Luigi Speranza -- Grice e Mosca: a l’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – la scuola di Palermo -- filosofia siciliana – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Palermo).
Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Palermo, Sicilia. Grice: “When Austin
was defending the ‘man in the street,’ he was thinking Mosca!” -- Grice: “I
like Mosca; he speaks of elites – Gellner speaks of elites, too!” -- Grice: “Do
Italians consider Mosca a philosopher?” – Saggi: “Sulla teorica dei governi e sul
governo parlamentare, Appunti sulla
libertà di stampa, Questioni costituzionali, Le Costituzioni moderne; Elementi
di scienza politica, Che cosa è la mafia, Appunti di diritto Costituzionale,
Italia, Stato liberale e stato sindacale, Il problema sindacale, Saggi di storia delle dottrine politiche,
Crisi e rimedi del regime parlamentare, Storia delle dottrine politiche,
Partiti e sindacati nella crisi del regime parlamentare, Ciò che la storia
potrebbe insegnare. Scritti di scienza politica (Milano), Il tramonto dello
Stato liberale (a cura di A. Lombardo, Catania) Scritti sui sindacati (a cura
di F. Perfetti, M. Ortolani, Roma) Discorsi parlamentari (con un saggio di
Panebianco, Bologna. Appunti di diritto costituzionale dall’Enciclopedia
Giuridica Italiana. Milano. La genesi
delle cottituzion imoderne. Cenni storici sulla scienza del diritto costituzionale.
Definizione dello stato e della sovranità. Condizioni sociali che prepararono
il regime rappresentativo. Dottrine politiche che integrano l'azione
del dizioni sociali. La costituzione inglese e sua importanza con
dello di tutte le costituzioni moderne. Origini. Ordinamenti politici ed
amministrativi dell'Inghilterra. La prima rivoluzione inglese. La restaura:
Vhabecis corpus. La seconda rivoluzione inglese. Il seconc
dei diritti e Patto di stabilimento. Lo svolgimento della costituzione
inglese nel decimottavo. Lo statuto
albertino. Caratteri delle prime costituzioni moderne. più dirette dello statuto
albertino. Il re. Sue prerogative e norme della succezione monarchica. Il
gabinetto, i ministri ed il presidente del consiglio. La responsabilità penale
dei ministry. La formazione delle due Camere. Varii sistemi di suffragio.
La legge elettorale politica. Prerogative
e funzioni dell» due Camere. Dell’ordine giudiziario. Dei diritti individuali. Dei
rapporti fra la chiesa e lo stato. Lo studio del diritto pubblico in genere e
del diritto costituzionale in ispecie richiede anzitutto la
definizione esatta di certi concetti che, per quanto non nuovi, non hanno
acquistato ancora un significato preciso e determinato e nello stesso
tempo accolto da tutti. Il concetto di Stato, che è il più
fondamentale di tutti, venne ad esempio elaborato fin dalla classica
antichità e corrisponde a ciò che i greci chiamavano “polis” ed i romani “respublica”.
Eppure anche oggi si disputa sulla origine e la natura dello stato. Fra
tutte le definizioni dello stato la migliore mi sembra quella che lo fa
consistere nella organizzazione politica e giuridica di un popolo entro
un determinato territorio, ma anche essa ha bisogno di spiegazioni e
commenti. Quando si dice infatti organizzazione politica di un
popolo, s' intende quella di tutti gli elementi che dirigono politicamente
un popolo ossia esercitano funzioni statuali. Nello stato moderno perciò
vanno compresi non solo tutti i pubblici funzionari, tenendo conto pure
di quelli fra costoro che non sono pubblici impiegati, ma anche i membri
del parlamento ed i consiglieri provinciali e comunali; e perfino gl’elettori
politici e comunali, quando sono convocati nei comizi, esercitano
funzioni statuali e perciò fanno parte dello stato. Ma per quanto in una
organizzazione statuale democratica lo stato comprende, almeno
giuridicamente dappoiché in fatto le cose vanno diversamente, la parte maggiore
della società, pure questa non si confonde mai intieramente collo stato. Perchè
anche nei paesi dove vige il suffragio universale vi sono molti individui che
pur fanno parte del sociale consorzio, come le donne, i minorenni e
