Luigi Speranza -- Grice e Paganini:
l’implicatura conversazionale di Roma – il Virgilio di Firenze – la scuola di
Lucca -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo toscano. Filosofo italiano.
Grice: “Paganin must be the only Italian philosopher who reads La Divina
Commedia philosophically!” -- Grice: “Strawson never read Paganini’s ‘cosmological’
tract on ‘spazio’ but he should, obsessed as he was with spatio-temporal
continuity. Grice: “I’ll never forget Shropshire’s proof of the immortality of
the human soul – He told me he basically drew it from an obscure tract by
Paganini, as inspired by the death of Patroclus – Paganini’s tract actually
features one of my pet words. He speaks of the ‘domma’
of the ‘immotalita dell’anima umana’ – Brilliant!” -- essential Italian
philosopher.Lucca stava passando dalla reggenza austriaca seguita al collasso
napoleonico al diventare capitale del borbonico Ducato di Lucca. Compì l'intero
corso dei suoi studi a Lucca, dedicandosi, fin dai tempi delle scuole
secondarie, alla filosofia. Insegnò filosofia negli istituti secondari
lucchesi. Prtecipò alla prima guerra d'indipendenza. Dopo la fine della guerra,
col l'annessione del Ducato di Lucca da parte del Granducato di Toscana fu
nominato docente nell'ateneo lucchese. In questo ufficio fu difensore della
dottrina rosminiana e nonostante venisse sorvegliato dalla polizia il governo
decise poi di offrirgli una cattedra a Pisa a seguito dei buoni uffici di
Rosso. Gli ultimi anni della sua vita furono rattristati da due avvenimenti; la
espulsione dai seminari ecclesiastici di discepoli a lui carissimi, perché rei
di professare le dottrine del Rosmini e la condanna di certe proposizioni tolte
ad arbitrio e senza critica dalle molte opere del filosofo di Rovereto. Muore a
Pisa. Annuario della R. Pisa per l’anno accademico. sba. unipi/it/ risorse /
archivio fotografico/ persone- in- archivio/ paganini- carlo-pagano Opere.
COLLEZIONE DI OPUSCOLI DANTESCHI INEDITI O RARI DA PASSERINI CITTA DI CASTELLO
S. LAPI CmOSE i IUHI
flSOFICI DELIiA DIVINA COMMEDIA RACCOLTE E RISTAMPATE DI FRANCIOSI CITTÀ
DI CASTELLO S. LAPI RICORDATO DA UN SUO
DISCEPOLO. In la mente m'è fitta, od or m'accora, la cara e buona imagine
paterna di voi, quando nel mondo ad ora ad ora m’insegnavate come l'uom
s'eterna. In. P., ell'aspetto e nell'animo, e come uomo venuto da secoli
lontani. Io vedo specchiata nella mia mente, che spesso lo ripensa con
riverente affezione di alunno,
la sua testa
di bellezza antica.
Fronte larga e pensosa, naso
aquilino, barba e capelli nerissimi, labbra sottili e poco pronte al sorriso,
quando socchiudeva gl’occhi e china il capo meditando, era in lui somiglianza
più che fraterna col San Paolo della Cecilia raffaellesca; ma,
nell'atto di alzare lo sguardo e la mano verso gl’alunni suoi,
sillogizzando, e rammenta piuttosto il LIZIO della Bettola d’Atene. Rado e lento al parlare per abito di
raccoglimento e per difficoltà di respiro, sopravvenu agli nel colmodella
virilità, persuade. La parola viva, stillando quasi dalla forte compagine della
sua parola pensata o dell’interna stampa, cade addentro negl’animi anche men
disposti a riceverla, come la goccia, stillante giù dalla roccia, a poco a poco
scolpisce orma profonda nel sasso sottostante. Natura di pensatore disdegnoso
e chiuso in sé, pochi lo intesero e
pochissimi lo pregiarono secondoverità. Cittadino prode, vagheggiò, lontano dal
volgo, un'idea nobilissima di paese sincero, di popolo giusto e sano. Educatore
potente, ma non ricco di propria virtù
creativa, commenta dalla cattedra, come
forse niun altro sa a'nostri tempi, l'alta
dottrina di SERBATI; benché non
possede l’attitudini del divulgatore: reca luce nuova, avviva la forza visiva,
ma nella mente di pochi. Asceta del pensiero,
un po'per indole e un po'per fiera volontà d'espiazione, esercitato in
severe continenze e astinenze di fantasia e di spirito, non ha le geniali divinazioni
dell'estro; né quel lampeggiare
improvviso di parola ispirata, in che s'aprono o s'intravedono lontananze
ideali, com'appunto in chiarore di lampo lontananze di mare e di cielo. La sua
prosa, nell'antica e salda semplicità dell'espressione, rammenterebbe la linea degl’edifici ROMANI,
se il
pensiero non vi apparisse
talora frastagliato in
minute analisi, in
distinzioni sottili, che
tengono della scolastica
medievale. Tempra di
filosofo, mente austera
e teosofica. P.
nel Poema sacro
vide il tempio,
ove l'arteumana, ispirata dalla
fede, fa sentire l'Ineffabile. Questo
egli principalmente dimostra,
pur rendendo onore
all' ingegno sovrano
del Poeta, nel
discorso " La teologia
d’ALIGHIERI; discorso, che qui
non si dà,
perchè fa parte
di volume troppo noto.
Ma de' suoi forti studi
danteschi fanno, credo,
miglior fede le
chiose, che qui
si danno raccolte
e ordinate; dove, cercando, con occhio
chiaro e con
affetto puro, dentro
al fantasma poetico
l'occulto e il
divino, P. riuscì ad
avvertire per la
prima volta o
a far meglio
palesi germi preziosi
di verità filosofiche. Cosi nelle
permutazioni della Fortuna
(Inf.) addita i
ricorsi vichiani; e
nel sillogismo delle
vecchie e delle
nuove cuoja (Pa-
[ALIGHIERI, Firenze, Cellini]
Ordinate per ragione
di tempo. Soggiungo
che questa ristampa
e condotta con
amoi'e di sincerità
anco nelle minime cose. Ho caro
che Casini, già mio
discepolo a Modena, abbia
rammentato tre volte
(Inf.; Purg.), sia
pure inconsapevolmente, il
maestro del maestro
suo; e una
di queste tre
volte (Purg.) offerto
a' letttri della
sua diligente esposizione
del Poema la
stillata sostanza di
chiosa paganiniana. Lo
Scartazzini, commentando la
terza Cantica, cita
P. due volte, mala seconda volta, dopo
averlo citato, se ne discosta
senza dir perchè;
e noi Commento
all'Inferno attribuisce a me,
certo per errore
di trascrizione, ciò,
che P. argomenta sull’apodosi
della comparazione dantesca
tra gli splendori
del mondo e
quelli de' cieli.
8 rad, il
sillogismo della stona,
che sì bene
armonizza col sillogismo del
cosmo e col sillogismo
della trinità divina;
cioè le tre
grandi età della
Preparazione a Cristo,
àBÌV Avvento di Cristo
e della Santificazione in
Cristo. Cosi nettamente distinse, restringendolo alla
creatura uomo, l'amore
naturale da quello animo;
dichiara da maestro il
verso: Averroè, che il
gran commento feo„
; segna il
giusto valore della
frase "uomo non sape„ là, dove si
tocca dell'origine
dell'idee, e dimostra da par suo che cosa valga nel
linguaggio degli scolastici subietto degl’elementi. Le note dichiarative non fanno una
grinza: quanto all’altre, io già ne
apersi, o diedi
a divedere, l'animo
mio nel Libro delle
Ragioni. Ma, pur dissentendo
in parte, riconosco
' Perez, in
una sua lettera
al Paganini, scrive: Intendo assai
bene la verità
e la bellezza
di que' tre
sillogismi della Storia,
della Cosmologia, della
Teologia; armonia del
creato e dell'increato, che
non vidi mai
annunziata in forma
somigliante „. Lettera di
Perez a P. (Nozze Perez-Fochessati), Verona,
Franchini. Tommaseo si dice
lieto d'esser corretto
da P., ch'egli giudica
uno de' più
idonei a scrutare
le intenzioni, le
dottrine, le origini
del verso dantesco;
nobilmente confessa d'avere errato,
restringendo ai corpi
Vamor naturale, ma
insieme consiglia P. di
non restrin- gere quest'amore, ch'è
Varco fatale nell'inno
dell'ordine (Parad.), entro
i confini della
creatura intelligente. Nuovi
studi su ALIGHIERI, Torino.
Giuliani in una
postilla marginale, ohe
Poletto riferisce (Dizionario dantesco), volle
far suo, credo,
il pensiero di P.
Nuova raccolta di
scritti danteschi, Parma,
Ferrari e Pellegrini,
volentieri che tutte
queste chiose dantesche,
come i lavori più
gravi" Saggio cosmologico
su lo spazio„
e "Delle più
riposte armonie tra
la filosofìa naturale
e la soprannaturale„ sono bellissimo
documento d'intelligenza acuta
e serena, d'abito
di ragionare diritto
e spedito, di
chiarezza viva di
scienza convertita, per
lunga meditazione, in
nutrimento del pensiero,
in forza operosa
dello spirito. Se non che
la maggiore e
miglior parte dell'uomo,
secondo me, non si palesò
negli scritti e
nemmeno nell'atto dell'insegnare dalla
catte- dra; si nel
conversare casalingo e nel costume.
Tra le ricordanze
della mia vita
di scolaro sempre
mi sarà carissima
quella de le
veglie passate a Pisa
in casa Paganini:
dove, spogliata la
toga del professore,
l'uomo appariva in
tutta la sua
grande bontà d'intelletto
e di cuore,
e il maestro
ci si mutava
in consigliere, in
amico, in fratello.
Quante dispute gentili;
quanto fervore e quanta
allegrezza, nella serenità
del con- fidente colloquio, di
pensieri e di
affetti, sempre accesi
nel piacere del
vero ! Io
penso che la
sua natura di
educatore per eccellenza
ben si palesasse allora. Chi
lo conobbe solo
tra le pareti
della scuola dovette
averlo in riverenza,
ma forse non
lo amò; chi
lo conobbe in
casa, dovette '
Pisa, Nistri (Annali delle
Università toscane). Pisa, Nistri,
amarlo come padre. Semplicissimo in
ogni manifestazione del suo
spirito, P. pur serba costante dignità
e non cercata
eleganza di veste,
di portamento, di
gesto e di
parola. Quando lavorava nel
suo caro orticello,
spampinando la pèrgola,
potando qualche pianta
o zappettando con
fretta allegra, portava zoccoli
alla contadinesca,
rimboccava fino al
gomito le maniche
della camicia e,
se la stagione
lo consentisse, stava
contento a sommo
il petto, come
quel del Nerli,
a la, pelle scoverta:
chi lo avesse
veduto di lontano,
poteva scambiarlo con
un forte, lindo
e sollecito massaio delle campagne toscane; ma da vicino,
anche nell'umile esercizio dell'ortolano, ciascuno
avrebbe notato quell'aura,
che si diffonde
nel volto e nella
persona da regale
nobiltà di pensiero.
Uscendo dall'orticello, lasciava
gli zoccoli, indossava una veste giornaliera,
ma (direbbe un antico) onesta, ed
entrato nel suo
studinolo, ripigliava con
alacrità nuova il
lavoro intellettuale per
qualche ora interrotto. Amico
di solitudine, mesto
e pensoso per
lo piìi, terribile
negl'impeti dell'ira, ebbe
grande gentilezza di
cuore, accorgimenti di
bontà materna. Innamoratissimo de'
giovani e de'
fanciulli, in mezzo a loro
si trasmuta come
per incanto: sorrideva
amabilmente e amabilmente parlava, temprando
per affetto la
sua gagliardissima voce
a modulazioni soavi;
e l'occhio, spesso pieno
d'ombra sotto le
folte sopracciglia aggrottate,
si aifissava, tutto
schiarato, in quei
visi ridenti e
lampeggiava d'amore. Educatore di
sé in gran
parte, fidente nella
virtù del volere, sa
insegnare a quelli che lo
avvicinano, il proposito e
l'arte di migliorare
il proprio spirito.
Io, mi gode
l'animo d'aver qui
l'occasione di confessarlo,
riconosco intero da lui il principio di un'educazione intellettuale, che
a poco a poco mi rinnova, 'distruggendo
o mortificando i mali
abiti della casa
e della scuola.
Né le meditazioni
austere spensero o
scemarono nel Paganini
il senso del bello, ma lo fecero
più delicato, più fine e profondo. Delle arti figurative, conoscitore e giudice
arguto d'ogni lor passo, molto
si diletta; ed e egli stesso
disegnatore corretto. La poesia
senti come pochissimi; 'Notabili queste
sue parole: "Quello
che è difficile,
sia pur difficile
quanto si vuole,
non è impossibile;
e quello, che
non è impossibile,
o prima o
poi, o da un uomo o da un altro si fa. Pur negli saggi qui
raccolti è qualche
vestigid, benché raro e
fuggevole, del suo
sentire gentile, come
là dove accenna
l'evidenza pittrice del verbo
velare per ventilare e
dove l'armonia della
terzina: Ma ella s'è
beata e ciò
non ode chiama anticipazione
di quel nuovo
modo d% poesia,
che Alighieri riserba al
Purgatorio e al
Paradiso. Né soltanto
la poesia pensata
ed eletta, ma
l'improvvisa e campagnuola. Villeggiando sui colli
di Pistoia, raccolse con amore
motti e canti
popolari, e della
Ninna nanna "
Quando a letto
vo la sera
„ disse cose
nuove e belle. (Lettera ai
Morelli, Lucca, Canovetti] e due
tra tutti i
poeti predilesse, perchè
meglio rispondenti all'indole
e all'educazione del
suo spirito: Dante,
di cui ho
già detto, e
Virgilio. Peccato che
tante sue belle
considerazioni su questi
due poeti, onde
nel conversare quotidiano
non fu punto
avaro a' giovani,
sieno fuggite con
la sua voce,
o mutate in
seme di troppo
diversa germinazione nella
mente di chi
le ascoltò !
V hanno uomini,
che la scarsa
loro ricchezza d'intelletto
e di cuore
spargono subito per
mille rivoletti fuori
di sé: altri,
possessori di grande
ricchezza interiore, somigliano
a quelle nascoste
e profonde sorgenti
della terra, che
non si veg-
gono, ne si odono,
ma si argomentano
da la più
lieta verzura e
dal fitto fiorire
del terreno sovra-
stante. Tra questi ultimi è
da porre Pagano Paganini, che
molto seppe, molto
e bene amò;
ma parlò poco
e pochissimo scrisse:
eppure molti scritti e
molti fatti buoni,
generati o cresciuti dalla dottrina,
dal consiglio, dall'esempio
di lui, attestano
della sua ricca
e verace bontà.
Roma. Franciosi. Di un luogo
del FargatoHo d’ALIGHIERI,
che non sembra
essere stato ancora
dichiarato pie-namente. Eagionando dell'amore,
VIRGILIO, nel canto
del Purgatorio, secondo
la naturale filo-
sofia, dice: Ogni forma sujtanzlal,
che setta -
È da materia,
ed è con
lei unita, Specifica
virtude ha in
sé colletta, La
qual, senza operar
non è sentita,
Né si dimostra
ma che per
effetto Come per
verdi fronde in
pianta vita. Però
là onde vegna
lo intelletto Delle
prime notizie uomo
non sape, E
de' primi appetibili
l'affetto, Che sono
in voi si
come studio in
ape Di far
lo mele; e
questa prima voglia
Merto di lode
o di biasmo
non cape. Or
perchè a questa
ogni altra si
raccoglia. Innata v'è
la virtù che
consiglia E dell'assenso de'
tener la soglia. Da.IV Araldo cattolico: Lucca. P., lo
avverto una volta
per sempre, nello
sue oi- tazioni
della Commedia fu
solito di serbar
fede al testo
della Volgata; ma, venuto
in luco il
testo di Buti,
qualche volta amoreggiò
con questo; come
là, dove ai
plurali verdi /ronde
e primi appetibili
sostituì i singolari
bellissimi verde fronda
e primo appetibile.
.Quest'è il principio,
là onde si
piglia Cagion di
meritare in voi
secondo Che buoni
e rei amori
accoglie e viglia.
' E queste
cose son dette
per soddisfare alla
questione proposta da
Dante colle seguenti
parole: Ti prego,
dolce padre caro,
Che mi dimostri
amore, a cui
riduci Ogni buono
operare e il
suo contraro. Infatti nel canto antecedente Virgilio, trattando il
medesimo argomento, aveva
pronunziato: Né creator,
né creatura mai
fu senz'amore O
naturale, o d'animo
Lo naturai fu
sempre senza errore;
Ma l'altro puote
errar per malo
obietto, O per
troppo, o per
poco di vigore.
Mentre ch'egli è
ne' primi ben
diretto, E ne'
secondi sé stesso
misura, Esser non
può cagion di
mal diletto; Ma,
quando al mal
si torce, o
con più cura
O con men
che non dee,
corre nel bene,
Centra il fattore
adovra sua fattura.
Quinci comprender puoi
ch'esser conviene Amor
sementain voi d'ogni
virtute E d'ogni
operazion, che merta
pene. Ora di
quella terzina del
primo passo: Or
perchè a questa,
ecc. trovansi nei
commentatori Questo verbo
vigliare, che dal
Biagioli viene erroneamente confuso con vagliare, e che
forse ha tratto origine dal latino, significandoesso pulire
il mucchio del
granocon una granata o con un mazzo di
frasche dalle paglie,
stecchi e simili
cose senza pregio
(lat. viliaj, ce
ne fa tornare
alla mente un
altro, che sebbene ci
paia bellissimo, e
sia vivente in
bocca dei oampagnuoli,
con tutto ciò, a quanto
sappiamo, non ha
ricevuto l'onore d'essere
accolto nei vocabolari.
