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Monday, January 27, 2025

LUIGI SPERANZA -- "GRICE E MOSCA"

 

Luigi Speranza -- Grice e Mosca:  a l’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Palermo -- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Palermo). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Palermo, Sicilia. Grice: “When Austin was defending the ‘man in the street,’ he was thinking Mosca!” -- Grice: “I like Mosca; he speaks of elites – Gellner speaks of elites, too!” -- Grice: “Do Italians consider Mosca a philosopher?” –  Saggi: “Sulla teorica dei governi e sul governo parlamentare,  Appunti sulla libertà di stampa, Questioni costituzionali, Le Costituzioni moderne; Elementi di scienza politica, Che cosa è la mafia, Appunti di diritto Costituzionale, Italia, Stato liberale e stato sindacale, Il problema sindacale,  Saggi di storia delle dottrine politiche, Crisi e rimedi del regime parlamentare, Storia delle dottrine politiche, Partiti e sindacati nella crisi del regime parlamentare, Ciò che la storia potrebbe insegnare. Scritti di scienza politica (Milano), Il tramonto dello Stato liberale (a cura di A. Lombardo, Catania) Scritti sui sindacati (a cura di F. Perfetti, M. Ortolani, Roma) Discorsi parlamentari (con un saggio di Panebianco, Bologna. Appunti di diritto costituzionale dall’Enciclopedia Giuridica Italiana. Milano.  La genesi delle cottituzion imoderne. Cenni storici sulla scienza del diritto costituzionale. Definizione dello stato e della sovranità. Condizioni sociali che prepararono il regime rappresentativo. Dottrine politiche che integrano l'azione del dizioni sociali. La costituzione inglese e sua importanza con  dello di tutte le costituzioni moderne. Origini. Ordinamenti politici ed amministrativi dell'Inghilterra. La prima rivoluzione inglese. La restaura:   Vhabecis corpus. La seconda rivoluzione inglese. Il seconc   dei diritti e Patto di stabilimento. Lo svolgimento della costituzione inglese nel  decimottavo.  Lo statuto albertino.  Caratteri delle prime costituzioni moderne. più dirette dello statuto albertino. Il re. Sue prerogative e norme della succezione monarchica. Il gabinetto, i ministri ed il presidente del consiglio. La responsabilità penale dei ministry. La formazione delle due Camere. Varii sistemi  di suffragio.  La legge elettorale politica. Prerogative e funzioni dell» due Camere. Dell’ordine giudiziario. Dei diritti individuali. Dei rapporti fra la chiesa e lo stato. Lo studio del diritto pubblico in genere e del  diritto costituzionale in ispecie richiede anzitutto  la definizione esatta di certi concetti che, per quanto  non nuovi, non hanno acquistato ancora un significato preciso e determinato e nello stesso tempo  accolto da tutti. Il concetto di Stato, che è il più fondamentale  di tutti, venne ad esempio elaborato fin dalla classica antichità e corrisponde a ciò che i greci chiamavano “polis” ed i romani “respublica”. Eppure anche oggi si disputa sulla origine e la natura  dello stato. Fra tutte le definizioni dello stato la migliore mi sembra quella che lo fa consistere nella organizzazione politica e giuridica di un popolo entro  un determinato territorio, ma anche essa ha bisogno di spiegazioni e commenti.  Quando si dice infatti organizzazione politica di  un popolo, s' intende quella di tutti gli elementi che dirigono politicamente un popolo ossia esercitano funzioni statuali. Nello stato moderno perciò vanno  compresi non solo tutti i pubblici funzionari, tenendo conto pure di quelli fra costoro che non  sono pubblici impiegati, ma anche i membri del parlamento ed i consiglieri provinciali e comunali;  e perfino gl’elettori politici e comunali, quando  sono convocati nei comizi, esercitano funzioni statuali e perciò fanno parte dello stato. Ma per quanto in una organizzazione statuale  democratica lo stato comprende, almeno  giuridicamente dappoiché in fatto le cose vanno diversamente, la parte maggiore della società, pure questa non si confonde mai intieramente collo stato. Perchè anche nei paesi dove vige il suffragio universale vi sono molti individui che pur fanno parte  del sociale consorzio, come le donne, i minorenni  e coloro che per condanne sono esclusi dal suffragio, i quali in nessun caso partecipano alle funzioni politiche o statuali.  