coloro che per condanne sono esclusi dal suffragio, i quali in nessun caso
partecipano alle funzioni politiche o statuali. Ma se lo stato non è la
società, esso essendo costituito dal complesso di tutti gl’elementi
che partecipano alla direzione politica di questa non è certo al di
fuori della società. Il cervello non è tutto il corpo umano, ma ne fa
parte e senza di esso il corpo umano non può vivere. Bisogna però
notare che la vita del corpo sociale ha delle analogie non delle identità
con quelle dell'individuo umano. Infatti in questo ogni singola cellula è
fissata nell'organo di cui fa parte, mentre negl’organismi sociali più
perfezionati, nei quali le funzioni statuali sono suddivise in vari organi le
cui attribuzioni sono giuridicamente limitate, vediamo spesso che il medesimo
individuo fa parte dello stato nell'esercizio della sua pubblica funzione e é
sem-plice membro della società al di fuori della sua funzione e di fronte
a tutti gli altri organi dello stato. Ciò accade tanto al semplice
elettore che al magistrato ed allo stesso membro del parlamento, se non
vogliamo tener conto per i due ultimi delle poche speciali prerogative che
mirano a salvaguardarne l'indipendenza nell'esercizio delle loro
funzioni. Molti filosofi considerano intanto lo stato e la società
come due enti che per necessità vivono in continuo antagonismo, per
alcuni anzi lo stato è il perpetuo nemico della società. Dopo quanto si
è scritto risulta evidente che il loro concetto è per lo meno inesatto
e sopratutto è difettoso perchè contribuisce piuttosto a confondere che a
chiarire le idee che si possono avere sull'argomento. Nondimeno esso non
è del tutto falso e può essere anzi riguardato come una interpretazione
sbagliata di una condizione di cose in tutto od in parte verace. È
indiscutibile infatti che in una società vi possono essere elementi
dirigenti che dalla costituzione in vigore sono tenuti lontani dalla
organizzazione statuale. Ed allora naturalmente vi è una lotta fra questi
elementi e quelli già accolti entro lo stato che può assumere la parvenza di
una lotta fra stato e società. E può anche accadere che i progressi
del senso morale e giuridico di una società abbiano oltrepassato
quel livello che si era aggiunto nel momento della formazione del suo
organismo politico. Sicché questo, rimasto arretrato, permette ai
rappresentanti dello stato un'azione che riesce vessatoria ed arbitraria
per gli altri membri della società. Ma in sostanza i periodi di
antagonismo acuto fra gl’elementi statuali e quelli extra-statuali di
una società possono essere considerati come eccezionali e sogliono
ordinariamente precedere le grandi rivoluzioni. Tutto quanto si è
detto spiega perchè lo stato sia l'organizzazione politica di un
popolo. Se si tiene poi presente che, in tutti i paesi che hanno
raggiunto un certo grado di civiltà, le condizioni in base alle quali si arriva
all'esercizio delle funzioni statuali ed i limiti di queste funzioni
sono determinati dalla LEGGE si vede facilmente come questa
organizzazione sia non solo politica ma anche giuridica; perchè essa crea fra i
diversi organi dello stato e fra coloro che esercitano le
funzioni statuali ed i semplici cittadini una serie di rapporti
giuridici. Questi rapporti nascono in base ad una facoltà che lo stato
esclusivamente possiede: la sovranità. La sovranità consiste nel potere
di conchiudere convenzioni e trattati con un’ altro stato e di creare il
diritto e farlo eseguire in tutto il territorio sottoposto allo stato.
I filosofi, educati quasi esclusivamente alle concezioni del diritto privato,
si sono spesso trovati in qualche imbarazzo riguardo a questo attributo
della sovranità. Essi stentano a spiegaisi come e perchè l'ente che ha
facoltà di fare la legge, di modificarla e disfarla e *sottoposto* alla legge.
Per darsi ragione di questo fatto i filosofi hanno ricorso a tante
ipotesi, fra le quali la più divulgata è quella che lo stato a sorto
in base ad una convenzione, ad un “contratto”, ad un atto giuridico
tacito od espresso, ma ad ogni modo consentito da coloro che fanno parte
del consorzio sociale sul quale esso esercita la sua sovranità.
