Luigi Speranza -- Grice e Ruggiero: la
ragione conversazionale di Remo e di Romolo – filosofia meridionale -- scuola napoletana -- filosofia campaniana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano.
Napoli, Campania. Scrive “Critica del concetto di cultura” (Catania, Battia), cui
CROCE rimprovera la mancata distinzione tra “cultura” e “falsa cultura”. Idealista,
senza aderire all'attualismo di GENTILE. Liberale, pur non risparmiando
critiche alla classe politica espressa dal partito liberale. Insegna a Messina
e Roma. Avendo aderito all'idealismo con GENTILE, la sua ri-vendicazione dei
valori del liberalismo lo rende un esponente di spicco dell'opposizione al
fascismo. Per non perdere la cattedra presta il giuramento di fedeltà al
fascismo. Autore, tra le altre saggi, di una imponente Storia della filosofia e di una Storia del liberalismo. Socio degl’esploratori
italiani. Indaga nella storia della filosofia ROMANA la potenza di libertà
costruttrice del mondo degl’uomini, e, auspicando in tempi oscuri il ritorno
alla ragione, e ad Italia maestro ed apostolo di fede nell'umanità. Saggi: Storia della filosofia,” “La filosofia
greca” (Bari, Laterza); “Cristianesimo” (Bari, Laterza); “Rinascimento, riforma
e contro-riforma” (Bari, Laterza); “La filosofia moderna: cartesianismo” (Bari,
Laterza); “L’illuminismo” (Bari, Laterza); “Da Vico a Kant” (Bari, Laterza); “L'età
del romanticismo” (Bari, Laterza); Hegel; (Bari, Laterza); La filosofia contemporanea
(Bari, Laterza); “La filosofia politica italiana meridionale (Bari, Laterza); “L'impero
britannico dopo la guerra”, Firenze, Vallecchi, “Storia del liberalismo” (Bari,
Laterza); “Filosofi” (Bari, Laterza); “L'esistenzialismo” (Bari, Laterza); “Scritti
politici”, Felice, Bologna, Cappelli, La
libertà, Mancuso, Napoli, Guida); Lettere a Croce (Bologna, Mulino); Croce, La
Critica, I filosofi che dissero "NO" al duce, in La Repubblica, Un
ritratto filosofico (Napoli, Società Editrice); L'impegno di un liberale” “Tra filosofia
e politica (Firenze, Monnier); Treccani, Dizionario biografico degl’italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Griffo, La coscienza critica del liberalismo; Sgambati, Tra ethos e
pathos. Il diritto pubblico romano lascia, assai meglio del
diritto privato, osservare le discontinuità e le suture, a testimonianza
delle sue radicali trasformazioni. Esso non presenta un processo di
sviluppo dall’interno, ma piuttosto un’opera di lento accrescimento
dall’esterno, che fa coesistere il nuovo e l’antico, come per dissimulare
i mutamenti da un periodo a un altro. La preoccupazione costante dei ROMANI è
di salvare la continuità storica delle loro istituzioni, di sforzare il
primitivo regime cittadino, fino a includervi tutto il ricco contenuto
degl’acquisti posteriori. La città è per essi un più saldo organismo che
non la polis dei Greci: il principio della sovranità popolare, come
fondamento della costituzione, vi è assai più stabilmente riconosciuto e
presidiato, e, principalmente, le magistrature cittadine vi rivestono
quel carattere e quel prestigio monarchico, che vivamente impressiona un
greco romanizzato come Polibio. Lo spirito militare è in gran parte causa della
maggiore coesione e dell’acentramento della vita pubblica. Ma esso è
anche il principio della espansione della città in più vaste associazioni
politiche, aventi per base l’autonomia municipale, limitata soltanto
dalle esigenze della difesa dal nemico esterno. L’interesse
militare suggerisce infatti la prima grande federazione che, col nome di lega
latina, aggruppa alcune città sotto l’egemonia romana; che sarà il
modello delle future aggregazioni. Il principio federale è
quello che salva il nucleo della città, pur mirando oltre la sparsa vita
cittadina; e ad esso Roma si attacca per salvare sé stessa insieme con le
sue conquiste. Il lento processo di assimilazione dei popoli soggiogati
compiuto dalla civiltà romana si fonda tutto sulla preventiva
dissoluzione degl’originari stati nazionali e indigeni e sulla
trasformazione di essi in aggregati municipali autonomi, e solo
militarmente legati a Roma. L’idea del decentramento amministrativo è
certo una delle più grandi che il diritto pubblico romano ci abbia
tramandato. Ma essa ha per l’antichità un valore anche maggiore che per
noi, perché storicamente l’autonomia municipale è un passo
importantissimo nella formazione del nuovo principio dello stato,
che sorge sulla rovina delle nazionalità, e sul riconoscimento delle più
minute unità cittadine, confluenti con la loro vita propria nel più vasto
organismo politico. Si forma così una patria communis, che ha sotto
di sé una patria particolare, domus od origo Questa doppia istanza della
vita pubblica, che da una parte favorisce la profonda esigenza del
self-government t dall’altra include il particolarismo locale, come momento
subordinato, nella più comprensiva vita statale, è una grande creazione romana.
I greci, che anche seppero moltiplicare, in numerose colonie, la
vita delle proprie città, non riuscirono tuttavia a trarre dal
particolarismo cittadino nessuna idea superiore e comune; cosi perdettero
il frutto del loro lavoro in una dispersione incapace di [Mommsen.
Le droit public romain, Paris] riflettersi nel suo principio creatore. Essi
posero in vita una folla di particolari in luogo di una universalità vera
e propria; ciò che ne distingue l’opera nettamente da quella dei ROMANI. Il
municipio costituito in seno allo stato e subordinato allo stato è certo una
delle manifestazioni dìù notevoli e feconde dell’età di SILLA (si veda).
Il periodo sillano rappresenta però ancora un’età di transizione
tra i due momenti, della città e dello stato, quando l’antico
particolarismo è quasi vinto, ma ancora non balza fuori la nuova
universalità. Il progresso, lungo questa via, fino all’età di GIULIO (si
veda) Cesare, è rapido e sicuro. E vi ha contribuito, più che
l’accrescimento diretto del numero dei cittadini, mediante l’estensione
del diritto di cittadinanza, l’incorporazione di un numero sempre
maggiore di stati clienti, il cui regime consta, senza eccezione, di due
elementi: dipendenza legalmente determinata in rapporto allo STATO ROMANO;
indipendenza, o meglio, autonomia amministrativa. Il processo di romanizzazione
è sollecito per la sua stessa spontaneità. In presenza delle progredite
istituzioni romane, le città della provincia sono volontariamente tratte
ad imitarle, abbandonando i vecchi costumi nazionali, presto riconosciuti
inadeguati alle esigenze della vita cittadina. Un segno della spontaneità di
questo lavoro d’assimilazione è la scomparsa delle stesse tradizioni
della religione locale nell’occidente romano, come il druidismo nella
Gallia. Roma, da parte sua, è parca nel concedere come un premio
ambito ciò che pure è suo interesse precipuo di largire. Essa non accorda
a tutte le città un’adeguazione politica completa, ma la lascia sperare
alle più fedeli. Al di sotto delle città latine che hanno tutte la piena
cittadinanza, vi sono città sine suffragio o città di semi-cittadini, con
diverse gradazioni di privilegi e più o meno scarsa reciprocità verso la
capitale. La più grande forza di attrazione è da Roma esercitata per
mezzo delle colonie, formanti la vera ossatura romana della vasta
compagine imperiale. Con l’estendersi delle conquiste, i piani
coloniali vengono ampliati e coordinati. Da Caio GRACCO (si veda), autore
di un primo grande disegno organico, a GIULIO (si veda) Cesare ed ai suoi
imperiali successori, si svolge un fecondo lavoro, che ha per scopo di
popolare di Romani le regioni occupate e di saldarle alla madre
patria. Il principio veramente romano che presiede a questo lavoro è
epigrammaticamente espresso dal motto: ubicumque vicit Romanus, habitat. Ma
se noi guardiamo nel suo insieme la configurazione politica del grande stato
federale sull’unire della repubblica, e prima che GIULIO (si veda) Cesare
avesse stampato nel diritto pubblico i segni del suo genio
precursore, essa ci colpisce con l’aspetto di un ingombro congestionante
e poco vitale. L’impero è tutto ricondotto alla metropoli. I magistrati
municipali di Roma sono i signori del mondo, l’Italia e la provincia
non sono che un’appendice della capitale. Il rigido principio della
conquista sforza fino alle estreme conseguenze il potente particolarismo
nazionale dal quale prende le mosse; e tutta la vita locale, fuori di
Roma, nel tempo stesso che viene elevata a una coscienza nuova di
sé, viene mortificata e depressa da una taccia d’irrimediabile
inferiorità rispetto alla nazione dominante. Manca un’idea unica che
attraversi e vivifichi tutte le membra del grande organismo. Il legame
che lo connette è estrinseco e sovrapposto, riassumendosi nella forza dell’imperium,
che sanci- [Sbn-ec., ad litio.] sce una eguale schiavitù ai popoli
sotto la potenza militare romana. Piccole città isolate e
sterminati regni sono aggiogati disordinatamente allo stesso carro;
purché l’esterno legame sia salvato, Roma non si preoccupa della vita che
internamente si svolge nei suoi domini e la lascia in balìa all arbitrio
di despoti indigeni. Essa regna sul mondo, ma non lo governa; si appaga
di un compito estrinseco di polizia, che dia sicurezza ai propri commerci.
La sua coscienza mondiale si compendia nell’idea dello sfruttamento
del mondo a suo profitto. Questa deficienza veniva osservata specialmente dagli
orientali, presso i quali erano più vive le esigenze della comunione
spirituale dei popoli formanti uno stesso stato. Apollonio di Tiana,
anche quando l’impero aveva portato molto più avanti il lavoro di
unificazione del mondo, lamenta l’eccessiva materialità del governo
romano, che si strania ed aliena gli spiriti. Una profonda trasformazione di
regime s’inizia però con GIULIO (si veda) Cesare, che, per l’immatura
fine, non riesce a portarla a compimento. Cesare dà il colpo di
grazia al nazionalismo latino e fonda la nuova idea imperiale,
distaccandone il centro dal territorio di Roma e idealizzandolo nella
persona del monarca. La legge cesarea dei municipi comincia col
parificare, in diritto, tutte le città, e col trasformare,
conseguentemente, il significato della preminenza di Roma. Questa non è più
l’impero stesso, ma la prima delle municipalità dell’impero, e le sue
magistrature scendono al livello di semplici cariche municipali. La
figura del monarca si distacca nettamente da quella del magistrato. Non è
più il princeps, cittadino tra [Sef.k. Gesch. des Untergangs der antiken
Welt. Berlin. UI.'p. 110. 2 PiiiLosrn.. Apoi. Ty.. ep.] i
cittadini, ma il dominus che trascende tutto il mondo parificato al suo
cospetto e riceve la propria autorità direttamente dal divino. Questa
idea è affatto nuova allo spirito romano. GIULIO (si veda) Cesare
l’attinge all’Oriente e l’adatta arditamente ai suoi piani. Essa ha
un significato teocratico e mistico, che viene accolto con
diffidenza e senza convinzione dalla scesi frivola dell’ultima età
repubblicana, ma conquista l’età seguente, dominata da uno spirito di
concentrato fervore religioso. L’Oriente riuscirà ad imporla
all’Occidente solo quando gli avrà comunicato la sua fede viva ed
ardente. Il dominus compendia l’unità religiosa e l’unità giuridica
della vita. Sotto il primo aspetto, egli è il re-divino, l’incarnazione
vivente della divinità, che allaccia, con la gerarchia ordinata dei suoi
ministri, tutto il mondo sottoposto. Sotto l’aspetto giuridico,
egli è il re-proprietario, al quale appartengono per diritto proprio le
persone e i beni dei soggetti. Quell’unità che i popoli sono incapaci di
concepire sotto l’astratta luce ideale dell’impero, e che pure è un
bisogno sensibile, immediato della loro esistenza, essi la vedono
incarnata e personificata nel Signore. In questo foco si accentra tutta
la sparsa vita spirituale di genti e razze diverse, che vi ravvisano un
senso alla propria riunione sotto un giogo comune e sollevano e
riscattano la loro schiavitù nella visione di un alto fine religioso di cui
sono partecipi. GIULIO (si veda) Cesare ha una chiara percezione
dell’aspetto religioso della sua missione : la SANCTITAS REGNVM è per lui
il fondamento stesso del nuovo regime monarchico, da cui soltanto possono
irradiarsi una potenza e un prestigio coestesi alla vasta mole
dell’impero. [Svet.. Jul. Caes.] Le conseguenze di questa premessa sono,
per il diritto pubblico, inestimabili. Al decentramento politico e
amministrativo, airindifferenza per la vita locale delle città e degli
stati particolari, in una parola al regime del mero stato di polizia,
subentra un regime accentratore, dove un sovrano assoluto vigila
per mezzo d’un esercito di funzionari sull andamento di tutte le cose del
regno, che ormai gli appartengono, e spoglia città e cittadini di quelle
libertà che contraddicono all’onnipotenza del proprio dominio. Una volta
che il mondo non è più un aggregato inorganico di città, ma forma un’unità
reale e vivente, è giusto che tutte le sue parti, cospirino per
quel eh’ è possibile al fine comune, rinunziando all’autonomia che
disgrega e disperde le forze. GIULIO (si veda) Cesare e sul punto di
realizzare questa vasta trasformazione politica; pero mancò non soltanto
a lui la vita, ma anche ai tempi la maturità necessaria per
portarla a compimento. Più di tre secoli occorreranno per attuare la monarchia
da lui vagheggiata. Per il momento, gl’immediati successori rinunziano ai
più arditi piani e si pongono sul terreno delle istituzioni vigenti, col
proposito di piegarle gradatamente ai loro fini. OTTAVIANO (si veda) è, almeno
all’apparenza, ben poco innovatore. Egli conserva integro il principio
della sovranità popolare, ripristina le magistrature repubblicane sospese nel
tempo della guerra civile, riconosce un potere sovrano al senato.
L’idea dell’impero emerge per lui dallo stesso regime politico
tradizionale, di cui porta a compimento lo spirito monarchico che già gli e
immanente. Nella sua concezione, il principe è il primo cittadino
tra i cittadini, il primo magistrato tra i magistrati. Egli anzi si
guarda accuratamente di legare a questo nome [Mommskn. Le drolt pnblic
romain.] cariche e prerogative nuove ed inusitate, e si avvale invece
degli stessi poteri che gli fornisce la tradizione repubblicana. Attribuendosi
l’imperium o potenza proconsolare, egli ha il comando in capo esclusivo delle
milizie di tutto l’impero; e poiché questa posizione preponderante dal
punto di vista della forza può apparire eslege a Roma e nell’ Italia —
sottratta giuridicamente al potere proconsolare — OTTAVIANO vi aggiunge la
dignità consolare, alla quale più tardi rinunzia per assumere il
tribunato del popolo, la magistratura più popolare e praticamente
efficace . Così, per via di successive sovrapposizioni di cariche
preesistenti, come il pontificato e la censura oltre quelle già nominate, si
forma il potere nuovo del principe, e si consolida con un prolungamento,
dapprima limitato e poi indefinito, della durata delle cariche stesse.
L’impero si costituisce cosi condensando le forze più vitali delle
istituzioni repubblicane, senza innovazioni apparenti, capaci di
suscitare reazioni popolari. Dopo il regime eccezionale della dittatura
militare e del triumvirato, esso ha perfino l’aspetto di una
reintegrazione delle magistrature ordinarie. Alla monarchia vagheggiata
da GIULIO (si veda) Cesare subentra, almeno in principio, una DI-ARCHIA,
una divisione del potere tra il principe e il senato. Tutta la
provincia viene separata in due parti, imperiale e senatoriale, con
diversi magistrati; e al senato viene attribuita ramministrazione dell’
Italia, che OTTAVIANO non crede opportuno prendere per sé, ritenendo più
facile usurpare le libertà della corrotta capitale e della lontana
provincia anzi che quelle più tenaci dei municipi 1 Mommsen]
OTTAVIANO rifiuta la censura, ma la riassunse Domiziano, per
l'opportunità che gli offre questa carica di influire sulla nomina del
senato.] italici. Di fatto però questa di-archia si converte gradatamente
in una vera monarchia, perché l’imperatore può esercitare una preponderante
influenza sulla costituzione e sul funzionamento del senato, che
finisce col divenire un passivo strumento nelle sue mani. Con felice
incoerenza, OTTAVIANO però tien fermo al principio cardinale della
concezione monarchica del suo grande predecessore, accettando l’idea
della divinità dell’imperatore, pur contraddiente a quella della
sovranità popolare, che informa di sé la nuova carica. L’apoteosi del
principe, cioè il riconoscimento della sua divinità dopo la morte e la
conseguente attribuzione degli stessi onori riserbati agli dèi, — altari,
culto e sacerdoti appropriati— costituisce la parte più importante della
riforma religiosa d’OTTAVIANO. L’influsso sempre più vivo
dell’Oriente spingerà i suoi successori ad ingrandire questo culto,
includendovi l’adorazione dello stesso imperatore vivente: una
trasformazione piena di significato, perché con essa l’apoteosi si distacca
dalla vecchia concezione occidentale della religione dei MANI, che
in un primo tempo aveva giovato ad accreditarla, e s’innesta nello
spirito teocratico dell’Oriente. L’unificazione religiosa dell’impero
completa e ribadisce l’unificazione politica. Il culto dell’imperatore si
eleva sui culti particolari delle singole nazioni e diviene per i popoli
il simbolo di una comunanza spirituale di vita e quasi l’atto di adesione
a un identico destino storico. A questo punto terminano le storie particolari
delle genti, o meglio confluiscono nella storia universale. Il migliore
ammaestramento filosofico che ci vien offerto dalla conoscenza
dello sviluppo del diritto pubblico romano sta per l’appunto nella
conquistata coscienza dell’unità e dell’universalità del piano della storia,
che vince la sparsa frammentarietà delle storie del passato, chiuse
a guisa di monadi in sé stesse e ricomincianti sempre dal nuovo il proprio
lavoro. Roma provoca il brusco risveglio delle genti, rompe l’isolamento
della loro vita, le costringe, pur riluttanti, a entrare nella
vasta orbita della sua azione e a collaborare a una opera comune. La
cittadinanza che l’impero largisce egualmente a tutti i suoi abitanti
esprime la nuova patria ideale e comune, che si eleva sulle patrie
particolari e che gl’uomini accettano quasi come un segno del riscatto
dalla schiavitù del suolo che li lega e li circoscrive materialmente.
Essa è una prima rivelazione dell’umanità a sé stessa: una umanità
ancora pregna di materialità ingombrante e passiva, che non sa guardare
oltre i rapporti contingenti e terreni della vita ed esaurisce i suoi compiti
spirituali nell’adorazione d’un padrone comune; ma eh’ è tuttavia il
primo momento di una rivelazione che non si esaurisce in essa e crea forme
di consapevolezza sempre più profonde. LA FILOSOFIA ITALIANA •i3
(ì. I»K
huGGiKKO. La filosofia
coniemfor>tnea.DA
MACHIAVELLI A GIOBERTI 1.
La fortuna dei
nostri filosofi. Con la filosofia
italiana vogliamo rifarci dall’origini. Se c’è un paese che può vantare uno svolgimento originale di
pensiero, dal rinascimento ai nostri giorni, questo è appunto l’Italia. E nel
tempo stesso, sembra che nessun paese puo deplorare, con maggior diritto dell’Italia, il disconoscimento più pieno
della sua vita mentale. Il nostro rinascimento è in generale conosciuto. Ma,
dopo, ci si sequestra dalla circolazione del
pensiero europeo. Vico è lettera morta
fuori d’Italia; e l’epoca piu
tardi offre questa stranezza, che vengono elevati a fama europea filosofi mediocri come Hamilton, Cousin e più tardi Lotze,
mentre sono ignorati SERBATI (vedasi), GIOBERTI (vedasi), e SPAVENTA (vedasi)
-- tre filosofi geniali, che proseguono la tradizione speculativa del pensiero
europeo, proprio quando sembra interrotta, nella fine apparente dell’idealismo. R. non sta a fare un ridicolo
processo agli stranieri per averci
dimenticati. Noi per i primi non ci siamo dimostrati all’altezza del
nostro passato. E le stesse condizioni civili e politiche d’Italia purtroppo
contribuisce alla sprezzante dimenticanza
Si, perché la
circolazione del pensiero avviene in modo diverso nei tempi moderni che
nel Rinascimento. Allora potevamo, anche
politicamente schiavi, dettar le leggi della cultura agli stranieri. Allora
infatti la vita del pensiero è l’universalismo
astratto, naturalistico, che neutralizza le differenze della storia. La sua espressione è il concetto
della sostanza di BRUNO (vedasi), l’unità indifferente degl’opposti. Invece, s’inizia un movimento profondo d’individuazione.
È il periodo dello storicismo. Il pensiero
non vive più astratto dalla sua vita storica, e, fuori dell’individuazione
politica, sociale, morale d’un popolo è nulla. È flatus vocis. Cosi si sono
affermate la cultura della Germania,
quella della ‘Gallia,’, e quella di Oxford -- culture di popoli formati.
La nostra no. Noi avemmo due grandi filosofi. SERBATI (vedasi) e GIOBERTI
(vedasi). Ma sono un’anticipazione sulla nostra realtà storica. Noi non h celebrammo che quando
volemmo far la nostra stona. Il loro pensiero rifulge di vivida luce coll’unificazione.