Ma se lo stato non è la società, esso essendo  costituito dal complesso di tutti gl’elementi che  partecipano alla direzione politica di questa non è certo al di fuori della società. Il cervello non è tutto  il corpo umano, ma ne fa parte e senza di esso il  corpo umano non può vivere. Bisogna però notare  che la vita del corpo sociale ha delle analogie  non delle identità con quelle dell'individuo umano.  Infatti in questo ogni singola cellula è fissata nell'organo di cui fa parte, mentre negl’organismi sociali più perfezionati, nei quali le funzioni statuali sono suddivise in vari organi le cui attribuzioni sono giuridicamente limitate, vediamo spesso che il medesimo individuo fa parte dello stato nell'esercizio della sua pubblica funzione e é sem-plice membro della società al di fuori della sua  funzione e di fronte a tutti gli altri organi dello stato. Ciò accade tanto al semplice elettore che  al magistrato ed allo stesso membro del parlamento, se non vogliamo tener conto per i due ultimi delle poche speciali prerogative che mirano a  salvaguardarne l'indipendenza nell'esercizio delle  loro funzioni. Molti filosofi considerano intanto lo stato e la  società come due enti che per necessità vivono in  continuo antagonismo, per alcuni anzi lo stato è  il perpetuo nemico della società. Dopo quanto si è  scritto risulta evidente che il loro concetto è per lo  meno inesatto e sopratutto è difettoso perchè contribuisce piuttosto a confondere che a chiarire le  idee che si possono avere sull'argomento. Nondimeno esso non è del tutto falso e può essere anzi  riguardato come una interpretazione sbagliata di  una condizione di cose in tutto od in parte verace.  È indiscutibile infatti che in una società vi possono essere elementi dirigenti che dalla costituzione in vigore sono tenuti lontani dalla organizzazione statuale. Ed allora naturalmente vi è una lotta fra questi elementi e quelli già accolti entro lo stato che può assumere la parvenza di una lotta fra stato  e società. E può anche accadere che i progressi del  senso morale e giuridico di una società abbiano oltrepassato quel livello che si era aggiunto nel  momento della formazione del suo organismo politico. Sicché questo, rimasto arretrato, permette  ai rappresentanti dello stato un'azione che riesce vessatoria ed arbitraria per gli altri membri della società.  Ma in sostanza i periodi di antagonismo acuto  fra gl’elementi statuali e quelli extra-statuali di una  società possono essere considerati come eccezionali e sogliono ordinariamente precedere le grandi  rivoluzioni. Tutto quanto si è detto spiega perchè lo stato sia l'organizzazione politica di un popolo. Se si tiene poi presente che, in tutti i paesi che hanno raggiunto un certo grado di civiltà, le condizioni in base alle quali si arriva all'esercizio delle funzioni statuali ed i limiti di queste funzioni sono determinati dalla LEGGE si vede facilmente come  questa organizzazione sia non solo politica ma anche giuridica; perchè essa crea fra i diversi organi  dello stato e fra coloro che esercitano le funzioni statuali ed i semplici cittadini una serie di rapporti giuridici. Questi rapporti nascono in base ad una facoltà  che lo stato esclusivamente possiede: la sovranità. La sovranità consiste nel potere di conchiudere convenzioni e trattati con un’ altro stato e di creare il diritto e farlo eseguire in tutto  il territorio sottoposto allo stato.  I filosofi, educati quasi esclusivamente alle concezioni del diritto privato, si sono spesso trovati  in qualche imbarazzo riguardo a questo attributo della sovranità. Essi stentano a spiegaisi  come e perchè l'ente che ha facoltà di fare la legge, di modificarla e disfarla e *sottoposto* alla legge. Per darsi ragione di questo fatto i filosofi hanno ricorso a tante ipotesi, fra le quali la  più divulgata è quella che lo stato a sorto in  base ad una convenzione, ad un “contratto”, ad un  atto giuridico tacito od espresso, ma ad ogni modo consentito da coloro che fanno parte del consorzio sociale sul quale esso esercita la sua sovranità.  