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Thursday, January 23, 2025

LUIGI SPERANZA -- GRICE ITALO A-Z R RU

 

Luigi Speranza -- Grice e Ruggiero: la ragione conversazionale di Remo e di Romolo – filosofia meridionale --  scuola napoletana -- filosofia campaniana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Scrive “Critica del concetto di cultura” (Catania, Battia), cui CROCE rimprovera la mancata distinzione tra “cultura” e “falsa cultura”. Idealista, senza aderire all'attualismo di GENTILE. Liberale, pur non risparmiando critiche alla classe politica espressa dal partito liberale. Insegna a Messina e Roma. Avendo aderito all'idealismo con GENTILE, la sua ri-vendicazione dei valori del liberalismo lo rende un esponente di spicco dell'opposizione al fascismo. Per non perdere la cattedra presta il giuramento di fedeltà al fascismo. Autore, tra le altre saggi, di una imponente Storia della filosofia  e di una Storia del liberalismo. Socio degl’esploratori italiani. Indaga nella storia della filosofia ROMANA la potenza di libertà costruttrice del mondo degl’uomini, e, auspicando in tempi oscuri il ritorno alla ragione, e ad Italia maestro ed apostolo di fede nell'umanità.  Saggi: Storia della filosofia,” “La filosofia greca” (Bari, Laterza); “Cristianesimo” (Bari, Laterza); “Rinascimento, riforma e contro-riforma” (Bari, Laterza); “La filosofia moderna: cartesianismo” (Bari, Laterza); “L’illuminismo” (Bari, Laterza); “Da Vico a Kant” (Bari, Laterza); “L'età del romanticismo” (Bari, Laterza); Hegel; (Bari, Laterza); La filosofia contemporanea (Bari, Laterza); “La filosofia politica italiana meridionale (Bari, Laterza); “L'impero britannico dopo la guerra”, Firenze, Vallecchi, “Storia del liberalismo” (Bari, Laterza); “Filosofi” (Bari, Laterza); “L'esistenzialismo” (Bari, Laterza); “Scritti politici”, Felice, Bologna, Cappelli,  La libertà, Mancuso, Napoli, Guida); Lettere a Croce (Bologna, Mulino); Croce, La Critica, I filosofi che dissero "NO" al duce, in La Repubblica, Un ritratto filosofico (Napoli, Società Editrice); L'impegno di un liberale” “Tra filosofia e politica (Firenze, Monnier); Treccani, Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.    Griffo, La coscienza critica del liberalismo; Sgambati, Tra ethos e pathos.  Il diritto pubblico romano lascia, assai meglio del diritto privato, osservare le discontinuità e le suture, a testimonianza  delle sue radicali trasformazioni. Esso non presenta  un processo di sviluppo dall’interno, ma piuttosto  un’opera di lento accrescimento dall’esterno, che  fa coesistere il nuovo e l’antico, come per dissimulare i mutamenti da un periodo a un altro. La preoccupazione costante dei ROMANI è di salvare la continuità storica delle loro istituzioni, di sforzare il  primitivo regime cittadino, fino a includervi tutto  il ricco contenuto degl’acquisti posteriori. La città  è per essi un più saldo organismo che non la polis  dei Greci: il principio della sovranità popolare, come  fondamento della costituzione, vi è assai più stabilmente riconosciuto e presidiato, e, principalmente,  le magistrature cittadine vi rivestono quel carattere  e quel prestigio monarchico, che vivamente impressiona un greco romanizzato come Polibio. Lo spirito militare è in gran parte causa della maggiore  coesione e dell’acentramento della vita pubblica. Ma esso è anche il principio della espansione della  città in più vaste associazioni politiche, aventi per  base l’autonomia municipale, limitata soltanto dalle  esigenze della difesa dal nemico esterno. L’interesse  militare suggerisce infatti la prima grande federazione che, col nome di lega latina, aggruppa alcune  città sotto l’egemonia romana; che sarà il modello  delle future aggregazioni.   Il principio federale è quello che salva il nucleo  della città, pur mirando oltre la sparsa vita cittadina; e ad esso Roma si attacca per salvare sé stessa  insieme con le sue conquiste. Il lento processo di  assimilazione dei popoli soggiogati compiuto dalla  civiltà romana si fonda tutto sulla preventiva dissoluzione degl’originari stati nazionali e indigeni  e sulla trasformazione di essi in aggregati municipali  autonomi, e solo militarmente legati a Roma. L’idea  del decentramento amministrativo è certo una delle  più grandi che il diritto pubblico romano ci abbia  tramandato. Ma essa ha per l’antichità un valore  anche maggiore che per noi, perché storicamente  l’autonomia municipale è un passo importantissimo  nella formazione del nuovo principio dello stato, che  sorge sulla rovina delle nazionalità, e sul riconoscimento delle più minute unità cittadine, confluenti  con la loro vita propria nel più vasto organismo  politico. Si forma così una patria communis, che ha  sotto di sé una patria particolare, domus od origo  Questa doppia istanza della vita pubblica, che  da una parte favorisce la profonda esigenza del self-government t dall’altra include il particolarismo locale, come momento subordinato, nella più comprensiva vita statale, è una grande creazione romana. I  greci, che anche seppero moltiplicare, in numerose  colonie, la vita delle proprie città, non riuscirono  tuttavia a trarre dal particolarismo cittadino nessuna idea superiore e comune; cosi perdettero il  frutto del loro lavoro in una dispersione incapace di  [Mommsen. Le droit public romain, Paris] riflettersi nel suo principio creatore. Essi posero in  vita una folla di particolari in luogo di una universalità vera e propria; ciò che ne distingue l’opera  nettamente da quella dei ROMANI. Il municipio costituito in seno allo stato e subordinato allo stato è certo una delle manifestazioni  dìù notevoli e feconde dell’età di SILLA (si veda). Il periodo  sillano rappresenta però ancora un’età di transizione  tra i due momenti, della città e dello stato, quando l’antico particolarismo è quasi vinto, ma ancora non  balza fuori la nuova universalità. Il progresso, lungo  questa via, fino all’età di GIULIO (si veda) Cesare, è rapido e sicuro.  E vi ha contribuito, più che l’accrescimento diretto  del numero dei cittadini, mediante l’estensione del  diritto di cittadinanza, l’incorporazione di un numero sempre maggiore di stati clienti, il cui regime  consta, senza eccezione, di due elementi: dipendenza  legalmente determinata in rapporto allo STATO ROMANO; indipendenza, o meglio, autonomia amministrativa. Il processo di romanizzazione è sollecito  per la sua stessa spontaneità. In presenza delle progredite istituzioni romane, le città della provincia  sono volontariamente tratte ad imitarle, abbandonando i vecchi costumi nazionali, presto riconosciuti  inadeguati alle esigenze della vita cittadina. Un segno della spontaneità di questo lavoro d’assimilazione è la scomparsa delle stesse tradizioni della  religione locale nell’occidente romano, come il druidismo nella Gallia. Roma, da parte sua, è parca nel concedere come  un premio ambito ciò che pure è suo interesse  precipuo di largire. Essa non accorda a tutte le città un’adeguazione politica completa, ma la lascia sperare alle più fedeli. Al di sotto delle città latine che  hanno tutte la piena cittadinanza, vi sono città sine suffragio o città di semi-cittadini, con diverse gradazioni di privilegi e più o meno scarsa reciprocità  verso la capitale. La più grande forza di attrazione  è da Roma esercitata per mezzo delle colonie, formanti la vera ossatura romana della vasta compagine  imperiale. Con l’estendersi delle conquiste, i piani  coloniali vengono ampliati e coordinati. Da Caio GRACCO (si veda), autore di un primo grande disegno organico,  a GIULIO (si veda) Cesare ed ai suoi imperiali successori, si svolge  un fecondo lavoro, che ha per scopo di popolare di  Romani le regioni occupate e di saldarle alla madre  patria. Il principio veramente romano che presiede  a questo lavoro è epigrammaticamente espresso dal  motto: ubicumque vicit Romanus, habitat. Ma se noi guardiamo nel suo insieme la configurazione politica del grande stato federale sull’unire  della repubblica, e prima che GIULIO (si veda) Cesare avesse stampato  nel diritto pubblico i segni del suo genio precursore,  essa ci colpisce con l’aspetto di un ingombro congestionante e poco vitale. L’impero è tutto ricondotto alla metropoli. I magistrati municipali di Roma  sono i signori del mondo, l’Italia e la provincia non  sono che un’appendice della capitale. Il rigido principio della conquista sforza fino alle estreme conseguenze il potente particolarismo nazionale dal quale  prende le mosse; e tutta la vita locale, fuori di Roma,  nel tempo stesso che viene elevata a una coscienza  nuova di sé, viene mortificata e depressa da una  taccia d’irrimediabile inferiorità rispetto alla nazione dominante. Manca un’idea unica che attraversi  e vivifichi tutte le membra del grande organismo. Il legame che lo connette è estrinseco e sovrapposto,  riassumendosi nella forza dell’imperium, che sanci-    [Sbn-ec., ad litio.] sce una eguale schiavitù ai popoli sotto la potenza  militare romana. Piccole città isolate e sterminati  regni sono aggiogati disordinatamente allo stesso  carro; purché l’esterno legame sia salvato, Roma  non si preoccupa della vita che internamente si  svolge nei suoi domini e la lascia in balìa all arbitrio di despoti indigeni. Essa regna sul mondo, ma  non lo governa; si appaga di un compito estrinseco  di polizia, che dia sicurezza ai propri commerci. La  sua coscienza mondiale si compendia nell’idea dello sfruttamento del mondo a suo profitto. Questa deficienza veniva osservata specialmente dagli orientali,  presso i quali erano più vive le esigenze della comunione spirituale dei popoli formanti uno stesso stato.  Apollonio di Tiana, anche quando l’impero aveva  portato molto più avanti il lavoro di unificazione del  mondo, lamenta l’eccessiva materialità del governo  romano, che si strania ed aliena gli spiriti. Una profonda trasformazione di regime s’inizia  però con GIULIO (si veda) Cesare, che, per l’immatura fine, non riesce  a portarla a compimento. Cesare dà il colpo di grazia  al nazionalismo latino e fonda la nuova idea imperiale, distaccandone il centro dal territorio di Roma  e idealizzandolo nella persona del monarca. La legge  cesarea dei municipi comincia col parificare, in  diritto, tutte le città, e col trasformare, conseguentemente, il significato della preminenza di Roma. Questa non è più l’impero stesso, ma la prima delle  municipalità dell’impero, e le sue magistrature scendono al livello di semplici cariche municipali. La  figura del monarca si distacca nettamente da quella  del magistrato. Non è più il princeps, cittadino tra  [Sef.k. Gesch. des Untergangs der antiken Welt. Berlin.  UI.'p. 110.   2 PiiiLosrn.. Apoi. Ty.. ep.] i cittadini, ma il dominus che trascende tutto il  mondo parificato al suo cospetto e riceve la propria  autorità direttamente dal divino. Questa idea è affatto  nuova allo spirito romano. GIULIO (si veda) Cesare l’attinge all’Oriente  e l’adatta arditamente ai suoi piani. Essa ha un  significato teocratico e mistico, che viene accolto  con diffidenza e senza convinzione dalla scesi frivola dell’ultima età repubblicana, ma conquista  l’età seguente, dominata da uno spirito di concentrato fervore religioso. L’Oriente riuscirà ad imporla  all’Occidente solo quando gli avrà comunicato la  sua fede viva ed ardente.  Il dominus compendia l’unità religiosa e l’unità  giuridica della vita. Sotto il primo aspetto, egli è il  re-divino, l’incarnazione vivente della divinità, che allaccia, con la gerarchia ordinata dei suoi ministri,  tutto il mondo sottoposto. Sotto l’aspetto giuridico,  egli è il re-proprietario, al quale appartengono per  diritto proprio le persone e i beni dei soggetti. Quell’unità che i popoli sono incapaci di concepire  sotto l’astratta luce ideale dell’impero, e che pure è  un bisogno sensibile, immediato della loro esistenza,  essi la vedono incarnata e personificata nel Signore.  In questo foco si accentra tutta la sparsa vita spirituale di genti e razze diverse, che vi ravvisano un  senso alla propria riunione sotto un giogo comune  e sollevano e riscattano la loro schiavitù nella visione di un alto fine religioso di cui sono partecipi.  GIULIO (si veda) Cesare ha una chiara percezione dell’aspetto religioso della sua missione : la SANCTITAS REGNVM è per  lui il fondamento stesso del nuovo regime monarchico, da cui soltanto possono irradiarsi una potenza  e un prestigio coestesi alla vasta mole dell’impero. [Svet.. Jul. Caes.] Le conseguenze di questa premessa sono, per  il diritto pubblico, inestimabili. Al decentramento  politico e amministrativo, airindifferenza per la vita  locale delle città e degli stati particolari, in una  parola al regime del mero stato di polizia, subentra  un regime accentratore, dove un sovrano assoluto  vigila per mezzo d’un esercito di funzionari sull andamento di tutte le cose del regno, che ormai gli  appartengono, e spoglia città e cittadini di quelle libertà che contraddicono all’onnipotenza del proprio  dominio. Una volta che il mondo non è più un aggregato inorganico di città, ma forma un’unità reale  e vivente, è giusto che tutte le sue parti, cospirino  per quel eh’ è possibile al fine comune, rinunziando  all’autonomia che disgrega e disperde le forze. GIULIO (si veda) Cesare e sul punto di realizzare questa vasta  trasformazione politica; pero mancò non soltanto a  lui la vita, ma anche ai tempi la maturità necessaria  per portarla a compimento. Più di tre secoli occorreranno per attuare la monarchia da lui vagheggiata. Per il momento, gl’immediati successori rinunziano  ai più arditi piani e si pongono sul terreno delle istituzioni vigenti, col proposito di piegarle gradatamente ai loro fini. OTTAVIANO (si veda) è, almeno all’apparenza,  ben poco innovatore. Egli conserva integro il principio della sovranità popolare, ripristina le magistrature repubblicane sospese nel tempo della guerra  civile, riconosce un potere sovrano al senato. L’idea  dell’impero emerge per lui dallo stesso regime politico tradizionale, di cui porta a compimento lo spirito monarchico che già gli e immanente. Nella  sua concezione, il principe è il primo cittadino tra  i cittadini, il primo magistrato tra i magistrati. Egli  anzi si guarda accuratamente di legare a questo nome  [Mommskn. Le drolt pnblic romain.] cariche e prerogative nuove ed inusitate, e si avvale  invece degli stessi poteri che gli fornisce la tradizione repubblicana. Attribuendosi l’imperium o potenza proconsolare, egli ha il comando in capo esclusivo delle milizie di tutto l’impero; e poiché questa  posizione preponderante dal punto di vista della  forza può apparire eslege a Roma e nell’ Italia — sottratta giuridicamente al potere proconsolare — OTTAVIANO vi aggiunge la dignità consolare, alla quale più  tardi rinunzia per assumere il tribunato del popolo,  la magistratura più popolare e praticamente efficace . Così, per via di successive sovrapposizioni di  cariche preesistenti, come il pontificato e la censura oltre quelle già nominate, si forma il potere  nuovo del principe, e si consolida con un prolungamento, dapprima limitato e poi indefinito, della  durata delle cariche stesse. L’impero si costituisce  cosi condensando le forze più vitali delle istituzioni  repubblicane, senza innovazioni apparenti, capaci di  suscitare reazioni popolari. Dopo il regime eccezionale della dittatura militare e del triumvirato, esso  ha perfino l’aspetto di una reintegrazione delle magistrature ordinarie.  Alla monarchia vagheggiata da GIULIO (si veda) Cesare subentra,  almeno in principio, una DI-ARCHIA, una divisione del  potere tra il principe e il senato. Tutta la provincia  viene separata in due parti, imperiale e senatoriale,  con diversi magistrati; e al senato viene attribuita  ramministrazione dell’ Italia, che OTTAVIANO non crede  opportuno prendere per sé, ritenendo più facile usurpare le libertà della corrotta capitale e della lontana  provincia anzi che quelle più tenaci dei municipi    1 Mommsen] OTTAVIANO rifiuta la censura, ma la riassunse Domiziano,  per l'opportunità che gli offre questa carica di influire sulla  nomina del senato.] italici. Di fatto però questa di-archia si converte  gradatamente in una vera monarchia, perché l’imperatore può esercitare una preponderante influenza  sulla costituzione e sul funzionamento del senato,  che finisce col divenire un passivo strumento nelle  sue mani. Con felice incoerenza, OTTAVIANO però tien fermo  al principio cardinale della concezione monarchica  del suo grande predecessore, accettando l’idea della  divinità dell’imperatore, pur contraddiente a quella  della sovranità popolare, che informa di sé la nuova  carica. L’apoteosi del principe, cioè il riconoscimento della sua divinità dopo la morte e la conseguente attribuzione degli stessi onori riserbati agli  dèi, — altari, culto e sacerdoti appropriati— costituisce la parte più importante della riforma religiosa  d’OTTAVIANO. L’influsso sempre più vivo dell’Oriente  spingerà i suoi successori ad ingrandire questo culto,  includendovi l’adorazione dello stesso imperatore  vivente: una trasformazione piena di significato,  perché con essa l’apoteosi si distacca dalla vecchia  concezione occidentale della religione dei MANI, che  in un primo tempo aveva giovato ad accreditarla,  e s’innesta nello spirito teocratico dell’Oriente. L’unificazione religiosa dell’impero completa e  ribadisce l’unificazione politica. Il culto dell’imperatore si eleva sui culti particolari delle singole nazioni  e diviene per i popoli il simbolo di una comunanza  spirituale di vita e quasi l’atto di adesione a un  identico destino storico. A questo punto terminano  le storie particolari delle genti, o meglio confluiscono  nella storia universale. Il migliore ammaestramento  filosofico che ci vien offerto dalla conoscenza dello  sviluppo del diritto pubblico romano sta per l’appunto nella conquistata coscienza dell’unità e dell’universalità del piano della storia, che vince la  sparsa frammentarietà delle storie del passato, chiuse  a guisa di monadi in sé stesse e ricomincianti sempre dal nuovo il proprio lavoro. Roma provoca il  brusco risveglio delle genti, rompe l’isolamento della  loro vita, le costringe, pur riluttanti, a entrare nella  vasta orbita della sua azione e a collaborare a una  opera comune. La cittadinanza che l’impero largisce  egualmente a tutti i suoi abitanti esprime la nuova  patria ideale e comune, che si eleva sulle patrie  particolari e che gl’uomini accettano quasi come  un segno del riscatto dalla schiavitù del suolo che  li lega e li circoscrive materialmente. Essa è  una prima rivelazione dell’umanità a sé stessa: una  umanità ancora pregna di materialità ingombrante  e passiva, che non sa guardare oltre i rapporti contingenti e terreni della vita ed esaurisce i suoi compiti spirituali nell’adorazione d’un padrone comune;  ma eh’ è tuttavia il primo momento di una rivelazione che non si esaurisce in essa e crea forme di  consapevolezza sempre più profonde. LA FILOSOFIA ITALIANA •i3 (ì.  I»K  huGGiKKO.  La  filosofia  coniemfor>tnea.DA  MACHIAVELLI  A  GIOBERTI 1.  La  fortuna  dei  nostri  filosofi. Con la filosofia italiana vogliamo rifarci dall’origini. Se c’è un paese che può  vantare uno svolgimento originale di pensiero, dal rinascimento ai nostri giorni, questo è appunto l’Italia. E nel tempo stesso, sembra che nessun paese puo deplorare, con  maggior diritto  dell’Italia, il disconoscimento più pieno della sua vita mentale. Il nostro rinascimento è in generale conosciuto. Ma, dopo, ci si sequestra dalla circolazione del  pensiero europeo. Vico è lettera morta  fuori d’Italia;  e l’epoca piu tardi offre questa stranezza, che vengono elevati a fama europea filosofi mediocri  come Hamilton, Cousin e più tardi Lotze, mentre sono ignorati SERBATI (vedasi), GIOBERTI (vedasi), e SPAVENTA (vedasi) -- tre filosofi geniali, che proseguono la tradizione speculativa del pensiero europeo, proprio quando sembra interrotta, nella fine apparente  dell’idealismo. R. non sta a fare un ridicolo processo agli stranieri per averci  dimenticati. Noi per i primi non ci siamo dimostrati all’altezza del nostro passato. E le stesse condizioni civili e politiche d’Italia purtroppo contribuisce alla sprezzante dimenticanza  Si,  perché  la  circolazione del pensiero avviene in modo diverso nei tempi moderni che nel Rinascimento. Allora potevamo,  anche politicamente schiavi, dettar le leggi della cultura agli stranieri. Allora infatti la vita del  pensiero è l’universalismo astratto, naturalistico, che neutralizza le differenze della  storia. La sua espressione è il concetto della sostanza di BRUNO (vedasi), l’unità indifferente degl’opposti. Invece,  s’inizia un movimento profondo d’individuazione. È il  periodo dello storicismo. Il  pensiero  non vive più astratto dalla sua vita storica, e, fuori dell’individuazione politica, sociale, morale d’un popolo è nulla. È flatus vocis. Cosi si sono affermate la cultura della Germania,  quella della ‘Gallia,’, e quella di Oxford -- culture di popoli formati. La nostra no. Noi avemmo due grandi filosofi. SERBATI (vedasi) e GIOBERTI (vedasi). Ma sono un’anticipazione sulla nostra realtà  storica. Noi non h celebrammo che quando volemmo far la nostra stona. Il loro pensiero rifulge di vivida luce coll’unificazione. Ma divienne cosa  morta un anno piu tardi..E  l’Italia  che  si  forna nel  ’fiO  non è rosminiana    giobertiana. Perché? Purtroppo è  nota la decadenza  mentale  e morale di quella  nuova  Italia. La sua voce  non è  più  la  voce generosa  di  Gioberti,  ma  la  molle cantilena  di ROVERE (vedasi) e  l’accento rauco di FERRARI (vedasi). In  un  corso  di  filosofia che  resta celebre nella  storia  del  nostro  pensiero,  il  terzo  dei grandi  filosofi italiani,  SPAVENTA (vedasi),  ri-evoca  le  glorie  del  nostro  passato,  e  spiega  a  una folia  d’ignari  lo  svolgimento  originale  del  pensiero italiano  nei  suoi  rapporti  col  pensiero  europeo:  nella nuova  luce  da  lui  diffusa  sulla  nostra  filosofia.  