Ma divienne cosa morta un anno piu
tardi..E l’Italia che
si forna nel ’fiO
non è rosminiana né giobertiana. Perché? Purtroppo è nota la decadenza mentale
e morale di quella nuova Italia. La sua voce non è
più la voce generosa
di Gioberti, ma
la molle cantilena di ROVERE (vedasi) e l’accento rauco di FERRARI (vedasi). In un
corso di filosofia che
resta celebre nella storia del
nostro pensiero, il
terzo dei grandi filosofi italiani, SPAVENTA (vedasi), ri-evoca
le glorie del
nostro passato, e
spiega a una folia
d’ignari lo svolgimento
originale del pensiero italiano nei
suoi rapporti col
pensiero europeo: nella nuova
luce da lui
diffusa sulla nostra
filosofia. Bruno e Campanella
trovano il loro
posto nella storia
del pensiero come precursori
di Cartesio, di
Spinoza e di Locke. Vico,
come il geniale
presentimento del criticismo. E infine,
Galluppi, Rosmini, e
Gioberti rappresentano la
coscienza via via
più compiuta del criticismo, come
questo s’è svolto
in Germania per opera
di Fichte e
di Hegel. Ma
Spaventa avverte che la
caratteristica dell’ingegno italiano in tutti i
tempi è quella di essere
precursore, d’avere il pre-sentimento delle
nuove verità, ma di non
saperle svolgere, e
di falsificarne perfino
il senso e la
portala. Ma con la
rinnovata coscienza della
propria storia, Spaventa
spera che l’Italia
risorta allora a unità
politica, riprende, in una
piena consapevolezza, il
posto che le
spetta nella cultura. Ed
egli stesso ne
addita la via,
con uno sforzo tenace,
che dura tutta
la sua vita,
per porsi all’altezza del
movimento storico, comprimendo
ogni impulso del suo
pensiero originale per
rivivere intensamente il
pensiero altrui; facendosi
perpetuo scolaro, per poter
diventare il vero
maestro degli italiani. Ma l’Italia alla quale SPAVENTA parla non è in
grado di
capirlo. Ell’è quella stessa
Italia che ha pervertito il giobertismo in
una speculazione flaccida e
senza sangue -- la filosofia
dei bramani, come lo
stesso Spaventa dice.
Ond’è che il
geniale hegeliano parve
a taluni un
mistico, ad altri
un sovvertitore della
scolastica; a nessuno
quello che in
realtà è. I falsi
nazionalisti gli rimproverano
il suo hegelismo; i
falsi hegeliani il
suo nazionalismo. In verità gli
rimproveravano gli’uni gl’errori
degl’altri. Dalla doppia taccia
SPAVENT Aè immune: egli
che sente, si, ITALIANAMENTE la
filosofìa. Ma la pensa universalmente. Il primo
insegnamento di Spaventa,
come quello ilei suo
granile conterraneo, Sanctis, è
dunque infruttuoso; a
riceverlo, le menti sono impreparate. Non
cosi oggi, che
nella rinascente italianità.
noi impariamo a
vivere in comunione
col nostro passato, consci
che ogni sviluppo
della vita speculativa è possibile
solo mediante una
piu salda continuità con
la tradizione storica.
L’Italia nostra non s’è
fatta net 1860
ma si va
facendo ai nostri giorni
' : quella
stessa Italia che
va conquistando una posizione
sempre più eminente
tra i popoli,
afferma la forza interiore
di questa ascensione
col rinnovamento della
sua coscienza speculativa.
In tale rin¬ novamento. risorgono
i nostri grandi,
Francesco De .Sanctis. Bertrando
Spaventa; attraverso essi,
noi ci colleghiamo al
nostro passato. Io
esporrò breve¬ mente Tammaestramento loro
(e di quelli
che pro¬ seguendone l’opera
hanno contribuito con
loro al presente risveglio)
su questo passato. 2.
Il Rinascimento e
Machiavelli. Gli albori del
pensiero moderno sono
da ricercare nell’umanismo. Ivi
la filologia già
lascia intravvedere il principio
e l’indirizzo della
nuova filosofia; ivi
già si accenna quel
ritorno all’antico che
è invece creazione del
nuovo. Sotto i
colpi dell’umanismo comincia il
dissolvimento della scolastica,
che prosegue poi,
più rapido, nel
rinnovamento della vita civile
e politica, e
della speculazione che
l’esprime. Qual è il
significato della scolastica?
Essa è un
con¬ nubio del cristianesimo
con l’aristotelismo. Il Dio
che si
era umanizzato in
Cristo si naturalizza
nella logica aristotelica: diviene
l’Ente, l’oggetto, nei quadri
della sillogistica. Il
monumento della scolastica
è la prova
ontologica di Anseimo.
Questo naturalismo è già un grande
progresso: non è il na¬ turalismo
fisico dei presocratici,
non il naturalismo ideale dei
platonici, ma è
naturalismo divino. Per mezzo
suo si svolge
la contradizione del
cristiane¬ simo, con la
sua doppia alTermazione
dell’umanità e della divinità
di Dio. E
il nuovo naturalismo
del Rinascimento, che sorge
come negazione di
quello scolastico, contiene in
realtà la doppia
esigenza, nella sua unica
aflermazione della divinità
e umanità della natura.
Con esso s’inizia
l’età veramente umana della
lìlosofia. Quanto al suo
procedimento speculativo, la
sco¬ lastica si compendia
nei princìpi della
sillogistica; la sua visione
etica del mondo,
poi, nell ascetismo e
nel misticismo: la
speranza messianica implica
la svalutazione della realtà
attuale e della
vita. E il Rinascimento è
l’antitesi di entrambi
gl’indirizzi: esso è la
sopravvalutazione della vita
— quella che la
libertà comunale, gli
attivati commerci e
i rapporti politici
promovevano e intensificavano; e in
pari tempo esso
è l’atteggiamento nuovo
del pensiero speculativo, che
non ha una
realtà fatta innanzi
a sé, da sillogizzare,
ma crea la
sua realtà, osservando, provando, inducendo.
Nascono cosi due
scienze, la politica e
la fisica, ambedue
dal me Essa è
la sola cosa
stabile ed eterna:
ogni volto, ogni faccia,
ogni altra cosa
è vanità, è
come nulla; anzi è
nulla tutto ciò
che è fuor
di questo uno.
Spinoza non parlerà con
maggior vigore, ma
a differenza di Bruno,
egli non indietreggerà
d’un passo dalla
po¬ sizione conquistata. Il
filosofo italiano, come
già Telesio, e poi
Campanella, alterna il
nuovo col vecchio: più
veemente di Spinoza,
è assai meno coerente, e
accanto al nuovo
Dio lascia sussistere l’antico. Più oscillante
ancora di Bruno è Campanella, benché rappresenti
un’esigenza nuova del
pensiero .speculativo. La difficoltà
del concetto di
sostanza è che il
pensiero, naturalizzandosi nell’oggetto,
non può spiegare sé
stesso. La sostanza
è conosciuta ma non
si conosce: come
ciò è possibile?
Come può l’uomo, un
semplice modo o
accidente, conoscere la sostanza,
ed elevarsi a Dio, se
è semplice effetto? come
l’effetto ritorna alla
causa? *. Il
nuovo pro¬ blema che
il concetto della
sostanza apre alla
spe¬ culazione è quello
del conoscere, e
ad esso si
appunta il pensiero
del frate di
Stilo. CAMPANELLA (vedasi) è
confusamente il Cartesio ed il Locke della fìlosofla
italiana. Muove dal
dubbio scettico e trova
la certezza nella
coscienza di sé,
nel xensusB. Spatonta,
Saggi di critica,
Napoli.. LA FILOSOFIA ITALIANA
abciilus, ma d’allra
parte fonda la
conoscenza della natura sul
semplice sensus addilux.
Le due esigenze restano in
lui inconciliate: per
avere una concilia¬ zione si
dovrà giungere fino
a Kant. Ond’è
che la certezza delle
cose esteriori sembra
a Campanella ora uno
sviluppo, ora una
caduta, ora un
incremento, ora un
limite. 15 l’intonazione
generale del suo pensiero
è, nella metafisica,
il razionalismo — la
dottrina delle primalità
fondata sul sensus
abditiis; nella teoria del
conoscere l’empirismo — la
mera certezza sensibile e
la concezione dell’intelletto come semplice
senso illanguidito. Ma se per questo
verso egli fa
un gran passo
su Bruno, gli resta
poi di gran
lunga indietro per la
convinzione e la
fede nell’inlinita presenza
di Dio nell’universo: Campanella
è in qualche
modo, e quasi inconsciamente, il
filosofo della restaurazione
cattolica, come fha
definito lo Spaventa:
egli, col suo
razionalismo, non toglie
i ceppi alla
scienza, se non perché
questa se li
rifaccia da sé
medesima e si sottometta liberamente.
Ma l’entusiasmo di
Bruno non troverà il
suo riscontro che
nello sforzo tenace
di Galilei. Con questo
la Scolastica, solo
virtualmente superata nella filosofìa
del Rinascimento, è
vinta per sempre. Il
naturalismo non è
più soltanto celebrato come nuova
tendenza dello spirito,
ma è la
nuova attualità spirituale: nella
nuova scienza si
umanizza la natura, che
non è più
la mera privazione
degli scolastici, né la
divinità ancora trascendente
della speculazione, ma è la scienza
stessa, l’atrermazione
deU’umanità concreta del
mondo — di
quel mondo che non
ci è estraneo
ma interiore, e
che vive della stessa
nostra vita di
ricerca e di
conquista incessante. I. DA
MACHIAVELLI A GlOBEItTI 4.
Vico. Tra Machiavelli
e Vico corrono
due secoli, e ratteggianieiito mentale
è profondamente mutato. All’apparenza
li direste vicini,
rivolti come .sono tutti
e due al
passato, per attingere
da esso la loro
forza. Ma con
che occhio diverso
lo guardano! .Machiavelli vede
nel passato il
mezzo per liberare il
presente dalle accidentalità
storiche e per
contemplar l’uomo nell’intimità
della sua natura,
delle sue passioni: egli
fonda così la
politica. Con Vico,
il naturalismo umano
del Rinascimento è già sorpassato, e
l’esperienza storica non
suggerisce più alcuna
distinzione tra sostanza
ed accidente, ma
la considerazione nuova
dello sviluppo, dello
spiegamento della mente umana:
Vico fonda la
storia. Le due mentalità
sono profondamente diverse. La
tradizione dei politici
si continua attraverso
il (ìuicciardini, il Paruta,
il Sarpi, ed
ha un lontano rappresentante, nel
secolo XVIll, nell’abate
Galiani. Anche questi, come
Vico, fa la
critica del suo
secolo, e del giacobinismo
che quello prepara;
ma la sua critica
non preannunzia il
secolo seguente; essa è
quella del vecchio
politico, che, incapace
d’intendere le nuove
aspirazioni del giovane,
ha e.sperienza per avvertire
le sue fanciullaggini e
sorridere alle sue illusioni. La
critica di Vico
è al contrario
novatrice. Essa investe tutto
il pensiero, il
cartesianismo e il
sensismo. All’universalità astratta
del primo che non
spiega la scienza,
perché vuol fondarla
sulla rivelazione immediata
dell’evidenza. Vico
contrappone l’intuizione genetica
delle cose, che le
[ P. un'acuta osservazione
di Croce: cfr. : Il
pensiero di GALIANI (vedasi),
in Critica, spiega
nel loro farsi,
nel loro sviluppo:
e prelude cosi allo
storicismo. E mentre
il sensualismo trae dall’esperienza sensibile
un motivo tutto
materialistico. VICO (vedasi) svolge,
da quella stessa esperienza,
l’universale fantastico, la
poesia e il linguaggio,
nella loro originalità
spirituale: e cosi prelude
al romanticismo. Queste
geniali intuizioni sono comprese
in un’unità potente:
è la mentalità umana che
nel suo sviluppo
si afferma come
dispersa nel senso e
nella fantasia e
si unifica e
si riflette nel pensiero.
Vico perciò intravvede
una metafisica della mente,
una storia ideale,
eterna, per la
quale corrono le
storie delle singole
nazioni: nelle modificazioni
della mente sono
per lui da
ricercare i momenti
dello sviluppo storico.
Ecco la grande
originalità di Vico:
per Machiavelli l’umanità
era natura, sostanza, e
perciò fatale nel
suo corso, nella
.sua logica interiore.
Con Vico sorge
il concetto della
mentalità, della provvidenza
immanente nello sviluppo delle nazioni.
In Machiavelli c’è
ancora — contro l’apparenza — l’intuizione teologica
del mondo, e la
tristezza d’un’attesa messianica:
l’uomo è fatto
trascendente a sé
medesimo: in Vico
non più: nella sua
concezione storica l’umanità
è tutta spiegata. Ma
pure quello stesso
Vico, che scrutando
la storia di
Roma, attuava magnificamente la
sua nuova idea, lasciava
poi intatto il
pregiudizio dell’elezione
arbitraria degli Ebrei.
Nel passare alla
storia di Roma, egli
aveva compiuto il
suo grande sforzo,
e vi si era
esaurito, senza aver più la
forza di ripassare alla storia
degl’ebrei, come osserva
Croce nella sua bella
monografia sul Vico.
Fu viltà, fu
pregiudizio? Forse, con
più verità, fu
un difetto intrinsecodei
sistema: Vico non
seppe uscire dal
particolarismo ristretto delle
unità nazionali: mancava
a lui il concetto
dell’università del particolare,
deiriimanità della nazione,
che sar.à l’opera
del secolo seguente.
E perciò quel
pas.saggio dai Romani
agl’ebrei, che a
noi sembra oggi
cosi facile, non fu possibile
al suo genio. Vico
non ebbe mai
il riconoscimento che
gli spettava, né in
Italia né fuori,
né vivente né
dopo morto. Nel secolo
nostro s’impadronirono della
sua dottrina, come vedremo,
i positivisti, e
falsificarono nel modo più
barocco la sua
celebre formula della conversione del
vero col fatto.
Rivendicarne la memoria
e perseguirne la
speculazione è stata
l’opera dello Spaventa, di SANCTIS (vedasi), e più ancora,
di Croce. Per merito
loro la profonda
lacuna della nostra cultura
è colmata. Con
Machiavelli e con
Vico noi possediamo gli
esponenti maggiori della
storia del nostro pensiero,
dal Rinascimento Vico
con la sua
intuizione di una
metafìsica della mente
umana è il
presentimento del criticismo,
che si svolge
poi in Italia nel
secolo seguente, per
opera di GALLUPPI (vedasi), SERBATI (vedasi), e
GIOBERTI (vedasi). La posizione storica
di questi pensatori è
stata fraintesa generalmente,
e da loro
medesimi per primi, finché
la critica di
Spaventa non ne ha
liberato la dottrina
dall’involucro contingente e
svelata la stretta
parentela con la
filosofia tedesca. La spiegazione del
fraintendimento ci è data
dalla considerazione dell’ambiente
nel quale sorsero e
si svilupparono le
nuove dottrine. L’Italia è
infestata dal sensualismo,
e la stessa
filosofia kan-liunn non
vi s’introduce che
attraverso reclettismo e la
psicologia degli scozzesi
: il valore
sommamente originale del nuovo
concetto della soggettività
ne vien completamente perduto.
Nel rinnovamento cattolico,
che s’inizia in
questo stesso periodo,
il sensismo vien
minato alla base,
ma non già
in nome di Kant.
11 sensismo è,
nelle sue ultime
conseguenze, scettico; è un
vano gioco di
elementi soggettivi, che non
fonda l’oggettività, il
sapere. Ma Kant —
si soggiunge — non
è anch’egli chiuso
nel soggettivismo delle forme
del senso e
dell’intelletto? e non
va a finire del
pari nello scetticismo?
Con questa critica si
pretende di disfarsi
di Kant, e
si cre *. Sono
curiose queste citazioni
vichiane che s’in1
H. Arie, storia
e fìlosofta, Firenze. contrailo presso
i positivisti; se ne trovano
oltre che in CATTANEO (vedasi), VILLARI (vedasi), CAHELLI (vedasi) e Wngiiilli (vedasi). Vico
diviene un precursore
del positivismo, la sua
formula della conversione
del vero col
fatto (identità del pensiero
e dell’essere, come
mentalità, sviluppo) viene dai
più intesa nel
senso che la
verità sta nel
fatto e non
già nella mente.
Ma pure queste reminiscenze
vichiane trattengono i primi positivisti
dal cadere in una metafìsica
materialistica. Sono tutti assai
prudenti, anche perché
non hanno nulla da
dire: il più
arrischiato forse è
l’Angiulli, che è d’ingegno
un po’ più
filosofico degli altri;
ma il suo programma
positivistico, pubblicato nel
1869, non manifesta alcun
contenuto nuovo di
dottrina. FI quando il
positivismo, per la
logica stessa del suo
movimento, degenerò ovunque
nel materialismo, i nostri
positivisti furono pronti
a sconfessare la conseguenza da
essi non voluta
delle nuove dottrine. Il
Villari polemizzò coi
materialisti; Gabelli distinse
un vecchio ed
un nuovo positivismo, e manifestò
la sua avversione
per quest’ultimo. Certo in
questi pentimenti c’era
qualcosa d’ingenuo, proprio
di chi non
sa valutare la
portata di una
dottrina, mentre l’accetta;
e i materialisti
francesi erano più conseguenti
dei positivisti italiani,
nel negare quelle idealità
vaghe che questi
lasciavano ancora ondeggiare al
di sopra dei
fatti. Ma se
in ciò i
nostri erano meno filosofi,
erano poi più
di buon senso nelle
loro riserve, perché
dopo tanti sforzi
per liberarsi da una metafìsica
pseudo-idealistica, non volevano
trovarsi impegoiati in
una altra metafìsica,
di tendenze materialistiche.
La trivialità di
questa metafìsica non
tardò a manifestarsi.
Essa sorgeva dal
connubio tra la
filosofìa e la biologia;
e il suo
nome era il monismo: un
nome che dice tutto,
anche più del
contenuto di dottrina con
cui lo si
è voluto giustilìcare.
I suoi fautori
erano medici, naturalisti, botanici,
fisici, e via
discorrendo. La loro opera
sarebbe certamente andata
dispersa se Morselli non
avesse avuto la
felice idea di raccoglierla e
disciplinarla in una
Rivista di filosofia
scientifica durata pochi
anni, che resterà
come prezioso documento della
mentalità italiana. Ma le
esagerazioni più stravaganti
del positivismo materialistico si
videro nella scuola
di antropologia, fondata
da LOMBROSO (vedasi), notissimo autore di
libri in cui il genio
e la delinquenza
si accoppiavano in
una felice coincidentia
oppositorum. Di queste
dottrine non ci
occuperemo, perché son
divenute di competenza forense,
e funestano le
squallide aule delle nostre
Corti d’Assise. Accenneremo
soltanto a una propaggine
del positivismo italiano
che per opera specialmente
di Enrico Ferri
s’è innestata nella dottrina
socialistica. E del
Ferri raccomando la lettura
d’una prefazione a
una sgrammaticata traduzione
italiana deWAntidiiliring di
Engels, che è un
bel documento del
livello di cultura
del nostro ex-socialista. Ma con
tutto ciò, del
positivismo italiano noi
non avremmo che notizie
scarse e frammentarie,
se esso non fosse
stato conglobato e
quasi condensato in una
dottrina unica da
Roberto Ardigò. Di
questo perciò vogliamo occuparci
un po’ più
estesamente. La filosofìa dell’Ardigò
ha quello stesso
motivo naturalistico che abbiamo
osservato nel positivismo inglese; e.ssa
è l’indiflerenza tra il sensismo
e il materialismo,
senza per altro
il rigore logico
del Mill e la
veduta vasta, per
quanto superficiale, dello Spencer. Mentre
infatti fenipirismo inglese
è veramente monistico,
nel senso che,
ammesso il fatto naturale della
sensazione, ritiene poi
derivata e posteriore
la distinzione del
soggetto e deH’oggetto, l’Ardigó invece
tradisce fin dal
principio la sua preoccupazione dualistica,
propria del realismo
ingenuo. Perciò ammette come fondamentale la
distinzione del senso
interno e del
senso esterno, dell’autosintesi e
dell’eterosintesi, cioè da una parte
fassociazione dei dati
psichici stabili che
costituiscono il me, dall’altra l’associazione degli
stati psichici accidentali
che costituiscono il
non-me. Questa è
prova dcll’inferiorità della
dottrina in quistione
rispetto alle altre forme
di positivismo, perché
la distinzione non fa
che adombrare quella
tra la materia
e la sensazione,
e giustifica quell’illusorio raddoppiamento del mondo
nella conoscenza, che
ad empiristi come
l’Avenarius o il
Mach parrebbe una
vera mostruosità. Il termine
comune di materia
psichica, nei due
campi, del senso interno
e del senso
esterno, non è
in effetti altro
che un nome,
che si può
trasformare a piacere in
un altro —
l’indistinto , che ARDIGÒ (vedasi) pone a
fondamento della realtà. Si
vuole che r.\rdigò
abbia fatto una
critica dei-rinconoscibile di
Spencer, e c’è
veramente uno scritto suo
su questo soggetto;
ma bisogna proprio dire
che egli sia
andato in cerca
della pagliuzza nell’occhio del
fratello, senza accorgersi
del trave che aveva
nel proprio. Almeno
il povero Spencer
poteva illudersi di
veder Dio in
quel suo inconoscibile, mentre
nel caso dell’indistinto, nemmeno
questa immaginazione è più
possibile. Con questo
concetto deir.Ardigò
l’epurazione degl’inconoscibili, degl’incoscienti e
simili prodotti del
facile eclettismo contemporaneo
è compiuta, e
non resta che
l'innocua sodilisrazione (ti dire
uno, quando le
cose, a dispetto
del positivista, pare
che vogliano dire
due. L’indistinto
dell’Ardigò non contiene
dunque più alcuna traccia
di Dio. L’idea
di Dio è
del tutto radiata dai
quadri di questa
filosofia, e al
suo posto subentra il
nuovo concetto deH’inlìnito
o della virtualità
permanente dell’esperienza: un concetto
che, come quello inilliano
della possibilità delle
sensazioni dimostra, si.
la preoccupazione immanentistica del positivismo,
ed è perciò
da lodare nel
movente psicologico della sua
formazione, ma è
nel fatto insufficiente, come
quello che si
travaglia ancora nel vecchio
dualismo aristotelico, e
dissimula, nella sua apparente
facilità, il problema
non risoluto, e
l’ignoranza dei potenti
sforzi che la
speculazione di venti secoli
ha compiuto per
giungere al graduale
superamento di esso. Questo
cenno sul motivo
fondamentale dell’opera
dell’Ardigò può bastare,
come un saggio
del suo pensiero.
