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Friday, January 24, 2025

LUIGI SPERANZA -- GRICE ITALO A-Z P PAG

 

Luigi Speranza -- Grice e Paganini: l’implicatura conversazionale di Roma – il Virgilio di Firenze – la scuola di Lucca -- filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo toscano. Filosofo italiano. Grice: “Paganin must be the only Italian philosopher who reads La Divina Commedia philosophically!” --   Grice: “Strawson never read Paganini’s ‘cosmological’ tract on ‘spazio’ but he should, obsessed as he was with spatio-temporal continuity. Grice: “I’ll never forget Shropshire’s proof of the immortality of the human soul – He told me he basically drew it from an obscure tract by Paganini, as inspired by the death of Patroclus – Paganini’s tract actually features one of my pet words. He speaks of the ‘domma’ of the ‘immotalita dell’anima umana’ – Brilliant!” -- essential Italian philosopher.Lucca stava passando dalla reggenza austriaca seguita al collasso napoleonico al diventare capitale del borbonico Ducato di Lucca. Compì l'intero corso dei suoi studi a Lucca, dedicandosi, fin dai tempi delle scuole secondarie, alla filosofia. Insegnò filosofia negli istituti secondari lucchesi. Prtecipò alla prima guerra d'indipendenza. Dopo la fine della guerra, col l'annessione del Ducato di Lucca da parte del Granducato di Toscana fu nominato docente nell'ateneo lucchese. In questo ufficio fu difensore della dottrina rosminiana e nonostante venisse sorvegliato dalla polizia il governo decise poi di offrirgli una cattedra a Pisa a seguito dei buoni uffici di Rosso. Gli ultimi anni della sua vita furono rattristati da due avvenimenti; la espulsione dai seminari ecclesiastici di discepoli a lui carissimi, perché rei di professare le dottrine del Rosmini e la condanna di certe proposizioni tolte ad arbitrio e senza critica dalle molte opere del filosofo di Rovereto. Muore a Pisa. Annuario della R. Pisa per l’anno accademico. sba. unipi/it/ risorse / archivio fotografico/ persone- in- archivio/ paganini- carlo-pagano Opere. COLLEZIONE DI OPUSCOLI DANTESCHI INEDITI O RARI DA PASSERINI CITTA DI CASTELLO S. LAPI CmOSE  i  IUHI  flSOFICI DELIiA DIVINA COMMEDIA RACCOLTE E RISTAMPATE DI FRANCIOSI CITTÀ DI CASTELLO S. LAPI  RICORDATO DA UN SUO DISCEPOLO. In la mente m'è fitta, od or m'accora, la cara e buona imagine paterna di voi, quando nel mondo ad ora ad ora m’insegnavate come l'uom s'eterna. In. P., ell'aspetto e nell'animo, e come uomo venuto da secoli lontani. Io vedo specchiata nella mia mente, che spesso lo ripensa con riverente affezione  di  alunno,  la  sua  testa  di  bellezza  antica.  Fronte  larga e pensosa, naso aquilino, barba e capelli nerissimi, labbra sottili e poco pronte al sorriso, quando socchiudeva gl’occhi e china il capo meditando, era in lui somiglianza più che fraterna col San Paolo della Cecilia raffaellesca;  ma,  nell'atto di alzare lo sguardo e la mano verso gl’alunni suoi, sillogizzando, e rammenta piuttosto il LIZIO della Bettola d’Atene.  Rado e lento al parlare per abito di raccoglimento e per difficoltà di respiro, sopravvenu agli nel colmodella virilità, persuade. La parola viva, stillando quasi dalla forte compagine della sua parola pensata o dell’interna stampa, cade addentro negl’animi anche men disposti a riceverla, come la goccia, stillante giù dalla roccia, a poco a poco scolpisce orma profonda nel sasso sottostante. Natura di pensatore disdegnoso e  chiuso in sé, pochi lo intesero e pochissimi lo pregiarono secondoverità. Cittadino prode, vagheggiò, lontano dal volgo, un'idea nobilissima di paese sincero, di popolo giusto e sano. Educatore potente,  ma non ricco di propria virtù creativa, commenta dalla cattedra,  come forse niun altro sa a'nostri tempi, l'alta  dottrina  di SERBATI; benché non possede l’attitudini del divulgatore: reca luce nuova, avviva la forza visiva, ma nella mente di pochi. Asceta del pensiero,  un po'per indole e un po'per fiera volontà d'espiazione, esercitato in severe continenze e astinenze di fantasia e di spirito,  non ha le geniali divinazioni dell'estro;  né quel lampeggiare improvviso di parola ispirata, in che s'aprono o s'intravedono lontananze ideali, com'appunto in chiarore di lampo lontananze di mare e di cielo. La sua prosa, nell'antica e salda semplicità dell'espressione,  rammenterebbe la linea degl’edifici ROMANI, se  il  pensiero non  vi  apparisse  talora  frastagliato  in  minute  analisi,  in  distinzioni  sottili,  che  tengono  della  scolastica  medievale.   Tempra  di  filosofo,  mente  austera  e  teosofica.  P.  nel  Poema  sacro  vide  il  tempio,  ove  l'arteumana, ispirata dalla fede, fa sentire l'Ineffabile. Questo  egli  principalmente  dimostra,  pur  rendendo  onore  all'  ingegno  sovrano  del  Poeta,  nel  discorso  " La teologia d’ALIGHIERI;  discorso, che  qui  non  si  dà,  perchè  fa  parte  di  volume troppo  noto.  Ma  de'  suoi  forti  studi  danteschi  fanno,  credo,  miglior  fede  le  chiose,  che  qui  si  danno  raccolte  e  ordinate;  dove, cercando, con  occhio  chiaro  e  con  affetto  puro,  dentro  al  fantasma  poetico  l'occulto  e  il  divino,  P. riuscì  ad  avvertire  per  la  prima  volta  o  a  far  meglio  palesi  germi  preziosi  di  verità  filosofiche. Cosi  nelle  permutazioni  della  Fortuna  (Inf.)  addita  i  ricorsi  vichiani;  e  nel  sillogismo  delle  vecchie  e  delle  nuove  cuoja  (Pa-  [ALIGHIERI, Firenze,  Cellini] Ordinate  per  ragione  di  tempo.  Soggiungo  che  questa  ristampa  e  condotta  con  amoi'e  di  sincerità  anco  nelle minime cose. Ho  caro  che Casini,  già  mio  discepolo  a Modena,  abbia  rammentato  tre  volte  (Inf.;  Purg.),  sia  pure  inconsapevolmente,  il  maestro  del  maestro  suo;  e  una  di  queste  tre  volte  (Purg.)  offerto  a'  letttri  della  sua  diligente  esposizione  del  Poema  la  stillata  sostanza  di  chiosa  paganiniana.   Lo  Scartazzini,  commentando  la  terza  Cantica,  cita  P.  due  volte, mala seconda volta,  dopo  averlo  citato,  se  ne  discosta  senza  dir  perchè;  e  noi  Commento  all'Inferno attribuisce  a  me,  certo  per  errore  di  trascrizione,  ciò,  che P.  argomenta  sull’apodosi  della  comparazione  dantesca  tra  gli  splendori  del  mondo  e  quelli  de'  cieli.    8   rad,  il  sillogismo  della  stona,  che    bene  armonizza col sillogismo del  cosmo e  col  sillogismo  della  trinità  divina;  cioè  le  tre  grandi  età  della  Preparazione  a  Cristo,  àBÌV Avvento  di  Cristo  e  della  Santificazione  in  Cristo.  Cosi  nettamente distinse,  restringendolo  alla  creatura  uomo,  l'amore  naturale  da  quello animo;  dichiara da  maestro  il  verso: Averroè,  che  il  gran  commento  feo„  ;  segna  il  giusto  valore  della  frase  "uomo  non sape„ là, dove  si  tocca  dell'origine dell'idee,  e  dimostra da par suo che cosa valga nel linguaggio degli scolastici subietto degl’elementi.  Le note dichiarative non fanno una grinza:  quanto all’altre,  io già ne  apersi,  o  diedi  a  divedere,  l'animo  mio  nel Libro  delle  Ragioni. Ma,  pur  dissentendo  in  parte,  riconosco   '  Perez,  in  una  sua  lettera  al  Paganini,  scrive: Intendo  assai  bene  la  verità  e  la  bellezza  di  que'  tre  sillogismi  della  Storia,  della  Cosmologia,  della  Teologia;  armonia  del  creato  e  dell'increato,  che  non  vidi  mai  annunziata  in  forma  somigliante „.  Lettera  di  Perez  a P. (Nozze Perez-Fochessati),  Verona,  Franchini. Tommaseo  si  dice  lieto  d'esser  corretto  da P.,  ch'egli  giudica  uno  de'  più  idonei  a  scrutare  le  intenzioni,  le  dottrine,  le  origini  del  verso  dantesco;  nobilmente confessa  d'avere  errato,  restringendo  ai  corpi  Vamor  naturale,  ma  insieme  consiglia  P. di  non  restrin-  gere quest'amore,  ch'è  Varco  fatale  nell'inno  dell'ordine  (Parad.),  entro  i  confini  della  creatura  intelligente. Nuovi studi su ALIGHIERI,  Torino. Giuliani  in  una  postilla  marginale,  ohe  Poletto  riferisce  (Dizionario dantesco),  volle  far  suo,  credo,  il  pensiero  di  P. Nuova  raccolta  di  scritti  danteschi,  Parma,  Ferrari  e  Pellegrini,  volentieri  che  tutte  queste  chiose  dantesche,  come i  lavori  più  gravi"  Saggio  cosmologico  su  lo  spazio„  e  "Delle  più  riposte  armonie  tra  la  filosofìa  naturale  e la soprannaturale„ sono  bellissimo documento  d'intelligenza  acuta  e  serena,  d'abito  di  ragionare  diritto  e  spedito,  di  chiarezza  viva  di  scienza  convertita,  per  lunga  meditazione,  in  nutrimento  del  pensiero,  in  forza  operosa  dello  spirito.  Se  non  che  la  maggiore  e  miglior  parte  dell'uomo,  secondo  me,  non  si  palesò  negli  scritti  e  nemmeno  nell'atto  dell'insegnare  dalla  catte-  dra; si  nel  conversare  casalingo  e  nel  costume.  Tra  le  ricordanze  della  mia  vita  di  scolaro  sempre  mi  sarà  carissima  quella  de  le  veglie  passate a  Pisa  in  casa  Paganini:  dove,  spogliata  la  toga  del  professore,  l'uomo  appariva  in  tutta  la  sua  grande  bontà  d'intelletto  e  di  cuore,  e  il  maestro  ci  si  mutava  in  consigliere,  in  amico,  in  fratello.  Quante  dispute  gentili;  quanto  fervore e  quanta  allegrezza,  nella  serenità  del  con-  fidente colloquio,  di  pensieri  e  di  affetti,  sempre  accesi  nel  piacere  del  vero  !  Io  penso  che  la  sua  natura  di  educatore  per  eccellenza  ben  si  palesasse allora.  Chi  lo  conobbe  solo  tra  le  pareti  della  scuola  dovette  averlo  in  riverenza,  ma  forse  non   lo   amò;   chi   lo   conobbe   in   casa,    dovette    '  Pisa,  Nistri (Annali  delle  Università  toscane). Pisa,  Nistri,  amarlo  come  padre. Semplicissimo  in  ogni  manifestazione del  suo  spirito,  P. pur  serba costante  dignità  e  non  cercata  eleganza  di  veste,  di  portamento,  di  gesto  e  di  parola.  Quando lavorava  nel  suo  caro  orticello,  spampinando  la  pèrgola,  potando  qualche  pianta  o  zappettando  con  fretta allegra,  portava  zoccoli  alla  contadinesca, rimboccava  fino  al  gomito  le  maniche  della  camicia  e,  se  la  stagione  lo  consentisse,  stava  contento  a  sommo  il  petto,  come  quel  del  Nerli,  a  la, pelle  scoverta:  chi  lo  avesse  veduto  di  lontano,  poteva  scambiarlo  con  un  forte,  lindo  e  sollecito  massaio delle campagne toscane;  ma  da  vicino,  anche nell'umile  esercizio  dell'ortolano,  ciascuno  avrebbe  notato  quell'aura,  che  si  diffonde  nel  volto e  nella  persona  da  regale  nobiltà  di  pensiero.  Uscendo  dall'orticello,  lasciava  gli  zoccoli,  indossava una veste  giornaliera,  ma (direbbe  un  antico) onesta,  ed  entrato  nel  suo  studinolo,  ripigliava  con  alacrità  nuova  il  lavoro  intellettuale  per  qualche ora  interrotto.  Amico  di  solitudine,  mesto  e  pensoso  per  lo  piìi,  terribile  negl'impeti  dell'ira,  ebbe  grande  gentilezza  di  cuore,  accorgimenti  di  bontà  materna.  Innamoratissimo  de'  giovani  e  de'  fanciulli,  in  mezzo a loro  si  trasmuta  come  per  incanto:  sorrideva  amabilmente  e  amabilmente parlava,  temprando  per  affetto  la  sua  gagliardissima  voce  a  modulazioni  soavi;  e  l'occhio, spesso  pieno  d'ombra  sotto  le  folte  sopracciglia  aggrottate,  si  aifissava,  tutto  schiarato,  in  quei  visi  ridenti  e  lampeggiava d'amore. Educatore di    in  gran  parte,  fidente  nella  virtù  del  volere, sa  insegnare  a quelli che  lo  avvicinano,  il  proposito e  l'arte  di  migliorare  il  proprio  spirito.  Io,  mi  gode  l'animo  d'aver  qui  l'occasione  di  confessarlo,  riconosco intero da lui il principio di un'educazione intellettuale, che a poco a poco mi rinnova, 'distruggendo  o  mortificando i  mali  abiti  della  casa  e  della  scuola.    le  meditazioni  austere  spensero  o  scemarono  nel  Paganini  il  senso del bello, ma lo fecero più delicato, più fine e profondo. Delle arti figurative, conoscitore e  giudice  arguto  d'ogni  lor  passo,  molto  si diletta;  ed e egli  stesso  disegnatore corretto. La  poesia senti come pochissimi;  'Notabili  queste  sue  parole:  "Quello  che  è  difficile,  sia  pur  difficile  quanto  si  vuole,  non  è  impossibile;  e  quello,  che  non  è  impossibile,  o  prima  o  poi,  o  da  un  uomo o da un altro si  fa. Pur negli saggi  qui  raccolti  è  qualche  vestigid,  benché raro  e  fuggevole,  del  suo  sentire  gentile,  come    dove  accenna  l'evidenza  pittrice del verbo velare  per  ventilare e  dove  l'armonia  della  terzina: Ma  ella  s'è  beata  e  ciò  non  ode chiama  anticipazione  di  quel  nuovo  modo  d%  poesia,  che Alighieri  riserba  al  Purgatorio  e  al  Paradiso.    soltanto  la  poesia  pensata  ed  eletta,  ma  l'improvvisa e  campagnuola.  Villeggiando sui  colli  di Pistoia,  raccolse con  amore  motti  e  canti  popolari,  e  della  Ninna  nanna  "  Quando  a  letto  vo  la  sera    disse  cose  nuove e  belle. (Lettera  ai  Morelli, Lucca,  Canovetti] e  due  tra  tutti  i  poeti  predilesse,  perchè  meglio  rispondenti  all'indole  e  all'educazione  del  suo  spirito:  Dante,  di  cui  ho  già  detto,  e  Virgilio.  Peccato  che  tante  sue  belle  considerazioni  su  questi  due  poeti,  onde  nel  conversare  quotidiano  non  fu  punto  avaro  a'  giovani,  sieno  fuggite  con  la  sua  voce,  o  mutate  in  seme  di  troppo  diversa  germinazione  nella  mente  di  chi  le  ascoltò  !  V  hanno  uomini,  che  la  scarsa  loro  ricchezza  d'intelletto  e  di  cuore  spargono  subito  per  mille  rivoletti  fuori  di  sé:  altri,  possessori  di  grande  ricchezza  interiore,  somigliano  a  quelle  nascoste  e  profonde  sorgenti  della  terra,  che  non  si  veg-  gono, ne  si  odono,  ma  si  argomentano  da  la  più  lieta  verzura  e  dal  fitto  fiorire  del  terreno  sovra-  stante. Tra questi  ultimi  è  da  porre Pagano Paganini,  che  molto  seppe,  molto  e  bene  amò;  ma  parlò  poco  e  pochissimo  scrisse:  eppure  molti  scritti e  molti  fatti  buoni,  generati  o  cresciuti dalla  dottrina,  dal  consiglio,  dall'esempio  di  lui,  attestano  della  sua  ricca  e  verace  bontà.   Roma. Franciosi. Di  un  luogo  del  FargatoHo  d’ALIGHIERI,  che  non  sembra  essere  stato  ancora  dichiarato  pie-namente.     Eagionando   dell'amore,  VIRGILIO,   nel    canto  del  Purgatorio,  secondo  la  naturale  filo-    sofia, dice: Ogni  forma  sujtanzlal,  che  setta  -  È  da  materia,  ed  è  con  lei  unita,  Specifica  virtude  ha  in    colletta,   La  qual,  senza  operar  non  è  sentita,    si  dimostra  ma  che  per  effetto  Come  per  verdi  fronde  in  pianta  vita.   Però    onde  vegna  lo  intelletto  Delle  prime  notizie  uomo  non  sape,  E  de'  primi  appetibili  l'affetto,   Che  sono  in  voi  si  come  studio  in  ape  Di  far  lo  mele;  e  questa  prima  voglia  Merto  di  lode  o  di  biasmo  non  cape.   Or  perchè  a  questa  ogni  altra  si  raccoglia.  Innata  v'è  la  virtù  che  consiglia E dell'assenso de'  tener  la  soglia. Da.IV Araldo  cattolico: Lucca. P.,  lo  avverto  una  volta  per  sempre,  nello  sue  oi-  tazioni  della  Commedia  fu  solito  di  serbar  fede  al  testo  della  Volgata; ma,  venuto  in  luco  il  testo  di  Buti,  qualche  volta  amoreggiò  con  questo;  come  là,  dove  ai  plurali  verdi  /ronde  e  primi  appetibili  sostituì  i  singolari  bellissimi  verde  fronda  e  primo  appetibile.  .Quest'è  il  principio,    onde  si  piglia  Cagion  di  meritare  in  voi  secondo  Che  buoni  e  rei  amori  accoglie  e  viglia.  '   E  queste  cose  son  dette  per  soddisfare  alla  questione  proposta  da  Dante  colle  seguenti  parole:   Ti  prego,  dolce  padre  caro,   Che  mi  dimostri  amore,  a  cui  riduci  Ogni  buono  operare  e  il  suo  contraro.   Infatti nel canto antecedente Virgilio,  trattando il  medesimo  argomento,  aveva  pronunziato:     creator,    creatura  mai   fu  senz'amore   O  naturale,  o  d'animo   Lo  naturai  fu  sempre  senza  errore;  Ma  l'altro  puote  errar  per  malo  obietto,  O  per  troppo,  o  per  poco  di  vigore.   Mentre  ch'egli  è  ne'  primi  ben  diretto,  E  ne'  secondi    stesso  misura,  Esser  non  può  cagion  di  mal  diletto;   Ma,  quando  al  mal  si  torce,  o  con  più  cura  O  con  men  che  non  dee,  corre  nel  bene,  Centra  il  fattore  adovra  sua  fattura.   