Prendendo a base il concetto che già si è adottato sullo stato e dei suoi
rapporti con la società non riesce difficile di risolvere
la difficoltà accennata. Già fin dal tempo dei filosofi e giureconsulti
romani si distinsero nello stato due personalità -- una di diritto PRIVATO, per
la quale esso potea contrarre obbligazioni come ogni altra persona
giuridica -- ed un'altra di diritto PUBBLICO che gli confere l'esercizio
dei poteri sovrani. L'esercizio di questi poteri produce la conseguenza che
lo Stato impone a tutti i cittadini degli obblighi, come ad esempio quello
dell'imposta e del servizio militare, senza offrire in cambio
alcun corrispettivo diretto. Senonchè è da osservare che nelle forme
di stato più perfezionato e sopratutto nello stato rappresentativo
moderno, quando si tratta d'imporre questi obblighi e di esercitare in genere
la funzione sovrana per eccellenza, che è quella di fare le leggi,
è necessario il consenso del capo dello stato e di tutte quelle forze
politiche che son rappresentate nei due rami del parlamento. Nel
momento nel quale, collettivamente e nelle forme volute, gl’elementi ai
quali è affidato il POTERE LEGISLATIVO esercitano questa funzione, essi
sono sovrani, cioè, SUPERIORI alla legge perchè la fanno e la
disfanno, in tutti gli altri momenti ed individualmente sono soggetti alla
sovranità, cioè all'impero della legge. A guardarci bene nello stato
moderno ciò non rappresenta una vera anomalia, perchè anche nell'esercizio
delle altre funzioni statuali gl’elementi che le disimpegnano agiscono,
sia individualmente che collegialmente, in nome dello stato e lo
rappresentano nei limiti delle loro attribuzioni. Mentre sono completamente
soggetti alla sovranità dello stato in qualunque *altra* manifestazione
della loro attività personale. Tanto i membri del POTERE GIUDIZIARIO che
gl’agenti del POTERE ESECUTIVO si trovano infatti nelle condizioni
accennate, colla differenza però che, quando esorbitano dalla
loro funzione ed anche nell'esercizio della loro funzione, è sempre
possibile di esercitare sopra di essi un controllo che riesce malagevole,
se non impossibile, di fronte al potere legislativo. Sia a
causa di una lontana parentela. etnica, sia perchè l'influenza
delle vicine colonie greche dell’ Ita- lia meridionale avrebbe agito
efficacemente fin dal se- sto secolo avanti l’era volgare, certo è che
l’organiz- zazione politica delle città italiche, all’inizio
dell’epoca storica, presenta molte analogie con quella dello stato-
città ellenico. In Roma infatti, che è la più nota fra le
città italiche, troviamo in origine il Re, il Senato composto nei
tempi più antichi dai capi delle diverse genti pa- trizie, ed i Comizi,
ossia l’assemblea del popolo. Abo- lita come in Grecia la regalità
ereditaria e sostituita ad essa il consolato e le altre magistrature
temporanee, elettive e quasi sempre multiple, sorse presto anche a
Roma la lotta tra l’antica cittadinanza patrizia, costi- tuita da coloro
che facevano parte delle antiche genti e la nuova cittadinanza plebea,
composta a preferenza dai discendenti degli stranieri domiciliati e dei
servi liberati. E per un certo tempo pare che due città coesiste nell’urbe,
con magistrature speciali all’una ed all’altra, finchè si fusero quasi
intieramente con una costituzione che ricorda molto il tipo ellenico
della città-stato, ma che si distingue da essa per alcune particolarità
originali. Le principali sarebbero la maggior facilità con la quale
veniva accordata gradatamente la cittadinanza, od una semicittadinanza,
alla parte migliore dei popoli vinti, il mantenimento di tutti i diritti di
cittadinanza ai coloni che si spedivano in siti abbastanza lontani dalla
capitale, ed infine il carattere spiccatamente aristocratico che conservò
fino all’ultimo secolo della repubblica la costituzione romana
rispetto a quella di quasi tutte 1é città greche. Infatti il Senato
romano nell’epoca storica era com- posto da coloro che erano scelti dal
censore fra le persone che avevano esercitato cariche elevate, e solo in
un'epoca relativamente recente i Comizi centuriati fu- rono riformati in
maniera da togliere in essi la pre- ponderanza alle classi altamente
censite ed accanto at Comizi centuriati furono ammessi i Comizi tributi,
nei quali prevaleva il numero sul censo. Però la legge non poteva
essere approvata se non nelia forma precisa con la quale i magistrati
l'avevano proposta, ed il Senato romano ebbe attribuzioni ed autorità
assai più larghe di quelle concesse ai corpi analoghi che si
potevano trovare in qualche città ellenica. Ed in quanto alle
cariche elettive il costume, più che lia legge, impedì sino agli ultimi
tempi della repubblica che fossero conferite a veri popolani. Infatti il
tribunato militare, che era il primo gradino che dovevano salire coloro
che aspiravano alla carriera politica, fino alla fine della repubblica
non fu praticamente accessibile che ai membri dell’ordine equestre, i quali
dovevano possedere un censo piuttosto elevato. Ma quando Roma, dopo
avere sottomesso l'Italia, ebbe conquistato quasi tutte le terre bagnate
dal Mediterraneo apparì chiaramente che la costituzione della città-stato,
sia pure modificata nel modo accennato, non poteva più funzionare.
