Luigi Speranza -- Grice e Rossi: chiave
universale, o la ragione conversazionale e l’implicatura di Vico – la scuola
d’Urbino -- filosofia marchese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Urbino). Filosofo marchese. Filosofo italiano.
Urbino, Marche. Studia ad Ancona, Bologna, e Firenze sotto GARIN. Insegna a Castello
e Milano. Lavora all'Enciclopedia presso la casa editrice Mondadori.
Insegna a Cagliari, Bologna, e Firenze. Si occupa di storia della filosofia. Cura
edizioni di diversi filosofi, tra i quali CATTANEO (Mondadori) e VICO (Rizzoli).
Le collaborazioni con giornali vanno dalla rubrica "Filosofia" sul
settimanale Panorama alla rubrica "Storia delle idee" per il
supplemento culturale La Domenica del quotidiano Il Sole 24 ore. Della rivoluzione
di GALILEI (si veda) sostiene che la scienza vive un vero e proprio mutamento
di paradigma. Il carattere rivoluzionario dei mutamenti nel modo di fare
scienza avvenuti all'epoca di GALILEI grazie a una serie di fattori: la visione
della natura, non più divisa tra corpi naturali e artificiali, la dimensione
continentale (e, in prospettiva, mondiale) della cultura, l'autonomia da Roma,
la pubblicità dei risultati. Un'altra importante novità e costituita dal
formarsi di un'autonoma comunità scientifica, una sorta di autonoma repubblica
della scienza dove non esiste l'ipse dixit. Si dedica al tema della
memoria, in chiave filosofica e storica, in “Il passato, la memoria, l'oblio”.
Analizza e denuncia l'esistenza di diverse forme di ostilità alla scienza -- il
primitivismo e l'"anti-scienza -- che, come forma di reazione allo
sviluppo tecnologico e industriale, propugnano come soluzione di tutti i mali
il ritorno a un mondo pre-moderno idealizzato e il rifiuto della razionalità.
Dei Pontani di Napoli. Dei lincei. Saggi: “Acocio” (Milano, Bocca); “Favole
antiche” (Milano, Bocca); “Dalla magia alla scienza” (Bari, Laterza); “Clavis
Universalis: arti della memoria e logica combinatoria” (Milano, Napoli, R.
Ricciardi); “I filosofi e le machine” (Milano, Feltrinelli); “Galilei” (Roma-Milano,
CEI-Compagnia Edizioni Internazionali, “Il pensiero di Galilei: una antologia
dagli scritti, Torino, Loescher); “Le sterminate antichità: studi vichiani” (Pisa,
Nistri-Lischi); “Storia e filosofia: saggi sulla storiografia filosofica,
Torino, Einaudi); “Aspetti della rivoluzione scientifica, Napoli, Morano); “La
rivoluzione scientifica” (Torino, Loescher, Pisa, Edizioni ETS, “Immagini della scienza,” Roma, Editori
Riuniti); “I segni del tempo: Storia della nazione italiana in Vico” Milano,
Feltrinelli); “I ragni e le formiche: un'apologia della storia della scienza,”
Bologna, Il Mulino); “Storia della scienza,” Torino, Pomba, “La scienza e la
filosofia dei moderni: aspetti della rivoluzione scientifica,” Torino,
Boringhieri, “Paragone degli ingegni moderni e post-moderni,”Bologna, Il
Mulino, “Il passato, la memoria, l'oblio: sei saggi di storia delle idee” (Bologna,
Mulino); “La filosofia,” Torino, Pomba, “Naufragi senza spettatore: l'idea di
progresso,” Bologna, Il Mulino, “La nascita della scienza” Roma, Laterza, “Le
sterminate antichità e nuovi saggi vichiani,” Scandicci, La Nuova Italia, “Un
altro presente: saggi sulla storia della filosofia,” Bologna, Il Mulino); “Bambini,
sogni, furori: tre lezioni di storia delle idee, Milano, Feltrinelli); “Il
tempo dei maghi: Rinascimento e modernità, Milano, Cortina, Speranze, Bologna,
Il Mulino, Mangiare, Bologna, Il Mulino,
Un breve viaggio e altre storie: le guerre, gli uomini, la memoria (Milano,
Cortina); saggi in onore di R., Vergata e Pagnini, Nuova Italia, Firenze, Segni
e percorsi della modernità: saggi in onore, Abbri e Segala, Dipartimento di
Studi Filosofici dell'Siena, Rainone, «Rossi Monti, Paolo» in Enciclopedia
Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Abbri, Nuncius,
Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Un maestro,
Pisa, Edizioni della Normale, Tra BANFI e Garin: la formazione, in Rivista di
filosofia, Treccani Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Dizionario biografico degli italiani, Enciclopedia multimediale RAI delle
scienze filosofiche -- Per una scienza libera, intervista. Storia Moderna, :
memoria e reminiscenza, sul RAI
Filosofia, su filosofia rai. Il Fondo Rossi nella biblioteca del Museo Galileo.
CLAVIS UNIVERSALIS ARTI MNEMONICHE E LOGICA COMBINATORIA DA LULLO A LEIBNIZ
MILANO - NAPOLI RICCIARDI EDITORE MCMLX
CLAVIS UNIVERSALIS DELLO STESSO AUTORE: Per una storia della storiografia
socratica, nel vol. Problemi di storiografia filosofica, a cura di A. Banfi,
Milano, Bocca, Giacomo Aconcio, Milano, Bocca, 1952. Il «De Principiis» di
Mario Nizolio, nel vol. Testi umanistici sulla retorica, a cura di E. Garin,
Roma-Milano, Bocca, 1953. Francesco Bacone, dalla magia alla scienza, Bari,
Laterza, 1957. Su alcuni problemi di metodologia storiografica, nel vol. Il
pensiero americano contemporanco, Milano, Ediz. di Comunità, 1958. Altre
ricerche di storia della filosofia pubblicate nella « Rivista critica di storia
della filosofia », anni 1950 segg. C. Cattaneo, L'insurrezione di Milano,
Milano, Universale Economica.. O . Cattaneo, La società umana, Milano,
Mondadori (antologia). E. TayLor,
Socrate, Firenze, La Nuova Italia, 1952 (prefazione). F. Bacone, La nuova
Atlantide e altri scritti, Milano, Universale Economica (introduzione,
traduzione e note). G. B. Vico, Opere, I classici Rizzoli, Milano, Rizzoli,
1959 (introduzione e note). PAOLO ROSSI CLAVIS UNIVERSALIS ARTI MNEMONICHE E
LOGICA COMBINATORIA DA LULLO A LEIBNIZ MILANO - NAPOLI RICCARDO RICCIARDI. Il
termine clavis universalis fu impiegato, fra il Cinquecento ed il Seicento, a
indicare quel metodo o quella scienza generalissima che pongono l’ uomo in
grado di cogliere, al di là delle apparenze fenomeniche o delle « ombre delle
idee », la trama ideale che costituisce l’essenza della realtà. Decifrare
l'alfabeto del mondo; riuscire a leggere, nel gran libro della natura, i segni
impressi dalla mente divina; scoprire la piena corrispondenza tra le forme
originarie e la catena delle umane ragioni; costruire una lingua perfetta
capace di eliminare gli equivoci e di svelare le essenze mettendo l’uomo a
contatto non con i segni, ma con le cose; dar luogo ad enciclopedie totali, a
ordinate classificazioni che siano lo specchio fedele dell'armonia presente nel
cosmo: al tentativo di realizzare risultati di questo tipo, ad analizzare,
difendere e propagandare queste posizioni e la visione del mondo ad esse
collegata furono intenti, fra la metà del Trecento e la fine del secolo XVII,
quanti si volsero a discutere i temi del lullismo, a dettare le regole della
memoria artificiale, a compilare grandiose enciclopedie e complicati teatri del
mondo, a ricercare l’alfabeto dei pensieri, a farsi sostenitori delle
aspirazioni della pansofa e delle speranze in una totale redenzione e
pacificazione del genere umano. Si tratta di atteggiamenti, di progetti, di
temi che ebbero diffusione vastissima, che esercitarono un peso decisivo sulle
ricerche di logica e di retorica, che condussero a studiare e ad approfondire,
da un ben determinato punto di vista, il problema della lingua e quello della
memoria, le questioni attinenti alle topiche e alle classificazioni, ai segni e
ai geroglifici, ai simboli e alle immagini. È senza dubbio difficile per un
uomo moderno rendersi conto del peso che una produzione libraria dedicata a
quest'ordine di problemi ebbe ad esercitare sulla cultura, anche su quella
filosofica. Resta il fatto che ad elaborare le regole del discorso, quelle
dell’ argomentazione e della persuasione, a stabilire i canoni dell’arte della
memoria, ad insegnare il tipo di collegamento che deve sussistere tra i luoghi
della mnemotecnica e le immagini che in essi hanno da essere collocate, a
studiare le figure della grande arte di Lullo, ad elaborare le complicate
regole della combinatoria, si dedicarono intere generazioni di uomini colti dal
primo Rinascimento fino all’età di Leibniz. Che le tecniche della memoria
artificiale e della logica combinatoria siano scomparse dalla cultura europea
non è probabilmente un male; male è invece che molti storici abbiano creduto o
tuttora credano di poter intendere polemiche e discussioni e significati di
teorie, strap- pando violentemente quelle discussioni e quelle teorie da un
contesto storico preciso nel quale quelle tecniche, oggi ben morte, erano
invece vive e vitali. Chi, occupandosi della cul- tura del Cinquecento e del
Seicento, non ha per esempio inteso il significato della connessione
logica-retorica e ha creduto di poter tracciare una storia della prima senza
minimamente occuparsi della storia della seconda, ha raggiunto, in genere,
conclusioni abbastanza desolanti. Dire, come molti han fatto, che «testi
insignificanti » ebbero grande diffusione in tutta Europa, significa, in ultima
analisi, cercare di sfuggire, con un giro di parole, ad un problema storico ben
determinato: che è poi quello delle ragioni di quella singolare fortuna e dei
motivi che spinsero filosofi come Agrippa e Bruno e Bacone e Cartesio e Leibniz
e uomini come Alsted e Comenio e scien- ziati come Boyle o Ray a prendere
estremamente sul serio quelle discussioni, a impegnarsi in una valutazione
della loro funzione e del loro significato, a interpretarle e adattarle a più
diverse e complesse posizioni di pensiero. Certo, ove non si vogliano eliminare
dalla storia, come frutto di errori e di illusioni, gli scritti latini del
Bruno, vari capitoli del De Augmentis, i frammenti giovanili di Cartesio, una
metà degli opuscoli di Leibniz, ove non si vogliano re- spingere ai margini
della cultura uomini come Alsted e Co- menio, bisognerà rendersi conto che
anche la cultura del Sei- cento (non solo quella delle età precedenti) è, nelle
sue stesse linee di fondo, assai lontana da una mentalità post-illuministica.
Poiché è proprio il razionalismo illuministico che segna, da questo punto di
vista, una svolta decisiva: una serie di problemi che avevano appassionato per
secoli i cultori di logica e di retorica, i teorici del discorso e gli studiosi
del linguaggio vennero eliminati per sempre dalla scena della cultura europea,
perdettero significato e senso, apparvero manifestazioni delle folli
aspirazioni di secoli che si erano posti sotto il segno delle empie ricerche
astrologiche, magiche e alchimistiche, o sembrarono i relitti, ancora presenti
nell’ età della nuova scienza, delle tenebre medievali. Accettando come valido
il quadro storiografico estremamente parziale elaborato dagli illuministi nel
corso di un’aspra lotta ideologica, non poca della storiografia dei secoli
successivi ha preferito sorvolare su alcuni aspetti, che furono in realtà
decisivi, della cultura dell’età barocca. Gli interessi del Bruno per la
combinatoria e la mnemotecnica vennero considerati come «curiosità e bizzarrie
»; si preferì sorvolare sul fatto che Ramo e Bacone e lo stesso Leibniz ave-
vano visto nella « memoria » una delle sezioni nelle quali si articola la nuova
logica dei moderni; non si tenne conto che la dottrina baconiana delle tavole e
dell’induzione, che quella cartesiana dell’enumerazione erano state elaborate
su un terreno storico preciso con riferimenti a testi diffusissimi e a
discussioni ormai secolari; si vide in Comenio solo il pedago- gista moderno e
in Leibniz solo il teorico della logica formale. Di quel complicato groviglio
di temi connessi alla cabala e alle scritture ideografiche, alla scoperta dei
caratteri reali, al- l’arte della memoria, all'immagine dell’albero delle
scienze, alla mathesis e alla caratteristica universale, al metodo inteso come
miracolosa chiave dell’universo, alla scienza generalissima, si preferì
sbarazzarsi facendo ricorso ad una generica e misteriosa entità “platonismo”
sempre presente, come uno sfondo non chiarito e un indistinto panorama, dietro
le opere dei grandi e dei piccoli pensatori. Questo libro è nato dal tentativo
di chiarire, almeno nelle sue linee fondamentali, quello “sfondo” e di
individuare gli aspetti generali e particolari di quel “panorama”: non mediante
riferimenti generici, ma attraverso l’analisi diretta di una serie di testi
editi e inediti, un esame della diffusione di determinati libri e di
determinate idee, una ricerca dell’azione esercitata da quei libri e da quelle
idee sulla “filosofia” (in particolare sulla logica) dei pensatori moderni di
maggior rilievo. i La funzione, il significato, gli scopi delle arti della
memoria e della logica combinatoria si andarono, di volta in volta, variamente
configurando Le formule, da secoli ripetute, di un arte veneranda acquistarono
in ambienti diversi da quelli originari, significati assai diffe- renti: quella
che era apparsa a molti, fra il Trecento e il Quattrocento, una tecnica
neutrale utilizzabile nei discorsi per- suasivi indipendentemente dalle
circostanze di luogo e di tempo, finì per rivelarsi strumento di ambiziosi
progetti di riforma, per caricarsi di significati metafisici, per connettersi
al temi della cabala dell’esemplarismo mistico e della pansofia. Da questo
punto di vista fra i testi di ars praedicandi o di ars memoriae del Trecento e
del Quattrocento e i testi del Bruno e del Camillo esiste una incolmabile
differenza: a uno strumento concepito in vista di finalità pratiche e mondane,
nell’ambito della retorica, si è sostituita, dopo l’incontro con la tradizione
del lullismo, la ricerca di una cifra che consenta di penetrare i segreti
ultimi della realtà, di ampliare smisura- tamente le possibilità dell’uomo. Non
diversamente, inserendo la dottrina degli aiuti della memoria nei quadri di una
dottrina del metodo o della logica, o richiamandosi alla carena e al- l’arbor
scientiarum, Ramo, Bacone e Cartesio muteranno pro- fondamente il senso di
problemi tradizionali. L'antico pro- blema della memoria artificiale, piegato a
nuove esigenze e profondamente trasfigurato, faceva il suo ingresso nella
logica moderna, si legava ai temi del linguaggio universale e della scienza
prima o generale. Ma al di là di questi “mutamenti” e di queste
“trasfigurazioni” resta ben salda una effettiva con- tinuità di idee e di
discussioni: una continuità che ha carat- tere europeo e che è accertabile
mediante la documentazione della diffusione di un grandissimo numero di testi e
di molte idee in gruppi di uomini ben determinati. Nel corso del Set- tecento i
testi di Pietro da Ravenna e di Cornelio Gemma, di Alsted e di Pedro Gregoire,
di Schenkelius e di Rosselli, di Bisterfield e di Wilkins, che erano stati
studiati e letti e com- mentati da Bruno e da Bacone, da Comenio da Cartesio e
da Leibniz vengono eliminati dalla cultura europea. Anche il lullismo, che era
stato in Francia, in Germania e in Italia, una delle componenti fondamentali
della cultura, una delle “sette” filosofiche più fortunate e accademicamente
più forti, si localizza nella città di Magonza e nell’isola di Maiorca, assume
carattere esclusivamente erudito, dà luogo, nella se- conda metà del secolo,
solo alle malinconiche esercitazioni di qualche professore, si riduce a
manifestazione di una menta- lità irrimediabilmente arcaica e provinciale. Non
diversamente le arti della memoria artificiale, nate con Cicerone e Quinti-
liano, riprese da Alberto e Tommaso, considerate essenziali all’esercizio della
virtù cristiana della prudenza, coltivate da Lullo, da Bacone e da Leibniz,
vengono respinte ai margini della cultura, vanno infine a far compagnia, nelle
collane di libri occulti, ai testi dell’ antroposofia e dello spiritismo.
Appellandosi ad un “calcolo” logico e soprattutto ad un “simbolismo” di tipo
matematico Leibniz aveva dato in realtà un colpo mortale a quei “simboli”
intesi come «pitture ani- mate prodotte dall’immaginativa » che avevano
riempito per tre secoli non pochi testi di retorica di pedagogia e di
filosofia. Con Leibniz, ed anche per opera di Leibniz, scompariva un intero
mondo; non solo un certo modo di intendere la fun- zione delle immagini e dei
simboli, ma anche un modo di intendere il compito della logica e i rapporti di
questa con la metafisica. Quando Collier pubblicò la sua Clavis universalis,
questo termine, già carico di tanti significati, aveva perso ogni senso, era
solo un'etichetta, estranea al contenuto dell’opera. Rifiutando gli aspetti
arcaici del pensiero leibni- ziano; respingendo l’esemplarismo di derivazione
lulliana, le stravaganze della cabala, i sogni della pansofia, tutta l’atmo-
sfera — alquanto torbida — dell’enciclopedismo dei due secoli precedenti, il
razionalismo settecentesco coinvolgeva però nella condanna — con conseguenze
storiche assai importanti — an- che i progetti di una caratteristica universale
e di un simbolismo logico avviati da Dalgarno e da Wilkins, condotti avanti da
Leibniz. Non a caso Emanuele Kant, a quasi un secolo dalla comparsa della
Dissertatio de arte combinatoria, esclu- deva radicalmente che le idee composte
potessero essere rap- presentate mediante la combinazione di segni e paragonava
la caratteristica di Leibniz agli inconcludenti sogni dell’ alchimia. L’opera
di Leibniz veniva così identificata con quella di un teologo e di un metafisico
speculativo, la sua fama era affidata alla Teodicea e alle discussioni sul
problema del male. Come ha scritto con molta esattezza il Barber, che ha
studiato in modo egregio le reazioni di un secolo di cultura francese al
leibnizianesimo, l’avvento del nuovo empirismo « swept Leibniz too into the
class of the outmoded exponents of apriori : DR, Si : systems ». Per veder
ripresi i progetti di Leibniz bisognerà attendere per due secoli: fino ad
Augustus de Morgan e a George Boole; come logico, Leibniz verrà rivalutato,
agli inizi del nostro secolo, da Louis Couturat e da Bertrand Russel; del
vescovo di Wilkins si parla con una certa simpatia, forse per la prima volta
dopo il Settecento, nel volume The meaning of meaning di Ogden e Richards
pubblicato a Londra nel 1923. La sviluppo ottocentesco della logica formale, il
costituirsi della logica simbolica come scienza derivava dalla « graduale
acquisizione della sempre più netta consapevolezza della sua natura di tecnica
deduttiva indipendente dai presupposti di una visione generale del mondo »
(Barone) dallo svincola- mento « da ogni preoccupazione ontologico-metafisica »
(Preti). Come già aveva notato Husserl, la logica formale moderna era nata «
non da riflessioni filosofiche sul significato e sulla necessità della mathesis
universalis, ma dalle esigenze della tecnica teoretica deduttiva della
matematica ». I riconoscimenti delle « geniali anticipazioni » presenti nel
pensicro di Leibniz ebbero origine precisamente su questo terreno. Ma su un
altro terreno, radicalmente diverso, si era mosso Leibniz e, prima di lui, si
erano mossi Bacone e Cartesio. Quelle “anticipazioni”, quei “precorrimenti” che
Far- rington, Beck' o Russel, trattando rispettivamente di Bacone, di Cartesio
e di Leibniz, hanno così acutamente segnalato sono senza dubbio di grandissimo
interesse ed ogni ricerca volta a determinarne meglio la portata e la fecondità
per i contem- poranei è non solo legittima, ma auspicabile. E tuttavia sotto-
lineare le differenze, battere sulla diversità, sulla alterità è, quanto meno,
altrettanto importante: per dissipare cquivoci, per mostrare che cosa fu, nella
realtà, quello sfondo indistinto sul quale campeggiano i ritratti dei nostri
illustri antenati. Co-
me ha scritto di recente Augustin Crombie, a proposito dei lu- minosi
precorrimenti presenti nell’opera di Galileo, « it is not by reading our own
problems backwards that historical expe- rience is enlightening, but by
exposing ourselves to the surprise that thinkers so effective should have had
aims and presup- positions so different from our own ». Chi abbia familiare la letteratura sul Rinascimento
vedrà chiaramente quanto questo libro debba alle ricerche di Garin sulla
cultura e, per quanto riguarda la
“continuità” delle “idee” fra il Quattrocento e il Settecento, alle conclusioni
cui è giunto, di recente, Delio Cantimori. Desiderio inoltre esprimere la mia
gratitudine al Padre Miquel Batllori dell’ Istituto Storico della Compagnia di
Gesù, al prof. Frangois Secret, a Mrs. G. Bing del War- burg Institute, agli
amici Paola Zambelli e Cesare Vasoli che mi hanno variamente consigliato,
fornito pubblicazioni e indicazioni di articoli e di studi. Ringrazio inoltre
il dott. Luigi Quattrocchi dell’Istituto Italiano di Amburgo che mi ha
procurato le fotografie di alcuni manoscritti leibniziani c la direzione della
« Rivista critica di storia della filosofia » che mi ha consentito di
riprodurre qui quelle parti del libro che erano apparse, nella rivista stessa,
sotto forma di saggi. AvveRTENZA: Nelle note, a indicare le biblioteche qui di
seguito elencate, si sono usate le seguenti abbreviazioni (ma si veda anche l’
Indice dei manoscritti: Ambros. . Ambrosiana Ang. Angelica Anton. Antoniana
Archiginn. Comunale di Bologna Braid. Braidense Casan. Casanatense Class.
Classense Fir. Naz. Nazionale di Firenze Laur. Laurenziana Marc. Marciana Pad.
Civ. Civica di Padova Par. Naz. Bibliothèque Nationale Pavia Univ.
Universitaria di Pavia Ricc. . Riccardiana Roma Naz. Nazionale Centrale di Roma
Triv. Trivulziana Vatie. Apostolica Vaticana. In un testo fondamentale della
filosofia moderna, com- posto alla metà del secolo dei lumi, Hume, discorrendo
del discernimento e della memoria, affermava che mentre i difetti del
discernimento non possono trovar rimedio in alcuna arte o invenzione, i difetti
della memoria possono sovente essere attenuati od eliminati «sia nel campo
degli affari come in quello degli studi ». Accennando al « metodo », alla «
opero- sità» e alla « scrittura » come opportuni aiuti a una debole memoria,
scriveva: «quasi mai sentiamo indicare la scarsa memoria come la ragione del
fallimento d’una persona nelle sue iniziative. Ma nell’antichità, quando nessun
uomo poteva conseguire successo se non possedeva il talento della parola, e
quando il pubblico era troppo delicato per reggere ad ar- ringhe rozze ed
indigeste del tipo di quelle che gli improv- visati oratori dei nostri giorni
propinano alle assemblee, la facoltà della memoria aveva la massima importanza
e, per conseguenza, era assai più stimata di oggi ».' Hume, che negli anni
della sua formazione intellettuale aveva « segretamente divorato » i testi
ciceroniani, era ben con- sapevole dell’esistenza storica di una tecnica o arte
della me- moria che, come risulta dal suo brano, è per sua natura con- nessa al
fiorire di una civiltà che fa largo posto alle tecniche del discorso e ad un
mondo nel quale la retorica si presenta come un elemento vivo della cultura.
Negli anni in cui Hume scriveva, le ricerche volte alla fissazione e alla
elaborazione 1 D. Hume, Ricerche sull’intelletto umano e sui princìpi della
morale, a cura di M. Dal Pra, Bari, 1957, p. 267. Cfr. il testo inglese ed. L.
A. Selby Brigge, Oxford. Sul problema della memoria cfr. anche A Treatise of
Human Nature, cd. by L. A. Selby Brigge, Oxford (sulla memoria e
l'immaginazione). Sull’ assenza di ogni sensazione di piacere o di pena
nell'esercizio della memoria] delle regole della memoria artificiale erano
ormai definitiva- mente scomparse dalla scena culturale europea e si erano
rifu- giate sul piano delle curiosità e delle stravaganze. Non si era trattato
solo di un corrompersi delle arti del discorso di fronte alla minore
delicatezza degli uditori: l’enorme diffusione della stampa (e quindi dei
repertori, dei dizionari, delle bibliografie, delle enciclopedie), la
progressiva affermazione delle nuove logiche (da Ramo a Bacone, da Cartesio ai
Portorealisti) ave- vano dato in realtà un colpo mortale da un lato alla
tratta- tistica retorica e dall’altro a quella produzione di opere di mne-
motecnica (a quella trattatistica strettamente collegata) che ave- vano
letteralmente invaso l’ Europa. Solo tenendo conto della diffusione che la
mnemotecnica aveva raggiunto non solo in un ambito letterario e filosofico, ma
anche all’interno delle scuole e dei programmi d’insegna- mento, ci si possono
spiegare le proteste e le ironie che contro di essa da più parti si levarono
nei secoli stessi del Rinasci- mento. Nel decimo capitolo del De varitate
scientiarum, dedi- cato appunto all’ars memorativa, Agrippa si scagliava con
vio- lenza, contro quei zedulones che, nelle scuole, impongono agli studenti lo
studio della memoria artificiale o che riescono a spillar quattrini agli
incauti facendo leva sulla novità dell’arte. Far ostentazione di capacità
mnemoniche gli sembrava cosa puerile; spesso, concludeva, si giunge a
manifestazioni di tur- pitudine e di impudenza: si sciorinano tutte le merci
dinanzi alla porta mentre la casa, all’interno, è completamente vuota.
Ricordando Simonide, Cicerone, Quintiliano, Seneca, Petrarca e Pietro da
Ravenna fra i maggiori teorici dell’arte memorativa, egli da un lato notava la
insufficienza della memoria artificiale ove non sussistesse già robusta la
nazuralis memoria c dal- l’altro si scagliava contro il carattere mostruoso
delle immagini e la pesantezza delle formule in uso nella mnemotecnica. I cul-
tori della quale, gli sembrava, intendono far impazzire me- diante l’arte
coloro che non si accontentano dei confini sta- biliti dalla natura.” ° H. C.
Acrirra, De incertitudine et vanitate scientiarum, in Opera, Lugduni, per
Beringos Fratres, 1600, II, pp. 32, 33 (copia usata: Triv. Mor. K. 403). Con
altrettanta decisione, vent'anni più tardi, Erasmo, nemico dei ciceroniani e
della retorica, si pronuncerà contro l’uso dei loci e delle immagini che non
fanno — affermava — che rovinare e corrompere la memoria naturale. Con più iro-
nia, un altro grande critico delle degenerazioni pedantesche e delle
precettistiche dell’umanesimo rifiuterà questo tipo di let- teratura,
insistendo, con una crudezza che va certo spiegata anche mediante il
riferimento ad una situazione culturale pre- cisa, sulla sua stessa mancanza di
memoria: Il n'est homme è qui il siese si mal de sc mesler de parler de
memoire, car je n’en recognois quasy trace en moi, et ne pense qu'il y en ayt
au monde une aultre si mervcilleuse en defaillance... Si jc suis homme de quelque legon,
jc suis homme de nulle retention... Ma
memoire sempire cruellement tous les jours... Proprio sul terreno
dell'educazione c partendo dal presup- posto che « sgavoir par coeur n'est pas
“gdvolt, c'est tenir ce qu'on a donné en garde à sa memoire »,° Montaigne
polemiz- zava contro l'apprendimento mnemonico in nome di una cul- tura «
viva»: non si chieda conto al discepolo delle parole della lezione, ma del suo
senso e della sua sostanza; gli si chieda non la testimonianza della sua
memoria, ma della sua vita; lo stomaco non ha adempiuto alla sua funzione se
non quando ha mutato la forma e la struttura degli alimenti, iden- tico è il
compito della mente." Non si trattava di generici riferimenti alla libertà
della mente di fronte ad ogni precet- tistica; la polemica di Montaigne assomiglia
solo nella forma a quella che potrebbe condurre un professore dei nostri giorni
[D. Erasmo, De razione studii, ed. Frocben, 1540, I, p. 466. ! MoNTAIGNE,
Esseis, I, 9; II, 10 (ediz. Garnier, Parigi, s. d., I, p. 25; 374). > Essats, I, 25 (vol.
I, p. 119). € «Qu'il ne luy demande pas seulement compte des mots de ca legon,
mais du sens et de la substance; et qu'il juge du profit qu'il aura faict, non
par le tesmoignage de sa memoire, mais de sa vie... C'est tesmoi- gnage de
crudité et indigestion, que de regorger la viande comme on l’a avallée:
l'estomach n'a pas faict son operation, s'il n'a faict changer la faccon et la
forme à ce qu'on luy avoit donné à cuire... On nous a tant assubjectis aux
chordes, que nous n’avons plus de franches allu- res; notre viguer et liberté
est esteincte ». (Essai, contro
gli studenti che imparano le lezioni a memoria. Egli aveva di fronte obbiettivi
precisi: Si en mon pais on veult dire qu'un homme n°a point de sens, ils disent
qu'il n'a point de memoire; et quand je me plains du default de la mienne, ils
me reprennent et mescroyent, comme si je m’accusois d’estre insensé: ils ne
veoyent pas de chois entre memoire et entendement... Mais il me font tort, car
il se veoid par cxpérience que les memoires excellentes se joignent volentiers
aux jugements debiles... Ils on laissé, par escript, de l’orateur Curio que,
quand'il proposoit la distribution des pieces de son oraison en trois ou en
quatre, ou les nombres de ses arguments ou raisons, il luy advenoit volentiers
ou d’en oublier quel- qu’un, ou d’y en adjouster un ou deux de plus. J'ay tous-
jours bien evité de tomber en cet inconvenient, ayant hai ces promesses et
prescriptions...” In realtà,
nonostante le proteste di Erasmo e di Montaigne, quelle odiate « prescrizioni »
erano destinate a diffondersi sempre più ampiamente durante tutto il secolo XVI
e a pro- lungarsi poi fino in pieno Seicento. A_metà del secolo XVII Wolfang
Ratke protesterà, da un punto di vista simile a quello dei grandi umanisti,
contro l’apprendimento mnemonico e contro gli esercizi di mnemotecnica.* Ancora
negli ultimi anni del secolo i ‘““ciceroniani”, che non avevano affatto
disarmato nonostante Erasmo, Montaigne e la grande crisi ramista e car-
tesiana, si facevano con successo sostenitori, in sede pedago- gica oltreché
retorica, della necessità e dell’utilità della me- moria artificiale. Quella
vasta produzione di trattati di ars memorativa alla quale si rifaceva la Art of
Memory del D’As- signy, che non a caso veniva dedicata nel 1697 ai « giovani
studenti di entrambe le università »,° non era stata soltanto espressione di
pedanteria grammaticale: in essa aveva trovato forma quel panmetodismo che, nel
corso del Cinquecento, aveva contrassegnato tutta la cultura. La fisionomia, i
tempe- ramenti, le passioni, le proporzioni del corpo umano, il di- [? Essais * Pàdagogische Schriften
des Wolfang Ratichius und seiner Anhinger, Breslau, 1903. Cfr. E. Garin,
L'educazione in Europa, Bari, Assicny, The Art of Memory. A treatise useful for such as are to speak in Publick,
London, 1scorso, la poesia, l'osservazione della natura, l’arte del gover- nare
e quella militare: tutto venne in quell’età codificato e ridotto in arte. In
quel periodo della cultura che è stato felice- mente chiamato «l’età dei
manuali », in quel secolo che « fu instancabile nel ricercare princìpi
normativi di valore generale e perenne da calare in comodi schemi didascalici
»,°° proprio mentre si veniva chiarendo la impossibilità, per quelle codifi-
cazioni, di passare dal piano delle topiche e dei teatri univer- sali a quello
del metodo,!! si andava rafforzando l’esigenza di un’arte capace di presentarsi
come la chiave della realtà, come arte universale e somma, capace di risolvere
di colpo tutti i problemi dando luogo ad una tecnica suprema che rendesse di
fatto inutili tutte le varie provvisorie e particolari tecniche. L’idea di
un’arte del ricordare e del pensare che si svolga in modo “meccanico”
acquisterà nuovo vigore quando, fra la metà del Cinquecento e la metà del
Seicento, si stabilirà un contatto profondo fra le ricerche di arte della
memoria ispirate a Cicerone a Quintiliano alla Retorica ad Herennium, quelle
derivanti dal De memoria et reminiscentia di Aristotele dai commenti di
Alberto, Tommaso, Averroè e infine quelle diret- tamente legate alla ars magra
di Lullo. Avrà allora nuovo rilievo il concetto di un meccanismo concettuale
che, una volta messo in moto, possa svolgersi da solo, in modo relativamente
indipendente dall’opera del singolo, fino alle ultime conse- guenze, fino alla
comprensione totale, ponendo gli uomini in grado di leggere nella sua integrità
il gran libro dell’universo. Per rendersi conto del peso che questa idea
eserciterà nel seno stesso della filosofia moderna basterà pensare alla
macchina che Bacone intendeva costruire mediante la sua nuova logica, al
mirabile inventum cartesiano cercato, prima che nella geome- tria analitica,
nei testi di Lullo e di Agrippa, ai libri « porta- tori di luce universale » di
Comenio, infine a quella mirabile chiave che intendeva essere la “caratteristica”
leibniziana. L'antico sogno lulliano di un’arte che sia contemporanea- [Firpo,
Lo stato ideale della Controriforma (Agostini), Bari. Cfr. R. KLEIN,
L’imagination comme vétement de l’ dame chez Mar- sile Ficin et Giordano Bruno,
in « Revue de Métaphysique et de Mo- rale] mente logica e metafisica,'° che, a
differenza della logica tra- dizionale, tratti non delle seconde, ma delle
prime intenzioni, che mostri la corrispondenza tra il ritmo del pensiero e
quello della realtà, che disveli, mediante combinazioni mentali, il vero senso
dei rapporti reali, aveva trovato piena espressione, nei secoli del
Rinascimento, nei tormentati scritti di mnemo- tecnica del Bruno. E non a caso,
oltre che alla lettura dei testi di Lullo, Bruno ebbe a richiamarsi alla
scoperta, fatta in anni giovanili, del trattatello sulla memoria di Pietro da
Ravenna," che era invece di precisa ispirazione “retorica” e
“ciceroniana”. Quando nel De umbris idearum Bruno si muoverà sul piano dei
nessi immaginativi, delle connessioni tra immagini e figure e lettere, affiderà
proprio al connubio tra meccanismo logico e meccanismo psicologico quella
possibilità di una immensa estensione del sapere o di una nuova inventio che
era al cul- mine delle sue aspirazioni: in quel punto apparivano saldate
insieme, nei testi bruniani, le aspirazioni del lullismo e le tec- niche
sull’uso dei luoghi e delle immagini che derivavano dai testi di retorica
antica e dai trattati sulla memoria artificiale del Rinascimento. Leggendo le
pagine vivacemente polemiche contro l’arte della memoria (quelle di Ratke come
quelle di Erasmo o di Montaigne o di Agrippa) è certo difficile non
simpatizzare in qualche modo con quella polemica condotta, in nome della libera
spontaneità dell’uomo, contro gli schemi e la pedan- teria e le prolissità di
una rigida precettistica. Ciò non toglie 12 R. LutLi, Opera omnia, Mainz,
Sciendum est ergo, quod ista Ars est et logica et Metaphysica... Mctaphysica
considerat res, quae sunt extra animam, prout conveniunt in ratione entis; logica
etiam considerat res secundum esse, quod habent in anima... sed hacc Ars
tanquam suprema omnium humanarum scientiarum in- differenter respicit ens
secundum istum modum ct secundum illum ». Cfr. anche Opera, ed. Zetzner,
Strasburgo: Logicus trac- tat de secundariis intentionibus... sed generalis
artista tractat de primis... Logicus non potest invenire veram legem cum
logica: generalis autem artista cum ista arte invenit... Et plus potest
addiscere artista de hac arte uno mense, quam logicus de logica uno anno ».
(Copia usata: An- gelica, CORSANO, Il pensiero di BRUNO nel suo svolgimento
storico, Firenze; Tocco, Le opere latine di G. Bruno, esposte e confrontate con
le italiane, Firenze] che di fatto proprio quella precettistica (quella
derivante da Cicerone come quella derivante da Lullo) ebbe ad incidere, per vie
sotterraneee, sulla formazione della nuova cultura con- dizionando il
costituirsi stesso della logica nuova da Bacone a Leibniz. In varie guise
collegata agli sviluppi delle arti del discorso e alle tecniche della
persuasione, ai tentativi di co- struzione di una nuova enciclopedia, alle
controversie sul rami- smo e sul lullismo, alla magia, alla medicina e alla
fisiogno- mica, la trattatistica sulla memoria artificiale si colloca dun- que,
fra la metà del Cinquecento e la metà del Seicento, al centro di un giro di
discussioni e di problemi cui appaiono interessati non solo i teorici o cultori
della retorica, ma filosofi e logici c cultori di scienze occulte e medici ed
enciclopedisti di varia provenienza e natura. Le “bizzarrie” della mnemotecnica
andranno così da un lato a intrecciarsi a problemi di logica e di retorica e
dall’altro a connettersi alla rinascita del lullismo e alla creazione di lin-
guaggi artificiali nonché a quella ambigua atmosfera magico- occultistica che
appare in molti casi collegata al rifiorire di interessi per l’ars magra di
Lullo. Le discussioni sulla mnemo- tecnica non saranno in tal modo senza
risonanza su due grandi problemi della cultura filosofica del Seicento: quello
del me- todo o della logica inventiva e quello della sistematica classifi-
cazione delle scienze o costruzione di una enciclopedia del sapere. Gli uomini
— scrive l’anonimo autore di un trattato quattrocentesco sulla memoria —
inventarono arti diverse c numerose per aiutare e potenziare l’opera della
natura. Con- statando la labilità dell’umana memoria, legata alla fragilità
della natura dell’uomo, escogitarono un’arte mediante la quale fosse possibile
ricordarsi di molte cose che, per via naturale, non potevano essere ricordate.
Nacque così la scrittura e poiché in tempi successivi gli uomini si resero
conto di non poter portare sempre seco le scritture e che non sempre scrivere
era possibile, inventarono, fin dai tempi di Simonide e di Demo- crito, l’arte della
memoria artificiale. Questo avvicinamento dell’arte mnemonica alle altre
tecniche che aiutano l’opera della natura, presente in questo co- me in tutti i
trattati rinascimentali sulla memoria, non è, come vedremo, senza significato.
Ma più che da questo accosta- mento si è colpiti, esaminando i trattati di ars
memorativa composti fra la metà del Trecento e la metà del secolo XVII, dal
costante, insistente richiamo alla psicologia aristotelica, ai grandi manuali
della retorica latina, ai testi sulla memoria e ai commenti di Alberto Magno e
di Tommaso d’Aquino. In molti casi i trattati che andremo esaminando non fanno
che esporre, commentare, amplificare regole, dottrine, precetti che risalgono a
molti secoli prima e che, elaborati in Grecia e in Roma, giungono ai filosofi
del Rinascimento attraverso l’opera dei grandi maestri della scola- stica.
Certo, anche quelle regole e dottrine andranno mutando valore e portata e
significato a contatto con tradizioni culturali differenti e con differenti
ambiti di civiltà: quegli aiuti della memoria che appaiono connessi nel Medio
Evo con l’ars prae- dicandi, diventeranno in BRUNO gli strumenti di un’arte che
vuol riprodurre le strutture della realtà, mentre Bacone e Descartes li
inseriranno, come elementi essenziali, all’interno della nuova metodologia
delle ricerche naturali. Tuttavia, chi voglia intendere il significato e l’origine
storica di quegli “aiuti alla memoria”, non potrà non aver presenti le fonti
alle quali con maggior insistenza quelle dottrine si richiamavano. Appunto di
quelle fonti si intende qui dar conto brevemente. Il De memoria et
reminiscentia di Aristotele si presenta come un trattato di psicologia e non
come una dissertazione sulla mnemotecnica, ma contiene tuttavia alcune
affermazioni che verranno sfruttate in epoche successive in vista della
costruzione di una tecnica del ricordare. I teorici della mnemotecnica si
richiamano alle seguenti dottrine aristoteliche: La tesi della necessaria pre- senza
dell'immagine o fantasma (gAvtacpa) in vista del fun- zionamento della memoria
(pvt ). Il necessario ricorso all'immagine, che è una specie di sensazione
senza materia o di sensazione indebolita, fa sì che fra la memoria e l’immagi-
nazione ( pavtagia «leSntx4 ) da un lato e la memoria e la sensazione
dall’altro intercorrano rapporti assai stretti. La tesi che il ricordo o
memoria riflessa o attualizzazione della memoria scomparsa dalla coscienza (
&v&pvrotg ) sia facilitato dall'ordine e dalla regolarità, come avviene
per esempio nel caso della matematica, mentre ciò che è confuso e disordi- nato
difficilmente può essere ricordato. c) La formulazione di una legge
dell'associazione secondo la quale le immagini e le idee si associano in base
alla somiglianza, alla opposizione, alla contiguità. In un passo del De memoria
che avrà particolare fortuna Aristotele affermava: «talora il ricordo sembra
partire dai Zuoghi (Toro). La ragione di ciò è che l'uomo passa rapidamente da
un termine all’altro, per esempio dal latte al candore, dal candore all’aria, dall'aria
al- l’umidità, dall’umidità al ricordo dell’autunno, supponendo che si cercasse
di ricordare questa stagione ». All’impiego delle im- magini Aristotele si
riferisce del resto anche nel De anima: «E chiaro che l'immaginazione è
qualcosa di distinto dalla sensazione e dal pensiero.. essa è in nostro potere
quando lo vogliamo, e si può infatti porre qualcosa davanti agli occhi come
fanno coloro che vanno riempiendo i luoghi mnemonici e fabbricano immagini (év
toîs pwapovizotîe aiSepevor xa ciòwioror9ivte: ), mentre la sensazione non di-
pende da noi. Oltre ai luoghi cit. nel testo cfr.: per i rapporti fra immagine
e sensazione: De anima; Rhet.; per i rap- porti fra memoria e immaginazione:
Sec. An., II, 19, 99b 36-100a 4; Metaph.; De mem., 1, 450a 22-25; per i
rapporti fra memoria e sensazione: Mezaph., A, 980 a 28-29; De mem., 1, 450a
30-b 3. Come è stato notato la traduzione di &vapwoxg con remini- scentia,
pur legittimata dal riferimento a Platone in Prim. An., non corrisponde al
senso che il termine ha in Aristotele. La àvapynog è una attualizzazione della
memoria, una ricostruzione del ricordo che richiede una conoscenza del tempo
non spontanea come nella memoria (De mem., 450a 19), ma riflessa (452b 7; 453a
9-10) e che è quindi caratteristica solo dell’uomo. Del De memoria et
reminiscentia cfr. l'edizione con traduzione inglese e commento di G.R.T. Ross,
Cambridge, 1906. Utile il commento del TricoTr, nella traduzione dei Parva
naturalia, Parigi, 1951, pp. 57-75. Scarsa la trattazione della memoria nelle
opere sulla psicologia aristo- telica: A. E. CHaicHer, Essai sur la psychologie
d’A., Parigi; J. Nuyens, L’évolution de la psychologie d'A., Lovanio, 1948; C.
W. SHUTE, Psychology of A., New York. Sulla presenza di una mne- motecnica
presso i Greci cfr. la testimonianza della RAetorica ad He- [Nel De oratore di CICERONE,
la memoria viene trattata come una delle cinque parti che costituiscono la
tecnica dell’oratore. Dopo aver fatto riferimento all’episodio del poeta
Simonide (primum ferunt artem memoriae protulisse) che aveva identificato i
corpi dei partecipanti a un banchetto sfigurati dal crollo del soffitto
ricordandosi il posto (/ocum) che essi avevano occu- pato, Cicerone metteva in
luce la opportunità, in base al presupposto che l’ordine giovi alla memoria, di
scegliere dei luoghi, di formare le immagini dei fatti o concetti che si
vogliono ricordare, di collocare quelle immagini net luoghi. L’ordine secondo
il quale sono disposti i luoghi metterà in grado di ricordare i fatti. L'arte
della memoria appare in tal modo paragonabile e analoga al processo della
scrittura: i luo- ghi adempiono alla stessa funzione della tavoletta cerata, le
immagini hanno la stessa funzione delle lettere. L'uso delle immagini appare
fondato sulla necessità di un ricorso al piano del senso e sulla maggior
persistenza della memoria visiva («ea maxime animis adfigi nostris quae essent
a sensu tradita atque impressa; acerrimum autem ex omnibus nostris sensibus
esse sensum videndi »). I luoghi dovranno essere molti, chiari c collocati
modicis intervallis; le immagini risulteranno tanto più efficaci quanto più
atte a colpire le facoltà immaginative («est utendum imaginibus agentibus,
acribus, insignitis quae occurrere celeriterque percutere animum possint. Il De
institutione oratoria di Quintiliano. Pur avanzando qualche riserva
sull’utilità della € mnemo- tecnica, Quintiliano, che inizia anch’egli la sua
esposizione con il racconto di Simonide, dedica all'argomento una tratta- zione
assai più ampia e dettagliata di quella ciceroniana. Sulla costruzione dei
/xoghi della memoria artificiale Quintiliano renniun. Scio plerosque Graccos,
qui de memoria scripse- runt... ». Sulla tecnica della memoria in Ippia d’Elide
cfr. l'ipotesi avan- zata da O. Arett, Bettriige zur Geschichte der antiken
Philosophie. Sono da vedere anche: J. A. ErnESTI, Lexicon teclnolo- giae
Graccorum rhetoricae, Lipsia; Lexicon technologiae Lati- norum rhetoricae,
Lipsia. Laurap, Manuel des etudes grecques et latnes, La mnémotechnie des
anciens, Les Humanités, si sofferma a lungo: per raggiungere risultati
efficienti è opportuno servirsi, egli afferma, di un edificio collocando le
varie immagini nei singoli luoghi ordinatamente disposti all’in- terno delle
singole stanze. « Visitando mentalmente l’edificio » (che può essere anche un
edificio pubblico o può essere sosti- tuito dai bastioni di una città o da una
giornata suddivisa in varî periodi o da una costruzione immaginaria e «
non-reale ») sarà possibile « riprendere » le diverse immagini (e quindi ri-
chiamare alla mente i fatti o i concetti che esse esprimono) dai diversi loghi
nei quali esse sono rimaste custodite. La RAetorica ad C. Herennium (MI,
16-24). In questo scritto di autore ignoto che i medievali, attribuendolo a CICERONE,
qualificano come rhetorica nova o secunda (per distinguerlo dal De inventione o
rhetorica vetus) ritro- viamo presenti le stesse regole e gli stessi precetti
ai quali ci siamo riferiti parlando di CICERONE e di Quintiliano. La
distinzione fra memoria naturale e memoria artificiale appare formulata con
estrema chiarezza: « sunt igitur duae memo- rine: una naturalis, altera
artificiosa. Naturalis est ea quae nostris animis insita est et simul cum cogitatione
nata; artifi- ciosa est ea quam confirmat inductio quaedam et ratio prae-
ceptionis ». Fra i /uoghi, che per
ricordare molte cose do- vranno essere assai numerosi, troviamo elencati:
aedes, interco- lumnium, angulum, fornicem et alia quae his similia sunt. Le
immagini, che sono le formae o notae o simulacra di ciò che si intende ricordare,
vanno collocate nei luoghi: «allo stesso modo infatti in cui coloro che
conoscono le lettere dell’alfa- beto possono scrivere ciò che viene dettato e
recitare ciò che scrissero, così coloro che hanno appreso l’arte mnemonica pos-
sono collocare nei luoghi le cose che hanno udito e da questi ripeterle a
memoria ». Mentre le immagini sono variabili, i luoghi dovranno essere fissi («
imagines, sicut litterae, delentur, ubi nihil utimur; loci, tanquam cera,
remanere debent ») e ordinatamente disposti: ciò darà la possibilità di
richiamare mentalmente le immagini indifferentemente dall’inizio, dal termine o
dalla metà di un ordinamento o elenco.'* !° Sull’epoca di composizione della
Rhetorica ad H. cfr. la introduzione di F. Marx all'edizione di Lipsia. Sulla
posizione dei me- [Il De bono e il
commento al De memoria et reminiscentia di Alberto Magno; la Summa theologiae e
il commento al DE MEMORIA ET REMINISCENTIA d’AQUINO. Le trattazioni della
memoria contenute nel De Bono di Alberto e nella Summa di Tommaso !* si
richiamano esplici- tamente alla fonte aristotelica e a quella
pseudo-ciceroniana. Per Alberto, « ars memorandi quam tradit Tullius optima est
»; i precetti della mnemotecnica servono all’etica e alla retorica; la memoria
delle cose che concernono la vita e la giustizia è duplice: naturale e
artificiale. « Naturalis est quae ex bonitate ingenii deveniendo in prius
scitum vel factum facile memo- ratur. Artificialis autem est, quae fit
dispositione locorum et imaginum ». Come in tutte le altre arti, anche qui
l’arte e la virtù aggiungono perfezione alla natura e poiché nella nostra
azione «ex praeteritis dirigimur in praesentibus et futuris et non e converso
», la memoria si presenta, accanto alla intelli- gentia e alla providentia,
come una delle tre parti che costi- tuiscono la virtù della prudenza. Come ha
ben chiarito la Yates,!” l’autorità alla quale si appellavano Alberto e Tommaso
nella loro considerazione della memoria come parte della pru- denza era il De
inventione ciceroniano e poiché Cicerone nella sua seconda retorica (la
Rhetorica ad Herennium) aveva di: stinto tra memoria naturale e memoria
artificiale dettando le regole per la acquisizione della memoria artificiale
mediante l’impiego dei loc: e delle imagines, quella distinzione e que- dievali
di fronte a questo saggio. L'attribuzione del testo a Cornificio: RapHaeL
Recius, Utrum ars rhetorica ad H. Ciceroni falso iscribatur, in Ducenta
problemata in totidem institutionis oratoriae Quintiliani depravationes,
Venezia, 1491. Per la posizione di Valla sull'argomento cfr. VALLA (si veda),
Opera, Basilea, Cfr. ALBERTI Magni, De
Bono, Monasterii Westfaliorum in aedibus Aschendorff, 1951, vol. XXVIII, 249
segg. Il commento di Alberto al De memoria ct reminiscentia in Opera, ed.
Borgnet, IX, pp. 97 segg.; quello di Tommaso in Opera omnia, ed. Fretté,
Parigi, e In Avristotelis libros de sensu et sensato, de memoria et
reminiscentia commentarium, Roma, YatEs, The Ciceronian Art of Memory, nel vol.
Medioevo e Rinascimento, studi in onore di NARDI, Firenze] ste regole entravano
ad occupare un posto di primaria impor- tanza nella discussione di Alberto e di
Tommaso sulla me- moria come parte della prudenza. Di questa alta considera-
zione della € mnemotecnica “ciceroniana” è del resto precisa testimonianza l’ampiezza
della discussione di Alberto e la sua minuziosità: praticamente vengono
esaminati, nel De dono, tutti i precetti contenuti nella Retorica ad Herennium.
Basta, a titolo di esempio, riportare qui il passo di Alberto che si riferisce
al carattere «inconsueto » che devono avere le immagini: « Ad aliud dicendum,
quod mirabile plus movet quam consuetum, et ideo cum huiusmodi imagines
translatio- nis sint compositae ex miris, plus movent quam propria con- sueta.
Ideo enim primi philosophantes transtulerunt se in poe- sim, ut dicit
Philosophus, quia fabula, cum sit composita ex miris, plus movet ». Il richiamo
ad Aristotele è particolar- mente significativo: questi testi di Alberto e
Tommaso si pre- sentano infatti come un tentativo di fusione tra il testo
aristo- telico e quello ciceroniano. Ciò appare particolarmente evi- dente
nella trattazione della Summa theologiae tomistica. Muovendo dalla nota
identificazione della memoria con una parte della prudenza (« convenienter
memoria ponitur pars pruden- tiae... necessaria est ad bene consiliandum de
futuris »), Tom- maso mette a confronto la possibilità che ha la prudenza di
essere aumentata e perfezionata ex exercitio vel gratia con quella che si offre
alla memoria di essere perfezionata me- diante l’arte (« non solum a natura
perficitur, sed etiam habet plurimum artis et industriae »). Le quattro regole
della me- moria artificiale enunciate da Tommaso riguardano: l’uso delle
immagini (« quasdam similitudines assumat convenien- tes »), l'ordine che facilita
il passaggio dall’uno all’altro con- cetto o dall’una all’altra immagine («ut
ex uno memorato facile ad aliud procedatur »); la necessità della
concentrazione in vista della costruzione dei luoghi; la frequente ripetizione
in vista della conservazione dei concetti (« quod ea frequenter meditemur quae
volumus memorari »). La prima e la terza di queste regole derivano dalla
R&etorica ad Herennium, la se- conda e la quarta dal De memoria et
reminiscentia aristo- telico: non a caso, nel commento al De memoria, la prima
regola apparirà eliminata, la terza verrà adattata al testo aristotelico
mediante l’esclusione del riferimento alla costru- zione dei luoghi. Accanto
alle citazioni di Aristotele, di CICERONE e dello PSEUDO-CICERONE (si veda), di
Quintiliano, di Alberto e d’AQUINO, compaiono spesso, nei trattati di ars
memorativa composti fra il Trecento e il Seicento, i nomi di Platone (per il
luogo del Timeo, che fa riferimento alle maggiori capacità mnemoniche della
adolescenza, di Seneca (che in De deneficiis, Itocca, a proposito della memoria
dei bencfzi ricevuti sia il tema della frequenza sia quello dell’ordine), di
Agostino (per i ben noti passi sulla memoria nelle Confessioni e per i brevi
riferimenti in De Trinitate). Lo stesso sommario elenco di queste « autorità »
basta da solo a mostrare come quella trattatistica di ars memorativa che si
diffonde largamente in Europa dopo il Trecento si richiami ad una assai antica.
e non mai inter- rotta tradizione. Attraverso una vasta produzione la cui
storia attende ancora di essere puntualmente indagata, questa tradi- zione si
era andata svolgendo secondo diverse linee di svi- luppo e su piani differenti:
mentre il testo aristotelico affron- tava questioni connesse con il problema
della sensazione (non a caso i commenti medievali al De memoria et
reminiscentia appaiono sempre connessi a quelli al De sensu et sensato), della
immaginazione e dei rapporti fra anima sensitiva e anima intellettiva, i testi
di Cicerone, di Quintiliano e dello pseudo- Cicerone si erano mossi su un piano
tipicamente ed esclusi- vamente « retorico » richiamandosi all'arte della
memoria come ad una tecnica i cui compiti e i cui problemi si esaurivano totalmente
sul piano di una funzionalità in vista dei partico- lari fini perseguiti
dall’oratore. Dal De rhetorica di Alcuino al tentativo di Giovanni di AQUINO in
Aristotelis libros de sensu et sensato. Si ergo ad bene memorandum vel
reminiscendum, ex praemissis qua- tuor documenta utilia addiscere possumus. Quorum primum est, ut studeat
quae vult retinere in aliquem ordinem deducere. Secundo ut profunde et intente eis mentem apponat.
