplice sede dell'anima,
cioè la triplice manifestazione sua (^^) dell'ira nel petto, della
concupiscenza sotto i precordi, della ragione nel capo come in munita
rocca quasi a indicare « l'impero e la sovranità di lei su le umane
pas- sioni » (^^). Inoltre P. osservava acutamente che Platone per
primo aveva congiunto la filosofia naturale, appresa alla scuola italiana
di Pitagora, alla morale e razionale filosofia, appresa alla scuola
di Socrate: e ne concludeva aver la filosofia plato- nica per questa
triplice unione quel carattere di universalità che le altre filosofie non
ebbero (*^). A questi pregi filosofici poi egli aggiungeva un
pregio tale che, tutti gli altri superando, bastava a mettere Platone
molto al di sopra di Aristotele: vo' dire l'avere veduto e dimostrato
l'immortalità del- l'anima, che è il fondamento della vera morale:
questo era tal punto che diede poi travaglio anche a profondi filosofi
(**). E P. lieto di ciò; convenendo con Cicerone che nel De
Republica, parlando della salita delle anime al cielo, aveva detto
che sarà tanto più agile quanto più vissero peregrine al carcere
corporeo; nota che tale è il pen- siero di Platone nel Fedro: « nihil
aliud esse phi- losophiam nisi meditationem moriendi, ubi duae
designantur mortes, altera naturae virtutis altera, quarum primam
nullatenus nec accersendam nec timendam, sed aequo animo expectandam Non
par egli di sentire già il cantore de' Trionfi e della morte non più
triste delle ascetiche contem- plazioni, ma bella nel viso di Laura?
E qui P. confessa di credere con Pla- tone nell'esistenza futura
delle anime negli astri (^^), dove è la vita di perfetto amore: della
dottrina pla- tonica dell'amore è, si può dire, un vivo commenta
gran parte del Canzoniere. # « « Ora tutte queste
osservazioni, e altre ancora che per non uscir da' limiti importimi dal
tema tra- lascio, io credo che abbiano una remota e viva sorgente
nel pensiero cristiano di Francesco Pe- trarca, il quale credeva in un
rapporto ben piti che casuale fra la dottrina platonica e la
predicazione di Cristo {''). Egli dice che Platone solo fra tutti
i filosofi an- tichi ebbe sentore della nuova fede: perocché ne'
suoi viaggi in Egitto avrebbe avuto notizia e cono- scenza della bibbia e
della predicazione profetica. Tale credenza ch'egli derivava da Apuleio e
da Ago- stino era stata un tempo tema di molte dispute; tanto che
alcuni eretici avevano anzi detto che Cristo non predicasse infine che le
dottrine platoniche. Agostino stesso del resto aveva, come anche il
Pe- trarca notò (*®), trovato ne' platonici quasi tutto il proemio
del vangelo di S. Giovanni (in principio erat verhum etc). E P. si
diffonde con evi- dente compiacenza su questa questione, e
conclude: « nemo dubitat quanta sit inter illìus opinionis et
Christianorum fidem paritas »; si legga, ei dice, il settimo libro delle
Confessioni di Agostino, « ubi reperietur in omnibus fere quae de verbo
Dei di- cuntur a nostris Platonem consentire, praeterquam in
susceptione humanae carnis, ubi non contrad- dixit ille, sed siluit ). Filosofia
della religione- Paganesimo e Cri- stianesimo - Se P. sia Cattolico -
Colui che fece per viltade il gran rifiuto. Cristo più propizio che
mai allora si dimostrò quand' era di creta ». I pare
che si possa sin d' ora concludere^ 'che il pensiero filosofico di
Francesco Pe- trarca non si può comprendere se non se ne cerca la radice
nel pensiero religioso. Anzitutto è innegabile che egli al pari di
tutto il Medio evo, come si disse, sentì il bisogno for- tissimo di
una fede; ma in lui oltre che il senti- mento è anche un manifesto
concetto religioso. Nel De ocio religiosorum (^') P., pre-
nunziando pur lontanamente il Renan, risale al- l'origine e alla storia
delle religioni positive; e trova che avendo voluto i re antichi
eternarsi nell'arte, i successori ne fecero dei: sic paulatim religiones
esse ' coeperunt. Vede sorgere così nell'Egitto il culto di Iside,
presso i Mauri di luba, presso i Macedoni di €abiro, presso i Cartaginesi
di Brama, presso i La- tini di Fauno, presso i Sabini di Santo, presso
i Romani di Quirino, presso gli Ateniesi di Minerva,^ in Samo di
Giunone, in Pafo di Venere, in Lemno di Vulcano, in Nasso di Libero, in
Delo di Apollo. I poeti contribuirono alle leggende, e co' poeti gli
artefici, come in Grecia. Ma, egli aggiunse, questi dei furono uomini, e
Cicerone stesso nelle Tuscu- lane questo affermò. Ma la religione vera
deve es- sere quella che fa capo a Dio veramente. Ed ecco
presentarglisi allora le religioni medioevali: l'ebrai- smo, il
maomettanismo, l'averroismo, il manicheismo e l'arianesimo; e' vistele
tutte cadere nella contrad- dizione conclude: « sì Christo non creditur,
cui cre- ditur? »: all'Anticristo no, perchè egli verrà come
nemico; al Messia futuro no, perchè egli è già venuto. Né tuttavia
si dissimula la difficoltà di credere all'incarnazione, alla concezione,
alla risurrezione di Cristo: « magna sunt, fateor, sed quid horum
omnium impossibile Deo est? >. Inoltre egli vedeva in tutta la
religione pagana e ne' suoi scrittori una lenta preparazione dell'idea
cristiana. Le profezie stesse della Sibilla Cumana s'accordano
meraviglio- samente al racconto .de' libri santi, sì che un evan-
gelista, dice, non avrebbe potuto parlar più chiara- mente: e un'eco
degli oracoli cumani ei vide, come è noto, in Vergilio. Ed ecco Platone
essere il filo- sofo vero perchè in tutti i suoi libri cerca il
Sommo sd Unico bene ('**); e a Platone succedere, soltis imi-
tator, Cicerone, al quale P. in più di una questione presta fede maggiore
che agli scrittori cat- tolici (*®); e a Cicerone succedere poi Agostino
che, mentre Girolamo in sogno sentiva rinfacciarsi dal giudice
eterno il nome di ciceroniano, egli al contrarlo non solo pasceva la mente dei
libri di Pla- tone e di Cicerone, ma confessava chiaramente avere
in essi trovato gran parte della cristiana religione e per essi dalle
fallaci speranze e dalle vane con- tese essersi rivolto alla
contemplazione dell'unico vero (^°). Ed ecco infine P., come in
Pla- tone l'eco delle ebraiche profezie, così in Seneca trovare
tanta somiglianza con la cristiana dottrina che non dubita il romano
filosofo esser stato in re- lazione epistolare con san Paolo (^*).
Ed ecco dunque misticismo e razionalismo, fede j e paganesimo fondersi
nel pensiero religioso di Fran- ^ Cesco P.. Al quale è quindi inutile
affatto chie- dere a quale scuola filosofica egli appartenga; pe-
rocché così risponderebbe: « io una volta sono Peripatetico, un'altra
Stoico, talora Accademico e tal'altra non sono nulla di tutto questo,
quando cioè si tratti di alcuna filosofia che alla vera e santa
fede nostra sia od anche paia essere in contraddi- zione. Dentro questi
confini soltanto è lecito a noi seguire le filosofiche sette, finché cioè
non repu- gnino al vero e dall'ultimo fine non ci allontanino. Se
mai di questo si corresse pericolo, a Platone,, ad Aristotele, a
Cicerone, non ostante la sottigliezza di argomenti eleganza di stile
autorità di nome, si volgano pur le spalle. Insomma, siccome suona
il nome di filosofia, se vogliamo esser filosofi, dob- biamo amare
la sapienza: e poiché sapienza vera f di Dio é Gesti Cristo, ad essere
veri filosofi lui sopra tutto dobbiamo amare ed adorare: e in tutto e
per tutto dimostrarci cristiani. Perocché soltanto il Cri-
stianesimo è oggi la vera filosofia (^*). » « È egli P. nel
sìw pensiero altrettanto cattolico, quanto cristiano? La risposta è più
diffi- cile a darsi di quel che non paia. Certo se per cat-
tolicismo intendiamo le pratiche esterne del culto che accompagnano la
fede, egli è cattolicissimo, adempiendo scrupolosamente i propri doveri
reli- giosi (^^). Ma nelle sue opere egli non parla mai né
di dogmi della Chiesa né di santi né di miracoli ("):
l'inferno ha perduto il suo fuoco, e il Papato il suo entusiasmo. Non
parlo delle lettere aine tiiulo <5he sprizzan fuoco diabolico sì che
il pio Fracas- setti si rifiutò di tradurle perché, disse, indegne
non pur di cattolico ma di uomo ragionevole. Ma in una lettera
senile (^^) egli annovera fra le quattro tentazioni della vita cristiana
le continue crisi e le battaglie interne create dallo stato della Chiesa;
la- sciando così intendere chiaramente che gli scandali del Papato
potevano a ragione indurre nella tenta- zione del dubbio su la veracità
delle dottrine eccle- siastiche la mente del credente. E nel De vita
so- litaria (^*) egli dichiara apertamente che la cattolica fede
aveva sofferta la maggiore iattura per colpa della Chiesa. E nel Be
remediis (^') ricorda che i pontefici antichi non avevano tante
ricchezze: essi erano guide del cristianesimo sacre al martirio.
Oggi invece, egli dicessi usano tutte le turpitudini per giungere al
papato: « quod sacrìlegium, pudendum vel diclu est, magnis saepe
muneribus quin et pactis et sponsionibus spes enitur sacerdotii
pinguioris »; e segue: « Ghristiano homini quomodo liceat am- bire
Pontificatum non video. Non modo largitione profusissima, sed, quod non
multo minus est, tur- pibus blanditiis atque mendaciis indignis viro
arti- bus sed comunibus adeo ut hasc fere iam unica sit in altum
via ». « Queste parole ci danno chiaramente la ragione
della diversità del pensiero petrarchesco da quello di Dante in una
questione non priva d'importanza. Dante guidato da un pensiero politico,
aprendo rinferno vede affacciarsi per primo un Papa: Cele- stino V,
colui che fece per viltade il gran rifiuto (^*). 11 P., che conosceva già
l'Inferno dantesco, forse anche al verso del grande fiorentino
pensava quando nel De vita solitaria ci presentò Celestino con
queste parole: « (il suo rifiuto) vintati animi quisquis volet attribuat,
licet enim in eadem re prò varietate ingeiniorum non diversa tantum sed
ad- versa sentire »; ma per lui Celestino V, che non salì mai il
trono pontificio, è il pontefice più grande, e si duole grandemente per
pochi anni di differenza di non averlo veduto. E si rallegra che altri
molti dell'ordine suo religioso abbiano rinunciato alle alte
cariche ecclesiastiche; e soggiunge: « irrideant igitur, qui viderunt
quibus prae fulgore auri et purpurae squailidus opum spretor et paupertas
sancta sor- debat, nos hominem hunc miremur »; e finisce con acre
ironia ringraziando Iddio di aver dato al cri-^ stianesimo siffatta
pusillanimità (pumllanimitatem huiuncemodi). E non solo al papato
dà sì forti rampogne, ma arriva ben anche a inveire contro l'oro e le
gemme e l'argento che adornano gli altari (^°). Cristo, egli dice,
più propizio che mai si di- mostrò quando era di creta: voi dite di far
questo per onorarlo, quasi che egli non amasse maggior- mente le
Spoglie dei poveri, la virtù e la devozione. E, aiutandosi oltre che col
Vangelo anche con le sentenze di Seneca, conclude: « dell'oro vostro
Cri- sto non sa che si fare, né delle vostre superstizioni ei punto
si piace: non altro egli chiede che buone opere, onesti pensieri, umili
desideri di cuore mondo e puro. Com'entra l'oro fra queste cose? » (^*).
Né con questo io credo di aver posto ben in chiaro il pensiero del
P. su la Chiesa: so bene che occorrerebbe una più minuta ed esatta
disa- mina. Ma credo che non a torto Paolo Vergerlo ih Giovine e
Matteo Francowitz furon tratti ad anno- verare P. fra i precursori di
Lutero; e a ragione il Fleury espresse dubbi su la ortodossia di
lui. Filosoficamente poi si può affermare che il pensiero di P. è un
ritorno alle pure scaturigtini della predicazione di Cristo, e
alimenta la grande corrente di sano misticismo che a traverso le diverse
lotte filosofiche e le op- poste scuole sboccò terribile nella riforma
dopo più di un secolo (^*). IV Se P.
sia un mistico - Varie specie di misticismo - Il De vita solitaria - Il
De ocio religio- sorum - Ascetismo e sano misticismo.
« Vita Solitaria liUerarum ignaris gravior ntorte et mortem alkUura
». L misticismo è la più alta espressione filoso-
fica del concetto e del sentimento religioso. È quindi necessario
affrontare- questo problema, intorno al quale molto si parla, ma poco si
chia- risce nei libri che, specialmente negli ultimi tempi,
trattarono dd P.. Innanzi tutto è bene intendersi: non credo che
si possa parlare di una vera scìwla mistica in Ita- lia: il misticismo è
una qualità comune a molti si- stemi filosofici che sono infine ben
diversi, come quelli di Agostino o del pseudo Dionigi o di Bo-
naventura. Poi c'è un misticismo non di sistema filosofico alcuno, ma
scaturiente dal sentimento re- ligioso popolare: il quale assume
anch'esso infinite gradazioni, come, per esempio, nella predicazione
francescana o nelle profezie ioachimite. Negare nel P. un concetto e un
senti- mento mistico, come alcuni han fatto, non mi pare che
risponda a verità: e neppure io credo giusto il considerare con disprezzo
il misticismo del P.,.come il Bartoli e molti altri fanno, quale un
ritorno à forme viete di filosofia e di regresso civile. Intanto P.
già toglieva alla teologia tutta la parte arida e dogmatica, quando,
oltre che parlare con disprezzo de' teologi del suo tempo, so-
steneva, anche con l'autorità di Aristotele, non es- sere la teologia
altro che un poema che ha Dio per subietto (®*), e ricordava che i primi
teologi furono poeti. Po i egli nella storia dell' uman genere
non vide più con Agostino tutta una provvidenziale pre- parazione e
una mistica rappresentazione di una futura città di Dio: che anzi qua e
là in numero- sissimi passi delle sue opere comincia con lui la
filosofia e la critica della storia intesa nel senso moderno {^% e con
lui veramente si passa dalla città di Dio di Agostino alla città terrena
dell'uomo. Queste cose considerando si potrebbe forse conclu- dere
che i tanto decantati rapporti fra P. e la filosofia agostiniana sono in
verità molto mi- nori di quello che si crede. Si consideri infatti
che, sebbene gli elogi e gli entusiasmi del P. per Agostino siano,
più che numerosi, continui; tuttavia egli di Agostino cita sopratutto
quella parte filoso- fica che ha rapporto con il sentimento e il
concetto religioso e cristiano (**). Inoltre prendete le Confes-
aiones, che è il libro più caro al P., e voi v'av- vedrete che egli
mostra appena di aver compreso che la grandezza sua è negli ultimi libri
che sono affatto metafisici, rappresentando l'ultimo volo di quella
mente altissima (®^). Più ancora egli si scosta dal misticismo più
vero che è rappresentato dal De lerumlem CoeiesUy e che nel Paradiso di
Dante ha sì grande cantore {^% San Paolo e Dante discendendo dal Paradiso
si con- tentarono l'uno di tacere, l'altro di cantare: vidi cose
che ridire né sa né può qual di lassU discende. Lo spirito umano,
secondo Dionigi, sale a Dio, cioè alla verità, solo con l'aiuto delle
schiere ange- liche, le quali mentre ne aiutano la salita, col loro
frapporsi vengono anche a ritardarla; e la natura ugualmente, pur essendo
scala a Dio, è anche l'osta- colo maggiore che ce ne toglie la visione.
Al più si può dire che alcune volte P. sale a cime tanto vicine
all'idealismo che rasentano il misticismo filosofico: così egli crede che
alcuno possa aliqtw afflatu divino divenir dotto uomo, in virtù di
un maestro celeste « qui intus in anima docet hominem scientiam »: e par
un ioachimita o un* precoce ontologo. Ma chi ben osserva s'accorge
subito che egli anche una volta riduce la questione filosofica a una
questione religiosa, affermando quod hoc non solum vera religio sentii,
sed gentilis quoque consentii auctoritcts (*^). E altrove dice che
laddove delle umane cose la verità per esperienza ci si mo- stra,
di Dio invece nulla sappiamo se non ciò che dalle cose visibili può
opinarsi (^*). * « P. adunque liberato avendo, al dir di Carducci
("*), Yumano dai vincoli teologici e mistici, « senti che la natura
non è condannata, che non è abominazione quello che umanamente si agita
in un petto d'uomo, che il bello è bene, che la vita ha il suo
ideale, che l'anima si nobilita da sé idea- lizzando se stessa ». P.
infatti ne' suoi libri De vita solitaria e De ocio religioaorum non si
discosta meno che al- trove dalla tendenza mistica che condusse gli
an- tichi asceti ne' deserti della Tebaide o a popolare i chiostri
per tutte le parti del mondo cristiano. Consideriamo brevemente il primo
trattato che è quasi prefazione all'altro, come P. stessa ci
avverte. Egli sin dal principio confessa bene di sapere che altri
santi avevan scritto della vita solitaria, e fra essi Basilio; ma non ne
conosce che- il titola (De solitaria^ vita^ latidibus); e non si è dato nep-
pure pensiero di prepararsi a scrivere con lo studio de' predecessori
suoi, fidando nella propria espe- rienza e nell'animo proprio. In verità
la ragione è questa, che egli avrebbe fatto una fatica inutile e
avrebbe perduto il tempo. Egli esalta la solitudine non per se stessa, ma
per i beni che arreca, fra i quali primi la libertà e Vocium. La
solitudine del P. non è una specie di misantropia come di- cono,
fra gli altri, il Ginguené e il Bartoli: tutt'altro; che anzi egli non
pretende di imporre una regola ad .alcuno, convenendo che ognuno segua
l'indole del proprio animo: a me, egli dice, « non tam pròprio studio
alìove monitu ut ita sentirem quam na- turae ipsius persuasione consultum
est > ('^). Tanto è vero ciò che confessa di aver scritto questo
trat- tato non per gli altri, ma per sé ('^). Egli vedeva nella
vita solitaria l'ideale della vita letteraria: « quod vita solitaria
litterarum ignaris gravior morte et mar- tem allatura videàtur » ('*).
Naturalmente l'uomo so- litario del P. non ha che vedere con l'uomo
selvaggio del Rousseau: in primo luogo perchè egli parla non ai fanciulli
né agli uomini ignoranti, ma a chi già per educazione e per studio sa
approfittare di quella vita ("); poi perchè protesta di non
volere in alcun modo andar contro alla socialità dell'uomo; che
anzi vuole che la solitudine sia rallegrata da una eletta schiera d'amici
e sia così un lavorìo col- lettivo fecondissimo, un ocium operativo e
utile alla società: « volo solitudinem non solam, ocium non iners
nec inutile sed quod e solitudine prosit multis. i}ui enim ociosi prorsus
eos miseros consentio, qui- bus nec honesti actus exercitium nec nobilium
stu- diorum... ». E al Patriarca di Gerusalemme, al quale aveva
diretti i due libri intorno alla vita solitaria, già si accingeva, se
quegli non fosse morto, a scri- verne altri due su la vita attiva: segno
questo che fra le due opere non doveva essere contrad- dizione
('*). Concependo così la solitudine quale luogo in cui l'uomo, non
distratto dalle corruzioni delle città, può con lo studio essere utile
alla uma- nità, alla quale vuole che i propri studi sian tra-
smessi ("), P. giunge alla vera definizione — 52 —
della vita solitaria chiamandola vita filosofica ('^). Nella
solitudine infatti egli ebbe ispirazione e agio a scrivere la maggiore e
miglior parte delle sue opere ("). Nel De vita solitaria egli
ha trattato della soli- tudine del luogo; ma avverte che ve n'ha
un'altra: quella dello spirito, che chiama ocium: la prima è la
preparazione della seconda ('^). E scrivendo il P. in forma epistolare ai
monaci della certosa di Montrieux non è però a meravigliare che,
trat- tando della solitudine per quella parte che a mo- naci
s'addiceva, la vita filosofica divenga vita reli- giosa nel De ocio. E
non mi par giusto dire che questo scritto sia tutto un arido ascetismo:
prima, perchè in esso si parla di molte cose che son tra
filosofiche e religiose; poi, perchè il vacate ut va- cetis che è
l'intonazione del trattato va inteso nel senso di non Idborare, e il
laborare è definito: cur- rere post concupiscentias ('^), ossia menar
vita mondana e immorale. Che se alcune volte, come nel primo libro,
paia ad ora ad bra ri|:ornare il suono di quelle parole: quid prodest
liomini ecc.; e nel se- condo: vanitas vanitatum ecc.; e se P. vede
gli angeli scendere dal cielo a tener dolce compagnia all'uomo che vive
in solitudine (^^): io non negherò che il misticismo di Gersone non abbia
lasciato in questi trattati alcun vestigio qua e là. Si tenga pre-
sente che il Medio evo non era ancora passato. Inoltre io* ricorderò che P.,
scrivendo st Marco amico suo (**), che voleva farsi frate, dopo
avergli mostrato il pregio maggiore della vita poli- tica spesa in
servigio della propria patria in con- fronto con la grettezza della vita
claustrale, lo dis- suade da tal pensiero: e poteva citargli anche
il proprio esempio. « « Del Secretum parleremo più innanzi.
Intanto noto che molto erroneamente seguitano alcuni a chiamarlo De
contemptu mundio e lo confrontano poi al De contemptu mundi di Innocenzo
III, che il P. forse neppure conosceva. Quest'opera del noto
pontefice è veramente un trattato ascetico, lad- dove il Secretum è la
storia veridica dell'animo del P., che in esso trasfuse la foga del suo
cuore innamorato di Laura e della gloria. Né il De Giovanni (^*)
pure credo che colga il vero quando lo riavvicina al De contemptu
saeculi di san Bonaventura, che volle davvero con esso persuadere
gli uomini a lasciare il mondo e a ri- tirarsi a Dio. Senza dire che
anche questo trattato non ha, per l'argomento, che vedere con le
intitna confessioni del P. (che tale infine è il signifi- cato del
Secretum); ma basta guardare alla conclu- sione del filosofo serafico per
persuadersi che siamo ben lontani dal pensiero dal P. espresso nel
Secretum e negli altri trattati su detti: « Fugite et salvate animas
vestras. Convolate ad urbes refugii,^ ^d loca videlicet ubi
possitis de praeteritis agere poenitentiam, in praesenti obtinere
gratiam, et fi- ducialiter futuram gloriam praestolari * ("). Il
Pe- trarca non ha mai parlato in questo modo, che è la negazione
della sua solitudine e del suo ocium, €ome abbiamo notato. Non si
parli dunque di arido ascetismo. Né tut- tavia si neghi che il sentimento
religioso del Pe- trarca non ascenda alcune volte a un mite e sano
misticismo. Imperocché anche a uno spirito sano e pur sin-
ceramente religioso, il quale pensi che a questa mortai vita un'altra ha
a succedere, nella quale si vedrà la vanità di ogni operazione e di ogni
pen- siero che non vadano al bene, può avvenire, io penso, di
scrìvere e di sentire molte volte cose si- mili a queste: « Ogni volta
che io per mezzo della mia ragione mi sollevo in quell'alta rocca
aerea dello spirito che al pari delle cime d'Olimpo ci fa vedere
sotto di noi le nuvole, io sento in qual te- nebra, in qual nebbia di
errori noi qui su la terra ci aggiriamo Sono fantasmi che ci tormentano,
larve che ci spaventano, fulmini che ci atterrano e ci trasportano
in alto come deboli canne. Il pessimismo del P.- Il pessimismo Cristiano
- La vita umana secondo P. - Il De remediis utriusque fortunae - P. e
il Leopardi - L'acedia e le contraddizioni del Pe- trarca hanno
radice nel suo sentimento religioso. « Tota philosophorum
vUa comtnetUcUio mortia est > m^'M
o penso che con queste parole possa bene accordarsi ancora 1'
amore alla vita, alla bellezza, a ogni grande idea umana, alla
società terrena: intendendo che per un animo natural- mente
religioso Y uomo anche quaggiù ha una missione a compiere e un ideale da
conseguire. Vorremo con spregio chiamar mistici tutti coloro che credono
in Dio e nella vita futura? Forse il segreto proprio della grande anima
di Francesco P. non è il misticismo per se stesso: occorre invece
ricercare quale concetto egli avesse della vita umana. Ugo Foscolo
(*^) nota che P. inclinava a una sensibilità morbosa, malattia ch'è
propria degli uomini di genio: da questa dipendeva anche il
continuo cambiamento di umore e l'animo per natura proclive alle passioni
(*^). Egli ci appare già nel trecento con i segni del morbo di
Giacomo Leopardi. Francesco P. e Giacomo Leopardi sono due
nomi che paiono contrari, e invece sono presso che sinonimi. P. per lungo
tempo è stato considerato come il più felice degli uomini della
nostra letteratura; il quale dalla generazione i cui padri avevano
perseguitato e condannato l'Alighieri, riceveva lodi e trionfi in
quantità (*'). Ma chi ha letto tutte le opere del P. può
confessare, credo, che la nota fondamentale del sentimento suo è
sempreil dolore, e il pianto gli sta continuo su gli occhi. Al più egli
fu felice sino al 41; ma dal giorno della sua coronazione le sventure non
gli hanno lasciato tregua mai (**): furono morti di amici a lui più
cari, dolori domestici tanto più grandi quanto meno egli ne parla: le
passioni poi dell'anima e del corpo, che in uomo volgare non
apportano grande turbamento, suscitavano in lui tempeste
grandissime; la ricerca affannosa di una felicità ch'ei non trovava lo
rendeva incapace di fermarsi in luogo alcuno. A tutto questo poi
si aggiunga l'eredità che col cristianesimo il sentimento religioso gli
aveva ap- portato: vo' dire il pessimismo. « È
innegabile che la religione cristiana contiene* in sé più che i germi
della funesta malattia: la quale tuttavia potè svilupparsi per un
procedimento storico che, non essendo stato ancora ben definito,
sarebbe argomento di importantissimo studio. Nella, predicazione di Cristo
e ne' vangeli non c'è il disprezzo di questa vita e quel riguardare la
natura un peccato (*^). Ma in seguito il cristianesimo, aiutato in
ciò dal dogma e dalla filosofia, fonda il suo pen- siero filosofico
religioso su due basi essenzialmente pessimiste: la colpa originale e la
predestinazione. Certo anche in Platone è qualche traccia dell'hoc
lacrymarum valle nella dottrina del carcere corporeo; e anche Cicerone
aveva detto, come P. -spesso ricorda: haec nostra quae diciiur vita
niors est; così che anche ne' filosofi gentili egli trovava la vita
dover essere commenlatio nwrtis. Ma le re- ligioni classiche, greca e
romana, ebbero appena un sentore della grande lotta che stava per
scoppiare fra l'umano e il divino, fra il senso e la ragione, fra
l'uomo e Dio. Nel Medio evo essa scoppiò ter- ribile, e condusse il
cristianesimo a parteggiare per Dio contro l'uomo e l'umanità, per lo
spirito contro il senso e la ragione, per il cielo contro la terra.
Nell'animo italiano popolare tuttavia noi ab- biamo già osservato
che il sentimento religioso non portò mai il popolo nostro a
quest'ascetismo così fuori della vita umana e sociale, e che ciò fu
me- rito principale della tradizione classica ereditata col sangue
dai nostri padri.' ^E non ci fa meraviglia quindi che anche P., quasi
inconsciamente, cercasse con la filosofia platonica di nascondere i
due punti più pessimisti del cristianesimo su citati, credendo in
un'esistenza futura delle anime negli astri e nella bontà naturale di
ogni anima (®^). Ma la lotta esisteva latente sì, ma feroce: e P. è il
primo uomo che nel Medio evo av- verti il contrasto dei secoli, e nel suo
animo pro- fondamente religioso vide concentrate tutte le guerre
passate: da una parte i padri della Chiesa e i santi del Medio evo;
dall'altra i classici latini e la tradi- zione italiana e la corruzione
del Papato. A un amico che aveagli chiesto qual giudizio- egli facesse
della vita, rispose^ ^ Sembrami la vita essere albergo di dolorosi
travagli, teatro d'inganni, labirinto di errori, palco di giullari,
deserto orribile, fangosa palude, tenebrosa spelonca, campo
pietroso, tana di belve, sonno inquieto, ridente frenesia, spe-
ranza inutile, gioia bugiarda, riso scomposto, inutil pianto, ansia
perpetua, morbo continuo, doppia ma- lattia, titoli infami, vaso fesso,
sacco sfondato, lusso idropico, avida stomacaggine, nausea famelica,
fiore caduco, osteria di passaggio, carcere tetro, nave senza
governo, laccio traditore, scoglio durissimo, vento impetuoso, turbine
nero, pelago procelloso, sentina di libidine, abisso d'odi, canto di sirena,
onorata vergogna, velata ignoranza, regno di de- moni ecc. ecc Ed è
peggiore ancora » f ^). ^ È inutile quindi chiedergli che cosa è la
morte: egli vi risponderà che è la fine di ciò che dianzi ha detto
della vita. E chi volesse su questo argomento confrontare P. con il
Leopardi troverebbe che quasi tutti i Canti di quest'ultimo hanno già
la loro ispirazione nel Canzoniere del primo. E pur tuttavia né P.
né il Leopardi hanno nulla a vedere con il pessimismo tedesco o
schopenaueriano: che dalle loro maledizioni scop- piano inconscie le
benedizioni, nel pianto trovano la gioia delle lacrime, nell'odio
l'amore; i loro versi indicanti disprezzo della vita se li metti insieme
ne formano l'inno di ammirazione più bello. Ed é per questo loro
stato psicologico perenne che nei loro scritti troviamo serpeggiare il
dualismo,, come due fossero gli scrittori, e nella loro vita do-
minare sovrana la contraddizione. Il pensiero della morte riempie gli
scritti e la vita loro; l'uno nel Secretum scrive: patrie iam ho-
minem natum poeniteat (**); l'altro nei Canti: nasce l'uomo a fati4ui, —
ed è rischio di morte il nasci- mento {^% E al P. e al Leopardi balena
l'idea del suicidio con fiamma solfurea; e l'uno compone a morto il
proprio corpo {^% e l'altro sente già le membra sue sciogliersi e
confondersi nell'infinita vanità del tutto. In alcun luogo P. poi
os- serva: « D'esser vivo non si lagna nessuno: tutti della
povertà, della fatica, della vecchiezza, della malattia, della morte
metton lamenti, quasi che men della vita fossero queste cose secondo
natura » (^^). Ed ecco balzare una concezione deUa morte tutta
opposta, quella che il Carducci ricorda, la greca eutanasia^ e divenir
bella nel bel viso di Laura e il P. desiderarla come dolcissima
cosa. Anche nell'universo essi videro riflettersi ugual- mente
l'odio e l'amore. P. del Canzoniere diventa scrittore del De
reniediis, che nella prefazione del secondo dia- logo della fortuna
avversa, vedendo l'odio divenir legge universale, giunge
inconsapevolmente alla di- chiarazione di un principio che è agli
antipodi di tutta la sua filosofia: la lotta per l'esistenza,
ch'egh, precorrendo non so come lo Spencer, dimostra lun- gamente
per il genere minerale, vegetale, animale, umano (^^). Ma se voi poi
aprite le lettere, trovate al contrario: « Amore unisce e governa le
anime e la materia e tutto l'universo » (^^). Cosi se voi pren-
dete il Secretum, leggete a una pagina tutta l'ese- crazione del peccato
di amar Laura, e nell'altra: « nihil pulchriua excogitari queat »; e non
solo egli ama lo spirito di Laura, ma anche il corpo: « ani- mam
cum corpore ». Quest'amore bello e umano ritorna ad ora ad ora anche nei
versi dell'infelice Recanatese. Che cosa è l'uomo? * Nil miserius
homine, nil debilius, nil pauperius »: così P.; ma in- tanto
riconosce l'importanza dello studio psicologico, aggiungendo: « nimis
magna res est ». Nella pre- fazione del primo libro del De remediis {^%
consi- derando le umane cose, dice che noi siamo per na- tura condannati
all'infelicità: le cose presenti ci an- noiano, le passate ci attristano,
le future ci fanno guerra. Così noi trasciniamo una vita, il
principio della quale è posseduto della cecità e dall'obblivione,
il mezzo dalla fatica e il fine dal dolore, e l'errore poi
signoreggia tutto. Ciò non accade agli altri animali, i quali cercano di
scampare solo dai mali presen^(i, di maniera che sarebbe quasi meglio che
noi fos- simo privi di ragione, perchè voltiamo a nostro danno le
armi della nostra divina natura (^^). Ed egli è tanto persuaso che le
ricchezze, gli onori^ gl'imperi siano grandi fatiche, più gravi della
po- vertà e dell'esilio é della morte, che imprende a scrivere non
per dilettare, ma per far opera giove- vole e dissipare gl'inganni {^^^).
E siu dal primo dia- logo, parlando della gioventù, che suol riputarsi
un bene perchè più lontana dalla morte, osserva ama- ramente: « se
due andassero al patibolo chiamereste voi forse meno infelice il secondo,
del primo? ». Così procedendo egli arriverà in questo medesimo hbro
(^^^) a dichiarare che nessuno può quaggiù es- ser felice mai, neppure colui
che è virtuoso, « qui aeque miser est habendtis ». E si toglie anche
ogni speranza, e l'ultima dea fugge innanzi a questo sil- logismo:
* chi spera non ha, dunque lo sperare è privazione, dunque è un'infeUcità
dell'anima »; laon- de P., ridendo delle discussioni filosofiche
intorno al bene, conclude: « bene sperando et male hahendo transit vita
mortalium ». Né voglio ora neppur accingermi ad esporre il
pensiero del P. intorno alla gloria e alla fama: tutti lo conoscono.
L'autore del Favini ovvero della Otaria ha ridotta in nuova forma ciò che
nei Trionfi € nel Secretum e in quasi tutte le opere petrar-
chesche è ripetuto (***). Al contrario, come il Leopardi per la
gloria sopratutto scrisse e visse, P. medesimamente aveva
confessato nel Secretum (*^^) di aspirare alla umana gloria: « ut
mortalium rerum inter mortales prima sit cura transitoriis »; d'altronde,
aggiunge nel De remediis {^^% tutti i più grandi uomini haii bramata
la gloria umana, benché questa sia molto grave per i continui affanni che
apporta: « durum «erte, sed tollerabile, imo et invidiosum et optabile ».
Ed ecco uscire una falange di critici poco be- nevoli i quali si
dolgono che messer Francesco, dispregiando tanto l'umana vita, abbia sino
alla morte cercato Laura e il dolce lauro. Certamente poi prende
un grosso abbaglio il Koertiiig quando vuol fare del pessimismo del
Pe- trarca un anticristianesimo (*^^): esso ne è anzi la logica
conseguenza. Il pessimismo del P. e quello del Leo- ' pardi hanno
per comune fondament o la noia di questa vita; ma poi si discostano
grandemente in questo, che P. ha ancora un profondo con- cetto
religioso; nel Leopardi al contrario è succe- duto il dubbio alla fede, e
la religione s'è trasmu- tata in un panteismo filosofico: Torquato Tasso
col suo doloroso dubbio è forse, per nascosto tramite,
— 65 — l'anello di congiunzione fra il trecento e l'ottocento.
Concludendo, noi intendiamo che la malattia del P. di cui si
confessa egli stesso, cioè la fa- mosa acedia o aegrUudo animi, sia
veramente quel morbo terribile che il Cristianesimo ha lasciato in
eredità alle anime che più sentirono il bisogno di amare e di credere
insieme, di accordare la ragione con la fede, lo spirito col senso:
l'ultimo grande malato di acedia, ma già inguaribile, fu il
Leopardi. Certamente dunque errano coloro che sentenziano P. essere
stato né più ne meno che uno scettico, e confrontano il Leopardi con lo
Schope- nauer: essi non tengon conto dell'importanza e pro- fondità
e varietà del pensiero religioso ne' grandi nostri. Tutte le
contraddizioni di Francesco P. si riducono infine a questo: che il suo
pensiero re- ligioso vacillava fra la tristezza del cristianesimo e
la serenità delle religioni antiche, fra l'autorità de' libri santi e lo
scandalo vivente della Chiesa di / Roma, fra il Medio evo e il
Rinascimento. Il pen- siero religioso voleva in lui divenire pensiero
filo- sofico; e nel terribile sforzo P. ne sofferse grandemente, ma
aprì la via al quattrocento e a Telesio e a Pomponazzi e a Bruno e a
Campanella. P.
non è strettamente un filosofo [cf. H. P. Grice: Two senses of ‘philosopher’:
professionally engaged in philosophical studies; disposed to provie general
reflections about life. Ma
ne' suoi scritti è un ampio contenuto filo- sofico - E aveva ancora
ingegno filosofico - Il P. e la scienza - Meriti filosofici del Pe-
trarca - Il Rerum memorancfarum - Carattere morale, sociale e politico
della nuova filosofia. « Andar dobbiamo in tracce di
nuove cogniMtoni indefessamente finché ci duri la vita
EL pensiero religioso adunque di France- sco P. sono da ricercarsi
il pensiero e il concetto ch'egli ebbe della nuova filosofia. Con
questo non intendo di scemare il merito suo. I suoi libri sono pieni
della filosofia antica e moderna: e credo che tutto Cicerone sia in essi
tras- fuso, e che Agostino e Lattanzio e altri molti tro- vino in
essi tanta parte delle proprie dottrine che volendo anche solo
riassumerle non basterebbe un grosso volume {^^^). Ma nel grande
crogiuolo, per così dire, della sua mente, tutto acquista uno scopo
e un carattere subiettivo proprio del P. (*^'). Il quale perciò molto
liberamente prende intorno al suo argomento le opinioni di ogni scuola
che a lui sia utile, a costo di cadere in contraddizione fi-
losofica {^^^). Quindi (egli stesso lo afferma) non è giusto, come molti
fanno, chiamarlo né peripate- tico né accademico, né stoico; e neppure
eclettico, perché l'eclettismo {^^^) e una sapiente ricostruzione
con argomenti tolti da molte filosofie, sì che formino —
To- wn unico edificio: nel P. questo non è. Né, €ome abbiam visto,
egli è filosofo mistico né razio- nalista, benché misticismo e
razionalismo abbiano sì grande parte nelle opere sue (***). Dunque il
Pe- trarca, per questo rispetto non si può chiamare fi- losofo: ciò
non toglie ch'egli nella storia della filo- sofia non abbia diritto a un
posto importantissimo. Vero é che P. aveva ingegno filosofico e
nelle sue opere sono infiniti i brani che ne dimo- strano l'acutezza.