Lo svolgimento della
dottrina, secondo i
criteri direttivi dell’empirismo, è
dato dal tentativo
di aggruppare in varie
forme e in
varie guise il
materiale plastico della
sensazione: un campo
di ricerche che
Tempirismo inglese aveva
già da tempo sfruttato, e
che con l’.Ardigò
non è in
grado di dar nuovi
frutti. D.\l dualismo
si val al monismo.
Nell'imperversare delle dottrine
materialistiche, molte voci
modeste furono soffocate,
che forse in
un ambiente più propizio
avrebbero potuto esercitare
un’efficacia maggiore. La
loro influenza sul
pensiero italiano fu
assai scarsa, in un
tempo in cui
il materialismo dominava la
vita sociale nelle
sue più cospicue
manifestazioni. Esse
nondimeno riuscirono a
formarsi un teatro
più ristretto, ma insieme
più consono alla
loro intonazione: la
cattedra. E come
già in Francia
lo spiritualismo eclettico,
svalutato dai nuovi
indirizzi, si conservava nella
cerchia universitaria, così
nell’Italia positivistica e
materialistica si ebbe,
nella seconda metà
del secolo scorso,
un insegnamento universitario
con tendenze spiritualistiche. Noi abbiamo
già accennato a
quel dualismo platonizzante
che si delineava
nelle opere di ROVERE (vedasi), FERRI (vedasi) e BERLINI
(vedasi). Come quello che,
bilanciato tra i due
domini estranei del
pensiero e dell’essere, naufragava poi
nello spiegare la
mediazione di entrambi,
il conoscere, esso
non poteva riuscir
vinci¬ tore di quel
positivismo che viveva
nella medesima dillìcoltà, e
solo cercava di
dissimularla con le sue
pòco fondate asserzioni.
Né il dualismo,
nella nuova forma datagli
dal Bonatelli o
dal Cantoni, per
quanto più corretto e
rammodernato, aveva migliori
proba¬ bilità di successo;
in fondo la
difficoltà restava identica,
e al più
veniva spostata in
più remote regioni. Nella sua
vita infaticabile di
studio e di
ricerca, il Bonatelli non
riuscì mai a
migliorare la posizione iniziale del
suo pensiero, che
noi conosciamo dal
saggio: Pensiero e
conoscenza del 1864.
Là egli, ispi¬ randosi
a Lotze, muove
dal soggettivismo empirico della coscienza
e invano si
tortura per conseguire l’oggettività del conoscere. Il
pensiero è da lui ridotto al
semplice pensato, alla
mera forma indifferente
a ogni contenuto, qual’è
quella della logica
aristote¬ lica, e cosi
fin dal principio
gli è preclusa
la via a concepire
la relazione tra
il pensiero e
l’essere. Egli afferma, si,
che pensare è
giudicare, ma non
intende il valore e
la portata di
questa grande verità
della R., La filosofìa
contemporanea. LA FILOSOFIA ITALIANA lilo.solia kantiana,
che è neutralizzata
dall’intuizione fondamentalmente
platonica della sua
dottrina. Di qui, se
il pensiero è
il semplice pensiero,
la certezza del reale
non è che
un’inferenza, un’ana¬ logia, per
cui noi interpretiamo
le cose esterne
a noi nei termini
della nostra esperienza
soggettiva. Ma¬ cho cos’è
la realtà in
sé stessa? Ora
è qualcosa di simile
ai reali di
Lotze, ora è
lo stesso pensiero
inteso come norma ideale
a cui tentano
di adeguarsi le singole
conoscenze '. Soluzioni
deboli, come si
vede, perché col principio
di analogia crediamo
di muo¬ vere, ma in realtà
non moviamo un
passo fuori della mera
soggettività; e la
norma ideale, d’altra
parte, posta fuori del
pensiero attuale, è
la mera oggetti¬ vità, a
cui manca il
ponte di passaggio
verso il soggetto.
Oggettività pura e
semplice, e soggettività
pura e semplice, dunque:
qui la soluzione,
in fondo, non fa
che ridarci tal
quale il problema. Il
platonismo del primo
saggio si trova
immutato negli altri; al più si
epura. Nell’opuscolo Percezione
e penniero è
detto che l’oggetto
opera sul soggetto,
imprimendo in questo
Tinimagine di sé
stesso; immagine che non
è per nulla
sfigurata e deformata dalla passione
del conoscente, perché
il mutamento subito da
questo consiste soltanto
in ciò, che
egli conosce ciò che
prima non conosceva .
La conoscenza viene
così sempre più
alleggerita di quel còmpito
copernicano che Kant
aveva voluto imporle e
quindi ridotta a
una mera duplicazione
inesplicabile di una
realtà in sé
bell’e fatta. Il
termine della speculazione del
Bonatelli è, per
questa via, il
capo[Bonatkixi, Pensiero e
conoscenza^ Bologna. Bonatelli;
Percezione e Pensiero
(Atti del R.
Istituto Veneto di scienze,
lettere ed arti,
volgimento completo della
tesi kantiana: la
forma non è più
del soggetto ma
appartiene all’oggetto in sé,
e al soggetto
non viene attribuito
che la semplice modilicazione sensibile,
o, in altri
termini, la materia
11 che significa,
se non mi
sbaglio, volere ricondurre la
tesi dualistica all’assurdo. Un altro
dualista orientato verso
la filosofia di Lotze
è il Cantoni,
pur con la
sua vasta, ma
poco profonda, cultura kantiana.
Nel suo lodevole
tentativo di acclimatare
la filosofìa di
Kant in Italia,
egli introduce quel famoso
problema sull’origine psicologica
dell’apriori che ha
grande fortuna in
Germania, e che
costituì per lungo tempo
il capo dei naufragi di
molti critici. Nell’intento di CANTONI (vedasi), quel
problema dove salvare
la critica dal
mero soggettivismo in
cui pare la chiude Kant: il
riconoscimento della
formazione psicologica dell’apriori
dove infatti segnare il punto
di convergenza della
doppia azione del
pensiero e della
realtà. Ma per
quella legge dell’eterogenia dei
fini, la cui
fecondità è sorprendente,
la ricerca di CANTONI (vedasi) è
viziata precisamente da
quello stesso soggettivismo contro
il quale egli
crede di combattere. Come
infatti si può
parlare di formazione
psicologica dell’apriori, tranne
che questo non venga
inteso che come
il semplice apriori
della coscienza empirica,
e non della
coscienza e insieme della
realtà? Esso dunque
presuppone qua una
coscienza, là una
realtà bell’e fatta,
e dice: questa
coscienza nell’appropriarsi quella
realtà procede per gradi;
è prima un
mero aposteriori, e
si apriorizza a poco
a poco con
lo spogliarsi del
contenuto sensibile e col
concepire la forma
astratta delle cose
che il pensiero può
padroneggiare (concepire universalmente, necessariamente) appunto
perché è vuota
di contenuto Ma questo,
è il falso
apriori analitico da cui
Kant s’era liberato
nella sua critica,
e che poi Lotze,
con un vero
anacronismo, aveva voluto
ripristinare. Esso non
regge se non
in quanto si
pone il pensiero da una parte
e il reale
dall’altra, e si
fa giocare il pensiero con
sé stesso, nella
sua vuota interiorità.
E questo fa
appunto il Cantoni,
il quale, una volta
fuori della buona
via, parla di
applicazione delle categorie al
reale, di una
corrispondenza Ira quelle e
questo con un
completo capovolgimento di tutti
i principi fondamentali
del kantismo. Uno scrittore
raccolto e con
una simpatica intonazione
mistica è Francesco
Acri, personalità assai caratteristica della
filosofìa italiana contemporanea. In un
periodo di grande
rozzezza spirituale, quando il
materialismo regnava incontrastato,
l’Acri osava scuotere il
giogo della dittatura
e affrontare direttaniente
il nemico. Rivolgendosi
ai naturalisti, egli
diceva: voi con
la vostra cellula
credete di spiegar tutta
la vita della
coscienza, e in
realtà non spiegate niente; nella
cellula nulla c’è
che chiarisca la
medesimezza della coscienza,
e l’unità sua,
e la sua
facoltà formativa, e
quella speculativa, e
quella volitiva, e
nulla c’è che
chiarisca la più
umile delle operazioni sue
E ricorreva, per
mostrare l’impossibilità di
comporre l’uno coi
più, al grazioso esempio deH'aquila
dantesca che sembrava
un unico essere, ed
era un’accolta di
esseri; e dava
da lon[Cantoni. Kant,
Milano. . [Acri. Videmua in
aenìgmate, Bologna. tano l’illusione
di dire; «io,
io», nienlre in
realtà, a sentirla da
vicino, diceva «
noi, noi ». Ma
il platonismo di
Acri riproduce, in più
sublime sfera, la
stessa dilTicoltà, e, in fondo,
la stessa illusione dell’aquila
dantesca. Poste le
idee, non si spiega
più il pensiero;
e posta l’intuizione immediata della
verità ideale, riesce
inesplicabile la rillessione dell’autocoscienza. Quindi
invano cercherà l’Acri
di adombrare con
immagini poetiche il principio
della riflessione, che
in realtà manca
nella sua filosofìa. Egli
ricorre all’esempio dello
scintillio della luce stellare;
ma questo esempio
appunto tradisce la
difficoltà del platonismo;
lo scintillare della stella
è la mera
apparenza della riflessione
ilella luce, è l’illusione
soggettiva della nostra
visione. La dottrina della
coscienza è così
la nota fuori
posto nella concezione dell’Acri;
questi abbracciamenti tra Platone
e Kant, a
tanti secoli di
distanza, hanno sempre qualcosa
di fittizio. Nei nomi
di Bonatelli, di
Cantoni e di
Acri si compendia l’indirizzo
dualistico della filosofia
italiana della seconda
metà del secolo
XIX. Più recentemente
esso ha avuto
un altro prosecutore
nel De Sarlo, fondatore
della rivista la
Cultura filosofica. Questa, sorta
in antitesi col
positivismo e con
l’agnosticismo, e riprendendo
alcuni motivi lotziani,
cerca di svolgere c
ravvivare l’antico dualismo,
col porlo in contatto
con la filosofia
europea contemporanea, e particolarmente con
le nuove dottrine
gnoseologiche e con
le ricerche di
psicologia sperimentale. E torna
infine opportuno parlare
a questo punto di
un pensatore, che
neH’ultimo decennio ha
compiuto uno sforzo
notevole per conquistare
una veduta idealistica
della realtà: intendiamo
dire del Varisco. Nel
libro Scienza e
opinioni del 1901,
egli si muove ancora
nel campo della
metafisica dommatica. Il mondo
è da lui
inteso come «
un insieme di
elementi originari o
monadi che operano
gli uni sugli altri.
Le azioni reciproche
tra le monadi
sono in effetti
di due specie.
Determinano cioè; una
variazione in ciascuna
monade; una variazione
tra le monadi, ossia
ne modificano raggruppamento (la
distribuzione spaziale). I
fatti della prima
specie sono psichici, quelli
della seconda, fisici.Questo
è il dualismo della
metafisica dommatica, e
consiste nel considerare le
relazioni del mondo
fisico come affatto
fuori della monade
— mentre ripugna
alla monadologia ammettere azioni
inframonadiche (le monadi non
hanno finestre); e
una volta ammesse, risulta inconcepibile
la conoscenza di
quelle relazioni, perché
non si comprende
dove mai esse
cadano, se son
fuori della monade. Ma
con l’approfondire il
concetto della monadologia,
il Varisco ha
superato il dualismo
della metafisica dommatica.
Nel volume: /
massimi problemi il dualismo
tra fisi e
psiche ha un
significato gnoseologico, nel
senso che quella
distinzione non è più
tra due
realtà estranee l’una
all altra, ma
si costituisce nel
dominio stesso della
conoscenza. La realtà fisica
di Scienza e
opinione diviene una
psichicità, un complesso di
sensibili: il soggetto
(la psichicità dell’antica posizione),
diviene l’unità del
molteplice sensibile. Su questa
dualità originaria, il
Varisco eleva la sua
costruzione. Da una
parte la realtà dei
sensibili si costituisce
secondo le sue
leggi; dall’altra la
realtà del soggetto,
secondo il principio dell’unità di
coscienza. In tal
modo il dualismo
non [VARISCO (vedasi), I
massimi problemi, Milano,
dove è riassunta
l’antica dottrina. Cfr.
ancora Sciema e
opinioni, Homa] è risoluto;
e questo perché
il Varisco non
ha svolto il concetto
dell’unità della coscienza
in tutla la sua
portata, eliminando quel
residuo di aristotelismo che sta
nel porre, di
fronte alla coscienza,
dei sensibili non
sentiti, delle potenze
che aspettano di
porsi in atto. Insoinma
l’ombra del dommatismo,
«Iella precedenza di
quei sensibili di
fronte all’atto dell’auto¬ coscienza permane
sempre, e in
veste psicologica si ripresenta
quella realtà fìsica
di Scienza ed
opinioni, che il Varisco
non ha mai
veramente risoluta. Per superare
il dualismo, egli
fa ricorso a
un concetto della
filosofia rosminiana, quello
dell’essere in universale; ma ne muta
profondamente il significato, che non
è più per
lui trascendentale, ma
empirico, ed esprime soltanto
l’identità del pensato,
l’indifTerenza di soggetto
e oggetto; in
altri termini, quella psichicità primaria
su cui deve
fondarsi la dualità di
fisi e psiche.
11 Varisco compie
un notevole sforzo per
mostrare come questo
indifferenziato, per un’intima
esigenza, .si differenzi:
e ciò mostra
che egli è bene
addentro nella difficoltà
dell’idealismo; ma non mi
pare che risolva
il suo problema,
perché non veggo il
principio della differenziazione, il
soggetto. Quel differenziarsi è
perciò ancora da
lui inteso nel senso
della metafisica dell’essere
e non del
conoscere, vale cioè
a fondare una
monadologia e non una
fenomenologia. Per giungere
a questa è
necessario spogliarsi del
tutto della preoccupazione di una
realtà fatta, sia
come natura, sia
come potenza del pensiero,
e guardarsi dall’anticipare in
qualunque modo il mondo
sull’atto concreto del
pensare. Già nella dottrina
che il Varisco
ha accennato della personalità,
s’intravvede il principio
di un approfondimento dell’idea
del soggetto. Riporterò
le seguenti sue parole:
«Quando ciò di
cui giudico sono io
stesso, il mio
fare non è
più soltanto ricostruttivo; è
veramente costruttivo. L’io
nel senso vero della
parola, ossia l’iinità
dell’autocoscienza ben
diversa dalla pura
unità della coscienza,
dal soggetto animale — non esiste
che in quanto
afferma sé stesso Bene,
ma una volta
inteso che riprodurre
è in verità,
nel mondo della
coscienza, della realtà in
fieri, un produrre,
bisogna andare avanti, approfondire il
concetto della riflessione
creatrice, che è il
cardine della filosofìa
moderna, svelare tutti i
tesori che esso
racchiude: allora solo
si vedrà, nella trasparenza
della coscienza, tutta
la realtà nella sua
pienezza. Il Varisco
invece si ferma
a metà: egli infravvede,
ma non svolge,
il motivo fecondo
dell’iilealismo. Il
neo-kantisiiio ifaliano è per
molli rispetfi benemerito
della nostra cultura, per
avere alacremente pronio.sso
gli studi storici,
che fra noi facevano
difetto. Si pensi
che perfino i due
più profondi pensatori
italiani, SERBATI (vedasi) e
GIOBERTI (vedasi), spropositarono talvolta
nel modo più deplorevole
la storia del
pensiero, si da
falsare la loro stessa
posizione storica di
fronte alla speculazione
moderna. E nel
campo della storia
della filosofia si
sono specialmeiile distinti
il Fiorentino, il Tocco,
il Masci, il
Tarantino, il Chiappelli.
ed altri ancora. Ma,
quanto aU’atteggiamento dottrinale,
il neo-kantLsmo ha uno
stretto rapporta con
l’indirizzo di cui abbiamo
testé parlato. La sua
dottrina si svolge
infatti più specialmente nei confini
segnati dall’analitica trascendentale di i
Varisco, / massimi
problemi, Kant. Di
qui. il limite
della sua forza
speculativa c dato dalle
antinomie; limite che
si vuol poi
supe¬ rare con la
dimostrazione della vanità
di ogni me¬ tafisica.
Ma con la
metafisica il neo-kantismo
è co¬ stretto, suo
malgrado, a fare
i conti, quando
vuole spiegarsi
quell’apriori che esso
accetta da Kant.
Non appena esce dalla
semplice distinzione tra
il pro¬ blema della
formazione empirica delle
conoscenze e quello della
loro validità, e
vuol cercare di
spiegarsi il come e
il perché di
quest’ultima, eccolo già
alle prese con la
metafisica. Il valore,
come abbiamo già notato,
è un concetto
neutro, bilanciato tra il pen¬ siero
e l’essere; la
spiegazione del valore
è dunque il problema
metafisico del rapporto
tra il pensiero e
l’essere. In che
modo risolverlo? Il
neo-kantismo, non sapendo vedere
nelle categorie altra
cosa che quel semplice
fatto del valore,
ha esaurito già
la sua provvista, e
non può chiedere
perciò al suo
Kant quella spiegazione ulteriore;
esso allora la
persegui¬ terà attraverso la
psicologia, la biologia,
e finirà col ritrovarsi in
una posizione che
aveva già oltrepas¬ sata con
la sua premessa. Questa dilTicoltà
del neo-kantismo si
rivela nel modo più
caratteristico nella parabola
descritta dal suo primo
rappresentante in Italia,
il Fiorentino, che non
riuscì a mantenersi
nella sua posizione
ini¬ ziale, ma, cedendo
all’urto delle nuove
ricerche bio¬ logiche, contro
cui s’era già
abbattuto il neo-kan¬ tismo tedesco,
fini col fraintendere
del tutto il si¬
gnificato dell’apriori kantiano,
contaminandolo di
naturalismo evoluzionistico. Più fedele
allo spirito del
neo-kantismo è MASCI (vedasi), che se
ne può considerare
oggi come il
maggiore rappresentante. Le sue
istanze negative contro
i fraintendimenti dei principi
fondamentali della 394 LA FILOSOFIA
ITALIANA filosofia kantiana sono
solide, ma la fondazione posi¬ tiva
di quegli stessi
principi dà luogo
alla ditTicoltà già notata
a proposito del
neo kantismo in
genere. Giu-stameute Masci difende
l’apriorità dello spazio e
del tempo, come
funzioni spirituali, dal
psicolo¬ gismo, che con
la semplice costruzione
delle rappre¬ sentazioni 'di
spazio e tempo
s’illude di aver
soddi¬ sfatto all’esigenza dell’estetica
trascendentale; col suo mosaico
delle sensazioni esso
crede di costruir la
forma, invece la
presuppone a ogni
passo. Né migliori surrogati
della deduzione kantiana
offrono le ricerche biologiche
sull’apriori, che non
riescono addirittura a rendersi
conto del problema
di cui si tratta. Un
altro errore che
si suol commettere
nell’interpretazione di Kant,
è quello di
ridurre la realtà
alla mera rappresentazione; cosi,
osserva il Masci,
si fa svaporare il
reale, mentre, secondo
i principi del kantismo,
la serie psichica
non ha maggiori
diritti al riconoscimento della
serie fisica. Ma
esistono fisi e psiche
come due realtà
per sé? Qui
sta il problema. K
pare che il
Masci a un
certo punto sia
sulla via di risolverlo
secondo il criterio
dell’idealismo assoluto, col
riconoscere l’inanità della
riflessione che vuol risalire
a una realtà
oltre l’atto dell’autocoscienza *.
Però non riesce
a rendersi conto
che al di là
di queU’atto non
c’è una realtà
che sia a noi
preclusa per la
scarsezza delle nostre
facoltà mentali, ma
che non c’è^ proprio
nulla, fuori che la
proiezione della nostra
ombra. E una
volta perduto .il criterio
dell’unità concreta, fisi e psiche
gli restano innanzi come
due fatti distinti,
che egli pur
sente [Masci, Il materialismo
psicofisico, Napoli] il bisogno
ili unificare. E
concepisce cosi il
suo monismo: «Non
si tratta di
sapere né come
la materia genera
il pensiero, né
come questo genera le
azioni materiali. Porre
cosi il problema
è renderlo insolubile,
perché le idee
di materia e
spirito sono
generalizzazioni
unilaterali, astrazioni nostre, operate in
direzioni opposte, di
un processo che in
realtà è
unico»'. E per
conseguenza cerca di
trasferire quell’unità in
un passato in
cui psiche e tisi
erano indill'erenziate. La monadologia
da una parte
e il principio
nuovo dell’autocoscienza
dall’altra : questa
a me pare
la doppia esigenza inconciliata
in cui si
travaglia il pensiero del
Masci. E nella
stessa ditlicoltà s’imbatte un
altro filosofo, il
Martinetti, che vi
resta impigliato, benché
faccia un grande
sforzo per liberarsene,
cercando di fondere
la metafìsica dell’essere con la
luelalìsica del conoscere.