Tertio ut frequenter medi- tetur secundum ordinem. Quarto ut incipiat reminisci
a principio. Salisbury di far rivivere gli ideali dell’eloguentia, fino allo
Speculum maius di Vincenzo di Beauvais, tutta la grande retorica medievale si
era collocata sotto il segno delle opere ciceroniane. Onde, com'è stato
giustamente notato, si può parlare di retorica scolastica solo ove si elimini
quasi comple- tamente dal termine “scolastica” il riferimento alla “autorità”
di Aristotele. In Alberto ed AQUINO i due piani sui quali si era andata
svolgendo nel corso del Medioevo la trattazione della memoria (il piano
speculativo e quello tecnico) appaiono per la prima volta strettamente connessi
e intrecciati: la psicologia razionale di Aristotele costituisce, per i due
grandi maestri della scolastica, lo sfondo e la cornice entro la quale quella
tecnica (che aveva avuto in CICERONE ec nella rhetorica secunda la sua
espressione più alta) andava collocata, inserita e giustificata. Come lYates ha
messo opportunamente in luce, questo sfondo rigidamente razionalistico della
mnemo- tecnica albertino-tomista costituiva molto probabilmente la [Di Atcuino
cfr. la Dispetatio de rhetorica et de virtutibus sapientissini Regis Karli et
Albini magistri (in Mine, P. L., in Ham, RAetores latini minores, e ora, in
Howett, The Rhetoric of Alcuin et Charlemagne, Princeton. Nella trattazione
delle cinque parti della retorica (trattazione che riproduce direttamente o
indirettamente quella ciceroniana) ci si limita ad affermare che l'arte della
memoria è stata raccomandata da Cicerone. Nel De dialectica (Micne, P. L.) la logica
viene sud- divisa in due parti: dialettica e retorica (K. Logica in quot
species dividitur? A. In duas, in dialecticam et rhetoricam). Mentre la tratta-
zione della dialettica derivava da Isidoro, da BOEZIO (si veda), dall’anonimo
Categoriae decem (ritenuto una traduzione agostiniana delle Categorie
aristoteliche), la trattazione della retorica, fondata sulla partizione delle
cinque grandi arti del De inventione, era assai vicina (come ha notato Howell)
allo spirito della trattazione ciceroniana. Più ampi riferi- menti alla memoria
appaiono presenti in Marciano CAreLLA, V, ove ci si richiama all'episodio di
Simonide (intellexit ordinem esse qui me- moriae praeccpta conferet), e nella
Novissima Rhetorica del BoxncowPAGNO
dove ci si richiama ad un abecedario immaginario come strumento per
l'arte della memoria. Leggo il passo di BONCOMPAGNO (si veda) sulla memoria
nella trascrizione che da TOCCO, Le opere latine, cit., p. 25 dal Cod. marciano
lat. cl. X, 8, f. 29v. Pa- gine essenziali sulla retorica medievale ha scritto
E. R. Curtius, Europiische Litteratur und lateinisches Mittelalter, Berna, 1948
(trad. fr. Parigi, 1956, pp. 76-98). °° F. A. Yates, The Ciceronian Art of
Memory] base del tentativo compiuto da Alberto e da Tommaso di sganciare
nettamente le tecniche della memoria artificiale dal piano magico-occultistico
dell’ars rotori o di un'arte “magica” della memoria intesa come “arte somma” o
come chiave della realtà universale. Nell’ars motoria, come poi avverrà più
tardi in taluni testi del pieno e del tardo Rinascimento, il problema dell’arte
memorativa appare infatti strettamente collegato a quello di un'arte segreta o
scientia perfecta capace di con- durre ad omnium scientiarum et naturalium
artium cogni- tionem mediante il congiungimento delle regole dell’arte con
formule di invocazione, figure mistiche e preghiere magiche.” Comunque stiano
le cose, è certo che sulla via inaugurata dai due grandi domenicani, la via
cioè di una sintesi tra le dottrine aristoteliche e quelle ciceroniane, si muoveranno
non pochi scritti di arte mnemonica. Chiaramente su questa linea è per esempio
il domenicano Bartolomeo da San CONCORDIO (si veda). Nel capitolo dedicato a quelle
cose che giovano a buona memoria » da lui inserito ne Gli ammaestramenti degli
antichi, frate Bartolomeo (dopo aver richiamato la Rée- thorica ad Herennium,
il Timeo, il De memoria e il secondo libro della Retorica di Aristotele, l’Ars
poetica di Orazio) fa- ceva larghe citazioni dal commento di Tommaso al De me-
moria e dalla « seconda della seconda » della Summa: «Di quelle cose che huomo
si vuol ricordare pigli alcune conve- nevoli simiglianze, ma non del tutto
usate; imperrocchè delle cose disutate più ci meravigliamo... Conviensi che
quelle cose che huomo vuole in memoria ritenere, egli colla sua consi-
derazione l’ordini sì, che ricordandosi dell’una vegnia nel- l’altra ». Il
riferimento alla dottrina ciceroniana dei luoghi e delle immagini appare
altrettanto esplicito: « Di quelle cose che vogliamo memoria havere, doviamo in
certi luoghi allogare imagini e similitudini ». Gli VIII precetti esposti da CONCORDIO:
I. apparare sin da garzone; II fortemente attendere; III ripensare spesso; IV ordinare;
V cominciar dal principio; VI pigliar simiglianza; VII non gravar la memoria di
troppe cose; VIII usare dei versi e delle rime -- appaiono quindi Cfr. il cap.
Salomon and the Ars notoria in THORNDIKE, History of magic and experimental
science, New York] ricavati da una sintesi tra i varî testi ai quali egli si è
richia- mato.?° Esclusivamente ispirato alla RAetorica ad Herennium (no-
nostante che l’autore dichiari due volte di «discostarsi da Tullio ») è invece
quel trattatello trecentesco in volgare sulla memoria artificiale che è stato
erroneamente attribuito a Bar- tolomeo. Accanto alla definizione del luogo («
una cosa dispo- sta a poter contenere in sè alcuna altra cosa ») e della imma-
gine («il representamento di quelle cose che si vogliono tenere a mente »)
compaiono in questo breve scritto sia la distinzione fra luoghi naturali «
facti per mano di natura » e artificiali « facti per mano d’huomo », sia le
regole relative alla costru- zione dei luoghi e al carattere simbolico delle
immagini: « An- cora conviene che la imagine sia segnata da alcuno segno il
quale si convenga per la cosa per la quale è facta, cioè che la imagine del re
pare che gli si convenga il segno della corona et a’ cavalieri il segno dello
scudo... Ancora conviene che a la imagine si faccia alcuna cosa, cioè che la
proprino, quanto agli acti, quelle cose che a loro si convengono, si come si
conviene ad uno lione dare l’imagine apta et ardita... Adunque veg- giamo
sempre che ne’ luoghi si convengono porre le imagini sì come nelle carte si
convengono porre le lettere. Questo tipo di rapporto fra luoghi e immagini, che
risale alla Retorica ad Herennium, e che resterà per tre secoli uno degli
assiomi fondamentali dell’« arte », appare del resto pre- sente anche in altri saggi.
L’arte della memoria per due, luoghi et imagini, è facta. E’ luoghi non hanno
diferentia da le imagini se non perché sono imagini fisse sopra le quali,
siccome sopra a charta, alcune imagini sono dipinte... ?2 Fra BartoLoMEo di San
CONCORPIO (si veda), Ammaestramenti degl’antichi. Il testo, per intero
riprodotto in appendice, è contenuto nei codici Palat. 54 e Conv. soppr. della
Nazionale di Firenze. Un altro commento alla RAetorica ad Herennium ( è
contenuto nel Cod. Aldino di Pavia: cart. sec. XV, di cc. III con numerazione
di mano più recente. Il Textus de artificiali memoria: Mo passamo al texoro de
le cose trovate et de tutte le parte de la Rectorica custodevole Me- moria.
Expl.: Con le cose premesse cioè con Studio, Fatiga, Ingegno, Diligentia. Finis
commenti in particulari. onde i luoghi sono come materia e le imagini come
forma ».5! Le varie regole presenti nel trattatello precedentemente citato
tornavano, con lievi differenze, anche in questo scritto. Ma della diffusione
negli ambienti domenicani del secolo XIV dell’ars memorativa fanno fede, oltre
i testi citati, anche quella connessione, che in molti casi venne a stabilirsi
fra l’ars me- moriae e l’ars praedicandi. Non a caso Lodovico Dolce, che fu nel
Cinquecento uno dei più noti volgarizzatori dei pre- cetti della retorica e di
quelli della mnemotecnica, si richia- mava nel 1562? alla Summa de exemplis et
similitudinibus di Fra Giovanni GORINI (si veda) di S. Gimigniano come ad uno
dei testi capitali dell’arte mnemonica e collocava il suo nome, accanto a
quello di Cicerone e di Pietro da Ravenna, nell’elenco dei fondatori dell’arte.
In quel testo che si era pre- sentato come « perutilis praedicatoribus de
quacumque mate- ria dicturis », la costruzione di analogie fra i vizî e le
virtù da una parte e i corpi celesti e i moti della terra dall’altra dava luogo
appunto ad una tecnica del costruire immagini capace di consentire al
predicatore una ordinata esposizione e di col- pire in modo efficace e
persuasivo la fantasia degli ascoltatori. Accanto a preoccupazioni di questo
genere, un vero e proprio interesse per una tecnica della memoria non era stato
del resto affatto estraneo ai cultori di quella scienzia quae tradit formam
artifictaliter praedicandi*" che aveva avuto nel Trecento una 24 Cod.
Magliab. La data in fine (Explicit et finitus die X mensis junii millesimo CCCC®
XX° Indit. XIII per Petrum quon- dam Ser Petri de Pragha) fa riferimento alla
stesura della miscellanea nella quale il cod. è contenuto. Altri passi, diversi
da questo qui ripor- tato, di questo stesso cod. furono trascritti dal Tocco,
Le opere latine. Dialogo di DOLCE (si veda) nel quale si ragiona del modo di
accrescere et conservar la memoria, in Venetia, appresso Sessa, prima cdizione,
Triv. Mor. Il saggio di GORINI (si veda) e pubblicato a Venezia: Semma de exemplis et
similitudinibus rerum noviter impressa. Incipit summa insignis et perutilis praedicatoribus
de quacunque materia dic- turis fratris Johannis de Sancto Genuniano, Impressum
Venetiis per Johannem et Gregorium de Gregoris. L'espressione è di BASEVORN (si veda), autore di una
Forma praedicandi. Il saggio è stato pubblicato in appendice a Charvanp, Artes
praedicandi, contribution] è larghissima diffusione. Per uno dei maggiori
teorici della predicazione, Waleys, la divisio thematis esercita una funzione
precisa : Dato vero quod tantum una fiat divisio thematis, adhuc illa divisio
erit bene utilis, tam praedicatori quam auditori. Non enim propter solam
curiositatem, sicut aliqui cre- dunt, invenerunt moderni quod thema dividant,
quod non consucverunt antiqui. Immo, est utilis praedicatori, quia divisio
thematis in diversa membra pracbet occa- sionem dilatationis in prosccutione
ulteriori sermonis. Auditori vero est
multum utilis, quia, quando praedicator dividit thema et postmodum membra
divisionis ordinate et distinctim prosequitur, faciliter capitur et tenetur tam
materia sermonis quam etiam forma et modum praedicandi. In quel singolare
prodotto di cultura che fu la medievale ars praedicandi le esigenze della
persuasione retorica, della co- struzione di immagini capaci di dar luogo ad
emozioni ben controllabili si connettevano in tal modo con i precetti relativi
all'ordine e al metodo concepiti come strumenti per imprimere nella memoria i
contenuti e la forma dell’orazione. In molti trattati quella caratteristica
tematica speculativa che faceva da sfondo alle trattazioni di Alberto, di
Tommaso, di frate Bartolomeo viene decisamente abban- donata. Come avviene per
esempio nelle Artificialis memoriae regulae di Iacopo RAGONE (si veda) da
Vicenza conservate in varì manoscritti l’interesse dell’autore si volge
l’histoire de la rhetorique au Moyen Age, Paris. Si vedano i cataloghi dei mss.
compilati da H. CapLan, Mediaeval Artes praedicandi. A Hand-List e A supplementary
Hand-List, Cornell Studies in Classical Philology, Ithaca, e, dello stesso
autore, A late mediaeval Tractate on Preaching, nel vol. Studies in Rhetoric and Public Speaking in honour of
Winans, New York, Cfr. Waters, De modo
componendi sermones, in ChÒartanp, Artes praedicandi. n Nel codice
marciano il trattato di RAGONE (si veda)
è conservato in due esemplari (di diversa mano). Un terzo esem- plare è nel
codice marciano, un quarto nel cod. dell’Ambrosiana. Lievi le differenze. I
passi qui citati sono stati tra- in modo esclusivo ad un esame ampio e
dettagliato delle tecniche di ricerca dei luoghi: 53r. Iussu tuo, princeps
illustrissime, artificialis memorie re- gulas, quo ordine superioribus diebus
una illas exercuimus, hunc in librum reduxi tuoque nomini dicavi, imi- tatus
non modo sententias, verum et plerunque verba ipsa CICERONE et aliorum
dignissimorum philosophorum qui accuratissime de hac arte scripserunt. Praeceptore
CICERONE ac etiam teste AQUINO, artificialis memoria doubus perficitur: locis
videlicet et imaginibus. Locos enim consideraverunt necessarios esse ad res
seriatim pronunptiandas et diu memoriter tenendas, unde sanctus Thomas oportere
inquit ut ca que quis memoriter vult tenere, illa ordinata consideratione
dispo- nat ut ex uno memorato facile ad aliud procedatur. Ari- stoteles etiam
inquit in libro quem de memoria inscripsit: a locis reminiscimur. Necessarii
sunt ergo loci ut in illis imagines adaptentur ut statim infra patebit. Sed
imagines sumimus ad confirmandum intentiones, unde allegatus AQUINO: oportet,
ait, ut eorum quae vult homo memorari quasdam assumat similitudines
convenientes. Dopo essersi rapidamente richiamato alla fonte ciceroniana e a
quella tomistica, Ragone passa a trattare, in modo molto più articolato di
quanto non avessero fatto gli autori da lui citati, delle caratteristiche della
memoria «locale » : 53 v. Differunt vero loci ab imaginibus nisi in hoc quod
loci sunt non anguli, ut existimant aliqui, sed imagines fixe super quibus,
sicut supra carta, alic pinguntur imagines delebiles sicut littere: unde loci
sunt sicut materia, imagi- nes vero sicut forma. Differunt igitur sicut fixgum
et non fixum. Consumitur autem ars ista centum locis, quatenus expedit pro
integritate ipsius. Sed, si tue libuerit celsitu- dini, poterit eodem alios
sibi locos invenire faciliter per horum similitudinem. Sed oportet omnino non
modo bona, verum etiam optima diligentia ac studio locos ipsos notare et
firmiter menti habere, ita ut, modo recto et scritti dal Cod. marciano 274 ai
ff. 53-66; si è fatto ricorso, per la com- prensione dei passi dubbi, sia
all'altro esemplare contenuto nello stesso Codice, sia al Cod. T. 78 sup.
dell'’Ambrosiana, ff. 1-21v. Il testo del Ragone è dedicato al Marchese di
Mantova: Ad illustrissimum princi- pem et armorum ducem Iohannem Franciscum
Marchionem Mantue. Artificialis memorie regule per Iacobum Ragonam vicentinum.
Nel cod. dell'’Ambrosiana il titolo è invece: Tractatus brevis ac solemnis ad
sciendam et ad conseguendam artem memorie artificialis ad M. Mar- chionem
Mantue retrogrado ac iuxta quotationem numerorum, illos prompte recitare queas.
Aliter autem frustra temptarentur omnia. Expedit igitur ut in locis servetur
modus, ne sit inter illos distantia nimis brevis vel nimium remota sed moderata
ut puta sex vel octo aut decem pedum vel circa iuxta magni- tudinem camere; nec
sit in illis nimia claritas vel obscuritas sed lux mediocris. Et est ratio quia
nimium remota vel an- gusta, nimium clara vel obscura causant moram inquisi-
tionem imaginative virtutis et ex consequenti memoriam retardant dispersione
rerum que representande sunt aut earum nimia conculcatione, sicut oculus
legentis tedio af- fligitur si litterc sint valde distincte et male composite
aut nimis conculcate. Loci vero quantitas non est adeo su- menda modica, ut
numero videatur esse capax imaginis, quia violentiam abhorret cogitatio ut si
velles pro loco sumere foramen ubi aranca suas contexit tellas et in illo 54r.
velles equum collocare, non videretur modo aliquo posse / equum capere. Sed
ipsorum locorum quantitas sumenda est ut statim inferius distincte notatum
invenies. I luoghi dovranno dunque esser disposti in modo da consen- tire una
facile e rapida lettura: la loro distanza e la loro gran- dezza sono state
stabilite sulla base di alcune osservazioni di natura psicologica. Si tratta
ora, sempre sulla base di osserva- zioni dello stesso tipo e tenendo conto di
determinate asso- ciazioni che si presentano fra i varî contenuti della
memoria, di procedere ad una scelta dell’« edificio » nel quale i luoghi (e di
conseguenza le immagini) dovranno essere collocati : 54 r. Oportet etiam ne
loci sint in loco nimium usitato sicut sunt plateac ct ecclesie, quoniam nimia
consuetudo aut aliarum rerum representatio causant perturbationem et non claram
imaginum representationem ostendunt sed confu- sam, quod summopore est
cavendum, quia si in foro locum constitueres et in co rei cuiuspiam simulacrum
locares, cum de loco simulacroque velles recordari, additus, reddi- tus,
meatusque frequens et crebra gentis nugatio contur- baret cogitationem tuam.
Studebis ergo habere domum que rebus mobilibus libera sit et vacua omnino, et
cave ne assumas cellas fratrum propter nimiam illarum similitu- dinem, nec
hostia domorum pro locis quia cum nulla vel parva tibi sit differentia idco
confusio. Habeas ergo do- mum in qua sint intra cameras salas coquinas scalas
vi- ginti, et quanto in ipsis locis dissimilitudo maior, tanto utilior. Nec
sint camere iste ct reliquie excessive magne vel parve, et in earum qualibet
facies quinque locos iuxta distantiam dictam superius scilicet sex aut octo vel
decem pedes. Et incipe taliter ut, a dextris semper ambulando vel a sinistris
quocunque altero istorum modorum ex apti- tudine domus tibi commodius fuerit,
non oportcat te re- trocedere. Sed, sicut in re domus procedit, ita continuen-
tur loci tui per ordinem domus, ut sit facilior impressio ex ordine naturali.
Sulle caratteristiche “materiali” dei luoghi (grandezza, lu- minosità,
non-uniformità, ecc.), sulla scelta e la funzione delle immagini, si sofferma,
con altrettanta minuziosità l'anonimo autore di un altro testo manoscritto °°
che risale, molto pro- babilmente, allo stesso periodo e agli stessi ambienti
culturali. De ordine locorum. Circa cognitionem et ordinem locorum debctis
scire quod locus in memoria artificiali est sicut carta in scriptura, propterea
quod scribitur in carta quando homo vult recordari et non mutatur carta. Ita
loca debent esse immobilia, hoc est dicitur quod locus de- bet semel accipi et
nunquam dimitti seu mutari sicut carta. Deinde super talia loca formande sunt
imagines il- larum rerum vel illorum nominum quorum vultis recor- dari sicut
item scribuntur in carta quando homo recordari vult. De forma locorum. Loca
debent esse facta ct ita formata 42r. quod non sint nimis parva nec nimis magna
/ ut verbi gratia non debes accipere pro uno loco unam domum vel unam terram
vel unam schalam, nec etiam, sicut dixi, nimis parvum locum scilicet unum
lapidem parvum nec unum foramen vel aliud tale. Et ratio est ista: nam humanus
intellectus non circa magnas res nec circa parvas colligitur et imago evanescit;
sed debes accipere loca me- dia scilicet terminum clarum et non nimis obscurum,
nec enim debes accipere loca in illo loco nimis solitario, sicut in deserto vel
in silva, nec in loco nimis usitato, sed in loco medio: scilicet non nimis
usitato nec nimis deserto. Et 2° I passi di seguito citati nel testo sono stati
trascritti dal Cod. mar- ciano Ars: memoriae artificialis incipit. Ars memoriac
artificialis, pater reverende, est ca qualiter homo ad recordan- dum de
pluribus pervenire potest per memoriam artificialem de quibus recordari non
possit per memoriam naturalem). Dello stesso trattato ho visto altri tre
esemplari: il Vatic. lat. Practica super artificiali memoria. Pater et
reverende domine. Quatenus homo ad recordandum) che reca solo l’inizio del trattato;
il Vatic. lat. Ars memoriae artificialis est qualiter homo ad recor- dandum de
pluribus pervenire possit) che reca il trattato quasi com- pleto; il Vat. lat.
Ars memoriae artificialis est qualiter homo) che, come il Vat. lat., si
interrompe dopo le prime pagine. Al £. 68r. è ripetuto l’inizio del trattato.] nota
quod predicta loca bene scire debes ct ante et retro et ipsa adigerc per
quinarium numerum, videlicet de quinque in quinque. Et debes scire quod loca non
debent esse dissimilia, ut puta domus sit primus locus, secundus locus sit
porticus, tertius locus sit angulus, quartus locus sit pes schale, quintus
locus sit summitas schale. Et nota quod per quintum vel decimum locum dcebes
ponere unam manum auream aut unum imperatorem super quin- tum vel decimum
locum; qui imperator sit bene atque imperialiter indutus, vel aliquid aliud
mirabile vel defor- me, ut possis melius recordari. Et haec sufficiant quantum
ad formam locorum. Nunc autem videndum est de ima- ginibus per predicta loca
ponendis. De imaginibus. Est enim sciendum quod imagines sunt sicut scriptura
et loca sicut carta. Unde notatur quod 42v. aut vis recordari propriorum
nominum aut appellativo- rum aut grechorum aut illorum nominum quorum non
intelligis significata aut ambasiatarum aut argumentorum aut de aliis
occurrentibus. Ponamus igitur primum quod ego vellim recordari nominum
propriorum. Sic enim ponere debes imagines in proprio convenienti loco et ipso
sic facto: cum vis recordari unius divitis qui nominatur Petrus, immediate
ponas unum Petrum quem tu cogno- scas qui sit tuus amicus vel inimicus vel cum
quo habuisti aliquam familiaritatem, qui Petrus faciat aliquid ridi- culum in
illo loco, vel aliquid inusitatum, vel simile dicat... In secundo loco ponas
unum Albertum quem tu cognoscas, ut supra licet per alios diversos modos, vide-
licet quod dict:;s Albertus velit facere aliquid inusitatum vel deforme
scilicet suspendens se et ut supra. In tertio loco, si vis recordari istius
nominis equi, ponas ibi unum equum album, magnum ultra mensuram aliorum, et qui
percutiat quenpiam tuum amicum vel inimicum cum calcibus vel pedibus
anterioribus, vel aliquid simile faciat ut supra. Dalla lettura di queste lunghe citazioni ci sì può fare
un’idea abbastanza precisa di quale fosse l’effettivo “funzionamento” dell’ars
memorativa di origine “ciceroniana”. La qualificazione non è inutile perché la
mnemotecnica dei lullisti e degli aristo- telici è fondata su procedimenti
affatto differenti. Per realiz: zare l’arte mnemonica è necessario, in primo
luogo, disporre di una specie di struttura formale che, una volta stabilita,
possa essere sempre impiegata per ricordare una serie qualunque di cose o di
nomi (res aut verba). Questa struttura formale o fira e sempre reimpiegabile
(come dicono i teorici della mnemotecnica, la carta o la forma), viene
costruita in modo arbi- trario: si sceglie una località (edificio, portico,
chiesa ecc.) che può essere “fantastica” o reale e già di fatto conosciuta e si
fissano all’interno di questa località un certo numero di luoghi. Il carattere
arbitrario o convenzionale di queste scelte è, come abbiamo visto, limitato da
un certo numero di regole che riguardano: le caratteristiche della località e
dei luoghi (ampiezza, solitudine, luminosità ecc.); il modo nel quale i luoghi stessi devono
essere ordinati. È da ricordare infine che la maggiore o minore ampiezza di
questa struttura formale condiziona la quantità dei contenuti che in essa
possono essere inseriti: nel caso per esempio che si sia costruito un insieme
di cento luoghi, questa struttura potrà essere impiegata per ricordare una
quantità di nomi e oggetti fino a un massimo di cento (al problema della
multiplicatio locorum o del progres- sivo allargamento della struttura verranno
non a caso dedicate molte discussioni). La struttura formale così ottenuta si
presta ad essere riempita da contenuti mentali di qualsiasi natura e di volta
in volta variabili (/magines delebiles o materia o scrittura). Per effettuare
questo “riempimento” si fa ricorso alle immagini che devono simbolizzare, nel
modo più adatto a colpire in modo duraturo la mente, le cose o i termini che si
vogliono ricordare. Anche qui, l’arbitrarietà nella scelta delle immagini
appare limitata da regole che concernono: la “mostruosità” o “stranezza” delle
immagini e il loro carattere direttamente evocativo di contenuti. Le singole
immagini vanno infine collo- cate nei singoli luoghi “provvisoriamente” (in
vista cioè del ricordo di una particolare serie di nomi o di cose). Ripercor-
rendo mentalmente (in modo semi-automatico) la località pre- scelta o la
struttura costruita, si potranno aver presenti imme- diatamente, attraverso il
richiamo delle immagini e la sugge- stione da esse esercitata, i termini o le
cose appartenenti alla serie che si voleva ricordare. Data la struttura fissa
dei luoghi, termini e cose ricompariranno nel loro ordine originario e
quest'ordine sarà a piacere invertibile. Il problema della dispositio locorum e
della formazione delle immagini occupa, nelle trattazioni alle quali ci siamo
riferiti, una parte assai rilevante. Proprio su questo tipo di codificazioni
insisterà la maggior parte dei trattati quattro-cinquecenteschi,‘' ed è al
carattere esclusivamente “tecnico” che questi trattati vanno assumendo, che ci
dobbiamo richiamare per spiegarci la loro sostanziale uniformità. Gli autori
che si occupano dell’ars memorativa non si presentano mai come de- gli
inventori, ma sempre come dei “chiarificatori” dell’arte: essi si limitano a
trasmettere una serie di regole già codificate, cercando di esporle in forma
particolarmente accessibile e di giungere, se possibile, a qualche integrazione
o migliora- mento. Magari attraverso la riduzione delle regole ad uno
schematico formulario,®? l’arte dev’essere resa facilmente e so- # Si vedano
per esempio oltre ai due mss. dell'Ambrosiana (anche nel Cod. Angelica), il
Cod. marciano (De Memoriae locis libellus) e, alla Casanatense, il Liber seu
ars memoriae localis. Una breve trattazione in volgare degli stessi problemi è
nel Cod. Riccardiano: Appresso io Michele di Nofri di Michele di Mato del
Gioganti ragioniere mostrerò il prencipio dello ’nparare l’arte della memoria,
la quale mi mostrò il maestro Niccholo Cicco da Firenze, quando ci venni,
cominciando per locar luoghi nella casa mia. E queste sono lc otto sopradette
figure della memoria artificiale e tutti i modi, atti e cose che s’appartengono
in essi. E maturamente studiare et sapere, e verrai a perfezionare e a notizia
vera di presta scienza. È quanto avviene nel cod. dell’Ambrosiana, Regulae
artificialis memoriae. Locorum multitudo; locorum ordinato; locorum meditatio;
locorum solitudo; locorum designatio; locorum dissimilitudo; locorum mediocris
magnitudo; locorum mediocris lux; locorum distantia; locorum fictio. Locorum
multiplicatio: addendo diminuendo per sursum et deorsum, per antrorsum et
retrorsum, per destrorsum et sinistrorsum. Imaginum: alia in toto similis; alia
in toto dissimilis: per oppositionem, per diminutionem, per transpositionem
locorum, per alphabetum, per transuptionem locorum, per loquelam ». Si veda
anche, sempre all’Ambro- siana, il Cod. E. 58 sup., Ars memoriac. Locorum
multitudo, ordi- natio, permeditatio, vacuitas sive solitudo, quinti loci
signatio, locorum dissimilitudo, mediocris magnitudo, mediocris lux, distantia,
fictio. Locus multiplicatur: addendo, diminuendo, mutando (per sursum, deorsum,
antrorsum, retrorsum, dextrorsum cet sinistrorsum), mensurando (longum, latum,
profundum). Idolorum: aliud in toto simile, aliud in toto dissimile per
contrarium, per consuetudinem, per transpositionem (per alphabetum, sine
alphabeto), aliud parum simile per compositio- nem, per diminutionem, per
transpositionem, per trasunptionem (lite- rarum vel silabarum), per loquelam ».
Del trattatello qui trascritto dal Cod. Ambrosiano E. 58 sup. esiste un altro
esemplare, quasi identico, nel Ms. 90, f. 84v. della Casanatense. L'idea di
rendere l’arte rapida- mente acquisibile attraverso uno schema, si presenta
strettamente assoprattutto rapidamente acquisibile. Su quello che abbiamo chia-
mato il carattere “tecnico” di questi trattati, giova d’altra parte insistere
per intendere le finalità che essi si proponevano e il clima culturale entro il
quale essi poterono trovare larga dif- fusione. L’arte “ciceroniana” della
memoria si presenta, nel Quattrocento, come del tutto priva di finalità e di
intenti di carattere speculativo, si pone come uno strumento utile alle più
varie attività umane. Il trattatello manoscritto di GUARDI (si veda) (o Girardi
(si veda) eximii doctoris artium et medicinae magistri si propone per esempio
di insegnare a ricordare: i termini sostanziali e accidentali, gl’autori citati
(auczoritates), i discorsi comuni (orationes stmplices), il contenuto di
lettere, di collezioni e di libri di storia (epistolas, collectiones et
historias prolixas), le argomentazioni e i discorsi scientifico-filosofici
(argumenta et orationes sillogisticas), le poesie e i termini appartenenti a
lingue non conosciute (versus et dictiones ignotas, puta graecas hebraicas),
gli articoli del codice (capita legum). Sul modo di ricordarsi delle
ambasciate, delle testimonianze, degli argomenti insistono del resto tutti i
testi che si presentano talvolta come un adatta- mento delle regole della
mnemotecnica alla finalità di una vittoria nelle discussioni.” ciata all'altra
di una serie di versi mediante i quali si potessero rapida- mente mandare a
memoria le regole dell’arte. Si vedano per esempio i versi ai quali fa ricorso
il magister Girardus – GIRARDI (si veda) nel trattato contenuto nel Cod. sup.
dell’Ambrosiana c, in altro esemplare, nel cod. dell'Angelica, e il Tractatus
de memoria artificiali carmine scriptus che ho visto nel cod. dell’Ambrosiana.
Un altro esemplare nel Ms. dell’Angelica. Cfr. il già citato Cod. Marciano. De
ambasiatis recordandis. Si vis recordari unius ambasiate quam facere debes,
pone in loco imaginato ut supcerius scribebam... Si ambasiata est nimis
prolixa, tunc pone unam partem ambasiate in uno loco et aliam partem in uno
alio loco ut supra, quia memoria naturalis adiuvabit te. De argumentis recitandis.
Argumenta si recitare velis... De testis recor- dando. Si vis recordari unius
testis ponas primam particulam in illo loco, primam in primo, tertiam in tertio
et sic de aliis successive... ». Ma si veda anche il Cod. Ambrosiano Ambasiatas
vero sì commode volueris recordari.. Sulla costruzione di argomenti insistono
molto trattati. Si veda per esempio il Cod. Marciano. Legata per le sue stesse
origini agli intenti pratici della retorica, l’ars memorativa intende dunque
presentarsi come un aiuto per chi è impegnato in varie guise in attività mon-
dane e civili. Il Congestorius artificiosae memoriae di Romberch, un testo che
ebbe nel Cinquecento diffusione eu- ropea, si presenta come un’opera utile a
teologi, predicatori, professori, giuristi, medici, giudici, procuratori,
notai, filosofi, professori di arti liberali, ambasciatori e mercanti. Che
testi di questo genere potessero effettivamente presen- tare una qualche reale
utilità appare senza dubbio difficilmente credibile. Tuttavia se dobbiamo prestar
fede a una serie nume- rosa di testimonianze, gli assertori e i teorici della
mnemo- tecnica erano giunti a risultati di un qualche rilievo. Il celebre Tomai
(si veda), autore di un trattatello sulla memoria artificiale (Venezia) che ha enorme
[Tractatus de memoria artificiali adipiscenda eaque adhibenda ad argumentandum
ct respondendum (Inc.: Ne in vobis, fratres, imo fili carissimi opus omittam
devotionis). 35 Congestorius artificiosae memoriae ]oannis Romberch de Kryspe,
omnium de memoria pracceptione aggregatim complectens. Opus omnibus Theologis,
praedicatoribus, professoribus, iuristis, iudicibus, pro- curatoribus,
advocatis, notariis, medicis, philosophis, artium liberaliun: professoribus,
insuper mercatoribus, nuncits, et tabelariis pernecessarium, Venetiis, in
aedibus Georgii de Rusconibus (Triv. Mor.). Phoenix seu artificiosa memoria
domini TOMAI (si veda) memoriae magistri, Bernardinus de Choris de Cremona
impressor delectus im- pressit Venezia. Una copia di questa edizione originale
curata dallo stesso autore è contenuta, insieme a due altri incunaboli, nel
cit. Cod. Marciano. A questa prima edizione si richiamano le citazioni del
testo e quelle riportate nell'appendice. Le regulae dell'operetta di TOMAI -- dalla
prima alla dodicesima -- sono presenti nel Cod. Vat. lat. (Fenix domini TOMAI
memoriae magistri. Expl.: Finis. Deo gratias matrique Mariae) e sono in parte
riprodotte anche nel Cod. Aldino di di Pavia. Cfr. Magister TOMAI de memoria.
Expl.: Expliciunt regulae memoriae artis egregii ac rmemorandi viri Petri
Magistri de Memoria. Su Pietro da Ravenna cfr., oltre al TiraposcHi, Storia
della letteratura italiana, Modena,; BORSETTI risonanza e non sarà senza
influenza su BRUNO, afferma di poter disporre di più di centomila luoghi che si
era andato costruendo onde riuscir superiore a tutti nella conoscenza del
diritto romano. Cum patriam relinquo — scrive — ut peregrinus urbes Italiae
videam, dicere possum om- nia mea mecum porto; nec cesso tamen loca fabricare. Di
fronte al suo maestro Alessandro Tartagni da Imola, a Pavia, TOMA si mostra in
grado di recitare a memoria totum codicem iuris civilis, il testo e le glosse,
di ripetere parola per parola le lezioni di Alessandro e più tardi, a Padova,
aveva stupefatto il capitolo dei canonici regolari recitando a memoria prediche
intese una sola volta. Della sua abilità egli parla del resto a più riprese in
pagine nelle quali un’accorta auto- propaganda si associa al manifesto
desiderio di suscitare nell'animo dei lettori una stupefatta ammirazione per
tanto prodigio. Mi è testimone Padova. Ogni giorno leggo, senza bisogno di
alcun libro, le mie lezioni di diritto, proprio come se avessi il libro dinanzi
agl’occhi, ricordo a memoria il testo e le glosse e non ometto la benché minima
sillaba. Ho collocato in XIX lettere dell’abecedario ventimila passi del
diritto civile e, nello stesso ordine, settemila passi dei libri sacri, M carmi
di OVIDIO. CC sentenze di CICERONE, CCC detti dei filosofi, la maggior parte
dell’opera di VALERIO Massimo. Historia Gymnasti Ferrariac, P. Ginann I,
Scrittori ravennati. Alla Classense di Ravenna è da vedere, per una biografia,
il Cod. Mob. contenente la genealogia dei TOMAI (si veda).Le ragioni del
termine phœnix contenuto nel titolo sono chiarite dal stesso TOMAI. Et cum una sit foenix et unus iste libellus, libello si
placet Foenicis nomen imponatur. Ma
alla fenice fanno riferimento, nello stesso senso, anche altri saggi: si veda
per es. nel cod. Palat. 885 della Naz. di Firenze il Liber qui dicitur Phenix super lapidem
philosophorum -- Post diuturnam operis fatigationem. Expl.: de lapide
philosophorum natura et compositione sive fixione quae dicta sunt observentur. Deo gratias. Finis). Phoenix seu artificrosa
memoria. Phoenix seu artificiosa memoria, cit., ff. 92v.-94v. (cfr. i passi ri-
portati nell’appendice). Ma si veda anche quanto scrive TOMAI. In magna
nobilium corona, dum essem adolescens, mihi semel fuit propositum ut aliqua
nomina hominum per unum ex astantibus IMMAGINI E MEMORIA LOCALE. Meno sospette
delle testimonianze dell’interessato appaiono quelle di Eleonora d’Aragona, che
chiamava l’intera città di Ferrara a testimoniare della prodigiosa memoria di
TOMAI o di Bonifacio del Monferrato che, dopo aver constatato la sua
straordinaria virtù, lo raccomanda caldamente ai re, ai principi, ai magnifici
capitani e ai nobili italiani, o infine del doge Barbarigo. Comunque stiano le
cose, è certo che la straordinaria fama della quale gode in Italia questa
singolare figura e affidata, più che alle sue pur non trascurabili cognizioni
giuridiche, al fatto che egli si presentiva come la vivente dimostrazione della
validità di un'arte alla quale si volgevano, in quell’età, le speranze e le
aspirazioni di molti. Professore di diritto a Bologna, a Ferrara, a Pavia, a
Pistoia, a Padova, TOMMAI contribuì senza dubbio a diffondere, in tutta Italia,
l’interesse per l’ars memorativa. Conteso al doge veneziano da Bugislao duca di
Pomerania e da Federico di Sassonia, TOMMAI vide aperte dinanzi a sè le porte
di Wittenberg. Dopo aver rifiutato un invito del re di Danimarca, passa a
Colonia e di qui, accusato di poco corretto comportamento -- scholares itali
non poterant vivere sine meretricibus – e costretto a ritornarsene in Italia.
La notorietà di questo personaggio e l’ammirazione per la sua opera non saranno
senza risonanze. La Phoenix seu artificiosa memoria del Ravennate esercita su
tutta la successiva produzione di mnemotecnica una larghissima influenza e a TOMMAI
si rifaranno, come ad un eccelso maestro, tutti i filosofi italiani. La
diffusione di questo saggio, stampato per la prima volta a Venezia, poi
ripubblicato a Vienna, a Vicenza, a Colonia, tradotto in inglese da una
precedente edizione in lingua francese, basta da sola a mostrare come del dicenda recitarem. Non negavi. Dicta ergo
sunt nomina. In primo loco posui amicum illud nomen habentem, in secundo
similiter, et sic quot dicta fuerunt, tot collocavi, et collocata recitavi ». i
Il testo della lettera di Eleonora d'Aragona è in Phoenix seu artifi- ciosa memoria]
fossero interessati alla memoria locale ambienti non soltanto italiani.
L’operetta di TOMMAI appare costruita secondo i già ben noti schemi della
tradizione ciceroniana CICERONE. Più che sulle regole concernenti la ricerca
dei luoghi, TOMMAI volge tuttavia la sua attenzione alla funzione esercitata
dalle immagini e si sofferma a lungo sul concetto che l’immagini, per essere
davvero efficaci, debbono porsi come dei veri e propri eccitanti dell'immaginazione.
Solitamente colloco nei luoghi delle fanciulle formosissime che eccitano molto
la mia memoria e credimi. Se mi sono servito come immagini di fanciulle
bellissime, più facilmente e regolarmente ripeto quelle nozioni che avevo
affidato ai luoghi. Possiedi ora un segreto utilissimo alla memoria artificiale,
un segreto che ho a lungo taciuto per pudore. Se desideri ricordare presto,
colloca nei luoghi vergini bellissime. La memoria infatti è mirabilmente
eccitata dalla collocazione delle fanciulle. Questo precetto non potrà giovare
a coloro che odiano e disprezzano le donne e costoro conseguiranno con maggiore
difficoltà i frutti dell’arte. Vogliano perdonarmi gl’uomini casti e religiosi.
Avevo il dovere di non tacere una regola che in quest'arte mi procurò lodi ed
onori, anche perché voglio con tutte le mie forze lasciare successori
eccellenti. Opere come quelle del Romberch e di TOMMAI avevano intenti
eminentemente, se non esclusivamente] praedizioni viennesi, l’edizione di
Londra, che è senza data: il trattato viene presentato, senza nome dell’autore,
da Copland come The art of memory, that otherwise is called the Phenix, an
essay very behouefull and profitable to all professors of science, granmarians,
rhetoricians, dialectyks, legystes, philosophers and theologians. Stampato da
Middleton si presenta come a translation out of French into English, edizione
di Colonia e Vicenza. Per la rinomanza di TOMAI in Germania è da ricordare che
Agrippa si vantò di averlo avuto maestro e che un ampio elogio di TOMAI,
maestro di memoria, è inserito nell’Abecedario aureum dell'Ortwin, Colonia.
Phoenix seu artificiosa memoria] tici”:
si rivolgevano ai filosofi solo in quanto anch'essi, così come i medici o i
notai o i giuristi, sono impegnati in terrene faccende. Con tutto ciò anche in
questi trattati, nei quali l’in- teresse tecnico appare dominante, si
affacciano dei motivi (cone per esempio quello delle immagini) che hanno
stretti rapporti con la cultura rinascimentale, e temi, quale per esempio
quello del rapporto arte-natura, che erano stati e soprattutto saranno
ampiamente dibattuti in sede più specificamente filosofica. «La memoria locale
è un’arte con la quale riusciamo a ricordare facilmente e ordinatamente molte
cose delle quali, con le forze naturali, non sarebbe possibile che noi avessimo
o così pronta o così distinta memoria », si afferma nell’ Urb. lat. e su questo
motivo, il cui spunto appare già presente nei saggi di CICERONE e di
Quintiliano, si ritornerà da più parti con accenti significativi. Mentre
contrapponeva i risultati dell’arte a quelli della natura, l'anonimo autore del
ms. lat. conservato alla Marciana, avvicinava non a caso l’arte mne- monica
agli altri ritrovati della tecnica e tuttavia, proprio in quel punto, sentiva
il bisogno di porre l’arte sotto il leggen- dario patrocinio di Democrito ‘' e
di presentarsi come il chia- rificatore delle straordinarie difficoltà e delle
« oscurità » conte- nute nella RAetorica ad Herennium : 42 Urb. lat.Cod.
marciano. Il brano di seguito citato nel testo, che trascrivo dal cod. cit., è
già stato pubblicato da Tocco, Le opere latine di BRUNO, che fa riferimento al
Cod. Marciano. Tocco nota come ritorni in più di un trattato di memoria
artificiale il nome di Democrito come fondatore dell’arte. Cfr. Cod. marciano:
Tractatus super memoria artificiali, ordinatus ad honorem egregii et
famosissimi doctoris nec non et comitis Troili Boncompagni P. F. Homines enim
mortales memoriam labilem conspicientes fuerunt conati quemadmodum fuit
Democritus, Simonides et CICERONE per artem adiuvare. Ma cfr. anche, nello
stessocodice, al f. 5, le Regulae memoriae artificialis ordinatae per
religiosum sacrae theologiae professorem magistrum Ludovicum de Pirano ordinis
Minorum (Inc.: Democritus atheniensis philosophus, huius artis primus inventor
fuit). Il richiamo a Democrito appare fondato, come chiara TOCCO sulla
testimonianza di GELLIO secondo la quale Democrito si sarebbe cavati gl’occhi
per meglio concentrarsi nei suoi pensieri] Ars memoriae artificialis, pater
reverende, est ca qualiter homo ad recordandum de pluribus pervenire possit per
memoriam artificialem de quibus recordari non possit per memoriam naturalem.
Debetis enim scire quod sic natura adiuvatur per artem adiunctam sicut sunt
navigia ad mare transfretandum quia non potest transfretari per virtutem et
viam naturae, sed solum per virtutem ct viam artis; unde philosophi vocaverunt
artem adiutricem nature. Sicut enim invenerunt homines diversas artes ad
iuvandum diversis modis naturam, sic etiam videntes quod per na- turam hominis
memoria labilis est, conati sunt invenire artem aliquam ad iuvandum naturam seu
memoriam ut homo per virtutem artis recordari possit multarum rerum quarum non
poterat recordari aliter per memoriam natu- ralem et sic adinvenerunt
scripturas et viderunt non posse recordari horum quae scripserant. Postea in
successione temporis, videntes quod semper non poterant secum por- tare
scripturas, mec semper parati erant ad scribendum, adinvenerunt subtiliorem
artem ut sine quacumque scrip- tura multarum rerum reminisci valerent et hanc
vocave- runt memoriam artificialem. Ars ista primum inventa fuit Athenis per
Democritum eloquentissimum philosophum. Et licet diversi philosophi conati
fuerint hanc artem declarare, tamen melius et subtilius declaravit suprascrip-
4Iv. tus philosophus Democritus huius artis / adinventor. Tulius vero
perfectissimus orator in cuius libro Rhetori- corum de hac arte tractavit licet
obscuro et subtili modo in tantum quod nemo ipsum intelligere valuit nisi per
divinam gratiam et doctorem qui doceret ipsam artem qualiter deberet
pratichari. Ad una diversa atmosfera culturale e a temi legati alla
“psicologia” e alla “filosofia” più che alla retorica, ci riportano invece
altri scritti del tardo Quattrocento nei quali l'influsso delle impostazioni
aristoteliche e tomistiche è assai più forte di quello esercitato dalla
tradizione della retorica ciceroniana. Si tratta, come è ovvio, solo di una
differenza di grado poiché, come abbiamo visto, proprio attraverso Alberto e
Tommaso, l’arte ciceroniana della memoria era entrata a far parte del
patrimonio della cultura scolastica e tuttavia, in qualche caso, si assiste,
leggendo questi trattati, all’interessante tentativo di ricavare direttamente
dai testi aristotelici alcune regole della memoria artificiale. In questo senso
è tipico il De nutrienda memoria, pubblicato a Napoli nel quale CARPANIS (si veda)
si propone di presentare le dottrine
svolte da Ari- stotele nel De memoria et reminiscentia « condite col sale d’AQUINO.
Il sensus communis appare a CARPANIS (si veda) simile a una gigantesca selva –
“silva maxima” -nella quale vengono accumu- landosi le immagini provocate da
ciascuno dei cinque sensi. Su questo caos agisce l’intelletto con una triplice
operazione: in primo luogo prende coscienza delle immagini, in secondo luogo le
connette secondo un ordine preciso e in terzo luogo infine (quasi deambulans
per pomerium) lega l’una all’altra le cose simili riponendole in archa
memoriae. Quando di quelle cose si parli, l'intelletto « quasi de armario
pomorum cibum sumens, verba per dentes ruminantis intellectus emittit. La
memoria, a sua volta, si muove su un duplice piano: quello del senso e quello
dell’intelletto. La memoria sensitiva (vis quaedam sensitivae animae) appare
strettamente congiunta col corpo e capace di ritenere corporalia tantum; quella
intellet- tiva, al contrario, è armarium specierum sempiternarum. Alle
principali tesi di Aristotele l’autore accosta, quasi sempre, la citazione di
passi tratti dal De triritate di Agostino: così la dottrina aristotelica del
carattere corporeo dei contenuti della memoria sensitiva viene accostata al
passo di Agostino sulla memoria delle pecore che, dopo il pascolo, tor- nano
all’ovile; mentre la nota tesi agostiniana della identità tra memoria
intelletto e volontà viene citata a conferma del carattere intellettivo di una
delle due parti nelle quali la memoria si suddivide. Anche la dottrina degli
aiuti (admin: cula) della memoria risente da vicino della sua origine tomi-
stica: accanto all’ordine (bonus ordo memoriam facit habilem) e alla
ripetizione (ex frequentibus actis habitus generatur) CARPANIS (si veda)
colloca fra gli aiuti principali la similitudo e la contrarietas. Senza far
ricorso all’arte della memoria locale [De nutrienda memoria CARPANIS (si veda) regnante serenissimo et illustrissimo Domino
nostro D. Ferdinando Dei gratia rege Sicilie, Hierusalem et Hungarie, contenuto
nel cit. Cod. marciano De nutrienda memoria, cit., f. 97 v. De nutrienda
memoria. l’autore giunge in tal modo a fissare alcune regole ricavate, anziché
da CICERONE, dalla psicologia aristotelica. Contrarietas secundum dicitur
adminiculum ubi notan- dum est quod quando res diversorum ordinum et quali-
tatum essent recitandae in una orationc vel in una sen- tentia eloquendac, tunc
ordo subsequens debet esse con- trarius immediate antecedenti, ut si videlicet
memoranda essent libertas servitus frigus estas divitiae paupertas pictas
crudelitas iusticia impictas, sic ut sunt hic nominata ordi- nabis; non autem
dices: libertas, frigus servitus estas divitiae pietas paupertas crudelitas.
Graveretur cnim memo- ria sic inordinate procedens cuius ratio videtur quia...
contraria non se compatiuntur ad invicem immo iuxta se posita nullo medio,
motum habent contrarium et ope- rationem ad invicem contrariam. Sic itaque,
sicut motum nullo medio ad invicem habet contrarium, sic in memorando nullum
aliud habendo vei querendo auxilium, mo- vebunt memoriam. Ars cnim imitatur
naturam. Un tentativo dello stesso genere è presente anche nel De omnibus
ingeniis augendae memoriae di CARRARA (si veda) pubblicato a Bologna. Anche in
questo caso le os- servazioni di Aristotele sull’ordine, sul passaggio del
simile al simile, sulla contrarietas vengono interpretate come vere e pro- prie
“regole” dell’ars memorativa. Ma oltre che per queste de- rivazioni
aristoteliche e per la proposta di un particolare tipo di 48 De nutrienda
memoria. Inc. contenuto, accanto a quelli delle opere di TOMAI e di CARPANIS
(si veda), nel Cod. marciano: CARRARA, De omnibus ingentis augendae memoriae ad
prestantissimum virum Aloisium Manentem incliti Venetorum Senatus Secretarium.
Impressum Bononiae per me Platonem de Benedictis civem bononiensem, regnante
inclito prin- cipe domino Iohanne Bentivolio, secundo anno incarnationis,
dominicc die XXIHI Januarii. Al testo di CARRARA (si veda) attingerà
largamente, senza citare l’autore, GRATAROLI nei suoi Opuscula dedicati alla
memoria, Basilea. Su CARRARA (si veda) cfr. TiraBoscHi, Storia della
letteratura. De omnibus ingentis. Primum est ordo et reminiscibilium
consequentia. Cum cam didicimus ex ordine cum connectione et dependentia si
aliquo eorum erimus obliti, facile, repetito ordine, reminisci poterimus.
Alterum est ut et uno simili in suum simile pro- memoria locale” fondato sulla
suddivisione in cinque parti del corpo degli animali," il saggio di
CARRARA (si veda) è importante perché mostra la stretta connessione che venne a
stabilirsi, all’interno di una certa tradizione aristotelica, fra arte della
me- moria e medicina. Richiamandosi a Galeno e ad Avicenna CARRARA (si veda)
affronta, in primo luogo, il problema di una localizzazione della memoria,
passa poi a discutere delle principali malattie che ostacolano l’uso della
memoria, si sofferma ad esporre una serie di regole concernenti l’uso di cibi e
bevande, il sonno e il moto, e giunge finalmente alla formulazione di un vero e
proprio ricettario. All’idea di una terapeutica della memoria, già presente nel
Regimen aphoristicum di Arnaldo da Villanova, e diffusa nella medicina
medievale, si richia- mava, accanto a CARRARA (si veda), anche Matteolo da PERUGIA
(si veda) che pubblica un opuscolo di medicina mnemonica. In entrambi i saggi è
non a caso assai frequente il ricorso ad Avicenna. La tesi sostenuta da CARRARA
(si veda) che l’umdità sia di ostacolo alla memoria è per esempio già presente
nei testi del medico arabo -- qui autem habent locum dominatum humiditate non
rememorant, quia formae non finguntur in humido -- ma il saggio di CARRARA (si
veda) a differenza di quello del
Matteolo e degli altri già presi in esame, appare fondato su numerosissime
letture. Oltre ai già noti classici della memoria, comparivano qui i nomi di
Galeno, BOEZIO (si veda), Ugo da San Vittore, Giovanni Scoto e Averroè.
vehamur: ut si Herodoti obliviscamur de Tito Livio recordati latinae historiae
patre, in Grecae historia patrem Herodotum producemur. Tertium est ut contraria
recogitemus... ut memores Hectoris, remini- scimur Achillis ». ! De omnibus
ingentis, Il passo può esser letto nella trascrizione che ne ha dato TOCCA. Si
veda per esempio: Tractatus clarissimi philosophi et medici Ma- theoli perusini
de memoria et reminiscentia ac modo studendi tractatus feliciter. L'opera insiste
sul regime da seguire in vista della buona memoria. Sull’autore cfr. Tira-
BoscHI, Storta della letteratura. Averrois Cordubensis, Compendia librorum
Aristotelis qui parva na- turalia vocantur, in Corpus Comm. Av. in Arist.,
Cambridge (Mss.). Attraverso un contatto con la tradizione della medicina e con
certe tesi dell’aristotelismo, la trattatistica sull’ars memoriae del tardo
Quattrocento sembra dunque avvicinarsi a temi e a problemi che rivestono un
interesse non meramente “tecnico” e non soltanto “retorico”. Tuttavia, ed è
opportuno non di- menticarlo, quando a metà del Cinquecento si verificherà
l’in- contro fra la grande tradizione del lullismo e l’ars reminiscendi di
derivazione “retorica”, saranno proprio i trattati stretta- mente tecnici dei
“ciceroniani” ad esercitare una funzione es- senziale. In realtà quell’arte dei
luoghi e delle immagini, nono- stante la sua apparente neutralità e
atemporalità, era legata alla cultura del Rinascimento da una molteplicità di
rapporti, e solo tenendo presenti tali rapporti sarà possibile spiegarsi le
ragioni per cui testi spesso aridi e quasi sempre speculativamente inof-
fensivi eserciteranno un fascino notevole sulle menti di Agrippa e di BRUNO.
Chi ponga mente all'importanza dei segni, delle imprese e delle allegorie nella
cultura rinascimentale, chi richiami alla mente i saggi ficiniani sui simboli e
le figurazioni poetiche che nascondono divini misteri e avverta il significato
di quel gusto per le allegorie e per le forme simboliche presente negli scritti
di LANDINO (si veda), di VALLA (si veda), di PICO (si veda), di POLIZIANO (si
veda) e di BRUNO (si veda), non potrà non rilevare la risonanza che l’arte
della memoria in quanto costruttrice di immagini e destinata ad avere in una
età che ama incorporare le idee in forme sensibili, che si diletta a trasferire
sul piano delle discussioni intellettuali la febbre e la fortuna, che vede nel
geroglifico il mezzo usato per rendere indecifrabili i precetti religiosi, che
ama l’abecedario e le iconologie, che concepiva verità c realtà come qualcosa
che si va progressivamente disvelando attraverso il segno e la favola e l’immaginie.
Su questi temi cfr. Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del
Rinascimento, Firenze;Monnier, Le Quattro- cento, Losanna; CH. LeMMI, The
classical deities in Bacon. A study in mythological symbolism, Baltimore; KriIsTELLER,
Il pensiero filosofico di FICINO (si veda), Firenze; GARIN, L'UMANESIMO
ITALIANO, Bari; Medioevo e Rinascimento, Bari. Essenziale resta ]. Seznec, La
survivance des dieux antiques, Londra] In un testo caratteristico e giustamente
famoso, Alciati, mentre parla di un’ars quaedam inveniendorum et excogitandorum
symbolorum, si sofferma a lungo a discorrere delle differenze che intercorrono
fra schemata, imagines e symbola. In un libro altrettanto fortunato, RIPA (si
veda) presenta una « descritione d’imagini delle virtù, vitii, affetti,
passioni umane, corpi celesti, mondo e sue arti
annunciando che il suo saggio -- che è veramente la chiave
dell’allegorismo) doveva servire per figurare con i suoi proprî simboli tutto
quello che può cadere in pensiero umano. Alla voce memoria troviamo la
rappresentazione di « una donna con due faccie, ve- stita di nero et che tenga
nella man destra una penna et nella sinistra un libro »: le due facce stanno a
significare che la memoria abbraccia « tutte le cose passate, per regola di
pru- denza in quelle che hanno a succedere per l’avvenire »; il libro e la
penna, simboli della frequente lettura e della scrit- tura, « dimostrano, come
si suol dire, che la memoria con l’uso si perfettiona ».°” In un manuale di
iconologia, compo- sto negli ultimi anni del Cinquecento, ritroviamo in tal
modo da un lato l’antica idea dell’uso e della scrittura come aiutidella
memoria (due secoli più tardi Hume parlerà dell’« ope- rosità » e della
«scrittura »), dall’altro l’eco di quelle discus- sioni sulla memoria e la «
prudenza » che avevano appassio- nato Alberto Magno ed AQUINO. Ma era l’idea
stessa di sulla iconologia le ); ma cfr. anche M. Praz, Studies in Se-
venteenth Century Imagery, Londra, Yates, The French Academies, Londra. It was on the image-level of
the mind -- if one may speak thus -- that the Renaissance men achived his
ounified outlook. Uno storico
dell’arte come WaetzoLp, Diirer and his Time, Londra, giunge del resto a non
dissimili conclusioni. Più recente R. }. CLEMENTS, Icornography on the nature
and Inspiration of Poetry in Renaissance Emblem Litterature, in PMLA, Omnia A.
ALCIATI (si veda) Emblemata, Antverpiac, Braid. È il titolo dell’Iconologia di RIPA
(si veda), edizione padovana. Ripa, /conologia, Sulla Allegoria della prudenza
del Tiziano Panorsri scrive uno splendido saggio -- ora ristampato nel vol. The
meaning of visual arts, New York. Sulla prudenza come « me- una
rappresentazione sensibile delle “cose” e dei “termini” c di una “personificazione”
dei concetti alla quale il Ripa (e molti altri con lui) si ispirava, che aveva
indubbiamente assai stretti legami con quella sezione della mnemotecnica che
aveva per scopo la costruzione delle immagini. All’interno stesso della più
ortodossa tradizione dell’ars memorativa ciceroniana non erano mancate
espressioni di una particolare sensibilità per il problema delle immagini.