Osserviamone alcuni brevemente. A Cicerone che aveva detto gli uomini
sovra- stare ai bruti per la favella, P. fa osser- vare che la
facoltà discorsiva presuppone l'altra intellettiva, e che se quella
mancasse basterebbe questa perché l'umana specie fosse molto al
disopra dei bruti: ai quah tuttavia, se non furon dati l'intel-
letto la scienza e la memoria, é da riconoscere alcun che di simile
all'intendimento e alla discrezione (^^^). E al pari di Dante che con
novità aveva nel Convito definito la filosofia un amoroso tiso di
sor pienza, egli, combattendo i cattedrari e plebei filo- sofi del
tempo, affermò che essendo la filosofia amore, cioè desiderio di
sapienza, ogni uomo che la vuole può amandola conseguire (*^*). Che se
alcuno gli facesse obiezione che non tutti nascono con uguale
ingegno, egli risponderebbe essere necessario star contenti fra i termini
che al nostro ingegno po- sero Dio e la natura: « imperocché fino a tanto
che — 71 — aDdremo in traccia di nuove cognizioni, e
andar vi dobbiamo indefessamente finché ci duri la vita, luoghi
tenebrosi e oscuri ci si pareranno d'innanzi ogni giorno per entro i
quali cercherà invano di pene- trare la nostra ignoranza: e quindi a noi
tristezza rancore e dispetto contro noi stessi; ed ecco la scienza
che ti promettevi ricca sorgente di puro di- letto fatta cagione di
molestissimo affanno e della vita nostra non più fida scorta, ma morbo
mici- diale. Deesi con lo studio aiutar l'ingegno, non sfor- zarlo
dove salire non poi^sa, che ciò facendo cade a vuoto » (**^). Anche in
ciò mi pare che il verso dantesco spesso frainteso: state contenti
umana gente al quia; non potrebbe desiderare miglior commento.
Chi accuserà Dante Alighieri di avversar la scienza, per cercar la quale
egli condotto di girone in girone, di balzo in balzo dà l'esempio più
ma- nifesto del cammino dell'umano sapere che di collo in collo
ricerca affannosamente il vero? Nelle parole del P., in quell'andar
indefesso finche ci duri la vita, è un forte sentore di quella dottrina
che il Vico e gli Enciclopedisti chiamarono dei progres- so (**^).
Certo non ne mancava la fede a chi scriveva: « Scorrano più* dopo noi
altri dieci mila anni, si accumulino secoli a secoli, mai non sarà chiusa
la strada a nuovi trovati » {^^% Evidentemente siamo ben lontani
dalla filosofia del tempo che nelle scuole insegnava ogni verità essere
nei modi del sillogismo contenuta. Ma « la dialettica (scriveva P.) è un
mezzo e non un fine, come al contrario stimano essi »; ed ei vo-
leva non che ne lasciassero lo studio, ma che s'af- frettassero in
quello, affinchè loro fosse scala a cose più alte {'''). Egli per
primo nel suo tempo diede esempio della nuova filosofia, ripristinando il
metodo latino di trattazione che già aveva fatto mirabili prove con
Seneca e con Cicerone e anche con Platone e con Agostino. Così
sciolse le ferree catene che spesso nel Medio evo tolsero le ali a
fortissimi ingegni, e- rav- vivato alle fonti della natura e della vita
umana il contenuto della nuova filosofia, essa potè poi spic- care
il volo alla grandezza del Risorgimento e della moderna filosofia
Quale concetto ebbe P. della nuova fi- losofia e a qual ufficio la
destinava? Il Rerum memorandarum doveva esserne un primo esempio,
iniziando un commentario di tutte le virtù. Ma, così come ci è giunto,
non è che un insieme disordinato di alcuni appunti: i quali paiono
colonne grandiose di un tempio non più eretto. Si comincia dalla
prudentia, e dìstinguesi in memoria, intelligenza, provvidenza:
Tintelligenza, pure ch'egli definisce cognitio rerum praesentium,
distinguesi in speculativa e pratica: la perfetta è quella che <;ongiunge
pensiero e azione. Così logicamente si giunge al concetto di una
filosofia che sia medicina delle anime; e il suo ufficio è insegnar Varie
di ben vivere (**'). La stessa eloquenza diviene una parte della
fi- losofia. Cicerone l'aveva infatti definita: « nil aliud nisi
copiose loquens sapieniia »; e Catone: « orator est vir bonus dicendi
peritus *: e P. unendo la sapienza della mente alla bontà dell'animo
arrivò al concetto della vera eloquenza, come del primo frutto
della nuova filosofia. Si comprende allora che quando spesso dice che
Platone è più eloquente di Aristotele, non fa, come comunemente si dice,
una questione retorica. E però con profonda verità afferma, sin da
gio- vine, studiare non per divenir dotto, ma per mi- gliorare la
propria vita (^**), E altrove esce in queste bellissime parole che io
vorrei fossero meditate da coloro che in un modo o nell'altro oscurano la
san- tità della vita del grande Aretino (*^^): « Tutti non possono
essere Ciceroni, Fiatoni, Omeri, Vergilii; ma buoni sì che tutti possono
divenire pur che lo vogliano. È degno di molta stima, se buono sia,
pur anche il pescatore, l'agricoltore, il pastore. Meglio l'uomo
dabbene senza il sapere che non il sapere senza l'uomo dabbene >.
La virtù vera poi è quella che insegna a sentir rettamente di Dio
e a operare rettamente fra gli uomini (**®). La nuova filosofia è
dunque, come egli splendidamente dice, una cultura delVanimo (**^),
inten- dendo a darle due uffici nuovi: Funo educativo^ Faltro
psicologico. « « In tanta barbarie e viltà ecclesiastica e
feudale si comprende bene quanto grande fosse per la co- scienza
italiana il beneficio della nuova filosofia nel rispetto politico e
sociale. Già il Carducci notava che il concetto della libertà è
più vivo in lui che in Dante (*"). E in verità in tutto degna del
grande Astigiano è la uscita del P. di Parma assediata e piena di
ignobili guerriglie: « Ed io fra queste strette sentii nascermi in
cuore il desiderio di quella libertà che ardentemente sem- pre
bramai, che fu lo scopa di tutti i miei voti, alla quale io corro di
continuo »; e coraggiosamente di notte esce tra i nemici, è assalito e
attorniato, cade e riman pesto e senza flato; si rimette in sella,
solo; e sotto grandine e pioggia, mentre dalle mura lontane s'udiva
il borbottare delle nemiche scolte,, sotto il cavallo si accovaccia e
aspetta l'aurora (^*^). Ed è poi degna del Parini* l'altra lettera con
la quale, dopo aver rinunziato alla carica di Segretario del Papa,
racconta a un amico come egli causasse quel giogo d'oro con infinita
gioia: « Io non voglio aver riguardo, scrivendo, alla dignità e alle
ricchezze di chi mi legge: voglio che un papa e un re pon- gano
nelle mie cose quell'attenzione medesima che qualunque altro, ed anche
più se son più poveri d'ingegno. E il poeta della pace("*)cliviene
poeta di guerra per la libertà, senza la quale la pace è obbrobriosa
(^*^). E scrive a Gola con spiriti di cospiratore, e pieno dì odio
alla tirannide e di fuoco ribelle in una celebre esortatoria fa
l'apologia dei Bruti (*"). Altrove contro la tirannia additava il
vero rimedio, la bontà dei cittadini: « se la patria avrà anche un
solo buon cittadino, non avrà lungo tempo un cat- tivo signore >
("•). Egli arrivò cosi, con Dante, al nuovo concetto della
nobiltà, non più fondata sul sangue ó le ric- chezze, ma su la virtù e
l'ingegno: e queste cose ascriveva anche a Roberto e a Carlo IV, e
aggiun- geva: « tutto il sangue è d'un colore, e qual è quel re che
non viene da schiavi, o quel servo che non viene da re? » ("•). Di
qui ancora la concezione di un governo al tutto democratico, tanto che
inter- rogato come cacciar si potesse di Roma la succe- duta
anarchia additò e dìihostrò lungamente nella cacciata dei nobili
tiranneggianti il solo rimedio al male: « Via su dunque cacciate costoro
e chiamate la plebe romana alla dovuta partecipazione dei pub-
blici onori » (*^®), È cosa poi ben strana nel P. un accenno alla
grande utopia del filosofo dì Stilo, che dopo più dì due secoli trovò
neUa stessa isola di Tapro- bana la Città del Sole: « Nell'isola di
Taprobana (scrive P.) (***) che siede nell'oceano orien tale molto
dì là dall'India e per diametro opposta alla Brettagna, si elegge per
arbitrio del popolo il re, e non vi valgono o la ricchezza o la nobiltà
del sangue, ma tutto il favore si attribuisce alla virtù; di
maniera che la grandezza o il parentado non gli rimuove dalla elezione
del migliore uomo: oh! santa e felice usanza che è questa, la quale
pia- cesse a Dio che s'usasse a eleggere i nostri re, che forse non
sarebbero succeduti per Taddietro ne' reami i figliuoli peggiori dei
padri, e i nepoti piti pessimi che i loro antichi, e non avrebbero
corrotto e guasto il mondo con la superbia e licenza loro »: là il
re deve essere senza figli, e se mentre è re ne avesse, deve subito
abdicare. Quale il pensiero politico dantesco, tale dap- prima fu
l'ideale politico del P.: cioè un im- peratore che fosse come arbitro di
pace fra le cri- stiane nazioni (*^*); ed è notevole che P. molto
più chiaramente di Dante afferma doversi l'imperatore tedesco considerare
italiano (^^^). Vero è che in seguito s'accorse essere vana ogni
speranza in papi e imperatori. Allora ì due soli di Dante si oscurarono,
e le due spade che tanto ave- van travagliato la mente de' Dottori
medioevali egli le vide spuntarsi. E dopo acerbissimi rimproveri a
Carlo IV, finì col dichiarare che l'Impero fu sempre l'infausto pianeta
d'Italia (^^*). E il pensiero e l'amore della grande Patria,
ch'egli aveva sempre agitato, divennero più splen- denti e chiari che
mai. P. per primo nelle sue canzoni italiane e ne' carmi latini saluta
c^hia- ramente e dolcemente la santissima terra, la patria Italia,
cinta di due mari e altera di monti famosi, onoranda a un tempo in leggi
e in armi. E certo risuonò per molto tempo all'orecchio degli
italiani quel memorando verso: che fan qui tante peregrine spade?
(*^^); perocché il Machiavelli con quella canzone dà ter- mine al
suo Principe, e Stefano Porcari muore re- citando quei versi, e Giulio II
compendierà la grande opera del P. col grido famoso: ftiori i barbari.
Chi condusse P. a tanta grandezza patriottica ? Il De
Sanctis dice che l'amore del P. al- l'Italia fu un amore filosofico. Non
credo. Forse più giustamente il Bartoli notò che nel pensiero reli-
gioso è in lui la radice del pensiero patriottico, e lo confrontò con il
Lamennais. Ciò del resto è stato sempre sentenza comune a molti filosofi
politici, che sin da Platone pensarono che vera religio est fir-
mamentum reipUblicae. Le relazioni fra Chiesa e Stato sono per il
Pe- trarca quelle medesime che fra Cristianesimo e Pa- ganesimo,
rampollando entrambi dal pensiero re- ligioso. Quindi non l'Impero
soggetto alla Chiesa, come in san Tommaso; non la separazione della
Chiesa dall'Impero, come in Dante; ma Chiesa e Stato ten- denti a
un unico fine: la grandezza politica e in- sieme religiosa
d'Italia. VII P. e II Risorgimento
filosofico re-^ ligioso - Il sentimento della natura - Carattere
psicologico della filosofia del P. - Le Rime - Il Secretum - Eternità del
P.. : Ch* i* medemmo non 90 qnél eh* io mi voglio i A
queste brevi considerazioni si può, credo, concludere che come
l'Umanesimo nel tre- cento, intraveduto appena da Dante, ebbe nel P.
il verace precursore; così il Risorgimento filosofico, che in Italia si
fa cominciare nel quattro- cento, ebbe inizio veramente con Dante e
col P.: l'uno avendo alla filosofia dato carattere laico, l'altro
avendo abbattuto le scuole del tempo e dato gU elementi della filosofia
nuova. Quali sono questi elementi? Riassumiamo brevemente. Il
Fiorentino (*^') ne' suoi studi su la filosofia del Risorgimento osserva
che la disputa su la pre- ferenza di Platone ad Aristotele costituisce,
se non tutto il significato filosofico del quattrocento, al- meno
la parte più importante. E però, laddove tut- todì si afferma che il
merito di ciò spetta a Giorgio Gemisto e agli altri greci venuti in
Italia dopo la caduta di Costantinopoli, noi troviamo molto tempo
prima doverne assegnare il merito a Francesco P. È vero: il motivo che
spinse P. alla preferenza della dottrina platonica non è punto
speculativo, e però rigorosamente filosofico. Ma certo si esagera
ripetendo ch'egli seguisse in ciò non so* quale proprio istinto, che poi
sarebbe un'inespli- cabile leggerezza. P., abbiam veduto, non
dispregia Ari- stotele: tutt'altro. Egli conosceva bene e lodava
gran- demente l'Etica aristotelica, ma diceva di non tro- vare in
essa (ciò che è in Platone) l'ardore che la virtù conosciuta deve di sé
suscitare. Poi abbiam notato che il pensiero religioso è la sorgente
na-- scosta così di questa, come di altre opinioni del P.. Ora il
Fiorentino stesso osserva che le contese del quattrocento ebbero per vero
motivo la questione del cristianesimo, al quale alcuni dice- vano
Platone accostarsi maggiormente, altri Ari- stotele. E P., che né
platonico né aristo- telico né ciceroniano voleva esser chiamato,
ma cristiano, vide così chiaramente ciò che altri sen- tirono
confusamente. Anche intorno alla dottrina aristotelica egli pre-
corse le accuse, che affaticarono tanti ingegni nel secolo seguente: non
avere cioè Aristotele cono- sciuta la provvidenza e la creazione, e aver
negata la immortalità^^d^lTanima, senza la quale nessuna vera
religione può reggersi. Certo i libri filosofici del P. dovettero avere
un'efficacia grandissima su le nuove generazioni, se Gino Rinuccini
quasi con le stesile parole, certo con il medesimo pensiero, ripete col P.
che: « Platone è maggior filo- sofo che Aristotele perchè in sua
opennione del- i Fanirna è più conforme alla fede ca ttolica : ma nelle
' cose ch'anno bisogno di dimostrazioni e di pruove Aristotele è il
maestro di coloro che sanno » ("*). E Colacelo Salutati e Luigi
Marsigli e tutta una valorosa coorte di pensatori si misero a
seguitare la tradizione dal P. iniziata. E l'Aretino per bocca del
Niccoli ridirà di Ari- stotele col P.: « se i libri aristotelici,
così come corrono si portassero allo stesso autore, ei non lì
riconoscerebbe per suoi, più che Atteone, i convertiio in cervo, non fu
riconosciuto dai suoi €ani » (^^®). Così P. distinguendo Aristotele
dai traduttori e mettendo in guardia i filosofi contro questi, suscitò
grande desiderio di conoscere il pen- siero genuino del grande Stagirita.
L'Aretino stesso, sebbene platonico, misesi a tradurlo, e scorse
che anche in qUesto non mancava (come P. aveva indovinato, ma
inutilmente) quell'aureo fiume di eloquenza che era il pregio più
generalmente ri- conosciuto in Platone. Di Aristotele i primi
libri tradotti furono gli Etici e i Politici. Nelle dispute poi di eloquenza
è vero che alcune volte si trascese a contese sola- mente formali,
ma in generale (come P. voleva) essa fu congiunta con la filosofia: non
vi fu cattedra di eloquenza cui non fosse aggiunto lo jsl;udio
della filosofia morale (^^^). 11 problema dell'immortalità dell'anima fu
il più — Si- importante che preoccupò i nuovi
moralisti latini; finché si giunse al Pomponazzi che nel suo cele^
berrimo libro De immortalitate animae affrontava la grande questione e
concludeva non potersi quella con le dottrine aristoteliche dimostrare:
il suo libro fu abbruciato dalla Chiesa. Ciò poi non fa che
mostrare, a mio avviso, quanto il sentimento cristiano informasse tutta
To- pera di questi umanisti, il Valla compreso, come si disse. E
tutto cristiano è quell'idealismo di Marsilio Ficino, il quale tiene
accesa una perenne lampada innanzi all'effigie di Platone, della cui
dottrina egli fu in quel tempo il più grande maestro. Quelli che
non ebbero molta attitudine filoso- fica preferirono ad Aristotele e a
Platone i filosofi posteriori, dal P. per primo messi in onore:
stoici, epicurei e specialmente eclettici; Cicerone fu il maestro di
questi, che da lui si chiamarono Ci- \ ceraniani: e fra essi furono,
oltre il Valla, il Nizolio^ il Vives, il Ramo ed altri. Ma in ogni
modo e i platonici e ì ciceroniani [furono ugualmente avversi alla
Scolastica: i primi per la dottrina medesima che essa insegnava, gli
altri anche per la forma barbara e per i procedi- 1 menti
artificiosi. Insieme alla morale filosofia P. aveva \/
risvegliato la filosofia sociale e polìtica. Già Dante alle dottrine
scolastiche e alla concezione d’AQUINO (vedasi) del sole e della luna
(rappresentanti l'uno il potere pontificio, l'altro l'imperiale) aveva
sostituito l'altra dei due soli uguali e indipendenti fra loro. Il
Pe- trarca vide i due soli oscurarsi: e però nel suo pen- siero
religioso e patriottico egli già prenunzia Gio- vanni Boccacci che
deriderà finamente papi e pa- pato, impero e imperatori; e Marsilio di
Padova che stabilirà la Chiesa essere costituita da tutti ì fedeli,
alla assemblea dei quali il papa deve essere ossequente, e, combattendo la
donazione costanti- niana, proclamerà l'assoluta povertà di Cristo.
Il problema politico poi non sarà mai più ab- bandonato: anzi
nella pienezza del Rinascimento sarà argomento de' studi di profondi
pensatori, che son la gloria della nostra filosofica tradizione.
La quale vediamo sorgere da molteplici con- nubi di opposti elementi: da
una parte cioè con- giunge il sentimento italiano profondamente
cri- stiano all'odio contro la Curia e contro i corrotti e
corruttori pontefici, e assale la cupidigia e l'avarizia della Chiesa;
dall'altra tempra il misticismo inerente al cristianesimo col sano
risveglio dell'eredità latina,, sociale e politica, A tutto questo poi si
aggiunga lo spirito di libertà, del quale P. aveva dato sempre
splendido esempio, ribellandosi per primo a tutte le autorità antiche e
moderne, filoso- fiche e teologiche, qualora non gli garbassero. «
Nihil saeculis nostris invisius quam haec duo: veritas et libertas
>: così egli scriveva; e però è vero che dà il nome di divini filosofi
a Platone, a Cicerone e ad Agostino, ma eoa grande alterezza soggiunge: «
ma rautorità di essi a me non toglie la libertà del giu- dizio »
(^**). E altrove, dopo di aver chiamato volgo spregevole quelli che
déiVipae dixit si facevan arma di logica, soggiunge che debbon esser
guide al fi- losofo: « et auctoritas et ratio et experientia . I
tempi eran maturi perchè con la voce di Martin Lutero s'elevasse anche
quella di Galilei e di Bacone. Seguitando a raccoghere nel
Rinascimento ita- liano quelle auree fila che nel P. hanno prin-
cipio, non sono certamente da trascurarsi i due caratteri principali che P.,
quasi senza av- vedersene, diede al pensiero filosofico e
religioso: cioè il carattere naturalistico e l'altro psicologico:
l'uno condusse poi in filosofia al panteismo di Gior- dano Bruno e al
naturalismo scientifico; l'altro diede al sentimento religioso italiano
una forza potente a tradursi in grandissime manifestazioni
artistiche e letterarie. II sentimento della natura in Francesco P.
è affatto nuovo, e traspare profondo da tutte le sue opere. Leggendo la
vita di questo letterato si rimane meravigliati della quantità de' suoi
viaggi e dell'in- tensa curiosità che lo spingeva a vedere terre
lon- tane e costumi stranieri. E oltre Vltinerarium Sy- riacum
molte altre sono le cagioni per cui egli meritamente è annoverato fra i
geografi più importanti di quel tempo. Così suscitando l'amore di nuove
cose e distruggendo pregiudizi e allargando le idee, P. preparò gli animi
ai benefici ef- fetti che produsse la scoperta del nuovo mondo. I
viaggi, dice il Kraus, hanno aperto gli occhi a quest'uomo straordinario,
e per mezzo di lui l'u- manità del Medio evo già declinante scoperse la
magnificenza della natura che ci circonda. I viaggi infatti nel Medio evo
si intraprendevano per fini militari o commerciali o religiosi; non per
essere scopo a se stessi. P. superando difficoltà incredibili e
pericoli e disagi per strade spesso dif- ficilissime viaggiava: viaggiava
per viaggiare e per vedere uomini e cose, popoli e costumi di
lontane regioni (^^^). Così egli è il primo che si recasse a
un'ascen- sione alpina col solo scopo di godere di lassù un'i- dea:
la grandezza del paesaggio e dei monti. E di lassù egli scoprì
nell'infinito panorama la storia del mondo e dell'uomo e
dell'ultramondano: e al Medio evo, discesone, rivelò il nuovo pensiero.
La lettura di sant'Agostino lassù e le considerazioni mistiche che
dal profondo dall'animo gli suggerì, dimostrano quanto fortemente al
sentimento della natura egli congiungesse lo spirito religioso dell'anima
sua. Ma un'altra cosa scoprì P. dalla cima del Ventoux: scoprì che
niente al mondo è più me- raviglioso dello spirito umano. Dante
nella Vita Nova dà senza dubbio un esempio di psicologica trattazione di
cose umane; ma P. trovò un sentimento psicologico tutto moderno, il
quale consiste nell'irradiare fuori di sé Fanima propria con le proprie
passioni e nello stesso tempo dell'anima propria far centro di tutto
l'u- niverso. « * * Il fiore piti bello del pensiero
petrarchesco, dis- seminato nelle opere latine, è il Canzoniere.
Il De Sanctis, nel suo saggio critico sul Pe-» trarca, gli rimprovera
l'abuso della riflessione nelle poesie italiane (*^*). Questo deriva da
quella finissima analisi che P. fa nel suo Canzoniere delle
sensazioni e dei sùbiti moti della propria psiche. Le canzoni
specialmente sono alcune volte una vera poesia psicologica: fra l'altre
quella: i' vo pensando; è un piccolo Secretum^ e con l'ultimo verso:
E veggio 1 meglio ed al peggior m'appiglio; ridicendo felicemente
il noto: tMeo meliora prcboque, deteriora sequor; conclude l'esame di una
situazione perenne dell'animo umano: così nel Secretum^ dopo i
molti ammonimenti di Agostino, P. ri- sponde ringraziando, ma poco
persuaso di essersi convertito. E questa lotta fra senso e ragione
che nel Pe- trarca è alimentata dal pensiero filosofico religioso,
Jfa del Canzoniere un romanzo, nel quale l'amore per Laiu-a, sensuale
dapprima, si raffina e purifica sempre più finché diviene sopratutto
spirituale, e il poeta parla poi nei Trionfi con l'anima della morta
amica. E forse tenendo conto maggiore di questo psicologico svolgimento
non si sarebbe detto che Laura è parto fantastico del P., o che nel
Canzoniere si cantano molte Laure o una Laura al tutto ideale (^*^). Chi
sa ben leggervi^eiitro nelle Rime scorge tutto aperto il cuore del P.; il
quale, facgndo^disè specchio, ci ha descritte le piu^nrrtinie fibre
del suo seriliììreiito. Il mmidaè un accessorio per lui, per ciò che egli
lo esamina colorato e tra- sformato dalle proprie impressioni. Talora,
dice il De Sanctis, pare che scherzi con l'anima propria. Così,
approfittando di questo specchio che il P. ci mostra di se stesso, non
sarebbe diffi- cile, credo, seguire nel Canzoniere lo svolgersi del
sentimento filosofico religioso, notandone la parte che il misticismo e
il pessimismo e la ragione vi prendono (^*®). Chi ha notato, per esempio,
per qual tramite ascoso vengon fuori dal cuore del poeta i
confronti tra Laura e Cristo e la Vergine?. A ogni modo è certo che il
colore, dirò così, psicologico, che è il carattere vero e novissimo
del sentimento religioso del P., è a lui tutto pro- prio e ben
diverso da quello che è, per esempio, in Agostino. Si prenda il
Secretum e si vedrà chiaramente quanta è la differenza fra esso e le
Confessioni del santo. Agostino scrive fra la calma dello spirito,
quando la passione essendo passata egU poteva tranquillamente
raccontarla: P. scrive il Secretum nel momento più feroce della passione ,
e non per altro che per dar sfogo alle lacrime e par- lare con sé
della passione sua (^**). Nelle Confessioni è la gioia del convertito;
nel Secretum il dolore di chi cerca di convertirsi senza volerlo
seriamente , perchè non persuaso che l'ascetismo e il misticismo
siano tutta la «vita. Nello scritto del santo la sacra Scrittura, il
vangelo, la metafisica; nel Secretum le sentenze pagane e il pensiero
umano imperano. Nel- l'uno la propria vita 4 narrata quasi per
propaganda cristiana e a scopo polemico contro gli eretici; nel*
l'altro i fatti non servono che a indagare l'anima propria, che appare
misteriosa e profonda e tene- brosa tanto che l'occhio a fatica vi
discerne. Neppure nella Vita Nova s'arriva a tanto: essa è un
commento a un aspetto solo della grande ani- ma dantesca e non ne cerca
le profonde latebre. Il Secretum è senza dubbio il primo vero ro*
manzo psicologico, e toltane la forma dialogica e l'aridità che qua e là
deriva dal tempo e dai modi personali del P., si potrebbe per alcuni
ri- spetti confrontare con l'Ortis: certo non vi manca l'amore
della patria e dell'arte e di tutto ciò che è bello e gentile, mescolato
con quell'infinito dolore che si chiamò poi la malattia del secolo, di
cui l'ul- timo malato fu Giacomo Leopardi. # Il Segré
nel congedare, lo scorso anno, i suoi Studi petrarcheschi (*^°) scriveva
nella prefazione: L'età, di cui P. è stato l'iniziatore, è lì, lì
per chiudersi, e i fulgidi albori di una novella, che scorgiamo
disegnarsi baldi all'orizzonte, comin- cian di già ad offuscare una
espressione di vita spi- rituale che con diverse vicende domina ormai
da cinque secoli. Quella modernità petrarchesca fra breve, io
credo, noi non la comprenderemo più »: ed egli esorta ad affrettarci,
finché lo possiamo in- tendere, nello studio del P.. Ma (alcun
frutto mi sia lecito trarre da questa modesto scritto) così vorrei io
concludere: — Come Dante diviene ne' secoli più grande per il suo
verso divino, così P. per Yumanità del suo pen- siero vivrà eterno.
E sempre più necessario sarà l'interrogarlo; finché sarà continuo il
contrasto tra la ragione e il senso, tra l'elemento eterno e il ca-
duco che hanno loro sede nell'inteÙetto e nel cuore umano.
NOTE (1) Cfr. De Odo religiosorum, I, a pag. 307
dell'edizione latina delle opere tutte del P. stampata a Basilea
nel 1554, secondo la quale sono anche le citazioni seguenti. (2)
Vedi Storia della letteratura italiana VII, Francesco P., ipsig. 55.
(3) Vedi gl'importanti lavori su Italia mistica e Italia par-
ganay già pubblicati nella Nuova Antologìa, ora riuniti nel volume Dal
Rinascimento al Risorgimento (Sandron 1904). (4) Questa è la conclusione
dello studio Italie mystique di Emilio Gebhart. (5) Per Dante
veggasi il Tocco: Quel che non c'è nella Di- vina Comìuedia ossia Dante e
l'eresia (Zanichelli 1899). Il P. poi nel De Odo (pag. 305) elogia
Agostino perchè combattè coloro che avean predetto che il regno di Cristo
non sarebbe durato più di trecentosessanta anni: forse P. pensò che
le predizioni ioachimite e le altre fossero un se- guito di quelle
antiche avversarie del Cristianesimo. Egli infatti poco oltre (pag. 508)
distingue le eresie in rispetta solo al dogma dell'Incarnazione (laddove
le profezie ioachi- mite riguardavano l'avvento dello Spirito Santo) in
due clas- si: l'una egli dice, fece di Cristo solo un Dio, l'altra
solo un uomo. E (cosa ben strana questa ignoranza in Dante e nel P.
del moto ereticale contemporaneo) seguita di- cendo: ma la verità è ora
divulgata tanto che neppure su -96- r animo di una
vecchia (anicula) fa presa, perocché anche senza dottrina soio con la
fede e la semplicità essa si difende. Invece il male del suo tempo P.
afferma essere un* obiezione contro la fede, la quale, sebbene faccia
molto paura a messer Francesco, pur non è una vera eresia, ma un
dubbio incredulo e (come ei lo chiama) specioso; ed è questo: - se Dio
voleva salvare gli uomini poteva dar loro forza mag- giore o comandare
cose men dure. Egli non confuta il dubbio, ma si rivolge pregando a Dio,
e afferma contro le predizioni in generale che è Satana che ci tenta alla
prescienza, « quae nec possibilis est homini nec necessaria profecto nec
utilis », « cita, fra altro, il De divinatione di Cicerone. E neìVEp,
sen. I, 5 a Giovanni Boccacci, a proposito della nota profezia
fatta da un frate all'autore del Decamerone, scrive di diffidare
delle profezie dei viventi: « nuovo e inusitato non è che fole e menzogne
si coprano sotto il velo di religione e di santità, e del giudizio di Dio
si faccia mantello alla frode e all'inganno ». Per il moto ereticale
veggasi specialmente il lavoro del Tocco: L'eresia nel Medio evo (Firenze
1886, Le Monnier). (6) Cfr. Vita solitaria, 1. II, sectio VII, 1.
(7) Cfr. oltre il Barzellotti: op. cit.; anche il Fiorentino: Il
Risorgimento filosofico nel Quattrocento (Napoli 1885) IV: opera postuma
a cura dell' Imbriani. (8) Cfr. La filosofia nel periodo delle origini
in Vita Ita- liana, primo volume. (9) Così il Conti nelle sue
importanti lezioni di storia della filosofia (S. Tommaso e Dante). Del
resto questo non potè alcuno affermare del De Monarchia, nel quale il
pensiero di Dante è ben lontano dal tomista. Cfr. anche un mìo
lavoro (Del sistema filosofico dantesco -nella Divina Commedia —
Zanichelli 1902), nel quale cercai vestigia di platonismo nella Divina
Commedia. (10) Vedi Tocco: L'eresia nel Medio evo, Introduzione.
(11) Così nel De unitate intellectus contra Averroistas. (12) Cfr. De
Bemediis utriasque fortune^: I, dialogo 46 e 112. Gfr. passim scrìtti del P..
Per esempio EpiatóloB fam, I, e XII, 3 (le cito nell'edizione del
Fracassetti). (14)
Ep. fam. I, 11. (16) Ep. fam. I, 6. (16) Gfr. Rerum memorandarum,
II: Aristoteles. (17) Vedi Renan: Averroés et Vaverroisme. Essai
histori- que. deux part. eh. II, 15 pag. 301 e segg. (18) Vedi V. De Giovanni: Le
prose morali e filosofiche di Francesco P. in Francesco P. e il suo
secolo pubbl. nel VII centenario della morte del P.. (19) Si vegga
nel De Vita solitaria II, sectio IV, % in cui dopo avere confrontato i
principi cristiani con Maometto, tratta: « De reprehensione regum et
principum nostrorum qui somno, voluptacibus, turpibus lucris, subditorum spoliationibus
oc cae- teris vitiis imcumbunt, et nullus eorum Terrae Sanctae
dispetti dio movetur ». (ao) Gfr. Senili XV, 6. (21) Gosì
intendendo V opera del P., essa acquista ben maggiore importanza di quel
che non parve al Voigt. (Il risorgimento dell* antichità classica —
traduzione italiana del Valbusa, Sansoni, Fireuze, Voi. I, I.), che
accusa P. di avere esagerate le note critiche mossegli dai quattro
aver- roisti veneziani per farsi bello con il suo libro De sua
ipsius. Il Bartoli poi (opera citata, pag. 12), certo seguendo il
Voigt, dice che esse furono un innocentissimo scherzo! Si cfr.
an- ^he ep. fam. V, 11 e 12. (22) Gfr. ep. sen. XV, 8. (23) Gfr. Ep. sen. V,
2; XIII, 5. (24) Quanto all'empietà e irreligione del tempo si
veg- gano, fra altro, le ep. sen. Vili, 3; V, 2. (25) Gfr. oltre
Sine titulo, X; Ep. sen. XV, 6 e 8. (28) Vedi Fiorentino op. cit. Ili:
il quale si fonda sul se- guente brano del De sua ipsius: « Neque graecos
tantum, sed in latinum versos aliquot nunquam alias visos (Platonis
li- bros) aspicient... et quota ea pars librorum est Platonis,
quota — 98 — ego his oculis muItoB vidi, praecipue
calabrum Barlaam mo- demum graia specimen sophiae, qui me eie. » (Op. p.
1054). Il periodo monco e sgrammaticato fa pensare purtroppo a una
lacuna che sarebbe importantissimo colmare. Forse per questo il Voigt non
ne parla. («) Ep. fam, XVIII, 2. (28) Veggasi infatti la nota 26:
dal periodo ivi citato pare potersi ciò dedurre. (») Il
Fracassetti nella ep, fam. III, 18 dà Fedone, e par- landosi delia morte
di Catone potrebbe darsi che s'avesse a intendere Fedone anche nella ep.
fam, IV, 3. (30) Cfr. Fiorentino: op. cit. III. ' (31) Con quanto
poco pudore P. si sarebbe fatto dire, per esempio, nel dial. II del
Secretum da Agostino: « Hctec tibi ex Platonis libris familiariter fiata
sunt »/... (34) Rerum mem. 1; Plato. ' (33) Quanto ad Aristotele
dice nel De sua ipsius: « omnes morales, nisi fallor, Aristotelis libros
legi, quosdam etiam audivi ». (3*) Ep, fam. IV, 15 e 16.
(35) Ep. fam. XVIII, 2. (36) Cfr. Rerum Mem. I: Aristoteles. (37) Ho
scritto creazione, ma P. non usa questa parola che sarebbe impropria.
Cfr. De ocio religiosorum I. (Op. p. 300): 4( unum fabricatorem (è il
demiurgo o architetto di Platone) mundi Deum a Platone, et a discipulo
eius Ari- stotele unum principem ». (38) Notava poi che Aristotele
era morto di sessantatrè anni, numero infausto: intorno a questo arino
della vita cli- materico cfr. anche Ep. sen. VIII, 1. (39) Dante
nel canto IV del Purgatorio non interpretando rettamente la dottrina
platonica, la condanna. (40) Ep. fam. XII, 14. (*i) Rer. Mem. loc.
cit. (*2) Vedi: parte settima di questo mio lavoro. —
99 — (*3) Vedi De OciOy II (Op. p. 316). (4t) Anche qui nota
differenza da Dante: e. IV del Paradiso. (*6) Cfr. ep. fam, XVIII, 1; e
per quel che segue sopra- tutto Ber, Mem. loc. cit. Inoltre come egli
alia religione con- formasse tutte le sue opinioni cfr. Ep. sen. Vili, 1.
(*») Vedi De Ocio I (Op. p. 307). Anche il Ficino notò questo,
come ricorda il Fiorentino (op. cit. II), nel Tom. 2, pag. 855.
(47) Op. pag. 313 e II. (tó) Ep. fam. XVII, 1. (*») Ep. fam. X,
5. (50) Ep. fam. II, 9. (ói) Sul preteso cristianesimo di Seneca
vedi Fieury A.: JSaint Paul et SenSque: recherche sur Us rapporta du
philo- ^ophe avec VApòtre. Paris, 1853. Ma oggi non ci si crede più.
(M) Ep. fam. VI, 2; e XVII, 1. (53) Ep. Sen. VII, 1; Ep. fam.
XXII, 10. (54) Ecco, per esempio, come egli spiega l'origine delle
stimate di san Francesco: « Dalle stimate di Francesco questa certamente
è T origine; tanto assiduo e profondo fu il suo me- ditare su la morte di
Cristo, che piena avendone Tanima, e parendogli d'essere anch' egli
crocifisso col suo Signore, potè la forza dì quel pensiero passar
dall'anima nel corpo, e la- sciarvene impresse visibilmente le traccie ».
Cosi nell'jg^. sen. Vili, 3. Quale differenza fra queste parole e il
pensiero che jnosse Zola a scrivere il suo Lourdes? (66) XVI, 8.
(66) il, sectio III, 4. (57) Op* p. 107. E' notevole l'umorismo,
che spesso divien •sarcasmo asprissimo, del P. quando parla dello
stato della Chiesa. Cosi nell'ep. fam. 5 del libro XVII,
vituperando il matrimonio aggiunge: del restp ci son turbe di
sgualdrine «he rallegrano anche i vescovi e i monaci ecc.. E in
un'altra (XX, 2) il palafreno del Legato calcitrante contro quello
del- l'imperatore, gli fa comprendere "^che il Papa era la
causa — 100 — vera di tutti ì mali d'Italia e di
Roma, perchè egli « è con- tento che Imperatore si chiami, ma punto non
si fida di di- videre con lui l'impero ». E già prima (XV, 5) aveva
amara- mente osservato: « Ell'è gran cosa calcar la sede di Pietro»
gran cosa ell'è vedersi assiso sul soglio dei Cesari! ». (58) Su '1
significato del verso, anche oggi variamente in- terpretato, vedi i
commentatori; e Tocco: Dante e V eresia. Credo che quel che sono per
citare dell'opinione del P. dimostri anche più decisamente trattarsi
veramente in quel verso di Celestino V. (50) Ep. fam. VI, 1.