Prendendo a base il concetto che già si è adottato sullo stato e dei suoi rapporti  con la società non riesce difficile di risolvere la difficoltà accennata. Già fin dal tempo dei filosofi e giureconsulti romani si distinsero nello stato due personalità -- una di diritto PRIVATO, per la quale esso potea contrarre obbligazioni come ogni altra persona giuridica -- ed un'altra di diritto PUBBLICO che  gli confere l'esercizio dei poteri sovrani. L'esercizio di questi poteri produce la conseguenza che lo Stato impone a tutti i cittadini degli obblighi, come ad esempio quello dell'imposta e del servizio militare, senza offrire in cambio alcun corrispettivo diretto. Senonchè è da osservare che nelle forme di stato più perfezionato e sopratutto nello stato  rappresentativo moderno, quando si tratta d'imporre questi obblighi e di esercitare in genere la  funzione sovrana per eccellenza, che è quella di  fare le leggi, è necessario il consenso del capo dello stato e di tutte quelle forze politiche che son  rappresentate nei due rami del parlamento. Nel  momento nel quale, collettivamente e nelle forme  volute, gl’elementi ai quali è affidato il POTERE LEGISLATIVO esercitano questa funzione, essi sono sovrani, cioè, SUPERIORI alla legge perchè la fanno  e la disfanno, in tutti gli altri momenti ed individualmente sono soggetti alla sovranità, cioè all'impero della legge. A guardarci bene nello stato moderno ciò non rappresenta una vera anomalia, perchè anche nell'esercizio delle altre funzioni statuali gl’elementi  che le disimpegnano agiscono, sia individualmente  che collegialmente, in nome dello stato e lo rappresentano nei limiti delle loro attribuzioni. Mentre sono completamente soggetti alla sovranità  dello stato in qualunque *altra* manifestazione della  loro attività personale. Tanto i membri del POTERE GIUDIZIARIO che gl’agenti del POTERE ESECUTIVO si  trovano infatti nelle condizioni accennate, colla differenza però che, quando esorbitano dalla loro funzione ed anche nell'esercizio della loro funzione, è sempre possibile di esercitare sopra di essi un controllo che riesce malagevole, se non impossibile, di fronte al potere legislativo.   Sia a causa di una lontana parentela. etnica, sia   perchè l'influenza delle vicine colonie greche dell’ Ita-  lia meridionale avrebbe agito efficacemente fin dal se-  sto secolo avanti l’era volgare, certo è che l’organiz-  zazione politica delle città italiche, all’inizio dell’epoca  storica, presenta molte analogie con quella dello stato-  città ellenico.   In Roma infatti, che è la più nota fra le città  italiche, troviamo in origine il Re, il Senato composto  nei tempi più antichi dai capi delle diverse genti pa-  trizie, ed i Comizi, ossia l’assemblea del popolo. Abo-  lita come in Grecia la regalità ereditaria e sostituita  ad essa il consolato e le altre magistrature temporanee,  elettive e quasi sempre multiple, sorse presto anche a  Roma la lotta tra l’antica cittadinanza patrizia, costi-  tuita da coloro che facevano parte delle antiche genti  e la nuova cittadinanza plebea, composta a preferenza  dai discendenti degli stranieri domiciliati e dei servi  liberati. E per un certo tempo pare che due città coesiste nell’urbe, con magistrature speciali all’una  ed all’altra, finchè si fusero quasi intieramente con una costituzione che ricorda molto il tipo ellenico della città-stato, ma che si distingue da essa per alcune particolarità originali. Le principali sarebbero la maggior  facilità con la quale veniva accordata gradatamente la  cittadinanza, od una semicittadinanza, alla parte migliore dei popoli vinti, il mantenimento di tutti i diritti di cittadinanza ai coloni che si spedivano in siti  abbastanza lontani dalla capitale, ed infine il carattere  spiccatamente aristocratico che conservò fino all’ultimo  secolo della repubblica la costituzione romana rispetto  a quella di quasi tutte 1é città greche. Infatti il Senato romano nell’epoca storica era com-  posto da coloro che erano scelti dal censore fra le persone che avevano esercitato cariche elevate, e solo in  un'epoca relativamente recente i Comizi centuriati fu-  rono riformati in maniera da togliere in essi la pre-  ponderanza alle classi altamente censite ed accanto at  Comizi centuriati furono ammessi i Comizi tributi, nei  quali prevaleva il numero sul censo. Però la legge non  poteva essere approvata se non nelia forma precisa con  la quale i magistrati l'avevano proposta, ed il Senato  romano ebbe attribuzioni ed autorità assai più larghe  di quelle concesse ai corpi analoghi che si potevano  trovare in qualche città ellenica. Ed in quanto alle  cariche elettive il costume, più che lia legge, impedì  sino agli ultimi tempi della repubblica che fossero conferite a veri popolani. Infatti il tribunato militare, che  era il primo gradino che dovevano salire coloro che  aspiravano alla carriera politica, fino alla fine della repubblica non fu praticamente accessibile che ai membri dell’ordine equestre, i quali dovevano possedere  un censo piuttosto elevato. Ma quando Roma, dopo avere sottomesso l'Italia,  ebbe conquistato quasi tutte le terre bagnate dal Mediterraneo apparì chiaramente che la costituzione della città-stato, sia pure modificata nel modo accennato,  non poteva più funzionare. Infatti la lontananza della.  