Certe pagine dell'Oratoriae artis epitoma (Venezia) di PUBBLICIO (si veda)
giovano senza dubbio a comprendere come tra queste immagini e quelle delle
iconologie sussistesse un legame reale. Le intentiones simplices e spirituali,
afferma Pubblicio, non aiutate da nessuna corporea similitudine, sfug- gono
rapidamente dalla memoria. Le immagini hanno appunto il compito, mediante il
gesto mirabile, la crudeltà del volto, lo stupore, la tristezza o la severità,
di fissare nel ricordo idee termini e concetti. La tristezza e la solitudine
saranno il simbolo della vecchiaia, la lieta spensieratezza quello della
gioventù, la voracità sarà espressa dal lupo, la timidezza dalla lepre, la
bilancia sarà il simbolo della giustizia, l’erculea clava della fortezza,
l’astrolabio dell’astrologia. Ma soprattutto gio- verà richiamarsi, nella
costruzione delle immagini, all'opera dei poeti, di VIRGILIO (si veda) e di OVIDIO
(si veda). Le loro raffigurazioni della Fama, dell’ Invidia, del Sonno potranno
essere felicemente ri- prese in quella collocatio in locis che fa uso di
immagini rare ed egregie.®° Simboli e immagini in funzione del ricordare: anche
quando l’idea di una collocatio imaginum in locis verrà abbando- nata
definitivamente, resterà ben salda l’idea dei simboli e delle immagini come
aiuti della memoria. La Istoria universale pro- moria del passato, ordinamento
del presente, contemplazione del futuro » Panofski avrebbe potuto citare,
accanto a fonti meno note, anche 1 passi, assai significativi, di Alberto Magno
e d’AQUINO. Ma resta egualmente significativa la penetrazione, entro le arti
figurative, dell’antico tema della connessione memoria-prudenza. Publicii Iacobi,
Oratoriae artis epitoma, sive quae ad consumatun spectant oratorem, Venezia. L’opera
di PUBBLICIO (si veda) e ristampata a Venezia (Erhardus Radtolt augustensis
ingenio miro et arte perpolita impressioni mirifice dedit) e successivamente ad
Augusta. Qui si è fatto uso dell’inc. dell’Angelica di Roma. Oratoriae artis
epitoma] vata con monumenti e figurata con simboli degli antichi pubblicata da BIANCHINI
(si veda) dove unire alla facilità dell’apprendere e del comprendere la
stabilità dell’ordinare e del ritenere; la dipintura proposta al frontispizio
della Scienza Nuova di VICO dove servire al leggitore « per concepire l’idea di
quest'opera avanti di leg- gerla, e per ridurla più facilmente a memoria. BIANCHINI
Veronese, La istoria universale provata con monumenti e figurata con simboli
degl’antichi, Roma, Braid VICO (si veda), Opere, cur. NICOLINI (si veda),
Milano e cfr. R., Schede vichiane, in La Rassegna della letteratura italiana. Si
verificano, in quel settore della cultura che qui ci interessa, due importanti
fenomeni. Il primo è la diffusione in di quell’arte della memoria locale che
aveva avuto la sua più organica e completa trattazione nel saggio di TOMAI. Il
secondo è il contatto che venne a stabilirsi fra quella tradizione mnemotecnica
che risale a CICERONE, a Quintiliano, alla Rhetorica ad Herennium, ad AQUINO e
l’altra, diversa tradizione di logica combinatoria che fa capo alle opere di
Lullo. Cusano, Bessarione, PICO (si veda), Lefèvre d’Etaples, Bovillus e poi
Lavinheta e Agrippa e BRUNO (si veda) contribuiscono a diffondere le opere di
Lullo, l’interesse per l’ars magna e la passione per la combinatoria entro
tutta la cultura europea. Il significato della loro adesione ad una tematica
che appare così profondamente estranea ad una mentalità post-cartesiana e
post-galileiana è necessariamente sfuggito sia a quegl’interpreti che vedeno nell’ars
magna una specie di sommario elementare o preistorico di logica simbolica, sia
a coloro che hanno preferito sbarazzarsi, con facile ironia, delle stranezze di
molti fra gl’esponenti più significativi e più noti di una non trascurabile
stagione della cultura occidentale. L'interesse per la cabala e per le
scritture geroglifiche, per le scritture artificiali e universali, per la
scoperta dei primi princìpi costitutivi di ogni possibile sapere, l’arte della
memoria e il richiamo continuo ad una logica intesa come chiave capace di
aprire i segreti della realtà. Tutti questi temi appaiono inestricabilmente
connessi con la rinascita del lullismo nel Rinascimento e formano, davanti a
chi affronti direttamente i saggi da Agrippa a Fludd, da Gassendi a More, una
sorta di inestricabile groviglio del quale non appare del tutto lecito
sbarazzarsi facendo ricorso ad una generica e misteriosa entità “platonismo”.
In realtà molti dei temi che formano quel groviglio hanno non pochi e non
trascurabili riflessi anche sui problemi della speculazione e della scienza:
dalla teoria baconiana e vichiana VICO del SEGNO dell’immagine e del linguaggio, alla
discussione baconiana e cartesiana sull’albero delle scienze e sulle facoltà;
dalle polemiche sul significato della dialettica e sui suoi rapporti con la
retorica, a quelle concernenti le topiche e il problema del metodo e infine a
quelle stesse trattazioni di filosofia naturale che fanno appello alla
struttura logica della realtà materiale, all’abecedario della natura o ai
caratteri impressi dal divino nel cosmo. Non si ha qui la pretesa di dar fondo
a questi complessi problemi. Si ritiene tuttavia che ad una maggiore comprensione
di talune delle questioni precedentemente indicate possa giovare non poco un
esame, analiticamente condotto, della diffusione del lullismo e del suo
connettersi con la già fiorente tradizione dell’arte mnemonica. In una lettera
dedicatoria premessa al suo commento all’Ars brevis di Lullo, Agrippa traccia
un sommario quadro della diffu- [Faccio uso dell'edizione delle opere e dei
commenti lulliani pubbli- cate a Strasburgo dai fratelli Zetzner. Si dà qui,
per comodità del lettore, un sommario del contenuto di questa edizione (che
verrà di seguito indicata semplicemente con ZetznER). Raymundi Lullii Opera ca
quae ad inventam ab ipso artem universalem scientiarum artiumque omnium brevi
compendio firmaque memoria apprchendendarum locu- pletissimaque vel oratione ex
tempore petractandarum pertinent. Ut et in candem quorundam interpretum scripti
commentarit... Accessit Va- leriù de Valerits patrici veneti aureum in artem
Lullii generalem opus, Argentorati, Sumpt. Hacr. Lazari Zetzneri (Triv., Mor.. L’opera
fu ristampata; parzialmente riprodotta: Stoccarda. Il volume contiene i
seguenti scritti: Opere autentiche di Lullo: Logica brevis et nova; Ars brevis;
Ars magna generalis ultima; Tractatus de conversione subiecti et praedicati per
medium; XII principia philosophiae, sione del lullismo nella cultura europea:
Daguì e il suo discepolo Janer sono ben noti e celebrati in ITALIA,
l’insegnamento di FCorboba ha avuto vastissima risonanza nelle scuole europee,
Lefèvre d’Etaples e Bovillus sono stati, a Parigi, devotissimi a Lullo, infine
i fratelli Canterio hanno mostrato non
solo alla Francia e alla Germania, ma anche all'ITALIA, le mirabili possibilità
dell’arte. Mentre si richiama ai grandi maestri del lullismo, Agrippa chiara
anche breve- [Opere apocrife e attribuite a Lullo: De auditu kabbalistico seu
kabbala,; Oratio exemplaris (sic, errore di numerazione nelle pagine); /n
RAesoricam Isagoge; Liber de venatione medii inter subiectum et praedicatum.
Commenti: BRUNO, De lulliano specierum scrutinio; De lampade combinatoria
lulliana; De progressu logicae venationis; Acrirra, In artem brevem Raymundi
Lullit commentaria; VALERIIS, Opus aureum in quo omnia breviter explicanter
quae R. Lullus tam in scientiarum arbore quam arte generali tradit. Su Daguì
che tenne pubblici corsi di lullismo nella cattedrale di Maiorca, sul suo
discepolo Janer, sul filosofo platonico Còrdoba che difese Daguì dalle accuse
di eterodossia in una commissione nominata da Sisto IV, sul lullismo del
Lefèvre e del Bouelles, sui fratelli Andrés, Pedro e Jaime Canterio cfr.: T. e
|. Carreras y ArRTAu, Filosofia cristiana, Madrid,, nel quale si trovano
notizie bio-bibliografiche sui singoli autori. Stru- mento essenziale per la
storia del lullismo è: E. RocENT y E. Duran y Renats, Bibliografia de las
impressions lul-lianes, Barcelona (per le edizioni, numerosissime, del commento
di Agrippa). Per le notizie sulle opere edite e inedite, sui manoscritti ecc. si vedano:
Littré, in Histoire littéraire de la France; E. Lonc- [PRÉ, voce Lulle in
Dictionnaire de théologie catholique; J. Avinvò, Les obres autèntiques del Beat
Ramon Lull, Barcelona; C. Ortaviano, L'ars compendiosa de R. Lulle avec une
étude sur la bibliographie et le fond ambrosien de Lulle, Paris. Per la diffusione del lullismo, particolarmente
in ITALIA, sono assai importanti gli studi di Miguel BatLLORI che, oltre a una
preziosa Introducion bibliografica a los estudios lulianos, Mallorca, ha
pubblicato: E/ Lulismo en Italia, Madrid, Rev. de Filos. de l’ Inst. L. Vives;
La obra de R. Lull en Italia, in « Studia, Palma de Maiorca, ag.-sett.; Le
lullisme de la Renaissance et du Baroque: Padoue et Rome, in «Actes du XIéme
Congrès Int. de Philos. », Bruxelles (per una completa informazione cfr.
Bibliografia del P. Miguel Batllori S. I., Torino] mente la portata e il senso
della combinatoria lulliana, le ra- gioni della sua superiorità e della sua
efficacia: l’arte — afferma — non ha nulla di volgare, non ha a che fare con
oggetti determinati e proprio per questo si presenta come la regina di tutte le
arti, la guida facile e sicura a tutte le scienze e a tutte le dottrine. L’ars
inventiva appare caratterizzata dalla generalità e dalla certezza; con il suo
solo aiuto, indipenden- temente da ogni altro sapere presupposto, gli uomini
potranno giungere ad eliminare ogni possibilità di errore e a trovare « de omni
re scibili veritatem ac scientiam ». Gli “argomenti” dell’arte sono infallibili
e inconfutabili, tutti i particolari di- scorsi e princìpi delle singole
scienze trovano in essa la loro universalità e la loro luce (« omnium aliarum
scientiarum prin- cipia et discursus tanquam particularia in suo, universali
luce, elucescunt »); infine, proprio perché racchiude e raccoglie in sé ogni
scienza, l’arte ha il compito di ordinare, in funzione della verità, ogni
sapere umano.° Agrippa, che pure scriverà molti anni più tardi una pagina
feroce contro la tecnica lulliana,' poneva dunque in rilievo, nella prefazione
al suo commento, due delle fondamentali caratteristiche con le quali l’arte
lulliana si presenta alla cul- tura del Rinascimento. In primo luogo essa
appare come una scienza generalissima e universale la quale, richiamandosi a
princìpi assolutamente certi e a infallibili dimostrazioni, con- sente la
determinazione di un criterio assoluto di verità; in secondo luogo, proprio
perché si costituisce come la scienza delle scienze, l’arte è in grado di
offrire il criterio per un pre- ciso e razionale ordinamento di tutto lo
scibile i vari aspetti * H. C. AcrIPra, /n artem brevem... commentaria,
Zetzner, Acrirra, De wvamitate sciertiarum, in Opera, Lugduni, per Beringos
Fratres, 1600, 2 voll., vol. II, pp. 31 segg. (De vanitate, De arte Lulli, De arte
memorativa). Cfr. lo stesso testo
nella versione italiana di L. Dominichi, Venezia, 1549 (copia usata: Braidense.
Nel Saggio bio-bibliografico su C. Agrippa di HeLpa BuLLortA Bar- RAacco, in «
Rassegna di filosofia, non si fa cenno al commento lulliano di Agrippa. L'opera
non è databile con precisione. G. A. Prost, Les sciences et les arts occultes
au XVIè*me stècle, Paris, la assegna con argomenti forse insufficienti.
Certamente lo scritto è antecedente (cfr. Claudius Blancheroseus H.C. Agrippae,
in Fpist., Opera, del quale mediante successive sussunzioni del particolare al
enerale vengono tutti, senza esclusioni, ricompresi e inverati nell’arte. Il
giovane Agrippa non aveva fatto altro in realtà che esporre vivacemente e
chiarificare temi largamente diffusi. Sul- l'efficacia «inventiva » dell’arte e
sulla sua « finalità enciclo- pedica » egli non era stato il solo ad insistere.
Il tema di una logica intesa come chiave della realtà universale, come discorso
concernente non i discorsi umani ma le articolazioni stesse del mondo reale si
congiunge infatti strettamente, nei testi stessi di Lullo e in quelli del lullismo,
con l’aspirazione ad un ordinamento di tutte le scienze e di tutte le nozioni
che corrisponda all'ordinamento stesso del cosmo. Giustamente si è potuto
parlare, a questo proposito, di una « direzione logico- enciclopedista » del
pensiero lulliano che si pone, come motivo centrale e dominante, accanto alla
direzione mistica e a quella polemico-razionalista. L'apprendimento delle
regole dell’arte e la ordinata classificazione di tutte le nozioni im- plicano
e presuppongono d’altra parte la costruzione di un sistema mnemonico che si
presenta come parte integrante e costitutiva della logica-enciclopedia. Ma
giove a questo punto, per chiarire questi problemi, delineare brevemente alcuni
degli aspetti fondamentali della problematica connessa al lullismo facendo
riferimento sia ai testi di Lullo sia a quelli della tra- dizione lullista. Nei
testi di Lullo l’arte si presenta come una «logica » che è anche e
contemporaneamente « metafisica » (« ista ars est et logica et metaphysica »)
ec che tuttavia differisce dall’una e dall’altra sia «in modo considerandi suum
subiectum » sia «in modo principiorum ». Mentre la metafisica considera gli
enti esterni all'anima « prout conveniunt in ratione entis », e la logica li
considera secondo l’essere che essi hanno nell'anima, l’arte invece, suprema
fra tutte le umane scienze, considera gli enti secondo l’uno e secondo l’altro
modo. A differenza ° Cfr. Carreras y Artau, Filosofia cristiana, Introd.
all’Ars demonstrativa, in R. Lutt, Opera omnia, Mainz. Gli otto volumi dell’edizione
di Mainz numerati della logica che tratta delle seconde intenzioni, l’arte
tratta delle prime intenzioni; mentre la logica è « scientia instabilis sive
labilis », l’arte è «permanens et stabilis »; ad essa è possibile quella
scoperta della « vera lex » che è invece pre- clusa alla logica. Esercitandosi
per un mese nell’arte si po- tranno non solo rintracciare i princìpi comuni a
tutte le scienze, ma anche conseguire risultati di molto maggiori di quelli
raggiungibili da chi si dedichi per un anno intero allo studio della
logica." Opportune premesse all’acquisizione del- l’arte appaiono non a
caso, da questo punto di vista, la cono- scenza della logica tradizionale e
quella delle cose naturali: «Homo habens optimum intellectum et fundatum in
logica et in naturalibus et diligentiam poterit istam scientiam scire duobus
mensis, uno mense pro theorica et altero mense pro practica. Presentandosi
strettissimamente connessa alla conoscenza delle cose naturali, alla
metafisica, all’ontologia l’arte mostrava da un lato la sua irriducibilità sul
piano di una conoscenza formale e dall’altro i suoi legami con quella
metafisica esem- plaristica e con quell’universale simbolismo che costituiscono
insieme lo sfondo e la premessa delle dottrine lulliane. La scomposizione dei
concetti composti in nozioni semplici e irri- ducibili, l'impiego di lettere e
di simboli per indicare le no- zioni semplici, la meccanizzazione delle
combinazioni tra i concetti operata per mezzo delle figure mobili, l’idea
stessa di un linguaggio artificiale e perfetto (superiore al linguaggio comune
e a quello delle singole scienze) e quella di una specie di meccanismo
concettuale che si presenta, una volta costruito, assolutamente indipendente
dal soggetto umano: questi ed altri caratteri dell’ars combinatoria han fatto
sì che storici in- signi, dal Biumker al Gilson, abbiano avvicinato — e non X
(il VII c I'VIII non furono pubblicati) furono curati, per i primi tre volumi,
da Ivo Salzinger. Su questa singolare figura e sulle vicende dell'edizione
maguntina cfr. Carreras y Artau, La filosofia cristiana, Cfr. Ars magna
generalis ultima, cap. CI De logica, in ZETZNER Cfr. Ars magna generalis
ultima, in ZETZNER, erroneamente — la combinatoria alla moderna logica formale.
A differenza di altri storici meno provveduti, tuttavia, sia il Biumker sia il
Gilson avevano chiaramente presente il peso esercitato sul pensiero di Lullo da
quell’esemplarismo e da quel simbolismo al quale ci siamo ora riferiti. Dio e
le dignità divine appaiono a Lullo gli archetipi della realtà mentre l’in- tero
universo si configura come un gigantesco insieme di sim- boli che rimandano, al
di là delle apparenze, alla struttura stessa dell’essere divino: «le
similitudini della natura divina sono impresse in ogni creatura secondo le
possibilità ricettive della stessa creatura, e ciò secondo il più e il meno,
secondo che esse più si avvicinano al grado superiore nel quale è l’uomo, così
che ogni creatura, secondo il più e il meno, porta in sé il segno del suo
artefice ».!° Anche gli alberi, teorizzati nell’Arbre de Sciencia, non of-
frono in alcun modo l’esempio di una classificazione formale del sapere: essi
rimandano, attraverso un complicato simbo- lismo, alla realtà profonda delle
cose, quella realtà che al filosofo spetta appunto di scoprire individuando i
“significati” delle varie parti degli alberi. Le diciotto radici dei primi
alberi, che rappresentano il mondo delle creature, corrispon- dono non a caso
ai princìpi stessi dell’arte. Di modo che, come è stato giustamente notato,"!
le radici o fondamenti reali ° Cfr. C. Barumker, Die curopaische Philosophie
der Mittelalter, nel vol. Allgemeine Gesch. der Phil., Berlino, 1923, pp. 417-18;
E. Gitson, La philosophie franciscaine, nel vol. Saint Frangois d'Assise ecc., Parigi, 1927, p. 163.
Un'ampia e precisa esposizione della combinatoria lul- liana è in PLatzeck, La
combinatoria luliana, in « Revista de Filosofia Franziskanische Studien. Assai
notevole è lo studio di Yates, The Art of Ramon Lull, Journal of the Warburg
and Courtauld Institutes nel quale vengono posti chiaramente in luce i rapporti
tra la logica c la cosmologia lulliane. Del tutto insufficiente appare, alla
luce di questi studi, la interpretazione e l'esposizione del PrANTL, ediz.
1955, III, Compendium artis demonstrativac, in R. Lutt, Opera, Mainz, Carreras
y ARTAU, La filosofia cristiana. La versione catalana dell’Arbor scientiae nell’edizione
delle Obres de Ramon Lull, Palma de Mallorca. Le più recenti edizioni latine
sono Lione (ediz. precedenti: Barcellona; Lione). delle cose, i princìpi
dell’arte, e le dignità divine appaiono, nella terminologia lulliana, termini
assolutamente intercam- biabili ed equivalenti. Gli strettissimi legami fra
l’arte e la teoria degli elementi sono stati del resto messi in luce di recente,
con molta pene- trazione, da un ampio studio di Yates. Il tradizionale
approccio logico alla dottrina lulliana (del tipo di quello presente nella
trattazione di Prantl) si è rivelato a Yates parziale e insufficiente. Un
accurato studio dell’inedito Tractatus novus de astronomia non solo ha posto in
luce il significato della applicazione delle regole dell’arte alla astrologia,
ma ha anche chiarito come nelle varie opere di Lullo i nove princìpi divini (le
cui influenze sono state identifi- cate nel Tractatus de astronomia con quelle
dei segni dello Zodiaco e dei pianeti) costituiscano la base effettiva della
uni- versale applicabilità dell’arte allo studio della medicina, del diritto,
della astrologia, della teologia e, come avviene nel Liber de lumine, della
luce. Che sulla base dell’esemplarismo lulliano si potesse pervenire a una
specie di identificazione dell’arte con una cosmo- logia è mostrato, fra
l’altro, da uno dei primi testi del lullismo europeo sul quale la Yates ha
opportunamente richiamato la attenzione. Tomàùs le Myésier, autore dell’
Electorium Re- mundi (Par. Naz. Lat.) composto ad Arras," fu amico
personale e discepolo entusiasta del Lullo. In una specie di grande
compilazione, egli intende presentare i caratteri essenziali della dottrina del
suo maestro: all’arte spetta una funzione precisa: la difesa della fede
cristiana contro gli averroisti e il riconducimento di tutti gli uomini alla
com- prensione della verità e dei misteri divini. Proprio nella parte
espositiva o introduttiva si rivelano chiaramente le connes- sioni fra arte e
cosmologia: il circolo dell’universo, la cui rappresentazione grafica viene
accuratamente descritta dall'autore, comprende la sfera angelica attorno alla
quale ruotano il primo mobile, l’empireo, il cristallino, la sfera delle stelle
fisse e le sette sfere dei pianeti. La terra, sulla quale sono rappre- [YATEs,
The Art of Ramon Lull, cit. 19 Parigi, lat. La data di composizione è in fine
al testo: per Thoman Migerii. In attrebato] sentati un albero un animale e un
uomo, è circondata dalle sfere dell’acqua, dell’aria e del fuoco. Ad ognuno dei
nove segmenti nei quali il cerchio dell’universo è diviso corrispon- de una
delle nove lettere dell’abecedario lulliano (BCDEFGHIK) nel suo duplice
significato di predicato assoluto e relativo, mentre, secondo gli insegnamenti
di Lullo, alcuni dei signi- ficati delle lettere cambiano in corrispondenza
alle diverse sfere. L’ Electorium de le Myésier non rimase certo un caso iso-
lato: la presenza di interessi di tipo cosmologico all’interno di quell’ampia
letteratura lullista che si diffonde in tutta Europa è ampiamente
documentabile. Ad una adesione, o quanto meno ad una spiccata simpatia per il
lullismo, corrisponde in moltissimi testi l’idea del rapporto necessario che si
pone fra la costru- zione di un’arte indifferentemente applicabile a tutti i
rami del sapere e la delineazione di un'immagine gerarchica e uni- taria
dell’universo. Proprio sull’esemplarismo e sulle dignità divine come fondamenti
primi dell'arte lulliana insiste, non a caso, il primo grande filosofo europeo
che si muove entro l’orizzonte del lullismo. « Primum fundamentum artis — scri-
verà Cusano — est quod omnia, quae Deus creavit et fecit, creavit et fecit ad
similitudinem suarum dignitatum ».!* I prin- cìpi dell’arte combinatoria
(donitas, magnitudo, aeternitas, po- testas, sapientia, voluntas, virtus,
veritas, gloria) apparivano qui, ancora una volta, come principia essendi et
cognoscendi, non meramente formali, ma esprimenti le caratteristiche divine e di
conseguenza quelle di tutti gli esseri esistenti. La metafisica esemplaristica
costituiva la garanzia della assoluta infallibilità di una logica attinente non
ai discorsi, ma alla realtà. Mentre polemizzava implicitamente con il Gerson e
proponeva una 14 Cfr. A. Yates, The Art of Ramon Lull, Cod. Cus. PLatzecg, La combinatoria
luliana. Dello stesso autore si vedano anche: E! /ulismo en las obras del
Cardinal N. Kreos de Cusa, in « Rev. Espafiola de Teologia; Los postumos datos
lulisticos del Dr. M. Honecker y las glosas del card. N. de Cusa sobre el Arte luliana, « Studia monographica
», 1953-54, pp. 1-16; Lullsche Gedanken bei Nikolaus von Kues, « Trierer
Theologische Zeitschrift. riforma terminologica dell’arte lulliana, il Cusano,
in una sua postilla all’Ars Magra, mostrava di accettare la sostanza del-
l'insegnamento di Lullo: Praedictorum principiorum nomina sunt apud philosophos
inusitata et tamen iuxta figmentum inventoris propositae artis res vera
significantia. Ergo, cum propter nostram af- firmationem vel negationem nihil
mutetur in re... et omne verum vero consonet... praefata ars non est repudianda
propter suorum nominum improprietatem [che era la tesi di Gerson]; quin potius,
ut possit concordari cum scientiis aliis, est ad corum terminos exfiguranda,!%
Ancora più strettamente legata alle impostazioni esemplaristiche del lullismo
è, d’altra parte, la dottrina cusaniana dell’ascesa e discesa dell’intelletto
secondo la quale è possi- bile elevarsi alla conoscenza di Dio muovendo dalla
somi- glianza con le divine perfezioni impressa nelle creature, e di scendere
dalla conoscenza dell’essere divino e dei suoi attributi alla conoscenza della
realtà che di quella perfezione è lo specchio.!’ Nel Liber de ascensu et
descensu intellectus, composto dal Lullo a Montpellier, era stato ampiamente
svolto il tema, poi ripreso dal Cusano, di una conoscenza che procede
attraverso la ricerca delle analogie e dei segni — alla rico- struzione di quel
divino modello che ha presieduto alla co- struzione del reale. Attraverso la
descrizione della compli- cata scala degli esseri, dalla pietra al fango alla
pianta al bruto all'uomo al cielo all'angelo a Dio, questo tema si era andato
identificando con l’altro, ben noto, di una ricostruzione minuta, ed
“enciclopedica” delle complesse gerarchie del co- smo. Questa stessa
impostazione “cosmologica” troviamo pre- sente in quel Liber creaturarum di
Raimundo Sibiuda (Sa- [15 Cfr. Honecker, R. Lulls Wahlvorschlag Grundlage des
Kaiserwahlplanes bei N. von Cues?, « Historisches Jahrbuch. Sul Iullismo del
Cusano si vedano gli studi di F. Kraus, di J. Marx, di F. Tocco, di E. pe
VANSTEENBERGHEN segnalati nel ca- pitolo Influencias lultanas en Nicolàs de
Cusa della cit. Filosofia cri- stiana det Carreras v ArtAu, Ganpittac, La
philos. de N. de C., Paris, e J. E. HorMann, Die Quellen der cusanischen
Mathematik, Heidelberg. Cfr. Carreras v Artau, Filosofia cristiana, bunde,
Sebond) che influirà sullo stesso Cusano, su Lefèvre d’Etaples, Bovillus e
Montaigne e che fu composto (negli stessi anni che videro Cusano appassionato
lettore e trascrittore dei testi di Lullo. Anche qui, accanto alla dottrina
dell’ascesa e discesa dell’intelletto, accanto all’affer- mazione di un’arte
concepita come « radix et origo et funda- mentum omnium scientiarum », il cui
possesso è raggiungi- bile in brevissimo tempo con risultati mirabili (« quia
plus sciet infra mensem per istam scientiam quam per centum an- nos studendo
Doctores), troviamo l’immagine di una scala naturale i cui vari gradini vanno
ritenuti a memoria e rap- presentati mediante figure: «et haec est prima
consideratio in hac scientia radicalis et fundamentalis, scilicet considerare
istos gradus in se, et bene plantare et radicare cos in corde et figurare sicut
in natura realiter ».!* La ordinata successione dei gradi ci offre un'immagine
unitaria, gerarchica e organica dell’universo: il primo grado comprende le cose
che sono, ma non vivono né sentono né intendono (minerali e metalli, cieli e
corpi celesti, oggetti artificiali); il secondo comprende ciò che è e vive, ma
è privo del sentire e dell’intendere (i vegetali); il terzo gli animali che
sono vivono e intendono; nel quarto infine, ove risiede l’uomo, sono presenti
l’essere il vivere il sentire e l’intendere. L’uomo, come microcosmo, riassume in
sé le proprietà stesse dell’universo, è la vivente immagine di Dio. Che l’arte
lulliana rinviasse a una descrizione della realtà universale e che questa
descrizione si andasse configurando a sua volta come una vera e propria
enciclopedia è cosa che, dopo le considerazioni fin qui svolte, dovrebbe
risultar chiara. Nell’Arbre de Sciencia, composto a Roma, l’impiego degli
“alberi” veniva esplicitamente presentato come un mezzo per rendere l’arte più
« popolare », più direttamente e facil- mente acquisibile e l'enciclopedia si
presentava come parte in- tegrante della grande riforma del sapere progettata
da Lullo. !* R.
Sabunpe, Liber creaturarum, ed. Wolfangus Hoffmanus, Frankfurt s. Main. Alla base dell’enciclopedia, articolantesi in
sedici alberi, sta un'idea centrale: quella di una fondamentale unità del
sapere umano che è in stretta relazione all’unità essenziale del cosmo. Una
suggestiva illustrazione del manoscritto ambrosiano che contiene la versione
catalana del testo di Lullo, mostra il filosofo e un monaco ai piedi
dell'albero delle scienze. Al mo- naco, la cui figura ritorna accanto a quella
di Lullo in tutte le illustrazioni dei vari alberi, Lullo si era rivolto per
conforto dopo che il suo piano missionario, che includeva la propaga- zione
dell’arte, aveva trovato fredda accoglienza presso Bonifacio e proprio il
monaco (così racconta Lullo nel prologo) lo aveva consigliato di presentare la
grande arte sotto una nuova forma. Le diciotto radici dell’albero delle scienze
sono costituite dai nove principi trascendenti (o nove dignità divine) e dai
nove princìpi relativi dell’arte (differentia, concordantia, contrarietas;
principium, medium, finis; matoritas, aequalitas, minoritas). L'albero si
suddivide in sedici rami, ciascuno dei quali corrisponde ad uno degli alberi
che formeranno la fore- sta della scienza: l’arbor elementalis, V’arbor
vegetalis (bota- nica e applicazioni della botanica alla medicina), sensualis
(esseri sensibili e senzienti e animali), imaginalis (quegli enti mentali che
sono similitudini degli enti reali trattati negli alberi precedenti),
Aumanalis, moralis (etica, dottrina dei vizi e delle virtù), imperialis
(connesso all’arbor moralis, si riferi- sce al regimen principis e alla
politica), apostolicalis (governo ecclesiastico e gerarchia della Chiesa),
celestialis (astronomia e astrologia), angelicalis (gli angeli e gli aiuti
angelici), eviter- nalis (immortalità, mondo ultraterreno, inferno e paradiso),
maternalis (mariologia), christianalis (cristologia), divinalis (teo- logia,
dignità divine, sostanza e persone di Dio, perfezioni e produzioni divine).
L’arbor exemplificalis (nel quale vengono esposti allegoricamente i contenuti
degli alberi precedenti) e l’arbor quaestionalis (nel quale vengono proposte
quattromila questioni riferentisi agli alberi precedenti) si presentano come
«ausiliari » rispetto al corpus dell’enciclopedia. 1° Cod. Ambrosiano D. inf. fol. 37v. L’illustrazione è riprodotta
negl’Obres de Lull, cit. La stessa immagine an- che nell'edizione latina,
Lione, De L’arbre de Sciencia ho usato la versione castigliana stampata a
Bruxelles dal Foppens (Braid. L'unità del mondo del sapere appare dunque
fondata sul fatto che i princìpi assoluti e i princìpi relativi dell’arte
costi- tuiscono la comune radice del mondo reale e del mondo della cultura. Su
queste radici (simboleggiate dalle nove lettere dell’abecedario lulliano)
poggiano infatti sia l’arbor elementalis i cui rami indicano i quattro elementi
semplici della fisica, le cui foglie simboleggiano gli accidenti delle cose
corporee, e i cui frutti fanno riferimento alle sostanze individuali come l’oro
e la pietra, sia l’arbor Aumanalis che raccoglie, accanto alle facoltà umane e
agli abiti naturali, anche quelli artificiali o le arti meccaniche e liberali.
L'immagine lulliana dell’albero delle scienze, non a caso ripresa da Bacone e
da Cartesio, sarà particolarmente fortunata, ma, soprattutto, agirà a lungo nel
pensiero europeo l’aspirazione lulliana verso un corpus organico e unitario del
sapere, verso una sistematica classificazione degli elementi della realtà. Non
mancheranno certo suggestioni derivanti da altre fonti e da altri ambienti di
cultura, ma Lefèvre d° Etaples e Bovillus, Pedro Gregoire e VALERIIS (si veda),
Alsted e Leibniz fanno preciso riferimento, affrontando questi problemi, ai
testi di Lullo e a quelli del lullismo. In quell’ideale pansofico che domina
tutta la cultura del secolo XVII si insisterà da un lato sul necessario
possesso dell’intero orbe intellettuale e dal- l’altro sulla conoscenza di una
legge, di una chiave, di un linguaggio capace di dominare il tutto e di
permettere una diretta lettura dell’alfabeto impresso dal creatore sulle cose:
cosmo reale e mondo del sapere appariranno realtà da cogliere nella loro
sostanziale unità e identità di struttura, nella loro profonda “armonia”. Sui
testi della pansofia seicentesca do- vremo ritornare. Per ora basterà fermarsi
brevemente su alcuni testi cinquecenteschi nei quali questi aspetti
dell’eredità lul- liana si espressero in modo compiuto e coerente. Lo scritto
In RAetoricam Isagoge e pubblicato a Parigi, da Remigio Rufo Candido
d’Aquitania dietro incitamento di Lavinheta, uno dei più rinomati lullisti
dell’epoca. Attributo a Lullo, e ristampato nelle edizioni delle opere di Lullo
dello Zetzner, lo scritto rivela chiaramente il suo carattere di opera
pseudo-lulliana: frequenti appaiono i riferimenti a Cicerone e a Quintiliano,
ai dialoghi platonici, alla mitologia e alla storia greche e romane. In un saggio
composto che venne considerato come un’opera autentica di Lullo, troviamo una
singolare mescolanza di retorica, di co- smologia e di aspirazioni
enciclopedistiche. Nella prefazione indirizzata dal Rufo ai suoi discepoli, i
fratelli Antonio e Francesco Boher, la finalità enciclopedica dell’opera veniva
presentata come strettamente connessa alle esigenze della reto- rica e ai
bisogni dell’oratore: « Per consiglio e ispirazione del nostro amico Bernardo
di Lavinheta studiosissimo di Lullo, portiamo alla luce questa Retorica
affinché in questo libro, come in uno specchio nitidissimo, possa essere
contemplata, o meglio ammirata, l’immagine di tutte le scienze. È infatti
necessario che l’oratore sia a conoscenza di tutto e si impa- dronisca con
diligenza di tutto quel mondo delle scienze che vien detto enciclopedia. Per
questo, l’autore volle abbracciare con brevità e stringatezza tutte quelle cose
che son relative alla comprensione di ciascuna scienza ».?° Nel testo
pseudo-lulliano non mancavano, naturalmente, le tonalità occulte caratteristi-
che della magia rinascimentale e della letteratura lulliano-al- chimistica: Ex
tenebris lux ipsa emergit. Ipse enim posuit tenebras latibulum suum, qui apparuit in
monte circumdato caligine et nebula. Qui rationem dicendi discere volunt, opus
habent ut eam silentio adipiscantur. Hinc silentium Pythagorae Crotonesis. Traduco
dalla prima edizione: Raemaundi Lulli Eremitae divinitus illuminati, in
Rhetoricen Isagoge perspicacibus ingeniis expectata, Ve- nundantur in
Ascensianis Aedibus. Il passo cit.
è tratto dalla lettera dedicatoria di Remigio Rufo (su questo per- sonaggio
cfr. Carreras y Artav, La filosofia cristiana). La stessa opera è inserita
nella edizione ZETZNER. Ho trovato indicato il Cod. Vat. Lat. a proposito di
un’opera inedita di Lullo: la RAetorica Nova della quale esistono vari altri
manoscritti (Parigi Lat.; Monaco Staatsbibl.; Ambrosiana. Il codice Vaticano
indicato contiene invece, insieme agli Sratuta pesciven- dolorum Urbis, una
redazione manoscritta dell’opera apocrifa In Rheto- ricam Isagoge (si tratta di
un cod. cartaceo che reca due fogli bianchi e non numerati all’inizio. Lo
scritto pseudo-lulliano occupa carte. Il codice è stato rilegato assieme ad un
cod. pergamenaceo che contiene gli Statuti sopra indicati). Gli altri tre
codici (parigino, monacense e ambrosiano) contengono invece effettivamente lo
scritto di Lullo sulla retorica. Dopo un sommario riferimento ai subiecta
dell’arte lulliana (Deus, angelus, coelum, homo, imaginativa, sensitiva, vege-
tativa, elementativa, instrumentativa) ed ai praedicamenta, il testo si
articola in una lunga serie di quadri sinottici nei quali viene accumulato ed
esposto, secondo un rigido ordina- mento, tutto il sapere. La considerazione
dell’imaginativa si trasforma in tal modo in una classificazione degli animali,
delle varie parti del corpo umano e degli esseri umani che vengono curiosamente
suddivisi sulla base della loro apparte- nenza ai quattro elementi della
fisica: Terrestres, ut agricolae, metallarii Aquatici, ut mautae et piscatores
Acrei, ut funambuli et schenobatae Ignei, ut fabri, Cyclopes. Hominum quidam
sunt Allo stesso modo sotto il subrectum angelo, troviamo la Hie- rarchia
angelorum, mentre la trattazione dei predicati dà luogo ad una classificazione
dei diversi tipi di narrazione storica e di dimostrazione dialettica, delle
varie parti della retorica, delle sezioni dell’etica e dei tipi di virtù,
infine delle arti mec- caniche e liberali dall’agricoltura, alla pastorizia,
alla caccia, all'arte scenica, alla culinaria, ai lavori manuali, alla filosofia,
alla musica, alla geometria, alla matematica, alla medicina. Ben più
significativo di questo trattato retorico-enciclope- dico è il De arte
cyclognomica di GEMMA, autore di un testo sulla cometa e di uno scritto sui
prodigi e le mostruosità della natura.” Gli interessi del Gemma sono rivolti
prin- 21! Cornelius GemMa, De arte cyclognomica tomi II doctrinam ordi- num
universam, unaque philosophiam Hippocratis Platonis Galeni et Avistotelis in
unius communissimae et circularis methodi speciem refe- rentes, quae per
animorum triplices orbes ad spherae caelestis simulitu- dinem fabricatos, non
medicinae tantum arcana pandit mysteria, sed et imveniendis costituendisque
artibus ac scientiis caeteris viam com- pendiosam patefacit, Antverpiae, cx
officina Plantini, Vaticana (Palat.), ma della stessa edizione esiste un
esemplare alla Braidense e uno all’Angelica. Cfr. anche De naturae divinis
characteri- smis, seu raris et admirandis spectaculis, causis, indiciis,
proprietatibus rerum in partibus singulis universi, libri Il, Antwerpiae, ex
off. Chr. Plantini (Vatic., cfr. Racc. Gen. ] cipalmente alla
medicina, ma il suo trattato si propone di giungere alla unificazione dei
metodi di Ippocrate e Platone, Galeno e Aristotele e di fondare un metodo
universale valido così per la medicina come per tutte le altre arti e scienze.
Il metodo viene suddiviso dal Gemma in tre parti a seconda che la conoscenza si
volga alla comprensione delle cose passate, allo studio delle cose presenti, e
alla divinazione di quelle future. Nel primo caso abbiamo la memoria et eius
artificium methodicuni; nel secondo la scientia etusque adipiscendae me-
thodus; nel terzo la praedictio eiusque methodus. Ricercando una via
compendiosa alla verità, il Gemma insiste a lungo sulla funzione essenziale
delle immagini, delle rappresenta- zioni simboliche, dei circoli lulliani, ma
concepisce le stesse immagini in funzione di un metodo inteso come ordinata
classificazione di tutti gli elementi che compongono il reale: « Tota vis
igitur agendi dextere et facile cognoscendi per rerum causas in ipsis ordinibus
potissimum collocatur. Ordo enim intelligentiae signum est... ».°° Alla
minuziosa, ordinata elen- cazione degli elementi naturali e sopramondani e
della facoltà è dedicata la maggior parte dello scritto del Gemma che si
configura come una grande enciclopedia nella quale appaiono largamente
dominanti i temi della sapienza ermetica e pita- gorica. Nel Quaternio
pytagoricus per mundi septenos ordines pari proportione distributos," la
materia, la qualità, lo spirito, l’anima appaiono suddivise a seconda della
loro appartenenza al mondo intelligibile, alle cose celesti, a quelle eteree,
alle sublunari, alle animate, all’uomo, allo Stato. La tavola, nella quale sono
raffigurate queste partizioni, ha il compito di mo- strare le segrete
corrispondenze tra ciascuno degli elementi, di chiarire il modo in cui il senso
o l'immaginazione, la razzo o Medicina); De prodigiosa specie naturaque Cometae
visa, Antwerpiae, ex off. Chr. Plantini (Angelica). Nell'opera dei CarreRAs y
Artau lo scritto De arte cyclognomica di è stato erroneamente datatoNon si
tratta però di un semplice errore di stampa; gli autori, che hanno lavorato
molto spesso su informazioni di seconda e anche di terza mano, trat- tano del
Gemma nel capitolo dedicato agli sviluppi del lullismo (Cfr. La filosofia
cristiana). De arte cyclognomica De arte cyclognomica] la mens si collegano
alla totalità dell’universo, ai corpi celesti, al calore presente negli esseri
animati, agli spiriti eterci, alle intelligenze che presiedono al moto degli
astri. A questo stesso scopo rispondono sia la rappresentazione grafica
dell’anima con la collocazione delle cinquantuno facoltà presenti nell’uo- mo,”
sia la raffigurazione delle tre scale ciascuna delle quali offre il quadro
delle parti che compongono la metafisica, la fisica e la logica mostrando
insieme gli scopi di queste scienze, i rapporti che intercorrono tra le varie
parti delle singole disci- pline, l'ordine nel quale dev’esser collocata ogni
parte in rela- zione all’ordine universale.? AI fondo di queste fantastiche
classificazioni, alla base delle strane figure che riempiono il testo di GEMMA,
dietro questa incondizionata adesione ai motivi più torbidi della tradizione
ermetica resta però ben saldo — ed è questo che si vuol sotto- lineare — il
presupposto di una necessaria unità del sapere che è specchio della
fondamentale unità del cosmo: « mediante l’idea stessa della divina Virtù, le
ragioni di tutte le cose risplendono in ciascuna delle particelle del mondo ».
Que- st'affermazione — e lo ammetteva esplicitamente lo stesso Gemma —
costituiva il primo, essenziale fondamento di tutta l’Arte.?* Su questo stesso
terreno, anche se con una fondamentale diversità di tono derivante dal
prevalere di interessi di tipo logico, si muove l’opera di Pedro Gregoire di
Tolosa che fu pubblicata per la prima volta a Lion; il titolo è già di per sè
indicativo: Syntaxes artis mirabilis in libros VII digestae per quas de omni re
proposita, multis et prope infinitis rationibus disputari aut tractari,
omniumque summaria cognitio haberi potest. Accanto al consueto tema [De arte
cyclognomica, De arte cyclognomica, De naturac divinis characterismis, cHoc
ergo sit primum artis nostrae fundamentum VENEZIA, apud Jo. Dominicum de Imbertis.
L'altro tomo del- l’opera ha per titolo: Sintareon artis mirabilis alter tomus
in quo om- nium scicntiarum et artium tradita est epitome, unde facilius istius
artis studiosus de omnibus propositis possit rationes et ornamenta rarissima
proferre (Archiginn.). L’opera fu
ristampata dall’editore Zetzner a Colonia]
di un’arte capace di giungere alla individuazione degli assiomi comuni a tutte
le scienze e di elaborare assoluti criteri di certezza, tornavano qui molti dei
problemi già affrontati, in quegli stessi anni, da Agrippa e da Lavinheta, ma
il tentativo del Gregoire non si risolveva in un semplice “commento” all’arte
lulliana. A differenza dei commentatori egli, dopo aver accennato a Lullo e ai
principali teorici della sintassi univer- sale, elaborava una vera e propria
enciclopedia delle scienze non indegna di essere accostata, almeno per quanto
concerne la vastità di interessi e la grandiosità, al De augmentis baco- niano.
Essa si fondava su uno speculum artis nel quale veni- vano presentati da un
lato i « modi quaerendi examinandi disputandi et respondendi » e dall’altro le
classi o cellulas alle quali ogni sapere dev'essere riferito. Il riferimento ai
princìpi assoluti e relativi dell’ars magna era qui esplicito, ma altret- tanto
e forse più interessanti sono le pagine nelle quali l’aspi- razione ad un
sapere enciclopedico e universale si congiunge alla fiducia in una sostanziale
intercomunicabilità fra tutte le scienze. Ed è da sottolineare il fatto che
questa affermazione dell’unità del sapere si converte, immediatamente dopo,
nel- l’altra, ad essa corrispondente, dell’unità essenziale del cosmo: «
Poiché, come afferma Cicerone, nulla v’è di più dolce che il conoscere tutto e
l’indagare su tutto, giunsi alla convinzione che i particolari precetti delle
singole scienze, distinti l’uno dall’altro, possono essere racchiusi in
un'unica arte generale mediante la quale essi giungano a comunicare
reciprocamente. In tutte le cose è sempre possibile rintracciare un unico ge-
nere nel quale concordano e al quale partecipano tutte le specie, nonostante
che esse differiscono in talune proprietà; è chiaro di conseguenza che, una
volta pienamente conosciuto il genere, la nozione delle specie apparirà più
facilmente, allo Commentaria in Sintaxes Artis Mtrabilis, per quas de omnibus
dispu- tatur habeturque ratio in quibus plura omnino scitu necessaria...
tractantur. Il secondo tomo ha per titolo Sintarcon artis mirabilis in libros
XL digestarum tomi duo. Nel terzo e nel quarto acutissimae ac sublimes tractationes
de Deo de Angelis et de Immortalitate animae continentur. Le citazioni che
seguono sono tratte da quest'ultima edizione (Archiginn.). Per più ampie
notizie sull'autore cfr. CARRERAS Y ArtTAU, La filos. Cristiana] stesso modo
che conosceremmo la divisione in rivoli e lc parti- zioni dei fiumi una volta
che, dalla fonte, fossimo giunti, se- guendo l’alveo, ai luoghi nei quali si
effettuano le separazioni. Allo stesso modo non apparirà impossibile e assurdo
che le diverse opere delle diverse arti vengano realizzate mediante un unico
strumento. Così infatti tutti i particolari corpi na- turali sono composti
dalla diversa mescolanza dei quattro ele- menti e tutte le piante e tutti gli
animali partecipano ad un’unica forza vegetativa e per essa crescono, e tutti i
sensi sono contenuti in uno stesso corpo e le cose corporee € quelle incorporee
consentono nell'uomo che consta di anima e di corpo, lo stesso Cielo ultimo
abbraccia naturalmente e conduce e muove in un solo ambito, in un solo moto e
in un solo influsso tutte le cose inferiori che tutte in esso concordano ». Il
fondamento della “scienza unificata” era dunque una concezione
platonico-pitagorica o, se si vuole, “magica” della realtà intesa come un tutto
unitario e vivente. La estendibilità dell'Arte o dell’unico metodo a tutte le
discipline e a tutti i rami del sapere è possibile in virtù di un presupposto
“meta- fisico”: quello di un cosmo nel quale si rispecchiano le idee della
mente che ha presieduto alla sua creazione e al suo ordi- namento: « E finalmente
tutte le cose sono create e rette dal- l’unica mente di Dio, ogni luce delle
stelle partecipa della luce del sole e tutte le virtù partecipano della
giustizia. Dio e l’uomo, infine, convengono e convivono in un’ipostasi unica:
in nostro Cristo. E poiché così stanno le cose... senza alcun dubbio la mente e
la ragione dell’uomo possono estendersi a tutte le arti, ove siano guidate da
un ottimo me- todo generale del sapere e del comprendere... A ciascuna delle
scienze particolari appartengono delle nozioni — o preludi universali —
mediante le quali l’arte e la perizia vengono facilmente potenziate. A
conclusioni non diverse giunge il patrizio veneto Valerio de VALERIIS (si veda)
che nell’Opus aureum riprende, modificandolo e integrandolo, il progetto
lulliano dell’arbor scientiarum. Nel testo del De VALERIIS il problema
dell'albero delle scienze viene presentato come strettamente connesso con
quello della formula- [Commentaria] zione delle regole della combinatoria. L’opera
è ripartita in quattro parti. Nella I vede trattata la cognizione necessaria al
raggiungimento della conoscenza degl’alberi. Nella II si mostrano i XIV alberi
dalla cui conoscenza dipende l’intera conoscenza degl’enti. Nella II illustrano
con esempi ciò che è stato esposto. Nella IV parte, infine, si mostreremo in
qual modo l’arte generale vada ridotta a questa impresa, insegnando a
moltiplicare i concetti e gli argomenti quasi all’infinito, mescolando le
radici con le radici, le radici con le forme, gl’alberi con gl’alberi, e le
regole con tutti questi e molti altri modi L’interpretazione che, nella IV
parte dell’OPVS AVREVM di Valeriis, venne data delle figure dell’arte appare
fortemente influenzata dal commento d’Agrippa e, molto probabilmente, anche
dalle saggi di BRUNO il quale e venuto pubblicando le sue opere lullistiche e
mnemotecniche. Più che ad Agrippa e a BRUNO, il de VALERIIS si richiama
tuttavia più volte a Scoto e allo scotismo -- de aliorum dictis non curamus,
Scotum praeceptorem sequimur -- introducendo una dot- trina dei predicati
assoluti e relativi. L'esigenza di un’arte aurea nasce in ogni modo, anche in
questo caso, dalla constatazione del carattere pluralistico e caotico dell’orbe
intellettuale, della povertà delle cognizioni umane, dal bisogno di un
singulare ac mirabile artificium mediante il quale fosse possibile rendersi
conto dell’ordine del cosmo al di là di una caoticità apparente e dar luogo ad
una situazione nella quale gli uomini, dopo infinite fatiche, potessero
riposare perpetuamente e sicuramente all'ombra degli alberi della scienza -- Nec
sine maximis in- commoditatibus et multis vigiliis id perfecimus ut
philosophiae imbuti valeant se aliquando ab infinitis ambagibus liberare et
viri in scientiis consumati post infinitos labores peracti possint sub felici
harum arborum umbra perpetuo et secure quiesce- [Sul De Valeriis (si veda) cfr.
CarrERAS y ARTAU, La filos. Cristiana. Per la prima edizione dell’opera si veda
RocenT Duran, Bibliografia. La citazione riportata nel testo dall'Opus aureun:
in quo omnia breviter explicantur quac R. Lullus tam in scientiaruni arbore
quam arte generali tradit è ricavata dalla edizione ZETZNER De VaLeriis, Opus
aureum, ed ZetznER] 61 re »)."! Anche per il de VALERIIS le radici degl’alberi
coincideno con i princìpi dell’arte, mentre lo stesso ordine di successione dei
vari princìpi venne presentato come dipendente dalla natura -- magnitudo vero,
quae est secunda radix, non fortuito primam sequitur, sed maximo naturae
consilio. É proprio la scala naturae che forniva inoltre il criterio cui far
ricorso nella difficile applicazione delle radici o principi dell'Arte ai
subiecta. Nell’'uniforme applicazione di queste radici ai sudiecta è da
impiegare la più grande diligenza bisogna osservare la scala della natura e
tutto ciò che, nel grado inferiore, denota una perfezione priva di
imperfezione, dev’essere attribuito al grado superiore. L'operazione attribuita
alla pietra -- che occupa il gradino infimo -- dev'essere attribuita anche ai
vegetali che occupano il II grado della scala naturale. Ciò che comporta una
imperfezione, se conviene all’inferiore, non è da attribuire ad ogni superiore
deriva che la contrarietas e la minoritas non devono essere attribuite a Dio, anche
se convengono alle cose inferiori. Il divino Lullo ordina secondo nove soggetti
e XIV alberi la scala della natura. Colui che desidera sapere molte cose in
ogni disciplina si formi questa scala.. Quelle del Gregoire e di de VALERIIS
sono posizioni tipi- che: da impostazioni di questo genere trarrà nuovo
alimento e nuova forza l’idea di una sintassi universale che fornisca, oltre
che la chiave dei misteri dell’ideale e del reale, anche il criterio assoluto
per la costruzione di una completa enci- clopedia delle scienze. Da Lullo fino
a Alsted e a Leibniz resta ben salda la convinzione che l’arte lulliana o
cabala dei sapienti o arte aurea o combinatoria o scienza generale costituisca
la scoperta meta- fisica della trama ideale della realtì.. DI RaiMonpo Lutto.
Il problema di un rapido e facile apprendimento delle regole dell’arte e
dell’ordine nel quale le nozioni sono disposte all’interno dell’“enciclopedia”
si presenta, nell'opera di Lullo e in quella dei lullisti, non come marginale o
secondario, ma 3 De VALERIS, Opus aureum, De Valeriis, Opus aureum, come
costitutivo ed essenziale. Le figure ruotanti, gl’alberi, le tavole sinottiche,
le sistematiche classificazioni si presen- tano in quei testi come gli
strumenti dei quali far uso per tra- sformare in un tempo straordinariamente
breve (si oscilla a seconda degli autori da un mese a due anni) un uomo incolto
in un sapiente, in un uomo cioè le cui possibilità di conoscenza e di azione
siano enormemente più vaste di quelle offerte dalla logica e dalla filosofia
tradizionali. È dunque naturale che, da questo punto di vista, il problema di
una tecnica memorativa o, nella terminologia del lullismo, di una confirmatio
memoriae si presentasse strettamente connesso a uello della combinatoria e a
quello della classificazione enci- clopedica degli elementi della realtà e
delle componenti del mondo del sapere. Si parlerà comunemente di art: ficium
mnemonicum, di systema mnemonicum, di logica me- morativa per indicare da un
lato le grandi costruzioni cosmo- logico-enciclopediche e dall’altro le
formulazioni o i manuali di tecnica combinatoria. Alsted, che presentava la sua
enciclopedia come artium liberalium et facultatum omnium systema mnemonicum e
Mink che intitolava logica mnemonica la sua esposizione e revisione dell’ars
magna lulliana, si richiamavano ad una tradizione precisa che ha le sue radici
nei testi cinquecenteschi del lullismo europeo e nell’opera stessa di Raimondo
Lullo. Nel prologo alla Logica Nova, scritta in catalano a Genova e tradotta in
latino a Montpellier l’anno se- guente, Lullo esponeva il suo programma di
applicazione dei princìpi dell’arte generale alla logica (considerata come
disci- plina e arte particolare) e contrapponeva la sua nuova logica a quella
tradizionale insistendo sulla facilità di acquisizione e di ritenzione della
sua logica compendiosa : Idcirco ad prolixitatem et labilitatem huiusmodi
evitandum (divino auxilio mediante) cogitavimus Novam et compen- diosam Logicam
invenire, quae citra nimiam difficultatem et laborem ab inquirentibus cam
acquiratur, et ac- quisita in memoria plenarie conservetur, ac inibi totaliter,
et facillime teneatur. Liber de nova logica, Mallorca, Cit. in CaRRERAS Y
ARTAU, La filosofia cristiana. Sulla
necessità di un apprendimento mnemonico dei princìpi dell’arte Lullo ritornerà
più volte (« diximus de diffinitio- nibus principiorum, quas oportet scire
cordatenus... »).°* Non si trattava solo di un accorgimento che riguardasse la
“messa in movimento” della complessa macchina lulliana: tutti gli elementi più
strettamente “tecnici” dell’arte (le figure, gli alberi, i versi) rispondevano
a intenti dichiaratamente mne- monici.**° Proprio nei versi dell’Aplicaciò de
l'Art general, un poema didattico che esponeva in forma “popolare” i vantaggi
derivanti dalla applicazione dell’arte alle varie scienze, Lullo insisteva
sulla miracolosa drew:tà della sua com- binatoria e sulle possibilità di un
rapido e insieme duraturo apprendimento: Que mostrem la aplicaciò Del Art
general en cascuna Que a totes està comuna E per elles poden haver En breu de
temps et retener.?° AI problema della memoria e dell’Ars memorativa Lullo aveva
del resto rivolto in modo più specifico la sua attenzione fin dai suoi primi
scritti. Sulla base della tripartizione delle tre virtù © potenze dell'anima
razionale (memoria, intelletto e volontà) già presente nel Libre de
Contemplaciò en Dèu del 1272, egli aveva progettato la costruzione di tre
grandi 54 Ars brevis, VI, 10. 95 Sul carattere mnemonico delle figure e dei
versi varie buone osser- vazioni nell'opera dei Carreras y Artau. A intenti
mnemonico-divulga- tivi rispondeva per esempio la Lògica en rims 0 « nuovo
compendio » del Compendium Logicae Algazelis (vv. 6-9 e 1574-80): en rimes e’n
mots qui son plans per tal que hom puscha mostrar logica e philosophar a cels
qui no saben lati ni arabich... Per affermar e per neguar a. b. c. pots aiustar
mudant subject e predicat relativament comparat en conseguent antesedent. 16
Aplicaciò de l’Art general, in Obras rimadas de R. Lull, Palma de M., arti
l’ars inventiva, l’ars amativa e l’ars memorativa”" connesse
rispettivamente all’ardor scientiae, all’arbor amoris e all’arbor
reminiscentiae. L’Art amativa (1290), completata dall’Arbre de filosofia d'amor
(1298), l'Art inventiva (1289) e l’Arbre de Sciencia (1295) rappresentano la
parziale realizzazione di questo progetto. Del 1290 è l’Arbre de filosofia
desiderat: ciò che è « desiderato », e nel corso dell’opera solo parzialmente
realizzato, è appunto quell’arte della memoria da lungo tem- po progettata.
Muovendosi entro l’arbre de filosofia e seguen- done la complessa struttura
sarà possibile, secondo Lullo, giun- gere ad intendere le cose vere, ad amare
quelle buone e a ricordare artificialmente le cose passate. Il tronco è l’ente
dal quale derivano i rami e i fiori che rappresentano contempora- neamente i
nove princìpi e i nove predicati dell’arte. Le let- tere da è a et designano i
diciotto principi-fiori dell’ars ma- gna, le lettere da / ad « i XVIII princìpi-rami.