Quinci  comprender  puoi  ch'esser  conviene  Amor  sementain  voi  d'ogni  virtute  E  d'ogni  operazion,  che  merta  pene.   Ora  di  quella  terzina  del  primo  passo:  Or  perchè  a  questa,  ecc.  trovansi  nei  commentatori    Questo  verbo  vigliare,  che  dal  Biagioli  viene  erroneamente confuso con vagliare, e che forse ha tratto origine dal latino, significandoesso  pulire  il  mucchio  del  granocon una granata o con un mazzo di  frasche  dalle  paglie,  stecchi  e  simili  cose  senza  pregio  (lat.  viliaj,  ce  ne  fa  tornare  alla  mente  un  altro,  che  sebbene ci  paia  bellissimo,  e  sia  vivente  in  bocca  dei  oampagnuoli,  con  tutto  ciò,  a  quanto  sappiamo,  non  ha  ricevuto  l'onore  d'essere  accolto  nei  vocabolari.  È  questo  il  verbo  velare,  ohe  significa  nettare  il  grano  dalla  pula,  gettandolo  contro  vento  ;  e  se  pure  non  è  una  sincope  di  ventilare,  conviene  credere  ohe  i  contadini lo abbian tratto pittorescamente dall'imagine  d'una  vela,  che  presenta la pula fuggendo via portata dal  vento.] della  Divina  Commedia  tre  principali  spiegazioni.  Una,  seguita  anche  da  Venturi  e  da  Biagioli,  è  del  Daniello, il quale scrive: l'ordine è: la virtù che consiglia cioè la ragione, v'è  innata cioè nata insieme  con  voi, perchè affìn  che  ogni  altra voglia,  che  nasca  in  coi,  si  unisca,  accompagni  e  raccolga  a  questa  virtù,  la  qual  dee  tener  la  soglia,  ecc. Un'altra è  di Lombardi,  il  quale  cosi  interpreta:  Or perchè affinchè a  questa  prima,  naturale  ed  innocente  voglia  si raccolga, si  accompagni  ogni  altra  morale  e  lodevole  virtù,  "  innata  v'è data  vi  è  fin  dal  vostro  nascimento,  la  virtù che consiglia la ragione che vi deve consigliare e  regolare  i  vostri  appetiti.  La  terza,  infine,  è  del  Tommaseo,  che,  a  nel Commento,  esprime  il  concetto  d’Alighieri  in  questo  modo. Acciocché  questo  primo  naturai  de-  siderio e  intelligeìiza  sia  quasi  centro  ad  ogni  altro  vostro  volere  e  sapere  acquisito,  avete  innata  la  ragione,  da  cui  viene  il  libero  arbitrio;  sicché  tutti  sieno  non  men  del  primo  conformi  a  natura.  Qual  è  il  valore  di  queste  spiegazioni?  Esaminiamole  brevemente.   A veder  l' improbabilità  della  spiegazione  del  Daniello  basta  considerarla  rimpetto  alla  ragione  grammaticale.  Nel  verso :  Or  perchè  a  questa  ogni  altra  si  raccoglia  dei  due  pronomi  questa  e  ogn' altra,  che  essendo  ambedue  femminili  e  uniti  in  un  sol  membro,  ognuno  riferirebbe  ad  un  me-  desimo nome,  egli  al  contrario  riferisce  il  primo  al  susseguente  virtù,  e  il  secondo  al  precedente voglia;  attribuendo  cosi  ad Alighieri  un  costrutto non  solamente  ardito,  ma  pur  anco    strano,  che  non  se  ne  trova  esempio  ne  pur  forse  negli  scrittori  latini, tuttoché la lingua loro concedesse tanta  libertà  d'allontanarsi  dall'ordine  naturale  delle  parole.   Lo  stesso  rimprovero  può  farsi  pure  a  Lo-  bardi;  il  quale  non  si  diparte  dal  Daniello  se  non  in  questo,  che  il  primo  di  quei  pronomi  riferisce  a  voglia  e  il  secondo  a  virtìi,  cioè  mette  innanzi  quel  che  l'altro  avea  messo  dopo,  e  pospone  quel  che  l'altro  avea  anteposto.  Ciò  non  ostante  ne  risulta  quindi  un  senso  tanto  differente,  da  rendere la  spiegazione  di Lombardi meno improbabile di  quella  del  Daniello;  perchè  lascia  a  soggetto  della  relazione,  accennata  da  Dante  in  questo  verso,  la  prima  voglia,  o l’affetto  dei  primi  appetibili,  come  rettamente  si  dice,  naturale  e  innocente sebbene  per  termine  di  essa  relazione  non  si  prendano  poi  le  altre  voglie  od  affetti,  ma  piuttosto  le  morali  e  lodevoli  virtù.  È  vero  che  le  morali  e  lodevoli  virtù  hanno  per  natura  di  dirigere  e  ordinare  gli  affetti  tutti  dell'animo,  e  che  perciò  nella espressione  usata  da Lombardi  sono  implicitamente  contenuti  anche  questi,  ma  ciò  non  basta  a  giustificarlo;  essendo  che  qui  trattavasi  appunto  di  mostrare  come  gli  affetti  diventino  virtù  e  anco vizi, e nella  chiosa  di  Lombardi  questa dimostrazione rimane un desiderio, avendo  egli  preso,  come  abbiam  detto,  per  termine  della  relazione  le  virtù  bell'e  formate. Con  mente  più  filosofica  ha  studiato,  come  gli  altri,  così  questo  passo  della  Divina  Commedia  il  Tommaseo;  ha  riferito  tutt'e  due  i  pronomi  al  medesimo  nome  voglia,  che  li  antecede,  e  ha  scorto  fors'anco  la  vera  relazione,  che noi crediamo essersi  inteso  d’Alighieri  di  porre  tra  l'aff'etto  dei  primi  appetibili  e  ogni  altro  affetto,  che  di  poi  si  svolga nell'animo nostro, senza che però l'intendimento del poeta resti a pienoillustrato. Imperocché,  ritenuto  per  indubitabile  che  questa  valga  questa  prima  voglia,  che  è  in  noi  naturalmente,  e  ogni  altra  valga  ogni  altra  voglia,  che  in  noi  possa  accendersi  nel  corso  della  vita,  v'è  da  risolvere  la  questione,  a  cui  fa  luogo  il  verbo  raccogliersi  ;  che  è  quanto  dire  quale  relazione  precisamente  abbiavoluto il poeta esprimere con  esso  verbo  fra  quelle  cose.  E  qual  è  questa  relazione  secondo  il  Tommaseo?  È  una  relazione  simile  a  quella,  che  i  punti  d'una  circonferenza, o  i  raggi  d'un  cerchio,  hanno  col  centro, giacché  dice:  acciocché  questo  primo  naturai  desiderio  e  intelligenza  sia  quasi  centro  ad  ogni  altro  vostro  volere  e  sapere  acquisito,  ecc.  E  per  fermo,  raccogliersi  significa  anco  concentrarsi,  e  più  d'un  esempio  ce  ne  offre  lo  stesso ALIGHIERI.  Ma  siffatta  spiegazione,  ci  sia  permesso  di  dirlo  francamente,  non  isnuda  il  concetto  filosofico  voluto  esprimere  da  Dante,  lo  lascia  involto  nel  velo  della  metafora,  però  non  può  essere  avuta  per  sufiiciente.   Il  poeta  nel    canto  avea  fatto  dire  a VIRGILIO  che  amore  è  sementa  in  noi  d'ogni  virtù  e  d'ogni  vizio:  vuol  fargli  provare  la  verità  di  questo  dettato,  comune  alla  pagana  e  alla  cristiana  sapienza.  A  tale  uopo  egli,  in  persona  del  suo  duce  e  maestro,  risale  col  pesiero alla  costituzione  primitiva  dell'essere  umano:  in  esso,  egli  dice,  oltre  la  materia,  v'è  una  forma  immateriale,  fornita  di  una  virtù  o  potenza  specifica,  la  quale  non  si  dimostra  che  ne'  suoi  effetti,  cioè  nelle  sue  operazioni,  come  per  verdi  fronde  in  pianta  vita.  Questa  potenza  specifica  può  considerarsi  da  due  lati,  in  quanto  è  passiva  e  in  quanto  è  attiva:  in  quanto  è  passiva  è  l’intelletto  delle  prime  notizie,  in  quanto  è  attiva  è  l’affetto dei primi  appetibili  (AQUINO,  Cantra  gent.).  Quindi  non  è  maraviglia  che  l'uomo  non  sappia  donde  gli  vengano  siffatte  cose,  non  essendone  mai  stato  privo  e  appartenendo alla  sua  natura  in  quel  modo  medesimo,  che  all'ape,  per  esempio,  appartiene  lo  studio,  ossia  l'istinto,  di  far  lo  mèle.  Ora  quell'affetto  dei  primi  appetibili  è  senz'alcun  merito,  perchè  non  dipende  dal  libero  arbitrio  ;  il  quale  soltanto  è  principio,    onde  si  piglia  Cagion  di  meritare.  Non  per  tanto  esso,  non  avendo  per  oggetto  altro  che  il  bene  conveniente  all'umana  natura,  è  un  affetto  sotto  ogni  aspetto  irreprensibile.  Non  si  può  concepire  non  solo  una  creatura,  ma    meno  il  Creatore  senza  amore  alcuno;  sebbene In  Tece  di  IV,   era  da  pozze:  Inella  creatura  ragionevole  ne  possano  essere  di  due  sorte,  uno  naturale,  o  istintivo  ;  e  l’altro  à^ animo,  o  deliberato  :  il  primo  dei  quali  è  sempre  senza  errore,  perchè  è  l'opera  della  stessa  sa-  pienza divina,  mentre  il  secondo  puote  errar  per  malo  obietto,  O  per  poco  o  per  troppo  di  vigore,  secondo  che  dalla  libera  volontà  o  è  vòlto  a  ciò  che  è  intrinsecamente  male,  oppure  anco  a  ciò  che  è  bene,  ma  senza  quella  misura  che  risponda  al  suo  vero  pregio.  Come  accade  adunque  che  sia  Amor  sementa  in  noi  d’ogni virtude E d'ogni operazion che merta pena? Ciò accade: Imperché dal  primo  amore,  che  Dio  medesimo  ha  posto  nell'uomo,  si  svolgono  altri  amori,  come  dalla  forza  vegetativa  delle  piante  nascono  i  ramoscelli  e  le  foglie,  che  le  adornano,  e  dall'istinto  del-  l'ape i  vari  movimenti,  coi  quali  essa  sugge  l'umor  de'  fiori,  lo  converte  in  miele  e  lo  de-  posita nell'alveare;  2° perchè  questi  secondi  amo-  ri possono  esser  conformi  a  quel  primo  essenziale  all'uomo  e  rettissimo,  ovvero  anche  difformi,  siccome  avviene  ogni  volta  che  o  finiscano  in  oggetto  per    malo,  o  non  serbino  il  debito  modo  ed  ordine  nei  beni  ;  3*^  perchè  la  ragion  pratica,  o  assecondando  o  promovendo  colla  sua  libera  efficacia  cotesti  amori,  fa  che  la  rettitudine  loro  o  la  loro  malvagità  sia  imputabile  all'uomo,  e,  divenuti  abituali,  diano  carattere  alla sua condotta, in  altre  parole,  originino  le  virtù  ed  i  vizi.  E  da  tutto  questo  si  fa  manifesto,  che,  quel  primo  amore,  si  rispetto  agli  amori  secondi, come  rispetto  alla  ragion  pratica (convenientissimamente chiamata  da  Dante  la  virtù,  che  consiglia, E  dell'assenso  de’ tener  la,  soglia,  dall'ufficio a cui è stata destinata),  è come una cotal regola od esemplare; cioè, rispetto agli amori secondi, perchè non possono esser ragionevoli e onesti se non seguendolo e imitandolo, e rispetto alla ragion pratica perchè deve procurare, che essi nel fatto lo seguano e lo imitino. E diciamo UE a cotal regola od esemplare; conciossiachè la natural tendenza a quel bene, che  conviene  all'esser  nostro,  per    non è  che  un  fatto,  e  un  fatto,  in  quanto  tale,  non  ha  la  ragion  di  regola  o  di  esemplare,  ma  solamente  può  parteciparne  in  quanto  è  segno  d'un'idea  (San  Tommaso,  ^'ttmwa,  I*  IP*,  ^  -della legge naturale e altrove). Se  si vuol dunque,  commentando questo luogo di Dante,  andare  al  fondo,  non  bisogna  contentarsi  di  rendere il raccogliersi  per  concentrarsi, ma  bisogna  di  più ridurre lo stesso concentrarsi al suo senso filosofico,  il quale non ci sembra poter  esser  diverso  da  quello,  che  abbiamo  indicato,  cavandolo  dal  valor  logico  dei  concetti,  che  Dante  ha  espressi  nei  canti  del  Purgatorio.  Che  se  il  nostro  raccogliere  è  dal  latino  colligere,  e  lex  è  detta,  come  pensa  CICERONE, da  eligere,  ognun  vede  la  profonda  convenienza che  quel  si  raccoglia  ha  coll'ufficio,  che. Per  tutta  chiarezza  la  citazione  dovrebb'esser   così:  Prima  secundae  S.  theol.,  quaest.  giusta  la  mente  di  Dante,  noi  crediamo  di  dovere attribuire  al  primitivo  e  immanente  atto  della  parte  affettiva  dell'anima  umana.  L’interpretazione da  noi proposta non contradice adunque quella  data  da Tommaseo,  ma,  se  non  c'inganniamo,  la  compie,  recandola  fino  a  quel  termine  dov'egli  avrebbe  ben  saputo  recarla,  e  in  maniera  a  pezza  più  conveniente,  solo  che  avesse  fatto  colla  riflessione  qualche  altro passo  nella  via  medesima  in  cui  si  era  posto.  Ma  se  la  nostra  interpretazione  e  quella  di  Tommaseo  si  possono  cosi  accordare,  è  però  vero  che  in  ciò  che  la  nostra  piglia  a  suo  fondamento  dal  canto  non  si accorda punto colla  chiosa quivi  fatta  dall'illustre  critico.  Perocché  dove  il  poeta  dice,  che  creatura  non  vi  fu  mai  senza  amore,  o  naturale  o  d'animo,  egli  spiega  l'uno  per  amor  di  corpi,  l'altro  per  amor  di  spiriti  ;  noi  al  contrario,  come  abbiamo  accennato  di  sopra,  L'OzANAM,  che  alcuni  noa  sanno  stimare  senza  esagerarne  i  meriti,  il  principale  dei  quali  per  noi  è  di  avere  coll'opera  sua  additato  agi'  italiani  che  vi  è  un  lavoro  da  fare, intende  p&s  prima  voglia  il  primo  moto  o  dell'irascibile  o  del  concupiscibile,  che  i  moralisti  insegaano esser  privo  di  merito  e  di  demerito. Dio  sa  dunque  in  che  strano  modo  intendeva  a  collegare  colle  precedenti la terzina che qvà abbiamo esposto.   ALIGHIERI et  la  philos.  catholique  aa  XIII  siede  fParis.   L'Ozanam.  a  proposito  di  due  luoghi  del  Convito commenta: «Il  y  a  trois  sortes  d'appetits.  Le  premier,  naturel,  qui  n'a  point  conscience  de  soi,  et  qui  est  la  tendance  irrésistible  Je  tous  les  ètres  physiques  a  la  satl-  sfactiou  de  leurs  l>esoins;  le  second,  sensitif,  qui  a  30n  mobile  externe  dans  les  choses  sensibles,  et  qui  est  concupisaiife  ou  irciscible  tour  à  tour;  le  troisième,  intellectuel,  dout  l'objecr. a'est appróciable qu'à la  pensée.  Ces  appótités  eux-mèmes  peuvent  se  réduire  a  un  seul  principe  commun,  l'amour. Ma  la  prima  vogliu  di  questo  luogo  del  Purgatorio  è  a  lui  premier  acte,  instantané  et  irrafléchi della  virtù  speeipcu,  dispositiou  «pécitìque,  natureUe,  qui  ne  se  révèle  que  par  ses  eftets. intendiamo  pel  naturale  l'amore  istintivo,  e  per  quello  d'animo  l'amore  deliberato.  E  ci  pare  che  giustifichi  questo  nostro  modo  d'intendere  il  contesto  del  canto  suddetto,  e  l' insegnamento  comune  degli  scrittori,  da  cui  Dante  traeva,  fra  i  quali  a  noi  basti  il  menzionare  san  Bonaven-  tura, che  nel  Breviloquio  distingue,  appunto,  due  guise  di  operare  delle  nostre  affezioni,  cioè  per  un  moto  naturale  e  per  iscelta  deliberata.  Di-  remo pertanto,  senza  timore  di  offendere  il  grand'uomo,  che  la  sua  chiosa  di  questo  sublime  luogo  di  Dante,il  quale  può  dirsi  in  germe  un  intero  sistema  di  filosofia  morale,  pecca  nel  punto  di  partenza,  non  afferrando  la  giusta  distinzione  tra  l'amor  naturale  e  gli  amori  deliberati,  e  pecca  nella  conclusione,  lasciando qualche cosa  d'indeterminato sulla  relazione  del  primo  verso  coi  secondi.  Di  che  però  non  tanto  vogliam  fargli  biasimo,  quanto  rendergli giusta lode d'aver saputo più  addentro  d'ogni  altro  vedere  nel  pensiero d’ALIGHIERI. Sopra  un  luogo  della  Cantica  del  Paradiso Beatrice  nel  canto del  Paradiso  narrando  filosoficamente  la  creazione  delle  cose,  dice  degli  angeli:    giugneriesi,  numerando,  al  venti  Si  tosto,  come  degli  angeli  parte  Turbò  '1  subietto  de'  vostri  elementi.   Tutti  gli  interpreti,  per  quanto  io  mi  sappia,  per  subtetto  de’ vostri elementi hanno inteso la terra. Peraltro alcuni hanno inteso la terra comeelemento j  altri  la  terra  come  corpo.  È  de'  primi,  per  cagion  d'esempio,  Buti,  che  spiega  la  sentenza  di  questa  terzina  colle  seguenti  parole  :  Da  chi  numerasse  da  uno  in  vinti  non  si  giungerebbe    tosto  al  vinti,  come tosto parte dell’angeli poi che furono creati, incontanente cadder  di  deìo  in  terra,  e  mutò  o  vero  turbò,  secondo  altro  testo,  lo  subietto  de’  vostri  elementi,  cioè  di voi  omini, cioè la terra Dall'Istitutore:  foglio  ebdomadario  d' istruzione  e  degli  atti  ujjicifdi  di  essa.  Torino,  tip.  scolastica  di  S.  Franco.   che  è  subietto  dell'acqua,  delVaere  e  del  fuoco,  poiché  a  tutti  è  sottoposta  /  e  bene  lo  mutò  e  turbò, impera che prima e pura, e poi e infetta. Così il  codice  Magli abechiano).  De'  secondi  poi  è  il  Tommaseo,  perchè  dopo  aver  dato  terra  per  equivalente  di  subietto  de'  vostri  elementi^  ag-  giunge questa  ragione: La terra è soggetto  dei  quattro  elementi  aria,  fuoco,  acqua  e  terra.  Dove è  chiaro  che  terra  la  prima  volta  significa  il  corpo  o  globo  da  noi  abitato,  e  la  seconda  volta  r  infimo  de'  quattro  elementi  distinti  da-  gli antichi.  Mi  sia  permesso  di  dire,  che    i  primi    i  secondi  mi  paiono  aver  colpito  nel  segno.   2.  