grande maggioranza dei cittadini era di ostacolo alla  regolare e pronta riunione dei Comizi nel foro, i quali  in ultimo non furono più frequentati che dalla pleba-  glia che abitava nell’ Urbe. Inoltre diveniva impossibile di conservare l’annualità delle cariche più elevate  quando i consoli dovevano fare un lungo viaggio per  recarsi nelle lontane province. Oltre a ciò era avvenuto un profondo rivolgimento nella distribuzione della proprietà fondiaria, poichè  questa si era a poco a poco accentrata nelle mani di  un piccolo numero di latifondisti, e quindi era gradatamente diminuita quella classe di piccoli proprietari  che per lungo tempo aveva costituito il nerbo degli:  eserciti romani. Per riparare a questa deficienza furono promulgate due leggi: una proposta da Caio GRACCO, mediante la quale l’armamento non era più a carico del soldato, ma veniva.  pagato dal pubblico erario, e l’altra proposta da Caio MARIO, il riformatore dell’organizzazione militare romana, con la quale ve-.  nivano ammessi nelle legioni non solo i proletari ma  anche i figli dei liberti. Conseguenza di queste leggi e delle guerre lunghe e lontane fu che all’esercito cittadino si andò  mano mano sostituendo un esercito di soldati di mestiere, reclutati negli strati più bassi della popolazione,  e praticamente il comando (imperium), prima corcesso  solo temporaneamente e con possibilità di revoca ai  comandanti delle legioni, divenne illimitato e si protrasse per molti anni; sicchè i soldati divennero facili  strumenti dei loro capi sostenendone gli ambiziosi di-  segni a patto di partecipare ai vantaggi della vittoria.  In questa condizione di cose bisogna ricercare una delle principali origini delle guerre civili, che ebbero come conseguenza un sensibile spostamento della proprietà  privata; perchè durante la prima, e soprattutto durante  la seconda proscrizione, molte furono le terre che ven-  nero tolte ai ricchi ed ai medii proprietari e furono distribuite ai soldati, cioè ai proletari armati.  Viva è stata una disputa fra alcuni storici moderni,  perchè alcuni sostengono che OTTAVIANO vuole creare una nuova forma di governo, sostituendo l’impero alla  Repubblica, mentre altri invece opinano che egli volle  conservare la forma repubblicana ritoccandola dove e necessario. A noi la questione sembra, in tali termini, posta  male; perchè le persone non troppo addentro nello studio dell’istituzioni romane potrebbero in tal modo supporre che la repubblica in Roma antica fosse una  forma di governo presso a poco uguale alle moderne  repubbliche e che l'impero d’OTTAVIANO ha molta somiglianza con gl’imperi moderni. La verità è che  OTTAVIANO vide che l’antica costituzione dello stato-città  non puo più funzionare dopo che Roma aveva soggiogato tutte le coste del Mediterraneo e che i cittadini romani sono diventati milioni e perciò aggiunse a  quelli antichi nuovi e più efficaci organi di governo,  adattando pure, per quanto era possibile, gl’organi  antichi ai bisogni nuovi. Quindi i comizi come organi legislativi comincia-  rono ad andare in disuso, sebbene Augusto abbia fatto  .da essi approvare due importanti leggi tutelatrici del-  l'istituto familiare, cioè la legge Papia Poppea de  maritandis ordinibus e la legge Julia de adulteriis.  L’ultima legge approvata dai comizi, di cui si ha notizia, è una legge agraria di NERVA (si veda). La funzione legislativa dei comizi passò all’ Imperatore ed al Senato, il quale emanava Senatus consulta  aventi forza di legge. Però le antiche prerogative di  questo corpo politico furono notevolmente limitate; in-  fatti gli affari finanziari e la politica estera, che erano  stati di sua competenza, furono in buona parte affidati  all’ Imperatore! Le province dell’impero furono divise in imperiali  e senatorie; le une erano amministrate direttamente  dall’ Imperatore mediante funzionari da lui nominati,  le altre da funzionari nominati dal Senato. È da notare che le province imperiali erano quasi tutte ai confini dell'impero ed in esse risiedevano le legioni delle  quali era generalissimo