La struttura dell’albero è quindi la seguente: FIORI TRONCO RAMI b. bontà
differenza potenza Ente Dio creature I. C. grandezza concordanza oggetto Ente
reale fantastico m. D durata contrarietà memoria ENTE | genere specie n. E
potenza principio intenzione ExTE movente movibile D) F sapienza medio punto
trascen- EnTE unità pluralità p- e.
volontà — fine vuoto [dente] Ente
astratto concreto q. Ah. virtù maggiorità opera ENTE intensità estensione r i. verità eguaglianza
giustizia Ente somiglianza dissomiglianza s. K gloria minorità ordine Ente
gencrazione corruzione tt. Facendo uso della tecnica inventivo-espositiva, che
trova più ampio sviluppo nell’ars brevis e nell’ars magna, Lullo si richiama
alla figura circolare, alla definizione dei princìpi, a dieci regole, infine
alle proposizioni e alle questioni. La tecnica memorativa risulta dalla
sistematica applicazione di d (memoria) a ciascuno dei rami simboleggiati da /,
m, n, ecc. Ne risultano nove combinazioni dl, dm, dn, ecc., in ciascuna delle
quali la memoria artificiale si realizza attraverso parti- [Regole per la
memoria sono già presenti nel Liber de contemplaciò. Cfr. Carreras y ArtaAU, La
filos. Cristiana] colari accorgimenti giungendo a risultati di volta in volta
differenti. Accanto alle ingenue “regole” già presenti nella trattatistica
antica e medievale di medicina applicata alla me- moria, troviamo qui presente
il ricorso alla concordantia, alla contrarietas, alla differentia (dp:
memoria-unità pluralità; ds: memoria-somiglianza dissomiglianza) e alla
subordina- zione del particolare al generale (4n: memoria-genere specie). Lullo
si muove dunque, in questo caso, sul terreno di quella rudimentale psicologia
delle associazioni che deriva, diretta- mente o indirettamente, dalle opere
aristoteliche. Le regole della memoria contenute nell’Arbre de filosofia
desiderat sono state ampiamente riassunte cd esaminate dai Carreras y Artau.?*
È quindi più opportuno richiamare qui l’attenzione su alcune opere inedite di
Lullo che non sono state, a tutt’oggi, fatte oggetto di specifico esame. Si
tratta, in primo luogo, dell’inedito Liber de memoria conservato in due
manoscritti, Montpellier. In questo scritto, che viene presentato dall’autore
come la realizzazione di un progetto lungamente meditato (« finivit Raymundus
librum memoriae quem diu desideraverat ipsum fe- cisse »),‘° Lullo fa
riferimento ad un d/bero, l’arbor memo- riae, che non appare elencato tra i
sedici alberi dell’Arbre de Sciencia del 1295. Nell’arbor memoriae vengono
elencati e classificati nove tipi di memoria ciascuno dei quali è posto in
corrispondenza con ciascuno dei nove princìpi, dei nove 38 La filosofia
cristiana. Il Dictionnaire de Theologie
catholique e il Lirtré, Histoire littéraire de la France, vfanno riferimento a
due manoscritti: Parigi Lat.; Innichen; Ho trovato inoltre sc- gnalati il ms. Univ.
di Torino e il Vat. Urb. lat. Il
manoscritto torinese è andato distrutto. Il Cod. Vat. Urb. lat. non contiene il
Liber de memoria, ma un’opera apocrifa attribuita a Lullo Non ho visto il ms.
di Innichen. Le citazioni sono tratte dal parigino lat. alle cartev. Inc.: Per
quendam silvam quidam homo ibat. Expl.: Ad gloriam et honorem Dei finivit
Raymundus librum memoriae quem diu desi- deraverat ipsum fecisse. Et finivit in
Montepessulano in mense februarii, anno CCCIIH ab incarnatione Domini Nostri
Iesu Christi. 4° Par. Lat.] princìpi relativi, c delle nove quaestiones. Ecco
l’inizio del trattato: Per quendam silvam quidam homo ibat considerando quid
erat causa quia scientia difficilis est ad acquirendum, facilis vero ad obliviscendum
et videbatur ci quod propter de- fectum memoriae istud erat eo quia sua
essentia non bene est cognita atque suae operationes sive condiciones
naturales, et ideo proposuit de memoria facere istum li- brum ad memoriam caque
ci pertinent agnoscendum. Subicctum huius libri est ars gencralis, coque cum suis
principiis et regulis memoriam intendimus investigare... Est autem memoria ens
cui proprium et per se est memo- rari. Dividitur iste liber in tres
distinctiones. I est de arbore memoriac et de suis conditionibus de principiis
artis generalis cum suis diffinitionibus et regulis. II distinctio est de
floribus memoriae et de principiis et re- gulis artis gencralis ipsi memoriae
applicatis. III distinctio est de quaestionibus de memoria factis ct de
solutionibus quaestionum. Et primo de prima dicemus. Arbor memoriae dividitur
in IX flores ut in sc patet. 17r. I flos est b et b significat / bonitatem
[dantem in] > memoriam receptivam ct utrum; II flos est C, et C significat
magnitudinem concordantiam memoriam remissivam et quid est; d significat
durationem contrarietatem memoriam conservativam ct de quo; E significat
potestatem sive principium memoriam activam et F significat sapientiam medium
[materiam] memoriam discretivam et quantum; G significat voluntatem finem
memoriam multiplicativam et quale; H significat virtutem maioritatem memoriam
significativam et quando; I significat [veritatem] aequalitatem memoriam terminativam et ubi; K
significat gloriam, minoritatem memoriam complexionativam et quomodo et cum
quo. In arte ista alphabetum ABECEDARIVM
supradictum cordetenus scire oportet... Facendo ricorso alle tavole e alle
figure dell’Ars brevis e dell’Ars magna è possibile, correggendo e integrando
in due o tre punti il manoscritto," rendersi conto di come si confi-
gurasse per Lullo la progettata applicazione dell’ars generalis. Le parole
poste fra sono supplite, quelle poste
fra parentesi quadre sono giudicate da espungere. Spesso con il termine
supplito si propone la correzione di evidenti errori di trascrizione. I termini
posti fra parentesi quadre nella tabella che segue manca- no o risultano
alterati nel codice.] allo specifico campo della memoria. La struttura della
combinatoria lulliana appare in questo caso la seguente: D PRINCIPI PRINCIPI
SUBIECTA QUAESTIONES ASSOLUTI RELATIVI MEMORIA {b. bonitas [differentia]
receptiva utrum c. magnitudo concordantia remissiva quid d. duratio
contrarictas conservativa de quo e. potestas principium activa [quare ] f.
sapientia medium discretiva quantum g. voluntas finis multiplicativa quale h.
virtus maioritas significativa quando i. veritas acqualitas terminativa ubi k.
gloria minoritas complexionativa quomodo ct cum quo. Non è certo il caso di
addentrarsi qui in una spiegazione del complesso funzionamento
dell’applicazione dell’ars generalis al subiectum memoria. Una tale spiegazione
richiede- rebbe fra l’altro la preliminare chiarificazione dei procedi- menti
della combinatoria i quali, anche di recente, sono stati esposti e discussi in
modo egregio da Platzeck. Basta soffermarci su un passo particolarmente
indicativo del tipo di problemi ai quali si volge l’attenzione di Lullo. Nel
brano che segue Lullo affronta da un lato il problema del rapporto tra la
facoltà memorativa e il corpo e dall'altro fa leva sul passaggio dal generale
al particolare per gettare le basi di una tecnica del ricordo: Memoria est in
loco ut per regulam de i in tertia parte. Quod amiserat principium
distinctionis signatum est et est in loco per accidens non per se, hoc est
ratione cor- poris cum quo est convicta, quoniam memoria per se non est
collocabilis eo quia non habet superficiem sed est in loco in quo corpus est,
ct sicut corpus est mutabile de loco in locum, etiam memoria per ipsum. Memoria
vero mutat obiecta de uno loco in alium non mutando se, sed mutando suas
operationes obiective recipiendo spe- cies quae sunt similitudines locorum cum
quibus est dis- cretiva et multiplicativa ct ideo secundum quod ipsa est
conditionata cum loco, debet artista uti ipsa per loca et ideo si vult
recordari aliquid traditum oblivioni, consi- derat illum locum in quo fuit et
primo in genere, sicut In qua civitate, post in specie, sicut in quo vico, post
[PLATZECcK, La combinatoria luliana] in particulari, sicut in qua domo seu in
aula seu in coquina 21v. / et sic de aliis et ideo per talem discursum memoria
multiplicabit se. Nonostante che l’attenzione di Lullo sia qui chiaramente
rivolta al processo di successiva determinazione dei particolari (nella sua
terminologia la tractatio de generali ad specialia postea descendens) è
difficile non avvertire nel passo ora citato l'eco, sia pure attenuata, di
quella discussione sui “luoghi” che caratterizza tutta la mnemotecnica di
derivazione « cice- roniana ». Gli stessi esempi portati da Lullo (la città, la
strada, la casa, la stanza, la cucina) sono tipici di quella termi- nologia
della quale i “ciceroniani” avevano fatto un uso larghissimo. Per il tramite
dell’agostinismo qualche elemento di quella tradizione dev’essere penetrato
all’interno dello stesso pensiero di Lullo. I rapporti tra lc tecniche
memorative escogitate da Lullo e la tradizione ciceroniana sono certo assai
tenui e difficilmente determinabili e tuttavia sarebbe grave- mente errato,
continuando ad interpretare l’arte lulliana come un abbozzo di “logica formale”,
sottovalutare il peso che sui progetti dell’arte esercitò quella tematica di
derivazione ago- stiniana che vedeva nella distinzione di memoria, intelletto e
volontà l’espressione simbolica delle tre persone della Trinità. Di fatto, come
nota Yates, l’arte appare anch'essa concepita a immagine e somiglianza della
trinità divina. Nella sua pienezza essa consta di tre facce o aspetti: il primo
(che si realizza mediante la combinatoria o la nuova logica) agisce mediante
l’intelletto; il secondo me- diante il quale si esercita la volontà (e a
quest’aspetto si rife- riscono le opere mistiche di Lullo); il terzo che
concerne la memoria e trasforma l’intera arte in un grande sistema di
mnemotecnica.!* 44 Sul rapporto fra la mnemotecnica ciceroniana c l’opera di
Agostino cfr. YATES, The ciceronian art of memory, nel vol. Medioevo e
Rinascimento, studi in onore di NARDI, Firenze. Si veda a questo proposito il
Cod. della Naz. di Parigi: Liber iste [si tratta del Liber memoriae] valde
utilis est et asso- ciabilis cum libris Intellectus et Voluntatis in uno
volumine quantum ad invicem sunt se iuvantes ad attingendum secreta rerum. Sull'arte
concepita a immagine della Trinità cfr. Yates, The art of Lull, Sull’effettiva
influenza di questa impostazione agostiniana esiste com'è noto una larga
documentazione. Oltre ai nume- rosi passi del Liber de contemplaciò e
dell’Arbre de filosofia desiderat ricordati dai Carreras y Artau si vuol qui
segnalare, come particolarmente indicativo, un altro scritto inedito di Lullo,
il Liber de divina memoria, Messina. In quest'opera l’indagine sulla memoria
ap- pare piegata, secondo una curvatura tipicamente agostiniana, a precise
finalità teologiche. Trascriviamo, dal ms. ambrosia- no, l’inizio del trattato:
22r. Deus cum tua misericordia incipit liber de tua memoria. Quoniam de divina
memoria non habemus tantam noti- tiam sicut de divino intellectu et voluntate,
idcirco inten- dimus indagare divinam memoriam ut de ipsa tantam notitiam
habeamus quantam habemus de divino intellectu et voluntate. Ex hoc habebimus
maiorem scientiam de deo... De divisione huius libri: dividitur iste liber in
quin- que distinctiones. In prima tractabimus de memoria ho- minis, in secunda
investigabimus memoriam divinam per divinum intellectum, in tertia divinam
voluntatem, in quarta divinam trinitatem, in quinta et ultima divinas rattones.
Memoria humana est potentia cum qua homo recolit ca quae sunt praeterita et ad
hoc declarandum damus istud exemplum. Potentia imaginativa non habet actum
scilicet imaginari in illo tempore in quo potentia sensitiva attingit suum
obiectum cet de hoc quolibet potest habere experientiam, a simili dum homo
attingit obiec- tum pensatum seu imaginatum in tempore presenti tunc memoria
non potest memorari illud obiectum quia intel- lectus et voluntas hominis
impediunt quominus memoria 22v. habeat suum actum quia intellectus intelligit
ipsum obiectum et voluntas diligit seu odit illud et per hoc ostenditur quia
memoria est potentia per se contra illos qui dicunt quod memoria non est
potentia per se sed est radicata in intellectu et simul sunt una potentia, quod
falsum est ut super declaratum est. Littré (Hist. litt. de la France) fa
riferimento al Cod. della Staatsbibl. di Monaco, il Longpré (Dicr. de Théol.
cat.) segnala, accanto a quello di Mo- naco, il Vat. Ott. lat. Cod. Ambrosiano
segnalato dall’ Ottaviano. Inc.: Deus cum tua misericordia incipit liber de tua
memoria. Quo- niam de divina memoria. Exp/.: Ad laudem et honorem Dei finivit
Raymundus istum librum in civitate Messanae mense Martii anno. Fra le due opere
sulla memoria delle quali abbiamo fatto cenno, si colloca infine un terzo testo
sulla memoria — il Liber ad memoriam confirmandam — anch'esso inedito, composto
a Pisa nel 1308 durante il sog giorno nel convento di San Domenico.“ Il
trattato si apre con la dichiarazione dei fini che si propone la confirmatio
memoriae («ratio quare presentem volumus colligere trac- tatum est ut memoria
hominum, quae labilis est et caduca, modo rectificetur meliori ») e con la
distinzione fra le tre po- tenze naturali dell'anima — capacitas, memoria,
discretio — ciascuna delle quali può essere perfezionata mediante l’im- piego
di una particolare tecnica. A ciascuna delle tre potenze naturali corrisponde
in tal modo una potenza artificiale ac- quisibile mediante l’arte. A
quest’ultima spetta fra l’altro il compito di dar luogo ad un tipo di
apprendimento e di tra- smissione del sapere che non affatichi inutilmente e
bestialmente i giovani: Ir. Primo igitur ut laborans in studio faciliter sciat
modum scientiam invenire et ne, post amissos quamplurimos la- bores, scientiae
huius operam inutiliter tradidisse noscatur, Iv. sed potius labor in requiem et
sudor / in gloriam plena- ric convertatur, modum scientiae decet pro iuvenibus
in- venire per quem non tanta gravitate corporis iugiter de- primantur, sed,
absque nimia vexatione et cum corporis levitate et mentis laetitia, ad
scientiarum culmina gra- dientes equidem propere subeant. Multi enim sunt qui,
more brutorum, literarum studia cum multo et summo labore corporis prosequuntur
absque exercitio ingenii arti- ficioso, sed et continuis vigiliis maceratum
corpus suum iuxta labores proprios inutiliter cxhibentes. Igitur decet modum
per quem virtuosus studens thesaurum scientiac leviter valcat invenire et a
gravamine tantorum laborum relevari possit. Di questo testo ho visto le tre
redazioni manoscritte conservate nei seguenti Codici: Ambrosiana.; Monaco,
Staatsbibl; Parigi Naz. lat. Vat. lat, che ho trovato segnalato a proposito del
Liber ad memoriam confirmandam, non contiene opere di Lullo. Nella tra-
scrizione mi sono servito dei tre codici indicati. L'indicazione delle carte si
riferisce al cod. monacense. Per il testo completo dell'operetta cfr.
l’appendice. L’arte si presenta dunque come uno strumento di libera- zione da
una pedagogia inutilmente sopraffatrice: il tema di un rafforzamento
“artificiale” delle potenze naturalidell'anima si legava al motivo, tipicamente
francescano, della letizia spi- rituale. La capacitas può essere perfezionata
mediante l’attenzione e l’ordinata partizione degli argomenti. Al
perfezionamento della memoria vera e propria vengono dedicate osservazioni che
presentano un notevole interesse c che differenziano in misura notevole questo
dagli altri testi lulliani sull’argomento: 2v. 3r. Varie cose sono da
sottolineare in questo brano: in primo luogo il richiamo all’aristotelico De
memoria et reminiscentia Venio igitur ad secundam, scilicet ad memoriam quae
quidem, secundum antiquos, alia est naturalis, alia est ar- tificialis.
Naturalis est quam quis recipit in creatione vel generatione sua secundum
materiam ex qua homo gene- ratur et secundum quod influentia alicuius planetae
su- perioris regnat: et secundum hoc videmus quosdam homines meliorem memoriam habentes
quam alios, sed de ista nihil ad nos quoniam Dei est illud concedere. Alia est
memoria artificialis et ista est duplex quia quaedam est in medicinis et
emplastris cum quibus habetur, et istam reputo valde periculosam quoniam
interdum dantur tales medicinac dispositioni hominis contrariae, interdum
super- fluae et in maxima cruditate qua cerebrum ultra modum dessicatur, et
propter defectum cerebri homo ad demen- tiam demergitur, ut audivimus et
vidimus de multis, et ista displiciet Deo quoniam hic non se tenet pro contento
de gratia quam sibi Deus contulit unde, posito casu quod ad insaniam non
perveniat, nunquam / vel raro habebit fructus scientiae. Alia est memoria
artificialis per alium modum acquirendi, nam dum aliquis per capacitatem re-
cipit multum in memoria et in ore revolvat per scipsum quoniam secundum Alanum
in parabolis studens est ad- modum bovis. Bos cnim cum maxima velocitate
recipit herbas et sine masticatione ad stomachum remittit quas postmodum
remugit et ad finem, cum melius est dige- stum, in sanguinem et carnem
convertit: ita est de studente qui moribus oblitis capit scientiam sine
deliberatione, unde ad finem ut duret, debet in ore mentis masticare ut in
memoria radicetur et habituetur quoniam quod leviter capit leviter recedit et ita
memoria, ut habetur in Libro de memoria et reminiscentia, per saepissimam rei-
terationem firmiter confirmatur. (tale richiamo che è presente sia nel ms.
parigino sia nel mo- nacense, è invece assente in quello ambrosiano. Il ms.
parigino reca inoltre un erroneo Aristotelem in luogo di Alanum) c l’insistenza
sulla reiteratio come elemento essenziale al raf- forzamento della memoria; in
secondo luogo l’assenza di ogni ricorso o riferimento all’arbor memoriae e
l’aperta polemica contro i peccaminosi ed empi tentativi di una applica- zione
delle tecniche mediche alla memoria; in terzo luogo, infine, la distinzione
(che vien fatta risalire agl’antichi fra memoria naturale e memoria
artificiale. Si tratta di affermazioni e di tesi che consentono di stabilire una
connessione fra la trattazione lulliana della memoria e quell’ambito di
discussioni che si collegavano da un lato al De reminiscentia aristotelico e
dall’altro alla persistenza di motivi di deriva- zione retorica. Mentre l’uso
del termine discreto pare rin- viare al concetto aristotelico di rem:niscentia,
l’accenno agli antichi sembra confermare, ancora una volta, una conoscenza, sia
pure indiretta, di alcuni elementi attinti alla tradizione della mnemotecnica
ciceroniana CICERONE. Ci siamo così a lungo soffermati su questo testo perché
esso è indicativo di un atteggiamento caratteristico sul quale gli specialisti
di Lullo non hanno ancora bastantemente ri- volto la loro attenzione: non si
procede in quest'opera ad applicare le regole dell’arte allo specifico settore
della me- moria, ma si pone l’intera struttura della combinatoria lul- liana a
servizio della memoria artificiale. Ad multa recitanda consideravi ponere
quacdam nomina 3v. relativa per quac ad omnia possit responderi. Ista enim sunt
nomina supra dicta quid, quare, quantus et quo- modo. Per quodlibet istorum
poteris recitare viginti ra- tiones in oppositum factas vel quaccumque
advenerint tibi recitanda et quam admirabile est quod centum possis ra- tiones
retinere ct ipsas, dum locus fuerit, bene recitare... Ergo qui scientiam habere
affectat et universalem ad om- nia desiderat, hoc circa ipsum tractatum laboret
cum dili- gentia toto posse quoniam sine dubio scientior crit aliis... Primum
igitur per primam speciem nominis quid, poteris certas quaestiones sive
rationes sive alia quaecunque volue- ris recitare evacuando secundam figuram de
his quae con- tinet, per secundam vero poteris in duplo respondere seu recitare
et hoc per evacuationem tertiae figurae et multi- plicationem primac. Il Liber
ad memoriam confirmandam ci è pervenuto solo in tre tardi manoscritti del
secolo XVI, i quali, oltre a numerosi errori, presentano differenze spesso
notevoli. Il riferi- mento alquanto generico alle quaestiones; l’insistente
richia- mo ad un Liber septem planetarum (è il Tractatus novus de astronomia)
nel quale sarebbero definite la capacitas, la memoria e la discretio; la
confusa esposizione della tecnica della evacuatio e della multiplicatto che già
nell’Ars magna era stata chiaramente teorizzata; l'impossibilità nella quale ci
troviamo, date le divergenze fra i codici, di controllare l’autenticità del
richiamo al De memoria aristotelico: questi ed altri elementi non possono non
indurre a molta cautela. Il testo è senza dubbio autentico, ma esso ha probabilmente
subìto notevoli alterazioni. Le conclusioni cui siamo giunti, relativamente ai
rapporti di Lullo con la tradizione della mne- motecnica aristotelica e
“ciceroniana”, possono dunque essere considerate valide solo in quanto esse,
come abbiamo cercato di mostrare, risultano confortate dall’analisi delle altre
opere inedite sulla memoria. Nel caso del Liber ad memoriam confirmandam
sussistono dunque solo alcuni dubbi. Assai chiaro è invece il caso del ms. Urb.
lat. che è stato erroneamente considerato come una delle redazioni del Liber de
memoria. Qui ci troviamo in presenza di un tratto di memoria locale, conce-
pito secondo i più rigidi e convenzionali canoni della mne- motecnica
ciceroniana, e falsamente attribuito a Lullo. Tra- scriviamo qualche passo: Localis
memoria per Raimundum Lullum. Ars memora- tiva duobus perficitur modis scilicet
locis et imaginibus. Loci non differunt ab imaginibus nisi quia loci sunt an-
guli, ut quidam putant, sed imagines quaedam fixae Cod. cart. La Localis
memoria per Raimun- dum Ltullum è alle carte. È da notare che nel Catalogus
omnium librorum magni operis Raymundi Lulli proxime publico co- municandi,
pubblicato a Magonza da Salzinger si trova elencata una Ars memorativa (Inc.:
Ars confirmat et auget utilitates) della quale si trova un esemplare nel cod.
della Staatsbibl. di Monaco (cfr. Littré, Hirst. litt. de la France). L’attri-
buzione a Lullo veniva tuttavia successivamente rifiutata dallo stesso
Salzinger che ometteva lo scritto dall'elenco delle opere lulliane che si trova
nell'edizione di Magonza] super quas, sicut super cartam, dipinguntur imagines
de- lebiless Unde loca sunt sicut materia, imagines sicut forma. Oportet autem
ut locis serbetur modus ne scilicet inter ca sit distantia nimium remota vel
nimium brevis, sed moderata ut quinque pedum vel circa; non sit etiam nimia
claritas vel nimia obscuritas sed lux mediocris... / Inveni igitur, si poteris,
domum distinctam caminis XXII diversis et dissimillibus. Habcas semper ista
loca fixa ante oculos sicut situata in cameris et scias ante et retro illa
recitare, per ordinem etiam scias quis primus, quis 339 v. secundus, quis tertius et sive de aliis... /
Si detur tibi aliud nomen notum, puta Joannis, accipe unum Joannem tibi notum...
et ipsum collocabis in loco... Che un’opera di questo genere, appartenente ad
una tra- dizione culturale assai differente da quella nel cui ambito si era
mosso Lullo, venisse attribuita al filosofo di Maiorca non è tuttavia senza
significato. Nel secolo XVI, mentre nell’am- bito del lullismo ortodosso si
vengono sviluppando in fun- zione mnemonica i temi della combinatoria, si
realizza l’in- contro, al quale più volte abbiamo accennato, fra la tradizione
ciceroniana CICERONE e quella lullista. A questo incontro darà risonanza
europea l’opera di BRUNO. Ma quasi settan- t'anni prima della comparsa del De
umbris idearum, del Cantus circaeus e del De compendiosa architectura et
commento artis Lullii (pubblicati tutti a Parigi) uno dei più rinomati maestri
del lullismo europeo, legato al gruppo di Lefèvre, aveva tentato una sintesi
fra l’arte “ciceroniana” della memoria e la combinatoria di Lullo. Presso
l’editore Zetzner di Colonia, che aveva pubblicato la grande raccolta dei testi
lulliani e dei commenti a Lullo, Alsted curava la stampa della Explanatio
compendiosaque applicatio artis Raymundi Lullit del francescano Lavinheta.‘*
L’opera era stata 1° Bernarpi De LavinHETA, Opera omnia quibus tradidit artis
Ray- mundi Lullii compendiosam explicationem et ciusdem applicationem ad logica
rhetorica physica mathematica mechanica medica mataphysica theologica ethica
iuridica problematica, edente Johnne Henrico Alstedio, Coloniac, Sumptibus
Lazari Zetzneri bibliopolae (Trivulz. Mor. pubblicata per la prima volta, a
Lione, quasi un secolo avanti. Mentre si scagliava nella prefazione contro i
ridicoli aristotelici e gli inetti ramisti persecutori di Lullo e del lulli-
smo e intolleranti di ogni libertà (« Itane docuit Aristoteles ut aliis docendi
cathedram iusserit clausam? Minime vero... »), Alsted metteva in guardia i
lettori da quel tanto di « scola- stico » e di « papistico » che era ancora
presente nell’opera di Bernardo: «Sed ostendit praxin philosophiae lullianae
more suo et sui saeculi, id est barbare et papistice. Date itaque ope- ram ne
impingatis ad duos istos scopulos. Ciò che aveva entusiasmato Alsted, al di lì
degli « scogli » della barbarie scolastica e del cattolicesimo, era il
tentativo, presente nell’opera del Lavinheta, di costruire sui fondamenti
dell’arte lul- liana una vastissima enciclopedia delle scienze. L’applica-
zione dell’ars Lullii, come chiariva il titolo, concerneva in- fatti la logica
la retorica la fisica la matematica la meccanica la medicina la metafisica la
teologia l’etica e la giurispru- denza. Nella sua partizione e classificazione
delle scienze Lavin- heta si era richiamato all’immagine lulliana dell’unico
albero del sapere rispetto al quale le varie discipline particolari si
collocano come i diversi rami di un unico tronco. Pur intro- ducendo nella sua
trattazione partizioni e distinzioni assai lontane dal lullismo (per esempio i
tre rami del trivium), Bernardo aveva attinto largamente, in particolare nella
sua logica, alle figure della combinatoria. Ma il suo intento di servirsi
dell’ars magna in vista di una ricerca di princìpi uni- versali e necessari
capaci di unificare tutto il sapere, si rivela con molta chiarezza nella
sezione intitolata /ntroductio in artem Raymundi Lullit: « È necessaria
un’unica arte generale che abbia princìpi generali, primitivi e necessarii, mediante
i quali i princìpi delle altre scienze possano essere provati e esaminati... Le
arti e le scienze speciali sono troppo prolisse e la breve vita dell’uomo
richiede che l’intelletto possegga un qualche strumento universale. Nella sua
ampia trattazione Bernardo inseriva un vero e proprio trattato di cosmologia e
di filosofia naturale (nella discussione della terza figura), intere opere di
medicina (Hor- 3° De necessitate artis.] tulus medicus, De medicina operativa,
ecc.) e considerazioni sull’ars praedicandi e sull’interpretazione delle
Scritture: egli si muoveva in tal modo sullo stesso terreno della Rhetorica
pseudo lulliana e dava l’avvio a quell’enciclopedismo su basi lulliane al quale
dettero la loro piena adesione, negli ultimi anni del secolo, sia il Gregoire
che il de Valeriis. Con il corso del Lavinheta alla Sorbona era rientrato
trion- falmente a Parigi, dopo la grande parentesi mominalista ini- ziatasi con
le polemiche di Pietro d’Ailly e del Gerson, l’in- segnamento del lullismo. Ove
si tenga presente la grande risonanza che ebbero nel mondo dei dotti le lezioni
del Lavin- heta, la sua intensa attività editoriale nei maggiori centri europei
da Parigi a Lione a Colonia, la sua “fortuna, può apparire particolarmente
interessante anche la tematica sulla memoria elaborata nell’ultima parte della
Explanatio. Bernardo si propone qui di costruire un'arte ca- pace di servirsi
contemporaneamente e delle tecniche memo- rative elaborate da Lullo e di
quelle, già larghissimamente sviluppate, che erano state ricavate dai saggi di
CICERONE e di Quintiliano. La definizione della memoria naturale, della quale
La- vinheta si serve, è ricalcata sui testi lulliani e sui commen- tari
medievali al De reminiscentia aristotelico: « Est memoria naturalis illa
potentia cui proprie competit recolere, de cuius organo in tractatu
philosophiae naturalis dictum est. Nam ipsum est in occipite ad modum pyramidis et ipsa
potentia est spiritualis. Cuius
officium est species per intellectum ac- quisitas conservare et similitudines
earundem (imperio volun- tatis) intellectui repraesentare ».”! Per quanto
concerne la memoria artificiale, Lavinheta ri- prende invece, quasi con le
stesse parole, i concetti espressi da Lullo nell’inedito Liber 24 memoriam
confirmandam : LavinHETA, Explanatio (edizione LuLro, Monaco (Staatsbibl.)). Artificialis memoria duplex
est: quacdam est in medicinis et em- plastris, quam Doctor noster re- putat
valde periculosam ex eo quia [De memoria, dell’ediz. Alia est memoria
artificialis et ista est duplex quia quaedam cst in medicinis ct emplastris cum
quibus habetur, et istam reputo citata.] interdum dantur medicinac contravalde
periculosam quoniam inter- riac dispositioni hominis in tanto dum dantur tales
medicinac dîs- gradu caliditatis quod cerebrum
positioni hominis contrariac, In- dessicant et sic homines in
dementerdum superfluae ct in maxima tiam et stultitiam deveniunt. cruditate qua
cerebrum ultra mo- dum dessicatur, et propter defec- tum cerebri homo ad
dementiam demergitur, ut audivimus ct vidi- mus de multis, et ita displiciet
Deo... Introducendo una separazione fra le «res sensibiles quae sensu capi
possunt» e le «res intelligibiles quae intellectu solo capiuntur », Bernardo
apriva però subito dopo la strada alla distinzione fra due tipi di memoria
artificiale: « Secun- dum hanc duplicem differentiam, duplex est modus artifi-
cialis memorandi. Primus facilior est longe secundo ». Il me: todo più facile
di quello lulliano al quale Lavinheta fa qui riferimento è quello — a noi già
noto — della memoria “lo- cale” o “ciceroniana”. Per ricordare gli oggetti che
cadono sotto i sensi e i prodotti dell’immaginazione si fa ricorso, secondo i
canoni tradizionali, ai luoghi ordinati e alla collo- cazione delle immagini
nei luoghi: « stabilienda sunt specifica loca in aliquo familiari spacioso et
communi quemadmodum est ecclesia, monasterium aut domus... sui oppidi aut sui
civi- tatis ». Ritorna, naturalmente, il precetto dell’ordine dei luo- ghi («
memoria ab inordinatione confunditur ») e quello della collocazione nei luoghi
delle similitudines o immagini: «et sic procedendo de loco in loco
similitudines rerum collocet... et id etiam ordine retrogrado facere potest et
pluries debet illa discurrere ».°? Si riaffacciano i temi consueti della
iconologia alla quale è affidato il compito di rappresentare e richiamare alla
memoria le «cose intellettuali »: oggetti « meramente intelligibili » come gli
angeli potranno essere raffigurati « que- madmodum est in Ecclesiis cum
figurare, ut esset parvulus infans cum aliis », mentre per fissare nella mente
concetti (per esempio: « Dominus est illuminatio mea et salus mea ») ci si
servirà largamente delle figure emblematiche: «si porrà nel luogo designato
l’immagine solenne di un uomo ben vestito che tiene in una mano un lume e
nell’altra del sale, e benché sale e salute significhino cose diverse, tuttavia
per [Explicatio] quella certa somiglianza che i due termini hanno ‘n voce,
l’una cosa condurrà a ricordare l’altra »."? Di fronte agli oggetti della
speculazione, a quelle cose cioè « quae sunt remotissima non modo a sensibus,
vero et ab ima- ginatione », la tecnica “ciceroniana” della memoria si rivela
tuttavia insufficiente. In questi casi è necessario far ricorso ad un secondo,
più complicato tipo di memoria artificiale, volgersi all’ars generalis
escogitata da Lullo. Qui — afferma Lavinheta — piegando ad un uso nuovo la
vecchia terminologia ciceroniana CICERONE — tutti i possibili oggetti del
sapere ven- gono « collocati in pochi luoghi » e, attraverso i princìpi, le
figure, le regole, le guaestiones, l'artista può impadronirsi in modo duraturo
di tutto lo scibile La combinatoria di Lullo era dunque apparsa al Lavinheta
contemporaneamente come una logica e una mnemotecnica: da un lato essa si
poneva come lo strumento universale (1nstru- mentum universale) mediante il
quale tutti i princìpi delle scienze particolari potevano essere sottoposti ad
esame, dal- l’altro essa si identificava con un grande sistema di ars remi
niscendi che aveva assai più ampie possibilità di applicazione dell’ars
memoriae di derivazione retorica e ciceroniana. Per rendersi conto di come
posizioni di questo genere giungessero ad incidere profondamente in ambienti
assai vari, non è ne- cessario richiamarsi ora ai testi, da questo punto di
vista deci- sivi, della pansofia e dell’enciclopedismo seicenteschi. Tredici
anni prima della pubblicazione dell’opera del Lavinheta, si erano riuniti, a Cracovia,
i rappresentanti del corpo accademico per prendere in esame la consistenza o
meno dell’accusa di magia che era stata lanciata contro Murner, autore di una Logica memorativa,
chartiludium logicae sive totius dialecticae me- moria pubblicata nel 1509.
Nello scritto, che propugnava la combinazione di un sistema di concetti con un
parallelo si- 33 Explicatio, cit., p. 654. 54 Explicatio] stema di simboli
plastici, erano evidenti gli influssi lulliani.*° La relazione finale, scritta
da Ioannes de Glogovia sulla questione, è un documento singolare. Meglio di un
lungo discorso essa ci dà la sensazione precisa della larga diffusione (anche
negli ambienti accademici) di un certo tipo di discussioni € vale anche a
mostrarci la presenza di quella connessione, che andò stabilendosi
particolarmente nelle università tedesche del Rinascimento, fra la logica e la
mnemotecnica: Ego magister Ioannis de Glogovia Universitatis Cracoviensis
Collegiatus testimonium do veritatis patrem Murner hanc chartiludium praxin
apud nos finxisse, legisse et usque adco profecisse, quod in mensis spatio
etiam rudes et indocti sic evaserint memorcs ct eruditi, quod grandis nobis
suspicio de prae- dicto patre oriebatur, quiddam magicarum rerum infu- dissc
potius, quam praecepta logicac tradidisse. L’idea di una logica memorativa o di
una sostanziale af- finità e parentela fra la logica e l’arte della memoria sta
in realtà alla base di tutti i tentativi, che si rinnoveranno nella cultura
europea dal primo Cinquecento fino a Leibniz, di utilizzare l'eredità lulliana
per costruire un’ars generalis uni- ficatrice di tutto il sapere c un sistema
mnemonicum o enci- clopedia delle scienze. La riforma della logica di Bruno e
l’enciclopedismo di Alsted si muovono, da questo punto di vista, su un terreno
comune. Non è certo un caso che tra le [Murner, Logica memorativa. Chartludiun
logicae sive totius dialecticae memoria et novus Petri Hispani textus
emendatus, cum jucundo pictasmat, cxercitio, Bruxelles, Noot (Parigi, Naz.).
Cfr. anche la Invectiva contra astrologos, Argentinae, Rés. Non sono riuscito a
vedere il Chartiludium institutae summarie doctore Thoma Murner memorante ct
ludente, Argentinae, per Johannen Priis, che contiene una riduzione delle
Istituzioni giustinianee in quadri sinottici co- struiti sulla base degli
stemmi e delle imprese dei vescovi e dei prin- cipi imperiali. L’università di
Treviri rilasciò una dichiara- zione dalla quale risultava che Murner e in
grado di insegnare le Istituzioni nello spazio di quattro settimane servendosi
di un metodo fondato sulla memoria artificiale. Su Murner cfr. Carreras Y
Artau, La filosofia cristiana,e, per le influenze di Lullo, A. Gortron, Ein
/ullisticher Lehrstuhl in Deutschland, Estudis Universitaris Catalans. Cit. in
PrantL. fonti della “caratteristica” leibniziana si trovino, accanto ai
principali testi del lullismo europeo, non poche e non secondarie opere di ars
reminiscendi. Un'altra cosa va infine sottolineata: il sospetto di magia che
aveva colpito il buon Murner era in realtà, almeno in parte, pienamente
giustificato. La logica memorativa, la com- binatoria, l’ars inveniendi e l’ars
reminiscendi si configurano spesso come progetti di fondazione di un’arte
mirabile capace di condurre, come per una rapida scorciatoia, entro i più se-
greti recessi della natura. Anche la logica o l’arte di Bruno, profondamente
legata al lullismo, alla “memoria”, alla ca- bala, agli emblemi, apparirà assai
simile a un prodotto di magia. Pio V, Enrico IH di Francia, l'ambasciatore
spagnolo alla corte di Rodolfo II, lo stesso MOCENIGO vedranno in BRUNO l’inventore
e il possessore di un'arte segreta capace di ampliare, in modo smisurato, le
possibilità di do- minio dell’uomo. Dal sospetto di magia questo tipo di logica
si libera del resto assai tardi. Nella Historia et commendatio linguae
charactericae universalis, Leibniz, mentre distingue la vera dalla falsa
cabala, si preoccupa ancora di liberare la combinatoria dall’accusa di magia. Già
a partire da Pitagora, a CROTONE, nella CALABRIA ITALIANA, gl’uomini furono
persuasi che i più grandi misteri sono nascosti nei numeri. Ed è credibile che
Pitagora introduce in Grecia dall’Oriente questa opinione come molte altre
cose. Ma ignorandosi la vera chiave dell’arcano, i più curiosi sono caduti
nelle futilità e nelle superstizioni, donde è nata quella certa cabala volgare
molto lontana da quella vera e le molteplici inezie con un certo falso nome di
magia di cui sono pieni i libri. La trad. del passo (Gerhardt) è in Barone, Logica formale e logica
trascendentale, I, da Leibniz a Kant, Torino. Non pochi esponenti della cultura
del tardo Cinquecento identificarono la combinatoria lulliana con una logica
me- morativa. Quest'ultima si presentava da un lato come l’ars ultima o
l’instrumentum universale capace di sottoporre ad esame tutti i principi delle
scienze particolari, dall’altro come un grandioso sistema di ars reminiscendi
che costituiva il fondamento di un organico e completo sistema mnemonicum o
generale enciclopedia di tutto il sapere. Da questo punto di vista l’ars
memoriae di origine retorica e ciceroniana di CICERONE poteva apparire —
accanto alla combinatoria e alla mnemo- tecnica di derivazione lulliama —
elemento essenziale alla costruzione della pansofia: alla nuova logica, capace
di ri- specchiare nella sua struttura le strutture stesse del mondo reale,
avrebbe fatto riscontro una enciclopedia o teatro uni- versale che, di quella
logica, fosse il naturale compimento. Comune presupposto a quella logica e a
quel teatro era una dottrina “speculare” della realtà, la tesi di una perfetta,
to- tale corrispondenza fra i termini e le res. Nel capitolo che precede ho
cercato di indicare le fonda- mentali linee di svolgimento della tradizione del
lullismo. Anche entro la complessa tradizione della mnemotecnica retorica e
ciceroniana di CICERONE, la cui diffusione procede contemporaneamente a quella
del lullismo, intervennero alcuni essenziali mutamenti. Questi concernono non
l’apparato tecnico dell’arte mnemonica che resta sostanzialmente immutato,
anche se va ampliandosi mediante numerosi accorgimenti, ma il significato
stesso che l’arte viene ad assumere all’interno del mondo della cultura.
Quell’ars memoriae che era stata valutata un accorgimento utile ai predicatori,
una tecnica utilizzabile dai politici dai letterati e dai giuristi, acquisce in
taluni ambienti, un ben diverso significato. Nei saggi di BRUNO essa appare per
esempio strettissimamente collegata alla tematica di una me- tafisica
esemplaristica e neoplatonica, ai motivi della cabala, alle discussioni sui
rapporti logica-retorica, agli ideali della pansofia, alle aspirazioni del
lullismo. Mentre si connetteva a questi movimenti e a queste correnti, l’ars
memoriae si andava caricando di significati metafisici, veniva piegata a
diverse esigenze di pensiero. Quella limpidità di espressioni e quella
chiarezza teoretica che avevano caratterizzato le pagine di CICERONE, di
Quintiliano, di Alberto, d’AQUINO, di TOMAI scompaiono definitivamente nella
trattatistica: un gusto di tipo barocco per i geroglifici, gl’abecedarii, i
simboli, le immagini, le allegorie appare ora nettamente dominante. Fra i saggi
sulla memoria o quelli di TOMAI da un lato e quelli di BRUNO dall’altro esiste, da questo punto di vista,
una differenza incolmabile. Nel primo caso assistiamo al tentativo di
elaborare, con strumenti razionali, una tecnica retorica fondata su uno studio
delle associazioni mentali. Nel secondo caso siamo in presenza di un complesso
simbolismo che serve da velo ad una sapienza riposta attingibile solo
attraverso la ambiguità degl’emblemi e l’allusività delle immagini, dei sigilli
e delle imprese. Ad uno strumento costruito in vista di finalità pratiche e
mondane si è sostituita la ricerca di una cifra o di una chiave che consenta di
penetrare entro il segreto ultimo della realtà e della vita. Non sono più i
teorici della retorica o gli studiosi di dialettica ad occuparsi dell’ars
memoriae: Agrippa e CAMILLO (si veda), PORTA (si veda), ROSSELLI (si veda) e BRUNO
(si veda) considerano le regole della memoria come strumenti da impiegare in
vista di finalità assai più ampie di quelle, limitate e modeste, della retorica
o della dialettica. In ciascuno di questi filosofi troviamo presenti ed
operanti i temi del lullismo e della cabala, della magia e dell’astrologia,
l’eredità dell’Ars notoria, dei testi ermetici, dei saggi di PICO (si veda) e
di FICINO (si veda). BRUNO, commentatore di Lullo e innovatore dell’Ars
memoriae, vede derivare da una fonte comune la teologia d’Eriugena, la
combinatoria, i misteri del Cusano, la medicina di Paracelso. Sono posizioni e
riferimenti, al suo tempo, già ampiamente diffusi. Ha visto la luce, a Parigi,
il De usu et mystertis Notarum Liber da
Gohory (Leo Suavius) avvocato al parlamento di Parigi e diplomatico,
grande commentatore dell’opera paracelsiana e traduttore del Principe e dei
Discorsi di MACHIAVELLI (si veda), studioso insigne di alchimia, di botanica e
di teoria della musica. Nella sua discussione sul segno egli fa riferimento
costante alla magia di Tritemio, alla cabala cristiana, all’Ars notoria, ai
saggi di PICO e di FICINO, all’ars memoriae, alla combinatoria lulliana, al
Teatro del mondo di CAMILLO. È, la sua, posizione oltremodo indicativa di un mutamento
di valutazioni. Ma prima di trarre conclusioni potrà esser di qualche giovamento
cercare di seguire la diffusione, in Europa, di taluni SAGGI ITALIANI
particolarmente fortunati; considerare alcuni di quei seatri del mondo nei
quali i temi della cabala e quelli di un enciclopedismo su basi metafisiche si
sovrappongono agli originari intenti mnemonico-retorici; soffermarsi infine su
alcuni testi nei quali i temi della combinatoria lulliana e quelli dell’arte
mnemonica confluiscono in modo partico- larmente evidente. Convenientemente
addottrinato da madama Logica, l’eroe di quel singolare poema
allegorico-didattico che è il Pastime of Pleasure di Hawes, continua la sua non
lieve ascesa nella Torre della Dottrina ed entra nella stanza di dama Retorica.
Dopo aver accuratamente enumerato le cinque parti della retorica ed aver
chiarito la connessione intercorrente fra queste e le varie facoltà dell'animo,
la dotta dama, facendo riferimento alla memoria, così si esprime: Y£ to the
orature many a sundry tale one after other treatably be tolde. Sul Gohory cfr. L. THorRNDIKE,
History of Magic and Experimental Science, New York; Wacker, Spiritual and
Demonic Magic from FICINO to CAMPANELLA, London] Than sundry images in his
closed male each for a mater he does than well holde like to the tale he does
than so behold and inward a recapitulacyon of each image the moralyzacyon which
be the tales he grounded pryvely upon these images SIGNIFICATION and whan time
is for him to specify all his tales by DEMONSTRATION in due ordre maner and
reason than each image inward directly the oratoure does take full properly So
is enprinted in his proper minde every tale with whole resemblance by this image
he does his mater find each after other without variance Who to this art will give
attendaunce as thereof to know the perfytenes In the poetes scole he must have
intres.? In questo testo,
pubblicato a Londra, veniva per la prima volta formulata, in lingua inglese, la
dottrina della retorica classica. Anche se orientato in funzione di una
poetica, il riferimento alla dottrina dei luoghi e delle immagini non poteva
essere più preciso. Il tentativo di adattare la terminologia della Rhetorica ad
Herennium alle particolari esigenze dell’arte poetica non e senza precedenti;
in questo senso la Poetria Nova composta da Goffredo di Vinsauf costituisce, come
chiara Howell, una delle principali fonti del poema di Hawes. Resta, a
confermare una sostanziale divergenza [Hawes, The Pastime of Pleasure, ed. by Mead,
London. La prima cdizione è Wynkyn de Worde, London. Ampie notizie sull’autore
e sulle edizioni nell’edizione a cura di R. Spindler, Leipzig. Il brano
riportato nel testo è cit. in Howell, Logic and Rhetoric in England, Princeton.
Dal saggio d’Howell (sul quale cfr. la rassegna Ramismo, logica e retorica, «
Riv. critica di st. della filos.) ho ricavato varie notizie sui saggi di
mnemotecnica. Il saggio in Farat, Les arts poétiques, Cfr. HowELL] di
valutazioni circa la funzione esercitata dall’ars memoriae all’interno dell’ars
rhetorica, l’importanza attribuita dallo Hawes all’ars reminiscendi in vista
della formazione del poe- ta. La stessa differenza, che è indice del sorgere di
un inte- resse nuovo per le tecniche della memoria, possiamo riscontrare
confrontando l’edizione del Mirrour of the World di William Caxton sia con le
duc precedenti edizioni sia con il Livre de clergie nommé l’ymage du monde del
quale l’opera del Caxton è la più o meno fedele traduzione. In questa terza
edizione, accanto una brevissima trattazione dell’invenzione, della dispositio
e dello stile e a più ampie considerazioni sulla pronuntiatio, troviamo una
dettagliata esposizione delle tecniche
memorative nella quale tornano, con molta abbondanza di particolari, temi
ben noti: Memory Artificial is that which men call Ars memorativa. The craft of memory by which
craft thou mayste write a thing in thy mind and set it in thy mind as evidently
as thou mayst rede and se the worcles which thou wrytest with ynke upon
parchement or paper. Therfore in this art of memory thou muste have places
which shall be to the like as it were perchenent or paper to write upon. Also
instead of thy lettres thou must imagine images to set in the same places. But if
thou canst not have a corporal image of the same thing as if thou woulddest
remembre a thing whyche is of itself non bodely nor corporall thing but
incorporall, that thou muste yet take an imagce therfore that is a corporali thing.]
L'interesse per questo genere di
discussioni è del resto strettamente collegato alla rinascita, nell'umanesimo
inglese, della grande tradizione della retorica classica, rinascita che appare
per molteplici aspetti legata ai rapidi mutamenti della società inglese,
all’avanzare sulla scena politica e culturale degli uomini di legge, ai dibattiti
sull’efficacia delle prediche religiose, alle controversie parlamentari. Non a caso nelle 4 Caxron,
Mirrour of the World, ed. Prior,
London. L'edizione del Prior è condotta sulle edizioni previe. La trattazione
sulla memoria (cit. in Howett, Logic and Rhetoric) è ricavata dalla terza
edizione: The myrrour, dyscrypcion of the wordle with many marvaylles, London] scuole
e nei colleges l’insegnamento della retorica e del metodo di trasmissione del
sapere occupa una posizione predominante : un saggio fondamentale, la Pleasant
and persuadible art of Rhetoric di Cox, venne presentato come opera necessaria
agli avvocati agli ambasciatori agl’insegnanti e a tutti coloro che avrebbero
dovuto parlare davanti ad un'assemblea. Alla diffusione nella cultura inglese
dell'ideale del cortegiano e del gentiluomo (esperto insieme di cortesia e di
politica) corrispose il moltiplicarsi dei manuali di retorica e
l’intensificarsi di una discussione che concerne, insieme alle buone maniere,
anche problemi attinenti alla persuasione, alla tolleranza, alla convivenza
civile. Solo tenendo presente questa atmosfera può del resto risultar chiaro il
significato dell’aspra, intensa polemica che si svolgerà negli ultimi anni del
secolo tra i riformatori ramisti e gli agguerriti sostenitori della logica
scolastica e della retorica ciceroniana. Molti dei motivi che abbiamo trovato
presenti negli scritti dell'’Hawes e del Caxton erano stati senza dubbio
ricavati da fonti classiche, e, sia pure parzialmente, da fonti medie- vali. Ma
non mancò, anche in questo particolare settore della cultura, un diretto
influsso italiano: esso è mostrato non solo dall'influenza esercitata in
Inghilterra dalla Nova Rhetorica di TRAVERSAGNIT (si veda) da Savona, ma anche
dalla pubblicazione di una Art of memory that otherwise is called the Phoenix.
Presentato da Copland come la traduzione di un anonimo scritto francese, questo
libretto era in realtà (come già ha notato lo Howell) la traduzione della ben
nota Phoenix di TOMAI: TOMAI Et pro fundamento huius primae conclusionis
quatuor regulas pono. I est haec: loca sunt fe- nestrae in parietibus positae,
co- lumnae, anguli et quac his si- milia sunt. II sit regula: loca non debent esse nimium vi-
Copland (B 3r) And for the foundacion of this fyrst conclusyon I wyll put IV
rules. The I is this. The places are the windows set in walls, pyIlers and
anglets, with other lyke. The Il rule is. The places ought not to be near together
not L. Cox, The Arte or Crafte of Rhetoric,
ed. Carpenter, Chicago] cina aut
nimium distantia. III to fare a sonder. The HI rule is sit regula vana
ut mihi videtur... suche. But it
is vain as me se- meth... Dati questi precedenti, appare facilmente
comprensibile come uno dei testi più fortunati e più significativi della
cultura del Cinquecento, la Arte of RAetorique di Wilson, SI RIFA IN MODO
CRATTERISTICO A FONTI ITALIANE costruendo un tipo d’esemplificazione che,
mentre da un lato ricorda da vicino i saggi di TOMAI, dall’altro sembra
anticipare, nell’uso costante di immagini di personaggi mitologici, alcune
tipiche costruzioni di BRUNO. As for example, I will make these places in my chamber. A doore, a
window, a press, a bedstead, and a chimney. Now in the doore, I wil set Cacus
the thief, or some such notable verlet. In the window I will place Venus. In
the press I will put Apitius that famous glutton. In the bedstead I will set
Richard III, King of England or some notable murderer. In the chimney I will
place the blacke smith, or some other notable traitor. Oltre e più che in Inghilterra, l’arte ciceroniana di
CICERONE della memoria trova larga diffusione. Oltre al consueto inserimento
della tecnica memorativa entro le trattazioni generali dedicate alla retorica,
si ha una vera e propria fioritura di saggi specifici. Esce a Strasburgo un’Ars
memorativa AQUINO, CICERONE, Quintiliani, TOMAI, che colloca definitivamente TOMAI
fra i classici dell’arte. A Colonia, Sibutus pubblica un’Ars memorativa, è il
Ludus artificialis oblivionis di Weida pubblicato a Lipsia. A VENEZIA, dieci
anni più tardi, esce un fortunato libretto, il Congestorium artificiosae
memoriae di Romberch, intieramente modellato sul saggio di TOMAI e poi diffuso
in Italia nella traduzione di DOLCE (si veda); a Stra- © TH. WiLson, The Art of Rhetoric for
the Use of All Such are Studious of Eloquence, ed. Mair, Oxford (cfr. Howett).
7 Jo. RomsercH DE Kwrspe, Congestorium artificiosae memoriae omnum de memoria
pracceptiones aggregatim complectens, Venetiis, in aedibus Georgii de
Rusconibus (Triv. Mor.). Yates,
The Ciceronian Art of Memory, in: Medioevo e Rinasci-] sburgo, Fries pubblica
un’Ars memorativa, ancora a Strasburgo vedono la luce la Memoria artificialis
di Riff e i Praecepta de naturali memoria confirmanda di Mentzinger; a
Wittenberg, che e stata il centro di diffusione dell’insegnamento di TOMAI,
esce il Libellus artificiosae memoriae in usum studiosorum di Spangerbergius,
più volte ristampato e incluso nel Gazoplilacium di Schenkel, una raccolta che
fa il giro di tutta Europa. L’aspra polemica di Agrippa contro l’uso e l’abuso
delle arti mnemoniche appare facilmente spiegabile ove si tenga presente questa
vera e propria invasione di testi di mnemotecnica nella vita culturale.
Attribuendo a CICERONE a Quintiliano a Seneca a PETRARCA a e a TOMAI la
responsabilità di questa frenetica mania Agrippa non solo si scaglia contro un
tipo di insegnamento che opprime gli scolari ‘n gymmnastis GINNASIO e contro
una tecnica che mira, anziché alla vera sapienza, alla gloria puerile
dell’ostentazione, ma ripete, con vigore particolare, il vecchio argomento di
tutti gl’avversari della mnemotecnica, lo stesso argomento contro il quale, BRUNO
polemizza aspramente. La memoria artificiale non è minimamente in grado di
persistere SENZA LA MEMORIA NATURALE e quest’ultima viene assai di frequente
resa ottusa da immagini mostruose tanto da generare spesso una specie di mania
e di frenesia per la tenacia della memoria. Accade invece che l’arte,
sovraccaricando la memoria naturale con INNUMEREVOLI IMMAGINI DI PAROLE e di
cose, CONDUCE ALLA PAZZIA coloro che non si accontentano dei confini stabiliti
mento, Studi in onore di NARDI, Firenze, assegna erroncamente la prima edizione
di questo saggio. La traduzione di DOLCE è il Dialogo di DOLCE nel quale si
ragiona del modo di accrescere ct conservar la memoria, VENEZIA, Sessa (Triv. Mor.). La fonte di DOLCE e stata
individuata: cfr. la Plutosofia di GESUALDO (si veda) nella quale si spiega
l’arte della memoria (edizione vicentina, Triv. Mor.).] R9 dalla natura. E una
curiosa posizione, questa di Agrippa, dato che questa contrapposizione dei
diritti della natura alle empie pretese dell’arte provene da uno dei più
ferventi e appassionati sostenitori dell’arte lulliana, da un uomo che dedica
non poche delle sue energie ad un perfezionamento della complicata impalcatura
dell’ars magna. Nei suoi Rhetorices elementa il maggior teorico della logica e
della retorica della Riforma, MELANTONE, assume nei confronti dell’ars memoriae
una posizione non dissimile. Pur senza l’asprezza polemica di Agrippa,
Melantone denuncia la sostanziale sterilità di ogni tecnica intesa al
perfezionamento della memoria naturale. Le cose che sono state scoperte cd
ordinatamente disposte vanno infine ESPRESSE MEDIANTE LE PAROLE. In queste tre
parti si esaurisce tutta l’arte. Sulle altre due parti non offriamo precetti
giacché la memoria può venire assai poco aiutata mediante l’arte. Insistendo
tuttavia da un lato sulla strettissima connessione fra la cogitatio e la
dispositio e dall’altro sulla funzione della topica in vista di un ordinamento
dei concetti originariamente sparsi 12 magno acervo, Melantone venne però a
richiamarsi esplicitamente proprio a quella duplice tesi dell'ordine e della
limitazione sulla quale si e fondata la dottrina dei luoghi e, di conseguenza,
l’intera tecnica mnemonica. In realtà fra la topica intesa come mezzo di
ordinamento dei concetti e la dottrina dell’arte della memoria sussiste, come notare
acutamente Bacone, un rapporto assai stretto. Ciò che qui va posto in rilievo è
invece lo scarso effetto esercitato sugli ambienti italiani da prese di
posizione del tipo di quelle. di Agrippa e di 8 H. C. Agrippa, De vanitate
scientiarum, cDe arte memorativa, in: Opera, Lugduni (Triv. Mor. K. 403).
Agrippa attribuisce ancora a CICERONE la Rhetorica ad Herennium. Rhetorices
Elementa, autore Philippo Melanchtone, Venevia, per Melchiorem Sessam (Ambros.).