(flO) Il Fracassetti naturalmente (vedi in nota) disapprova le
parole del P.. (61) Forse anche il Voigt è di questa opinione, là
dove dice che P. nel De sua ipsius più che il Cristianesimo in sé
difende il proprio (cfr. op. cìt. I, pag. 95). (62) Ep. fam, X, 4,
(63) Cfr. Fiorentino: La filosofia della storia di Francesc(y P.
(in Giornale Napoletano di lettere e filosofia, 1874) e mio lavoro su
l'Africa di Francesco P. (Bihliot. Petr. del Biagi e Passerini — Le
Mounier 1902, pag. 73 e seguenti» e 168 e seguenti). (64) Cioè il
De vera religione citato dal P. molta spesso, e il De doctrina Christiana
ecc. (66) Cfr. Ep, sen. Vili, 6: « Negli ultimi tre libri
manifesta i suoi dubbi, e spesso ancora, per ciò che riguarda le
divine scritture, la sua ignoranza ». E dalle Confessioni egli già
vecchio diceva di aver preso amore allo studio della sacra letteratura,
togliendosi alquanto dal soverchio amore per la profana. Insomma gli
ultimi libri egli li considera, in quanto sono in seguito dei primi,
sotto il rispetto tra filosofico e religioso, ma più assai religioso che
filosofico. — Delle Con- fessioni, per la parte psicologica, riparleremo
più oltre, a pro- posito del Secretum. (66) Questo forse intendeva
P. quando, parlando- della Divina Commedia a un amico,
avrebbe detto essere quella opera non d'uomo, ma dello Spirito Santo.
(OT) De Bem. II, 40. (68) De ócio: Op. p. 306. (89) Presso
la toniba del P. in Arquà. (70) Gfr. I seetio IV, 3. La misantropia era
contraria al carattere medesimo del P.; il quale amava molto le
liete brigate di amici, e scriveva lettere'a tutti continuamente. P. P.
Vergerlo cosi nella Vita P.e scrisse di lui: 4( Erat mirae iucunditatis
comitatisque singularis ut nulius esse cum eo moestus posset ». E
anche il colore ascetico che ha qua e là il trattato è postumo. Si vegga
VEp, «en. XVI, 3, nella quale P. narra le aggiunte fatte per compiacere
gli amici appartenenti agli ordini religiosi, che con lui si dolevano di
non aver egli parlato de' santi loro fondatori: e ci fu un domenicano
che voleva far comparire tra i solitari anche san Domenico! Q^)
Ep, fam, XVII, 4: « non in servigio altrui, ma per fame mio prò, e perchè
dì quell'affetto mio per il sopravve- nire di nuovi non s'abbia in me a
ingenerare dimenticanza ». (72) Gfr. I seetio IV, 1. (73) Gfr. I
seetio V, 1; e II seetio IX, 7. (74) II; sect. IX, 6. Inoltre: Ep.
sen. XI, 3. (75) I; sect. IV, 9. ' (76) II, sect. II, 8. (77) Gfr, ep, fam. VI,
1: « Ghe se le lettere famigliari come scherzando e quasi sempre
nell'agitazione de' viaggi soglio dettare, quando si tratta di comporre
un libro, di so- litudine di quiete di tranquillità di assoluto e non
interrotto silenzio sento bisogno ». E Leonardo Aretino nella Vita
di Francesco P.: 4c Era solito dire che solo il tempo della sua
vita solitaria poteva chiamare vita; perchè l'altro non gli era stato
vita, ma pena ed affanno ». (78) Gfr. inoltre Ep. fam. XV, 7; X, 3; XVI,
7 e 14. (79) Op. pag. 295. • • • _ 102 _ (»)
Vita Sol. I: sect. IV, 7. (81) Ep. fam. Ili, 12. (81) Op. cit.
(83) S. Bonaventura: OpuscuL (Opp. omn. t. VII — Ro- mae) 1596.
(84) Ep. fam. XI, 3. (85) Prose (Le Mounier): saggio sul P. pag.
34. (86) Ep. fam. II, 5: « Frattanto, il confesso, checché i fi-
losofi ragionino intorno al modo di soggiogare le passioni, a me per
brevi strade esse giungono e mi fanno bersaglio de* loro insulti. Che
questa legge a me fu data insieme col corpo dal di che nacqui: molto per
la compagnia di esso avere « soffrire ». E' la bancarotta della filosofia
speculativa!... (87) La causa della differenza è data dal P. mede-
simo in un luogo importante del Rerum Memorandai'um (II, Dantes), nei
quale (còsa, per quanto io so, non accennata pur da gi*andi critici che
trattarono della nota questione su le relazioni fra Dante e P.) si
accenna forse al vero motivo della freddezza del P. verso Dante: «
Dantes Aligherlus, vir vulgari eloquio clarissimus fuit, sed
moribus parum, per contumaciam, et oratione liberior, quam
delicatis ac studiosis aetatis nostrae principum auribus atque
oculis acceptum foret >►. Ma se P. fu accetto, è a pensare che,
mutati i tempi, nelle corti de' Signori si annidava, come dice il Voigt,
l'umanesimo. (88) Gfr. le epistolae: passim. Per esempio
adposterose fam. IV, 10. (8») Ho svolto questo pensiero un po' più
ampiamente in un volumetto: Il pensiero italiano e la Criovine Italia,
in: A. Carlini e G. Gasperoni: La Giovine Italia (Iesi, Tipografia
Editrice Cooperativa, 1904, pag. 35). (W) Gfr. Secretum: diah I. e
passim gli altri scrìtti dianzi citati. (»i) Ep. fam. Vili, 8.
(92) Dial. II. Per altri raffronti vedi mio Studio su V Africa
— 103 — citato, specialmente per il raffronto fra Magone
(che è il Pe- trarca) e il iTeopardì (pag. 107 e seg.). (93) Canto
di un pastore ecc. Ma già c'era 11 biblico: « na- tile homo de muliere,
brevi vivens tempore ecc. ». (»*) Secretum I, Africa I e V, Mime (ediz.
Carducci e Fer- rari): XXXVI, LXXI, GLII,. XXII, XXX, XXXII,
XXXVII, CCGLII, CCCXXXII, CCCLV, GCLXXII, CCGXIX, GXXXIV. Per il
Leopardi cfr. Vita Solitaria v. 34 e seg. e V Infinito ecc. (8B) Ep,
fam. II, 8. (96) « Rapido stellae obviant firmamento, contraria
invi- cem dementa confligunt, terrae tremunt, maria fluctuant ecc.
» E seguita lungamente. Nota fra altro le fini osservazioni del-
l'odio nell'atto generativo. Concludendo: * nil sine lite atque
offensipne genuit natura parens »; e: le còse più forti sono il sepolcro
delle più deboli ecc. . (97) Ep. fam. III, 11. (96) Opera di
bizzarro e coltissimo ingegno è il Le re- mediis. Con copia meravigliosa
di esempi, detti,» fatti, sen- tenze di filosofi, di scrittori, di
guerrieri, di scienziati greci, romani, sacri, antichi e moderni; con
fatterelli di storia e interpretazioni di miti e di costumi e saltuaria
conoscenza di tutto lo scibile; sono qui raccolti con un criterio morale
e psi- cologico svariatissimi argomenti di considerazioni diverse.
Il De remediis somiglia grandemente ai Pensieri di Giacomo 1 Leopardi.
(99) E in ep. fam, IV, 16: « io non so se non sia meglio talvolta
starsi nell'errore contento, che non sempre essere triste per la
conoscenza del vero ». (100) Così nella citata prefazione. Han torto
coloro che si lamentano della noia che la lettura di questo trattato
produce: esso non era un'opera letteraria, ma un vademecum, per
cosi dire, di utilità morale, fatto non per i filosofi, ma per la
co- mune degli uomini. Cfr. Ep, sen, VIII, 3. (101) pag. 108.
(102) Il pensiero filosofico de' Trionfi è già neìV Africa: per
— 10* — il cfr. col Leopardi vedi mio studio citato pag. 71
e seguenti. Nel Secretum sono anche (come nello scritto leopardiano)
già •enumerati i vari casi della fama. Per le Epistola poi vedi qua
e là diffusamente; per esempio ecco il tessuto della prima delle
familiarea (no» bisogna travagliarsi per la fama prima di morire perchè
vivendo non possiamo ottenerla): « Raro è che trovin plauso scritti e
imprese di chi ancor vive: co- mincian dalla morte le lodi degli uomini.
Vuoi tu che sian lodati i tuoi scritti? e tu muori. Anzi finché rimanga
in vita alcuno de* tuoi contemporanei non avrai piena la lode che
assetisci. Per la molta dimestichezza ancora ed il frequente •convivere T
ammirazione degli uomini suol venir meno. Gli «ruditi poi e i pedanti
sdegnano d'indagare il merito dello scrìtto, se credono di conoscerne
Fautore. Giungono viventi a fama solo coloro che con grida sostengono la
loro gloria: ma morti perisce la fama loro. La gloria è un flato di
vento: è un fumo, un*omhra, un nulla ». Si confronti ora questo
tes- suto con l'altro dello scritto leopardiano, e si vedrà che è
identico nella tesi e nello svolgimento e nella conclusione: sì ch'io
credo il Leopardi essersi ispirato al P.. (103) Cfr. terzo dialogo.
(104) II, 8S. (103) Cfr. P. 's. Leben und Werken (Leip. 1878,
pa- gina 561). (106) Per questa parte basti citare i grandi lavori
di Pierre de Nolhac: P. et rhumanisme e l'altro De codicibìis et
patriium medi aevi ecc. (107) Non è giusto dunque rimproverare al P. le
con- tinue citazioni: chi ben le intende vedrà che esse non sono
vana pompa di erudizione, ma un fenomeno artistico e filo- sofico
importantissimo. (106) Per citare un solo esempio, egli crede spesso con
gli Stoici che la felicità vera consìsta nella virtù sola, e nello
stesso tempo li chiama crudeli e preferisce i Peripatetici che ammettono
che anche il dolore è un male (cfr. De Bem. II, 114) e poi ep. fam. XV.
6. — 106 — (109) Il Voigt, per esempio, lo crede
stoico; il Bartoli e il Koeting scettico; il Kraus (F, P. in seinem
Briefwech" .sei) sccMtico; molti accademico; molti mistico ecc.
(liO) Quanto alla parte considerevole che ha il raziona- lismo,
basti citare il De remediis, nel quale la E(mione da sola sostiene i
dialoghi col Gaudio e col Timore; nel Secretum Agostino che cita sempre i
classici e i pagani è 1* imagine della ragione, che egli invoca molto più
spesso e volentieri dei libri santi e dei dogmi. Cosi nelle altre opere
del P.. In conclusione egli non è mistico perchè rctgiona, non è
ra- zionalista perchè è credente, cioè ha una fede indiscussa.
(Ili) Ep, fam. I, 7. Cosi nel Secretum (dial. II) distingue il verlmm
oris dal verhum mentis, (iw) De Bem. quella parte (I, 12) che forma il
1. dialogo del De Vera Sapientia (il secondo dialogo è del Cusano).
(113) ivi. (11*) Cfr. De odo (Op. pag. 311): « Optat adversarius
noster non ut discamus, cui ignorantia nostra gratissima, scire
per- moléstum est ». (115) ^p. fam. I, 8. (116) Ep. fam. I,
2. ' (117) Cfr. anche De Bem. II, 117: Quest'ufficio egli notava
che ebbe già la filosofia antica, e però aggiunge; « perchè non Tavrà la
nuova filosofia cristiana, la quale è somma, e vera filosofia? ».
(118) Ep. fam. I, 2. (119) Non parlo di alcuni miserabili denigratori
che giaccio- no meritamente ignorati. Ma di numerosi critici moderni
pur anche autorevolissimi, i quali hanno iniziato un genere di
critica che, per questo rispetto, è tutto fondato su la diffldenea delle
parole del P., il quale ne' loro libri diviene un monumento di orgoglio,
di vanità, di leggerezza, di menzo- gna, di avarizia, di parassita, di
buontempone, di lussurioso, di traditore, e via via. Insomma per farlo
uomo^ dacché prima ne avean fatto un dio, lo han fatto un po' birbante,
un bir- — 106 — bante geniale e burlone a cui molto
si può perdonare. Chi ha dato il cattivo esempio, credo che siano stati i
tedeschi. Il Voigt, per esempio, nella sua nota. opera, monumentale
opera sul Risorgimento, alcune volte mi pare evidente che non abbia
compreso Tanima italiana e lo spirito del P.. Il Kraus (op. cit.) arriva
a fare del P. un esteta né più né meno, e fuori dell* estetica non vede.
in lui nient*altro; e ragiona cosi: P. dice la tale o tal* altra cosa?
non cre- detegli, perchè parla per posa o per fantasia poetica.
Insomma facciamo si del P. un uomo, uomo con i suoi difetti: ma non
esageriamoli; non separiamo Tuomo dalPartista, il cittadino dal
letterato, anche perchè andremmo contro la nostra storia, la quale
dimostra che da Dante al Carducci To- nestà della vita ne* maggiori
scrittori non si disgiunse mai dalla grandezza artistica. Il Kraus del
resto (op. cit. VI) non cita bene quando dice che P. per un*idea
estetica preferiva zoppicar d*un piede piuttosto che d'un verso: il
P. al contrario (cfr. Ep. fam. XVI, 14) biasima i poeti del tempo ì quali
preferivano zoppicare in morale piuttosto che in poesia. (1») Ep.
fam, XI, 3. (121) Ep. fam. I, 8. (IM) op. cit. (123) Ep.
fam. V, 10. (1**) Ep.
fam. XIII, 5. (125) Cfr. la celebre canzone: Italia mia ecc. (i«)
Cfr. De Bem. I, 105. (127) Cfr. fra altro Varie, 48. Né era solo fuoco
di paglia, come suol dirsi: che nel De Bem. (II, 118) pur riprovando
il suicidio di Catone, fa l'elogio di Bruto: « patrìae servi tus et
tyranni facies potius repellenda quam morte declinanda sunt »; e se
Catone si uccise per non vedere il volto del tiranno, ci fu chi lo
riguardò: « Brutus aspexit et illius potius morte tollendum, quam sua morte
fugiendum censuit: id est enim viri opus, hoc feminae ». Dante nella
Divina Commedia approvò Catone, punì Bruto; ma non sì venga ora a dire
che nel P. è minore grandezza che in Dante, nel rispetto politico!
(1») De Bém. I, 39. (1») Ep, fam. IV, 7 ecc. (130) Ep.
fam. XI, 16 e 17. (131) Gfr. un mio articolo sul pensiero politico di
Dante, in Giornale Dantesco (diretto da G. L. Passerini) X, 8-9.
Del resto il pensiero politico del P. è lo stesso di Gola, Quanto
sbaglia il Kraus a giudicar Gola un pazzo! Ma il Gaspary già ha
avvertito che per P. Impero e Re- pubblica sono la stessa cosa (cfr.
Storia della lett.: P.). (1») Ep. fam. XIX, 1. (133) Cfr.
Ep. fam. XXIII, 2; XIX, 12 e De Rem. I, 116. (134) Vedi Canzone ali* Italia. Quanto al
patriottismo del P.: per T emancipazione deiritalia dal giogo
straniero (ut corpìM italicum labe barbarica purgatum medullitus
agno- scam) cfr. ep. fam. XI, 13 e XVIII, 16; per Tunione di tutti
i popoli e principi italiani, ol^re le Bime, cfr. ep. fam. XVII, 6;
XIX, 9; per la grandezza d'Italia cfr. poi passim tutte le "opere
latine e volgari, ma mi pare che nella celebre canzone alF Italia sìa
tutto riassunto mirabilmente il pensiero petrarchesco. (135) Si noti che
P. loda Roberto, nel De Ocio (1. II Op. p. 315) per una ragione affatto
religiosa: « Siculus rex Robertus sub cuius temporali regimine aeterno
regi servien- tes suaviter quievistis (parla ai monaci di Montrieux) ».
Cfr. Dante che chiama similmente, ma con disprezzo, Roberto re da
sermone. (136) Cfr. Ep. sen. XIV, 1: come Dio premi l'amor di patria.
(137) Op. cit. Ili e seg. (138) Vedi in Fiorentino, loc. cit.
(139) idem. (140) Fiorentino: loc. cit. (141) Ep. fam. XX,
6; III, 6. (i«) Secretum, III. (1^) Certo FHumbolt, che nel Gosmos
diceva nelle lettere del P., tranne che in quella che descrive
Tascensione al Ventoux, non aver trovato il sentimento della natura,
non le lesse bene. Ecco per esempio un bellissimo argomento di arte
moderna: la festa di san 6. Battista in Colonia: Ep. fam, I, 4: « Era la
vigilia del Battista... e il sole si avvicinava al tramonto. Tutta la
riva era coperta da immensa e splendida folla di donne. Io ne stupii: Dio
buono! che belle figure, che volti, che abbigliamenti. Chiunque avesse
avuto libero il cuore da altra passione, avrebbe trovato di che
innamorarsi. Io m*era fermato in un punto alquanto piii alto, onde ben
si scorgesse quel che accadeva. Incredibile e non punto molesto era
il concorso: e le vedeva a mute a mute tutte festose, e parte aventi nel
grembo erbe odorose, rimboccate le maniche in su i gomiti, lavar nel
fiume le mani e le candide braccia, non so quali dolci parole mormorando
fra loro in lingua a me ignota ». E P. si duole di non intendere le loro
pa- role. Per questa parte si veggano specialmente gli articoli
dello Zumbini (Il sentimento della natura e Ascesa al Ven- toux in Studi
Fetrarcheechi), e il Carducci (P. alpinista) e il Pierre de Nolhac, e il
Bourckardt (la nota opera sul Ri- sorgimento italiano, II, 74 ecc.). Fra
le altre bellissime de- scrizioni nelle lettere, si notino: ep. fam, XIX,
13: una splen- dida e nuova pittura delle bellezze della Riviera; VIII,
5: un freschissimo quadro delle bellezze alpine; Senili VII, 1: mi-
rabile descrizione del lago di Garda. Quest'ultima darebbe buon argomento
a chi ne volesse fare un confronto con la bella, ma fredda descrizione
dantesca (Inferno, XX 70 e seg.), per rilevare roriginalità e l'elemento
tutto moderno proprio al sentimento della natura del P.. (144)
Affatto filosofico è il seguente sonetto: S'amar non è, che dunque è
quel chHo sento? Ma, s'egli è Amor, per Dio che cosa e quale? Se
bona, ond'è l'effetto aspro mortale? Se ria, ond'è si dolce ogni
tormento? S'a mia voglia ardo, ond'è 'l pianto e lamento? S'a mal
mio grado, il lamentar che vale? viva morte, o dilettoso male. Come
puoi tanto in me, s'io no *l consento? E s*io "l consento, a gran
torto mi doglio. Fra sì contrari venti in frale barca Mi trovo in
alto mar, senza governo, sì lieve di saver, d'error sì earca, ch'i'
medesmo non so quel ch'io mi voglio; e tremo a meeea state, ardendo il
verno, (146) L'ultimo lavoro in proposito è quello del Sicardi: Gli
amori estravaganti e molteplici di Francesco P. e l'or more unico per M.
Laura de Sade (Hoepli 1900); nel quale combatte il Cesareo e altri, e
conclude Laura essere stata runico amore del P.. (146) Per i
limiti stessi di questo scritto non ho creduto apportuno svolgere
maggiormente Pesame del Canzoniere. (147) Cfr. Bime (ed. del Carducci e
Ferrari): CCGLVIIl» GCCXXVI (M4), CCCXLVI (1-14), CCGXLVIII (MI),
CGCXLIX, CCCLIV, CCCXIX. (148) Cfr. ep. fam. VI, 4 e XIII, 7 nelle
quali confessa ch'egli scrive per sfogar l'animo, perchè (dice) ha
bisogno di scrivere. Firenze, Mounier. Considerato il filosofo precursore dell'umanesimo e
uno dei fondamenti della filosofia italiana, soprattutto grazie alla sua opera
più celebre, il “Canzoniere”, patrocinato quale modello di eccellenza
stilistica da BEMPO. Filosofo moderno, slegato ormai dalla concezione della
patria come mater e divenuto cittadino del mondo, P. rilancia, in ambito
filosofico, l'agostinismo in contrapposizione alla scolastica e opera una
rivalutazione storico-filologica dei classici latini. Fautore dunque di una
ripresa degli studia humanitatis in senso antropo-centrico -- e non più in
chiave assolutamente teo-centrica – P. -- che ottenne la laurea poetica a Roma
– gode la sua vita nella riproposta culturale della poetica e la filosofia
antica e patristica attraverso l'imitazione dei classici, offrendo un'immagine
di sé quale campione di virtù e della lotta contro i vizi. La storia medesima
del Canzoniere, infatti, è più un percorso di riscatto dall'amore travolgente
per Laura che una storia d'amore, e in quest’ottica si deve valutare anche
l'opera latina del Secretum. Le tematiche e la proposta culturale
petrarchesca, oltre ad aver fondato il movimento culturale umanistico, danno
avvio al fenomeno del petrarchismo, teso ad imitare stilemi, lessico e generi
poetici propri della produzione lirica volgare dell'aretino. Il padre appartene
alla fazione dei guelfi bianchi ed è amico d’ALIGHIERI, esiliato da Firenze per
l'arrivo di Valois, apparentemente entrato nella città toscana quale paciere di
Bonifacio VIII, ma in realtà inviato per sostenere i guelfi neri contro quelli
bianchi. La sentenza emanata da Gubbio, podestà di Firenze, esilia tutti i
guelfi bianchi, compreso il padre di P. che, oltre all'oltraggio dell'esilio, e
condannato al TAGLIO DELLA MANO DESTRA. A causa dell'esilio del padre, P. trascorre
l'infanzia in diversi luoghi della Toscana. Prima ad Arezzo, poi Incisa e Pisa,
dove il padre è solito spostarsi per ragioni politico-economiche. A Pisa, il
padre, che non perde la speranza di rientrare in patria, si riune ai guelfi
bianchi e ai ghibellini per accogliere Arrigo VII. Secondo quanto affermato
dallo stesso P. nella Familiares, indirizzata a Boccaccio, a Pisa avvenne,
probabilmente, il suo unico e fugace incontro con l'amico del padre, ALIGHIERI.
La famiglia si trasfere a Carpentras, vicino Avignone, dove il padre ottenne
incarichi presso la corte pontificia grazie all'intercessione di Prato. Nel
frattempo, P. studia a Carpentras sotto la guida di Prato, amico del padre che è
ricordato dal P. con toni d'affetto nella Seniles. A questa scuola, presso la
quale studia, conosce uno dei suoi più cari amici, Sette, al quale P. indirizza
la Seniles. Anonimo, Laura e il Poeta, Arquà P. (Padova). L'affresco fa parte
di un ciclo pittorico realizzato mentre è proprietario Valdezocco. L'idillio di
Carpentras dura fino ad allorché lui, il fratello Gherardo e l'amico Sette sono
inviati dalle rispettive famiglie a studiare diritto a Montpellier, città della
Linguadoca, ricordata anch'essa come luogo pieno di pace e di gioia. Nonostante
ciò, oltre al disinteresse e al fastidio provati nei confronti della
giurisprudenza, il soggiorno a Montpellier è funestato dal primo dei vari lutti
che P. affrontare: la morte della madre. Il figlio, ancora adolescente, compone
il Pangerycum defuncte matris -- poi rielaborato nell'epistola metrica -- in
cui vengono sottolineate le virtù della madre scomparsa, riassunte nella parola
latina electa. Il padre, poco dopo la scomparsa della moglie, decide di
cambiare sede per gli studi dei figli inviandoli nella ben più prestigiosa BOLOGNA,
anche questa volta accompagnati da Sette e DA UN PRECETTORE che segue la vita
quotidiana dei figli. In questi anni P., sempre più insofferente verso gli
studi di diritto, si lega ai circoli letterari felsinei, divenendo studente e
amico dei latinisti Virgilio e BENINCASA (si veda), coltivando così i studi filosofici
e la biblio-filia. Gl’anni bolognesi, al contrario di quelli trascorsi in
Provenza, non sono tranquilli. Scoppiarono violenti tumulti in seno allo studio
in seguito a LA DECAPITAZIONE DI UN STUDENTE, fatto che spinge P., con il
fratello e SETTE a ritornare ad Avignone. I tre ri-entrarono a Bologna per
riprendervi gli studi fino all’anno in cui P. ritornò ad Avignone per prendere
a prestito una grossa somma di denaro, vale a dire 200 lire bolognesi spese
presso Zambeccari. Ser Petracco muore permettendo a P. di LASCIARE FINALMENTE
LA FACOLTÀ DI DIRITTO A BOLOGNA e di dedicarsi agli studi filosofici che lo
appassionavano. Per dedicarsi a tempo pieno a quest'occupazione dove trovare
una fonte di sostentamento che gli permette di ottenere un qualche guadagno
remunerativo. Lo trova quale membro del seguito di Colonna. L'essere entrato a
far parte della famiglia, tra le più influenti e potenti dell'aristocrazia
romana, permise a P. di ottenere non soltanto quella sicurezza di cui ha
bisogno per iniziare i studi, ma anche di estendere le sue conoscenze in seno
all'élite filosofica romana. Difatti, in veste di rappresentante degl’interessi
dei Colonna, P. compì un lungo viaggio nell'Europa del Nord, spinto
dall'irrequieto e risorgente desiderio di conoscenza umana e culturale che
contrassegna l'intera sua agitata biografia. È a Parigi, Gand, Liegi,
Aquisgrana, Colonia, e Lione. Particolarmente importante è allorché, nella
città di Lombez, P. conosce Tosetti e Kempen, il Socrate cui vede dedicata la
raccolta epistolare delle Familiares. Poco dopo essere entrato a far
parte del seguito di Colonna, prende gli ordini sacri, divenendo canonico, col
fine di ottenere i benefici connessi all'ente ecclesiastico di cui è investito.
Nonostante la sua condizione di religioso -- è attestato che P. è nella
condizione di chierico – ha comunque un figlio nato con una donna ignote, figlio
tra cui spiccano per importanza, nella successiva vita del poeta. Secondo
quanto afferma nel Secretum, P. incontra per la prima volta, nella chiesa di
Santa Chiara ad Avignone, 7, che cadde di lunedì, la donna che è l'amore della
sua vita e che è immortalata nel Canzoniere. La figura di Laura suscita, da
parte dei critici letterari, le opinioni più diverse. Identificata da alcuni
con una Laura de Noves coniugata de Sade -- morta a causa della peste. Altri
invece tendono a vedere in tale figura un senhal dietro cui nascondere la
figura dell'ALLORO filosofico -- pianta che, per gioco etimologico, si associa
al nome femminile -- suprema ambizione del filosofo P.. P. manifesta già
durante il soggiorno bolognese una spiccata sensibilità filosofica, professando
una grandissima ammirazione per l'antichità romana. Oltre agli incontri con
Virgilio e Pistoia, importante per la nascita della sensibilità filosofica di
P. è il padre stesso, fervente ammiratore di CICERONE e di tutta la
giurisprudenza latina. Difatti ser Petracco, come racconta P. nella Seniles dona
al figlio un manoscritto contenente le opere di VIRGILIO e la Rethorica di CICERONE
e un codice delle Etymologiae di Isidoro e uno contenente le lettere di s. Paolo.
In quello stesso anno, dimostrando la passione sempre crescente per la
Patristica, P. compra un codice del De Civitate Dei di Agostino e conosce e
comincia a frequentare Sepolcro, professore di teologia alla Sorbona. Il
professore regala a P. un codice tascabile delle Confessiones, lettura che
aumenta ancor di più la passione del Nostro per la spiritualità patristica
agostiniana. Dopo la morte del padre e l'essere entrato a servizio dei Colonna,
P. si buttò a capofitto nella ricerca di nuovi classici, cominciando a
visionare i codici della biblioteca apostolica -- ove scoprì la Naturalis
Historia di PLINIO il Vecchio -- e, nel corso del viaggio nel Nord Europa, P. scopre
e ri-copia il codice del Pro Archia poeta di CICERONE e dell'apocrifa “Ad
equites romanos”, conservati nella Biblioteca Capitolare di Liegi. Oltre alla
dimensione di explorator, comincia a sviluppare le basi per la nascita del
metodo filologico moderno, basato sul metodo della collatio, sull'analisi delle
varianti e quindi sulla tradizione manoscritta dei classici, depurandoli dagl’errori
dei monaci amanuensi con la loro emendatio oppure completando i passi mancanti
per congettura. Sulla base di queste premesse metodologiche, lavora alla
ricostruzione, da un lato, dell' “Ab Urbe condita” di LIVIO. Dall'altro, della
composizione del grande codice contenente le opere di VIRGILIO e che, per la
sua attuale locazione, è chiamato Virgilio ambrosiano. Da Roma a Valchiusa:
l'Africa e il “De viris illustribus”; Marie Alexandre Valentin Sellier, “La
farandola di P.”, olio su tela, Sullo sfondo si può notare il Castello di
Noves, nella località di Valchiusa, il luogo ameno in cui trascorse gran parte
della sua vita fino all’anno in cui lasciò la Provenza per l'Italia. Mentre
porta avanti questi progetti filosofici, P. intrattene con Benedetto XII, un rapporto epistolare -- Epistolae
metricae -- con cui esorta il pontefice a ritornare a Roma e continua il suo
servizio presso Colonna, su concessione del quale poté intraprendere un viaggio
a Roma, dietro richiesta di Colonna che desidera averlo con sé. Giuntovi nella città
eterna P. puo toccare con mano i monumenti e le antiche glorie dell'antica
capitale dell'impero romano, rimanendone estasiato. Rientrato in Provenza, P.
compra una casa a Valchiusa, appartata località sita nella valle della Sorgue nel
tentativo di sfuggire all'attività frenetica avignonese, ambiente che
lentamente comincia a detestare in quanto simbolo della corruzione morale in
cui è caduto il Papato. Valchiusa -- che durante le assenze di P. è affidata al
fattore Chermont -- è anche il luogo ove P. puo concentrarsi nella sua attività
filosofica e accogliere quel piccolo cenacolo di amici eletti -- a cui si
aggiunse il vescovo di Cavaillon, Philippe de Cabassolle -- con cui trascorrere
giornate all'insegna del dialogo filosofico colto – “un gruppo di gioco”. Più o
meno in quello stesso periodo, illustrando a Colonna la vita condotta a
Valchiusa nel primo anno della sua dimora lì, P. delinea uno di quegl’autoritratti
manierati che diventeranno un luogo comune della sua corrispondenza:
passeggiate campestri, amicizie scelte, letture intense, nessuna ambizione se
non quella del quieto vivere. È in questo periodo appartato che, forte della
sua esperienza filosofica, incomincia a stendere i due saggi che sarebbero
dovute diventare il simbolo della rinascenza classica: l'Africa e il De viris
illustribus. Il primo saggio, in versi intesa a ricalcare le orme virgiliane,
narra dell'impresa militare romana della seconda guerra punica, incentrata
sulle figure di SCIPIONE l'Africano, modello etico insuperabile della virtù
civile della repubblica romana. Il secondo saggio e un medaglione di XXXVI vite
di uomini illustri improntata sul modello liviano e quello floriano. La scelta
di comporre un'opera in versi e un'opera in prosa, ricalcanti i modelli sommi
dell'antichità nei due rispettivi generi e intesi a recuperare, oltre alla
veste stilistica, anche quella spirituale degl’antichi, diffusero presto il
nome di P. al di là dei confini provenzali, giungendo in Italia. L'ALLORO
con cui P. è incoronato ri-vitalizza il mito del filosofo laureato, figura che
diventerà un'istituzione pubblica in paesi quali il Regno Unito. Il nome di P. quale uomo eccezionalmente colto
e grande filosofo è diffuso grazie all'influenza della famiglia Colonna e SEPOLCRO.
Se i primi hanno influenza presso gl’ambienti ecclesiastici e gl’enti a essi
collegati -- quali le Università europee, tra le quali spiccava la Sorbona --
SEPOLCRO fa conoscere il nome dell'Aretino presso la corte del re di Napoli
Roberto d'Angiò, presso il quale è chiamato in virtù della sua erudizione. Approfittando
della rete di conoscenze e di protettori di cui disponeva, pensa di ottenere un
riconoscimento ufficiale per la sua attività filosofica “innovatrice” a favore
dell'antichità, patrocinando così la sua incoronazione filosofica. Difatti,
nella Familiares, confide a SEPOLCRO la sua speranza di ricevere l'aiuto del
sovrano angioino per realizzare questo suo sogno, intessendone le lodi. La Sorbona
fa sapere al Nostro l'offerta di una incoronazione filosofica a Parigi. Proposta
che, nel pomeriggio dello stesso giorno, giunge analoga dal senato di Roma. Su
consiglio di Colonna, P., che desidera essere incoronato nell'antica capitale
dell'impero romano, accetta la seconda offerta, accogliendo poi l'invito di re
Roberto di essere esaminato da lui stesso a Napoli prima di arrivare a Roma per
ottenere la sospirata incoronazione. Le fasi di preparazione per il
fatidico incontro con il sovrano angioino durarono, P., accompagnato dal
signore di Parma Azzo da Correggio, si mise in viaggio per Napoli col fine di
ottenere l'approvazione del colto sovrano angioino. Giunto nella città
partenopea è esaminato per III giorni da re Roberto che, dopo averne constatato
la cultura e la preparazione filosofica, acconsentì all'incoronazione a
filosofo in Campidoglio per mano del senatore Anguillara. Se conosciamo da un lato sia il contenuto del discorso di P. – la
collatio laureationis --sia la certificazione dell'attestato di LAUREA da parte
del senato romano – il privilegium lauree domini Francisci Petrarche, che gli
conferiva anche l'autorità per insegnare filosofia e la cittadinanza romana -- la
data dell'incoronazione è incerta. Tra quanto affermato da P. e quanto poi
testimoniato da BOCCACCIO (si veda), la cerimonia d'incoronazione avvenne in un
arco temporale. In seguito all'incoronazione incomincia a comporre l'Africa e
il De viris illustribus. Gli anni successivi all'incoronazione filosofica sono
contrassegnati da un perenne stato d'inquietudine morale, dovuta sia a eventi
traumatici della vita privata, sia all'inesorabile disgusto verso la
corruzione Avignonese. Subito dopo l'incoronazione filosofica, mentre P. sosta
a Parma, sa della scomparsa dell'amico Colonna, notizia che lo turba
profondamente. Gl’anni successivi non recarono conforto al filosofo laureato. Da
un lato le morti prima di SEPOLCRO e, poi, di re Roberto ne accentuarono lo
stato di sconforto. Dall'altro, la scelta da parte del fratello di abbandonare
la vita mondana per diventare monaco nella Certosa di Montreaux, spinsero P. a
riflettere sulla caducità del mondo. Mentre soggiorna ad Avignone, conosce Cola
di Rienzo -- giunto in Provenza quale ambasciatore del regime repubblicano
instauratosi a Roma -- col quale condivide la necessità di ridare a Roma
l'antico status di grandezza politica che, come capitale dell'antica Roma le
spetta di diritto. È nominato canonico del Capitolo della cattedrale di Parma,
mentre è nominato arcidiacono. La caduta politica di RIENZO, favorita
specialmente dalla famiglia Colonna, è la spinta decisiva da parte di P. per
abbandonare i suoi protettori. Lascia ufficialmente, l'entourage di Colonna.
A fianco di queste esperienze private, il cammino del filosofo P. è invece
caratterizzato da una scoperta importantissima. Dopo essersi rifugiato a Verona
in seguito all'assedio di Parma e la caduta in disgrazia dell'amico Correggio, P.
scopre nella biblioteca capitolare le epistole ciceroniane “ad Brutum”, “ad
Atticum” e “ad Quintum fratrem.” L'importanza della scoperta consistette nel
modello epistolografico che esse trasmettevano: i colloquia a distanza con gl’amici,
l'uso del tu al posto del voi proprio dell'epistolografia medievale ed, infine,
lo stile fluido e ipotattico indussero l'aretino a comporre anch'egli delle
raccolte di lettere sul modello ciceroniano e senecano, determinando la nascita
delle Familiares prima, e delle Seniles poi. A questo periodo di tempo
risalgono anche i Rerum memorandarum libri, l'avvio del De otio religioso e del
De vita solitaria. Sempre a Verona, P. ha modo di conoscere Alighieri, figlio d’ALIGHIERI,
con cui intrattenne rapporti cordiali. La vita, come suol dirsi, ci sfugge
dalle mani. Le nostre speranze furon sepolte cogli amici nostri. Ci rese miseri
e soli. Delle cose familiari, prefazione, A Socrate. Dopo essersi slegato dai
Colonna, P. comincia a cercare altro patrone presso cui ottenere protezione.
Pertanto, lascia Avignone, col figlio, giunge a Verona, località dove si è rifugiato
l'amico Correggio dopo essere stato scacciato dai suoi domini, per poi giungere
a Parma, dove stringe legami con il signore della città, Luchino Visconti (si veda: “Morte a
Venezia”). È, però, in questo periodo che inizia a diffondersi per l'Europa la
terribile peste nera, morbo che causa la morte di molti amici del P.: i
fiorentini BENE (si veda), Casini, e Albizzi; Colonna e il padre, anche Colonna;
e quella dell'amato ALLORO, di cui ha la notizia. Nonostante il dilagare del
contagio e la prostrazione psicologica in cui cadde a causa della morte di
molti suoi amici, P. continua le sue peregrinazioni, alla ricerca di un
protettore. Lo trova in Carrara, suo estimatore che lo nomina canonico del
duomo di Padova. Il signore di Padova intese in tal modo trattenere in città il
filosofo il quale, oltre alla confortevole casa, in virtù del canonicato
ottenne una rendita annua di 200 ducati d'oro, ma P. utilizza questa abitazione
solo occasionalmente. Difatti, costantemente in preda al desiderio di
viaggiare, è a Mantova, a Ferrara e a Venezia, dove conosce Dandolo. Prende la
decisione di recarsi a Roma per lucrare l'indulgenza dell'Anno giubilare.
Durante il viaggio accondiscese alle richieste dei suoi ammiratori fiorentini e
decide di incontrarsi con loro. L’occasione è di fondamentale importanza non
tanto per P., quanto per colui che diventerà il suo interlocutoreL Boccaccio.