Infatti la lontananza della. grande maggioranza dei cittadini era di
ostacolo alla regolare e pronta riunione dei Comizi nel foro, i
quali in ultimo non furono più frequentati che dalla pleba- glia
che abitava nell’ Urbe. Inoltre diveniva impossibile di conservare l’annualità
delle cariche più elevate quando i consoli dovevano fare un lungo viaggio
per recarsi nelle lontane province. Oltre a ciò era avvenuto un profondo
rivolgimento nella distribuzione della proprietà fondiaria, poichè questa
si era a poco a poco accentrata nelle mani di un piccolo numero di
latifondisti, e quindi era gradatamente diminuita quella classe di piccoli
proprietari che per lungo tempo aveva costituito il nerbo degli:
eserciti romani. Per riparare a questa deficienza furono promulgate due leggi:
una proposta da Caio GRACCO, mediante la quale l’armamento non era più a carico
del soldato, ma veniva. pagato dal pubblico erario, e l’altra proposta da
Caio MARIO, il riformatore dell’organizzazione militare romana, con la quale
ve-. nivano ammessi nelle legioni non solo i proletari ma anche i
figli dei liberti. Conseguenza di queste leggi e delle guerre lunghe e
lontane fu che all’esercito cittadino si andò mano mano sostituendo un
esercito di soldati di mestiere, reclutati negli strati più bassi della
popolazione, e praticamente il comando (imperium), prima corcesso
solo temporaneamente e con possibilità di revoca ai comandanti delle
legioni, divenne illimitato e si protrasse per molti anni; sicchè i soldati
divennero facili strumenti dei loro capi sostenendone gli ambiziosi
di- segni a patto di partecipare ai vantaggi della vittoria. In questa
condizione di cose bisogna ricercare una delle principali origini delle guerre
civili, che ebbero come conseguenza un sensibile spostamento della
proprietà privata; perchè durante la prima, e soprattutto durante
la seconda proscrizione, molte furono le terre che ven- nero tolte ai
ricchi ed ai medii proprietari e furono distribuite ai soldati, cioè ai
proletari armati. Viva è stata una disputa fra alcuni storici
moderni, perchè alcuni sostengono che OTTAVIANO vuole creare una
nuova forma di governo, sostituendo l’impero alla Repubblica, mentre
altri invece opinano che egli volle conservare la forma repubblicana
ritoccandola dove e necessario. A noi la questione sembra, in tali
termini, posta male; perchè le persone non troppo addentro nello studio
dell’istituzioni romane potrebbero in tal modo supporre che la repubblica
in Roma antica fosse una forma di governo presso a poco uguale alle
moderne repubbliche e che l'impero d’OTTAVIANO ha molta somiglianza
con gl’imperi moderni. La verità è che OTTAVIANO vide che l’antica
costituzione dello stato-città non puo più funzionare dopo che Roma aveva
soggiogato tutte le coste del Mediterraneo e che i cittadini romani sono
diventati milioni e perciò aggiunse a quelli antichi nuovi e più efficaci
organi di governo, adattando pure, per quanto era possibile, gl’organi
antichi ai bisogni nuovi. Quindi i comizi come organi legislativi
comincia- rono ad andare in disuso, sebbene Augusto abbia fatto .da
essi approvare due importanti leggi tutelatrici del- l'istituto
familiare, cioè la legge Papia Poppea de maritandis ordinibus e la legge
Julia de adulteriis. L’ultima legge approvata dai comizi, di cui si ha
notizia, è una legge agraria di NERVA (si veda). La funzione legislativa
dei comizi passò all’ Imperatore ed al Senato, il quale emanava Senatus
consulta aventi forza di legge. Però le antiche prerogative di
questo corpo politico furono notevolmente limitate; in- fatti gli affari
finanziari e la politica estera, che erano stati di sua competenza,
furono in buona parte affidati all’ Imperatore! Le province dell’impero
furono divise in imperiali e senatorie; le une erano amministrate
direttamente dall’ Imperatore mediante funzionari da lui nominati,
le altre da funzionari nominati dal Senato. È da notare che le province imperiali
erano quasi tutte ai confini dell'impero ed in esse risiedevano le legioni
delle quali era generalissimo l’imperatore, il quale aveva
conseguentemente nelle sue mani la forza militare, e nelle province
imperiali, dove vi era un governo militare, esercita un’autorità
assoluta. A Roma e nelle province senatorie l’mperatore era un
magistrato civile, però cumulava in sè tante cariche che la sua volontà
era preponderante. Le antiche magistrature repubblicane furono quasi tutte
con-servate, ma, accanto ad esse, si istituirono nuove e più efficaci
ciriche, coperte da semplici cavalieri o dai liberti dell’ Imperatore,
che dipendevano direttamente da lui. Così a poco a poco la burocrazia
imperiale Nella civiltà. antica non si riscontra quella netta
suddivi- sione di attribuzioni fra i diversi organi sovrani che, almeno
teoricamente, esiste oggi nei paesi di civiltà europea ed americana;
poichè spesso la stessa attribuzione, come ad esempio il potere
legislativo, veniva a vicenda esercitata da due organi diversi. Di, fatto
poi a Roma, nei primi due secoli dell'impero, i poteri del Senato si
allargavano e restringevano secondo la volontà degli imperatori; più
rispettosi essendo in generale dell’autorità del Senato quelli che
lasciarono un buon nome, come ad esempio TRAIANO (si veda), meno assai
quelli che furono dai contemporanei e dai posteri giudicati malvagi.