Rhetorices Elementa. Un caratteristico esempio della connessione rilevata nel
testo è l' Opusculum de amplificatione oratoria seu locorum usu, per Barlandum
in inclito Lovaniensiun GYMNASIO PVBLICVM Rhetoricae professorem, Lovanii,
Servatus Zaffenus Diestensis, Braid. Melantone: non solo continueranno a
diffondersi i trattati dedicati alla mnemotecnica ciceroniana di CICERONE, ma,
dopo la confluenza della tradizione classica in quella del lullismo, questo
tipo di produzione acquisce nuovo vigore giungendo, ad investire alcune delle
maggiori personalità della cultura. SPANGERBERGIUS. Il Libellus artificiosae
memoriae in usum studiosorum collectus di
Spangerbergius, pubblicato a Wittenberg, può essere preso ad esempio
della vivacità con la quale si presenta, negl’ambienti culturali la tematica
attinente all'arte memorativa. L’autore di questo libretto (che è forse la più
limpida esposizione cinquecentesca dell’ars reminiscendi) non ha pretese di
originalità. Hanc artificialis memoriae lucubratiunculam ex probatis autoribus
utcunque decerpsi et in hanc Epitomem collegi. Presentando l’arte in forma
catechistica egli si preoccupa di due cose: rendere l’arte chiara e rapidamente
acquisibile, presentare una trattazione completa che tenga conto, oltre che
delle fonti classiche, anche delle opere retoriche più recenti. Su alcune delle
definizioni e delle regole di Spangerbergius vale la pena di soffermarsi anche
perché esse possono fornirci, in qualche modo, la chiave necessaria ad
intendere molte delle posizioni presenti nei saggi di BRUNO. Accanto ai
leggendari eroi della memo- ria (Simonide e Temistocle, Crasso e Ciro, Cinea e
Carneade) l’autore ricorda CICERONE, Quintiliano, Seneca e si richiama anche a TOMAI
che cita ripetutamente avvicinando il suo nome, in modo significativo, a quello
del Cusano. Nostro saeculo consumatissimus fuit in hac arte clarissimus 11
Artificiosae memoriac libellus in usum studiorum collectus, autore
Spangerbergio Herdesiano apud Northusos verbi ministro, Wi- tebergae, apud
Petrum Seitz, Angelica. Con il titolo Erosemata de arte memoriae seu
reniniscentiae il testo e ristampato (con la indicazione Authore Ioh. Sp.
Herd.) nel Gazophylacium artis memoriae per Lambertum Schenckelium Dusilivium,
Argentorati, excudebat Bertramus,
Angelica. GI vir Petrus Ravennatus utriusque iuris doctor, deinde Ioannes
Cusanus et alii. Il lullista Cusano diventa, non a caso, uno dei maestri
dell’arte mnemonica. L’idea che le finalità ultime dell’ars Raimundi
coincidessero, in ultima analisi, con quelle proprie dell’ars memoriae e
destinata a rafforzarsi fino a condurre a quella particolare valutazione della
combinatoria lulliana che e tipica dei filosofi e giunge inalterata all’HISTORIA
CRITICA PHILOSOPHIAE di Brucker. Dopo aver definito la memoria come
comprehensio earum quae praeterierunt, come retentio e conservatio ed aver
distinto fra memoria naturale e artificiale, Spangerbergius prende
immediatamente posizione contro l’accusa di una insufficienza dell’arte di
fronte alla perfezione o imperfezione naturale. In primo luogo egli nega la
perfezione della memoria naturale. In secondo luogo pone in rapporto la
perfettibilità di questa mediante l’arte, con la maggiore o minore perfezione
delle doti native. Quanto naturalis memoria est hebetior, tanto ad artificiosam
est IMBECILLIOR. Contra quanto naturalis est vegetior, tanto ad artificiosam
expeditior. La memoria artificiale è definita una dispositio imaginaria rerum
sensibilium in mente, super quas memoria naturalis reflexa commovetur et
adiuvetur, ut prius apprehensa facilius et diutius valeat recordari. Essa è
utile sia all’apprendimento delle scienze, sia a quella transitoria ritenzione
degl’argomenti che è necessaria al poeta, all'insegnante, all’oratore,
all’avvocato. Accanto alla normale dimenticanza delle specie delle cose passate
(per corruptionem), Spangerberg distingue due tipi di amnesia patologica. L’uno
derivante dal sopravvento delle passioni delle malattie della vecchiezza -- per
diminutionem --, l’altro dipendente dall’ablezio o da una lesione agl’organi
cerebrali. Mentre per ovviare alla corruptio è oltremodo utile l’uso dei luoghi
e delle immagini, di fronte alla diminutio e alla ablatio I PRECETTI DELLA
PRAMMATICA DI GRICE DEVONO LASCIARE IL POSTO A QUELLI DELLA MEDICINA. Sulle
tracce della Rhetorica ad Herennium e della Phoenix di TOMAI, la dottrina dei
luoghi e delle immagini viene svolta secondo i canoni tradizionali. Accanto a
una distinzione dei luoghi in tre tipi fondamentali, l’autore enumera X regole (decalogo)
sulle caratteristiche dei medesimi, tratte, in sostanza, dallo scritto di
TOMAI. Agli stessi saggi si rifà la teoria delle immagini. Di nuovo c’è solo la
distinzione fra imagines rerum e IMAGO VOCIS (ACVSTICA). Dalla parte teorica
della mnemotecnica Spangerberg distingue, come fa BRUNO, una parte pratica -- praxis
memoriae -- nella quale le regole della sezione teorica vengono applicate,
attraverso la costruzione di una serie di esempi o modelli, a casi specifici.
Soprattutto preoccupato della creazione delle immagini, Spangerbergius
costruisce, seguendo un metodo rigorosamente dicotomico, una tabella di tutti i
possibili tipi di dictiones: Omnis DICTIO aut est ignota aut NOTA aut est res
invisibilis aut visibilis vel est accidens vel substantia vel est imanimiata
vel animata est nomen commune vel propriun Il primo dei sei casi è quello della
DICTIO IGNOTA. Al posto della dictio della quale SI IGNORA IL SIGNIFICATO si
può collocare, facendo ricorso alla vocalis similitudo, una dictio nota
signiftcante una cosa visibile e similis in voce huic pro qua ponitur -- come
quando, per figmentum, si fa ricorso ad una palam instrumentum al posto della
praepositio palam --, oppure si può procedere, nei casi nei quali sia assente
la possibilità di una similitudine vocale o di suono, per inscriptionem,
ponendo cioè un’immagine in precedenza fissata al posto di ciascuna delle
lettere che costituiscono il termine. Il secondo caso è quello della dictio
nota rei invisibilis -- per es. il termine “giustizia.” Oltre che del fiementum
ce della inscriptio è qui possibile servirsi della comparatio e della
similitudo facendo leva su quelle che in linguaggio moderno sono le leggi
dell’associazione -- nigrum nos ducit in cognitionem albi -- calamus ducit nos
in memoriam scriptoris, ecc. Il III caso è quello della dictio nota di una res
visibilis che sia un accidens. Qui sì ricorre al subiectum principale -- ut
albedo per nivem, ecc.. Il IV caso è quello della dictio nota di una res
visibilis che sia substantia inanimata. Essa è esprimibile attraverso
l’immagine di una persona agens cum tali re. Il V caso è la dictio nota di una
res visibilis che sia substantia animata espressa da un nome comune – il
“cavallo” di Saussure. L’immagine è costruita, secondo i canoni ciceroniani,
col riferi- mento ad una « persona nota. Infine il VI caso è quello della
dictio nota di una res visibilis che sia substantia animata espressa da un nome
proprio – il “Pegaso” di Grice --. Attingendo all’iconologia si dà qui luogo
all'immagine di un uomo (CICERONE) in particolari abiti e particolari positure --
con le chiavi: nel caso di Pietro, con una spada in mano: nel caso di Paolo
ecc. (ROBBING PETER TO PAY PAUL). La classificazione così costruita da Spangerbergius
è in realtà molto più complicata di quanto non risulti da questo già troppo
complicato sommario. In primo luogo vengono accuratamente distinti i vari tipi
di simulitudo e di figmentum. In secondo luogo il reale esercizio della praxis
mnemonica si trova di fronte a casi più complicati di quelli contemplati, che
risultano dall’intreccio di vari tipi di dictio, in una stessa proposizione o DISCORSO.
Ma è alla vivacità delle immagini che conviene, dopo tanti schemi, fare
riferimento perché risulti ancora una volta confermato quel rapporto fra la
pratica dell’ars memorativa e la visione, fra la dottrina dei luoghi e delle
immagini e quelle iconologie, quei simboli, quegli emblemi dei quali tanto si
diletta BRUNO e, con lui, la cultura. Ut si velis habere memoriam horum
nominum: Petrus, flagellum, canis, sus, aqua, vermes, arena; fac talem
colligantiam et imaginationem – ut: Petrus flagello canem percutiat. Canis
vero, verbere commotus, suem mor- [Fra i vari tipi di similitudo vengono
elencati: effictio corporum -- ut cum senem facimus tremulum, incurvum, labiis
demissis, canum; notatio adfectum -- ut cum dicimus lupum voracem, lepores
timidos, sic laeta iuventus, tristis senectus, prodiga adolescentia; etymologia
-- ut Philippus amator equorum; onomatopera: quando sumitur cognitio verbi a
sono vocis -- ut hinnitus equi, rugitus leonum, bombitus apum; rerum effectus:
cum cuilibet mensi officia sua assignamus. Molti degli esempi addotti appaiono
ricavati, direttamente o indirettamente, da un saggio di PUBLICIO (si veda), Oratoriae
artis epitoma, sive quae ad consumatum spectant oratoren, Venezia, Angelica, Naz.
di Roma.] deat. Sus vero, evadere cupiens, vas aquae evertat, in cuius fundo sint
vermes procreati qui tegantur arena ». Forse anche di qualche testo di questo
tipo converrebbe tener conto quando si parla, a proposito della cultura del
tardo Cinquecento, di « barocchismo delle immagini. Ad una atmosfera ben
diversa, permeata di aristotelismo, di magia e di medicina occulta, ci
riportano le pagine sulla memoria di GRATAROLI (si veda) sul quale hanno
richiamato l’attenzione da punti di vista differenti Church e Thorndike.
Rifugiatosi a Basilea dopo la sua conversione al protestantesimo, GRATAROLI
pubblica a Zurigo e poi a Basilea, dedicandoli a Massimiliano, i suoi Opuscula che
conteneno, accanto a un trattato di fisiognomica e ad una dissertazione sui
prognostica tempestatum, un manuale di ars memoriae. Inserito nelle Introductiones
13 [Su GRATAROLI cfr., oltre a TIRABOSCHI, Church, Riformatori italiani,
Firenze, THORNDIKE. Varie indicazioni di saggi anche nella cheda di GARIN, Giornale
crit. della filos. ital. Sulla posizione di GRATAROLI si veda il giudizio di
THORNDIKE. No man at
Bergamo did more to circulate and to perpetuate a varied selection of curious
works, past and present, in the fields of medicine, natural sciences and occult
science than did GRATAROLI (si veda), who turned Protestant and settled at
Basel. GRATAROLI (si veda) artium et medicinae doctoris OPVSCVLA VIDELICET DE
MEMORIA REPARANDA AVGENDA CONFIRMANDAQUE AC DE REMINISCENTIA TUITIORA OMNIMODA
REMEDIA PRAECEPTIONES OPTIMAE DE PRAEDICTIONES MORVM NATVRAMQVE HOMINVM CVM EX
INSPECTIONE PARTIVM CORPORIS TVM ALIS MODIS DE TEMPORVM OMNIMODA MVTATIONE
PERPETVA ET CERTISSIMA SIGNA ET PRONOSTICA, Basileae, apud Nicolaum Episcopium
iuniorem (Triv. Mor., Braid.). cfr.
Superiori anno... citius quam voluissem emisi in lucem amicorum ac typographi
coactus instantia. In una terza edizione: Lug duni, apud Gabrielem Coterium
(Triv. Mor.) è aggiunto ai precedenti l'opuscolo De literatorum conservanda
valetudine liber] apotelesmaticae di Johannes ab Indagine, il libretto di
GRATAROLI ha vasta fortuna e diffusione europea inserendosi in quella
trattatistica di medicina e psicologia mnemonica che si riface ai testi d’Avicenna
e d’Averroè. Pur interessato vivamente alla pubblicazione di testi magici ed
alchimistici (GRATAROLI (si veda) si fa editore di testi pseudo-lulliani, di VILLANOVA,
di RUPESCISSA) il nostro medico evita nella sua trattazione ogni riferimento
all’ars motoria e si richiama, al solito, da un lato ad Alberto Magno ed
Averroè, dall’altro alla Rhetorica ad Herennium. In realtà — cosa che Thorndike
non nota — GRATAROLI sfrutta molto ampiamente un trattato italiano, il De
omnibus ingentis augendae memoriae di Giovanni Michele Alberto da CARRARA (si
veda). I venti precetti generali dell’arte presenti nell’opuscolo del Gratarolo
(pAslosophica consilia, canones, et reminiscentiae praecepta) e quasi tutto il
settimo capitolo a paiono infatti ricavati, con leggere differenze di stile,
dal saggio di CARRARA (si veda). Si veda, a titolo di esempio, la definizione
dei quattro moti che costituiscono la memoria e il comune richiamo a CICERONE ed
ad AQUINO: Carrara, Ad memorandum quatuor motus concurrunt: Motus. spiritus qui
a cogitativa ad memorati- [GRATAROLI Ad memorandum quatuor motus concurrunt:
primus est motus spirituum qui a cogitativa vam figuras transportat. Pictura fixioque figurarum in ipsa cies ad
memorativam figuras aut spe- transportant.
II est [Discours notable des moyens pour conserver et augumenter la mé-
moire avec un traité de la physionomie, traduit du latin par Copé, Lyon
(questo, e un diverso titolo della stessa trad., in THORNDIKE); The Castel of
Memorie, Englished by Fullwood, London, che ha una seconda ediz. e una terza
dieci anni dopo. Nelle Introductiones, il saggio di GRATAROLI. Il saggio di DOLCE e quello del Romberch vengono
semplicemente citati dal Thorndike accanto a quello di GRATAROLI come ‘other
works on this subject.’ Della produzione di mnemotecnica — per tanti aspetti
legati alla magia — Thorndike non si occupa. (Cod. lat. Marciana). Il saggio di
Carrara occupa i ff. (Bononiae per Platonem de Benedictis] memorativa.
Reportatio carum a spiritibus a memorativa ad co- gitativam. Actio quac €a
cogi- tativa recognoscit, quae proprie est memorari... Artificiosa memo- ria ut
Cicero dicit secundo ad Herennium ex locis veluti ex cera at tabella, et
imaginibus veluti figuris literarum
constat. Sic enim fieri poterit, ut quae accipimus quasi legentes
reddamus. CICERONE centum eos satis esse pictura fixioque figurarum in ipsa
memoria. III est reportatio a spiritibus
a memorativa ad cogitativam seu ratiocinativam. IV est illa actio qua
cogitativa recognoscit, quac proprie est memorari. Artificiosa memoria, ut
inquit CICERONE secundo ad Herrennium ex locis veluti ex cera et tabella et
imaginibus veluti figuris literarum constat. Sic enim fieri solet, ut
iudicavit, beatus AQUINO plures. quae accepimus quasi legentes habendo
consuluit. reddamus. CICERONE centum eos satis esse iudicavit. Beatus AQUINO
plures habendo consuluit. Gli stessi riferimenti ai testi di Alberto e di
Averroè per- dono, sc si tiene presente l’esistenza di questa fonte, molto del
loro significato. Di originale, rispetto al trattatello di CARRARA (si veda),
restano, oltre a un fugace accenno all’anatomia di Vesalio, le numerose e
curiose ricette per il rafforzamento della memoria. Saepe lavare pedes in acqua
calida in qua bullierint melissophillon, folia lauri, chamaemelon et similia,
memoriae capiti oculisque valde confert. Quella del sacchegio dei saggi e del
resto un'attività largamente diffusa fra i trattatisti della memoria locale. Si
pubblica a Venezia il Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere et
conservar la memoria di DOLCE (si veda), uno dei più fecondi e superficiali
poligrafi, che e in realtà, nonostante la pomposa presentazione di DOLCE, solo
un volgarizzamento dell’opera del Romberch sulla stesso argomento. NULLA IN
ITALIA SINO A BRUNO che corrisponda alla nuova impostazione che Ramo da al pro-
blema della memoria e tuttavia, valutando quella confusa e [GRATAROLI (si veda),
Opuscula. Sedem vero habet memoria in occipitio in tertio vocato ventriculo
quem et pupim vocant. Longum esset ac pene superfluum hic -- ubi studeo
brevitati -- cerebri totius anatomen describere, quam in multorum libris videre
licet, praesertim doctissimi pariter et diligentissimi Andreac Vesalii] VESALI
(si veda) ] macchinosa costruzione che fu l’Idea del Theatro di CAMILLO (si
veda) converrà tener presente il giudizio entusiastico che, di questo saggio,
detta un uomo come Patrizzi che, appunto nel Theatro, vede realizzato il
tentativo di un allargamento della retorica e di una sua estensione verso la
logica e l’ontologia. Non capendo per la grandezza sua negli strettissimi
termini de’ precetti dei maestri di retorica, uscendone l’allarga in guisa che
la distese per tutti gl’amplissimi luoghi del teatro di tutto il mondo. Intrecciandosi
strettamente ai temi più caratteristici dell’ermetismo, del neo-platonismo e
della cabala, la retorica diventa qui il tentativo di far corrispondere l’articolazioni
oratorie del DISCORSO alle strutture fondamentali dell’essere [alla H. P. GRICE
– “It’s always dicourse with me, never ‘language’!” Senza dubbio, se
confrontata con i grandi testi della retorica, la fumosa costruzione di CAMILLO
non può non apparire se non come la parodia di quanto i teorici rinascimentali
avevano rigorosamente tentato. E tuttavia se le pole- [L'idea del teatro
dell'eccellent. CAMILLO, in Fiorenza (Ambros.). Cfr. anche Opere, Venezia,
Griffo (Braid.). Su CAMILLO cfr. TIRABOSCHI, Storia della letteratura italiana,
Modena; CROCE, Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, Bari; F.
Secret, Le Théatre du monde de CAMILLO et son influence, in « Rivista critica
di storia della filosofia. Sul significato dell’oratoria planetaria e sui rapporti di questa da un lato con la
magia ficiniana di FICINO e dall'altro con la teoria ficiniana di FICINO della
musica cfr. il capitolo PAOLINI (si veda) and the Accademia degl’Uranici nel
vol. di Wacker, Spiritual and De- monic Magic, cit., pp. 126 ss. In particolare
sul Camillo, pp. 147 - 48. 20 Questa, come la citazione precedente, da E.
Garin, Alcuni aspetti delle retoriche rinascimentali, nel vol. Testi umanistici
sulla retorica, Roma et Milano, 1953, pp. 32, 36. Sul carattere « mondano»
della dialettica umanistica che si contrappone alle mistiche cusaniane e fici-
niane ha scritto di recente E. Garin, La dialettica dal secolo XII ai princìpi
dell'età moderna, « Rivista di filosofia » 2 (1958), pp. 228 - 253:
«L'umanesimo opera... nel senso di una smobilitazione di tutti quei simboli che
tendevano a proiettare i termini di un'esperienza terrena e storica sui piani
del divino e dell’eterno. Nei saggi di CAMILLO (si veda), di ROSSELLI (si veda)
e di BRUNO (si veda) si assiste, per quanto attiene alla mnemotecnica, ad una
delle proiezioni alle quali fa
riferimento GARIN. Non a caso Bacone e Cartesio, nella loro utilizzazione
dell'arte della memoria, sono ben lontani da questi atteggiamenti e si
muoveranno sulla strada di una trasformazione della miche appassionate suscitate
dalla comparsa di questa così poco rigorosa parodia e gli interessi di
Francesco I e gl’entusiasmi di Patrizzi e di Ricci per la macchina del CAMILLO
possono essere facilmente ricondotti sul piano della moda, non è possibile
risolvere integralmente la fortuna di CAMILLO sul piano di una storia del
costume. L’idea stessa di un teatro nel quale per lochi et immagini dovevan
essere disposti tutti quei luoghi che possono bastare a tenere a mente et
ministrar tutti gli humani concetti, tutte le cose che sono in tutto il mondo, mentre
ci riporta senz'altro ad una tematica assai vicina a quella dell’ars
reminiscendi, ci mostra anche come, proprio attraverso l’equivoca e torbida
adesione di CAMILLO agl’insegnamenti della cabala, la stessa ars reminiscendi
finisca qui per connettersi ad un duplice progetto che sarà, soprattutto nel
secolo successivo, ricco di impensati sviluppi: quello di una “macchina
universale” o “chiave” della realtà e l’altro, con il primo in stretto
rapporto, di una collocazione organicamente e ordinatamente disposta di tutte
le umane nozioni e di tutti i fenomeni della natura. Mentre l’uso costante
delle immagini veniva posto da Ca- millo in relazione con l’antico tema,
presente in tutta la tra- dizione magico-alchimistica da Zosima ad Agrippa, di
un sapere segreto (et noi nelle cose nostre ci serviamo delle dottrina degli
aiuti della memoria in uno degli strumenti della meto- dologia del sapere
scientifico. Ed è da sottolineare energicamente il fatto che, in questo loro
tentativo, essi si richiameranno a quell’inse- rimento della menzoria nella
logica o dialettica che era stato effettuato dal più noto e discusso
rappresentante della dialettica umanistica: Pietro Ramo. 2! E' da vedere la
descrizione dell’opera di CAMILLO (si veda) in una lettera scritta da Padova da
Zuichemus a Erasmo (Cfr. ALLEN, Opus epistolartm D. Erasmi. Una lettera d’ALCIATI
(si veda) dì inoltre notizie sulla fortuna di CAMILLO (si veda) alla corte di
Francia (Liruti, Notizie, Udine). Cfr. Opere, e SturMius, LIBELLVS DE LINGVA
LATINA RESOLVENDA RATIONE, ediz. Jena, L'idea del teatro. I più antichi e più
savi scrittori hanno sempre havuto in costume di raccomandare a’ loro scritti i
secreti di Dio sotto scuri velami accioché non siano intesi se non da coloro i
quali, come dice Cristo, hanno orecchie da udire, cioè che da Dio sono eletti
ad intendere i suoi santissimi misteri. E Melisso] immagini come di
significatrici di quelle cose che non si deb- bono profanare »), la trattazione
della memoria si collegava strettamente, attraverso la cabala, al progetto del
raggiungi- mento di una « vera sapienza ». Fare della retorica lo specchio del
mondo voleva dire, in realtà, muovere verso una radicale distruzione dell’arte
memorativa e della stessa reto- rica. Al posto di una riflessione sui discorsi
umani, subentrava l'atteggiamento del profeta e del mago. alomone al nono de
Proverbi dice la sapienza haversi edificato casa et haverla fondata sopra sette
colonne. Queste colonne significanti stabilissime eternità habbiamo da intender
che siano le sette saphirot del sopraceleste mondo, che sono le sette misure
della fabbrica del celeste e dell’inferiore... nelle quali sono comprese le idee
di tutte le cose del celeste a all’infe- riore appartenenti... L’alta adunque
fatica nostra è stata di trovare ordine in queste sette misure, capace bastante
distinto et che tenga sempre il senso svegliato e la memoria percossa et fa non
solamente ufficio di conservarci le affidate cose parole et arti... ma ci dà
ancora la vera sapienza nei fonti della quale veniamo in cognitione delle cose
dalle cagioni et non dagli effetti ».?! L’idea, che e cara a CAMILLO (si veda),
di sostituire ai tradizionali luoghi della mnemotecnica ciceroniana CICERONE luoghi
eterni atti ad esprimere gl’eterni di tutte le cose conduce alla costruzione di
un sistema mnemonico su basi astrologico-cabalistiche. Il grande anfiteatro
dalle sette porte non si presenta dice che gl’occhi dell’anime volgari non
possono sofferire i raggi del divino. Et ciò si conferma con lo esempio di
Mosè, il quale scendendo dal monte... non poteva esser guardato dal popolo se
egli il viso col velo non si nascondeva. Et gli Apostoli anchora veduto Cristo
trasfigurato... non sufficienti a riguardarlo per la debolezza cad- devano... A
questo abbiamo da aggiunger che Mercurio Trismegisto dice che il parlar
religioso e pien di Dio viene ad esser violato quando gli sopraviene
moltitudine volgare... I segreti rivelando doppio error si viene a commettere:
et ciò è di scoprirgli a persone non degne ct di trattargli con questa nostra
bassa lingua, essendo quello il suggetto delle lingue de gli angeli... Et noi
nelle cose nostre ci serviamo delle ima- gini, come di significatrici di quelle
cose che non si debbon profanare... Né tacerò io che i Cabalisti tengono che
Maria sorella di Mosè fosse dalla lebbra oppressa per haver revelato le cose
segrete della divinità. L'idea del tcatro] come uno schema vuoto del quale
servirsi per ordinare, ai fini dell’orazione, tutti gli elementi della realtà.
La ricerca dei caratteri planetari e delle « sette misure della fabbrica del
celeste e dell’inferiore nelle quali sono comprese l’Idee di tutte le cose al
celeste e all’inferiore apposte » trasformava un trattato di arte della memoria
in una costruzione di tipo co- smologico-metafisico. Gli interessi per la
tematica dell’astro- logia, le suggestioni dell’ermetismo e della cabala
finivano per far passare in secondo piano, come avverrà poi in Bruno, ogni
finalità meramente retorica. Or se gli antichi Oratori volendo collocar di
giorno in giorno le parti delle orationi che havevano a recitare, le affi-
davano a luoghi caduchi, come cose caduche, ragione è che volendo noi
raccomandare eternamente gli eterni di tutte le cose... troviamo a loro luoghi
eterni. L'alta dunque fatica no- stra è stata di trovar ordine in queste sette
misure... Ma con- siderando che se volessimo metter altrui davante queste
altis- sime misure et si lontane dalla nostra cognitione, che sola- mente da’
propheti sono state anchor nascostamente tocche, questo sarebbe un metter mano
a cosa troppo malagevole, pertanto in loco di quelle prenderemo i sette
pianeti... ma solamente le useremo, che non ce le propognano come termini fuor
de’ quali non habbiano ad uscire, ma come quelli che alla mente de’ savi sempre
rappresentino le sette sopra celesti misure ». A questi accostamenti di temi
retorici a temi cosmologici, a questa trasformazione dei luoghi della memoria
artificiale nei luoghi eterni della sapienza ermetica, non erano state certo
estranee le suggestioni esercitate, sul pensiero del Ca- millo, dai testi del
lullismo e dal fiorire della cabala cristiana. Per quanto concerne il lullismo
abbiamo una precisa testimo: nianza degli interessi di CAMILLO (si veda) per
l’arte, e non è un caso che Gohory, nel De usu et mystertis notarum, avvicina
il nome del Delmino a quelli dei maggiori commentatori e seguaci di Lullo.
D'altro lato, quando CAMILLO pubblica la sua Idea del Theatro, erano già ap- [RUSCELLI
(si veda) Trattato del modo di comporre versi in lingua italiana, Venezia, CAMILLO
(si veda) m'afferma d’haver fatto lunghissimo studio sopra di quest'arte di
Raimondo.] parsi e si erano rapidamente diffusi in tutta Europa i testi
fondamentali della cabala cristiana: l’ Epistola de secretis di Paulus de
Heredia, le Conclustones e l’Heptaplus di PICO, il De verbo mirifico e il De
arte cabalistica di Reuchlin, il De arcanis catholicae veritatis del Galatin,
lo Psalterium del Giustiniani (1516), le opere di RICCI (si veda), il De
Harmonia mundi di Francesco Giorgio Veneto (si veda), le opere di Agrippa. La
combinatoria lulliana e la grande costruzione cosmolo- gica della cabala si
incontrarono, nel corso del Cinquecento, sul comune terreno del simbolismo,
dell’allegorismo, dell’esem- plarismo mistico. In un passo famoso già Pico
aveva avvicinato l’ars combinatoria a quella parte più elevata della magia
natu- rale che si occupa degli esseri superiori esistenti nel mondo
sopraceleste: l’a/phabetaria revolutto iniziata da Lullo gli cera apparsa
strettamente connessa a quella mistica delle lettere e dei nomi che è parte
integrante della costruzione cabalistica. Haec est prima et vera cabala de qua
credo me primum apud latinos explicitam fecisse mentionem... quia iste modum
tradendi per succes- sionem qui dicitur cabalisticus videtur convenire
unicuique rei secrete et mystice, hinc est quod usurparunt hebrei ut
unamquamque scien- tiam quae apud cos habeatur pro secreta et abscondita
cabalam vocent ct unumquodque scibile quod per viam occultam alicunde habeatur
dicatur haberi per viam cabalae. In universali autem duas scientias hoc etiam
nomine honorificarunt: unam quae dicitur... ars combinandi et est modus quidam
procedendi in scientis et est simile quid sicut apud nostros dicitur ars
Raymundi licet forte diverso modo procedat. Aliam quae est de virtutibus rerum
superiorum quae sunt supra lunam et est pars magiae naturalis suprema ». (Apologia tredecim quaestionum, quaestio V: De
magia naturali et cabala hebreorum). Sulla funzione delle lettere e dei nomi
nella cabala, sull'allegorismo e l'esemplarismo mistico cfr. il cap. VI del volume ScHorem, Les
grands courants de la mystique quive, Parigi. Ma cfr. anche Zu Geschichte der Anfinge der
Christlichen Kabbala, in Essays presented to Leo Baeck, London. Importante
documento dell’incontro fra Cabala rina- scimentale e lullismo è l’opera De
auditu kabalistico sive ad omnes scienttas introductorium le cui prime edizioni
apparvero a Venezia nel 1518 e nel 1533. Lo scritto venne concordemente
attribuito a Lullo e come tale inserito nell'edizione di Strasburgo del 1617
(cfr. ZetzxER, pp. 43.111). Sul cabalismo e il lullismo di PICO (si veda) cfr.
M. MEexENDEZ Pelayo, Historia de los Heterodoxos Espafioles, Madrid, e,
soprattutto, GARIN, PICO (si veda), vita e dottrina, Firenze, c F. Secret, PICO
(si veda). Questa tesi pichiana verrà ripresa da non pochi fra i seguaci della
cabala. Il termine cabala venne impiegato a indicare l’arte di Lullo.
L’avvicinamento non e solo esteriore e non dipende solo dall’equivocità del
termine cabala con il quale — come ben chiara Secret — si intesero nel
Rinascimento cose assai diverse. Molti -- soprattutto fra gli esponenti dei
maggiori ordini religiosi -- si volsero alla cabala come ad una tradizione
religiosa alla quale si potevano attingere motivi apologetici, ma è certo che
le lettere c le immagini, le figure e le combinazioni delle figure riman-
davano — nella cabala come nel lullismo — a quel segreto libro dell’universo
che il sapiente ha il compito di leggere e di interpretare al di là della
parvenza dei simboli. Nell’Encyclopaediae seu orbis disciplinarum epistemon, SCALIGERO
(si veda) riprende il progetto di PICO. Nelle conclusiones divinae, angelicae,
philosophicae, metaphysicae, physicae, morales, rationales, doctrinales,
secretac, infernales » egli presenta l’immagine unitaria di un uni- [PICO e gli
inizi della Cabala, Convivium. Alcune osservazioni anche in Sarton,
Introduction to the History of Science, Baltimora. Del tutto insufficiente:
Brau, The Christian Interpretation of the Cabala in the Renaissance, New York.
27 Oltre al saggio su PICO citato nella nota precedente sono da vedere, per
questi problemi, gli importanti studi di Secret, L'astrologie et les
Kabbalistes chrétiens à la Renaissance, La Tour Saint-Jacques; Les débuts du
Kabbalisme et son histoire à la Renaissance, Sefarad; Les domenicains et la
Kabbale chrétienne è la Renaissance, Archivum Fr. Praedicatorum; Le symbolisme
de la kabbale chrétienne dans la Scechina» de Egidio da VITERBO (si veda), in
Umanesimo e simbolismo, cur. ZUBIENA (si veda) Padova; Les jéswites ct le kabbalisme
chrétien à la Renaissance, Bibliothéque d’ Humanisme et Renaissance. Ma cfr.
anche: Jose M.a Mittas VALLICROSA, Algunas relaciones entre la doctrina luliana
y la cabala, Sefarad, ScaricHius pe Lika (Paul Skalich), Enciclopaediae seu
orbis disciplinarum tam sacrarum quam prophanarum Epistemon, Basileae, Oporinus.
Cfr. G. Knasset, P. Skalich, Ein
Lebensbild aus dem 16 Jah., Miinster; L. THornpike, History of magic; Secret,
La tradition du De omni scibili à la Renaissance: l'ocuvre de Scaltger,
Convivium] verso simbolico mediante la quale sarebbe stato possibile rinnovare
dalle radici e portare a definitivo compimento, con l’aiuto della sapienza
cabalistica, l’arte miracolosa di Lullo. Tralasciando i plagi di DOLCE (si
veda) e gli scarsi, convenzionali accenni alla memoria contenuti nella celebre
Retorica di CAVALCANTI (si veda) e nella Retorica di CICERONE ad Erennio
ridotta in alberi di TOSCANELLA (si veda) Toscanella, giove dedicare una certa
attenzione all’Ars reminiscendi di PORTA (si veda) nella quale alla distinzione
fra medicina o psicologia della memoria e ars memorativa, ai consueti richiami
alle fonti e ai personaggi del mondo classico, agli ormai noti tentativi di
sintesi fra la tradizione aristotelico-tomista d’AQUINO e quella ciceroniana,
si aggiungono considerazioni di un certo interesse sul geroglifico e sul gesto:
due temi sui quali, com'è noto, si esercita a lungo la riflessione di molti e
di Bacone e di VICO (si veda). Alla discussione di questi argomenti PORTA (si
veda) giunge, non a caso, attraverso il tema delle immagini, quelle pitture
animate che rechiamo nella immaginativa per rappresentare così un fatto come UNA
PAROLA. Di fronte a termini che non simbolizzano cose materiali, come i termini
« perché », « ovvero », «tanto » ecc., è necessario ricavare le immagini dalla
scrittura, riferirsi cioè con immagini appropriate alle singole lettere o
gruppi di lettere che compongono un termine. In molti altri casi è invece
possibile richiamarsi al significato: in questo caso torna opportuno il
parallelo con i geroglifici. Per l’opera di DOLCE cfr. la nota 7 e TiraBoscHi. Sull'opera
di TOSCANELLA (si veda), Venezia), cfr. TiraBOSCHI; sulle partizioni della
retorica cfr. Lu retorica di CAVALCANTI (si veda) -- dove si contiene tutto
quello che appartiene all'arte oratoria, Venezia, Ferrari (Triv.). Ma per rendersi conto della
diffusione delle tecniche memorative nei più noti manuali di retorica, giove
vedere l’opera di TRAPEZUNZIO, Réetoricorum libri quingue, Lugduni, apud Seb.
Gryphium. Le citazioni sono tratte da L'arte del ricordare dei PORTA,
Napoletano, tradotta da latino in volgare per M. Dorandino FALCONE (si veda) da
Gioia, in Napoli, appresso Mattio Cancer (Braid.). FIORENTINO (si veda) (Studi e ritratti della Rinascenza, Bari)
assegna la prima edizione del- l'Ars reminiscendi. A ciò torremo il modo dalli
Egittii i quali, non havendo lettere con che potessero scrivere i concetti degl’animi
loro, e a ciò che più facilmente si tenessero a memoria le utili speculationi
della filosofia, ritrovorno lo scrivere con le pitture, servendosi d'immagini
di quadrupedi, d’uccelli, di pesci, di pietre, di herbe e di simili cose in
vece delle lettere: la qual cosa noi habbiamo giudicato molto utile per le
nostre ricerche, che altro noi non vogliamo ch’usare imagini in vece delle
lettere per poterle depingere nella memoria. Molti fra i più illustri esponenti
della cultura furono come affascinati dal problema della scrittura geroglifica
e, più tardi, da quello della ideografia dei cinesi. La contemporanea
esplosione nella cultura europea del culto per l’ Egitto e della mania per gli
emblemi resta oltremodo indicativa di un clima culturale. Basta, per rendersene
conto, elencare alcune fra innumerevoli edizioni dei Hieroglyphica di Horapollo
(il manoscritto greco e ac- quistato da BUONDELMONTI (si veda), pubblicato nel
testo greco a Venezia, nella versione latina a Parigi, a Basilea, a Venezia, a
Lione e a Roma) o del grosso trattato Hieroglyphica sive de sacris Egyptiorum
aliarumque gentium di VALERIANO (si veda) (Basilea e Firenze, in traduzione francese; a
Lione in latino e A VENEZIA IN ITALIANO) riferendosi al quale il Morhofius,
scrive che il saggio è nelle mani di tutti. Gli EmzQ/emata dell’Alciati sono
pubblicati a Basilea, hanno più di centocinquanta edizioni, numerose traduzioni
e varie edizioni commentate. Uno dei primi seguaci d’ALCIATI (si veda) e il
bolognese BOCCHI (si veda), amico del VALERIANO
(si veda), Symbolicarum Quaestionum Libri. Sono le Imprese illustri di RUSCELLI
(si veda), la fortunatissima conologia di RIPA (si veda). Di questo tipo di
produzione libraria nel quale trovavano espressione temi di derivazione neo-platonica
e cabalistica e ove si manifesta un caratteristico metodo ermeneutico, è
necessario tener [Sulla scrittura degli Egizi cfr. Sul gesto. Potremo parimente
col gesto esprimere alcune significationi di parole. Un muto esprime col gesto
ciò che egli desidera usando le mani in vece di lingua.] conto, come di uno
sfondo culturale, anche nel tracciare le linee di una esperienza speculativa
quale e quella del lullismo e dell’ars reminiscendi. Il fatto che in civiltà
diverse da quella europea e stato possibile giungere ad ‘una sistematica
rappresentazione e comunicazione dei concetti mediante geroglifici o immagini
invece che attraverso le lettere dell’abecedario, mentre da un lato sembra in
qualche modo confermare quelle possibilità sulle quali l’ars memoriae e il
lullismo avevano a lungo insistito, dall'altro anda incontro all'esigenza, così
largamente e profondamente radicata, di una lingua universale che potesse
essere letta e compresa indipendentemente dalle differenze di linguaggio come
il latino o l’iltaliano o gallico (lingua del’oui – lingua dell’oc -- dovute ai
tempi, alle circostanze, alla nazionalità, alla situazione storica. E se si
pone mente al fatto che la stessa tecnica dell’arte memorativa e le regole del
lullismo si presentano di fatto assolutamente slegate c indipendenti dalle
lingue particolari, come il latino o l’italiano o il gallico – lingua d’oui,
lingua d’oc -- ove si consideri appunto la tecnica o arte prescindendo dalla
formulazione delle regole in questa o in quell’altra lingua – come la latina,
l’italiana, o la gallica – lingua d’oui, lingua d’hoc -- si potranno meglio
comprendere gli effettivi rapporti che sussistono fra fenomeni culturali in
apparenza così diversi come l’arte della memoria, la rinascita del lullismo,
l'interesse per i geroglifici, la passione per l’iconologia, il culto per i
simboli e gli emblemi. Non a caso in un testo per molti aspetti interessante,
il Thesaurus artifictosae memoriae del fiorentino ROSSELLI (si veda), pubblicato
a Venezia, ritorna l’ammirazione. Ampie notizie sulle interpretazioni dei
geroglifici in MonHor, Polyhistor literarius philosophicus et practicus, Lubecc.
Sulla stretta connessione fra Egittomania ed emblematismo si vedano le
osservazioni di PANOFSKI, Titian’s Allegory of Prudence TIZIANO, in: Meaning in
visuals arts, New York. Fondamentale resta il lavoro di VoLKManx, Bilder
Schriften der Renaissance. Hieroglyphik und Problematik in ihren Beziehungen
und Fortwirkungen, Lipsia per le relazioni con la memoria. Varie notizie sulla
letteratura attinente ai geroglifici in THORNDIKE. Per i rapporti con la
letteratura emblematica cfr. PRAZ (si veda), Studi sul concettismo, Firenze, e
il vol. II degli Srudies in Imagery, London. Thesaurus artificiosae memoriae authore
P. F. Cosma ROSSELLI (si veda) florentino, Venezia, apud Antonium Paduanium,
(Angelica) per i geroglifici espressioni non di lettere ma direttamente di
concetti (Aegipti) vice literarum, quae tunc temporis inventae non erant, immo
non solum literarum vero etiam vice nominum et conceptuum, animalibus aliisque
rebus multis utebantur »)?! e si riaffaccia l’idea di una trasformazione
dell’ars memoriae in una vera e propria, universale enciclopedia di tutto il
sapere. La dottrina dei luoghi, originariamente concepita come avente una
limitata e precisa funzionalità all’interno della retorica, si trasforma in uno
strumento in vista della descrizione degl’elementi che compongono il reale.
Collocando l’inferno, il purgatorio e il paradiso fra i loca communia
amplissima il domenicano ROSSELLI (si veda) converte il suo trattato prima in
una specie di enciclopedia teologica, poi in una ampia e minuziosa descrizione
degl’elementi celesti, delle sfere, del cielo e dell’empirco, dei demoni, degli
strumenti delle arti meccaniche o figure artificiali e delle figure naturali
come le gemme, i minerali, i vegetali, gli animali, infine le scritture e i
vari abecedarii altri al latino: ebraico, arabo, e caldaico. L'esigenza di un
esatto, compiuto ordinamento di ciascuno degl’elementi della realtà naturale e
celeste appare dominante anche nel più famoso dei teatri: l’Universae naturae
theatrum pubblicato a Lione dal grande giurista e scrittore politico Bodin Qui
siamo ben lontani dall’atmosfera del lullismo e della cabala, qui domi- nano le
esigenze di chiarezza e di rigore caratteristiche dei seguaci di Ramo: la
minuziosa divisione in tavole delle cause naturali, degli elementi, delle
meteore, delle pietre, dei me- talli, dei fossili, degli esseri viventi, dei corpi
celesti appare fondata sulla identificazione del metodo con l’ordine e con la
apta rerum dispositio. Ma è senza dubbio presente, anche nel testo di Bodin, la
convinzione di una piena, continua coe- renza, di una totale coesione fra tutti
gli elementi della realtà. La grandezza divina è rivelata dall’opera
ordinatrice di Dio che ha collocato nelle appropriate sedi le parti
caoticamente [Thesaurus, Bodin, Universae naturae Theatrum in quo rerum omnium
effectrices causae et fines contemplantur, et continuae series quinque libris
discutiuntiur, Lugduni, apud Jacobum Roussin (Braid.)] confuse della materia («
permistas et confusas materiae partes initio discrevit, ac forma figuraque
decenti subornatas, suo uamque in ordine ac propriis sedibus collocavit »); non
dissimile da quello divino è il compito che spetta al sapiente e nulla può
esservi di più bello, più utile e più conveniente di quel paziente ordinamento
enciclopedico del reale che consente all'uomo di riprodurre, nei limiti che gli
sono consentiti, la perfezione dell’opera divina. Coloro che trascurano questa
ri- cerca, dan luogo, anche se sono in grado di discettare sottil- mente, ad
una scienza vana e deforme, mescolando i grani del frumento con quelli della
senape perdono la possibilità di far effettivamente uso del loro sapere. Il
teatro, concepito come coerente e rigorosa dispositio, consentirà invece la
scoperta di quella indissolubile coerenza e di quel pieno consenso degli
elementi del reale (« indissolubilem cohaerentiam, con- tagionem et consensum
») per il quale tutto corrisponde a tutto.?° La concezione ramista del metodo
aveva esercitato, sul pensiero di Bodin, un'influenza decisiva?” e solo chi
tenga presente la identificazione, tanto energicamente sostenuta da Ramo, della
dispositto con la memoria potrà spiegarsi la sin- golare somiglianza fra il
celebre teatro di Bodin e le faticose enciclopedie costruite nel corso del
Cinquecento dai cultori e dai teorici della memoria artificiale. Negli scritti
di CAMILLO (si veda) e in quelli di ROSSELLI (si veda) l'intento
enciclopedico-descrittivo, l'ambizioso progetto di una enciclopedia totale
avevano finito per sovrapporsi nettamente agli ori-[Binari intenti dell’arte
mnemonica. Alle sommarie, stringate elencazioni dei luoghi e delle immagini
presenti nei testi dei teorici quattrocenteschi si sono dunque andate
sostituendo macchinose enciclopedie. Esse non nacquero solo dalla persistenza
di temi caratteristici della cul- tura medievale, né trassero origine solo
dalla tematica del lul- lismo o dal fiorire delle speculazioni sulla cabala;
derivarono ‘anche dal nuovo atteggiamento che molti assunsero nei con- 36
Bopin, Universae naturae Theatrum, cit., Propositio torius operis, si [Cfr.
McRae, Ramist tendencies in the thought of Jean Bodin, Journal of the History
of Ideas] fronti della tradizione dell’ars reminiscendi:** descrivere i luoghi
e le immagini creando una sorta di specchio o di arti- ficiale teatro della
realtà apparve molto più importante che il teorizzare in regole precise la
funzione dei luoghi e delle im- magini in vista del raggiungimento di una
capacità mnemo- nica utile ai discorsi umani. In modo non diverso BRUNO,
appassionato cultore di lullismo e di magia, intende utilizzare i saggi,
antichi e recenti, dell’arte della memoria. Da questo punto di vista potrebbe
presentare un certo interesse l'esame del modo in cui uno scrittore come MAZZONI
(si veda) da Cesena -- De triplici vita – attiva, contemplativa – religiosa --,
Romae -utilizza l'eredità di un noto cultore di mnemotecnica come PANIGAROLA
(si veda) -- L'art de prescher et bien fare un sermon avec la mémoire locale et
artificielle, ensemble l'art de mémoire de Marafiote, Chappuis, Paris. Su
Panigarola cfr. TrraoscHi] Di fronte ai molti saggi che BRUNO dedica all’ars
combinatoria e all’ars reminiscendi, non pochi storici, anche illustri, mostrano
una singolare incapacità di comprensione. All’indagine di temi che per essere
ora morti non sono per questo meno vitali, si preferirono valutazioni negative,
rapide liquidazioni o addirittura esplicite condanne. In questo senso studiosi
come Olschki e RUGGIERO (si veda) ridussero il lullismo bruniano sul piano
delle bizzarrie e delle grossolane illusioni, mentre an- che di recente la
Singer è giunta su queste basi ad esprimere più volte il suo compatimento per
un BRUNO perso dietro i problemi della combinatoria.' Ben altra sensibilità era
stata presente in quegli storici positivisti che, come TOCCO, affrontano
direttamente non solo il problema del lullismo bruniano, ma anche la questione,
ad esso collegata, dei rapporti fra gli scritti sulla memoria e la produzione
italiana e latina di BRUNO. Proprio quegli studiosi che in nome di ! Cfr. Olschki
(si veda), BRUNO, Bari; RUGGIERO (si veda), Storia della filosofia.
Rinascimento Riforma e Controriforma, Bari; D. W. Sincer, BRUNO, Vita e
pensiero, Milano. Nessun risultato nuovo nelle pagine dedicate ai primi scritti
bruniani da BapaLoni, La filosofia di BRUNO, Firenze. Cfr. TOCCO, Le opere
latine di BRUNO esposte e confrontate con le italiane, Firenze, sulla
tradizione della mnemotecnica; sulla importanza delle opere mnemoniche di BRUNO;
sulla rigida distinzione fra opere lulliane e mnemotecniche. Per i rapporti con
il lullismo e Cusano si veda anche lo studio Le fonti più recenti della
filosofia di BRUNO, Rendiconti dell’Accad. dei LINCEI, cl. scienze morali. Nell'opera
del BartHoLOMESs, BRUNO, Parigi, tutta la mnemotecnica viene erroneamente
identificata con il lullismo e TOMAI è scambiato per un seguace di Lullo.
Contro la distinzione operata da TOCCO reagì giustamente TROILO (si veda), La
filosofia di G. Bruno, Roma] una maggior fedeltà storiografica hanno rinunciato
alla inter- pretazione “razionalista”, “moderna” e ‘“avveniristica” del
pensiero bruniano, sono giunti, anche su questo terreno, a più apprezzabili
risultati: in questa direzione di lavoro, richiamandosi alle osservazioni di
Yates, di CORSANO (si veda), di GARIN (si veda), VASOLI (si veda) ha di recente
affrontato, in un ampio, saggio, il problema del lullismo e del simbolismo
bruniani. Le esatte conclusioni di VASOLI (si veda) vanno qui sottolineate. I temi
e i motivi della mnemotecnica bruniana recano un notevole aiuto alla
comprensione della posizione storica e filosofica di BRUNO, dei suoi ideali
riformatori, delle sue speranze di incidere profondamente, con mezzi e metodi
di estrema efficacia prammatica, sulla situazione intellettuale del suo tempo,
realizzandovi quel rinnovamento di cui gli saggi italiani ci offrono così
aperte testimonianze. Basta pensare alla continuità di queste ricerche che si
svolgono parallelamente allo sviluppo di tutta la sua riflessione metafisica
nella Clavis Magna, quando pubblica la De imaginum signorum et idearum
compositione, per intendere il legame organico tra indagine filosofica e
tecnica logico-mnemonica. Ché se BRUNO si adopera per tanti anni a svolgere e a
completare con tanta cura la sua dottrina mnemotecnica, non e certo soltanto
per portare il suo contributo ad una moda del tempo o per indulgere
all’illusione prammatica di una scienza che spesso sembra confinare con la
pratica magica o con la rivelazione cabalistica, quanto piuttosto. per tradurre
in un metodo di facile ed immediata efficacia taluni princìpi centrali della
sua dottrina. Cfr. Yates, BRUNO’s Conflict with Oxford, Journal of the Warburg
Institute; The French Acadenmies in the sixteenth Century, London; The Art of Lull,
« Journal of the Warburg and Courtauld Inst.; The Ciceronian Art of Memory,
cit.; Corsano, Il pensiero di BRUNO, Firenze; GARIN, La filosofia, « Storia dei
generi letterari italiani », Milano; VASOLI (si veda), Umanesimo e simbologia
nei saggi mnemotecnici di Bruno, in: Umanesimo e Simbolismo, atti del convegno di stud: umanistici, Padova. VasoLi,
Umanesimo e simbologia. Sia CORSANO (si veda) sia VASOLI (si veda) hanno
entrambi giustamente insistito sul peso esercitato, nella formazione filosofica
di BRUNO dai saggi sulla memoria di TOMAI. In un passo della Triginta
sigillorum explicatio, BRUNO afferma di essersi imbattuto nell’arte di TOMAI. Hoc
modica favilla fuit, quae iugi meditatione progrediens in vastis aggeris
irrepsit accensionem, e cuius flammiferis ignibus plurimae hinc emicant
favillae, quarum quac bene dispositam materiam attingerint, similia maioraque
flagrantia lumina poterunt excitare. Al gran fuoco suscitato da quella piccola
favilla si vennero in realtà consumando molte delle conclusioni cui e ervenuto BRUNO
a contatto dei peripatetici, nella dottrina de quali egli e stato allievato e
nodrito. Ai procedimenti deduttivi della scolastica BRUNO finirà per opporre
energicamente un processo di graduale avvicinamento, mediante l’esercizio della
immaginazione e della memoria, al piano della conoscenza razionale; al rigido
concatenarsi delle ragioni opporrà la fuggevolezza delle immagini. Alla
riduzione dell’intera conoscenza sul piano dell’intelletto contrappone la
radicale diversità del piano del senso. Stupidi est dicursus velle sensibilia
ad candem conditionem cognitionis revocare, in qua ratiocinabilia et
intelligibilta cernuntur. Sensibilia quippe vera sunt non iuxta communem
aliquam et universalem mensuram, sed iuxta homogeneam, particularem, propriam,
mutabilem atque variabilem mensuram. De sensibilibus ergo, qua sensibilia sunt,
universaliter velle definire, in aequo est atque de intelligibilibus vice versa
sensibiliter. L'impiego delle immagini, il gusto bruniano per la rappresentazione
mediante emblemi e divise appare strettamente collegato a impostazioni di
questo tipo, ma questo stesso gusto bruniano per il simbolo, per i geroglifici
e i sigilli, per le idee incorporate in forme sensibili non può a sua volta, se
® IoRpaNI BRUNO NoLani, Opera latine conscripta, Napoli e Firenze, (qui di
seguito ‘indicate con la sigla Opp. Zaz. Sul significato di questo passo, già
segnalato da TOCCO, Le opere latine, cfr. CORSANO (si veda), Il pensiero di BRUNO;
VASOLI (si veda), Umanesimo e simbologia] non arbitrariamente, esser disgiunto
da quella grande costruzione nella quale i temi derivanti dai testi del TOMAI e
dagli altri esponenti della mnemotecnica ciceroniana di CICERONE andano a
intrecciarsi con quelli del lullismo, del simbolismo e dell’esemplarismo
metafisico, si collegano con i motivi più caratteristici della letteratura
cabalistica, con gli ideali della pansofia, con l’eredità delle discussioni
dialettico-retoriche dell’umanesimo, con le aspirazioni ad una radicale riforma
religiosa. Mentre veniva inserita nel più vasto quadro del lullismo, l’intera
tematica attinente all’ars reminiscendi veniva in tal modo spostata su un piano
tipicamente metafisico. Da questo punto di vista l’atteggiamento bruniano
finisce con l’apparire per molti rispetti simile a quello assunto da ROSSELLI
(si veda) e dai costruttori dei teatri del mondo: l’arte non è una tecnica
legata alle limitate finalità del discorso retorico, ma è, sopra ogni altra
cosa, lo strumento di cui servirsi per dar luogo ad un edificio le cui
strutture costituiscano l’esatto rispecchiamento delle strutture della realtà.
Le regole della memoria, così come le tecniche combinatorie, traggono il loro
fondamento e trovano la giustificazione della loro validità nel postulato,
chiaramente ammesso, di una piena e perfetta corrispondenza tra i simboli e le
res, tra le ombre e le idee, tra i sigilli e le ragioni che presiedono alle
articolazioni del mondo reale. Su questo preciso terreno potevano in realtà
trovare un punto di incontro quelle retoriche che si ponevano come lo specchio
o il teatro del mondo (CAMILLO (si veda)) e quelle riforme della macchina
lulliana che avevano mantenuto ben saldo il postu- lato
platonico-esemplaristico che era alla base del tentativo di Raimondo Lullo. A
quelle retoriche e a questi commenti lul- liani appare assai vicino BRUNO
quando concepisce l’intero meccanismo dell’arte come la traduzione, sul piano
della sensibilità e dell’immaginazione, dei rapporti ideali che costi- tuiscono
la trama dell’universo: mediante l’allusività delle immagini, le ombre e le «
specie involute » sarà possibile impa- dronirsi (e altra strada non è data
all'uomo) di quelle rela- zioni alle quali, più tardi, potrà pervenire
un'indagine di tipo razionale. Questa impostazione, che è chiaramente legata a
premesse esemplaristiche, non esclude affatto che in BRUNO, come del resto già
in Lullo e nei lullisti, fossero presenti vivissimi interessi di tipo pratico
per una riforma del sapere, per una funzione pedagogica dell’arte, per una educa-
zione della memoria e delle capacità inventive, per una ra- pida cornunicazione
e diffusione della nuova cultura, per la ricostruzione, al di là della
frammentarietà delle singole scienze, di un sapere organico e unitario capace
di porsi a fonda- mento di una enciclopedia o sistema totale. Non a caso la
stessa riforma bruniana viene presentata come il progetto di realizzazione di
un’arte mirabile capace di ampliare smisura- tamente le possibilità di dominio
dell’uomo. Come tale essa fu accolta e valutata in quegli ambienti
platonizzanti parigini nei quali, come mostra Yates, gli interessi per il
copernicanesimo e per la riforma ramista della logica, andavano strettamente
congiunti a quelli per la cabala e per il lullismo. L'inserimento, operato da BRUNO,
delle tecniche retoriche della memoria entro la grande tradizione lullista non
man- cherà del resto di esercitare un influsso duraturo, oltreché negl’ambienti
francesi, anche in quelli inglesi, tedeschi e bocmi. Parigi, Londra, Praga,
Wittenberg, Francoforte erano stati, abbiam visto, centri di diffusione del
lullismo e dell’ars rem: niscendi; in questi ambienti si erano mossi Pietro da
Ravenna e Bovillus, Wilson, Spangerbergius e Lavinheta. Yates, The French Academies; sul
lullismo cfr. anche T. e J. CarrERAs Y ARtAU, Historia de la Filosofia
Espaîola. Filosofia
cristiana de los siglos XIII al XV, Madrid, 1943, II, pp. 207 ss.; A. RENAUDET,
Préréforme et Humanisme à Paris pen- dant les premières guerres d' Italie,
Paris. Esce a Londra, dedicato al
conte di Leicester, il De umbra rattonis et iudicii sive de artificiosa memoria
quam publice profitetur vanitate, edito da Vautrollier, di Dicson che si richiama al De Umbris bruniano.
A Dicson, che compare come personaggio nell'opera De la causa principio et uno --
cfr. Bruno, DIALOGHI ITALIANI, cur. Gentile e AQUILECCHIA (si veda), Firenze --
rispose polemicamente tale G.P., autore di un Antidicsonus cuiusdam
Cantabrigiensis G. P. Accessit libellus in quo dilu- cide explicatur impia
Dicsoni artificiosa memoria, London: nella dedica si fa riferimento a METRODORO
(si veda), ROSSELLI (si veda), BRUNO, e Dicson. Al Sigillus di BRUNO fa
riferimento anche Watson, Compendium memoriae localis, pubblicato a Londra. Da
un punto di vista ramista polemizza contro l'ars memoriae Perkins, Prophetica,
sive de sacra et unica ratione concionandi, Cantabrigiae. La trad. [Dei tre
scritti pubblicati a Parigi, il De umbris idearum è, giustamente, il più noto.