È questo il
verbo velare, ohe
significa nettare il
grano dalla pula,
gettandolo contro vento
; e se
pure non è
una sincope di
ventilare, conviene credere
ohe i contadini lo abbian tratto pittorescamente
dall'imagine d'una vela,
che presenta la pula fuggendo via
portata dal vento.] della Divina
Commedia tre principali
spiegazioni. Una, seguita
anche da Venturi
e da Biagioli,
è del Daniello, il quale scrive: l'ordine è: la
virtù che consiglia cioè la ragione, v'è
innata cioè nata insieme con voi, perchè affìn che
ogni altra voglia, che
nasca in coi,
si unisca, accompagni
e raccolga a
questa virtù, la
qual dee tener
la soglia, ecc. Un'altra è di Lombardi,
il quale cosi
interpreta: Or perchè affinchè a questa
prima, naturale ed
innocente voglia si raccolga, si accompagni
ogni altra morale
e lodevole virtù,
" innata v'è data
vi è fin
dal vostro nascimento,
la virtù che consiglia la ragione
che vi deve consigliare e regolare i
vostri appetiti. La
terza, infine, è
del Tommaseo, che,
a nel Commento, esprime
il concetto d’Alighieri
in questo modo. Acciocché questo
primo naturai de-
siderio e intelligeìiza sia
quasi centro ad
ogni altro vostro
volere e sapere
acquisito, avete innata
la ragione, da
cui viene il
libero arbitrio; sicché
tutti sieno non
men del primo
conformi a natura.
Qual è il
valore di queste
spiegazioni? Esaminiamole brevemente.
A veder l' improbabilità della
spiegazione del Daniello
basta considerarla rimpetto
alla ragione grammaticale.
Nel verso : Or
perchè a questa
ogni altra si
raccoglia dei due
pronomi questa e ogn'
altra, che essendo
ambedue femminili e
uniti in un
sol membro, ognuno
riferirebbe ad un
me- desimo nome, egli
al contrario riferisce
il primo al
susseguente virtù, e
il secondo al
precedente voglia;
attribuendo cosi ad Alighieri
un costrutto non solamente
ardito, ma pur
anco sì strano,
che non se
ne trova esempio
ne pur forse
negli scrittori latini, tuttoché la lingua loro concedesse
tanta libertà d'allontanarsi dall'ordine
naturale delle parole.
Lo stesso rimprovero
può farsi pure
a Lo- bardi;
il quale non
si diparte dal
Daniello se non
in questo, che
il primo di
quei pronomi riferisce
a voglia e
il secondo a
virtìi, cioè mette
innanzi quel che
l'altro avea messo
dopo, e pospone
quel che l'altro
avea anteposto. Ciò
non ostante ne
risulta quindi un
senso tanto differente,
da rendere la spiegazione
di Lombardi meno improbabile di
quella del Daniello;
perchè lascia a
soggetto della relazione,
accennata da Dante
in questo verso,
la prima voglia,
o l’affetto dei primi
appetibili, come rettamente
si dice, naturale
e innocente sebbene per
termine di essa
relazione non si
prendano poi le
altre voglie od
affetti, ma piuttosto
le morali e
lodevoli virtù. È
vero che le
morali e lodevoli
virtù hanno per
natura di dirigere
e ordinare gli
affetti tutti dell'animo,
e che perciò
nella espressione usata da Lombardi
sono implicitamente contenuti
anche questi, ma
ciò non basta
a giustificarlo; essendo
che qui trattavasi
appunto di mostrare
come gli affetti
diventino virtù e anco
vizi, e nella chiosa di
Lombardi questa dimostrazione
rimane un desiderio, avendo egli preso,
come abbiam detto,
per termine della
relazione le virtù
bell'e formate. Con mente
più filosofica ha
studiato, come gli
altri, così questo
passo della Divina
Commedia il Tommaseo;
ha riferito tutt'e
due i pronomi
al medesimo nome
voglia, che li
antecede, e ha
scorto fors'anco la
vera relazione, che noi crediamo essersi inteso
d’Alighieri di porre
tra l'aff'etto dei
primi appetibili e ogni altro
affetto, che di
poi si svolga nell'animo nostro, senza che però
l'intendimento del poeta resti a pienoillustrato. Imperocché, ritenuto
per indubitabile che
questa valga questa
prima voglia, che
è in noi
naturalmente, e ogni
altra valga ogni
altra voglia, che
in noi possa
accendersi nel corso
della vita, v'è
da risolvere la
questione, a cui
fa luogo il
verbo raccogliersi ;
che è quanto
dire quale relazione
precisamente abbiavoluto il poeta
esprimere con esso verbo
fra quelle cose.
E qual è
questa relazione secondo
il Tommaseo? È
una relazione simile
a quella, che i punti
d'una circonferenza, o i
raggi d'un cerchio,
hanno col centro, giacché dice:
acciocché questo primo
naturai desiderio e
intelligenza sia quasi
centro ad ogni
altro vostro volere
e sapere acquisito,
ecc. E per
fermo, raccogliersi significa
anco concentrarsi, e
più d'un esempio
ce ne offre
lo stesso ALIGHIERI. Ma
siffatta spiegazione, ci sia permesso
di dirlo francamente,
non isnuda il
concetto filosofico voluto
esprimere da Dante,
lo lascia involto
nel velo della
metafora, però non
può essere avuta
per sufiiciente. Il
poeta nel canto
avea fatto dire a
VIRGILIO che amore
è sementa in
noi d'ogni virtù
e d'ogni vizio:
vuol fargli provare
la verità di
questo dettato, comune
alla pagana e
alla cristiana sapienza.
A tale uopo
egli, in persona
del suo duce
e maestro, risale
col pesiero alla costituzione
primitiva dell'essere umano:
in esso, egli
dice, oltre la
materia, v'è una
forma immateriale, fornita
di una virtù
o potenza specifica,
la quale non
si dimostra che
ne' suoi effetti,
cioè nelle sue
operazioni, come per
verdi fronde in
pianta vita. Questa
potenza specifica può
considerarsi da due
lati, in quanto
è passiva e
in quanto è
attiva: in quanto
è passiva è
l’intelletto delle prime
notizie, in quanto
è attiva è
l’affetto dei primi appetibili (AQUINO,
Cantra gent.). Quindi
non è maraviglia
che l'uomo non
sappia donde gli
vengano siffatte cose,
non essendone mai
stato privo e
appartenendo alla sua natura
in quel modo
medesimo, che all'ape,
per esempio, appartiene
lo studio, ossia
l'istinto, di far
lo mèle. Ora
quell'affetto dei primi
appetibili è senz'alcun
merito, perchè non
dipende dal libero
arbitrio ; il
quale soltanto è
principio, là onde
si piglia Cagion
di meritare. Non
per tanto esso,
non avendo per
oggetto altro che il bene
conveniente all'umana natura,
è un affetto
sotto ogni aspetto
irreprensibile. Non si
può concepire non
solo una creatura,
ma né meno
il Creatore senza
amore alcuno; sebbene In
Tece di IV,
era da pozze:
Inella creatura ragionevole
ne possano essere
di due sorte,
uno naturale, o
istintivo ; e
l’altro à^ animo, o
deliberato : il
primo dei quali
è sempre senza
errore, perchè è
l'opera della stessa
sa- pienza divina, mentre
il secondo puote
errar per malo
obietto, O per
poco o per
troppo di vigore,
secondo che dalla
libera volontà o
è vòlto a
ciò che è
intrinsecamente male, oppure
anco a ciò
che è bene,
ma senza quella
misura che risponda
al suo vero
pregio. Come accade
adunque che sia
Amor sementa in
noi d’ogni virtude E d'ogni
operazion che merta pena? Ciò accade: Imperché dal primo
amore, che Dio
medesimo ha posto
nell'uomo, si svolgono
altri amori, come
dalla forza vegetativa
delle piante nascono
i ramoscelli e
le foglie, che
le adornano, e
dall'istinto del- l'ape i
vari movimenti, coi
quali essa sugge
l'umor de' fiori,
lo converte in
miele e lo
de- posita nell'alveare; 2° perchè
questi secondi amo-
ri possono esser conformi
a quel primo
essenziale all'uomo e
rettissimo, ovvero anche
difformi, siccome avviene
ogni volta che
o finiscano in
oggetto per sé
malo, o non
serbino il debito
modo ed ordine
nei beni ;
3*^ perchè la
ragion pratica, o
assecondando o promovendo
colla sua libera
efficacia cotesti amori,
fa che la
rettitudine loro o
la loro malvagità
sia imputabile all'uomo,
e, divenuti abituali,
diano carattere alla sua condotta, in altre
parole, originino le
virtù ed i
vizi. E da
tutto questo si
fa manifesto, che,
quel primo amore,
si rispetto agli
amori secondi, come rispetto
alla ragion pratica (convenientissimamente chiamata da
Dante la virtù,
che consiglia, E dell'assenso
de’ tener la, soglia,
dall'ufficio a cui è stata destinata),
è come una cotal regola od esemplare; cioè, rispetto agli amori secondi,
perchè non possono esser ragionevoli e onesti se non seguendolo e imitandolo, e
rispetto alla ragion pratica perchè deve procurare, che essi nel fatto lo
seguano e lo imitino. E diciamo UE a cotal regola od esemplare; conciossiachè
la natural tendenza a quel bene, che
conviene all'esser nostro,
per sé non è
che un fatto,
e un fatto,
in quanto tale,
non ha la
ragion di regola
o di esemplare,
ma solamente può
parteciparne in quanto
è segno d'un'idea
(San Tommaso, ^'ttmwa,
I* IP*, ^
-della legge naturale e altrove). Se
si vuol dunque, commentando
questo luogo di Dante, andare al
fondo, non bisogna
contentarsi di rendere il raccogliersi per
concentrarsi, ma bisogna di più
ridurre lo stesso concentrarsi al suo senso filosofico, il quale non ci sembra poter esser
diverso da quello,
che abbiamo indicato,
cavandolo dal valor
logico dei concetti,
che Dante ha
espressi nei canti
del Purgatorio. Che
se il nostro
raccogliere è dal
latino colligere, e
lex è detta,
come pensa CICERONE, da
eligere, ognun vede
la profonda convenienza che quel
si raccoglia ha
coll'ufficio, che. Per tutta
chiarezza la citazione
dovrebb'esser così: Prima
secundae S. theol.,
quaest. giusta la
mente di Dante,
noi crediamo di
dovere attribuire al primitivo
e immanente atto
della parte affettiva
dell'anima umana. L’interpretazione da noi proposta non contradice adunque
quella data da Tommaseo,
ma, se non
c'inganniamo, la compie,
recandola fino a
quel termine dov'egli
avrebbe ben saputo
recarla, e in
maniera a pezza
più conveniente, solo
che avesse fatto
colla riflessione qualche
altro passo nella via
medesima in cui
si era posto.
Ma se la
nostra interpretazione e
quella di Tommaseo
si possono cosi
accordare, è però
vero che in
ciò che la nostra piglia
a suo fondamento
dal canto non si
accorda punto colla chiosa quivi fatta
dall'illustre critico. Perocché
dove il poeta
dice, che creatura
non vi fu
mai senza amore,
o naturale o
d'animo, egli spiega
l'uno per amor
di corpi, l'altro
per amor di
spiriti ; noi
al contrario, come
abbiamo accennato di
sopra, L'OzANAM, che
alcuni noa sanno
stimare senza esagerarne
i meriti, il
principale dei quali
per noi è
di avere coll'opera
sua additato agi'
italiani che vi è un
lavoro da fare, intende
p&s prima voglia
il primo moto
o dell'irascibile o
del concupiscibile, che
i moralisti insegaano esser privo
di merito e
di demerito. Dio sa
dunque in che
strano modo intendeva
a collegare colle
precedenti la terzina che qvà abbiamo esposto. ALIGHIERI
et la
philos. catholique aa
XIII siede fParis.
L'Ozanam. a proposito
di due luoghi
del Convito commenta: «Il y
a trois sortes
d'appetits. Le premier, naturel,
qui n'a point
conscience de soi,
et qui est
la tendance irrésistible
Je tous les
ètres physiques a
la satl- sfactiou
de leurs l>esoins;
le second, sensitif,
qui a 30n
mobile externe dans
les choses sensibles,
et qui est
concupisaiife ou irciscible
tour à tour;
le troisième, intellectuel,
dout l'objecr. a'est appróciable
qu'à la pensée. Ces
appótités eux-mèmes peuvent
se réduire a
un seul principe
commun, l'amour. Ma la
prima vogliu di
questo luogo del
Purgatorio è a
lui premier acte,
instantané et irrafléchi della virtù
speeipcu, dispositiou «pécitìque,
natureUe, qui ne
se révèle que
par ses eftets. intendiamo pel
naturale l'amore istintivo,
e per quello
d'animo l'amore deliberato.
E ci pare
che giustifichi questo
nostro modo d'intendere
il contesto del
canto suddetto, e l'
insegnamento comune degli
scrittori, da cui
Dante traeva, fra
i quali a
noi basti il
menzionare san Bonaven-
tura, che nel Breviloquio
distingue, appunto, due
guise di operare
delle nostre affezioni,
cioè per un
moto naturale e
per iscelta deliberata.
Di- remo pertanto, senza
timore di offendere
il grand'uomo, che
la sua chiosa
di questo sublime
luogo di Dante,il
quale può dirsi
in germe un
intero sistema di
filosofia morale, pecca
nel punto di
partenza, non afferrando
la giusta distinzione
tra l'amor naturale
e gli amori
deliberati, e pecca
nella conclusione, lasciando qualche cosa d'indeterminato sulla relazione
del primo verso
coi secondi. Di
che però non
tanto vogliam fargli
biasimo, quanto rendergli giusta lode d'aver saputo più addentro
d'ogni altro vedere
nel pensiero d’ALIGHIERI.
Sopra un
luogo della Cantica
del Paradiso Beatrice nel
canto del Paradiso narrando
filosoficamente la creazione
delle cose, dice
degli angeli: Né
giugneriesi, numerando, al
venti Si tosto,
come degli angeli
parte Turbò '1
subietto de' vostri
elementi. Tutti gli
interpreti, per quanto
io mi sappia,
per subtetto de’ vostri elementi hanno inteso la terra.
Peraltro alcuni hanno inteso la terra comeelemento j altri
la terra come
corpo. È de'
primi, per cagion
d'esempio, Buti, che
spiega la sentenza
di questa terzina
colle seguenti parole
: Da chi
numerasse da uno
in vinti non
si giungerebbe sì
tosto al vinti,
come tosto parte dell’angeli poi che furono creati, incontanente
cadder di deìo
in terra, e
mutò o vero
turbò, secondo altro
testo, lo subietto
de’ vostri elementi,
cioè di voi omini, cioè la terra Dall'Istitutore: foglio
ebdomadario d' istruzione e
degli atti ujjicifdi
di essa. Torino,
tip. scolastica di
S. Franco. che
è subietto dell'acqua,
delVaere e del
fuoco, poiché a
tutti è sottoposta
/ e bene
lo mutò e
turbò, impera che prima e pura, e poi e infetta. Così il codice
Magli abechiano). De' secondi
poi è il
Tommaseo, perchè dopo
aver dato terra
per equivalente di
subietto de' vostri
elementi^ ag- giunge questa
ragione: La terra è soggetto
dei quattro elementi
aria, fuoco, acqua
e terra. Dove è
chiaro che terra
la prima volta
significa il corpo
o globo da
noi abitato, e
la seconda volta r
infimo de' quattro
elementi distinti da-
gli antichi. Mi sia
permesso di dire,
che né i
primi né i
secondi mi paiono
aver colpito nel
segno. 2. Il
nome subietto o soggetto, come sostantivo, appartiene alla
lingua filosofica, ed
ha un senso
dialettico ed un senso metafisico. Nel senso dialettico indica uno
de'termini del giudizio o della
proposizione, quello cioè
del quale l'altro,
che chiamasi predicato,
isi afferma o
si nega. E
di qui, per
estensione, nasce un
altro senso, esso
pure dialettico, quando
di questa voce
si usa a
dinotare ciò su cui verte, non
una semplice proposizione, ma molti ragionamenti ordinati e connessi, siccome
sono nella scienza. In metafisica poi subietto ora significa la causa
efficiente di qualche cosa, come in quel luogo del Purgatorio. Or, perchè mai non può dalla salute Amor del suo
subietto volger yiso, Dall'odio proprio son le cose tute; ora invece
significa la causa
materiale^ come in
questi versi del
Paradiso, canto II:
Or, come ai
colpi degli caldi rai della neve
riman nudo il suggetto
E dal colore
e dal freddo
primai, ecc. E
quest'ultimo è il
significato, che io credo debba attribuirsi alla parola subtetto nella
terzina, di cui è
questione; cosicché altro
non s'intenda aver voluto Dante
esprimere in essa, se non che alcuni degl’angeli, partitisi dal
divino volere, colla
naturale loro potenza
indussero disordine nella materia
degl’elementi, de'quali è
composta questa parte
a noi destinata
dell'universo. Ciò si parrà
chiaro considerando che
il nostro poeta
parla qui da
teologo e da
filosofo, uffici ai
suoi tempi inseparati,
e che ne'
tempi posteriori, per
grande sventura delle
due scienze sovrane,
non fu stimato
assai di distinguere.
Ora che insegna
la teologia a
proposito degli angeli
ribelli a Dio?
Ella insegna che
ministri, anche dopo
la loro caduta,
della Provvidenza divina,
si aggirano in
questo nostro mondo,
tri- bolandoci non solo
colle malvagie istigazioni,
ma eziandio colle
tempeste, colle pestilenze
ed altri mali
di tal genere.
Sono notissimi i
passi dell'epistola di
s. Paolo agli
Efesini; dove cotesti
spiriti sono chiamati
principi aventi potestà
su quest'aria. Ma
i padri, appoggiati
ad altre autorità
della scrittura ed
ai fatti in
essa raccontati, ritennero che la potestà loro si estendesse su
tutta, in generale,
la materia ed
i corpi terrestri.
Valga, per ogni
altra, la testimonianza
d’Agostino, De doctrina
Christiana. Hinc enìm fit,
ut occulto quodam
iudicio divino cupidi
malarum rerum homines
tradan- tur illudendi
et decipiendi, prò meritis voluntatum suarum, illudentìhus eos atque
decipientibus prevaricatoribus
angelis, quibus ista
mundi pars infima
secundum pulcherrimum ordinem
rerum, divinae providentiae
lege, subiecta est.