Il filosofo e novelliere, sotto la sua guida, incomincia una lenta e
progressiva conversione verso una mentalità ed un approccio più umanistico alla
filosofia, collaborando spesso con il suo venerato praeceptor in progetti
culturali di ampio respiro. Tra questi ricordiamo la la scoperta di antichi codici
classici romani. P. risiedette prevalentemente a Padova, presso Carrara. Qui,
oltre a portare avanti i progetti letterari delle Familiares e le opere
spirituali riceve anche la visita di BOCCACCIO in veste di ambasciatore del comune
fiorentino perché accetta un posto di docente presso il nuovo studio fiorentino
– meno prestigioso dall’antichissimo di Bologna -- Poco dopo, e spinto a
rientrare ad Avignone in seguito all'incontro con Talleyrand e Boulogne, latori
della volontà di papa Clemente VI che intende affidargli l'incarico di segretario
apostolico. Nonostante l'allettante offerta del pontefice, l'antico disprezzo
verso Avignone e gli scontri con gli ambienti della corte pontificia -- i
medici del pontefice e, dopo la morte di Clemente, l'antipatia d’Innocenzo VI
-- gl’indussero a lasciare Avignone per Valchiusa, dove prende la decisione
definitiva di stabilirsi IN ITALIA. Targa commemorativa del soggiorno meneghino
di P. situata agli inizi di Via Lanzone a Milano, davanti alla basilica di S. Ambrogio.
P. inizia il viaggio verso la patria, accogliendo l'ospitale offerta di Visconti,
arcivescovo e signore della città, di risiedere a Milano. Malgrado le critiche
degl’amici fiorentini -- tra le quali si ricorda quella risentita del Boccaccio
-- che gli rimproveravano la scelta di essersi messo al servizio dell'ACERRIMO
NEMICO DI FIRENZE. P. collabora con missioni e ambascerie -- a Parigi e a
Venezia; l'incontro con l'imperatore Carlo IV a Mantova e a Praga -- all'intraprendente
politica viscontea. Sulla scelta di risiedere a Milano piuttosto che
nella natia Firenze, bisogna ricordare l'animo cosmopolita proprio di P.. Cresciuto
ramingo e lontano dalla sua patria, P. non risente più dell'attaccamento
medievale verso la propria patria d'origine, ma valuta gl’inviti fattigli in
base alle convenienze economiche e politiche. Meglio, infatti, avere la
protezione un signore potente e ricco come Visconti e Galeazzo II, che si
rallegrerebbero di avere a corte un filosofo celebre come P.. Nonostante tale
scelta discutibile agl’occhi degl’amici fiorentini, i rapporti tra il
praeceptor e i suoi discipuli si ricucino. A ripresa del rapporto epistolare
tra P. e Boccaccio prima, e la visita di quest'ultimo a Milano nella casa di P.
situata nei pressi di S. Ambrogio sono le prove della concordia
ristabilita. Nonostante le incombenze diplomatiche, nel capoluogo
lombardo elabora la sua filosofia, dalla ricerca erudita e filologica alla
produzione di una filosofia fondata da un lato sull'insoddisfazione per la
cultura contemporanea, dall'altra sulla necessità di una produzione che puo
guidare l'umanità verso i principi etico-morali filtrati attraverso l’accademia
e il portico. Con questa convinzione, P. porta avanti gli scritti iniziati nel
periodo della peste: il Secretum e il De otio religioso; la composizione di
opere volte a fissare presso i posteri l'immagine di un uomo virtuoso i cui
principi sono praticati anche nella vita quotidiana -- le raccolte delle
Familiares e, l'avviamento delle Seniles -- le raccolte poetiche latine -- Epistolae
Metricae -- e quelle volgari -- i Triumphi e i Rerum Vulgarium Fragmenta, alias
il Canzoniere. Durante il soggiorno meneghino P. inizia soltanto il dialogo “De
remediis utriusque fortune” in cui si affrontano problematiche morali
concernenti il denaro, la politica, le relazioni sociali e tutto ciò che è
legato al quotidiano. Per sfuggire alla peste, P. abbandona Milano per Padova, città da cui fugge per lo stesso motivo. Nonostante la
fuga da Milano, i rapporti con Visconti rimanono sempre molto buoni, tanto che
trascorse tempo nel castello visconteo di Pavia in occasione di trattative
diplomatiche. A Pavia seppelle il piccolo nipote di due anni, figlio della figlia,
nella chiesa di S. Zeno e per lui compose un'epigrafe ancor oggi conservata nei
Musei Civici. Si reca a Venezia, città dove si trovava il caro amico Albanzani e
dove la Repubblica gli concesse in uso Palazzo Molin delle due Torri sulla Riva
degli Schiavoni in cambio della promessa di donazione della sua biblioteca, che
era allora certamente la più grande biblioteca privata d'Italia. Si tratta
della prima testimonianza di un progetto di bibliotheca publica. La casa
veneziana è molto amata da P., che ne parla indirettamente nella Seniles,
quando descrive, al destinatario Bologna, le sue abitudini quotidiane. Vi
risiede stabilmente -- tranne alcuni periodi a Pavia e Padova -- e vi ospita
Boccaccio e Pilato. Durante il soggiorno veneziano, trascorso in compagnia
degli amici più intimi, della figlia sposatasi con Brossano, decide di affidare
a Malpaghini la trascrizione in bella copia delle Familiares e del Canzoniere. La
tranquillità di quegli anni è turbata dall'attacco maldestro e violento mosso
alla cultura, all'opera e alla figura sua da IV filosofi averroisti che lo
accusarono di ignoranza. L'episodio è
l'occasione per la stesura del saggio “De sui ipsius et multorum ignorantia”,
in cui P. difende la propria "ignoranza" in campo del LIZIO a favore
della filosofia dell’ACCADEMIA, più incentrata sui problemi della natura umana
rispetto alla prima, intesa a indagare la natura sulla base dei dogmi del
filosofo di Stagira. Amareggiato per l'indifferenza dei veneziani davanti all’accuse
rivoltegli, P. decide di abbandonare la città lagunare e annullare così la
donazione della sua biblioteca alla Serenissima. La casa di P. ad Arquà P.,
località sita sui colli Euganei nei pressi di Padova, dove vive il filosofo. Della dimora P. parla nella Seniles. Dopo
alcuni brevi viaggi, accolge l'invito dell'amico ed estimatore Carrara di
stabilirsi a Padova, in Via Dietro Duomo a Padova, la casa canonicale di P.,
assegnata a lui in seguito al conferimento del canonicato. Il signore di Padova
dona poi una casa situata nella località di Arquà, un tranquillo paese sui
colli Euganei, dove poter vivere. Lo stato della casa, però, a abbastanza
dissestato e ci vollero alcuni mesi prima che potesse avvenire il definitivo
trasferimento nella nuova dimora. La vita di P., che è raggiunto dalla famiglia
della figlia, si alterna prevalentemente tra il soggiorno nella sua amata casa
di Arquà e quella vicina al duomo di Padova, allietato spesso dalle visite dei suoi amici
ed estimatori, oltre a quelli conosciuti nella città veneta, tra cui si ricorda
Seta, che daveva sostituito Malpaghini quale copista e segretario del filosofo laureato.
Si mosse dal padovano soltanto una volta quando e a Venezia quale paciere per
il trattato di pace tra i veneziani e Carrara. Per il resto del tempo si dedica
alla revisione delle sue opere e, in special modo, del Canzoniere. Colpito da
una sincope, muore ad Arquà mentre esaminava un testo di VIRGILIO (o CICERONE),
come auspicato in una lettera al Boccaccio. Peraga è scelto per tenere
l'orazione nel funerale, che si svolge nella chiesa di S. Maria Assunta alla
presenza di Carrara e di molte altre personalità laiche ed ecclesiastiche. Per
volontà testamentaria le spoglie di P. sono sepolte nella chiesa parrocchiale
del paese, per poi essere collocate dal genero in un'arca marmorea accanto alla
chiesa. Le vicende dei resti del P., come quelli di ALIGHIERI, non sono
tranquille. La sua tomba espezzata all'angolo di mezzodì e vennero rapite
alcune OSSA DEL BRACCIO DESTRO. Autore del furto e Martinelli, un frate da Portogruaro,
il quale, a quanto dice una pergamena dell'archivio comunale di Arquà, venne
spedito in quel luogo dai fiorentini, con ordine di riportare seco qualche
parte del suo scheletro. La veneta repubblica fa riattare l'urna, suggellando
con arpioni le fenditure del marmo, e ponendovi lo stemma di Padova e l'epoca
del misfatto. I resti trafugati NON SONO MAI RECUPERATI. La tomba, che versa in
stato pessimo, venne sottoposta a restauro dato lo stato pessimo in cui il
sepolcro versa. Il restauro però, a seguito di complicazioni burocratiche e di
conflitti di competenza e questioni anche politiche, e addirittura processato
con l'accusa di violata sepoltura. Avennero resi noti i risultati dell'analisi
dei resti conservati nella sua tomba ad Arquà P.. Il TESCHIO, peraltro ridotto
in frammenti, una volta ricostruito, è riconosciuto come femminile e quindi non
pertinente a P.. Un frammento di pochi grammi del cranio esaminato con il
metodo del radiocarbonio, consente di accertare che il cranio ritrovato nel sepolcro
è femminile. A chi sia appartenuto e perché si trovasse nella sua tomba è
ancora un mistero, come un mistero è dove sia finito il suo proprio cranio. Il
resto dello scheletro è invece
riconosciuto come autentico. Riporta alcune costole fratturate. Ferito da una
cavalla con un calcio al costato. Nello studio, affresco murale, Reggia
Carrarese, Sala dei Giganti, Padova. P. manifesta sempre un'insofferenza innata
nei confronti della cultura a lui coeva. La sua passione per i classici latini liberate
dalle interpretazioni allegoriche lo pone pongono come l'iniziatore
dell'umanesimo italiano. In “De remediis utriusque fortune”, ciò che interessa
maggiormente a P. è l'”humanitas”, cioè l'insieme delle qualità che danno
fondamento ai valori più umani della vita, con un'ansia di meditazione e di
ricerca tra erudita ed esistenziale intesa ad indagare l'anima in tutte le sue
sfaccettature. Di conseguenza, pone al centro della sua riflessione filosofica
l'essere umano, spostando l'attenzione dall'assoluto teo-centrismo all'antropo-centrismo
moderno. Fondamentale nella sua filosofia è la riscoperta dei classici,
sopra totto di CICERONE – E LIVIO (“Ab urbe condita”) e PLINIO (“Historia
naturalis”). Già conosciuti, sono ati oggetto però di una rivisitazione che non
tene quindi conto del contesto storico-culturale in cui le opere erano state
scritte. Per esempio, la figura di VIRGILIO è vista come quella di un
mago/profeta, capace di adombrare, nell'Ecloga IV delle Bucoliche, la nascita
di Cristo, anziché quella d’Asinio Gallo, figlio del politico romano Asinio
Pollione: un'ottica che ALIGHIERI accolse pienamente nel Virgilio della
Commedia. P., rispetto ai suoi contemporanei, rifiuta il travisamento dei
classici operato fino a quel momento, ridando loro quella patina di storicità e
di inquadramento culturale necessaria per stabilire con essi un colloquio
costante, come fa nel libro delle Familiares. Scrivere a CICERONE o a Seneca,
celebrandone l'opera o magari deplorandone con benevolenza mancanze e
contraddizioni, è per lui un modo filosoficamente tangibile -- e per noi assai
significativo simbolicamente -- di mostrare quanto a loro dovesse, quanto li
sentisse, appunto, idealmente suoi contemporanei. Oltre alle epistole, all'Africa
e al De viris illustribus, opera tale riscoperta attraverso il metodo
filologico da lui ideato e la
ricostruzione dell'opera liviana – LIVIO (si veda) -- e la composizione del
Virgilio ambrosiano. Altro aspetto da cui traspare questo innovativo approccio
alle fonti e alle testimonianze storico-letterarie si avverte, anche,
nell'ambito della numismatica, della quale P. è ritenuto il precursore. Per
quanto riguarda la prima opera, P. decise di riunire le varie decadi (cioè i
libri di cui l'opera è composta) allora conosciute in un unico codice,
l'attuale codice oggi detto l’Harleiano. P. si dedica a quest'opera di collazione, grazie
ad un lavoro di ricerca e di enorme pazienza. Prende la III decade, correggendola
e integrandola ora con un manoscritto veronese vergato da Raterio, ora con una
lezione conservata nella Biblioteca Capitolare della Cattedrale di Chartres, il
Parigino Latino acquistato da Colonna, contenente anche la IV decade.
Quest'ultima è poi corretta su di un codice appartenuto al preumanista padovano
Lovati. Infine, dopo aver raccolto anche la I decade, P. puo procedere a
riunire gli sparsi lavori di recupero. L'impresa riguardante la costruzione del
Virgilio ambrosiano è invece molto più complessa. Iniziato già quand'era in
vita il padre, il lavoro di collazione porta alla nascita di un codice composto
di fogli manoscritti che contene l'omnia virgiliana (Bucoliche, Georgiche ed
Eneide commentati dal grammatico Servio), al quale sono aggiunte quattro Odi di
Orazio e l'Achilleide di Stazio. Le vicende di tale manoscritto sono assai
travagliate. Sottrattogli dagli esecutori testamentari del padre, il Virgilio
ambrosiano si recupera solo quando P. commissiona a Martini una serie di
miniature che lo abbellirono esteticamente. Il manoscritto finisce nella
biblioteca dei Carraresi a Padova, tuttavia, Visconti conquista Padova ed il
codice è inviato, insieme ad altri manoscritti di P., a Pavia, nella Biblioteca
Visconteo-Sforzesca situata nel castello di Pavia. Sforza ordina al castellano
di Pavia di prestare il manoscritto allo zio Alessandro signore di Pesaro, poi
il Virgilio Ambrosiano torna a Pavia. Luigi XII conquista il Ducato di Milano e
la biblioteca Visconteo-Sforzesca si trasfere in Francia, dove si conserva nella
Bibliothèque nationale de France, circa CCCC manoscritti provenienti da Pavia.
Tuttavia il Virgilio Ambrosiano è sottratto
al SACCHEGGIO FRANCESE da Pirro. Sappiamo che si trova a Roma, di proprietà di Cusani,
poi acquistato da Borromeo per l'Ambrosiana. Il messaggio petrarchesco,
nonostante la sua presa di posizione a favore della natura umana, non si
dislega dalla dimensione religiosa. Difatti, il legame con l'agostinismo e la
tensione verso una sempre più ricercata perfezione morale sono chiavi costanti
all'interno della sua produzione letteraria e filosofica. Rispetto, però, alla
tradizione medievale, la religiosità petrarchesca è caratterizzata da tre nuove
accezioni prima mai manifestate: la prima, il rapporto intimo tra l'anima e
Dio, un rapporto basato sull'autocoscienza personale alla luce della verità
divina. La seconda, la rivalutazione della tradizione morale e filosofica
classica, vista in un rapporto di continuità con il cristianesimo e non più in
chiave di contrasto o di mera subordinazione; infine, il rapporto
"esclusivo" tra P. e il divino, che rifiuta la concezione collettiva
propria della Commedia dantesca. Comunanza tra valori classici e cristiani La
lezione morale degli antichi è universale e valida per ogni epoca. L’umanita di
CICERONE non è diversa da quella di Agostino, in quanto esprimono gli stessi
valori, quali l'onestà, il rispetto, la fedeltà nell'amicizia e il culto della
conoscenza. Sul legame degl’antichi è significativo il celebre passo della
morte di Magone, fratello di Annibale che, nell'Africa ormai morente, pronuncia un discorso sulla
vanità delle cose umane e sul valore liberatorio della morte dalle fatiche
terrene che in nessun modo si discosta dal pensiero cristiano, anche se tale
discorso fu criticato da molti ambienti che ritenevano una scelta infelice
porre in bocca ad un pagano un pensiero così Cristiano. Ecco un passo del
lamento di Magone: Edizione dell'Africa stampata a Venezia, nella
stamperia di Manuzio. Nel particolare, l'Incipit del poema. Heu qualis fortunae
terminus alte est! Quam laetis mens caeca bonis! furor ecce potentum praecipiti gaudere loco; status iste
procellis subjacet innumeris, et finis ad alta levatis est ruere. Heu tremulum magnorum culmen
honorum, Spesque hominum fallax, et inanis gloria fictis illita blanditiis! Heu vita incerta labori dedita perpetuo, semperque
heu certa, nec unquam Stat morti praevisa dies! Heu sortis iniquae natus homo
in terris! Vista del Mont Ventoux dalla località di Mirabel-aux-Baronnies.
Infine, per il suo carattere fortemente personale, l'umanesimo cristiano
petrarchesco trova nel pensiero di sant'Agostino il proprio modello
etico-spirituale, contrario al sistema filosofico tolemaico-aristotelico allora
imperante nella cultura teologica, visto come alieno dalla cura dell'anima
umana. A tal proposito, REALE (si veda) delinea lucidamente la posizione di P.
verso la cultura contemporanea. La diffusione dell'averroismo, col crescente
interesse che suscitava per l'indagine naturalistica, sembra a P. che distragga
pericolosamente da quelle arti liberali, che sole possono dare la sapienza
necessaria per conseguire la pace spirituale in questa vita e la beatitudine
eterna nell'altra. La sapienza classica e cristiana, che P. contrappone alla
scienza averroistica, è quella fondata sulla meditazione interiore attraverso
alla quale si chiarisce a sé stessa e si forma la personalità del singolo uomo.
L'importanza che Agostino ebbe per l'uomo P. è evidente in due celebri testi
letterari del Nostro: il Secretum da un lato, in cui il vescovo d'Ippona
interloquisce con lui spingendolo ad un'acuta quanto forte analisi interiore
dei propri peccati; dall'altro, il celebre episodio dell'ascesa al Monte
Ventoso, narrato nella Familiares, IV, 1, inviata seppur in modo fittizio a
DSepolcro. La forte vena morale che percorre tutte le opere petrarchesche
volgare tende a trasmettere un messaggio di perfezione morale: il Secretum, il
De remediis, le raccolte epistolari e lo stesso Canzoniere sono impregnati di
questa tensione etica volta a risanare le deviazioni dell'anima attraverso la
via della virtù. Tale applicazione etica negli scritti (l'oratio), però, deve
corrispondere alla vita quotidiana se
l'umanista vuole trasmettere un'etica credibile ai destinatari. Prova di questo
binomio essenziale è, per esempio, “Delle cosa familiar”, indirizzata a CICERONE.
Esprime, in un tono di amarezza e di rabbia al contempo, la sua scelta di
essersi allontanato dall'otium letterario di TUSCOLO per addentrarsi nuovamente
nell'agone politico dopo la morte di GIULIO CESARE e schierarsi a fianco d’OTTAVIANO
contro MARC’ANTONIO, tradendo così i principi etici esposti nei suoi trattati
filosofici. Ma qual furore a danno di MARC’ANTONIO ti mosse? Risponderai per
avventura l'amore alla repubblica, che dicevi caduta in fondo. Ma se codesta
fede, se amore di libertà ti sprone come di sì grand'uomo stimare si
converrebbe, ond'è che tanto fosti amico di OTTAVIANO? Io ti compiango, amico,
e di sì grandi tuoi falli sento vergogna. Oh, quanto era meglio ad un filosofo
tuo pari nel silenzio dei campi, pensoso, come tu dici, non della breve e
caduca presente vita, ma della eterna, passar tranquilla vecchiezza. La
declinazione dell'impegno morale nella vita attiva delinea la sua vocazione
civile. Tale attributo, prima ancora di intendersi come impegno nella vita
politica del tempo, dev'essere compreso nella sua declinazione prettamente
sociale, quale suo impegno nell'aiutare gl'uomini contemporanei a migliorarsi
costantemente attraverso il dialogo e il senso di carità nei confronti del
prossimo. Oltre ai trattati morali si deve però anche registrare che cosa
significa per lui nella sua stessa vita, l'impegno civile. Il servizio presso i
potenti di turno – Colonna, Correggio, Visconti, e Carrara -- spinse i suoi
amici ad avvertirlo della minaccia che tali regnanti avrebbero potuto
costituire per la sua indipendenza intellettuale. Però, nella “Epistola ai
posteri” ribadì la sua proclamata indipendenza dagli intrighi di corte. I più
grandi monarchi dell'età mia m'ebbero in grazia, e fecero a gara per trarmi a
loro, né so perché. Questo so che alcuni di loro parevan piuttosto essere
favoriti della mia, che non favorirmi della loro dimestichezza: sì che
dall'alto loro grado io molti vantaggi, ma nessun fastidio giammai ebbi
ritratto. Tanto peraltro in me fu forte l'amore della mia libertà, che da
chiunque di loro avesse nome di avversarla mi tenni studiosamente lontano. Nonostante
l'intento autocelebrativo proprio dell'epistola, P. rimarca il fatto che i
potenti vollero averlo di fianco a sé per questioni di prestigio, facendo sì
che il poeta finisse «per non identificarsi mai fino in fondo con le loro prese
di posizioni». Il legame con le corti signorili, scelte per motivazioni
economiche e di protezione, getta pertanto le basi per la figura del cortigiano.
Se ALIGHIERI, costretto a vagare per le corti dell'Italia soffre sempre per la
lontananza da Firenze, fonda, con la sua scelta di vita, il modello del cosmopolita,
segnando così il tramonto dell'ideologia comunale fondamento della sensibilità d’Alighieri
prima, e che in parte è propria di BOCCACCIO. La sua caratteristica è l'otium,
vale a dire il riposo. Parola latina indicante, in generale, il riposo dei
patrizi romani dalle attività proprie del negotium, la riprende rivestendola
però di un significato diverso: non più riposo assoluto, ma attività
intellettuale nella tranquillità di un rifugio appartato, solitario ove potersi
concentrare e portare, poi, agli uomini il messaggio morale nato da questo
ritiro. Questo ritiro, come è esposto nei trattati ascetici del De vita
solitaria e del De otio religioso, è vicino, per sensibilità del P., ai ritiri
ascetico-spirituali dei Padri della Chiesa, dimostrando quindi come l'attività
letteraria sia, nel contempo, fortemente intrisa di carica religiosa. P., con
l'eccezione di due sole opere poetiche, i Triumphi e il Canzoniere, scrisse
esclusivamente in latino, la lingua di quegli antichi romani di cui voleva
riproporre la virtus nel mondo a lui contemporaneo. Egli credeva di raggiungere
il successo con le opere in latino, ma di fatto la sua fama è legata alle opere
in volgare. Al contrario d’ALIGHIERI, che aveva voluto affidare la sua memoria
ai posteri con la Commedia, P. decise di eternare il suo nome riallacciandosi
ai grandi dell'antichità. P. -- a parte una letterina in volgare -- scrive
sempre in latino quando deve comunicare, anche privatamente, anche per le
annotazioni AI MARGINI dei libri. Questa scelta del latino come lingua
esclusiva della prosa e della normale comunicazione scritta, inserendosi nel
più ampio progetto culturale che ispira P., si carica di valori ideali (Guglielmino-Grosser).
P. preferì usare il volgare nei momenti di pausa dall'elaborazione delle grandi
opere latine. Difatti, come più volte definì le liriche che confluiranno nel
Canzoniere, esse valgono quali nugae, cioè quale elegante divertimento dello
scrittore, a cui dedicò senza dubbio molte cure, ma a cui non avrebbe mai
pensato di affidare quasi per intero la propria immortalità letteraria. Il suo volgare,
al contrario di quello d’Aligheri, è caratterizzato però da un'accurata
selezione di termini, cui il poeta continuò a lavorare, limando le sue poesie --
da qui la limatio petrarchesca -- per la definizione di una poesia
aristocratica, lemento che spingerà il critico Contini a parlare di
monolinguismo petrarchesco, in contrapposizione al pluristilismo dantesco. ALIGHIERI
e P.. Dalle considerazioni fatte, emerge chiaramente la profonda differenza
esistente tra P. ed ALIGHIERI: se il primo è un uomo che supera il teocentrismo
medievale incentrato sulla Scolastica in nome del recupero agostiniano e dei
classici depurati dall'interpretazione allegorica cristiana indebitamente
appostavi dai commentatori medievali, ALIGHIERI mostra invece di essere un uomo
totalmente medievale. Oltre alle considerazioni filosofiche, i due uomini sono
antitetici anche per la scelta linguistica cui legare la propria fama, per la
concezione dell'amore, per l'attaccamento alla patria. Illuminante sul
sentimento che P. nutrì per l'Alighieri è la Familiares, scritta in risposta
all'amico Boccaccio, incredulo delle dicerie secondo cui lui odia Alighieri. Afferma
che non può odiare qualcuno che conosce appena e che affronta con onore e
sopportazione l'esilio. Prende le distanze dall'ideologia, esprimendo il timore
di essere influenzato da un così grande esempio se avesse deciso di scrivere
liriche in volgare, liriche che sono facilmente sottoposte allo storpiamento da
parte del volgo. L“Africa” è un poema epico che tratta della seconda guerra
punica e in particolare delle gesta di SCIPIONE. Costituito da dodici egloghe,
gli argomenti del “Bucolicum carmen” spaziano fra amore, politica e morale.
Anche in questo caso, l'ascendenza virgiliana è evidente dal titolo, che
richiama fortemente lo stile e gli argomenti delle Bucoliche. Attualmente, la
lezione del Bucolicum petrarchesco è riportata dal codice Vaticano lat. Dedicate
all'amico Sulmona, le Epistolae metricae sono lettere in esametri, di cui
alcune trattano d'amore, mentre per la maggior parte si occupano di politica,
morale o di materie letterarie. I Psalmi penitentiales ne accenna nella
Seniles, a Sagremor de Pommiers. Sono una raccolta di sette preghiere basate
sul modello stilistico-linguistico dei salmi davidici della Bibbia, in cui
chiede perdono per i suoi peccati e aspira al perdono della Misericordia divina.
Il “De viris illustribus” è una raccolta di biografie di uomini illustri
dedicata a Carrara signore di Padova. Nell'intenzione originale dell'autore
l'opera doveva trattare la vita di personaggi della storia di Roma da ROMOLO a
Tito, ma arriva solo fino a Nerone. In seguito P. aggiunse personaggi di tutti
i tempi, cominciando da Adamo e arrivando a Ercole. L'opera rimase incompiuta ed
è continuata dall'amico e discepolo padovano di P., Seta, fino a Traiano. I
Rerum memorandarum libri sono una raccolta di esempi storici e aneddoti a scopo
d'educazione morale in prosa latina, basati sui Factorum et dictorum
memorabilium libri del filosofo latino VALERIO MASSIMO (si veda). Iniziati in
Provenza, furono continuati allorché P. scoprì le orazioni ciceroniane a
Verona, e ne fu indotto al progetto delle Familiares. Difatti, furono lasciati
incompiuti dall'autore, che ne scrisse soltanto i primi 4 libri e alcuni
frammenti del quinto libro. Il “De secreto conflictu curarum mearum” è una
delle sue opere più celebri e fu
composta, anche se in seguito fu riveduta. Articolato come un dialogo tra lui stesso
e un santo alla presenza di una donna muta che simboleggia la Verità, consiste
in una sorta di esame di coscienza personale nel quale si affrontano temi
intimi del poeta, da cui il titolo dell'opera. Come emerge però nel corso della
trattazione, Francesco non si mostra mai del tutto contrito dei suoi peccati
(l'accidia e l'amore carnale per Laura): al termine dell'esame egli non
risulterà guarito o pentito, dando così forma a quell'irrequietezza d'animo che
contraddistinse la sua vita. "La vita solitaria” è un trattato di
carattere religioso e morale. L'autore
vi esalta la solitudine, tema caro anche all'ascetismo medioevale, ma il punto
di vista con cui la osserva non è strettamente religioso: al rigore della vita
monastica P. contrappone l'isolamento operoso dell'intellettuale, dedito alle
letture e alla scrittura in luoghi appartati e sereni, in compagnia di amici e
di altri intellettuali. L'isolamento dello studioso in una cornice naturale che
favorisce la concentrazione è l'unica forma di solitudine e di distacco dal
mondo che P. riuscì a conseguire, non considerandola in contrasto con i valori
spirituali cristiani, in quanto riteneva che la saggezza contenuta nei libri,
soprattutto nei testi classici, fosse in perfetta sintonia con quelli. Da
questa sua posizione è derivata l'espressione di "umanesimo
cristiano" di P. . Il “De otio religioso” è un'esaltazione della vita
monastica, dedicata al fratello Gherardo. Simile al “De vita solitaria”, esalta
però soprattutto la solitudine legata alle regole degli ordini religiosi,
definita come la migliore condizione di vita possibile. Il “De remediis
utriusque fortunae” è una raccolta di brevi dialoghi scritti in prosa latina. Basata
sul modello del De remediis fortuitorum, trattato pseudo-senechiano composto
nel Medioevo, l'opera è composta da scambi di battute tra entità allegoriche:
prima il "Gaudio" e la "Ragione", poi il "Dolore"
e la "Ragione". Simile ai precedenti Rerum memorandarum libri, questi
dialoghi hanno scopi educativi e moralistici, proponendosi di rafforzare
l'individuo contro i colpi della fortuna sia buona che avversa. Il De remediis
riporta anche una delle più esplicite condanne della cultura trecentensca da
parte di P., vista come sciocca e superflua. Ut ad plenum auctorum constet
integritas, quis scriptorum inscitie inertieque medebitur corrumpenti omnia
miscentique? Cuius metu multa iam, ut auguror, a magnis operibus clara ingenia refrixerunt
meritoque id patitur ignavissima etas hec, culine sollicita, literarum
negligens et coquos examinans, non scriptores. Perché persista pienamente
l'integrità degli scrittori antichi, chi tra i copisti guarirà ogni cosa
dall'ignoranza, dall'inerzia, dalla rovina e dal caos? Per il timore di ciò si
indebolirono, come prevedo, molti celebri ingegni dalle grandi opere, e quest'epoca
indolentissima permette ciò, dedita alla culinaria, ignorante delle lettere e
che valuta i cuochi, e non i copisti. L’occasione
per la sua “Invectivarum contra medicum quendam libri IV,” una serie di accuse
nei confronti dei medici e la malattia che colpe Clemente VI. Nella Familiares gli
consiglia di non fidarsi dei suoi archiatri, accusati di essere dei ciarlatani
dalle idee contrastanti fra di loro. Davanti alle forti rimostranze dei medici
pontifici nei confronti di P., questi scrisse quattro libri di accuse, una
copia dei quali fu inviata poi al Boccaccio. Il “De sui ipsius et multorum
ignorantia” e composta in seguito alle accuse di ignoranza che quattro lizij
gli rivolgeno, in quanto alieno dalla terminologia e dalle questioni delle
scienze naturali. In quest'apologia dell’umanismo risponde come lui e interessato
alle scienze che interessassero il benessere dell'anima umana, e non alle
discussioni tecniche e dogmatiche proprie del nominalismo. Invectiva contra
cuiusdam anonimi Galli calumnia -- di carattere politico, e una nvettiva
rivolta ad Hesdin, sostenitore della necessità che la sede del viscovo di Roma e
Avignone. Per tutta risposta sostenne la necessità che il viscovo di Roma
appartiene a Roma, sua sede diocesana e simbolo dell'antica gloria romana. Di
grande importanza sono le epistole latine in prosa, in quanto contribuiscono a
costruire l'immagine autobiografica idealizzata che offre di sé e quindi la sua
eternizzazione. Basate sul modello di Cicerone, ricavato dalla scoperta delle “Epistulae
ad Atticum” compiuta da lui a Verona, le lettere sono aggruppate in quattro
raccolte epistolari: le Familiares (o Familiarum rerum libri o De rebus
familiaribus libri), epistole dedicate a Socrate; le Seniles, epistole dedicate
a Nelli; le “Sine nominee” -- epistole politiche in un libro; e le epistole
“Variae”. È rimasta intenzionalmente esclusa dalle raccolte l'epistola “Ai
posteri”. Le lettere spaziano dagli anni bolognesi sino alla fine della sua
vita e sono indirizzate a vari personaggi suoi contemporanei, ma, nel caso d’un
libro delle Familiares, sono rivolte fittiziamente a personaggi dell'antichità.
Sempre delle Familiares è celebre l'epistola incentrata sull'ascesa al Monte
Ventoso. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono / di quei sospiri ond’io
nudriva ’l core in sul mio primo giovenile errore quand’era in parte altr’uom
da quel ch’i’ sono. P., Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono, prima
quartina della lirica d'apertura del Canzoniere). Il “Canzoniere” è la storia
poetica della sua vita interiore vicina, per introspezione e tematiche, al
Secretum. La raccolta comprende 366 componimenti (365 più uno introduttivo. Voi
ch'ascoltate in rime sparse il suono: sonetti, canzoni, sestine, ballate e
madrigali, divisi tra rime in vita e rime in morte di Laura, celebrata quale
donna superiore, senza però raggiungere il livello della donna angelo della Beatrice
d’Alighieri. Difatti, Laura invecchia, subisce il corso del tempo, e non è
portatrice di alcun attributo divino nel senso teologico stilnovista-dantesco. Anzi,
la storia del “Canzoniere,” più che la celebrazione di un amore, è il percorso
di una progressiva conversione della sua anima. Si passa, infatti, dal giovanil
errore (l'amore terreno) ricordato nel sonetto introduttivo Voi ch'ascoltate in
rime sparse, alla canzone Vergine bella, che di sol vestita in cui affida la
sua anima alla protezione di dio perché trovi finalmente pietà e riposo. L'opera,
che gli richiese anni di continue rivisitazioni stilistiche -- da qui la cosiddetta
limatio petrarchesca -- prima di trovare la forma definitiva sube ben varie
fasi di redazioni. I "Trionfi" e un poemetto allegorico in volgare
toscano, in terzine dantesche, compost a Milano -- è ambientato in una
dimensione onirica e irreale (strettissimo, per scelta metrica e tematica, è il
legame con la Comedia). Viene visitato d’Amore, che gli mostra tutti gl’uomini che
cedeno alle passioni del cuore. Annoverato tra questi ultimi, P. verrà poi
liberato da Laura, simboleggiante la Pudicizia (Triumphus Pudicitie), che cadrà
poi per mano della Morte (Triumphus Mortis). P. scoprirà dalla stessa Laura,
apparsagli in sogno, che ella si trova nella beatitudine celeste, e che egli
stesso potrà contemplarla nella gloria divina soltanto dopo che la morte lo
avrà liberato dal corpo caduco in cui si ritrova. La Fama poi sconfigge
la morte (Triumphus Fame) e celebra il proprio trionfo, accompagnata da Laura e
da tutti i più celebri personaggi della storia antica e recente. Il moto rapido
del sole suggerisce al poeta alcune riflessioni sulla vanità della fama
terrena, cui fa seguito una vera e propria visione, nella quale al poeta appare
il Tempo trionfante (Triumphus Temporis). Infine il poeta, sbigottito per la
precedente visione, è confortato dal suo stesso cuore, che gli dice di
confidare in Dio: gli appare allora l'ultima visione, un «mondo novo, in etate
immobile ed eterna, un mondo al di fuori del tempo dove trionferanno i beati e
dove un giorno Laura gli riapparirà, questa volta per sempre (Triumphus
Eternitatis). Già quand'era in vita fu riconosciuto immediatamente quale
maestro e guida per tutti coloro che volevano intraprendere lo studio delle
discipline umanistiche. Grazie ai suoi numerosi viaggi in tutta Italia, gettò
il seme del suo messaggio presso i principali centri della Penisola, in
particolar modo a Firenze. Qui, oltre ad aver conquistato alla causa
dell'umanesimo Boccaccio (autore, tra l'altro, di un De vita et moribus domini
Francisci Petracchi de Florentia), trasmise la sua passione a C. Salutati, cancelliere della Repubblica di Firenze e
vero trait d'union nella generazione petrarchesco-boccacciana. Coluccio,
infatti, fu il maestro di due dei principali umanisti: Bracciolini, il più
grande scopritore di codici latini del secolo ed esportatore dell'umanesimo a
Roma; e Bruni, il più notevole rappresentante dell'umanesimo civile insieme al
maestro Salutati. È Bruni a consolidare la fama di P., allorché redasse una
Vita di P., seguita da quelle di Villani, Manetti, Sicco Polenton e Vergerio. Oltre
a Firenze, i soggiorni del poeta in Lombardia e a Venezia favorirono la nascita
di movimenti culturali locali desti declinare i princìpi umanistici a seconda
delle esigenze della classe politica locale: a Milano, dove operarono letterati
del calibro di Decembrio e Filelfo, nacque un umanesimo cortigiano destinato a
diventare il prototipo per tutte le corti principesche italiane; a Venezia si
diffuse, invece, un umanesimo educativo destinato a formare la nuova classe
dirigente della Serenissima, grazie all'attività di Giustinian, di Barbaro, e
di Barbaro. Bembo e il petrarchismo Magnifying glass icon mgx2. svg Pietro
Bembo e Petrarchismo. Se P. è visto soprattutto come capostipite della
rinascita delle lettere antiche, grazie al letterato e cardinale veneziano
Bembo divenne anche il modello del cosiddetto classicismo volgare, definendo
una tendenza che si stava progressivamente già delineando nella lirica italiana.