Il tentativo di giustificare con precise ragioni metafisiche gl’elementi tecnici
dell’arte appare qui particolarmente evidente. L’ascesa dell'animo dalle
tenebre alla luce si compie mediante l’apprensione delle ombre delle idee
eterne. Attraverso le ombre la verità viene in qualche modo svelandosi
all’anima prigioniera del corpo. Le idee-ombre, nelle quali si rispecchia la
trama dell’essere, si presentano sul piano della sensibilità e della
immaginazione, appaiono come fantasmi e come sigilli. Attraverso la ritenzione
artificiale delle catene o delle relazioni che intercorrono fra le ombre si
potrà giungere a ricostruire, come per una graduale purificazione, i nessi che
legano le idee per giungere infine, sul piano della ragione, alla comprensione
c al disvelamento di quell’unità che è sottesa alla confusa pluralità delle
apparenze. Su queste tre tesi appare fondata da un lato la riforma bruniana
della combinatoria, dall’altro il particolare uso bruniano delle regole per la
memoria che erano state teorizzate dalla tradizione ciceroniana. Come già era
avvenuto nella Sintares del Gregoire e nell’Opus aureum del De VALERIIS (si
veda), il concetto dell’unità del sapere appare immediatamente convertibile
nell’altro, ad esso corrispon- dente, di una unità essenziale del cosmo:
inglese apparve nel 1606. Il testo dello studente boemo Nostiz, che ascoltò a
Parigi le lezioni di mnemotecnica di BRUNO, è andato perduto. In quest'opera i
nomi di Aristotele, Lullo, Ramo e BRUNO venivano avvicinati in modo
significativo: Artificium
Aristotelico-Lullio-Rameum in quo per artem intelligendi Logicam, Artem
agendi Practicam, Artis loquendi partem de inventione Topicam methodo et
terminis Aristotelico-Rameis circulis modo lulliano inclusis via plura quam
centies mille argumenta de quovis themate inveniendi cum usu conveniens
ostenditur, ductu lo. a Nostitz, BRUNO genuini discipuli claboratum a BERGIO
(si veda), Bregae typis Sigfridianis. Il titolo è stato conservato in BunEMANN,
Catalogus MS Storum membranaceorum et chartaceorum item librorum ob inventa ty-
pographia, Minden. L’avvertenza di Nostitz ai lettori è ripubblicata in Sincer,
Bruno. Sull’autore, la biblioteca di famiglia e conservata intatta a Praga. Cfr.
VASOLI (si veda), Umanesimo e simbologia. Cum in rebus omnibus ordo sit atque
connexio et unum sit universi entis corpus, unus ordo, una gubernatio, unum
principium, unus finis, unum primum... illud ob- nixe nobis est intentandum, ut
pro egregiis animi opera- tionibus naturae schalam ante oculos habentes, semper
a motu et multitudine ad statum et unitatem per intrin- secas operationes
tendere contendamus. Talem quidem progressum tunc te vere facere comperies et
experieris, cum a confusa pluralitate ad distinctam unitatem per te fiat
accessio; id enim non est universalia logica conflare, quae ex distinctis
infimis speciebus, confusas medias, exque iis confusiores suprema captant. Sed quasi ex in- formibus
partibus ct pluribus, formatum totum et unum aptare sibi... Ita cum de partibus
et universi speciebus, nil sit seorsum positum et exemptum ab ordine (qui
simplicissimus, perfectissimus et citra numerum est in prima mente) si alia
aliis connectendo, ct pro ratione uniendo concipimus: quid est quod non
possimus intelli- gere memorari ct agere? Unum est quod omnia definit. Unus est
pulchritudinis splendor in omnibus. Unus
e multitudine specierum fulgor emicat.? Nel momento stesso in cui procede ad
una “riforma” della combinatoria lulliana, sostituendo trenta soggetti e pre-
dicati ai nove teorizzati da Lullo e facendo cadere la distinzione fra
predicati assoluti e predicati relativi, Bruno fa am- pio ricorso alla
tradizione ciceroniana modificandone la termi- nologia: ai luoghi della
mnemotecnica corrispondono i su- biecta (soggetti primi); alle :mmagini
corrispondono gli adiecta (soggetti secondi o prossimi). L’antichissimo
paragone della mnemotecnica alla scrittura può in tal modo essere ripreso in
senso diverso. Scriptura enim habet subiectum primum chartam tamque locum;
habet subiectum proximum minium et habet pro forma ipsos characterum tractus
».!° Accanto a questo paragone venerando, ritornava nei testi bruniani la
maggior parte di quelle regole della memoria che abbiamo visto presenti nei
testi. Nei primi paragrafi dell’Ars memoriae si riaffacciano in tal modo le
discussioni sull'arte e sulla natura, sull’ingegno pro- duttore di strumenti
artificiali, sui rapporti fra il segno e l’og- getto significato, ricompaiono i
richiami a Simonide e i pre- [Opp. lat.] cetti relativi alla modica grandezza,
alla convenevole distanza, alla giusta luminosità dei luoghi. La stessa
concezione bru- niana del luogo, che è apparsa al Tocco assai « più larga » di
quella tradizionale, è in realtà anch'essa derivante da testi molto diffusi.
L'idea di servirsi di « oggetti animati » per rap- presentare i luoghi, non è
affatto nuova: è già presente in un testo di un secolo prima, il De omnibus
ingentis augendae memoriae di Michele Alberto da Carrara.!! Anche nelle pagine
del Canzus Circaeus, pubblicato a Parigi, sono facilmente rintracciabili,
dietro il periodare contorto e il barocchismo delle immagini, temi ben noti.
Nel secondo dialogo del Canzus -- che fu ripubblicato con qualche modifica a
Londra l’anno seguente con il titolo di Recens et completa ars reminiscendi --,
la materia già trattata nel De Umbris viene ripresentata con maggiore
preoccupazione per una diffusione manualistica.'? Ponendosi come una tecnica
capace di migliorare, mediante opportuni artifici, la naturale condizione
dell’uomo, l’arte appare accessibile a chiunque. Fra i suoi meriti BRUNO
annovera, significativamente, proprio questa compiuta tecnicizzazione
dell’arte: Intentio nostra est, divino annuente numine, artificiosam
metodicamque prosequi viam: ad corrigendum defectum, roborandam infirmitatem,
et sublevandam virtutem memoriae
naturalis: quatenus quilibet (dummodo sit rationis compos, et mediocris
particeps iudicii) pro- ficere possit in ea, adeo ut nemo talis existentibus
con- ditionibus, ab ademptione huius artis excludatur. Quod quidem ars non
habet a seipsa, neque ex corum qui praecesserunt industria, a quorum
inventionibus excitati, promoti sumus diuturnam cogitationem ad addendum, 11
Cfr. qui alle pp. 34 - 35, e si veda inoltre R., La costruzione delle immagini
nei trattati di memoria artificiale del Rinascimento, in: Umanesimo e
simbolismo. Per le regole bruniane sui luoghi cfr. Opp. Zat., Il giudizio di TOCCO,
Le opere latine, è stato ripreso da VASOLI (si veda), Umanesimo e simbologia. Per
il testo di CARRARA (si veda), già sopra cit., cfr.: « Guido pater meus ex
animalibus cepit locos suos et corum ordine ex alphabeto deduxit... asinus,
basiliscus, canis, draco... haec singula in quinque locos dividebat... Nam hunc
ordinem ipsa natura porrexit neque confundi in eis cnumerandis ingenium
potest... » 12 Cfr. Tocco, Le opere latine] tum eis quac faciunt ad facilitatem
negotii atque certi- tudinem, tum etiam ad brevitatemn.15 Espressioni di questo
tipo non devono trarre in inganno. Poche righe più avanti si riaffacciavano i
temi, tipicamente ermetici, della necessità di un personale contatto fra il
maestro e il discepolo e di una necessaria segretezza dell’arte : Hortatur enim
Plato in Euthidemo ut res celeberrimae atque archanac habcantur a philosophis
apud se et paucis atque dignis communicentur... Idem omnibus iis, in quo- rum
manus ista devenerint, consulimus: ne abutantur gratia et dono eisdem elargito.
Et considerent quod figuratum est in Prometheo qui cum deorum ignem hominibus
exhibuisset, ipsorum incurrit indignationem.!4 Assai più interessante di questi
atteggiamenti che ripetono motivi diffusi, è il tentativo compiuto da BRUNO di
mantenere la terminologia dell’arte ben distinta da quella in uso negli altri
campi del sapere. Il termine “subdiectum”, chiarisce BRUNO, ha qui un
significato diverso da quello che al medesimo termine viene attribuito in
logica o in fisica. Esso viene qui assunto secundum intentionem convenientem,
quae technica appellatur, utpote secundum intentionem artificialem. Non è il SOGGETTO
di una PREDICAZIONE formale che, in logica, viene contrapposto al PREDICATO, né
quello della forma sostanziale detto le o materia prima. Non è il SVBIECTVM delle
forme accidentali né di quelle artificiali che ineriscono ai corpi naturali:
sed est SVBIECTVM formarum phantasibilium apponibilium, et remobilium,
vagantium et discurrentium ad libitum operantis phantasiae et cogitativae. Allo
stesso modo il termine “forma” non è usato come sinonimo di idea, così come
avviene nella metafisica platonica; né come sinonimo di essenza, così come
avviene in quella peripatetica. Non indica, come nella fisica, la forma
sostanziale o accidentale informante la materia; né, secondo l’accezione
tecnica, indica una intentionem artificialem additam rebus physicis. L'universo
di discorso del termine “forma” è, per BRUNO, quello di una logica non
razionale, ma fantastica. Forma sumitur secundum [Opp. lat.] rationem logicam NON
QVIDEM RATIONALEM SED PHANTASTICAM quatenus nomen logices amplius accipitur. Quest'ampliamento
della logica tradizionale, questa costruzione di una LOGICA FANTASTICA è in
realtà uno dei motivi essenziali del discorso bruniano. Chi, come TOCCO,
nettamente separa nella produzione bruniana le opere mnemotecniche da quelle
lulliane contrapponendo il carattere psicologico delle prime al carattere
metafisico delle seconde ha distinto, in modo artificiale, ciò che in BRUNO sj
presenta organicamente connesso e ha finito per precludersi la via ad una
effettiva comprensione degli elementi di novità presenti nella posizione
bruniana. L'atteggiamento sostanzialmente nuovo che BRUNO assume nei confronti
della tradizione della mnemotecnica retorica e dell’eredità del lullismo è
determinato proprio dal tentativo di trovare un punto di convergenza o un
terreno comune (o, se si vuole, di operare una sintesi) fra due tecniche che
erano nate da diverse esperienze e che avevano a lungo proceduto lungo due
linee non convergenti. In quanto seguace di Lullo, BRUNO trasferisce
all’interno dell’arte della memoria quelle esigenze metafisiche caratteristiche
del lullismo. In quanto riformatore dell’ars reminiscendi, egli non esita a
servirsi, accostandoli a quelli tradizionali, degli accorgimenti e delle regole
teorizzati dai seguaci della combinatoria. Su queste basi egli conduce la sua
polemica contro i suoi predecessori e su queste basi giunge a differenziare la
sua dalle altre posizioni. In primo luogo egli rifiuta quel rapporto di tipo
convenzionale che i teorici dell’ars memoriae avevano posto tra il luogo e
l’immagine. Contro questa posizione egli sostiene la necessità di una
connessione reale -- che può essere una associazione o un nesso di tipo logico
-- tra il subiectum e l’adiectum. In secondo luogo, e sulla base di questa
esigenza, BRUNO sostituisce ai tradizionali elenchi delle casalinghe immagini
degli oggetti d'uso presenti nei testi, complicate immagini mitologi- [Cfr.
Opp. lat., Tocco, Le opere latine, Opp. lat. Opus est non ita adiecta subiectis
applicari, quasi ca casu et ut accidit proiiciantur... ita adcoque invicem
conneva, ut nullo ab invicem discuti possint turbine.] che ed astrologiche -- attinte
alla tradizione ermetica -- che gli offrono la possibilità di una
rappresentazione visiva non solo del soggetto, ma anche dei rapporti
intercorrenti tra il soggetto centrale e tutti i caratteri e le nozioni che
sono ad esso collegati secondo un ordine sistematico. In terzo luogo, BRUNO concepisce
le figure ruotanti teorizzate da Lullo come strumenti per la memoria
artificiale. Nelle diverse ruote possono essere simbolizzate, mediante lettere
alfabetiche latine, tutti gli elementi costitutivi dell’arte. I centotrenta
luoghi fondamentali ricavabili dalle varie combinazioni, mentre si presentano
come essenziali in vista della piena realizzazione della memoria artificiale,
indicano al tempo stesso anche gl’elementi presenti in un sistema qualunque di
relazioni logiche. Tra logica e arte della memoria non si danno, per BRUNO,
differenze sostanziali. La logica memoraziva che è al culmine delle sue
aspirazioni ha una parentela assai stretta con la metafisica: «l’arte — egli
scrive — è un certo abito dell’anima raziocinante che si distende da ciò che è
il principio della vita del mondo al principio della vita di tutti i singolari.
Esaminando i testi dei grandi commentatori rinascimentali dell’Ars magna,
abbiamo già rilevato come il problema di una tecnica memorativa, rispetto alla
quale gli alberi le ruote le tavole si pongono come strumenti, si presentasse
come costi- tutivo rispetto agli sviluppi della combinatoria. Si è d'altra
parte sottolineato anche il fatto che quest'idea di una logica memorativa si
presenta strettamente collegata a quella inter- pretazione enciclopedistica del
lullismo che, facendo leva sul- l’immagine lulliana dell’albero, trasforma molti
dei commenti lulliani in vere e proprie enciclopedie o tentativi di classifica-
zione degli elementi che costituiscono il mondo reale e il mondo della
cultura." Chi abbia presenti queste conclusioni non potrà certo
meravigliarsi né dell’insistenza bruniana sugli aspetti mnemotecnici del
lullismo, né dei suoi tentativi di de- [Sull’ applicazione delle immagini
zodiacali di Teucro Babilonico all'arte cfr. VASOLI (si veda), Umanesimo e
simbologia. Cfr. Opp. lat., scrizione
degli elementi costitutivi dell'universo mediante il riferimento ai nove
subiecta dell’arte.” Alla luce di queste considerazioni non apparirà più soste-
nibile neppure quella tesi del Tocco secondo la quale un’opera come il De
progressu et lampade venatoria logicorum sarebbe « un compendio della topica
aristotelica » affatto indi- pendente dai commenti all’arte lulliana. Il
ricorso alle immagini del campo, della torre, del cacciatore permette di
collegare questa indagine sulla dialettica ai trattati sulla memoria, mentre
l’esplicito riferimento alle figure consente un accostamento alla tematica del
lullismo. Ma non si tratta solo di ragioni “interne”; in molti dei testi
dell’enciclopedismo cin- quecentesco (si pensi per esempio allo scritto /2
RAetoricam Isagoge) il lullismo appare fortemente intrecciato ai temi della
cosmologia e della retorica.?* Non a caso, anche BRUNO e fortemente interessato
al problema di un’applicazione dell’arte alla retorica e alla fisica:
nell’Artificium perorandi (dettato a Wittenberg c pubblicato dallo Alsted) egli
tenta una applicazione della mnemotecnica lulliana ai diversi tipi del discorso
retorico, mentre nella Figuratio aristotelici physict auditu avvia una
traduzione in immagini dei concetti centrali della fisica aristotelica. Nei
testi londinesi le complesse immagini dei sigilli erano state assunte da BRUNO
a indicare non direttamente gli oggetti da ricordare, ma le regole stesse
dell’arte. Ma più che su questi testi, peraltro molto significativi, gioverà
qui sotto- lineare la valutazione del lullismo che è presente nel De lampade
combinatoria: Agrippa non riuscì a penetrare (« aut prorsus non penetravit, aut
non satis ») nel valore dimo- strativo della combinatoria e si servì dell’arte
per celebrare se stesso piuttosto che i testi lulliani; più degni di considerazione
furono i tentativi di Lefèvre e di BOVILLO (si veda); solo attraverso la
riforma bruniana l’ars magna è giunta al suo pieno compi- [Cfr. Opp. lat., TOCCO, Le opere latine, cCfr. Opp. lat. Si
vedano le considerazioni di VASOLI (si veda), Umanesimo e simbologia. mento ed
è pervenuta al più alto grado possibile di perfezione: « artem hanc a Lullo
adinventam ita complevimus ut ab omni contemptibilitatis praetextu
vindicavimus... ut om- nino impossibile sit ei aliquid amplius adiicere ».°” In
questo rapido quadro assume un rilievo tutto particolare il richiamo a quella
comune fonte dalla quale derivarono la metafisica teologica di Scoto Eriugena,
l’arte lulliana, i misteri di Cusano, la medicina di Paracelso: Hic super
illius adinventionem excolendam claboravi- mus, cuius genium summi
philosophorum principes ha- biti admirantur, persequuntur, imitantur; unde Scoti- gena thcologicam metaphysicam, vel
metaphysicam (quam scholasticam appellant) theologiam, cum subtilibus aliis
extrassisse constat; a quo admirandum illud
vestratis Cusani quanto profundius atque divinius, tanto paucioribus
pervium minusque notum ingenium, mysteriorum, quac in multiplici suac doctrinae
torrente delitescunt, fontes hausisse fatetur; a quo novus ille medicorum
princeps. Paracelsus. Le ragioni di questi accostamenti apparvero già chiare a
TOCCO: l’opera di Lullo fu valutata da BRUNO come una delle principali
espressioni di quel neoplatonismo che, muovendo dalla identità di ideale e
reale, ritiene di poter proce- dere ad una costruzione della realtà mediante la
determinazione del movimento delle idee. Mentre si configurava come un rifiuto
della logica tradizionale e andava sostituendo le immagini ai termini e la
topica all’analitica, l’arte bruniana si muoveva su un terreno ben diverso da
quello delle indagini dialettiche, rifiutava ogni identificazione con una
tecnica linguistica o retorica, intendeva aprire possibilità di prodigiose
avventure e di costruzioni totali: « Quaedam vero adeo arti videntur
appropriata, ut in eisdem videatur naturalibus omnino suffragari: haec sunt
Signa, Notae, Characteres et Sygilli: in quibus tantum potest ut videatur agere
praeter naturam, supra naturam, et, si negotium requirat, contra naturam. Il
fine dell’arte non consiste semplicemente in un rafforzamento della memoria o
in un potenziamento delle fa- [Opp. lat. coltà intellettuali: essa «ad multarum
facultatum inventionem, viam aperit et introducit. Non a caso nei testi più
significativi della magia bruniana troviamo ancora presente il ricorso ai
sigilli, ai segni, alle figure che vengono avvicinati ai gesti e alle cerimonie
come elementi costitutivi ed essenziali di quel linguaggio mistico-rituale che,
solo, può aprire la strada a colloqui divini: cum certo numinum genere non nisi
per definita quaedam signa, sigilla, figuras, characteres, gestus ct alias
cerimonias, nulla potest esse participatio. Nella concezione bruniana della
magia come forza ministra e dominatrice della natura, capace di intendere le
segrete corrispondenze fra le cose e di cogliere le formule ultime della
realtà, in opere come il De Magra, le Theses de Magia, il De Magia mathematica
trovavano davvero la loro risoluzione i problemi dibat- tuti nelle opere
mnemotecniche e lulliane.?! L'immagine di un universo unitario che va
interpretato e decifrato mediante i simboli giungeva qui, come già nel Sygilus,
al suo pieno compimento: Una lux illuminat omnia, una vita vivificat omnia. Atque
altius conscendentibus non solum conspicua erit una omnium vita, unum in
omnibus lumen, una boni- tas, et quod omnes sensus sunt unus sensus, omnes no-
titiac sunt una notitia, sed et quod omnia tandem, utpote notitia, sensus,
lumen, vita sunt una essentia, una virtus et una operatio. Alla comprensione
della magia bruniana, del grandioso tentativo del Nolano di dar luogo ad
un'arte capace di av- vicinare gli uomini ponendosi come strumento essenziale
ad una riforma delle religioni, potrebbe giovare non poco un esame,
analiticamente condotto, dei rapporti fra BRUNO lulliano e mnemotecnico e
quello, più noto, delle opere maggiori. Da un tale esame potrebbero forse
derivare anche con- tributi non trascurabili ad una comprensione della lingua e
dello stile bruniani. Nel ritmo convulso della sua prosa ita- liana sarebbe
difficile continuare a vedere (come vuole uno storico insigne della
letteratura) un «affidarsi all’istinto e al- 30 Opp. lat., HI, De Magia). Cfr. VASOLI
(si veda) Umanesimo e simbologia simbolismo. Opp. lat., Opp. lat. l'abbondanza
della vena ». Il compito delle immagini, poste accanto ad un soggetto, è quello
di « presentare, effigiare, de- notare, indicare, per esprimere e significare a
somiglianza della pittura e della scrittura ». La molteplicità delle imma- gini
deve indicare ed esaurire i significati, impliciti ed espliciti, contenuti
nelle idee centrali e costituire con esse una inscindi- bile unità. Dietro il
continuo ritorno delle immagini, l’ab- bondanza delle ripetizioni, il
succedersi dei simboli che in- tendono raffigurare sensibilmente i concetti
stavano in realtà anche precise convinzioni di natura “filosofica”: «
philosophi sunt quodammodo pictores atque poetae, poetae pictores et
philosophi, pictores philosophi et poetae, mutuoque veri poe- tae, veri
pictores et veri philosophi se diligunt et admirantur; non est enim philosophus
nisi qui fingit ct pingit. Esaminando le enciclopedie e i teatri universali
della seconda metà del Cinquecento, considerando i testi bruniani, abbiam visto
che l’ars memorativa di derivazione ‘cicero- niana”, mentre si congiungeva con
l’eredità della tradizione lullista, si collegava anche strettamente ai temi di
una metafi- sica esemplaristica e neoplatonica, ai motivi della cabala, agli
ideali della magia e dell'astrologia, al gusto per le immagini, i simboli, le
cifre, le imprese e le allegorie. La ricerca di una «chiave universale » capace
di decifrare «l’alfabeto del mon- do » e di individuare la trama costitutiva
della realtà, l’aspi- razione ad un teatro enciclopedico che fosse lo «
specchio » fe- dele della realtà, avevano piegato ad esigenze nuove e a fini
diversi da quelli originari le tecniche della memoria arti- ficiale. Inseriti
nel discorso, pieno di toni iniziatici, di una magia rinnovata, gli
accorgimenti per la costruzione di un'arte memorativa avevano finito per
perdere ogni contatto con il terreno delle scienze mondane della dialettica,
della retorica, «della medicina e per apparire miracolosi strumenti per il rag-
giungimento del sapere totale o della pansofia. Su questo terreno si mossero [Cfr.
CORSANO (si veda), Il pensiero di BRUNO, non pochi fra i sostenitori e i
seguaci delle arti mnemo- niche e del lullismo. Negl’anni stessi che vedevano
Cartesio interessato al lullismo e alle arti della memoria, vedevano la luce a
Lione le opere di Paepp. Una di queste, lo Schenkelius detectus seu memoria
artificialis hactenus occultata era un ampio commento dell’Ars memoriae dello
Schenkel, un testo ben noto a Cartesio. Negli Artificiosae memoriae fundamenta
e nella Introductio facilis in praxin artificiosae memoriae, Paepp si sofferma ad
illustrare a lungo le dottrine aristoteliche ciceroniane CICERONE e tomiste AQUINO
sulla memoria, ma mostra di aver subìto anche le influenze del lullismo e dei
suoi esponenti più significativi, da BRUNO allo Alsted. Proprio sulle tracce di
quest'ultimo, in aspra polemica con i denigratori dell’arte, egli sostene la
opportunità di una stretta connessione della logica con la mnemo- tecnica. Mentre
la prima appare necessaria ad alcune arti e discipline, la seconda è
indispensabile ad ogni forma di sapere. Mentre sottolinea la funzione mnemonica
dei circoli lulliani e detta accorgimenti per decifrare i testi dell’ars
notoria, Paepp elimina non a caso ogni distinzione tra “ciceroniani” CICERONE e
“lullisti” collocando in uno stesso elenco, tra [Jon. Paerr, Arzificiosae
memoriae fundamenta ex Aristotele, CICERONE, AQUINO, altisque praestantissimis
doctoribus petita, figuris, interrogationibus ac responsionibus clarius quam
unquam antehac demonstrata, Lugduni, apud Bartholomeum Vincentium; Eisagoge,
seu introductio facilis in praxin artifiosae memoriae, ibidem; Schenkelius
detectus, seu memoria artificialis hactenus occultata (Triv. Mor. Sed miror cur
cidem (i negatori dell’arte) non et logicam artifi- cialem nigro calculo
notent. Ut enim logica artificiosa intellectui rerum cognitionem secutius
venatur, sic artificiosa memoria acquisitam ac comparatam cognitionem tenacius
conservat ac tuetur naturali; quare Alstedius non minus hanc ad omnes artes et
disciplinas, quam istam ad nonnullas necessariam probat. Artificiosae memoriae
fundamenta. Sulla funzione dei circoli cfr. gli Artificiosae memoriae
fundamenta; sulla scrittura segreta da impiegare nell’ in- segnamento dell’
arte cfr. dove vengono dettate due regole fondamentali: Legendum more hebraico,
puta ordine retrogrado; 2) Alpha et omega sunt otiosa id est primae et ultimae
literae non habetur ratio osras
significa ars; codrot ordo, bogamir imago ecc i fondatori e i teorici
dell’arte, Quintiliano e CICERONE (si veda), Lullo e GRATAROLI (si veda), TOMAI
(si veda) e Romberch, ROSSELLI (si veda) e BRUNO (si veda), Schenkelius e
Alsted. Non poche delle sue pagine appaiono dedicate a discutere le posizioni
bruniane e, come già Bruno, anch'egli si richiama alle immagini degli dèi
antichi e dell’astrologia trasformando la sua trattazione in una elencazione di
temi iconografici Saturnus, homo senex, pannosus, capite aperto, altera manu
falcem, altera vero nescio quid panno involutum gestans... Iupiter apud veteres
effingebatur sedens, in inferioribus partibus nudus. Più volte, negli scritti
del Paepp, ritornano dettagliate narrazioni e minuziosi resoconti di miracolosi
fenomeni di capacità mne- moniche.?® Più che a una discussione dei temi
attinenti alla retorica o alla enciclopedia, il Paepp è fortemente interessato
alla descrizione dei mirabili risultati cui si può pervenire con l’aiuto
dell’arte. Le tecniche della combinatoria e dell’ars reminiscendi venivano qui
utilizzate su un piano che presenta non pochi punti di contatto con quello
della magia e dell’oc- cultismo: mediante l’arte è possibile trasformare
rapidamente un fanciullo in un sapiente, entrare in possesso di prodigiose
virtù, giungere a suscitare la stupefatta amimrazione dei dotti e dei reggitori
della cosa pubblica. Già in BRUNO, abbiamo visto, la tematica del lullismo e
dell’ars reminiscendi era apparsa strettamente connessa alle aspirazioni e agli
ideali della magia. L’ars inveniendi e l’arte memorativa si configuravano
spesso come progetti di fonda- zione di un’arte mirabile capace di condurre
entro i segreti della natura e di decifrare la scrittura dell’universo. Non si
trattava solo di ampliare, mediante l’arte, le capacità mnemo- niche: la
tecnica lulliana si pone in BRUNO come ricerca e definizione dei ritmi della
natura; il riferimento ai subiecta dell’arte consente di determinare
contemporaneamente i prin- [Cfr. Eisagoge seu introductio. Per i rapporti del
Paepp con il Bruno cfr. N. Bapatoni, Appunti intorno alla fama di BRUNO, Società.
Per l’uso delle immagini degli dèi antichi in Paepp cfr. gli Artificiosae
memoriae fundamenta. Cfr. Artificiosae
memoriae fundamenta, e soprattutto Schenkelius detectus] cipi del discorso e
gli elementi costitutivi della realtà. All'arte bruniana della memoria, in
quanto prodotto magico o arte segreta capace di ampliare smisuratamente le
possibilità umane, si interessarono com'è noto Pio V, Enrico III, MOCENIGO (si
veda). Un discorso certo molto diverso, ma non in tutto dissimile converrebbe
fare per CAMPANELLA che ama anch'egli presentarsi come dotato di miracolose facoltà:
a FARNESE (si veda) egli assicura di poter insegnare filosofia naturale e
morale, logica, retorica, poetica, politica, astrologia e medicina con un
metodo speciale che avrebbe consentito di realizzare in un anno maggiori
risultati di quelli ordinariamente conseguibili con dieci anni di normale
insegnamento. Questo stesso concetto e la stessa insistenza sulla possibilità
di una straordinaria facilità di apprendimento, ritroviamo nelle pagine della
Città del Sole. Prima di dieci anni, i fanciulli della città solare apprendono
senza fastidio tutte le scienze servendosi di quella gigantesca enciclopedia
che risulta dalle immagini dipinte sulle pareti delle sei muraglie Questo
ricorso all’immagini come elemento essenziale ha, in CAMPANELLA, un significato
non trascurabile. All’enciclopedismo lullista, fondato sui termini e sui
procedimenti logicomate- matici, egli ne contrappone un altro fondato sulle
immagini sensibili delle cose. Nel “De investigatione rerum”, CAMPANELLA fa
riferimento ad una dialettica “ex solo sensu” che classifica gl’oggetti del
senso in nove categorie -- ut quilibet de quacumque re NON PER VOCABVULA tantum,
ut Lullio mos est, sed per sensibilia obiecta ratiocinari posset. A questa
stessa esigenza di un SAPERE NON-VERBALE, fondato sul senso e sulle cose,
rispondono del resto le osservazioni, svolte nel De sensu rerum et magia, sulla
memoria come senso anticipato, le sue critiche alle tesi della medicina
peripatetica, la sua affermazione che sia possibile operare sulla memoria con i
ritrovati della medicina, la identità, più volte affermata, di [Per
l’enciclopedia dipinta sulle muraglie e per la facilità dell’ ap- prendimento
delle scienze cfr. La città del sole, in Scritti scelti di BRUNO e di CAMPANELLA,
cur. Firpo, Torino. Del senso delle cose e della magia, Bari] memoria e
imaginativa. Si comprenderà anche, tenendo presenti queste considerazioni, come
egli potesse guardare con simpatia alla « memoria locale che fa larghissimo uso
di immagini sensibili. Gli stessi risultati cui è pervenuta la mne- motecnica
“citeroniana” appaiono in tal modo a CAMPANELLA una conferma della sua
definizione della memoria come senso indebolito: l’arte della memoria locale,
al senso esposta in cose assai sensibili e note, ponendo le cose cognite per
simi- glianza, mostra che la memoria sia senso indebolito che così si rinnova e
fortifica. Quell’arte della memoria locale, alla quale fa riferimento CAMPANELLA,
non manca certo di cultori: nei saggi di
GESUALDO (si veda) e di MARAFIOTI (si veda), di Johannes Austriacus e di
Bruxius, di RAVELLI (si veda) e di Schenkel,
di Willis e di Azavedo, ritornavano i temi e le regole della 42 Cfr. JoannIs
MarciRI, De memoria artifictosa, Francofurti (Fir. Naz. 3.8.530); la Plutosofia
del Reverendiss. Padre F. Filippo Ge- sualdo dei Minori Conventuali nella quale
si spiega l’arte della me- moria, Vicenza, Heredi di Perin Libraro (Triv. Mor.
H.); F. GiroLamo Manarioro, Nova inventione et arte del ricordare per luoghi et
imagini et figure poste nella mani, Venezia (Triv. Mor. M.); la traduz. latina
dell’opera del Marafioto: De arte remuni- scentiac per loca et imagines ac per
notas et figuras in manibus post- tas fu pubblicata e inserita nella edizione
(qui di seguito ci- tata) del Gazophylacium artis memoriae dello Schenkelius.
Nella stessa edizione è inserito il De memoria artificiosa libellus di Johannes
Austriacus (Angelica, SS.); fra i commentatori del De memoria dello Schenkel
(pubblicata per la prima volta nel 1595) sono da segnalare gli scritti di
Martin Sommer (Venezia) sotto il cui nome si nasconderebbe secondo il Morhof
(Po- Iyhistor, I, p. 374) lo stesso Schenkel e l’Ars memoriae... in gratiam et
usum inventutis explicata, Francofurti, typis N. Hoffmanni, di Francesco
Martino Ravelli (Ravelinus) (Par. Naz. Z. 58347). Più interessante è il
Simonides redivivus sive ars memoriae et oblivionis... tabulis expressa... cui
accessit Nomenclator mnemonicus, Lipsiae, im- pensis T. Schureri, 1610 di
Adamus Bruxius (Par. Naz.) poi ristampata. Ad un anonimo professore di Lipsia
si deve l'Ars memoriae localis plenius et luculentius exposita... cum applica
tone ciusdem ad singulas disciplinas et faculates, Lipsia. Non sono riuscito a
vedere questo testo né JoHANNES VELASQUEZ DE AZAVEDO, Fenix de Minerva y arte
de memoria que ensena sin maestro a apren- der y retenir, Madrid (il titolo
riecheggia quello del Ravennate TOMAI). mnemotecnica “classica”, venivano
commentate e discusse le opere sulla memoria di Aristotele, di CICERONE, di
Quintiliano, d’AQUINO, di TOMAI, si tentano combinazioni e sintesi tra la
mnemotecnica ciceroniana e la combinatoria di Lullo, si costruivano teatri ed
enciclopedie, sî escogitano nuove, più complicate immagini, si conducevano
discussioni sul segno, sul gesto e sul geroglifico. Più che questi saggi, che
contribuiscono a diffondere una tematica già largamente nota e ad alimentare
discussioni da tempo iniziate, appaiono degni di considerazione altri saggi nei
quali la magia non costituisce soltanto — come per BRUNO e per CAMPANELLA — lo
sfondo culturale sul quale si collocano le arti della memoria, ma offre a
queste una precisa giustificazione di ordine teorico. In questi scritti la
connessione tra le tecniche magiche e quelle della memoria viene esplicitamente
teorizzata e l’ars reminiscendi viene presentata come un prodotto di magia.
Nella Magia naturalis di Hildebrand A Lipsia- Francoforte, nel vede infine la
luce, con il titolo Variorum de arte memoriae tractatus selecti, una raccolta
di scritti com- prendente le opere dello Schenkel, del Ravelli, del Paepp,
dell'Au- striacus, del Marafioto, dello Spangerberg. Lo Schenkel, cui toccò in
sorte di essere discusso brevemente da Cartesio, è figura particolar- mente
interessante: fortunato insegnante c diffusore dell’arte mnemonica in ITALIA -- artem hanc — scrive il
Morhofius — magno cum successu suo nec sine insigni suo lucro exercuit ») fu
accusato dì stregoneria durante un suo soggiorno a Lovanio, riuscendo poi ad
ottencre protezione ed appoggio dalla facoltà teologica di Douai. La prima
edizione della sua opera, poi spessissimo ristampata: De memoria liber secundus
in quo est ars memoriae, Leodii, Leonardus Straele. Insieme ai tre opuscoli
sopra ricordati dell’Austriacus, del Marafioto e dello Span- gerberg l’opera fu
ristampata con il titolo Gazophylacium artis me- moriace, Argentorati, Antonius
Bertramus (Angelica). Fra i suoi scritti, che comprendono una Apologia pro rege
catholico in calvinistam, Anteverpiae, ec una raccolta di Flores et sententiac
in- signiores ex libris de Constantia Justi Lipsit (Par. Naz.), è stato
ristampato, in edizione moderna, il Com- pendium der Mnemonik, con testo latino
e trad. tedesca a cura di Kliber, Erlangen, Palm. All’insegnamento di
quest'auto- re si richiama anche la curiosa enciclopedia di Aprian LE Cuiror,
Le magazin des sciences, ou vrai art de mémoire découvert par Schen- Relius,
traduit et augumenté de l’alphabet de Trithemius, Paris, ]J. Quesnel, che
amplia molto il testo originario (Par. Naz. la creazione della memoria
artificiale viene presentata come la applicazione dell’arte magica ad una
particolare forma dell’operare umano. Nella Regina scientiarum e nella
Enciclopaedia Pierre Mo- restel insiste su temi largamente diffusi: la regina
delle scienze, che è l’arte di Lullo, non verte su un oggetto particolare, ha
caratteri tali di generalità c di certezza da presentarsi come totalmente
autosufficiente, da essere in grado di consentire il pieno raggiungimento della
verità in ogni ramo del sapere. All’arte mnemonica degli antichi, fondata sulla
dottrina dei luoghi e delle immagini, Morestel contrappone, come nuova arte
della memoria, la combinatoria lulliana. Nei suoi scritti la trattazione dei
temi del lullismo e della mnemotecnica si collega con quella della filosofia
occulta dei filosofi presocra- tici, con l'interpretazione delle favole
antiche, con la tematica della cabala, con la ricerca di una chiave
universale.*' Alla 49 W. Hiupesranp, Magia naturalis, das ist, Kunst und
Wunderbuch, darinne begriffen Wunderbaren Secreta,, Geheimniisse und KRunststi-
che... Leipzig, Cfr. Pierre MoRESTEL, Enciclopaedia sive
artificiosa ratio et via cir- cularis ad artem magnam R. Lullit per quam de
omnibus disputatur habeturque cognitio, s.l., in collegio Salicetano (Par.
Naz.); La philosophie occulte des devanciers d'Aristote et de Platon, en forme
de dialogue, contenant presque tous les préceptes de la phi- losophie morale
extraite des fables anciennes, Paris, T. Du Bray (Par. Naz.); Les secrets de la
nature... contenant presque tous les préceptes de la philosophie naturelle
extraite des fables anciennes, Paris, R. de Beauvais (Par. Naz.); Artis
kabbalisticae sive sapientiae divinae academia, Parisiis, apud M. Mondière (Par.
Naz.); Regina omnium scientiarum qua duce ad omnes scientias et artes, qui
literis delectantur facile conscendent, Tremoniae, apud Jodocum Kalcovium
(lRothomagi2) (Casanat.). La
definizione dell'arte di Lullo, presente in questi testi, è ricalcata secondo
schemi convenzionali: Ars R. Lullii non vul- garis, non trivialis, non circa
unum aliquod obiectum occupata, sed ars omnium artium regina... Huius artis ea
est excellentia praestan- taque, ea generalitas ac certitudo, ut, se sola
sufficiente, nulla alia praesupposita... cum omni securitate et certitudine...
de omni re sci- bili veritatem ac scientiam non difficulter invenire faciat.
Più inte- ressante è l’interpretazione della combinatoria come arte mnemonica:
“ Artificium igitur memoriae, a veteribus traditum, locis constabat et
Imaginibus; quidni igitur dabitur aliqua ars memoriae quae terminis constabit?
Talis est ars Lullii, cuius termini generales patefaciunt adi- medicina
mnemonica di Gratarolo, e quindi alla tradizione dell’aristotelismo, si
richiama invece l’anonimo autore di un Ars magica pubblicata a Francoforte che
dedica alla memoria e alle immagini astrologiche impiegate per rafforzarla, due
capitoli del suo trattato. Nel Pentagonum philosophicum medicum, sive ars nova
reminiscentiae di Lazare Meyssonnier, medico del re di Francia e corrispondente
di Cartesio, cultore di medicina astrologica, di chiromanzia e di fisiognomica,
ritornano i temi della medicina della memo- ria, del lullismo, della cabala.
Nella Belle magie ou science de l’esprit egli presentava, in funzione della
medicina magica, un methode de conduire la raison e una logique naturelle pour
resoudre toutes sortes de questions.'Questa stessa esigenza di un metodo
universale si accompagna, nei testi di medicina magica di Jean d’Aubry, alla
affermazione di una scienza unitaria e suprema rispetto alla quale le parti-
tum non solum ad inventiones plurimas... sed etiam maxime faciunt ad memoriam,
cum sint quasi via artificiosa et methodica ad corri- gendum defectum,
roborandam infirmitatem et sublevandam virtutem memoriac naturalis (Cfr. Regina
scientiarum). Cfr. Lazare MryssonnIER, Penzagonum
philosophicim - medicum sive Ars nova reminiscentiae cum institutionibus
philosophiac naturalis et medicinac sublimioris et secretioris... clave omnium
arcanorum na- turaltum Macrocosmi et Microcosmi, Lugduni, J. ct P. Prost
fratres (Par. Naz.); La delle magie ou science de l'esprit contenant les
fondemens des subtilitez ct de plus curicuses et secrètes connoitssances de ce
temps, Lyon, chez Nicolas Caille (Triv. Mor.). Delle suc competenze
astrologiche ci dà testi- monianza lo stesso Mcyssonnier: « Apres avoir durant
vingi-cinq ans cxaminé soigneusement les écrits et les observations de ceux qui
ont traité de l'astronomie ct de l'astrologie, dressé ct jugé plus de deux
mille figures de nativité, qu'on nomme vulgairement horoscopes... » Cfr.
Aphorismes d'astrologie tirée de Ptolomée, Hermes, Cardan, Munfredus et
plusieurs autres, traduit en frangois par A.C., Lyon, Mi- chel Duhan (Triv. Mor. M.). La teoria del conarinrm sostenuta dal Meyssonnier nel
Pentagonum e nella Belle magie dovrebbe essere studiata anche in vista di una
comprensione dell'atteggiamen- to assunto da Descartes verso questo curioso
personaggio. Per i con- tatti di Meyssonnier con Mersenne c Cartesio cfr. la
lettera di Meys- sonnier a Mersenne ricordata in Adam et Tannery, HI, la prima
lettera a Descartes è andata smarrita e così pure la risposta alla lettera
cartesiana (Adam et T.); si vedano anche le lettere di Descartes a Mersenne
(Adam cet T.,] colari scienze hanno carattere di apparenza. Mentre traccia le
linee di una grande enciclopedia, egli insiste energicamente sulla sostanziale
unità del sapere e sulla artificialità di ogni separazione tra le singole
discipline : « Dans les trois premiers chapitres tu y verras toutes les
connoissances du monde et un ordre de toutes choses.... Et tu apprendras aussi dans le
troisième chapitre qu'il n'y a qu’une seule science parce qu'il n’y en a qu’une
seule laquelle donne reponse sans user d’aucune espece de divination.... La
science... laquelle me donne des resolutions et reponses infaillibles de toutes
choses, comme estant la règle de toute verité ».*° Anche nei testi di Fludd, che è il più noto e signi-
ficativo esponente dell’ermetismo e del simbolismo cabalistico del Seicento,
troviamo un’ampia trattazione, del resto con- dotta secondo canoni assai
convenzionali, dell’arte memora- tiva. Cfr. Jean D’AuBry, Le triomphe de l'archée et la
merveille du monde, ou la medicine universelle ct veritable pour toutes sortes
de mala- dies les plus desesperées... Etablie par raisons necessatres et
demonstra- tions infaillibles, A Paris, chez l’auteur, avvertimento al pubbli-
co, pp. non numerate (Vatic. Racc. Gen. Medicina). In que- sta ediz. francese,
che segue a quella latina — Triumphus archei et mundi miraculun sive medicina
universalis, Francofurti (Braid.) — è compresa, in appendice, la Apologie
contre certatns docteurs en médicine... respondant à leurs calomnies que l'au-
theur a guéry par art magique beaucoup de maladies incurables et aban- donces,
già pubblicata a Parigi. Fra gli scritti più particolar- mente dedicati a Lullo
si veda la traduzione della Blanquerna (Le Triomphe de l'amour et l’eschelle de
la gloire, ou la médicine univer- selle des ames, ou Blanquerne de l'amy et de
l'aimé, Paris, s.d. Par. Naz.), l' Abregé de l'ordre admirable des connoissances
et des beaux secrets de saint Raymond Lulle martyr, s. d. (Par. Naz.) e Le
firmament de la vérité contenani le nombre de cent démons- trations... qui
preuvent que tous les prestres... abbés, commandataires, prédicateurs et
bernabites doivent étre damnés éternellement s'ils ne vont prescher l’ Evangile
aux Turcs, Arabes, Mores, Perses, Musulmans et Mahométans, Grenoble, J. de la
Fournaise (Par. Naz.). Ma si
vedano nell’Apologie le otto ragioni, elencate dal d’Aubry, per le quali i
libri di Lullo doivent estre receus de mesme que ceux d'un Père de l’Eglise ».
4° R. FLupp, Tomus secundus de supernaturali, naturali, praeterna- turali et
contranaturali Microcosmi historia, Oppenheimi, typis Hie- ronimi Galleri, In
piena atmosfera magica ed ermetica ci riporta anche il Traicté de la memoire
artificielle pubblicato a Lione, da Belot e inserito, a guisa di appendice,
nelle Familières instructions pour apprendre les sciences de Chiromancie et
Phystonomie.** L° intera combinatoria lulliana viene iden- tificata dal Belot
con una «memoria artificiale »j mediante la miracolosa invenzione di Raimondo,
« homme d’exquise erudition », è possibile abbreviare in modo prodigioso il
cam- mino della scienza e sostituire al lavoro di un’intera vita il rapido apprendimento
dei princìpi fondamentali e costitutivi i ogni ramo del sapere. Per svelare
l’essenza dell’arte, che Lullo volutamente nascose sotto una serie di enigmi,
per su- perare le posizioni di Bruno, di Agrippa, di Alsted e di Lavinheta, per
mettere l’arte alla portata di tutti («cet arte estoit necessaire à ceux qui
font profession de faire sermons... ou quelque trafic de marchandise »), Belot
propone di asso- ciare la combinatoria alla chiromanzia sostituendo alle figure
della combinatoria e alle immagini della mnemotecnica cice- roniana, le figure
e i termini in uso nell'arte chiromantica. Nonostante le pretese di assoluta
novità, le ruote delle quali [Cfr. Les Oeuvres de Belot contenant la
chiromance, phy- sionomie, l'art de mémoire de Raymond Lulle, traité des
devinations, augures et songes, les sciences steganographiques paulines et
almadelles et lullistes..., Lyon, chez Claude de la Rivière (Triv. Mor.). Oltre a questa edizione è da vedere l’altra di
Rouen, chez Pierre Amiot, (Triv. Mor.) poi ristampata a Liegi. Sulle arti «
paulines et almadelles » si veda la nota di L THoRnpikE, A/fodhol and Almadel:
hitherto unnoted books of magic in florentine manuscripts, in Speculum Le opere del Belot, che si mostrò
favorevole alla teoria copernicana e parla di rourbillons de matière,
andrebbero esaminate più detta- gliatamente di quanto non abbia fatto il
Thorndike (History of magic and experimental science) anche perché in esse sono
presenti evidenti tracce delle posizioni ramiste. A BRUNO, come ad uno dei
maggiori teorici dell’arte, Belot si richiama più volte: cfr. Note bruniane,
Rivista critica di storia della filosofia. Les oeuvres de ]can Bellot, ediz. Per
la connessione tra chiromanzia e arte mnemonica cfr. l’opera di MARAIOTO (si
veda)] Belot si serve appaiono ricavate dai commenti lulliani di Agrippa,
mentre non mancano, in più punti, echi della trat- tazione bruniana. Proprio da
Agrippa e da Bruno egli trae infatti la convinzione — in seguito sostenuta con
maggior ampiezza nella RAetorigue — di una stretta connessione tra
retorica-dialettica da un lato e lullismo ed arti segrete dal- l’altro. Il titolo del suo trattato
è, da questo punto di vista, assai indicativo: La rhetorique par laquelle on
peut discourir de ce qui est propre en l’oraison et de disputable par dialecti-
que, selon la subtilité de l’art lulliste et autres arts plus secrets qui sont
icy compris par une seule legon necessaire en tout art ».5° Le finalità di una
retorica e di una dialettica fondata sul lullismo e sulla tradizione magico-alchimistica
vengono presentate, non a caso, come coincidenti con quelle che già furono
proprie dell’antica sapienza ebraica e dei sostenitori della cabala: Ce que
l’antiquité a recherché avec beaucoup de labeur toutesfois sans en avoir acquis
la parfaite connoissance, je te le donne tout entier: c'est ce qu'ont voulu
acquerir les Prophetes, Mages, Rabins, Cabalistes et Massorets, et depuis eux
le docte H. C. Agrippa. Portando
la retorica e la dialettica sul piano dell’arti segrete, mescolando la
combinatoria alla cabala, all’astro- logia, alla medicina magica, facendo
corrispondere alle cinque partizioni della retorica nuove partizioni attinte
alla tradi- zione ermetica,°® Belot porta così all’esasperazione, intorno alla
metà del Seicento, una tematica che aveva avuto le sue più fortunate
espressioni nell’opera di Agrippa, di BRUNO, di CAMILLO (si veda). Cfr. Les oeuvres, cit., p.
1 della seconda parte. °l Les oeuvres, cit., prefazione. Les oeuvres, cit., p.
3 della seconda parte: « Pour les parties, elles regoivent toutes les cinq pour
bonnes et utiles, mais il y en a cinq autres particulieres aussi: car pour la
memoire, elle a l’Art notoire...; pour l’action ou pronunciation, l’art Paulin
et pour les autres parties, a pour l’elocution l’art d’Almadel; pour la disposition
la seconde par- tie de la Theurgie et pour l’invention l'art des revelations,
que Tri- theme dit venir d’ Ophiel, esprit Mercurial] qualche anno prima Bacone
e Cartesio avevano assunto un atteggiamento fortemente polemico contro questo
tipo di let- teratura. Su un punto
essi avevano concordemente insistito: su questo piano la combinatoria lulliana
e le arti della me- moria si risolvevano nell’inutile costruzione di giochi
stupe- facenti atti a ingannare il volgo anziché a far progredire le scienze.
L’eredità delle discussioni quattrocentesche sull’ ars me- morativa non era
stata tuttavia raccolta solo dagli esponenti della magia e dell’ermetismo. Su
un diverso terreno, quello di una rigorosa trat- tazione dei temi della
dialettica e della retorica concepite come scienze mondane, in ambienti
diversi, attenti alle dispute lo- giche, interessati agli sviluppi della
matematica e della geo- metria, era andato maturando il tentativo ramista di
inserire i problemi attinenti alla memoria e le regole della mnemotecnica entro
una più vasta ri- cerca concernente la riforma dei metodi di invenzione e di
trasmissione del sapere. Il problema degli « aiuti della memo- ria » giungerà
per questa via ad acquistare una singolare risonanza anche nei testi dedicati,
ed una riforma del metodo: Bacone vedrà nella ministratio ad memoriam un
elemento costitutivo del nuovo metodo delle scienze; Cartesio parlerà, a
proposito della enu- merazione, di un movimento continuo del pensiero che ha lo
scopo di recar soccorso alla naturale infermità della memoria. Più che in
Francia, dove pure vedono la luce non pochi testi di ars memoraziva, la
tradizione ciceroniana CICERONE che si ispira in tutta Europa all'opera di TOMAI,
trova in ITALIA, come abbiamo visto, i suoi più fortunati e clamorosi sviluppi.
Per quanto riguarda la Francia è dunque il caso di insistere — trascurando
testi come la Memoria artificialis di CAMPANO (si veda) e l’Ars memorativa del
Leporeus (Parigi) che si [Non ho visto l'opera di CAMPANO da Novara (si veda) delle
cui caratteristiche discorre il Morhofius; dell’Ars memorativa Guglielmi Leporei Avallonensis ho
visto l'edizione parigina in Chalcographia Iodoci Badii Ascensii (Triv. Mor.
limitano a riecheggiare stancamente l’opera del Ravennate TOMAI — sulla
posizione assunta, di fronte al problema dell’ars me- moriae dal maggior
esponente degli studi logici e retorici di questo periodo della cultura
francese. Invece di teorizzare l’arte mnemonica come una tecnica autonoma,
costruita in vista di fini pratici ben determinati e indipendente dagli svi-
luppi della retorica e della logica, Pietro Ramo si preoccupa proprio dei
rapporti che intercorrono fra la « memoria » da un lato e la dialettica e la
retorica dall’altro. La sua opera di riformatore intende dar luogo a questo
risultato: staccare de- cisamente la memoria dalla retorica, alla quale una
secolare tradizione la aveva assegnata, e servirsene come di uno degli elementi
costitutivi della dialettica o della nuova logica. Ramo, com'è noto, amò
presentare la sua riforma come un ritorno agli insegnamenti della filosofia
classica, come una semplificazione e una chiarificazione di quell’insegnamento
aristotelico che era stato a suo avviso corrotto dalla confu- sione
terminologica degli scolastici e da quella tradizione retorica che fa capo agli
scritti di Quintiliano. Il filosofo che, in una brillante esercitazione, aveva
inteso mostrare la falsità di tutte le proposizioni aristoteliche, non esiterà
poi a dichiarare in modo significativo: « Libros veterum conservemus et ad eos,
cum fuerit opus, recurramus: philosophiamque ex eorum libris collectam puram
veramque doceamus ».° Né esiterà a rintracciare, negli stessi testi
aristotelici, i fondamenti delle sue proprie partizioni della dialettica (« Qui
partitur logicam in inventionem et dispositionem, Aristoteli authore partitur. Per
qualche indicazione sulla bibliografia intorno a Ramo cfr. la mia rassegna
Ramismo logica e retorica Rivista critica di storia della filosofia HI, pAgli
studi indicati in quella sede vanno aggiunti i seguenti: M. Dasson- viLLe, La
genèse et les principes de la Dialectique de P. Ramus, in « Revue de
l'Université d’Ottawa; La dialectique de Ramus, in « Revue de l’ Univ. de Laval
Dion, L'influence de Ramus aux universités néerlandaises du XVII siècle, in
Actes du Xle Congr. Int.
de Philosophie, Louvain, 1Tuve, /Imagery and logic, Ramus and methaphysical
poetics, Journal of the history of ideas, Ramus, Scholae in liberales artes,
Basilea,Scholae in liberales artes. Ancora
ad Aristotele, del resto, egli faceva risalire quella con- giunzione di
filosofa ed eloquenza che verrà teorizzata in una celebre orazione: Aristoteles
intelligendi prudentiam cum dicendi copia coniunxit: et cum antea matutinis
ambulationibus philosophiam solam doceret, pomeridianis etiam rhetoricam docere
coepit ».* Per ricostruire nel suo vero significato il senso dell’insegnamento
aristotelico, per portare alla luce le verità che nei testi aristotelici sono
presenti, anche se solo accennate, è necessario, secondo Ramo, rifiutare ogni
indebita commistione di grammatica dialettica e retorica: alla prima andranno
riferiti solo i problemi attinenti alle etimo- logie, alla seconda soltanto
l’arte dell’invenzione e quella del giudizio, mentre la terza dovrà limitarsi
alla trattazione delle tecniche dello « stile » e del « porgere », alla
capacità di ador- nare e trasmettere il materiale prodotto dalla ricerca
dialettica. Nella storia della logica e in quella della retorica si è
verificato, per Ramo, un errore fondamentale che ha finito per snaturare
profondamente il senso della prima e della seconda. Si è ammesso con Aristotele
e si è poi sostenuto con Cicerone e con la Scolastica che fosse possibile
costruire due diverse logiche valide l'una nel campo della scienza, l’altra nel
regno dell'opinione e del discorso popolare, adatta la prima ai sa- pienti, la
seconda al volgo. Proprio questa duplicità viene energicamente rifiutata da
Ramo: la teoria della inventio e della dispositio è una sola, valida in ogni
campo e in ogni tipo di discorso.® Aver creduto all’esistenza di due diverse
logiche ha condotto a un’ibrida mescolanza di concetti e di termini affine a
quella della quale si è reso responsabile Quintiliano quando, oltre a
confondere dialettica e retorica, ha aggravato ulteriormente la situazione
mescolando ai temi della retorica quelli propri dell’etica: Duae sunt universae
et generales homini dotes a natura tributae: ratio et oratio; illius doctrina
dialectica est, huius grammatica et rhetorica. Dialectica igitur gene- [Cfr. la
Oratio de studiis philosophiae et eloquentiae coniungendis Lutetiae, riedita
nelle Brutinae quaestiones in Oratorem CICERONE, Parisiis, apud Jacobum
Bogardum, Padova, Antoniana. Cfr. Dialectique] rales humanac rationis vires in
cogitandis et disponendis rebus persequatur; grammatica orationis puritatem in
ctymologia ct sintaxi ad recte loquendum vel scribendum interpretetur.
Rhetorica orationis ornatum tum in tropis et figuris, tum in actionis dignitate
demonstret. Ab his deinde gencralibus et universis, velut instrumentis, aliae
artes sunt ceffectae... Aristoteles summae confusionis au- thor fuit:
inventionem rhetoricae partem primam facit, falso, ut antca docui, quia
dialecticae propria est; sed tamen rhetoricae partem facit et eius multiplices
artes primo artis universae loco conturbat in probationibus. Quintilianus
concludit materiam Rhetorices esse res omnes quae ad dicendum subiectac sunt. Dividitur
rhetorica in quinque partes: inventionem, dispositionem, clecutionem, memoriam
ct actionem. In qua partitione nihil iam miror Quintiliamum dialectica tam
nudum esse, qui dialecticam ipsam cum rhetorica hic confusum non potucrit
agnoscere, cum dialecticae sunt inventio, dispositio, memoria; rhetorica tantum
clocutio cet actio.? Sulla separazione della dialettica dalla retorica Ramo
ebbe ad insistere instancabilmente; di fronte all’obiezione che il retore non
potrà non servirsi degli argomenti elaborati in sede di dialettica rispondeva
che la congiunzione dialettica-retorica, presente nei vari discorsi umani, non
escludeva affatto, anzi esigeva, una distinzione ed una separazione precisa fra
la teoria della dialettica e quella della retorica: Non potest... sine numeris
Geometria, Musica, Astrologia consistere: an propterca hae artes numeros
explicare et sune professioni subiicere debebunt. Usus artium, ut iam toties
dici, copulatus est persacpe. Praecepta tamen confundenda non sunt, sed
propriis et separatis studiis declaranda. Le artes logicae comprendono dunque
per Ramo la dialettica o logica e la retorica: la prima si articola nella
inventio e dispositio, la seconda nella elocutio e nella pronuntiatio.