Ora gli scolastici,
come ognun sa, non fecero
che ripetere le
dot- trine teologiche dei
Padri, dando loro
una forma scientifica,
secondo i principii
e il linguaggio
della filosofìaaristotelica; la
quale per essi,
al- meno per nove
delle dieci parti,
era pura e
pret- ta verità. Quindi
il miscuglio, che
trovasi nei trattati
di teologia degli
scolastici, degl'incon- cussi dommi della fede colle fallaci opinioni
dello Stagirita. Del qual
miscuglio n'abbiamo un
esempio in questo
stesso argomento, che
qui tocchiamo. Generalmente gli scolastici dietro al LIZIO
pensarono che altra fosse la materia
dei cieli, altra la
materia, onde è
fatto il mondo
sul- lunare; quella
fosse immutabile e
incorruttibile, questa soggetta
a mutamento e
corruzione; perocché,
dicevano, quella è in potenza
alla sola forma
che ha, questa,
al contrario, è
in potenza a
molte forme e
diverse. Dal che
san Tommaso di
Aquino conchiude che
fra la materia
de' corpi celesti e
la materia degli
elementi del nostro mondo
non vi ha
una comunanza ohe
di con- certo: Non
est eadem materia
corporis coelestis et
elementorum, nisi secundum
analogiam, secundum quod
conveniunt ratione potentiæ (Summa).
E per questo
appunto Dante, nel citato
canto II del
Paradiso, appella preziosi
i corpi celesti.
Ora, che cosa
è, conforme queste dottrine cosmologiche degli scolastici,
il subietto degli
ele- menti? Il subietto
degli elementi è
la materia prima
del mondo sullunare,
subiettata ad una
certa forma, prima
nei corpi semplici,
aria, acqua, ecc.,
e di poi
nei corpi misti,
minerali, piante, ecc.
Imperocché gli scolastici
per materia e
su- bietto intendevano la
medesima cosa colla
sola differenza, la
quale trascuravano ogni
volta che loro
non bisognasse di
procedere con tutto
il rigore dialettico,
che il subietto
ha relazione con
una forma attuale,
mentre la materia ha
relazione con una forma
potenziale. Ista videtur
esse differentia inter
materiam et subiectum
(dice Alessandro d'Ales, In
Metaph. Del LIZIO), quia
materia dicit rem
suam in potentia
ad formam, ut
transmutabilis est ad
ipsam per viam
motus et fieri,'
et ideo quae
sine fieri introducun-
tur, non proprie
habent materiam ex
qua: subie- ctum autem
dicit rem suam
ex hoc, quod
substentat formam; et
ideo omne quod
substentat formam potest
vocari subiectum, licet
aliquo modo possit
vocari materia. Pertanto ciò
che Dante, ne'
versi riferiti, chiama il
sìibietto de’ vostri elementi,
corri- sponde a capello,
a ciò che
Aristotile, nel Della generazione e
della corruzione, chiama,
con parole affatto
equivalenti, uTioxsifisvYjv \ìh]v.
Nel qual luogo, se il
filosofo rigetta l'opinione di
quelli, che ponevano
un unico subietto
di tutti gli
elementi, è però
manifestissimo che la
rigetta solamente in quanto quel subietto
pretendevano essere un cotal
corpo separabile e
stante da sé,
awjAa xe òv
xat Xopiaióv. Ed
invero, più sotto,
divisando l'ordine delle entità, che concorrono a costituire i corpi
primi, ossia gl’elementi, pone in primo luogo la materia, in secondo luogo la
contrarietà ed in
terzo luogo gl’elementi:
Ma poiché i
corpi primi son
fatti in questo
modo di materia,
di essi pure
conviene determinare qualche cosa,
supponendo che una
materia inseparabile, ma
soggetta a qualità
contraria, sia il loro
primo principio; perocché
non è il
calore materia del
freddo, ne il
freddo del calore, ma ciò che sottostà ad entrambi.
Laonde primieramente che
il corpo sensibile
esista in potenza, è
il principio: di
poi vengono le
stesse qualità contrarie,
come il calore
e il freddo:
da ultimo il
fuoco e l'acqua
e le altre
cose di tal
sorta. E questa
ò la costante
dottrina degli scolastici, e
a tenore di
questa vuoisi intendere quello che
ALIGHIERI accenna del
termine dell'azione perturbatrice
degli spiriti perversi.
Imperocché da una
parte troppo è
inverosimile che egli
non abbia parlato a
tenore di tal
dottrina, solendo egli
esprimere nei suoi
mirabili versi le
dottrine filosofiche della
scuola e colle
stesse formole da
lei celebrate: dall'altra,
ritenuto che la
cosa sia così,
dal passo controverso
esce un senso,
che a pieno
si accorda coli'
insegnamento teologico circa la
presente potenza degli angeli rei.
All'opposto nelle altre due
interpretazioni codesta loro
potenza si limita
a capriccio a
farsi strumento dell'odio
loro contro Dio e gl’uomini
la sola terra,
o vuoi come
elemento, o vuoi
come corpo ;
né si tien conto del
linguaggio filosofico dell'autore, quanto è
giusto che si
faccia, poiché la
parola subietto, mi si
conceda di ripeterlo,
appartiene al linguaggio filosofico,
e qui precisamente al linguaggio metafisico, nel qual linguaggio subietto non
significò mai, se
la memoria non
mi fallisce, un
ordine di più
cose per la
loro collocazione nello spazio,
siccome sembra che
vogliano coloro che
hanno subietto de^
vostri elementi per
una perifrasi di
terra. Finalmente osserverò
che coll'assegnare per
termine all'azione degli
spiriti angelici ciò
che di primo
si concepisce ne'
corpi come corpi,
non si attribuisce
all'Alighieri un pensiero
frivolo da sbertarsi, ma degno delle più serie
considerazioni del filosofo. Il
dominio degli spiriti
puri sulle cose
materiali, e l'origine
di certe forze,
che su esse
si manifestano, sono due grandi misteri; i quali forse si compenetrano
in uno, e quest'uno è riserbato di vedere svelato, quanto all'intelligenza nostra
è possibile, allorcliè i metafìsici s’intenderanno un po’più di fisica e i fisici di metafisica e tutt'e due di teologia. Pisa. Averroè della
DiTina Commedia' È notissimo che
Dante fra i
saggi sospesi nel
primo girone deW
Inferno, o pernon
avere ricevuto il battesimo, o
per non avere
adorato Iddio debitamente, colloca
ancora Averrois, che il gran
commento feo. (Inf.,
o. IV, V.
U4). Ora l'editore
pisano delle Lezioni
di Buti sulla
Divina Commedia a
questo verso fa
la nota seguente:
Averrois, sebbene commen-
tasse Aristotile, professò dottrine
opposite al greco
filosofo; onde i
commenti di lui
non furono in
molto credito appo
degl’italiani.Qui dunque il gran
commento potrebb' esser
anche detto con
ironia. Noi non possiamo pregiare
la novità di
questa osservazione, perchè
ci sembra mancare affatto
di verità. E
non intendiamo come
il benemerito editore
non si sia
accorto di un
difetto sì grave,
quando lo stesso
contesto assai chiaramente
esclude il disprezzo
e lo scherno
dell'ironico parlare. Invero, dopo
aver detto il ' DaUe
Letture di famiglia,
tomo III, decade
seconda. 32 nostro
poet Qnaest. Disput.
2>e Mente, quaest.
ne, quanto semplice
altrettanto sublime, di
Dio che si
legge neìV Esodo :
Io sono l'Essere
„ cioè l'Essere,
che essenzialmente ed
assolutamente è. Quanto
poi alla natura
dell'intelletto umano egli,
confrontandone le operazioni
con quelle del
senso, che solo coglie
gl’esterni accidenti delle
cose, veniva a ravvisare che
l'operazione sua propria
è circa l'essenza delle cose; e
poiché quelle essenze ci
riducono all'essere in
comune coll'ag- giunta
di varie determinazioni, il
suo proprio oggetto consiste appunto
nell'essere in comune.
Ora se da
un lato l'essere,
in quanto è
essenzialmente ed
assolutamente essente, è
Dio, e dall'altro, in quanto
è appreso universalmente, è
l'oggetto proprio dell'intelletto umano,
è piano come
l'Aquinate potesse dire,
che il lume
dell'intelletto umano sia una
certa partecipazione o
similitudine di Dio o
dell'increata verità. Io
non credo, debbo
pur dirlo si
per non essere
frainteso e si per amor di schiettezza, io non credo
che Aquino giunge mai a renderai cosi esplicitamente ragione di ciò
che in tanti luoghi delle sue opere ripete sulla natura del lume
dell'intelletto e sulla sua attinenza
con Dio. Ma qualunque siano state le cause,
che ne lo impedirono, certo è che
questa spiegazione giace implicita nel
complesso delle sue dottrine e si
fa innanzi quasi
spontanea a chiunque
profondamente le mediti
e senza la
stolta paura Etodo,
che alcuni dei
suoi studiosi oggi
paiono avere, di
dire una parola di più oltre quelle dette da lui, come se la scienza
potesse star tutta racchiusa nelle parole di un sol uomo. Del resto la storia
dell'umano intelletto, giusta
il modo on- de
Aquino se la
rappresenta, è in
sostanza la seguente.
L'intelletto umano è un'attività,
che ha
due movimenti; coU'uno
si costituisce come potenza
di conoscere, coli 'altro
si svolge e
perfeziona. Col primo, onde si
costituisce come potenza di
conoscere, incontra l'essere
in universale e
l'apprende. Da tale
apprensione in cui
sono virtualmente contenute
tutte le apprensioni e
tutti gli altri
atti, che in
queste si fondano,
incomincia il secondo
movimento del- l'intelletto e in
esso si possono
distinguere tre principali
momenti, per ciascuno
dei quali nel
linguaggio della scuola tomistica vi'è una frase particolare,
che ne esprime il carattere distintivo. Imperocché innanzi
tutto nell'apprensione dell'essere
in universale sono
virtualmente contenuti i sommi
principi della ragione, che si risolvono nei concetti universali dell'^wo, dell'edenticOj dell'assoluto
e cosi via.
Ora questi concetti si
fanno attuali nell'intelletto,
quando gli è
somministrata una materia
di conoscere, lo
che è ufficio
proprio del senso.
Allora l'intelletto mediante
quei concetti: l’ illustra
i fantasmi cioè
la materia somministratagli dal senso, percezione intellettuale dei
sensibili ; 2"
astrae dai fantasmi
le specie intelligibili, concezione
per via di riflessione
delle idee astratte
delle cose, ossia
delle specie e
dei generi; 3"
compone e divide
le t^pecie astratte,
giudizi e raziocini,
coi quali la
riflessione, comparando le
idee astratte, si
viene formando una
scienza più o
meno perfetta delle
cose, secondochè discopre
più o meno
delle loro relazioni.
Ma in qualunque
di questi momenti
della sua evoluzione
si trovi l'intelletto
nostro, è pur
sempre vero, che
tutto quello che
egli conosce, conoscendolo
per la verità
dei primi principi,
e quelli essendo
come i primi
raggi di quel
lume che fa di lui
una potenza intellettiva;
e questo venendo
da Dio, anzi
essendo una certa
partecipazione del lume stesso
di Dio a
noi in parte
comunicato, ne segue
che pur nell'ordine
naturale Dio solo è
quegli, che internamente
e principalmente ci
ammaestra come è
anche la natura
quella che principalmente risana. Cosi AQUINO nelle
Questioni Disputate de
Magistro, ' dove
anche stanno quell'altre
belle parole : "
Che alcuna cosa
si sappia con
certezza, avviene per il
lume della ragione
divinamente infuso, col quale
Iddio in noi
favella; parole, colle Quaest.
I, nel corpo
dell'articolo in fine.
* Ivi, nella
risposta all'obiezione Si
considerino bene quelle
frasi dell' Aquinate :
" Utiiversales conceptiones,
quaruni co- gnitio
est nobìs naturaliter
insita „ (Qiiest.
cit. de Magistro
nella, risposta alla
obiez.) Lumen rationis per quod
principi» cognoscimus (Tbid.,
nella risposta alla
obiez.) Mediantibas
tmiversalibus
conceptionibus, quae statim
lumine intellectus agcn-
tis cognoscuntur (Quest.
cit. de Mente,
nel corpo dell'articolo
in fine): e
poi si dica,
se secondo la
mente d’Aquino quali si
pone espressamente una
cotale rivelazione naturale, come
rimota preparazione a
quella soprannaturale rivelazione,
che si fa
nell'anima del Cristiano.
Io m'immagino, che mentre veniva
cosi narrando in compendio
i pensieri del
nostro grande filosofo
sulla questione dell'origine
del sapere, la
mente del lettore
mi abbia spesso
abbandonato e sia volata
ora a questo
ora a quel
luogo della Divina
Commedia, dove si
leggono sotto forma
poetica dei pensieri
somiglianti. E se
ciò è veramente
accaduto, naturai cosa
è che si
sia intanto rafforzata
in lui la
persuasione, che il
nostro gran Poeta
nei versi, che
danno argomento al mio
dire, non può
avere avuto l'intenzione
di esprimere la
impossibilità, da cui
neppure il filosofo
vada essente, di scorgere la
sorgente, donde viene
l' intelletto delle prime
notizie. Certo è
che codesti pensieri
somiglianti nella Divina
Commedia vi sono e, ciò
che ora io
desidero che si avverta
e che importa
al mio proposito sommamente, i
più somiglianti si
trovano appunto nel
passo del Purgatorio,
che altri ha
interpretato cosi diversamente.
In vero, se non si guarda che alla sostanza della soluzione d’Aquino, egli
insegna che la cognizione dei primi principi, donde proviene ogni
altra cognizione dell'uomo,
è il lume dell'intelletto o
della ragione possa
esser altro ohe
un massimo universale,
come appunto dimostra
che è il
Eosmini nel Nuovo
Saggio sulla origine
delle idee e
in altro sue
opere. una cognizione
in lui innata,
in quanto che
in lui è
innato il lume
della ragione, per
il quale tali
principi conosce. E non
ripete Dante in
sostanza il medesimo
nei terzetti del
canto del Purgatorio, che
furono riferiti da
principio ? Infatti
quivi egli dice:
1" che la
specifica virtù dell'anima umana, forma
sostanziale che nel
tempo stesso è scevra
di materia ed
unita con lei,
è la virtù
del conoscere e
la virtù dell'amare ;
2" che ciascuna
di queste virtù
ha i suoi
propri oggetti, cioè
la virtù del
conoscere certe prime
notizie, che la
dirigono nelle sue
particolari operazioni e la
virtù dell'amare certi
primi appetibili, che similmente
la muovono e
la guidano nelle
sue particolari operazioni,
e che 1'
intelletto di tali
notizie e l'affetto di
tali appetibili precedono perciò di loro
natura tutte le
particolari operazioni di
esse virtù ;
3" che queste
due virtù per
una legge generale,
a cui sottostanno
tutte le forme
della stessa specie
dell'anima nostra, sempre
si rimarrebbero occulte,
se uscendo nelle
loro particolari operazioni
non si facessero
in queste sentire
e per queste
non si dimostrassero, come
per verde fronda
in pianta vita;
4° che conseguentemente, quando
l'uomo opera o
coll'una o coll'altra
di queste virtù,
gli si rende
bensì sensibile e
gli si dimostra
quella, con cui
opera, ma non
anche quell'atteggiamento precedente di
essa, per il
quale è causa
al tutto pro-
porzionata e pronta al suo operare,
quindi non anche
l'intelletto delle prime
notizie nell'epe-rare della
seconda; 6" finalmente
che quest'intelletto e quest'affetto, solo
discopribili nel segreto dell'anima all'acuto
sguardo d'una tarda
riflessione filosofica, sono
tanto connaturali all'anima, quanto le
sono connaturali le
specifiche virtù, delle
quali non sono
che proprietà, e
da paragonarsi perciò
agli istinti, che
differenziano le varie
classi di animali,
allo studio per
es. che è
nell'ape di far
lo mèle. Lascio il resto, perchè
non legato strettamente
col tema del
mio discorso, e dall'esposto raccogliendo
quel che ne
segue, dico: che tanto
è lungi che
ALIGHIERI nel passo
riferito del Purgatorio
dichiari insolubile la
questione della origine delle
umane cognizioni e
più precisamente dei
primi principi, che
all'opposto egli proprio in
quel passo stesso
ne dà una
soluzione, e questa
sostanzialmente è quella
che già ne
aveva dato AQUINO. Che se vi
ha qualcuno che
non consenta meco
nel modo d'intendere
o la dottrina filosofica d’AQUINO
o quella
corrispondente di Dante
o tutte e due, io
ora non gli
contrasterò. Intenda egli
pure a suo
talento coteste dottrine;
a me basta
finalmente che riconosca
il fatto, che
in questo canto
del Purgatorio A una ne professa, qualunque ella
sia. Imperocché, riconosciuto questo fatto,
bisogna risolversi ad
una di queste
due cose :
o bisogna tener
Dante per uomo
di tale grossezza
e stupidità di
mente da non
accorgersi della contraddizione, in
cui cade, sen-
tenziando, come pretende la
nuova interpretazione, che
all'uomo non è
dato di sapere
là onde vegna
lo intelletto delle
prime notizie e nell'atto
stesso esponendo, sebbene
brevemente, una dottrina intorno a
questa questione : oppure
bisogna rifiutare la
nuova interpretazione, e
credere la intenzione
di ALIGHIERI lontana
le mille miglia
da quella sentenza.
In verità io non so,
se oggi neppur
un Bettinelli prenderebbe
il primo par-
tito. A questo
punto mi pare
eh' io potrei
tenere per sodisfatto
il mio debito
e quindi far
fine. Pure mi
piace di aggiungere
due altre considerazioni che mi
sembrano attissime a
far sentire sempre
più quanto sia
iuammissibile la discussa
interpretazion. Si consideri
dunque in primo
luogo che Dante,
comecché uomo straordinario, tanto
che possa dirsi
di lui quello che egli disse di
Omero, cioè che sovra gli altri com'aquila vola, ciò non
ostante è un
uomo, e tutti
si riscontrano in
lui i caratteri
generali degli uomini
dei tempi suo.Uno
di essi è
la fede, presa questa
parola nel senso
j)iù ampio ;
cosicché, oltre la
fede soprannaturale propria del
Cristiauo, abbracci pur quella
meramente naturale
dell'uomo, per la
quale egli fortemente
assente a tutto ciò,
che la ragione
gli mostri come vero
o come buono.