Il  nome subietto o soggetto, come sostantivo, appartiene  alla  lingua  filosofica,  ed  ha  un  senso  dialettico ed un senso metafisico. Nel senso dialettico indica uno de'termini del giudizio o della  proposizione,  quello  cioè  del  quale  l'altro,  che  chiamasi  predicato,  isi  afferma  o  si  nega.  E  di  qui,  per  estensione,  nasce  un  altro  senso,  esso  pure  dialettico,  quando  di  questa  voce  si  usa  a  dinotare  ciò su cui verte, non una semplice proposizione, ma molti ragionamenti ordinati e connessi, siccome sono nella scienza. In metafisica poi subietto ora significa la causa efficiente di qualche cosa, come in quel luogo del  Purgatorio. Or,  perchè mai non può dalla salute Amor del suo subietto volger yiso, Dall'odio proprio son le cose tute; ora  invece  significa  la  causa  materiale^  come  in  questi  versi  del  Paradiso,  canto  II:   Or,  come  ai  colpi  degli caldi rai della neve riman  nudo il  suggetto  E  dal  colore  e  dal  freddo  primai,  ecc.   E  quest'ultimo  è  il  significato, che io credo debba attribuirsi alla parola subtetto nella terzina, di  cui  è  questione;  cosicché  altro  non  s'intenda aver voluto Dante esprimere in essa, se non che alcuni degl’angeli, partitisi  dal  divino  volere,  colla  naturale  loro  potenza  indussero  disordine nella materia degl’elementi,  de'quali  è  composta  questa  parte  a  noi  destinata  dell'universo. Ciò  si  parrà  chiaro  considerando  che  il  nostro  poeta  parla  qui  da  teologo  e  da  filosofo,  uffici  ai  suoi  tempi  inseparati,  e  che  ne'  tempi  posteriori,  per  grande  sventura  delle  due  scienze  sovrane,  non  fu  stimato  assai  di  distinguere.  Ora  che  insegna  la  teologia  a  proposito  degli  angeli  ribelli  a  Dio?  Ella  insegna  che  ministri,  anche  dopo  la  loro  caduta,  della  Provvidenza  divina,  si  aggirano  in  questo  nostro  mondo,  tri-  bolandoci non  solo  colle  malvagie  istigazioni,  ma  eziandio  colle  tempeste,  colle  pestilenze  ed  altri  mali  di  tal  genere.  Sono  notissimi  i  passi  dell'epistola  di  s.  Paolo  agli  Efesini;  dove  cotesti  spiriti  sono  chiamati  principi  aventi  potestà  su  quest'aria.  Ma  i  padri,  appoggiati  ad  altre  autorità  della  scrittura  ed  ai  fatti  in  essa raccontati, ritennero che la potestà loro si estendesse su tutta,  in  generale,  la  materia  ed  i  corpi  terrestri.  Valga,  per  ogni  altra,  la  testimonianza  d’Agostino,  De  doctrina  Christiana. Hinc  enìm  fit,  ut  occulto  quodam  iudicio  divino  cupidi  malarum  rerum  homines  tradan-  tur  illudendi  et decipiendi, prò meritis voluntatum suarum, illudentìhus eos atque decipientibus prevaricatoribus  angelis,  quibus  ista  mundi  pars  infima  secundum  pulcherrimum  ordinem  rerum,  divinae  providentiae  lege,  subiecta  est.  Ora  gli  scolastici,  come  ognun  sa,  non  fecero  che  ripetere  le  dot-  trine teologiche  dei  Padri,  dando  loro  una  forma  scientifica,  secondo  i  principii  e  il  linguaggio  della  filosofìaaristotelica;  la  quale  per  essi,  al-  meno per  nove  delle  dieci  parti,  era  pura  e  pret-  ta verità.  Quindi  il  miscuglio,  che  trovasi  nei  trattati  di  teologia  degli  scolastici,  degl'incon-  cussi dommi della fede colle fallaci opinioni dello Stagirita.  Del  qual  miscuglio  n'abbiamo  un  esempio  in  questo  stesso  argomento,  che  qui  tocchiamo.   Generalmente gli scolastici dietro al LIZIO pensarono che altra fosse la materia  dei  cieli,  altra la  materia,  onde  è  fatto  il  mondo  sul-  lunare;  quella  fosse  immutabile  e  incorruttibile,  questa  soggetta  a  mutamento  e  corruzione;  perocché, dicevano,  quella  è  in  potenza  alla  sola  forma  che  ha,  questa,  al  contrario,  è  in  potenza  a  molte  forme  e  diverse.  Dal  che  san  Tommaso  di  Aquino  conchiude  che  fra  la  materia  de'  corpi celesti  e  la  materia  degli  elementi del  nostro  mondo  non  vi  ha  una  comunanza  ohe  di  con-  certo: Non  est  eadem  materia  corporis  coelestis  et  elementorum,  nisi  secundum  analogiam,  secundum  quod  conveniunt ratione potentiæ (Summa).  E  per  questo  appunto Dante,  nel  citato  canto  II  del  Paradiso,  appella  preziosi  i  corpi  celesti.   Ora,  che  cosa  è,  conforme  queste dottrine cosmologiche degli  scolastici,  il  subietto  degli  ele-  menti? Il  subietto  degli  elementi  è  la  materia  prima  del  mondo  sullunare,  subiettata  ad  una  certa  forma,  prima  nei  corpi  semplici,  aria,  acqua,  ecc.,  e  di  poi  nei  corpi  misti,  minerali,  piante,  ecc.  Imperocché  gli  scolastici  per  materia  e  su-  bietto intendevano  la  medesima  cosa  colla  sola  differenza,  la  quale  trascuravano  ogni  volta  che  loro  non  bisognasse  di  procedere  con  tutto  il  rigore  dialettico,  che  il  subietto  ha  relazione  con  una  forma  attuale,  mentre la  materia  ha  relazione con  una  forma  potenziale.  Ista  videtur  esse  differentia  inter  materiam  et  subiectum  (dice  Alessandro  d'Ales, In  Metaph.  Del LIZIO),  quia  materia  dicit  rem  suam  in  potentia  ad  formam,  ut  transmutabilis  est  ad  ipsam  per  viam  motus  et  fieri,'  et  ideo  quae  sine  fieri  introducun-  tur,  non  proprie  habent  materiam  ex  qua:  subie-  ctum autem  dicit  rem  suam  ex  hoc,  quod  substentat  formam;  et  ideo  omne  quod  substentat  formam  potest  vocari  subiectum,  licet  aliquo  modo  possit  vocari  materia. Pertanto  ciò  che  Dante,  ne'  versi  riferiti, chiama  il  sìibietto  de’ vostri  elementi,  corri-  sponde a  capello,  a  ciò  che  Aristotile,  nel  Della generazione  e  della  corruzione,  chiama,  con  parole  affatto  equivalenti,  uTioxsifisvYjv  \ìh]v.  Nel  qual  luogo, se il  filosofo  rigetta  l'opinione di  quelli,  che  ponevano  un  unico  subietto  di  tutti  gli  elementi,  è  però  manifestissimo  che  la  rigetta  solamente  in quanto quel  subietto  pretendevano essere  un  cotal  corpo  separabile  e  stante  da  sé,  awjAa  xe  òv  xat  Xopiaióv.  Ed  invero,  più  sotto,  divisando l'ordine delle entità, che concorrono a costituire i corpi primi, ossia gl’elementi, pone in primo luogo la materia, in secondo luogo  la  contrarietà  ed  in  terzo  luogo  gl’elementi:  Ma  poiché  i  corpi  primi  son  fatti  in  questo  modo  di  materia,  di  essi  pure  conviene  determinare qualche  cosa,  supponendo  che  una  materia inseparabile, ma  soggetta  a  qualità  contraria, sia  il  loro  primo  principio;  perocché  non  è  il  calore  materia  del  freddo,  ne  il  freddo  del  calore, ma ciò che sottostà ad entrambi. Laonde  primieramente  che  il  corpo  sensibile  esista  in  potenza, è  il  principio:  di  poi  vengono  le  stesse  qualità  contrarie,  come  il  calore  e  il  freddo:  da  ultimo  il  fuoco  e  l'acqua  e  le  altre  cose  di  tal  sorta.  E  questa  ò  la  costante  dottrina  degli  scolastici, e  a  tenore  di  questa  vuoisi intendere  quello che  ALIGHIERI  accenna  del  termine  dell'azione  perturbatrice  degli  spiriti  perversi.  Imperocché  da  una  parte  troppo  è  inverosimile  che  egli  non abbia  parlato  a  tenore  di  tal  dottrina,  solendo  egli  esprimere  nei  suoi  mirabili  versi  le  dottrine  filosofiche  della  scuola  e  colle  stesse  formole  da  lei  celebrate:  dall'altra,  ritenuto  che  la  cosa  sia  così,  dal  passo  controverso  esce  un  senso,  che  a  pieno  si  accorda  coli'  insegnamento teologico circa la  presente  potenza  degli  angeli  rei.  All'opposto nelle  altre  due  interpretazioni  codesta  loro  potenza  si  limita  a  capriccio  a  farsi  strumento  dell'odio  loro  contro  Dio  e  gl’uomini  la  sola  terra,  o  vuoi  come  elemento,  o  vuoi  come  corpo  ;    si  tien  conto  del  linguaggio  filosofico  dell'autore, quanto  è  giusto  che  si  faccia,  poiché  la  parola subietto,  mi  si  conceda  di  ripeterlo,  appartiene al linguaggio filosofico,  e qui precisamente al linguaggio metafisico,  nel qual linguaggio  subietto non  significò  mai,  se  la  memoria  non  mi  fallisce,  un  ordine  di  più  cose  per  la  loro  collocazione nello  spazio,  siccome  sembra  che  vogliano  coloro  che  hanno  subietto  de^  vostri  elementi  per  una  perifrasi  di  terra. Finalmente osserverò  che  coll'assegnare  per  termine  all'azione  degli  spiriti  angelici  ciò  che  di  primo  si  concepisce  ne'  corpi  come  corpi,  non  si  attribuisce  all'Alighieri  un  pensiero  frivolo  da  sbertarsi, ma degno delle più serie considerazioni del  filosofo.  Il  dominio  degli  spiriti  puri  sulle  cose  materiali,  e  l'origine  di  certe  forze,  che  su  esse  si  manifestano,  sono due grandi misteri; i quali forse si compenetrano in uno, e quest'uno è riserbato di vedere svelato, quanto all'intelligenza nostra è possibile, allorcliè i metafìsici s’intenderanno un po’più di fisica e  i fisici di metafisica e tutt'e due di  teologia. Pisa. Averroè  della  DiTina  Commedia' È  notissimo che  Dante  fra  i  saggi  sospesi  nel  primo  girone  deW  Inferno,  o  pernon  avere ricevuto il  battesimo,  o  per  non  avere  adorato  Iddio debitamente,  colloca  ancora   Averrois,  che  il  gran  commento  feo.   (Inf.,  o.  IV,  V.  U4).   Ora  l'editore  pisano  delle  Lezioni  di  Buti  sulla  Divina  Commedia  a  questo  verso  fa  la  nota  seguente:  Averrois,  sebbene  commen-  tasse Aristotile,  professò  dottrine  opposite  al  greco  filosofo;  onde  i  commenti  di  lui  non  furono  in  molto  credito  appo  degl’italiani.Qui  dunque il  gran  commento potrebb' esser  anche  detto  con  ironia. Noi non  possiamo  pregiare  la  novità  di  questa  osservazione,  perchè  ci  sembra mancare  affatto  di  verità.  E  non  intendiamo  come  il  benemerito  editore  non  si  sia  accorto  di  un  difetto    grave,  quando  lo  stesso  contesto  assai  chiaramente  esclude  il  disprezzo  e  lo  scherno  dell'ironico  parlare. Invero,  dopo  aver  detto  il    '  DaUe  Letture  di  famiglia,  tomo  III,  decade  seconda.    32   nostro  poet  Qnaest.  Disput.  2>e  Mente,  quaest.  ne,  quanto  semplice  altrettanto  sublime,  di  Dio  che  si  legge  neìV Esodo  :   Io  sono  l'Essere    cioè  l'Essere,  che  essenzialmente  ed  assolutamente  è.  Quanto  poi  alla  natura  dell'intelletto  umano  egli,  confrontandone  le  operazioni  con  quelle  del  senso, che  solo  coglie  gl’esterni  accidenti  delle  cose,  veniva  a  ravvisare  che  l'operazione  sua  propria  è  circa  l'essenza delle cose;  e  poiché  quelle  essenze ci  riducono  all'essere  in  comune  coll'ag-  giunta  di  varie  determinazioni,  il  suo  proprio  oggetto consiste  appunto  nell'essere  in  comune.  Ora  se  da  un  lato  l'essere,  in  quanto  è  essenzialmente ed  assolutamente  essente,  è  Dio,  e  dall'altro, in  quanto  è  appreso  universalmente,  è  l'oggetto proprio  dell'intelletto  umano,  è  piano  come  l'Aquinate  potesse  dire,  che  il  lume  dell'intelletto umano  sia  una  certa  partecipazione  o  similitudine di  Dio  o  dell'increata  verità.  Io  non  credo,  debbo  pur  dirlo  si  per  non  essere  frainteso e si per amor di schiettezza, io non  credo  che Aquino giunge mai  a  renderai cosi esplicitamente ragione di ciò che in tanti luoghi delle sue opere ripete sulla natura del lume dell'intelletto e  sulla sua attinenza con Dio. Ma qualunque siano state le cause,  che ne lo impedirono,  certo è che questa  spiegazione giace implicita nel complesso delle sue dottrine e si  fa  innanzi  quasi  spontanea  a  chiunque  profondamente   le  mediti   e   senza  la   stolta  paura    Etodo,    che  alcuni  dei  suoi  studiosi  oggi  paiono  avere,  di  dire una parola di più oltre quelle dette da lui, come se la scienza potesse star tutta racchiusa nelle parole di un sol uomo. Del resto la  storia  dell'umano  intelletto,  giusta  il  modo  on-  de Aquino  se  la  rappresenta,  è  in  sostanza  la  seguente.  L'intelletto  umano  è  un'attività, che  ha  due  movimenti;  coU'uno  si  costituisce come  potenza  di  conoscere,  coli 'altro  si  svolge  e  perfeziona.  Col primo, onde si costituisce come  potenza  di  conoscere,  incontra  l'essere  in  universale  e  l'apprende.  Da  tale  apprensione  in  cui  sono  virtualmente  contenute  tutte  le  apprensioni e  tutti  gli  altri  atti,  che  in  queste  si  fondano,  incomincia  il  secondo  movimento  del-  l'intelletto e  in  esso  si  possono  distinguere  tre  principali  momenti,  per  ciascuno  dei  quali  nel  linguaggio  della  scuola tomistica vi'è una frase particolare, che ne esprime il carattere distintivo. Imperocché  innanzi  tutto  nell'apprensione  dell'essere  in  universale  sono  virtualmente  contenuti i sommi principi della ragione, che si risolvono nei concetti universali dell'^wo,  dell'edenticOj  dell'assoluto  e  cosi  via.  Ora  questi  concetti si  fanno attuali nell'intelletto,  quando  gli  è  somministrata  una  materia  di  conoscere,  lo  che  è  ufficio  proprio  del  senso.  Allora  l'intelletto  mediante  quei  concetti:  l’ illustra  i  fantasmi  cioè  la  materia  somministratagli  dal senso, percezione intellettuale  dei  sensibili  ;  2"  astrae  dai  fantasmi  le  specie  intelligibili,  concezione  per  via di  riflessione  delle  idee  astratte  delle  cose,  ossia  delle  specie  e  dei  generi;  3"  compone  e  divide  le  t^pecie  astratte,  giudizi  e  raziocini,  coi  quali  la  riflessione,  comparando  le  idee  astratte,  si  viene  formando  una  scienza  più  o  meno  perfetta  delle  cose,  secondochè  discopre  più  o  meno  delle  loro  relazioni.   Ma  in  qualunque  di  questi  momenti  della  sua  evoluzione  si  trovi  l'intelletto  nostro,  è  pur  sempre  vero,  che  tutto  quello  che  egli  conosce,  conoscendolo  per  la  verità  dei  primi  principi,  e  quelli  essendo  come  i  primi  raggi  di  quel  lume  che  fa  di  lui  una  potenza  intellettiva;  e  questo  venendo  da  Dio,  anzi  essendo  una  certa  partecipazione del  lume  stesso  di  Dio  a  noi  in  parte  comunicato,  ne  segue  che  pur  nell'ordine  naturale Dio  solo  è  quegli,  che  internamente  e  principalmente  ci  ammaestra  come  è  anche  la  natura  quella  che  principalmente  risana. Cosi AQUINO  nelle  Questioni  Disputate  de  Magistro,  '  dove  anche  stanno  quell'altre  belle  parole :  "  Che  alcuna  cosa  si  sappia  con  certezza,  avviene per  il  lume  della  ragione  divinamente  infuso, col  quale  Iddio  in  noi  favella;  parole,  colle Quaest.  I,  nel  corpo  dell'articolo  in  fine.   *  Ivi,  nella  risposta  all'obiezione  Si  considerino  bene  quelle  frasi  dell' Aquinate  :  "  Utiiversales  conceptiones,  quaruni  co-  gnitio  est  nobìs  naturaliter  insita    (Qiiest.  cit.  de  Magistro  nella,  risposta  alla  obiez.) Lumen  rationis per  quod  principi»  cognoscimus  (Tbid.,  nella  risposta  alla  obiez.) Mediantibas  tmiversalibus  conceptionibus,  quae  statim  lumine  intellectus  agcn-  tis  cognoscuntur   (Quest.  cit.  de  Mente,  nel  corpo  dell'articolo  in  fine):  e  poi  si  dica,  se  secondo  la  mente  d’Aquino quali  si  pone  espressamente  una  cotale  rivelazione naturale,  come  rimota  preparazione  a  quella  soprannaturale  rivelazione,  che  si  fa  nell'anima  del  Cristiano.   Io  m'immagino, che mentre  veniva  cosi  narrando in  compendio  i  pensieri  del  nostro  grande  filosofo  sulla  questione  dell'origine  del  sapere,  la  mente  del  lettore  mi  abbia  spesso  abbandonato e  sia  volata  ora  a  questo  ora  a  quel  luogo  della  Divina  Commedia,  dove  si  leggono  sotto  forma  poetica  dei  pensieri  somiglianti.  E  se  ciò  è  veramente  accaduto,  naturai  cosa  è  che  si  sia  intanto  rafforzata  in  lui  la  persuasione,  che  il  nostro  gran  Poeta  nei  versi,  che  danno  argomento al  mio  dire,  non  può  avere  avuto  l'intenzione  di  esprimere  la  impossibilità,  da  cui  neppure  il  filosofo  vada essente, di  scorgere  la  sorgente,  donde  viene  l' intelletto  delle  prime  notizie.  Certo  è  che  codesti  pensieri  somiglianti  nella  Divina  Commedia  vi  sono  e,  ciò  che  ora  io  desidero che  si  avverta  e  che  importa  al  mio  proposito sommamente,  i  più  somiglianti  si  trovano  appunto  nel  passo  del  Purgatorio,  che  altri  ha  interpretato  cosi diversamente. In vero, se non si guarda che alla sostanza della soluzione d’Aquino, egli insegna che la cognizione dei primi principi, donde proviene  ogni  altra  cognizione  dell'uomo,  è il  lume  dell'intelletto  o  della  ragione  possa  esser  altro  ohe  un  massimo  universale,  come  appunto  dimostra  che  è  il  Eosmini  nel  Nuovo  Saggio  sulla  origine  delle  idee  e  in  altro  sue  opere.   