l’imperatore, il quale aveva conseguentemente nelle sue mani la forza militare, e nelle  province imperiali, dove vi era un governo militare,  esercita un’autorità assoluta. A Roma e nelle province senatorie l’mperatore  era un magistrato civile, però cumulava in sè tante  cariche che la sua volontà era preponderante. Le antiche magistrature repubblicane furono quasi tutte con-servate, ma, accanto ad esse, si istituirono nuove e  più efficaci ciriche, coperte da semplici cavalieri o dai  liberti dell’ Imperatore, che dipendevano direttamente  da lui. Così a poco a poco la burocrazia imperiale  Nella civiltà. antica non si riscontra quella netta suddivi-  sione di attribuzioni fra i diversi organi sovrani che, almeno teoricamente, esiste oggi nei paesi di civiltà europea ed americana;  poichè spesso la stessa attribuzione, come ad esempio il potere  legislativo, veniva a vicenda esercitata da due organi diversi. Di,  fatto poi a Roma, nei primi due secoli dell'impero, i poteri del  Senato si allargavano e restringevano secondo la volontà degli  imperatori; più rispettosi essendo in generale dell’autorità del  Senato quelli che lasciarono un buon nome, come ad esempio  TRAIANO (si veda), meno assai quelli che furono dai contemporanei e dai  posteri giudicati malvagi. oa  soppiantò le antiche magistrature, che divennero col  tempo puramente onorifiche.   Rimase soltanto, come traccia e ricordo dell’antico  regime politico, la /ex regia de imperio per la quale  nominalmente era il Senato, come rappresentante del  popolo romano, che conferiva all'Imperatore la sua  potestà; sebbene di fatto era il favore ed il disfavore  dei pretoriani e poi delle legioni che creava ed abbat-  teva gli imperatori. Ad ogni modo la legge citata fa-  ceva sì che, fino alla fine del terzo secolo dopo Cristo,  la costituzione dell'impero romano si poteva distin-  guere da quella degli antichi imperi orientali, nei quali  il sovrano era tale per delegazione del Dio nazionale  O per privilegio ereditario della sua famiglia. Di questo concetto relativo all’origine dell’autorità dell’ imperatore romano si trova ancora il ricordo nelle Pandette di GIUSTINIANO; e GREGORIO Magno, scrivendo all’ imperatore d’Oriente, affermava che mentre i sovrani stranieri  (reges gentium) erano signori di servi, gl’imperatori  romani (imperatores vero reipublicae) comandavano  ad uomini liberi. Uno dei punti più deboli della costituzione impe-  riale romana fu la incertezza della regola di successione,  la quale faceva sì che nascessero frequenti lotte fra i  diversi pretendenti al trono. I primi cinque imperatori  appartenevano per sangue o per adozione alla famiglia  Giulia Claudia, spentasi questa con NERONE; dopo un anno di guerre civili sottentra con tre imperatori, Vespasiano, TITO e Domiziano,  la famiglia Flavia. Con quell’anno prevale  il costume dell’adozione, mediante il quale l’imperatore vivente designava il successore e, mercè questo.    costume, si ebbe una serie di buoni imperatori. In quell’anno si tornò alla successione naturale,  perchè ad ANTONINO (si veda) succedette l’indegno suo figlio COMMODO (si veda) e, dopo che questi fu ucciso, nel 192 dopo  Cristo, ricominciarono le guerre civili fra i candidati  alla successione, sostenuti ognuno dalle proprie legioni,  e con il ricominciare di queste lotte si manifestarono  i primi indizi della decadenza dell’ impero e della ci-  viltà antica. Le dottrine politiche dei filosofi romani non  sono molto originali. I romani, uomini eminentemente  d'azione, amano poco di teorizzare. Inoltre nell’ultimo secolo della Repubblica, epoca torbida di lotte  civili, le teorie servivano poco. Sotto l’ Impero manca il fine pratico per l’indagine teorica dei problemi  politici. Ad ogni modo fra i filosofi romani nei quali  si trovano pensieri che hanno rapporti con la vita politica si può anzitutto ricordare LUCREZIO (si veda), il quale  nel suo poema De rerum natura dopo aver ammesso  l'esistenza degli Dei, i quali però non si occuperebbero  delle cose di questo mondo, ricerca le origini degl’ordinamenti politici. Afferma che in principio gl’uomini si riunirono  in città sotto capi scelti tra i più forti ed i più prestanti, poichè questo è il significato che bisogna dare all’aggettivo pulcher che LUCREZIO usa; costoro degenerando abusarono del loro potere raccogliendo nelle  loro mani tutte le ricchezze e suscitando così la ribellione dei governati, la quale avrebbe