I fatti pubblici
e privati, le lotte delle fazioni
politiche, le dispute delle scuole,
i monumenti sacri e
profani, i libri,
che si leggevano
a istruzione o
a trastullo, tutto
in una parola
ciò che appartiene
a quei tempi
94 concorre a
farci intendere, che un uomo, che non crede con fermezza, sarebbe stato allora quasi un
assurdo. Per questo
fra i diversi
modi di pensare,
che anche nell'età di
mezzo regnavano nelle
scuole, restò ignoto
del tutto quello,
che torna in
fine in distruzione
d'ogni scienza e dello
stesso pensiero, voglio
dire lo scetticismo.
Ora che altro
è che puro
e pretto scetticismo
il dire là
onde vegna lo
'ntelletto delle prime
notizie, uomo non
sape, se questo
si ha da togliere
nel senso che la nuova interpetrazione
propone? Imperocché le
prime notizie son
pure quelle, sulle
quali, come su
fondamento, s'innalza tutto
il sapere dell'uomo;
onde il dubitare
del suo valore si
fa inevitabile a
chiunque s'attenta di
pas- sar i confini
della riflessione volgare,
se la origine delle
prime notizie è
impossibile a discoprirsi. Imperocché come
potrebbe egli abban-
donatamente affidarsi a principi
d'origine non pure
ignota, ma avuta
da lui per
inconoscibile ? Non
potrebbero essere altrettante
misere illusioni della
sua mente? E
per qual via
liberarsi di questo
terribile sospetto, se
tutti i giudizi della mente si fanno a norma di quei principi? S'immagini pure chi vuole maestro di dubbio
il nostro grande Poeta: io
per me non
potrò mai farmi
un' immagine tale
di nessun uomo
dei suoi tempi
e dell'Alighieri anche
molto meno, se
l'Alighieri è quello che lo dicono
le storie e
che lo manifestano
tutte concordemente e le sue
prose e i
suoi versi immortali.
Appoggiato invece a questi
documenti certissimi, dai
quali tanta fede
traluce nella ragione
e nella scienza
umana, io me
lo immaginerò pieno
di sdegnoso disprezzo
per cotesto genere
di mendace filosofia,
quale egli si
mostra nella prima
cantica della Divina
Commedia, quando, entrato
appena nella città
di Dite incontra
l'anime triste di
coloro, Che visser
senza infamia e
senza lodo. Mischiate.
a quel cattivo coro Degli
Angeli, che non
furon ribelli, Né
fur fedeli a
Dio, ma per
sé foro. Non
è già, ed
eccomi all'altra considerazione, non è
già che Dante
creda illimitata la
sua ragione umana
o che ne
esageri comecchesia il
potere: no, egli riconosce i suoi confini e al disopra di
questa naturale sorgente di cognizione ne pone un'altra soprannaturale, la fede,
destinata perdono grazioso di Provvidenza ad
estendere e compire, quanto
quaggiù è possibile,
la cognizione derivata
dalla prima. Però
egli ammette due scienze
distintissime,
corrispondenti a quelle
due potenze o
principi subiettivi del
nostro sapere, la
filosofia e la
teologia; e come,
menato dall'istinto d'un
animo eminentemente poetico,
che tutto contempla
nella forma del
bello, prende Virgilio come simbolo
della filosofia, così
Beatrice prende per simbolo della
teologia. Quin- Inf.,
canto di quelle parole,
che servono d'introduzione ac-
concissima ai ragionamento, con
cui VIRGILIO nel canto del Purgatorio
si fa a
dissipare difficoltà sorte nella
mente di Dante:
quanto ragion qni
vede Dir ti
poss'io: da indi
in là t'aspetta
Pure a Beatrice,
ch'è opra di
fede. Ora in
questa introduzione sta
appunto una nuova
buona ragione per
riprovare la interpe-
trazione, che fa
dire a Dante
indefinibile per umano
ingegno là onde
regna lo intelletto
Delle prime notizie.
In vero qual
era precisamente lo
scopo, a cui
mirava il ragionamento
di VIRGILIO? Ad ALIGHIERI,
non avendo inteso
bene il principio
da cui era
partito il suo
Maestro nel ragionamento antecedente, con
cui questi aveva
voluto spiegargli la
natura dell'amore, era
venuto a turbargli la
mente e ad
impedirgli di comprendere
come l'amore potesse
essere la radice
di ogni merito
o demerito dell'uomo
che opera, questa
obiezione : Ohe
se amore è di fuori
a noi offerto,
E l'animo non
va con altro
piede, Se dritto
o torto va,
non è suo
merto. Ora Virgilio,
perchè la mente
di Dante vedesse chiaro come il merito e il demerito
dell'operare dell'uomo stesse insieme
con quello che
egli aveva detto
circa il principio
del suo operare,
cioè circa l’amore, non
doveva aggiun- ger nulla
di nuovo, ma
solamente ritornare sulla
natura dell'amore e
più spiegatamente dirgliene
l'origine. E questo
infatti è quello
che egli fa,
quando, dopo averlo
avvertito che da lui non si aspetti che quanto in questa
materia può sapere la naturale ragione dell'uomo,
prende a dirgli: Ogni forma sustanzial, con quel che segue. Ora qui
è da riflettere,
che conoscere e
amare sono cose
cosi connesse, che
un subietto privo
di conoscenza è
impossibile che ami,
e privo di
amore è impossibile
che sussista ;
perchè col solo
conoscere non sarebbe intero, e un
subietto non intero è lo stesso
che un frammento
di subietto. Dante
la sapeva bene
questa connessione
strettissima dell'amare e
del conoscere, che
era uno dei
più comuni insegnamenti
dei filosofi dei
suoi tempi e
dei più incontroversi; onde,
se la opinione
sua quanto al
conoscere fosse stata,
che non se
ne può sapere l'origine, si
sarebbe sentito obbligato a professare un'opinione simile anche quanto
all'amare, e per conseguenza in questo luogo del Purgatorio non avrebbe indotto
Virgilio ad ammonirlo. Quanto ragion
qui vede Dir
ti poss'io, ma
questi gli avrebbe
dichiarato a dirittura
e senza andare
in troppe parole, che
non poteva dirgli
nulla, perchè nulla
la ragione ne
vede, e che
per tutta questa
bi- sogna gli conveniva
aspettare i più
alti ammae- stramenti di Beatrice. Pertanto quell'womo
non sape del luogo esaminato del Purgatorio non è da intendersi secondo
la nuova interpetrazione, ma
si in quello
stesso stessissimo significato
che lia l' noni,
non se n^avvede
in un altro
luogo della medesima
cantica, dove il
nostro Poeta, esprimendo
una delle più
note leggi dell'attenzione intellettiva,
dice: Quando per
dilettanze ovver per
doglie Che alcuna
virtù nostra comprenda,
L'anima bene ad
essa si raccoglie;
Par che a
nulla potenzia più
intenda, E questo è
contra quell'error, che
crede. Che un'anima
sopr'altra in noi
s'accenda. E però,
quando s'ode cosa
o vede, Che
tenga forte a
sé l'animo volta,
Vassene il tempo,
e l'uom non
se n'avvede. Ch'altra
potenzia è quella,
che l'ascolta, Ed
altra è quella,
che ha l'anima
intera; Questa è
quasi legata, e
quella è sciolta. In
ambedue i luoghi
ci significa la
mancanza di una
cognizione propria della
riflessione; ma ne
l'una né l'altra
cognizione manca all'uomo
per un invincibile
ostacolo, che stia
nella sua stessa
natura, bensì per
una accidentale condizione in
cui si trova.
Onde, finche egli
rimane in questa
condizione, necessariamente rimane
anche privo di
quella cognizione; ma
egli può pure
uscirne e il
potere uscirne non
consiste in altro,
che nel potere
riflettere su di
se e su
quello che in sé
avviene. Fin qui i due
casi, a cui
si riferiscono i
due luoghi del
Purgatorio, sono eguali
del tutto; la
loro dififerenza comincia
solo a mostrarsi,
quando si prende
a considerare la natura
dell'oggetto, del quale
si tratta d'acquistar cognizione per
via di un
ripiegamento del pensiero
su noi stessi.
Perocché nel caso contemplato nel canto
quest'oggetto è lo
scorrer del tempo, e
nel caso contemplato
nel canto è
invece la provenienza
delV intelletto delle
prime notizie. Or chi non vede,
che il ripiegare il pensiero su noi stessi per avvertire la successione delle
nostre modificazioni e il movimento del tempo, è assai più facile che il
ripiegare il pensiero su noi stessi per risalire fino all'origine prima di ogni
nostro conoscimento? Chi non vede, che
d'ordinario ogni uomo
adulto, eccettuate le
circostanze di breve
durata, a cui
l'Alighieri accenna nell'esporre
il primo caso, è capace di fare e
fa realmente quella
semplice riflessione, che è
necessaria per accorgersi
del tempo che
passa; ma che
all'opposto pochissimi degli
stessi uomini adulti,
o per nativa ottusità di
mente, o per
difetto di conveniente educazione intellettuale, o
per impedimento posto
dai casi e
negozi della vita,
sono capaci di
fare le molte
riflessioni e complicate
ed astruse, colle
quali soltanto è
possibile di elevarsi
fino a quel
fatto primo, in
cui s'inizia la
potenza stessa del
conoscere? Ma quello
che è difficile,
sia pur difficile
quanto si vuole,
non è impossibile; e quello, che non
è impossibile, o
prima o poi,
o da un
uomo o da
un altro si
fa; e cosi si va effettuando quella idea di
progresso, che, se per i singoli uomini ha il valore di una
legge morale, per tutta
insieme l'umana famiglia
ha quello d'una legge
ontologica, voglio dire
d'infallibile necessità. E a chi
quest'idea, in sui
primi albori della
civiltà moderna, più
che al nostro
Poeta illuminòla mente
e die potenza
a operare? Luoghi del
Poema di Dante CHIOSATI O CITATI DA P. Inf. Pura. Par. Autori o libri allegati
nelle chiose. Agostino LIZIO Alessandro Afrodisiaco Alessandro d'Ales Apocalisse Atti degli Apostoli Averroè
Bartolo da Sassoferrato Bettinelli Biagioli FIDANZA
Bossuet fiuti (Da) Francesco Oano Melchior Cesari Antonio
Condorcet Conti Daniello Bernardino Epicuro Esodo Evangeli Fichte
Fracastoro Girolamo Giustino Martire Hegel Ippocrate Livio Lombardi Baldassarre Lucrezio Muratori Lodovico Cenerò
Orazio Ovidio Ozanam Pacuvio Paolo Petrarca ACCADEMIA Renan Retorici ad
Erennio Rosmini Antonio
Sartini Scoto Michele Schelling Peder.
Guglielm Seneca Socrate Tolomeo da LuccaTommaseo Nicolò Aquino Varchi
Venturi Pompeo Vico Vigne (Delle)
Piero Virgilio Vives Gian Lodovico P. bicordato da un suo discepolo Di
un luogo del Purgatorio di Dante, che non sembra essere stato ancora dichiarato
pienamente Sopra un luogo della Cantica del Paradiso JuAverroè della divina
Commedia Alcune osservazioni sulla Fortuna di Dante Sopra un luogo del canto
del Paradiso. Di un luogo filosofico della divina Commedia. Tavola dei luoghi
del Poema di Dante chiosati o citati da
P., Tavola degli Autori
o libri allegati
nelle Chiose. cf. Alessandro Paganini. Carlo Pagano
Paganini. Paganini. Keywords: Alighieri. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Paganini” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Pagano: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’eroe – filosofi
agiustiziati – la scuola di Brienza -- filosofia basilicatese -- filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Brienza). Filosofo italiano. Brienza, Potenza,
Basilicata. Essential Italian philosopher. Uno dei maggiori esponenti
dell'Illuminismo ed un precursor edel positivismo, oltre ad essere considerato
l'iniziatore della scuola storica napoletana del diritto. Personaggio di spicco
della Repubblica Partenopea, le sue arringhe contornate di citazioni
filosofiche gli valsero il soprannome di "Platone di Napoli". Nato da
una famiglia di notai, si trasfere a
Napoli. Studia sotto l'egida di Angelis, da cui apprese anche gli insegnamenti
del greco. Frequenta i corsi universitari, conseguendo la laurea con il “Politicum
universae Romanorum nomothesiae examen” (Napoli, Raimondi), dedicato a Leopoldo
di Toscana ed all'amico grecista Glinni di Acerenza. Studia sotto Genovesi, il
cui insegnamento fu fondamentale per la sua formazione, e amico di Filangieri
con cui condivide l'iscrizione alla massoneria. Appartenne a “La Philantropia,”
loggia della quale e maestro venerabile. Inoltre, i proventi dell'attività di
avvocato criminale gli consenteno di acquistare un terreno all'Arenella, dove
costitue un cercchio, alla quale partecipa, tra gli altri, Cirillo. Insegna
a Napoli, distinguendosi come avvocato presso il tribunale dell'Ammiragliato
(di cui diviene poi giudice) nella difesa dei congiurati della Società Patriottica
Napoletana Deo, Galiani e Vitaliani pur non riuscendo ad evitarne la messa a morte.
Incarcerato in seguito ad una denuncia presentata contro di lui da un avvocato
condannato per corruzione che lo accusa di cospirare contro la monarchia. Venne
liberato per mancanza di prove. Scarcerato ripara clandestinamente a Roma, dove
e accolto positivamente dai membri della Repubblica. Insegna al Collegio
Romano, accontentandosi di un compenso che gli garantiva il minimo
indispensabile per vivere. Tra i suoi seguaci e allievi, il rivoluzionario Galdi. La libertà è la
facoltà di ogni uomo di valersi di tutte le sue forze morali e fisiche come gli
piace, colla sola limitazione di non impedir ad’altro uomo di far lo stesso. Il
Giudice Speciale lo schernisce dopo avergli letto la sentenza di morte.
Ritratto di Giacomo Di Chirico. Lasciata Roma, si sposta per un breve periodo a
Milano e, dopo la fuga di Ferdinando IV a Palermo, fa ritorno a Napoli, divenendo
uno dei principali artefici della Repubblica, quando il generale Championnet lo nomina tra quelli che doveno presiedere
il governo provvisorio. La vita della repubblica e corta e molto
difficile. Manca l'appoggio del popolo, alcune province sono ancora estranee
all'occupazione francese e le disponibilità finanziarie sono sempre limitate a
causa delle sovvenzioni alle campagne napoleoniche. In questo breve lasso di
tempo, ha tuttavia modo di poter realizzare alcuni progetti. Importanti in
questo periodo sono le sue proposte sulla legge feudale, in cui si mantiene su
posizioni piuttosto moderate e il progetto di Costituzione. Essa per la prima
volta stabilisce la giurisdizione esclusiva dello stato napoletano sul diritto civile
e, tra le altre cose, prevede il de-centramento amministrativo. Prevede inoltre
l'istituzione dell'eforato, precursore della corte costituzionale. Il suo
progetto rimase tuttavia inapplicato a causa dell'imminente restaurazione monarchica.
Si distingue sostenendo altre leggi di capitale importanza come quella
sull'abolizione dei fedecommessi, sull'abolizione delle servitù feudali, del
testatico, della tortura. Con la caduta della repubblica, dopo aver imbracciato
le armi che difendeno strenuamente gl’ultimi fortilizi della città assediati
dalle truppe monarchiche, e arrestato e rinchiuso nella "fossa del
coccodrillo", la segreta più buia e malsana del Castel Nuovo. E in seguito
trasferito nel carcere della Vicaria e nel Castel Sant'Elmo. Giudicato con un
processo sbrigativo e approssimato, e condannato a morte per impiccagione. A
nulla e valso l'appello di clemenza da parte dei regnanti europei, tra cui lo
zar Paolo I, che scrive al re Ferdinando. Io ti ho mandato i miei battaglioni,
ma tu non ammazzare il fiore della cultura europea. Non ammazzare P,, il più
grande filosofo di oggi. E giustiziato in Piazza Mercato, assieme ad altri
repubblicani come Cirillo, Pigliacelli e Ciaia. Salendo sul patibolo, pronuncia la
seguente frase. Due generazioni di vittime e di carnefici si succederanno, ma
l'Italia, o signori, si farà. Italia si fara. Italia, o signori, si fara. Proclami
e sanzioni della Repubblica napoletana, aggiuntovi il progetto di Costituzione,
Colletta. Esponente fra i più rilevanti dell'Illuminismo merita di essere preso
in esame dalla nostra prospettiva per la visione consegnata ai Saggi politici,
un'opera a carattere filosofico -- di ‘filosofia civile' per l'ispirazione
complessiva e il disegno di fondo in cui i diversi elementi della sua
multiforme natura sono orientati verso un unico obiettivo. E anche per la
filosofia politica, che emerge in tutta la sua peculiarità da un lavoro pur dai
caratteri tecnici obbligati come il Progetto di Costituzione della Repubblica
napoletana, da lui personalmente redatto. Saggi: “Burgentini”, “Oratio ad
comitem Alexium Orlow virum immortalem victrici moschorum classi in expeditione
in mediterraneum mare summo cum imperio praefectum”; “Gli Esuli tebani.
Tragedia” (Napoli); “Contro Sabato Totaro, reo dell'omicidio di Gensani in
grado di nullità aringo” (Napoli); “Il Gerbino tragedia” e “Agamennone: monodramma-lirico”
(Napoli, Raimondi); “Considerazioni sul processo criminale (Napoli, Raimondi);
“Ragionamento sulla libertà del commercio del pesce in Napoli. Diretto al Regio
Tribunale dell'Ammiragliato e Consolato di Mare” (Napoli); “Corradino: tragedia”
(Napoli, Raimondi); “De' saggi politici”(Napoli, aRaimondi); “L' Emilia: commedia”
(Napoli, Raimondi); “Saggi politici de' principii, progressi e decadenza della
società” (Napoli); “Discorso recitato nella Società di Agricoltura, Arti e
Commercio di Roma nella pubblica seduta del di 4 complementario anno 6° della
libertà, Roma, presso il cittadino V. Poggioli. “Considerazionisul processo
criminale” (Milano, Tosi e Nobile); “Principj del codice penale e logica de'
probabili per servire di teoria alle pruove nei giudizj criminali”; “principj
del codice di polizia” (Napoli, Raffaele). Le opere teatrali non furono mai rappresentate in pubblico. Le mette
in scena privatamente nella sua villa dell'Arenella. Sono caratterizzate da
temi prevalentemente sentimentali mascherando i temi civili che pur in esse sono
presenti, con funzione quindi pedagogica nei confronti del popolo.