Identificando, sulle traccie di Quintiliano e di CICERONE, la dispositio con il
iudicium (il secondo libro della Dialectica, ® Cfr. Rhetoricae distinctiones in
Quintilianum, Parisiis, apud An- dream Wechelum; CICERONE Ciceronianus ct
brutinae quaestiones, Basilea, Petrus Perna; RAetoricae distinctiones, Scholae
in tres primas liberales artes, Francofurti, apud Andrcam Wechelum (Fir. Naz.).
noto come la Secunda pars Rami, tratta appunto De iudicio et argumentis
disponendis), Ramo fa rientrare nella tratta- zione della dispositio quelle
parti della dialettica che si rife- riscono all’assioma o proposizione, al
sillogismo e al metodo: Duae partes sunt artis logica: topica in inventione ar-
gumentorum, id est mediorum principiorum elemento- rum, (sic cnim nominatur in
Organo) et analitica in corum dispositione.... Dispositio est apta rerum
inventarum collo- catio.... Atque haec pars est quae iudicium proprie nomi-
natur, quia sillogismus de omnis iudicandis communis regula est.... Dialecticae
artis partes duae sunt: inventio et dispositio. Posita enim quacstione in qua
disserendum sit, probationes et argumenta quaerantur; deinde, iis via et ordine
dispositis, quaestio ipsa explicatur.® In uno dei brani precedentemente citati
il termine memoria è comparso, accanto a quelli di ‘nventio e dispositio come
uno degli elementi costitutivi della dialettica (« cum dialecticae sunt
inventio, dispositio, memoria; rhetoricae tantum elocutio et actio »). Proprio
alla memoria spetta, secondo Ramo, un com- pito preciso: essa costituisce un
indispensabile strumento per introdurre ordine nella conoscenza e nel discorso.
Come tale essa non può essere omessa o trascurata: Dicis oratori tria esse videnda:
quid dicat, quo quidque loco, et quomodo: primo membro inventionem, secundo
collocationem, tertio elocutionem et actionem comprehen- dis. Memoria igitur ubi est?
Communis est -ais - multa- rum artium, propterea omittitur. Enimvero, inquam,
inventionem et dispositionem communescum multis esse (ais), cur igitur haec
recensentur, illa contemnitur? 1°
Tenendo presente la funzione ordinatrice attribuita da Ramo alla memoria,
appare molto significativa la identificazione so- stenuta da Ramo, della
memoria (che nella tradizione era una delle cinque “grandi arti” costitutive
della retorica) con la dottrina del giudizio appartenente alla dialettica o
logica. Dispositio, iudicium, memoria diventano in tal modo, in molti °
Animadversionum aristotelicarum libri XX, Parisiis, 1553-1560, vol. II, prefaz.
ai libri IX-XX, p. 1; Institutionum dialecticarum libri tres, Parisiis (rBraid.;
Ambros.). Brutinae quaestiones, testi ramisti, termini intercambiabili, giacché
al giudizio spetta appunto il compito di collocare o disporre le res inventas
entro un ordine preciso e razionale: Dialectico inventionem, dispositionem,
memoriam merito assignamus; clocutionem et actionem oratori relin- quamus...
Iudicium definiamus doctrinam res inventas collocandi, et ca collocatione de re
proposita iudicandi: quae certe doctrina itidem memoriae (si tamen cius esse
disciplina ulla potest), verissima certissimaque doctrina est, ut una cademque
sit institutio duarum maximarum animi virtutum: iudicii et memoriac... Rattonis duae par- tes
sunt: ‘nventio consiliorum et argumentorum, eorum- que iudicium in
dispositione... dispositionis umbra quae- dam est memoria. Tres itaque partes illae,
inventio in- quam dispositio memoria, dialecticae artis sunto. Nonostante i dubbi avanzati da Ramo sulla
possibilità di una disciplina della memoria come arte autonoma, anzi, pro- prio
in forza di questi dubbi, la sua concezione del metodo come disposizione
sistematica e ordinata delle nozioni ten- dente alla costituzione di un ordine
unitario delle conoscenze appare in grado di assorbire molte di quelle « regole
» che avevano trovato un’esplicita teorizzazione all’interno della mnemotecnica
tradizionale. L’ assorbimento della memoria nella logica operato da Ramo, la
identificazione da lui sostenuta del problema del metodo con quello della
memoria se- gnava l’atto di nascita di quella concezione del metodo come
esercitante una funzione classificatoria nei confronti della realtà che avrà
grandissima fortuna nel pensiero europeo dei secoli successivi. Questo tipo di
considerazione, mentre anti- cipava l'atteggiamento che nella discussione di
questi temi Bacone assumerà mezzo secolo più tardi, avvicinava non a caso la
posizione di Ramo a quella di Melantone che negli Erotemata dialecticae aveva
visto nel metodo un habitus videlicet scientia, seu ars, viam faciens certa ra-
tione, id est, quae quasi per loca invia et obsita sensi- bus, per rerum
confusionem, viam invenit et aperit, ct res, ad propositum pertinentes, eruit
ac ordine promit. Scholae in tres primas liberales artes; Dialecticac
institutiones, cMELANTONE, Erotemata dialecticace, in Corpus reformatorum] Ad
un sistematico ordinamento delle rotiones e degli ar- gumenta, ad una ordinata
collocatio dei luoghi, alla costru- zione di enciclopedie intese come
classificazioni totali degli elementi naturali e delle operazioni umane, alla
creazione di una sopica universale avevano del resto mirato non pochi tra i più
significativi testi della mnemotecnica ciceroniana e della tradizione lullista.
Il fatto che un giovane studioso boemo, Nostiz, potesse pensare a una nuova
logica fon- data sugli insegnamenti di Lullo, di Ramo e di BRUNO può suonare
conferma di questa fondamentale unità di impostazioni e di intenti. Per
concludere: ciò che soprattutto è da sottolineare nella posizione di Ramo è il
tentativo di inserire i problemi atti- nenti alla memoria in un discorso assai
più vasto che non riguarda solo la elaborazione di una particolare tecnica
utile agli oratori, agli avvocati, ai poeti, ma concerneva più delicate e
complesse questioni attinenti al metodo e alla logica, la semiotica, e la
semantica – filosofia del linguaggio. Più che ai testi degli storici moderni
della filosofia, che hanno a lungo equivocato sul significato della riforma
ramista, gio- verà richiamarsi alla precisa affermazione di Talon (si veda) (Audomarus
Talaeus), grande teorico della retorica cinque- centesca, discepolo devoto e
collaboratore di Ramo: « quest’ul- timo — egli scriveva — ha ricondotto alla
logica, alla quale propriamente appartengono, la teoria dell’inventio, della
dispositto, della memoria ».'* E gioverà anche rileggere, a chiarire possibili
equivoci, il preciso giudizio di Gassendi: Cum observasset enim quinque vulgo
fieri partes Rhetoricae, inventionem, dispositionem, elocutionem, memoriam et
pronunciationem, censuit ex ipsis duas solum pertinere ad rhetoricam:
clocutionem puta et pronunciationem seu actionem; duas artes esse proprias
Logicac: inventionem puta et dispositionem, quibus, quia memoria iuvatur, posse
illam eodem cum ipsis spectare. Quare et Logicam seu Dialecticam... in duas
partes distribuit: inventionem et iudicium (sic enim potius dicere quam
dispositionem maluit...) atque idcirco artem totam duobus libris com- plexus
est.!4 sa i È i . i Petri Rami professoris regi et Audomari Talaci
collectaneae pre- fationes, epistolae,
orationes, Marburg, Sa P. Gassenpi DiniensIis, Opera omnia in sex tomos divisa,
FIRENZE. De logicae origine et varietate, Logica Rami] Della portata
rivoluzionaria e delle gravi conseguenze che ebbe nella storia della logica una
riforma dall'apparenza tanto inoffensiva ci si è cominciato a render conto solo
in tempi molto recenti. In questa sede e in vista dei limitati fini che qui ci
proponiamo, basterà notare quanto segue: l’atteggia- mento assunto da Ramo
segna una svolta radicale; nella sua stessa direzione, quella di un
assorbimento della dottrina degli aiuti della memoria entro i quadri più
generali della logica e della dottrina del metodo, si muoveranno, sia pure con
intenti estremamente diversi e talora addirittura divergenti, Bacone, Cartesio
e, più tardi, Leibniz. 2. Bacone E CARTESIO: LA POLEMICA CONTRO I GIOCOLIERI
DELLA MEMORIA. Bacone pubblicò l’Advancement of Learning nel 1605, Novum
Organum (la cui stesura era stata iniziata intorno al 1608) c il De augmentis
scientiarum rispettivamente nel 1620 e nel 1623. Le Cogitationes privatac di
Cartesio risalgono al 1619, le Regulae ad directione ingenit furono composte
fra il 1619 e il 1628, il Discorso sul metodo fu pubblicato nel 1637. Nello
stesso trentennio il filosofo inglese e quello francese giungono, relativamente
all’ars combinatoria e all’ars me- moriae, a conclusioni che presentano una
concordanza sin- golare. Sia nelle pagine di Bacone, sia in quelle di Cartesio
!* è rintracciabile la documentazione di una conoscenza diretta dei testi
cinquecenteschi di arte memorativa. Bacone accenna più volte alle « raccolte di
luoghi », alle « sintassi » che gli è avve- nuto di leggere, alla « memoria
artificiale », fa esplicito rife- rimento alla « dottrina dei luoghi » c alla «
collocazione delle immagini », alla «tipocosmia » di derivazione lulliana. Car-
tesio, che è assai più parco di espliciti riferimenti e non ama le citazioni,
accenna tuttavia alla sua lettura dell’Ars memo- 15 Le citazioni dai testi di
Bacone e di Cartesio rimandano rispettiva- mente a: Ocuvres de Descartes, ed.
C. Adam et P. Tannery, Il voll., Parigi, 1897 - 1909; Tie Works of Francis
Bacon, ed. by Spedding, Ellis, Heath,
Londra, 1887-92 qui di seguito indicate con le abbreviazioni Oeuvres ec Works]
rativa dello Schenkelius, ritorna più volte sull’ars memoriae, sulla funzione
che esercitano le « immagini sensibili » in vista della rappresentazione dei
concetti intellettuali, parla, secondo una tipica terminologia, di catena
scientiarum, si interessa vivamente alle mirabili scoperte di un ignoto seguace
di Lullo, si rivolge all'amico Beeckmann per aver notizie e chiarimenti sui
testi lulliani di Agrippa, sul significato e sulle possibilità reali dell'Arte.
Questi temi e questi interessi esercitarono, com’è noto, una notevole
suggestione sul pensiero baconiano c su quello del giovane Cartesio. Ma c’è di
più: alcuni ele- menti attinti alla tradizione dell’ars memiorativa e dell’ars
combinatoria ebbero ad agire in profondità all’interno della stessa
formulazione, baconiana e cartesiana, di un nuovo metodo e di una nuova logica.
Di questo più avanti. Ciò che qui interessa di porre in rilievo è il
significato del rifiuto, che troviamo presente in Bacone e in Cartesio, verso
quelle tecniche memorative che si erano ridotte a giochi intellettuali e si
erano andate caricando di riferimenti a quella mentalità magico-occultistica
contro la quale entrambi i filosofi presero energicamente posizione. La
valutazione dell’arte lulliana che troviamo presente da un lato nella lettera a
Beeckmann e nel Discorso sul metodo e dall’altro nell’Advancement of learning e
nel De augmentis è, da questo punto di vista, quantomai significativa. Di
fronte al vecchio seguace dell’ars Srevis che si vanta di poter parlare per
un'ora intera di un argomento qualunque e di poter poi proseguire per altre
venti ore parlando sullo stesso tema in modo sempre diverso, Cartesio, che pure
è fortemente inte- ressato al problema, ha l’impressione di una loquacità fon-
data su un’erudizione tutta libresca e di un’attività intesa a suscitare
l'ammirazione del volgo anziché al raggiungimento della verità. Questo «
sospetto » cartesiano si trasforma di- ciott'anni più tardi, nelle pagine del
Discorso sul metodo, in una certezza: l’arte di Lullo serve a parlare, senza
giudizio, di ciò che in realtà si ignora anziché ad apprendere verità non
conosciute o a trasmettere verità note. A identiche conclusioni cra giunto
Bacone nel testo, poi tradotto in latino; il metodo lulliano, che gode di
grande favore presso alcuni ciarlatani, non è degno della qualifica di metodo,
mira all’ostentazione anziché alla scienza, fa sembrare dotti gli uomini
ignoranti; fondato su una caotica massa di vocaboli esso sostituisce la
conoscenza dei termini a quella, effettiva, delle arti, assomiglia alla bottega
di un rigattiere ove si trovano molti oggetti, nessuno dei quali ha un grande
valore: Bacone, De augmentis, VI, 2, in Works. Neque tamen illud praetermitten-
dum, quod nonnulli viri, magis tumidi quam docti insudarunt circa Methodum
quandam, legiti- mae methodi nomine haud dignam; cum potius sit methodus
imposturae, quae tamen quibus- dam ardelionibus acceptissima pro- culdubio
fuit. Haec methodus ita scientiae alicuius guttulas aspergit, ut quis sciolus
specie nonnulla eru- ditionis ad ostentationem possit a- buti. Talis fuit Ars
Lulli; talis Typocosmia a nonnullis cxarata; quae nihil aliud fuerunt quam vo-
cabulorum artis cuiusque massa ct acervus; ad hoc, ut qui voces artis habeant
in promptu, ctiam artes Cartesio, a Bceckmann; Ocuvres, A. et T.; Discours (ed.
Gilson). Repperi nudius tertius cruditum vi- rum in Diversorio Dordracensi, cum
quo de Lulli arte parva sum loquutus... Senex erat, aliquantu- lum loquax, et
cuius eruditio, ut- pote a libris hausta, in extremis labris potius quam in
cerebro versabatur... Quod illum certe di- xisse suspicor,
ut admirationem captaret ignorantis, potius quam ut vere loqueretur. Je pris
garde que, pour la logi- que, ses syllogismes et la plupart de scs autres
instructions servent plutòt à cexpliquer à autrui les choses qu'on sait, cu
méme, com- me l'art de Lulle, à parler, sans Jugement, de celles qu'on igno-
ipsas perdidicisse.existimentur.Huius generis collectanea officinam referunt
veteramentarium, ubi pracsegmina multa repcriuntur, sed nihil quod alicuius sit
pretti. re, qu'à les apprendre. L'accusa
di « ostentazione » rivolta alla combinatoria lul- liana assumeva, in pagine
come queste, un significato storico di grande rilievo: ciò che qui si mirava a
colpire era proprio quella riduzione dell’arte sul piano della magia sulla
quale avevano a lungo insistito non pochi dei commentatori cinque- centeschi.
Quest’accusa non era in realtà cosa nuova, anche se nuovo è il significato che
essa viene ad assumere nelle pagine di Bacone e di Cartesio connettendosi alla
polemica baconiana e cartesiana contro la tradizione magico-occultistica. La
valu- tazione presente nel testo baconiano, che potrebbe forse essere posta in
relazione con quella poi presente nel Discorso sul metodo, sembra in realtà
ricalcataproprio sul giudizio di uno dei grandi commentatori di Lullo che non
aveva nascosto la sua simpatia per le arti magiche, Cornelio Agrippa: Hoc autem
admonere vos oportet: hanc artem ad pom- pam ingenii ct doctrinae ostentationem
potius quam ad comparandam eruditionem valere, ac longe plus habere audaciae
quam efficaciae. Fin qui ci siamo riferiti alla combinatoria, ma anche nei
confrontidell’ars memorativa di derivazione “ciceroniana” le prese di posizione
di Bacone e di Cartesio risultano oltre- modo precise e utilmente
confrontabili. Cartesio non esita a definire « sciocchezze » le conclusioni cui
era pervenuto lo Schenkel in un testo sulla memoria nel quale, ac- canto ai
consueti canoni dell’ ars reminiscendi ciceroniana, comparivano i ben noti
riferimenti alle fonti aristoteliche e tomistiche, alla medicina galenica, i
richiami a Simonide, Temistocle e Ciro, ad Agostino e a PICO (si veda), a TOMAI
(si veda) e al lulliano Bernardo di Lavinheta. L’autore di quel libro gli
appare, senz'altro, un «ciarlatano »: a quella falsa arte inutile alle scienze,
egli contrappone la cono- scenza delle cause.'* Non dissimile da questa, anche
se molto più articolata e ricca di riferimenti culturali, è la posizione
assunta da Bacone: egli non nega che coltivando la memoria artificiale sia
possibile pervenire a risultati mirabili, né afferma (come si fa volgarmente)
che le tecniche memorative possano influire negativamente sulla memoria
naturale. Nel modo in cui l’arte viene impiegata, essa gli appare tuttavia
assoluta- mente sterile, serve a far brillare l’arte mentre è in realtà priva
di ogni effettiva utilità. Essere in grado di ripetere subito, nello stesso
ordine, un gran numero di parole recitate una sola volta o comporre un gran
numero di versi estemporanei su un argomento a scelta è possibile sulla base di
un'educazione di alcune facoltà naturali che, mediante l’esercizio, possono
essere portate ad un livello miracoloso. Ma di tutto ciò — pro- dì H. C. AcriPPa,
Opera, Argentorati, Zetzner, Cfr. ScHenkEL, De memoria liber, Leodii, poi
ristampato nel Gazophylacium arti: memoriae, Argentorati (An- elica, Sulle sue
opere e sui suoi rapporti con Leibniz cfr. qui le, Ocuvres, segue Bacone — non
facciamo più conto che della agilità dei funamboli e della destrezza dei
giocolieri. Fra i metodi e le sintassi di luoghi comuni che mi è capitato di
vedere — egli scrive —non vi è nulla che abbia un qualche valore; gli stessi
titoli di quei trattati risentono più delle scuole che del mondo reale, le
pedantesche divisioni dei quali i loro autori fanno uso non penetrano in alcun
modo nelle midolla delle cose. Bacone. Il passo baconiano al quale ci siamo ora
riferiti ha, senza alcun dubbio, il tono di una esplicita condanna. Tuttavia
una cosa va subito posta in rilievo: in Bacone è presente la con- vinzione che
sia possibile fare, delle arti della memoria, un uso diverso da quello
tradizionale. Anziché servirsi di quelle arti per ostentare il prodigioso
livello al quale può esser fatta pervenire una facoltà dell'animo umano,
anziché piegarle a fini miracolosi e ciarlataneschi sarà possibile servirsene
in vista di seri e concreti usi umani; sarà anzi possibile, secondo Ba- cone,
migliorare e perfezionare, in vista di queste nuove fina- [Bacon, Works: «
Neque tamen ambigimus (si cui placet hac arte ad ostentationem abuti) quin
possint praestari per cam nonnulla mirabilia et portentosa; sed nihilominus res
quasi sterilis cst (eo quo adhibetur modo) ad usus humanos. At illud interim ei
non im- putamus quod nazuralem memoriam destruat et super-oneret (ut vulgo
objicitur); sed quod non dextre instituta sit ad auxilia memoriae commodanda in
negotiis et rebus seriis. Nos vero hoc habemus (for- tasse cx genere vitae
nostro politicac) ut quae artem iactant, usum non pracbent parvi faciamus. Nam
ingentem numerum nominum aut verborum semel recitatorum eodem ordine statim
repetere, aut versus complures de quovis argumento extempore conficere; aut
quidquid occurrit satirica aliqua similitudine perstringere; aut seria quacque
in iocum vertere; aut contradictione et cavillatione quidvis eludere; et
similia; (quorum in facultatibus animi haud exigua est copia, quaeque ingenio
et cxercitatione ad miracula usque extolli possunt); haec certe omnia et his
similia nos non maioris facimus quam funambulorum et mimorum agilitates et
ludicra... Verum est tamen inter methodos ct syntaxes locorum communium quas
nobis adhuc videre contigit, nul- lam reperiri quae alicuius sit pretit;
quandoquidem in titulis suis fa- ciem prorsus cxhibeant magis scholac quam
mundi; vulgares et pae- dagogicas adhibentes divisiones, non autem eas quae ad
rerum me- dullas et interiora quovis modo penetrent.] lità, le già esistenti
tecniche della memoria. Intorno alla me- moria — egli scrive nello stesso
capitolo del De augmentis (c questo passo è assente nel corrispondente capitolo
dell’Advancement of learing) si è finora
indagato pigra- mente e languidamente. Non mancano certo scritti sull’argo-
mento intesi all'ampliamento e al rafforzamento della memo- ria, e tuttavia sia
la teorica che la pratica dell’ars memorativa potrebbero essere ulteriormente
perfezionate mediante l’elabo- razione di nuovi precetti o regole.?° Un’arte
memorativa così perfezionata nei metodi e rinnovata nelle finalità appare a
Bacone non solo legittima e possibile, ma necessaria su un duplice terreno:
quello delle «scienze antiche e popolari » e quello « completamente nuovo » del
metodo scientifico di indagine sulla natura. Questa distinzione fra le due diverse
funzioni o i due diversi campi di applicazione dell’arte me- morativa è
esplicitamente teorizzata in un passo del De aug- mentis nel quale ritroviamo
presente anche la distinzione, cara a tutti i teorici della mnemotecnica, fra
memoria natu- rale e memoria artificiale. Sostenere che nella interpretazione
della natura — scrive Bacone — possano bastare le forze nude e native della
memoria senza che la memoria stessa venga soc- corsa mediante tavole ordinate,
sarebbe come sostenere che un uomo, senza l’aiuto di alcuno scritto e
affidandosi alla sola memoria, possa risolvere i calcoli di un libro di
efemeridi. Ma, lasciando da parte la nterpretatio naturae, che è dottrina com-
pletamente nuova, un solido amminicolo della memoria può essere di grandissima
utilità anche nelle scienze antiche e po- polari.*! 2° Bacon, Works, Circa
Memoriam autem ipsam, satis segniter et languide videtur adhuc inquisitum.
Extat certe de ea ars quaepiam; verum nobis constat tum meliora praecepta de
memoria confirmanda et amplianda haberi posse quam illa ars complectitur, tum
practicam illius ipsius artis meliorem institui posse quam quae recepta est».
Bacon, Works, Atque omnino monendum, quod memo- ria sine hoc adminiculo
(scriptio) rebus prolixioribus et accuratioribus Impar sit; neque ullo modo
nisi de scripto recipi debeat. Quod etiam in philosophia inductiva et
interpretatione naturae praecipue obtinet. Tam enim possit quis calculationes
ephemeridis memoria nuda absque Scripto absolvere, quam interpretationi naturae
per meditationes et vires memoriae nativas et nudas sufficere; nisi eidem
memoriae per [Della funzione esercitata dagli aiuti della memoria (mi-
nistratio ad memoriam) nella logica baconiana e dell'influenza dei trattati
rinascimentali di mnemotecnica sulla costruzio- ne baconiana del nuovo metodo
delle scienze (la :interpre- ratio naturae) parleremo più oltre. Ci limiteremo
qui ad indi- viduare l’eredità delle discussioni rinascimentali sulla memoria
artificiale in quella parte della ricerca baconiana che fa riferi- mento alla
logica tradizionale. Quest'ultima, secondo Bacone, mantiene la sua piena
validità nel campo dei discorsi, delle dispute, delle controversie, delle
attività professionali, della vita civile; l’altra, la nuova logica induttiva,
è invece indispen- sabile nell’ambito della progressiva conquista, da parte
del- l’uomo, della realtà naturale. La prima di queste due logiche, secondo
Bacone, esiste di fatto, fu creata dai Greci e in seguito, per molti secoli,
ripresa e perfezionata; la seconda si presenta invece come un progetto o
un'impresa non mai tentata. La trasformazione di questo progetto in una
esecuzione effettiva presuppone che venga radicalmente modificato
l’atteggiamento dell’uomo nei confronti della natura e che mutino, di conse-
guenza, le stesse definizioni di filosofia e di scienza. Ma nell’ambito degli
scopi che si propone la filosofia tradi- zionale la vecchia logica nor si
presenta come un fallimento. Su questo punto Bacone è assai chiaro: ove si
vogliano sol- tanto coltivare e trasmettere le scienze già esistenti; ove si
desideri insegnare agli uomini a restare aderenti alle verità già dichiarate e
a far uso di esse, ad apprendere l’arte di in- ventare argomenti e di trionfare
nelle dispute, quella logica si mostra perfettamente funzionale, anche se
bisognosa di integrazioni e perfezionamenti. Là ove si occupa dei caratteri
della logica nuova, Bacone dichiara ripetutamente di non inte- ressarsi
affatto, in quella sede, delle arti popolari o opinabili, né di pretendere in
alcun modo che la nuova logica possa ser- vire a realizzare quei fini per i
quali fu costruita la logica tradizionale. Nelle scienze fondate sull’opinione
e sui giudizi tabulas ordinatas ministretur. Verum, missa interpretatione
naturae, quae doctrina nova est, etiam ad veteres et populares scientias haud
quicquam fere utilius esse possit quam memoriae adminiculum soli- dum ct bonum;
hoc est, Digest probum et eruditum /ocorum com- muntum. Il passo ora citato non
figura nel corrispondente luogo dell'’Advancement of learning, in Works, HI,
probabili, nei casi cioè in cui si tratta di costringere non le cose, ma
l’assenso, l’uso delle anticipazioni e della dialettica, afferma Bacone nel
Novum Organum, è buono (bonus) men-tre esso appare condannabile dal punto di
vista della logica nuova. La dialettica ora in uso, si afferma ancora nella
pre- fazione alla Instauratio magna, non è assolutamente in grado di
«raggiungere la sottigliezza della natura », ma essa può essere usata
efficacemente nel campo delle cose civili e delle arti che concernono il
discorso e l’opinione ». Solo quando si voglia trionfare non degli avversari,
ma delle oscurità della natura, giungere non a cognizioni probabili, ma a
conoscenze certe e dimostrate, non inventare argomenti ma opere, sarà
necessario far uso della interpretatio naturae che è infinita- mente diversa
dalla anzicipatio mentis o logica ordinaria. Nell'ambito di questa logica
ordinaria, del tipo di discorso che mira alla persuasione o al raggiungimento
dell’altrui as- senso, che non mira all’invenzione delle arti e delle opere, ma
degli argomenti, le tecniche memorative esercitano una pre- cisa funzione. Nel
capitolo quinto del quinto libro del De augmentis dedicato all’ars retinendi
ricomparivano in tal modo, nella trattazione baconiana, i motivi, ormai ben
noti, dell’ars memorativa “ciceroniana”: la dottrina dei loc: e delle 1m2a-
gines, la tesi di una necessaria convenienza tra le immagini e i luoghi, il
riconoscimento della necessità di rappresentare sensibilmente i concetti
mediante immagini ed emblemi. Il tema di una topica o sistematica raccolta di
luoghi veniva ri- preso in queste pagine: si è soliti affermare — scrive Bacone
— che la raccolta dei luoghi può essere dannosa al sapere; la fatica necessaria
ad effettuare tali raccolte viene al contrario sempre ricompensata perché nel
mondo del sapere non è pos- sibile giungere a risultati ove manchi la solida
base di una vasta conoscenza. I luoghi «forniscono dunque materiale
all'invenzione e rendono più acuto il giudizio consentendogli di concentrarsi
in un sol punto ». I due principali strumenti dell’arte della memoria sono
laprenozione e l'emblema. La prima ha il compito di porre dei limiti ad una
ricerca che # Per le differenze fra la logica ordinaria e la logica nuova cfr.:
Par- fis instaurationis secundae delineatio et argumentum, Works; Distributio
operis, Works; Praefatto gene- ralis, Works; Novun: Organum, risulterebbe
altrimenti infinita, di limitare il campo delle no- zioni e di stabilire
confini entro i quali la memoria possa muo- versi agevolmente. La memoria ha
infatti soprattutto bisogno di limitazioni: l'ordine e la distribuzione dei
ricordi, i luoghi della memoria artificiale «già in anticipo preparati » i
versi sono per Bacone le principali di queste limitazioni. Nel primo caso il ricordo
deve accordarsi con l'ordine stabilito, nel secondo porsi in specifica
relazione con i luoghi usati, nel terzo deve essere una parola che si accordi
con il verso. Nella for- mulazione delle immagini i luoghi introducono quindi
ordine e coerenza, ma le immagini, a loro volta, possono essere più facilmente
costruite facendo ricorso agli emblemi. Questi ul- timi, secondo Bacone, «
rendono sensibili le cose intellettuali e poiché il sensibile colpisce più
fortemente la memoria, si imprime in essa con maggiore facilità ». Del tutto
simile alla funzione esercitata dagli emblemi è quella dei gesti e dei
geroglifici: gli emblemi non hanno dunque una funzione limitata allo specifico
settore della memoria, ma funzionano come veri e propri mezzi di comunicazione.
Nel caso dei gesti ci troviamo in presenza di «emblemi transitori », nel caso
dei geroglifici di « emblemi fissati mediante la scrittura ». Il rapporto
gesti-geroglifici è identico, da questo punto di vista, a quello che intercorre
fra linguaggio parlato e linguaggio scritto. Mentre i geroglifici, in quanto
emblemi, hanno sempre qualcosa in comune con la cosa significata (sinzlitudo
cum re significata), i caratteri reali o ideogrammi non hanno nulla di
emblematico. Il loro significato dipende solo dalla conven- zione e dalla
abitudine che su di essa si è in seguito istituita. Il carattere della
convenzionalità accomuna i caratteri reali alle lettere dell’alfabeto, ma i
primi, a differenza delle seconde, si riferiscono in modo diretto alla cosa
significata, rappresen- tano cose e nozioni, non parole (nesther letters nor
words,... but things or notions). Un libro composto con caratteri reali può
quindi essere letto e compreso da persone appartenenti a differenti gruppi
linguistici e parlanti lingue diverse che accettino per convenzione i
significati dai vari ideogrammi. Proprio alle discussioni sulla memoria
artificiale si erano 29 Cfr. Advancement of Learning, Works; De augmentis;
Works, collegate, nel Rinascimento, le considerazioni sul gesto c sul
geroglifico. L’approfondimento del problema delle immagini conduce PORTA (si
veda), nella sua ARS REMINISCENDI a prendere in esame questo tipo di problemi.
Una volta definita l’immagine come pittura animata che rechiamo nella
imaginativa per rappresentare così un fatto come UNA PAROLA, PORTA si trova di
fronte ad una grave difficoltà. Non nel caso di tutti i termini linguistici ne nel
latino ne nell’italiano — PORTA nota — è possibile la costruzione di immagini
appropriate. LE PAROLE che ci occorrono a ricordare altre hanno le loro
immagini, altre ne stanno senza. Nel caso di un termine che NON simbolizza una cosa
materiale -- come « perché », «ovvero », « tanto » ecc. -- è necessario
ricavare le immagini dalla scrittura: far corrispondere cioè immagini adatte
alle singole lettere o gruppi di lettere che costituiscono un termine. In altri
casi è invece possibile il ricorso al SIGNIFICATO e a questo proposito torna
opportuno il parallelo con i geroglifici. Gl’egizi non avendo lettere con che
potessero scrivere i concetti e a ciò che più facilmente si tenessero a memoria
le utili speculationi della filosofia, ritrovorno lo scrivere con pitture,
servendosi d’imagini di quadrupedi, d’uccelli, di pesci, la qual cosa noi
habbiamo giudicato molto utile per le nostre ricerche, che altro noi non
vogliamo ch’usare imagini IN VECE DELLE LETTERE per poterle dipingere nella
memoria. Altri significati, prosegue PORTA, potranno essere espressi mediante un
gestio alla Sraffa. Potremo parimenti con un gesto esprimere alcuna
significatione di parole. Conclusioni di questo stesso tipo si trovano presenti
nel THESAVRVS ARTIFICIOSÆ MEMORIÆT PHILOSOPHIS di ROSSELLI (si veda) e nel De
memoria artificiosa libellus d’Austriacus che, proprio come Bacone, fa rientrare
un gesto – H. P. Grice, HAND-WAVE HW] e un geroglifico nella più generale
categoria di “segno.” Cfr. L’arte del ricordare di PORTA napoletano, tradotta
da latino in volgare per FALCONE (si veda) da Gioia, Napoli, Mattio Cancer
(Braid.): sulla scrittura degli Egizi, sui gesti; ROSSELLI (si veda), THESAVRVS
ARTIFICIOSÆ MEMORIÆ, Venezia; JoHanNnES AustRIACUS, De memoria artificiosa
libellus, Argentorati, Antonius Bertramus (Braid.; Angelica). Sulla Egittomania
e sulla diffusione c la moda degli emblemi nella cultura dei secoli XVI e XVII
si vedano le considerazioni precedentemente svolte. La trattazione baconiana appare dunque, dopo
quanto si è detto, profondamente influenzata da una veneranda lettera- tura
concernente i segni e le immagini, ma l’eco delle discus- sioni rinascimentali
sui luoghi e sulle immagini risulta ancora più evidente nel Novum Organum ove
Bacone giunge a ripetere la tradizionale partizione dei /oci: «loci in memoria
artificiali... possunt esse loci secundum proprium sensum, ve- luti janua,
angulus, fenestra, et similia, aut possunt esse per- sonae familiares et notae,
aut possunt esse quidvis ad pla- citum (modo in ordine certo ponantur), veluti
animalia, her- bae; etiam verba, literae, characteres, personae historicae et
caetera; licet nonnulla ex his magis apta sint et commoda, alia minus. L’uso
dei /oc: appare a Bacone in grado di esaltare le forze della memoria al di
sopra dei suoi limiti na- turali («huiusmodi autem loci memoriam insigniter
iuvant, camque longe supra vires naturales exaltant »). Accostando l'ordine, ai
luoghi e ai versi, insistendo sul valore delle immagini sensibili (quicquid
deducat intellectuale ad ferien- dum sensum — quae ratio etiam praecipue viget
in artifi- ciali memoria — iuvet memoriam), Bacone mostrava inol- tre di
accogliere pienamente i risultati essenziali cui erano pervenuti i teorici
della memoria artificiale. Più sottili, meno espliciti, e quindi più
difficilmente de- terminabili sono, sempre relativamente a Bacone, i rapporti
con la tradizione della combinatoria. A Lullo Bacone accenna soltanto una
volta, in una frase che suona — ab- biamo visto — esplicita condanna. Tuttavia
chi ponga mente ad alcuni temi caratteristici della filosofia baconiana, non
potrà non esser portato a rilevare la concordanza di certe so- luzioni con
quelle presenti in quelle sintassi universali, di precisa derivazione lulliana,
alle quali Bacone fa più volte esplicito riferimento. All’immagine lulliana
dell’ardor scien- trarum, presente nel del De augmentis, si connette, non a
caso, il progetto di una scienza universale o filosofia prima o sapienza
(Scientia universalis, Philosophia prima sive Sapientia) ben distinta dalla
tradizionale metafisica. Quest’ul- tima si configura per Bacone come una fisica
generalizzata fondata sulla storia naturale » che mira da un lato alla de-
terminazione delle forme e dall'altro a quella delle cause fi- nali. La
filosofia prima concerne invece quella porzione dell’albero delle scienze che è
come una « parte comune della via », che precede la partizione e la
suddivisione dei vari rami del sapere. Gli assiomi che non sono propri delle
scienze particolari, ma comuni a molte scienze non sono in alcun modo
riducibili a semplici similitudini: essi appaiono invece a Bacone segni e
vestigi della natura impressi in materie e soggetti differenti: neque
similitudines merae sunt — quales hominibus fortasse parum perspicacibus videri
possint — sed plane una eademque naturae vestigia et signacula diversis ma-
teriis et subiectis impressa ». Attraverso quella organica rac- colta degli
assiomi, della quale Bacone lamenta l’assenza, sa- rebbe possibile porre in
luce l’unità della natura. Per concludere: la vivace polemica baconiana contro
i fu- namboli della memoria non investe le tecniche memorative in quanto tali,
ma i ripetuti tentativi che erano stati fatti per ridurle sul piano delle arti
occulte e della magia. Pie- gata alle più serie finalità della retorica,
inserita nella logica della persuasione, l’ars memorativa conservava ancora un
suo posto ed una sua precisa funzione nella nuova enciclopedia delle scienze.
Infine il progetto baconiano di una scientia uni- versalis, mater reliquarum
scientiarum si presentava, proprio come era avvenuto nella tradizione lulliana,
come volto a de- terminare un’unità del sapere che trova la sua giustificazione
e il suo fondamento nell’unità stessa del mondo reale. b) Descartes. Intorno
alle discussioni sulle immagini e sui simboli pre- senti in taluni testi cartesiani
si son scritte, anche di recente, cose assai acute e stimolanti anche se non
sempre storica- mente esatte. A proposito di alcuni passi degli Olympica con-
cernenti la rappresentazione, mediante corpi sensibili, delle cose spirituali,
un insigne studioso di Cartesio ha parlato dell’« idée aristotelicienne de la
philosophie qui n'est pas mise en cause» altri, riferendosi a quelle stesse
note cartesiane e cercando di coglierne «la résonance intérieure et profonde»,
Per il già ricordato giudizio su Lullo cfr. De augmentis, Works; sulla
filosofia prima De augmentis, Works, Sulla distinzione tra la filosofia prima
baconiana e la tradizionale metafisica è da vedere il preciso giudizio d’Anperson,
The phi- losophy of F. Bacon, Chicago] ha visto in esse l’espressione di un
uomo «qui est à la re- cherche de l’inspiration pure »; altri infine,
riferendosi alla immagine cartesiana dell’albero delle scienze, ha lungamente
dissertato sulle ragioni della scelta cartesiana dell’immagine di una realtà
vivente e sulla « circulation de la vie » presente nell'albero stesso.?* Ove si
abbandoni il progetto di rintrac- ciare il senso di interiori risonanze e si
tengano invece pre- senti i risultati cui erano giunti quegli enciclopedisti e
quei retori del Cinquecento che si erano occupati delle immagini e
dell’immaginazione, dei simboli e della memoria, dell’unità delle scienze e
delle tecniche combinatorie, sarà forse possibile — pur raggiungendo più
modesti risultati — illuminare al- cuni testi particolarmente oscuri e dare, a molte
delle affer- mazioni ed osservazioni del giovane Cartesio, un senso pre- ciso e
ben determinato. Una cosa va subito notata: la “condanna” cartesiana delle arti
della memoria, alla quale abbiamo fatto riferimento nel precedente paragrafo,
è, così come quella baconiana, assai meno recisa di quanto non possa a prima
vista apparire. In un passo, volto a commentare e a criticare l’Ars memorativa
dello Schenkelius, Cartesio mostra infatti di accertare e la terminologia c la
stessa impo- stazione del problema della memoria presenti nella trattati- stica
di derivazione “ciceroniana”: non solo egli attribuisce all’immaginazione la
stessa funzione mnemonica che ad essa attribuivano i teorici della memoria
artificiale, ma riconosce che quest’ultima non è, in quanto tale, priva di
reale efficacia. All’Ars memorativa dello Schenkelius egli infine contrappone,
ed è questo il punto che presenta un interesse particolare, una vera arte della
memoria della quale offre, in una pagina circa, le regole fondamentali. All’ordine
solo apparente pre- 26 Cfr. H. Gounier, Le refus du symbolisme dans l'humanisme
car- tesien, in Umanesimo c simbolismo, atti del IV convegno internaz. di studi
umanistici, Padova; CORTE, Lu dialectique poétique de Descartes, in « Archives
de Philosophie: Autour du Discours de la méthode; P. Mesnarp, L'arbre de la
sagesse, nel vol. miscellanco, Descartes, Cahiers de Royaumont, Paris, Nello
stesso volume è da vedere, su questi problemi, il saggio di M. TH. Spoerri, La
pwuissance métapho- rique de Descartes. Cfr., per un più ampio esame, GouHier,
Les premières pensées de Descartes, Paris, Vrin, I sente nell’opera dello Schenkel egli
intende sostituire un retto ordine che deriva, a suo avviso, dalla costruzione
di imma- gini poste, l'una con l’altra, in un rapporto di reciproca di-
pendenza: dalle immagini di oggetti connessi tra loro ver- ranno ricavate nuove
immagini o almeno, da tutte quelle im- magini, se ne ricaverà una sola; ogni
immagine andrà inoltre (a differenza di quanto avveniva nell’opera dello Schenkel)
posta in rapporto non solo con quella a lei più vicina, ma anche con le altre.
L'immagine di un'asta gettata a terra farà così da collegamento fra la quinta e
la prima immagine, quest’ultima sarà collegata alla seconda da un dardo
scagliato verso di essa, alla terza da un qualche altro rapporto reale o
arbitrariamente costruito.”’ In questo suo breve progetto di un nuova tecnica
me- morativa, Cartesio appariva evidentemente influenzato dai ri- sultati
dell’ars reminiscendi. Proprio a questi suoi interessi per l'Arte, che non si
esauriscono affatto sul piano della semplice curiosità intellettuale, appaiono
infatti da collegare alcune si- gnificative espressioni presenti in quelle
pagine di diario note come Cogitationes privatae. In esse ritorna una dottrina
cara a tutti i trattatisti della memoria artificiale da TOMAI (si veda) a Schenkel,
quella relativa all'impiego delle immagini corporee o sensibili in vista della
rappresentazione dei concetti astratti o « cose spirituali »: « come l’immaginazione
[Descartes, Qeuvres. Perlegens Lamberti Schenkelii lu- crosas nugas (lib. De
arte memoriae) cogitavi facile me omnia quae detexi imaginatione complecti:
quod sit per reductionem rerum ad causas; quae omnes cum ad unam tandem
reducantur, patet nulla ope esse memoria ad scientias omnes. Qui enim
intelliget causas, elapsa omnino phantasmata causae impressione rursus facile
in cerebro formabit. Quac vera est ars mermoriae, illius nebulonis arti plane
con- traria: non quod illa effectu careat, sed quod chartam melioribus
occupandam totam requirat et in ordine non recto consistat; qui ordo In eo est,
ut imagines ab invicem dependentes efformentur. Ipse exco- gitavi alium modum:
si ex imaginibus rerum non inconnexarum ad- discantur novae imagines omnibus
communes, vel saltem si ex om- nibus simul una fiat imago, nec solum habeatur
respectus ad proxi- mam, sed etiam ad alias, ut quinta respiciat primam per
hastam humi proiectam, medium vero, per scalam ex qua discendent, et secunda
per telum quod ad illam proiiciat, et tertia simili aliqua ratione in rationem
significationis vel verae vel fictitiac. Sulla scrittura e gli altri aiuti alla
memoria cfr. Entretiens avec Burman, Paris, si serve di figure per concepire i
corpi, così l'intelletto si serve di taluni corpi sensibili, come il vento e la
luce, per raffigurare le cose spirituali. Cose sensibili possono aiutarci a
concepire quelle dell'Olimpo: il vento significa lo spirito, il moto con il
tempo la vita, la luce la conoscenza, il calore l’amore, l’attività istantanea
la creazione. Il fatto che Cartesio, nell’età matura, giunga a un radicale
rifiuto di ogni simbolismo, non elimina, per lo storico, il compito di andar
rintracciando le origini, spesso legate a temi culturali assai “torbidi” di una
filosofia che si svolse sotto il segno della distinzione e della chiarezza
razionale. Non a caso, negli stessi anni in cui escogitava una nuova tecnica
memorativa, Cartesio pareva anteporre i risultati dell'immaginazione e della
poesia a quelli della filosofia e della ragione; si dilet- tava, come già tanti
fra i “maghi”, alla costruzione di «automi» e di «giardini d’ombre »; si in-
formava del significato dei commenti lulliani di Agrippa; si interessava
all’ordo locorum;?* insisteva, come già avevano fatto tanti fra i commentatori
di Lullo, sull’unità e sull’ar- monia del cosmo: « Una est in rebus activa vis,
amor, cha- ritas, armonia... Omnis forma corporea agit per harmo- niam ».°° Non
si trattava solo di giovanili concessioni ad una moda filosofica. Molti anni
più tardi, dopo aver letto e meditato il Pansophiae Prodromus di Comenio, Des- [Descartes,
Ocuvres, Ut imaginatio utitur figuris ad corpora concipienda, ita intellectus
utitur quibusdam corporibus sensibilibus ad spiritualia figuranda, ut vento,
lumine: unde altius phi- losophantes mentem cognitione possumus in sublime
tollere... Sensibilia apta concipiendis Olympicis: ventus spiritum significat,
motus cum tempore vitam, calor amorem, activitas istantanea creationem. Mirum
videri possit, quare graves sententiac in scriptis poctarum magis quam
philosophorum. Ratio est quod poctae per enthusiasmum ct vim imaginationis
scripsere: sunt in nobis semina scientiae, ut in silice, quae per rationem a
philosophis educuntur, per imaginationem a poctis excutiuntur magisque elucent
» (Oeuvres). « On peut faire un jardin des ombres qui representent diverses figures,
telles que les arbres et lcs autres... dans une chambre faire [que] les rayons
du soleil, passant pour certaines ouvertures, representent diverses chif- fres ou
figures» (Ouvres). « Inquirebam
autem diligentius utrum ars illa non consisteret in quodam ordine locorum
dialecticorum unde rationes desumuntur. (Oewvres, Descartes, Ocuvres] cartes
insisteva ancora (pur rifiutando come impraticabile il disegno comeniano) sullo
stretto parallelismo intercorrente tra una conoscenza unica, semplice,
continua, riducibile a po- chi princìpi » € la «una, semplice, continua, natura
» rispetto alla quale la conoscenza si pone come una pittura o specchio. Quemadmodum
Deus est unus ct creavit naturam unam, simplicem, continuam, ubique sibi
cohaerentem ct res pondentem, paucissimis, constantem principiis clemen- tisque
ex quibus infinitas propemodum res, sed in tria regna minerale, vegetale et
animale certo inter se ordine gradibusque distincta perduxit; ita et harum
rerum co- gnitionem esse oportet, ad similitudinem unius Creatoris et unius
Naturae, unicam simplicem, continuam, non interruptam, paucis constantem principiis (imo unico Principio principali)
unde caetera omnia ad specialis- sima usque individuo nexu et sapientissimo
ordine deducta permanent, ut ita nostra de rebus universis et sin- gulis
contemplatio similis est picturae vel speculo uni- versi et singularum ceiusdem
partium imaginem exactis- sime repraesentanti.5! Comunque sia da valutare il
senso di queste caratteri- stiche espressioni cartesiane, certo è che il
programma del giovane Cartesio — un uomo che non ha ancora « preso partito sui
fondamenti della fisica» e che è solo «un ap- prenti physicien-mathématicien sans
métaphysique » — può apparire, da questo punto di vista, singolarmente vicino a
quello presente nelle sirtassi e nelle enciclopedie lulliane del tardo
Cinquecento: dietro la molteplicità delle scienze, il loro isolamento, si
nasconde un’unità profonda, una legge di connessione, una logica comune. Una
volta liberate le sin- gole scienze dalla loro maschera, sarà possibile
rendersi conto di una carena scientiarum nel cui ambito le singole scienze [Descartes
à Mersenne in Ocuvres, Supplément. La lettera fu in precedenza pubblicata in
Spisy Jana Amosa KomensgeHO, Korrespondance, a cura di Kvacala, Praga. Il Zbro
cui faceva riferimento Cartesio in una lettera (Oexvres): «j'ai lù
soigneusement le livre que vous avez pris la peine de m' envoyer... » era il
Pansophiae Prodomus di Comenio (Cfr. Oeuvres, Supplément, ove si ricorda anche
una lettera di Mersenne a Haak nella quale Cartesio è segnalato come uno dei
filosofi più competenti a parlare intorno all'opera del Comenio). potranno
essere ritenute con la stessa facilità con la quale si ricorda la serie dei
numeri: Larvatac nunc scientiac sunt: quae, larvis sublatis, pul- cherrimae
apparerent. Catenam scientiarum
pervidenti, non difficilius videbitur cas animo retinere, quam seriem
numerorum.?? Il problema dell’enciclopedia appare qui, una volta an- cora,
collegato in modo oltremodo significativo a quello della memoria. Questi stessi
termini e gli stessi concetti ritroviamo
attribuiti a Cartesio nel
Commentatre ou remarques sur la Methode de Descartes del Poisson, mentre, nella
prima delle Regulae, Cartesio afferma che la connessione sus- sistente fra le
singole scienze è tanto stretta da rendere l’ap- prendimento di tutte le
scienze insieme più facile della se- parazione di una di esse dalle altre: il
legame di congiun- zione e di reciproca dipendenza tra le scienze, esclude che,
in vista di un apprendimento della verità, si possa scegliere una scienza
particolare: «credendum est, ita omnes [scien- tias] inter se esse connexas, ut
longe facilius sit cunctas simul addiscere, quam unicam ab aliis separare. Si
quis igitur serio rerum veritateminvestigare vult, non singularem aliquam debet
optare scientiam: sunt enim omnes inter se coniunctas et ab invicem dependentes
»."° Se ci volgiamo ai testi del lullismo seicentesco, ad opere che sono
ben lontane dall'atmosfera cartesiana, permeate di magia e di occultismo,
miranti alla fondazione della medi- cina universale e dell’enciclopedia totale,
piene di riferimenti alle fonti della tradizione ermetica, troviamo presente la
stessa insistenza sulla catena scientiarum, sulla molteplicità solo ap- parente
delle scienze, sulla corrispondenza tra un armonioso e ordinato sapere e
un’armonica natura, sulla necessità di una sapienza che superi la fittizia
parzialità dei singoli rami del sapere. Il medico e mago Jean d’Aubry, seguace
e tradut- tore di Lullo, mentre si difendeva dall’accusa di aver operato 9?
DescarTEs, Ocuvres. Sono da vedere, su questo passo, le precise osservazioni di
R. KLIbansky, The philosophic character of history, nel volume miscellanco
P/ilosophy and history, Oxford, Descartes, Oeuvres, secondo magia, accennava
proprio a questi concetti. A pro- posito della catena scientiarum egli si
richiamava in modo assai significativo al commento alla creazione di Pico condotto
secondo gli insegnamenti della cabala: P. Poisson, Commentaire, p. 73 Il regne
je ne sgai quelle liaison, qui fait qu’une verité fait décou- vrir l’autre, et
qu'il ne faut que trouver le bon but du fil, pour aller jusqu'à l’autre sans
inter- ruption. Ce sont à peu-près les paroles de M. Descartes que j’ay leies dans un de
ses fragmens manuscrits: Quippe sunt conca- tenatae omnes scientiae, nec una
Jean D’AuBry, ipologie, 1638. Qui doute que les parties de la doctrine (que les
sots et les igno- rants appellent sciences, comme sil y en avoit plusieurs) ne
se trouvent enchainées l’une avec l’autre, qu'il est impossible
d’estre entendu en la moindre sans avoir une pleine connoissance de tou- tes;
l’Eptaple de Pic de la Mi- rande sur les jours de la création perfecta haberi
potest quin aliae et l’armonie di monde de Paul sponte sequantur, et tota simul
Venitien vous le montrent...?* encyclopedia
apprehendatur.34 Lo studio delle connessioni esistenti tra il progetto car-
tesiano di una scientia penitus nova?" e gli interessi di Car- tesio
(evidenti nelle lettere al Beeckmann) per una matematizzazione della fisica, è
cosa che esce dai limiti della presente ricerca. Quest'ultima può tuttavia
servire a mostrare il carattere eccessivamente semplicistico dei tentativi —
che si sono più volte ripetuti — di identificare senz’altro la mathesis
universalis cartesiana con una pura e semplice esten- sion del metodo
matematico a tutti i campi del sapere.’ La scientia nova deve «contenere i
primi rudimenti della ragione umana e far uscire la verità da qualsiasi
soggetto »: essa è la fonte di ogni altra umana conoscenza. Il progetto
cartesiano, poi tanto ricco di complessi e importantissimi svi- luppi, aveva in
realtà tratto alimento, così come quello di [Poisson, Commentaire ou remarques
sur la Methode de Descartes, Vandosme (Cfr. Oeuvres). Ausry, Le triumphe de l’archée et
la merveille du monde, cit., ediz. parigina del 1661 (Vatic. Racc. Gen. Medicina. IV. 1347): Apolo- gie
contre certatns docteurs ecc., in appendice, pagine non numerate. Cfr. Ocuvres, Cfr. per
esempio Larorte, Le rationalisme de Descartes, Paris. Per una più esatta valutazione: NOCE (si veda), sulle Meditazioni
metafisiche, Padova Bacone, da un terreno storico preciso: quell’enciclopedismo
di derivazione lulliana che aveva profondamente imbevuto di sé la cultura e che
raggiungerà non a caso, proprio nel secolo XVII, la sua massima fioritura. Nei
commenti lulliani di Agrippa, nella Syntaxes del Gregoire, nell’Opus aureum del
De VALERIIS (si veda), nella Explanatio del Lavinheta, così come più tardi
nella Regina scientiarum del Morestel e negli scritti del d’Aubry, ci si era
volti alla ricerca di un «unico strumento » comune a tutte le scienze, di
un’unica «chiave » o «sapienza» capace di garantire as- soluta certezza e
assoluta verità, di fornire infallibili solu- zioni e risposte, di porsi come
regola di ogni possibile scienza particolare. Alla grande diffusione di questo
tipo di lettera- tura e di questi testi, noti e celebrati, più volte tradotti e
più volte riediti nei principali centri della cultura europea, alla conoscenza
diretta o indiretta che di essi ebbero Bacone e Cartesio, va fatta risalire
l’immagine, comune ai due filo- sof, dell’ardor scientiarum. Da questo terreno
storico traeva anche origine la loro ricerca — destinata poi ad orientarsi in
maniera così profondamente divergente — di una scientia universalis o sapientia
madre e fonte e radice unitaria di ogni ramo del sapere: Bacone, De augmentis,
in Works. Quoniam autem partitiones scien- tiarum non sunt lineis diversis si-
miles, quae cocunt ad unum an- gulum; sed potius ramis arbo- rum qui
coniunguntur in uno trunco (qui etiam truncus ad spa- tium nonnullum integer
est cet continuus, antequam se partiatur in ramos); idcirco postulat res
ut priusquam prioris
partitionis membra persequamur, constitua- tur una Scientia universalis,
quae sit mater reliquarum ct habetur in progressu doctrinarum tan- quam portio viae communis an- tequam
viae se separent cet di- siungant. Hanc Scientiam Philo- Descartes, Regulae, c
Pref. ai Principes, in Ocuvres. Quicumque tamen attente respe- xerit ad meum
sensum facile per- cipiet me nihil minus quam de vulgari Matematica hic
cogitare, sed quamdam aliam me expone- rc disciplinam, cuius integumen- tum sit
potius quam partes. Haec enim prima rationis humanae ru- dimenta continere, et
ad veritates cx quovis subiecto cliciendas se extendere debet; atque, ut libere
loquar, hanc omni alia nobis hu- manitus tradita cognitione potio- rem, utpote
aliarum omnium fon- tem, esse mihi persuadco... Ainsi toute la philosophie est
comme un arbre, dont les racines sont sophiac primae, sive etiam Sa- la
méthapysique, le tronc est la pientiac.. nomine insignimus. physique, et les
branches qui sor- tent de ce tronc sont toutes les autres sciences. Gli aiuti della memoria nel metodo baconiano:
tavole, to- pica, induzione. Ponendo mente alla dottrina ramista secondo la
quale la memoria si presenta come una delle parti o sezioni della dia- lettica,
acquista particolare significato la classificazione ba- coniana della logica
presente nell’Advancement of learning e in seguito ripresa nel De augmentis
scientiarum. Per Bacone la logica comprende quattro parti o sezioni de-
nominate arzi intellettuali: tale quadripartizione è fondata sui fini o gli
scopi che l’uomo si propone di realizzare. L'uomo: trova ciò che ha cercato;
giudica ciò che ha trovato; rittene ciò che ha giudicato; trasmette ciò che ha
ritenuto. Siamo quindi in presenza di quattro arti: l’arte della ricerca o
dell'invenzione (art of inquiry or invention); l’arte dell'esame o del giudizio
(art of examination or judgement); 3) l’arte della conservazione o della
memoria (art of cu- stody or memory); l’arte della elocuzione o della
comunicazione (art of elocution or tradition)."* In questa classificazione
Bacone si richiamava da un lato alle tradizionali partizioni della retorica,
dall'altro alle posizio- ni ramiste: si discostava da entrambe queste posizioni
quando dava al termine « invenzione » un significato molto più ampio di quello
tradizionale distinguendo nettamente fra invenzione degli argomenti e
invenzione delle scienze e delle arti. In quest'ultimo settore Bacone riscontra
le maggiori deficienze: Advancement of Learning, Works,; De augmentis, Works mentre
per l’invenzione degli argomenti è più che sufficiente la logica tradizionale,
per consentire all'uomo l’invenzione di nuove arti e quindi il dominio della
natura è necessario procedere ad una riforma del metodo scientifico fornendo
alla conoscenza umana un nuovo organo o strumento logico."° La
interpretatio naturae o la nuova induzione, teo- rizzata da Bacone nel secondo
libro del Novum Organum è quindi solo una delle due parti nellequali si
articola l’arte dell'invenzione la quale è, a sua volta, una delle quattro parti
nelle quali si suddivide la logica baconiana. La riforma dell’induzione
scientifica è quindi solo un aspetto e una sezione di quella generale
restaurazione del sapere che Bacone ha in animo di realizzare. Quando si cera
mosso sul piano delle «scienze antiche e popolari o della logica ordinaria,
Bacone cerca di chiarire la funzione della memoria e delle arti memorative
nell’ambito di quella parte dell’ars inveniendi che mira non ad inventare opere
ed arti, ma si limita ad inventare argomenti e si pone come una tecnica della
per- suasione. Il problema dell’ars memorativa e della memoria si porrà
tuttavia, per Bacone, anche nell’ambito della inter- pretatio naturae o della
nuova logica. Le considerazioni svolte da Bacone nella Delineatio sulla totale
e assoluta diversità fra la logica ordinaria e la logica della scienza, sulla
radicale differenza di fini e di procedi- menti delle due logiche, non gli
impediranno di richiamarsi, nel caso della ministratio ad memoriam (che è parte
inte- grante e costitutiva della nuova logica) a un ordine di con- siderazioni
assai simile a quello al quale aveva fatto riferi- mento muovendosi sul piano
delle «arti del discorso » 0 della «logica ordinaria ». Nel caso dei discorsi
ec della in- venzione degli argomenti, le difficoltà nascevano dalla pre- senza
di una molteplicità di termini e di argomenti; sul ter- reno delle opere e del
metodo scientifico, le difficoltà nascono dalla presenza di una infinita
molteplicità di fatti. La dot- trina baconiana degli aiuti della memoria, svolta
nella Delt- neatto e più tardi ripresa nel Novum Organum, risulta da un
adattamento a questa diversa situazione delle regole che 39 Advancement, Works]
guidavano l'invenzione degli argomenti e che costitutvano l’arte del ricordare
e disporre gli argomenti. Per realizzare discorsi coerenti e persuasivi, per
inventare argomenti era necessario, secondo Bacone: 1) disporre di una raccolta
di argomenti estremamente ampia (promptuaria); 2) disporre di regole atte a
limitare un campo infinito e a determinare un campo di discorso specifico e
limitato (topica). Il compito attribuito all’arte della memoria consisteva
nella elaborazione di una tecnica (fondata sull’uso delle pre- nozioni, degli
emblemi, dell’ordine, dei luoghi, dei versi, della scrittura, ecc.) che mettesse
l’uomo in grado di realizzare con- cretamente le due possibilità ora indicate.