Bruno e  Campanella  trovano  il  loro  posto  nella  storia  del pensiero  come  precursori  di  Cartesio,  di  Spinoza  e di  Locke. Vico,  come  il  geniale  presentimento  del criticismo. E  infine,  Galluppi,  Rosmini,  e  Gioberti  rappresentano  la  coscienza  via  via  più  compiuta  del criticismo,  come  questo  s’è  svolto  in  Germania  per opera  di  Fichte  e  di  Hegel.  Ma  Spaventa  avverte che  la  caratteristica  dell’ingegno  italiano in tutti  i  tempi è quella  di  essere  precursore,  d’avere il  pre-sentimento  delle  nuove  verità,  ma  di  non  saperle  svolgere,  e  di  falsificarne  perfino  il  senso  e  la portala.  Ma  con  la rinnovata  coscienza  della  propria  storia,  Spaventa  spera  che  l’Italia  risorta allora  a  unità  politica,  riprende,  in  una piena  consapevolezza,  il  posto  che  le  spetta  nella cultura.  Ed  egli  stesso  ne  addita  la  via,  con  uno sforzo  tenace,  che  dura  tutta  la  sua  vita,  per  porsi all’altezza  del  movimento  storico,  comprimendo  ogni impulso  del  suo  pensiero  originale  per  rivivere  intensamente  il  pensiero  altrui;  facendosi  perpetuo scolaro,  per  poter  diventare  il  vero  maestro  degli italiani. Ma  l’Italia alla quale SPAVENTA parla non  è  in grado  di  capirlo. Ell’è  quella  stessa  Italia  che ha pervertito  il  giobertismo  in  una  speculazione flaccida  e  senza  sangue -- la  filosofia  dei  bramani,  come lo  stesso  Spaventa  dice.  Ond’è  che  il  geniale  hegeliano  parve  a  taluni  un  mistico,  ad  altri  un  sovvertitore  della  scolastica;  a  nessuno  quello  che  in  realtà è.  I  falsi  nazionalisti  gli  rimproverano  il  suo hegelismo;  i  falsi  hegeliani  il  suo  nazionalismo. In verità  gli  rimproveravano  gli’uni  gl’errori  degl’altri. Dalla  doppia  taccia  SPAVENT Aè  immune:  egli  che sente,  si,  ITALIANAMENTE  la  filosofìa. Ma  la  pensa universalmente. Il  primo  insegnamento  di  Spaventa,  come quello  ilei  suo  granile  conterraneo,  Sanctis, è  dunque  infruttuoso;  a  riceverlo,  le  menti sono impreparate.  Non  cosi  oggi,  che  nella  rinascente  italianità.  noi  impariamo  a  vivere  in  comunione  col nostro  passato,  consci  che  ogni  sviluppo  della  vita speculativa  è  possibile  solo  mediante  una  piu  salda continuità  con  la  tradizione  storica.  L’Italia  nostra non  s’è  fatta  net  1860  ma  si  va  facendo  ai  nostri giorni  '  :  quella  stessa  Italia  che  va  conquistando  una posizione  sempre  più  eminente  tra  i  popoli,  afferma la  forza  interiore  di  questa  ascensione  col  rinnovamento  della  sua  coscienza  speculativa.  In  tale  rin¬ novamento.  risorgono  i  nostri  grandi,  Francesco  De .Sanctis.  Bertrando  Spaventa;  attraverso  essi,  noi ci  colleghiamo  al  nostro  passato.  Io  esporrò  breve¬ mente  Tammaestramento  loro  (e  di  quelli  che  pro¬ seguendone  l’opera  hanno  contribuito  con  loro  al presente  risveglio)  su  questo  passato. 2.  Il  Rinascimento  e  Machiavelli.  Gli  albori del  pensiero  moderno  sono  da  ricercare  nell’umanismo.  Ivi  la  filologia  già  lascia  intravvedere  il principio  e  l’indirizzo  della  nuova  filosofia;  ivi  già si  accenna  quel  ritorno  all’antico  che  è  invece creazione  del  nuovo.  Sotto  i  colpi  dell’umanismo comincia  il  dissolvimento  della  scolastica,  che  prosegue  poi,  più  rapido,  nel  rinnovamento  della  vita civile  e  politica,  e  della  speculazione  che  l’esprime. Qual  è  il  significato  della  scolastica?  Essa  è  un  con¬ nubio  del  cristianesimo  con  l’aristotelismo.  Il  Dio che  si  era  umanizzato  in  Cristo  si  naturalizza  nella logica  aristotelica:  diviene  l’Ente,  l’oggetto,  nei quadri  della  sillogistica. Il monumento  della  scolastica  è  la  prova  ontologica  di  Anseimo.  Questo  naturalismo  è  già  un grande  progresso:  non  è  il  na¬ turalismo  fisico  dei  presocratici,  non  il  naturalismo ideale  dei  platonici,  ma  è  naturalismo  divino.  Per mezzo  suo  si  svolge  la  contradizione  del  cristiane¬ simo,  con  la  sua  doppia  alTermazione  dell’umanità e  della  divinità  di  Dio.  E  il  nuovo  naturalismo  del Rinascimento,  che  sorge  come  negazione  di  quello scolastico,  contiene  in  realtà  la  doppia  esigenza, nella  sua  unica  aflermazione  della  divinità  e  umanità della  natura.  Con  esso  s’inizia  l’età  veramente umana  della  lìlosofia. Quanto  al  suo  procedimento  speculativo,  la  sco¬ lastica  si  compendia  nei  princìpi  della  sillogistica; la  sua  visione  etica  del  mondo,  poi,  nell  ascetismo e  nel  misticismo:  la  speranza  messianica  implica  la svalutazione  della  realtà  attuale  e  della  vita.  E  il Rinascimento  è  l’antitesi  di  entrambi  gl’indirizzi: esso  è  la  sopravvalutazione  della  vita    quella  che la  libertà  comunale,  gli  attivati  commerci  e  i  rapporti  politici  promovevano  e  intensificavano;  e  in pari  tempo  esso  è  l’atteggiamento  nuovo  del  pensiero speculativo,  che  non  ha  una  realtà  fatta  innanzi  a sé,  da  sillogizzare,  ma  crea  la  sua  realtà,  osservando, provando,  inducendo.  Nascono  cosi  due  scienze,  la politica  e  la  fisica,  ambedue  dal  me Essa  è  la  sola  cosa  stabile  ed  eterna:  ogni  volto,  ogni faccia,  ogni  altra  cosa  è  vanità,  è  come  nulla;  anzi è  nulla  tutto  ciò  che  è  fuor  di  questo  uno.  Spinoza non  parlerà  con  maggior  vigore,  ma  a  differenza  di Bruno,  egli  non  indietreggerà  d’un  passo  dalla  po¬ sizione  conquistata.  Il  filosofo  italiano,  come  già Telesio,  e  poi  Campanella,  alterna  il  nuovo  col vecchio:  più  veemente  di  Spinoza,  è  assai  meno coerente,  e  accanto  al  nuovo  Dio  lascia  sussistere l’antico. Più  oscillante  ancora  di  Bruno  è  Campanella, benché  rappresenti  un’esigenza  nuova  del  pensiero .speculativo.  La  difficoltà  del  concetto  di  sostanza  è che  il  pensiero,  naturalizzandosi  nell’oggetto,  non può  spiegare    stesso.  La  sostanza  è  conosciuta  ma non  si  conosce:  come  ciò  è  possibile?  Come  può l’uomo,  un  semplice  modo  o  accidente,  conoscere  la sostanza,  ed  elevarsi  a  Dio,  se  è  semplice  effetto? come  l’effetto  ritorna  alla  causa?  *.  Il  nuovo  pro¬ blema  che  il  concetto  della  sostanza  apre  alla  spe¬ culazione  è  quello  del  conoscere,  e  ad  esso  si  appunta  il  pensiero  del  frate  di  Stilo. CAMPANELLA (vedasi) è  confusamente  il Cartesio  ed il Locke della  fìlosofla  italiana.  Muove  dal  dubbio  scettico  e trova  la  certezza  nella  coscienza  di  sé,  nel  xensusB.  Spatonta,  Saggi  di  critica,  Napoli.. LA  FILOSOFIA ITALIANA abciilus,  ma  d’allra  parte  fonda  la  conoscenza  della natura  sul  semplice  sensus  addilux.  Le  due  esigenze restano  in  lui  inconciliate:  per  avere  una  concilia¬ zione  si  dovrà  giungere  fino  a  Kant.  Ond’è  che  la certezza  delle  cose  esteriori  sembra  a  Campanella ora  uno  sviluppo,  ora  una  caduta,  ora  un  incremento,  ora  un  limite.  15  l’intonazione  generale  del suo  pensiero  è,  nella  metafisica,  il  razionalismo    la dottrina  delle  primalità  fondata  sul  sensus  abditiis; nella  teoria  del  conoscere  l’empirismo —  la  mera certezza  sensibile  e  la  concezione  dell’intelletto come  semplice  senso  illanguidito. Ma  se  per  questo  verso  egli  fa  un  gran  passo  su Bruno,  gli  resta  poi  di  gran  lunga  indietro  per  la convinzione  e  la  fede  nell’inlinita  presenza  di  Dio nell’universo:  Campanella  è  in  qualche  modo,  e  quasi inconsciamente,  il  filosofo  della  restaurazione  cattolica,  come  fha  definito  lo  Spaventa:  egli,  col  suo  razionalismo,  non  toglie  i  ceppi  alla  scienza,  se  non perché  questa  se  li  rifaccia  da    medesima  e  si  sottometta  liberamente.  Ma  l’entusiasmo  di  Bruno  non troverà  il  suo  riscontro  che  nello  sforzo  tenace  di Galilei.  Con  questo  la  Scolastica,  solo  virtualmente superata  nella  filosofìa  del  Rinascimento,  è  vinta  per sempre.  Il  naturalismo  non  è  più  soltanto  celebrato come  nuova  tendenza  dello  spirito,  ma  è  la  nuova attualità  spirituale:  nella  nuova  scienza  si  umanizza la  natura,  che  non  è  più  la  mera  privazione  degli scolastici,    la  divinità  ancora  trascendente  della speculazione,  ma  è  la  scienza  stessa,  l’atrermazione deU’umanità  concreta  del  mondo    di  quel  mondo che  non  ci  è  estraneo  ma  interiore,  e  che  vive  della stessa  nostra  vita  di  ricerca  e  di  conquista  incessante. I.   DA  MACHIAVELLI  A  GlOBEItTI 4.  Vico.   Tra  Machiavelli  e  Vico  corrono  due secoli,  e  ratteggianieiito  mentale  è  profondamente mutato.  All’apparenza  li  direste  vicini,  rivolti  come .sono  tutti  e  due  al  passato,  per  attingere  da  esso  la loro  forza.  Ma  con  che  occhio  diverso  lo  guardano! .Machiavelli  vede  nel  passato  il  mezzo  per  liberare il  presente  dalle  accidentalità  storiche  e  per  contemplar  l’uomo  nell’intimità  della  sua  natura,  delle  sue passioni:  egli  fonda  così  la  politica.  Con  Vico,  il  naturalismo  umano  del  Rinascimento  è  già  sorpassato, e  l’esperienza  storica  non  suggerisce  più  alcuna  distinzione  tra  sostanza  ed  accidente,  ma  la  considerazione  nuova  dello  sviluppo,  dello  spiegamento della  mente  umana:  Vico  fonda  la  storia. Le  due  mentalità  sono  profondamente  diverse. La  tradizione  dei  politici  si  continua  attraverso  il (ìuicciardini,  il  Paruta,  il  Sarpi,  ed  ha  un  lontano rappresentante,  nel  secolo  XVIll,  nell’abate  Galiani. Anche  questi,  come  Vico,  fa  la  critica  del  suo  secolo, e  del  giacobinismo  che  quello  prepara;  ma  la  sua critica  non  preannunzia  il  secolo  seguente;  essa  è quella  del  vecchio  politico,  che,  incapace  d’intendere  le  nuove  aspirazioni  del  giovane,  ha  e.sperienza per  avvertire  le  sue  fanciullaggini  e  sorridere  alle sue  illusioni. La  critica  di  Vico  è  al  contrario  novatrice.  Essa investe  tutto  il  pensiero,  il  cartesianismo  e  il  sensismo.  All’universalità  astratta  del primo  che  non  spiega  la  scienza,  perché  vuol  fondarla  sulla  rivelazione  immediata  dell’evidenza.  Vico contrappone  l’intuizione  genetica  delle  cose,  che  le [ P.  un'acuta  osservazione  di Croce:  cfr. :  Il  pensiero di GALIANI (vedasi),  in  Critica,  spiega  nel  loro  farsi,  nel  loro  sviluppo:  e  prelude cosi  allo  storicismo.  E  mentre  il sensualismo  trae  dall’esperienza  sensibile  un  motivo  tutto  materialistico.  VICO (vedasi)  svolge,  da  quella stessa  esperienza,  l’universale  fantastico,  la  poesia  e il  linguaggio,  nella  loro  originalità  spirituale:  e  cosi prelude  al  romanticismo.  Queste  geniali  intuizioni sono  comprese  in  un’unità  potente:  è  la  mentalità umana  che  nel  suo  sviluppo  si  afferma  come  dispersa nel  senso  e  nella  fantasia  e  si  unifica  e  si  riflette  nel pensiero.  Vico  perciò  intravvede  una  metafisica  della mente,  una  storia  ideale,  eterna,  per  la  quale  corrono  le  storie  delle  singole  nazioni:  nelle  modificazioni  della  mente  sono  per  lui  da  ricercare  i  momenti  dello  sviluppo  storico.  Ecco  la  grande  originalità  di  Vico:  per  Machiavelli  l’umanità  era  natura, sostanza,  e  perciò  fatale  nel  suo  corso,  nella  .sua  logica  interiore.  Con  Vico  sorge  il  concetto  della  mentalità,  della  provvidenza  immanente  nello  sviluppo delle  nazioni.  In  Machiavelli  c’è  ancora    contro l’apparenza  — l’intuizione  teologica  del  mondo,  e  la tristezza  d’un’attesa  messianica:  l’uomo  è  fatto  trascendente  a    medesimo:  in  Vico  non  più:  nella sua  concezione  storica  l’umanità  è  tutta  spiegata. Ma  pure  quello  stesso  Vico,  che  scrutando  la  storia  di  Roma,  attuava  magnificamente  la  sua  nuova idea,  lasciava  poi  intatto  il  pregiudizio  dell’elezione arbitraria  degli  Ebrei.  Nel  passare  alla  storia  di Roma,  egli  aveva  compiuto  il  suo  grande  sforzo,  e vi  si  era  esaurito,  senza  aver  più  la  forza  di  ripassare alla  storia  degl’ebrei,  come  osserva  Croce  nella sua  bella  monografia  sul  Vico.  Fu  viltà,  fu  pregiudizio?  Forse,  con  più  verità,  fu  un  difetto  intrinsecodei  sistema:  Vico  non  seppe  uscire  dal  particolarismo  ristretto  delle  unità  nazionali:  mancava  a  lui  il concetto  dell’università  del  particolare,  deiriimanità  della  nazione,  che  sar.à  l’opera  del  secolo  seguente.  E  perciò  quel  pas.saggio  dai  Romani  agl’ebrei,  che  a  noi  sembra  oggi  cosi  facile,  non  fu  possibile  al  suo  genio. Vico  non  ebbe  mai  il  riconoscimento  che  gli spettava,    in  Italia    fuori,    vivente    dopo morto.  Nel  secolo  nostro  s’impadronirono  della  sua dottrina,  come  vedremo,  i  positivisti,  e  falsificarono nel  modo  più  barocco  la  sua  celebre  formula  della conversione  del  vero  col  fatto.  Rivendicarne  la  memoria  e  perseguirne  la  speculazione  è  stata  l’opera dello  Spaventa,  di SANCTIS (vedasi),  e  più  ancora,  di Croce.  Per  merito  loro  la  profonda  lacuna  della nostra  cultura  è  colmata.  Con  Machiavelli  e  con  Vico noi  possediamo  gli  esponenti  maggiori  della  storia del  nostro  pensiero,  dal  Rinascimento  Vico  con  la  sua  intuizione  di  una  metafìsica  della  mente  umana  è  il  presentimento  del  criticismo,  che  si  svolge  poi  in  Italia nel  secolo  seguente,  per  opera  di  GALLUPPI (vedasi), SERBATI (vedasi), e GIOBERTI (vedasi). La  posizione  storica  di  questi  pensatori è  stata  fraintesa  generalmente,  e  da  loro  medesimi per  primi,  finché  la  critica  di  Spaventa non  ne  ha  liberato  la  dottrina  dall’involucro  contingente  e  svelata  la  stretta  parentela  con  la  filosofia tedesca. La  spiegazione  del  fraintendimento  ci  è  data dalla  considerazione  dell’ambiente  nel  quale  sorsero e  si  svilupparono  le  nuove  dottrine. L’Italia  è  infestata  dal  sensualismo,  e  la  stessa  filosofia  kan-liunn  non  vi  s’introduce  che  attraverso  reclettismo e  la  psicologia  degli  scozzesi  :  il  valore  sommamente originale  del  nuovo  concetto  della  soggettività  ne vien  completamente  perduto.  Nel  rinnovamento  cattolico,  che  s’inizia  in  questo  stesso  periodo,  il  sensismo  vien  minato  alla  base,  ma  non  già  in  nome  di Kant.  11  sensismo  è,  nelle  sue  ultime  conseguenze, scettico;  è  un  vano  gioco  di  elementi  soggettivi,  che non  fonda  l’oggettività,  il  sapere.  Ma  Kant  — si  soggiunge —  non  è  anch’egli  chiuso  nel  soggettivismo delle  forme  del  senso  e  dell’intelletto?  e  non  va  a finire  del  pari  nello  scetticismo?  Con  questa  critica si  pretende  di  disfarsi  di  Kant,  e  si  cre  *. Sono  curiose  queste  citazioni  vichiane  che  s’in1  H.  Arie,  storia  e  fìlosofta,  Firenze. contrailo  presso  i  positivisti;  se  ne  trovano  oltre  che in CATTANEO (vedasi),  VILLARI (vedasi), CAHELLI (vedasi) e  Wngiiilli (vedasi).  Vico  diviene  un  precursore  del  positivismo, la  sua  formula  della  conversione  del  vero  col  fatto (identità  del  pensiero  e  dell’essere,  come  mentalità, sviluppo)  viene  dai  più  intesa  nel  senso  che  la  verità  sta  nel  fatto  e  non  già  nella  mente.  Ma  pure queste  reminiscenze  vichiane  trattengono  i  primi  positivisti  dal  cadere  in  una  metafìsica  materialistica. Sono  tutti  assai  prudenti,  anche  perché  non  hanno nulla  da  dire:  il  più  arrischiato  forse  è  l’Angiulli, che  è  d’ingegno  un  po’  più  filosofico  degli  altri;  ma il  suo  programma  positivistico,  pubblicato  nel  1869, non  manifesta  alcun  contenuto  nuovo  di  dottrina. FI  quando  il  positivismo,  per  la  logica  stessa  del suo  movimento,  degenerò  ovunque  nel  materialismo, i  nostri  positivisti  furono  pronti  a  sconfessare  la conseguenza  da  essi  non  voluta  delle  nuove  dottrine. Il  Villari  polemizzò  coi  materialisti;  Gabelli  distinse  un  vecchio  ed  un  nuovo  positivismo, e  manifestò  la  sua  avversione  per  quest’ultimo.  Certo in  questi  pentimenti  c’era  qualcosa  d’ingenuo,  proprio  di  chi  non  sa  valutare  la  portata  di  una  dottrina,  mentre  l’accetta;  e  i  materialisti  francesi  erano più  conseguenti  dei  positivisti  italiani,  nel  negare quelle  idealità  vaghe  che  questi  lasciavano  ancora ondeggiare  al  di  sopra  dei  fatti.  Ma  se  in  ciò  i  nostri erano  meno  filosofi,  erano  poi  più  di  buon  senso nelle  loro  riserve,  perché  dopo  tanti  sforzi  per  liberarsi  da  una  metafìsica  pseudo-idealistica,  non  volevano  trovarsi  impegoiati  in  una  altra  metafìsica,  di tendenze  materialistiche. La  trivialità  di  questa  metafìsica  non  tardò  a  manifestarsi.  Essa  sorgeva  dal  connubio  tra  la  filosofìa e  la  biologia;  e  il  suo  nome  era  il  monismo:  un  nome che  dice  tutto,  anche  più  del  contenuto  di  dottrina con  cui  lo  si  è  voluto  giustilìcare.  I  suoi  fautori  erano medici,  naturalisti,  botanici,  fisici,  e  via  discorrendo. La  loro  opera  sarebbe  certamente  andata  dispersa  se Morselli  non  avesse  avuto  la  felice  idea  di raccoglierla  e  disciplinarla  in  una  Rivista  di  filosofia  scientifica  durata  pochi  anni,  che  resterà  come prezioso  documento  della  mentalità  italiana. Ma  le  esagerazioni  più  stravaganti  del  positivismo  materialistico  si  videro  nella  scuola  di  antropologia,  fondata  da  LOMBROSO (vedasi), notissimo  autore di  libri  in  cui  il  genio  e  la  delinquenza  si  accoppiavano  in  una  felice  coincidentia  oppositorum.  Di  queste  dottrine  non  ci  occuperemo,  perché  son  divenute di  competenza  forense,  e  funestano  le  squallide  aule delle  nostre  Corti  d’Assise.  Accenneremo  soltanto  a una  propaggine  del  positivismo  italiano  che  per opera  specialmente  di  Enrico  Ferri  s’è  innestata nella  dottrina  socialistica.  E  del  Ferri  raccomando la  lettura  d’una  prefazione  a  una  sgrammaticata  traduzione  italiana  deWAntidiiliring  di  Engels,  che  è un  bel  documento  del  livello  di  cultura  del  nostro ex-socialista. Ma  con  tutto  ciò,  del  positivismo  italiano  noi  non avremmo  che  notizie  scarse  e  frammentarie,  se  esso non  fosse  stato  conglobato  e  quasi  condensato  in  una dottrina  unica  da  Roberto  Ardigò.  Di  questo  perciò vogliamo  occuparci  un  po’  più  estesamente. La  filosofìa  dell’Ardigò  ha  quello  stesso  motivo naturalistico  che  abbiamo  osservato  nel  positivismo inglese;  e.ssa  è  l’indiflerenza  tra  il  sensismo  e  il  materialismo,  senza  per  altro  il  rigore  logico  del  Mill e  la  veduta  vasta,  per  quanto  superficiale,  dello Spencer.  Mentre  infatti  fenipirismo  inglese  è  veramente  monistico,  nel  senso  che,  ammesso  il  fatto naturale  della  sensazione,  ritiene  poi  derivata  e  posteriore  la  distinzione  del  soggetto  e  deH’oggetto, l’Ardigó  invece  tradisce  fin  dal  principio  la  sua preoccupazione  dualistica,  propria  del  realismo  ingenuo. Perciò  ammette  come  fondamentale  la  distinzione  del  senso  interno  e  del  senso  esterno,  dell’autosintesi  e  dell’eterosintesi,  cioè  da  una  parte  fassociazione  dei  dati  psichici  stabili  che  costituiscono  il  me, dall’altra  l’associazione  degli  stati  psichici  accidentali  che  costituiscono  il  non-me.  Questa  è  prova  dcll’inferiorità  della  dottrina  in  quistione  rispetto  alle altre  forme  di  positivismo,  perché  la  distinzione  non fa  che  adombrare  quella  tra  la  materia  e  la  sensazione,  e  giustifica  quell’illusorio  raddoppiamento  del mondo  nella  conoscenza,  che  ad  empiristi  come  l’Avenarius  o  il  Mach  parrebbe  una  vera  mostruosità.  Il termine  comune  di  materia  psichica,  nei  due  campi, del  senso  interno  e  del  senso  esterno,  non  è  in  effetti  altro  che  un  nome,  che  si  può  trasformare  a piacere  in  un  altro    l’indistinto ,  che  ARDIGÒ (vedasi) pone  a  fondamento  della  realtà. Si  vuole  che  r.