Intitolazioni e dediche Statua di P. a Brienza. Al giurista lucano sono
state dedicate alcune opere letterarie come Catechismo repubblicano in sei
trattenimenti a forma di dialoghi di Astore e P., ovvero, della immortalità di ROVERE
Nella Corte d'Assise di Potenza fu collocato un busto marmoreo in suo onore,
opera di Antonio Busciolano. Gli venne dedicato il Convitto nazionale P. di
Campobasso, con regio decreto firmato da Vittorio Emanuele II. Alcune logge
massoniche furono intitolate a suo nome, come quella di Lecce e di Potenza.. Nel
Venne inaugurato un busto in marmo ai giardini del Pincio (Roma), realizzato da
Guastalla. Il suo personaggio apparve nel film Il resto di niente di Antonietta
De Lillo, interpretato da Mimmo Esposito. Elio Palombi, Pagano e la scienza
penalistica; Giannini, Tessitore, Comprensione storica e cultura, Guida; Gorini,
Ricordanze di trenta illustri italiani, Minerva, Perrone, La Loggia della
Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione. Con la
corrispondenza massonica e altri documenti, Palermo, Sellerio, A. Pace,
Annuario, Problemi pratici della laicità agli inizi del secolo Kluwer Italia, Addio,
Le Costituzioni italiane: Colombo, Lazzari: una storia napoletana, Guida, Cilibrizzi,
I grandi Lucani nella storia della nuova Italia, Conte, Alessandro Luzio, La
massoneria e il Risorgimento italiano: saggio storico-critico, Volume 1, Forni,
Vittorio Prinzi, Tommaso Russo, La massoneria in Basilicata, Angeli, Carlo
Colletta, Proclami e sanzioni della repubblica napoletana, aggiuntovi il
progetto di Costituzione di P., Napoli, Stamperia dell'Iride, Dario Ippolito,
il pensiero giuspolitico di un illuminista, Torino, Giappichelli, Nico Perrone,
La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione,
Palermo, Sellerio, Venturi, Illuministi italiani, Riformatori napoletani,
Milano-Napoli, Ricciardi, Repubblica Napoletana Repubblicani napoletani
giustiziati Deo. Treccani Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Considerazioni
sul processo criminale, su trani-ius. Progetto di Costituzione della Repubblica
Napoletana, su repubblica napoletana. Principii del codice penale, su
trani-ius. Relazione al Convegno di Brienza su P., dsu trani-ius. Dell origine delle pene pecuniarie. De' progresivi avanzmenti
della sovranità per mezzo de’ giudizi. Del maggior estabilimento de' giudizi.
Pruove storiche. Preso de' Creci giudica della Socieeta. Del duello. Degl’altri
modi aduprati ne’ divinigiu dizj. Della Fortura. Prüove storiche. Coltura inquest
'ultimo periodo della barbarie. Dello sviluppo della macchina; e del
miglioramento del costume, dello Spirito, e delle 79 quanto elle conferial miglioramento
del costume ca, e della origine del commercio, di antichitd LINGUE de’ popoli.
De’ giudizj degli’aprichi Germani, e de' Scioglimento di una opposizione alleco
Se dette. De principi della giurisprudenza de'bar De divini giudizj. Nuova
explicaziure di un famoso puntu della legislazione di questi tempi, dello stato
delle proprietà, e dell'agri. Dell;origine dell'ospitalitita, e come, delle
arti e delle scienze di cotest'epur 78 barbari della mezza età della religione. de principi e progressi delle
società colte. L'estinzione della indipendenza privata, la liberta civile, la
moderazione del governo formano l'esenziale coltura delle nazioni. Dell'origine
della plebe, e de' suoi drit 'ti. Delle varie cagioni, dalle quali nascono gono
dalla varia modificazione della macchina. De'climi più vantaggiosi all'ingegno ed al
valore Ea lerge non frena la libertà, mala garantisce e la difende vi e polite.
i diversi governi, e primieramente delle interne. Della educazione.
Dell'esterne cagioni locali, che sul diverso governo hanno influenza, Del clima.
diversi. Del rapporto della società colle potenze straniere; della libertà, e delle
cagioni, che la tolgono; come la legge civile pofanuocere alla De'diversi elementi
della Citta. Della legge universale, e dell'ordine cosi fisico, come morale.
Come le forze, ed operazioni morali for. Come secondo i varj climi nascono
governi libertà, inducendo la servitù. Della liberta politica. Delle due proprietà
di ogni moderato, Del dritto scritto, delle leggie giu e regolar governo
risprudenza de' colti popoli, La moltiplicazione degli uomini è maggiore
negli stati guerrieri, che ne'commer. del gusto e delle belle arti, del
piacevole. Del rafinamento del gusto,de varj fonti del piacere. Delle leggi agrarie
dell'antiche republiche. Della galanteria de popoli colti. Della galanteria de barbaritempi.
Delle arti di lullo de’ populi politi, Dela monetate dele Finanze, dell'oggetto
delle belle arti, e del gusto, dell'ingegno creatore, delloSpirito, e costume delle
colte nazioni. Delle sorgenti del Genio. Quali governi fieno per loro natura
guerrieri, equali commercianti Quali cose forminu la bellezza nelle arti
imitative. L'unit. forma e la bontd, e la bellezza degl’elleri. Proprieta.
bliche, e della violentari partizione de poderi. Di due generi di stati
o'conquistatori, o commercianti, di unterzogenere distato nè. com, Divisione
delle belle arti. De' contrasti, opposizione, antitesi, Del dilicato, del
forte, del sublime, dela delle grazie, e dell'interesse sempre vivo, decadenza
delle belle arti delle nazioni, e della prima di elle, cive dello sfibramento
della macchina dell'uomo, e delle zioni dalla prima, e del novello stato selvaggio.
Generale prospetto della storia del regno. Del progresso e perfezione delle
belle arti. Dell'epoche progresive de'varii ramı delle belle arti. Del corso
delle belle arti IN ROMA, e nella moderna Italia, conseguenze morali; della corruzione
de' regolari governi, la quile rimena la barbarie. La grandezza ne' popoli colti
ne'barbari, la dilicatezza, e sublimitd è maggiore. Delle Scienze, e delle arti
delle nazioni corrotte. Divisone dal dispotismo; della decadenza delle anzioni;
delle universali cagioni della decadenza. Diversità della seconda barbarie
delle na; del corso delle nazioni di Europa. Dell 'inondazione de'barbari, e
delri Jorgimeuto dell'europea costura. Le note segnate colle pa Dello
ftata degl’uomini, che sovravissero alle vi. focievole. cende della natura .
liare . Del secondo stato della vita selvaggia. Dei varii doveri, e dritti
de'compagni, coloni, Del primo stato della vita selvaggia. Del terzo fato della
vita selvaggia, delle cagioni che strinfero la sociesà fami Del vero principio
motore degli uomini al vivere. Delle due specie de' bisognififci, emorali.
Della distinzione delle famiglie, dell'origine della nobiltà, dell'incremento delle
famiglie e dell'origine de famoli, e delle varie lor classi. fervi. Del quarto
stato della vita selvaggia. re Società .
Della domestica religione di ciascuna famiglia, Dell'origine dell'anzidetta
religion domestica; Si Ricapitulazione de'diversi stati della vita
selvago. Degli affidati, e de'vafalli della mezza età. ST Paragone tra compagnoni
de’ Germani, fooj de Greci, e i cavalieri erranti degli ultimi barba L'impero
domestico ficonrinnòneleprime barba, dell'antropofagia y o fia del pasto delle
carni u m d ri tempi. 64 gia. Della religione de'selvaggi, de'costumi
de'selvaggi, Del secondo periodo delle barbare nazioni. e di coloro, che ghi . ins 116 se de'pa V. blici militari consigli,
dello stabilimento del le città e del primo periodo delle barbariche società.
conviti . Chene'tempi degli Dei fi tennero iprimi pub, della teocrazia, dello
stato della religione del le prime società, dell'influenza della religione in
tutti gli affari de'barbari. la componevano.
Del primo passo dele selvagge famiglie nelcorso civile, ossia
dell'origine de vichi. Dell'origine de' tempj, é di'pubblici, ésacri Della
sovranità della concione, i20 СА. Dell idee degli antichi intorno
allamonar· Della forma della romana
repubblica nel secondo, del governo de primi greci, de'costumi, del genio di
questa età, e della tral de'costumi di questa età della fo Dell'arti. Saggio. Dell’origine
e stabilimento Dello stabilimento delle città e del primo period, Che ne'tempii
degli Dei si tennero i primi pubblicimilitariconsigli, della teocrazia, dello
stato della religione delle prime società Dell'influenza della religione in
tutti gli affari dei barbari componevano. Dell'idee degli antichi intorno alla
monarchia Della forma della romana repubblica nel secondo Del governo feudale
di tutte le barbare 'nazioni, della sovranità della concione e di coloro che la
Del governo de’ primi Greci. De 'giudizi nel secondo periodo della barbarie di
periodo della barbarie ROMA. De'costumi,del genio di questa età edellatrasmi.
Continuazione de costumi di questa età della so, Del progresso delle barbare
società : del terzo ed ultimo loro periodo. De’ progressivi avanzamenti della
sovranitàper mezzo bari tempi esercitato da're. De'principii della giurisprudenza
de'barbari. Del diritto della proprietà . grazione delle colonie de barbari Il
potere giudiziario non venne negli eroici e bar. de'giudizi . cietà Delle arti
e cognizioni di questa età. Del maggiore stabilimento del giudiziario potere.
Del duellil degli’altri modi adoprati ne'divini giudizi. Dello stato della
proprietà e dell'agricoltura in Dello sviluppo della macchina e del
miglioramento del costume, DELLO SPIRITO ROMANO E DELLA LINGUA ROMANA. dconferi
al miglioramento del costume de popoli . Dell' arti e delle scienze di
cotest'epoca, dell'ori quest'ultimo periodo della barbarie . gine del commercio
. De'divini giudizi Della legislazione di questi tempi . Dell'origine
dell'ospitalità, e come e quanto ella Della tortura Della religione o
dest civile, la moderazione del governo formano l'essenziale coltura delle
nazioni. Dell'origine della plebe e de'suoi diritti verni, e primieramente
delle interne. Delle varie cagioni dalle quali nascono idiversi go hanno
influenza. Come le forze ed operazioni morali sorgono dalla Della società colta
e polita. L'estinzione dell'indipendenza privata, la libertà De'diversi
elementi della citt. Della educazione. Dell'esterne cagioni locali che sul
diverso governo Del clima varia modificazione della macchina De'climi più
vantaggiosi all'ingegno ed al valore. Secondo i vari climi nascono governi
diversi. Della libertà e delle cagioni che la tolgono Della legge universale e
dell'ordine cosi fisico co Delle varie specie della legge, e della legge civile
. La legge non toglie la libertà, ma la garantisce. Vera idea della libertà
civile. Come la legge positiva possa nuocere alla libertà civile. Della legge
relativamente alla proprietà. Del rapporto della società colle potenzę
straniere me morale, Della libertà politica. Della giusta ripartizione delle possession.
Delle leggi agrarie dell'antiche repubbliche,edella forme degli stati cianti
commercianti Di un terzo genere di stato né commerciante ne varia ripartizione
de'poderi . Leggi ed usi distruttivi della proprietà Delle varie funzioni della
sovranità e delle varie. Di due generi di stati, o conquistatori o commer.
Quali governi sieno per lor natura guerrieri e quali. La moltiplicazione degli
uomini e maggiore negli stati guerrieri che ne commercianti conquistatore. Partizione
della legge civile, qualità delle leggi Della moneta e delle finanze
Dell'arti di lusso de'popoli politi zioni
Dello spirito e costume della nazione italiana. Della passione
dell'amore de'popoli colti. Della decadenza delle na. . Della corruzione delle
società . Stato delle cognizioni in una nazione corrotta. Costumi e carattere
delle nazioni corrotte. Della galanteria de'tempi cavallereschi . Cagioni
fisiche e morali della decadenza della sociela Divisione del dispotismo. Del
civile corso delle nazioni d'Europa Dell'inondazione de'barbari e del
risorgimento del Discorso sull'origine e natura della poesia. Del metodo che si
tiene nel presente discorso Dell'origine del verso e del canto. Le barbare nazioni tutte son di continuo in
una vio leuza di passioni, e perciò parlano cantando Origine ed analisi delle
prime lingue dei selvaggi e Diversità della seconda barbarie delle nazioni
dalla prima, e del novello stato selvaggio l'europea coltura barbari
Dėll'interna forma ed essenza poetica, è propria mente della facoltà pittoresca
de primi poeti, Della maniera di favellar per tropi, allegorie e caratteri
generici; ANALISI DI ALQUANTE VOCI LATINE le quali fu rono traportate dalle
prime sensibili nozioni a rap Della
personificazione delle qualità de'corpi nata dalle prime astrazioni della mente
umana. Per quali ragioni tutte le cose vennero animate Continuazione universale
Della qualità patetica dell'antica poesia e de'co Ricapitolamento di ciò che si è detto
presentarne dell'altre . La poesia è un genere d’istoria, ossia un'istoria. rica
dell'antica poesia. Dell'origine della scrittura. Dalle vive fantasie
de'selvaggi lori dello stile. Più distinta analisi della lingua allegorica e
gene. Dell'origine della pantomimica, del ballo e della Dell ll'origine delle
feste. Commedia, tragedia, satira, ditirambo furono in Conferma dell'anzidetta
verità musica principio una cosa sola . Saggio del Gusto e delle belle arti
Dell'oggetto delle belle arti e del gusto. Della nascita della tragedia Della
tragedia. Dell'origine delle varie specie di poesia Delle belle arti. Divisione
delle belle arti. Del piacevole e dell'interesse sempre vivo Dell'ingegno
creatore. Quali cose formino la bellezza nelle arti imitative. L'unità forma e
la bontà e la bellezza degl’esseri. Del raffinamento del gusto ed e vari fonti de
lpiacere. De'contrasti, opposizione, antitesi. Del dilicato, del forte, del
sublime e delle grazie. Delle sorgenti del genio. La grandezza e sublimità ċ
maggiore nei barbari; la dilicatezza ne'popoli colli Decadenza
delle belle arti. Del corso delle belle arti in Roma e nella moderna
Continuazione. Del maggior estabilimenta del giudiziari opotere. mente
De progres sivi avanzamenti del la Sovranità per wieszo delGiudizj. De principj
della giurisprudenza di barbari. Del Duello
Degli altrimodi ad opratine' d'ùinigiudizj. Della Tortura . Della
legislazione di questi tempi. Dello stato della proprietà, e dell agricoltura
in; Dello sviluppo della macchina, et del migliora; il potere giudiziario non
venne negli eroici; e bara bari tempi esercitata da re . quest'ultimo periodo
della barbarie. De divini giudiz].mento del costume, dello spirito, e dellelina
gue. Dell'arti, e delle scienze dicorest'epoca, dell origine del Commercio .
L'estinzione della indipendenza privatą, la liber: D e diversi elementi della
città nità per Della Religione Ultimo Dell'esternecagioni locali,che
suldivariopovera Dell'originedellaplebe,ede'suoidritti. 7wotere. 20 94 iebare
Delle variecagioni dalle quali nascono i diversi governi, e primi eraniente dell"interne.
Della educazione rà civile, la moderazione del gover formand l'essenziale
coltura delle nazioni; Dell originedell'ospitalità, e come, e quanto ella
confert al miglioramento del costume de popoli . leforzeed operazioni morali sorgono
dala Come modificazione dellamacchina. la varia lore i ed al vas P. X. Secondo
i varj climi nascono governi diversi. Delle varie specie della legge, e della
legge ci vile . La leggenon togliela libertà, ma carentisce la vera idea della
libertà civile . Della libertà politica.
Del clima . De climipiùvantaggiosi all'ingegno, CA Come la legge
positiva possa nuocere alla libertà civile . Dellaleggeuniversale,
edell'ordinecasi fisico, come morale, Della legge relativamente alla proprietà.
no hanno influenza: Del rapporto della società colle potenze stranie. Della
libertà, e delle cagioni, che la tolgono, Quali governi sieno per lor natura
guerrieri,e quali commercianti, Della passione dell'amore de popolicolti. Delle
varie funzioni della sovranità, e delle varie forme degli stati. Di due generi distari,
o conquistatori, o coma mercianti. Di un terzo genere di stato nel commerciante
nd conquistatore. La moltiplicazione degli uomini a maggiore negli stari
guerrieri, che ne commercianti. Partizione della legge civile, qualità delle
Lego gi. Dellagiust:ripartizionedelepossessioni. Dello leggiagrarie dell'antiche
repubbliche, e del la varia ripartizione de'poderi. Leggi, ed usi distruttivi
della proprietà . Della moneta delle Finanze. Dello spirito e costume delle colte
nazioni. Della galanteria de tempi
Cavalereschie. Dell arti di lusso de'popoli politi, Costumi, e carattere delle
nazioni corrotte . Diversità della seconda barbarie delle nazioni dala laprima,
è del novello stato selvaggio, Del civile corso delle nazioni di Europa .