Difatti Bembo, nel dialogo Prose della volgar lingua, sostenne la necessità di
prendere come modelli stilistici e linguistici P. per la lirica, Boccaccio
invece per la prosa, scartando Dante per il suo plurilinguismo che lo rendeva
difficilmente accessibile: «Requisito necessario per la nobilitazione del
volgare era dunque un totale rifiuto della popolarità. Ecco perché Bembo non
accettava integralmente il modello della Commedia di Dante, di cui non
apprezzava le discese verso il basso nelle quali noi moderni riconosciamo un
accattivante mistilinguismo. Da questo punto di vista, il modello del
Canzoniere di P. non presentava difetti, per la sua assoluta selezione
linguistico-lessicale.» (Marazzini) Contini, grande estimatore di P.
e suo commentatore. La proposta bembiana risultò, nelle diatribe relative alla
questione della lingua, quella vincente. Già negli anni immediatamente
successivi alla pubblicazione delle Prose, si diffuse presso i circoli poetici
italiani una passione per le tematiche e lo stile della poesia petrarchesca
(stimolata anche dal commento al Canzoniere di Vellutello), chiamata poi
petrarchismo, favorita anche dalla diffusione dei petrarchini, cioè edizioni
tascabili del Canzoniere. A fianco del petrarchismo, però, si sviluppò anche un
movimento avverso alla canonizzazione poetica operata dal Bembo: allorché
letterati come Berni ed Aretino svilupparono polemicamente il fenomeno
dell'antipetrarchismo; poi, nel corso del Seicento, la temperie barocca, ostile
all'idea di classicismo in nome della libertà formale, declassò il valore
dell'opera petrarchesca. Riabilitato parzialmente da Muratori, P. ritorna pienamente
in auge in seno alla temperie romantica, quando Foscolo prima e Sanctis poi,
nelle loro lezioni tenute dal primo a Pavia, e dal secondo a Napoli e a Zurigo,
furono in grado di operare un'analisi complessiva della produzione petrarchesca
e ritrovarne l'originalità. Dopo gli studi compiuti da Carducci e dagli altri
membri della Scuola storica, il secolo scorso vide, per l'area italiana,
Contini e Billanovich tra i maggiori studiosi del P.. P. e la scienza
diplomatica Magnifying glass icon mgx2.svg Diplomatica. Benché la diplomatica,
ovvero la scienza che studia i documenti prodotti da una cancelleria o da un
notaio e le loro caratteristiche estrinseche ed intrinseche, sia nata
consapevolmente con Mabillon, nella storia di tale disciplina sono stati
individuati dei precursori che, inconsapevolmente, nella loro attività
filologica, hanno analizzato e dichiarato l'autenticità o meno anche di
documenti oggetto di studio da parte della diplomatica. Tra questi, infatti, vi
furono molti umanisti e anche il loro precursore e fondatore, P. Ifatti,
l'imperatore Carlo IV chiese al celebre filologo di analizzare dei documenti
imperiali in possesso di suo genero, Rodolfo IV d'Asburgo, che sarebbero stati
stilati da Giulio Cesare e da Nerone a favore dell'Austria che dichiaravano
tali terre indipendenti dall'Impero. P. rispose con la Seniles in cui,
evidenziando lo stile, gli errori storici e geografici e il tono (il tenore)
della lettera (tra cui la mancanza della data topica e della data cronologica
propria dei diplomi), negò la validità di questo diploma. Onorificenze
Laurea poeticanastrino per uniforme ordinario. Laurea poetica — Roma. A P. è
intitolato il cratere P. su Mercurio. L'epistola, scritta in risposta a una
missiva in cui l'amico Boccaccio gli chiedeva se fosse vera l'invidia che P.
nutriva per Dante, contiene l'accenno all'incontro, in età giovanile, con il
più maturo poeta: «E primieramente si noti com'io mai non ebbi ragione alcuna
d'odiare cotal uomo, che solo una volta negli anni della mia fanciullezza mi
venne veduto.» (Delle cose familiari). La critica, se l'incontro sia da
attribuirsi a Pisa o ad altre località, è divisa: Ariani e Ferroni, nota 6
propendono per la città toscana, mentre Rico-Marcozzi pensano a un incontro
avvenuto a Genova quando la famiglia di
ser Petracco si stava dirigendo in Francia. Pacca4 opera un'interpretazione
intermedia tra le due città, benché ritenga che sia più probabile Pisa come
luogo effettivo dell'incontro. Dello stesso parere, infine, anche Dotti. Si
legga il brano dell'epistola, in cui P. ricorda il loro primo incontro e il
piacevolissimo periodo trascorso nella località francese: «e noi fanciulli
ancora impuberi partimmo in un cogli altri, ma fummo con speciale destinazione
per imparare grammatica mandati a scuola a Carpentrasso, piccola città, ma di
piccola provincia città capitale. Ricordi tu que' quattro anni? Quanta gioia,
quanta sicurezza, qual pace in casa, qual libertà in pubblico, quale quiete,
qual silenzio ne' campi! (Lettere Senili). P. mostrò, nei confronti di tale
scienza, sempre un'avversione innata, come è esposto nella Familiares, in cui P.
scrive a Genovese che a Montpellier prima e a Bologna poi «ben altro in quegli
anni fare io poteva o in se stesso più nobile o alla natura mia meglio
conveniente: né sempre nella elezione dello stato quello ch'è più splendido, ma
quello che a chi lo sceglie è più acconcio preferire si deve.» (Delle
cose familiari). Come però ricorda Wilkins, la scelta di P. di entrare a far
parte della Chiesa non fu soltanto dettata dalla cinica necessità di ottenere i
proventi necessari per vivere. Nonostante non avesse mai avuto la vocazione per
la cura delle anime, P. ebbe sempre una profonda fede religiosa. A sviluppare la tesi dell'identificazione di
Laura con tale Laura de Sade è la stessa testimonianza di P. nella Familiares,
II, 9 a Giacomo Colonna, il quale cominciò a mostrarsi dubbioso sull'esistenza
di questa donna (si veda Delle cose familiari, Più precisamente, nella Nota,
Fracassetti fa riemergere la vita della presunta amata del P.: «Da Odiberto e
da Ermessenda di Noves nobile famiglia di Avignone nacque una fanciulla, cui fu
dato il nome di Laura. Fa fatta per man di notaio la scritta nuziale fra Laura
ed Ugo De Sade gentiluomo Avignonese. Due anni più tardi nella chiesa di S.
Chiara di questa città, a quell'ora del giorno che chiamavano prima, P. allora
di poco più che ventidue anni la vide»
Si legga l'episodio di come fossero stati dati alle fiamme dei libri di
VIRGILIO e CICERONE, cosa che suscita il pianto in P.. Al che il padre,
vedendolo così affranto «d'una mano porgendo Virgilio, dall'altra i rettorici
di Cicerone: "tieni, sorridendo mi disse, abbiti questo per ricrearti
qualche rara volta la mente, e quest'altro a conforto e ad aiuto nello studio
delle leggi".» (Lettere Senili Il codice, dopo la morte di P. passa
nelle mani di Francesco Novello da Carrara, nuovo signore di Padova. Quando
questa città verrà conquistata da Visconti, anche il patrimonio bibliotecario
petrarchesco passò nelle mani dei duchi milanesi, che lo conservarono nella
loro biblioteca di Pavia. Fu poi sistemato nella Pinacoteca Ambrosiana, grazie
all'intervento del suo fondatore, il cardinale Federigo Borromeo arcivescovo di
Milano. Si veda: Cappelli. Da questo momento in avanti, P. non esitò a
chiamare Avignone la novella Babilonia di apocalittica memoria, come
testimoniato dai celebri sonetti avignonesi facenti parte del Canzoniere. Oltre
a motivazioni di carattere morale, ci fu anche la profonda delusione che
suscitò la decisione di Benedetto XII di non recarsi a prendere possesso
ufficialmente della sua sede vescovile e ristabilire così pace in Italia
(Ariani). P. scrisse, riguardo alla morte del vecchio amico e protettore, due
lettere commoventi: la prima, al fratello di Giacomo, il cardinale Giovanni
(Delle cose familiari; la seconda, all'amico Tosetti, soprannominato Lelio
(Delle cose familiari, traduzione di Fracassetti). Nella Nota alla prima
Fracassetti ricorda come P., nella Familiares, avesse avuto, in sogno, il
presagio della morte del Vescovo di Lombez venticinque giorni prima della sua
effettiva scomparsa. Cappelli 55.
Significativa la ricostruzione storico-letteraria compiuta da Amaturo, ove si rievocano le figure di intellettuali
che si legarono alla biblioteca capitolare veronese (Matociis, Dante e Pietro
Alighieri, Benzo d'Alessandria, Vincenzo Bellovacense) e le rarità che essa
conteneva (codici contenenti le lettere di PLINIO il Giovane; parte dell'Ab
Urbe condita liviana che P. utilizzò per la ricostruzione filologica del codice
Harleiano; le orazioni ciceroniane citate; il Liber catulliano). Boccaccio esprimerà la sua indignatio
nell'Epistola X indirizzata a lui, ove,
grazie alla tecnica retorica dello sdoppiamento e a topoi letterari, Boccaccio
si lamenta col magister di come Silvano (il nome letterario usato nella cerchia
petrarchesca per indicare il poeta laureato) avesse osato recarsi presso il
tiranno Visconti (identificato in Egonis):«Audivi, dilecte michi, quod in
auribus meis mirabile est, solivagum Silvanum nostrum, transalpino Elicone
relicto, Egonis antra subisse, et muneribus sumptis ex pastore castalio
ligustinum devenisse subulcum, et secum pariter Danem peneiam et pierias
carcerasse sorores». Inoltre, bisogna ricordare che la scelta di risiedere a
Milano era anche uno schiaffo alla proposta delle autorità fiorentine di
occupare un posto come docente nello Studium, occupazione che gli avrebbe
concesso di rientrare in possesso dei beni paterni sequestrati. L'arcivescovo
Giovanni II Visconti, difatti, proseguì la politica espansionistica dei suoi
predecessori a danno delle altre potenze dell'Italia centro-settentrionale, tra
le quali spiccava Firenze. Le ostilità tra Milano e Firenze perdureranno fino a
quando salì al potere come duca dello Stato lombardo Francesco Sforza, che
intraprese una politica di alleanza con Firenze grazie all'amicizia personale
che lo legava a Cosimo de' Medici.
Durante l'epidemia di peste milanese, morì il figlio Giovanni (Pacca),
nato da una relazione extraconiugale. I rapporti con il figlio, al contrario di
quanto avvenne con la secondogenita Francesca, furono assai burrascosi a causa
della condotta ribelle di Giovanni (Dotti) accenna all'odio che Giovanni
provava verso i libri, «quasi fossero serpenti»). Come ricordato nella
Familiares. Si separa dal figlio Giovanni, che tornò ad Avignone in seguito a
non precisati dissapori (Familiares); tre anni dopo sarebbe tornato a Milano. (Rico-Marcozzi) Il ravennate Malpaghini fu presentato da Donato degli Albanzani a P. che, rimasto
colpito dalle sue qualità letterarie e dalla sua pronta intelligenza, lo prese
al suo servizio quale copista. La collaborazione tra i due uomini, durata
appunto si interruppe il 21 aprile di quell'anno, quando il Malpaghini decise
di lasciare l'incarico presso l'Aretino. Per maggiori informazioni biografiche,
si veda la biografia di Signorini. P.,
nella Seniles informa il fratello Gherardo, tra le altre cose, anche della sua
nuova dimora sui colli Euganei, dandone un quadro piacevole e ameno: «E per non
dilungarmi di troppo della mia chiesa, qui fra i colli Euganei, non più lontano
che dieci miglia da Padova mi fabbricai una piccola ma graziosa casina, cinta
da un oliveto e da una vigna che dan quanto basta a una non numerosa e modesta
famiglia. E qui, sebbene infermo del corpo, io vivo dell'animo pienamente
tranquillo lungi dai tumulti, dai rumori, dalle cure, leggendo sempre e
scrivendo. Lettere Senili. La lettera non
può essere considerata "reale", ma piuttosto una rielaborazione
voluta dal P.. Difatti, a quell'altezza, il giovane P. non era ancora entrato
in contatto con il padre agostiniano, e la scelta della data (corrispondente al
Venerdì Santo) e del luogo (la salita al monte rievoca l'immagine della
Passione di Gesù sul Calvario) rendono ancora più "mitica" l'ambientazione.
Si veda, per quanto riguarda la ricostruzione filologica e cronologica
dell'epistola, il saggio di Giuseppe Billanovich, P. e il Ventoso, in Italia
medioevale e umanistica, Roma, Antenore, Il ventiquattresimo libro delle Familiares è
composto da lettere indirizzate a vari personaggi dell'antichità classica. Per
P., infatti, gli antichi non sono lontani e irraggiungibili: la costante
lettura delle loro opere fa sì che CICERONE, ORAZIO, Seneca, VIRGILIO vivano
attraverso queste ultime, rendendo i rapporti tra P. e i suoi ammirati
scrittori classici vicini per la comunanza di sentimento. L'Otium degli antichi romani non consisteva
unicamente nel riposo dagli impegni quotidiani, indicati sotto il sostantivo di
negotium. Per CICERONE, l'otium non era soltanto il riposo dalle attività
forensi e politiche, ma soprattutto il ritiro nella propria intimità domestica
col fine di dedicarsi alla letteratura (De officiis). In questo caso, il
modello petrarchesco è affine a quello stoicheggiante dell'oratore romano. Si
veda il riassunto operato da Laidlaw, che ripercorre la concezione all'interno
della letteratura latina. Per CICERONE, nello specifico si vedano le pagine
Laidlaw, Termine di origine catulliana, P. lo prende in prestito per descrivere
le liriche come diversivo, passatempo. La questione delle nugae volgari e, più
in generale, delle opere latine, è esposta nella Familiares (Delle cose
familiari) Guglielmino-Grosser I testi
sono raccolti nel codice Vaticano Latino come ricordato da Santagata, Bisogna ricordare che Il Canzoniere non
raccoglie tutti i componimenti poetici del P., ma solo quelli che il poeta
scelse con grande cura: altre rime (dette extravagantes) andarono perdute o
furono incluse in altri manoscritti (cfr. Ferroni). L'inquietudine petrarchesca nasce, quindi,
dal contrasto tra l'attrazione verso i beni terreni (tra cui l'amore per Laura)
e l'aspirazione all'assoluto divino, propria della cultura medievale e della
religione cristiana, come ricordato da Guglielmino-Grosser. P. mantenne,
nell'ambito della lirica volgare, quell'aristocraticismo stilistico-lessicale
prima accennato, in cui si rifiutano molti usi lemmatici presenti nella
tradizione poetica italiana e che P. rifiuterà, accogliendone un preciso gruppo
ristretto ed elitario. Come ricorda Marazzini, Si delinea una tendenza del
linguaggio lirico al 'vago', inteso nel senso di una genericità antirealistica
(al contrario di quanto accade nel corposo realismo della Commedia),
testimoniato anche dalla polivalenza di certi termini, i quali, come
l'aggettivo dolce, entrano in un numero molto grande di combinazioni diverse. Eppure
la lingua di P., selezionata e ridotta nelle scelte lessicali, accoglie un buon
numero di varianti canonizzando un polimorfismo...in cui si allineano la forma
toscana, quella latineggiante, quella siciliana o provenzale...» Di Benedetto170. Si ricorda anche che, seppur
in forma minore, era presente nel mondo letterario italiano del '400 anche
un'ammirazione verso il P. volgare, come testimoniato dalle edizioni a stampa
del Canzoniere e dei Trionfi uscite dalla bottega dei padovani Bartolomeo
Valdezocco e Martino de Septem Arboribus (cfr. Ente Nazionale P., Culto
petrarchesco a Padova.). Riferimenti bibliografici la notte
Casa P. Arezzo, Regione Toscana Wilkins Ariani21. Più specificamente
Bettarini. Dopo essere stato accusato di aver falsificato un istrumento
notarile è così condannato al pagamento di 1000 lire e al taglio della mano
destra. Dotti Bettarini e Pacca Per
informazioni biografiche, si veda la voce Pasquini. Il ricordo di P. al riguardo è riportato in
Lettere Senili, Pasquini. Quanto a P., il magistero di Convenevole si colloca
indubbiamente. La Casa di P., su arqua P..com. Pacca Si legga il brano della
Lettere Senili, Il brano è ricordato anche da Wilkins Ariani Wilkins Rico-Marcozzi.
Si recò a studiare a Bologna, seguito da un maestro privato; e Wilkins in cui
si ritiene che questo maestro avesse «l'incarico, almeno per Francesco e
Gherardo, di fungere in loco parentis.
Ariani Ariani, Wilkins, Dotti
Bettarini. Cappelli Pacca Rico-Marcozzi; Ferroni Wilkins, Wilkins, Rico-Marcozzi. Colonna reclutò P. per la sua
corte vescovile di Lombez, in Guascogna: ne avrebbero fatto parte il cantore
fiammingo Ludovico Santo di Beringen e l'uomo d'armi romano Lello di Pietro
Stefano dei Tosetti, che P. battezza in seguito, rispettivamente, Socrate e Lelio.
Ferroni Pacca Alinari, su alinariarchives La distinzione tra le due scuole di
pensiero emerge in Ferroni, Ariani ricorda
che il primo sostenitore del filone allegorico-letterario fu il giovane
Giovanni Boccaccio nel suo De vita et moribus domini P.. Ariani. Dotti, specifica che questo san Paolo
è acquistato per procura a Roma e che il volume proveniva da Napoli. Ariani.
Per maggiori approfondimenti biografici, si veda la biografia di
Moschella. Moschella, Suggello ideale
dell'amicizia tra i due fu il dono, da parte di Dionigi, di una copia
delle Confessiones di s. Agostino.Billanovich,
Wilkins e Pacca Wilkins; Wilkins Rico-Marcozzi. Nel frattempo
aveva raggiunto Roma accolto da fra Giovanni Colonna al termine di un
avventuroso viaggio, e dove nella sua prima lettera contemplando dal
Campidoglio le rovine dell’Urbe, manifestò la meraviglia per la loro grandezza
e maestosità, dando forma a quella riscoperta dell’antichità classica e al
rimpianto per la sua decadenza che divennero i cardini etici, estetici e
politici dell’Umanesimo. Pacca Dotti,
Dotti Mauro Sarnelli, P. e gli uomini illustri, Treccani). Ariani Certo
il privilegio toccava, del tutto straordinariamente, a un poeta che ancora non
aveva pubblicato molto per meritarselo: ma la protezione dei potenti Colonna e
la rete di estimatori che aveva saputo intessere per tempo sono evidentemente
bastate a valorizzare al massimo le epistole metriche, la fama dell'Africa. e
del De viris, le rime volgari già note...» Dello stesso avviso anche
Pacca e Santagata. Moschella. Dionigi fa
ritorno in Italia; dopo un breve soggiorno a Firenze, giunse a Napoli (cfr. P.,
Familiares), dove l'aveva voluto il re Roberto d'Angiò, che per l'agostiniano
nutriva una profonda stima, oltre a condividerne gli interessi per l'astrologia
giudiziaria e per i classici latini. Wilkins. La conoscenza dell'antica
tradizione e delle due o tre incoronazioni celebrate da singole città in tempi
moderni, insieme all'aspirazione a diventare famoso, accese inevitabilmente in P.
il desiderio di ricevere a sua voglia quell'onore. Egli confidò dapprima il suo
pensiero a Dionigi da Borgo San Sepolcro e a Giacomo Colonna, e ne venne a
conoscenza anche qualche persona che aveva legami con l'Parigi. Si legga
il brano della lettera dove inizia la decantazione delle lodi nei confronti del
re napoletano: «E chi dico io, e lo dico con pieno convincimento, in Italia,
anzi in Europa più grande di re Roberto Delle cose familiari, traduzione di
Fracassetti) Wilkins; Rico-Marcozzi. Sulla
base dei contraddittori racconti di P. si dovrebbe dedurre che nello stesso
giorno questi avesse ricevuto l’invito a cingere la corona sia dal Senato di
Roma sia da Parigi e avesse chiesto consiglio al cardinal Colonna decidendo di
scegliere Roma (IV 5, 6), per ricevere la laurea "sulle ceneri degli alti
poeti che ivi dimorano".» Difatti P. riteneva che l'ultima
incoronazione a Roma fosse stata quella di Stazio e che quindi, se vi fosse
stato incoronato, sarebbe stato direttamente un successore degli antichi poeti
classici da lui tanto amati (Pacca).
Cfr., ad esempio, Rico-Marcozzi; Wilkins, Ariani, Pacca74. Rico-Marcozzi. Sono le date fornite da P.
([Familiares]), e la più probabile sembra essere la seconda; tuttavia Boccaccio
situa l'evento il 17 e il documento ufficiale, il Privilegium laureationis,
almeno in parte redatto dallo stesso P., reca la data. Lacultur, biografia di P.,
su lacultur.altervista.org. Wilkins; Dotti.
«In Avignone egli vedeva simbolicamente la corruzione della Chiesa di Cristo e
l'intollerabile esilio di Pietro.»
Paravicini Bagliani. Moschella. Petrucci.
Wilkins, Così Ariani, Wilkins sostiene invece che Cola sia giunto
ad Avignone a Wilkins4 «Cola si intrattenne parecchi mesi e in quel periodo
strinse amicizia con P.. Cola era ancor giovane e poco noto; ma i due uomini
avevano in comune un grande entusiasmo per la Roma antica e cristiana, una
grande preoccupazione per lo stato presente della città e una grande speranza
per la restaurazione dell'antica potenza e dell'antico splendore.» Il Mondo di P. Ariani, il quale ricorda, a testimonianza della
rottura coi Colonna, Bucolicum carmen, VIII, intitolato Divortium (cfr.
Bucolicum carmen. Santagata ricorda inoltre come i legami tra P. e il cardinale
Giovanni non fossero mai stati buoni come con il fratello di lui Giacomo. A
differenza di Giacomo, il cardinale resta sempre il dominus. Rico-Marcozzi.
Pacca e Cappelli. Dotti, Wilkins, Ariani.
Troncarelli. Waley. Pacca, Padova, sRico-Marcozzi: «Giacomo II da
Carrara, signore di Padova, che gli fece
ottenere un ulteriore e ricco canonicato da 200 ducati d'oro l'anno e una casa
nei pressi della cattedrale». Ariani.
Una prospettiva generale del rapporto tra P. e Boccaccio è esposto in Rico, Branca87.
Rico-Marcozzi. Solo in autunno si trasferì ad Avignone, per scoprire
(almeno secondo quanto affermato in Familiares) che gli si offriva la
segreteria apostolica, già a suo tempo rifiutata, e un vescovado». Ariani, Ferroni; D. Ferraro, P. a Milano. Le
ragioni di una scelta, Rinascimento; Firenze: Olschki, Viscónti, Galeazzo II,
su treccani. Pacca, Amaturo. Ma è fuor di dubbio che tra il poeta e i suoi
nuovi signori si istituiva come un patto di mutuo interesse: da un lato egli si
avvantaggiava della posizione di prestigio che gli offriva l'amicizia dei
Visconti; d'altro lato acconsentiva tacitamente a essere adoperato in missioni
diplomatiche, non numerose invero, né discordanti con i suoi ideali civili. Ariani
Cappelli La riflessione petrarchesca si indirizza sempre più ad hominem e ad
vitam, all'uomo concreto nella sua circostanza concreta, si nutre di
meditazione interiore, progetta un'opera capace di delineare una parabola
esemplare in cui lo scrittore propone se stesso e la cultura di cui è portatore
come modello capace di confrontarsi su tutti i terreni.» Rico-Marcozzi: «il Secretum...composto in tre
fasi successive. Ferroni Ariani Cappelli Wilkins Vicini Retore originario di
Pratovecchio, Donato degli Albanzani fu intimo amico sia di P. che di
Boccaccio. Per quanto riguarda i rapporti con il primo si ricordano, oltre le
missive indirizzategli dall'Aretino, anche alcune egloghe del Bucolicum Carmen,
in cui è chiamato con il senhal di Appenninigena. Si veda la voce biografica
Martellotti. U. Dotti, P. civile: alle
origini dell'intellettuale moderno, Donzelli Editore, Wilkins, espone dettagliatamente le trattative tra P.
e la Serenissima, citando anche il verbale del Maggior Consiglio con cui si
procedette all'approvazione della proposta petrarchesca. Per ulteriori
informazioni, si veda Gargan, Lettere
Senili, traduzione di G. Fracassetti, Si ricordi la visita dell'amico
Boccaccio, quando però P. si era recato momentaneamente a Pavia su richiesta di
Galeazzo II. Nonostante l'assenza dell'amico, Bocca ccio trovò una
calorosa accoglienza da parte di Francescuolo e di Francesca, trascorrendo
giorni piacevoli nella città lagunare (Cfr. Wilkins, Rico-Marcozzi -- fece ritorno a Venezia dove
fu raggiunto dalla figlia Francesca maritata al milanese Francescuolo da
Brossano. Pacca, Ma...bisogna dire che
il vero valore del De ignorantia consiste nella vigorosa affermazione della
filosofia morale sulla scienza naturale. Ed è questo il motivo della sua
inferiorità rispetto a scrittori come Platone, CICERONE e Seneca; perché per P.
la cultura "è subordinata alla vita morale dell'uomo. Casa del P., Arquà. Wilkins Ariani Wilkins, Billanovich. P. designacon
indicazioni esplicite anche per noi remoti quale loro custode un letterato
padovano, Lombardo della Seta, mediocre per ingegno e per dottrina, ma cliente
premuroso del maestro, di cui in una intima familiarità negli ultimi anni aveva
lentamente conosciuto le abitudini e filialmente soddisfatto i desideri.
Così...era promosso subito a buon segretario. Ariani Baldi, Razetti, Zaccaria, Dal testo alla
storia, dalla storia al testo, Paravia Wilkins La tomba di P.. Canestrini e
Dotti, Millocca, Francesco, Leoni, Pier
Carlo, in Dizionario biografico degli italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Si veda Analisi Genetica dei resti
scheletrici attribuiti a P.. Si veda
inoltre P.il poeta che perse la testain The Guardian sulla riesumazione dei
resti di P.. Ricchissima la al proposito: si ricordino i libri citati in,
tra cui Cappelli, L'umanesimo italiano da P. a Valla; i saggi curati da
Billanovich (tra cui l'opera sua più importante, Billanovich, P. letterato, uno
dei maggiori studiosi di P.; i libri di Pacca, Ariani e Wilkins. Pacca e Cappelli, Garin. Si veda il lungo articolo di Lamendola
al riguardo, in cui si espone anche la chiave di lettura dei classici latini
nel corso dell'età medioevale. Dotti, Nassar,
Numismatica e P.: una nuova idea di collezionismo, Il collezionismo numismatico
italiano. Una storica e illuminata tradizione. Un patrimonio culturale del
nostro Paese., Milano, Numismatici Italiani Professionisti, Billanovich Per la
datazione cronologica, cfr. Billanovich. Il P. formò tra i venti e i
venticinque anni il Livio Harleiano»; Le scoperte e i restauri degli Ab Urbe
condita eseguiti dal P. sul palcoscenico europeo di Avignone; Cappelli, Billanovich,
Billanovich, Un riassunto veloce è esposto anche da Ariani63. Cappelli42 e Ariani62. Cappelli,
Albertini Ottolenghi, Albertini
Ottolenghi. Significativo il titolo del settimo capitolo di Ariani. Lo scavo
introspettivo. Ferroni10. Ferroni,
Ferroni e Guglielmino-Grosser. P., Africa,
Cappelli e Guglielmino-Grosser Dotti,:
I versi vennero infatti riconosciuti bellissimi, ma tali da non convenirsi alla
persona cui erano posti in bocca, in quanto degni piuttosto di un personaggio
cristiano che di uno pagano.»
Santagata. Il gesto di fastidio con il quale si liberò quasi sùbito
delle superfetazioni scolastiche ha il suo esatto corrispettivo nel rifiuto
dell'imponente edificio logico e scientifico della filosofia Scolastica a
favore di una ricerca morale orientata, con la guida determinante
dell'agostinismo, verso il soggetto e l'interiorità della coscienza. Delle cose
familiari, Guglielmino-Grosser, confrontando Dante, il quale non ha trasmesso
ai posteri dati biografici della propria vita, e P,, afferma che quest'ultimo
«fornendoci una grande quantità di informazioni dettagliate sulla sua vita
quotidiana, vere o false che siano, mira a trasmettere di sé un'immagine
concreta. Dotti, sulla base della
Familiares delinea il senso del messaggio umanistico lanciato da P.: parlare
con il proprio animo non serve. Bisogna affaticarsi ad ceterorum utilitatem
quibuscum vivimus, per l'utilità di coloro con i quali viviamo in questa
terrena società, ed è certo che con le nostre parole possiamo giovare: quorum
animos nostris collucutionibus plurimum adiuvari posse non ambigitur
(Familiares). Il colloquio umano è dunque lo strumento dell'autentico processo
umanistico. Sua mercé si saldano e si congiungono gli spazi più lontani...I
comuni principi morali, dunque, e l'indagine costante e irreversibile sono la
molla di un processo che non può aver fine se non con la morte dell'umanità
medesima, e il discorso, il colloquio e la cultura ne sono il filo conduttore. Viaggi
nel TestoAutori della letteratura Italiana, su internetculturale. Si ricordino
i celebri versi di Pd in cui l'avo Cacciaguida gli profetizza la durezza
dell'esilio: Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e 'l salir per l'altrui scale Guglielmino-Grosser Guglielmino-Grosser
Marazzini Santagata. La riforma di P. consiste nell'introdurre entro l'universo
senza regole della rimeria coeva la disciplina, l'ordine, la pulizia formale,
lo stesso aristocraticismo propri delle più compatte 'scuole' duecentesche. Luperini,
Il plurilinguismo di Dante e il monolinguismo di P. secondo Contini. Delle cose familiari, traduzione di G.
Fracassetti, Pulsoni Pizzimentig Opera:
Altichiero, San Giorgio battezza Servio re di Cirene; Si veda, per maggiori
informazioni, Pacca, Per maggior
informazioni, si veda il saggio di Fenzi. Si veda il saggio di Dotti sulle
Epistolae metricae. Pacca, Pacca,
Ferroni. Amaturo, Cappelli Ferroni, Pacca; Santagata; Amaturo, Le
epistolae retrodatate furono, secondo Santagata, probabilmente scritte ex novo
perché fossero aderenti al progetto culturale-esistenziale idealizzato da P.. Guglielmino-Grosser; Ferroni; Ariani; Dionisotti.
Salutati e dopo la morte del P. e del Boccaccio, il più autorevole umanista
italiano, unico erede di quei grandi.»
Dionisotti. Dopo lungo intervallo, Boccaccio compose in volgare una
succinta vita di Alighieri cui fece seguire un'assai più succinta vita del P. e
un conclusivo paragone fra i due poeti. Cappelli, Di Benedetto. Si veda la voce enciclopedica
curata da Praz e Benedetto Ariani Pacca, P. e Bresslau, Lettere Senili, traduzione di G. Fracassetti,
M. Albertini Ottolenghi, Note sulla biblioteca dei Visconti e degli Sforza nel Castello
di Pavia, in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria, Raffaele Amaturo, P., con due capitoli
introduttivi al Trecento di Carlo Muscetta e Francesco Tateo” (Roma, Laterza); M.
Ariani, P., Roma, Salerno), Bettarini, P., Francesco, in Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, G. Billanovich, P. letterato. Lo scrittoio del P,, Roma, Storia e Letteratura, Billanovich, Gli
inizi della fortuna di P., Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, G. Billanovich,
Il Boccaccio, il P. e le più antiche traduzioni in italiano delle Decadi di
Tito Livio, in Giornale Storico della Letteratura Italiana, Vittore Branca, Giovanni Boccaccio: profilo
biografico, Firenze, Sansoni, H. Bresslau, Manuale di diplomatica per la
Germania e per l'Italia, Annamaria Voci-Roth, Roma, Ministero per i Beni
Culturali e Ambientali-Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Giovanni
Canestrini, Le ossa di Francesco P.: studio antropologico, Padova, Reale Stab. di
Prosperini, Cappelli, L'Umanesimo italiano da Petrarca a Valla, Roma, Carocci);
G. Contini, Letteratura italiana delle origini, Firenze, Sansonie, A. Benedetto,
Un'introduzione al petrarchismo cinquecentesco, in Italica, Dionisotti, Bruni,
Leonardo, in U. Bosco, Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Dionisotti, Salutati,
Coluccio, in Umberto Bosco, Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, U. Dotti, La formazione dell'umanesimo nel Petrarca
(Le "Epistole metriche"), in Belfagor, Firenze, Leo Olschki, U. Dotti, Vita del P.,
Roma-Bari, Laterza, E. Fenzi, Sull’ordine di tempi e vicende nel
Bucolicum carmen di Petrarca, I generi della lettura, Firenze, Pensa Multimedia
Editore, Giulio Ferroni,Cortellessa e Pantani, L'alba dell'umanesimo: Petrarca
e Boccaccio, in G. Ferroni, Storia della
letteratura italiana, Milano, Mondadori, Gargan, Gli umanisti e la biblioteca
pubblica, in Cavallo, Le biblioteche nel mondo antico e medievale, Roma-Bari,
Laterza, Guglielmino e Grosser, Il sistema letterario, Storia, Milano, Principato); Marazzini, La lingua italiana. Profilo
storico” (Bologna, Mulino); Martellotti, Albanzani, Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Moschella, Dionigi da
Borgo San Sepolcro, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Pacca, P., Roma-Bari, Laterza, Agostino Paravicini
Bagliani, Colonna, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Emilio
Pasquini, Convenevole da Prato, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rime (Bari, Laterza); Lettere: Delle cose
familiari libri ventiquattro, Giuseppe Fracassetti, Firenze, Le Monnier, P.,
Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro, Fracassetti,
Firenze, Monnier, Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro,
Fracassetti, Firenze, Le Monnier, Lettere:
Delle cose familiari libri ventiquattro, Fracassetti, Firenze, Monnier, P., Lettere: Delle cose
familiari libri ventiquattro; Lettere varie libro unico, Fracassetti, Firenze, Monnier, Lettere Senili, Fracassetti,
Firenze, Le Monnier, Lettere Senili, Fracassetti (Firenze, Monnier); Il
Bucolicum carmen e i suoi commenti inediti, Avena, Padova, Società Cooperativa
Tipografica, P., Africa, Léonce Pinguad, Parigi, Thorin, Petrucci, Angio, in Enciclopedia Dantesca,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Praz, Petrarchismo, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Pulsoni, L’ALIGHIERI (si veda) di Petrarca:
Vaticano latino in Studi petrarcheschi, Padova, Antenore, Rico e Marcozzi, Dizionario
Biografico degli Italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rico, La conversione del Boccaccio, in
Luzzato e Pedullà, Atlante della letteratura italiana” (Torino, Einaudi); R.
Sabbadini, Le scoperte dei codici latini” Firenze, Sansoni, M.Santagata, I frammenti
dell'anima. Storia e racconto nel Canzoniere, Bologna, Mulino, M. Signorini, Malpaghini, Giovanni, in Dizionario
Biografico degli Italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Troncarelli, Casini, Bruno, in Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Waley, Colonna,
Stefano, il Vecchio, in Dizionario biografico degli italiani Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Wilkins, Vita, Rossi e Ceserani (Milano, Feltrinelli);
Donata Vicini, Musei civici di Pavia, Milano, Skira, Petrarchismo; Pre-umanesimo Umanesimo
Canzoniere Petrarchino; Biblioteca di Petrarca Incoronazione poetica Casa del P..
Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. P., Dizionario di storia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ente ufficiale per gli studi petrarcheschi
in Italia, Boccaccio, Epistole e lettere, Biblioteca Italiana, F. Lamendola, Il
culto di VIRGILIO nel medioevo, Centro Studi La Runa. Romano Luperini, Il
plurilinguismo di ALIGHIERI e il monolinguismo di P. secondo Contini, Pacca. Catalogo
dei Compositori e delle opere Musicali sulle rime di su Artemida. Le tre corone
fiorentine della lingua italiana. Francesco Petrarca. Petrarca. Keywords: implicature,
cicerone, I lizij, lucrezio, filosofia Latina, filosofia romana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Petrarca.” Luigi
Speranza, “Il dialogo filosofico – Platone, Cicerone, Petrarca e Grice.”
Luigi
Speranza -- Grice e Petrone: la ragione conversazionale dei sanniti e la setta
d’Imera – il megliore dei mundi attuali
– CLXXXIII, LX LX LX I -- Roma – la scuola d’Imera -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Imera). Filosofo
italiano. A Pythagorean, who claims that the number of worlds is CLXXXIII -- arranged
in the form of a triangle: LX on each side and one at each angle. Petrone.
Luigi Speranza -- Grice e Petrone: la
ragione conversazionale del determinismo dei sanniti e dei liguri – il fato o
il caso? – l’implicatura conversazionale – la scuola di Limosano -- filosofia
molisana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Limosano). Filosofo italiano. Limosano,
Campobasso, Molise -- Grice: “I like some phrases by Petrone: ‘il mondo del
spirito,’ ‘idealista’, etc.’” Grice: “Some of his philosophese is totally
untranslatable to Oxonian, such as ‘la nostra guerra’.” Insegna a Modena e Napoli. Cerca di conciliare l'oggettivismo
dei lizij con il soggettivismo critico. Dei lincei. Collabora a “Cultura
Sociale politica e letteraria”. In “Il Rinnovamento” si espressa criticamente
sulla condenna del modernismo da Pio X. Altre saggi: “Filosofia come analisi” (Pisa,
Spoerri); “Psico-Genesi” (Roma, Balbi) – cfr. psico-genesi nella teoria della
comunicazione di Grice --; “I limiti del
determinismo” (Modena, Vincenzi); “Idee
morali del tempo” (Napoli, Pierro); “Uno stato mercantile”; “La premessa del comunismo” (Napoli, Tessitore);
“Confessioni d’un idealista” (Milano, Sandron) – cf. MAMIANI ROVERE –
Confessione d’un meta-fisico – AGOSTINO – “Confessioni” -- ; “Lo spirito” (Milano,
Milanese); “A proposito della guerra nostra” (Napoli, Ricciardi); “Etica” (Palermo,
Sandron); “Ascetica” (Palermo, Sandron); “La vita nova” (Cecchini, Roma, Storia
e letteratura); “Filosofia politica”; “La terra nell’economia capitalistica”;
“Il latifondo siciliano”; “La legge aggraria”; “Il diritto al lume
dell’idealismo critico”; “La conezione materialistica della storia” spirito”;
“L’etica come intuizione” -- – contro LABRIOLA (si veda) --. “La storia
interna” “Il valore della vita”, “L’inerzia della volonta”; “La’energia
profonda dello spirito”; “La fase della filosofia del diritto”; “I caratteri
differenziati del diritto” -- Cf. Tyrrell.