una  cognizione  in  lui  innata,  in  quanto  che  in  lui  è  innato  il  lume  della  ragione,  per  il  quale  tali  principi  conosce.  E  non ripete  Dante  in  sostanza  il  medesimo  nei  terzetti  del  canto del  Purgatorio,  che  furono  riferiti  da  principio  ?  Infatti  quivi  egli  dice:  1"  che  la  specifica  virtù  dell'anima umana,  forma  sostanziale  che  nel  tempo stesso  è  scevra  di  materia  ed  unita  con  lei,  è  la  virtù  del  conoscere  e  la  virtù  dell'amare ;  2"  che  ciascuna  di  queste  virtù  ha  i  suoi  propri  oggetti,  cioè  la  virtù  del  conoscere  certe  prime  notizie,  che  la  dirigono  nelle  sue  particolari  operazioni e  la  virtù  dell'amare  certi  primi  appetibili, che  similmente  la  muovono  e  la  guidano  nelle  sue  particolari  operazioni,  e  che  1'  intelletto  di  tali  notizie e  l'affetto  di  tali  appetibili  precedono perciò  di  loro  natura  tutte  le  particolari  operazioni  di  esse  virtù  ;  3"  che  queste  due  virtù  per  una  legge  generale,  a  cui  sottostanno  tutte  le  forme  della  stessa  specie  dell'anima  nostra,  sempre  si  rimarrebbero  occulte,  se  uscendo  nelle  loro  particolari  operazioni  non  si  facessero  in  queste  sentire  e  per  queste  non  si  dimostrassero,  come  per  verde  fronda  in  pianta  vita;    che  conseguentemente,  quando  l'uomo  opera  o  coll'una  o  coll'altra  di  queste  virtù,  gli  si  rende  bensì  sensibile  e  gli  si  dimostra  quella,  con  cui  opera,  ma  non  anche  quell'atteggiamento  precedente di  essa,  per  il  quale  è  causa  al  tutto  pro-  porzionata e  pronta  al  suo  operare,  quindi  non  anche  l'intelletto   delle   prime   notizie  nell'epe-rare  della  seconda;  6"  finalmente  che  quest'intelletto e  quest'affetto,  solo  discopribili  nel  segreto dell'anima  all'acuto  sguardo  d'una  tarda  riflessione  filosofica,  sono  tanto  connaturali  all'anima, quanto  le  sono  connaturali  le  specifiche  virtù,  delle  quali  non  sono  che  proprietà,  e  da  paragonarsi  perciò  agli  istinti,  che  differenziano  le  varie  classi  di  animali,  allo  studio  per  es.  che  è  nell'ape  di  far  lo  mèle. Lascio il resto,  perchè  non  legato  strettamente  col  tema  del  mio  discorso, e dall'esposto  raccogliendo  quel  che  ne  segue, dico:  che  tanto  è  lungi  che  ALIGHIERI  nel  passo  riferito  del  Purgatorio  dichiari  insolubile  la  questione della  origine  delle  umane  cognizioni  e  più  precisamente  dei  primi  principi,  che  all'opposto egli  proprio  in  quel  passo  stesso  ne    una  soluzione,  e  questa  sostanzialmente  è  quella  che  già  ne  aveva  dato AQUINO.   Che se vi  ha  qualcuno  che  non  consenta  meco  nel  modo  d'intendere  o  la dottrina filosofica d’AQUINO o  quella  corrispondente  di  Dante  o  tutte  e  due,  io  ora  non  gli  contrasterò.  Intenda  egli  pure  a  suo  talento  coteste  dottrine;  a  me  basta  finalmente  che  riconosca  il  fatto,  che  in  questo  canto  del Purgatorio  A  una ne professa, qualunque  ella  sia.  Imperocché,  riconosciuto questo  fatto,  bisogna  risolversi  ad  una  di  queste  due  cose  :  o  bisogna  tener  Dante  per  uomo  di  tale  grossezza  e  stupidità  di  mente  da  non  accorgersi  della  contraddizione,  in  cui  cade,  sen-  tenziando, come  pretende  la  nuova  interpretazione,  che  all'uomo  non  è  dato  di  sapere    onde  vegna  lo  intelletto  delle  prime  notizie e  nell'atto  stesso  esponendo,  sebbene  brevemente,  una  dottrina intorno  a  questa  questione :  oppure  bisogna  rifiutare  la  nuova  interpretazione,  e  credere  la  intenzione  di  ALIGHIERI  lontana  le  mille  miglia  da  quella  sentenza.  In  verità  io  non  so,  se  oggi  neppur  un  Bettinelli  prenderebbe  il  primo  par-  tito.   A  questo  punto  mi  pare  eh'  io  potrei  tenere  per  sodisfatto  il  mio  debito  e  quindi  far  fine.  Pure  mi  piace  di  aggiungere  due altre  considerazioni che  mi  sembrano  attissime  a  far  sentire  sempre  più  quanto  sia  iuammissibile  la  discussa  interpretazion.  Si  consideri  dunque  in  primo  luogo  che  Dante,  comecché  uomo  straordinario,  tanto  che  possa  dirsi  di  lui quello che egli disse di Omero, cioè che sovra gli altri com'aquila vola, ciò  non  ostante  è  un  uomo,  e  tutti  si  riscontrano  in  lui  i  caratteri  generali  degli  uomini  dei  tempi  suo.Uno  di  essi  è  la  fede,  presa  questa  parola  nel  senso  j)iù  ampio  ;  cosicché,  oltre  la  fede  soprannaturale propria del Cristiauo, abbracci  pur  quella  meramente  naturale dell'uomo,  per  la  quale  egli  fortemente  assente a  tutto  ciò,  che  la  ragione  gli  mostri  come vero  o  come  buono.  I  fatti  pubblici  e  privati, le lotte delle fazioni politiche,  le dispute delle  scuole,  i monumenti  sacri  e  profani,  i  libri,  che  si  leggevano  a  istruzione  o  a  trastullo,  tutto  in  una  parola  ciò    che    appartiene  a  quei  tempi    94   concorre  a  farci intendere, che un uomo, che non crede con  fermezza, sarebbe stato allora  quasi un  assurdo.  Per  questo  fra  i  diversi  modi  di  pensare,  che anche  nell'età  di  mezzo  regnavano  nelle  scuole,  restò  ignoto  del  tutto  quello,  che  torna  in  fine  in  distruzione  d'ogni scienza  e  dello  stesso  pensiero,  voglio  dire  lo  scetticismo.  Ora  che  altro  è  che  puro  e  pretto  scetticismo  il  dire    onde  vegna  lo  'ntelletto  delle  prime  notizie,  uomo  non  sape,  se  questo  si  ha  da  togliere nel senso che la nuova interpetrazione  propone?  Imperocché  le  prime  notizie  son  pure  quelle,  sulle  quali,  come  su  fondamento,  s'innalza  tutto  il  sapere  dell'uomo;  onde  il  dubitare  del  suo  valore si  fa  inevitabile  a  chiunque  s'attenta  di  pas-  sar i  confini  della  riflessione  volgare,  se  la  origine delle  prime  notizie  è  impossibile  a  discoprirsi. Imperocché  come  potrebbe  egli  abban-  donatamente affidarsi  a  principi  d'origine  non  pure  ignota,  ma  avuta  da  lui  per  inconoscibile  ?  Non  potrebbero  essere  altrettante  misere  illusioni  della  sua  mente?  E  per  qual  via  liberarsi  di  questo  terribile  sospetto,  se  tutti i giudizi della mente si fanno a norma di quei principi?  S'immagini pure chi vuole maestro di dubbio il nostro grande  Poeta:  io  per  me  non  potrò  mai  farmi  un'  immagine  tale  di  nessun  uomo  dei  suoi  tempi  e  dell'Alighieri  anche  molto  meno,  se  l'Alighieri è  quello  che  lo  dicono  le  storie  e  che  lo  manifestano  tutte  concordemente  e  le  sue  prose  e  i  suoi  versi immortali. Appoggiato   invece  a questi  documenti  certissimi,  dai  quali  tanta  fede  traluce  nella  ragione  e  nella  scienza  umana,  io  me  lo  immaginerò  pieno  di  sdegnoso  disprezzo  per  cotesto  genere  di  mendace  filosofia,  quale  egli  si  mostra  nella  prima  cantica  della  Divina  Commedia,  quando,  entrato  appena  nella  città  di  Dite  incontra   l'anime  triste  di  coloro,   Che  visser  senza  infamia  e  senza  lodo.  Mischiate.   a quel cattivo  coro  Degli  Angeli,  che  non  furon  ribelli,    fur  fedeli  a  Dio,  ma  per    foro.  Non  è  già,  ed  eccomi  all'altra  considerazione, non  è  già  che  Dante  creda  illimitata  la  sua  ragione  umana  o  che  ne  esageri  comecchesia  il  potere:  no,  egli riconosce i suoi confini e al disopra di questa naturale sorgente di cognizione ne pone un'altra soprannaturale, la fede, destinata perdono grazioso di Provvidenza ad  estendere e  compire,  quanto  quaggiù  è  possibile,  la  cognizione  derivata  dalla  prima.  Però  egli  ammette due  scienze  distintissime,  corrispondenti  a  quelle  due  potenze  o  principi  subiettivi  del  nostro  sapere,  la  filosofia  e  la  teologia;  e  come,  menato  dall'istinto  d'un  animo  eminentemente  poetico,  che  tutto  contempla  nella  forma  del  bello, prende Virgilio come simbolo  della  filosofia,  così  Beatrice  prende  per  simbolo  della  teologia.  Quin-   Inf.,  canto di  quelle  parole,  che  servono  d'introduzione  ac-  concissima ai  ragionamento,  con  cui VIRGILIO nel  canto del  Purgatorio  si  fa  a  dissipare  difficoltà sorte  nella  mente  di  Dante:    quanto  ragion  qni  vede   Dir  ti  poss'io:  da  indi  in    t'aspetta  Pure  a  Beatrice,  ch'è  opra  di  fede.   Ora  in  questa  introduzione  sta  appunto  una  nuova  buona  ragione  per  riprovare  la  interpe-  trazione,  che  fa  dire  a  Dante  indefinibile  per  umano  ingegno    onde  regna  lo  intelletto  Delle  prime  notizie.  In  vero  qual  era  precisamente  lo  scopo,  a  cui  mirava  il  ragionamento  di  VIRGILIO?  Ad ALIGHIERI,  non  avendo  inteso  bene  il  principio  da  cui  era  partito  il  suo  Maestro  nel  ragionamento antecedente,  con  cui  questi  aveva  voluto  spiegargli  la  natura  dell'amore,  era  venuto  a  turbargli la  mente  e  ad  impedirgli  di  comprendere  come  l'amore  potesse  essere  la  radice  di  ogni  merito  o  demerito  dell'uomo  che  opera,  questa  obiezione  :   Ohe  se  amore  è  di  fuori  a  noi  offerto,  E  l'animo  non  va  con  altro  piede,  Se  dritto  o  torto  va,  non  è  suo  merto.   Ora  Virgilio,  perchè  la  mente  di  Dante  vedesse chiaro come il merito e il demerito dell'operare dell'uomo  stesse  insieme  con  quello  che  egli  aveva  detto  circa  il  principio  del  suo  operare,  cioè  circa l’amore,  non  doveva  aggiun- ger  nulla  di  nuovo,  ma  solamente  ritornare  sulla  natura  dell'amore  e  più  spiegatamente  dirgliene  l'origine.  E  questo  infatti  è  quello  che  egli  fa,  quando,  dopo  averlo  avvertito  che  da lui non si aspetti che quanto in questa materia può sapere la naturale ragione  dell'uomo, prende a dirgli: Ogni forma sustanzial, con quel che segue. Ora  qui  è  da  riflettere,  che  conoscere  e  amare  sono  cose  cosi  connesse,  che  un  subietto  privo  di  conoscenza  è  impossibile  che  ami,  e  privo  di  amore  è  impossibile  che  sussista  ;  perchè  col  solo  conoscere  non sarebbe intero, e  un  subietto non  intero  è  lo  stesso  che  un  frammento  di  subietto.  Dante  la  sapeva  bene  questa  connessione strettissima  dell'amare  e  del  conoscere,  che  era  uno  dei  più  comuni  insegnamenti  dei  filosofi  dei  suoi  tempi  e  dei  più  incontroversi;  onde,  se  la  opinione  sua  quanto  al  conoscere  fosse  stata,  che  non  se  ne  può sapere l'origine, si sarebbe sentito obbligato a professare un'opinione simile anche quanto all'amare, e per conseguenza in questo luogo del Purgatorio non avrebbe indotto Virgilio ad ammonirlo. Quanto ragion  qui  vede  Dir  ti  poss'io,  ma  questi  gli  avrebbe  dichiarato  a  dirittura  e  senza  andare  in  troppe  parole,  che  non  poteva  dirgli  nulla,  perchè  nulla  la  ragione  ne  vede,  e  che  per  tutta  questa  bi-  sogna gli  conveniva  aspettare  i  più  alti  ammae-  stramenti di Beatrice. Pertanto quell'womo non sape del luogo esaminato del Purgatorio non è da intendersi   secondo  la  nuova  interpetrazione,  ma  si  in  quello  stesso  stessissimo  significato  che  lia  l' noni,  non  se  n^avvede  in  un  altro  luogo  della  medesima  cantica,  dove  il  nostro  Poeta,  esprimendo  una  delle  più  note  leggi  dell'attenzione  intellettiva,  dice:    Quando  per  dilettanze  ovver  per  doglie  Che  alcuna  virtù  nostra  comprenda,  L'anima  bene  ad  essa  si  raccoglie;   Par  che  a  nulla  potenzia  più  intenda, E  questo  è  contra  quell'error,  che  crede.  Che  un'anima  sopr'altra  in  noi  s'accenda.   E  però,  quando  s'ode  cosa  o  vede,  Che  tenga  forte  a    l'animo  volta,  Vassene  il  tempo,  e  l'uom  non  se  n'avvede.  Ch'altra  potenzia  è  quella,  che  l'ascolta,  Ed  altra  è  quella,  che  ha  l'anima  intera;  Questa  è  quasi  legata,  e  quella  è  sciolta. In  ambedue  i  luoghi  ci  significa  la  mancanza  di  una  cognizione  propria  della  riflessione;  ma  ne  l'una    l'altra  cognizione  manca  all'uomo  per  un  invincibile  ostacolo,  che  stia  nella  sua  stessa  natura,  bensì  per  una  accidentale  condizione in  cui  si  trova.  Onde,  finche  egli  rimane  in  questa  condizione,  necessariamente  rimane  anche  privo  di  quella  cognizione;  ma  egli  può  pure  uscirne  e  il  potere  uscirne  non  consiste  in  altro,  che  nel  potere  riflettere  su  di  se  e  su  quello che  in    avviene.  Fin  qui  i  due  casi,  a  cui  si  riferiscono  i  due  luoghi  del  Purgatorio,  sono  eguali  del  tutto;  la  loro  dififerenza  comincia  solo  a  mostrarsi,  quando  si  prende  a   considerare  la natura  dell'oggetto,  del  quale  si  tratta  d'acquistar cognizione  per  via  di  un  ripiegamento  del  pensiero  su  noi  stessi.  Perocché  nel  caso  contemplato nel  canto  quest'oggetto  è  lo  scorrer del  tempo,  e  nel  caso  contemplato  nel  canto  è  invece  la  provenienza  delV  intelletto  delle  prime  notizie. Or chi non vede, che il ripiegare il pensiero su noi stessi per avvertire la successione delle nostre modificazioni e il movimento del tempo, è assai più facile che il ripiegare il pensiero su noi stessi per risalire fino all'origine prima di ogni nostro conoscimento? Chi non vede,  che d'ordinario  ogni  uomo  adulto,  eccettuate  le  circostanze  di  breve  durata,  a  cui  l'Alighieri  accenna  nell'esporre  il primo caso, è capace di fare e  fa  realmente  quella  semplice  riflessione,  che  è necessaria  per  accorgersi  del  tempo  che  passa;  ma  che  all'opposto  pochissimi  degli  stessi  uomini  adulti,  o  per  nativa ottusità  di  mente,  o  per  difetto  di  conveniente educazione intellettuale,  o  per  impedimento  posto  dai  casi  e  negozi  della  vita,  sono  capaci  di  fare  le  molte  riflessioni  e  complicate  ed  astruse,  colle  quali  soltanto  è  possibile  di  elevarsi  fino  a  quel  fatto  primo,  in  cui  s'inizia  la  potenza  stessa  del  conoscere?  Ma  quello  che  è  difficile,  sia  pur  difficile  quanto  si  vuole,  non è impossibile;  e quello,  che non  è  impossibile,  o  prima  o  poi,  o  da  un  uomo  o  da  un  altro  si  fa;  e  cosi si va effettuando quella idea di progresso,  che,  se per i singoli uomini ha il valore di una legge morale,  per  tutta  insieme  l'umana  famiglia  ha  quello d'una  legge  ontologica,  voglio  dire  d'infallibile necessità. E a chi  quest'idea,  in  sui  primi  albori  della  civiltà  moderna,  più  che  al  nostro  Poeta  illuminòla  mente  e  die  potenza  a  operare? Luoghi  del  Poema  di Dante  CHIOSATI O CITATI  DA P. Inf. Pura. Par. Autori o libri allegati nelle chiose. Agostino LIZIO Alessandro Afrodisiaco Alessandro  d'Ales Apocalisse Atti degli Apostoli Averroè Bartolo  da  Sassoferrato Bettinelli Biagioli FIDANZA Bossuet fiuti  (Da)  Francesco Oano Melchior Cesari Antonio Condorcet Conti  Daniello  Bernardino Epicuro Esodo Evangeli Fichte Fracastoro Girolamo Giustino Martire Hegel Ippocrate Livio Lombardi  Baldassarre Lucrezio Muratori Lodovico Cenerò Orazio Ovidio Ozanam Pacuvio Paolo Petrarca ACCADEMIA Renan Retorici  ad  Erennio Rosmini  Antonio Sartini   Scoto  Michele Schelling  Peder.  Guglielm Seneca Socrate Tolomeo da LuccaTommaseo Nicolò Aquino Varchi Venturi  Pompeo Vico Vigne  (Delle)  Piero Virgilio Vives Gian Lodovico P. bicordato da un suo discepolo Di un luogo del Purgatorio di Dante, che non sembra essere stato ancora dichiarato pienamente Sopra un luogo della Cantica del Paradiso JuAverroè della divina Commedia Alcune osservazioni sulla Fortuna di Dante Sopra un luogo del canto del Paradiso. Di un luogo filosofico della divina Commedia. Tavola dei luoghi del Poema di Dante chiosati o  citati da P., Tavola  degli  Autori  o  libri  allegati  nelle  Chiose.  cf. Alessandro Paganini. Carlo Pagano Paganini. Paganini. Keywords: Alighieri. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Paganini” – The Swimming-Pool Library. 