oa soppiantò le antiche magistrature, che divennero col tempo
puramente onorifiche. Rimase soltanto, come traccia e ricordo
dell’antico regime politico, la /ex regia de imperio per la quale
nominalmente era il Senato, come rappresentante del popolo romano, che
conferiva all'Imperatore la sua potestà; sebbene di fatto era il favore
ed il disfavore dei pretoriani e poi delle legioni che creava ed
abbat- teva gli imperatori. Ad ogni modo la legge citata fa- ceva
sì che, fino alla fine del terzo secolo dopo Cristo, la costituzione
dell'impero romano si poteva distin- guere da quella degli antichi imperi
orientali, nei quali il sovrano era tale per delegazione del Dio
nazionale O per privilegio ereditario della sua famiglia. Di questo
concetto relativo all’origine dell’autorità dell’ imperatore romano si trova
ancora il ricordo nelle Pandette di GIUSTINIANO; e GREGORIO Magno, scrivendo
all’ imperatore d’Oriente, affermava che mentre i sovrani stranieri
(reges gentium) erano signori di servi, gl’imperatori romani (imperatores
vero reipublicae) comandavano ad uomini liberi. Uno dei punti più
deboli della costituzione impe- riale romana fu la incertezza della
regola di successione, la quale faceva sì che nascessero frequenti lotte
fra i diversi pretendenti al trono. I primi cinque imperatori
appartenevano per sangue o per adozione alla famiglia Giulia Claudia,
spentasi questa con NERONE; dopo un anno di guerre civili sottentra con tre
imperatori, Vespasiano, TITO e Domiziano, la famiglia Flavia. Con
quell’anno prevale il costume dell’adozione, mediante il quale
l’imperatore vivente designava il successore e, mercè questo.
costume, si ebbe una serie di buoni imperatori. In quell’anno si tornò alla
successione naturale, perchè ad ANTONINO (si veda) succedette l’indegno
suo figlio COMMODO (si veda) e, dopo che questi fu ucciso, nel 192
dopo Cristo, ricominciarono le guerre civili fra i candidati alla
successione, sostenuti ognuno dalle proprie legioni, e con il
ricominciare di queste lotte si manifestarono i primi indizi della
decadenza dell’ impero e della ci- viltà antica. Le dottrine
politiche dei filosofi romani non sono molto originali. I romani, uomini
eminentemente d'azione, amano poco di teorizzare. Inoltre nell’ultimo
secolo della Repubblica, epoca torbida di lotte civili, le teorie
servivano poco. Sotto l’ Impero manca il fine pratico per l’indagine teorica
dei problemi politici. Ad ogni modo fra i filosofi romani nei quali
si trovano pensieri che hanno rapporti con la vita politica si può anzitutto
ricordare LUCREZIO (si veda), il quale nel suo poema De rerum natura dopo
aver ammesso l'esistenza degli Dei, i quali però non si
occuperebbero delle cose di questo mondo, ricerca le origini degl’ordinamenti
politici. Afferma che in principio gl’uomini si riunirono in città
sotto capi scelti tra i più forti ed i più prestanti, poichè questo è il
significato che bisogna dare all’aggettivo pulcher che LUCREZIO usa;
costoro degenerando abusarono del loro potere raccogliendo nelle loro
mani tutte le ricchezze e suscitando così la ribellione dei governati, la quale
avrebbe provocato uno stato di anarchia che avrebbe reso necessaria la
for- mulazione delle leggi e l'elezione dei magistrati. Come
facilmente si vede vi è in queste teorie molto eclettismo e si sente in
esse l’ influenza di Platone e di Polibio. SALLUSTIO (si veda) nella sua
De bello jugurtino mette in bocca a CAIO MARIO una violenta
invettiva contro l’aristocrazia romana, inoltre nella descrizione
che fa della congiura di CATILINA mette in evidenza in maniera