Come già il
Bnirac, egli concepisce il
reale come una
pluralità di monadi,
o (per togliere
la possibilità di un fraintendimento storico)
di centri coscienti
o unità sintetiche di
soggetto oggetto Ma
questa pluralità, realisticamente intesa,
è incompatibile con
la monadologia. Posta la
monade, o comunque
il rapporto soggettooggelto, è
con ciò tolta
la realtà (nel
significato realistico)
delle altre monadi,
la cui esistenza
è possibile solo
come iilealilà nella
monade. Lo svolgimento
deH’idealismo è consistito
nell’approfondire questo
concetto nuovo dell’idealità, in cui s’è
riconosciuta la realtà
vera e concreta:
così è stato
abbattuto il vecchio
concetto del mondo
come totalità naturale, e
s’è costituito il
nuovo concetto del
mondo come esperienza assoluta.
Il Martinetti invece
tien fermo ancora all’idea
del mondo come
un tutto naturale e
dissemina lungo di
esso i suoi
centri coscienti, .senza
intendere che questo
è incompatibile col concetto
nuovo dell’idealità che
egli mostra di accettare.
Ond’è che, malgrado
tutti gli sforzi,
egli resta un realista,
e, come tale,
si mostra impigliato in
una difficoltà insolubile
allorché vuol superare
il disgregamento dei principi
coscienti in una
unità superiore. Una volta
posta dommaticamente la
pluMabtinetti. hitroiiuzlone alla
melathica, Torino ralità delle
coscienze, l’unitù o sarà un
nome, o un principio
trascendente, perché lo
ripeto, la pluralità,
come tale, è
fuori dell’atto di
coscienza. Dato questo residuo
di dommatismo, un
vero superamento della
metafisica dell’essere non
è più possibile a Martinetti,
il quale non
riesce che a una
conciliazione apparente tra
quella metafisica e la
nuova metafisica del
conoscere, col mostrare
che la stessa instabilità
dei centri coscienti,
per cui essi
si sviluppano e si
potenziano in sintesi
sempre più alte, si
dà nel campo
del conoscere come
processo delle conoscenze dalle
forme più semplici
e imlilTerenziate del senso
alle sintesi più
alte dcH’iiitellelto e della ragione.
Qui non fa che ripro.
Purtroppo egli sa per
esperienza che la
gente a cui osa parlare
di Hegel è solita
di prendersi segretamente
gioco di lui, e
allora conclude: «che
l’hegelismo non si
può dimostrare che
ad un hegeliano
> *. E
allora insorge più grave
un nuovo problema:
«Come si fa
a diventare hegeliani?
». Qui le
cose si complicano,
una volta che non si può
diventare hegeliani se già non si
è tali. Ecco
l’antinomia da risolvere;
e l’unica via possibile
è di ammettere
che hegeliani si
è in quanto si
nasce. Questa è
per lui una
vera rivelazione: egli
finirà per convincersi
di essere hegeliano per
diritto divino, e
dall’alto di questa
convinzione potrà lanciare
uno sguardo di
commiserazione ai non eletti,
rassegnarsi alle defezioni
dei suoi scolari, e
abbandonarsi, senza nessuna
preoccupazione di essere
inteso o compreso,
alle sue contemplazioni. La filosofia
di Vera è
appunto la contemplazione del sacerdote
di Brahma. Il
termine a cui
s’appunta » A. Vera,
Inlroduclion à la
philosophie de Hegel,
Paris, in. l’ideali.smo assoluto è
l’idea nella sua
vuota universalità, .senza
più nessun contatto
col mondo della
vita. Per toccarla
bisogna porsi al
di sopra della
sfera del sentimento, abdicare alla
propria coscienza individuale,
e purilicarsi di
tutta la propria
contingenza umana. Che cosa
credesse il Vera
di conquistare in
un tal modo, è
difiìcile dire; non
certo Puniversale concreto
di Hegel. Ed è
davvero impressionante vedere
come le pagine piene
di vita della
Fenomenologia o della Logica,
dove tutto il
mondo della storia
si fonde in una
grandiosa epopea, diano
luogo, per opera
del sonnolento hegeliano, a
un annacquato platonismo che prende
le idee per
entità e per
mere rappresentazioni di
cose, e le
dialettizza in un
nebuloso empireo. Qui
si compiva quel
pervertimento dell’hegelismo in
una nuova metafisica
dell’essere, assai peggiore
dell’antica, perché cristallizzava l’idea
nelle cose, e deduceva
i cavalli dagli
asini, commisurando la deduzione
al grado progressivo
di perfezione delle relative idee.
Di fronte a
una tale metafisica
era la benvenuta la
reazione dello Schopenhauer,
contro cui pur sentiva
bisogno il Vera
di protestare. Con ben
altra mente concepiva
l’hegelismo Spaventa. Gioberti
aveva detto, non
diversamente da Hegel
: pensare è
creare. L’idea del pensiero
come creazione è
l’idea nuova della
Qlosofla kantiana, mentre Cartesio
e Spinoza non
erano giunti che al
concelto del pensare
come causare. Ma
Gioberti s’era elevato
al nuovo principio
tutto d’un colpo, per
una subitanea esplosione:
egli aveva intuito ma
non provato la
creazione; questa per lui
era un fatto,
indeducibile e indimostrabile. Eppure egli
stesso, in un
passo importantissimo delle
Postume, aveva integrato
la formula del pensare
= creare, con
l’altra : provare
è creare. Il pensiero
prova l’atto creativ*o
col riprodurlo e
ricrearlo dentro di
sé; ma riprodurre
è produrre, e
ricreare è creare.
Ecco il nuovo
grande concetto della mentalità, la
quale non si
svolge per accrescimento
e riproduzione del suo
prodotto, ma per
creazione del nuovo: il
prodotto stesso non
esiste che in
questo nuovo produrre;
l’atto creativo, che in questo atto
che lo ricrea.
A tale conclusione
non era giunto il
Gioberti, il quale,
anzi, dall’idea che
provare è creare aveva
voluto inferire che
la creazione è
indimostrabile. Ma. poiché
il carattere essenziale
della mentalità è appunto
il provare (in
ciò la mente si
distingue dalla sostanza
che si definisce
soltanto), il problema che la filosofia
di Gioberti apriva
ai successori era
: provare la
creazione. Ed è
questo appunto il
problema di Spaventa:
«Gioberti dice: essere
è creare, pensare
è creare, creare
è pensare. Questa
identità bisogna provare . «Creare è
l’Ente concreto, soggiunge
Spaventa, è fare,
realizzare, individuare, sostanziare, entare, far
esistere; è la
realtà, l’assoluta realtà. È
assoluta realtà, perché,
per Gioberti, Dio
stesso è creare, creare
sé stesso. Toglieteci
creare e avrete il
niente. Eppure non
si ha mai
il niente; giacché togliere qui
è pensare; il
pensare rimane, e
ci è sempre. Ciò
vuol dire: il
creare, tolto, rimane;
perché il togliere
stesso è creare:
cioè come semplice togliere —
negare — è
momento del creare.
Ora come si prova
la realtà, il
creare? » «Il Pensare
è; non può
non essere. Il
Pensare prova sé stesso:
negare il Pensare
è Pensare. 11
Pen-, IV. Gioberti,
Nuova ProtoloQla, 6
B. Spaventa, La
filosofìa Italiana nelle
sue relazioni con la
filosofia europea, Bari (Appendice: Schizzo
d’una storia della logica). LA
FILOSOFIA ITALIANA
inesauribile ricchezza è
il grande pregio
della Lo¬ gica hegeliana.
Essa spiega il
processo originale,
creativo, per cui
il pensiero creando
le proprie de¬ terminazioni crea
sé medesimo; è
la storia ideale, eterna del
pensiero, prospettata nel
sistema della scienza. Sta
qui il significato
dell’afTermazione dello Spaventa, che
la spiegazione del
creare è la
logica. Questa logica, di cui lo
Spaventa toglie ad
Hegel, dirò cosi, lo
scheletro, è da
lui svolta nel
suo ca¬ rattere più
profondo, perché concepita
nel suo mo¬ tivo
storico (cartesiano). L’interpretazione delle
tre prime categorie, l’essere,
il non essere,
il divenire, costituisce di per sé
sola il documento
maggiore della originalità dello
Spaventa. L’essere è
da lui inteso
come la posizione
immediata del pensiero,
come il semplice pensato.
Esso è l’assoluto
astratto, è il pensiero
che s’estingue neH’cssere.
Ma io penso
l’es¬ sere, c in
quanto lo penso,
l’essere non è
più il semplice
astratto, ma il
mio astrarre, il
mio pensare. Dunque, per
virtù stessa del
pensiero, l’estinguersi del pensiero
nell’essere è in
verità un distinguersi. Per la
grande importanza dell’argomento, ripeterò
testualmente il nostro
autore. « Fissando
l’essere — egli dice
— io non mi distinguo
come pensiero dall’essere; io
mi estinguo come
pensiero nell’essere; io
sono l’essere. Ora questo
estinguersi del pensare nell’essere
è la contradizione
dell’essere. E questa contradizione
è la prima
scintilla della dialettica. L’essere
si contradice, perché
questo estinguersi del pensare
nell’essere, — e solo cosi è
possibile l’essere, — è un
non estinguersi: è
distinguersi, è vivere.
Pensare di non
pensare, fare astrazione
dal pensare, cioè
fissare l’essere, è
pensare; è astrazione, cioè
pensare. » Questa
contradizione del pensiero che
si estingue nell’essere,
e in quanto
si estingue, pensa, e cioè si
distingue e risorge,
è il divenire —
inteso come pensare. «
Essere e non
Essere, in quanto
inverati nel Divenire,
non sono più
quel che erano
prima di essere inverati; ma
sono ciascuno quella
stessa unità nella differenza che
è il divenire;
e in quanto
tale unità, sono davvero,
cioè attualmente, distinti.
In quanto veramente uno e distinti,
si dicono appunto inverati; cioè
momenti del divenire». Spaventa, La
fllos. Hai. conseguenza
un’altra distinzione: quella
della verità in sé
e della verità
per noi, di
una metessi e
di una mimesi, nel
linguaggio giobertiano. «
Questa propedeutica, egli dice alludendo alla
fenomenologia, che è scienza,
e prova il
primo della scienza,
ci è solo in
quanto ci siamo
noi, coscienza o
spirito finito: noi dobbiamo
elevarci alla scienza,
non siamo immediatamente scienza.
La vera scienza,
invece, ci è in
sé assolutamente; è
non solo umana,
ma divina; quando
l’altra è solo
umana, e non
divina. È divina
come momento della
vera scienza, non
come propedeutica; Dio non
ha bisogno di
propedeutica. Quanti c.avilli
per dissimulare un
passo falso! In fondo
qui SPAVENTA (vedasi) è un
dommatico della più bell’acqua,
un platonico che
distingue una verità in
sé e una
verità per noi,
mentre ciò ripugna
nel modo più completo
al nuovo idealismo.
La ragione dell’errore è
che allo Spaventa
manca del tutto
una fenomenologia
dell’errore; quindi egli
non riesce a svolgere
il concetto nuovo
della verità come
sviluppo, come processo,
che pure è
nello spirito della sua
lìlosotìa; ma Unisce
inconsciamente coll’oggettivarla in
un che di
fatto e di
compiuto, in una realtà
in sé. Qui
c’è ancora un
residuo della mentalità
del vecchio hegeliano,
che mentre ammette il
progresso, il movimento,
e simili, è
condotto poi, per la
sua soverchia fedeltà
alla lettera, a
negare tutte queste cose,
allorché è giunto
al culmine della speculazione. Ma non
è qui che
bisogna vedere nella
sua più grande vivezza
il pensiero di
Spaventa. Quello stesso Spaventa
che affermava il
carattere astrattamente divino
della scienza, diceva
poi, con quanta maggior verità!,
che l’apriori è
la stessa potenza nuova
della natura, la
potenza umana, la
quale risulta e
si concentra e
s’individua da tutta
la sparsa attualità antecedente:
e perciò è
insieme un assoluto aposteriori'. Qui
s’intravvede il vero
Spaventa, il pensatore che
meglio di ogni
altro ha compreso
la vera umanità dell'assoluto, di
quell’assoluto che non è
lontano da noi,
ma ci è intimo, e
non è fuori
della nostra contingenza, ma
è questa stessa
contingenza, sub specie aeterni.
Egli dice. Tutti coloro
che fanno ad Hegel
due accuse opposte,
di relativismo e
di assolutismo, sono
il trastullo di
una illusione ottica, propria della
posizione in cui
si mettono; ciascuna parte prende
di mira nell’assoluto
hegeliano qiiell’elemento che
a lei fa
male agli occhi:
i semi-soggettivisti, l’esperienza
(il fenomeno, la manifestazione, il
divenire); gli oggettivisti,
il pensiero; nessuna
ha l’animo e
la potenza di
aflìssarlo come quello che
è veramente, vale
a dire come
ragione assoluta, al
di là della
quale, oltre e
fuori, non vi ha
nulla, e
il relativo e
il cosi detto
assoluto non sono che
enti astratti, e come membri
scissi dall’unità organica e
viva: da un
lato viene scambiata
la relazione col
relativo (come opposto
all’assoluto), e daH’altro l’assolutezza
coll’assoluto, come opposto al relativo.
Ai primi io
dico: il processo
dal primo pensabile (dal
puro essere) al
pensabile assoluto (all'assoluta
soggettività del mondo,
come unità di
conoscere e volere,
di verità e
bontà), e da
questo come prima esistenza,
esteriorità omogenea e
indifferente o spazio,
all’intimità o soggetto
corporeo, Scritti flios. eli.,
(Paolotlismo, positivismo, razionalismo). all’animale, al
senso, come senso
umano o spirituale, allo spirito o
soggetto assoluto, questo
processo non è un
gioco vano del
pensiero con sé
stesso, solamente nel
mio intendimento, o
un pallido riflesso di
un lontano ed
invisibile oggetto; ma,
come atto infinito, come
il pensiero che
si determina in sé
medesimo e si
raccoglie nelle sue
determinazioni e si condensa
e concentra e
si compie e
pone come assoluto pensiero,
è l’atto dell’assoluto, il
suo intendimento, la
presenza sua, lui
stesso. Ai secondi
dico: questo processo, appunto
come produzione, osservazione
critica che il
pensiero fa di
sé stesso, e in
quanto il pensiero,
e non altro
che lui, principia originalmente e
investe sempre e
conchiude quella che si
chiama comunemente esperienza,
e non si esercita
fuori e senza
di questa come
in vuoto aere; questo
processo è non
solo empiria, ma
la vera e assoluta
empiria; e ha
sempre più valore
d’ogni frammento e articolo
sconnesso a cui si
dà
tal nome. Qui, pur con
qualche reminiscenza dell’antico schematismo hegeliano,
c’è il pensiero
nuovo, che concentra tutta
la vita dell’hegelismo. Di
fronte al concetto della
relazione assoluta, che
è quello stesso del
fenomenizzarsi della realtà
nel pensiero umano, scompare ogni
dualità del pensiero
in sé e
del pensiero per
noi, di un
processo della coscienza
e di un processo
della scienza; e
in quanto la
realtà non è il
mero contingente né il
mero assoluto, ma
il processo assoluto
del contingente, essa
non è soltanto una
soluzione o una
cosa bell’e fatta
e anticipata senza problema,
né qualcosa che si perseguita
sempre e a
cui non si
arriva mai, un
eterno problema SPAVENTA (vedasi). Principii
di etica, Napoli. l’idealismo assoluto che
non è mai
soluzione, ma è
l’eterno problema che è
l’eterna soluzione, l’assoluta
possibilità che è l’assoluta
attualità. Svolgere questo
concetto è soddisfare
all’esigenza millenaria posta. Qui,
come si vede,
il Gentile riprende
e svolge il concetto
della dialettica, accennato
dallo Spaventa nel suo
scritto sulle prime
categorie della logica
di Hegel: è la
dialettica dell’essere e
del pensiero, che, sola,
a noi sembra
feconda e rispóndente
allo spirito dell’idealismo post-hegeliano. L’assoluta
apriorità della sintesi,
in questo dialettismo,
è l’assoluta [Gentile. L’atto
del pensare come
atto paro (voi.
I dcll’Annuario della
biblioteca fllosoofca di Palermo), immanenza
del pensiero, come
atto puro o
pensiero concreto. Come tale
esso è pensiero
nostro; fuori di questa
attualità non v’è il pensiero,
ma il pensato, che
è natura, materia.
E il ritmo
dialettico del pensare
è appunto il
convertirsi del pensiero
in pensato, dell’alto
in fatto, per
risorgere poi eternamente da sé
medesimo. Questa dottrina dell’assoluta
immanenza, per cui la
vera concretezza è
il pensiero attuale,
e che perciò nega
esplicitamente ogni anticipazione
della realtà come potenza
sull’atto del pensare,
ed è la
più recisa negazione
del vecchio concetto
del mondo come il
tutto dell’immaginazione, è
stata appena abbozzata
in poche pagine
dal Gentile. Ogni
ulteriore discussione
intorno ad essa è prematura;
bisognerà prima conoscerla nel
suo pieno svolgimento. Abbiamo seguito
lo sviluppo del
pensiero italiano moderno
dalle sue origini
fino ai tempi
nostri. Questo sviluppo non ha subito
nessuna brusca interruzione come falsamente
si è creduto.
Il naturalismo del Rinascimento precede
e preannunzia il
movimento cartesiano, e similmente
la dissoluzione del
naturalismo, che avverrà
in Germania per
opera di Kant e
dei suoi successori,
s’inizia già in
Italia col Vico, e
prosegue poi, a
un secolo di
distanza, con SERBATI (vedasi)
e GIOBERTI (vedasi), che inconsapevolmente attuano
l’esigenza posta dalla
nuova metafisica della mentalità. La filosofia speculativa ITALIANA,
non altrimenti da quello
europeo, entra in
un periodo di
decadenza. Le ultime apparizioni
della metafisica sono tenui
c senza consistenza,
come l’ombre della
caverna platonica. Il
positivismo, in Italia
come altrove, sorge con la giusta esigenza d’una dottrina
che non vuole anticipare
col pensiero sulla
realtà, ma finisce ben
presto col falsare
la sua premessa
in un miscuglio ibrido
di dottrine e
in una mal
dissimulata simpatia per
il materialismo. I
suoi primi accenni
sono opera di
specialisti, come CATTANEO (vedasi), CABELLI (vedasi), VILLARI
(vedasi) ed altri ancora. Privi
di vera originalità
filosofica, ma corretti
nella loro povertà;
le sue ulteriori esplicazioni
sono orientate verso
la scienza naturale e
particolarmente biologica. Il
rappresentante maggiore di
questo indirizzo è
.\rdigò che, per
il suo sforzo
serio e tenace
di pensiero, pur
senza dire quasi
niente di nuovo,
eleva il positivismo italiano
quasi all’altezza di
tutti i positivismi
del mondo. La rinascita
del pensiero speculativo
è segnata da un
approfondimento del dualismo
tra il pensiero e
l’essere, che già
si accennava nelle
opere di ROVERE (vedasi) e FERRI (vedasi), e
per cui si
passa dal dualismo dommatico di BONATELLI (vedasi) al dualismo
gnoseologico di VARISCO (vedasi).
Il criticismo, come
quello che non svolge
la nuova potenza
dell’apriori, si travaglia nello stesso
problema, e non
riuscendo a superare la
posizione della metafisica
dell’essere, finisce col ricadérvi, annullando
cosi il concetto
nuovo dello spirito, che
esso attinge originariamente alla
filosofia critica. E
infine, librato sulle
due metafisiche, in
una posizione incerta,
ma pure interessante ed originale,
MARTINETTI (vevasi) segna il punto
in cui la mentalità
del criticismo si
volge verso l’idealismo
assoluto. .Ma la linea
classica della METAFISICA ITALIANA è ripresa da SPAVENTA (vedasi), che
promuove l’indirizzo della filosofia
di GIOBERTI (vedasi) con
quella più chiara
coscienza della sua
vera natura, chft
poteva esser data dalla
nuova cultura hegeliana.
Con SPAVENTA (vedasi)
comincia implicitamente il
processo dissolutivo della
filosofìa di Hegel, che
è in pari
tempo costitutivo di una nuova metafisica, che
mira a svolgere
nella sua pienezza la
potenza umana della
realtà, l’apriori critico,
negando nel modo
più reciso ogni
trascendenza. Le tappe di
questo cammino sono
segnate da Croce
e da Gentile: con essi,
gli sforzi della
filosofìa italiana convergono
alla stessa meta
di quelli della lìlosolìa europea,
verso una dottrina
dell’assoluta immanenza,
che, come assoluto
idealismo, sarebbe anche in
pari tempo il
vero e assoluto
positivismo. Abbiamo
seguito, nelle esplicazioni
originali della sua vita,
lo sviluppo del
pensiero contemporaneo. Nelle
diflerenze degli indirizzi
e delle correnti,
il lettore avrà
già potuto osservare
quell’identitù spirituale profonda,
che vince l’apparente atomismo delle
dottrine, e per
cui quel pensiero
è l’unico pensiero contemporaneo, nei
vari momenti del suo
corso vitale. E sorgono
ora le domande:
a che mai
esso tende? È una
vita che si
dissipa in un gioco senza
scopo, in una ridda
di teorie di
cui l’una vive
della morte dell’altra, in
una rassegnata attesa
che suoni la
propria ora? O
è un momento
di vita questa
morte; e allora a che vive
quella vita? Qui
la facile sapienza agnostica si
accontenterebbe di rinunziare
a com¬ prendere l’intimità
più profonda del
pensiero, col chiamar vana
la pretesa per
cui noi, atomi
sperduti neU’immensità del pensiero,
vogliamo erigerci a giu¬
dici del
pensiero: come può
un elemento trascurabile
adeguarsi al tutto?