 

Luigi Speranza -- Grice e Pagano: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’eroe – filosofi agiustiziati – la scuola di Brienza -- filosofia basilicatese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Brienza). Filosofo italiano. Brienza, Potenza, Basilicata. Essential Italian philosopher. Uno dei maggiori esponenti dell'Illuminismo ed un precursor edel positivismo, oltre ad essere considerato l'iniziatore della scuola storica napoletana del diritto. Personaggio di spicco della Repubblica Partenopea, le sue arringhe contornate di citazioni filosofiche gli valsero il soprannome di "Platone di Napoli". Nato da una famiglia di notai,  si trasfere a Napoli. Studia sotto l'egida di Angelis, da cui apprese anche gli insegnamenti del greco. Frequenta i corsi universitari, conseguendo la laurea con il “Politicum universae Romanorum nomothesiae examen” (Napoli, Raimondi), dedicato a Leopoldo di Toscana ed all'amico grecista Glinni di Acerenza. Studia sotto Genovesi, il cui insegnamento fu fondamentale per la sua formazione, e amico di Filangieri con cui condivide l'iscrizione alla massoneria. Appartenne a “La Philantropia,” loggia della quale e maestro venerabile. Inoltre, i proventi dell'attività di avvocato criminale gli consenteno di acquistare un terreno all'Arenella, dove costitue un cercchio, alla quale partecipa, tra gli altri, Cirillo. Insegna a Napoli, distinguendosi come avvocato presso il tribunale dell'Ammiragliato (di cui diviene poi giudice) nella difesa dei congiurati della Società Patriottica Napoletana Deo, Galiani e Vitaliani pur non riuscendo ad evitarne la messa a morte. Incarcerato in seguito ad una denuncia presentata contro di lui da un avvocato condannato per corruzione che lo accusa di cospirare contro la monarchia. Venne liberato per mancanza di prove. Scarcerato ripara clandestinamente a Roma, dove e accolto positivamente dai membri della Repubblica. Insegna al Collegio Romano, accontentandosi di un compenso che gli garantiva il minimo indispensabile per vivere. Tra i suoi seguaci e allievi, il  rivoluzionario Galdi.  La libertà è la facoltà di ogni uomo di valersi di tutte le sue forze morali e fisiche come gli piace, colla sola limitazione di non impedir ad’altro uomo di far lo stesso. Il Giudice Speciale lo schernisce dopo avergli letto la sentenza di morte. Ritratto di Giacomo Di Chirico. Lasciata Roma, si sposta per un breve periodo a Milano e, dopo la fuga di Ferdinando IV a Palermo, fa ritorno a Napoli, divenendo uno dei principali artefici della Repubblica, quando il generale  Championnet lo nomina tra quelli che doveno presiedere il governo provvisorio. La vita della repubblica e corta e molto difficile. Manca l'appoggio del popolo, alcune province sono ancora estranee all'occupazione francese e le disponibilità finanziarie sono sempre limitate a causa delle sovvenzioni alle campagne napoleoniche. In questo breve lasso di tempo, ha tuttavia modo di poter realizzare alcuni progetti. Importanti in questo periodo sono le sue proposte sulla legge feudale, in cui si mantiene su posizioni piuttosto moderate e il progetto di Costituzione. Essa per la prima volta stabilisce la giurisdizione esclusiva dello stato napoletano sul diritto civile e, tra le altre cose, prevede il de-centramento amministrativo. Prevede inoltre l'istituzione dell'eforato, precursore della corte costituzionale. Il suo progetto rimase tuttavia inapplicato a causa dell'imminente restaurazione monarchica. Si distingue sostenendo altre leggi di capitale importanza come quella sull'abolizione dei fedecommessi, sull'abolizione delle servitù feudali, del testatico, della tortura. Con la caduta della repubblica, dopo aver imbracciato le armi che difendeno strenuamente gl’ultimi fortilizi della città assediati dalle truppe monarchiche, e arrestato e rinchiuso nella "fossa del coccodrillo", la segreta più buia e malsana del Castel Nuovo. E in seguito trasferito nel carcere della Vicaria e nel Castel Sant'Elmo. Giudicato con un processo sbrigativo e approssimato, e condannato a morte per impiccagione. A nulla e valso l'appello di clemenza da parte dei regnanti europei, tra cui lo zar Paolo I, che scrive al re Ferdinando. Io ti ho mandato i miei battaglioni, ma tu non ammazzare il fiore della cultura europea. Non ammazzare P,, il più grande filosofo di oggi. E giustiziato in Piazza Mercato, assieme ad altri repubblicani come  Cirillo,  Pigliacelli e  Ciaia. Salendo sul patibolo, pronuncia la seguente frase. Due generazioni di vittime e di carnefici si succederanno, ma l'Italia, o signori, si farà. Italia si fara. Italia, o signori, si fara. Proclami e sanzioni della Repubblica napoletana, aggiuntovi il progetto di Costituzione, Colletta. Esponente fra i più rilevanti dell'Illuminismo merita di essere preso in esame dalla nostra prospettiva per la visione consegnata ai Saggi politici, un'opera a carattere filosofico -- di ‘filosofia civile' per l'ispirazione complessiva e il disegno di fondo in cui i diversi elementi della sua multiforme natura sono orientati verso un unico obiettivo. E anche per la filosofia politica, che emerge in tutta la sua peculiarità da un lavoro pur dai caratteri tecnici obbligati come il Progetto di Costituzione della Repubblica napoletana, da lui personalmente redatto.  Saggi: “Burgentini”, “Oratio ad comitem Alexium Orlow virum immortalem victrici moschorum classi in expeditione in mediterraneum mare summo cum imperio praefectum”; “Gli Esuli tebani. Tragedia” (Napoli); “Contro Sabato Totaro, reo dell'omicidio di Gensani in grado di nullità aringo” (Napoli); “Il Gerbino tragedia” e “Agamennone: monodramma-lirico” (Napoli, Raimondi); “Considerazioni sul processo criminale (Napoli, Raimondi); “Ragionamento sulla libertà del commercio del pesce in Napoli. Diretto al Regio Tribunale dell'Ammiragliato e Consolato di Mare” (Napoli); “Corradino: tragedia” (Napoli, Raimondi); “De' saggi politici”(Napoli, aRaimondi); “L' Emilia: commedia” (Napoli, Raimondi); “Saggi politici de' principii, progressi e decadenza della società” (Napoli); “Discorso recitato nella Società di Agricoltura, Arti e Commercio di Roma nella pubblica seduta del di 4 complementario anno 6° della libertà, Roma, presso il cittadino V. Poggioli. “Considerazionisul processo criminale” (Milano, Tosi e Nobile); “Principj del codice penale e logica de' probabili per servire di teoria alle pruove nei giudizj criminali”; “principj del codice di polizia” (Napoli, Raffaele). Le opere teatrali  non furono mai rappresentate in pubblico. Le mette in scena privatamente nella sua villa dell'Arenella. Sono caratterizzate da temi prevalentemente sentimentali mascherando i temi civili che pur in esse sono presenti, con funzione quindi pedagogica nei confronti del popolo.  Intitolazioni e dediche  Statua di P. a Brienza. Al giurista lucano sono state dedicate alcune opere letterarie come Catechismo repubblicano in sei trattenimenti a forma di dialoghi di Astore e P., ovvero, della immortalità di ROVERE Nella Corte d'Assise di Potenza fu collocato un busto marmoreo in suo onore, opera di Antonio Busciolano. Gli venne dedicato il Convitto nazionale P. di Campobasso, con regio decreto firmato da Vittorio Emanuele II. Alcune logge massoniche furono intitolate a suo nome, come quella di Lecce e di Potenza.. Nel Venne inaugurato un busto in marmo ai giardini del Pincio (Roma), realizzato da Guastalla. Il suo personaggio apparve nel film Il resto di niente di Antonietta De Lillo, interpretato da Mimmo Esposito. Elio Palombi, Pagano e la scienza penalistica; Giannini, Tessitore, Comprensione storica e cultura, Guida; Gorini, Ricordanze di trenta illustri italiani, Minerva, Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione. Con la corrispondenza massonica e altri documenti, Palermo, Sellerio, A. Pace, Annuario, Problemi pratici della laicità agli inizi del secolo Kluwer Italia, Addio, Le Costituzioni italiane: Colombo, Lazzari: una storia napoletana, Guida, Cilibrizzi, I grandi Lucani nella storia della nuova Italia, Conte, Alessandro Luzio, La massoneria e il Risorgimento italiano: saggio storico-critico, Volume 1, Forni, Vittorio Prinzi, Tommaso Russo, La massoneria in Basilicata, Angeli, Carlo Colletta, Proclami e sanzioni della repubblica napoletana, aggiuntovi il progetto di Costituzione di P., Napoli, Stamperia dell'Iride, Dario Ippolito, il pensiero giuspolitico di un illuminista, Torino, Giappichelli, Nico Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione, Palermo, Sellerio, Venturi, Illuministi italiani, Riformatori napoletani, Milano-Napoli, Ricciardi, Repubblica Napoletana Repubblicani napoletani giustiziati  Deo. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Considerazioni sul processo criminale, su trani-ius. Progetto di Costituzione della Repubblica Napoletana, su repubblica napoletana. Principii del codice penale, su trani-ius. Relazione al Convegno di Brienza su P., dsu trani-ius. Dell origine delle pene pecuniarie. De' progresivi avanzmenti della sovranità per mezzo de’ giudizi. Del maggior estabilimento de' giudizi. Pruove storiche. Preso de' Creci giudica della Socieeta. Del duello. Degl’altri modi aduprati ne’ divinigiu dizj. Della Fortura. Prüove storiche. Coltura inquest 'ultimo periodo della barbarie. Dello sviluppo della macchina; e del miglioramento del costume, dello Spirito, e delle 79 quanto elle conferial miglioramento del costume ca, e della origine del commercio,  di antichitd LINGUE de’ popoli. De’ giudizj degli’aprichi Germani, e de' Scioglimento di una opposizione alleco Se dette. De principi della giurisprudenza de'bar De divini giudizj. Nuova explicaziure di un famoso puntu della legislazione di questi tempi, dello stato delle proprietà, e dell'agri. Dell;origine dell'ospitalitita, e come, delle arti e delle scienze di cotest'epur 78 barbari della mezza età  della religione. de principi e progressi delle società colte. L'estinzione della indipendenza privata, la liberta civile, la moderazione del governo formano l'esenziale coltura delle nazioni. Dell'origine della plebe, e de' suoi drit 'ti. Delle varie cagioni, dalle quali nascono gono dalla varia modificazione della macchina.  De'climi più vantaggiosi all'ingegno ed al valore Ea lerge non frena la libertà, mala garantisce e la difende  vi e polite.  i diversi governi, e primieramente delle interne. Della educazione. Dell'esterne cagioni locali, che sul diverso governo hanno influenza, Del clima. diversi. Del rapporto della società colle potenze straniere; della libertà, e delle cagioni, che la tolgono; come la legge civile pofanuocere alla De'diversi elementi della Citta. Della legge universale, e dell'ordine cosi fisico, come morale. Come le forze, ed operazioni morali for. Come secondo i varj climi nascono governi libertà, inducendo la servitù. Della liberta politica. Delle due proprietà di ogni moderato, Del dritto scritto, delle leggie giu e regolar governo risprudenza de' colti popoli,  La moltiplicazione degli uomini è maggiore negli stati guerrieri, che ne'commer. del gusto e delle belle arti, del piacevole. Del rafinamento del gusto,de varj fonti del piacere. Delle leggi agrarie dell'antiche republiche. Della galanteria de popoli colti. Della galanteria de barbaritempi. Delle arti di lullo de’ populi politi, Dela monetate dele Finanze, dell'oggetto delle belle arti, e del gusto, dell'ingegno creatore, delloSpirito, e costume delle colte nazioni. Delle sorgenti del Genio. Quali governi fieno per loro natura guerrieri, equali commercianti Quali cose forminu la bellezza nelle arti imitative. L'unit. forma e la bontd, e la bellezza degl’elleri. Proprieta. bliche, e della violentari partizione de poderi. Di due generi di stati o'conquistatori, o commercianti, di unterzogenere distato nè. com, Divisione delle belle arti. De' contrasti, opposizione, antitesi, Del dilicato, del forte, del sublime, dela delle grazie, e dell'interesse sempre vivo, decadenza delle belle arti delle nazioni, e della prima di elle, cive dello sfibramento della macchina dell'uomo, e delle zioni dalla prima, e del novello stato selvaggio. Generale prospetto della storia del regno. Del progresso e perfezione delle belle arti. Dell'epoche progresive de'varii ramı delle belle arti. Del corso delle belle arti IN ROMA, e nella moderna Italia, conseguenze morali; della corruzione de' regolari governi, la quile rimena la barbarie. La grandezza ne' popoli colti ne'barbari, la dilicatezza, e sublimitd è maggiore. Delle Scienze, e delle arti delle nazioni corrotte. Divisone dal dispotismo; della decadenza delle anzioni; delle universali cagioni della decadenza. Diversità della seconda barbarie delle na; del corso delle nazioni di Europa. Dell 'inondazione de'barbari, e delri Jorgimeuto dell'europea costura. Le note segnate colle pa Dello ftata degl’uomini, che sovravissero alle vi. focievole. cende della natura . liare . Del secondo stato della vita selvaggia. Dei varii doveri, e dritti de'compagni, coloni, Del primo stato della vita selvaggia. Del terzo fato della vita selvaggia, delle cagioni che strinfero la sociesà fami Del vero principio motore degli uomini al vivere. Delle due specie de' bisognififci, emorali. Della distinzione delle famiglie, dell'origine della nobiltà, dell'incremento delle famiglie e dell'origine de famoli, e delle varie lor classi. fervi. Del quarto stato della vita selvaggia.  re Società . Della domestica religione di ciascuna famiglia, Dell'origine dell'anzidetta religion domestica; Si Ricapitulazione de'diversi stati della vita selvago.  Degli affidati, e de'vafalli della mezza età. ST Paragone tra compagnoni de’ Germani, fooj de Greci, e i cavalieri erranti degli ultimi barba L'impero domestico ficonrinnòneleprime barba, dell'antropofagia y o fia del pasto delle carni u m d ri tempi. 64 gia. Della religione de'selvaggi, de'costumi de'selvaggi, Del secondo periodo delle barbare nazioni.  e di coloro, che  ghi .  ins 116 se de'pa V. blici militari consigli, dello stabilimento del le città e del primo periodo delle barbariche società. conviti . Chene'tempi degli Dei fi tennero iprimi pub, della teocrazia, dello stato della religione del le prime società, dell'influenza della religione in tutti gli affari de'barbari. la componevano.  Del primo passo dele selvagge famiglie nelcorso civile, ossia dell'origine de vichi. Dell'origine de' tempj, é di'pubblici, ésacri Della sovranità della concione, i20 СА. Dell idee degli antichi intorno allamonar·  Della forma della romana repubblica nel secondo, del governo de primi greci, de'costumi, del genio di questa età, e della tral de'costumi di questa età della fo Dell'arti. Saggio. Dell’origine e stabilimento Dello stabilimento delle città e del primo period, Che ne'tempii degli Dei si tennero i primi pubblicimilitariconsigli, della teocrazia, dello stato della religione delle prime società Dell'influenza della religione in tutti gli affari dei barbari componevano. Dell'idee degli antichi intorno alla monarchia Della forma della romana repubblica nel secondo Del governo feudale di tutte le barbare 'nazioni, della sovranità della concione e di coloro che la Del governo de’ primi Greci. De 'giudizi nel secondo periodo della barbarie di periodo della barbarie ROMA. De'costumi,del genio di questa età edellatrasmi. Continuazione de costumi di questa età della so, Del progresso delle barbare società : del terzo ed ultimo loro periodo. De’ progressivi avanzamenti della sovranitàper mezzo bari tempi esercitato da're. De'principii della giurisprudenza de'barbari. Del diritto della proprietà . grazione delle colonie de barbari Il potere giudiziario non venne negli eroici e bar. de'giudizi . cietà Delle arti e cognizioni di questa età. Del maggiore stabilimento del giudiziario potere. Del duellil degli’altri modi adoprati ne'divini giudizi. Dello stato della proprietà e dell'agricoltura in Dello sviluppo della macchina e del miglioramento del costume, DELLO SPIRITO ROMANO E DELLA LINGUA ROMANA. dconferi al miglioramento del costume de popoli . Dell' arti e delle scienze di cotest'epoca, dell'ori quest'ultimo periodo della barbarie . gine del commercio . De'divini giudizi Della legislazione di questi tempi . Dell'origine dell'ospitalità, e come e quanto ella Della tortura Della religione o dest civile, la moderazione del governo formano l'essenziale coltura delle nazioni. Dell'origine della plebe e de'suoi diritti verni, e primieramente delle interne. Delle varie cagioni dalle quali nascono idiversi go hanno influenza. Come le forze ed operazioni morali sorgono dalla Della società colta e polita. L'estinzione dell'indipendenza privata, la libertà De'diversi elementi della citt. Della educazione. Dell'esterne cagioni locali che sul diverso governo Del clima varia modificazione della macchina De'climi più vantaggiosi all'ingegno ed al valore. Secondo i vari climi nascono governi diversi. Della libertà e delle cagioni che la tolgono Della legge universale e dell'ordine cosi fisico co Delle varie specie della legge, e della legge civile . La legge non toglie la libertà, ma la garantisce. Vera idea della libertà civile. Come la legge positiva possa nuocere alla libertà civile. Della legge relativamente alla proprietà. Del rapporto della società colle potenzę straniere me morale, Della libertà politica. Della giusta ripartizione delle possession. Delle leggi agrarie dell'antiche repubbliche,edella forme degli stati cianti commercianti Di un terzo genere di stato né commerciante ne varia ripartizione de'poderi . Leggi ed usi distruttivi della proprietà Delle varie funzioni della sovranità e delle varie. Di due generi di stati, o conquistatori o commer. Quali governi sieno per lor natura guerrieri e quali. La moltiplicazione degli uomini e maggiore negli stati guerrieri che ne commercianti conquistatore. Partizione della legge civile, qualità delle leggi Della moneta e delle finanze   Dell'arti di lusso de'popoli politi zioni  Dello spirito e costume della nazione italiana. Della passione dell'amore de'popoli colti. Della decadenza delle na. . Della corruzione delle società . Stato delle cognizioni in una nazione corrotta. Costumi e carattere delle nazioni corrotte. Della galanteria de'tempi cavallereschi . Cagioni fisiche e morali della decadenza della sociela Divisione del dispotismo. Del civile corso delle nazioni d'Europa Dell'inondazione de'barbari e del risorgimento del Discorso sull'origine e natura della poesia. Del metodo che si tiene nel presente discorso Dell'origine del verso e del canto.  