Dell'inondazione de barbari, e del risorgimento delloeuropea coltura seri e
delle crisi, per mezzo delle quali si Dell'estrinseche morali cagioni, che
turbano il naturaleedordinariocorsodelleNazioni pag. Della varia efficacia
delle anzidette cagioni orientale Delle varie fisiche catastrofi. Delle
differenti epoche delle varie fisiche cata Ragioni del Vico contra l'antichità
e la Sapienza. Dell'antichissima coltura degli Egizie de' Caldei» De 'Caldei.
strofi della terra Della contesa delle nazioni sulle loro antichità. Dellà
successione di varie fisiche vicende Del
disperdimento degli uomini per mezzo delle naturali catastrofi Delle morali cagioni attribuite dagli uomini
igno ranti a'fisici fenomeni Delle diverse cagioni delle favoleDelle diverse
affezioni degli uomini nel tempo delle crisi Delle crisi di fuoco -- continuazione
dell'analisi degli effetti prodotti nello spirito dallo sconvolgimento del ce
Della verosimiglianza del proposto sistema. VIantichissime nazioni
orientali. Del modo come sviluppossi l'uomo dalla terra Dello stato primiero
della terra e degli uomini, e delle varie mutazioni sulla terra avvenute
»Seconda età del mondo Originė degli uomini secondo il sistema delle . Sviluppo
dell'anzidetta platonica dottrina sui due Della favola di Pandora. Dello
spirito delle prime gentili religioni periodidelmondo. Prima età del mondo »
140 9 142 ed origine della secondo l'antichissima teologia Sviluppo dello
spirito umano, ·religione Dell'invenzione dell'arti,e degli usi
giovevoli L'ordine della successione delle varie catastrofi Dello stato de
popoli occidentali dopo 1°Atlantica catastrofe Del diluvio di Ogige, e di
Deucalione Delle morali cagioni che diedero all'anzidetta favola
l'origine,ed'altre favole eziandio porto. Ricapitolazione
Diunaparticolarecrisidell'Italia alla vita si ritrova solo nella mitologia
Dell'Atlantica catastrofe . che alla medesima catastrofe hanno rapDello stato
degli uomini, che sopravvissero'alle vicende Del terzo stato della vita
selvaggia . Delecagioni,chestrinserolasocietàfamigliare, Del vero principio
motore degli uomini al vivere socie Della distinzione delle famiglie, o
dell'origine della Pag. 5 della natura .
yole .Del primo stato della vita selvaggia. Del secondo stato della vita
selvaggiaDelle due specie de' bisogni fisici, e morali . nobiltà.
Dell'incremento dele famiglie, e dell'origine defa Dei varjdoveri, ediritti
de’ compagni, coloni, eservi. Degli affidati, e de vassalli della mezza età. Paragone
tra'compagnoni de'Gerinani,socj de Greci, eicavalierierranti degliultimi barbari
tempi. Del quarto stato della vita selvaggia . L'impero domestico si continuò
nelle prime barbare Dell'anıropofagia, o
sia delpasto delle carni umane . Ricapitolazione de
diversistatidellavitaselvaggia.moli, e delle varie ior classi. Della religione de' selvaggi . Della domestica
religione di ciascuna famiglia .' Dell'origine dell'anzidenta religion
domestica. e ' . società . De costumi
de'selvaggi. Del primo passo delle selvagge famiglie nel corso civile, ossia
dell'origine de'vichi,ede'paghi. Dello stabilimento delle città, e del primo
periodo delle Del secondo periodo delle barbare nazioni Dell'origine de tempj,
e de'pubblici, e sacri con. viti. Chene tempjdegli Deisitenneroiprimi pubblicimi
Dello stato della religione delle prime società . Dell influenza della
religione in tutti gli affari de' baru Della sovranità della concione, o di
coloro, che la componevano. Del governo de primi Greci, litari consigli.
Della Teocrazia. bari barbariche società. 1ell'idee degli antichi intorno alla
monarchia; DELLA FORMA DELLA ROMANA REPUBBLICA nel secondo periodo della
barbarie, Del governo feudale di tutte le barbare nazioni. Di costuini, del genio
di questa età, e della trasmi Continuazione de’ costumi di questa età della società;
Dell'arti, e cognizioni di questa età; del dritto della proprietd; Della sorgente de dritti in generale, e di
quello della proprieta; Del progresso della proprietd, e dell'ori De’ costumi, del
genio di questa età, e del Delle arri, e
cognizioni di questa; Del progresso delle barbare società, ossia del terzo;
DELLA FORMA DELLA ROMANA REPUBBLICA nel secondo -- Parlando LIVIO (si veda) dell'elezione,
che dove a farsi del re per LA MORTE DI ROMOLO (si veda), adopra sì, fatta
espressione. Summa potestate populo perinissa. E soggiunge. Decreverunt enim
(Senatores), ut cum populus jussisset, id sic ratum esset si patres auctores
fierent. Quindi tu convocata la concione, e VENNE ELETTO NUMA (si veda). E
l'istesso autore dell' elezione di Tullo Ostilio dice: regem populus jussit, patres
auctores facti. I senatori fiebant auctures. Perchè tutte le cose prima eran
proposte nel SENATO, indi alla concione recate. Auctor è l'inventore, il
proponitore, il principio, ed origine della cosa .periodo della barbarie. Questi
furono i QUIRITI, cioè gl’armati di asta : avvegnachè, come gl’altri popoli
barbari uella concione, ne’ comizi on differente affatto dal regno eroico è il
governo de’ primi ROMANI. ll re ad un SENATO prese deva, e con senatori prende
le deliberazioni, le quali nella grand'assemblea del popolo ricevevano la sanzione
di legge. Il POTERE de' primi re di Roma è LIMITATO così -- come quello di tutti i riegnanti
de' tempi eroici. La sovrana dello stato era la concione, che compone sida que'
capi delle tribù e delle curie, i quali sono detti decuriones e tribuni, che, uniti,
votano per le di loro curie, e tribù, come ne'parlamenti nostri I baroni
rappresentano le di loro terre, e città. E serva, E tal antico costume VIRGILIO
(si veda) dipinge negl’eroici compagni d'ENEA (si veda). DVCTORES TEVCRIM PRIMI
ET DELECTA IVVENTVS CONSILIVM SVMMIS REGNI DE REBVS HABEBANT SCANT LONGIS
ADNIXI HASTIS ET SCULA TENENTES -- e poi per varj gradi, e dopo molto correr di
tempo alla libertà pervenne, e tardi assai acquista il diritto alla
magistratura. Prima ottenne di es Da più luoghi di Omero si ravvisa il costume
medesimo de’ greci. Ed è questo un generale costume di tutte le barbare genti
adoprato nelle generali assemblee. Perché i barbari, temendo ognora le sorprese
de’ nemici, stanno sempre in su l'armi, nè confidano la di loro sicurezza
personale, anche tra’ cittadini, alla legge, ma al di loro braccio soltanto, TACITO
de' Germani: ut turbae placuit, considunt armati. Tum ad negotia, nec minus
suepe ad convivia procedunt armari – LIVIO 1. De’ Galli dice, In his nova, terribilisque
species visa est, quod armati -- ila mos gentis -- in concilium venerunt, OVIDIO (si veda) ci
attesta l'istesso de' Sarmati, degl’Umbrici STOBEO (si veda) radunavansi que'
capi coll'ASTA alla mano, la quale portano per SIMBOLO del loro impero, non che
per la propria difesa. La plebe è tanto serva in ROMA quanto presso i germani, i
galli, i greci. La plebe non ha parte nella concione. Questo argomento è dal nostro
gran VICO (si veda) ampiamente trattato. VICO sviluppa l'intero sistema del governo
romano, e dispiegando il corso della storia di quel popolo dimostra che per
gran tempo in Roma la plebe è dell'intutto ser affrancata, poi consegui il
bonitario dominio, cioè l'utile, e dipendente dal diretto, che i nobili possedeno.
Quindi fa acquisto del perfetto e compiuto dominio, detto QUIRITARIO, perchè è pria
de' soli quiriti, ossia de’ PATRIZJ e NOBILI ROMANI; e finalmente ha voto
nell'assemblea, e partecipe divenne della REPUBBLICA, CHE DA RIGIDA
ARISTOCRAZIA IN POPOLARE ALLA FIN SI CANGIA. Come nel prin [Populus de’ Latini
valse da principio, quanto “laos” de' Greci, che significa una tribù, una
popolazione. Quindecim liberi homines populus est. Apuleius in Apol. E GIULIO
CESARE dice nel de bello Gall. si quisant privatus, aut populus eorum decreto
non stetit. Ove dinota “populus”, popolazione, tribù. Ma se “populus” da
principio dinota una speciale popolazione, e tribù, nel progresso si prende tal
voce per la radunanza di tutte le tribù, che componeno la città. Ma venneno
rappresentate queste tribù da’ capi detti tribuni, nome che resta per dinotare
militari magistrati, come tribuni milia Eum. Ma prima significa anche i civili,
cio è i giudici, onde “tribunal” si dice il luogo ove amministravasi giustizia.
I Latini filosofi, che vennero in tempo, che ogni orma dell' antico stato e si
perdut, ed e si colle cose cambiato il vampulus trasse il nome da “populus”
pioppo . Perocchè questa popolazione radunasi sotto di un pioppo quando di
comune interesse trattasi, secondochè in alcune terre del regno ancor oggi si
usa, quando parlamentasi. E tal costume di radunare sotto degl’alberi il popolo
è ben antico, e secondo la semplicità delle prime genti. Ateneo scrive che
sotto di un platano i primi re della Persia davan udienza a' litiganti, e
decidevano le liti. E per avventura pocinio la plebe puo avere il diritto di
suffragio ne’ comizj, non avendo proprietà nè reale, nè personale. Tale è il corso
che fa la romana repubblica, come quel valentuomo dimostra, non dissimile da
quelle dell'altre barbare nazioni. Egli è però vero che un'intempestiva
tirannide turbo per poco il corso regolare di quella città. I re presero in
Roma sin dall'albore de’ suoi giorni vantaggio “grandissimo su gl’altri prenci,
e capi. Il popolo romano e più tosto un esercito, e la città un campo, e un
militare alloggiamento, quella feroce, e marziale gente e sempre in guerra, e, come
il lupo, verace emblema del suo genio nativo nutrivasi di sangue e distruzione.
Or se come ben anche Aristotile osserva parlando degl’eroici regni, era nella
guerra maggiore il poter del re presso tutte le barbare nazioni, meraviglianonè,
se il capitan dell'armi, il duce della guerra, il usurpato una straordinaria
potenza in Roma. Il potere esecutivo sempre ne’ empi di guerra, come il mare
nelle tempeste diffondesi sulla terra, guada gpa sul poter legislativo. Ma i re
di Roma sforniti di straniera milizia in vanu tentarono ritenere colla re
lor delle parole, ricevendo la tradizione, che il popolo ne' cominciamenti di
quella repubblica nell'assemblea radunato dispone della pubbliche cose, s'ingannarono
credendo che la plebe ben anche quivi votasse. Nella Scienza Nuova avesse forza
quel potere, che avean acquistato coll’autorità. Vennero discacciati da quella
repubblica, ed ella ben tosto ri-entra nel suo ordinario cammino. De’ giudizj
nel secondo periodo della barbarie di Roma. Le due ispezioni della publica asemblea
sono in Roma in questa epoca della barbarie la guerra esterna e la persecuzione
de’ ribelli cittadini. Ma le cose private, la personal difesa, la particolar
vendetta venne per anche ai privati affidata. L'impero domestico conserva il suo
vigore. I feroci padri di famiglia non cedeno ancora la di loro sovrana e regia
autorità, se non per quella parte che rimira la pubblica difesa, onde venne composto
l'unico sociale legame. Ma rimane intatta, ed illesa la di loro sovranità
riguardo alle loro famiglie, e alla privata difesa ed offesa. Viveno ancora
nello stato di privata guerra. Il ferro decide delle loro contese, e col
privato braccio prenden rendetta delle private offese. Il popolo dunque, che
radunasi in Roma in quest'età nell'assemblea, è quella popolazione, o truppa de’ servi, clienti,
e compagni guidata dal suo capo, e il voto suo è quello del suo signore che
dove sostenere, e difendere, ubbidire, e seguir nella guerra, da cui non forma persona
diversa secondo le cose già dimostrate. Niun'altra nazione ci conserva
monumenti più chiari dello stato della privata e civile guerra del popolo romano.
Il processo romano è la storia del duello, per mezzo di cui terminano que'
barbari abitatori dell'Aventino le loro contese, tutti gl’atti, e le formole di
tal processo altro non che i legittimi atti di pace sostituiti a que' primi
violenti modi. Quando la concione, ossia il governo, comincia a mischiarsi
nelle private contese, a poco a poco il duello abole, e cangia il modo d i
contrastare, rilasciando in tutto l'apparenza medesima, le formole, e gl’atti stessi:
la guerra armata in LEGALE COMBATTIMENTO è tramutata. Secondo che altrovesi è deito,
i riti, e le formole sono la storia dell'antichissima età delle nazioni. Ciocchè
l'acutissimo VICO (si veda) al proposito di alcune formole dell'antico processo
romano osserva. Sono. Ma il processo civile ci conserva le formole
dell'antica barbarie, e non già il criminale. Il civile nasce ne'tempi alla
barbarie più vicini. Più tardi ha l'origine
il giudizio criminale. I barbari soggettano prima i loro averi all'arbitrio
altrui che le proprie persone. L'ultima cui si rinunzia da costoro è la vendetta
personale. Meno si sacrifica della naturale indipendenza, rimettendo nelle mani
di un terzo i diritti della proprietà che quelli della persona. Quindi i
pubblici giudizii essendo sorti nel tempo della coltura, non serban gran vestigii
dello stato primiero. Francesco Mario Pagano. Mario Pagano. Pagano. Keywords:
eroe, massone, Italia si fara, Roma, Aventino, Vico, Livio, Romolo, Numa,
Giulio Cesare, patrizj, nobili Romani, forma aristocrazia della prima
repubblica, tribu, curia, tribuni, diacuriani. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Pagano” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Paggi: la
ragione conversazionale e l’implicature conversazionali degl’ebrei -- filosofia
ebrea – “Ebrei d’Italia” – la scuola di Siena -- filosofia toscana -- filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Siena). Filosofo
italian. Siena, Toscana. Grice: “C. of E. folks are all over the place – but
how many of them actually KNOW Hebrew!?”” -- essential Italian philosopher. Filosofo. Insegna
a Lasinio, Tortoli e a Ricci. Svolge per diversi anni l'attività di mercante
nella sua città natale. Abbandona il commercio ed aprì un istituto. Insegnante
ed educatore nello stesso istituto, sviluppando un metodo logico, facile ed
ameno insieme. La Comunione israelita lo volle a Firenze, dove Paggi si trasfere
con la moglie e i cinque figli. Insegna nelle Pie Scuole fiorentine, mentre i
figli Alessandro e Felice avviarono una casa editrice. Tra i testi pubblicati
vi furono anche le opere del padre, apparse nella collana «Biblioteca Scolastica».
Scrive inoltre una grammatica e un lessico ebraici per i suoi figli. Per opera
della moglie sorse a Firenze un istituto. “Ebrei d'Italia” (Livorno, Tirrena);
“Una libreria fiorentina del Risorgimento” (Firenze, Ciulli). Mordecai Paggi.
Paggi. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Paggi” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Pagliaro: all’isola
-- la ragione conversazionale e l’implicature conversazionali dei siculi – la
scuola di Mistretta -- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Mistretta).
Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Mistretta, Messina, Sicilia. Essential
Italian philosopher. Linceo. Fu uno dei fondatori della scuola di romana. Fra i
padri della semiologia, ha introdotto gli studi sul pensiero linguistico. Dopo
il diploma al Regio Ginnasio di Mistretta, si iscrisse al corso di laurea a Palermo,
dove ebbe, tra gli altri, come docenti Nazari, Pitrè, Gentile e Guastella. Si
trasfere poi a Firenze dove subì l'influenza di Vitelli, Antoni e Pistelli. Partecipa
volontario come sottotenente del Corpo degli arditi, e fu insignito della
medaglia d'argento al valor militare. Si iscrisse all'Associazione Nazionalista
Italiana e prese parte all'Impresa di
Fiume al seguito di Annunzio. Si laureò discutendo con Parodi e Pasquali la tesi Il digamma in Omero. Trascorse
un periodo di studio in Germania, seguendo corsi di linguistica latina di
Meister. Seguì i corsi di Kretschmer a Vienna. Ritornato in Italia, conseguì la
libera docenza in indoeuropeistica, quindi fu chiamato da Ceci ad insegnare,
per incarico, storia comparata delle lingue romanzi a Roma. Vinto un concorso a
cattedre, divenne ordinario di glottologia, nuova disciplina che ereditava il
corso di Storia comparata delle lingue romanzi. Insegnò anche "Storia e
dottrina del fascismo" e
"Mistica fascista.” Aderì al Partito nazionale fascista e ne fu uno degli
intellettuali di spicco, presiedendo anche alcune edizioni dei Littoriali della
cultura, che ogni anno raccoglievano i migliori universitari italiani. Fu primo
capo redattore dell'Enciclopedia Italiana, dove curò numerose voci, fin quando
non entrò in contrasto con il conterraneo Gentile, che dirigeva l'opera. Non
figura tra gli accademici d'Italia, ma fu eletto al Consiglio superiore
dell'educazione, dove rimase fino allo scioglimento. Fu voluto da
Mussolini alla guida del “Dizionario di politica” dell'Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, una ponderosa opera che raccolse le migliori
intelligenze del fascismo, ma anche qualche intellettuale "eretico".
Il suo nome compare tra i 360 docenti universitari che aderirono al Manifesto
della razza, premessa alle successive leggi razziali fasciste, anche Mauro
scrive che egli dissentì dalla politica razziale del fascismo. Con la caduta
del Regime fascista, è sospeso ndall'insegnamento. Reintegrato nella cattedra,
insegna Filosofia del linguaggio a Roma. Presidente della sezione
"Archeologia, Filologia, Glottologia" della Società Italiana per il
Progresso delle Scienze. Presidente del Consiglio Superiore della Pubblica
Istruzione e prima socio corrispondente poi, socio nazionale dell'Accademia
Nazionale dei Lincei. Fu anche direttore editoriale, per la Fabbri, della
Enciclopedia di Scienze e Arti. Fu rieletto, con larghissimi consensi, al
Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Nel comitato scientifico
dell'Istituto nazionale di studi politici ed economici. Promotore e direttore
della rivista Ricerche linguistiche e presiedette la sezione filologica del
Centro di studi filologici e linguistici siciliani. Candidato alla Camera per
il Partito Monarchico Popolare nella circoscrizione Sicilia orientale e al Senato nel collegio Roma ma non e eletto.