efficacissima la corruttela della vita politica romana negl’ultimi tempi
della repubblica. Altro filosofo che si occupa anche di politica e
CICERONE che nel De republica, nel De legibus e nel De officiis esamina le
tre tradizionali forme di governo, affermando la sua preferenza per un
governo misto nel quale le tre forme erano fuse. Appare in ciò
chiaramente l’ influenza di Polibio. Oltre a ciò CICERONE parlando della
schiavitù non ammette la teoria aristotelica della disuguaglianza degl’uomini,
ma la giustifica con un principio di diritto internazionale, affermando
cioé che nella guerra i vinti ai quali si lascia la vita diventano
servi. Intanto è giusto ricordare che CICERONE tratta assai
umanamente i suoi schiavi, specialmente quelli colti che venneno
dall’Oriente, e difatti sono molto affettuose le lettere che scrive al suo
liberto e collaboratore Tirone. Seneca, basandosi sulla distinzione fra
diritto naturale e diritto civile, sostenne che la schiavitù non e
giustificabile dal punto di vista del diritto naturale, ma lo e in base
al diritto civile. TACITO nell’annali dice incidentalmente che i governi
misti di monarchia, aristocrazia e democrazia è più facile che siano
lodati anzichè effettuati e che, se sono effettuati, non durano. Non sembra che
TACITO sia stato repubblicano nel senso che avrebbe desiderato il ritorno
all’antica forma di governo anteriore a GIULIO Cesare e ad OTTAVIANO, egli e
soltanto avverso ai cattivi imperatori e lodava quelli buoni, che hanno saputo
conciliare il principato con la libertà, cioè col rispetto delle leggi e
dell’autorità del senato. Il più grande contributo alla elaborazione
della civiltà antica lo diede la Grecia, ma fu merito di Roma l’avere
esteso i risultati della cultura ellenica a buona parte dell’Asia,
all'Africa settentrionale ed a tutta quella parte dell’ Europa che sta a
mezzogiorno del Danubio e ad occidente del Reno e perfino alla parte
meridio- nale della Gran Bretagna. E merito anche maggiore di Roma
fu quello di avere introdotto, dovunque esten- deva il proprio dominio,
leggi, idee e costumi presso a poco uguali, sostituendo, senza apparente
coazione, in Occidente IL LATINO, in Oriente il greco, alla MOLTITUDINE
DEI LINGUAGGI BARBARICI e facendo col tempo sparire ogni distinzione fra
vincitori e vinti, conquistatori, e conquistati. Poichè con l’editto di CARACALLA
si estende la cittadinanza romana a quasi tutti i provinciali,
completando così quella unità politica e morale di tanta parte del mondo
civile, che, dall’ora in poi, non è stata più raggiunta. Urbem
fecisti quod prius orbis erat. Così canta il poeta gallico Rutilio
Namaziano al principio del quinto secolo dell’era volgare,
riassumendo in poche parole l’opera grandiosa che nel corso di parecchi
secoli Roma aveva compiuto. La ricerca delle cause che produssero la
caduta dell'Impero romano d'Occidente è ancora uno dei più oscuri
problemi fra quelli che presenta la storia. Poichè non si tratta soltanto
di spiegare il crollo di un organismo politico, ma la dissoluzione, sia pure
non completa ma certamente profonda, di una civiltà. Una osservazione, che
forse finora non è stata fatta, è quella che riguarda la China e fino ad
un certo punto l’ India, paesi la cui civiltà ha avuto pochi contatti con
quella ellenica e romana, e nei quali, pur essendosi succedute
parecchie invasioni barbariche, i conquistatori, in capo ad un paio di
generazioni hanno assorbito la civiltà dei vinti e questa ha continuato
il suo corso senza che la decadenza sia stata lunga e molto sensibile.