Le barbare nazioni tutte son di continuo in una vio leuza di passioni, e perciò parlano cantando Origine ed analisi delle prime lingue dei selvaggi e Diversità della seconda barbarie delle nazioni dalla prima, e del novello stato selvaggio l'europea coltura barbari Dėll'interna forma ed essenza poetica, è propria mente della facoltà pittoresca de primi poeti, Della maniera di favellar per tropi, allegorie e caratteri generici; ANALISI DI ALQUANTE VOCI LATINE le quali fu rono traportate dalle prime sensibili nozioni a rap  Della personificazione delle qualità de'corpi nata dalle prime astrazioni della mente umana. Per quali ragioni tutte le cose vennero animate Continuazione universale Della qualità patetica dell'antica poesia e de'co  Ricapitolamento di ciò che si è detto  presentarne dell'altre . La poesia è un genere d’istoria, ossia un'istoria. rica dell'antica poesia. Dell'origine della scrittura. Dalle vive fantasie de'selvaggi lori dello stile. Più distinta analisi della lingua allegorica e gene. Dell'origine della pantomimica, del ballo e della Dell ll'origine delle feste. Commedia, tragedia, satira, ditirambo furono in Conferma dell'anzidetta verità musica principio una cosa sola . Saggio del Gusto e delle belle arti Dell'oggetto delle belle arti e del gusto. Della nascita della tragedia Della tragedia. Dell'origine delle varie specie di poesia Delle belle arti. Divisione delle belle arti. Del piacevole e dell'interesse sempre vivo Dell'ingegno creatore. Quali cose formino la bellezza nelle arti imitative. L'unità forma e la bontà e la bellezza degl’esseri. Del raffinamento del gusto ed e vari fonti de lpiacere. De'contrasti, opposizione, antitesi. Del dilicato, del forte, del sublime e delle grazie. Delle sorgenti del genio. La grandezza e sublimità ċ maggiore nei barbari; la dilicatezza ne'popoli colli   Decadenza delle belle arti. Del corso delle belle arti in Roma e nella moderna Continuazione. Del maggior estabilimenta del giudiziari opotere. mente  De progres sivi avanzamenti del la Sovranità per wieszo delGiudizj. De principj della giurisprudenza di barbari. Del Duello  Degli altrimodi ad opratine' d'ùinigiudizj. Della Tortura . Della legislazione di questi tempi. Dello stato della proprietà, e dell agricoltura in; Dello sviluppo della macchina, et del migliora; il potere giudiziario non venne negli eroici; e bara bari tempi esercitata da re . quest'ultimo periodo della barbarie. De divini giudiz].mento del costume, dello spirito, e dellelina gue. Dell'arti, e delle scienze dicorest'epoca, dell origine del Commercio . L'estinzione della indipendenza privatą, la liber: D e diversi elementi della città nità per Della Religione Ultimo Dell'esternecagioni locali,che suldivariopovera Dell'originedellaplebe,ede'suoidritti. 7wotere. 20 94 iebare Delle variecagioni dalle quali nascono i diversi governi, e primi eraniente dell"interne. Della educazione rà civile, la moderazione del gover formand l'essenziale coltura delle nazioni; Dell originedell'ospitalità, e come, e quanto ella confert al miglioramento del costume de popoli . leforzeed operazioni morali sorgono dala Come modificazione dellamacchina. la varia lore i ed al vas P. X. Secondo i varj climi nascono governi diversi. Delle varie specie della legge, e della legge ci vile . La leggenon togliela libertà, ma carentisce la vera idea della libertà civile . Della libertà politica.  Del clima . De climipiùvantaggiosi all'ingegno, CA Come la legge positiva possa nuocere alla libertà civile . Dellaleggeuniversale, edell'ordinecasi fisico, come morale, Della legge relativamente alla proprietà. no hanno influenza: Del rapporto della società colle potenze stranie. Della libertà, e delle cagioni, che la tolgono, Quali governi sieno per lor natura guerrieri,e quali commercianti, Della passione dell'amore de popolicolti. Delle varie funzioni della sovranità, e delle varie forme degli stati. Di due generi distari, o conquistatori, o coma mercianti. Di un terzo genere di stato nel commerciante nd conquistatore. La moltiplicazione degli uomini a maggiore negli stari guerrieri, che ne commercianti. Partizione della legge civile, qualità delle Lego gi. Dellagiust:ripartizionedelepossessioni. Dello leggiagrarie dell'antiche repubbliche, e del la varia ripartizione de'poderi. Leggi, ed usi distruttivi della proprietà . Della moneta delle Finanze. Dello spirito e costume delle colte nazioni.  Della galanteria de tempi Cavalereschie. Dell arti di lusso de'popoli politi, Costumi, e carattere delle nazioni corrotte . Diversità della seconda barbarie delle nazioni dala laprima, è del novello stato selvaggio, Del civile corso delle nazioni di Europa . Dell'inondazione de barbari, e del risorgimento delloeuropea coltura seri e delle crisi, per mezzo delle quali si Dell'estrinseche morali cagioni, che turbano il naturaleedordinariocorsodelleNazioni pag. Della varia efficacia delle anzidette cagioni orientale Delle varie fisiche catastrofi. Delle differenti epoche delle varie fisiche cata Ragioni del Vico contra l'antichità e la Sapienza. Dell'antichissima coltura degli Egizie de' Caldei» De 'Caldei. strofi della terra Della contesa delle nazioni sulle loro antichità. Dellà successione di varie fisiche vicende  Del disperdimento degli uomini per mezzo delle naturali catastrofi  Delle morali cagioni attribuite dagli uomini igno ranti a'fisici fenomeni Delle diverse cagioni delle favoleDelle diverse affezioni degli uomini nel tempo delle crisi Delle crisi di fuoco -- continuazione dell'analisi degli effetti prodotti nello spirito dallo sconvolgimento del ce Della verosimiglianza del proposto sistema.   VIantichissime nazioni orientali. Del modo come sviluppossi l'uomo dalla terra Dello stato primiero della terra e degli uomini, e delle varie mutazioni sulla terra avvenute »Seconda età del mondo Originė degli uomini secondo il sistema delle . Sviluppo dell'anzidetta platonica dottrina sui due Della favola di Pandora. Dello spirito delle prime gentili religioni periodidelmondo. Prima età del mondo » 140 9 142 ed origine della secondo l'antichissima teologia Sviluppo dello spirito umano, ·religione   Dell'invenzione dell'arti,e degli usi giovevoli L'ordine della successione delle varie catastrofi Dello stato de popoli occidentali dopo 1°Atlantica catastrofe Del diluvio di Ogige, e di Deucalione Delle morali cagioni che diedero all'anzidetta favola l'origine,ed'altre favole eziandio porto. Ricapitolazione Diunaparticolarecrisidell'Italia alla vita si ritrova solo nella mitologia Dell'Atlantica catastrofe . che alla medesima catastrofe hanno rapDello stato degli uomini, che sopravvissero'alle vicende Del terzo stato della vita selvaggia . Delecagioni,chestrinserolasocietàfamigliare, Del vero principio motore degli uomini al vivere socie Della distinzione delle famiglie, o dell'origine della  Pag. 5 della natura .  yole .Del primo stato della vita selvaggia. Del secondo stato della vita selvaggiaDelle due specie de' bisogni fisici, e morali . nobiltà.   Dell'incremento dele famiglie, e dell'origine defa Dei varjdoveri, ediritti de’ compagni, coloni, eservi. Degli affidati, e de vassalli della mezza età. Paragone tra'compagnoni de'Gerinani,socj de Greci, eicavalierierranti degliultimi barbari tempi. Del quarto stato della vita selvaggia . L'impero domestico si continuò nelle prime barbare  Dell'anıropofagia, o sia delpasto delle carni umane . Ricapitolazione de diversistatidellavitaselvaggia.moli, e delle varie ior classi.  Della religione de' selvaggi . Della domestica religione di ciascuna famiglia .' Dell'origine dell'anzidenta religion domestica.  e ' . società . De costumi de'selvaggi. Del primo passo delle selvagge famiglie nel corso civile, ossia dell'origine de'vichi,ede'paghi. Dello stabilimento delle città, e del primo periodo delle Del secondo periodo delle barbare nazioni Dell'origine de tempj, e de'pubblici, e sacri con. viti. Chene tempjdegli Deisitenneroiprimi pubblicimi Dello stato della religione delle prime società . Dell influenza della religione in tutti gli affari de' baru Della sovranità della concione, o di coloro, che la componevano.  Del governo de primi Greci, litari consigli. Della Teocrazia. bari barbariche società. 1ell'idee degli antichi intorno alla monarchia; DELLA FORMA DELLA ROMANA REPUBBLICA nel secondo periodo della barbarie, Del governo feudale di tutte le barbare nazioni. Di costuini, del genio di questa età, e della trasmi Continuazione de’ costumi di questa età della società; Dell'arti, e cognizioni di questa età; del dritto della proprietd;  Della sorgente de dritti in generale, e di quello della proprieta; Del progresso della proprietd, e dell'ori De’ costumi, del genio di questa età, e del  Delle arri, e cognizioni di questa; Del progresso delle barbare società, ossia del terzo; DELLA FORMA DELLA ROMANA REPUBBLICA nel secondo -- Parlando LIVIO (si veda) dell'elezione, che dove a farsi del re per LA MORTE DI ROMOLO (si veda), adopra sì, fatta espressione. Summa potestate populo perinissa. E soggiunge. Decreverunt enim (Senatores), ut cum populus jussisset, id sic ratum esset si patres auctores fierent. Quindi tu convocata la concione, e VENNE ELETTO NUMA (si veda). E l'istesso autore dell' elezione di Tullo Ostilio dice: regem populus jussit, patres auctores facti. I senatori fiebant auctures. Perchè tutte le cose prima eran proposte nel SENATO, indi alla concione recate. Auctor è l'inventore, il proponitore, il principio, ed origine della cosa .periodo della barbarie. Questi furono i QUIRITI, cioè gl’armati di asta : avvegnachè, come gl’altri popoli barbari uella concione, ne’ comizi on differente affatto dal regno eroico è il governo de’ primi ROMANI. ll re ad un SENATO prese deva, e con senatori prende le deliberazioni, le quali nella grand'assemblea del popolo ricevevano la sanzione di legge. Il POTERE de' primi re di Roma è  LIMITATO così -- come quello di tutti i riegnanti de' tempi eroici. La sovrana dello stato era la concione, che compone sida que' capi delle tribù e delle curie, i quali sono detti decuriones e tribuni, che, uniti, votano per le di loro curie, e tribù, come ne'parlamenti nostri I baroni rappresentano le di loro terre, e città. E serva, E tal antico costume VIRGILIO (si veda) dipinge negl’eroici compagni d'ENEA (si veda). DVCTORES TEVCRIM PRIMI ET DELECTA IVVENTVS CONSILIVM SVMMIS REGNI DE REBVS HABEBANT SCANT LONGIS ADNIXI HASTIS ET SCULA TENENTES -- e poi per varj gradi, e dopo molto correr di tempo alla libertà pervenne, e tardi assai acquista il diritto alla magistratura. Prima ottenne di es Da più luoghi di Omero si ravvisa il costume medesimo de’ greci. Ed è questo un generale costume di tutte le barbare genti adoprato nelle generali assemblee. Perché i barbari, temendo ognora le sorprese de’ nemici, stanno sempre in su l'armi, nè confidano la di loro sicurezza personale, anche tra’ cittadini, alla legge, ma al di loro braccio soltanto, TACITO de' Germani: ut turbae placuit, considunt armati. Tum ad negotia, nec minus suepe ad convivia procedunt armari – LIVIO 1. De’ Galli dice, In his nova, terribilisque species visa est, quod armati -- ila mos gentis --  in concilium venerunt, OVIDIO (si veda) ci attesta l'istesso de' Sarmati, degl’Umbrici STOBEO (si veda) radunavansi que' capi coll'ASTA alla mano, la quale portano per SIMBOLO del loro impero, non che per la propria difesa. La plebe è tanto serva in ROMA quanto presso i germani, i galli, i greci. La plebe non ha parte nella concione. Questo argomento è dal nostro gran VICO (si veda) ampiamente trattato. VICO sviluppa l'intero sistema del governo romano, e dispiegando il corso della storia di quel popolo dimostra che per gran tempo in Roma la plebe è dell'intutto ser affrancata, poi consegui il bonitario dominio, cioè l'utile, e dipendente dal diretto, che i nobili possedeno. Quindi fa acquisto del perfetto e compiuto dominio, detto QUIRITARIO, perchè è pria de' soli quiriti, ossia de’ PATRIZJ e NOBILI ROMANI; e finalmente ha voto nell'assemblea, e partecipe divenne della REPUBBLICA, CHE DA RIGIDA ARISTOCRAZIA IN POPOLARE ALLA FIN SI CANGIA. Come nel prin [Populus de’ Latini valse da principio, quanto “laos” de' Greci, che significa una tribù, una popolazione. Quindecim liberi homines populus est. Apuleius in Apol. E GIULIO CESARE dice nel de bello Gall. si quisant privatus, aut populus eorum decreto non stetit. Ove dinota “populus”, popolazione, tribù. Ma se “populus” da principio dinota una speciale popolazione, e tribù, nel progresso si prende tal voce per la radunanza di tutte le tribù, che componeno la città. Ma venneno rappresentate queste tribù da’ capi detti tribuni, nome che resta per dinotare militari magistrati, come tribuni milia Eum. Ma prima significa anche i civili, cio è i giudici, onde “tribunal” si dice il luogo ove amministravasi giustizia. I Latini filosofi, che vennero in tempo, che ogni orma dell' antico stato e si perdut, ed e si colle cose cambiato il vampulus trasse il nome da “populus” pioppo . Perocchè questa popolazione radunasi sotto di un pioppo quando di comune interesse trattasi, secondochè in alcune terre del regno ancor oggi si usa, quando parlamentasi. E tal costume di radunare sotto degl’alberi il popolo è ben antico, e secondo la semplicità delle prime genti. Ateneo scrive che sotto di un platano i primi re della Persia davan udienza a' litiganti, e decidevano le liti. E per avventura pocinio la plebe puo avere il diritto di suffragio ne’ comizj, non avendo proprietà nè reale, nè personale. Tale è il corso che fa la romana repubblica, come quel valentuomo dimostra, non dissimile da quelle dell'altre barbare nazioni. Egli è però vero che un'intempestiva tirannide turbo per poco il corso regolare di quella città. I re presero in Roma sin dall'albore de’ suoi giorni vantaggio “grandissimo su gl’altri prenci, e capi. Il popolo romano e più tosto un esercito, e la città un campo, e un militare alloggiamento, quella feroce, e marziale gente e sempre in guerra, e, come il lupo, verace emblema del suo genio nativo nutrivasi di sangue e distruzione. Or se come ben anche Aristotile osserva parlando degl’eroici regni, era nella guerra maggiore il poter del re presso tutte le barbare nazioni, meraviglianonè, se il capitan dell'armi, il duce della guerra, il usurpato una straordinaria potenza in Roma. Il potere esecutivo sempre ne’ empi di guerra, come il mare nelle tempeste diffondesi sulla terra, guada gpa sul poter legislativo. Ma i re di Roma sforniti di straniera milizia in vanu tentarono ritenere colla  re lor delle parole, ricevendo la tradizione, che il popolo ne' cominciamenti di quella repubblica nell'assemblea radunato dispone della pubbliche cose, s'ingannarono credendo che la plebe ben anche quivi votasse. Nella Scienza Nuova avesse forza quel potere, che avean acquistato coll’autorità. Vennero discacciati da quella repubblica, ed ella ben tosto ri-entra nel suo ordinario cammino. De’ giudizj nel secondo periodo della barbarie di Roma. Le due ispezioni della publica asemblea sono in Roma in questa epoca della barbarie la guerra esterna e la persecuzione de’ ribelli cittadini. Ma le cose private, la personal difesa, la particolar vendetta venne per anche ai privati affidata. L'impero domestico conserva il suo vigore. I feroci padri di famiglia non cedeno ancora la di loro sovrana e regia autorità, se non per quella parte che rimira la pubblica difesa, onde venne composto l'unico sociale legame. Ma rimane intatta, ed illesa la di loro sovranità riguardo alle loro famiglie, e alla privata difesa ed offesa. Viveno ancora nello stato di privata guerra. Il ferro decide delle loro contese, e col privato braccio prenden rendetta delle private offese. Il popolo dunque, che radunasi in Roma in quest'età nell'assemblea,  è quella popolazione, o truppa de’ servi, clienti, e compagni guidata dal suo capo, e il voto suo è quello del suo signore che dove sostenere, e difendere, ubbidire, e seguir nella guerra, da cui non forma persona diversa secondo le cose già dimostrate. Niun'altra nazione ci conserva monumenti più chiari dello stato della privata e civile guerra del popolo romano. Il processo romano è la storia del duello, per mezzo di cui terminano que' barbari abitatori dell'Aventino le loro contese, tutti gl’atti, e le formole di tal processo altro non che i legittimi atti di pace sostituiti a que' primi violenti modi. Quando la concione, ossia il governo, comincia a mischiarsi nelle private contese, a poco a poco il duello abole, e cangia il modo d i contrastare, rilasciando in tutto l'apparenza medesima, le formole, e gl’atti stessi: la guerra armata in LEGALE COMBATTIMENTO è tramutata. Secondo che altrovesi è deito, i riti, e le formole sono la storia dell'antichissima età delle nazioni. Ciocchè l'acutissimo VICO (si veda) al proposito di alcune formole dell'antico processo romano osserva.  Sono. Ma il processo civile ci conserva le formole dell'antica barbarie, e non già il criminale. Il civile nasce ne'tempi alla barbarie più vicini. Più tardi  ha l'origine il giudizio criminale. I barbari soggettano prima i loro averi all'arbitrio altrui che le proprie persone. L'ultima cui si rinunzia da costoro è la vendetta personale. Meno si sacrifica della naturale indipendenza, rimettendo nelle mani di un terzo i diritti della proprietà che quelli della persona. Quindi i pubblici giudizii essendo sorti nel tempo della coltura, non serban gran vestigii dello stato primiero. Francesco Mario Pagano. Mario Pagano. Pagano. Keywords: eroe, massone, Italia si fara, Roma, Aventino, Vico, Livio, Romolo, Numa, Giulio Cesare, patrizj, nobili Romani, forma aristocrazia della prima repubblica, tribu, curia, tribuni, diacuriani. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pagano” – The Swimming-Pool Library.  