provocato uno  stato di anarchia che avrebbe reso necessaria la for-  mulazione delle leggi e l'elezione dei magistrati. Come facilmente si vede vi è in queste teorie  molto eclettismo e si sente in esse l’ influenza di Platone e di Polibio. SALLUSTIO (si veda) nella sua De bello jugurtino mette in bocca a CAIO MARIO una violenta invettiva  contro l’aristocrazia romana, inoltre nella descrizione  che fa della congiura di CATILINA mette in evidenza in  maniera efficacissima la corruttela della vita politica  romana negl’ultimi tempi della repubblica. Altro filosofo che si occupa anche di politica e CICERONE che nel De republica, nel De legibus e nel De officiis esamina le tre tradizionali forme di governo,  affermando la sua preferenza per un governo misto nel  quale le tre forme erano fuse. Appare in ciò chiaramente l’ influenza di Polibio. Oltre a ciò CICERONE parlando della schiavitù non ammette la teoria aristotelica  della disuguaglianza degl’uomini, ma la giustifica con  un principio di diritto internazionale, affermando cioé  che nella guerra i vinti ai quali si lascia la vita diventano servi. Intanto è giusto ricordare che CICERONE tratta assai umanamente i suoi schiavi, specialmente quelli colti che venneno dall’Oriente, e difatti sono molto affettuose le lettere che scrive al suo liberto e collaboratore Tirone. Seneca, basandosi sulla distinzione fra diritto naturale e diritto civile, sostenne che la schiavitù non  e giustificabile dal punto di vista del diritto naturale,  ma lo e in base al diritto civile. TACITO nell’annali dice incidentalmente che i governi misti di monarchia, aristocrazia e  democrazia è più facile che siano lodati anzichè effettuati e che, se sono effettuati, non durano. Non sembra che TACITO sia stato repubblicano nel senso che  avrebbe desiderato il ritorno all’antica forma di governo anteriore a GIULIO Cesare e ad OTTAVIANO, egli e soltanto avverso ai cattivi imperatori e lodava quelli buoni,  che hanno saputo conciliare il principato con la libertà, cioè col rispetto delle leggi e dell’autorità del senato. Il più grande contributo alla elaborazione della civiltà antica lo diede la Grecia, ma fu merito di Roma  l’avere esteso i risultati della cultura ellenica a buona  parte dell’Asia, all'Africa settentrionale ed a tutta quella  parte dell’ Europa che sta a mezzogiorno del Danubio  e ad occidente del Reno e perfino alla parte meridio-  nale della Gran Bretagna. E merito anche maggiore  di Roma fu quello di avere introdotto, dovunque esten-  deva il proprio dominio, leggi, idee e costumi presso  a poco uguali, sostituendo, senza apparente coazione,  in Occidente IL LATINO, in Oriente il greco, alla MOLTITUDINE DEI LINGUAGGI BARBARICI e facendo col tempo sparire ogni distinzione fra vincitori e vinti, conquistatori,  e conquistati. Poichè con l’editto di CARACALLA si estende la cittadinanza romana a  quasi tutti i provinciali, completando così quella unità  politica e morale di tanta parte del mondo civile, che,  dall’ora in poi, non è stata più raggiunta. Urbem fecisti quod prius orbis erat. Così canta il poeta gallico Rutilio Namaziano al  principio del quinto secolo dell’era volgare, riassumendo  in poche parole l’opera grandiosa che nel corso di parecchi secoli Roma aveva compiuto. La ricerca delle cause che produssero la caduta  dell'Impero romano d'Occidente è ancora uno dei più oscuri problemi fra quelli che presenta la storia. Poichè  non si tratta soltanto di spiegare il crollo di un organismo politico, ma la dissoluzione, sia pure non completa ma certamente profonda, di una civiltà. Una osservazione, che forse finora non è stata fatta, è quella  che riguarda la China e fino ad un certo punto l’ India,  paesi la cui civiltà ha avuto pochi contatti con quella  ellenica e romana, e nei quali, pur essendosi succedute  parecchie invasioni barbariche, i conquistatori, in capo  ad un paio di generazioni hanno assorbito la civiltà  dei vinti e questa ha continuato il suo corso senza che  la decadenza sia stata lunga e molto sensibile. Ciò che  non è avvenuto alla caduta dell'Impero romano d’ Oc-cidente, ragione per la quale si può supporre che essa  sia principalmente dovuta a cause interne. È già noto che i primi gravi sintomi della crisi  si ebbero nel terzo secolo dopo Cristo e che essi sono  visibili perfino nell’arte e nella letteratura, che manifestano un notevole decadimento del gusto e del pensiero. Si è pure accennato alla