\rdigò  abbia  fatto  una  critica  dei-rinconoscibile  di  Spencer,  e  c’è  veramente  uno scritto  suo  su  questo  soggetto;  ma  bisogna  proprio dire  che  egli  sia  andato  in  cerca  della  pagliuzza nell’occhio  del  fratello,  senza  accorgersi  del  trave che  aveva  nel  proprio.  Almeno  il  povero  Spencer  poteva  illudersi  di  veder  Dio  in  quel  suo  inconoscibile,  mentre  nel  caso  dell’indistinto,  nemmeno  questa immaginazione  è  più  possibile.  Con  questo  concetto deir.Ardigò  l’epurazione  degl’inconoscibili,  degl’incoscienti  e  simili  prodotti  del  facile  eclettismo  contemporaneo  è  compiuta,  e  non  resta  che  l'innocua sodilisrazione  (ti  dire  uno,  quando  le  cose,  a  dispetto  del  positivista,  pare  che  vogliano  dire  due. L’indistinto  dell’Ardigò  non  contiene  dunque più  alcuna  traccia  di  Dio.  L’idea  di  Dio  è  del  tutto radiata  dai  quadri  di  questa  filosofia,  e  al  suo  posto subentra  il  nuovo  concetto  deH’inlìnito  o  della  virtualità  permanente  dell’esperienza:  un  concetto  che, come  quello  inilliano  della  possibilità  delle  sensazioni  dimostra,  si.  la  preoccupazione  immanentistica del  positivismo,  ed  è  perciò  da  lodare  nel  movente psicologico  della  sua  formazione,  ma  è  nel  fatto  insufficiente,  come  quello  che  si  travaglia  ancora  nel vecchio  dualismo  aristotelico,  e  dissimula,  nella  sua apparente  facilità,  il  problema  non  risoluto,  e  l’ignoranza  dei  potenti  sforzi  che  la  speculazione  di  venti secoli  ha  compiuto  per  giungere  al  graduale  superamento  di  esso. Questo  cenno  sul  motivo  fondamentale  dell’opera dell’Ardigò  può  bastare,  come  un  saggio  del  suo  pensiero.  Lo  svolgimento  della  dottrina,  secondo  i  criteri  direttivi  dell’empirismo,  è  dato  dal  tentativo  di aggruppare  in  varie  forme  e  in  varie  guise  il  materiale  plastico  della  sensazione:  un  campo  di  ricerche  che  Tempirismo  inglese  aveva  già  da  tempo sfruttato,  e  che  con  l’.Ardigò  non  è  in  grado  di  dar nuovi  frutti.  D.\l  dualismo  si val al  monismo. Nell'imperversare  delle  dottrine  materialistiche,  molte  voci  modeste  furono  soffocate,  che  forse  in  un  ambiente  più propizio  avrebbero  potuto  esercitare  un’efficacia  maggiore.  La  loro  influenza  sul  pensiero  italiano  fu  assai scarsa,  in  un  tempo  in  cui  il  materialismo  dominava la  vita  sociale  nelle  sue  più  cospicue  manifestazioni. Esse  nondimeno  riuscirono  a  formarsi  un  teatro  più ristretto,  ma  insieme  più  consono  alla  loro  intonazione:  la  cattedra.  E  come  già  in  Francia  lo  spiritualismo  eclettico,  svalutato  dai  nuovi  indirizzi,  si conservava  nella  cerchia  universitaria,  così  nell’Italia  positivistica  e  materialistica  si  ebbe,  nella  seconda  metà  del  secolo  scorso,  un  insegnamento  universitario  con  tendenze  spiritualistiche. Noi  abbiamo  già  accennato  a  quel  dualismo  platonizzante  che  si  delineava  nelle  opere  di ROVERE (vedasi), FERRI (vedasi) e BERLINI (vedasi). Come  quello  che,  bilanciato tra  i  due  domini  estranei  del  pensiero  e  dell’essere, naufragava  poi  nello  spiegare  la  mediazione  di  entrambi,  il  conoscere,  esso  non  poteva  riuscir  vinci¬ tore  di  quel  positivismo  che  viveva  nella  medesima dillìcoltà,  e  solo  cercava  di  dissimularla  con  le  sue pòco  fondate  asserzioni.    il  dualismo,  nella  nuova forma  datagli  dal  Bonatelli  o  dal  Cantoni,  per  quanto più  corretto  e  rammodernato,  aveva  migliori  proba¬ bilità  di  successo;  in  fondo  la  difficoltà  restava  identica,  e  al  più  veniva  spostata  in  più  remote  regioni. Nella  sua  vita  infaticabile  di  studio  e  di  ricerca, il  Bonatelli  non  riuscì  mai  a  migliorare  la  posizione iniziale  del  suo  pensiero,  che  noi  conosciamo  dal  saggio:  Pensiero  e  conoscenza  del  1864.    egli,  ispi¬ randosi  a  Lotze,  muove  dal  soggettivismo  empirico della  coscienza  e  invano  si  tortura  per  conseguire l’oggettività  del  conoscere.  Il  pensiero  è  da  lui  ridotto al  semplice  pensato,  alla  mera  forma  indifferente  a ogni  contenuto,  qual’è  quella  della  logica  aristote¬ lica,  e  cosi  fin  dal  principio  gli  è  preclusa  la  via  a concepire  la  relazione  tra  il  pensiero  e  l’essere.  Egli afferma,  si,  che  pensare  è  giudicare,  ma  non  intende il  valore  e  la  portata  di  questa  grande  verità  della R.,  La  filosofìa  contemporanea. LA  FILOSOFIA  ITALIANA lilo.solia  kantiana,  che  è  neutralizzata  dall’intuizione fondamentalmente  platonica  della  sua  dottrina. Di  qui,  se  il  pensiero  è  il  semplice  pensiero,  la certezza  del  reale  non  è  che  un’inferenza,  un’ana¬ logia,  per  cui  noi  interpretiamo  le  cose  esterne  a  noi nei  termini  della  nostra  esperienza  soggettiva.  Ma¬ cho  cos’è  la  realtà  in    stessa?  Ora  è  qualcosa  di simile  ai  reali  di  Lotze,  ora  è  lo  stesso  pensiero  inteso come  norma  ideale  a  cui  tentano  di  adeguarsi  le singole  conoscenze  '.  Soluzioni  deboli,  come  si  vede, perché  col  principio  di  analogia  crediamo  di  muo¬ vere,  ma  in  realtà  non  moviamo  un  passo  fuori  della mera  soggettività;  e  la  norma  ideale,  d’altra  parte, posta  fuori  del  pensiero  attuale,  è  la  mera  oggetti¬ vità,  a  cui  manca  il  ponte  di  passaggio  verso  il  soggetto.  Oggettività  pura  e  semplice,  e  soggettività  pura e  semplice,  dunque:  qui  la  soluzione,  in  fondo,  non fa  che  ridarci  tal  quale  il  problema. Il  platonismo  del  primo  saggio  si  trova  immutato negli  altri;  al  più  si  epura.  Nell’opuscolo  Percezione  e  penniero  è  detto  che  l’oggetto  opera  sul  soggetto,  imprimendo  in  questo  Tinimagine  di    stesso; immagine  che  non  è  per  nulla  sfigurata  e  deformata dalla  passione  del  conoscente,  perché  il  mutamento subito  da  questo  consiste  soltanto  in  ciò,  che  egli conosce  ciò  che  prima  non  conosceva .  La  conoscenza  viene  così  sempre  più  alleggerita  di  quel còmpito  copernicano  che  Kant  aveva  voluto  imporle e  quindi  ridotta  a  una  mera  duplicazione  inesplicabile  di  una  realtà  in    bell’e  fatta.  Il  termine  della speculazione  del  Bonatelli  è,  per  questa  via,  il  capo[Bonatkixi,  Pensiero  e  conoscenza^  Bologna.   Bonatelli;  Percezione  e  Pensiero  (Atti  del  R.  Istituto Veneto  di  scienze,  lettere  ed  arti,  volgimento  completo  della  tesi  kantiana:  la  forma non  è  più  del  soggetto  ma  appartiene  all’oggetto  in sé,  e  al  soggetto  non  viene  attribuito  che  la  semplice modilicazione  sensibile,  o,  in  altri  termini,  la  materia  11  che  significa,  se  non  mi  sbaglio,  volere ricondurre  la  tesi  dualistica  all’assurdo. Un  altro  dualista  orientato  verso  la  filosofia  di Lotze  è  il  Cantoni,  pur  con  la  sua  vasta,  ma  poco profonda,  cultura  kantiana.  Nel  suo  lodevole  tentativo  di  acclimatare  la  filosofìa  di  Kant  in  Italia,  egli introduce  quel  famoso  problema  sull’origine  psicologica  dell’apriori  che  ha  grande  fortuna  in  Germania,  e  che  costituì  per  lungo tempo  il  capo  dei  naufragi  di  molti  critici. Nell’intento  di CANTONI (vedasi),  quel  problema  dove  salvare  la  critica  dal  mero  soggettivismo  in  cui  pare la chiude Kant:  il  riconoscimento  della formazione  psicologica  dell’apriori  dove infatti  segnare il  punto  di  convergenza  della  doppia  azione  del  pensiero  e  della  realtà.  Ma  per  quella  legge  dell’eterogenia  dei  fini,  la  cui  fecondità  è  sorprendente,  la  ricerca  di CANTONI (vedasi)  è  viziata  precisamente  da  quello stesso  soggettivismo  contro  il  quale  egli  crede  di combattere.  Come  infatti  si  può  parlare  di  formazione  psicologica  dell’apriori,  tranne  che  questo  non venga  inteso  che  come  il  semplice  apriori  della  coscienza  empirica,  e  non  della  coscienza  e  insieme della  realtà?  Esso  dunque  presuppone  qua  una  coscienza,    una  realtà  bell’e  fatta,  e  dice:  questa  coscienza  nell’appropriarsi  quella  realtà  procede  per gradi;  è  prima  un  mero  aposteriori,  e  si  apriorizza  a poco  a  poco  con  lo  spogliarsi  del  contenuto  sensibile e  col  concepire  la  forma  astratta  delle  cose  che  il pensiero  può  padroneggiare  (concepire  universalmente,  necessariamente)  appunto  perché  è  vuota  di contenuto  Ma  questo,  è  il  falso  apriori  analitico  da cui  Kant  s’era  liberato  nella  sua  critica,  e  che  poi Lotze,  con  un  vero  anacronismo,  aveva  voluto  ripristinare.  Esso  non  regge  se  non  in  quanto  si  pone  il pensiero  da  una  parte  e  il  reale  dall’altra,  e  si  fa  giocare  il  pensiero  con    stesso,  nella  sua  vuota  interiorità.  E  questo  fa  appunto  il  Cantoni,  il  quale,  una volta  fuori  della  buona  via,  parla  di  applicazione delle  categorie  al  reale,  di  una  corrispondenza Ira  quelle  e  questo  con  un  completo  capovolgimento di  tutti  i  principi  fondamentali  del  kantismo. Uno  scrittore  raccolto  e  con  una  simpatica  intonazione  mistica  è  Francesco  Acri,  personalità  assai caratteristica  della  filosofìa  italiana  contemporanea. In  un  periodo  di  grande  rozzezza  spirituale,  quando il  materialismo  regnava  incontrastato,  l’Acri  osava scuotere  il  giogo  della  dittatura  e  affrontare  direttaniente  il  nemico.  Rivolgendosi  ai  naturalisti,  egli  diceva:  voi  con  la  vostra  cellula  credete  di  spiegar tutta  la  vita  della  coscienza,  e  in  realtà  non  spiegate niente;  nella  cellula  nulla  c’è  che  chiarisca  la  medesimezza  della  coscienza,  e  l’unità  sua,  e  la  sua  facoltà  formativa,  e  quella  speculativa,  e  quella  volitiva,  e  nulla  c’è  che  chiarisca  la  più  umile  delle operazioni  sue  E  ricorreva,  per  mostrare  l’impossibilità  di  comporre  l’uno  coi  più,  al  grazioso esempio  deH'aquila  dantesca  che  sembrava  un  unico essere,  ed  era  un’accolta  di  esseri;  e  dava  da  lon[Cantoni.  Kant,  Milano. . [Acri.  Videmua  in  aenìgmate,  Bologna. tano  l’illusione  di  dire;  «io,  io»,  nienlre  in  realtà, a  sentirla  da  vicino,  diceva  «  noi,  noi  ». Ma  il  platonismo  di  Acri  riproduce,  in  più sublime  sfera,  la  stessa  dilTicoltà,  e,  in  fondo,  la stessa  illusione  dell’aquila  dantesca.  Poste  le  idee, non  si  spiega  più  il  pensiero;  e  posta  l’intuizione immediata  della  verità  ideale,  riesce  inesplicabile la  rillessione  dell’autocoscienza.  Quindi  invano  cercherà  l’Acri  di  adombrare  con  immagini  poetiche  il principio  della  riflessione,  che  in  realtà  manca  nella sua  filosofìa.  Egli  ricorre  all’esempio  dello  scintillio della  luce  stellare;  ma  questo  esempio  appunto  tradisce  la  difficoltà  del  platonismo;  lo  scintillare  della stella  è  la  mera  apparenza  della  riflessione  ilella luce,  è  l’illusione  soggettiva  della  nostra  visione.  La dottrina  della  coscienza  è  così  la  nota  fuori  posto nella  concezione  dell’Acri;  questi  abbracciamenti tra  Platone  e  Kant,  a  tanti  secoli  di  distanza,  hanno sempre  qualcosa  di  fittizio. Nei  nomi  di  Bonatelli,  di  Cantoni  e  di  Acri  si compendia  l’indirizzo  dualistico  della  filosofia  italiana  della  seconda  metà  del  secolo  XIX.  Più  recentemente  esso  ha  avuto  un  altro  prosecutore  nel  De Sarlo,  fondatore  della  rivista  la  Cultura  filosofica. Questa,  sorta  in  antitesi  col  positivismo  e  con  l’agnosticismo,  e  riprendendo  alcuni  motivi  lotziani,  cerca di  svolgere  c  ravvivare  l’antico  dualismo,  col  porlo in  contatto  con  la  filosofia  europea  contemporanea, e  particolarmente  con  le  nuove  dottrine  gnoseologiche  e  con  le  ricerche  di  psicologia  sperimentale. E  torna  infine  opportuno  parlare  a  questo  punto di  un  pensatore,  che  neH’ultimo  decennio  ha  compiuto  uno  sforzo  notevole  per  conquistare  una  veduta  idealistica  della  realtà:  intendiamo  dire  del Varisco.  Nel  libro  Scienza  e  opinioni  del  1901,  egli  si muove  ancora  nel  campo  della  metafisica  dommatica. Il  mondo  è  da  lui  inteso  come  «  un  insieme  di  elementi  originari  o  monadi  che  operano  gli  uni  sugli altri.  Le  azioni  reciproche  tra  le  monadi  sono  in  effetti  di  due  specie.  Determinano  cioè;  una  variazione  in  ciascuna  monade;  una  variazione  tra  le monadi,  ossia  ne  modificano  raggruppamento  (la  distribuzione  spaziale).  I  fatti  della  prima  specie  sono psichici,  quelli  della  seconda,  fisici.Questo  è  il dualismo  della  metafisica  dommatica,  e  consiste  nel considerare  le  relazioni  del  mondo  fisico  come  affatto  fuori  della  monade    mentre  ripugna  alla monadologia  ammettere  azioni  inframonadiche  (le monadi  non  hanno  finestre);  e  una  volta  ammesse, risulta  inconcepibile  la  conoscenza  di  quelle  relazioni,  perché  non  si  comprende  dove  mai  esse  cadano,  se  son  fuori  della  monade. Ma  con  l’approfondire  il  concetto  della  monadologia,  il  Varisco  ha  superato  il  dualismo  della  metafisica  dommatica.  Nel  volume:  /  massimi  problemi il  dualismo  tra  fisi  e  psiche  ha  un  significato  gnoseologico,  nel  senso  che  quella  distinzione  non  è  più tra  due  realtà  estranee  l’una  all  altra,  ma  si  costituisce  nel  dominio  stesso  della  conoscenza.  La  realtà fisica  di  Scienza  e  opinione  diviene  una  psichicità, un  complesso  di  sensibili:  il  soggetto  (la  psichicità dell’antica  posizione),  diviene  l’unità  del  molteplice sensibile.  Su  questa  dualità  originaria,  il  Varisco eleva  la  sua  costruzione.  Da  una  parte  la  realtà dei  sensibili  si  costituisce  secondo  le  sue  leggi;  dall’altra  la  realtà  del  soggetto,  secondo  il  principio dell’unità  di  coscienza.  In  tal  modo  il  dualismo  non [VARISCO (vedasi),  I massimi  problemi,  Milano,  dove  è  riassunta  l’antica  dottrina.  Cfr.  ancora  Sciema  e  opinioni,  Homa] è  risoluto;  e  questo  perché  il  Varisco  non  ha  svolto il  concetto  dell’unità  della  coscienza  in  tutla  la  sua portata,  eliminando  quel  residuo  di  aristotelismo che  sta  nel  porre,  di  fronte  alla  coscienza,  dei  sensibili  non  sentiti,  delle  potenze  che  aspettano  di  porsi in  atto.  Insoinma  l’ombra  del  dommatismo,  «Iella  precedenza  di  quei  sensibili  di  fronte  all’atto  dell’auto¬ coscienza  permane  sempre,  e  in  veste  psicologica  si ripresenta  quella  realtà  fìsica  di  Scienza  ed  opinioni, che  il  Varisco  non  ha  mai  veramente  risoluta. Per  superare  il  dualismo,  egli  fa  ricorso  a  un  concetto  della  filosofia  rosminiana,  quello  dell’essere  in universale;  ma  ne  muta  profondamente  il  significato, che  non  è  più  per  lui  trascendentale,  ma  empirico, ed  esprime  soltanto  l’identità  del  pensato,  l’indifTerenza  di  soggetto  e  oggetto;  in  altri  termini,  quella psichicità  primaria  su  cui  deve  fondarsi  la  dualità di  fisi  e  psiche.  11  Varisco  compie  un  notevole  sforzo per  mostrare  come  questo  indifferenziato,  per  un’intima  esigenza,  .si  differenzi:  e  ciò  mostra  che  egli è  bene  addentro  nella  difficoltà  dell’idealismo;  ma non  mi  pare  che  risolva  il  suo  problema,  perché  non veggo  il  principio  della  differenziazione,  il  soggetto. Quel  differenziarsi  è  perciò  ancora  da  lui  inteso  nel senso  della  metafisica  dell’essere  e  non  del  conoscere,  vale  cioè  a  fondare  una  monadologia  e  non una  fenomenologia.  Per  giungere  a  questa  è  necessario  spogliarsi  del  tutto  della  preoccupazione  di  una realtà  fatta,  sia  come  natura,  sia  come  potenza  del pensiero,  e  guardarsi  dall’anticipare  in  qualunque modo  il  mondo  sull’atto  concreto  del  pensare. Già  nella  dottrina  che  il  Varisco  ha  accennato della  personalità,  s’intravvede  il  principio  di  un  approfondimento  dell’idea  del  soggetto.  Riporterò  le seguenti  sue  parole:  «Quando  ciò  di  cui  giudico sono  io  stesso,  il  mio  fare  non  è  più  soltanto  ricostruttivo;  è  veramente  costruttivo.  L’io  nel  senso vero  della  parola,  ossia  l’iinità  dell’autocoscienza ben  diversa  dalla  pura  unità  della  coscienza,  dal soggetto  animale    non  esiste  che  in  quanto  afferma sé  stesso  Bene,  ma  una  volta  inteso  che  riprodurre  è  in  verità,  nel  mondo  della  coscienza,  della realtà  in  fieri,  un  produrre,  bisogna  andare  avanti, approfondire  il  concetto  della  riflessione  creatrice, che  è  il  cardine  della  filosofìa  moderna,  svelare  tutti i  tesori  che  esso  racchiude:  allora  solo  si  vedrà, nella  trasparenza  della  coscienza,  tutta  la  realtà nella  sua  pienezza.  Il  Varisco  invece  si  ferma  a metà:  egli  infravvede,  ma  non  svolge,  il  motivo  fecondo  dell’iilealismo. Il  neo-kantisiiio  ifaliano  è per  molli  rispetfi  benemerito  della  nostra  cultura, per  avere  alacremente  pronio.sso  gli  studi  storici,  che fra  noi  facevano  difetto.  Si  pensi  che  perfino  i  due più  profondi  pensatori  italiani,  SERBATI (vedasi) e GIOBERTI (vedasi),  spropositarono  talvolta  nel  modo più  deplorevole  la  storia  del  pensiero,  si  da  falsare la  loro  stessa  posizione  storica  di  fronte  alla  speculazione  moderna.  E  nel  campo  della  storia  della  filosofia  si  sono  specialmeiile  distinti  il  Fiorentino,  il Tocco,  il  Masci,  il  Tarantino,  il  Chiappelli.  ed  altri ancora.  Ma,  quanto  aU’atteggiamento  dottrinale,  il neo-kantLsmo  ha  uno  stretto  rapporta  con  l’indirizzo di  cui  abbiamo  testé  parlato. La  sua  dottrina  si  svolge  infatti  più  specialmente nei  confini  segnati  dall’analitica  trascendentale  di i  Varisco,  /  massimi  problemi,  Kant.  Di  qui.  il  limite  della  sua  forza  speculativa c  dato  dalle  antinomie;  limite  che  si  vuol  poi  supe¬ rare  con  la  dimostrazione  della  vanità  di  ogni  me¬ tafisica.  Ma  con  la  metafisica  il  neo-kantismo  è  co¬ stretto,  suo  malgrado,  a  fare  i  conti,  quando  vuole spiegarsi  quell’apriori  che  esso  accetta  da  Kant.  Non appena  esce  dalla  semplice  distinzione  tra  il  pro¬ blema  della  formazione  empirica  delle  conoscenze  e quello  della  loro  validità,  e  vuol  cercare  di  spiegarsi il  come  e  il  perché  di  quest’ultima,  eccolo  già  alle prese  con  la  metafisica.  Il  valore,  come  abbiamo  già notato,  è  un  concetto  neutro,  bilanciato  tra  il  pen¬ siero  e  l’essere;  la  spiegazione  del  valore  è  dunque il  problema  metafisico  del  rapporto  tra  il  pensiero e  l’essere.  In  che  modo  risolverlo?  Il  neo-kantismo, non  sapendo  vedere  nelle  categorie  altra  cosa  che quel  semplice  fatto  del  valore,  ha  esaurito  già  la  sua provvista,  e  non  può  chiedere  perciò  al  suo  Kant quella  spiegazione  ulteriore;  esso  allora  la  persegui¬ terà  attraverso  la  psicologia,  la  biologia,  e  finirà  col ritrovarsi  in  una  posizione  che  aveva  già  oltrepas¬ sata  con  la  sua  premessa. Questa  dilTicoltà  del  neo-kantismo  si  rivela  nel modo  più  caratteristico  nella  parabola  descritta  dal suo  primo  rappresentante  in  Italia,  il  Fiorentino, che  non  riuscì  a  mantenersi  nella  sua  posizione  ini¬ ziale,  ma,  cedendo  all’urto  delle  nuove  ricerche  bio¬ logiche,  contro  cui  s’era  già  abbattuto  il  neo-kan¬ tismo  tedesco,  fini  col  fraintendere  del  tutto  il  si¬ gnificato  dell’apriori  kantiano,  contaminandolo  di naturalismo  evoluzionistico. Più  fedele  allo  spirito  del  neo-kantismo  è  MASCI (vedasi), che  se  ne  può  considerare  oggi  come  il  maggiore rappresentante.  Le  sue  istanze  negative  contro  i fraintendimenti  dei  principi  fondamentali  della 394 LA  FILOSOFIA  ITALIANA filosofia  kantiana  sono  solide,  ma  la  fondazione  posi¬ tiva  di  quegli  stessi  principi    luogo  alla  ditTicoltà già  notata  a  proposito  del  neo  kantismo  in  genere. Giu-stameute  Masci  difende  l’apriorità  dello  spazio e  del  tempo,  come  funzioni  spirituali,  dal  psicolo¬ gismo,  che  con  la  semplice  costruzione  delle  rappre¬ sentazioni  'di  spazio  e  tempo  s’illude  di  aver  soddi¬ sfatto  all’esigenza  dell’estetica  trascendentale;  col suo  mosaico  delle  sensazioni  esso  crede  di  costruir la  forma,  invece  la  presuppone  a  ogni  passo.  Né migliori  surrogati  della  deduzione  kantiana  offrono le  ricerche  biologiche  sull’apriori,  che  non  riescono addirittura  a  rendersi  conto  del  problema  di  cui  si tratta. Un  altro  errore  che  si  suol  commettere  nell’interpretazione  di  Kant,  è  quello  di  ridurre  la  realtà  alla mera  rappresentazione;  cosi,  osserva  il  Masci,  si  fa svaporare  il  reale,  mentre,  secondo  i  principi  del kantismo,  la  serie  psichica  non  ha  maggiori  diritti al  riconoscimento  della  serie  fisica.  Ma  esistono  fisi e  psiche  come  due  realtà  per  sé?  