Ciò che non è avvenuto alla caduta dell'Impero romano d’ Oc-cidente,
ragione per la quale si può supporre che essa sia principalmente dovuta a
cause interne. È già noto che i primi gravi sintomi della crisi si
ebbero nel terzo secolo dopo Cristo e che essi sono visibili perfino
nell’arte e nella letteratura, che manifestano un notevole decadimento del
gusto e del pensiero. Si è pure accennato alla mancanza di una norma
regolatrice della successione al trono che diede occasione ad una serie di
guerre civili, durante le quali qualche volta si ebbero tanti imperatori
quante erano le province importanti. Contemporaneamente ebbero
luogo le prime irruzioni dei barbari, che sparsero la desolazione nella
Gallia e nella penisola balcanica ed arrivarono un momento perfino
nell'alta Italia. Gl’imperatori Illirici Claudio secondo, Aureliano,
Probo, Caro ed in ultimo Diocleziano riuscirono a respingere i barbari pur
abbandonando loro la Dacia e quella parte della Germania che era ad
oriente del Reno e si estendeva fino alle sorgenti del Danubio; poi
Diocleziano per rinforzare il potere centrale compiè l’evoluzione già iniziata
da Settimio Severo e diede all'impero il carattere di una monarchia
assoluta di tipo orientale, trasformando anche in questo senso l’e-
tichetta di corte. Egli cercò pure di fissare le norme per la successione
al trono in maniera da evitare le guerre civili, mercè la coesistenza di
due Augusti e di due Cesari che si rinnovavano per cooptazione. Ma,
dopo il ritiro di Diocleziano, si rinnovarono le guerre civili, finchè
Costantino ristabili l’unità dell’impero, che però durò poco e, dopo
varie vicende, si spezzò definitivamente alla morte di Teodosio. Durante
tutto il quarto secolo dell’era volgare e nei primi decenni del quinto la
dissoluzione politica, economica e morale dell'Impero romano di
Occidente si aggravò sempre più fino a diventare un male irreparabile.
Come già si è accennato è difficile di accertare quale sia stata la causa prima
di questa decadenza, dovuta probabilmente ad un complesso di cause,
prevalentemente di natura interna, alcune delle quali sono abbastanza
note. E prima di tutto bisogna segnalare la diminuzione della
popolazione dovuta, oltre che a qualche irruzione dei barbari, alle
frequenti pestilenze ed alle carestie. Nè l’igiene pubblica nè il sistema
dei trasporti erano allora così perfezionati da potere prevenire le
stragi delle une e delle altre. Si aggiunga che la natalità era
scarsa, perchè il cristianesimo non era ancora così diffuso nelle plebi rurali
da sradicare l’uso del procurato aborto e dell’esposizione degli infanti.
La diminuzione della popolazione produsse naturalmente l'abbandono
della coltura di molti campi, alla quale si cercò di riparare coll’istituzione
del colonato, che legava l’agricoltore ed i suoi figli alla terra, rimedio
artificioso ed insufficiente. Altra causa e la decadenza della
classe media, dovuta soprattutto all’eccessivo fiscalismo. Oltre
alle dogane ed alla imposta del cinque per cento sulle eredità, il
maggior provento del fisco imperiale consisteva nell’imposta sulla
proprietà terriera. Essa veniva ripar- tita mediante il sistema del
contingente, in base al quale il governo centrale stabiliva l'onere di
cui era gravato ogni municipio. Della riscossione erano incaricati i
decurioni, ossia i membri del consiglio muni- cipale reclutato fra i
maggiori censiti, i quali erano tenuti a ricoprire con le loro sostanze
la differenza fra la somma stabilita e quella realmente riscossa. I
grandi proprietari residenti a Roma o nelle ‘principali città
dell'impero si facevano esentare facilmente dal decu- rionato, che così
ricadeva tutto sulle spalle dei medi e piccoli proprietari e li
rovinava. Si aggiunga che l’incertezza del valore della moneta
doveva contribuire ad aggravare la crisi economica. Durante il periodo
dell’anarchia militare, nella seconda metà del terzo secolo, si era
cominciato a coniare mo- neta falsa, mescolando nelle zecche dello Stato
del piombo all’argento e qualche volta all’oro. Natural- mente nel
commercio queste monete erano accettate per il loro valore reale con un
conseguente rincaro dei prezzi. DIOCLEZIANO cerca di ripararvi con
un’unica tariffa che stabiliva in tutto il territorio dell'impero i
prezzi massimi di tutte le derrate e di tutti i servizi. Ma ciò era
assurdo, perchè fra le altre cose era im- possibile che una derrata
avesse lo stesso prezzo in: tutte le parti del vastissimo impero, sicchè,
malgrado le gravi pene comminate a chi la violava, la tariffa non
fu applicata. È noto anche che in molte parti dell’impero il
brigantaggio era una piaga permanente e contribuiva. a turbare la
sicurezza dei beni e ad impoverire a pre- ferenza il medio ceto, perchè i
ricchi si difendevano con le loro guardie private ed i poveri erano
difesi dalla loro stessa povertà. Ma soprattutto ciò che aggravava
le conseguenze degli errori del governo e rendeva inefficaci quei
provvedimenti che sarebbero stati utili fu la corruzione della.