mancanza di una norma  regolatrice della successione al trono che diede occasione ad una serie di guerre civili, durante le quali  qualche volta si ebbero tanti imperatori quante erano  le province importanti. Contemporaneamente ebbero  luogo le prime irruzioni dei barbari, che sparsero la  desolazione nella Gallia e nella penisola balcanica ed  arrivarono un momento perfino nell'alta Italia. Gl’imperatori Illirici Claudio secondo, Aureliano,  Probo, Caro ed in ultimo Diocleziano riuscirono a respingere i barbari pur abbandonando loro la Dacia e  quella parte della Germania che era ad oriente del  Reno e si estendeva fino alle sorgenti del Danubio;  poi Diocleziano per rinforzare il potere centrale compiè l’evoluzione già iniziata da Settimio Severo e diede  all'impero il carattere di una monarchia assoluta di tipo orientale, trasformando anche in questo senso l’e-  tichetta di corte. Egli cercò pure di fissare le norme  per la successione al trono in maniera da evitare le  guerre civili, mercè la coesistenza di due Augusti e  di due Cesari che si rinnovavano per cooptazione. Ma,  dopo il ritiro di Diocleziano, si rinnovarono le guerre civili, finchè Costantino ristabili l’unità dell’impero,  che però durò poco e, dopo varie vicende, si spezzò  definitivamente alla morte di Teodosio. Durante tutto il quarto secolo dell’era volgare e  nei primi decenni del quinto la dissoluzione politica,  economica e morale dell'Impero romano di Occidente  si aggravò sempre più fino a diventare un male irreparabile. Come già si è accennato è difficile di accertare quale sia stata la causa prima di questa decadenza,  dovuta probabilmente ad un complesso di cause, prevalentemente di natura interna, alcune delle quali sono  abbastanza note. E prima di tutto bisogna segnalare la diminuzione  della popolazione dovuta, oltre che a qualche irruzione  dei barbari, alle frequenti pestilenze ed alle carestie. Nè l’igiene pubblica nè il sistema dei trasporti erano  allora così perfezionati da potere prevenire le stragi  delle une e delle altre. Si aggiunga che la natalità era  scarsa, perchè il cristianesimo non era ancora così diffuso nelle plebi rurali da sradicare l’uso del procurato  aborto e dell’esposizione degli infanti. La diminuzione  della popolazione produsse naturalmente l'abbandono  della coltura di molti campi, alla quale si cercò di riparare coll’istituzione del colonato, che legava l’agricoltore ed i suoi figli alla terra, rimedio artificioso ed  insufficiente. Altra causa e la decadenza della classe media,  dovuta soprattutto all’eccessivo fiscalismo. Oltre alle  dogane ed alla imposta del cinque per cento sulle eredità, il maggior provento del fisco imperiale consisteva  nell’imposta sulla proprietà terriera. Essa veniva ripar-  tita mediante il sistema del contingente, in base al  quale il governo centrale stabiliva l'onere di cui era  gravato ogni municipio. Della riscossione erano incaricati i decurioni, ossia i membri del consiglio muni-  cipale reclutato fra i maggiori censiti, i quali erano  tenuti a ricoprire con le loro sostanze la differenza fra  la somma stabilita e quella realmente riscossa. I grandi  proprietari residenti a Roma o nelle ‘principali città  dell'impero si facevano esentare facilmente dal decu-  rionato, che così ricadeva tutto sulle spalle dei medi  e piccoli proprietari e li rovinava.   Si aggiunga che l’incertezza del valore della moneta doveva contribuire ad aggravare la crisi economica.  Durante il periodo dell’anarchia militare, nella seconda  metà del terzo secolo, si era cominciato a coniare mo-  neta falsa, mescolando nelle zecche dello Stato del  piombo all’argento e qualche volta all’oro. Natural-  mente nel commercio queste monete erano accettate  per il loro valore reale con un conseguente rincaro dei  prezzi. DIOCLEZIANO cerca di ripararvi con un’unica tariffa che stabiliva in tutto il territorio dell'impero i  prezzi massimi di tutte le derrate e di tutti i servizi.  Ma ciò era assurdo, perchè fra le altre cose era im-  possibile che una derrata avesse lo stesso prezzo in:  tutte le parti del vastissimo impero, sicchè, malgrado  le gravi pene comminate a chi la violava, la tariffa  non fu applicata.  È noto anche che in molte parti dell’impero il  brigantaggio era una piaga permanente e contribuiva.  