Qui  sta  il  problema. K  pare  che  il  Masci  a  un  certo  punto  sia  sulla  via di  risolverlo  secondo  il  criterio  dell’idealismo  assoluto,  col  riconoscere  l’inanità  della  riflessione  che vuol  risalire  a  una  realtà  oltre  l’atto  dell’autocoscienza  *.  Però  non  riesce  a  rendersi  conto  che  al di    di  queU’atto  non  c’è  una  realtà  che  sia  a  noi preclusa  per  la  scarsezza  delle  nostre  facoltà  mentali,  ma  che  non  c’è^ proprio  nulla,  fuori  che  la proiezione  della  nostra  ombra.  E  una  volta  perduto .il  criterio  dell’unità  concreta,  fisi  e  psiche  gli  restano innanzi  come  due  fatti  distinti,  che  egli  pur  sente [Masci,  Il  materialismo  psicofisico,  Napoli] il  bisogno  ili  unificare.  E  concepisce  cosi  il  suo  monismo:  «Non  si  tratta  di  sapere    come  la  materia  genera  il  pensiero,    come  questo  genera le  azioni  materiali.  Porre  cosi  il  problema  è  renderlo  insolubile,  perché  le  idee  di  materia  e  spirito sono  generalizzazioni  unilaterali,  astrazioni  nostre, operate  in  direzioni  opposte,  di  un  processo  che  in realtà  è  unico»'.  E  per  conseguenza  cerca  di  trasferire  quell’unità  in  un  passato  in  cui  psiche  e  tisi erano  indill'erenziate. La  monadologia  da  una  parte  e  il  principio  nuovo dell’autocoscienza  dall’altra  :  questa  a  me  pare  la doppia  esigenza  inconciliata  in  cui  si  travaglia  il pensiero  del  Masci.  E  nella  stessa  ditlicoltà  s’imbatte un  altro  filosofo,  il  Martinetti,  che  vi  resta  impigliato,  benché  faccia  un  grande  sforzo  per  liberarsene,  cercando  di  fondere  la  metafìsica  dell’essere con  la  luelalìsica  del  conoscere.  Come  già  il  Bnirac, egli  concepisce  il  reale  come  una  pluralità  di  monadi,  o  (per  togliere  la  possibilità  di  un  fraintendimento  storico)  di  centri  coscienti  o  unità  sintetiche di  soggetto  oggetto  Ma  questa  pluralità,  realisticamente  intesa,  è  incompatibile  con  la  monadologia. Posta  la  monade,  o  comunque  il  rapporto  soggettooggelto,  è  con  ciò  tolta  la  realtà  (nel  significato realistico)  delle  altre  monadi,  la  cui  esistenza  è  possibile  solo  come  iilealilà  nella  monade.  Lo  svolgimento  deH’idealismo  è  consistito  nell’approfondire questo  concetto  nuovo  dell’idealità,  in  cui  s’è  riconosciuta  la  realtà  vera  e  concreta:  così  è  stato  abbattuto  il  vecchio  concetto  del  mondo  come  totalità naturale,  e  s’è  costituito  il  nuovo  concetto  del  mondo come  esperienza  assoluta.  Il  Martinetti  invece  tien fermo  ancora  all’idea  del  mondo  come  un  tutto naturale  e  dissemina  lungo  di  esso  i  suoi  centri  coscienti,  .senza  intendere  che  questo  è  incompatibile col  concetto  nuovo  dell’idealità  che  egli  mostra  di accettare.  Ond’è  che,  malgrado  tutti  gli  sforzi,  egli resta  un  realista,  e,  come  tale,  si  mostra  impigliato in  una  difficoltà  insolubile  allorché  vuol  superare  il disgregamento  dei  principi  coscienti  in  una  unità superiore.  Una  volta  posta  dommaticamente  la  pluMabtinetti.  hitroiiuzlone  alla  melathica,  Torino ralità  delle  coscienze,  l’unitù  o  sarà  un  nome,  o  un principio  trascendente,  perché  lo  ripeto,  la  pluralità,  come  tale,  è  fuori  dell’atto  di  coscienza. Dato  questo  residuo  di  dommatismo,  un  vero  superamento  della  metafisica  dell’essere  non  è  più possibile  a Martinetti,  il  quale  non  riesce  che  a  una conciliazione  apparente  tra  quella  metafisica  e  la nuova  metafisica  del  conoscere,  col  mostrare  che  la stessa  instabilità  dei  centri  coscienti,  per  cui  essi  si sviluppano  e  si  potenziano  in  sintesi  sempre  più  alte, si    nel  campo  del  conoscere  come  processo  delle conoscenze  dalle  forme  più  semplici  e  imlilTerenziate del  senso  alle  sintesi  più  alte  dcH’iiitellelto  e  della ragione.  Qui  non  fa  che  ripro.  Purtroppo  egli  sa  per esperienza  che  la  gente  a  cui  osa  parlare  di  Hegel è  solita  di  prendersi  segretamente  gioco  di  lui,  e allora  conclude:  «che  l’hegelismo  non  si  può  dimostrare  che  ad  un  hegeliano  >  *.  E  allora  insorge più  grave  un  nuovo  problema:  «Come  si  fa  a  diventare  hegeliani?  ».  Qui  le  cose  si  complicano,  una volta  che  non  si  può  diventare  hegeliani  se  già  non si  è  tali.  Ecco  l’antinomia  da  risolvere;  e  l’unica via  possibile  è  di  ammettere  che  hegeliani  si  è  in quanto  si  nasce.  Questa  è  per  lui  una  vera  rivelazione:  egli  finirà  per  convincersi  di  essere  hegeliano per  diritto  divino,  e  dall’alto  di  questa  convinzione  potrà  lanciare  uno  sguardo  di  commiserazione ai  non  eletti,  rassegnarsi  alle  defezioni  dei  suoi scolari,  e  abbandonarsi,  senza  nessuna  preoccupazione  di  essere  inteso  o  compreso,  alle  sue  contemplazioni. La  filosofia  di  Vera  è  appunto  la  contemplazione del  sacerdote  di  Brahma.  Il  termine  a  cui  s’appunta »  A.  Vera,  Inlroduclion  à  la  philosophie  de  Hegel,  Paris, in.   l’ideali.smo  assoluto è  l’idea  nella  sua  vuota  universalità,  .senza  più  nessun  contatto  col  mondo  della  vita.  Per  toccarla  bisogna  porsi  al  di  sopra  della  sfera  del  sentimento, abdicare  alla  propria  coscienza  individuale,  e  purilicarsi  di  tutta  la  propria  contingenza  umana.  Che cosa  credesse  il  Vera  di  conquistare  in  un  tal  modo, è  difiìcile  dire;  non  certo  Puniversale  concreto  di Hegel.  Ed  è  davvero  impressionante  vedere  come  le pagine  piene  di  vita  della  Fenomenologia  o  della Logica,  dove  tutto  il  mondo  della  storia  si  fonde  in una  grandiosa  epopea,  diano  luogo,  per  opera  del sonnolento  hegeliano,  a  un  annacquato  platonismo che  prende  le  idee  per  entità  e  per  mere  rappresentazioni  di  cose,  e  le  dialettizza  in  un  nebuloso  empireo.  Qui  si  compiva  quel  pervertimento  dell’hegelismo  in  una  nuova  metafisica  dell’essere,  assai  peggiore  dell’antica,  perché  cristallizzava  l’idea  nelle cose,  e  deduceva  i  cavalli  dagli  asini,  commisurando la  deduzione  al  grado  progressivo  di  perfezione  delle relative  idee.  Di  fronte  a  una  tale  metafisica  era  la benvenuta  la  reazione  dello  Schopenhauer,  contro cui  pur  sentiva  bisogno  il  Vera  di  protestare. Con  ben  altra  mente  concepiva  l’hegelismo  Spaventa.  Gioberti  aveva  detto,  non  diversamente  da  Hegel  :  pensare  è  creare.  L’idea  del pensiero  come  creazione  è  l’idea  nuova  della  Qlosofla kantiana,  mentre  Cartesio  e  Spinoza  non  erano  giunti che  al  concelto  del  pensare  come  causare.  Ma  Gioberti  s’era  elevato  al  nuovo  principio  tutto  d’un colpo,  per  una  subitanea  esplosione:  egli  aveva intuito  ma  non  provato  la  creazione;  questa  per lui  era  un  fatto,  indeducibile  e  indimostrabile. Eppure  egli  stesso,  in  un  passo  importantissimo  delle  Postume,  aveva  integrato  la  formula  del pensare  =  creare,  con  l’altra  :  provare  è  creare.  Il pensiero  prova  l’atto  creativ*o  col  riprodurlo  e  ricrearlo  dentro  di  sé;  ma  riprodurre  è  produrre,  e  ricreare  è  creare.  Ecco  il  nuovo  grande  concetto  della mentalità,  la  quale  non  si  svolge  per  accrescimento  e riproduzione  del  suo  prodotto,  ma  per  creazione  del nuovo:  il  prodotto  stesso  non  esiste  che  in  questo  nuovo  produrre;  l’atto  creativo,  che  in  questo atto  che  lo  ricrea.  A  tale  conclusione  non  era  giunto il  Gioberti,  il  quale,  anzi,  dall’idea  che  provare  è creare  aveva  voluto  inferire  che  la  creazione  è  indimostrabile.  Ma.  poiché  il  carattere  essenziale  della mentalità  è  appunto  il  provare  (in  ciò  la  mente si  distingue  dalla  sostanza  che  si  definisce  soltanto), il  problema  che  la  filosofia  di  Gioberti  apriva  ai  successori  era  :  provare  la  creazione.  Ed  è  questo  appunto  il  problema  di  Spaventa:  «Gioberti  dice:  essere  è  creare,  pensare  è  creare,  creare  è  pensare.   Questa  identità  bisogna  provare . «Creare  è  l’Ente  concreto,  soggiunge  Spaventa,  è  fare,  realizzare,  individuare,  sostanziare, entare,  far  esistere;  è  la  realtà,  l’assoluta  realtà. È  assoluta  realtà,  perché,  per  Gioberti,  Dio  stesso  è creare,  creare    stesso.  Toglieteci  creare  e  avrete il  niente.    Eppure  non  si  ha  mai  il  niente;  giacché togliere  qui  è  pensare;  il  pensare  rimane,  e  ci  è sempre.  Ciò  vuol  dire:  il  creare,  tolto,  rimane;  perché  il  togliere  stesso  è  creare:  cioè  come  semplice togliere    negare    è  momento  del  creare.  Ora  come si  prova  la  realtà,  il  creare?  » «Il  Pensare  è;  non  può  non  essere.  Il  Pensare prova    stesso:  negare  il  Pensare  è  Pensare.  11  Pen-,  IV.  Gioberti,  Nuova  ProtoloQla,  6  B.  Spaventa,  La  filosofìa  Italiana  nelle  sue  relazioni  con la  filosofia  europea,  Bari (Appendice:  Schizzo  d’una  storia della  logica). LA  FILOSOFIA  ITALIANA inesauribile  ricchezza  è  il  grande  pregio  della  Lo¬ gica  hegeliana.  Essa  spiega  il  processo  originale, creativo,  per  cui  il  pensiero  creando  le  proprie  de¬ terminazioni  crea    medesimo;  è  la  storia  ideale, eterna  del  pensiero,  prospettata  nel  sistema  della scienza.  Sta  qui  il  significato  dell’afTermazione  dello Spaventa,  che  la  spiegazione  del  creare  è  la  logica. Questa  logica,  di  cui  lo  Spaventa  toglie  ad  Hegel, dirò  cosi,  lo  scheletro,  è  da  lui  svolta  nel  suo  ca¬ rattere  più  profondo,  perché  concepita  nel  suo  mo¬ tivo  storico  (cartesiano).  L’interpretazione  delle  tre prime  categorie,  l’essere,  il  non  essere,  il  divenire, costituisce  di  per    sola  il  documento  maggiore della  originalità  dello  Spaventa.  L’essere  è  da  lui  inteso  come  la  posizione  immediata  del  pensiero,  come il  semplice  pensato.  Esso  è  l’assoluto  astratto,  è  il pensiero  che  s’estingue  neH’cssere.  Ma  io  penso  l’es¬ sere,  c  in  quanto  lo  penso,  l’essere  non  è  più  il  semplice  astratto,  ma  il  mio  astrarre,  il  mio  pensare. Dunque,  per  virtù  stessa  del  pensiero,  l’estinguersi del  pensiero  nell’essere  è  in  verità  un  distinguersi. Per  la  grande  importanza  dell’argomento,  ripeterò  testualmente  il  nostro  autore.  «  Fissando  l’essere —  egli  dice    io  non  mi  distinguo  come  pensiero dall’essere;  io  mi  estinguo  come  pensiero  nell’essere;  io  sono  l’essere. Ora  questo  estinguersi del  pensare  nell’essere  è  la  contradizione  dell’essere. E  questa  contradizione  è  la  prima  scintilla  della dialettica.  L’essere  si  contradice,  perché  questo estinguersi  del  pensare  nell’essere,    e  solo  cosi  è possibile  l’essere,    è  un  non  estinguersi:  è  distinguersi,  è  vivere.  Pensare  di  non  pensare,  fare  astrazione  dal  pensare,  cioè  fissare  l’essere,  è  pensare;  è astrazione,  cioè  pensare.  »  Questa  contradizione  del pensiero  che  si  estingue  nell’essere,  e  in  quanto  si estingue,  pensa,  e  cioè  si  distingue  e  risorge,  è  il divenire    inteso  come  pensare. «  Essere  e  non  Essere,  in  quanto  inverati  nel  Divenire,  non  sono  più  quel  che  erano  prima  di  essere inverati;  ma  sono  ciascuno  quella  stessa  unità  nella differenza  che  è  il  divenire;  e  in  quanto  tale  unità, sono  davvero,  cioè  attualmente,  distinti.  In quanto  veramente  uno  e  distinti,  si  dicono  appunto inverati;  cioè  momenti  del  divenire». Spaventa,  La  fllos.  Hai.  conseguenza  un’altra  distinzione:  quella  della  verità in    e  della  verità  per  noi,  di  una  metessi  e  di  una mimesi,  nel  linguaggio  giobertiano.  «  Questa  propedeutica,  egli dice alludendo  alla  fenomenologia, che  è  scienza,  e  prova  il  primo  della  scienza,  ci  è solo  in  quanto  ci  siamo  noi,  coscienza  o  spirito  finito:  noi  dobbiamo  elevarci  alla  scienza,  non  siamo immediatamente  scienza.  La  vera  scienza,  invece, ci  è  in    assolutamente;  è  non  solo  umana,  ma  divina;  quando  l’altra  è  solo  umana,  e  non  divina.  È  divina  come  momento  della  vera  scienza,  non  come propedeutica;  Dio  non  ha  bisogno  di  propedeutica.  Quanti  c.avilli  per  dissimulare  un  passo falso!  In  fondo  qui SPAVENTA (vedasi)  è  un  dommatico  della più  bell’acqua,  un  platonico  che  distingue  una  verità in    e  una  verità  per  noi,  mentre  ciò  ripugna  nel modo  più  completo  al  nuovo  idealismo.  La  ragione dell’errore  è  che  allo  Spaventa  manca  del  tutto  una fenomenologia  dell’errore;  quindi  egli  non  riesce a  svolgere  il  concetto  nuovo  della  verità  come  sviluppo,  come  processo,  che  pure  è  nello  spirito  della sua  lìlosotìa;  ma  Unisce  inconsciamente  coll’oggettivarla  in  un  che  di  fatto  e  di  compiuto,  in  una realtà  in  sé.  Qui  c’è  ancora  un  residuo  della  mentalità  del  vecchio  hegeliano,  che  mentre  ammette il  progresso,  il  movimento,  e  simili,  è  condotto  poi, per  la  sua  soverchia  fedeltà  alla  lettera,  a  negare tutte  queste  cose,  allorché  è  giunto  al  culmine  della speculazione. Ma  non  è  qui  che  bisogna  vedere  nella  sua più  grande  vivezza  il  pensiero  di  Spaventa.  Quello stesso  Spaventa  che  affermava  il  carattere  astrattamente  divino  della  scienza,  diceva  poi,  con  quanta maggior  verità!,  che  l’apriori  è  la  stessa  potenza nuova  della  natura,  la  potenza  umana,  la  quale  risulta  e  si  concentra  e  s’individua  da  tutta  la  sparsa attualità  antecedente:  e  perciò  è  insieme  un  assoluto aposteriori'.  Qui  s’intravvede  il  vero  Spaventa,  il pensatore  che  meglio  di  ogni  altro  ha  compreso  la vera  umanità  dell'assoluto,  di  quell’assoluto  che  non è  lontano  da  noi,  ma  ci  è  intimo,  e  non  è  fuori  della nostra  contingenza,  ma  è  questa  stessa  contingenza, sub  specie  aeterni.  Egli  dice. Tutti  coloro  che  fanno ad  Hegel  due  accuse  opposte,  di  relativismo  e  di  assolutismo,  sono  il  trastullo  di  una  illusione  ottica, propria  della  posizione  in  cui  si  mettono;  ciascuna parte  prende  di  mira  nell’assoluto  hegeliano  qiiell’elemento  che  a  lei  fa  male  agli  occhi:  i  semi-soggettivisti,  l’esperienza  (il  fenomeno,  la  manifestazione,  il  divenire);  gli  oggettivisti,  il  pensiero;  nessuna  ha  l’animo  e  la  potenza  di  aflìssarlo  come  quello che  è  veramente,  vale  a  dire  come  ragione  assoluta,  al  di    della  quale,  oltre  e  fuori,  non  vi  ha nulla,  e  il  relativo  e  il  cosi  detto  assoluto  non  sono che  enti  astratti,  e  come  membri  scissi  dall’unità organica  e  viva:  da  un  lato  viene  scambiata  la  relazione  col  relativo  (come  opposto  all’assoluto),  e daH’altro  l’assolutezza  coll’assoluto, come  opposto  al relativo.  Ai  primi  io  dico:  il  processo  dal  primo pensabile  (dal  puro  essere)  al  pensabile  assoluto  (all'assoluta  soggettività  del  mondo,  come  unità  di  conoscere  e  volere,  di  verità  e  bontà),  e  da  questo come  prima  esistenza,  esteriorità  omogenea  e  indifferente  o  spazio,  all’intimità  o  soggetto  corporeo, Scritti  flios.  eli.,  (Paolotlismo,  positivismo,  razionalismo). all’animale,  al  senso,  come  senso  umano  o  spirituale, allo  spirito  o  soggetto  assoluto,  questo  processo  non è  un  gioco  vano  del  pensiero  con    stesso,  solamente  nel  mio  intendimento,  o  un  pallido  riflesso di  un  lontano  ed  invisibile  oggetto;  ma,  come  atto infinito,  come  il  pensiero  che  si  determina  in  sé medesimo  e  si  raccoglie  nelle  sue  determinazioni  e si  condensa  e  concentra  e  si  compie  e  pone  come assoluto  pensiero,  è  l’atto  dell’assoluto,  il  suo  intendimento,  la  presenza  sua,  lui  stesso.  Ai  secondi  dico: questo  processo,  appunto  come  produzione,  osservazione  critica  che  il  pensiero  fa  di    stesso,  e  in quanto  il  pensiero,  e  non  altro  che  lui,  principia originalmente  e  investe  sempre  e  conchiude  quella che  si  chiama  comunemente  esperienza,  e  non  si esercita  fuori  e  senza  di  questa  come  in  vuoto  aere; questo  processo  è  non  solo  empiria,  ma  la  vera  e assoluta  empiria;  e  ha  sempre  più  valore  d’ogni frammento  e  articolo  sconnesso  a  cui  si    tal nome. Qui,  pur  con  qualche  reminiscenza  dell’antico schematismo  hegeliano,  c’è  il  pensiero  nuovo,  che concentra  tutta  la  vita  dell’hegelismo.  Di  fronte  al concetto  della  relazione  assoluta,  che  è  quello  stesso del  fenomenizzarsi  della  realtà  nel  pensiero  umano, scompare  ogni  dualità  del  pensiero  in    e  del  pensiero  per  noi,  di  un  processo  della  coscienza  e  di  un processo  della  scienza;  e  in  quanto  la  realtà  non  è il  mero  contingente   il  mero  assoluto,  ma  il  processo  assoluto  del  contingente,  essa  non  è  soltanto una  soluzione  o  una  cosa  bell’e  fatta  e  anticipata senza  problema,    qualcosa  che  si  perseguita  sempre  e  a  cui  non  si  arriva  mai,  un  eterno  problema SPAVENTA (vedasi).  Principii  di  etica,  Napoli. l’idealismo  assoluto che  non  è  mai  soluzione,  ma  è  l’eterno  problema che  è  l’eterna  soluzione,  l’assoluta  possibilità  che è  l’assoluta  attualità.  Svolgere  questo  concetto  è  soddisfare  all’esigenza  millenaria  posta. Qui,  come  si  vede,  il  Gentile  riprende  e  svolge  il concetto  della  dialettica,  accennato  dallo  Spaventa nel  suo  scritto  sulle  prime  categorie  della  logica  di Hegel:  è  la  dialettica  dell’essere  e  del  pensiero,  che, sola,  a  noi  sembra  feconda  e  rispóndente  allo  spirito  dell’idealismo  post-hegeliano.  L’assoluta  apriorità  della  sintesi,  in  questo  dialettismo,  è  l’assoluta [Gentile.  L’atto  del  pensare  come  atto  paro  (voi.  I  dcll’Annuario  della  biblioteca  fllosoofca  di  Palermo),  immanenza  del  pensiero,  come  atto  puro  o  pensiero concreto.  Come  tale  esso  è  pensiero  nostro;  fuori  di questa  attualità  non  v’è  il  pensiero,  ma  il  pensato, che  è  natura,  materia.  E  il  ritmo  dialettico  del  pensare  è  appunto  il  convertirsi  del  pensiero  in  pensato,  dell’alto  in  fatto,  per  risorgere  poi  eternamente da    medesimo. Questa  dottrina  dell’assoluta  immanenza,  per  cui la  vera  concretezza  è  il  pensiero  attuale,  e  che  perciò nega  esplicitamente  ogni  anticipazione  della  realtà come  potenza  sull’atto  del  pensare,  ed  è  la  più  recisa  negazione  del  vecchio  concetto  del  mondo  come il  tutto  dell’immaginazione,  è  stata  appena  abbozzata  in  poche  pagine  dal  Gentile.  Ogni  ulteriore discussione  intorno  ad  essa  è  prematura;  bisognerà prima  conoscerla  nel  suo  pieno  svolgimento. Abbiamo  seguito  lo  sviluppo  del  pensiero  italiano  moderno  dalle  sue  origini  fino  ai  tempi  nostri.  Questo sviluppo  non  ha  subito  nessuna  brusca  interruzione come  falsamente  si  è  creduto.  Il  naturalismo  del Rinascimento  precede  e  preannunzia  il  movimento cartesiano,  e  similmente  la  dissoluzione  del  naturalismo,  che  avverrà  in  Germania  per  opera  di Kant  e  dei  suoi  successori,  s’inizia  già  in  Italia col  Vico,  e  prosegue  poi,  a  un  secolo  di  distanza,  con SERBATI (vedasi) e  GIOBERTI (vedasi), che  inconsapevolmente  attuano  l’esigenza  posta  dalla  nuova  metafisica  della mentalità. La filosofia speculativa  ITALIANA,  non  altrimenti da  quello  europeo,  entra  in  un  periodo  di  decadenza. Le  ultime  apparizioni  della  metafisica  sono tenui  c  senza  consistenza,  come  l’ombre  della  caverna  platonica.  Il  positivismo,  in  Italia  come  altrove,  sorge con la giusta esigenza d’una dottrina che non  vuole  anticipare  col  pensiero  sulla  realtà, ma  finisce  ben  presto  col  falsare  la  sua  premessa  in un  miscuglio  ibrido  di  dottrine  e  in  una  mal  dissimulata  simpatia  per  il  materialismo.  I  suoi  primi  accenni  sono  opera  di  specialisti,  come  CATTANEO (vedasi), CABELLI (vedasi), VILLARI (vedasi) ed  altri  ancora. Privi  di  vera  originalità  filosofica,  ma  corretti  nella  loro  povertà;  le sue  ulteriori  esplicazioni  sono  orientate  verso  la scienza  naturale  e  particolarmente  biologica.  Il  rappresentante  maggiore  di  questo  indirizzo  è  .\rdigò  che,  per  il  suo  sforzo  serio  e  tenace  di  pensiero,  pur  senza  dire  quasi  niente  di  nuovo,  eleva il  positivismo  italiano  quasi  all’altezza  di  tutti  i  positivismi  del  mondo. La  rinascita  del  pensiero  speculativo  è  segnata da  un  approfondimento  del  dualismo  tra  il  pensiero e  l’essere,  che  già  si  accennava  nelle  opere  di ROVERE (vedasi)  e FERRI (vedasi),  e  per  cui  si  passa  dal  dualismo dommatico  di BONATELLI (vedasi) al  dualismo  gnoseologico di VARISCO (vedasi).  Il  criticismo,  come  quello  che  non svolge  la  nuova  potenza  dell’apriori,  si  travaglia nello  stesso  problema,  e  non  riuscendo  a  superare la  posizione  della  metafisica  dell’essere,  finisce  col ricadérvi,  annullando  cosi  il  concetto  nuovo  dello spirito,  che  esso  attinge  originariamente  alla  filosofia  critica.  