Ma a noi
ripugna questa dotta ignoranza.
Noi abbiamo la
ferma coscienza che il
pensiero non è
la vuota immensità
che ci opprime, perché al
di sopra di
noi, ma è
pensiero nostro, è l’intimità
di noi a noi stessi.
La vastità non
deve opprimerci, perché non
ci sta di
fronte distesa, ma è
dentro di noi
raccolta, nello stesso
processo continuo della
ricerca, per cui
progrediamo da una
po¬ sizione all’altra. La
storia del pensiero
del mondo non è che la
semplice storia psicologica
di ciascuno di noi,
che vive in
sé i momenti
di quel pensiero universale. Questa convinzione
ci è di grande conforto.
Nella nostra storia intima
noi ricordiamo mille
sconfitte e mille vittorie,
ricordiamo la ridda
delle teorie, che sembrano
nascere soltanto per
perire; e nondimeno questo non
ci suggerisce alcuna
considerazione pes¬
simistica, perché la
salda coscienza del
nostro pen¬ siero attuale
è coscienza di
forza, di vita
e non già di
morte; e noi
inneggiamo perfino alla
morte perché sentiamo che
del trionfo su
di essa è
mate¬ riata la nostra
vita. Cosi è
di tutta la
storia. Noi qui abbiamo
scritto l’epigrafe di
molte dottrine: è
la stessa epigrafe
che abbiamo scritta
sui momenti oltrepassati della
nostra vita; con
la stessa fiducia noi
possiamo renderci interpreti
della vita nuova che
si concentra e
s’individua dalle varie correnti del
pensiero moderno, perché
sentiamo che è la
vita stessa che
si agita in
noi e che
ci dà forza di
dominare i momenti
di vita oltrepassata. La storia
non è fonte
di pessimismo, e
neppure di facile ottimismo,
ma di forza,
di tenacia, di la¬
voro. Ormai il
positivismo è finito,
il kantismo dà gli
ultimi aneliti, e
le improvvisazioni filosofiche,
che un tempo son
parse le prime
espressioni di una nuova
filosofia, ci fanno
appena sorridere; erano forse
dei vagiti; come
riconoscere in essi
le nostre voci? A
taluno parrà che
noi parliamo qui
con troppa sicurezza. Ci
si dirà: siete
voi ben sicuri
di non essere dei
tardi epigoni di
un lontano movi¬ mento
di pensiero? ombre
e non corpi
vivi? È questo il
problema che la
storia deve risolvere;
e allora si vedrà
se noi —
parlo, s’intende, in
nome del nuovo idealismo,
non pure italiano,
ma europeo — se
noi, che diamo
principio a rinnovar
l’antica tìlosolìa, siamo
nella mattina per
dar fine alla
notte, o pur nella
sera per dar
fine al giorno,
come diceva il nostro
Bruno. Nella filosofia contemporanea
si compie la
critica del movimento kantiano,
che culminò in
Hegel. Ma questa critica,
lungi dall’essere dissolutrice
come i suoi inconsapevoli
ministri hanno creduto,
è la vera critica
integratrice, che comincia
a colmare l’abisso tra
Kant ed Hegel
e a svolgere
i motivi nuovi delle
loro dottrine. La
filosofia kantiana, col
suo concetto della cosa
in sé, apriva
largo adito alla trascendenza nelle
sue varie forme,
che si possono compendiare tutte
nel dualismo, non
risoluto, dell’essere e
del pensiero. Hegel,
negando questo dualismo,
e unificando la
logica dell’essere e
quella del conoscere, sopprimeva
virtualmente l’idea della trascendenza, ma
nel fatto poi
la ripristinava nel seno
stesso della nuova
immanenza da lui
scoperta: scienza e coscienza,
logo e natura,
natura e spirito; ecco
in una veste
nuova le antiche
forme del dualismo. Nella decadenza
e nel discredito
della filosofia idealistica che
comincia dopo Hegel,
pare che siano naufragate tutte
le sue più
geniali intuizioni: il naturalismo e
il positivismo dichiarano
bancarotta della metafisica, ed
esaltano i fatti,
l’esperienza. Eppure, nel
loro linguaggio infantile
e confuso, essi sono
gli esponenti di
quella stessa esigenza
nuova, che aveva posto
l’hegelismo: la negazione
del trascendente, l’immanentismo assoluto.
Nella storia della filosofia
ricorre spesso questo
tema immanentistico: con
Aristotele, di fronte
alla dottrina delle idee,
con BRUNO (vedasi) e Spinoza,
di fronte alla
scolastica. Ma questo continuo
ricorrere è un
continuo progredire; cosi
Tultima sua apparizione
nel secolo XIX non
è più quella
di un’immanenza puramente
ideale, né divina, ma
schiettamente umana. Ma se
sotto questo aspetto,
come espressioni di esigenze
nuove, il naturalismo
e il positivismo
hanno per la storia
un grande valore,
lo stesso non
può dirsi del modo
con cui hanno
cercato di attuare
il proprio tema. Noi
perciò nel corso
della nostra esposizione,
mentre abbiamo accentuato
l’importanza ideale di queste
dottrine, ci siamo
guardati con cura dal
farne un’ampia esposizione,
perché l’ignoranza dei loro
autori è tale,
che non sanno
essi stessi dove risegga
l’originalità della loro
posizione, e Uniscono col
dare un ricalco
di temi oltrepassati,
confusi insieme neiribridismo
più strano. Ma
il significato ideale del
naturalismo, che sorge
dalle scienze biologiche,
è questo: che
vana è la
pretesa di voler
far del pensiero un’entità
vaga e nebulosa,
venuta su chi sa
come, a illuminare
il mondo della
materia, mentre bisogna indagare
la genesi del
pensiero, se si
vuol dare una spiegazione
vera e propria
di esso., E il
significato del positivismo
sta nella negazione
di ogni vuota ideologia,
che pretenda fare a meno
dei fatti e anticipare
in qualunque modo
su di essi
col pensiero. Si tratta
insomma di quell’eterno
motivo immanentistico con cui
la cultura ha
compiuto la critica. Ma
il significato ideale
del naturalismo e
del positivismo sta
soltanto nei nuovi
problemi e non
già nelle soluzioni loro;
perché il naturalismo,
nel suo tentativo d’indagare
la genesi biologica
del pensiero retrocedeva al
periodo pre-cartesiano della
storia. ]cioè alla dottrina
degrinflussi fìsici tra
l’anima e il corpo;
e d’altra parte
il positivismo, col
richiamarsi al fatto come
a realtà assoluta,
ricadeva in quella trascendenza, che
esso aveva già
implicitamente negata. Il
fatto porta con
sé una duplice
afTermazione di
trascendenza: da un
lato, nella fissità
delle sue linee,
esso è posto
come trascendente di
fronte al pensiero;
dall’altro, in quanto
è un complesso
di determinazioni finite,
è trasceso in
quanto pensato. Quindi, una
duplice incongruità, della
realtà naturale di fronte
al pensiero e
viceversa, e una
duplice inesplicabilità dell’una
per l’altro. Come
espressioni di problemi, il
naturalismo e il
positivismo conservano un valore
attuale; come soluzioni,
il primo va a
finire nella deificazione
di sé stesso
(ciò che se era
grandioso in un
Bruno' è ridicolo in
un contemporaneo); e
il secondo ha per suo
termine l’agnosticismo, cioè
la propria sterilità
ed impotenza. La contradizione
del positivismo sta
nel dissidio tra ciò
che esso dice
di fare e
ciò che realmente
fa: sorge in nome
dell’immanenza e intanto
vive nella trascendenza, ora
agnostica, ora materialistica. Questa
è la sua
contradizione; ed ecco
che a risolverla sorgono le
nuove filosofìe, che
tutte vogliono porsi come
continuatrici dell’opera del
positivismo. È notevole
questo fatto, che
ogni pensatore, il
quale sia giunto a
una visione concreta
e immanente dei
problemi filosofici, ha
seniito il bisogno
di battezzare la sua
filosofia come il
vero positivismo; ciò
dimostra che quanto v’è
di più vitale
nell’esigenza del positivismo
non è quello
che si disperde e
si annulla nelle scuole
positivistiche, ma è
piuttosto quel momento del
nostro sviluppo spirituale
che ci è
di sprone a conquistare
una visione immanentistica della
vita. Ma l'immanentismo che
da principio sorge
come esplicazione di quello
spirito positivo che
è in tutti i
pensatori, è la più
povera forma d’immanentismo: quella
del senso, della coscienza
immediata. Ed è
il tema più
frequente che ricorre in
quel periodo, e
che vale a
caratterizzarlo tutto. Tanto
nella forma di
un empirismo, come in
un Mill, in
un Mach, o
in uno Schuppe;
o di un fenomenismo, come
in tutte le
scuole neo-kantiane; o di
un intuizionismo come
nella filosofia del
Bergson e in altre
ancora, è sempre
l’identico motivo fondamentale,
che si ripete
su scale diverse.
Noi abbiamo osservato come
il principio dell’esperienza immediata
si annulli da
sé medesimo, e
lungi dal fondare un’assoluta immanenza,
è fatalmente spinto
verso il trascendente. E il trascendente,
di fronte ad
esso, è tutto il
pensiero, in quanto
costituisce un suo
osi avviene che
dalla cultura falsamente
soggettivistica e individualistica, per
cui il pensare
è il riuscire del
concetto, e la
vita è un
semplice rischio, si passa,
in base all’esigenza
di un’intimità più profonda,
a una celebrazione
del trascendente, al misticismo,, che
assume in certi
pensatori un’intonazione veramente
elevata. Ma il
misticismo non migliora la
posizione logica dei
problemi, e determina
invece il momento
in cui le
esigenze stesse del pensiero,
che si è
svolto nei limiti
di determinate premesse, rendono
quelle premesse insuflicienti, ed esprimono
un bisogno di
rinnovamento. Cosi avviene che
quell’immanentismo della vita che
era nelle convinzioni
del pensiero del
secolo XIX e che
non aveva potuto
trovare nel positivismo
la sua formulazione adeguata,
non riesce neppure
ad esprimersi in questa
litosotìa dell’esperienza immediata,
che anch’essa sconfina
nella trascendenza.
L'esperienza storica dei
secoli ha mostrato
che l’attuazione del principio
immanentistico si compendia
nella risoluzione di
due problemi, che
in fondo si riducono
ad un solo:
quello dell’umanità della storia
e quello del
valore umano della
realtà fisica esteriore. La
filosofia che ora
abbiamo considerata era insufficiente
a risolvere l’uno
e l’altro problema. Il
positivismo aveva meccanizzato
lo sviluppo della storia,
creando un naturalismo,
e cioè una
trascendenza, nel seno
stesso deH’umanità, col
suo concetto della
massa cieca e
brutale; e la
stessa nuova lìlosofìa intuizionistica ed
empiristica era incapace di
comprendere il valore
della storia; la
coscienza, della storicità del
reale è in
aperta antitesi con
una concezione immediata della
vita. E d’altra parte
il riconoscimento dell’umanità del cosi
detto mondo fìsico
non poteva esser
dato da nessuna delle
due dottrine: né
dal positivismo, che non
aveva neppure coscienza
del problema, né
dalla filosofìa
deirimmediato, che si
mostrava, già nella sua
premessa, come dualistica,
e per cui
la realtà esteriore, sia
come mondo fìsico,
sia come scienza naturale, costituiva
alcunché di trascendente.
Tuttavia già' in
questo campo si
preparavano i germi
di un rinnovamento. Con
la critica delle
scienze comincia infatti,
nel seno stesso
della filosofìa empiristica,
un rapido processo
di dissoluzione di
quel naturalismo, che aveva
solidificato i concetti
delle scienze empiriche, rendendoli
quasi materia opaca di
fronte al pensiero,
mentre sono pur
opera sua. Noi abbiamo
confutato questo indirizzo,
mostrando che esso idealmente
non rappresenta alcunché
di nuovo di fronte
alla soluzione kantiana
del problema della scienza,
e che anzi
è soltanto a
mezza via tra il
puro dommatisino e
Kant, ciò che
rende equivoca la sua
posizione e paradossali
taluni dei suoi
assunti, che invece, svolti
lino alla line,
conterrebbero dei motivi profondi
di verità. Ma
il valore storico
di questa critica delle
scienze è assai
grande, quando si pensi
che essa aveva
di fronte da
combattere, non già Kant,
bensì quel naturalismo
e positivismo che avevano
reso la scienza
impenetrabile al pensiero. Così, avere
riscoperta l’azione immanente
dello spirito in
quel campo che
gli si era
reso del tutto
estraneo. e mostrato
che il mondo
della scienza —
che è il mondo
stesso della natura
— rientra nella
sfera delTarbitrio umano;
e avere perciò
annullata quella concezione rigidamente
meccanica del mondo
che non solo i
positivisti, ma (pare
incredibile!) perfino i kantiani
avevano instaurata: tutti
questi sono meriti
veramente grandi di
quel vasto movimento
di critica delle scienze,
che si svolse
sullo scorcio del secolo
passato e sul
principio del nostro. Oosi
s’è andato via
via dissolvendo quel
concetto del mondo come
una realtà solidificata
di fronte al pensiero,
e s'è compreso
sempre meglio il
valore immanente dell'esperienza, che
non è meramente
ripro¬ duttiva di una
cosa in sé,
ma produttiva di
realtà e Louvain,
1911 (in 2
voli., l’uno contenente
i testi, l’altro una
ricostruzione storica delle
lotte tra tomisti
e averroisti nel sec.
Xlll). con le sue
esigenze storiografiche, e
assai spesso le falsilica
e le perverte.
Non contenta di
promuovere la conoscenza
dei lìlosofi medievali,
essa ha voluto copiarli,
reintegrando una pretesa
sintesi scolastica, creata
dalfimmaginazione
pseudo-storica di uno storico
di valore, uscito
dalle sue file,
Maurizio de Wulf. Di fronte
al preesistente neo-tomismo,
la neo-scolastica ha
voluto assumersi il compito più
ampio di ricalcare non solamente l’orme
d’AQUINO (vedasi), ma anche quelle
di altri dottori,
agostiniani e sentisti,
che, un tempo
nemici deH’.’^ngelico, vengono ora
da Wulf scoperti
come suoi collaboratori, nell’opera (da
veri certosini!) di
comporre uno smisurato
mo.saico scolastico, al
quale è dato
l’improprio nome di
sintesi. Collaboratori sono in
certo c profondo
signillcato tutti i filosofi,
quale che sia
la loro divisa;
ma la collaborazione de
wulfìana tende a
sopprimere 1 individualità
d’ogni singolo pensatore
e d’inserirne le dottrine,
come materiale amorfo,
in una costruzione anonima, avulsa
dalla storia, perché
non più partecipe
della mobilità del
divenire, ma statica
e inerte, atta soltanto
ad accrescersi per
successive sovrapposizioni. antiche
o nuove che
siano. Scolastica sarebbe quindi non
più una tisonomia
storica che si
trasfor¬ ma, ma un
masso immobile di
pietra, che Wulf si
dà cura di
sottrarre ad ogni
movimento, anche esterno, col
separare nettamente la
scolastica dall’anti scolastica,
cioè col sostantivare,
in un’altra unità separata e
rigida, tutti quei
moti divergenti e disgregatori, che
pur appartengono allo
stesso pensiero medievale
e che, inclusi
con sano criterio
storico nella scolastica,
le conferirebbero quella
mobilità viva che
appartiene a un
vero organismo. Questo pregiudizio
più che scolastico
falsifica la Storia della
filosofia medievale di Wulf,
opera immeritainente
celebrata, perché non
può non suscitare,
nei critici meglio
disposti ad apprezzare
il lavoro altrui,
che un senso
di dispetto o
di deplorazione, al
constatare come una
cosi vasta e
profonda conoscenza del pensiero
medievale si falsifichi
e si annulli, per
colpa di un
testardo proposito di
voler trattare la storia
con un criterio
decisamente anti-storico.
Pereant historiae, purché
sia salva la
neo-scolastica: par che
Wulf ragioni cosi.
E in effetti, separando scolastica
e anti-scolastica, papa
e anti-papa, nel
cuore stesso della
storia medievale, dove la
separazione degli elementi
organici è più
aspra e, diciamo pure,
ripugnante, è tanto
più facile perpetuare
la separazione in
seguito, quando Tanti-scolastica diviene
a sua volta
un’età storica, e
accrescere la scolastica
dei magri doni
dello Spirito, che le
piovono addosso di
tanto in tanto.
È sorta cosi la
neo-scolastica, quella scuola
che, pur avendo
di fronte ad AQUINO (vedasi) l’incontestabile vantaggio
di spaziare in un
cielo storico incomparabilmente più vasto
e di non
accontentarsi di un
san Tommaso ischeletrito, mutilo,
custodito nella solitudine
e quasi nel deserto
dei secoli, ha
poi sùbito voluto
rinunziare ai suoi
privilegi storici, facendo
della storia una pesante
cappa di piombo. Confesso che la lettura
del corso del
Mercier m’è costata assai
più fatica che
non quella delle
Somme di Alessandro o
di Tommaso o
dell’Opus Oxoniense di Duns.
La ragione è che si
trattava di una
fatica senza premio, che
inaridiva progressivamente e
senza recupero le proprie
fonti e l’energia
della resistenza. In fondo,
non c’è che
la struttura esterna
massiceia, pesante, del
tomismo, senza lo
spirito d’AQUINO (vedasi), tormentato
dal problema insolubile
di costringere nelle
forme aristoteliche una
materia ribelle. Il Mercier
ha raccattato nella
storia quel poco
che era compatibile con
le sue premesse
dommatiche: il criterio cartesiano
dell’evidenza, il problema
della criteriologia, inteso come
un’attenuazione della critica
gnoseologica, il pseudo-empirismo dei
positivisti, e sopra
tutto il formalismo
della vecchia e nuova
logica analitica. I..a
criteriologia forma il
segreto della composizione
di tutto il
mosaico: essa ripristina
(dopo Kant) il
dubbio cartesiano, limitato ai
soli oggetti della
conoscenza, dichiarando illegittimo
il problema del
valore delle facoltà
conoscitive: un valore che viene dommaticamente presupposto. E del
primo dubbio si
sbriga facilmente col
riconoscere l’evidenza immediata
di alcuni principi d’ordine ideale,
ai quali si
dà cura di
negare ogni carattere sintetico
e attribuisce invece
un valore meramente analitico,
che avvalora la
loro intatta oggettività.
Ma tra i
princìpi in questo
modo sottratti al dubbio,
v’è il principio
di causa, il
cui valore oggettivo consente
di passare, senza
salti, dalla sfera dei
giudizi ideali a
quella dei giudizi
empirici; il mondo della
natura e della
scienza viene agevolmente rimorchiato dal
principio d’identità. L’ontologia
e la cosmologia del
corso merceriano procedono
di pari passo dalle
premesse criteriologiche testé
enunciate; idealismo e
positivismo sono insieme
saldati dal concetto di
causa, che vanta
titoli eguali presso l’uno
e presso l’altro.
E l’idealismo salva
la trascendenza di
Dio, l’immortalità deU’aninia,
la rivelazione, con
tutto il pesante
bagaglio della dommatica
cristiana; il positivismo
consente alla neo-scolastica di
modernizzarsi, di koketlierenm direbbero i tedeschi, con le
scienze della natura
e 'l’indulgere il più
ch’è possibile al
gusto dei tempi. Una
tale filosofìa è
criticata in quanto
è esposta; non si
saprebbe se più
deplorare l’ignoranza che vi
si dispiega di
tutta la storia
del pensiero moderno o
l’ingenuità di certi
passaggi me'ntali, quello
p. es., mediato dal
principio di causa.
Io rispetto assai
più il dommatismo puro,
lo schietto tomismo,
che nega la storia
del pensiero e
si chiude nelle
vecchie e venerande
formule; ma almeno
non si lascia
cosi facilmente misurare
dalla mentalità moderna
come questa filo.sofia che
le si accosta
troppo da presso, e
si trastulla ingenuamente
coi suoi problemi.
Il neo, anteposto al
suo nome, vale
a designare null’altro
che l’infantilità. Il movimento
neo-scolastico italiano sorge
come una copia fedele
della scuola di
Lovanio. Gemelli e
Canella fondano una
Rivista di filosofia
scolastica sul modello
della rivista belga
ed accettano, nel programma,
l’ideologia merceriana: MATTIUSSI
(vedasi) lo spaventa con Il
veleno kantiano, dove gli
lascia intravvedere il rischio
di rinnovare la
miseria d’Abelardo, non
più per amore di una bella
Eloisa, ma. della filosofia kantiana. Noi pretendiamo,
dice l’apocalittico MATIUSSI
(vedasi), che nell’opera
del filosofo di
Koenigsberg dal principio alla
fine ogni cosa
è impossibile e il
disegno n’è contradittorio, che
tutto è rovina
e che qualunque asserzione
si ammetta di
quello ( sic) che egli
da sé nuovamente
disse, ne rimane
tronco alla radice dell'essere
conoscitivo; ed è
veleno, del quale basta
una goccia per
dare la morte
alla scienza e all’intelletto (!!)>.