La Rai trasse un sorprendente sceneggiato per la televisione da un suo testo
che dava una nuova interpretazione della vicenda di Alessandro Magno. Membro
della giuria del premio Marzotto. Lascia anticipatamente l'insegnamento
universitario. Palermo e la città di Mistretta hanno istituito, in sua memoria,
il “P.”. Esplora soprattutto l'antico e medio persiano, la lingua della
Grecia classica, quindi il LATINO classico e medievale, nonché l'italiano dei
tempi di ALIGHIERI cui ha dedicato varie opere e della scuola siciliana. Come
critico letterario e glottologo, diede nuove, originali interpretazioni di VICO,
ANNUNZIO e PIRANDELLO. In ambito linguistico, già nel suo Sommario di
linguistica ario-europea, che comprendeva oltre le lezioni dei suoi corsi
universitari anche innovative linee di ricerca e nuove idee, delinea una nuova
prospettiva di approccio e di indagine delle varie questioni linguistiche la
quale viene condotta parallelamente ad un confronto storico-critico con
l'evoluzione del pensiero filosofico dalla grecità alla filosofia classica
tedesca. Al contempo, P. abbozza in esso prime idee sulla NATURA DEL LINGUAGGIO
INTESO fondamentalmente come TECNICA ESPRESSIVA, allontanandosi così
dall'idealismo crociano per avvicinarsi piuttosto al positivismo, ed
analizzando in modo approfondito, ma al contempo trasversalmente alle varie
discipline, la natura e la struttura dell'atto linguistico fra due inter-locutori
basandosi sia sull'indagine semantica -- mediante un metodo che egli chiama
"critica semantica" -- che sull'interpretazione storico-critica, fino
a considerare il linguaggio come una forma di inter-azione semiotica
condizionata storicamente da una tecnica funzionale, la lingua. Nel simbolismo
linguistico -- soprattutto fonetico -- poi, afferma P. ne” Il segno vivente”
riecheggiano non solo l'individualità ed il vissuto dell'inte-rlocutore ma
anche la storia dell'intera umanità a cui egli appartiene come soggetto
storico. In estrema sintesi, si può dire che la sua teoria linguistica è
una posizione unificata tra lo strutturalismo saussuriano e l'idealismo
hegeliano. Altri saggi: “Epica e romanzo, Sansoni, Firenze; Sommario di linguistica
ARIA, Bardi, Roma; “Il fascismo: commento alla dottrina” Bardi, Roma; “La
lingua dei Siculi, Ariani, Firenze, Il comune dei fasci, Monnier, Firenze, La
scuola fascista” (Mondadori, Milano); “Dizionario di Politica,” Istituto dell'Enciclopedia
Italiana G. Treccani, Roma); “Insegne e miti della nazione italiana, la nazione
romana: teoria dei valori politici – la romanita e la razza romana, Ciuni, Palermo;
Il fascismo nel solco della storia” (Libro, Roma; Le Iscrizioni Pahlaviche
della Sinagoga di Dura-Europo” (R. Accademia d'Italia, Roma; Storia e Dottrina
del fascismo” (Pioda, Roma); “Teoria dei valori politici” (Ciuni, Palermo; Logica
e grammatica” (Bardi, Roma); “Il canto V dell'"Inferno" d’Alighieri”
(Signorelli, Milano); “Il segno vivente” (ERI, Torino); “La critica semantica”
(Anna, Firenze); “Il contrasto di Cielo d'Alcamo e poesia popolare” (Mori, Palermo);
“Linguistica della "parola"”(Anna, Firenze); “I primordi della lirica popolare in Sicilia”
(Sansoni, Firenze); “La Barunissa di Carini: stile e struttura” (Sansoni,
Firenze); “FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO (Ateneo, Roma); “La parola e l'immagine” (Scientifiche,
Napoli); “Poesia giullaresca e poesia popolare” (Laterza, Bari); “La dottrina
linguistica di VICO” (Lincei, Roma); “Il Canto XIX dell'Inferno” (Monnier,
Firenze); “Linee di storia linguistica dell'Europa” (Ateneo, Roma); “L'unità
ario-europea: corso di Glottologia,” Ateneo, Roma, Ulisse. Ricerche semantiche
sulla Divina Commedia, Anna, Firenze,
“Forma e Tradizione,” Flaccovio, Palermo, “La forma linguistica,” Rizzoli,
Milano, Vocabolario etimologico siciliano, Pubblicazioni del Centro di studi
filologici e linguistici siciliani, Palermo, Storia della linguistica, Novecento,
Palermo. Commento all'Inferno di Dante. Canti I-XXVI, Herder, Roma); Romanzi
Ceneri sull'olimpo, Sansoni, Firenze, Alessandro Magno, ERI, Torino, Ironia e
verità, Rizzoli, Milano (raccolta di elzeviri). Sottotenente di complemento,
32º reggimento di fanteria Aiutante maggiore in 2a in un battaglione di
riserva, vista ripiegare una nostra colonna d'attacco, riordinava i ripiegandi
e li guidava al contrattacco, respingeva il nemico che già aveva occupato un
tratto della nostra linea. In un successivo attacco, sotto un intenso
bombardamento e il fuoco di mitragliatrici avversarie, dava mirabile esempio di
coraggio e di fermezza indirizzando intelligentemente i rinforzi nei punti più
minacciati e facilitando così la conquista di ben munite e contrastate
posizioni. Monte Asolone. Cfr. M. Palo, S. Gensini, Saussure e la scuola
linguistica romana: da Pagliaro a Mauro, Carocci, Roma,. La scuola linguistica romana. Cfr. A. Pedio,
La cultura del totalitarismo imperfetto, Unicopli, Milano, Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia. Cfr. Gabriele Turi, Sorvegliare e premiare. L'Accademia
d’Italia, Viella, Roma, Cfr. Dizionario
biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cfr. A. Pedio, La cultura del totalitarismo
imperfetto, Unicopli, Milano, Cit. Cfr.
Riunioni, Cfr. Riunioni Accademia Nazionale dei Lincei Centro di studi filologici e linguistici
siciliani » La storia, su csfls. Cfr. Mininterno Camera Mininterno Senato
//opar.unior//1/Filologia_dantesca_di_P. .pdf
Cfr. D. Cesare, "Premessa", Lumina. Rivista di Linguistica
Storica e di Letteratura Comparata, Cfr.
pure E. Salvaneschi, "Su Attila Fáj, maestro di «molti paragoni»",
Campi immaginabili. Rivista semestrale di cultura, Cfr. Tullio De Mauro,
Prima lezione sul linguaggio, Editori Laterza, Roma-Bari, Tullio De Mauro, La
fede del diavolo Istituto Nastro
Azzurro Studia classica et orientalia. Oblate,
Casa Editrice Herder, Roma, Münster, M. Palo, Stefano Gensini, Saussure e la
scuola linguistica romana. Da Pagliaro a Mauro, Carocci Editore, Roma, Vallone,
"La „Lectura Dantis” di Antonino Pagliaro", in Deutsches
Dante-Jahrbuch, Edited by Christine Ott, Walter Belardi: studi latini e romanzi
in memoria di Antonino Pagliaro, Pubblicazioni del Dipartimento di Studi
glottoantropoligici dell'Roma La Sapienza, Roma, Aldo Vallone, Enciclopedia
Dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana G. Treccani, Roma, M. Durante, T.
De Mauro, B. Marzullo, Pubblicazioni dell'Accademia di Scienze, Lettere e Arti
di Palermo, Palermo, Bonfante, Antonino Pagliaro, Pubblicazioni dell'Accademia
Nazionale dei Lincei, Roma, Belardi, Pagliaro nel pensiero critico del
Novecento, Calamo, Roma, D. Di Cesare, Storia della filosofia del linguaggio,
Carocci, Roma, Mauro, Formigari (Eds.), Italian Studies in Linguistic
Historiography. Proceedings of the International Conference in Honour of Pagliaro.
Rome, Nodus Publikationen, Münster, Pedio, La cultura del totalitarismo
imperfetto. Il Dizionario di politica del Partito nazionale fascista,
prefazione di Lyttelton, Unicopli, Milano, Tarquini, Gentile dei fascisti:
gentiliani e anti-gentiliani nel regime fascista, Mulino, Bologna, Battistini,
Gli studi vichiani di P., Guida, Napoli,
Mauro, Dizionario biografico degli
italiani, Roma, Enciclopedia Italiana Dizionario di Politica Linguistica
Semiologia Filologia Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere open MLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere d La Scuola linguistica romana, su rmcisadu.let.uniroma.
GRICE E PAGLIARO: IMPLICATVRA ARIA LINGUA E RAZZA Schlòzer da
per primo il nome di «semitico » al vasto dominio linguistico che ha il
suo centro originario fra la Mesopotamia e il Mediterraneo, le montagne
dell’Armenia e le coste meridionali dell'Arabia, e che per successive
migrazioni e conquiste si è allargato su una notevole parte del
continente africano. Tale denominazione si richiama alla tavola dei popoli
tramandata nella “Genesi” nella quale si
distinguono i popoli discendenti da Sem, primogenito di Noè, dai popoli
discendenti dagl’altri due fratelli, Cam ed Iafet. La parentela linguistica fra
l'arabo e l'ebraico, le due lingue più vitali del gruppo, e già stata
notata dai grammatici ebrei ma la precisa nozione di unità semitica,
concordante con quella che se ne ha nel mondo ebraico all’epoca in cui e
redatta la Genesi è ben più recente e, nella sua formulazione scientifica, è un
riflesso della precisa nozione di unità ario-europea costituitasi nel nostro
tempo. Oggi il gruppo semitico si suole distinguere in semitico orientale
che comprende il babilonese e l’assiro, e in semitico occidentale.
Quest'ultimo si distingue a sua volta in semitico nord-occidentale -- che
comprende il gruppo aramaico, di cui la più importante manifestazione è
il siriaco, e il gruppo cananco, a cui appartiene l'ebraico --, e in semitico
sud-occidentale, di cui fanno parte l'arabo settentrionale e meridionale
e l’etiopico. Ad indicare la vasta unità linguistica comprendente quasi
tutta l'Europa e buona parte del continente asiatico, scientificamente
accertata per primo da Bopp in uno studio comparativo sulla coniugazione,
appare per la prima volta nell'Asia polyglotta di Klaproth il termine ‘indo-germanico.’
Tale termine, divenuto usuale, intende riunire i due punti estremi del
dominio linguistico considerato e si è affermato in tedesco, nonostante che le
più vaste conoscenze posteriori pongano come estrema zona ad Occidente
quella del celtico e ad Oriente il tocario. Fra tutte le denominazioni
altrove usate, e cioè “indo-europeo”, “ario-europeo”, ed “ario”, questa
ultima è forse la più propria, poichè, se non nome unitario di popolo, è
certo una denominazione che parecchi popoli del gruppo usano darsi nei
confronti degl’altri popoli. Purtroppo, in linguistica l'uso di «ario» in
senso così vasto può ingenerare confusione, essendo esso abitualmente
riservato al gruppo indoiranico. Noi tuttavia l’accogliamo come il meno
improprio e anche per avere una terminologia uniforme con altre
discipline, come la paletnologia e l'antropologia che l’usano già
stabilmente nell'accezione più vasta. L'unità linguistica aria comprende
oggi i seguenti gruppi storicamente accertati: in Asia l’indiano,
l’iranico, il tocarico, l’hittito, l’armeno, il traco-frigio; in Europa
l'illirico, il greco, lo slavo, l’italico, il baltico, il germanico e il
celtico. In Asia delle lingue arie sopravvivono soltanto l’indiano,
l’iranico e l’armeno; in Europa tutte le lingue oggi parlate sono di
derivazione aria, fatta eccezione dell’ungherese, del finnico,
dell’estone e del basco. Nessuna scienza storica opera con metodo così
sicuro come la linguistica, la quale dispone di un materiale di
osservazione vastis- simo, sia attuale sia documentato nel tempo. L'unità
linguistica aria e quella semitica sono verità acquisite, assolutamente
incontrovertibili, anche se le lingue che ad esse partecipano siano ormai
profondamente differenziate. Compito della linguistica storica è per l’appunto,
una volta riconosciuta l’unità genetica originaria, di seguire nel quadro
di essa le modalità e, vorremmo dire, le leggi degli sviluppi e delle differenziazioni,
che hanno determinato la fisionomia delle singole lingue come noi oggi le
conosciamo; compito a volte arduo, specie quando dalla ricognizione dei
fatti si voglia risalire alle loro cause, cioè ai momenti umani che danno
origine all'innovazione; ma tuttavia ricco di risultati grandissimi, i
quali dal campo della glottologia si estendono a tutte le altre
discipline, che studiano l’umanità nelle manifestazioni concrete della sua
storia. La lingua italiana è una delle forme più importanti, anzi la più
importante, in cui l'umanità realizza se stessa come realtà spirituale, e
perciò le lingue costituiscono gli archivi, in cui si traducono con
incomparabile ricchezza e fedeltà gli eventi, le esperienze, le creazioni dei
popoli at- traverso i secoli ed i millenni. Le nozioni di razza aria
e di razza semitica, come nozioni scientifiche, sono certamente posteriori alle
nozioni dell'unità linguistica rispettiva. Per quanto si riferisce agli
Ari, prima della scoperta della loro unità linguistica non si ebbe
nemmeno la nozione empirica di una parentela etnica fra i popoli che la
compongono. L'affinità etnica è grossolanamente intuita presso i Greci,
soltanto in base alla comunione linguistica per cui «barbari», probabilmente «
balbuzienti », sono coloro che parlano un’altra lingua. I ROMANI, che
pure ebbero così vivo il senso della loro stirpe, non ebbero mai la
percezione che quei Galli, Germani e Parti, contro i quali strenuamente
combatterono, discendevano dallo stesso loro ceppo. L'autorità della
tradizione biblica con la babelica confusione delle lingue tolse poi del
tutto la possibilità di pensare ad un legame linguistico fra popoli
diversi e ad un legame etnico che non fosse quello indicato nella
Genesi. Tanta fu l'autorità delle Sacre Scritture, anche nel campo degli
interessi linguistici, che, se tentativi si ebbero per ricercare la
derivazione di questa o quella lingua, furono sempre diretti a stabilire
la priorità e la paternità dell’ebraico, come avvenne nel corso del
Seicento e del Settecento; tentativi di nessun valore, al pari degli
altri diretti alla creazione di una GRAMMATICA RAZIONALE, che vale per le
lingue di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Anche presso i popoli
semitici, se se ne toglie il peso che la tradizione religiosa contenuta nella
Bibbia potè avere nel mondo giudaico, mancò il senso di una propria reciproca
parentela, mentre fu quanto mai vigoroso proprio presso gl’ebrei il senso
della propria individuazione come popolo, legato alla coscienza di popolo
eletto. La scoperta e la fissazione in termini scientifici di unità
linguistiche originarie come quella aria e quella semitica, a cui
seguirono scoperte abbastanza numerose di altri gruppi linguistici,
aprirono la via al problema se a tali unità linguistiche rispondessero
unità etniche più o meno nettamente definite. In un primo tempo, com'è
noto, ad opera di Gobineau, di Chamberlain e di altri, si assunse
senza discussione l'identità fra unità linguistica ed unità etnica, fra
lingua e razza, e si procedette alla ricerca delle caratteristiche
differenziali fisiche e psicologiche, che potessero ancor meglio individuare
sul piano razziale i diversi gruppi linguistici. Tale procedimento,
ispirato in genere a criterio polemico, è stato condannato come
dilettantesco e prescientifico tanto dai linguisti, quanto dagli
antropologi, asse- rendo gli uni e gli altri che la lingua è patrimonio
facilmente trasmissibile da individuo ad individuo, da gruppo a gruppo e non
può essere quindi assunta a caratteristica etnica preminente ed
esclusiva. A rinsaldare questa convinzione, contribuirono tentativi, come
quello fatto da Müller, di far coincidere una classificazione delle
lingue con una classificazione antropologica, destinati all’insuccesso,
anzitutto per l'incertezza delle classificazioni antropologiche, poi per
l'intervento del fattore storico che fa talvolta assumere da individui e
da gruppi lingue di popoli etnicamente diversi. A questo riguardo, si
suole richiamare il classico esempio dei Bulgari, che dal punto di vista
etnico sono genti turaniche e dal punto di vista linguistico sono slavi,
cioè ARI. D'altra parte, questo negare l’esistenza di ogni rapporto fra
razza e lingua con l’attribuire valore discriminante nella
classificazione delle razze ai soli caratteri strettamente biologici, non
soltanto è contrario alle nostre reali esperienze, ma verrebbe a togliere
ogni valore a quelle distinzioni ormai acquisite come fra razza aria e
razza semi- tica, le quali, come si è visto sopra, hanno come precedente
storico e come fondamento il riconoscimento della rispettiva
individualità linguistica. Dato ciò, sembra qui opportuno chiarire
in quale misura sia possibile fare valere il criterio linguistico nella
discriminazione delle razze. Esiste certamente una differenza
sostanziale e profonda fra la linguistica e l'antropologia, sia
nell'oggetto sia nel metodo, che ne rende difficile e poco proficua la
collaborazione. La linguistica è disciplina ESSENZIALMENTE STORICA, tanto che
le sue classificazioni hanno vero valore solo se abbiano fondamento
genetico. Ciò si vede soprattutto nel campo della linguistica aria, che fra
tutte le discipline linguistiche è certamente la più progredita. Qui dalla
comparazione fra le lingue storiche si riesce a postulare con sufficiente
sicurezza la struttura originaria della lingua comune da cui esse
discendono; si riesce a fissarne i caratteri propriamente genetici,
liberandoli dalle modificazioni successive determinate da molteplici
cause, fra cui principalissimi j contatti e le mistioni con popoli di
altra lingua. Così noi sappiamo con relativa sicurezza qual’erano la
struttura fonetica e morfologica e il patrimonio lessicale dell’ARIO
dell’epoca comune, all’incirca come potremmo ricostruire dalle lingue romanze LA
LINGUA LATINA, se non l’avessimo documentata. È una ricostruzione che ha
quasi una realtà matematica, fondata com'è su norme di sviluppo fonetico
che, se non sono leggi ineccepibili, come si credeva alcuni decenni or
sono, hanno tuttavia una vastità e regolarità di applicazione che non ha
riscontri in altri campi delle creazioni umane. L'antropologia,
invece, per insufficienza e discontinuità del ma- teriale d'osservazione,
è costretta a gravitare sul presente cercando di classificare le razze
umane in base ai caratteri morfologici attuali, e solo eccezionalmente
qualche importante trovamento apre ad essa la possibilità di rintracciare
precedenti sporadici, generalmente assai distanti, di questo o quel tipo umano.