E  infine,  librato  sulle  due  metafisiche,  in  una  posizione  incerta,  ma  pure  interessante ed  originale,  MARTINETTI (vevasi) segna  il  punto  in  cui  la mentalità  del  criticismo  si  volge  verso  l’idealismo  assoluto. .Ma  la  linea  classica  della  METAFISICA ITALIANA è ripresa  da SPAVENTA (vedasi),  che  promuove  l’indirizzo della  filosofia  di GIOBERTI (vedasi) con  quella  più  chiara  coscienza  della  sua  vera  natura,  chft  poteva  esser  data dalla  nuova  cultura  hegeliana.  Con  SPAVENTA (vedasi) comincia  implicitamente  il  processo  dissolutivo  della  filosofìa  di Hegel,  che  è  in  pari  tempo  costitutivo  di  una  nuova metafisica,  che  mira  a  svolgere  nella  sua  pienezza la  potenza  umana  della  realtà,  l’apriori critico, negando  nel  modo  più  reciso  ogni  trascendenza.  Le tappe  di  questo  cammino  sono  segnate  da  Croce  e da Gentile:  con  essi,  gli  sforzi  della  filosofìa  italiana  convergono  alla  stessa  meta  di  quelli  della lìlosolìa  europea,  verso  una  dottrina  dell’assoluta immanenza,  che,  come  assoluto  idealismo,  sarebbe anche  in  pari  tempo  il  vero  e  assoluto  positivismo. Abbiamo  seguito,  nelle  esplicazioni  originali della  sua  vita,  lo  sviluppo  del  pensiero  contemporaneo.  Nelle  diflerenze  degli  indirizzi  e  delle  correnti,  il  lettore  avrà  già  potuto  osservare  quell’identitù  spirituale  profonda,  che  vince  l’apparente atomismo  delle  dottrine,  e  per  cui  quel  pensiero  è l’unico  pensiero  contemporaneo,  nei  vari  momenti del  suo  corso  vitale. E  sorgono  ora  le  domande:  a  che  mai  esso  tende? È  una  vita  che  si  dissipa  in  un  gioco  senza  scopo, in  una  ridda  di  teorie  di  cui  l’una  vive  della  morte dell’altra,  in  una  rassegnata  attesa  che  suoni  la  propria  ora?  O  è  un  momento  di  vita  questa  morte;  e allora  a  che  vive  quella  vita?  Qui  la  facile  sapienza agnostica  si  accontenterebbe  di  rinunziare  a  com¬ prendere  l’intimità  più  profonda  del  pensiero,  col chiamar  vana  la  pretesa  per  cui  noi,  atomi  sperduti neU’immensità  del  pensiero,  vogliamo  erigerci  a  giu¬ dici  del  pensiero:  come  può  un  elemento  trascurabile  adeguarsi  al  tutto?  Ma  a  noi  ripugna  questa dotta  ignoranza.  Noi  abbiamo  la  ferma  coscienza  che il  pensiero  non  è  la  vuota  immensità  che  ci  opprime, perché  al  di  sopra  di  noi,  ma  è  pensiero  nostro,  è l’intimità  di  noi  a  noi  stessi.  La  vastità  non  deve opprimerci,  perché  non  ci  sta  di  fronte  distesa,  ma è  dentro  di  noi  raccolta,  nello  stesso  processo  continuo  della  ricerca,  per  cui  progrediamo  da  una  po¬ sizione  all’altra.  La  storia  del  pensiero  del  mondo non  è  che  la  semplice  storia  psicologica  di  ciascuno di  noi,  che  vive  in    i  momenti  di  quel  pensiero universale. Questa  convinzione  ci  è  di  grande  conforto.  Nella nostra  storia  intima  noi  ricordiamo  mille  sconfitte e  mille  vittorie,  ricordiamo  la  ridda  delle  teorie,  che sembrano  nascere  soltanto  per  perire;  e  nondimeno questo  non  ci  suggerisce  alcuna  considerazione  pes¬ simistica,  perché  la  salda  coscienza  del  nostro  pen¬ siero  attuale  è  coscienza  di  forza,  di  vita  e  non già  di  morte;  e  noi  inneggiamo  perfino  alla  morte perché  sentiamo  che  del  trionfo  su  di  essa  è  mate¬ riata  la  nostra  vita.  Cosi  è  di  tutta  la  storia. Noi  qui  abbiamo  scritto  l’epigrafe  di  molte  dottrine:  è  la  stessa  epigrafe  che  abbiamo  scritta  sui momenti  oltrepassati  della  nostra  vita;  con  la  stessa fiducia  noi  possiamo  renderci  interpreti  della  vita nuova  che  si  concentra  e  s’individua  dalle  varie correnti  del  pensiero  moderno,  perché  sentiamo  che è  la  vita  stessa  che  si  agita  in  noi  e  che  ci    forza di  dominare  i  momenti  di  vita  oltrepassata. La  storia  non  è  fonte  di  pessimismo,  e  neppure di  facile  ottimismo,  ma  di  forza,  di  tenacia,  di  la¬ voro.  Ormai  il  positivismo  è  finito,  il  kantismo  dà gli  ultimi  aneliti,  e  le  improvvisazioni  filosofiche,  che un  tempo  son  parse  le  prime  espressioni  di  una nuova  filosofia,  ci  fanno  appena  sorridere;  erano forse  dei  vagiti;  come  riconoscere  in  essi  le  nostre voci?  A  taluno  parrà  che  noi  parliamo  qui  con troppa  sicurezza.  Ci  si  dirà:  siete  voi  ben  sicuri  di non  essere  dei  tardi  epigoni  di  un  lontano  movi¬ mento  di  pensiero?  ombre  e  non  corpi  vivi?  È  questo il  problema  che  la  storia  deve  risolvere;  e  allora si  vedrà  se  noi    parlo,  s’intende,  in  nome  del nuovo  idealismo,  non  pure  italiano,  ma  europeo  — se  noi,  che  diamo  principio  a  rinnovar  l’antica  tìlosolìa,  siamo  nella  mattina  per  dar  fine  alla  notte,  o pur  nella  sera  per  dar  fine  al  giorno,  come  diceva il  nostro  Bruno. Nella  filosofia  contemporanea  si  compie  la  critica del  movimento  kantiano,  che  culminò  in  Hegel.  Ma questa  critica,  lungi  dall’essere  dissolutrice  come  i suoi  inconsapevoli  ministri  hanno  creduto,  è  la  vera critica  integratrice,  che  comincia  a  colmare  l’abisso tra  Kant  ed  Hegel  e  a  svolgere  i  motivi  nuovi delle  loro  dottrine.  La  filosofia  kantiana,  col  suo concetto  della  cosa  in  sé,  apriva  largo  adito  alla trascendenza  nelle  sue  varie  forme,  che  si  possono compendiare  tutte  nel  dualismo,  non  risoluto,  dell’essere  e  del  pensiero.  Hegel,  negando  questo  dualismo,  e  unificando  la  logica  dell’essere  e  quella del  conoscere,  sopprimeva  virtualmente  l’idea  della trascendenza,  ma  nel  fatto  poi  la  ripristinava  nel seno  stesso  della  nuova  immanenza  da  lui  scoperta: scienza  e  coscienza,  logo  e  natura,  natura  e  spirito; ecco  in  una  veste  nuova  le  antiche  forme  del  dualismo. Nella  decadenza  e  nel  discredito  della  filosofia idealistica  che  comincia  dopo  Hegel,  pare  che  siano naufragate  tutte  le  sue  più  geniali  intuizioni:  il naturalismo  e  il  positivismo  dichiarano  bancarotta della  metafisica,  ed  esaltano  i  fatti,  l’esperienza.  Eppure,  nel  loro  linguaggio  infantile  e  confuso,  essi sono  gli  esponenti  di  quella  stessa  esigenza  nuova, che  aveva  posto  l’hegelismo:  la  negazione  del  trascendente,  l’immanentismo  assoluto.  Nella  storia della  filosofia  ricorre  spesso  questo  tema  immanentistico:  con  Aristotele,  di  fronte  alla  dottrina  delle idee,  con  BRUNO (vedasi) e  Spinoza,  di  fronte  alla  scolastica. Ma  questo  continuo  ricorrere  è  un  continuo  progredire;  cosi  Tultima  sua  apparizione  nel  secolo  XIX non  è  più  quella  di  un’immanenza  puramente  ideale, né  divina,  ma  schiettamente  umana. Ma  se  sotto  questo  aspetto,  come  espressioni  di esigenze  nuove,  il  naturalismo  e  il  positivismo  hanno per  la  storia  un  grande  valore,  lo  stesso  non  può dirsi  del  modo  con  cui  hanno  cercato  di  attuare  il proprio  tema.  Noi  perciò  nel  corso  della  nostra  esposizione,  mentre  abbiamo  accentuato  l’importanza ideale  di  queste  dottrine,  ci  siamo  guardati  con  cura dal  farne  un’ampia  esposizione,  perché  l’ignoranza dei  loro  autori  è  tale,  che  non  sanno  essi  stessi  dove risegga  l’originalità  della  loro  posizione,  e  Uniscono col  dare  un  ricalco  di  temi  oltrepassati,  confusi  insieme  neiribridismo  più  strano.  Ma  il  significato ideale  del  naturalismo,  che  sorge  dalle  scienze  biologiche,  è  questo:  che  vana  è  la  pretesa  di  voler  far del  pensiero  un’entità  vaga  e  nebulosa,  venuta  su  chi sa  come,  a  illuminare  il  mondo  della  materia,  mentre bisogna  indagare  la  genesi  del  pensiero,  se  si  vuol dare  una  spiegazione  vera  e  propria  di  esso.,  E  il significato  del  positivismo  sta  nella  negazione  di ogni  vuota  ideologia,  che  pretenda  fare  a  meno  dei fatti  e  anticipare  in  qualunque  modo  su  di  essi  col pensiero.  Si  tratta  insomma  di  quell’eterno  motivo immanentistico  con  cui  la  cultura  ha  compiuto  la  critica. Ma  il  significato  ideale  del  naturalismo  e  del  positivismo  sta  soltanto  nei  nuovi  problemi  e  non  già nelle  soluzioni  loro;  perché  il  naturalismo,  nel  suo tentativo  d’indagare  la  genesi  biologica  del  pensiero retrocedeva  al  periodo  pre-cartesiano  della  storia. ]cioè  alla  dottrina  degrinflussi  fìsici  tra  l’anima  e  il corpo;  e  d’altra  parte  il  positivismo,  col  richiamarsi al  fatto  come  a  realtà  assoluta,  ricadeva  in  quella trascendenza,  che  esso  aveva  già  implicitamente  negata.  Il  fatto  porta  con    una  duplice  afTermazione di  trascendenza:  da  un  lato,  nella  fissità  delle  sue  linee,  esso  è  posto  come  trascendente  di  fronte  al  pensiero;  dall’altro,  in  quanto  è  un  complesso  di  determinazioni  finite,  è  trasceso  in  quanto  pensato.  Quindi, una  duplice  incongruità,  della  realtà  naturale  di fronte  al  pensiero  e  viceversa,  e  una  duplice  inesplicabilità  dell’una  per  l’altro.  Come  espressioni  di problemi,  il  naturalismo  e  il  positivismo  conservano un  valore  attuale;  come  soluzioni,  il  primo  va  a finire  nella  deificazione  di    stesso  (ciò  che  se  era grandioso  in  un  Bruno' è  ridicolo  in  un  contemporaneo);  e  il  secondo  ha  per  suo  termine  l’agnosticismo,  cioè  la  propria  sterilità  ed  impotenza. La  contradizione  del  positivismo  sta  nel  dissidio tra  ciò  che  esso  dice  di  fare  e  ciò  che  realmente  fa: sorge  in  nome  dell’immanenza  e  intanto  vive  nella trascendenza,  ora  agnostica,  ora  materialistica.  Questa  è  la  sua  contradizione;  ed  ecco  che  a  risolverla sorgono  le  nuove  filosofìe,  che  tutte  vogliono  porsi come  continuatrici  dell’opera  del  positivismo.  È  notevole  questo  fatto,  che  ogni  pensatore,  il  quale  sia giunto  a  una  visione  concreta  e  immanente  dei  problemi  filosofici,  ha  seniito  il  bisogno  di  battezzare  la sua  filosofia  come  il  vero  positivismo;  ciò  dimostra che  quanto  v’è  di  più  vitale  nell’esigenza  del  positivismo  non  è  quello  che  si  disperde  e  si  annulla  nelle scuole  positivistiche,  ma  è  piuttosto  quel  momento del  nostro  sviluppo  spirituale  che  ci  è  di  sprone  a conquistare  una  visione  immanentistica  della  vita. Ma  l'immanentismo  che  da  principio  sorge  come esplicazione  di  quello  spirito  positivo  che  è  in  tutti i  pensatori,  è  la più  povera  forma  d’immanentismo:  quella  del  senso, della  coscienza  immediata.  Ed  è  il  tema  più  frequente che  ricorre  in  quel  periodo,  e  che  vale  a  caratterizzarlo  tutto.  Tanto  nella  forma  di  un  empirismo,  come in  un  Mill,  in  un  Mach,  o  in  uno  Schuppe;  o  di  un fenomenismo,  come  in  tutte  le  scuole  neo-kantiane; o  di  un  intuizionismo  come  nella  filosofia  del  Bergson e  in  altre  ancora,  è  sempre  l’identico  motivo  fondamentale,  che  si  ripete  su  scale  diverse.  Noi  abbiamo osservato  come  il  principio  dell’esperienza  immediata  si  annulli  da    medesimo,  e  lungi  dal  fondare un’assoluta  immanenza,  è  fatalmente  spinto  verso  il trascendente.  E  il  trascendente,  di  fronte  ad  esso,  è tutto  il  pensiero,  in  quanto  costituisce  un  suo  osi  avviene  che  dalla  cultura  falsamente  soggettivistica  e  individualistica,  per  cui  il  pensare  è  il riuscire  del  concetto,  e  la  vita  è  un  semplice  rischio, si  passa,  in  base  all’esigenza  di  un’intimità  più profonda,  a  una  celebrazione  del  trascendente,  al misticismo,,  che  assume  in  certi  pensatori  un’intonazione  veramente  elevata.  Ma  il  misticismo  non migliora  la  posizione  logica  dei  problemi,  e  determina  invece  il  momento  in  cui  le  esigenze  stesse  del pensiero,  che  si  è  svolto  nei  limiti  di  determinate premesse,  rendono  quelle  premesse  insuflicienti,  ed esprimono  un  bisogno  di  rinnovamento. Cosi  avviene  che  quell’immanentismo  della  vita che  era  nelle  convinzioni  del  pensiero  del  secolo  XIX e  che  non  aveva  potuto  trovare  nel  positivismo  la sua  formulazione  adeguata,  non  riesce  neppure  ad esprimersi  in  questa  litosotìa  dell’esperienza  immediata,  che  anch’essa  sconfina  nella  trascendenza. L'esperienza  storica  dei  secoli  ha  mostrato  che l’attuazione  del  principio  immanentistico  si  compendia  nella  risoluzione  di  due  problemi,  che  in  fondo si  riducono  ad  un  solo:  quello  dell’umanità  della storia  e  quello  del  valore  umano  della  realtà  fisica esteriore.  La  filosofia  che  ora  abbiamo  considerata era  insufficiente  a  risolvere  l’uno  e  l’altro  problema. Il  positivismo  aveva  meccanizzato  lo  sviluppo della  storia,  creando  un  naturalismo,  e  cioè  una  trascendenza,  nel  seno  stesso  deH’umanità,  col  suo  concetto  della  massa  cieca  e  brutale;  e  la  stessa  nuova lìlosofìa  intuizionistica  ed  empiristica  era  incapace di  comprendere  il  valore  della  storia;  la  coscienza, della  storicità  del  reale  è  in  aperta  antitesi  con  una concezione  immediata  della  vita. E  d’altra  parte  il  riconoscimento  dell’umanità del  cosi  detto  mondo  fìsico  non  poteva  esser  dato da  nessuna  delle  due  dottrine:    dal  positivismo,  che non  aveva  neppure  coscienza  del  problema,    dalla filosofìa  deirimmediato,  che  si  mostrava,  già  nella sua  premessa,  come  dualistica,  e  per  cui  la  realtà esteriore,  sia  come  mondo  fìsico,  sia  come  scienza naturale,  costituiva  alcunché  di  trascendente.  Tuttavia  già'  in  questo  campo  si  preparavano  i  germi  di un  rinnovamento.  Con  la  critica  delle  scienze  comincia  infatti,  nel  seno  stesso  della  filosofìa  empiristica,  un  rapido  processo  di  dissoluzione  di  quel naturalismo,  che  aveva  solidificato  i  concetti  delle scienze  empiriche,  rendendoli  quasi  materia  opaca di  fronte  al  pensiero,  mentre  sono  pur  opera  sua. Noi  abbiamo  confutato  questo  indirizzo,  mostrando che  esso  idealmente  non  rappresenta  alcunché  di nuovo  di  fronte  alla  soluzione  kantiana  del  problema della  scienza,  e  che  anzi  è  soltanto  a  mezza  via  tra il  puro  dommatisino  e  Kant,  ciò  che  rende  equivoca la  sua  posizione  e  paradossali  taluni  dei  suoi  assunti, che  invece,  svolti  lino  alla  line,  conterrebbero  dei motivi  profondi  di  verità.  Ma  il  valore  storico  di questa  critica  delle  scienze  è  assai  grande,  quando si  pensi  che  essa  aveva  di  fronte  da  combattere,  non già  Kant,  bensì  quel  naturalismo  e  positivismo  che avevano  reso  la  scienza  impenetrabile  al  pensiero. Così,  avere  riscoperta  l’azione  immanente  dello  spirito  in  quel  campo  che  gli  si  era  reso  del  tutto  estraneo.  e  mostrato  che  il  mondo  della  scienza    che  è  il mondo  stesso  della  natura    rientra  nella  sfera  delTarbitrio  umano;  e  avere  perciò  annullata  quella concezione  rigidamente  meccanica  del  mondo  che non  solo  i  positivisti,  ma  (pare  incredibile!)  perfino i  kantiani  avevano  instaurata:  tutti  questi  sono  meriti  veramente  grandi  di  quel  vasto  movimento  di critica  delle  scienze,  che  si  svolse  sullo  scorcio  del secolo  passato  e  sul  principio  del  nostro. Oosi  s’è  andato  via  via  dissolvendo  quel  concetto del  mondo  come  una  realtà  solidificata  di  fronte  al pensiero,  e  s'è  compreso  sempre  meglio  il  valore  immanente  dell'esperienza,  che  non  è  meramente  ripro¬ duttiva  di  una  cosa  in  sé,  ma  produttiva  di  realtà  e   Louvain,  1911  (in  2  voli.,  l’uno  contenente  i  testi,  l’altro una  ricostruzione  storica  delle  lotte  tra  tomisti  e  averroisti  nel sec.  Xlll). con  le  sue  esigenze  storiografiche,  e  assai  spesso  le falsilica  e  le  perverte.  Non  contenta  di  promuovere  la  conoscenza  dei  lìlosofi  medievali,  essa  ha voluto  copiarli,  reintegrando  una  pretesa  sintesi  scolastica,  creata  dalfimmaginazione  pseudo-storica  di uno  storico  di  valore,  uscito  dalle  sue  file,  Maurizio de  Wulf. Di  fronte  al  preesistente  neo-tomismo,  la  neo-scolastica  ha  voluto  assumersi il compito più ampio di ricalcare non solamente l’orme  d’AQUINO (vedasi), ma  anche  quelle  di  altri  dottori,  agostiniani  e  sentisti,  che,  un  tempo  nemici  deH’.’^ngelico,  vengono ora  da  Wulf  scoperti  come  suoi  collaboratori, nell’opera  (da  veri  certosini!)  di  comporre  uno  smisurato  mo.saico  scolastico,  al  quale  è  dato  l’improprio  nome  di  sintesi. Collaboratori  sono  in  certo  c  profondo  signillcato tutti  i  filosofi,  quale  che  sia  la  loro  divisa;  ma  la collaborazione  de  wulfìana  tende  a  sopprimere  1  individualità  d’ogni  singolo  pensatore  e  d’inserirne  le dottrine,  come  materiale  amorfo,  in  una  costruzione anonima,  avulsa  dalla  storia,  perché  non  più  partecipe  della  mobilità  del  divenire,  ma  statica  e  inerte, atta  soltanto  ad  accrescersi  per  successive  sovrapposizioni.  antiche  o  nuove  che  siano.  Scolastica  sarebbe quindi  non  più  una  tisonomia  storica  che  si  trasfor¬ ma,  ma  un  masso  immobile  di  pietra,  che  Wulf si    cura  di  sottrarre  ad  ogni  movimento,  anche esterno,  col  separare  nettamente  la  scolastica  dall’anti  scolastica,  cioè  col  sostantivare,  in  un’altra unità separata  e  rigida,  tutti  quei  moti  divergenti  e disgregatori,  che  pur  appartengono  allo  stesso  pensiero  medievale  e  che,  inclusi  con  sano  criterio  storico  nella  scolastica,  le  conferirebbero  quella  mobilità  viva  che  appartiene  a  un  vero  organismo. Questo  pregiudizio  più  che  scolastico  falsifica  la Storia  della  filosofia  medievale  di Wulf,  opera immeritainente  celebrata,  perché  non  può  non  suscitare,  nei  critici  meglio  disposti  ad  apprezzare  il  lavoro  altrui,  che  un  senso  di  dispetto  o  di  deplorazione,  al  constatare  come  una  cosi  vasta  e  profonda conoscenza  del  pensiero  medievale  si  falsifichi  e  si annulli,  per  colpa  di  un  testardo  proposito  di  voler trattare  la  storia  con  un  criterio  decisamente  anti-storico. Pereant  historiae,  purché  sia  salva  la  neo-scolastica:  par  che  Wulf  ragioni  cosi.  E  in  effetti, separando  scolastica  e  anti-scolastica,  papa  e  anti-papa,  nel  cuore  stesso  della  storia  medievale,  dove la  separazione  degli  elementi  organici  è  più  aspra e,  diciamo  pure,  ripugnante,  è  tanto  più  facile  perpetuare  la  separazione  in  seguito,  quando  Tanti-scolastica  diviene  a  sua  volta  un’età  storica,  e  accrescere  la  scolastica  dei  magri  doni  dello  Spirito,  che le  piovono  addosso  di  tanto  in  tanto.  È  sorta  cosi la  neo-scolastica,  quella  scuola  che,  pur  avendo  di fronte  ad AQUINO (vedasi)  l’incontestabile  vantaggio  di spaziare  in  un  cielo  storico  incomparabilmente  più vasto  e  di  non  accontentarsi  di  un  san  Tommaso ischeletrito,  mutilo,  custodito  nella  solitudine  e  quasi nel  deserto  dei  secoli,  ha  poi  sùbito  voluto  rinunziare  ai  suoi  privilegi  storici,  facendo  della  storia una  pesante  cappa  di  piombo. Confesso  che  la  lettura  del  corso  del  Mercier  m’è costata  assai  più  fatica  che  non  quella  delle  Somme di  Alessandro  o  di  Tommaso  o  dell’Opus  Oxoniense di  Duns.  La  ragione  è  che  si  trattava  di  una  fatica senza  premio,  che  inaridiva  progressivamente  e  senza recupero  le  proprie  fonti  e  l’energia  della  resistenza. In  fondo,  non  c’è  che  la  struttura  esterna  massiceia,  pesante,  del  tomismo,  senza  lo  spirito  d’AQUINO (vedasi),  tormentato  dal  problema  insolubile  di  costringere  nelle  forme  aristoteliche  una  materia  ribelle. Il  Mercier  ha  raccattato  nella  storia  quel  poco  che era  compatibile  con  le  sue  premesse  dommatiche: il  criterio  cartesiano  dell’evidenza,  il  problema  della criteriologia,  inteso  come  un’attenuazione  della  critica  gnoseologica,  il  pseudo-empirismo  dei  positivisti,  e  sopra  tutto  il  formalismo  della  vecchia  e nuova  logica  analitica.  I..a  criteriologia  forma  il  segreto  della  composizione  di  tutto  il  mosaico:  essa  ripristina  (dopo  Kant)  il  dubbio  cartesiano,  limitato ai  soli  oggetti  della  conoscenza,  dichiarando  illegittimo  il  problema  del  valore  delle  facoltà  conoscitive: un  valore  che  viene  dommaticamente  presupposto. E  del  primo  dubbio  si  sbriga  facilmente  col  riconoscere  l’evidenza  immediata  di  alcuni  principi d’ordine  ideale,  ai  quali  si    cura  di  negare  ogni carattere  sintetico  e  attribuisce  invece  un  valore meramente  analitico,  che  avvalora  la  loro  intatta  oggettività.  