 

Luigi Speranza -- Grice e Paggi: la ragione conversazionale e l’implicature conversazionali degl’ebrei -- filosofia ebrea – “Ebrei d’Italia” – la scuola di Siena -- filosofia toscana -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Siena). Filosofo italian. Siena, Toscana. Grice: “C. of E. folks are all over the place – but how many of them actually KNOW Hebrew!?”” -- essential Italian philosopher. Filosofo. Insegna a Lasinio, Tortoli e a Ricci. Svolge per diversi anni l'attività di mercante nella sua città natale. Abbandona il commercio ed aprì un istituto. Insegnante ed educatore nello stesso istituto, sviluppando un metodo logico, facile ed ameno insieme. La Comunione israelita lo volle a Firenze, dove Paggi si trasfere con la moglie e i cinque figli. Insegna nelle Pie Scuole fiorentine, mentre i figli Alessandro e Felice avviarono una casa editrice. Tra i testi pubblicati vi furono anche le opere del padre, apparse nella collana «Biblioteca Scolastica». Scrive inoltre una grammatica e un lessico ebraici per i suoi figli. Per opera della moglie sorse a Firenze un istituto. “Ebrei d'Italia” (Livorno, Tirrena); “Una libreria fiorentina del Risorgimento” (Firenze, Ciulli). Mordecai Paggi. Paggi. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Paggi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Pagliaro: all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicature conversazionali dei siculi – la scuola di Mistretta -- filosofia siciliana – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Mistretta). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Mistretta, Messina, Sicilia. Essential Italian philosopher. Linceo. Fu uno dei fondatori della scuola di romana. Fra i padri della semiologia, ha introdotto gli studi sul pensiero linguistico. Dopo il diploma al Regio Ginnasio di Mistretta, si iscrisse al corso di laurea a Palermo, dove ebbe, tra gli altri, come docenti Nazari, Pitrè, Gentile e Guastella. Si trasfere poi a Firenze dove subì l'influenza di Vitelli, Antoni e Pistelli. Partecipa volontario come sottotenente del Corpo degli arditi, e fu insignito della medaglia d'argento al valor militare. Si iscrisse all'Associazione Nazionalista Italiana e  prese parte all'Impresa di Fiume al seguito di Annunzio. Si laureò discutendo con Parodi e  Pasquali la tesi Il digamma in Omero. Trascorse un periodo di studio in Germania, seguendo corsi di linguistica latina di Meister. Seguì i corsi di Kretschmer a Vienna. Ritornato in Italia, conseguì la libera docenza in indoeuropeistica, quindi fu chiamato da Ceci ad insegnare, per incarico, storia comparata delle lingue romanzi a Roma. Vinto un concorso a cattedre, divenne ordinario di glottologia, nuova disciplina che ereditava il corso di Storia comparata delle lingue romanzi. Insegnò anche "Storia e dottrina del fascismo"  e "Mistica fascista.” Aderì al Partito nazionale fascista e ne fu uno degli intellettuali di spicco, presiedendo anche alcune edizioni dei Littoriali della cultura, che ogni anno raccoglievano i migliori universitari italiani. Fu primo capo redattore dell'Enciclopedia Italiana, dove curò numerose voci, fin quando non entrò in contrasto con il conterraneo Gentile, che dirigeva l'opera. Non figura tra gli accademici d'Italia, ma fu eletto al Consiglio superiore dell'educazione, dove rimase fino allo scioglimento.  Fu voluto da Mussolini alla guida del “Dizionario di politica” dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, una ponderosa opera che raccolse le migliori intelligenze del fascismo, ma anche qualche intellettuale "eretico". Il suo nome compare tra i 360 docenti universitari che aderirono al Manifesto della razza, premessa alle successive leggi razziali fasciste, anche Mauro scrive che egli dissentì dalla politica razziale del fascismo. Con la caduta del Regime fascista, è sospeso ndall'insegnamento. Reintegrato nella cattedra, insegna Filosofia del linguaggio a Roma. Presidente della sezione "Archeologia, Filologia, Glottologia" della Società Italiana per il Progresso delle Scienze. Presidente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e prima socio corrispondente poi, socio nazionale dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Fu anche direttore editoriale, per la Fabbri, della Enciclopedia di Scienze e Arti. Fu rieletto, con larghissimi consensi, al Consiglio superiore della Pubblica Istruzione. Nel comitato scientifico dell'Istituto nazionale di studi politici ed economici. Promotore e direttore della rivista Ricerche linguistiche e presiedette la sezione filologica del Centro di studi filologici e linguistici siciliani. Candidato alla Camera per il Partito Monarchico Popolare nella circoscrizione Sicilia orientale  e al Senato nel collegio Roma ma non e eletto. La Rai trasse un sorprendente sceneggiato per la televisione da un suo testo che dava una nuova interpretazione della vicenda di Alessandro Magno. Membro della giuria del premio Marzotto. Lascia anticipatamente l'insegnamento universitario. Palermo e la città di Mistretta hanno istituito, in sua memoria, il “P.”.  Esplora soprattutto l'antico e medio persiano, la lingua della Grecia classica, quindi il LATINO classico e medievale, nonché l'italiano dei tempi di ALIGHIERI cui ha dedicato varie opere e della scuola siciliana. Come critico letterario e glottologo, diede nuove, originali interpretazioni di VICO, ANNUNZIO e PIRANDELLO.  In ambito linguistico, già nel suo Sommario di linguistica ario-europea, che comprendeva oltre le lezioni dei suoi corsi universitari anche innovative linee di ricerca e nuove idee, delinea una nuova prospettiva di approccio e di indagine delle varie questioni linguistiche la quale viene condotta parallelamente ad un confronto storico-critico con l'evoluzione del pensiero filosofico dalla grecità alla filosofia classica tedesca. Al contempo, P. abbozza in esso prime idee sulla NATURA DEL LINGUAGGIO INTESO fondamentalmente come TECNICA ESPRESSIVA, allontanandosi così dall'idealismo crociano per avvicinarsi piuttosto al positivismo, ed analizzando in modo approfondito, ma al contempo trasversalmente alle varie discipline, la natura e la struttura dell'atto linguistico fra due inter-locutori basandosi sia sull'indagine semantica -- mediante un metodo che egli chiama "critica semantica" -- che sull'interpretazione storico-critica, fino a considerare il linguaggio come una forma di inter-azione semiotica condizionata storicamente da una tecnica funzionale, la lingua. Nel simbolismo linguistico -- soprattutto fonetico -- poi, afferma P. ne” Il segno vivente” riecheggiano non solo l'individualità ed il vissuto dell'inte-rlocutore ma anche la storia dell'intera umanità a cui egli appartiene come soggetto storico.  In estrema sintesi, si può dire che la sua teoria linguistica è una posizione unificata tra lo strutturalismo saussuriano e l'idealismo hegeliano. Altri saggi: “Epica e romanzo, Sansoni, Firenze; Sommario di linguistica ARIA, Bardi, Roma; “Il fascismo: commento alla dottrina” Bardi, Roma; “La lingua dei Siculi, Ariani, Firenze, Il comune dei fasci, Monnier, Firenze, La scuola fascista” (Mondadori, Milano); “Dizionario di Politica,” Istituto dell'Enciclopedia Italiana G. Treccani, Roma); “Insegne e miti della nazione italiana, la nazione romana: teoria dei valori politici – la romanita e la razza romana, Ciuni, Palermo; Il fascismo nel solco della storia” (Libro, Roma; Le Iscrizioni Pahlaviche della Sinagoga di Dura-Europo” (R. Accademia d'Italia, Roma; Storia e Dottrina del fascismo” (Pioda, Roma); “Teoria dei valori politici” (Ciuni, Palermo; Logica e grammatica” (Bardi, Roma); “Il canto V dell'"Inferno" d’Alighieri” (Signorelli, Milano); “Il segno vivente” (ERI, Torino); “La critica semantica” (Anna, Firenze); “Il contrasto di Cielo d'Alcamo e poesia popolare” (Mori, Palermo); “Linguistica della "parola"”(Anna, Firenze);  “I primordi della lirica popolare in Sicilia” (Sansoni, Firenze); “La Barunissa di Carini: stile e struttura” (Sansoni, Firenze); “FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO (Ateneo, Roma); “La parola e l'immagine” (Scientifiche, Napoli); “Poesia giullaresca e poesia popolare” (Laterza, Bari); “La dottrina linguistica di VICO” (Lincei, Roma); “Il Canto XIX dell'Inferno” (Monnier, Firenze); “Linee di storia linguistica dell'Europa” (Ateneo, Roma); “L'unità ario-europea: corso di Glottologia,” Ateneo, Roma, Ulisse. Ricerche semantiche sulla Divina Commedia,  Anna, Firenze, “Forma e Tradizione,” Flaccovio, Palermo, “La forma linguistica,” Rizzoli, Milano, Vocabolario etimologico siciliano, Pubblicazioni del Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Palermo, Storia della linguistica, Novecento, Palermo. Commento all'Inferno di Dante. Canti I-XXVI, Herder, Roma); Romanzi Ceneri sull'olimpo, Sansoni, Firenze, Alessandro Magno, ERI, Torino, Ironia e verità, Rizzoli, Milano (raccolta di elzeviri). Sottotenente di complemento, 32º reggimento di fanteria Aiutante maggiore in 2a in un battaglione di riserva, vista ripiegare una nostra colonna d'attacco, riordinava i ripiegandi e li guidava al contrattacco, respingeva il nemico che già aveva occupato un tratto della nostra linea. In un successivo attacco, sotto un intenso bombardamento e il fuoco di mitragliatrici avversarie, dava mirabile esempio di coraggio e di fermezza indirizzando intelligentemente i rinforzi nei punti più minacciati e facilitando così la conquista di ben munite e contrastate posizioni. Monte Asolone. Cfr. M. Palo, S. Gensini, Saussure e la scuola linguistica romana: da Pagliaro a Mauro, Carocci, Roma,.  La scuola linguistica romana. Cfr. A. Pedio, La cultura del totalitarismo imperfetto, Unicopli, Milano, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia. Cfr. Gabriele Turi, Sorvegliare e premiare. L'Accademia d’Italia, Viella, Roma,  Cfr. Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Cfr. A. Pedio, La cultura del totalitarismo imperfetto, Unicopli, Milano, Cit.  Cfr. Riunioni, Cfr. Riunioni Accademia Nazionale dei Lincei  Centro di studi filologici e linguistici siciliani » La storia, su csfls. Cfr. Mininterno Camera  Mininterno Senato //opar.unior//1/Filologia_dantesca_di_P. .pdf  Cfr. D. Cesare, "Premessa", Lumina. Rivista di Linguistica Storica e di Letteratura Comparata,  Cfr. pure E. Salvaneschi, "Su Attila Fáj, maestro di «molti paragoni»", Campi immaginabili. Rivista semestrale di cultura, Cfr. Tullio De Mauro, Prima lezione sul linguaggio, Editori Laterza, Roma-Bari, Tullio De Mauro, La fede del diavolo  Istituto Nastro Azzurro   Studia classica et orientalia. Oblate, Casa Editrice Herder, Roma, Münster, M. Palo, Stefano Gensini, Saussure e la scuola linguistica romana. Da Pagliaro a  Mauro, Carocci Editore, Roma, Vallone, "La „Lectura Dantis” di Antonino Pagliaro", in Deutsches Dante-Jahrbuch, Edited by Christine Ott, Walter Belardi: studi latini e romanzi in memoria di Antonino Pagliaro, Pubblicazioni del Dipartimento di Studi glottoantropoligici dell'Roma La Sapienza, Roma, Aldo Vallone, Enciclopedia Dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana G. Treccani, Roma, M. Durante, T. De Mauro, B. Marzullo, Pubblicazioni dell'Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Palermo, Palermo, Bonfante, Antonino Pagliaro, Pubblicazioni dell'Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, Belardi, Pagliaro nel pensiero critico del Novecento, Calamo, Roma,  D.  Di Cesare, Storia della filosofia del linguaggio, Carocci, Roma, Mauro, Formigari (Eds.), Italian Studies in Linguistic Historiography. Proceedings of the International Conference in Honour of Pagliaro. Rome, Nodus Publikationen, Münster, Pedio, La cultura del totalitarismo imperfetto. Il Dizionario di politica del Partito nazionale fascista, prefazione di Lyttelton, Unicopli, Milano, Tarquini, Gentile dei fascisti: gentiliani e anti-gentiliani nel regime fascista, Mulino, Bologna, Battistini, Gli studi vichiani di  P., Guida, Napoli, Mauro,  Dizionario biografico degli italiani, Roma, Enciclopedia Italiana Dizionario di Politica Linguistica Semiologia Filologia Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere d La Scuola linguistica romana, su rmcisadu.let.uniroma.  GRICE E PAGLIARO: IMPLICATVRA ARIA  LINGUA E RAZZA  Schlòzer da per primo il nome di  «semitico » al vasto dominio linguistico che ha il suo centro originario fra la Mesopotamia e il Mediterraneo, le montagne dell’Armenia e le coste meridionali dell'Arabia, e che per successive migrazioni  e conquiste si è allargato su una notevole parte del continente africano. Tale denominazione si richiama alla tavola dei popoli tramandata nella “Genesi”  nella quale si distinguono i popoli  discendenti da Sem, primogenito di Noè, dai popoli discendenti dagl’altri due fratelli, Cam ed Iafet. La parentela linguistica fra l'arabo e  l'ebraico, le due lingue più vitali del gruppo, e già stata notata  dai grammatici ebrei ma la precisa nozione di unità semitica, concordante con quella che se ne ha nel  mondo ebraico all’epoca in cui e redatta la Genesi è ben più recente e, nella sua formulazione scientifica, è un riflesso della precisa nozione di unità ario-europea costituitasi nel nostro tempo. Oggi il gruppo semitico si  suole distinguere in semitico orientale che comprende il babilonese  e l’assiro, e in semitico occidentale. Quest'ultimo si distingue a sua  volta in semitico nord-occidentale -- che comprende il gruppo aramaico,  di cui la più importante manifestazione è il siriaco, e il gruppo cananco, a cui appartiene l'ebraico --, e in semitico sud-occidentale, di  cui fanno parte l'arabo settentrionale e meridionale e l’etiopico.  Ad indicare la vasta unità linguistica comprendente quasi tutta  l'Europa e buona parte del continente asiatico, scientificamente accertata per primo da Bopp in uno studio comparativo sulla coniugazione, appare per la prima volta nell'Asia polyglotta di Klaproth il termine ‘indo-germanico.’ Tale termine, divenuto usuale, intende riunire i  due punti estremi del dominio linguistico considerato e si è affermato in tedesco, nonostante che le più vaste conoscenze posteriori  pongano come estrema zona ad Occidente quella del celtico e ad  Oriente il tocario. Fra tutte le denominazioni altrove usate, e cioè  “indo-europeo”, “ario-europeo”, ed “ario”, questa ultima è forse la più propria,  poichè, se non nome unitario di popolo, è certo una denominazione  che parecchi popoli del gruppo usano darsi nei confronti degl’altri  popoli. Purtroppo, in linguistica l'uso di «ario» in senso così vasto  può ingenerare confusione, essendo esso abitualmente riservato al  gruppo indoiranico. Noi tuttavia l’accogliamo come il meno improprio e anche per avere una terminologia uniforme con altre discipline,  come la paletnologia e l'antropologia che l’usano già stabilmente  nell'accezione più vasta. L'unità linguistica aria comprende oggi i  seguenti gruppi storicamente accertati: in Asia l’indiano, l’iranico, il  tocarico, l’hittito, l’armeno, il traco-frigio; in Europa l'illirico, il  greco, lo slavo, l’italico, il baltico, il germanico e il celtico. In Asia  delle lingue arie sopravvivono soltanto l’indiano, l’iranico e l’armeno;  in Europa tutte le lingue oggi parlate sono di derivazione aria, fatta  eccezione dell’ungherese, del finnico, dell’estone e del basco.  Nessuna scienza storica opera con metodo così sicuro come la  linguistica, la quale dispone di un materiale di osservazione vastis-  simo, sia attuale sia documentato nel tempo. L'unità linguistica aria  e quella semitica sono verità acquisite, assolutamente incontrovertibili, anche se le lingue che ad esse partecipano siano ormai profondamente differenziate. Compito della linguistica storica è per l’appunto, una volta riconosciuta l’unità genetica originaria, di seguire  nel quadro di essa le modalità e, vorremmo dire, le leggi degli sviluppi e delle differenziazioni, che hanno determinato la fisionomia  delle singole lingue come noi oggi le conosciamo; compito a volte  arduo, specie quando dalla ricognizione dei fatti si voglia risalire alle  loro cause, cioè ai momenti umani che danno origine all'innovazione;  ma tuttavia ricco di risultati grandissimi, i quali dal campo della  glottologia si estendono a tutte le altre discipline, che studiano l’umanità nelle manifestazioni concrete della sua storia. La lingua italiana  è una delle forme più importanti, anzi la più importante, in cui l'umanità realizza se stessa come realtà spirituale, e perciò le lingue  costituiscono gli archivi, in cui si traducono con incomparabile ricchezza e fedeltà gli eventi, le esperienze, le creazioni dei popoli at-  traverso i secoli ed i millenni. Le nozioni di razza aria e di razza semitica, come nozioni scientifiche, sono certamente posteriori alle nozioni dell'unità linguistica  rispettiva. Per quanto si riferisce agli Ari, prima della scoperta della loro  unità linguistica non si ebbe nemmeno la nozione empirica di una  parentela etnica fra i popoli che la compongono. L'affinità etnica è  grossolanamente intuita presso i Greci, soltanto in base alla comunione linguistica per cui «barbari», probabilmente « balbuzienti »,  sono coloro che parlano un’altra lingua. I ROMANI, che pure ebbero  così vivo il senso della loro stirpe, non ebbero mai la percezione che  quei Galli, Germani e Parti, contro i quali strenuamente combatterono, discendevano dallo stesso loro ceppo. L'autorità della tradizione  biblica con la babelica confusione delle lingue tolse poi del tutto  la possibilità di pensare ad un legame linguistico fra popoli diversi  e ad un legame etnico che non fosse quello indicato nella Genesi. Tanta fu l'autorità delle Sacre Scritture, anche nel campo degli interessi linguistici, che, se tentativi si ebbero per ricercare la derivazione  di questa o quella lingua, furono sempre diretti a stabilire la priorità  e la paternità dell’ebraico, come avvenne nel corso del Seicento e del  Settecento; tentativi di nessun valore, al pari degli altri diretti alla  creazione di una GRAMMATICA RAZIONALE, che vale per le lingue  di tutti i tempi e di tutti i luoghi.  Anche presso i popoli semitici, se se ne toglie il peso che la tradizione religiosa contenuta nella Bibbia potè avere nel mondo giudaico,  mancò il senso di una propria reciproca parentela, mentre fu quanto  mai vigoroso proprio presso gl’ebrei il senso della propria individuazione come popolo, legato alla coscienza di popolo eletto.  La scoperta e la fissazione in termini scientifici di unità linguistiche originarie come quella aria e quella semitica, a cui seguirono  scoperte abbastanza numerose di altri gruppi linguistici, aprirono la  via al problema se a tali unità linguistiche rispondessero unità etniche  più o meno nettamente definite. In un primo tempo, com'è noto, ad  opera di Gobineau, di Chamberlain e di altri, si assunse senza  discussione l'identità fra unità linguistica ed unità etnica, fra lingua e  razza, e si procedette alla ricerca delle caratteristiche differenziali fisiche e psicologiche, che potessero ancor meglio individuare sul piano razziale i diversi gruppi linguistici. Tale procedimento, ispirato in  genere a criterio polemico, è stato condannato come dilettantesco  e prescientifico tanto dai linguisti, quanto dagli antropologi, asse-  rendo gli uni e gli altri che la lingua è patrimonio facilmente trasmissibile da individuo ad individuo, da gruppo a gruppo e non può  essere quindi assunta a caratteristica etnica preminente ed esclusiva. A rinsaldare questa convinzione, contribuirono tentativi, come quello  fatto da Müller, di far coincidere una classificazione delle  lingue con una classificazione antropologica, destinati all’insuccesso,  anzitutto per l'incertezza delle classificazioni antropologiche, poi per  l'intervento del fattore storico che fa talvolta assumere da individui  e da gruppi lingue di popoli etnicamente diversi. A questo riguardo,  si suole richiamare il classico esempio dei Bulgari, che dal punto di  vista etnico sono genti turaniche e dal punto di vista linguistico sono  slavi, cioè ARI. D'altra parte, questo negare l’esistenza di ogni rapporto fra razza  e lingua con l’attribuire valore discriminante nella classificazione delle  razze ai soli caratteri strettamente biologici, non soltanto è contrario  alle nostre reali esperienze, ma verrebbe a togliere ogni valore a  quelle distinzioni ormai acquisite come fra razza aria e razza semi-  tica, le quali, come si è visto sopra, hanno come precedente storico e  come fondamento il riconoscimento della rispettiva individualità linguistica.   