Il materiale antico rinvenuto è così scarso e frammentario che le
conclusioni che se ne possono trarre sono molto tenui e malsicure. Così
avviene che, mentre dell’unità aria dal punto di vista linguistico noi abbiamo
una sicura nozione, poichè la comparazione ci consente di risalire oltre i
confini della storia, della struttura somatica degl’ARI nulla di sicuro
sappiamo, poichè nell’osservazione delle caratteristiche somatiche degl’ARI attuali
l'antropologia non è ancora in grado di distinguere i caratteri
geneticamente originari da quelli acquisiti in seguito a mescolanza. Oggi non
si è davvero:in grado di dire se gl’ARI fossero, ad esempio, dolicocefali
e biondi o mesocefali e castani, a capelli lisci o a capelli ondulati. La
ragione di ciò è dovuta al fatto che non esiste un’antropologia genetica,
la quale consenta di chiarire, dato un tipo capostipite, quali siano i
caratteri, permanenti nel corso delle ge- nerazioni e quali quelli che si
mutano o si acquisiscono. Teoricamente, nel confronto fra i vari tipi di
probabile discendenza aria dovrebbero potere risultare i caratteri
specifici da attribuire ad un Ario astratto della preistoria;
praticamente ciò non è possibile per la insufficiente conoscenza che si
ba, delle modalità con cui si traman- dano i caratteri biologici, sia
ifisici, sia psichici. Avviene così, ad esempio, ghe: l'Europa, mentre è
fondamentalmente unitaria dal punto di vista linguistico, da quello
antropologico annovera numerose razze, la mediterranea, l’alpina, la
dinarica, la nordica, nè le differenze, che caratterizzano tali razze,
combaciano con le differenze che caratterizzano i vari gruppi linguistici
determinatisi in seno all’originaria unità. Nonostante questa mancata
concordanza di dati fra la linguistica e l'antropologia, le due discipline
maggiormente impegnate nella definizione delle razze umane, è certo che
razze esistono con carat- teri ben precisi e differenziati e che, nella
pratica, anche al più mo- desto osservatore non sfugge l’esistenza di
tipi umani diversi, i quali assommano i caratteri di unità razziali
diverse. Nell'ambito stesso dell'unità aria, a nessuno sfuggirà
l’esistenza di una unità aria medi terranea e di un'unità aria nordica,
c, a un più attento esame, nel- l'ambito di queste unità, sarà possibile
rintracciare altri tipi umani i quali danno fisionomia ai diversi popoli
che le compongono. Fuori di ogni dubbio è poi, nell’ambito della razza
bianca, la distinzione fra razza aria e razza semitica, anche se, per la
prima più che per la seconda, non si riesca a individuare i caratteri
biologici originari. Questo fatto è prova che non il solo dato
antropologico ha valore nella determinazione della nozione di
razza. Poichè, come sopra si è detto, la nozione di razza aria e
razza semitica ha avuto come suo precedente la nozione di unità
lingui- stica aria ed unità linguistica semitica, è indubbio che il
fattore lingua deve avere un valore determinante nella costituzione
dell’unità razziale. Qual'è dunque il fondamento dell’obiezione in contrario,
alla quale si è sopra accennato, che la lingua, essendo facilmente
dominata da fattori storici e culturali, non sia elemento stabile nella
continuità delle generazioni, per il fatto che può essere sostituita con
quella di altri popoli, e perciò sia inadeguata a fornire criterio nella
discriminazione delle razze? Bisogna, anzitutto, tenere presente che dalla
nozione di razza come dalla nozione di lingua esula ogni idea di purezza
in senso assoluto, specie quando si tratti di popoli di cultura che hanno
dietro a sè una storia lunga e complessa. Gli stessi Ebrei possono
considerarsi razza pura, e relativamente pura, solo dal momento in cui
hanno cominciato a volerlo essere deliberatamente, a tradurre il loro
istinto dell'isolamento come popolo in norma di carattere religioso.
Tutti i popoli ari dell'Europa e dell'Asia sono, senza eccezione,
risultati dalla mistione fra la minoranza dei conquistatori ari e la
vasta massa delle popolazioni preesistenti nelle zone occupate. Non è
certo presumibile che gli Ari al loro arrivo nelle loro sedi storiche
abbiano distrutto le popolazioni preesistenti, le quali, ad esempio in
Grecia, in ITALIA e sull’altipiano iranico, erano in possesso di civiltà
notevolmente progredite. D'altra parte, di tali mescolanze ci danno
sicura testimonianza, oltre che i dati dell'archeologia preistorica, lo
inte- grarsi della lingua aria comune in nuove unità, che sono quelle
a noi storicamente note. 1 profondi rivolgimenti che alcune lingue
hanno subìto anche nella struttura fonetica, ad esempio le rotazioni delle
consonanti in germanico, non si possono altrimenti spiegare se non
riferendole all'influenza di un sostrato alloglotto. E' noto che una
parte non trascurabile del lessico del latino e dei volgari romanzi non
si spiega nell’ambito dell’ario e deve essere riportato al fondo
linguistico non ario su cui il latino venne a distendersi. Orbene,
che un popolo, come è il caso di quello bulgaro, abbia assunto una lingua
diversa non è altro se non un fatto di sincretismo in cui prevale la
civiltà di maggiore prestigio. Quello che importa te- nere fermo è per
l'appunto che il sincretismo, cioè la creazione di un risultato nuovo non
inferiore agli elementi che vi hanno concorso, si ha solo quando la
mescolanza sia guidata da un senso più o meno vivo di affinità
elettiva. Ciò si può osservare con sufficiente sicurezza sia nel senso
positivo sia in quello negativo. Nella penisola greca la civiltà minoica
si è confusa con quella degl’ARI sopravvenuti ed ha dato origine
alla meravigliosa civiltà ellenica. In ITALIA il senso di conquista degl’ARI
NOMADI E GUERRIERI si è trasfuso nell'ordine civile delle popolazioni
stanziali ed ha dato origine alla mirabile e grandiosa civiltà romana che
è poi la civiltà dell'Occidente. Evidentemente, fra le genti arie
sopravvenute e le popolazioni mediterranee si determinò una facile
intesa, dovuta al fatto che non vi dovettero essere fra esse sostanziali
differenze di ordine fisico e spirituale e tali da produrre una corruzione
anzichè un miglioramento, dal punto di vista etnico e culturale. In Italia, in
Grecia, e dovunque si afferma LA LINGUA ARIA, i caratteri dominanti furono
indubbiamente dati dalla STIRPE ARIA e per questo, nonostante le
differenze che si osservano fra i diversi popoli di questo gruppo, è
facile cogliere in numerosi e cospicui tratti gli in- dizi della comune
origine. Vi sono invece casi in cui questa affinità elettiva che dà la
preminenza ai caratteri del tipo superiore non ha luogo, per motivi che
non è sempre facile individuare. La storia di alcuni millenni dimostra, per
esempio, come fra gl’ARI e i Semiti essa sia completamente mancata e che le due
stirpi si sono sempre tenute in reciproca difesa, quasi istintivamente
conscie che da una fusione si dovesse avere la perdita da una parte e
dall'altra dei rispettivi caratteri dif- ferenziali. Dovunque Semiti ed
Ari si sono trovati in contatto si sono sempre scontrati in lotta senza
quartiere: gli Irani contro l'impero di Assiria, Roma contro Cartagine,
il mondo cristiano contro l'Islam. Sia che vincessero gli uni, sia che
vincessero gli altri la barriera fra i due mondi non fu mai superata. Da
una parte e dall’altra, tranne sporadiche infiltrazioni, due mondi
diversi hanno conservato tenacemente la loro autonomia, e gli stessi
apporti culturali che l'uno ha dato all'altro sono stati da ciascuno svolti,
interpretati ed elaborati secondo la propria natura. Il cristianesimo è
diventato universale nell’interpretazione romana. Il senso ario della conquista
e dell'espansione assume nella coscienza e nella prassi giudaica aspetti e
modalità, per cui non è quasi più riconoscibile. Ed è certo bene che sia
così, che cioè la barriera sussista, poichè il suo abbattimento non è,
come la storia categoricamente dimostra, nella natura delle cose. Ciò si
potrà rilevare in molti campi, ma a noi preme rilevarlo proprio nel campo
della lingua, che oggi è senza dubbio uno dei più importanti fattori
differenziali degli aggruppamenti razziali. Difatti, quando noi attribuiamo
questo o quel popolo al gruppo ario o al gruppo semitico lo facciamo
soprattutto in base al criterio linguistico che è alla base di tali
gruppi, e dove tale criterio sia reso fallace, com'è il caso dell'elemento
giudaico che ha assunto a propria lingua la lingua nazionale dei popoli
presso i quali vive, vi si sostituisce un criterio pure di ordine
storico, quello religioso. Per l'appunto, nel campo linguistico la
differenza costituzionale fra il semitico e l’ario, sia dal punto di
vista fonetico per il prevalere in quello di suoni laringali ignoti
all’ario, sia dal punto di vista morfologico per la diversità sostanziale della
rispettiva flessione, si rivela così profonda da non consentire un
sincretismo produttivo. L'elemento arabo, penetrato nel persiano in larga
misura in seguito alla conver- sione della Persia zoroastriana
all’islamismo, si è limitato al lessico e non ha intaccato la struttura
fonetica e morfologica squisitamente aria di quella lingua; vi è rimasto
così estrinseco, che, a seguito della ri- presa nazionale avutasi con la
nuova dinastia, l'elemento arabo viene progressivamente sostituito con
elemento propriamente iranico. Quan- do poi una lingua semitica è stata
assunta da un POPOLO DI STIRPE ARIA i risultati che se ne sono avuti sono, nel
loro aspetto negativo, profonda- mente significativi. Questo è, come è
noto, il caso di Malta in cui il primitivo idioma romanzo venne per
effetto della lunga occupa- zione musulmana sostituito con un dialetto
arabo magrebino: l'arabo, forzato in una impostazione vocale completamente
estranea, ne è uscito così malconcio e così, come si suol dire, corrotto,
da giustifi- care quasi le interessate fantasie della pseudo-scienza
linguistica britannica, che nel dialetto maltese voleva riconoscere, anzichè un
dialetto arabo storpiato da bocca romanza e sempre ricco di elementi
italiani, nientemeno che la sopravvivenza di un antico idioma fenicio.
Se ora ci poniamo il problema concreto della formazione dell’unità
etnica, ci appare chiaro che il processo non è diverso da quello della
formazione dell'unità linguistica. Per l'una e l’altra unità è er- rore
gravissimo partire dall'immagine dell’albero genealogico dal cui ceppo,
quasi per virtù interiore di linfa, si siano venuti staccando tanti rami,
integralmente fedeli alla natura e alla struttura di quello. Niente di più
falso, poichè se ciò fosse si dovrebbe avere, tanto nel caso delle lingue
quanto in quello delle razze, propagazione uniforme e non formazione di
nuove unità più o meno nettamente differenziate. L'albero genealogico sarebbe
giustificato solo se in esso potesse risultare il complesso degli apporti
e delle cause che hanno determinato la figura particolare di ciascuna unità.
Prendiamo il caso della lingua italiana. Non esistono lingue,
specialmente a larga diffusione, che non siano costituite da una più o
meno grande varietà di dialetti. L'unità neo-latina, ad esempio, è divisa
in tante lingue, italiano, francese, spagnuolo, provenzale, rumeno, per
dire le maggiori, e queste sono alla loro volta distinte in varietà
dialettali più o meno nettamente individuabili. Qual'è il motivo di tanta
dif- ferenziazione, quando è noto che alla base di tante e così varie
lingue e dialetti vi è l’unità latina, cioè una lingua di cultura,
affermatasi per forza d’armi e prestigio di civiltà? Anzitutto, come
causa di trasformazione appare la reazione del sostrato etnico-linguistico su
cui il latino si è venuto a sovrapporre, sicchè non di latino volgare
bisogna parlare, bensì di tanti volgari, per quante sono le zone
linguistica- mente individuate in precedenza, di cui il latino
s'impossessa. Intervengono poi i contatti che ciascun gruppo già delineato ha
con popoli di altra lingua, germani, slavi, ecc., e gli sviluppi
particolari di ciascuna cultura che necessariamente si riflettono in ciascuna
lingua, soprattutto attraverso il convergere delle varietà dialettali verso la
lin- gua comune, cioè verso una più piena e precisa unità. In altre
parole, il processo per cui le lingue sì determinano non deve essere
guardato nel suo aspetto di disintegrazione di un’unità, bensì piuttosto
in quello integrativo che la nuova unità veramente determina. Ciò ha
ancor maggiore valore, quando non si tratti, come è il caso del latino,
di una lingua di cultura, quindi chiaramente unitaria, che si
sovrappone con il peso della civiltà di cui è espressione su lingue di
minore prestigio, bensì di unità linguistica naturale, in cui il processo
integra- tivo, lento e faticoso, costituisce la modalità stessa di essere
della lingua. Le unità linguistiche, come si è detto, non esistono mai
internamente indifferenziate e ciò deve essere inteso come il risultato
di quella necessità naturale per cui il comprendere, e perciò
l’esprimersi, avviene prima fra i membri di una famiglia, poi fra i membri
di una gente, di una tribù, di un popolo, di diversi popoli, ed è
questa necessità sempre più vasta di esprimersi e di intendersi che
costituisce quelle vaste unità alle quali noi diamo il nome di unità aria
e di unità semitica. Da queste considerazioni deriva che nessuna teoria
è tanto assurda quanto quella della monogenesi del linguaggio, non
meno assurda, o almeno altrettanto poco giustificata, quanto quella che
volesse scientificamente riportare tutti i caratteri delle attuali razze
umane nella loro infinita varietà ai caratteri di una coppia capostipite.
Come per questa altra realtà non si può postulare se non quella
dell'essere uomini, così per la lingua originaria altra qualità non è
possibile postulare se non quella di essere mezzo espressivo di
uomini. Ora, identico processo integrativo è quello che dà origine
alle diverse unità razziali. Anche qui si ha uno slargarsi per
accrescimento e mistioni: dalla singola gente si arriva alla tribù, al
popolo, alla nazione italiana. E’ chiaro che l’accrescersi naturale delle
generazioni amplifica al tempo stesso la natura del processo e fa che i
caratteri dominanti del nucleo più vitale guadagnino sempre più vasto
spazio. Vi è certo qualche cosa di misterioso in questo propagarsi di
caratteri superiori per cui l'umanità ci appare in una continua ascesa, e
ancor più grande mistero è quello che avvolge l’occulta forza da cui ogni
unità razziale è guidata nella sua istintiva difesa da quei contatti e da
quelle mi- stioni che ne altererebbero la genuina struttura. Poichè
l’uomo è essere spirituale, tale modalità del suo divenire anche dal lato
fisico ha forse la sua ragione nell’esigenza di una maggiore spiritualità
che si rifletta anche nella struttura fisica, e in ciò è appunto il
grande mistero dell’uomo, nell’indissolubile legame che in lui si
realizza fra vita biologica e spirito. Da quanto si è detto appare
chiaro che il fattore lingua concorre in maniera dominante, almeno sino a
quando le conoscenze antropo- logiche non forniranno dati biologici più
sicuri, a determinare la nozione di razza; anzi essa costituisce il mezzo
principalissimo di coesione per cui una comunità più o meno vasta di
individui sente di essere popolo e nazione. Le caratteristiche spirituali
e la struttura della lingua di un popolo – osserva Humboldt — sono
l’una con le altre in tale intreccio che posto l’un dato, l’altro si
dovrebbe poter derivare completamente da quello. La lingua italiana, infatti,
riflette anzitutto l'ambiente fisico e una maniera nativa, naturale di sentire
il reale e di esprimerlo. Essa è fatto fisiologico e psicologico al tempo
stesso e, come tale, è legata intimamente con la struttura psicofisica
del popolo che la parla, è anzi la modalità più essenziale con cui tale
struttura si manifesta. Il complesso dei costumi, delle tradizioni che si
tramandano di generazione in generazione, tutto ciò insomma che concorre
a dare a ciascun popolo la sua propria fisionomia, trova espressione fedele e
categorica nel linguaggio. Poichè la nozione di razza non è in sostanza
altro se non la nozione di un'appartenenza ad una determinata comunità
genetica, la coscienza della razza trova nel linguaggio uno dei suoi più forti
sostegni. Non è senza significato il fatto che l'esigenza alla
purezza, quanto all’e4ros e quanto alla lingua, si manifesta presso i
popoli nei momenti della loro maggiore vitalità. Un popolo che ad un
de- terminato momento della sua storia voglia riconoscere i suoi
carat- teri differenziali e voglia segnare una netta linea di
demarcazione fra sè ed altre unità etniche, portatrici di caratteri
spirituali ed etnici non congeniali ai suoi, altro non fa se non
riportarsi coscientemente alle sorgenti più genuine della sua vita. Un
aspetto di tale esigenza è il desiderio di tenere immune la propria
lingua da influenze stra- niere e di eliminare le infiltrazioni che si
sono verificate in momenti di indebolita o distratta coscienza. Antonino
Pagliaro. Pagliaro. Keywords: i arii; la lingua degl’arii, la favella
degl’arii, I fasci littori, dal lictor al littore, il littorio, l’uso dei fasci
nell’Etruria non-aria, la dottrina linguistica di Vico, “scienze filosofiche –
lincei”, ossesso dalla latinita della Sicilia, Cratilo, discussion di Storia
Romana, Romolo, proprieta private, Cicerone, Empedocle, il fascino dei fasci –
enciclopedia del fascismo, fascisti gentiliani ed anti-gentiliani, l’uso di
‘ario’ – latinita, arieta, romanita – il linguaggio, sessione sul linguaggio --
filosofia del linguaggio --.Tullio. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Pagliaro” – The Swimming-Pool Library.
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