numerosissima ed invadente burocrazia, la quale, dopo il terzo secolo,
avea conquistato sempre maggiori poteri a Scapito delle libertà individuali e
delle autonomie municipali. Gli storici ricordano qualche caso
tipico di questa corruzione. Quando i goti, sospinti dagl’unni, chiesero
verso la fine del quarto secolo di sta-bilirsi nel territorio dell'impero a
mezzogiorno del Danubio, gli imperatori accolsero la loro domanda, e promisero
loro viveri per un anno e sementi per coltivare la terra a patto che
consegnassero le armi. Or i funzionari incaricati di questo servizio li
derubarono dei viveri e delle sementi, e, lasciandosi corrompere
dai loro doni, lasciarono loro le armi. Sicchè i barbari si
ribellarono, devastarono la penisola balcanica e sconfissero ed uccisero in
battaglia l’ imperatore VALENTE (si veda). Altrò caso tipico di corruzione
burocratica fu quello narrato dallo storico Ammiano Marcellino a
proposito di una serie di inchieste che ebbero luogo in Tripolitania.
Senonchè tutto ciò spiega solo in parte la caduta dell’ Impero
romano d'Occidente e, fatto più grave di questa caduta, la grandissima
decadenza, per non dire la dissoluzione, della civiltà antica. Perchè in
ogni paese civile ed in ogni generazione, accanto alle forze
dissolvitrici, vi sono sempre quelle conservatrici e ricostituenti,
rappresentate dai caratteri nobili e devoti al pubblico bene; ed uomini
di questo carattere non mancavano nella società romana nel quarto e
quinto secolo dell’era volgare, tanto vero che la Chiesa ebbe
allora una serie di uomini superiori, come indiscutibilmente furono
sant’Ambrogio, son Girolamo, sant’Agostino, Paolino di Nola, Salviano, Paolo
Orosio, ecc. Ma questi uomini superiori per ingegno e moralità non
ritardarono la caduta dell'Impero romano d’Occidente perchè facevano parte
della gerarchia ecclesiastica; nella quale, sebbene non facesse difetto
il patriottismo, la salvezza dei corpi era posposta a quella delle
anime. All’ideale pagano (partecipazione attiva alla vita dello Stato,
sentimento del dovere civico e militare, concezione immanentistica della
vita), si so- stituiva, in gran parte e necessariamente, quello cristiano
(disinteresse per le cose di questo mondo e quindi anche per lo Stato,
aspirazione alla beatitudine eterna, concezione trascendentale della vita,
considerata come un esilio, un passaggio, un ostacolo al
raggiungimento della perfezione cristiana). Veniva cioè
dissolvendosi quell’ insieme di idee e di sentimenti che sino ad allora
aveano diretto l’azione della civiltà antica e per- ciò veniva a mancare
quella forza morale che è il coefficiente essenziale degli sforzi
collettivi di ogni società umana, e tale mancanza doveva di conseguenza
produrre, sotto la spinta di un urto esteriore un po’ grave, la
dissoluzione dell’organismo politico e della civiltà che erano da quella
forza morale vivificati e sostenuti. Così morì l’ Impero romano
d’Occidente, che, meno favorevolmente situato di quello d’Oriente, ebbe
inoltre la sventura di essere assalito ed invaso dai barbari proprio nel
periodo più acuto della crisi morale, occasionata dal diffondersi del
Cristianesimo fra la sua classe dirigente; mentre l'Impero d’Oriente ebbe
il tempo di reintegrare le proprie forze materiali e morali, di superare
il momento peggiore della crisi e potè ancora durare per quasi un
millennio. Colà il Cristianesimo, diventato nel sesto secolo dell’era
volgare e nei susseguenti religione nazionale dell’impero, contribuì ad
accrescerne la forza ed a mantenerne la compagine di fronte agli attacchi
prima dei Persiani, poi degli Arabi e per lungo tempo dei Barbari del
settentrione. Nè bisogna dimenticare che a cominciare dagli inizi
dell’ottavo secolo la lotta contro il culto delle immagini fu l’effetto, nella
società bizantina, di una reazione dell'elemento laico contro l’ascetismo
ed il monachismo. Gaetano Mosca. Mosca. Keywords: implicatura,
mafia. Stato liberale, stato sindacale, regime parlamentare, partito e
sindacato. Refs.: H. P. Grice: “Mosca’s liberalism;” Luigi Speranza, "Grice e Mosca," per il Club Anglo-Italiano,
The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria.
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