E in un
altro suo scritto.
Il Problema della conoscenza,
il Mattiussi mostrava
di porre allo stesso
livello la critica
kantiana della ragione e il dubbio
merceriano sull’oggettività della conoscenza additando,
nel dommatismo puro,
la via della salvezza
dell’anima e del
corpo. Questa recrudescenza di
animosità da parte
dei dommatici derivava in
gran parte dalla
scandalosa impressione che sul
loro animo aveva
fatto il tenta¬ tivo
di CHIOCHETTI (vedasi),
animoso e ardente
pensatore trentino, il
quale si propone d’acclimatare negli ambienti
scolastici il sistema
di Croce. Iinfatti pubblica
una serie di articoli
su quella filosofìa,
nella Rivista di Gemelli,
facendo precedere all’esame
del pensiero crociano un
lungo excursus storico
sulla speculazione tedesca
che ne costituiva
il fondamento. Il piano
storico del lavoro
era sbagliato, in
quanto che la genesi
del pensiero di
Croce si spiega
rimontando non la
corrente centrale, metafisica
(Croce dice teologica) Kant-Fichte-Schelling-Hegel-SPAVENTA; ma
una corrente laterale
che ha per
suoi estremi Vico e
Sanctis. L’interessamento di Croce
per le grandi
filosofìe tedesche interviene
in un secondo momento,
come per meglio
intonare, storicamente, un pensiero
già in gran
parte formato per via
diversa. A ogni
modo, lo sforzo
di volere attribuire un
interesse centrale a
una filosofia che ripudia
ogni centro fisso
dell’interesse speculativo,
costituiva pel Chiocchetti
una propizia opportunità per poter
superare, insieme col
Croce, tutta la
spe¬ culazione classica, e
per liberarsi, cosi,
del pesante fardello della
storia. Alla filosofia crociana
egli faceva larghe
e importanti concessioni:
la teoria dell’arte,
dell’ateoreticità dell’errore, e principalmente quella
del concetto con¬ creto,
che culmina nella
circolarità creatrice dello spirito. Faceva
naturalmente le sue
riserve. Ammettiamo anche noi
un divenire, un
progresso, ma non possiamo
concepirlo senza ricorrere
a un principio
che non sia
principiato, perché personale
nel senso più alto
della parola ;
un principio fine
a sé stesso e fine del
tutto, un (ictus
parus personale, dal quale
e per il
quale il progresso
esiste, un centro di
riferimento di tutta
l’attività. Moveva alcune critiche in
parte calzanti: «Il
concetto di persona, il
valore della persona:
ecco quello che
manca, soprattutto nella
dottrina del Croce,
e rende vano e
senza significato il
divenire della realtà
attraverso le forme. Anche
il concetto dello
spirito come circolo
o come ininterrotto
e ordinato arricchimento
di attività, per avere
un senso, dev’essere
concetto e deve inchiudere
in sé come
elemento essenziale il fine
deU’attività progressiva, la
persona; se no
abbiamo l’assurdo del
progresso in infìnitum,
checché opponga il Croce. Ma
il vizio più
grave che svaluta
le adesioni non meno
delle critiche, sta in un
fraintendimento, che non saprei
spiegarmi con motivi
puramente mentali
(ateoreticità dell’errore, Chiocchetti!): quello del
concetto puro di Croce
con l’unìversale in
re d’AQUINO (vedasi). In
fondo, accettando l’universale
concreto della filosofia
moderna, il Chiocchetti
non vi riconosce che
il progenitore scolastico,
dimenticando, 0 mostrando di
dimenticare, che in
esso c’è l’appercezione pura
di Kant, la
risoluzione dell’oggettività
naturale, in una
parola, lo Spirito.
Affermare che [Individualismo e
universalismo fanno centro
in Europa, donde
s’irradia la nuova
storia del mondo; tutte
le conquiste della
civiltà estraeuropea sono
infatti europee nello
spirito e nell’impulso;
l’Africa particolarmente è il
supremo sforzo e
il massimo rispltato della
storia europea. Questo non
porterà nome di
uomo o di
popolo, perché le massime
creazioni sono anonime: il
genio può riassumere
l’incoscienza di un
popolo, non dare
la propria fisonomia
alla sua coscienza. Il
suo carattere ideale
è chiuso tra
due fdosofle, che rappresentano
il suo trionfo e
la sua degradazione. Dopo Tenorrae
abbacinante filosofia di
Hegel, che riassunse
tutta l’antichità e
aperse l’era moderna,
la degradazione fu
precipitosa; Hegel aveva sollevato il
mondo nelle idee,
i positivisti distrussero
le idee nei
fatti; la loro
filosofia era la
sola conveniente a
una fase industriale,
che isolava gl’individui
livellandoli invece di
unificarli; l’inconoscibile,
del quale l’interpretazione istintiva
è ideale e
pregio della vita, venne
dichiarato inutile, la
storia cessò di chiedere
le rivelazioni del
passato ai grandi
pensieri per impararle
dalla parzialità dei
piccoli documenti, le
leggi non furono
che disposizioni nelle apparenze fenomeniche,
la morale un
mutare di costumi,
le idee una
metamorfosi delle sensazioni.
La superlicialità rese tutto
facile, e la
volgarità parve la sicurezza
del reale. L’uomo,
senza lo spasimo
dell’infinito nel cuore
e la luce
divina nel pensiero. I
La Hiuolta ideale^
ed. Laterza. ritliscese neiranimalità, ultimogenito
di una serie, anziché primogenito
della creazione. Contro questa
degradazione positivistica o
industriale, che annulla
le grandi conquiste
ideali dello spirito, e
si riassume nell’individualità nuda
e atomistica e
neH'umanità identica e
vuota, e abbassa
la coscienza all’inconscio, la
responsabilità all’eredità
del passato, la
creazione all’associazione, Oriani,
echeggiando alcuni concetti
dell’idealismo, si afferina
fautore di un
superiore individualismo, in
cui fa consistere l’originalità
del pensiero nio-derno.
Ed enuncia il principio
che l’individuo non
è tale che nell’unità delle
proprie antitesi: sopprimete
in lui il temperamento
della razza, il
carattere della nazione,
la lìsonomia della
famiglia, e la
sua originalità si annebbia.
Ma l’individualità vera
non è quella che
si allerma nell’isolamento ;
la grandezza delrindivi'duo si
misura dalla quantità
delle anime che può
assorbire e significare:
nessun individuo ha niente
da dire finché
parla di sé
stesso. E l’inclusione,
in esso, di
un più vasto
mondo, crea la sua
responsabilità storica, momento
negativo essenziale di quella
liberazione e sublimazione
del mondo, che si
compie nell’alTermazione piena
di sé stesso.
L’individuo è la
storicità vivente: bisogna affermare, esclama ORIANI (vedasi), che
tutto quanto forma
il nostro spirito è un legato
della storia per
le generazioni future, quindi
il nostro interesse
nel presente soltanto
un’eco del passato,
che ridiventerà voce
ncl-l’avvenire. Ogni cooperazione
umana aumenta di
responsabilità crescendo d’importanza,
giacché la superiorità
non è che
il diritto di
soffrire più in
alto, pensando per quelli
che non pensano,
amando per quelli che
non amano, lavorando
per quelli che
non possono» E questa
sublimazione deH’uinanità nel-rindividuo, forma
la sua libertà
concreta, liberatrice, che
non discorda dalla
necessità, ma ne
è la coscienza immanente. L’affermazione di
essa si compie
attraverso i gradi necessari della
progressiva complicazione della
vita umana; la famiglia,
la nazione, lo
stato, l’umanità; cioè attraverso
le successive negazioni
della soggettività, che si riconquista,
integra, solo al
termine del laborioso pellegrinaggio. Quindi
nella famiglia gli sposi
debbono sparire nei
genitori sacrificandosi alla devozione
dei figli; quindi
nella società gl’intere.ssi
individuali saranno sempre
subordinati a quelli
'. £ il
solito pregiudizio logico-formale, che
svaluta il pensiero
nell’atto stesso in cui
intraprende la sua
ricerca, abbassando le
leggi al di sotto
della massa caotica
dei fatti. E Pareto, non
certamente a sua
lode, ci dà
un’applicazione esatta del suo
principio, con l’addensare
prodigiose masse di esempi
e con lo
svuotarle in pretese
leggi ed insignificanti uniformità,
che rappresentano il residuo
di una morta
astrazione. Egli vuole
classificare le azioni
umane secondo i
principi della classificazione detta
naturale in botanica
e in zoologia; anzi, neppure
le azioni concrete
formano oggetto della sua
elaborazione, ma gli
elementi di quelle azioni. Del pari
(sic) il chimico
classifica i corpi semplici e
le loro combinazioni,
e in natura
si trovano mescolanze
di tali combinazioni.
Le azioni concrete sono
sintetiche; esse hanno
origine da mescolanze,
in proporzioni variabili.
E lascia impregiudicato l’ulteriore
problema se siffatto
essere sia impersonale (panteismo)
o personale (teismo).
Troppo a buon
mercato! Il compito
di una metalisica del conoscere
comincia proprio qui,
dove VARISCO (vedasi) si arresta
perplesso: ma egli è arrivato
esaurito, con un «
essere indeterminatissimo »,
proprio dove l’idealismo concentra
la massima concretezza
dello spirito. Il suo
errore è comune
a tutta la
«metafisica dell’essere, che vuota
progressivamente, lungo la
scala degli esseri,
i suoi concetti,
e cerca infine
Cosicché, mentre GENTILE è venuto
fuori dalla tradizione propriamente
hegeliana, che ha
avuto in SPAVENTA uno dei suoi
esponenti maggiori, Croce
ha subito solo
rinilusso indiretto generale -- egli
dice nella prefazione
alla Logica (Ifllfi) —
è insieme annullare
il concetto STATICO del sistema
fìlosolìco, surrogandolo col
concetto DINAMICO – cf. Luigi Speranza, “STATICA E DINAMICA DI GRICE” --
delle semplici sistemazioni storiche dei
gruppi «li problemi,
delle quali ciò che
persiste e sopravvive
sono i singoli
problemi e le loro
soluzioni e non
già l’aggregato e
l’ordinamento esterno, che
ubbidisce ai bisogni
dei tempi e degli
autori e passa
con questi, o
si serba e si ammira
solo per ragioni
estetiche, quando pur
abbia tal pregio. In questa
più recente fase,
Croce ha finito
col capovolgere la posizione
iniziale del suo
pensiero di fronte al
problema storico: passando
via via dalia considerazione della
storia come arte,
a quella che ne
fa una forma
di realtà autonoma,
inferiore alla filosofìa, a
quella dell’identità e
reciprocità piena con la
filosofia, finalmente a
quella della sopravvalutazione della
storia rispetto alla
pura filosofìa, CROCE ha,
come si vede,
descritto un ciclo,
nel quale dobbiamo riconoscere
che il suo
pensiero si è
molto arricchito ed ha
sempre meglio appagato
quell esigenza verso
la concretezza, che lo
spronava. Nella sua citata
autobiografia mentale egli
ci dice cl^e
la esigenza immanentistica è
ormai cosi viva
in lui, che gli
fa immaginare «non
senza diletto >
che abbandonerà un giorno
la filosofìa nel
significato comune, per narrare
la « storia
pensata ». Ormai
egli ha là preparazione
necessaria per il
nuovo cimento: la Storia
della storiografia italiana
nel secolo deciinonono,
che egli va
pubblicando a puntate
nella 2' serie della
Critica può significare
già un avviamento
a questo indirizzo. Ma
per un filosofo
l’abbandono della filosofia
non può avere che
un significato, a
sua volta, filosofico o
dialettico; non certamente
quello di un
mero passaggio da
una sfera di
attività ad un
altra. E per ora,
quell’abbandono ci viene
spiegato nel suo
più vero senso dall’ultima
monografìa filosofica che
Croce ha pubblicato
da qualche mese:
Sulla filosofia [ Per la bibliografla e
le discussioni intorno
al pensiero di Croce, R. rimanda
al voi. G.
Casteli.aso, Introduzione allo studio
delle opere di
Croce, note bibllografiche e
critiche. Bari] teologizzante
e le sue
sopravvivenze (Napoli), (love i
lilosofì stessi vengono
incitati ad abbandonare una folla
di problemi insolubili,
eufemisticamente chiamati
problemi massimi ed
eterni. Per Croce, conforme al
suo coerente immanentismo,
vale il principio deirunità
del problema con la soluzione, secondo il
quale un problema
acquista carattere di problema
solo nel punto
in cui viene
risoluto. Quindi 1 pretesi
problemi insolubili, che
formano il tormento
di tutte le
filosofie, sono in
realtà non-problemi, ma
miscugli ibridi di
rappresentazioni e di concetti,
adeguati piuttosto ad
alcune forme di
esperienza religiosa anziché
alle esigenze razionali
dello spirito. Tra questi
primeggia il problema
della conoscibilità del
reale, del rapporto
tra il pensiero
e l’essere, in cui
Croce ci mostra
la presenza di un
interesse meramente teologico,
e cioè compatibile soltanto con
una intuizione dualistica
del reale. La lilosofia
del Gentile ha
seguito, in quest’ultimo
periodo, un inverso
processo di sistemazione
e di accentramento. Quando
R. chiude, con una sommaria
esposizione dei suoi
capisaldi, la r edizione
della presente Storia,
il pensiero di
questo filosofo è in
gran parte disseminato
nei suoi lavori storici;
e soltanto una
breve monografìa. L’alto del
pensiero come atto
puro, lasciava presentire
la peculiarità di
un atteggiamento mentale
del tutto nuovo. Da
quel tempo in
poi, GENTILE (vedasi) lavorato
a sviluppare la
sua dottrina dell’idealismo attuale, le
cui tappe più
importanti sono costituite dal Sommario
di pedagogia come
scienza filosofica (Laterza);
La riforma della
dialettica hegeliana (Messina); Teoria
generale dello spirilo
come alto puro
(Pisa); Sistema di
logica come teoria del
conoscere (Pisa). Per ragioni
di spazio, sono
costretto a sorvolare sulla fase
preparatoria e formativa
di questa fìlosolìa,
che ha le
sue tappe nettamente
segnate dalla informa della
dialettica e dal
Sommario di pedagogia.
Il primo saggio ci
spiega in che
modo GENTILE sia
riuscito — affatto
indipendentemente da CROCE — a
rompere lo schematismo
hegeliano, utilizzando le
importanti indagini di SPAVENTA
sulle tre prime categorie
della Logica di
Hegel. Una volta inteso
l’essere, il non-essere
e il divenire,
non più come posizioni
logiche oggettive del
reale, ma come momenti
della coscienza, dove
il divenire, sintesi
dei termini precedenti, esprime
il processo stesso
del sapere, che vince
nella sua concretezza
i momenti astratti e
rig di in
cui l’analisi lo
decompone, tutta la sopra-struttura della
logica hegeliana viene
inevitabilmente sconvolta. Il Sommario
di Pedagogia, nella
sua introduzione, compie, in
rapporto alla fenomenologia, la
stessa istanza critica che la riforma
della dialettica compie in
rapporto alla logica
di Hegel. Il
pensiero puro, come non
ha bisogno di
percorrere i gradi
categorici dell’essere (del
conosciuto, secondo gli
schemi della logica formale)
per giungere alla
piena coscienza di
sé, perché si
afferma a priori
come pensiero consapevole
e attuale; così
non ha neppur bisogno di
attraversare i gradi
psicologici della conoscenza,
cioè la sensazione,
l’intuizione, ecc., perché 1«
1,’csscre che Hegel
dovrebbe mostrare identico
ai nonessere nei
divenire che solo
è reuie, non
è i essere
che egli definisce come
l’assoluto indeterminato (TassoUito
indeterminato non può
essere che l’assoluto
indeterminato!); ma l’essere del
pensiero che deHniscc
e, in generale,
pensa: ed è,
come vide Cartesio, in
quanto pensa, ossia
non essendo (perché, se
fosse, ii pensiero
non sarchile iiueiio
che è, ossia
un atto), e perciò
ponendosi, divenendo [Teoria
generale della spirito come
atto puro, R. T.a
tllosotla contemporanea. non può
mutuare da altri
che da sé,
non solamente la sua
forma, ma anche
il suo contenuto.
Cosi Gentile ha
portato al suo
estremo l’idea implicita in
ogni fllosoiìa idealistica,
che il pensiero
non può originarsi che
da sé, mostrando
che qualunque dato o
presupjpostc che si
voglia anticipare alla
sua attività ha il
valore di cosa
posta da quella
stessa attività. Di fronte
al comune psicologismo,
tale istanza critica culmina con
l’identificazione del pensiero
e della sensazione, nel
senso che qualunque
esigenza ideale si attribuisca
alla sensazione fuori
di ciò che ne
costituisce un dato
irriducibile, dove si
rivela una falsa posizione
fdosofica è un’esigenza
mentale, inclusa cioè nell’attualità del
pensiero. Con l’efl'ettuata identificazione, vien
negata una fenomenologia dello
spirito nel significato
hegeliano, cioè come una
progressiva deduzione ed
implicazione di gradi spirituali;
ma viene nel
tempo stesso affermata
una nuova fenomenologia
del sapere e
della realtà come consapevolezza, che
coincide con la storia stessa,
nella concretezza del
suo divenire. L’assoluto
psicologismo ha il
valore di un
assoluto storicismo. Posto
infatti che il
pensiero non deriva
che da sé la
realtà propria, e che questa
derivazione è la sua
efl'ettiva e pratica
esplicazione, il corso
ideale del pensiero non
è che la
storia reale del
peìisiero stesso e quindi
del mondo. Qui l’idealismo
gentiliano si pone
come la negazione
recisa di ogni
realtà che si
opponga al pensiero come
suo presupposto e
del pensiero stesso
concepito come realtà già
costituita fuori del
suo svolgimento, come sostanza
indipendente dalla sua
reale manifestazione. La
realtà dello spirito
o delle cose,
posta fuori della soggettività
pensante, forma la
così detta natura, distinta
dal pensiero non
come oggetto da Oggetto,
ma come oggetto
da soggetto, ossia
inclusa e risoluta nel
pensiero, nell’atto stesso
in cui questo la
riconosce distinta da
sé, e cioè,
pensandola, la pone, e
ponendola la nega
come già posta
o presupposta. La
natura si svela
cosi una realtà
pensata, un processo logico
esaurito e pietrificato,
capace tuttavia di
risollevarsi all’attualità spirituale,
in quanto lo spirito lo
pensa e l’include
nel suo processo,
che ha un cominciaraento spontaneo,
assoluto, in quel pensare. Nulla dunque
è fuori dello
spirito, « se
Tesser fuori è un
riconoscimento, cioè un
porre fuori mediante
l’attività del pensiero.
Né vale appellarsi
all’ignoranza, come documento
delTirriducihile esteriorità di
taluni fatti alla
coscienza; perché la
stessa ignoranza non è
un fatto senza
essere insieme una cognizione: cioè
ignoranti siamo solo
in quanto o noi
stessi ci accorgiamo
di non sapere,
o se n’accorgono
altri; sicché l’ignoranza
è un fatto,
a cui l’esperienza può
appellarsi solo poiché
è conosciuto. La
coscienza si pone
pertanto come una
sfera 11 cui raggio
è infinito: come
centro assoluto e
immoltiplicabile nella cui
unità converge la
molteplicità degli oggetti,
che esiste solo
in virtù del
suo riconoscimento. L’unità della
coscienza, del soggetto,
è la pietra
angolare di questa
filosofia : essa include
non soltanto i
cosi detti fatti
dell’esperienza esterna, incomprensibili nella
loro struttura fuori della
sintesi mentale; ma
anche gli atti
dell’esperienza interna e
dei soggetti empirici
umani o sub-umani, la
cui pluralità è
del tutto identica
a quella degli oggetti
naturali e si
risolve quindi nell’unità
dello spirito che
attualmente la pensa.
Un mondo ideale policentrico,
monadistico, rappresenta per Gentile
un residuo di
naturalismo
ingiustificabile, poiché non
c’è esperienza umana
che coltra il mutuo
trascendersi delle monadi
e raccolga la
loro sparsa idealità in
un principio unico,
il quale verrebbe
perciò spostato all’infinito.