(cf. A. M. G. – “Tyrrell e Tyrrell”). Avevamo già corretto le stampe di questo
articolo, quando ci giunse l'ultimo numero del rinnovamento di Milano -- pieno
di tutto fiele contro l'enciclica. Nella sostanza si accorda pienamente col
programma dei modernisti, ma nella violenza della forma e nella irriverenza del
linguaggio lo passa di molto; e trascende con
P. -- L'Enciclica di Pio X -- a stravolgimenti indegni dello spirito e
del senso dell'enciclica. Ed ancora sullo stesso periodico. Ma peggio ancora spropositò
su questo punto nel Rinnovamento mostrando di aver ben poco compreso e del
modernismo e dell'enciclica che lo condanna. Dizionario di filosofia, Treccani Dizionario
biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia. Per saggiare a fondo il valore del realismo giuridico
dell’antico DIRITTO ROMANO, è uopo, anzitutto, indagare, se e fino a che
punto esso risolva o dia sicurtà di risolvere quei problemi che
ogni ricerca del diritto, la quale aspiri al titolo di FILOSOFICA – alla
Hegel --, si propone e che non sono del tutto ignoti alla filosofìa del dritto
romano tradizionale. Tre sono i problemi che ricorrono tuttora nella filosofia
o che segnano l’intervento della scesi filosofica bene intesa. Il primo
concerne l’origine, .la portata, i limiti del conoscere. Il secondo concerne la
natura dell’ essere che è l’oggetto del conoscere. Il terzo il valore e le
leggi dell’operare. Il primo è il problema gnoseologico e, nella
filosofìa del dritto romano, può formularsi così: quali atti e funzioni
‘psicologiche’ si richieggono perchè si formi, rigorosamente parlando, una
nozione del dritto – quale il diritto romano? Quale ne è il criterio, il
principium cognoscendi? La ricerca induttiva dei fenomeni del dritto
presuppone o no una nozione del dritto, una serie di abiti o (li funzioni psicologiche, che valgano come
premesse e come leggi del processo induttivo ? II secondo è il
problema ontologico ed è espresso da queste domande: in che si sustauzia il
diritto romano? Quale è il la natura che subest, che sottosta immutabile
alle sue evoluzioni fenomeniche? e, nell’ipotesi che la ricerca
dell’ essere e della sostanza sia illegittima, nella ipotesi cioè
fenomenistica, quale è e donde il nascimento del fenomeno giuridico? Il
terzo è il problema etico e la maniera onde può venir risolto corrisponde
esattamente alla maniera onde si formula e si dibatte il problema
ontologico: esso si domanda, quali sono le norme della condotta giuridica
doverosa; se le disposizioni del potere POSITIVO del Hegel sullo stato
prussiano siano, semplicemente perchè tali, dotate di valore etico-imperativo;
se, invece, non vi sia un criterio normativo, superiore ad esse e giudice
di esse, ottenuto altronde; se ci si debba limitare alla semplice accettazione
delle disposizioni autoritative ossia del DRITTO POSITIVO o se, invece, non sia
legittimo e corretto domandare il titolo RAZIONALE di esse o IL DRITTO DI
QUEL DRITTO: è insomma, a dir breve, il problema del dritto NATURALE. Il
realismo giuridico non può evidentemente sottrarsi a questi problemi che ogni
uomo, conoscendo, non che filosofando, si propone e che, per quanto
egli premediti di sviare o eludere, non si lasciano rintuzzare in
verun modo. Ed in un modo o nell’altro, di dritto o per traverso, se li propone
e li agita lo stesso realismo giuridico. Il quesito conoscitivo non è per
esso un problema, in quanto ue presuppone la soluzione che è, come tante
volte si è visto, volgarmente empirica. Gli altri due quesiti, poi,
quello ontologico e quello etico, sono (la esso piegati alle esigenze del
suo empirismo conoscitivo: il primo di essi è snaturato da problema di
essere in problema di origine ed al secondo si oppone un diniego
esplicito. Il clie per altro, non toglie che cosi quella forma speciale
onde si pone e s’ interpetra uno dei problemi, come quella esclusione o
soluzione a priori che si ritorce all’altro non sieno la
conseguenza d' una scepsi critica, sottintesa se non espressa, ed
implicita nell’ assunto fondamentale dell’empirismo, quand’ anche non
condotta di proposito deliberato da questo o quello interpetre dell’assunto
stesso. Resta solo a vedere, se il problema vada posto come vuole
l’empirismo o come vuole la filosofia, o, dove l’uno e 1’ altra lo
pongono ad uno stesso modo, se vada risolto nell’ una forma o nell’
altra. E dico a bella posta — LA FILOSOFIA— senza vermi predicato che
la determini in un senso più che in un altro e che la limiti ad una
scuola più che ad un’ altra. L’ empirismo si annunzia in antitesi non a
questa o quella filosofia, ma alla filosofia in generale, o, se si vuole,
è una forma di filosofia che si oppone a quella che fin qui era tenuta
per tale, alla metafisica, e non a questo ed a quel sistema, ma al
criterio comune a tutti i sistemi, al yenus proximum di essi. Termine di
contrapposizione all’empirismo sarà, adunque, per noi l’assunto
impersonale della filosofia, senza che le varietà individuali di essa ci
occupino punto. Il che va inteso in senso relativo e limitato a quel
possibile consenso che, traverso le lotte dottrinali, è dato
ravvisare, nella tradizione storica della filosofia, a chiunque la interpetri
con intelletto d’amore . Il criterio della esperienza ed il problema
gnoseologico della filosofia del dritto.Adunque l’esperienza, ossia la
osservazione e la comparazione dei dati fenomenici, è il criterio
conoscitivo universale del realismo giuridico, di guisa che la critica di
esso si traduce iu una critica della esperienza. Questa critica non data
veramente da oggi: essa è vecchia, nè comincia dal Kant, come si
peusa comunemente, ma risale a Platone, che primo rivendicò le
ragioni della scienza e della filosofìa contro la doxa e 1’ empirismo dei
sofisti. Per quanto vecchia, essa non ha perduto, tuttavia, la freschezza
della novità, e va rievocata oggi che il positivismo, nella forma
più matura della teoria delfassociazione e di quella dell’ evoluzione, ha
risollevato i fasti dell' empirismo. Diremo, adunque, anche a costo di
apparire noiosi ripetitori, che 1’ esperienza non è in grado, da per sè
sola, di scovrire il momento universale e necessario del dritto, nè il nesso
causale dei fenomeni .giuridici, più di quello che essa noi sia di
scoprire il momento necessario ed il nesso causale di altri ordini
di fenomeni. L’esperienza ci dice che una cosa è fotta così e non
altrimenti, ma non che la cosa non possa essere altrimenti che così. L’esperienza
ci dà la coesistenza e la successione dei fenomeni e può darci anche la legge
empirica (la cosi detta legge di conformità che impropriamente si chiama
legge) di tale coesistenza e successione, ma non ci dà nè può darci mai
la legge di necessità. Essa ci dà la ripetizione delle coesistenze e
delle successioni di dati fenomeni, ma non la legge di tale ripetizione: essa
ci dice che una cosa si ripete cento, mille, diecimila volte, ma non che
si debba ripetere .necessariamente. L’ultimo dei termini della serie
progressiva e faticosa delle esperienze non ci dice niente di più e di
meglio di quanto ci dica o ci abbia detto il primo, e l’ultima ripetizione vale
le altre. L’accrescimento del materiale della esperienza è un processo
quantitativo, dal quale nessuna alchimia trarrà una qualità nuova.
Noi chiediamo il quia, ed il quid, doveccliè i progressi della esperienza
non ci promettono che una cognizione sempre più vasta del quale. La teoria dell’associazione,
che data da Hume, si avvisa di eludere il problema, con l 7 apporre a
questa legge di necessità una portata puramente psicologica. La
necessità oggettiva, essa dice, è un inganno; la necessità è puramente
soggettiva ed è la coazione interiore verso un dato nesso o una data serie di
nessi logici delle nostre rappresentazioni. La categoria della
necessità è una oggettivazione illusoria, una proiezione al di fuori
dell’abitudine interna di un dato nesso ideale. Ma, checché si deponga in
favore di tale tesi, non si scema l l’equivoco che la vizia. La
coazione interiore può ben nascere dall’abitudine, ma la necessità
logica della ragione è ben’altra dalla coazione psicologica del sentimento.
Questa ultima, non che necessaria, è accidentale di sua natura, perchè
il dominio psicologico è il dominio del variabile, del contingente,
del casuale. Del pari l’esperienza non può colpire il momento universale delle
cose. La universalità alla quale essa può pervenire è, tutt’alpiù,
universalità sui generis, universalità relativa e provvisoria, il che è
tutt' uno che negazione della universalità scientifica. Il maximum dello
sforzo cogitativo al quale possa pervenire l’esperienza, secondo un noto
principio del Kant, è il seguente per quello che abbiamo appreso fin qui,
non si trova veruna eccezione di questa o quella regola data » non già
quest’altro questa è regola universale e non ha veruna eccezione. E ciò, perchè
le conclusioni dell'esperienza sono limitate e condizionate quanto la
esperienza, la quale è eminentemente analitica e non assicura e non
garentisce che il suo responso immediato. L’esperienza ci dice che date
coesistenze e date successioni di fenomeni si sono ripetute fin qui, ma
non ci assicura che si ripeteranno in avvenire. È vero bensì che noi
» oggettiviamo ed universaleggiamo ogni giorno le ri sultanze di quella
esigua e ristretta esperienza per[Vedi la bella illustrazione che di questi
pensieri della critica kantiana fa il Volkelt. Erfahrung und Denken.
Kritische Grundlegung der Erkenntnisstheorie. (Hamburg Volkelt] sonale
che ne è consentito di fare e le atteggiamo sub specie aeternitatis, ma,
con ciò stesso, noi superiamo i termini della pura esperienza, noi invochiamo
ed applichiamo per la nostra cognizione un altro criterio che quello
sperimentale. In ogni giudizio che formuliamo v’ò un tacito sottinteso
che precede l’esperienza e la integra : ed il sottinteso è questo: che
quella ripetizione delle coesistenze o delle successioni, la qual
ripetizione non abbiamo osservato ancora o non potremo osservare in avvenire, è
conforme alle ripetizioni o alla serie di ripetizioni già osservate. Il
processo induttivo presuppone 1’ habitus, la funzione mentale che si
formula nel principio d ’ identità : dal quale segue che quanto si predica di
una cosa o di un rapporto già esperito va predicato, altresì, di tutte le
cose e di tutti i rapporti esperibili, le quali o i quali sieuo della
stessa natura sostanziale della prima o del primo. Ne l’esperienza è più atta a
conoscere il perchè delle cose, il cur, di quello che noi sia a
conoscerne la universalità. La successione dei fenomeni, sia pure
conforme a regola, non è causalità: e dall’esservi fra 1 fenomeni
di una serie un rapporto di prima e di poi non segue, per altro, che la
mente dell’osservatore, la quale nel supposto è tabula rasa, argomenti
dal semplice rapporto empirico di antecedente e conseguente la
possibilità di quello ideale di causa e di effetto. L’esperienza ripetuta
delle stesse sequele di un dato fenomeno e di un altro non può creare
ex nihilo sui quel rapporto di causalità che ai primi [VERA A.
Melanges philosophiques] gradi ed ai primi passi di quella esperienza era
inconcepibile. Senza dubbio, il rapporto di causalità è nelle cose (lo
scetticismo di Hume non ha chiuso il problema) ma non è una specie
impressa sulle cose, visibile e palpabile a nudo, esperibile iusomma. La
nozione di quel rapporto è, direi quasi, un’anticipazione dell’
intelletto sulla esperienza e sulla stessa natura. Ogni nesso causale che
noi formuliamo presuppone 1’ habitus, la funzione mentale del nesso
causale in quanto tale. Noi diciamo « questa cosa è effetto di
quell’ altra » solo perchè sapevamo che, risalendo la serie regressiva
dei fenomeni, ciascuno dei termini di questa serie è un effetto, ossia è
un prodotto da una causa, finché si perviene al termine primo che
non è più effetto, ma causa sui. In vero, senza questa funzione mentale,
noi avremmo uu bel discernere delle affinità e delle conformità logiche
tra l’operare di una cosa e la natura di fatto d’una altra cosa che
la segue: tra Luna e l’altra cosa noi non vedremmo mai un rapporto
causale, se a quel nesso di conformità non si associasse spontaneamente,
nel nostro pensiero, quella funzione mentale, che io chiamerei il
sottinteso della causalità. Chi analizzasse questa serie di sottintesi e questa
prescienza e vedesse quanto è facile e seducente, ad un metafisico che
sia artista ad un tempo, atteggiare quella prescienza a forma di ricordo
di una vita psichica oltremondana, vedrebbe forse che la dottrina
platonica sapere è ricordare è più presto una deformazione poetica di un sano
principio filosofico, che un principio falso di sua natura. La nostra
scienza, e non è prescienza, ha per sottinteso un certo grado di
prescienza. A Corate enunciò lo stesso principio in altra forma, quando
disse « sapere è prevedere. La previsione di un fenomeno esperibile ma
non esperito è, evidentemente, prescienza intellettiva. Un logico
recentissimo della scuola critico-positivista, il Masaryk, ci porge una
indiretta conferma, che qui ò opportuno ricordare, di questi supremi
principi della critica della conoscenza. I fenomeni particolari
sono tuttora (così VA del Saggio fri logica concreta) gli elementi
costitutivi del l’universo, come l’oggetto proprio della conoscenza
umana: ma noi sono immediatamente. Il nostro intelletto non può cogliere
ed intuire di un lampo l’unità delle cose : il suo processo è, per di
tetti vità connaturata, eminentemente astrattivo. Epperò esso conosce le
cose non per intuito diretto, ma mediante le leggi e le proprietà
essenziali che a quelle cose ineriscono. Queste leggi e proprietà sono il
prins, non il posterius della conoscenza. V’ha due generi di scienze:
scienze astratte e scienze concrete: le prime conoscono le leggi delle
cose e le seconde l’essere di fatto delle cose. Or bene le scienze
astratte sono il fondamento, il presupposto delle concrete, appunto
perchè le cose non si conoscono che per le loro leggi e proprietà
essenziali. La biologia, che è scienza astratta, perchè ha per oggetto le
leggi della vita precede ad es. la zoologia, che studia gli animali
viventi, ed è la confritio sine qua non della sua esistenza. So le
scienze concrete presuppongono le scienze astratte, è assurdo supporre che le
prime forniscano la base delle seconde. Ciò sarebbe una inversione di
termini. Precisamente l’opposto è vero. Le cose non- si intuiscono o
esperimentano di un tratto solo nel loro essere, ma si conoscono in
funzione di una legge e di una proprietà essenziale che precede e rende
possibile l’esperienza. Gli è questo che ci spiega come e perchè le
scienze astratte abbiano fatto progressi di gran lunga maggiori che le
concrete. Gli è che queste sono posteriori a quelle, onde la loro maturità
segue, in ragion di tempo, il progresso di quelle [Questi principi del
Masaryk sono fondati sul vero, benché il modo ond’egli si esprime sia
tutt’altro che proprio. La sua terminologia è mutuata dall’empirismo per
formulare una nozione sovra-empirica. Quello che egli chiama processo
astrattivo va chiamato processo di sintesi spontanea ed originaria,
perchè l’astrazione presuppone la conoscenza del concreto onde si
astrae, il che contraddirebbe al supposto. Prescindendo da ciò, resta, intanto,
stabilito che non solo la filosofìa, ma lo stesso positivismo critico ed
illuminato insegnano d’ accordo che alla conoscenza analitica delle cose
particolari deve precedere la conoscenza della specie universale, che è
come una sintesi, una deduzione spontanea ed originaria, un’
anticipazione mentale dell’ osservazione. L’ esperienza affidata alle sue
forze sole è così lungi dal fornirci un concetto scientifico delle cose, che
anzi essa, senza 1’ ausilio di una virtù intellettiva che è prima e
sovra di lei, non potrebbe neanche venire alla luce e legittimarsi come
esperienza. Versucli eiiier coucreten Logik (Wien). Or bene, ripeto quanto lio
detto più su, questa difetti vità dell’ esperienza sussiste nell’ ordine
delle conoscenze giuridiche, come iu ogni altro ordine di
conoscenze. Anche ivi la nozione universale deve precedere 1’ esperienza
particolare: la scienza sintetica delle proprietà essenziali del diritto
deve precedere la scienza analitica dei fenomeni giuridici particolari e
non seguire da essa. Anche ivi una estensione, un impinguamento del
materiale di fatto può accrescere la notizia delle cose, non la scienza,
come bene afferma Hartmann. Il materiale dei fatti é il sottosuolo, non l’oggetto
della scienza. La osservazione empirica di un fatto giuridico non ci dice nulla
sul momento universale e necessario del dritto, nulla sui nessi causali
di quei fatti ed è, però, inetta ad adempiere, non che una sintesi
filosofica, ma una semplice sintesi scientifica: di guisa che, sulla
scorta di essa, neanche la fenomenologia perverrà ad ottenere quel
principio sintetico e quell’ universale logico del dritto che, come tante volte
si è visto, rappresenta il suo termine ideale. Per dirla più [(lì Die
Bereicherung an Blossem Stoff des Wissens vermehrt uur die Kuncle, aber
nicht imraittelbar die Wissenschaft. In dem aber die Wissenschaft erst da
anfiingt, wo in den Beziehuugen des Stoffs und den allgenieinen in ihm
wirkenden Kràften oder Momenten das Gesetzmiissige, Ordnungsmiissige
oder Planmàssige, logiseh oder sachlich Nothwendige aufgesuclit wird,
zeigt sich eben, dass 'der Stoff als solcher nicht don Gegenstand selbst
der Wissenschaft bildet, sondern nur die Unterlage derselben, dass aber
der eigentliche Gegenstand der Wissenschaft dasjenige ist, was an den
Beziehungen des Stofìes allgcmein und verniinftig ist — Gesammette
Studien u. Aufsiitzc] esplicitamente, quella osservazione empirica,
ammesso pure che la si estenda il più che sia possibile, non ci darà, di
per se sola, non che una filosofia, neanche una scienza del dritto. Perchè
egli è fuori dubbio che la scienza abbia per soggetto l’universale ed il
necessario delle cose. L’ACCADEMIA, il LIZIO, e fra noi, CICERONE, hanno del
pari messo fuori disamina, che oggetto della scienza é la vóyjaig nepi
òoatav e che l’esperienza, che apprende il particolare, non va confusa
con la scienza che apprende l’ universale. Gli stessi principi sintetici
della fenomenologia che siamo venuti divisando non provengono dall’
esperienza, ma dalla speculazione del pensatore. La storia consegna al v.
Ihering il fatto della lotta e del fine interessato, ma, quando egli
generalizza P esperienza di quel fatto a momento universale del
dritto, eccede i termini della esperienza, per soddisfare ad una vocazione
speculativa che è anteriore all’ esperienza. La ragione di Dahn ed
il giusto del Lasson sono cosi poco creature delP esperienza, che quella è un
ricordo della opinio necessitati della metafisica, ovvero una forni ola
logica della razionalità della Volhsbewusstsein (la quale, a sua volta, è
una ipotesi demo-psicologica che trascende ogni esperienza) e questo è P
applicazione al dritto di quel logos Hegeliano, che è P ultimo
residuo di una notomia degli atti conoscitivi, la quale ha il suo
punto di partenza nell’ esagerazione dell’ a priori. Il principio del
rispetto verso la forza [Rep. Vedi pure: Fed. ; Mat.; Mag. Mor.] imperante
(Achtung) e quello della pre volizione della norma (Anerlcennung) sono non
fatti di esperienza 0o - o'0£,ti va, ma impostasi intellettive di alcuni
fatti accidentali di esperienza psicologica. Il realismo giuridico si avvisa di
conoscere le proprietà essenziali e le leggi del dritto col mero
processo della induzione e della comparazioue. Noi abbiamo visto
testò il Post, nell’ analisi comparativa dei fotti particolari della vita dei
popoli, fermare il segreto del substrato universale di quei fotti e di
quella vita. Ma, l’osservazione e la comparazione non sono possibili senza una
teoria preesistente, la quale ci faccia discernere quello die va
osservato da quello che non va osservato, e che, nel materiale
disordinato dei fotti, ci consenta di sceverare quel momento che concerne
e preoccupa la nostra scienza da quegli altri momenti che non ci
concernono punto e che le altre scienze differenziano dalla nostra. Senza il
filo d’Arianna della speculazione, l’osservazione e la comparazione dei
dati di fatto diventano un labirinto inestricabile e dal quale non
v’è più uscita. Se non sappiamo prima, per un’ anticipazione
intellettiva, che cosa è dritto, nè possiamo discernere i fenomeni giuridici
da quelli che non sono tali, uè negli stessi fenomeni giuridici
possiamo sceverare quello che in essi è proprietà essenziale da quello
che non lo è. Anche nell’ordine delle conoscenze giuridiche è vero che l’intuizione
è cieca senza la categoria. Vi debbono essere, nella moltitudine dei
materiali storici messi a profitto dall' indagine e e dalla comparazione,
delle quantità conosciute ehe permettano all’osservatore di orientarsi nei suo
cammino. Il che è riflesso, nelF ordine del pensiero, di quello che, come vedremo,
ha luogo nell’ ordine delle cose. Perchè, evidentemente, nel suo processo
evolutivo l’umanità deve pure avere avuto delle soste, deve pure aver segnato
delle fermate e dei punti di riposo, nei quali momenti si è venuto deponendo,
consolidando, sarei per dire cristallizzando, il presunto fluttuare
dei fenomeni. La pressura della logica e quella che lo Schopenhauer
chiamava die List der Idee domina, del resto, gli stessi induttivisti della
giurisprudenza e li trae a smentire coi fatti quanto lian professato a
parole. Dopo aver respinto 1’ a priori, essi sono ben lungi dal farne a
meno: e di presupposti a priori tolti in prestito alle nostre odierne
intuizioni giuridiche o alla nostra speculazione filosofica le loro
ricerche sono piene. Tanto egli è arduo, impossibile anzi, nel rifare a
rovescio il processo della evoluzione giuridica, fare a meno di un
contrassegno ideale di quello che è dritto o di un criterio
intellettivo che ci aiuti a discernerlo dagli altri fenomeni del cosmo!
Il metodo comparativo, adunque, che si avvisa d’inferire dal semplice
raffronto dei fatti la nozione del momento giuridico di essi, è una vera
petitio prineipii. Un’ anticipazione ideale di quello che si cerca
bisogna averla per forza, se no quello che si cerca non si trova. È una
cosa molto elemen fare codesta: chi non sa quello che vuole non trarrà
mai un ragno dal buco. Ottima la ricerca delle forme storiche della
proprietà immobiliare nel mondo orientale, a mo’ d’esempio, o il raffronto tra
esse e quelle dei popoli occidentali, ma, se voi non avete prima una
nozione quale die sia della proprietà immobiliare, quella ricerca e quella
comparazione non la farete mai. La storia è pur sempre storia di
qualche cosa. L’ordinamento seriale dei fenomeni sotto il genere dritto e
sotto le specie famiglia, proprietà ec. (scelgo a bella posta l’ordinamento
seriale più facile ed elementare) e tutta la serie dei principi e delle
rubriche e delle classificazioni della giurisprudenza storica e comparativa
sono, per necessità di cose, un presupposto e non un risultato della
comparazione e della storia. Nò si opponga che il com cetto del dritto emerge
dal fondo stesso della osservazione e della comparazione ed è ottenibile
mettendo a raffronto un gran numero dato di oggetti affini tra loro,
astraendo dalle differenze indi-[fi) Schuppe. Die Metkoden der rechtsphilosophie.
Man kommt nickt von der gesckicktlickèn Betrachtung zu dem Gewordenen,
sondern gerade umgekehrt: man suckt, von diesein ausgekend, seine Erfahrung
nack ruckwarts in der Zeit zu erweitern Der Versuck, aus der Gesckichte
herauszusammenfugend zu ersckaffen, kame auf ein Mlsslingen oder eine
Selbsttausckung kinaus: es giebt nur Gesckiehte von Etwas. Wenn die sogenannte
genetiscke Metkode die vollkomneren Gestaltungen aus den unvollkomneren
sick erzeugen, so solite nie iiberseken werden, dass im Nackweise dos
Keimes das Wozu er sick entwickeln, Wessen Keiui er sein soli, sehon vorsckwebt;
nur vom vollendeten Erzeugniss fragen wir zuriick nack den keimartigen
Anflingen. Stammler. Die Metkoden der geschicktlicken Rechtstheorie] vicinali
di ciascuno e ferrnaudo quel genere, quella nota universale e comune, in
che convengono tutti ad un tempo. Imperocché, appunto perché abbia
luogo quel raffronto, si richiede un’ anticipazione sintetica della
natura sostanziale del dritto. Per discernere in che gli oggetti sono affini,
occorro che vi sia, anzi tempo, un contenuto ideale, in rapporto al
quale 1’ affinità o la dissomiglianza è concepibile. La osservazione e la
comparazione vi darà il fatto della convenienza, solo quando voi
preconoscete di avanzo, sarei per dire presentite, per una cotale
anticipazione irriftessa dello spirito, quello in che si conviene e
la ragion formale della convenienza. La nota comune è una premessa del
processo astrattivo. Bisogna degradare il fenomeno della conoscenza alla
più volgare materialità per convincersi che gli elementi, i quali in
ipotesi sono conformi, si lascino connettere in un rapporto di conformità
per una percezione immediata del loro essere di fatto. Perchè gli
elementi b. c. d. lascino vedere un elemento comune con a. e si vadano
sussumendo in un rapporto comune A. occorre almeno che a, ossia il
termine di raffronto, abbia colpito il pensatore e gli appaia come
un momento di cosiffatta natura, da servire di regolo agli altri, come a
dire un equivalente ideologico preesistente del contenuto che si ottiene
poi formulato nel rapporto A. Se l’intelletto dell’osservatore è una
tabula rasa, egli non vede nè differenze nè somiglianze nei fenomeni, nè
dritto nè torto nella storia: le differenze sono percepibili, solo
quando si sa quello da cui si differisce e. del pari, le somiglianze,
solo quando si sa quello cui l ‘ì si somiglia: in altri termini i
rapporti sono percepibili solo in finizione del loro oggetto ò della loro
ragione formale. Egli, adunque, l’osservatore, non vede che una
serie di fotti indifferenti che non sono nè il diritto, nè il suo
rovescio : di cui noi, messi al punto, non potremmo nè anche assicurare
che cosa sieno: perchè ci difetta la virtù astrattiva che sarebbe
necessaria per vedere come andrebbero le cose della nostra intelligenza
nella ipotesi di un processo anormale di questa. Alla induzione ed
alla comparazione deve, adunque, precedere un intuito speculativo del dritto.
]Sel campo della giurisprudenza, come in quello delle altre
discipline, il processo conoscitivo s’inizia da una sintesi primitiva e
spontanea, si svolge e dirama e differenzia per l’esperienza, l’analisi,
la riflessione e va a metter capo alla sintesi riflessa della deduzione.
La storia del processo fenomenico ed inventivo è un compito meramente
analitico che si esercita sopra una sintesi scientifica preesistente. Per
descrivere le fasi evolutive di una cosa bisogna già possedere il concetto
dell’ essere della cosa, ossia della sua forma definita ed evoluta e
della sua configurazione stabile e consolidata. Es ist vor Alleni
unumgiinglich, class der Entwiokluiigahistoriker das genaueste und deutlichste
Verstiindniss von der reiteri Gestalt besitze und bekunde, von welcber er
die Entwickeluug verfolgt. Die Eutwickelungsgeschichte ist steta
und lediglieli eiue analytischo Aufgabe. Scheinbar naives Aufsuchen der
Verbindungsstiicke und gliickliches Probiren, ob sie passen, ist ein ganz
eitles Unterfangen. Die Ent[La filosofìa speculativa del dritto aveva adunque
ragione. Di che una preziosa riprova ci forniscono gli stessi
empirici della giurisprudenza, la mente dei quali è munita, anzi tempo,
non che di un intuito o di un presentimento del dritto, di tutto un
corredo di conoscenze speculati ve, più o meno deformate, tolte in
prestito precisamente a quella filosofia. E senza il suo ausilio 1’
esperienza si sarta trovata a mal partito. Ciascun fatto o ciascuna serie
di fatti non malleva che se stessa: ed il filosofo dell’ esperienza non
avrebbe mai visto il lume dell’ idea. L’induzione è sempre limitata ad un
dato numero di fatti, il qual numero, lo si moltiplichi a talento,
dista pur sempre infinitamente dalla universalità -che si estende a
tutto il possibile. Gli stessi principi generali non vi sarebbero più : 1’
allgemeine Reclitslelire è un generale die, viceversa, è un particolare.
A causare tali perigli, resta che, in difetto di speculazione propria, si
usurpi l’ altrui. Ed ecco, allora, che la premessa maggiore del realismo
e della fenomenologia è una premessa metafìsica. Questi declamatori dell’
esperienza e dell’induzione sono in fondo dedutti visti. La filosofia ha
trovate alcune verità con un procedimento misto d’ intuizione di
rapporti ideali e di esperienza psicologica. Essi riprovano queste verità
con l’allegazione di fatti spe- [wickelungsgeschichte des Organismus setzt ein
hohes Stadium der Anatomie voraus, das sie alsdann erhohen kann. Aber die
Entwickelungsgeschichte kann der descriptiven Anatomie nicht voraufgeben.
Cohen. Kant’ s Theorie der Erfahrung Zw.] rimentali, quando noi facciano con nn
tessuto di raziocini. Il loro metodo è analitico e regressivo: onde
quando essi rimproverano di deduzione la vecchia filosofia, questa potrebbe dir
loro che essa della deduzione, accanto ai difetti, aveva benanche i
pregi, dovechè ad essi non restano che i difetti soli. Il criterio
storico-evolutivo ed il problema ontologico della filosofia del diritto.
Si è detto innanzi come la maniera, onde l’empirismo concepisce il problema
dell’essere del dritto, equivale esattamente alla maniera ond’ esso concepisce
il problema del conoscere. Dopo aver detto die criterio unico della
scienza è l’esperienza, logica vuole che l’empirismo dica che l’oggetto
della scienza è tale, quale bisogna che sia perchè rientri nei limiti
della esperienza, e che, quindi, il dritto non abbia altro essere che
l’essere mutabile, contingente e fenomenico, o, per dir breve, non altro
essere che il divenire. Come in tanti ordini di cose, così nel
dritto, il criterio scientifico si è venuto snaturando nel criterio
storico e, conseguentemente, il problema ontologico nel problema
genetico. Del dritto, come di altri oggetti, si studia non più la
sostanza ma la genesi, non più l’essenza ma l’evoluzione, non più
il substratum ma il processo; nè solo si studia l’una cosa e non 1’
altra, ma si afferma come inesistente quella che non si studia, o si
presume di non studiarla, appunto perchè la si dà per inesistente. È il
criterio storico-evolutivo, che riassume il genio scientifico (lei secolo e che
pervade scienza e filosofia. Se ne volete 1’origine, dovete far capo all’
aspetto dogmatico del fenomenismo kantiano e, più lungi ancora, alla
critica Lochi aria, alla teoria, cioè, della inconoscibilità della
sostanza. Tolta, invero, la ricerca della sostanza, non rimane che il fenomeno soletto
al lievi, al divenire, alla storia. Se questo criterio lo si proseguisse nella
sua forma logica e coerente, esso non porgerebbe ai suoi settatori
un saldo sostegno. Così coni’ è, esso è viziato dalla radice, perchè poggia
sopra una inversione del problema filosofico e perchè confonde volgarmente due
termini che vanno distinti, scienza e storia. I fenomeni particolari che
registra la storia sono non solo inesausti, ma inesauribili nel loro numero:
la umanità ha invocato sempre l’ausilio delle idee per dominare
l’universalità dei possibili, senza di che non si sarebbe mai svincolata
dalle strettoie di una perpetua ignoranza. La storia ha per oggetto
il nudo individuale; quello che sta a sè e non può predicarsi degli
altri; quello che può essere conosciuto solo per un atto di esperienza ex
professo e discontinua, e che, per essere singolo, si consuma in un
singolo atto mentale e consuma l’atto stesso; quello che non ha nesso con
altri e non può nè subordinarsi ad essi nè subordinarli a sè, e che è
incomunicabile: quello che dà luogo non ad un concetto, ma ad una moltitudine
di percezioni saltuarie, sempre esposte alla sorpresa del nuovo,
dell’imprevisto, dell’azzardo.
Schopenhauer — Die Welt u. 8 . w. — Ergiinz: L’empirismo, messo allo
stremo, li a studiato, pertanto, di sfuggire alla logica del suo criterio.
Invece di escludere la speculazione, esso fa atto di riconoscerla,
ma piegandola alle esigenze del suo criterio; nò nega la sostanza, ma la
traduce nel circolo del suo sistema, llesta, per esso, oggetto della
scienza l’essere, ma l’essere appunto sta, o si presume che stia,
nel divenire. Il suo intento non è, in fondo, negativo, ma dialettico. L’
esse della filosofia morale e giuridica è appunto il fieri della
evoluzione del costume e degl’ istituti giuridici. Quella serie di
proprietà sostanziali, quella essenza specifica della natura e della coscienza
umana non sono negate o rimosse, adunque; sono semplicemente interpetrate
in un modo diverso. Esse non sono più un a priori — della' storia, un
termine che è fuori del processo storico e che rende possibile lo
stesso processo; ma si rappresentano come un a posteriori primitivo, come
un prodotto dell’esperienza collettiva e della razza, un prodotto che si
solleva, a sua volta, a causa di nuove formazioni, di nuovi fenomeni,
ma è ab initio una formazione, un fenomeno esso stesso. Messo da banda il
flusso eracliteo i settatori del criterio storico-evolutivo si credono
licenziati ad ammettere delle proprietà specifiche della natura etica umana,
quando s’ intenda che queste proprietà sieno non un essere, ma un
divenire o, per meglio dire, un divenuto; quando si intenda che
esse sono forse un a priori a petto alla esperienza individuale dell’
uomo che si trova in uno dei momenti derivati, della evoluzione, ma sono
certo un a posteriori della esperienza delle g enei azioni preesistenti.
Nella serie dei momenti evolutivi, ciascuno di essi è un posterius delle
esperienze sociali trasmesse dal momento anteriore; solo clie
queste esperienze diventano generative di altre posteriori, a petto alle
quali esse sono un termine primitivo. L’esperienza collettiva che supera
la dispersione e la difettività dell’esperienza individuale, l’abitudine
(latamente intesa) e 1’ eredità che la trasmette e la consolida, la
tradizione storica che ne raccoglie le risultanze : ecco i supremi
presidi, con l’aiuto dei quali 1’ empirismo moderno si avvisa di superare
le difficoltà dell’antico, di trascinare l 1 essere della scienza e
della filosofia nel flusso del divenire e di evitare, ad un tempo, le
ritorsioni di quella logica inesorabile, che lo forza a dibattersi
sterilmente nell’ assurda impresa di logizzare la storia o di storizzare
la logica, di formulare e dogmatizzare il mutevole, l’evanescente, l’
individuale e di travolgere, ad un tempo, nella rapida scorrevolezza dei
fenomeni transeunti quello che è e che sta, l’eterno, l’immutabile, l’assoluto.
Se. non che, anche in questo contenuto più ricco di valore ideale che assume il
criterio storico-evolutivo, esso è ben lontano dal sottrarsi a quella
logica di sistema, . che, volente o nolente, lo rimena all’ assurdo
d’ invertire i termini del problema filosofico e di scambiare la scienza con la
storia, la sostanza col fenomeno, le facoltà e le attitudini
connaturate con le esperienze e gli abiti acquisiti. Finché, in
omaggio al paradosso, si riconosce l’ammissibilità di un processo all’ infinito
e, rifacendo la serie regressiva delle esperienze, il primo termine
di quella serie si rappresenta come una esperienza a sua volta, il vizio
radicale dell'empirismo rimano sostanzialmente lo stesso. Finché la razza
è una moltitudine d’individui, la quale moltitudine non può fornire
un elemento nuovo ehe non sia orininari amente contenuto in ciascuno degl
'individui che la compongono, finche l’abitudine e l’eredità sono
forze trasmissive e non creative, le quali, quindi, presuppongono
un quid che si ripeta o consolidi o trasmetta, la contraddizione
implicita nell’ assunto empirico rimane tal quale. L’ empirismo
allontana, risospinge indietro il problema nella storia, ma non lo
risolve. Nella serie delle fasi evolutive v’ è sempre un priuSy un termine
primitivo, che, come esso c’ insegna, non è un essere ma un divenire, non
è una sostanza ma un fenomeno, non è attitudine all’ esperienza ma
esperienza senza attitudine. Ed in questo termine primitivo rinasce il
problema elie si credeva composto: il divenire è possibile senza l’essere?
ed i fenomeni giuridici sono possibili senza l’essere giuridico"?
senza una coscienza giuridica già data, senza una facoltà connaturata del
dritto, sono possibili le esperienze giuridiche? Ogni momento
individuale dell’ evoluzione giuridica, lo si derivi pure da una serie
inferiore preesistente, non ha forse bisogno d’ un ciliquid che lo
determini e lo differenzi come tale dal momento anteriore ? e
questo aliquid non è un essere che precede e rende possibile il
divenire? Nella continuità dei fenomeni deve pure esservi, non
foss’altro, l’infinitamente piccolo di Leibnitz, che prima non era ed ora è, ed
è quindi la radice, il substratum di quello che v’ è di nuovo nel
rapporto reciproco dei termini successivi della serie, di quello cioè che
differenzia i singoli momenti della continuità. Questo infinitamente
piccolo non può essere prodotto dalla prima esperienza, se questa, per
logica di cose, lo presuppone. Come mai quelle esperienze giuridiche o quella
serie di esperienze, che saremmo impotenti a far noi ex novo, se
fossimo dello tabulae rasae, e che noi possiamo Aire, secondo il criterio
storico-evolutivo, solo perchè l’eredità e la tradizione storica ha
deposto e trasmesso nei nostri poteri psichici tutto un contenuto ideale
che tesoreggiamo di continuo, come mai, dico, quelle esperienze sarebbero
esse state possibili, senza verini possesso anteriore di una
facoltà connaturale, a quegli uomini primitivi, i quali, a quanto insegnano gli
evoluzionisti, uscivano a mala pena dalla specie inferiore dell’animalità?
Perchè, senza dubbio, proseguendo a rovescio il corso dell’evoluzione
giuridica, vi sarà seni pre un assolutamente prius die non è più specie
ma individuo, che non è più esperienza collettiva e storica ma nuda esperienza
individuale. Il criterio storico-evolutivo che, per aver riconosciuto la
legittimità dei processo all’ infinito, ha posto, come termine primitivo
delle esperienze, la esperienza stessa e, come causa degli effetti, l’effetto
o la serie degli effètti stessi, deve raccogliere i frutti del suo
inconsulto procedere e deve togliere sopra di sè la contraddizione di un
termine derivato che si postula come termine primitivo. La filosofia
tradizionale, la teoria nativistica come per dileggio la chiama l’
Jliering, aveva adunque ragione quando poneva a sostrato primitivo e
causale la natura deir uomo e non il processo della storia, la coscienza
giuridica e non le esperienze edonistiche ed utilitarie. Il fenomeno
della evoluzione presuppone il noumeno della creazione, nella filosofia
del dritto come nella cosmologia : il divenire presuppone l’essere che diviene
e che sussiste lo stesso attraverso e non ostante il divenire. Senza
una coscienza giuridica bella e data, l’esperienze giuridiche non
sarebbero nate, perchè è la facoltà che crea le esperienze e non le
esperienze la facoltà. Ed invero, senza una coscienza giuridica universale
connaturata in ciascun membro della razza o della specie, l’intimo
consenso in certe verità giuridiche fondamentali, attestato dalla stessa
osservazione serena dei fatti, non sarebbe mai venuto alla luce.