Ma  tra  i  princìpi  in  questo  modo  sottratti al  dubbio,  v’è  il  principio  di  causa,  il  cui  valore oggettivo  consente  di  passare,  senza  salti,  dalla  sfera dei  giudizi  ideali  a  quella  dei  giudizi  empirici;  il mondo  della  natura  e  della  scienza  viene  agevolmente rimorchiato  dal  principio  d’identità.  L’ontologia  e la  cosmologia  del  corso  merceriano  procedono  di pari  passo  dalle  premesse  criteriologiche  testé  enunciate;  idealismo  e  positivismo  sono  insieme  saldati dal  concetto  di  causa,  che  vanta  titoli  eguali  presso l’uno  e  presso  l’altro.  E  l’idealismo  salva  la  trascendenza  di  Dio,  l’immortalità  deU’aninia,  la  rivelazione,  con  tutto  il  pesante  bagaglio  della  dommatica  cristiana;  il  positivismo  consente  alla  neo-scolastica  di  modernizzarsi,  di  koketlierenm direbbero  i tedeschi, con  le  scienze  della  natura  e  'l’indulgere il  più  ch’è  possibile  al  gusto  dei  tempi. Una  tale  filosofìa  è  criticata  in  quanto  è  esposta; non  si  saprebbe  se  più  deplorare  l’ignoranza  che  vi si  dispiega  di  tutta  la  storia  del  pensiero  moderno o  l’ingenuità  di  certi  passaggi  me'ntali,  quello  p.  es., mediato  dal  principio  di  causa.  Io  rispetto  assai  più il  dommatismo  puro,  lo  schietto  tomismo,  che  nega la  storia  del  pensiero  e  si  chiude  nelle  vecchie  e  venerande  formule;  ma  almeno  non  si  lascia  cosi  facilmente  misurare  dalla  mentalità  moderna  come questa  filo.sofia  che  le  si  accosta  troppo  da  presso, e  si  trastulla  ingenuamente  coi  suoi  problemi.  Il neo,  anteposto  al  suo  nome,  vale  a  designare  null’altro  che  l’infantilità. Il  movimento  neo-scolastico  italiano  sorge  come una  copia  fedele  della  scuola  di  Lovanio.  Gemelli  e  Canella  fondano  una  Rivista  di  filosofia  scolastica  sul  modello  della  rivista  belga  ed accettano,  nel  programma,  l’ideologia  merceriana: MATTIUSSI (vedasi) lo  spaventa  con Il  veleno kantiano,  dove  gli  lascia  intravvedere  il rischio  di  rinnovare  la  miseria  d’Abelardo,  non  più per  amore  di  una  bella  Eloisa,  ma. della  filosofia kantiana. Noi  pretendiamo,  dice  l’apocalittico MATIUSSI (vedasi),  che  nell’opera  del  filosofo  di  Koenigsberg dal  principio  alla  fine  ogni  cosa  è  impossibile  e  il disegno  n’è  contradittorio,  che  tutto  è  rovina  e  che qualunque  asserzione  si  ammetta  di  quello  ( sic)  che egli  da    nuovamente  disse,  ne  rimane  tronco  alla radice  dell'essere  conoscitivo;  ed  è  veleno,  del quale  basta  una  goccia  per  dare  la  morte  alla  scienza e  all’intelletto  (!!)>.  E  in  un  altro  suo  scritto.  Il Problema  della  conoscenza,  il  Mattiussi  mostrava  di porre  allo  stesso  livello  la  critica  kantiana  della ragione  e  il  dubbio  merceriano  sull’oggettività  della conoscenza  additando,  nel  dommatismo  puro,  la via  della  salvezza  dell’anima  e  del  corpo. Questa  recrudescenza  di  animosità  da  parte  dei dommatici  derivava  in  gran  parte  dalla  scandalosa impressione  che  sul  loro  animo  aveva  fatto  il  tenta¬ tivo  di CHIOCHETTI (vedasi),  animoso  e  ardente  pensatore  trentino,  il  quale  si propone  d’acclimatare negli  ambienti  scolastici  il  sistema  di Croce.  Iinfatti  pubblica  una serie  di  articoli  su  quella  filosofìa,  nella  Rivista  di Gemelli,  facendo  precedere  all’esame  del  pensiero crociano  un  lungo  excursus  storico  sulla  speculazione  tedesca  che  ne  costituiva  il  fondamento. Il  piano  storico  del  lavoro  era  sbagliato,  in  quanto che  la  genesi  del  pensiero  di  Croce  si  spiega  rimontando  non  la  corrente  centrale,  metafisica  (Croce dice  teologica)  Kant-Fichte-Schelling-Hegel-SPAVENTA;  ma  una  corrente  laterale  che  ha  per  suoi estremi  Vico  e  Sanctis.  L’interessamento  di Croce  per  le  grandi  filosofìe  tedesche  interviene  in un  secondo  momento,  come  per  meglio  intonare, storicamente,  un  pensiero  già  in  gran  parte  formato per  via  diversa.  A  ogni  modo,  lo  sforzo  di  volere attribuire  un  interesse  centrale  a  una  filosofia  che ripudia  ogni  centro  fisso  dell’interesse  speculativo, costituiva  pel  Chiocchetti  una  propizia  opportunità per  poter  superare,  insieme  col  Croce,  tutta  la  spe¬ culazione  classica,  e  per  liberarsi,  cosi,  del  pesante fardello  della  storia. Alla  filosofia  crociana  egli  faceva  larghe  e  importanti  concessioni:  la  teoria  dell’arte,  dell’ateoreticità dell’errore,  e  principalmente  quella  del  concetto  con¬ creto,  che  culmina  nella  circolarità  creatrice  dello spirito.  Faceva  naturalmente  le  sue  riserve. Ammettiamo  anche  noi  un  divenire,  un  progresso,  ma non  possiamo  concepirlo  senza  ricorrere  a  un  principio  che  non  sia  principiato,  perché  personale  nel senso  più  alto  della  parola  ;  un  principio  fine  a  sé stesso  e  fine  del  tutto,  un  (ictus  parus  personale,  dal quale  e  per  il  quale  il  progresso  esiste,  un  centro di  riferimento  di  tutta  l’attività.  Moveva  alcune critiche  in  parte  calzanti:  «Il  concetto  di  persona, il  valore  della  persona:  ecco  quello  che  manca,  soprattutto  nella  dottrina  del  Croce,  e  rende  vano  e senza  significato  il  divenire  della  realtà  attraverso le  forme.  Anche  il  concetto  dello  spirito  come  circolo  o  come  ininterrotto  e  ordinato  arricchimento  di attività,  per  avere  un  senso,  dev’essere  concetto  e deve  inchiudere  in    come  elemento  essenziale  il fine  deU’attività  progressiva,  la  persona;  se  no  abbiamo  l’assurdo  del  progresso  in  infìnitum,  checché opponga  il  Croce. Ma  il  vizio  più  grave  che  svaluta  le  adesioni  non meno  delle  critiche,  sta  in  un  fraintendimento,  che non  saprei  spiegarmi  con  motivi  puramente  mentali (ateoreticità  dell’errore, Chiocchetti!):  quello del  concetto  puro  di Croce  con  l’unìversale  in  re  d’AQUINO (vedasi).  In  fondo,  accettando  l’universale  concreto  della  filosofia  moderna,  il  Chiocchetti  non  vi riconosce  che  il  progenitore  scolastico,  dimenticando, 0  mostrando  di  dimenticare,  che  in  esso  c’è  l’appercezione  pura  di  Kant,  la  risoluzione  dell’oggettività naturale,  in  una  parola,  lo  Spirito.  Affermare  che [Individualismo  e  universalismo  fanno  centro  in  Europa,  donde  s’irradia  la  nuova  storia  del  mondo; tutte  le  conquiste  della  civiltà  estraeuropea  sono  infatti  europee  nello  spirito  e  nell’impulso;  l’Africa particolarmente  è  il  supremo  sforzo  e  il  massimo rispltato  della  storia  europea.  Questo non  porterà  nome  di  uomo  o  di  popolo,  perché  le massime  creazioni  sono  anonime: il  genio  può  riassumere  l’incoscienza  di  un  popolo,  non  dare  la  propria  fisonomia  alla  sua  coscienza. Il  suo  carattere  ideale  è  chiuso  tra  due  fdosofle, che  rappresentano  il  suo  trionfo  e  la  sua  degradazione. Dopo  Tenorrae  abbacinante  filosofia  di  Hegel,  che  riassunse  tutta  l’antichità  e  aperse  l’era  moderna,  la  degradazione  fu  precipitosa;  Hegel  aveva sollevato  il  mondo  nelle  idee,  i  positivisti  distrussero  le  idee  nei  fatti;  la  loro  filosofia  era  la  sola  conveniente  a  una  fase  industriale,  che  isolava  gl’individui  livellandoli  invece  di  unificarli;  l’inconoscibile, del  quale  l’interpretazione  istintiva  è  ideale  e  pregio della  vita,  venne  dichiarato  inutile,  la  storia  cessò di  chiedere  le  rivelazioni  del  passato  ai  grandi  pensieri  per  impararle  dalla  parzialità  dei  piccoli  documenti,  le  leggi  non  furono  che  disposizioni  nelle apparenze  fenomeniche,  la  morale  un  mutare  di  costumi,  le  idee  una  metamorfosi  delle  sensazioni.  La superlicialità  rese  tutto  facile,  e  la  volgarità  parve la  sicurezza  del  reale.  L’uomo,  senza  lo  spasimo  dell’infinito  nel  cuore  e  la  luce  divina  nel  pensiero. I  La  Hiuolta  ideale^  ed.  Laterza. ritliscese  neiranimalità,  ultimogenito  di  una  serie, anziché  primogenito  della  creazione. Contro  questa  degradazione  positivistica  o  industriale,  che  annulla  le  grandi  conquiste  ideali  dello spirito,  e  si  riassume  nell’individualità  nuda  e  atomistica  e  neH'umanità  identica  e  vuota,  e  abbassa  la coscienza  all’inconscio,  la  responsabilità  all’eredità del  passato,  la  creazione  all’associazione, Oriani, echeggiando  alcuni  concetti  dell’idealismo,  si  afferina  fautore  di  un  superiore  individualismo,  in  cui  fa consistere  l’originalità  del  pensiero  nio-derno.  Ed enuncia  il  principio  che  l’individuo  non  è  tale  che nell’unità  delle  proprie  antitesi:  sopprimete  in  lui il  temperamento  della  razza,  il  carattere  della  nazione,  la  lìsonomia  della  famiglia,  e  la  sua  originalità si  annebbia.  Ma  l’individualità  vera  non  è  quella che  si  allerma  nell’isolamento  ;  la  grandezza  delrindivi'duo  si  misura  dalla  quantità  delle  anime  che può  assorbire  e  significare:  nessun  individuo  ha niente  da  dire  finché  parla  di    stesso.  E  l’inclusione,  in  esso,  di  un  più  vasto  mondo,  crea  la  sua responsabilità  storica,  momento  negativo  essenziale di  quella  liberazione  e  sublimazione  del  mondo,  che si  compie  nell’alTermazione  piena  di    stesso.  L’individuo  è  la  storicità  vivente: bisogna  affermare, esclama ORIANI (vedasi),  che  tutto  quanto  forma  il  nostro spirito  è  un  legato  della  storia  per  le  generazioni future,  quindi  il  nostro  interesse  nel  presente  soltanto  un’eco  del  passato,  che  ridiventerà  voce  ncl-l’avvenire.  Ogni  cooperazione  umana  aumenta  di  responsabilità  crescendo  d’importanza,  giacché  la  superiorità  non  è  che  il  diritto  di  soffrire  più  in  alto, pensando  per  quelli  che  non  pensano,  amando  per quelli  che  non  amano,  lavorando  per  quelli  che  non possono»  E  questa  sublimazione  deH’uinanità  nel-rindividuo,  forma  la  sua  libertà  concreta,  liberatrice,  che  non  discorda  dalla  necessità,  ma  ne  è  la coscienza  immanente. L’affermazione  di  essa  si  compie  attraverso  i  gradi necessari  della  progressiva  complicazione  della  vita umana;  la  famiglia,  la  nazione,  lo  stato,  l’umanità; cioè  attraverso  le  successive  negazioni  della  soggettività,  che  si  riconquista,  integra,  solo  al  termine del  laborioso  pellegrinaggio.  Quindi  nella  famiglia gli  sposi  debbono  sparire  nei  genitori  sacrificandosi alla  devozione  dei  figli;  quindi  nella  società  gl’intere.ssi  individuali  saranno  sempre  subordinati  a  quelli   '.  £  il  solito  pregiudizio  logico-formale,  che  svaluta  il  pensiero  nell’atto  stesso in  cui  intraprende  la  sua  ricerca,  abbassando  le  leggi al  di  sotto  della  massa  caotica  dei  fatti.  E Pareto, non  certamente  a  sua  lode,  ci    un’applicazione esatta  del  suo  principio,  con  l’addensare  prodigiose masse  di  esempi  e  con  lo  svuotarle  in  pretese  leggi ed  insignificanti  uniformità,  che  rappresentano  il residuo  di  una  morta  astrazione.  Egli  vuole  classificare  le  azioni  umane  secondo  i  principi  della  classificazione  detta  naturale  in  botanica  e  in  zoologia; anzi,  neppure  le  azioni  concrete  formano  oggetto della  sua  elaborazione,  ma  gli  elementi  di  quelle azioni. Del  pari  (sic)  il  chimico  classifica  i  corpi semplici  e  le  loro  combinazioni,  e  in  natura  si  trovano  mescolanze  di  tali  combinazioni.  Le  azioni concrete  sono  sintetiche;  esse  hanno  origine  da  mescolanze,  in  proporzioni  variabili.  E  lascia  impregiudicato  l’ulteriore  problema  se  siffatto  essere  sia impersonale  (panteismo)  o  personale  (teismo).  Troppo  a  buon  mercato!  Il  compito  di  una  metalisica del  conoscere  comincia  proprio  qui,  dove  VARISCO (vedasi) si  arresta  perplesso:  ma  egli  è  arrivato  esaurito, con  un  «  essere  indeterminatissimo  »,  proprio  dove l’idealismo  concentra  la  massima  concretezza  dello spirito.  Il  suo  errore  è  comune  a  tutta  la  «metafisica dell’essere, che vuota  progressivamente, lungo  la scala  degli  esseri,  i  suoi  concetti,  e  cerca  infine   Cosicché,  mentre GENTILE è  venuto  fuori  dalla tradizione  propriamente  hegeliana,  che  ha  avuto in SPAVENTA uno  dei  suoi  esponenti  maggiori,  Croce  ha  subito  solo  rinilusso  indiretto generale --  egli  dice  nella  prefazione  alla Logica  (Ifllfi)    è  insieme  annullare  il  concetto STATICO del  sistema  fìlosolìco,  surrogandolo  col  concetto DINAMICO – cf. Luigi Speranza, “STATICA E DINAMICA DI GRICE” -- delle  semplici sistemazioni storiche  dei  gruppi  «li  problemi,  delle  quali ciò  che  persiste  e  sopravvive  sono  i  singoli  problemi e  le  loro  soluzioni  e  non  già  l’aggregato  e  l’ordinamento  esterno,  che  ubbidisce  ai  bisogni  dei  tempi  e degli  autori  e  passa  con  questi,  o  si  serba  e  si  ammira  solo  per  ragioni  estetiche,  quando  pur  abbia tal  pregio. In  questa  più  recente  fase,  Croce  ha  finito  col capovolgere  la  posizione  iniziale  del  suo  pensiero  di fronte  al  problema  storico:  passando  via  via  dalia considerazione  della  storia  come  arte,  a  quella  che ne  fa  una  forma  di  realtà  autonoma,  inferiore  alla filosofìa,  a  quella  dell’identità  e  reciprocità  piena con  la  filosofia,  finalmente  a  quella  della  sopravvalutazione  della  storia  rispetto  alla  pura  filosofìa,  CROCE ha,  come  si  vede,  descritto  un  ciclo,  nel  quale dobbiamo  riconoscere  che  il  suo  pensiero  si  è  molto arricchito  ed  ha  sempre  meglio  appagato  quell  esigenza  verso  la  concretezza,  che lo  spronava.  Nella sua  citata  autobiografia  mentale  egli  ci  dice  cl^e  la esigenza  immanentistica  è  ormai  cosi  viva  in  lui, che  gli  fa  immaginare  «non  senza  diletto  >  che abbandonerà  un  giorno  la  filosofìa  nel  significato comune,  per  narrare  la  «  storia  pensata  ».  Ormai  egli ha    preparazione  necessaria  per  il  nuovo  cimento: la  Storia  della  storiografia  italiana  nel  secolo  deciinonono,  che  egli  va  pubblicando  a  puntate  nella 2'  serie  della  Critica  può  significare  già  un  avviamento  a  questo  indirizzo. Ma  per  un  filosofo  l’abbandono  della  filosofia  non può  avere  che  un  significato,  a  sua  volta,  filosofico o  dialettico;  non  certamente  quello  di  un  mero  passaggio  da  una  sfera  di  attività  ad  un  altra.  E  per ora,  quell’abbandono  ci  viene  spiegato  nel  suo  più vero  senso  dall’ultima  monografìa  filosofica  che  Croce  ha  pubblicato  da  qualche  mese:  Sulla  filosofia [ Per  la  bibliografla  e  le  discussioni  intorno  al  pensiero di Croce,  R. rimanda  al  voi.  G.  Casteli.aso,  Introduzione  allo studio  delle  opere  di  Croce,  note  bibllografiche  e  critiche. Bari] teologizzante  e  le  sue  sopravvivenze  (Napoli), (love  i  lilosofì  stessi  vengono  incitati  ad  abbandonare una  folla  di  problemi  insolubili,  eufemisticamente chiamati  problemi  massimi  ed  eterni.  Per  Croce, conforme  al  suo  coerente  immanentismo,  vale  il principio  deirunità  del  problema  con  la  soluzione, secondo  il  quale  un  problema  acquista  carattere  di problema  solo  nel  punto  in  cui  viene  risoluto.  Quindi 1  pretesi  problemi  insolubili,  che  formano  il  tormento  di  tutte  le  filosofie,  sono  in  realtà  non-problemi,  ma  miscugli  ibridi  di  rappresentazioni  e  di concetti,  adeguati  piuttosto  ad  alcune  forme  di  esperienza  religiosa  anziché  alle  esigenze  razionali  dello spirito.  Tra  questi  primeggia  il  problema  della  conoscibilità  del  reale,  del  rapporto  tra  il  pensiero  e l’essere,  in  cui  Croce  ci  mostra  la  presenza  di  un interesse  meramente  teologico,  e  cioè  compatibile soltanto  con  una  intuizione  dualistica  del  reale. La  lilosofia  del  Gentile  ha  seguito,  in  quest’ultimo  periodo,  un  inverso  processo  di  sistemazione  e di  accentramento.  Quando  R. chiude, con  una  sommaria  esposizione  dei  suoi  capisaldi,  la r  edizione  della  presente  Storia,  il  pensiero  di  questo  filosofo è  in  gran  parte  disseminato  nei  suoi lavori  storici;  e  soltanto  una  breve  monografìa. L’alto  del  pensiero  come  atto  puro,  lasciava  presentire  la  peculiarità  di  un  atteggiamento  mentale  del tutto  nuovo.  Da  quel  tempo  in  poi,  GENTILE (vedasi)  lavorato  a  sviluppare  la  sua  dottrina  dell’idealismo attuale,  le  cui  tappe  più  importanti  sono  costituite dal  Sommario  di  pedagogia  come  scienza  filosofica  (Laterza);  La  riforma  della  dialettica hegeliana  (Messina);  Teoria  generale  dello  spirilo  come  alto  puro  (Pisa);  Sistema  di  logica come  teoria  del  conoscere  (Pisa). Per  ragioni  di  spazio,  sono  costretto  a  sorvolare sulla  fase  preparatoria  e  formativa  di  questa  fìlosolìa,  che  ha  le  sue  tappe  nettamente  segnate  dalla informa  della  dialettica  e  dal  Sommario  di  pedagogia.  Il  primo  saggio ci  spiega  in  che  modo  GENTILE  sia  riuscito    affatto  indipendentemente  da CROCE —  a  rompere  lo  schematismo  hegeliano,  utilizzando  le  importanti  indagini  di SPAVENTA  sulle tre  prime  categorie  della  Logica  di  Hegel.  Una  volta inteso  l’essere,  il  non-essere  e  il  divenire,  non  più come  posizioni  logiche  oggettive  del  reale,  ma  come momenti  della  coscienza,  dove  il  divenire,  sintesi  dei termini  precedenti,  esprime  il  processo  stesso  del sapere,  che  vince  nella  sua  concretezza  i  momenti astratti  e  rig  di  in  cui  l’analisi  lo  decompone,  tutta la  sopra-struttura  della  logica  hegeliana  viene  inevitabilmente  sconvolta. Il  Sommario  di  Pedagogia,  nella  sua  introduzione, compie,  in  rapporto  alla  fenomenologia,  la  stessa istanza  critica  che  la  riforma  della  dialettica  compie in  rapporto  alla  logica  di  Hegel.  Il  pensiero  puro, come  non  ha  bisogno  di  percorrere  i  gradi  categorici  dell’essere  (del  conosciuto,  secondo  gli  schemi della  logica  formale)  per  giungere  alla  piena  coscienza  di  sé,  perché  si  afferma  a  priori  come  pensiero  consapevole  e  attuale;  così  non  ha  neppur bisogno  di  attraversare  i  gradi  psicologici  della  conoscenza,  cioè  la  sensazione,  l’intuizione,  ecc.,  perché 1«  1,’csscre  che  Hegel  dovrebbe  mostrare  identico  ai  nonessere  nei  divenire  che  solo  è  reuie,  non  è  i  essere  che  egli definisce  come  l’assoluto  indeterminato  (TassoUito  indeterminato  non  può  essere  che  l’assoluto  indeterminato!);  ma  l’essere del  pensiero  che  deHniscc  e,  in  generale,  pensa:  ed  è,  come vide  Cartesio,  in  quanto  pensa,  ossia  non  essendo  (perché, se  fosse,  ii  pensiero  non  sarchile  iiueiio  che  è,  ossia  un  atto), e  perciò  ponendosi,  divenendo  [Teoria  generale  della  spirito come  atto  puro, R.  T.a  tllosotla  contemporanea. non  può  mutuare  da  altri  che  da  sé,  non  solamente la  sua  forma,  ma  anche  il  suo  contenuto.  Cosi  Gentile  ha  portato  al  suo  estremo  l’idea  implicita in  ogni  fllosoiìa  idealistica,  che  il  pensiero  non  può originarsi  che  da  sé,  mostrando  che  qualunque  dato  o presupjpostc  che  si  voglia  anticipare  alla  sua  attività ha  il  valore  di  cosa  posta  da  quella  stessa  attività.  Di fronte  al  comune  psicologismo,  tale  istanza  critica culmina  con  l’identificazione  del  pensiero  e  della sensazione,  nel  senso  che  qualunque  esigenza  ideale si  attribuisca  alla  sensazione   fuori  di  ciò  che  ne costituisce  un  dato  irriducibile,  dove  si  rivela  una falsa  posizione  fdosofica  è  un’esigenza  mentale, inclusa  cioè  nell’attualità  del  pensiero. Con  l’efl'ettuata  identificazione,  vien  negata  una fenomenologia  dello  spirito  nel  significato  hegeliano, cioè  come  una  progressiva  deduzione  ed  implicazione di  gradi  spirituali;  ma  viene  nel  tempo  stesso  affermata  una  nuova  fenomenologia  del  sapere  e  della realtà  come  consapevolezza,  che  coincide  con  la  storia  stessa,  nella  concretezza  del  suo  divenire.  L’assoluto  psicologismo  ha  il  valore  di  un  assoluto  storicismo.  Posto  infatti  che  il  pensiero  non  deriva  che da    la  realtà  propria,  e  che  questa  derivazione  è  la sua  efl'ettiva  e  pratica  esplicazione,  il  corso  ideale del  pensiero  non  è  che  la  storia  reale  del  peìisiero stesso  e  quindi  del  mondo. Qui  l’idealismo  gentiliano  si  pone  come  la  negazione  recisa  di  ogni  realtà  che  si  opponga  al  pensiero come  suo  presupposto  e  del  pensiero  stesso  concepito come  realtà  già  costituita  fuori  del  suo  svolgimento, come  sostanza  indipendente  dalla  sua  reale  manifestazione.  