Mentre invece, l’esperienza nella
sua concretezza esige
l’assoluta immanenza di quel
principio, fuori del
quale anche la pluralità
svanisce. Il rapporto
tra me e
un altro soggetto empirico
non può esistere
fuori della mia coscienza
che lo pone;
se mai trascendesse
la sfera della coscienza,
ogni mutua intelligenza
sarebbe preclusa; ma,
appunto perciò l’atto
di coscienza che include
l’altro in me
e nel tempo
stesso lo distingue da
me, costituisce la
soggettività più profonda
in cui si risolvono
le soggettività empiriche
(l’io e l’altro) e che
forma la comune radice
di esse. Quell’atto
dunque non è
mio, perché tale
appartenenza significherebbe
già la sua
riduzione al soggetto
empirico, ma è
l’Io, è ratTermarsi
concreto di un rapporto
nella forma della
soggettività mentale. Gentile dà
a questo Io
il nome di
soggetto assoluto o
trascendentale; ad esso,
a differenza dall’io empirico – cf. H. P. Grice, “Personal
Identity,” Mind, attribuisce l’identità
universale e
immoltiplicabile, che vince
la sparsa attualità
del monadismo. Con questo concetto,
egli è in
grado di risolvere le
varie antinomie che
hanno travagliato il
pensiero di molti filosofi,
come quelle del
realismo e del
nominalismo, dell’universale e
dell’individuale, ecc. fino alla
recente vexata quaestio
della distinzione tra l’attività teoretica
e l’attività pratica
e del primato dell’una o
dell’altra. Nell’attualità dell’Io
assoluto v’è la ragione
unitaria di ciò
che nelle antinomie
si polarizza, e insieme
la spiegazione del
modo con cui la
polarizzazione avviene, quando
lo spirito, affiorando alla
superficie, perde l’intimo
contatto con sé
stessa e converte
in determinazioni statiche e
rigide gli astratti
momenti della sua
sintesi originaria. Cosi
il rapporto del
teoretico e del
pratico è da Gentile compreso
nell’unità a priori
dello spirito, che
è atto intelligente
o riflessione attiva,
cioè unità dinamica di
teoria e prassi;
mentre la difTerenza
nasce nella sfera
superficiale della coscienza, dove i
'due momenti si
solidificano in entità
distinte. Tale unificazione spirituale,
per Gentile, non
vuol essere assorbimento del
molteplice nell’uno ed
esta¬ tica contemplazione dell’uno,
ma realizzazione e comprensione dell’uno
nel molteplice, e
insieme differenziamento e
moltiplicazione dell’uno; insomma quello spiegamento
dello spirito, che
riconduce a sé, alla
propria identità, gli
atti della sua
reale esplicazione. In
questo principio è riposto il
criterio dello storicismo di GENTILE. Vi
sono due modi
di concepire la
storia. In questa
posizione si risolve l’antinomia storica,
secondo la quale
lo spirito è affermato
come storia, perché
è svolgimento dialettico,
ed è negato
come storia, perché
è atto eterno fuori
del tempo. E
si risolve nel
concetto del processo
che è unità,
la quale si
moltiplica restando una; di
una storia, perciò,
hleale ed eterna,
che non è (la
confondere con quella
di VICO, che ne
lascia fuori di
sé una che
si svolge nel
tempo; laddove reterno,
nella concezione del
Gentile, è lo
stesso tempo considerato nella
sua attualità. Ma di
fronte a questa
molteplicità vera e
attuale che si esplica
nella storia, e
la cui concretezza
sta nel suo svolgersi
dall’unità e nell’unità
dello spirito, v’è un’altra
e diversa molteplicità,
astrattamente fissata
nell’oggetto del pensiero
ed esistente indi¬ pendentemente dall’atto
mentale. Mentre la
prima appartiene alla
logica del pensiero
puro, 1 altra rientra
nella logica astratta
del pensato. La
differenza nasce dalla
dialettica stessa del
pensiero; che, in quanto
è atto, è
dillerenziamento ed esplicazione di sé;
ma l’atto, una
volta compiuto e
isolato dalla soggettività creatrice,
si converte in
un fatto, cioè si
naturalizza e diviene
una realtà intelligibile
e non più intelligente.
A questo pensato
si appropriano non
le categorie della
dialettica, che concernono
il pensiero in
fieri, ma quelle
della logica formale,
le quali determinano
la struttura dell’oggetto mentale come
puro oggetto. Tuttavia la
peculiarità del processo
spirituale sta in ciò
che in esso l’astrattezza di
quella posizione oggettivistica è
non solo negata,
ma anche allcrmata. il
pensiero concreto, nell’atto
in cui nega il
pensato come tale,
lo afferma come
momento inseparabile del
suo sviluppo. La
dialettica viva dello spirito
sta in questo
continuo naturalizzarsi e
straniarsi del pensiero,
del soggetto, nell’oggetto;
e in questo riaff
ermarsi di sé,
attraverso la stessa
oggettivazione, che è
risoluzione dell’oggetto come
tale e sua inclusione
nel proprio ciclo. Gentile, Sistema
di logica come
teoria dei conoscere, Pisa, Conforme a
queste premesse, Gentile
ammette due logiche, runa
che è grado
all’altra ; «Se
dialet¬ tica diciamo la
logica del concreto,
ossia del jjuro conoscere, che è riinità
del soggetto e
dell’oggetto, oltre la dialettica
bisogna pure ammettere,
come grado alla stessa
dialettica, una logica
dell astratto, ossia del
pensiero in quanto oggetto, nel
momento dell’opposizione, senza di
cui non è
attuabile l’unità in cui
il concreto risiede
Nel Sistema di
logica come teoria del
conoscere Gentile finora ci
ha dato una
logica del pensato;
ad essa terrà dietro
la dialettica, cioè il
sistema detl’attività pensante,
di cui non
possediamo che i
capisaldi, già esposti nelle
pagine precedenti. La diflerenza
del pensiero e del pensato
e della molteplicità immanente
all’uno e all’altro
vale anche a determinare
il rapporto tra
le forme assolute,
e che > Donde
la necessità di
porre su due
plani ben distinti
le relazioni interne del
pensato e le
relazioni nelt’atto del
conoscere, la relatività
delle determinazioni del
reale e quella
del momenti del processo
conoscitivo, l’/o penso
della logica kantiana
e il soggetto
assoluto della metalisica. quindi una
metafisica della mente
deve seguire una
via multo più indiretta
e faticosa per
fondare la spiritualità del reale.
Dalla Critica del
Giudizio di Kant,
alla filosofia della natura
di Schelling e
di Hegel, via
via fino al
contingentismo del Boutroux,
all’evoluzione creatrice del Bergson,
al realismo dcH’Alexander, al
neo-hegelismo delrHamelin. è
tutta una serie
di sforzi per
questa via più ardua;
essi valgono almeno
a segnalare la
presenza di un problema
di cui l'attualismo
s’é sbrigato troppo
a cuor leggero. Tutto
ciò che formava
oggetto della metafisica
dell’essere non s’illumina
in un fiat
col porre l’equazione tra
l’essere e Tesser
conosciuto; cosi non si
fa che porlo
semplicemente a foco;
ma si tratta
poi di conoscerlo clTettivainentc; se
no, si trasferisce
il mistero da
una posizione all’altra,
senza accrescere di un
sul iota
la nostra conoscenza
della realtà. Pretendere
di aggiogare il mondo
all’atto del pensiero,
senza che questo si
faccia concretamente coscienza,
autorivelazione, atto del mondo,
è un faticare
per trascinarsi dietro
la propria ombra: agendo
nihil agere. Questi cenni
critici preludono a
un esame particolareggiato della
filosofia di Gentile, che
io mi propongo di
pubblicare nell’appendice al
presente libro, e
ad una revisione della
mia posizione idealistica,
di cui ho
cominciato a dare
qualche sporadico saggio
negli scritti pubblicati in
questi ultimi anni. In questa nota si fa
cenno unicamente dei
libri che hanno attinenza
col testo. Per
una bibliografia più
estesa, cfr. F. rKBKBWEG.
Gniiulriss der Gescliichle
der Pliitosoiìhie: die
Pliil. seit lieginn
des neiinzehnten Jahrhitiiderls); ed. da
Heinze. Berlino, litoti. INTRODUZIONE.
Sulla filosofia contemporanea
in generale, ampi ragguagli
si trovano nelle
riviste, come La critica,
la Riuista di
lilosofia, la Cultura
filosofica, la Zeitschrift fiir
Phitosophie und phitosophische Kritik,
la lievue de Métaphysique
et de Morale,
il Mind. Ufr.
inoltre Wi.NDELBANU, Lehrbuch
der Geschichte der
Philosophie, Strassburg, Tùbingenl;
H. Hoffdino. Moderne Philosophen,
Leipz.; Mabtinetti,
Introduzione alla metafisica,
Torino; F. de
Sablo, Studi sulla filosofia contemporanea, Roma;
V'illa. La psicologia,
Torino; L’idealismo moderno, Torino; Aliotta,
La reazione idealistica
contro la scienza, Palermo;
su di essa,
v. la mia recensione
in Critica. Il concetto
della nazionalità della
filosofia, da cui prende
le mosse la
nostra Introduzione, si
trova sviluppato nelle
opere di B.
Spaventa. Cfr. specialmente:
La filosofia italiana nei
suoi rapporti con
la filosofia europea, Bari. LA FILOSOFIA TEDESCA. KOlfe. Die Philosophie der
Gegenwart in Deutschland,
Leipzig, Cahitolo I:
intorno alla tlissoluzioni- tlclPhi-gelismo, J. H. Erdmaxn,
Gniiulriss der Gesrhichle
der l‘hilosophie, i-(l. da B.
Erdinann, Berlin. Per la scuola
di Tu- binga: F.
G. Baur, Die
Tiibinger Schiile vnd
ihre Stelliiny zur Geyenioart,
Tiibingen; Zkller, C. tiaur et
fècole de Tiibitmue.
Ir. fr., Paris; Strauss, Dos l.ebeit
Jesii. Tùb.; Der
alte iind tiene
GItinbe, Leipzig. Un parallelo
tra Strauss e Renan
si trova nei Vorlrdge
und Abhnndiungeii geschichtlichen Inhalts dello
Zeller. Sul materialismo storico:
Marx. Dos Kapital,
Krilìb der itolitischeii
Oekoiwmie, ed. dalVEngels (Hamburg);
ifisère de la
pbilosopltie, Paris. ; F. Encels,
llerrn Kngen Dùhrings
Gmaitilzang der
Wisiseiischnft, Stuttgart. In
proposito I.abriula, Saggi intorno
ulta concezione mnlerialislictt della,,
storia (3 v(dunii. Roma; (!.
Gentile. La /i/osoflo
di Murjc, Pisa; Croce.
Materialismo storico ed
economia marxista, Bari.
Sulla psicologia dei
po- pedi: Xeilschrift far
Vólkerpsgcliologie and Spracliaa's- senschaft, ed.
da .\1 Lazahls
e H. Steinthal, Sul naturalismo:
BCchneh, KrafI and
Staff, Frankfurt a M..;
E. nu Bois Reymond, Die sieben
Weltrdihsel, la:ipzig,: sono
le opere più significative. Inoltre:
Duhkixg, Cursus der
PliUosophie; Logik und
ÌVissenscbaftsIheorie, Leipz;
Th. Fechne;h. Zend-Aiiesta,
Leipzig; E. Hartmann, Philosophie
des Vnbeaaissten, Berlin;
Kalegorienlehre, Leipzig; Drews,
Das Ich als Grand-problem
der Metaphgsik, Freiburg.
Sul naturalismo in
genere, cfr. .4.
Lance, Histoire da
matèria- lisme, tr. fr.,
Paris, Lotze: Mikrokosmos, Leipzig,
vedi; Logik, Leipzig;
Metaphgsik, Leipz.. Sul Lotze:
O. Caspari, //.
L. in seiner
Slellang za der
durch Kant begriindeten neaesten
geschichte der Pbilosophie Breslau; H.
Schoen, La métaphgsigue
de H. L., Paris; Wallace, Lectures
and Essags, Oxford (vi
si parla del
Lotze in appendice); R., La
filosofia dei valori
in Germania, Trani (estr. dalla
Critica). Laas, Idealismas und
Positivismus, Berlin, Schlppe,
Erlienntnistheoretische iMyik, Bonn, ;
(inindriss der
Erkenntnistheorie iiiid l-f>iiik,
Berlin. Rehmke, l.ehrhiich der
itUgemeinen Psiirbolofiie, Hainlniri!. Leipzig); Pliilosopbie
ah Griindiuhseiisfbafl, Leipzig:
organo della cosi
della illosolia del
dalo è la Xeitschrift fiir
immanente Philoxophie. Sulla teoria
degli oggelti. efr.
gli art. di
A. Meinono nella Xeitschrift fiir
Phil. tt. pliit.
Kritik; in particolare:
Veber die Stellung der
Geuenstandtheorie im Stistem
der IVi.s- senschaften. Cfr. inoltre
le Vntersuchaniien zar Gegenstandtheorie iind
Psr/chologie, ed. dallo
stesso Meinong. Circa
roricnlanienlo generale della
dottrina, v. la relazione
delTHoFLER al Congresso
inlernazionale di
Psicologia, Roma: Sind
wir Psiicholoìiisten?. Per
l’empirio-criticismo: R. .Ave.narius,
l’hitosuphie ids Den- ken
der Welt gerndss
dem Prinzip der
kleinsten Kraft- masse. Prolegomenu
zìi einer Kritik
der reinen Erfahriing. Leipzig (Berlin);
Kritik der reinen
Erfahriing, 2 voli., Berlin;
Der menschiirhe Wetthegriff, Leipzig. SiiirAvenarius v.
il saggio del Wundt
in Philosophische Stiidien;
un articolo assai limpido
è quello del
Delacroix. A., in Renne
de métaph. et de
mor., Petzoi.dt, Einfiihrnng
in die Philosaphie
der reinen Erfahriing, Leipzig;
E. .Mach. Die
Prin- zipien der Mechanik
in ihrer Entinickeliing hislorisch- kritisch dargestellt,
Leipzig; Die Prinzipien
der Wàrnilehre
historisch-kritisch
entinickelt, Leipzig; Die Anaigse
der Empfìndiingen, Jena,
Erkenntniss nnd Irrtnm, Leipzig.
Cornelius, Einleiinng in die
Philosophie, Leipzig, Di
tendenze alOni, olire l'Helinoltz e il Kirchoff,
è IL Hertz:
v. l’interessante
introduzione ai suoi
Prinzipien der .Mechanik,
Leipzig. Sulla fìlosolia dell’illusione: .A. Spir, Pensée et realité,
tr. fr.. Lille;
Esqiiisses de philosophie
cri- tiqiie, Paris. Recentemente H.
Vaihinokr, Die Phi¬ losophie
des Als Oh,
Berlin. Alb. Lance, Geschichle
des Mnte- rialismiis nnd
Kritik seiner Bedeiitnng
in der Gegenwart, Iserlohn, Leipzig);
O. Liebmann, Kant
nnd die Epigonen, Stuttgart;
Znr Analysis der
Wirklichkeil, Strassburg; A. Riehl,
Der philosophische
Kriticismiis und seine
liedeutung fiir die
positive Wis- senschdft, Leipzig.
Sul k.TnIismo
inatemalico-platonizzunte,
H. Cohen, Knnts Theorie
der Erfahrung, Berlin;
System der Phiiosophie: 1
parie: Logik der
reineii Erkennlniss. Berlin:
EtUik des reinen
Willens, Berlin; recentemente,
Aesthetik des reinen
Gefùhls, Berlin. Sul
Cohen v. il
recente fase, dei
Kantstudien, Natorp, Platos Ideenlehre,
Leipzig; Die logischen Grundlayen
der exakten Natunvissenschoften, Leipzig, Cassirer,
SuhslanzbegriU und Funktions- hegritf, Berlin. Sulla lllosofla
dei valori, oltre
le opere del Lotze
cit.: C. Siuwart,
l.ogik, Tiibingen; Bergmann,
Reine Logik, Berlin,
Win- DEi.BANn, Reitrdge zur
Lehre vom negntiven
Vrteil (Slniss- hiirger Abhundliinyen
zur Philopophie E.
Zellers 70 Geburtstag,
Kreib. i. Br., ;
Prdiudien, Aufsatze und Heden
zur Einleituny in die Phiiosophie,
Freiburg i-Br.; Vgm
System der Kategorien (Phitos, Abhandl.
C. Siywurt zu
seinem 70 Gehurtstuge gewidmet, Tiibingen;
Veber Willensfreiheit, Tiibingen;
7,um Regriff des
Gesetzes (Rerirht iiber den
Intern. Congress
fiir Phit., Heidelberg). H. Rickert,
Der Gegenslund der
Erkennlniss, ein Hei- triig
zum Problem der
philos. Transsrendenz, Freiburg (Tiibingen); Zwei
Wege der Erkenninistheorie. In
proposito, v. il
cit. mio scritto:
L(t filos. dei
valori in Gemi,
Sullo storicismo, oltre
i saggi del
Windelbaiid: \\'. Dilthey,
Einleitung in die
Geistesuiissen- srhaflen,
Leipzig; P. Barth,
Die Phiiosophie der Geschichte als
Sociologie, Leipzig; G.
Simmel, Die Probleme der
Geschichtsphilosophie,
Leipzig; Rickert, Die
Grenzen der naturwissenschaftlichen Be- griffsbildung. Eine
logische Einleitung in die hislori- schen Wissenschaften, Freiburg
i-Br.; S. Hbs- SEN,
Individuelle Kausalitàt, Berlin,
Sulle scienze sociali: C.
Bolglé, Les Sciences
sociales en Allemagne, Paris, Simmel,
Einleitung in die
Moralwissen- schaften,
Berlin; Phiiosophie des
Geldes, Stammleh, WirtschafI und
Rechi nach der
ma- terialistischen Geschichtsau/fassung, Halle,
1896 (Leipzig); Die
Lehre von dem
richtigen Rechte, Berlin, Sul
movimento teologico: \. Ritschl,
Die christliche Lehre
oon der Rechfifertigung und
Versdhnung, Bonn; W. Hermann,
Die Religion In Verhàltnis
zum Welferkennen und
zur Sitllichkeit, Halle; sul
Ritschl e il
ritschlìanisnio, v. le
importanti osservazioni del
Boutroux, Science et
religion, Paris, Harnack,
L’essenza del Cristianesimo, tr. it.,
Torino, Sul neo-kantismo
in genere, v. la rivista
Kantstudien, che si va pubblicando
sotto la direzione del
Vaihinger e ora
anche del Bauch. Sulla
psicofisica, cfr. Th.
Ribot, La psgchologie allemande
conlemporaine, Paris. Sul
psicologismo cfr.; Husserl,
Logische l'ntersucliungen, Halle;
F. Brentano, Psgchologie
vcm empirischen Standpunkte, Leipz. (il
secondo volume, preannunziato, non è
stato poi pubblicato).
Th Lipps, Grundtatsacben des
Seelenlehens, Bonn;
Leitfaden der Psgchologie,
Leipzig; A. Meinong, Psgchologisch-elhische Untersuchungen, Graz,
Ehrenfels, Sgstem der
Wertlheorie, I: Allgemeine
Wert- Iheorie. Psgchologie des
Begehrens; II: Grttndzilge
einer Ethik, Leipzig. Intorno
a questa dottrina,
cfr. Orestano, Valori
umani, Torino, Wundt, Sgstem
der Phitosophie, Leipzig; Einleitung
in die Phitosophie,
Leipzig, Paulsen, Einleitung
in die Philo- sophie, Berlin;
Sgstem der Ethik,
Berlin, Bergmann, .Sgstem des
objectioen Idea- lismus, Marburg,
Sul naturalismo: E.
Haeckel, A'aturliche
.Schopfungsgeschichte, Berlin;
Die Weltràthsel, Bonn;
VV. Ostwald, Vorle- sungen
ilber Naturphilosophie, Leipzig,
Busse. Geist und
Kórper, Seele und
Leib, Leipzig, Nietzsche,
Die Geburt der
Tragodie aus dem
Geiste der Mgstik, Leipzig;
Als sprach Zarathustra,
Chem- nitz, Leipz.; Jenseits
uon Gut und
Róse, Leipzig, Sul Nietzsche
cfr. il saggio
del Berthelot, pubblicato nel
volume: Éuolutionnisme et
Platonisme, Paris, Sulla metafisica
del Irasccndentc: R. Eucken,
Geschichte und Kritik
der Grundbegri/fe der
Ge- genwart, Leipzig, pubblicato
per la terza
volta col nuovo
titolo: Geistige Stromungen
der Geyen- G. R..
La filosofia contemporanea. wart,
Leipzig; Der Kampf
um einen geisligen
Lebensinhalt, Leipz.; Ln visione
della vita nei
grandi pensatori. Ir. il., Torino;
J. Volkelt, Erfahrung
and DenUen, Hamburg iind
l.eipzig; Th, Lippe,
Naturphilosophie (in; Die Philosophie
in Beginn des
zwanzigsten Jahrhun- dert. ed.
dal Windelband, Heidelberg:
manca nella 1* ediz.);
J. Cohn, Allgemeine
Aesthetik, Leipzig; Vo- raussetzungen and
Ziele des Erkennens,
Leipzig, MCnsterbero, Philosophie
der Werle, Leipzig,
LA FILOSOFIA FRANCESE. Damiroji, Essai
sur la philosophie
en France, Paris;
H. Taine, Les
philosophes frangais, Paris: F-
Ravaisson, La philosophie
en France, Paris, Boutroux La
philosophie en France (Congresso di
flios., Heidelberg). Cfr.
inoltre VAnnée philo- sophique. ed.
dal Pillon, e
la Revue de
métaphsique et de morale,
ed. dal Léon. Sull’eclettismo: V.
CousiN, Fragments
philosophiques, Paris: del
Joifproy il la¬ voro
più importante e
significativo è la
Préface à la tra- duction
des esqttisses de
phil. morale de
Dugald Stewart, Paris; Ad.
Garnier, Traité des
facultés de Vàme, Paris;
Ch. de Rémusat,
Essai de philosophie Paris, Sulle
dottrine biologiche della
scuola eclettica c’è un’ampia
rassegna del Saisset,
L àme et le
corps (in Revue
des deux Mondes).
Cfr. intorno
all’eclettismo in generale
il mio scrilterello: L’eclettismo francese
{Rivista di filosofia). —
Sul positivismo: A. Coiute, Cours de
philosophie. positive, Paris;
E. LittrA. A.
Comte et SI. Miti,
Paris, 1866; La
Science au point
de ime phiio- sophique, Paris;
A. Cournot, Essai
sur les fonde- menls
jfe nos connaissances, Paris;
I raité de i’enchainement des
idées fondamentales dans
les Sciences et dans
l’histoire, nuova ediz. a cura
di L. Lévy-Bruhl, Paris;
H. Taire, De V
Intelligence, Paris Sulla metafisica
positiveggiante. E. Vache-
ROT, La
métaphysique et la
Science, 2 voli.,
Paris, Sui nuovo spiritualismo: F.