L’esperienza, la quale procede a furia di esperimenti, di correzioni, di prove
rudimentali, incerte, provvisorie e che è sempre varia da soggetto a soggetto,
da caso a caso, non può aver potuto determinare, per la contraddizion che noi
consente l’universalità e 1’ unità della ragion normativa e della
coscienza. Si riduca questa unità e questa universalità alle semplici
proporzioni di una funzione formalo e vuota di contenuto, ebbene non sarà mai
concepibile come quella unità della forma della coscienza inorale possa
essere uscita dal fondo di esperienze soggettive, senza un fondo comune
di attitudini preesistenti, senza un addentellato di sorta. 1/
antropologia dell’ evoluzione può aver provato, si conceda per un momento, che
il contenuto della morale e della giustizia varia da popolo a popolo, da
tempo a tempo, ma non può aver provato che ne varii altrettanto la forma.
Essa, anzi, riprova indirettamente che la materia infinitamente diversa
del dritto reca in sè V impronta di una costante unità di leggi e di funzioni,
le quali sono, alla coscienza morale dell’umanità, quello che al pensiero
le leggi e le funzioni a priori della conoscenza; e che muta il contenuto dell’
atto morale, ma immutabile ne è la ragion formale; ossia le condizioni
necessarie all’atto morale come tale sono immutabilmente concepite e, sarei per
dire, plasmate nella forma assoluta d 7 un imperativo incondizionale,
d’un dovere. Si assuma il più semplice degl’istituti giuridici del
più semplice dei Natur-Viilker, ebbene l’analisi vi scopre sempre questa
proprietà ideale : il convincimento di una legge estra-soggettiva, che
è fuori e sopra l’arbitrio individuale ed alla quale è doveroso
prestare obbedienza. La pretensione giuridica del selvaggio contiene un elemento
spirituale che è condizione comune a tutte le pretensioni giuridiche di
tutti i popoli più culti. Quella pretensione è appresa come una legge
impersonale, non solo rispetto ai soggetti presenti sui quali si
esercita, ma altresì rispetto a tutti gli altri soggetti, che sieno per
trovarsi nella stessa condizione dei primi, e, quindi, rispetto allo
stesso soggetto pretensore, ove egli in tale condizione venga a trovarsi.
Motivo etico della pretensione o del comando, quel motivo, cioè,
per cui l’una o l’altro è appreso come autorevole e fonte di obbligazione
doverosa, è sempre la conformità presunta di quella pretensione o di
quel comando ad una legge. Che la conformità presunta non sia conformità
reale importa poco: resta sempre stabilito ohe condizione necessaria
dell' atta giuridico, condizione universale e comune a tutti i
popoli della terra, è l'intuito dell'atto stesso sotto la ragion
formale del giusto. Ohe questa proprietà ideale non si trovi così
nettamente distinta e differenziata nella coscienza morale del selvaggio,
importa ancor meno. L’analisi è creatura della riflessione scientifica,
laddove l’idea del bene e del giusto è un intuito sintetico della
coscienza: 1’ assenza del l'un a è ben lungi dal provare quella
dell’altra. L’analisi rende molteplice e successivo rispetto a noi quello che è
uno e simultaneo rispetto alla natura: confondere questi due
aspetti è convertire in ipostasi reale un fenomeno della nostra
difettività conoscitiva. Senza dubbio, l’unità e la comunanza della
semplice-ragion formale del bene e del giusto non basta a fondare una
morale, nò una filosofìa del dritto. Un’etica senza contenuto è una
logica del bene e del giusto, non una nomologia. Quella unità della coscienza
si traduce in piena iudifferenza e la percezione della ragion formale del
giusto in un mero momento psicologico. Ma, se questa unità formale della
coscienza morale è poca cosa rispetto alle esigenze ed agli uffici dell’
etica positiva (e però noi non ci ristiamo a lei, ma ammettiamo un
contenuto morale, quale quello che ci detta la filosofìa
teleologico-cristiana, e sulle orme della scuola di Max Mailer vediamo,
nelle tristi condizioni morali dei Natur- Volker il prodotto di un
pervertimento derivato) è molto rispetto alla critica della sociogenesi
della evoluzione. La quale si chiarisce così contraddire apertamente non
solo alla teleologia inorale, ma benanche alla critica, più negativa e più
«pregiudicata, della ragion pratica. Come per avventura, le incerte esperienze
dei soggetti sub-umani abbiano potuto determinare l’unità della ragione e
dell’intuito formale del giusto, vale a dire quell’ unità che è il
residuo non eliminabile di un’analisi corrosiva della moralità umana:
ecco un enigma che il criterio storico-evolutivo non riuscirà a decifrare
mai. Gli è che la presunzione della tabula rasa non è meno infondata
nella sociogenesi, di quello che lo sia nella ideologia : anzi nell’ una
è più insostenibile che nell’altra, perchè il dritto è una idea cosi
complessa che anche delle scuole filosòfiche, le quali, nella serie
regressiva dei fenomeni della conoscenza, pongono come termine primo la
esperienza, hanno sentito il bisogno di concepirne l’idea e la vocazione
come connaturata nell’ uomo, come un habitus della natura. L’ atto
giuridico e 1’ atto morale non nascerebbero mai, ove nella volontà dei
soggetti non vi fosse una cotal disposizione naturale al bene e al giusto,
la qual vocazione, a sua volta, difetterebbe ove non vi fosse un intuito
originario del bene e del giusto. Ignoti (chi noi sa?) nulla cupido. La
volontà non è, da per sè, una legge, come volle il RAZIONALISMO CRITICO di Kant,
ma nemmeno è indifferente a qualsiasi legge, come vorrebbe il plasticismo
degli evoluzionisti. Kon è autonoma di fronte alla Legge Suprema ed al
supremo legislatore, ma è tale di fronte al resto, à o’ dire che
nella volontà umana v’ è una vocazione primitiva verso quello che è buono e che
è giusto, vocazione indipendente dalle condizioni dell’esperienza e della
storia. Dicendo ciò, non si oltrepassano i limiti della lìlosolìa per entrare
nell’orbita della teologia (benché un rimprovero siffatto, ci affrettiamo
a dirlo, sarebbe per noi un titolo di onore). Principio conoscitivo del
bene e del giusto rimane, con tutto ciò, l’analisi della coscienza, come
principio ontologico dell’uno e dell’ altro, la NATURA UMANA. Noi siamo i veri
positivisti, noi, die ci reggiamo sul saldo sostegno della physis, ma della
pliysis non deformata dalle preoccupazioni materialistiche. Rifacendo la serie
regressiva delle cause, la filosofìa pone una causa prima che muove la
natura senza esserne mossa: intenta a discoprire V origine prima di tutte
le cose che sono nel tempo, la logica la costringe ad uscir fuori del
tempo. L’evoluzionismo può deridere questa logica, ma non rintuzzarla. L’
esclusione di un assolutamente prius è impossibile. E ad esso, dico al
positivismo, non rimane che o attestare, con tacito assenso, la presenza
del soprannaturale, ovvero rimaneggiare con ostentazione di novità e di
maturità quella povera teoria mitologica della spontaneità creatrice degli
uomini primitivi. Quell’ assolutamente prius, quel termine
primitivo delle esperienze, se non è una creazione del SOPRANNATURALE,
deve essere una generatio aequivoca della natura primitiva : una genialità
eroica, un salto mortale degli esseri sub-umani. Per. sfuggire alle
ritorte della logica, il criterio storico-evolutivo non ha altro
spediente che quello di adagiarsi in esse, di accettarle deliberatamente,
di sistemarle anzi: quello, cioè, di bandire addirittura il problema
delle origini, facendo sorgere la risoluzione di un problema insolubile
dalla disperazione professata di risolverlo. Questa esclusione del problema
delle origini, come di cosa inconcepibile in sé, è postulata dalla logica
del divenire. La continuità evolutiva dei fenomeni dell’ universo esclude,
per logica di cose, ogni nozione di principio o di fine. Questi due
termini estremi rappresentano il discontinuo, il vacuo, il salto per
eccellenza, onde sono fuori della evoluzione. L’ evoluzione è panteistica: è 1’
eternità trasferita da Dio al mondo: ora non va dimenticato che 1’
eternità esclude cosi l’origine come la fine. Gl’evoluzionisti odierni lian
poco compreso la portata del criterio evolutivo, perchè ad essi ha fatto
difetto quella penetrazione, metafisica che la fece comprendere cosi
egregiamente al Leibnitz: ond’ essi, pur professando la teoria dell’evoluzione,
seguono ciò non pertanto a cincischiare il problema delle origini! Ma ciò non
toglie che la loro dottrina si dibatta tra le strette di questo dilemma:
o accettare la logica dell’ evoluzione e quindi cessare di essere positivisti e
confessarsi per animali metafisici di una specie alquanto diversa dagli
avversari: o deviare da quella logica e fi) b as Princip dor
Continuitlit verbot in der Reihe der Erschein angeli alien Unsprung.
Kant. Kr. d. r. Vera. (Ed. di Ilarteustein). E lo aveva ben compreso il
v. Savigny.] zwisclien Gesclilechter und Zeitalter nur Entwickluug aber
nicht absolutes Ende uud absoluter Anfang gedacht werden kann. Vom Beruf
unsero/ Zeit u. s. w. Ili Aufl. cadere nelle contraddizioni di un primitivo che
è derivato o di un a posteriori che è primitivo. La ritorsione del
secondo corno del dilemma è stata analizzata parecchio fin Qui. Giova solo
aggiungere qualche- cosa su quella del primo. Ed anzitutto, che i
positivisti, accettando la logica del criterio evolutivo, diventino di punto in
hello metafisici non è chi noi vegga. L’ esperienza è limitata alla condizione
del tempo; l’evoluzione è, invece, fuori del tempo, è, ripeto, la
eternità trasferita dal mondo di là al mondo di qua e, nello stesso mondo di
qua, dalla sostanza ai fenomeni. Confessi, adunque, il positivismo che il
criterio storico-evolutivo è un criterio sovraem pirico; che esso non abolisce
la metafìsica ma ne fa una per suo conto; che non elimina il SOPRANNATURALE
ma converte invece ih naturale in soprannaturale. Confessi altresì, che, quando
promette di darci il nascimento ed il processo fenomenico delle
cose, esso mentisce sapendo di mentire. Il criterio dell’
esperienza e della storia, strettamente considerato, ci dà i termini disparati
e sconnessi e non il vincolo di quei termini, i fatti compiuti e non la
legge del loro divenire. Il continuo sfugge alla storia: essa non ci dà
che una moltitudine di vacui e di discreti, tra i quali la mente umana
riconosce un ordine che reca la impronta della metafisica che v’ è
in lei, ossia di quella somma di concetti che essa ha di già sulla natura
degli esseri soggetti al divenire storico. Ed ecco così che il realismo
giuridico, la filosofia del dritto genetica e fenomenologica vien meno del
tutto al suo programma : non solo l’essere dei fenomeni giuridici, ma e
il nascimento e il divenire di questi esseri esso ignora. Residuo positivo
della critica mossa alla filosofia è la scepsi pura nel campo del dritto;
una scepsi dogmatica più cbe quella filosofia e elie non soddisfa nò al
criterio filosofico, nè alla esperienza. li positivismo giuridico ed il
problema etico della filosofia del dritto — Il dritto NATURALE. Il
dritto non è soltanto una idea ed una sostanza, ma, altresì e
soprattutto, una norma. Esso è idea umana e, quindi, non è idea
quiescente, ma forza, nè solo anticipa l’essere, ma detta il dover
essere. È una idea imperativa per eccellenza ed, appunto perchè
tale, essa, ripeto, è forza: forza ideale e virtù morale, s’intende, e
non coercizione fisiologica o psicologica. La filosofia che attingeva
lume da questi sovrani criteri riconosceva, in correlazione al dritto
positivo, un dritto ideale: questo era per lei una legge e quello
un fatto; un fatto che desume il suo valore dal rapporto che ha a quella
legge, dall’essere esso una forma di attuazione, d’ individuazione di
quella legge. Questo fatto poteva adequare, se non in tutto, in
buona parte quella legge, ma non l’adequava necessariamente: ed, in tutti i casi,
il suo valore era misurato dal limite di approssimazione al dettato di
quella legge. Astraendo il dritto positivo da quel parziale
contenuto ideale che vi sta dentro, da quello die fa sì die esso sia non solo
positivo ma dritto^ di quel diritto positivo non rimane, per la fìlosoiìa
r die il fatto bruto, indifferente, sfornito di significazione. Così per
la filosofia seguiva un doppio processo: il dritto naturale conduceva al dritto
positivopel bisogno della sua effettuazione empirica ed il dritto
'positivo rimenava al dritto NATURALE pel bisogno di un titulus jitris e di un
sostrato razionale. L’un termine non era 1’ altro, ma aveva rapporto
air altro. Erano due correlata, non due contrari. Perchè non erano
tutt’ uno, legittima era la ragion d’ essere dell’ uno e dell’altro ad un
tempo, e, perchè erano tutt’ uno in qualche cosa, in qualche rispetto, Fano dei
dite non negava, non contraddiceva assolutamente l’altro. L’ideale non
era del tutto inaccessibile al reale e, perciò stesso, intrinsecamente
difettivo ed erroneo: il reale non era del tutto contrario all’ ideale e,
quindi, assolutamente ingiusto e condannevole. Questo rapporto che era
concepito tra i due termini faceva sì che Puno conferisse all’
autorevolezza dell’altro. Il dritto positivo attingeva la sua virtù
imperativa dal dritto naturale, ossia dall’esserne esso una varietà
fenomenica,, ed il dritto NATURALE desumeva da quello la possibilità di
trasferirsi, d’individuarsi nei limiti del relativo e del condizionato, nella
storia. Così la filosofìa era tanto più vicina alla dialettica sapiente
della vita, quanto più era lontana dalla dialettica fantasiosa della
logica; e come, nell’ ordine delle idee r essa segnava la via di mezzo
tra Pottimisino ed il pessimismo, così, nell’ordine dei fatti, tra l’umore
conservativo e l’umore rivoluzionario. Il positivismo si atteggia anche
qui, anzi soprattutto qui, ad avversario reciso della filosofia. Come
nell’ ordine teoretico esso predica l’esclusione sistematica dell’ a
priori e l’ apoteosi dell’ esperienza ut sic, così nell’ ordine pratico
esso dogmatizza l’esclusione della norma doverosa e 1’ apoteosi del fatto.
Ed è giusto. L’ esperienza gl’ insegna l’ essere o l’essere stato,
non il dover essere: la storia non gli dà che fatti o, tutt’al più, che
leggi empiriche di fatti. L’evoluzione gli fornisce una legge di
causalità naturale che è la negazione recisa della legge morale: nessuno
dei criteri, ai quali esso fa ricorso, gli suggerisce la nozione del
dovere. Tuttavia, poiché la necessità morale è un rapporto che è più facile
escludere tacitamente, per esigenza di sistema, che negare di professo, e
poiché il positivismo moderno é abbastanza raffinato per lu singarsi
di fare a meno dei rapporti ideali della metafisica (benché noi sia quanto é
necessario per persuadersi della loro verità), esso si tiene ben lungi dal
rassegnarsi al puro fatto del dritto positivo ; bensì non resiste
alla tentazione di interpetrare questo fatto in funzione di una legge che
gli conferisca a priori valore ideale ed assoluto. È dritto quello che é
imposto dai poteri coattivi ed é dritto in quanto e perchè è imposto ; ma,
quest’ autorevolezza giuridica, se coincide col fatto stesso del comando,
non coincide tuttavia col fatto del comando attuale, ed è conseguenza o
espressione di una virtù presupposta nel fatto del comando abituale, del
comando in quanto comando. Il principio — EST IVS QVIA IVSSVM ed è la formula del positivismo e noi f
abbiamo veduta assentita implicitamente e per ragion di contrasto dal v.
Jheriug e dal Daliu, professata espressamente dal Lasson e dal v. Kirchmann,
idealeggi ata, in omaggio allo psichismo, dal Bierling. Quella
forinola, per quanto positiva, implica un sottinteso razionale. Ed il
sottinteso è il seguente : il fatto del comando è la sorgente appunto del
dritto: o altrimenti: l’essenza del dritto consiste nel comando. Il
positivismo lia, pertanto, anch’esso la spa massima: l’attitudine che esso
assume di fronte al fatto non è puramente passiva, o, se è tale, lo è o
si avvisa di esserlo coscientemente e razionalmente. Non v’è bisogno di
analisi minute per vedere quale e quanta conferma indiretta, (conferma
formale, s’intende) rechi questa massima del positivismo alla metafìsica
del dritto naturale. Il compito razionale del dritto naturale non è
propriamente escluso, ma applicato ed atteggiato in modo diverso che
prima; è una materia, nuova che si contrappone al contenuto antico di
quel dritto, non una nuova forma. La filosofìa aveva per criterio
conoscitivo del dritto NATURALE la ragione indagatrice dei tini dell’ universo
e della natura morale dell’ uomo: il positivismo ha per suo criterio
l’esperienza immediata dei precetti del potere positivo. La filosofìa aveva per
principio ontologico del dritto l’ordine morale della stessa natura
dell’uomo e degli stessi fini delle cose : il positivismo, invece, il
fatto stesso della coercizione potestativa, in quanto tale : nell’ una
come nell’ altro, le disposizioni positive sono un fatto che in tanto ha valore
in quanto gliel conferisce il rapporto vero o presunto di conformità di
detto fatto ad una data legge o ad una data massima. Varia solo il contenuto
della massima e della legge, che nella filosofìa è sintetico, dovechè
nel positivismo è analitico : perchè nell? una è attinto altronde e nell’
altro è spremuto dal fatto stesso delle disposizioni positive o, che è lo
stesso, pre-implicato, con dialettica a priori, nel fondo di esso fatto. E
che la massima del positivismo si traduca in un’ analisi vuota, in una
petizione di principio, non v’ è dubbio alcuno. La forza coattiva del
comando è criterio del dritto, solo perchè il dritto si è preconcepito
come forza e forza fisiologica; solo perchè la nozione di una potenza
spirituale del dritto in quanto dritto, ossia in quanto norma di ragione,
si è anticipatamente esclusa, come nozione che trascende l’esperienza, solo
perchè si è posto o postulato, anzi tempo, il principio che la forza, che
noi intendiamo morale, degl’ imperativi giuridici non si differenzia
dall’ attuazione materiale e dal successo di fatto; solo perchè si
è stabilito antecedentemente che la condotta dell’uomo non può essere
determinata che dai motivi empirici e psicologici della sanzione positiva
; solo perchè si è presupposto che il dritto non è una idea, ma un fatto
e che l’assenza dell’attuazione del dritto è sempre ed in tutti i casi
assenza del contenuto e della virtù imperativa del dritto stesso.
Ed invero, se la coincidenza della forza, etica con la forza fisica, del
dritto col fatto, non fosse un presupposto, onde e come il positivista si
farebbe a provarla ? Con l’esperienza ? Ma l’esperienza gli consegna il
fatto semplice e nudo, la nuda e semplice forza fìsica ; se e fino a che
punto 1 uno e l’altra sieno dritto o forza morale, 1’ esperienza non lo
dice e non lo può dire, perchè ignora che è dritto e che è forza morale.
]STè lo suffraga la storia, la quale può provare concludentemente la presenza o
meno dell’attuazione di fatto del dritto, non la presenza o meno deila
necessità di tale attuazione. Il positivismo deve, per necessita di cose,
far capo alla speculazione, per dimostrare il suo assunto; se non
che, è appunto la speculazione che ne denunzia l’illegittimità, perchè,
se il dritto positivo ed il dritto NATURALE sono termini semplicemente
correlativi, il fatto ed il dritto, la forza bruta e la forza morale sono
termini addirittura contradditori, tra i quali non vi è presunzione
di coincidenza o di accordo che tenga. Portando poi la questione in altro
campo, è bene por mente che, per tacciare di sterilità la idea ed
il dritto e per predicare come sola forza viva delle cose il potere
coattivo e materiale (ed il convincimento radicato di quella sterilità è il motivo
psicologico che persuade al positivismo il culto del potere coattivo) occorre
aver dimenticato, o non aver conosciuto e compreso giammai, quanto la forza
spirituale di talune idee universali, di alcune esigenze morali, di alcuni
canoni giuridici sia stata superiore, nel corso della storia, alla forza
materiale dei poteri dominanti e quanti trionfi sulla tenacità di
resistenza dei tatti abbia ri portato tuttora la forza ideale del dritto.
Le quali conferme di fatto la filosofia le accetta e le oppone sorte di agli avversari, senza,
per altro, vincolare alla esse la sua, perchè (è bene ripeterlo) la forza
ideale, la virtù imperativa del dritto è, per essa, indipendente dal successo
di fatto o dall* osservanza <ìgì soggetti. Il (lovorG g dovere, clie
lo si adoni pia « no; e la violazione è un mero fatto che opera si
elie 1’ idea non divenga un fatto, ma non sì che l’ idea cessi di
essere idea. Doveehè il positivismo da questa confusione tra idea e fatto
prende le mosse e questa confusione solleva a sistema. Suo assunto è
il seguente: 1’ idea non è idea perchè non è un fatto: o
altrimenti: l’ idea non esiste in quanto idea, perchè non esiste in
quanto fatto. Il qual paradosso non può essere legittimato che da un
sottinteso non meno paradossale: l’idea non esiste come idea, se non in
quanto non è più idea. Se, adunque, il secreto tentativo di conferire a
priori alla nuda forza materiale valore e contenuto ideale cade
nell’ insuccesso, vien meno altresì quel1’ apparenza di legittimità, onde il
positivismo si face bello. La logica delle cose rimuove quella pretesa
dialettica del dritto con la forza, denudando quest’ ultima di quell’
involucro spirituale nel quale si veniva dissimulando. Ed allora ai
positivisti si pone un dilemma dal quale non vi è via di uscita: o
riconoscere la legittimità della nozione del dovere e, quindi, rientrare
nei termini della filosofìa del dritto naturale, o professare apertamente
l’immoralismo della forza. Perchè tra l’una cosa e 1’ altra [ Ist clas Recht
nur Recht, uutorschieden von Willkiihr mici Gewa.lt, wenn and soweit es
eine dea Willen vcrjìjlichtcnde Kraft in sich triigt, so Htellt
sichjeder; der von Recht spricht nnd Weiss was er sagt, auf dem ethischcn
Stand]) nuli, aut doni Boden des Scimollenden. Alle naturalistischen nnd
miterialistificlien Doctrinen kdiìnen daher nur durch Iuconsequenz, dureli
Urklarheit und Confusion oder durch sophistische Rrsclileichun-,
gen vor der Identifìcirung von Recht und Gewalt siedi scliiitze n —
Vìvici — Natur recht non v’è via di mezzo che tenga; il contrapposto tra
la physis ed il nomos, tra la necessità fìsica e la necessità
morale, è irriducibile: chi non voglia assentire alla logica della seconda non
può, ov’egl’abbia mediocremente a cuore la coerenza filosòfica,
rinunziare alla logica della prima. E, quando si confessi apertamente che
il titolo che fonda la legittimità esclusiva del diritto storico e positivo è
laforza materiale dei poteri governanti, allora noi non avremo più
alcunché da opporre e ci terremo paghi di darci per vinti. Il problema,
allora, non è più da dibattere, nè da risolvere, perchè difetta quel
consentimento in un prius della ricerca, che pure è necessario per
sostenere una polemica qualsiasi. Il positivismo potrà, a buon dritto,
millantare il privilegio che godono tutte le forme di scepsi assoluta, tutti i
sistemi negativi, tutte le demolizioni dottrinali della verità e
della natura: il privilegio di esser fuori della critica, perchè si è fuori della
coscienza umana. Se non che, di questa logica di sistema non tutti sono
accorti; ne sono, anzi, ignari pressoché tutti. Ed è forse questa
ignoranza il motivo della loro tenacità. Essi usurpano, senza volerlo
deliberatamente, le esigenze ed anche un po’ le soluzioni del dritto
naturale, lieti che una materia presa d’altronde risparmi ad essi la
fatica ed il dolore di saggiare a londo la insostenibilità del loro
assunto originario. Del resto questa apoteosi del dritto di fatto e della
forza non è il sèguito di un proposito meditato e rigorosamente positivo, ma di
una esigenza tutta/ negativa che domina i nostri positivisti. La
esclusività che essi appongono al dritto positivo, è la conseguenza della
esclusione clic essi Inni fatto dianzi di alcune forme storiche del dritto
naturale; forme storiche che essi hanno scambiato sul serio con la
sostanza stessa del dritto NATURALE, in orna irgio a quel vecchio espediente
solistico di fare un fascio della scienza e degli scienziati, della
idea e delle applicazioni, dell’uso e dell’ abuso, della realtà oggettiva
e della percezione soggettiva. E di sistemi o di concepimenti individuali
o collettivi di dritto naturale ve ne ha parecchi e di diversa
natura; onde la impresa d’ insinuare i propri criteri positivisti
tra una critica e l’altra di questo o quel sistema sbagliato di dritto
naturale sembra larga prò metti tri ce di successi. Se non che, alla
prima analisi cui si sottoponga (e parlo di un’ analisi elementarissima e
superficiale) quel termine polisenso che è il diritto NATURALE, i successi
del positivismo, come di ogni cosa che poggia sovra un equivoco, si
dissipano d’un tratto.V’ha anzitutto una forma di dritto NATURALE, la quale,
benché prenda le mosse dallo schematismo universale della NATURA UMANA e
dalla premessa dello STATO DI NATURA, ha tuttavia carattere e tendenze
originariamente empiriche e si presenta non già come una dottrina
creativa di dritti o di esigenze morali in contrapposto al dritto positivo, ma
piuttosto come una semplice astrazione ed elaborazione concettuale del
dritto storico vigente. V’ ha, indi, una [Ciò è messo discretamente in luce da
Bergòohm risprudenz u Rechtsphilosophie. Ju-] altra forma di
dritto NATURALE, quella ohe, per abusata terminologia si chiama diritto NATURALE
(NATURRECHT) per antonomasia, ed è il diritto NATURALE dell’AuJhUirung e DELLA
RAGIONE, di cui è conosciuta la storia assai più, forse, che il carattere
e l’indole vera, che è razionalista nel metodo, subiettivi sta nei criteri,
anti-storico nelle esigenze, umanitario nel contenuto; che e la scuola in cui
il diritto nou è pi 11 astrazione o generalizzazione dell’esperienza
storica, ma un lofjo della ragione creativa, e nel quale lo STATO
DI NATURA è (almeno in quanto ha di meglio) meno una premessa di fatto storico,
che un mito (H. P. GRICE), una ipotesi razionale postulata a legittimare una
data serie di obbligazioni giuridiche o la possibilità stessa di
una obbligazione giuridica: che ha nel suo attivo e nel suo
passivo, ad un tempo, la dottrina (atteggiata in modo particolare) dei dritti
dell’uomo e la grande rivoluzione. V’ha, poi, il dritto NATURALE
della filosofia perenne; che non è forma ma sostanza delle forme; che è
anteriore, per ordine di tempo, così al NATUR-RECHT empirico come al NATUR-RECHT
RAZIONALISTICO e che non è nè l’uno nè l’altro, benché l’uno e l’altro nella
lor parte migliore si approssimino ad esso; che emerge dalle profondità
della coscienza umana iu qualsiasi luogo ed in qualsiasi tempo e
che la cultura romana antica (CICERONE) specula non meno che la cultura
moderna; che non è patrimonio di questa o quella filosofìa personale, ma della
tradizione storica ed impersonale della filosofia; che non è
contrario sistematicamente al criterio storico, ma non lo è nemmeno al criterio
speculativo; che rifiuta la ragione, come virtù creativa delle cose, ma
la tieu salda come potenza conoscitiva dei rapporti ideali e delle norme
mperative; che supera il subiettivismo assoluto dell’AujMarung, ma non
ne trae argomento a rinnegare le esigenze oggettive della coscienza umana
come tale ; che è illuminato da una concezione teleologica dell’universo e della
vita, ma non profana per questo il suo finalismo nelle aberrazioni del
panteismo ottimista e del pietismo storico; che si rappresenta i dritti
dell’uomo circoscritti dalla funzione correspettiva del dovere, ma non
sconosce la sostanza ed il valore imperativo dei dritti attinenti all’uomo come
tale, anzi questi diritti rivendica tuttora e consacra. Ora è *questo*
dritto NATURALE che, in nome della filosofia, si oppone oggi al
positivismo, perchè è esso che segna il sostrato permanente delle forme
storiche particolari; e questo dritto NATURALE è così lungi dall’ essere
posto a mal partito dalla critica che i positivisti oppongono a questa o
a quella forma onde questo o quel filosofo, ovvero questa o quella
scuola di filosofi lo ha concepito: che anzi taluna di quelle
critiche se la potrebbe appropriare esso stesso, senza infirmare per
questo il suo contenuto sostanziale. E dico a bella posta: taluna: perchè
parecchie, la maggior parte, di quelle critiche, sono del tutto
infondate. Quelle, in specie, che si dirigono al dritto naturale razionalisti
co, ossia al dritto NATURALE, sono sì arbitrarie e, ad un tempo, sì pretensiose
che si rende urgente il bisogno di rintuzzarle in nome della sana e serena
filosofìa. Di già quel dritto naturale non ha avuto ancora, nella lotta
delle dottrine, quella piena giustizia, della quale i torti innegabili,
ina pur sempre largamente compensati non gli scemano la legittima aspettazione.
Dagl’avversari, che lo fraintendono o lo giudicano con criteri
unilaterali, agl’amici (cito tra questi Spencer del The nxan versus thè stette
e della Jnstice) che ne appropriano quello che esso ha di men buono, è
tutta una gara ad abbuiarlo, a rimpicciolirlo, a deformarlo: alla quale
non poca parte confermai suoi tempi, lo Stalli, per aver voluto, in omaggio
alla sua dialettica possente, predicare della sostanza del dritto
naturale le note e le categorie applicabili al solo panlogismo hegeliano,
che si traduce, a sua volta, in un sistema intrinsecamente realista e
positivista. È di moda, ad es., tacciarlo di astrazione concettuale, abusando
del doppio senso della parola astrazione, e non si pensa che esso
rappresenta precisamente il contrapposto di ogni astrazione concettuale della
realtà empirica, differenziandosi, appunto per questo, da quel dritto naturale
che immediatamente lo precede. L’ astrazione non è punto un
procedimento trascendentale e sovra-empirico, come si crede comunemente: essa
è, anzi, una delle tappe del processo induttivo. L’astrazione è,
propriamente, un processo di semplificazione logica dei dati empirici,
non un criterio conoscitivo che trascenda i dati stessi. Assumere la
parola Parrebbe averlo egli stesso confessato, là dove (Geschichte der
Rechtsphilosophie) illustra lo aspetto empirico del natur-recht dichiarando
apertamente che solo con 1 Hegel può dirsi “der ununterbrochene Faden
logischer Forderung durchgefuhrt. Aastrazione nel senso di una intuizione
sovra-empirica è assurdo. Bisogna aver dimenticato così l’etimologia del
vocabolo, abstrahere, come fi analisi del processo conoscitivo. L astrazione è
la via traverso la quale si perviene all’universale logico: il quale universale
logico è l’unico sforzo cogitativo che si possa consentire l’induttivismo
e l’empirismo Se, adunque, astrazione non significa che questo, non è arduo
vedere quanto arbitraria sia la censura mossa al diritto NATURALE.
La ragione del NATURRECHT è così poco ragione astratta da una serie di concreti
preconosciuti, che anzi essa è una creazione, una conoscenza ex novo ed
intuitiva. Il diritto NATURALE è, nel fondo, ont elogistico: ond’esso ha
per suo criterio l’intuito creativo della ragione, anziché l’esperienza
del reale, fi analisi, la riflessione, l’astrazione. Il genus proximum
dell’ uomo, ossia del soggetto dei dritti connaturati, è, ivi, meno un
residuo dell’astrazione dalle differenze specifiche, ossia dalle varietà
contiagibili e storiche, che una speculazione a priori e so vraem pirica
delfi università reale della natura umana. E dico che è tale nella sua
esigenza e nel suo interesse filosofico, senza punto giudicare se
quella esigenza o quell’ interesse siano stati sempre e coerentemente
soddisfatti. Ed è appunto dall’essere fi intuizione, l’Anschauung, il suo
processo ed il suo criterio, che segue la sua virtualità, sarei per
dire la sua impulsività etica. L’ astrazione è puramente logica; è
negazione esplicita della vita, della forza, delfi attività, delfi ethos.
Carattere del dritto NATURALE è, invece, la sua potenza attiva, la sua
forza suggestiva di riforme e creativa di rivolgimenti: suo prodotto immediato
è quella obsessione spirituale che investi l’umanita, tiascinandola in
quel salto dal pensiero all’azione, dalFideale al reale, dalla
natura alla storia, vero salto nel buio, che fu la rivoluzione. V’ lia
bensì l’astrazione concettuale anche nel dritto naturale: ma questa
astrazione, anziché essere il prodotto d’ una esigenza sovra-empirica come si
crede dai piu, è più presto la conseguenza naturale di quella iuiìltrazioue
empirica che vi si venne formando, allorché i suoi cultori, non contenti
di aver annunziato una serie di principi e di averli speculati a priori,
il che, metodicamente parlando, era perfettamente giusto, vollero fare un
passo più oltre e costruire, per via di un'analisi concettuale di
quei principi, la serie degli atteggiamenti concreti della vita giuridica. Per
una simile costruzione logica miglior presidio non si offeriva ad
essi che 1’ astrazione, ossia la semplificazione logica dei
concreti ottenuti dall’ esperienza. L’intuizione non poteva servire alla
bisogna, perche è propriodell’intuizione cogliere i rapporti ideali e 1’ universale
delle cose o, più brevemente, le idee, non i concreti od i fenomeni.
Essi, adunque, travagliati da una esigenza empirica, fecero capo
all’astrazione; e dal mondo reale e dalle condizioni sociali ed
economico-politiche del tempo loro astrassero tutto un contenuto storico e
particolare, il qual contenuto essi hanno predicato dell’ umanità
intiera, jiervertendo,. così, in universale logico, l’universale reale e,
nella indifferenza dialettica, 1’ unità della natura umana. E qui
che la critica dello Stali! e degli altri acerbi rampognatoli coglie, senza
dubbio, nel segno, ina non già perchè il dritto naturale sia caduto nelle
speculazioni a priori della ragione, bensì perchè esso è caduto nel
circuito dell’analisi e dell’empirismo, o, se l’astrazione si voglia
assumere, per un momento, nel senso che le conferiscono i nostri avversari,
non perchè essi abbiano astratto troppo, ma perchè anzi hanno
astratto troppo poco. La natura traccia le linee fondamentali. I dettagli
dell’ esecuzione li lascia alla stòria ed alla volontà positiva. Il vero
dritto NATURALE ci dà una serie di criteri o di principi del dritto, i
quali sono, bensì, un dritto, ma un dritto ideale e potenziale. Essi,
quei criteri o quei principi, sono un prerequisito del dritto fenomenico,
ma non sono ancora, propriamente parlando, un dritto fenomenico bello e
dato; il qual dritto è la risultante complessa di condizioni empiriche,
nelle quali quei principi e quei criteri s’individuano ma non si
consumano. Questo principio è eflicacemente illustrato, uon senza per
altro un po’ di formalismo, da Feuerbach, Das Reclitsgesetz, obgleìch
durch sich selbst aUc/emcinf/ultig. kanu dennoch als blosses Vernini
ftgesetz nicht allgemeingeltend werden. Soli es wirklioh herrsclien, so muss
dieses Reehtsgesetz aus dem Reicke des Vernunft in das Reich der Erfahrung,
aus der intelligiblen Welfc in die Welt der Sinne hiniibergetrageu werdeu.
In dem Gesetze des Reehts erkenne idi nodi nicht dio Reclite selbst, in
ihm habe ich nur das Princip und das Criterium ihrer Erkenntniss; dio
Frage ; worin besteht das rechtliche uberhaupt; nicht aber die Frage: was
Rechtens sei uuter diesel oder jener Bedingung, in diesem odor jenem
Vorhiiltnisse. Ueber Philosophie und Empirie in ihrem Verliiiltnisse zur
positiven Rechtsvnssenschaft=Landshut. L’ esigenza empirica che deforma il
dritto NATURALE sta appunto in questo, nel serbarsi infedele al suo
assunto, nel sottoporre quello che dovrebbe essere una speculazione del dritto
naturale a quella serie di condizioni alle quali è sottoposta la conoscenza
del dritto fenomenico, nel trasferire alla nozione di quello le note che sono
pertinenti alla nozione di questo; di guisa che essi muovano come da un
sottinteso: il presunto dritto naturale va trattato alla stregua del dritto
fenomenico. Ad essi è mancata quella potenza o, forse meglio, quella
tenacità di tensione intellettiva che era necessaria per comprendere che il
dritto naturale deve anzi tutto rimanere dritto naturale, e che il
giudizio sulla esistenza di esso non deve essere sottoposto al regolo o
al criterio moderatore dei giudizi sull’esistenza del dritto positivo. Anche
qui, adunque, essi sono in colpa non già per aver voluto far troppo di
dritto NATURALE, ma per averne fatto troppo poco; e chi ha meno
dritto di rampognarli di ciò è il positivista. Ai principi del dritto NATURALE
si potrebbe, a buon dritto, torcere quel rimprovero che fa il LIZIO alle
idee di dell’ACCADEMIA: essi, quei principi, sono ipostasi intellettive
delle realità fenomeniche individuali. Di qui 1’ aspetto malsano del dritto
naturale : la realtà della storia contorta in un falso schematismo
logico: quello che sarebbe dovuto essere storico relativo provvisorio,
rifuso in una forma logica universale e rappresentato come eterno, assoluto,
immutabile: la storia, insomma, negata come storia e riaffermata come
speculazione logica. Così, quel subiettivismo, che era la realtà di fatto del
tempo dell’ AujUiirung si predica come natura dell’ uomo in tutti i
tempi. Alla proprietà ed al contratto si conferisce quel contenuto
rigidamente individualistico che corrisponde alle mire secrete del
sistema economico che si veniva affermando in quell’ ambiente storico, del
sistema capitalista. La nozione dei dritti connaturati alterata e
deformata dalla miscela inconsulta di elementi positivi e di pretensioni
e di attribuzioni acquisite. Gli si appone a colpa, altresì, la
nozione dello stato di natura. Ma, se lo assumere uno stato primitivo
della umanità governato da una legge spontanea di natura e non da una legge
o da un sistema di leggi umane positive, se, dico, assumere questo stato
di natura a rigore di fatto storico può essere ed è un abuso della
mitologia, assumerlo, invece, come una ipotesi lìlosohca, è, fuori
dubbio, un processo rigorosamente scientifico e fors’ anco metodicamente
necessario. Ogni pensatore che voglia differenziare mediocremente
il contenuto della vita sociale, che voglia sceverare quello che è
permanente da quello che è transitorio, il substratum dai fenomeni, che
voglia discernere nettamente quello che in una data associazione di
persone va attribuito alla natura originaria di ciascuno dei membri da quello
che vi si è venuto soprapponendo per la reciprocità d’ influsso dei
membri tra* loro e per tutto il tessuto dell’ azione sociale, ogni pensatore,
dico, che voglia fare tutto questo, deve porre lo stato di natura e
contrapporgli [Cfr. il nostro saggio ‘La
terra nell’ odierna economia capitalistica’ (Roma) lo stato sociale sopra
v vegnente, deve distinguere limpidamente l’uomo della natura dall’uomo della
storia. È superfluo qui ricordare Spencer, il quale a questa
astrazione dell’ uomo della natura dall’ uomo della storia (che per lui,
naturalista reciso, si converte in un’astrazione dell’ unità biologica dall’unità
sociale) ha reso omaggio non solo nelle opere ultime nelle quali
egli restaura di professo il dritto NATURALE, ma anche nelle opere anteriori,
le quali segnano il climax del suo pensiero filosòfico. Il convincimento,
anzi, della legittimità di una contrapposizione dell’unità biologica alla
unità storica, o, che per noi è lo stesso, della legittimità di una
ipotesi dello stato di natura, è, forse, l’anello di congiunzione del suo
novissimo dritto naturale con la sua sociologia ed in genere con
tutta la sua filosofia sintetica, 1’ addentellato dell’ uno nell’ altra.