La  realtà  dello  spirito  o  delle  cose,  posta fuori  della  soggettività  pensante,  forma  la  così  detta natura,  distinta  dal  pensiero  non  come  oggetto  da Oggetto,  ma  come  oggetto  da  soggetto,  ossia  inclusa e  risoluta  nel  pensiero,  nell’atto  stesso  in  cui  questo la  riconosce  distinta  da  sé,  e  cioè,  pensandola,  la pone,  e  ponendola  la  nega  come  già  posta  o  presupposta.  La  natura  si  svela  cosi  una  realtà  pensata,  un processo  logico  esaurito  e  pietrificato,  capace  tuttavia  di  risollevarsi  all’attualità  spirituale,  in  quanto lo spirito  lo  pensa  e  l’include  nel  suo  processo,  che ha  un  cominciaraento  spontaneo,  assoluto,  in  quel pensare. Nulla  dunque  è  fuori  dello  spirito,  «  se  Tesser fuori  è  un  riconoscimento,  cioè  un  porre  fuori  mediante  l’attività  del  pensiero.    vale  appellarsi  all’ignoranza,  come  documento  delTirriducihile  esteriorità  di  taluni  fatti  alla  coscienza;  perché  la  stessa ignoranza  non  è  un  fatto  senza  essere  insieme  una cognizione:  cioè  ignoranti  siamo  solo  in  quanto  o noi  stessi  ci  accorgiamo  di  non  sapere,  o  se  n’accorgono  altri;  sicché  l’ignoranza  è  un  fatto,  a  cui l’esperienza  può  appellarsi  solo  poiché  è  conosciuto.  La  coscienza  si  pone  pertanto  come  una  sfera 11  cui  raggio  è  infinito:  come  centro  assoluto  e  immoltiplicabile  nella  cui  unità  converge  la  molteplicità  degli  oggetti,  che  esiste  solo  in  virtù  del  suo riconoscimento.  L’unità  della  coscienza,  del  soggetto,  è  la  pietra  angolare  di  questa  filosofia  :  essa include  non  soltanto  i  cosi  detti  fatti  dell’esperienza  esterna,  incomprensibili  nella  loro  struttura fuori  della  sintesi  mentale;  ma  anche  gli  atti  dell’esperienza  interna  e  dei  soggetti  empirici  umani  o sub-umani,  la  cui  pluralità  è  del  tutto  identica  a quella  degli  oggetti  naturali  e  si  risolve  quindi  nell’unità  dello  spirito  che  attualmente  la  pensa.  Un mondo  ideale  policentrico,  monadistico,  rappresenta per  Gentile  un  residuo  di  naturalismo  ingiustificabile,  poiché  non  c’è  esperienza  umana  che  coltra  il mutuo  trascendersi  delle  monadi  e  raccolga  la  loro sparsa  idealità  in  un  principio  unico,  il  quale  verrebbe  perciò  spostato  all’infinito.  Mentre  invece, l’esperienza  nella  sua  concretezza  esige  l’assoluta immanenza  di  quel  principio,  fuori  del  quale  anche la  pluralità  svanisce.  Il  rapporto  tra  me  e  un  altro soggetto  empirico  non  può  esistere  fuori  della  mia coscienza  che  lo  pone;  se  mai  trascendesse  la  sfera della  coscienza,  ogni  mutua  intelligenza  sarebbe  preclusa;  ma,  appunto  perciò  l’atto  di  coscienza  che include  l’altro  in  me  e  nel  tempo  stesso  lo  distingue da  me,  costituisce  la  soggettività  più  profonda  in cui  si  risolvono  le  soggettività  empiriche  (l’io  e l’altro)  e che  forma la  comune  radice  di  esse.  Quell’atto  dunque  non  è  mio,  perché  tale  appartenenza significherebbe  già  la  sua  riduzione  al  soggetto  empirico,  ma  è  l’Io,  è  ratTermarsi  concreto  di  un rapporto  nella  forma  della  soggettività  mentale. Gentile    a  questo  Io  il  nome  di  soggetto  assoluto  o  trascendentale;  ad  esso,  a  differenza  dall’io empirico – cf. H. P. Grice, “Personal Identity,” Mind,  attribuisce  l’identità  universale  e immoltiplicabile,  che  vince  la  sparsa  attualità  del monadismo. Con  questo  concetto,  egli  è  in  grado  di  risolvere le  varie  antinomie  che  hanno  travagliato  il  pensiero di  molti  filosofi,  come  quelle  del  realismo  e  del  nominalismo,  dell’universale  e  dell’individuale,  ecc.  fino alla  recente  vexata  quaestio  della  distinzione  tra l’attività  teoretica  e  l’attività  pratica  e  del  primato dell’una  o  dell’altra.  Nell’attualità  dell’Io  assoluto v’è  la  ragione  unitaria  di  ciò  che  nelle  antinomie  si polarizza,  e  insieme  la  spiegazione  del  modo  con cui  la  polarizzazione  avviene,  quando  lo  spirito, affiorando  alla  superficie,  perde  l’intimo  contatto  con    stessa  e  converte  in  determinazioni  statiche e  rigide  gli  astratti  momenti  della  sua  sintesi  originaria.  Cosi  il  rapporto  del  teoretico  e  del  pratico è  da Gentile  compreso  nell’unità  a  priori  dello  spirito,  che  è  atto  intelligente  o  riflessione  attiva,  cioè unità  dinamica  di  teoria  e  prassi;  mentre  la  difTerenza  nasce  nella  sfera  superficiale  della  coscienza, dove  i  'due  momenti  si  solidificano  in  entità  distinte. Tale  unificazione  spirituale,  per  Gentile,  non  vuol essere  assorbimento  del  molteplice  nell’uno  ed  esta¬ tica  contemplazione  dell’uno,  ma  realizzazione  e comprensione  dell’uno  nel  molteplice,  e  insieme  differenziamento  e  moltiplicazione  dell’uno;  insomma quello  spiegamento  dello  spirito,  che  riconduce  a  sé, alla  propria  identità,  gli  atti  della  sua  reale  esplicazione.  In  questo  principio  è  riposto  il  criterio  dello storicismo  di  GENTILE.  Vi  sono  due  modi  di  concepire  la  storia.  In  questa  posizione  si  risolve l’antinomia  storica,  secondo  la  quale  lo  spirito  è affermato  come  storia,  perché  è  svolgimento  dialettico,  ed  è  negato  come  storia,  perché  è  atto  eterno fuori  del  tempo.  E  si  risolve  nel  concetto  del  processo  che  è  unità,  la  quale  si  moltiplica  restando una;  di  una  storia,  perciò,  hleale  ed  eterna,  che non  è  (la  confondere  con  quella  di  VICO,  che  ne lascia  fuori  di    una  che  si  svolge  nel  tempo;  laddove  reterno,  nella  concezione  del  Gentile,  è  lo  stesso tempo  considerato  nella  sua  attualità. Ma  di  fronte  a  questa  molteplicità  vera  e  attuale che  si  esplica  nella  storia,  e  la  cui  concretezza  sta nel  suo  svolgersi  dall’unità  e  nell’unità  dello  spirito, v’è  un’altra  e  diversa  molteplicità,  astrattamente fissata  nell’oggetto  del  pensiero  ed  esistente  indi¬ pendentemente  dall’atto  mentale.  Mentre  la  prima  appartiene  alla  logica  del  pensiero  puro,  1  altra rientra  nella  logica  astratta  del  pensato.  La  differenza  nasce  dalla  dialettica  stessa  del  pensiero;  che, in  quanto  è  atto,  è  dillerenziamento  ed  esplicazione di  sé;  ma  l’atto,  una  volta  compiuto  e  isolato  dalla soggettività  creatrice,  si  converte  in  un  fatto,  cioè si  naturalizza  e  diviene  una  realtà  intelligibile  e non  più  intelligente.  A  questo  pensato  si  appropriano  non  le  categorie  della  dialettica,  che  concernono  il  pensiero  in  fieri,  ma  quelle  della  logica  formale,  le  quali  determinano  la  struttura  dell’oggetto mentale  come  puro  oggetto. Tuttavia  la  peculiarità  del  processo  spirituale sta  in  ciò  che  in  esso  l’astrattezza  di  quella  posizione  oggettivistica  è  non  solo  negata,  ma  anche allcrmata.  il  pensiero  concreto,  nell’atto  in  cui  nega il  pensato  come  tale,  lo  afferma  come  momento  inseparabile  del  suo  sviluppo.  La  dialettica  viva  dello spirito  sta  in  questo  continuo  naturalizzarsi  e  straniarsi  del  pensiero,  del  soggetto,  nell’oggetto;  e  in questo  riaff  ermarsi  di  sé,  attraverso  la  stessa  oggettivazione,  che  è  risoluzione  dell’oggetto  come  tale  e sua  inclusione  nel  proprio  ciclo. Gentile,  Sistema  di  logica  come  teoria  dei  conoscere, Pisa, Conforme  a  queste  premesse,  Gentile  ammette due  logiche,  runa  che  è  grado  all’altra  ;  «Se  dialet¬ tica  diciamo  la  logica  del  concreto,  ossia  del  jjuro conoscere,  che  è  riinità  del  soggetto  e  dell’oggetto, oltre  la  dialettica  bisogna  pure  ammettere,  come grado  alla  stessa  dialettica,  una  logica  dell  astratto, ossia  del  pensiero  in  quanto oggetto,  nel  momento dell’opposizione,  senza  di  cui  non  è  attuabile  l’unità in  cui  il  concreto  risiede  Nel  Sistema  di  logica come  teoria  del  conoscere  Gentile  finora ci  ha  dato  una  logica  del  pensato;  ad  essa  terrà dietro  la dialettica,  cioè  il  sistema  detl’attività  pensante,  di  cui  non  possediamo  che  i  capisaldi,  già esposti  nelle  pagine  precedenti. La  diflerenza  del  pensiero  e  del  pensato  e  della molteplicità  immanente  all’uno  e  all’altro  vale  anche a  determinare  il  rapporto  tra  le  forme  assolute,  e  che >  Donde  la  necessità  di  porre  su  due  plani  ben  distinti  le relazioni  interne  del  pensato  e  le  relazioni  nelt’atto  del  conoscere,  la  relatività  delle  determinazioni  del  reale  e  quella  del momenti  del  processo  conoscitivo,  l’/o  penso  della  logica  kantiana  e  il  soggetto  assoluto  della  metalisica. quindi  una  metafisica  della  mente  deve  seguire  una  via multo  più  indiretta  e  faticosa  per  fondare  la  spiritualità del  reale.  Dalla  Critica  del  Giudizio  di  Kant,  alla  filosofia della  natura  di  Schelling  e  di  Hegel,  via  via  fino  al  contingentismo  del  Boutroux,  all’evoluzione  creatrice  del Bergson,  al  realismo  dcH’Alexander,  al  neo-hegelismo  delrHamelin.  è  tutta  una  serie  di  sforzi  per  questa  via  più ardua;  essi  valgono  almeno  a  segnalare  la  presenza  di un  problema  di  cui  l'attualismo  s’é  sbrigato  troppo  a cuor  leggero.  Tutto  ciò  che  formava  oggetto  della  metafisica  dell’essere  non  s’illumina  in  un  fiat  col  porre l’equazione  tra  l’essere  e  Tesser  conosciuto;  cosi  non si  fa  che  porlo  semplicemente  a  foco;  ma  si  tratta  poi di  conoscerlo  clTettivainentc;  se  no,  si  trasferisce  il  mistero  da  una  posizione  all’altra,  senza  accrescere  di  un sul  iota  la  nostra  conoscenza  della  realtà.  Pretendere  di aggiogare  il  mondo  all’atto  del  pensiero,  senza  che  questo si  faccia  concretamente  coscienza,  autorivelazione,  atto del  mondo,  è  un  faticare  per  trascinarsi  dietro  la  propria ombra:  agendo  nihil  agere. Questi  cenni  critici  preludono  a  un  esame  particolareggiato  della  filosofia  di Gentile,  che  io  mi  propongo di  pubblicare  nell’appendice  al  presente  libro,  e  ad  una revisione  della  mia  posizione  idealistica,  di  cui  ho  cominciato  a  dare  qualche  sporadico  saggio  negli  scritti pubblicati in questi  ultimi  anni. In questa nota si  fa  cenno  unicamente  dei  libri  che hanno  attinenza  col  testo.  Per  una  bibliografia  più  estesa, cfr.  F.  rKBKBWEG.  Gniiulriss  der  Gescliichle  der  Pliitosoiìhie:  die  Pliil.  seit  lieginn  des  neiinzehnten  Jahrhitiiderls);  ed.  da Heinze. Berlino,  litoti. INTRODUZIONE. Sulla  filosofia  contemporanea  in generale,  ampi  ragguagli  si  trovano  nelle  riviste,  come La  critica,  la  Riuista  di  lilosofia,  la  Cultura  filosofica,  la Zeitschrift  fiir  Phitosophie  und  phitosophische  Kritik,  la lievue  de  Métaphysique  et  de  Morale,  il  Mind.  Ufr.  inoltre  Wi.NDELBANU,  Lehrbuch  der  Geschichte  der  Philosophie,  Strassburg,  Tùbingenl;  H.  Hoffdino. Moderne  Philosophen,  Leipz.; Mabtinetti,  Introduzione  alla  metafisica,  Torino;  F.  de  Sablo,  Studi  sulla filosofia  contemporanea,  Roma;  V'illa.  La  psicologia,  Torino;  L’idealismo  moderno, Torino;  Aliotta,  La  reazione  idealistica  contro  la scienza,  Palermo;  su  di  essa,  v.  la  mia  recensione in  Critica. Il  concetto  della  nazionalità  della  filosofia,  da  cui prende  le  mosse  la  nostra  Introduzione,  si  trova  sviluppato  nelle  opere  di  B.  Spaventa.  Cfr.  specialmente:  La filosofia  italiana  nei  suoi  rapporti  con  la  filosofia  europea, Bari. LA  FILOSOFIA TEDESCA. KOlfe.  Die Philosophie  der  Gegenwart  in  Deutschland,  Leipzig,  Cahitolo  I:  intorno  alla  tlissoluzioni-  tlclPhi-gelismo, J.  H.  Erdmaxn,  Gniiulriss  der  Gesrhichle  der  l‘hilosophie, i-(l.  da  B.  Erdinann,  Berlin.  Per  la  scuola  di  Tu- binga:  F.  G.  Baur,  Die  Tiibinger  Schiile  vnd  ihre  Stelliiny zur  Geyenioart,  Tiibingen;  Zkller,  C.  tiaur  et fècole  de  Tiibitmue.  Ir.  fr.,  Paris; Strauss,  Dos l.ebeit  Jesii.  Tùb.;  Der  alte  iind  tiene  GItinbe,  Leipzig. Un  parallelo  tra  Strauss  e Renan  si trova  nei  Vorlrdge  und  Abhnndiungeii  geschichtlichen Inhalts  dello  Zeller. Sul  materialismo  storico:  Marx.  Dos  Kapital,  Krilìb  der  itolitischeii  Oekoiwmie,  ed. dalVEngels  (Hamburg);  ifisère  de  la  pbilosopltie, Paris. ;  F.  Encels,  llerrn  Kngen  Dùhrings  Gmaitilzang der  Wisiseiischnft,  Stuttgart.  In  proposito  I.abriula, Saggi  intorno  ulta  concezione  mnlerialislictt  della,,  storia (3  v(dunii.  Roma;  (!.  Gentile.  La  /i/osoflo  di Murjc,  Pisa;  Croce.  Materialismo  storico  ed  economia  marxista,  Bari.  Sulla  psicologia  dei  po- pedi:  Xeilschrift  far  Vólkerpsgcliologie  and  Spracliaa's- senschaft,  ed.  da  .\1  Lazahls  e  H.  Steinthal, Sul  naturalismo:   BCchneh,  KrafI  and  Staff, Frankfurt  a  M..;  E.  nu  Bois  Reymond,  Die sieben  Weltrdihsel,  la:ipzig,:  sono  le  opere più  significative.  Inoltre:  Duhkixg,  Cursus  der  PliUosophie;  Logik  und  ÌVissenscbaftsIheorie, Leipz;  Th.  Fechne;h.  Zend-Aiiesta,  Leipzig;  E. Hartmann,  Philosophie  des  Vnbeaaissten,  Berlin;  Kalegorienlehre,  Leipzig;  Drews,  Das  Ich als  Grand-problem  der  Metaphgsik,  Freiburg.  Sul  naturalismo  in  genere,  cfr.  .4.  Lance,  Histoire  da  matèria- lisme,  tr.  fr.,  Paris,  Lotze: Mikrokosmos,  Leipzig,  vedi;  Logik,  Leipzig;  Metaphgsik,  Leipz..  Sul Lotze:  O.  Caspari,  //.  L.  in  seiner  Slellang  za  der  durch Kant  begriindeten  neaesten  geschichte  der  Pbilosophie Breslau;  H.  Schoen,  La  métaphgsigue  de  H.  L., Paris; Wallace,  Lectures  and  Essags,  Oxford (vi  si  parla  del  Lotze  in  appendice); R.,  La  filosofia  dei  valori  in  Germania, Trani (estr.  dalla  Critica). Laas,  Idealismas  und  Positivismus, Berlin,  Schlppe, Erlienntnistheoretische  iMyik,  Bonn, ;  (inindriss  der Erkenntnistheorie  iiiid  l-f>iiik,  Berlin.  Rehmke, l.ehrhiich  der  itUgemeinen  Psiirbolofiie,  Hainlniri!. Leipzig);  Pliilosopbie  ah  Griindiuhseiisfbafl,  Leipzig:  organo  della  cosi  della  illosolia  del  dalo  è  la Xeitschrift  fiir  immanente  Philoxophie. Sulla  teoria  degli  oggelti.  efr.  gli  art.  di  A.  Meinono  nella Xeitschrift  fiir  Phil.  tt.  pliit.  Kritik;  in  particolare:  Veber die  Stellung  der  Geuenstandtheorie  im  Stistem  der  IVi.s- senschaften. Cfr.  inoltre  le  Vntersuchaniien  zar Gegenstandtheorie  iind  Psr/chologie,  ed.  dallo  stesso  Meinong.  Circa  roricnlanienlo  generale  della  dottrina,  v.  la relazione  delTHoFLER  al  Congresso  inlernazionale  di Psicologia,  Roma:  Sind  wir  Psiicholoìiisten?. Per l’empirio-criticismo:  R.  .Ave.narius,  l’hitosuphie  ids  Den- ken  der  Welt  gerndss  dem  Prinzip  der  kleinsten  Kraft- masse.  Prolegomenu  zìi  einer  Kritik  der  reinen  Erfahriing. Leipzig  (Berlin);  Kritik  der  reinen  Erfahriing, 2  voli.,  Berlin;  Der  menschiirhe  Wetthegriff, Leipzig.  SiiirAvenarius  v.  il  saggio  del Wundt  in  Philosophische  Stiidien;  un  articolo assai  limpido  è  quello  del  Delacroix.  A.,  in  Renne  de métaph.  et  de  mor.,  Petzoi.dt,  Einfiihrnng  in  die  Philosaphie  der  reinen Erfahriing,  Leipzig;  E.  .Mach.  Die  Prin- zipien  der  Mechanik  in  ihrer  Entinickeliing  hislorisch- kritisch  dargestellt,  Leipzig;  Die  Prinzipien  der Wàrnilehre  historisch-kritisch  entinickelt,  Leipzig; Die  Anaigse  der  Empfìndiingen,  Jena,  Erkenntniss nnd  Irrtnm,  Leipzig.  Cornelius,  Einleiinng  in die  Philosophie,  Leipzig,  Di  tendenze  alOni,  olire l'Helinoltz  e  il  Kirchoff,  è  IL  Hertz:  v.  l’interessante introduzione  ai  suoi  Prinzipien  der  .Mechanik,  Leipzig. Sulla  fìlosolia  dell’illusione:  .A.  Spir,  Pensée  et realité,  tr.  fr..  Lille;  Esqiiisses  de  philosophie  cri- tiqiie,  Paris. Recentemente  H.  Vaihinokr,  Die  Phi¬ losophie  des  Als  Oh,  Berlin. Alb.  Lance,  Geschichle  des  Mnte- rialismiis  nnd  Kritik  seiner  Bedeiitnng  in  der  Gegenwart, Iserlohn,  Leipzig);  O.  Liebmann,  Kant  nnd  die Epigonen,  Stuttgart;  Znr  Analysis  der  Wirklichkeil, Strassburg;  A.  Riehl,  Der  philosophische Kriticismiis  und  seine  liedeutung  fiir  die  positive  Wis- senschdft,  Leipzig.  Sul k.TnIismo  inatemalico-platonizzunte,  H.  Cohen,  Knnts Theorie  der  Erfahrung,  Berlin;  System  der Phiiosophie:  1  parie:  Logik  der  reineii  Erkennlniss.  Berlin:  EtUik  des  reinen  Willens,  Berlin;  recentemente,  Aesthetik  des  reinen  Gefùhls,  Berlin.  Sul  Cohen  v.  il  recente  fase,  dei  Kantstudien, Natorp,  Platos  Ideenlehre,  Leipzig;  Die logischen  Grundlayen  der  exakten  Natunvissenschoften, Leipzig,  Cassirer,  SuhslanzbegriU  und  Funktions- hegritf,  Berlin. Sulla  lllosofla  dei  valori,  oltre  le opere  del  Lotze  cit.:  C.  Siuwart,  l.ogik,  Tiibingen;  Bergmann,  Reine  Logik,  Berlin,  Win- DEi.BANn,  Reitrdge  zur  Lehre  vom  negntiven  Vrteil  (Slniss- hiirger  Abhundliinyen  zur  Philopophie  E.  Zellers  70  Geburtstag,  Kreib.  i.  Br., ;  Prdiudien,  Aufsatze und  Heden  zur  Einleituny  in  die  Phiiosophie,  Freiburg  i-Br.;  Vgm  System  der  Kategorien (Phitos,  Abhandl.  C.  Siywurt  zu  seinem  70  Gehurtstuge gewidmet,  Tiibingen;  Veber  Willensfreiheit,  Tiibingen;  7,um  Regriff  des  Gesetzes  (Rerirht  iiber den  Intern.  Congress  fiir  Phit.,  Heidelberg). H.  Rickert,  Der  Gegenslund  der  Erkennlniss,  ein  Hei- triig  zum  Problem  der  philos.  Transsrendenz,  Freiburg (Tiibingen);  Zwei  Wege  der  Erkenninistheorie.  In  proposito,  v.  il  cit.  mio  scritto:  L(t  filos.  dei  valori  in  Gemi,  Sullo  storicismo,  oltre  i  saggi  del  Windelbaiid:  \\'.  Dilthey,  Einleitung  in  die  Geistesuiissen- srhaflen,  Leipzig;  P.  Barth,  Die  Phiiosophie  der Geschichte  als  Sociologie,  Leipzig;  G.  Simmel,  Die Probleme  der  Geschichtsphilosophie,  Leipzig;  Rickert,  Die  Grenzen  der  naturwissenschaftlichen  Be- griffsbildung.  Eine  logische  Einleitung  in  die  hislori- schen  Wissenschaften,  Freiburg  i-Br.;  S.  Hbs- SEN,  Individuelle  Kausalitàt,  Berlin,  Sulle  scienze sociali:  C.  Bolglé,  Les  Sciences  sociales  en  Allemagne, Paris,  Simmel,  Einleitung  in  die  Moralwissen- schaften,  Berlin;  Phiiosophie  des  Geldes, Stammleh,  WirtschafI  und  Rechi  nach  der  ma- terialistischen  Geschichtsau/fassung,  Halle,  1896  (Leipzig);  Die  Lehre  von  dem  richtigen  Rechte,  Berlin, Sul  movimento  teologico:  \.  Ritschl,  Die  christliche  Lehre  oon  der  Rechfifertigung  und  Versdhnung, Bonn;  W.  Hermann,  Die  Religion In  Verhàltnis  zum  Welferkennen  und  zur  Sitllichkeit, Halle;  sul  Ritschl  e  il  ritschlìanisnio,  v.  le  importanti  osservazioni  del  Boutroux,  Science  et  religion, Paris, Harnack,  L’essenza  del  Cristianesimo,  tr. it.,  Torino,  Sul  neo-kantismo  in  genere,  v.  la  rivista  Kantstudien,  che  si  va  pubblicando  sotto la  direzione  del  Vaihinger  e  ora  anche  del  Bauch. Sulla  psicofisica,  cfr.  Th.  Ribot,  La psgchologie  allemande  conlemporaine,  Paris. Sul psicologismo  cfr.;  Husserl,  Logische  l'ntersucliungen,  Halle;  F.  Brentano,  Psgchologie  vcm empirischen  Standpunkte,  Leipz. (il  secondo  volume,  preannunziato, non  è  stato  poi  pubblicato).  Th Lipps,  Grundtatsacben  des  Seelenlehens,  Bonn; Leitfaden  der  Psgchologie,  Leipzig;  A.  Meinong, Psgchologisch-elhische  Untersuchungen,  Graz,  Ehrenfels,  Sgstem  der  Wertlheorie,  I:  Allgemeine  Wert- Iheorie.  Psgchologie  des  Begehrens;  II:  Grttndzilge  einer Ethik,  Leipzig.  Intorno  a  questa  dottrina,  cfr.  Orestano,  Valori  umani,  Torino, Wundt,  Sgstem  der  Phitosophie, Leipzig;  Einleitung  in  die  Phitosophie,  Leipzig,  Paulsen,  Einleitung  in  die  Philo- sophie,  Berlin;  Sgstem  der  Ethik,  Berlin, Bergmann,  .Sgstem  des  objectioen  Idea- lismus,  Marburg,  Sul  naturalismo:  E.  Haeckel, A'aturliche  .Schopfungsgeschichte,  Berlin; Die  Weltràthsel,  Bonn;  VV.  Ostwald,  Vorle- sungen  ilber  Naturphilosophie,  Leipzig,  Busse.  Geist  und  Kórper,  Seele  und  Leib,  Leipzig,  Nietzsche,  Die  Geburt  der  Tragodie  aus  dem  Geiste der  Mgstik,  Leipzig;  Als  sprach  Zarathustra,  Chem- nitz,  Leipz.;  Jenseits  uon  Gut  und  Róse, Leipzig,  Sul  Nietzsche  cfr.  il  saggio  del  Berthelot, pubblicato  nel  volume:  Éuolutionnisme  et  Platonisme, Paris,  Sulla  metafisica  del  Irasccndentc:  R. Eucken,  Geschichte  und  Kritik  der  Grundbegri/fe  der  Ge- genwart,  Leipzig,  pubblicato  per  la  terza  volta  col  nuovo  titolo:  Geistige  Stromungen  der  Geyen- G.  R..  La  filosofia  contemporanea.  wart,  Leipzig;  Der  Kampf  um  einen  geisligen  Lebensinhalt, Leipz.;  Ln  visione  della  vita  nei  grandi  pensatori. Ir.  il.,  Torino;  J.  Volkelt,  Erfahrung  and  DenUen, Hamburg  iind  l.eipzig;  Th,  Lippe,  Naturphilosophie (in;  Die  Philosophie  in  Beginn  des  zwanzigsten  Jahrhun- dert.  ed.  dal  Windelband,  Heidelberg:  manca  nella 1*  ediz.);  J.  