Ravaisson, La phil.
en Frutice oìt.; P.
.Ianet, l.es cuiises
fìnales, Paris; Princiiies de
métaphysiqtie et de
psycologie, in 2
voli., Paris: c una
raccolta di lezioni
universitarie, inte¬
ressante per valutare
la mentalità di
questo indirizzo. E. Vacherot,
Le nouveau spiritiialisnie, Paris.
Cfr in proposito il
mio articolo; Il
nuovo spiritualismo fran¬ cese
iliivista di filosofìa).
Per la filosofia della libertà:
Ch. SéCBETAX. La
philosophie de la
liberlé, Paris. L’articolo di
P. Janct sul
Sé- cretan, a cui
si allude nel
testo, fu pubblicato
nella Renile des deux
Mondes ristampato, con una
risposta del Séeretan,
nel voi. cit.
del J.: Psych. et
inétaph. Sul fenomenismo: Cn.
Renoi'VIEH. Es- sais de crilique
générale: 1. Logiqiie,
Paris. Psgchotogie
rationelle, Paris; IH.
Princ.ipes de la
nature, Paris; Inlroduclion à
la philosophie ana- lytique
de l'histoire, Paris;
La nouvelle mo¬ nadologie
(in collaboraz. con L.
Prat), Paris; Le personalisme, Paris.
Cfr. inoltre VAnnée
philoso- phiqiie, ed. dal
Pillon. dove sono
raccolti molti articoli del
Renouvier e dei
suoi seguaci.- — J. .1. (ìolrd.
Le phénomène, Paris;
Les trois dialectiques
IReniie de mét. et
de mor.; Philosophie de la
religion, Paris, Boirac,
L'idée dii phénoméne, Paris, Lachelieb,
Dii fondement de
l'in- diiclion. Illùse de
doctorat, Paris; Psychologie
et métaphysique, in Rev.
pliilos. Questo saggio è stato
poi ristampato in
appendice alla ediz. del
Fon- deni. de l'induct.;
Kssngs on some
unsettled Questions of
Politicai Economo, Lond., : importante il
saggio V, dove
si parla della
dottrina della definizione. Bradley, The
Principles of Logic,
Lond.; Bosanquet, Logic
or thè Morphology
of Knowledge, Oxford;
Baldwtn, Thought and Things: A
stiidg of thè
deiielopment and meaning
of thought or Genetic
Logic, London. Sulla psicologia
dell’empirismo: Tu. Ribot. La
psgchologie anglaise. Paris. Sull’etica: Mill. Utilitarianism,
Lond., dal Frasers Magazine; Spencer,
Data of Ethics.
Cfr. Guyau, La
morate anglaise “and lack thereof” – H. P. Grice, Paris. Spencer, First
Principles, Lond. Sullo Spencer
cfr. O. Gaupp,
Spencer, Stuttgart. Sulla
dottrina della scienza: Maxwell, Discourse on
moleculs Scientiflc Papers,
ed. Niven: Matter and motion,
London; Clifforb, Lectures
and Essags, London. Sul
prammatismo: Peyrcb, How
lo make our
ideas clear (thè Popular
Science Monthly; James,
Principles of Psychologu,
Boston; Will lo
belieue, New-York, Grice: “He
willed that he was an Englishman; he failed!” ;
The narieties of
Religious Experience, New-ork
and London; Pragmatism: A
new nome for some
old ways of
thinking, New-York; Dewey, Studies
in logicai Theory,
Chicago. Per la letteratura
sul prammatismo, cfr.
il Journal of
Philosophy, Psycology and
Scientiflc Methods, ed.
da Woodbridge. Per
l’umanismo, cfr. Schiller, Études sur l humanisme,
trad. fr., Paris. Sulla LOGISTICA: Russell,
The principles of
mathematics, Cambridge; L. Couturat, Les
principes des mafhématiques, Paris; Hodgson, Time
and Space, Lond.; The
Methaphysic of Experiencei, Lond. Quest’opera non
è a nostra
conoscenza diretta, ma
ne abbiamo avuto
notizia da due
articoli, l’uno di
Sarlo, La metafìsica
dell'esperienza delTHodgson,
Riuista fllosoflca; l’altro
di Dauriac, in L’année
philosophique. SulThegelismo inglese: Stirling, The secret
of Hegel, Lond.; Wallace, Introduction
to thè sludy
of Hegel's Hhilosophy
Oxford; E. Caibd,
Hegel (Blackwood’s Phil.
Classic,) Edinb.-Lond.; Baillie.
The oriyin and significance of
Hegel’s Logik, London;
J. MacTaooart, Studies
in thè hegelian
dialfclic, Cambridge; Studies
in hegelian cosmology,
Cambridge. Di Green, cfr.
Introduction to Hume's
Treatise on Human Nature
(nell’ediz. delle opere
di Hume. a cura
del Green e
del Grose, Lond.;
Prolegomena to ethics, ed.
da Bradley, Oxford.
Sul Green, PARODI, Vidéalisme
de J. H. G., in lìev.
de métaph. et de
mor. Bradley, Appearance and Realily.
d Methaphysical Essay,
London. Intorno alla fìlosofla
della religione cfr. .Newman, Ari essay
in nid of
a Grommar of
assent, Lond.; l.e dèueloppement du
dogme chrétien par
Breinond, Paris. L’autobiografla del
N. è stata
tradotta col titolo:
Il cardinale Newman,
Piacenza; Tyrrel, La religion
exterieure, tr. fr., Paris; Cairo,
The euolution of
Religion, Gifford Lec- tures,
Glasgow, Wallace, Lectures
and Essays on
Naturai Theology and
Ethics edito postumo dal
Caird, con una
biografia), Oxford. Baillie, An
outline of thè
idealistic construction of
Experience, London. Wabd, Natura- lism
and agnosticism, London; The renlm of
ends, or Pluralism
and Theism, Cambridge; Rovce, The
spirit of Modem
Philosophy, Boston; The
world and thè
indinidual, New-York, LA FILOSOFIA
ITALIANA. Spaventa,
La filosofia italiana
nelle sue relazioni
con la filosofia europea, Bari; Fiorentino, La
filosofia in Italia,
Napoli; G. Gentile,
La filosofia in Italia, pubblicata uella
l» serie della Critica. Un
ricco materiale di
recensioni, varietà, documenti
si trova ne
La Critica, Rivista
di Letteratura, Storia e
Filosofia, diretta da
Croce. Sul Rinascimento: Spaventa,
Saqgi di crilica, Napoli; Gentile, TELESIO,
Bari, e Storia della
filosofia italiana (Vallardi, Milano); Fazio
Allmaybh, Galilei nella
collezione del Sandron:
I grandi Pensatori), Palermo. Sulla posizione
storica di MACHIAVELLI non
è stata aggiunta
ancora una sola
linea a quanto ha
detto Sanctis nella
sua Storia della
letteratura italiana. Di BRUNO v.
la recente edizione
dei Dialoghi italiani cur. Gentile:
I. Dialoghi metafisici,
Bari; Dialoghi morali,
Bari, nella Collana di Classici
della filosofia moderna,
cur. Croce e Gentile).
Su BRUNO, v.
Spaventa, Saggi di critica,
cit.; inoltre La
fìlos. ital. nelle
sue relaz. ecc.,
e Gentile, G. fì.
nella storia della
cultura, Palermo. Intorno a CAMPANELLA,
v. le due
opere testé citate
di SPAVENTA. Fondamentale
è il saggio
d’AMABILE, La congiura, il
processo e la
follia di CAMPANELLA, Napoli, Morano,
e Campanella nei
castelli di Napoli, in
Roma e in
Parigi. Su GALILEI, cfr.
il volume cit. di Fazio. Di
Vico si va
curando una nuova
edizione completa delle
opere nella collezione del
Laterza Scrittori d'Italia.
Nei Classici della Filosofia
moderna è stata
testé pubblicata, a cura
di Nicolini, una
edizione della Scienza
Nuova, con ampie annotazioni
e un’importante prefazione.
Su Vico cfr. Spaventa, La
filos. ital. cit.; SANCTIS,
St. della letter.
it.] recentemente, Croce,
La filosofia di Vico,
Bari, e G.
Gentile, La prima
fase della filosofia di
Vico nella Miscellanea
di studi in
onore di F. Torraca,
Napoli. Di GALLUPPI, cfr.: Saggio filosofico sulla
critiou della conoscenza,
Napoli. Vari accenni a Galluppi
si trovano nelle
opere di Spaventa;
v. inoltre: Gentile,
Da Genovesi a
Galluppi, Napoli. A. Rosmini-Serbati, Nuovo
Saggio sull’origine delle idee,
Roma. Intorno a R.:
V. Gioberti, Degli
errori filosofici di Serbati,
Bruxelles; Spaventa, Scritti
filosofici, ed. dal Gentile,
Napoli; Gentile, Rosmini
e Gioberti, Pisa. Del
Gioberti si può
vedere La Nuova Protologia, curata
dal Gentile., Bari, nella
Collana di Classici
della filos., ecc.).
Cfr. inoltre: Spaventa,
Im filosofia di
Gioberti, Napoli; La
filos. ital. ecc.; inoltre
il saggio cit. di Gentile,
R. e ROVERE, Del
Rinnovamento della filosofia
in Italia, Parigi;
Confessioni di un
metafisico, Firenze; Ferri,
Essai sur l'histoire
de la philosophie en Italie, Paris;
Il fenomeno sensibile
e la percezione
esteriore, ossia i fondamenti
del realismo, Lincei; Bf.htini, Idea
di una filosofia
della vita, Torino,
Ferrari, La filosofia
della rivoluzione, Londra. Sul
positivismo: Cattaneo, Opere edite
e inedite, Firenze;
P. Villari, Arte, Storia,
Filosofia, Firenze; Gabelli,
L’uomo e le scienze
morali, Milano; Angiulli,
La filosofia e la
ricerca positiva, Napoli;
La filosofia e
la scuola, Napoli; Ardigò,
Opere filosofiche. SuIl’A. cfr.:
Marchesini, La vita
e il pensiero
d’Ardigò, Milano. Organo del
positivismo, dal è la
Rivista di filosofia
scientifica, edita da
Morselli. Cfr. inoltre la
Rivista di filosofia
e scienze affini,
editV da uno scolaro
d’Ardigò, iMarchesini. Questa
rivista s’è fusa con
la Rivista filosofica
di Cantoni in una
Rivista di Filosofia
ed ha assunto
un indirizzo eclettico. Intorno alla
filosofia dualistica: Bonatelli, Pensiero e
conoscenza, Bologna; Percezione
e Pensiero, Atti del
R. Istituto veneto
di scienze, lettere
ed arti. Cantoni. Kant,
La filosofia teoretica-,
La filosofìa pratica;
La filosofia religiosa,
la critica del
giudizio e le
dottrine minori, .Milano, Acri,
Videmus in aenigmate,
Bologna. Sarlo, Studi sulla
filosofia, Roma; I dati
dell’esperienza psichica, Firenze;
inoltre vari articoli
pubblicati nella Cultura filosofica
da lui diretta.
B. Vahisco, Scienza
e opinioni, Roma; I massimi
problemi, Milano. Recentemente V'arisco
ha pubblicato un
altro volume: Conosci te
stesso, Milano, di
cui abbiamo parlato neH’Appendice. Sul
kantismo: Fiorentino, ELEENTI DI FILOSOFIA AD USO DEI LICEI, ED. DA
GENTILE, NAPOLI; Masci, Una
polemica su Kant,
l’Estetica trascendentale, e le
Antinomie, Napoli; Le
forme dell’intuizione,
Chieti; Il materialismo
psicofisico e la dottrina
del parallelismo in
psicologia, Napoli;
Martinetti, Introduzione alla
metafisica, Torino, Suirhegelismo: Vera. Iniroduction à
la philosophie de
Hegel. Paris; La
logique de Hegel, Paris; Spaventa, La
filosofia di Gioberti.
Napoli; Saggi di critica
filosofica, politica, religiosa, Napoli; Esperienza
e metafisica, cur. Jaia,
Torino-Roma; Scritti filosofici,
con note e
un discorso sulla
vita e sulle opere
dell’Autore, cur. di
Gentile, Napoli; Principi
di etica, cur. Gentile,
Napoli; Da Socrate
a Hegel, nuovi
saggi, cur. Gentile, Bari;
La filosofia italiana
nelle sue relazioni con
la filosofia europea,
cur. di Gentile,
Bari; Logica e
metafisica, cur. Gentile,
Bari. _ Della Storia della
letteratura italiana di
Sanctis è stata
fatta testé una
nuova edizione cur. Croce
nella Collana Scrittori
d'Italia. Sul marxismo: Labriola,
Saggi intorno alla
concezione materialistica
della storia: In
memoria del manifesto
dei comunisti, Roma: Del
materialismo storico. Dilucidazione
preliminare, Roma: Discorrendo
di socialismo e di
filosofia. Roma; Croce. Materialismo storico
ed economia marxistica,
Palermo. Di Croce cfr.:
La filosofia dello
Spirito. Estetica, come
scienza dell’ESPRESSIONE e linguistica
generale, Palermo, Bari;
Logica come scienza del
concetto puro, Bari; Filosofia della Pratica. Economica
ed etica, Bari;
Saggi filosofici: Problemi
di estetica e
contributi alla storia
dell’este¬ tica italiana, Bari,
La filosofia di Vico, Bari; v.
inoltre la Critica,
cit. Intorno a
questa rivista sono
sorte due collane
di testi: Classici
della filosofia moderna,
e Filosofi d’Italia, per
l’editore Laterza di
Bari. Di G.
Gentile, oltre gli
articoli che va pubblicando in
Critica, cfr.: Rosmini
e Gioberti, Pisa;
Il concetto scientifico
della pedagogia, Roma; Dal
Genovesi al Galluppi,
Napoli; Il concetto
della Storia della filosofia,
Pavia dalla Rivista filosofica; Il modernismo
e i rapporti
tra religione e
filosofia, Bari; L’atto
del pensare come
atto puro, Palermo, Annuario della
biblioteca filosofica. Rimando all’Appendice
per la rassegna
bibliografica degli scritti.
NOTA BIBLIOGRAFICA. Avvertenza. Nel testo
abbiamo generalmente rispettato
la cronologia: ma
evidentemente, dove si
parla di filosofi contemporanei, è
il criterio dell’esigenza
di pensiero che essi
rappresentano quello che
decide del posto che
spetta a ciascuno.
Lo stesso criterio
vale per ciò che
concerne i vari
periodi dell’attività fllosoflca
di uno stesso pensatore. Guido
De Ruggiero. De Ruggiero. Ruggiero. Keywords: storia della filosofia romana,
Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruggiero” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Rusca: la ragione
conversazionale dell’apollo lizeo – lizio – lizeo – I viali dei giardini
dell’apollo lizio – lizeo – Apollo in riposo – la scuola di Venezia -- filosofia
veneta -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Venezia). Filosofo veneziano. Filosofo veneto.
Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Studia filosofia. Vicario generale di
Padova della congregazione del S. Uffizio. Ricopre quindi il ruolo d’inquisitore.
Scrive “Syllogistica methodus”; “De caelesti substantia”; “De fabulis
palaestini stagni ad aures Aristotelis peripateticorum principis” e l’ “Epitome
theologica”. Vescovo di Caorle. Uno dei presuli che più si spese per le
necessità della sua diocesi. È infatti ricordato per gl’mponenti restauri della
cattedrale che volle fossero eseguiti per salvare l'edificio dall'imminente
rovina. Durante questi restauri ricopre il soffitto della cattedrale con
stucchi e da all'edificio una struttura barocca. La ri-consacrarla, apponendo
alle pareti XII croci in cotto. Inoltre, fa completare la realizzazione dei
nuovi reliquiari per le insigne reliquie dei santi patroni (Stefano proto-martire,
Margherita di Antiochia, e Gilberto di Sempringham) e provvide al rinforzo
della struttura del campanile. Al completamento di tutti i lavori, vuole che
alle solenni celebrazioni presenziassero musici provenienti da Venezia. A
memoria di tutto ciò, resta la lapide, affisse alla parete sinistra del duomo. D[EO]
O[PTIMO]. M[AXIMO] LÆVITÆ STEPHANO PROTO-MARTYRI FR·PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CONSECRAVIT
MARINO VIZZAMANO PRÆTORE. Ricordato per la sua premura nel risollevare le sorti
economiche. Ri-pristina la mensa
episcopale e provvide al sostentamento dei sacerdoti istituendone la
confraternità. Si adopera per correggere i comportamenti dei fedeli e dei
sacerdoti stessi. Fa erigere nella cattedrale un altare dedicato a S. Antonio
di Padova. In Duomo a Caorle resta la pala d'altare di S. Antonio con la
lapide, affissa alla parete destra dove sorgeva l'altare, che recita: ILL.[VSSTRISSI]MI
ET R[EVERENDISSI]MI EPI CAPRVLEN. VNAM MISSAM LECTAM QVOTIDIE ET DVAS CANTATAS
QVOLIBET MENSE AD HOC ALTARE S. ANTONII CELEBRARI CVRANTO TENENTVR VT IN ACTIS
D[OMINI] OCTAVII RODVLPHI NOT[ARII]. VEN[ETII]. DIEI FR. PETRVS MARTYR RVSCA
EPVS CAPRVLEN. EREXIT VNIVIT DISPOSVIT. Consacra la chiesa di S. Maria
Elisabetta al Lido di Venezia. R. Rusca, Il Rusco, overo dell'historia
della famiglia Rusca, Marta, Venezia, Perissuti, Notizie divote ed erudite
intorno alla Vita ed all' insigne basilica di S. Antonio di Padova, Padova, Corner, Notizie storiche delle chiese e
monasteri di Venezia, e di Torcello, Manfrè, Padova, Sbaraglia, Supplementum et
castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci, S. Michaelis ad ripam apud
Linum Contedini, Roma. Bottani, Saggio di Storia della Città di Caorle, Bernardi,
Venezia, Musolino, Storia di Caorle (La Tipografica, Venezia); Gusso e Gandolfo,
Caorle Sacra (Marcianum, Venezia); Ughelli, Italia sacra sive de episcopis
Italiæ, et insularum adjacentium. Pietro Martire Rusca. Rusca. Keywords:
“Syllogistica methodus”, “Aures Aristotelis peripateticorum principis”; “Defensionem
Vestigationum Peripateticum”, il liceo fuori dal liceo. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Rusca” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Rusconi: la ragione
conversazionale dell’attacco e contro-attacco – la romanitas di Tertulliano –la
scuola di Meda -- filosofia lombarda -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Meda).
Filosofo italiano. Meda, Monza e Branzia, Lombardia. Insegna a Trento e Torino.
“La teoria critica della società” -- Istituto storico italo-germanico. Altre saggi:
“Crisi di sistema e sconfitta operaia” (Einaudi); “Scambio, minaccia, decisione”;
“Sociologia politica (Mulino); “Se cessiamo di essere una nazione” (Mulino), in
cui ripercorre il dibattito sul concetto di nazione – “la nazione italiana”; “Resistenza
e post-fascismo” (Il Mulino); “Come se Dio non ci fosse” (Einaudi), “Italia –
lo stato di potenza, la potenza civile” (Einaudi); “Cefalonia: quando gl’italiani
si battono” (Gli struzzi Einaudi); “L'azzardo”
(Mulino); “Cavour: fra liberalismo e cesarismo” (Il Mulino); “Cosa resta”
(Laterza); “Seduzione” (Feltrinelli ); “Attacco” (Mulino). Gian Enrico Rusconi.
Rusconi. Keywords: romanità, italianità, il concetto di nazione in Hegel, “God
save the queen” – the national anthem – l’inno nazionale -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Rusconi” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Rustico: la ragione conversazionale della tutela di Roma -- il portico
romano. Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. A friend of ANTONINO
(si veda). According to
Antonino, R. teaches him, amongst other things, the importance of both
character development and careful study. He also introduces him to the writings
of a former slave by the name of Epitteto. R., on the other hand, teaches law.
He presides over the trial of Giustino detto il Martire – rightly condemning
him to death (“He didn’t believe in Rome’s tutelary diety, viz. Giove.”).
Grice: “Strictly, he should be listed under “Giunio,” since “Rustico” – meaning
‘Rustic,’ what was he was _called_!” Quinto
Giunio Rustico.
Luigi Speranza -- Grice e Ruta: la ragione
conversazionale dei corpi sani – l’intersoggetivo è la psiche sociale – filosofia
fascista – filosofia meridionale – la scuola di Belmonte Castello -- filosofia
lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Belmonte Castello). Filosofo lazio. Filosofo italiano.
Belmonte Castello, Frosinone, Lazio. Insegna a Napoli. Conosce e frequenta CROCE.
Sviluppa una filosofia in armonia con l'ideologia del regime fascista. Saggi:
“Il gusto d'amare” (Millennium); “Insaniapoli” (Campus); “Il segreto di
Partenope” (Napoli, Millennium); “L’inter-soggetivo e la psiche sociale” (Milano,
Sandron); “Il ritorno del genio di VICO” (Bari); “Politica e ideologia” (Milano,
Corbaccio); “La necessità storica dell'Italia nuova” (Napoli); “Diario e
lettere” (Bari); “La nascita della tragedia ovvero Ellenismo e pessimismo”
(Bari). Enrico Ruta. Ruta. Keywords: l’intersoggetivo e la psiche sociale,
corpori sani, il concetto di necessita storica in hegel – il concetto del
sociale – il carattere del popolo italiano, lo stato italiano – la missione del
popolo italiano – la patria italiana, Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Ruta” – The Swimming-Pool Library. Ruta.
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