Ricordo, poi, un illustre positivista, come Kirchmann, il quale ha
esplicitamente riconosciuto la necessità che le scienze morali, prive
come sono del sussidio dell’esperimento, invochino 1’ ausilio di ipotesi
scientifiche per sopperire a quel difetto, e, tra queste ipotesi,
rivendica, di proposito deliberato, quella dello STATO DI NATURA). Non [Es ist
die Wissenschaft der Sittlichen genothigt, nicht bloss aut die
sifctlichen Zustande der rohen und attesten Volker mit besouderer
Sorgfalt einzngehen, sondern sie muss noch hinter die àltesten
gesehiclitliclien Zustande zuriiekgehen und durcli Hypothesen die
einfachsten Zustande zu ermitteln suchen. Diese Hypothesen kdnuen in ein phautastisches und fur
die Wissenschaft nutzloses Spiel ausarten. Allein mit Vorsicht
geiibt, ersetzen sie das Hulfsmittel der Experimente in der
Naturwissenschatt und sind nicht zu entbehren. Daher erklart es 8ich, das8 8chon LIZIO und
spdter die Begriinder des Natur. ] L’uso di questa ipotesi va, adunque,
rimproverato al dritto naturale, ma l’abuso : ossia non la ipotesi
come ipotesi, ma la maniera particolare onde la si atteggia. Quanto
poi all’altra nozione del contratto sociale, che è quella che più si rimprovera
al dritto NATURALE (e, tenuto conto delle conseguenze logiche di essa, a
buon dritto) va notato che nei più grandi cultori di quel dritto (cito ad es.
il Kant) il contratto sociale non è già un fatto storico, ma una ipotesi RAZIONALE
evocata a legittimare l’ordine giuridico dei rapporti umani, anziché a
scuoterlo e corroderlo. La teoria del contratto sociale è la risultante
di due fattori : del sottinteso o presupposto contrattuale, secondo il
quale unica fonte legittima di obbligazione autorevole è il consenso
dello stesso obbligato; e della esigenza, che animava i cultori del dritto NATURALE,
a legittimare il vincolo o la serie dei vincoli sociali, anche quelli che
non lasciavano trapelare o supporre la presenza di un consenso
preesistente. Il CONTRATTO sociale è quel di là dell’esperienza attuale,
quell’ assolutamente prius della storia, che sopperisce al difetto del
consenso attuale, con l’allegare una specie di consenso abituale, una
Anerkenmmg, direbbe il Bierling, una mas- [rechts nùt TJrzmtanden des Memchen
beginnen, welche uber die Geschichte hinausreicheii. Der oft dagegen erhobene
Tadel trifffc nicht das Verfahren an sich, sondern nur den damit
getriebenen Missbrauch. Es karrn desshalb auch hier dieses Mittel nicht
uiibeimtzt bleiben: aber die Vorsieht gebietet, es auf das Nothwendige
und Gewissere zu beschriinken. Grimdbegrifte
sima dell’assenso. Il contratto sociale esprime quindi la
dialettica che il pensiero dei cultori del dritto naturale ebbe tentato
tra la premessa logica del contrattualismo e le esigenze della
conservazione sociale, tra la invincolabilità assoluta della libertà
naturale, postulata come principio, ed il complessodei vincoli sociali,
riconosciuti come fatto. Il che si deve al fatto, riconosciuto dallo
stesso Stalli, che essi, se per la logica, sarei per dire per la
consequenziarità, del loro principio erano, o meglio avrebbero
dovuto essere, rivoluzionari, nel fondo del loro pensiero e della
tendenza loro erano, invece, conservatori: senza dubbio degl’ingenui
conservatori. Ohe se si voglia porre a carico loro appunto il non aver
compreso che il vero STATO NATURALE dell’ uomo è lo STATO SOCIALE, che non v’
ha bisogno di una ipotesi razionale quale che sia per legittimare vincoli
sociali i quali si legittimano da sè, che si pensi, almeno, che il torto
innegabile [Das NATURRECHT ist nachgiebig, wo es die Wirklichkeit gegen sich
hat, es liisst sich jeden Zustand gefallen und sucht ihu dnrcli
IJnterlegung einer stillschweigenden Einwilligung zu rechtfertigen, uni sein
theoretisches Interesse zu befriedigcn : die Revolution, dagegen, will die
Macht der Wirklichkeit brechen, sie vernichtet jede Einrichtung, die uicht
aus ihreu reineu Vernunftbegriifen folgt. Ienes erdichtet fiir jede
Verfassung, die Mensehen liiitten sie gewollt, darait es sich als frei
denken kdnne, diese duldet keine Verfassung, die sie niclit gewollt,
dainit sie wirklich frei seyen. — Gesch. d. R. phil. Quest’ antitesi del
dritto naturale alla rivoluzione è licondotta dallo Stalli ad una causa
diversa che da noi. Ma ciò non conta: importa che quell’ antitesi sia
stata riconosciuto da quel profondo intelletto.] del dritto naturale va dovuto,
in buona parte, alla difficoltà di discernere i vincoli sociali, che sono
davvero conformi alle leggi della natura umana, da quegli altri
vincoli clic non sono tali. L’errore loro, sarei per dire, è, in parte,
un errore delle cose. Niente più naturale all’ uomo dello stato sociale e
pure niente, ad un tempo, più violento di esso (antitesi questa che deve
essere stata colta da MANZONI, non ricordo più in qual punto delle
sue opere): perchè lo stato sociale, accanto ad una serie di
obbligazioni perfettamente legittime, perchè perfettamente naturali, reca
pure con sè (è il suo lato debole come di ogui cosa di questo mondo) un
cumulo di coercizioni arbitrarie, giacobine, irrazionali che la natura
convellono, incatenano, deformano. Che meraviglia, dopo ciò, che il dritto
naturale abbia colto questo secondo aspetto delle cose soltanto e niun
conto abbia tenuto del primo, di guisa che si sia reputato in dovere di legittimare
quello che non sembrava legittimo a prima giunta e di costruire con
la volontà quello che non forniva la natura °ì Nei fenomeni di questo nostro
mondo, che non adempie in sè la perfezione e l’ideale, ma della
perfezione del di là è soltanto un baleno, v’è tante e così aspre
antitesi! ed è così facile invertire un solo dei termini dell’antitesi
nella realtà tutta intiera! Il dritto NATURALE può avere molti
torti, ma questi sono compensati ad usura dal molto di buono che vi è
dentro: da quella nozione di un dritto indipendente dalla sanzione positiva e
superiore ad essa, che si attiene all’uomo in quanto uomo, che è
patrimonio ind6Ì6bil6 della sna natura, quello appunto die costituisce il suo
essere di uomo, la sua umanità. E l’umanità-, ecco l’aspetto sano del diritto
naturale; che in esso è, fórse un universale logico e formale, una
formula del razionalismo dell’Aujklàrung, ma (die si deve ad esso se sia potuto
divenire nella mente dei contemporanei e dei posteri un universale reale.
Prima che esso ravvivasse il culto della personalità individuale, si
vedeva questo o quelV uomo, in questo o quel ceto, in questa o
quella condizione economica e sociale: grazie ad esso si vide Tuo
ino. Esagerò il suo assunto e cadde nello individualismo: ma 1’ umanità
gli deve saper grado di questo individualismo, se da esso ha potuto sprigionarsi,
con un processo di auto-correzione, la sana individualità, ossia la
dignità umana. In questo il dritto naturale razionalistico si confonde
col dritto naturale assoluto della filosofia tradizionale; ed è la
espressione di quel dritto che ogni uomo possiede come la parte più
sacra di se stesso, che l’uomo sente pria di conoscere ed aspira nell’atto
stesso di conoscerlo, che non si sa se sia più un sentimento od un
intuito, una idea od una volizione. Il dritto naturale rientra, allora,
nei termini della dottrina cristiana, perchè il dritto dell’uomo è
l’espressione della preziosità inestimabile dell’ umana persona redenta
da Cristo; e, come tale, è inoppugnabile, e rimane tale senza fallo, finche non
declini la coscienza morale dell’ umanità. ^è io saprei per qual modo il
positivismo, il quale si è travagliato e si travaglia nella critica del
dritto naturale, possa col labile sostegno dei suoi angusti criteri
oppugnarlo davvero. Un sistema die predica V esperienza, come criterio
scientifico esclusivo, non lia altro argomento da opporci clic Questo: il
vostro preteso dritto naturale 1’ esperienza non ce lo attesta; nessuno
ci lia fatto toccar con mano la sua esistenza nel passato, o nel
presente; si può metter pegno che nessuno ce ne farà toccar con
mano V esistenza nel futuro: il vostro dritto NATURALE, adunque, non
esiste. Orbene questo argomento è cosi innocuo che esso non tocca nemmeno
il dritto NATURALE, nè i suoi cultori. I quali potranno ben rispondervi:
sapevamcelo ! ma il nostro dritto NATURALE è quello che è, appunto perchè noìi
è fenomenico, ossia oggetto di esperienza. Koi siamo si poco scossi dal
vostro raziocinio che lo abbiamo prevenuto: il dritto NATURALE è, per
noi, una idea e non necessariamente un fatto, un dover essere e non
un essere, una necessità morale e non una cosa empiricamente esistente.
Ohe il dritto naturale sia esistito o meno nelle condizioni dell’
esperienza e della storia, che sia stato attuato o individuato da 'questo
o quel dritto positivo, a noi importa, a rigor di termini, poco;
perchè il nostro quesito non è se esso esista o sia esistito
davvero, ma se debba esistere: onde l’inesistenza di fatto di esso non è
argomento contrario alla nostra teoria, come non le sarebbe argomento
favorevole la sua esistenza. Quando, in nome del criterio
sperimentale, si esclude la nozione del diitto NATURALE, si cade in una
petizione di principio. Si dà per provato quello che si doveva appunto
provare: che unico criterio conoscitivo della esistenza delle cose
sia l’esperienza, o, meglio ancora, che non vi sia altra forma di
esistenza che la esistenza empirica. Ed in questa petizione di principio
si risolve tutta la critica esercitata dal positivismo sul dritto
naturale. Gli studi di filosofìa del dritto di Wallaschek e più di
tutto il saggio di Bergbolim, nel quale è condotto un esame molto
accurato del dritto NATURALE, sono piene di argomentazioni suppergiù del
contenuto e del valore della seguente, tormolata dal primo di quegli
scrittori: Ausser dem bestehenden Rechi gìebt es Icein anderes Recht,
demi es ist ein Widerspnich, anzunelimen, dass, ausser dem
bestehenden Recht, nodi ein Rcclit bestelit, das nicht bestelit. É chiaro
che un simile modo di ragionare è il portato logico della ideologia
positivista, come è chiaro che ivi si confondono malaccortamente duo cose, che
vanno divise o distinte, o, almeno, sulla diversità o pluralità delle
quali volgeva appuntò il quesito. L’ esistenza empirica delle cose va
distinta dalla esistenza metafìsica delle cose stesse. Ora è appunto a
questa esistenza metafisica che fanno accenno i rivendicatori del dritto NATURALE.
Ai quali inopportunamente si fa rimprovero di assurdo paradossale, con una
proposizione sofìstica diquel genere, dove il verbo essere vien preso in un
membro in un senso e nell’altro in un altro. Line andere ivichtige
Frage bleibt ja immer, ob das Recht, das bestelit, aneli bestehen solite,
aber der Begriff des Rechtes, das sein soli, darf nicht verwechselt
werden mit dem, das thatsàchlich vorhanden ist, und nur dieses letztere
ist Recht, das erstere soli es sein. Ma, di grazia, quando mai il dritto NATURALE
ha preteso di affermare la sua esistenza empirica di fatto, ossia la sua
esistenza di diritto positivo? Esso ha sempre preteso di essere quello
che è, e quando ha detto: io sono: intendeva dire, non già: io
esisto davvero: ma: io debbo esistere. L’essere del dritto NATURALE è
precisamente il dover essere: il dritto NATURALE è una norma ed è come
norma, cioè a dire come dover essere. Che non sia punto un fatto,
il primo ad esserne persuaso è esso stesso. Appunto perchè non esiste
necessariamente nelle leggi positive, esso rivendica il suo dritto di esistere.
Ed in questo dritto ad esistere, non già nell’esistere davvero è riposto
il suo essere. È veramente deplorabile che questi principi così elementari
debbano essere ribaditi quando pareva che nessuno potesse dubitarne! L’empirismo
è così scarso di prove contro il dritto NATURALE, ch’esso non può neanche
fermare assolutamente che quel dritto non sia possibile nelle
stesse condizioni future dell’ esperienza. Vale a dire, esso non solo non
ha autorità di asserire che il dritto NATURALE non sia ovvero non debba
esistere, ma non ne ha nemmeno per assicurare che esso non possa
esistere. Perchè il possibile ed il futuro eccede il potere dell’ esperienza,
la quale è limitata al passato ed al presente; il poter essere o il sarà
sono quasi così lungi dal poter essere affermati e negati dal
positivismo che aspiri ad essere logico, quanto lo è il dover essere. Esclusa,
così, la possibilità di uno di quei richiami al futuro che sono tra i
ripieghi prediletti dell’ empirismo, toltogli il modo di dettar
legge alla storia, ad esso non resta che contenere le sue negazioni nella
sfera del presente. Allora la scepsi che esso esercita sul dritto NATURALE
va formolata nella tesi seguente: il dritto NATURALE non esiste come dritto NATURALE,
perchè non esiste come dritto positivo: una tesi sbalordi toia che
presuppone, in chi la . sostiene, il difetto assoluto della più elementare
analisi ideologica e che segna, mi si lasci dire la parola, la vera
bancarotta del positivismo giuridico. Stammler. Igino Petrone. Petrone. Keywords: determinismo, l’eroe, Ennea, eroe
stoico, l’eroe sannita, il sannio, la lega sannitica, spirito, inerza della volonta,
due direzioni dell’inerzia della volonta, contro Gentile, contro Nietzsche,
umano, non sovrumano, filosofia del diritto, lo spirito, liberta dello spirito,
il limite della pscogenesi della morale, il principio dell’amore proprio, il
principio della benevolenza, amore proprio conversazionale, benevolenza
conversazionale, il sentimento morale, filosofia del diritto, communismo
giuridico, la simplificazione di labriola, contro labriola, criticismo,
idealism critico, meditazioni di un idealista, GENTILE contro Petrone., Croce
contro Petrone; l’identita sannia, psicologia del sannita, i romani contro i
sannita, la prima guerra sannita, la seconda guerra sannita, la terza guerra
sannita; la repubblica romana, l’espansionismo dei romani nell’Italia, I romani
contro i sanniti; bassorilievo dei sanniti, i liguri e i sanniti, le
popolazione italiche, economia e psicologia del Molise, il sannio, la
complessità dello spirito della filosofia italiana; il linguaggio sannita; il
linguaggio umbro, il linguaggio osco; il linguaggio falisco, limosano, musanum,
limosanum; un stato mercantile chiuse, Fichte contro Marx, Nietzsche, il valore
della vita, il problema morale, la filosofia del diritto, diritto positivo,
diritto naturale, la filosofia politica nel criticismo, azione, l’etica e
l’ascetica, l’etica dell’eroe come azione, l’energia dello spirito contro
l’inerza della volonta – l’inerza della volonta nell’elezione dei fini;
l’inerza della volonta nell’elezione dei mezzi; il spirito contro la volonta, i
limiti dei determinismo, l’indeterminismo dello spirito, la causa dello
spirito, causa spirituale dell’agire umano, lo spirito umano. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Petrone” – The Swimming-Pool Library. Petrone.
Luigi Speranza -- Grice e Pezzarossa:
la ragione conversazionale della
fisica, la geografia e l'astronomia, sposate insieme, fanno sì che un italiano
discopra il nuovo continente, ed un altro italiano gl’imponga il nome -- l’eloquenza lombarda – l’implicature conversazionali – la
scuola di Mantova – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Filosofo
italiano. Mantova, Lombardia. Grice: “He wrote a LOT! Including a study (or
‘ragionamento,’ as the Italians call it) on the spirit (spirito) of Italian
philosophy, which reminded me of Warnock, the irishman, and his search for the
soul of English philosophy!” -- Giuseppe Pezzarossa (o Pezza-Rossa – Grice: “In
which case, he is in the “R”s”). Studia a Mantova. Insegna a Mantova. Co-involto nella
repressione che porta al martirio di Belfiore. D’idee tendenzialmente liberali
e preoccupato sulle condizioni sociali
disagiate create dalla sorgente rivoluzione industriale che pure ai suoi occhi
rappresenta un'occasione di progresso. La pubblicazione del suo saggio di
filosofia gli procura guai con la congregazione dell'indice. Partecipa
attivamente ai moti. Condanato al carcere. Pezza-Rossa e uno dei XX che partecipano
alla riunione costitutiva del comitato rivoluzionario. Saggi: “Critica della
filosofia morale” (Milano, Stamperia Reale); “Lo spirito della nazione italiana”
(Mantova, Elmucci); “Saggi di filosofia” (Mantova, Caranenti). C. Cipolla,
Belfiore I comitati insurrezionali del Lombardo-Veneto ed il loro processo a
Mantova” (Milano, Angeli); Pavesi, Il confronto fra don Tazzoli e don
Pezza-Rossa in una prospettiva filosofica, in Tazzoli e il socialismo Lombardo”
(Milano, Angeli). La prova sull’esistenza esteriore. Confutazione dello scessi.
ALIGHIERI e la filosofia. Lo spirito della filosofia italiana. Sistema di
psicologia empirica. Il fondamento, il processo e il sistema della umana
esistenza. Il sistema politico e sociale della nazione italiana; il sucidio, il
sacrifizio della vita e il duello, supra il suicidio; “La grammatica ideo-logica;
ossia, la legge comune d’ogni parlare dedotta da quella del pensare” (Milano); la
Facolta inventrice. I romani vinti dai longobardi conservano la proppia legge.
La filosofia dell’esperienza. Il metodo sperimentale. Lo Spirito della filosofia italiana. Ragionamento.
Mantova. L'Autore non pretende io questo Ragionamento a novità di principii, nè
a confutazione di scuole, ma lo vien cercando le varie fasi della italiana
filosofia e lo spirito, che la condusse al grande rinnovamento opera tosi nel
secolo di GALILEI. Da Pitagora a Leone X, durante la fortuna romana, nelle tenebre
della barbarie, esotto il giogo della scolastica, gli parve discontrare, quando
più, quando meno, sempre conosciute e conservate le tracce del metodo vero e
positivo, ed intorno a questo espone le proprie impressioni, così semplicemente
come le ha a sentire. dome che dimostra la modestia dei padri nostri, i
quali, non del Pezza-Rossa, Prof. Giuseppe. Parlando dell'antichità della
filosofia italiana, osserva come l'Italia è la prima che da a questa scienza un
sistema, e le impose un nome. Acume e vero conoscitori, ma
piuttosto amici del vero s'intitolarono. Le basi principalidelloro metodo
consiste nell'esperienza e nella osservazione. Fanno quindi un altro passo onde
meglio procedere nella investigazione delle verità, ed è quello di riconoscere
l'ufficio che la ragione esercita sopra i fatti, sì nel mondo esteriore che
nell'interiore, sendochè, non al senso, ma alla sola ragione è dato il
giudicare. Di questo modo l'antica nostra filosofia seppe dare ai sensi, si
sentimenti ed alla ragione ciò che loro compete, e impede che i primi si levano
al di sopra della seconda, e questa rifiuta l'autorità e la potenza di quelli. Così
dei secoli anteriori al dominio romano. Ma la prevalenza delle scuole straniere
non tarda molto a comprimere la scuola nazionale, e la sopravveguente barbarie
la fa quasi dimenticare, sebbene del tutto non la spegna. Senonche, colla conquista
del mondo sube le influenze filosofiche dei popoli conquistati, accetta
dottrine d'ogni maniera, egizie, asiatiche, druidiche, ma greche sopra tutto; e
de fe' tale un amalgama che a stento potrebbe chiamarsi “filosofia”; o a meglio
dire, ciascuno appigliossi a quella scuola, che meglio sffacevasi alle sue
tendenze. Pare strano, ma è pur vero, Roma corrotta, e degenerata nei costumi,
affaticossi particolarmente a rialzar la morale, non tanto forse per rilevarla
daddovero, quanto per palliar meglio col suo manto la nutrita liceoza,
testimonio Sede ca. La scuola pitagorica, odiata, ma temuta e ammirata,
appalesavasi quindi di tratto in tratto nelle manifestazioni di alcune anime
forti. E CATONE, il censore, va me a capo della nobile schiera. Il nome di pitagorico
non mai cessa dal significare uomo virtuoso e incorrotto. La qual indole morale
e severa, dice il Pezza Rossa, sotto cui presentossi la filosofia italiana, fa
si ch'essa non venisse dal nascente Cristianesimo tanto combattuta, quanto lo
furono tutte le altre. Il Cristianesimo infatti sorgea potente e divino, non
figlio del l'umano pensiero, ma avvolto nel manto dei flosofi, ma rivelatore
della semplice verità. Al suo mostrarsi, tutte le scuole cadute erano in basso,
e le poche verità, alle quali eran gionte, rimanevano dalle violenti polemiche
siffattamente svisate, che impossibile omai tornava l’osceverare con certezza il
vero dal falso. Ami carle fra loro, no concedevan le gare e i particolari
interessi; ricondurle alla pristina semplicità, è impresa da nemmeno tentarsi. Che
fa dunque il Cristianesimo? Egli indisse guerra a tutte più o meno le
speculative dottrine, mostra che fallacierano, disutilieper piciose, e colla
santità della propria morale fonda la prima di tutte le filosofie: quest'è la
filosofia delle azioni. Scaduta la parte speculativa, non rimaneva all'
italiana filosofia che la parte pratica, la parte da lei coltivata sempre con
severa costanza e che meglio poteva rispondere agl'insegnamenti cristiani.
Apollonio infatti, di cui Girolamo dice ch'è un prodigio inudito, degno di
esser conosciuto in tutt’i secoli, avuto dal popolo in concetto di mago, ma
filosofo reputato dalla gente di senno, Apollonio chiede a sè medesimo che cosa
vogliasi in un filosofo per essere veramente pitagorico? E quindi risponde. Richiedersi
elevazione d’animo, gravità, costanza, buona fama, sincera amicizia, frugalità,
pace, e virtù. Fregiato di così belli ornamenti, il pitagorismo si propone in
morale un lodevole fine, il perfezionamento della umana natura, risultante
dallo speciale perfezionamento di ciascun individuo. Nessun'altra filosofia
poteva meglio consonare al vangelo. I primi sapienti del Cristianesimo, prima
di edificare, trovarono però di dover distruggere il vecchio edifizio fin dalle
fondamenta, e gridarono contro ogni filosofia. Tertulliano ed Origene vogliono
che, dopo il vangelo, non più mhaestieri
di ricerche, nè di curiosità dopo Cristo. Nessuna scuola è da principio ri. Se
non che, distrutta colla dialettica l'arte del ragionare, e affidati gl’uomini
al solo senso comune, in mezzo all'incipiente barbarie, nulla presentavasi
tanto naturale quanto la scessi: e questa infatti mostrossi. È noto che sotto il
nome della scessi, spesso è insegnato a sprezzare vergognosi pregiudizii. Non
devesi scordare che il dubbio è il padre della civiltà; e che, se il secolo di
Cartesio è di GALILEI avesse ardito dubitare, le scienze e le arti non sarebbero
per anche ripste. Foperò una scessi di sola teoria, doo di pratica; stette del
pensiero, non nelle azioni: e perciò, s'egli da l'ultimo crollo alla filosofia
speculativa, non porta alla morale un grave nocumento. Ed è appunto nella
morale che la italiana filosofia sopravvive. Il grande BOEZIO vide l'estrema
bassezza, in cui la sapienza era caduta, e saggiamente pensa a raccorre in un
sol corpo le positive cognizioni, che dal gusto generale si sono salvate, e
qual breve enciclopedia de’ suoi tempi le presertò sotto l'smabile nome: De
interpretatione e Consolazione della filosofia. Nomeche in sè solo abbraccia il
carattere di tutta up'êra. Cbi cerca le cagioni, in forza delle quali stelte
viva, anche nei secoli detti barbari, la pratica filo sparmiata: l'acqua
di Talete, l'infinito di Anassimaddro, il fuoco d'Eraclito, l'omeomeria di Anassagora,
l'etere infinito di Archelao, i numeri di Pitagora, gl’atomi di Epicuro, gl’elementi
di Empedocle -- tutte in somma le antiche speculazioni furono guerreggiate. I
santi padri non lemono chiamar sogoi molti pensieri di Aristotile, del Lizio, molti
di Platone delirii dell’Accademia. Ma in quello che gl’ecclesiastici scrittori
studiano le scuole per combatterle, non poteano a meno di scontrarsi qua e colà
in principii verissimi, ai quali non si poteva niegare adesione, e questi
raccogliendo insieme e collocandoli sotto il patrocinio del vangelo, se ne
giovarono a comprovare l'armonia del vero filosofico col religioso. leo
non sofia, le troverebbe in parte della politica stessa de' barbari
invasori. Semplici e rozzi, cupidi solo di bottino, occupano solo il
territorio, lasciando ai XX eleggi, e costumi, e religione, mutando l'aspetto
materiale, non quello degli spiriti; sia che l'ignoranza li rendesse inetti a
far mutamenti, o sia che li movesse rispetto per genti tanto più umane, sebbene
meno forti di loro. Oode che procede codesta loro maniera di conquista, o da
calcolo, o da impotenza, egli è certo che recarono desolazione senza recare
alcuna propria filosofia: a tal che la italiana, accompagnata da toote altre in
epoca di prosperità, ma sola rimasta in quella della sventura, anzichè cedere e
prostrarsi, potè parificarsi, alla guisa dell'oro sul crogiuolo, e spogliarsi
di quelle macchie, che la fortuna le ha apportate. Passa quindi la dimostrare
come la buona filosofia pratica comincia a fruttare anche ottima teoria,
sebbene il risorgimento fosse ritardato dalla scolastica, ed impedito dall’accademia.
Or ecco le vie, egli ripiglia, per le quali gradatamente lo spirito filosofico
avanza, guadagnando sempre terreno. Il Leoni coavea, pel primo, portato allo stu
dio padovano la cognizione di Aristotile genuino del Lizio, e mostra to come
inscientemente lo siavea contorto e dinon sue dottrine fatto maestro. Quando
sorge quel potente ingegno di Pomponaccio [POMPONAZZI (si veda)] che si dove
riguardare siccome il quinto anello della gran catena filosotica italiana, dopo
Pitagora, CATONE, BOEZIO ed ALIGHIERI. Pigmeo di corpo, ma di spirito gigante, penetra
meglio che altri nello spirito della patria filosofia, e siccome, a farla
rinascere, convene, prim ad’ogni altra cosa, abbattere il colosso peripatetico
del LIZIO, egli coraggiosamente sostende che, secondo Aristotile nel Lizio,
voluto sostegno della morale e della religione, potevasi dimostrare l'anima non
essere immortale, miracoli non potersi dare, non vi essere provvidenza, ma in ogni
cosa dominare il destino. Strabiliarono tutti a conclusioni di tanta
conseguenza, e pretesero che da lui solo derivassero tali dottrine, dal peripato
del LIZIO non mai. Accagionarono di empietà il gran mantovano, che ha senza dubbio
incontrata lama la ventura, se il cielo non avesse posto a capo della chiesa on
Leone X, e datogli un BEMPO per consigliere. La sapienza e la tolleranza
medicea permisero al POMPONACCIO quello che prima non è stato permesso,
separare dalla teologia la filosofia, conduce una linea di confine tra gl’obbietti
della fede e quelli della ragione. L'esempio del gran maestro fa seguito da
numerosi discepoli, tra quali hanno fama Scaligero, Sepulveda, Porzio,
Benamico, Giovio, e da Cardinali, Contarini, cioè, e Gonzaga. È imitato con
isforzi contemporanei da Cesalpino, da Cremonino, da Zabarella, e forse da quel
Vanini, che, mal comprendendo Pomponaccio, spinge lo sfrenato ingegno allo
stremo, e corge la miseranda fioe che tutti sanno. Imper ciocche, gli è pur
mestieri confessarlo, la fortuna del primo e la sinistra interpretazione
de'suoi principii, non solo a tutti ispira coraggio, ma ad alcuni fio an che
baldanza. Tale si fa CARDANO, a cui la fecondità del genio troppe più idee
somministra di quelle che il suo giudizio puo ordinare. Ma dice: loslu dio
della natura doversi ridurre all'arte ed alla fatica, e però venne salutato
come l'uomo delle invensioni. Tale BRUNO, che proclama sfrenatamente la
filosofia del dubbio, filosofia che ovunque dissemina, viaggiando Italia,
Francia, Alemagna, e che fu poscia da Cartesio abbracciata e sviluppata con
tanta gloria, com’ha a confessare lo giudice non sospetto, Leibnizio. Si ridestarono
allora i principali pensieri de’ pitagorici, e meravigliando si conosce che la
flosofia italiana, in tutte le sue fasi da CATONE IL CENSORE ad oggi, e io
tatte le sue manifestazioni, non ha all'ultimo che un fondo solo, il metodo
esperitivo e naturale. A questo metodo avvia l’Italia VALLA, e NIZZOLIO, ed
ACONZIO, e POLIZIANO, e finalmente CAMPANELLA, che, vent’appi, sale in
bigoncia, e disputa con tanta forza contro le fallacie scolastiche, che i
vecchi sclamarono maravigliati: essere in lui passato lo spirito di TELESIO. Egli
sostende che il senso è un fondamento della scienza, che dalla dimostrazione positiva
e sensibile vasce la intellettiva, perciocchè sentire è sapere. La ragione
tanto essere più certa, quanto più al senso vicina. Non però doversi andare
cogli empirici che pretendono ragionare per le sole apparenze variabili, accidentali,
sfuggevolissime, ma sìanche dietro verità costanti, che badoo principio
nell'anteriore sentimento, e del testimonio di tutti gl’uomini. Con longbe e perigliose
fatiche giunse quindi f palmente l’Italia a ridur in principii quello, che in pratica
ha sempre tenuto. Scaddero allora i sillogismi, le formole, le categorie, le
ipotesi, gl’a priori, con totti gl’altri vincoli della ragione, e sostenuto
dall' analisi e dall'esperienza, il nuovo metodo spiega il volo alle più
eccelse scoperie. Alla scuola italiana attiose Copernico il suo sistema
astronomico, da Galilei poscia rivendicato. Da GALILEI che mostra immobile e
improntato di macchie il sole, e Giove di satelliti circondato. Da Galileo,
che, per mezzo di nuove lenti, interroga l'armonia misteriosa dei cieli, e con
esperimenti sorprende la patora nei segreti delle arcane sue leggi. RUBERTI
TORRICELLI, colla invenzione de’ barometri e de’ microscopii, apporta alla
fisica novella vita. Cavalieri, Maurolico e Tartaglia rendano fruttuose le
matematiche colle applicazioni. VINCI (si veda) dà buona legge all'estetica. Buonarotti,
l'uomo delle IV anime, fisa il buon gusto nelle arti. MACHIAVELLI scopre ai sudditi
ei ai regnanti i segreti della politica. L’accademia del cimento affatica senza
posa delle esperienze, le dabbie verità rischiara, e le certe diffonde. La
fisica, la geografia e l'astronomia, sposate insieme, fanno sì che un italiano
discopra il nuovo continente, ed un altro italiano gl’imponga il nome. Ogoi
arte insomma, ogni scienza, ogni di sciplina quasi per incanto risorge. Ed è
cosa per verità sorprendente il vedere nei dettati di quell'epoca gloriosa
tanta copiosità di filosofie, da contenere, quasi in germe, tutte le altre
scoperte verificate dappoi. Conserviamo adunque, conclude l'autore, il prezioso
retaggio, che da’ nostri maggiori ci è tramandato e, che più è, adoperiamo di
renderlo fruttuoso. Accioc chè, dopo aver portata agl’altri la scienza, non
venghiamo giustamente paragonati alle nubi, le quali si disfanno in quel
medesimo che d'amica pioggia fecondano le campagne. Esponendo i proprii
pensamenti, il Pezza-Rossa, con singolare modestia, non si erige a filosofo, ma
stimola ed invoglia gl’altri a frugare in questa materia, pago di poter
dimostrare che noi siamo ricchi di tanta domestica dottrina da non invidiare la
forestiera. Che il buon metodo non l'abbiamo a cercare lontano. E che sarebbe
ingratitudine il disconoscere l’antica sapienza di CATONE IL CENSORE, da cui
tutto surge, per seguire alcune splendide fantasie oltra-montane. Giuseppe Pezza-Rossa. Giuseppe Pezzarossa.
Pezzarossa. Keywords: il martirio di Belfiore; lo spirito della nazione
italiana; eloquenza lombarda. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pezzarossa” – The
Swimming-Pool Library. Pezzarossa.
Luigi Speranza -- Grice e Pezzella: la
ragione conversazionale -- Cesare deve morire – l’implicatura conversazionale –
la scuola di Napoli -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Napoli). Filosofo
italiano. Napoli, Campania. Grice: “I like Pezzella – His “La memoria del
possibile” would make Benjamin think twice! – and I do not mean HIS Benjamin,
but mine!” Si laurea a Pisa con una
tesi su Benjamin. Presso la Scuola Normale Superiore diviene ricercatore di
ruolo. Collabora a un seminario con Derrida. Consegue sotto la tutela di Marin
il doctorat a Parigi (Grice: “the reason why which few consider him Italian!”) e
il DEA in Réalisation cinématographique seguendo i corsi diretti dal
documentarista Rouch a Nanterre. Insegna estetica ed estetica del cinema. Tenne
un seminario a Parigi in collaborazione con Michaud. È redattore della rivista
Altra-parola e collabora col centro per la riforma dello stato a Firenze. La
filosofia di Benjamin e quella di Debord sono punti di riferimento della sua
propria. Studia la persistenza delle forme del mito all’interno della modernità
-- e in tal senso si occupa di Bachofen, introducendo Il simbolismo funerario
degl’antichi, col sostegno del Warburg Institut di Londra. L’intersezione tra
mondo mitico e modernità estrema lo porta a interessarsi della poesia e del
pensiero di Hölderlin e della scuola di Francoforte. Vicino alla tradizione della
filosofia dialettica, apprezza soprattutto la versione esistenziale che ne viene
data nella filosofia dopo i seminari di Kojève su Hegel. Di Benjamin considera
soprattutto la polarità tra immagine di sogno e immagine dialettica, che
utilizza come strumento interpretativo di opere cinematografiche e letterarie
(cfr. La memoria del possibile e Insorgenze). Per P., lo spettacolo –nella
formulazione teorica che ne da Debord -- è la forma di vita dominante del
capitalismo, in particolare della sua industria culturale e del cinema. Secondo
la terminologia usata nel saggio su estetica del cinema, distingue lo stereotipo
spettacolare dalla forma critico-espressive. Si è interessato all’intersezione
fra tematiche politiche e psicoanalitiche: la dialettica del riconoscimento, la
formazione della soggettività nel capitalismo, l’incidenza dei traumi storici
collettivi sulla psiche individuale -- cfr. il saggio sulla voce minima. Esplora
la filosofia politica d’Abensour, con cui condivide la rivalutazione del
pensiero utopico e la rivalutazione del socialismo come prospettiva politica
alternativa al populismo. Collabora alla redazione e all’edizione dei volumi di
Altro Novecento. Comunismo eretico e pensiero critico, per conto della
Fondazione Micheletti di Brescia. Altri saggi: “L'immagine dialettica” (ETS,
Pisa); “Il tragico” (Il Mulino, Bologna); “Conversazione di Narcisso con
Narcisso – Conversazione con me” (Manifesto,
Roma); “Il volto di Marilyn” (Manifesto, Roma); “La memoria del possibile”
(Jaca, Milano); “Estetica del cinema” (Mulino, Bologna); “Insorgenza” (Jaca, Milano,
“Le nubi di Bor” (Zona, Arezzo); “La voce minima. Trauma e memoria storica” (Manifesto,
Roma); “Altrenapoli” (Rosemberg, Torino”; “I fantasmi” (Cattedrale, Ancona); “Il
volto dell’altro”; “L’ospite ingrate” (Quodlibet, Macerata); “I corpi del potere”
(Jaca, Milano); “Repubblica”; “Il bene
comune” (Il Ponte); “Gli spettri del capitale” (Il Ponte); “Il tempo del possible”;
“Attualità della Comune di Parigi” (Il Ponte); Utopia e insorgenza. Per Abensour”;
“Altraparola, Micheletti, Brescia); Alle frontiere del capitale. Comunismo
eretico e pensiero critico, Jaca, Milano. Pezzella. Keywords: Cesare deve
morire, Narcisso, “conversations with myself”, Antonino, nubi di Bor, Freud,
Narcissismus -- Refs.: Luigi Speranza: “Grice, Pezzella, Benjamin and Benjamin:
la memoria del possibile,” Villa Grice – The Swimming-Pool Library. Pezzella.
No comments:
Post a Comment