Cohn,  Allgemeine  Aesthetik,  Leipzig;  Vo- raussetzungen  and  Ziele  des  Erkennens,  Leipzig,  MCnsterbero,  Philosophie  der  Werle,  Leipzig,  LA  FILOSOFIA  FRANCESE. Damiroji, Essai  sur  la  philosophie  en  France,  Paris;  H.  Taine,  Les  philosophes  frangais, Paris:  F-  Ravaisson,  La  philosophie  en France,  Paris,  Boutroux La  philosophie  en  France (Congresso  di  flios.,  Heidelberg).  Cfr.  inoltre  VAnnée  philo- sophique.  ed.  dal  Pillon,  e  la  Revue  de  métaphsique et  de  morale,  ed.  dal  Léon. Sull’eclettismo:  V.  CousiN,  Fragments philosophiques,  Paris:  del  Joifproy  il  la¬ voro  più  importante  e  significativo  è  la  Préface  à  la  tra- duction  des  esqttisses  de  phil.  morale  de  Dugald  Stewart, Paris;  Ad.  Garnier,  Traité  des  facultés  de  Vàme, Paris;  Ch.  de  Rémusat,  Essai  de  philosophie Paris,  Sulle  dottrine  biologiche  della  scuola eclettica  c’è  un’ampia  rassegna  del  Saisset,  L  àme  et  le corps  (in  Revue  des  deux  Mondes).  Cfr. intorno  all’eclettismo  in  generale  il  mio  scrilterello: L’eclettismo  francese  {Rivista  di  filosofia). —  Sul  positivismo:  A.  Coiute,  Cours  de  philosophie.  positive,  Paris;  E.  LittrA.  A.  Comte  et SI.  Miti,  Paris,  1866;  La  Science  au  point  de  ime  phiio- sophique,  Paris;  A.  Cournot,  Essai  sur  les  fonde- menls  jfe  nos  connaissances,  Paris;  I  raité de  i’enchainement  des  idées  fondamentales  dans  les Sciences  et  dans  l’histoire,  nuova  ediz.  a  cura  di  L. Lévy-Bruhl,  Paris;  H.  Taire,  De  V Intelligence, Paris  Sulla  metafisica  positiveggiante.  E.  Vache- ROT,  La  métaphysique  et  la  Science,  2  voli.,  Paris, Sui  nuovo  spiritualismo:  F.  Ravaisson,  La  phil.  en Frutice  oìt.;  P.  .Ianet,  l.es  cuiises  fìnales,  Paris; Princiiies  de  métaphysiqtie  et  de  psycologie,  in  2  voli., Paris:  c  una  raccolta  di  lezioni  universitarie,  inte¬ ressante  per  valutare  la  mentalità  di  questo  indirizzo. E.  Vacherot,  Le  nouveau  spiritiialisnie,  Paris.  Cfr in  proposito  il  mio  articolo;  Il  nuovo  spiritualismo  fran¬ cese  iliivista  di  filosofìa).  Per  la  filosofia della  libertà:  Ch.  SéCBETAX.  La  philosophie  de  la  liberlé, Paris.  L’articolo  di  P.  Janct  sul  Sé- cretan,  a  cui  si  allude  nel  testo,  fu  pubblicato  nella Renile  des  deux  Mondes  ristampato, con  una  risposta  del  Séeretan,  nel  voi.  cit.  del  J.:  Psych. et  inétaph. Sul  fenomenismo:  Cn.  Renoi'VIEH.  Es- sais  de  crilique  générale:  1.  Logiqiie,  Paris. Psgchotogie  rationelle,  Paris;  IH.  Princ.ipes  de  la  nature, Paris;  Inlroduclion  à  la  philosophie  ana- lytique  de  l'histoire,  Paris;  La  nouvelle  mo¬ nadologie  (in  collaboraz.  con  L.  Prat),  Paris;  Le personalisme,  Paris.  Cfr.  inoltre  VAnnée  philoso- phiqiie,  ed.  dal  Pillon.  dove  sono  raccolti  molti  articoli del  Renouvier  e  dei  suoi  seguaci.- — J.  .1.  (ìolrd.  Le  phénomène,  Paris;  Les  trois  dialectiques  IReniie  de  mét. et  de  mor.;  Philosophie de  la  religion,  Paris,  Boirac,  L'idée  dii  phénoméne, Paris,  Lachelieb,  Dii  fondement  de  l'in- diiclion.  Illùse  de  doctorat,  Paris;  Psychologie  et métaphysique,  in  Rev.  pliilos. Questo  saggio  è stato  poi  ristampato  in  appendice  alla ediz.  del  Fon- deni.  de  l'induct.;  Kssngs  on  some  unsettled  Questions  of  Politicai  Economo,  Lond., : importante  il  saggio  V,  dove  si  parla  della  dottrina  della definizione.  Bradley,  The  Principles  of  Logic,  Lond.;  Bosanquet,  Logic  or  thè  Morphology  of  Knowledge,  Oxford;  Baldwtn,  Thought  and Things: A  stiidg  of  thè  deiielopment  and  meaning  of thought  or  Genetic  Logic,  London. Sulla  psicologia  dell’empirismo:  Tu. Ribot.  La  psgchologie  anglaise.  Paris. Sull’etica:  Mill.  Utilitarianism,  Lond., dal Frasers  Magazine;  Spencer,  Data  of  Ethics.  Cfr.  Guyau,  La  morate  anglaise  “and lack thereof” – H. P. Grice, Paris. Spencer,  First  Principles,  Lond. Sullo  Spencer  cfr.  O.  Gaupp,  Spencer,  Stuttgart.  Sulla  dottrina  della  scienza: Maxwell,  Discourse on  moleculs  Scientiflc  Papers,  ed. Niven: Matter  and  motion,  London;  Clifforb,  Lectures  and  Essags,  London. Sul  prammatismo:  Peyrcb,  How  lo  make  our  ideas  clear  (thè Popular  Science  Monthly;  James,  Principles  of  Psychologu,  Boston;  Will  lo  belieue,  New-York, Grice: “He willed that he was an Englishman; he failed!” ;  The  narieties  of  Religious  Experience,  New-ork  and  London;  Pragmatism: A  new nome  for  some  old  ways  of  thinking,  New-York; Dewey,  Studies  in  logicai  Theory,  Chicago.  Per la  letteratura  sul  prammatismo,  cfr.  il  Journal  of  Philosophy,  Psycology  and  Scientiflc  Methods,  ed.  da  Woodbridge.  Per  l’umanismo,  cfr.  Schiller, Études  sur  l  humanisme,  trad.  fr.,  Paris. Sulla LOGISTICA:  Russell,  The  principles  of  mathematics, Cambridge;  L.  Couturat,  Les  principes  des  mafhématiques,  Paris; Hodgson,  Time  and  Space, Lond.;  The  Methaphysic  of  Experiencei, Lond. Quest’opera  non  è  a  nostra  conoscenza  diretta,  ma  ne  abbiamo  avuto  notizia  da  due  articoli,  l’uno  di  Sarlo,  La  metafìsica  dell'esperienza delTHodgson,  Riuista  fllosoflca;  l’altro  di Dauriac,  in  L’année  philosophique. SulThegelismo  inglese: Stirling, The  secret  of  Hegel,  Lond.; Wallace,  Introduction  to  thè  sludy  of  Hegel's  Hhilosophy  Oxford;  E.  Caibd,  Hegel  (Blackwood’s  Phil.  Classic,)  Edinb.-Lond.;  Baillie.  The  oriyin  and significance  of  Hegel’s  Logik,  London;  J.  MacTaooart,  Studies  in  thè  hegelian  dialfclic,  Cambridge;  Studies  in  hegelian  cosmology,  Cambridge. Di  Green,  cfr.  Introduction  to  Hume's  Treatise on  Human  Nature  (nell’ediz.  delle  opere  di  Hume.  a cura  del  Green  e  del  Grose,  Lond.;  Prolegomena to  ethics,  ed.  da  Bradley,  Oxford.  Sul Green,  PARODI,  Vidéalisme  de  J.  H.  G.,  in  lìev.  de métaph.  et  de  mor. Bradley,  Appearance  and Realily.  d  Methaphysical  Essay,  London. Intorno  alla  fìlosofla  della  religione  cfr. .Newman, Ari  essay  in  nid  of  a  Grommar  of  assent,  Lond.;  l.e dèueloppement  du  dogme  chrétien  par  Breinond,  Paris.  L’autobiografla  del  N.  è  stata  tradotta  col  titolo:  Il  cardinale  Newman,  Piacenza; Tyrrel,  La  religion  exterieure,  tr.  fr.,  Paris; Cairo,  The  euolution  of  Religion,  Gifford  Lec- tures,  Glasgow,  Wallace,  Lectures  and  Essays  on  Naturai  Theology  and  Ethics edito  postumo  dal  Caird,  con  una  biografia),  Oxford. Baillie,  An  outline  of  thè  idealistic  construction  of  Experience,  London. Wabd,  Natura- lism  and  agnosticism,  London; The renlm  of  ends,  or  Pluralism  and  Theism,  Cambridge; Rovce,  The  spirit  of  Modem  Philosophy,  Boston;  The  world  and  thè  indinidual,  New-York, LA  FILOSOFIA  ITALIANA.  Spaventa, La  filosofia  italiana  nelle  sue  relazioni  con  la  filosofia europea,  Bari;  Fiorentino,  La  filosofia  in  Italia,  Napoli;  G.  Gentile,  La  filosofia in  Italia, pubblicata  uella    serie  della Critica.  Un  ricco  materiale  di  recensioni,  varietà,  documenti  si  trova  ne  La  Critica,  Rivista  di  Letteratura, Storia  e  Filosofia,  diretta  da  Croce. Sul  Rinascimento:  Spaventa,  Saqgi di  crilica,  Napoli; Gentile,  TELESIO,  Bari, e  Storia  della  filosofia  italiana (Vallardi, Milano);  Fazio  Allmaybh,  Galilei  nella  collezione  del  Sandron:  I grandi  Pensatori),  Palermo. Sulla  posizione  storica  di  MACHIAVELLI  non  è  stata  aggiunta  ancora  una  sola  linea  a  quanto ha  detto  Sanctis  nella  sua  Storia  della  letteratura italiana. Di  BRUNO  v.  la  recente  edizione  dei  Dialoghi italiani  cur.  Gentile:  I.  Dialoghi  metafisici,  Bari;  Dialoghi  morali,  Bari, nella  Collana  di Classici  della  filosofia  moderna,  cur.  Croce  e Gentile).  Su  BRUNO,  v.  Spaventa,  Saggi  di critica,  cit.;  inoltre  La  fìlos.  ital.  nelle  sue  relaz.  ecc.,  e Gentile,  G.  fì.  nella  storia  della  cultura,  Palermo. Intorno  a CAMPANELLA,  v.  le  due  opere  testé  citate  di  SPAVENTA.  Fondamentale  è  il  saggio  d’AMABILE, La  congiura,  il  processo  e  la  follia  di CAMPANELLA, Napoli,  Morano,  e  Campanella  nei  castelli di  Napoli,  in  Roma  e  in  Parigi.  Su  GALILEI, cfr.  il  volume  cit.  di  Fazio. Di  Vico  si  va  curando  una  nuova  edizione  completa  delle  opere  nella collezione  del  Laterza  Scrittori  d'Italia.  Nei  Classici della  Filosofia  moderna  è  stata  testé  pubblicata,  a  cura di  Nicolini,  una  edizione  della  Scienza  Nuova,  con ampie  annotazioni  e  un’importante  prefazione.  Su Vico cfr.  Spaventa,  La  filos.  ital.  cit.;  SANCTIS, St.  della  letter.  it.]  recentemente,  Croce,  La  filosofia di  Vico,  Bari,  e  G.  Gentile,  La  prima  fase della  filosofia  di  Vico  nella  Miscellanea  di  studi  in  onore di  F.  Torraca,  Napoli. Di GALLUPPI,  cfr.:  Saggio filosofico  sulla  critiou  della  conoscenza,  Napoli. Vari  accenni  a Galluppi  si  trovano  nelle  opere  di  Spaventa;  v.  inoltre:  Gentile,  Da  Genovesi  a  Galluppi,  Napoli. A.  Rosmini-Serbati,  Nuovo  Saggio sull’origine  delle  idee,  Roma. Intorno  a  R.:  V.  Gioberti,  Degli  errori  filosofici  di  Serbati, Bruxelles;  Spaventa,  Scritti  filosofici,  ed. dal  Gentile,  Napoli;  Gentile,  Rosmini  e  Gioberti,  Pisa. Del  Gioberti  si  può  vedere  La  Nuova Protologia,  curata  dal  Gentile.,  Bari,  nella Collana  di  Classici  della  filos.,  ecc.).  Cfr.  inoltre:  Spaventa,  Im  filosofia  di  Gioberti,  Napoli;  La  filos. ital.  ecc.;  inoltre  il  saggio  cit.  di  Gentile,  R.  e ROVERE,  Del  Rinnovamento  della  filosofia  in  Italia,  Parigi;  Confessioni  di  un  metafisico, Firenze; Ferri,  Essai  sur  l'histoire  de la  philosophie  en  Italie,  Paris;  Il  fenomeno  sensibile  e  la  percezione  esteriore,  ossia i  fondamenti  del  realismo, Lincei; Bf.htini,  Idea  di  una  filosofia  della  vita,  Torino,  Ferrari,  La  filosofia  della  rivoluzione,  Londra. Sul  positivismo:  Cattaneo, Opere  edite  e  inedite,  Firenze;  P.  Villari,  Arte, Storia,  Filosofia,  Firenze;  Gabelli,  L’uomo  e  le scienze  morali,  Milano;  Angiulli,  La  filosofia  e la  ricerca  positiva,  Napoli;  La  filosofia  e  la  scuola, Napoli;  Ardigò,  Opere  filosofiche. SuIl’A.  cfr.:  Marchesini,  La  vita  e  il  pensiero  d’Ardigò,  Milano. Organo  del  positivismo,  dal è  la  Rivista  di  filosofia  scientifica,  edita  da  Morselli.  Cfr. inoltre  la  Rivista  di  filosofia  e  scienze  affini,  editV  da uno  scolaro  d’Ardigò,  iMarchesini.  Questa  rivista s’è  fusa  con  la  Rivista  filosofica  di  Cantoni  in una  Rivista  di  Filosofia  ed  ha  assunto  un  indirizzo  eclettico. Intorno  alla  filosofia  dualistica:  Bonatelli, Pensiero  e  conoscenza,  Bologna;  Percezione  e  Pensiero, Atti  del  R.  Istituto  veneto  di  scienze,  lettere  ed arti.  Cantoni.  Kant,  La  filosofia  teoretica-,  La  filosofìa  pratica;  La  filosofia  religiosa,  la  critica  del  giudizio  e  le  dottrine minori,  .Milano,  Acri,  Videmus  in  aenigmate,  Bologna. Sarlo,  Studi  sulla  filosofia,  Roma;  I dati  dell’esperienza  psichica,  Firenze;  inoltre  vari  articoli  pubblicati  nella Cultura  filosofica  da  lui  diretta.  B.  Vahisco,  Scienza  e opinioni,  Roma;  I massimi  problemi,  Milano. Recentemente  V'arisco  ha  pubblicato  un  altro  volume: Conosci  te  stesso,  Milano,  di  cui  abbiamo  parlato neH’Appendice.  Sul  kantismo:  Fiorentino,  ELEENTI DI FILOSOFIA AD USO DEI LICEI, ED. DA GENTILE, NAPOLI;  Masci,  Una  polemica  su  Kant,  l’Estetica trascendentale,  e  le  Antinomie,  Napoli;  Le  forme dell’intuizione,  Chieti;  Il  materialismo  psicofisico e  la  dottrina  del  parallelismo  in  psicologia,  Napoli; Martinetti,  Introduzione  alla  metafisica,  Torino,  Suirhegelismo:  Vera.  Iniroduction à  la  philosophie  de  Hegel.  Paris;  La  logique de  Hegel,  Paris; Spaventa,  La  filosofia  di  Gioberti.  Napoli; Saggi  di  critica  filosofica,  politica,  religiosa, Napoli;  Esperienza  e  metafisica, cur.   Jaia,  Torino-Roma;  Scritti  filosofici,  con  note  e  un  discorso  sulla  vita e  sulle  opere  dell’Autore,  cur.  di  Gentile,  Napoli;  Principi  di  etica,  cur. Gentile,  Napoli;  Da  Socrate  a  Hegel,  nuovi  saggi,  cur. Gentile,  Bari;  La  filosofia  italiana  nelle  sue  relazioni con  la  filosofia  europea,  cur.  di  Gentile,  Bari;  Logica  e  metafisica,  cur.  Gentile,  Bari. _ Della  Storia  della  letteratura  italiana  di  Sanctis  è  stata  fatta  testé  una  nuova  edizione  cur. Croce  nella  Collana  Scrittori  d'Italia. Sul  marxismo:   Labriola,  Saggi  intorno  alla  concezione  materialistica della  storia:  In  memoria  del  manifesto  dei  comunisti, Roma:  Del  materialismo  storico.  Dilucidazione  preliminare,  Roma:  Discorrendo  di socialismo  e  di  filosofia.  Roma;  Croce. Materialismo  storico  ed  economia  marxistica,  Palermo. Di  Croce  cfr.:  La  filosofia  dello  Spirito.  Estetica,  come  scienza  dell’ESPRESSIONE e  linguistica  generale,  Palermo,  Bari;  Logica  come scienza  del  concetto  puro,  Bari; Filosofia  della Pratica.  Economica  ed  etica,  Bari;  Saggi  filosofici:  Problemi  di  estetica  e  contributi  alla  storia  dell’este¬ tica  italiana,  Bari,  La  filosofia  di Vico, Bari;  v.  inoltre  la  Critica,  cit.  Intorno  a  questa  rivista  sono  sorte  due  collane  di  testi:  Classici  della  filosofia  moderna,  e  Filosofi d’Italia,  per  l’editore  Laterza  di  Bari.  Di  G.  Gentile,  oltre  gli  articoli  che  va pubblicando  in  Critica,  cfr.:  Rosmini  e  Gioberti,  Pisa;  Il  concetto  scientifico  della  pedagogia,  Roma; Dal  Genovesi  al  Galluppi,  Napoli;  Il  concetto  della Storia  della  filosofia,  Pavia dalla  Rivista  filosofica; Il  modernismo  e  i  rapporti  tra  religione  e  filosofia,  Bari;  L’atto  del  pensare  come  atto  puro,  Palermo, Annuario  della  biblioteca  filosofica. Rimando  all’Appendice  per  la  rassegna  bibliografica degli  scritti. NOTA  BIBLIOGRAFICA. Avvertenza. Nel  testo  abbiamo  generalmente  rispettato  la  cronologia:  ma  evidentemente,  dove  si  parla di  filosofi  contemporanei,  è  il  criterio  dell’esigenza  di pensiero  che  essi  rappresentano  quello  che  decide  del posto  che  spetta  a  ciascuno.  Lo  stesso  criterio  vale  per ciò  che  concerne  i  vari  periodi  dell’attività  fllosoflca  di uno  stesso  pensatore. Guido De Ruggiero. De Ruggiero. Ruggiero. Keywords: storia della filosofia romana, Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruggiero” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Rusca: la ragione conversazionale dell’apollo lizeo – lizio – lizeo – I viali dei giardini dell’apollo lizio – lizeo – Apollo in riposo – la scuola di Venezia -- filosofia veneta -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Venezia). Filosofo veneziano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Studia filosofia. Vicario generale di Padova della congregazione del S. Uffizio. Ricopre quindi il ruolo d’inquisitore. Scrive “Syllogistica methodus”; “De caelesti substantia”; “De fabulis palaestini stagni ad aures Aristotelis peripateticorum principis” e l’ “Epitome theologica”. Vescovo di Caorle. Uno dei presuli che più si spese per le necessità della sua diocesi. È infatti ricordato per gl’mponenti restauri della cattedrale che volle fossero eseguiti per salvare l'edificio dall'imminente rovina. Durante questi restauri ricopre il soffitto della cattedrale con stucchi e da all'edificio una struttura barocca. La ri-consacrarla, apponendo alle pareti XII croci in cotto. Inoltre, fa completare la realizzazione dei nuovi reliquiari per le insigne reliquie dei santi patroni (Stefano proto-martire, Margherita di Antiochia, e Gilberto di Sempringham) e provvide al rinforzo della struttura del campanile. Al completamento di tutti i lavori, vuole che alle solenni celebrazioni presenziassero musici provenienti da Venezia. A memoria di tutto ciò, resta la lapide, affisse alla parete sinistra del duomo. D[EO] O[PTIMO]. M[AXIMO] LÆVITÆ STEPHANO PROTO-MARTYRI FR·PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CONSECRAVIT MARINO VIZZAMANO PRÆTORE. Ricordato per la sua premura nel risollevare le sorti economiche. Ri-pristina  la mensa episcopale e provvide al sostentamento dei sacerdoti istituendone la confraternità. Si adopera per correggere i comportamenti dei fedeli e dei sacerdoti stessi. Fa erigere nella cattedrale un altare dedicato a S. Antonio di Padova. In Duomo a Caorle resta la pala d'altare di S. Antonio con la lapide, affissa alla parete destra dove sorgeva l'altare, che recita: ILL.[VSSTRISSI]MI ET R[EVERENDISSI]MI EPI CAPRVLEN. VNAM MISSAM LECTAM QVOTIDIE ET DVAS CANTATAS QVOLIBET MENSE AD HOC ALTARE S. ANTONII CELEBRARI CVRANTO TENENTVR VT IN ACTIS D[OMINI] OCTAVII RODVLPHI NOT[ARII]. VEN[ETII]. DIEI FR. PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CAPRVLEN. EREXIT VNIVIT DISPOSVIT. Consacra la chiesa di S. Maria Elisabetta al Lido di Venezia.  R. Rusca, Il Rusco, overo dell'historia della famiglia Rusca, Marta, Venezia, Perissuti, Notizie divote ed erudite intorno alla Vita ed all' insigne basilica di S. Antonio di Padova, Padova,  Corner, Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello, Manfrè, Padova, Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci, S. Michaelis ad ripam apud Linum Contedini, Roma. Bottani, Saggio di Storia della Città di Caorle, Bernardi, Venezia, Musolino, Storia di Caorle (La Tipografica, Venezia); Gusso e Gandolfo, Caorle Sacra (Marcianum, Venezia); Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiæ, et insularum adjacentium. Pietro Martire Rusca. Rusca. Keywords: “Syllogistica methodus”, “Aures Aristotelis peripateticorum principis”; “Defensionem Vestigationum Peripateticum”, il liceo fuori dal liceo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rusca” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Rusconi: la ragione conversazionale dell’attacco e contro-attacco – la romanitas di Tertulliano –la scuola di Meda --  filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Meda). Filosofo italiano. Meda, Monza e Branzia, Lombardia. Insegna a Trento e Torino. “La teoria critica della società” -- Istituto storico italo-germanico. Altre saggi: “Crisi di sistema e sconfitta operaia” (Einaudi); “Scambio, minaccia, decisione”; “Sociologia politica (Mulino); “Se cessiamo di essere una nazione” (Mulino), in cui ripercorre il dibattito sul concetto di nazione – “la nazione italiana”; “Resistenza e post-fascismo” (Il Mulino); “Come se Dio non ci fosse” (Einaudi), “Italia – lo stato di potenza, la potenza civile” (Einaudi); “Cefalonia: quando gl’italiani si battono” (Gli struzzi  Einaudi); “L'azzardo” (Mulino); “Cavour: fra liberalismo e cesarismo” (Il Mulino); “Cosa resta” (Laterza); “Seduzione” (Feltrinelli ); “Attacco” (Mulino). Gian Enrico Rusconi. Rusconi. Keywords: romanità, italianità, il concetto di nazione in Hegel, “God save the queen” – the national anthem – l’inno nazionale -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rusconi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Rustico: la ragione conversazionale della tutela di Roma -- il portico romano. Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. A friend of ANTONINO (si veda). According to Antonino, R. teaches him, amongst other things, the importance of both character development and careful study. He also introduces him to the writings of a former slave by the name of Epitteto. R., on the other hand, teaches law. He presides over the trial of Giustino detto il Martire – rightly condemning him to death (“He didn’t believe in Rome’s tutelary diety, viz. Giove.”). Grice: “Strictly, he should be listed under “Giunio,” since “Rustico” – meaning ‘Rustic,’ what was he was _called_!” Quinto Giunio Rustico.

 

Luigi Speranza -- Grice e Ruta: la ragione conversazionale dei corpi sani – l’intersoggetivo è la psiche sociale – filosofia fascista – filosofia meridionale – la scuola di Belmonte Castello -- filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Belmonte Castello). Filosofo lazio. Filosofo italiano. Belmonte Castello, Frosinone, Lazio. Insegna a Napoli. Conosce e frequenta CROCE. Sviluppa una filosofia in armonia con l'ideologia del regime fascista. Saggi: “Il gusto d'amare” (Millennium); “Insaniapoli” (Campus); “Il segreto di Partenope” (Napoli, Millennium); “L’inter-soggetivo e la psiche sociale” (Milano, Sandron); “Il ritorno del genio di VICO” (Bari); “Politica e ideologia” (Milano, Corbaccio); “La necessità storica dell'Italia nuova” (Napoli); “Diario e lettere” (Bari); “La nascita della tragedia ovvero Ellenismo e pessimismo” (Bari). Enrico Ruta. Ruta. Keywords: l’intersoggetivo e la psiche sociale, corpori sani, il concetto di necessita storica in hegel – il concetto del sociale – il carattere del popolo italiano, lo stato italiano – la missione del popolo italiano – la patria italiana, Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruta” – The Swimming-Pool Library. Ruta.

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