a turbare la sicurezza dei beni e ad impoverire a pre-  ferenza il medio ceto, perchè i ricchi si difendevano con le loro guardie private ed i poveri erano difesi  dalla loro stessa povertà. Ma soprattutto ciò che aggravava le conseguenze  degli errori del governo e rendeva inefficaci quei provvedimenti che sarebbero stati utili fu la corruzione della.  numerosissima ed invadente burocrazia, la quale, dopo  il terzo secolo, avea conquistato sempre maggiori poteri a Scapito delle libertà individuali e delle autonomie  municipali. Gli storici ricordano qualche caso tipico  di questa corruzione. Quando i goti, sospinti dagl’unni, chiesero verso la fine del quarto secolo di sta-bilirsi nel territorio dell'impero a mezzogiorno del Danubio, gli imperatori accolsero la loro domanda, e promisero loro viveri per un anno e sementi per coltivare  la terra a patto che consegnassero le armi. Or i funzionari incaricati di questo servizio li derubarono dei  viveri e delle sementi, e, lasciandosi corrompere dai  loro doni, lasciarono loro le armi. Sicchè i barbari si  ribellarono, devastarono la penisola balcanica e sconfissero ed uccisero in battaglia l’ imperatore VALENTE (si veda). Altrò caso tipico di corruzione burocratica fu quello  narrato dallo storico Ammiano Marcellino a proposito  di una serie di inchieste che ebbero luogo in Tripolitania.  Senonchè tutto ciò spiega solo in parte la caduta  dell’ Impero romano d'Occidente e, fatto più grave di  questa caduta, la grandissima decadenza, per non dire  la dissoluzione, della civiltà antica. Perchè in ogni  paese civile ed in ogni generazione, accanto alle forze  dissolvitrici, vi sono sempre quelle conservatrici e ricostituenti, rappresentate dai caratteri nobili e devoti  al pubblico bene; ed uomini di questo carattere non  mancavano nella società romana nel quarto e quinto  secolo dell’era volgare, tanto vero che la Chiesa ebbe  allora una serie di uomini superiori, come indiscutibilmente furono sant’Ambrogio, son Girolamo, sant’Agostino, Paolino di Nola, Salviano, Paolo Orosio, ecc. Ma questi uomini superiori per ingegno e moralità  non ritardarono la caduta dell'Impero romano d’Occidente perchè facevano parte della gerarchia ecclesiastica; nella quale, sebbene non facesse difetto il  patriottismo, la salvezza dei corpi era posposta a quella  delle anime. All’ideale pagano (partecipazione attiva  alla vita dello Stato, sentimento del dovere civico e  militare, concezione immanentistica della vita), si so-  stituiva, in gran parte e necessariamente, quello cristiano (disinteresse per le cose di questo mondo e quindi  anche per lo Stato, aspirazione alla beatitudine eterna, concezione trascendentale della vita, considerata come  un esilio, un passaggio, un ostacolo al raggiungimento  della perfezione cristiana). Veniva cioè dissolvendosi  quell’ insieme di idee e di sentimenti che sino ad allora aveano diretto l’azione della civiltà antica e per-  ciò veniva a mancare quella forza morale che è il coefficiente essenziale degli sforzi collettivi di ogni società umana, e tale mancanza doveva di conseguenza  produrre, sotto la spinta di un urto esteriore un po’  grave, la dissoluzione dell’organismo politico e della  civiltà che erano da quella forza morale vivificati e sostenuti. Così morì l’ Impero romano d’Occidente, che, meno favorevolmente situato di quello d’Oriente, ebbe inoltre la sventura di essere assalito ed invaso dai barbari proprio nel periodo più acuto della crisi morale, occasionata dal diffondersi del Cristianesimo fra la sua  classe dirigente; mentre l'Impero d’Oriente ebbe il  tempo di reintegrare le proprie forze materiali e morali, di superare il momento peggiore della crisi e  potè ancora durare per quasi un millennio. Colà il  Cristianesimo, diventato nel sesto secolo dell’era volgare e nei susseguenti religione nazionale dell’impero, contribuì ad accrescerne la forza ed a mantenerne la compagine di fronte agli attacchi prima dei Persiani,  poi degli Arabi e per lungo tempo dei Barbari del settentrione. Nè bisogna dimenticare che a cominciare  dagli inizi dell’ottavo secolo la lotta contro il culto  delle immagini fu l’effetto, nella società bizantina, di  una reazione dell'elemento laico contro l’ascetismo ed  il monachismo. Gaetano Mosca. Mosca. Keywords: implicatura, mafia. Stato liberale, stato sindacale, regime parlamentare, partito e sindacato. Refs.: H. P. Grice: “Mosca’s liberalism;” Luigi Speranza, "Grice e Mosca," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria.

 

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