Dato ciò, sembra qui opportuno chiarire in quale misura sia  possibile fare valere il criterio linguistico nella discriminazione  delle razze. Esiste certamente una differenza sostanziale e profonda fra la  linguistica e l'antropologia, sia nell'oggetto sia nel metodo, che ne  rende difficile e poco proficua la collaborazione. La linguistica è disciplina ESSENZIALMENTE STORICA, tanto che le sue classificazioni hanno  vero valore solo se abbiano fondamento genetico. Ciò si vede soprattutto nel campo della linguistica aria, che fra tutte le discipline linguistiche è certamente la più progredita. Qui dalla comparazione  fra le lingue storiche si riesce a postulare con sufficiente sicurezza la  struttura originaria della lingua comune da cui esse discendono; si  riesce a fissarne i caratteri propriamente genetici, liberandoli dalle  modificazioni successive determinate da molteplici cause, fra cui  principalissimi j contatti e le mistioni con popoli di altra lingua. Così  noi sappiamo con relativa sicurezza qual’erano la struttura fonetica e  morfologica e il patrimonio lessicale dell’ARIO dell’epoca comune, all’incirca come potremmo ricostruire dalle lingue romanze LA LINGUA LATINA, se non l’avessimo documentata. È una ricostruzione che ha  quasi una realtà matematica, fondata com'è su norme di sviluppo  fonetico che, se non sono leggi ineccepibili, come si credeva alcuni  decenni or sono, hanno tuttavia una vastità e regolarità di applicazione che non ha riscontri in altri campi delle creazioni umane.   L'antropologia, invece, per insufficienza e discontinuità del ma-  teriale d'osservazione, è costretta a gravitare sul presente cercando di  classificare le razze umane in base ai caratteri morfologici attuali, e  solo eccezionalmente qualche importante trovamento apre ad essa la  possibilità di rintracciare precedenti sporadici, generalmente assai distanti, di questo o quel tipo umano. Il materiale antico rinvenuto  è così scarso e frammentario che le conclusioni che se ne possono  trarre sono molto tenui e malsicure. Così avviene che, mentre dell’unità aria dal punto di vista linguistico noi abbiamo una sicura nozione, poichè la comparazione ci consente di risalire oltre i confini  della storia, della struttura somatica degl’ARI nulla di sicuro sappiamo, poichè nell’osservazione delle caratteristiche somatiche degl’ARI attuali l'antropologia non è ancora in grado di distinguere i  caratteri geneticamente originari da quelli acquisiti in seguito a mescolanza. Oggi non si è davvero:in grado di dire se gl’ARI fossero,  ad esempio, dolicocefali e biondi o mesocefali e castani, a capelli lisci o a capelli ondulati. La ragione di ciò è dovuta al fatto che non esiste  un’antropologia genetica, la quale consenta di chiarire, dato un tipo  capostipite, quali siano i caratteri, permanenti nel corso delle ge-  nerazioni e quali quelli che si mutano o si acquisiscono. Teoricamente, nel confronto fra i vari tipi di probabile discendenza aria  dovrebbero potere risultare i caratteri specifici da attribuire ad un  Ario astratto della preistoria; praticamente ciò non è possibile per la  insufficiente conoscenza che si ba, delle modalità con cui si traman-  dano i caratteri biologici, sia ifisici, sia psichici. Avviene così, ad esempio, ghe: l'Europa, mentre è fondamentalmente unitaria dal punto di vista linguistico, da quello antropologico  annovera numerose razze, la mediterranea, l’alpina, la dinarica, la  nordica, nè le differenze, che caratterizzano tali razze, combaciano  con le differenze che caratterizzano i vari gruppi linguistici determinatisi in seno all’originaria unità. Nonostante questa mancata concordanza di dati fra la linguistica  e l'antropologia, le due discipline maggiormente impegnate nella  definizione delle razze umane, è certo che razze esistono con carat-  teri ben precisi e differenziati e che, nella pratica, anche al più mo-  desto osservatore non sfugge l’esistenza di tipi umani diversi, i quali  assommano i caratteri di unità razziali diverse. Nell'ambito stesso  dell'unità aria, a nessuno sfuggirà l’esistenza di una unità aria medi  terranea e di un'unità aria nordica, c, a un più attento esame, nel-  l'ambito di queste unità, sarà possibile rintracciare altri tipi umani i  quali danno fisionomia ai diversi popoli che le compongono. Fuori  di ogni dubbio è poi, nell’ambito della razza bianca, la distinzione fra  razza aria e razza semitica, anche se, per la prima più che per la  seconda, non si riesca a individuare i caratteri biologici originari. Questo fatto è prova che non il solo dato antropologico ha valore nella determinazione della nozione di razza. Poichè, come sopra si è detto, la nozione di razza aria e razza  semitica ha avuto come suo precedente la nozione di unità lingui-  stica aria ed unità linguistica semitica, è indubbio che il fattore lingua  deve avere un valore determinante nella costituzione dell’unità razziale. Qual'è dunque il fondamento dell’obiezione in contrario, alla  quale si è sopra accennato, che la lingua, essendo facilmente dominata da fattori storici e culturali, non sia elemento stabile nella continuità delle generazioni, per il fatto che può essere sostituita con  quella di altri popoli, e perciò sia inadeguata a fornire criterio nella  discriminazione delle razze? Bisogna, anzitutto, tenere presente che dalla nozione di razza  come dalla nozione di lingua esula ogni idea di purezza in senso assoluto, specie quando si tratti di popoli di cultura che hanno dietro  a sè una storia lunga e complessa. Gli stessi Ebrei possono considerarsi razza pura, e relativamente pura, solo dal momento in cui hanno  cominciato a volerlo essere deliberatamente, a tradurre il loro istinto  dell'isolamento come popolo in norma di carattere religioso. Tutti  i popoli ari dell'Europa e dell'Asia sono, senza eccezione, risultati  dalla mistione fra la minoranza dei conquistatori ari e la vasta massa  delle popolazioni preesistenti nelle zone occupate. Non è certo presumibile che gli Ari al loro arrivo nelle loro sedi storiche abbiano  distrutto le popolazioni preesistenti, le quali, ad esempio in Grecia,  in ITALIA e sull’altipiano iranico, erano in possesso di civiltà notevolmente progredite. D'altra parte, di tali mescolanze ci danno sicura  testimonianza, oltre che i dati dell'archeologia preistorica, lo inte-  grarsi della lingua aria comune in nuove unità, che sono quelle a  noi storicamente note. 1 profondi rivolgimenti che alcune lingue  hanno subìto anche nella struttura fonetica, ad esempio le rotazioni  delle consonanti in germanico, non si possono altrimenti spiegare se  non riferendole all'influenza di un sostrato alloglotto. E' noto che una  parte non trascurabile del lessico del latino e dei volgari romanzi  non si spiega nell’ambito dell’ario e deve essere riportato al fondo  linguistico non ario su cui il latino venne a distendersi.   Orbene, che un popolo, come è il caso di quello bulgaro, abbia  assunto una lingua diversa non è altro se non un fatto di sincretismo  in cui prevale la civiltà di maggiore prestigio. Quello che importa te-  nere fermo è per l'appunto che il sincretismo, cioè la creazione di  un risultato nuovo non inferiore agli elementi che vi hanno concorso,  si ha solo quando la mescolanza sia guidata da un senso più o meno  vivo di affinità elettiva. Ciò si può osservare con sufficiente sicurezza sia nel senso positivo sia in quello negativo. Nella penisola greca la civiltà minoica si  è confusa con quella degl’ARI sopravvenuti ed ha dato origine alla  meravigliosa civiltà ellenica. In ITALIA il senso di conquista degl’ARI NOMADI E GUERRIERI si è trasfuso nell'ordine civile delle popolazioni  stanziali ed ha dato origine alla mirabile e grandiosa civiltà romana  che è poi la civiltà dell'Occidente. Evidentemente, fra le genti arie  sopravvenute e le popolazioni mediterranee si determinò una facile  intesa, dovuta al fatto che non vi dovettero essere fra esse sostanziali  differenze di ordine fisico e spirituale e tali da produrre una corruzione anzichè un miglioramento, dal punto di vista etnico e culturale. In Italia, in Grecia, e dovunque si afferma LA LINGUA ARIA, i caratteri dominanti furono indubbiamente dati dalla STIRPE ARIA e per  questo, nonostante le differenze che si osservano fra i diversi popoli  di questo gruppo, è facile cogliere in numerosi e cospicui tratti gli in-  dizi della comune origine. Vi sono invece casi in cui questa affinità elettiva che dà la preminenza ai caratteri del tipo superiore non ha luogo, per motivi che  non è sempre facile individuare. La storia di alcuni millenni dimostra, per esempio, come fra gl’ARI e i Semiti essa sia completamente mancata e che le due stirpi si sono sempre tenute in reciproca  difesa, quasi istintivamente conscie che da una fusione si dovesse  avere la perdita da una parte e dall'altra dei rispettivi caratteri dif-  ferenziali. Dovunque Semiti ed Ari si sono trovati in contatto si  sono sempre scontrati in lotta senza quartiere: gli Irani contro  l'impero di Assiria, Roma contro Cartagine, il mondo cristiano contro l'Islam. Sia che vincessero gli uni, sia che vincessero gli altri  la barriera fra i due mondi non fu mai superata. Da una parte e  dall’altra, tranne sporadiche infiltrazioni, due mondi diversi hanno  conservato tenacemente la loro autonomia, e gli stessi apporti culturali che l'uno ha dato all'altro sono stati da ciascuno svolti, interpretati ed elaborati secondo la propria natura. Il cristianesimo è diventato universale nell’interpretazione romana. Il senso ario della conquista e dell'espansione assume nella coscienza e nella prassi giudaica aspetti e modalità, per cui non è quasi più riconoscibile. Ed è certo bene che sia così, che cioè la barriera sussista, poichè  il suo abbattimento non è, come la storia categoricamente dimostra,  nella natura delle cose. Ciò si potrà rilevare in molti campi, ma a  noi preme rilevarlo proprio nel campo della lingua, che oggi è senza  dubbio uno dei più importanti fattori differenziali degli aggruppamenti razziali. Difatti, quando noi attribuiamo questo o quel popolo  al gruppo ario o al gruppo semitico lo facciamo soprattutto in base  al criterio linguistico che è alla base di tali gruppi, e dove tale criterio sia reso fallace, com'è il caso dell'elemento giudaico che ha  assunto a propria lingua la lingua nazionale dei popoli presso i quali  vive, vi si sostituisce un criterio pure di ordine storico, quello religioso. Per l'appunto, nel campo linguistico la differenza costituzionale  fra il semitico e l’ario, sia dal punto di vista fonetico per il prevalere  in quello di suoni laringali ignoti all’ario, sia dal punto di vista morfologico per la diversità sostanziale della rispettiva flessione, si rivela  così profonda da non consentire un sincretismo produttivo. L'elemento  arabo, penetrato nel persiano in larga misura in seguito alla conver-  sione della Persia zoroastriana all’islamismo, si è limitato al lessico e  non ha intaccato la struttura fonetica e morfologica squisitamente aria  di quella lingua; vi è rimasto così estrinseco, che, a seguito della ri-  presa nazionale avutasi con la nuova dinastia, l'elemento arabo viene  progressivamente sostituito con elemento propriamente iranico. Quan-  do poi una lingua semitica è stata assunta da un POPOLO DI STIRPE ARIA i risultati che se ne sono avuti sono, nel loro aspetto negativo, profonda-  mente significativi. Questo è, come è noto, il caso di Malta in cui  il primitivo idioma romanzo venne per effetto della lunga occupa-  zione musulmana sostituito con un dialetto arabo magrebino: l'arabo, forzato in una impostazione vocale completamente estranea, ne è  uscito così malconcio e così, come si suol dire, corrotto, da giustifi-  care quasi le interessate fantasie della pseudo-scienza linguistica britannica, che nel dialetto maltese voleva riconoscere, anzichè un dialetto arabo storpiato da bocca romanza e sempre ricco di elementi  italiani, nientemeno che la sopravvivenza di un antico idioma fenicio.    Se ora ci poniamo il problema concreto della formazione dell’unità etnica, ci appare chiaro che il processo non è diverso da quello  della formazione dell'unità linguistica. Per l'una e l’altra unità è er-  rore gravissimo partire dall'immagine dell’albero genealogico dal cui  ceppo, quasi per virtù interiore di linfa, si siano venuti staccando  tanti rami, integralmente fedeli alla natura e alla struttura di quello. Niente di più falso, poichè se ciò fosse si dovrebbe avere, tanto nel  caso delle lingue quanto in quello delle razze, propagazione uniforme  e non formazione di nuove unità più o meno nettamente differenziate. L'albero genealogico sarebbe giustificato solo se in esso potesse  risultare il complesso degli apporti e delle cause che hanno determinato la figura particolare di ciascuna unità. Prendiamo il caso della lingua italiana. Non esistono lingue, specialmente  a larga diffusione, che non siano costituite da una più o meno grande  varietà di dialetti. L'unità neo-latina, ad esempio, è divisa in tante  lingue, italiano, francese, spagnuolo, provenzale, rumeno, per dire le  maggiori, e queste sono alla loro volta distinte in varietà dialettali  più o meno nettamente individuabili. Qual'è il motivo di tanta dif-  ferenziazione, quando è noto che alla base di tante e così varie lingue  e dialetti vi è l’unità latina, cioè una lingua di cultura, affermatasi per  forza d’armi e prestigio di civiltà? Anzitutto, come causa di trasformazione appare la reazione del sostrato etnico-linguistico su cui il  latino si è venuto a sovrapporre, sicchè non di latino volgare bisogna parlare, bensì di tanti volgari, per quante sono le zone linguistica-  mente individuate in precedenza, di cui il latino s'impossessa. Intervengono poi i contatti che ciascun gruppo già delineato ha con popoli  di altra lingua, germani, slavi, ecc., e gli sviluppi particolari di ciascuna cultura che necessariamente si riflettono in ciascuna lingua, soprattutto attraverso il convergere delle varietà dialettali verso la lin-  gua comune, cioè verso una più piena e precisa unità. In altre parole,  il processo per cui le lingue sì determinano non deve essere guardato  nel suo aspetto di disintegrazione di un’unità, bensì piuttosto in quello  integrativo che la nuova unità veramente determina. Ciò ha ancor  maggiore valore, quando non si tratti, come è il caso del latino, di  una lingua di cultura, quindi chiaramente unitaria, che si sovrappone  con il peso della civiltà di cui è espressione su lingue di minore prestigio, bensì di unità linguistica naturale, in cui il processo integra-  tivo, lento e faticoso, costituisce la modalità stessa di essere della lingua. Le unità linguistiche, come si è detto, non esistono mai internamente indifferenziate e ciò deve essere inteso come il risultato di  quella necessità naturale per cui il comprendere, e perciò l’esprimersi,  avviene prima fra i membri di una famiglia, poi fra i membri di  una gente, di una tribù, di un popolo, di diversi popoli, ed è questa  necessità sempre più vasta di esprimersi e di intendersi che costituisce  quelle vaste unità alle quali noi diamo il nome di unità aria e di  unità semitica. Da queste considerazioni deriva che nessuna teoria è  tanto assurda quanto quella della monogenesi del linguaggio, non  meno assurda, o almeno altrettanto poco giustificata, quanto quella  che volesse scientificamente riportare tutti i caratteri delle attuali  razze umane nella loro infinita varietà ai caratteri di una coppia  capostipite. Come per questa altra realtà non si può postulare se non  quella dell'essere uomini, così per la lingua originaria altra qualità  non è possibile postulare se non quella di essere mezzo espressivo di  uomini.   Ora, identico processo integrativo è quello che dà origine alle diverse unità razziali. Anche qui si ha uno slargarsi per accrescimento  e mistioni: dalla singola gente si arriva alla tribù, al popolo, alla nazione italiana. E’ chiaro che l’accrescersi naturale delle generazioni amplifica  al tempo stesso la natura del processo e fa che i caratteri dominanti  del nucleo più vitale guadagnino sempre più vasto spazio. Vi è certo  qualche cosa di misterioso in questo propagarsi di caratteri superiori  per cui l'umanità ci appare in una continua ascesa, e ancor più grande  mistero è quello che avvolge l’occulta forza da cui ogni unità razziale  è guidata nella sua istintiva difesa da quei contatti e da quelle mi-  stioni che ne altererebbero la genuina struttura. Poichè l’uomo è  essere spirituale, tale modalità del suo divenire anche dal lato fisico  ha forse la sua ragione nell’esigenza di una maggiore spiritualità che  si rifletta anche nella struttura fisica, e in ciò è appunto il grande  mistero dell’uomo, nell’indissolubile legame che in lui si realizza fra  vita biologica e spirito.  Da quanto si è detto appare chiaro che il fattore lingua concorre  in maniera dominante, almeno sino a quando le conoscenze antropo-  logiche non forniranno dati biologici più sicuri, a determinare la  nozione di razza; anzi essa costituisce il mezzo principalissimo di  coesione per cui una comunità più o meno vasta di individui sente di  essere popolo e nazione. Le caratteristiche spirituali e la struttura  della lingua di un popolo – osserva Humboldt —  sono l’una con le altre in tale intreccio che posto l’un dato, l’altro si  dovrebbe poter derivare completamente da quello. La lingua italiana, infatti, riflette anzitutto l'ambiente fisico e una maniera nativa, naturale di sentire il reale e di esprimerlo. Essa è fatto fisiologico e psicologico al tempo stesso e, come tale, è legata intimamente con la  struttura psicofisica del popolo che la parla, è anzi la modalità più  essenziale con cui tale struttura si manifesta. Il complesso dei costumi,  delle tradizioni che si tramandano di generazione in generazione,  tutto ciò insomma che concorre a dare a ciascun popolo la sua propria fisionomia, trova espressione fedele e categorica nel linguaggio. Poichè la nozione di razza non è in sostanza altro se non la nozione  di un'appartenenza ad una determinata comunità genetica, la coscienza della razza trova nel linguaggio uno dei suoi più forti sostegni. Non è senza significato il fatto che l'esigenza alla purezza,  quanto all’e4ros e quanto alla lingua, si manifesta presso i popoli  nei momenti della loro maggiore vitalità. Un popolo che ad un de-  terminato momento della sua storia voglia riconoscere i suoi carat-  teri differenziali e voglia segnare una netta linea di demarcazione  fra sè ed altre unità etniche, portatrici di caratteri spirituali ed etnici  non congeniali ai suoi, altro non fa se non riportarsi coscientemente  alle sorgenti più genuine della sua vita. Un aspetto di tale esigenza  è il desiderio di tenere immune la propria lingua da influenze stra-  niere e di eliminare le infiltrazioni che si sono verificate in momenti  di indebolita o distratta coscienza. Antonino Pagliaro. Pagliaro. Keywords: i arii; la lingua degl’arii, la favella degl’arii, I fasci littori, dal lictor al littore, il littorio, l’uso dei fasci nell’Etruria non-aria, la dottrina linguistica di Vico, “scienze filosofiche – lincei”, ossesso dalla latinita della Sicilia, Cratilo, discussion di Storia Romana, Romolo, proprieta private, Cicerone, Empedocle, il fascino dei fasci – enciclopedia del fascismo, fascisti gentiliani ed anti-gentiliani, l’uso di ‘ario’ – latinita, arieta, romanita – il linguaggio, sessione sul linguaggio -- filosofia del linguaggio --.Tullio. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pagliaro” – The Swimming-Pool Library.

 

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