In sede di metodologia scientifica (nterpretatio naturae) le cose non procedono
per Bacone in maniera molto differente: «Gli aiuti della memoria — egli scrive
adempiono al se- guente compito: dalla immensa moltitudine dei fatti parti-
colari e dalla massa della storia naturale generale, viene di- staccata una
storia particolare le cui parti vengono disposte in un ordine tale da
consentire all’intelletto di lavorare su di esse e di esercitare la propria
funzione... In primo luogo mo- streremo quali siano le cose che devono essere
ricercate in- torno ad un dato problema: il che è qualcosa di simile ad una
topica. In secondo luogo in quale ordine esse vadano disposte e suddivise in
tavole... In terzo luogo mostreremo in qual modo e in quale momento la ricerca
vada integrata e le precedenti carte o tavole siano da trasportare in tavole
nuove... La ministratio ad memoriam si articola quindi in tre dottrine:
l’invenzione dei /oci, il metodo della tabula- zione, e il modo di instaurare
la ricerca ».!° 4° Partis instaurationis secundac delineatio, Works, IMinistra-
tio ad memoriam hoc officium praestat ut ex turba rerum particula- num, ct
naturalis historiae generalis acervo, particularis historia excer- patur, atque
disponatur eo ordine, ut iudicium in cam agere, et opus suum exercere
possint... Primo docebimus qualia sint ca, quae circa subiectum datum sive
propositum inquiri debeant, quod est instar topicae. Secundo, quo ordine illa
disponi oporteat, et in tabulas digeri... Tertio itaque ostendemus quo modo et
quo tempore inquisitio sit reintegranda, et chartae sive tabulae praecedentes
in chartas novellas transportandae... Itaque ministratio ad memoriam in tribus
(ut dixi- mus) doctrinis absolvitur: de locis inveniendis, de methodo conta-
bulandi, et de modo instaurandi inquisitionem. La memoria abbandonata a se
stessa, afferma ancora Ba- cone nella Delineatio, non solo è incapace di
abbracciare la immensità dei fatti, ma non è neppure in grado di indicare gli
specifici fatti dei quali si ha bisogno in una ricerca par- ticolare. Di fronte
alla storia naturale generale (che corri- sponde a ciò che in sede retorica è
la promptuaria o indiscri- minata raccolta di argomenti) sono dunque necessarie
regole per determinare il campo della ricerca e per ordinare i con- tenuti di
questo campo. Per rimediare alla situazione di na- turale fragilità della
memoria e metterla in grado di funzio- nare come strumento di conoscenza ci si
richiama dunque: 1) ad una topica o raccolta di luoghi che insegna quali siano
i fatti sui quali bisogna indagare in relazione ad una data ricerca; 2) alle
sadelae che hanno il compito di ordinare i fatti in modo che l'intelletto si
trovi di fronte non ad una realtà caotica e confusa, ma ad una realtà
organizzata. Quanti da Ramo a Melantone, da Pietro da RAVENNA (si veda sotto
TOMAI) a ROSSELLI (si veda), dal Romberch a GRATAROLI (si veda) avevano rivolto
la loro attenzione ad una discussione dei problemi attinenti alla topica e alla
memoriaartificiale, avevano insistito proprio sulla funzione dei /uoghi come
mezzo per delimitare un campo di ricerca altrimenti infinito e per introdurre
ordine in questo campo. Per Melantone (ma molti altri autori potrebbero es.
sere citati al suo posto) i /oc; admonent ubi quacrenda sit materia aut certe
quid ex magno acervo eligendum et quo ordine distribuendum sit. Nam loci
inventionis tum apud dialecticos tum apud rhetores non conducunt ad inveniendam
materiam, quam ad cligendam postquam acervus aliquis... oblatus fuerit. La
Partis instaurationis secundae delineatio, alla quale ci siamo ora riferiti,
risale al 1607 circa; ma nelle opere della piena maturità Bacone sarà su questi
temi altrettanto espli- cito: nel decimo paragrafo del secondo libro del Nowvum
Organum si afferma: «la storia naturale e sperimentale è tanto varia e sparsa
da confondere e quasi disgregare l’intel- letto ove non sia composta e ridotta
in ordine idonco. Bi- sogna pertanto dar luogo a tavole e a coordinationes
instantiarum in modo che l’intelletto possa agire su di esse ».‘! Le ce- lebri
sabulae baconiane costituiscono, anche nel Novum Or- ganum, parte integrante
della ministratto ad memoriam. Ad esse spetta un compito preciso: organizzare e
ordinare i con- tenuti della storia naturale. Dopo che il materiale è stato or-
ganizzato nelle tre tabulae l'intelletto si trova di fronte ad una serie
ordinata di fatti, non è più «come smarrito »: da questa situazione trae inizio
quel procedimento che Bacone chiama la nuova induzione. L’intero procedimento
induttivo baconiano che non è certo il
caso di fermarsi qui ad esporre ha senza
dubbio i suoi fondamenti proprio nella dottrina delle tabulae. Que- stultima
appare costruita in funzione di un ordinamento della realtà naturale capace di
introdurre nella molteplicità caotica dei fatti fisici una disposizione e un
ordine tali da con- sentire all’intelletto di andar rintracciando connessioni
reali. In questo senso la compilazione delle sabulze si presenta stret- tamente
connessa a quella invenzione det luoghi naturali che attirerà per lunghi
periodi l’interesse di Bacone. Il primo, or- ganico tentativo compiuto da
Bacone di gettare le basi di una invenzione di luoghi naturali e di un metodo
di tabulazione risale al 1607-1608 e non a caso, in questi anni, Bacone usa i
termini topica e tabulae (o chartae) come sinonimi. Nei Cogr-tata et visa del
1607 troviamo annunciata con molta precisione la funzione attribuita alle
tavole : Ante omnia visum est ci tabulas inveniendi sive legi- timae
inquisitionis formulas, hoc est materiem particula- rem ad opus intellectus
ordinatam, in aliquibus subiectis proponi, tamquam ad exemplum cet operis
descriptionem fere visibilem. Nel Commentarius solutus, egli annota
rapidamente: « The finishing the 3 tables, de motu, de calore et frigore, de
sono ». Se ci volgiamo a considerare gli appunti del Commentarius ci troviamo
in presenza di una elencazione Ja Liu i > Novum Organum. Historia vero naturalis et
experimentalis tam varia est et sparsa, ut intellectum confundat et disgreget,
nisi sista- tur et comparcat ordine idoneo. Itaque formandae sunt tabulae et
coor- dinationes instantiarum, tali modo et instructione, ut in cas agere
possit intellectus ». 4° Works] di
veri e propri luoghi naturali raggruppati in diverse carte.!? Non diversamente
sono strutturate le tre brevi opere che risal- gono a questo periodo e che
rappresentano la prima realizza- zione del programma indicato nei Cogitata et
Visa e nel Com- mentarius solutus: la Inquisitio legitima de motu, la Sequela
chartarum sive inquisitio legitima de calore et frigore, la Historia et
inquisitio prima de sono et auditu."' Nella prefazione alla prima di
queste tre operette Bacone, mentre poneva in luce la funzione essenziale che
spetta alla topica c alle tavole, distingueva due differenti tipi di tavole:
quelle che devono riunire i fatti più visibili e che si riferiscono a un
determinato oggetto di ricerca (machina intellectus infe- rior seu sequela
chartarum ad apparentiam primam) c quelle che hanno il compito, più alto, di
aiutare l'intelletto a cono- scere « ciò che è nascosto penetrando in tal modo
fino alla « forma » delle cose (machina intellectus superior sive sequela
chartarum ad apparentiam secundam). Le diciannove tavole elencate da Bacone
nella Inquisitio legitima de motu costitui- vano una topica o «sistemazione
provvisoria » che avrebbe dovuto consentire il passaggio alle tavole del
secondo gruppo. Queste ultime (la machina superior) non sono in realtà che le
tabule presentiae, absentiae, graduum del Novum Organum. L'immagine baconiana
dell’universo come labirinto e come selva, la sua convinzione che
l’architettura del mondo « sia piena di vie ambigue, di fallaci somiglianze, di
SEGNI, di nodi e di spirali avvolti e complicati, condiziona, in modo radi-
cale, la dottrina baconiana del metodo. Uno dei compiti, se non il compito
fondamentale, del metodo è, per Bacone, quello di introdurre ordine in questa
caotica realtà. Nella Delineazio Commentarius solutus, Works. Tria motuum ge-
nera imperceptibilia, ob tarditatem, ut in digito horologii; ob minu- tias, ut
liquor seu aqua corrumpitur ct congelatur cte.; ob tenuitatem, ut omnifaria
aeris, venti, spiritus... Nodi et globi motuum, and how they concur and how they succeed and
interchange in things most frequent. The times and moments wherein motions
work, and which is the more swift and which is the more slow ». 44 I tre scritti sono rispettivamente in Works;
Inquisitio legitima de motu, Works. Praefatio gencralis, Works] troviamo, a
questo proposito, un'ammissione quanto mai significativa : la verità — scrive
Bacone — emerge più facilmente dalla falsità che dalla confusione (« citius
enim emergit veritas e falsitate quam e confusione »). Il compito, essenziale e
fondamentale, di una eliminazione della confu- sione figurava, nella stessa
opera, fra gli aiuti della memoria.*' « Eliminare la confusione », porre
rimedio alla povertà di conoscenze fattuali dando luogo a raccolte di istanze
certe: questi appaiono a Bacone i compiti fondamentali del nuovo metodo di
interpretazione della natura. Di fronte a questi compiti le sue stesse tadulae
gli appaiono nulla più di semplici esempi di un gigantesco lavoro che attende
di essere realiz- zato (« neque enim tabulas conficimus perfectas, sed exempla
tantum »).'* La stesura di una logica del sapere scientifico, alla quale Bacone
aveva dedicato non poche delle sue fatiche fino dagli anni del Valerius
Terminus, fu addirittura inter- rotta perché Bacone era fermamente persuaso che
la costru- zione di tavole perfette costituisse l'elemento decisivo in vista
della fondazione di un nuovo sapere scientifico. La storia na- turale, la
raccolta organizzata dei fatti, la limitazione e la delimitazione dei diversi
campi di ricerca, la costruzione di una serie di elenchi di luoghi naturali
appartenenti ad un campo specifico (le Aistoriae particulares): tutto ciò gli
apparve così importante da indurlo a interrompere la stesura del Novum Organum
e a parzialmente svalutare quella stessa « macchina logica » che era stata per
molti anni al centro dei suoi interessi.‘ La ordinata raccolta di materiali, la
costruzione di una organizzata enciclopedia di tutti i fatti naturali raccolti
nelle storie particolari, l’apprestamento di una raccolta di fatti o «storia
generale » che fosse in grado di fornire nuovi mate- riali alle stesse storie
particolari (Sylva silvarum): tutti questi progetti apparvero a Bacone, almeno
al termine della sua 4° Delineatio, Works, cfr. anche Novun Organum, Novum
Organun. Sul significato, da questo punto di vista, dell’ ultimo paragrafo del
libro I del Novum Organum cfr. B. FarrINGTON, F. Bacon: philosopher SCIA
science, New York, 1949, trad. ital. Torino] vita, assai più importanti di ogni
indagine volta a perfezio- nare l’apparato teorico delle scienze. Ognuna delle
storie par- ticolari alle quali Bacone lavora affannosamente (il suo progetto
comprendeva centotrenta storie) risponde a una duplice esigenza: eliminare le
opinioni tradizionali muo- vendosi entro un campo di fatti accertati; disporre
i fatti entro i campi particolari dando luogo ad una raccolta ordinata. Ove si
passi da una considerazione generica ad una diretta lettura di queste « storie
» baconiane, ci si renderà conto che esse si presentano appunto come raccolte
di luoghi naturali e che esse rappresentano il tentativo di portare a
compimento quel lavoro di raccolta già iniziato nella Inquisizio legitima de
motu, nella Inquisitio de calore et frigore, e nella Historia et inquisitio
prima de sono et auditu. Sostituendo alle raccolte di luoghi retorici una
raccolta di luoghi naturali, piegando l’arte della memoria a fini differenti da
quelli tradizionali, concependo le sabulae come mezzi di ordinamento della
realtà mediante i quali la memoria prepara una « realtà organizzata » all’opera
dell’intelletto, Bacone ave- va introdotto, entro la sua logica del sapere
scientifico, alcuni tipici elementi derivanti da una precisa tradizione. Da
questo punto di vista la sua « nuova » logica era assai più vicino di quanto
egli non ritenesse alle impostazioni che un Ramo o un Melantone avevano dato
alla dialettica quando l’avevano con- cepita come lo strumento atto a disporre
ordinatamente le no- zioni. Vale la pena di ricordare ancora una volta la
definizione che Melantone aveva dato del metodo quando lo aveva quali- ficato
un’ars che quasi per loca invia et per rerum confusionem trova e apre una via
ponendo in ordine le res ad propositum pertinentes e la definizione ramista
della dispositio (che si identifica per Ramo con il iudicium e con la memoria)
come apta rerum inventarum collocatio. AI di là di tutte le grandi differenze
che si possono senza dubbio elencare, il concetto baconiano del metodo della
scienza si muove ancora su questo terreno: // metodo è un mezzo di ordinamento
e di classificazione degli elementi che compon- gono la realtà naturale. La
dottrina della ministratio ad me- moriam aveva esercitato, da questo punto di
vista, un peso decisivo sulla costruzione baconiana di una nuova logica e di un
nuovo metodo delle scienze. Gli atuti alla memoria e la dottrina dell’
enumerazione nelle Regulae. Gli echi della trattatistica rinascimentale sulla
memoria artificiale ricompaiono, oltre che nei frammenti del giovane Cartesio,
anche nel testo delle Regulae. Quando, nella regole, Cartesio concepisce la
scrittura come un'arte esco- gitata a rimedio della naturale labilità della
memoria e parla di un intelletto che « va aiutato dalle immagini dipinte dalla
fantasia » non fa che ripetere nei loro termini più tradizionali, luoghi comuni
presenti in quasi tutti i testi della mnemotecnica di derivazione ciceroniana:
Anonimo (Marciana, lat. ). vVescarTEs,
Regulae, in Ocuvres, X, p. 454. . operae practium est omnes alias Sicut enim
invenerunt. homines [dimensiones] ita retinere, ut fa- diversas artes ad
iuvandum di- cile occurrant quoties usus exigit; versis modis naturam, sic enim in quem finem
memoria videtur videntes quod per naturam me- a natura instituta. Sed quia haec
sacpe labilis est... aptissime scri- bendi usus ars adinvenit; cuius ope
freti... quaccunque erunt re- stituenda in charta pingemus. moria hominis
labilis est, conati sunt invenire artem aliquam ad iuvandum naturam seu memo-
riam... et sic adinvenerunt scrip- turam... A questa stessa assai antica
tradizione si era del resto ri- chiamato Bacone nel De augmentis quando aveva
visto anche egli nella scrittura il principale aiuto alla memoria: adminiculum
memoriae plane scriptio est, atque omnino monendum quod memoria, sine hoc
adminiculo, rebus prolixioribus impar sit, neque ullo modo nisi de scripto
recipi debcat.5! Il ricorso cartesiano alle « immagini corporee », ai simboli,
alla scrittura acquista tuttavia, all’interno della complessa me- todologia
delle Regw/ze, un senso particolare. La scrittura e la «rappresentazione sulla
carta » servono a sgombrare l’animo da ogni sforzo mnemonico, a liberarlo da
esso, in modo che °° A queste conclusioni, sulla base di una trattazione più
analitica degli scritti baconiani, ero già pervenuto nello studio Bacone, dalla magia alla scienza, Bari,
Works, la fantasia e l’intelligenza possano essere completamente ri- volte alle
idee o agli oggetti presenti: fiduciosi nell’aiuto della scrittura afferma Cartesio non affideremo nulla alla memoria, ma,
lasciando libera e completa la fantasia alle idee presenti, rappresenteremo
sulla carta qualunque cosa si vorrà ricordare; nessuna di quelle cose che non
richiedono perpetua attenzione, se può esser messa sulla carta, deve essere
impa- rata a memoria, affinché un ricordo inutile non sottragga parte della
nostra intelligenza alla cognizione dell'oggetto prc- sente. Ai segni o simboli
arbitrariamente scelti (a, b, c. ecc. per le grandezze note; A, B, C, ecc. per
quelle ignote) è affi- data questa funzione mnemonica: essi saranno proprio per
questo « brevissimi » di modo che « dopo aver scorto distin- tamente le singole
cose, possiamo percorrerle con un moto celerissimo di pensiero e insieme quanto
più è possibile simultancamente. Il problema della notazione o della scrittura
e quello, Qeuvres: nulla unquam esse memoriac mandanda ex iis, quac perpetuam
attentionem non requirunt, si possimus ea in charta deponere, ne scilicet
aliquam ingenii nostri partem obiecti prae- sentis cognitioni supervacua
recordatio surripiat... nihil prorsus memo- riac committemus, sed liberam et
totam pracesentibus ideis phantasiam reliquentes, quaecumque erunt retinenda in
charta pingemus; idque per brevissimas notas, ut postquam singula distincte
inspexcrimus... possimus... omnia celerrimo cogitationis motu percurrere et
quamplu- rima simul intucri. Quidquid ergo ut unum ad difficultatis solutionem
crit spectandum, per unicam notam designabimus, quae fingi potest ad libitum.
Sed, facilitatis causa, utemur characteribus a, b, c, etc. ad magnitudines iam
cognitas, et A, B, C, etc., ad incognitas cexpri- mendas... ». 53 Ancor più
chiaramente che nelle Regulae (si veda il passo citato nella nota precedente)
il problema della notazione o dell'impiego dei simboli algebrici si collega,
nel testo del Discours de la méthode (cfr. Ocuvres; ediz. Gilson) al problema della
ritenzione e della memoria: « Je pensai que, pour les considérer micux en par-
ticulier [si fa riferimento ai rapporti c alle proporzioni], je les devais
supposer en des lignes, à cause que je ne trouvais rien de plus simple, ni que
je puisse plus distinctement représenter à mon imagination et à mes sens; mais
que, pour les retenir ou les comprendre plusieurs ensemble, il fallait que je
les expliquasse par quelques chiffres, les plus courts qu'il serait possible ».
Il termine chiffres è tradotto,
nella edizione latina, con «characteribus sive quibusdam notis» (cfr. Oewvres)
ad esso strettamente connesso, degli aiuti della memoria (« utendum est...
memoriae auxiliis », dice il titolo di una delle regole) vanno in tal modo a
intrecciarsi strettamente, nel pensiero cartesiano a quelli dell’intuizione e
di quel « moto continuo e non interrotto del pensiero » nel quale consiste la
deduzione. Nel corso della regola III Cartesio chiarisce le ragioni della
presenza, accanto all’intuito, di un altro « modo di conoscenza che avviene per
deduzione ». L'’intuito, che è «un concetto della mente pura tanto ovvio e
distinto » da escludere ogni possibilità di dubbio, è richiesto non per i soli
enunciati (« ognuno può intuire che egli esiste, che egli pensa, che il
triangolo è delimitato soltanto da tre linee » ecc.), ma anche per qualsiasi
tipo di discorso: 2 e 2 fanno il medesimo di 3 e 1; non soltanto si deve
intuire che 2 e 2 fanno 4 e che 3 e 1 fanno pure 4, ma anche che quella terza
proposizione si conclude necessariamente da queste due.?* La deduzione, di
principio, si riduce dunque a intuizione. A tale riducibilità di principio non
corrisponde tuttavia una riducibilità di fatto : di qui la necessità di
introdurre un diverso termine, quello di deduzione. Molte cose vengono sapute
con certezza nonostante non siano evidenti di per sé: una verità, di per sé non
auto- evidente, può essere infatti la necessaria conseguenza di una
ininterrotta catena di verità autoevidenti attraverso la quale, con un moto
continuo di pensiero, « passa » la nostra mente. Ogni passo di questo moto o
ogni « anello della catena » viene afferrato mediante una intuizione immediata,
ma la conclu- sione, vale a dire la necessaria connessione tra il primo e l’ul-
timo anello della catena non è presente alla mente con la stessa evidenza che
caratterizza la intuizione intellettuale. Sappiamo che l’ultimo anello è
congiunto con il primo. Non vediamo tuttavia, con un solo e medesimo sguardo,
tutti gli anelli intermedi dai quali la connessione dipende: ci limitiamo per-
tanto a passarli l’uno dopo l’altro in rassegna e a ricordare che i singoli
anelli, dal primo all’ultimo, stanno attaccati ai 34 Qeuvres. At vero haec
intuitus evidentia et certitudo, non ad solas enuntiationes, sed etiam ad
quoslibet discursus requiritur. Nam; exempli gratia, sit haec consequentia: 2 et
2efficiunt idem quod 3 et 1; non modo intuendum est 2 et 2 efficere 4, et 3 et |]
cf- ficere quoque 4, sed insuper ex his duabus propositionibus tertiam illam
necessario concludi ». più vicini. La distinzione fra intwstus e deductio è
fondata ap- punto su ciò: nella deductio si concepisce un movimento o una
successione che è del tutto assente nell’ /nzetzs; alla de- duzione non è
necessaria quella attuale evidenza che è pre- sente nell’intuito: la deduzione
mutua in certo modo la sua certezza dalla memoria.” Nel caso di deduzioni non
particolarmente complesse o di brevi « catene » è sufficiente la memoria
naturale; ove tut- tavia le « catene » siano così ampie da oltrepassare le
nostre capacità intuitive e le deduzioni corrispondentemente com- plesse è
necessario per Cartesio « soccorrere la naturale infer- mità della memoria » («
memoriae infirmitati succurrendum esse »). La conoscenza di una necessaria
connessione tra il primo e l’ultimo anello della catena richiede infatti la
dedu- zione dell’ultimo anello: dedurlo vuol dire pervenire ad esso passando
«con moto continuo e non interrotto del pensiero » da anello ad anello. Ove
venga trascurato anche un solo anello la deduzione apparirà impossibile o
illegittima. In questo senso va soccorsa la memoria: La deduzione si compie
talvolta mediante una così lunga concatenazione di conseguenze che, quando
perveniamo ad esse, non ci ricordiamo facilmente di tutto il cammino che ci ha
condotto fin lì: per questo diciamo che si deve > Qeuvres. Hinc iam dubium
esse potest, quare, prae- ter, intuitum, hic alium adiunximus cognoscendi
modum, qui sit per deductionem: per quam intelligimus, illud omne quod cx
quibusdam aliis certo cognitis necessario concluditur. Sed hoc ita faciendum
fuit, quia plurimae res certo sciuntur, quamvis non ipsac sint evidentes, modo
tantum a veris cognitisque principiis deducantur per continuum ct nullibi
interruptum cogitationis motum singula perspicue intuentis: non aliter quam
longae alicuius catenae extremum annulum cum primo connecti cognoscimus,
etiamsi uno eodemque oculorum intuitu non omnes intermedios, a quibus dependet
illa connexio, contemplemur, modo illos perlustraverimus successive, et
singulos proximis a primo ad ultimum adhaerere recordemur. Hic igitur mentis
intuitum a deduc- tione certa distinguimus ex co, quod in hac motus sive
successio quac- dam concipiatur, in illo non item; et praeterea, quia ad hanc
non ne- cessaria est praesens evidentia, qualis ad intuitum, sed potius a me-
moria suam certitudinem quodammodo mutuatur ». (Cfr. anche le regole, Ocuvres.]
portare aiuto alla debolezza della memoria mediante un continuo movimento del
pensiero?" Quel processo che Cartesio chiama enumerazione o indu- zione
(enumeratio sive inductio) costituisce appunto questo giuto alla memoria. Il
fine che si propone questa minsstratio ad memoriam (per usare il termine
baconiano) è l’acquisizione di una rapidità o celerità nella deduzione tale da
ridurre al minimo, pur senza totalmente eliminarlo, il ruolo esercitato dalla
stessa memoria e tale da conferire ad un insieme di co- noscenze troppo
complesso per essere abbracciato da una sola intuizione, l'immediata evidenza
che è privilegio della stessa capacità intuitiva: «Se mediante diverse
operazioni ho conosciuto quale sia il rapporto tra la grandezza A e B, poi tra
Be C, poi tra C e De infine tra D e E, non per questo vedo il rapporto tra A e
E, né lo posso ricavare con esattezza dalle cose già cono- sciute se non mi
ricordo di tutte. Per questo le percorrerò tante volte con una specie di moto
dell’immaginazione che in- tuisce le singole cose e insieme si trasferisce
nelle altre, finché abbia imparato a passare dalla prima all’ultima con tanta
celerità che, quasi non lasciando alcuna parte alla memoria, mi sembri di
intuire tutto insieme. In tal modo, mentre si aiuta la memoria, si corregge
anche la tardità dell'ingegno e si amplia in qualche modo la sua capacità ».'
E’ tuttavia possibile, ritengo, mettere in luce alcuni punti le) di contatto
più profondi di quelli finora rilevati tra il testo % Qeuvres. Hoc enîm sit
interdum per tam longum conse- quentiarum contextum, ut, cum ad illas
devenimus, non facile recor- demur totius itineris quod nos co usque perduxit;
ideoque memoriae infirmitati continuo quodam cogitationis motu succurrendum
esse dicimus ». Ocuvres: « Si igitur, ex. gr., per diversas operationes
cognoverim primo, qualis sit habitudo inter magnitudines A et B, deinde inter B
et C, tum inter C et D, ac denique inter D et E: non idcirco video qualis sit
inter A et E, nec possum intelligere praecise ex iam cognitis, nisi omnium
recorder. Quamobrem illas continuo quodam imaginationis motu singula intuentis
simul et ad alia tran- seuntis aliquoties percurram, donec a prima ad ultimam
tam celeriter transire didicerim, ut fere nullas memoriae partes reliquendo,
rem totam simul videar intueri; hoc enim pacto, dum memoriae subveni- tur,
ingenii ctiam tarditas emendatur, ciusque capacitas quadam ra- tione cxtenditur.]
cartesiano delle Regulae e quella tradizione di ars memorativa alla quale ci
siamo fin qui richiamati. Beck, che sulla metodologia delle regulæ ha scritto
pagine assai acute, ha nettamente (e a mio avviso giustamente) distinto due
diversi significati o due differenti accezioni del termine enumerazione in
Cartesio. Quando fa riferimento, nel Discorso, alla enu- merazione Cartesio
parla infatti da un lato d’enumerazioni complete, denombrements entiers, e
dall'altro di revisioni generali, revues générales. La traduzione latina del
Discorso, rivista come è noto dallo stesso Cartesio, chiarisce ancor me- glio
la distinzione qui adombrata: l’espressione denombrements entiers viene
tradotta con singula enumerare, quella revues générales con omnia
circumspicere. Comunque sia da considerare la distinzione fra questi due
diversi aspetti o queste due diverse funzioni dell’enumerazione, resta il fatto
che con questo termine Cartesio sembra far riferimento: a quel rimedio alla
memoria che deve essere presente, abbiam visto, nel caso di deduzioni
particolarmente complesse o di catene
troppo lunghe; all’ordinamento delle condizioni dalle quali dipende la
soluzione di un problema particolare e a quell’iniziale ordinamento dei dati
che è preliminare ad ogni ricerca e che mira all’ « isolamento » e alla
determina- zione del problema stesso. « Enumerazione o induzione — scrive
Cartesio nelle regola — è una diligente e accurata ricerca di tutto quanto
concerne una questione proposta, sì che da essa si possa con- cludere con
certezza ed evidenza che nulla è stato ingiusta- mente tralasciato. La funzione attribuita alla
enumerazio [Beck, The Method of Descartes, a study of the regulæ, Oxford. Sull'enumerazione
cartesiana: Husert, La théorie cartesienne de lenumeration, in « Revue de
metaphysique et de morale ; Sirven, Les années d'apprentissage de Descartes,
Paris; Gitson, ediz. del Discosrs, Paris; N. KeMr SMITH, New Studies in the
Philosophy of Descartes, London, Qetivres Qeuvres. Est igitur haec cnumeratio
sive inductio, corum omnium quae ad propositam aliquam quaestionem spectant,
tam dili- gens et accurata perquisito, ut ex illa certo evidenterque
concludamus, nihil a nobis perperam fuisse praetermissum ». appare qui assai
diversa da quella alla quale abbiamo fin’ora fatto riferimento. Enumerare vuol dire qui procedere ad una
classificazione logica (che si svolge normalmente prima del processo deduttivo)
in vista di una determinazione e limita- zione dei problemi. Si tratta, come dice
esattamente Beck, di un « preparatory making-out of the field of knowledge in
which a proposed investigation of some particular problem is presently to take
place. A Beck, che è
esclusivamente interessato ad un esame della struttura formale del metodo
cartesiano c delle relazioni intercorrenti tra i vari scritti di Cartesio, è
sfuggita (così come agli altri interpreti)? la sostanziale affinità tra questa
accezione del termine enumerazione e la topica baconiana che si presenta
anch’essa, non a caso, come un aiuto alla memoria. Il prin- cipale compito
degli aiuti alla memoria consisteva per Bacone nella costruzione di regole atte
a limitare il campo infinito. Ad una perfetta conoscenza dei testi cartesiani
non corrisponde, così nel caso di Beck come in quello del Gouhier, una
altrettanto perfetta conoscenza dei testi filosofici e non filosofici
circolanti nella cultura francese ced europea del primo Seicento. Si veda per
esempio (per re- stare nei limiti dei problemi qui trattati) come Gouhier, nel
suo bel libro su Les premières pensées de Descartes, liquidi in due righe il
problema dei rapporti tra Cartesio e la tradizione del lullismo senza aver
preso visione dell’unico studio sull'argomento e senza rendersi conto che il
giudizio cartesiano su Lullo (parler sans jugement des choses qu'on ignore »)
non è che la ripetizione di un luogo presente nei testi filosofici da Agrippa a
Bacone. Anche l’espressio- ne cartesiana «in quodam ordine locorum
dialecticorum unde ratio- nes desumuntur » fa riferimento, contrariamente a
quanto mostra di credere Gouhier, ad un ben preciso tipo di letteratura; così
come l'affermazione una est in rebus activa vis ecc.» e il proposito di
servirsi di «cose sensibili » per raffigurare lc « spirituali » ec l’imma- gine
della catena scientiarum risultano del tutto incomprensibili e gra- tuiti, pur
prestandosi ad eleganti considerazioni di carattere specula- tivo, ovc non
vengano intesi nei loro rapporti con un ambiente e con una tradizione.
Cartesio, che aveva letto le pagine dello Schenkel, non aveva certo bisogno di
ricorrere a Keplero per concepire le cose corporee come simboli di quelle
spirituali. Ma del passo cartesiano che fa riferimento all’ars memoriae dello
Schenkel, Gouhier elimina la seconda metà (che risulta difficilmente comprensibile
a chi non abbia visto il testo di Schenkel) senza poter spiegare in alcun modo
in che cosa consiste il « nuovo procedimento » che Cartesio ritiene di aver
inventato.] della conoscenza umana e a determinare quindi un campo di
conoscenza specifico e limitato: « dalla immensa moltitudine dei fatti viene
distaccata una storia particolare le cui parti vengono ordinatamente
disposte... in primo luogo mostreremo quali siano le cose che devono essere
ricercate intorno a un dato problema, il che è qualcosa di simile a una topica;
in secondo luogo in quale ordine esse vadano disposte e suddi- vise. L’enumerazione,
come aiuto alla memoria, ha quindi per Cartesio il compito di svolgere una
accurata ricerca di tutto quanto concerne una questione proposta; quella sorta
di topica che costituisce per Bacone il
principale aiuto della me- moria ha esattamente lo stesso compito e la stessa
funzione: mostrare quali siano le cose che devono essere ricercate intorno a un
dato problema. Dopo aver preliminarmente isolato e determinato un problema o
una questione (proprio questo, ab- biam visto, era il compito che la tradizione
retorica affidava ai loci) si doveva, secondo Bacone, procedere ad un ordina-
mento, ad una suddivisione e ad una classificazione delle cose concernenti la
questione proposta. Su questo punto c da que- sto punto di vista la posizione
di Cartesio non è in alcun modo differente. Se si dovessero considerare una ad
una le singole cose che riguardano la questione proposta non sarebbe
sufficiente la vita di nessun uomo. Ma se tutte le cose vengano disposte
nell'ordine migliore, in maniera che siano ridotte il più pos- sibile a classi
determinate, sarà sufficiente vedere esattamente una sola di queste, oppure
qualcosa di ciascuna, o almeno non ripercorreremo mai niente due volte invano;
ciò è di tanto giovamento che spesso, in base a un ordine bene stabilito, si
compiono rapidamente e senza difficoltà molte cose che, al primo aspetto,
apparivano immense. Qcuvres. Addidi etiam enumerationem debere esse
ordinatam... si singula quae ad propositum spectant, essent separatim
perlustranda, nullius hominis vita sufficieret, sive quia nimis multa sunt,
sive quia sacpius cadem occurrerent repetenda. Scd si omnia illa optimo ordine
disponamus, ut plurimum, ad certas classes reducentur, ex quibus vel unicam
exacte videre sufficiet, vel cx singulis aliquid. Non è qui nostro compito esaminare le
differenze inter- correnti tra l’induzione baconiana e la inductio o enumeratio
cartesiana. Al di là delle differenze si voleva qui sottolineare, nel pensiero
dei due « fondatori » della filosofia moderna, la presenza e la persistenza di
temi legati ad antiche e recenti discussioni sulla memoria. A queste
discussioni vanno colleate non solo gli interessamenti di Bacone e di Cartesio
per i problemi della mnemotecnica, non solo l’immagine dell’arbor scientiarum e
i progetti di una scientia universalis o sapientia, ma anche la dottrina,
baconiana e cartesiana, degli «aiuti della memoria. Non si tratta dunque solo
dei « residui » di una tradizione veneranda, degli echi ultimi, ormai privi di
importanza e di significato storico di un fortunato genere letterario; né si
tratta di concessioni ad una « moda » assai diffusa. Nella l’nterpretatio
naturae di Bacone e nelle Regulae ad directionem ingenti di Cartesio ci sono
apparse presenti al- cune tesi legate alla tradizione retorica dell’ars memorativa: al necessario isolamento di una
questione si giunge mediante una preliminare classificazione degli elementi
costitutivi del problema; l’ordine è elemento ineliminabile e costi- tutivo di
tale classificazione; queste ordinate e artificiali classificazioni
costituiscono il necessario rimedio alla insufficienza e alla labilità della
memoria naturale. Come già aveva fatto Ramo, anche Bacone e Cartesio avevano
dunque inserito, nella loro logica, una dottrina degli aiuti della memoria: en-
trambi considerano una tecnica del rafforzamento della me- moria strumento
indispensabile alla formulazione e al “fun- zionamento” di una nuova logica o
di un nuovo metodo. Con Ramo, Bacone e Cartesio l’antico problema della memoria
artificiale che aveva per oltre tre secoli appassionato me- dici e filosofi,
studiosi di retorica, enciclopedisti e cultori di magia naturale, aveva fatto
in tal modo il suo ingresso, sia pure piegato a nuove esigenze e profondamente
trasfigurato, nei quadri della logica moderna. Attraverso l'influenza eser-
citata dal pensiero baconiano sulle ricerche linguistiche che si vel quasdam
potius quam caeteras, vel saltem nihil unquam bis frustra percurremus; quod
adeo iuvat, ut sacpe propter ordinem bene insti- tutum brevi tempore et facili
negotio peragantur, quae prima fonte videbantur immensa.] svolsero in
Inghilterra nella seconda metà del Seicento, attra- verso l’opera di Alsted e
di Comenio questo stesso problema apparirà ancora una volta essenziale alla
costruzione di dizionari totali, di linguaggi perfetti e di universali
enciclopedie. Non a caso nella tradizione lulliana si era lungamente insistito
sulle connessioni che intercorrono tra la memoria, la logica e l’enciclopedia.
« Si igitur ordo est memoriae mater, logica est ars memoriae » scriverà lo
Alsted; e non a caso, avviando i suoi progetti di una caratteristica uni-
versale, Leibniz si volgerà — oltre che a Bacone, Alsted e Comenio — a Lullo e
ai suoi grandi commentatori del Rina- scimento e si richiamerà a non pochi e
non secondari testi di ars memorativa. L'ideale enciclopedico che, da Bacone a
Leibniz, domina la cultura del secolo XVII si mostra operante, con forza sin-
golare, nell’opera vastissima di Alsted, maestro di Comenio a Herborn [cf. H.
P. Grice, “Harborne”], editore di testi del BRUNO, seguace di Lullo e di Ramo,
riformatore dei metodi dell’edu- cazione e dell’insegnamento. Percorrendo i
molteplici scritti, i numerosi manuali e infine il grande Systema mnemonicum
dello Alsted, ci si rende ben conto che dietro la sovrabbon- danza delle
citazioni, la ricchezza strabocchevole dell’erudi- zione e l'apparenza
antologica delle opere, dietro la mesco- lanza spesso caotica di temi di logica
di retorica di fisica e di medicina, sono presenti motivi essenziali: destinati
a eserci- tare un'influenza decisiva sul costituirsi, agli inizi del Seicento,
dell'ideale pansofico e dell’enciclopedismo. Riformare le tecniche di
trasmissione del sapere; dar luo- go ad una classificazione sistematica di
tutte le attività ma- nuali e intellettuali: entrambi questi progetti si
risolvono, per Alsted, in quello della costruzione di un nuovo « sistema » che
riunisca in un unico corpus, in un organo totale delle scienze, i princìpi di
tutte le discipline. Solo attraverso l’enci- clopedia, che rivela i rapporti
tra le varie discipline e porta alla luce la sistematicità del sapere, potrà
essere costruito un nuovo metodo, potrà essere definito un nuovo, organico pia-
no degli studi.’ L’esplicita adesione di Alsted alla tematica del lullismo, la
sua insistenza sul valore della memoria come tecnica dell'ordinamento
enciclopedico delle nozioni, possono essere intese solo in funzione di questo
suo grande progetto. ! Per i rapporti fra l'enciclopedia e il piano degli studi
cfr. GARIN, L'educazione in Europa, Bari. Sul lullismo di Asted cfr. Carreras y
ARTAU, La filosofia cristiana, Madrid; V. OsLer, s.v. in Dictionnaire de
Théologie Catolique. Molte opere inedite in Niceron, Mémoires, Parigi. Alla
ricerca di una via compendiosa capace di dischiudere all'uomo il possesso di un
sapere totale si volsero, secondo Alsted, i tre maggiori studiosi di logica che
siano apparsi sulla terra: Aristotele, Raimondo Lullo, Pietro Ramo. Essi si
rivolsero agli uomini, che erano alle origini della storia, « pror- sus feros
et cyclopicos » e, quasi tenendoli per mano, li condussero verso i pascoli
amenissimi della scienza ». Al di là delle differenze, i tre grandi filosofi
ebbero uno scopo e un me- todo comune «ad quem collinearunt, licet in modis
dissi- deant »: in questo senso le loro dottrine possono e debbono essere
conciliate.? Nella Panacea philosophica seu... de armo- nia philosophiae
aristotelicae lullianae et rameae® Alsted tenterà, con grande ricchezza di
riferimenti, una con- ciliazione dei tre metodi, ma già nella Clavis artis
lullianae che qui più da vicino ci interessa e che risale all'anno prece-
dente, troviamo presente questa stessa preoccupazione. Nel terzo capitolo dell’opera,
De tribus sectis logicorum hodie vi- gentibus, Alsted volgeva la sua attenzione
alla situazione, in Europa, degli studi di logica. Dopo aver tracciato un breve
quadro dell’aristotelismo e aver ricordato, fra gli aristotelici contemporanei,
MELANTONE (si veda) e Goclenius, SCALIGERO (si veda) e ZABARELLA (si veda), PICCOLOMINI
(si veda) e Suarez, egli lamentava lo
scarso vigore della setta dei lullisti tedeschi e paragonava la triste
situazione della logica tedesca, intieramente dominata dalle controversie fra
aristotelici e ramisti, al fiorire degli studi lulliani in ITALIA. I grandi
commentatori di Lullo, da Agrippa a BRUNO, dal Gregoire al De VALERIIS (si
veda), non sono stati in grado di chiarire il complesso funzionamento della combinatoria,
hanno aggiunto oscurità ad oscurità, hanno mescolato i loro sogni alle tenebre
del lullismo. Per risollevare le sorti 2 Cfr. Clavis artis lullianac et verae
logices duos in libellos tributa, id est solida dilucidatio artis magnac,
generalis et ultimae quam Raymun- dus Lullus invenit... edita in usum cet
gratiam corum, qui impendio delectantur compendiis, et confusionem sciolorum
qui iuventutem fatigant dispendiss, Argentorati, Sumptibus Lazari Zetzneri
Bibliop., prefazione, (Copia usata: Triv. Mor.). Panacea philosophica seu
Encyclopaediae universa discendi methodus. De armonia philosophiae
aristotelicac, lullianae et rameae, Herbornae, Braid. della setta lulliana è
necessario richiamarsi all'opera del La- vinheta, di Fernando de Cordoba, di
Lefèvre d’Etaples, di BOVILLO (si veda), dei fratelli CANTERIO (si veda), di PICO
(si veda) e riprendere dai fondamenti il grande progetto di Raimondo: trovare
una scienza, conosciuta la quale, tutte le altre possano essere senza fatica né
difficoltà conosciute, e che, come il filo di Teseo, costituisca il criterio di
verità di ogni aspetto e di ogni manifestazio- ne del sapere. Quest’ars
generalis, che Alsted avvicina ripetu- tamente alla cabala, potrà essere
realizzata mediante la de- terminazione dei « termini generalissimi » e dei «
princìpi ge- nerali » presenti in ogni singola scienza e la successiva indivi-
duazione dei termini e dei princìpi « comuni », costitutivi cioè di ogni
possibile sapere." Esistono quindi, per Alsted, assiomi o princìpi
universali comuni a tutte le scienze, operanti in ogni ricerca. Le scienze e le
tecniche si presentano, ad un primo sguardo, come un [Cfr. Clavis artis
lullianae: Tantum de Rameis restant philosophi in Germania minus celebres
Lullisti. In Germania, dico quia in Hispaniis, Galliis et ITALIA sunt
quamplurimi de hoc grege, ct nominatim quidem in ITALIA sunt speculatores...
qui huic arti sunt deditissimi... Haec duo sectae, Peripatetica dico ct Ramaea
in pracsen- tiarum sunt florentissimac, superest tertia, puta Lullistarum, quae
hodie ferme "Multis pro vili, sub pedibus jacet”. Il giudizio sui
commentatori era particolarmente aspro: Nam commentatores (utinam fuissent
commendatores) lulliani, tenebras potius et nebula offu- derugt quam lucem
‘attulerunt, aut facem practulerunt divino operi. Aut enim sua somnia
immiscuerunt, aut obscura per acque obscura explicarunt ». Lo scopo della
divina arte di Lullo fu di «talem inve- nire scientiam, qua cognita, reliquae
quoque sine difficultate ulla labo- reque magno cognoscerentur, et ad quam,
tamquam lydium lapidem, flum Thesci ct Cynosuram omne scibile examinaretur ».
L’avvicina- mento dell’arte lulliana alla cabala è, nell'opera di Alsted,
continuo e insistente. Si veda per es. la Tabula ad artis brevis cabalae
tractatus et artis magnac primum caput pertinens c il giudizio su Lullo: « Quum
Lullius fuerit mathematicus et kabbalista, impendio delectatus est me- thodo
docendi mathematica et kabbalista, ideoque circulus adhibuit, quos non nemo
concinne vocavit magistros scientiarum. Et huc facit tritus versiculus: Omnia dant mundo
Crux, Globus atque Cubus. Può
essere di qualche interesse notare che, fra i cultori dell'Arte, Alsted ricorda
anche POLIZIANO (si veda) «qui, opino per hanc artem, se disputare posse de
omnibus pollicebantur ». Per i richiami di Alsted a BRUNO cfr. le mie Note
bruniane, Rivista critica di storia della filosofia] insieme caotico, come una
disordinata foresta: dietro quel caos apparente sono rintracciabili le linee di
un ordine pro- fondo; la rigida separazione fra le scienze è solo provvisoria;
quell’intricata foresta potrà rivelarsi l’ordinata ramificazione di un unico,
comune albero del sapere dal quale si dipartono, secondo una razionale
successione, i rami delle singole scienze e delle differenti tecniche. In vista
della costruzione di un nuovo metodo universale è necessario riportare ordine,
coe- renza e sistematicità in quel caos, penetrare coraggiosamente in quella
foresta per chiarire l’ordinata struttura dei suoi rami, per svelare
l’esistenza di un tronco comune e portare infine alla luce le comuni radici. Da
questo punto di vista, il problema del metodo si risol- veva integralmente in
quello di un ordinamento delle nozioni, di una sistematica classificazione
degli oggetti che co- stituiscono il mondo e dei concetti che sono stati
elaborati dall'uomo. La logica, strumento del metodo, ha il compito di ordinare
e di classificare: La sola logica è l’arte della memoria. Non si dì nessuna
mnemotecnica al di fuori della logica. E pare che di ciò si sia accorto Raimondo
Lullo che, nel suo opuscolo De auditu kabbalistico, scrisse queste parole: Il
metodo vien costituito non solo per l’esercizio dell’umano intelletto, ma anche
perché fornisca un rimedio alla dimenticanza”. Se dunque l’ordine è la madre
della memoria, la logica è l’arte della memoria. Trattare dell’ordine è infatti
il compito della logica ».* L’intera enciclopedia si presenta in tal modo come
un grande Systema mnemonicum e la logica si presenta come una directio
intellectus che è, al tempo stesso, una confir- matto memoriae. Precisamente su
questo terreno Alsted tenta di realizzare una conciliazione tra la dialettica
rami- [Cfr. Systema mnemonicum duplex... in quo artis memorativae prae- cepta
plene et methodice traduntur: et tota simul ratio docendi, discendi, Scholas
aperiendi, adeoque modus studendi solide explicatur et a pseudo-memoristarum,
pseudo-lullistarum, pseudo-cabbalistarum im- posturis discernitur atque
vindicatur, Prostat, in nobilis Francofurti Paltheniana (Angelica). Systema mnemonicum duplex,
Logicae duplex est finis et duplex obiectum; primus est directio intellectus,
secundus est me- moriae confirmatio] sta e la combinatoria lulliana. Non a caso, nel System mne- monicum duplex,
dopo aver definito il metodo come instrumentum mnemonicum quod docet progredi a
ge- neralissimis ad specialissima » egli inserisce nella sua trattazione le tre
fondamentali leggi della dialettica ramista: Prima lex est lex homogeniae...
secunda lex dicitur coordinationis tertia lex dicitur transitionis. Eredità lulliane
ed influenze ramiste, echi delle ormai secolari discussioni sull’arte della «
memoria locale, andano in tal modo a congiungersi in funzione
dell’enciclopedia. Ma più che a una riforma della logica Alsetd era
indubbiamente interessato ad una riforma della pedagogia: una nuova
organizzazione dell’insegnamento, delle scuole, dei metodi didattici doveva corrispondere,
punto per punto, al nuovo ordinamento del mondo del sapere. Riducendo a sistema
— come scrive Bayle — tutte le parti delle arti ? Cfr. Systema mnemonicum
duplex. Seguendo una tradizione che risale al Lavinheta, Alsted avvicina i
circoli dell’arte lulliana ai «luoghi » della mnemotecnica di derivazione
ciceroniana di CICERONE: « Circulus in arte lulliana est locus et quoddam quasi
domicilium in quo instrumenta inventionis collocantur. (Clavis artis
lullianae). Ma, oltre alle opere già ricordate sono da vedere: Artium
liberalium, ac facultatum omnium systema mnemonicum de modo discendi, in libros
septem digestum et congestum, Prostat; Encyclopaedia septem tomis distincta,
Herborni Nassaviorum (Angelica; Braidense). Fra le opere di carattere religioso
€ pedagogico si vedano: Theatrum scholasticum, Flerborniae, 1610; (che contiene
un Gymnasium mnemonicum; Trigae canonicae, Francoforte (contenente una Artis
mnemologicae explicatio); la Dissertatio de manducatione spirituali,
transubstantiatio- ne, sacrificio missae, de natura et privilegiis ecclesiae,
Ginevra (cfr. Padova, Antoniana). Un certo interesse presenta anche la
classificazione delle scienze matematiche contenuta nel Methodus admirandorum
mathematicorum novem libris exhibens universam ma- thesin, Herbornae
Nassaviorum, Mathesis est pars encyclopaediae philosophicae tractans de
quantitate communiter... Ordo scientiarum mathematicarum hic est. Scientiac
mathematicae sunt pu- rae vel mediae. Purae sunt quac occupantur circa solam
quantitatem: quales sunt arithmetica et geometria. Mediae sunt quae occupantur,
circa quantitatem haerentem in corpore: ut cosmographia, uranoscopia,
geographia; vel in qualitate ut in optica, musica et architectonica, Padova,
Civica). pi Bayle, Dictionnaire historique et critique, Amsterdam, e delle
scienze, Alsted intendeva in realtà lavorare — come poi Comenio — per un sapere
unitario capace di riscattare e di liberare gli uomini. La ricerca di un
metodo, di una logica, di un linguaggio che consentano all’uomo di penetrare e
di dominare tutto, che garantiscano all'uomo il possesso dell’enciclopedia,
della sapienza universale: questo fu la pansofia. E nell’ideale pansofico,
proposto alla cultura di tutta Europa (ma la /anza linguarum fu tradotta anche
in arabo e in persiano e pene- trò fin nell’ Estremo Oriente) dall'impeto
riformatore di Co- menio ritroviamo chiaramente presenti non solo gli insegna-
menti di Bacone e di Alsted, di Ratke e di Andrei, ma anche molti dei temi
derivati dalla tradizione dell’ars memorativa e da quella, essai più vigorosa,
dell’enciclopedismo lullista.'° Mentre andava chiarendo le linee fondamentali
del suo pensiero, nella Conatuum pansophicorum dilucidatio, Co- menio enumerava
gli autori che lo avevano preceduto, le opere dalle quali il suo tentativo
poteva trarre conforto e ispirazione. Fin dall’antichità uomini insigni
tentarono di raccogliere il complexum totius eruditionis; in questo senso operò
Aristotele indicando le tre leggi necessarie al raggiun- gimento di quella
onniscienza che è possibile all'uomo: la principiorum universalitas, l’ordinis
methodus vera, la ve- ritatis certitudo infallibilis. A queste stesse leggi —
prosegue Comenio — si son richiamati quegli studiosi che, nell’età moderna, si
sono fatti autori di enciclopedie, di polimatheie, di sintassi dell’arte
mirabile, di teatri della sapienza, di pa- nurgie, di grandi restaurazioni, di
pancosmie. I titoli cui Comenio fa riferimento ci rimandano ad opere ben note:
agli scritti di De VALERIIS e del Gregoire, alle opere di CAMILLO e di Patrizzi
che vengono accostate (e l’accosta- [Sulle origini della pansofia: PeuckeRT,
Pansophie. Ein
Versuch zur Geschichte der weissen und schwarzen Magie, Stuttgart. Sugli ideali pedagogici: L. Kvacata, }. A.
Comenio, Berlino, c ora GARIN,
L'educazione in Europa. Sul lullismo di Comenio brevissime, insufficienti
annotazioni in CARRERAS Y ARTAU] mento è significativo) alla /nstauratio magna
di Bacone. Di fronte a questa eredità, Comenio ripete il solenne motto di
Seneca: Molto fecero quanti vennero prima di noi, ma essi non terminarono
l’opera; molto resta e molto resterà ancora da fare; neppure fra mille secoli
sarà preclusa ad alcuno fra i mortali l’occasione di aggiungere ancora
qualcosa. Ri- chiamandosi a questa eredità Comenio intende dunque rea- lizzare
un’opera universale e anch’essa, come già quella dei suoi predecessori, non è
costruita solo per l’uso degli eru- diti ma per quello di tutti i popoli
cristiani. Muterà il destino stesso della razza umana quando sarà realizzata
quella pansofia che è « universae eruditionis breviarum solidum, intellectus
humani fax lucida, veritatis rerum norma stabilis, negotiorum vitae tabulatura
certa, ad Deum denique ipsum scala beata. I richiami di Comenio ai teatri, alle
sintassi, alle enciclopedie basterebbero da soli a documentare l’esistenza di
una effettiva continuità di temi e di motivi, il persistere di interessi comuni
fra i maggiori esponenti dell’enciclopedismo lullista e i teorici della
pansofia. Ma non meno evidenti — anche se assai meno noti — sono i rapporti che
legano l’opera comeniana a quella dei maggiori teorici dell’ars me- morativa
per tanti aspetti connessa alla rinascita del lullismo. Solo chi abbia presenti
le discussioni sulla funzione mnemonica delle immagini, tanto diffusa fra gli
esponenti dell'Arte, potrà rendersi conto dell'ambiente nel quale ebbe a
maturare il tentativo come- miano di fondare sulle figure e sulla visione ogni
duraturo e stabile apprendimento. La prima parte dell’ Ordis sensualium pictus si presenta, non a caso,
come una omnium principalium in mundo rerum et in vita actionum pictura. Per
quanto qui esposto cfr. Philosophiae prodromus et conatuum pansophicorum
dilucidatio. Accedunt didactica dissertatio de sermonis latini studio perfecte
absolvendo, aliaque erusdem, Lugduni Batavorum, Officina David Lopez de Haro. La
prima edizione dell’opera è Londra, L. Fawre et S. Gellibrand. Ho visto
l'edizione nell’esemplare dell’Angelica al quale è stato legato assieme il FABER
FORTVNA sive ars consulendi sibi ipsi ttemque regulac vitae sapientis,
Amstelodami, ex officina Petri van der Berge] et nomenclatura », e chi ne
scorra le pagine piene di figure e di simboli troverà appunto, ovunque
presente, la tesi che la realtà delle cose dev'essere intuita e vista
attraverso le immagini delle cose. Fondamento di un erudizione non astratta e
scolastica, ma « piena e solida », non oscura e con- fusa, ma «chiara e
distinta e articolata come le dita della mano », è la «retta presentazione, ai
sensi, delle cose sensi- bili ». Solo per questa via, la via dell'immagine, del
senso e della memoria, sarà possibile giungere poi alla più alta educazione
dell’intelletto. Alle immagini vien dunque attri- buita una funzione decisiva:
esse sono «le icone di tutte le cose visibili dell’intero mondo, alle quali,
con modi appro- priati, saranno riducibili anche le cose invisibili ».
Riprendendo il motivo centrale della Cirsà del Sole campanelliana di CAMPANELLA
Comenio giunge a significative conclusioni: al nostro fine servirà validamente
anche questo: dipingere sulle pareti delle aule il sunto di tutti i libri di
ciascuna classe, tanto il testo (con vigorosa brevità) quanto le illustrazioni,
ritratti e rilievi, che esercitino ogni giorno i sensi e la memoria degli
studenti. Sulle pareti del tempio d’ Esculapio, come ci hanno tramandato gli
antichi, erano scritte le regole di tutta la me- dicina che Ippocrate, di
nascosto, copiò da capo a fondo. Anche Dio infatti dovunque riempì questo
grande teatro del mondo di pitture, di statue e di immagini, come vive rap-
presentazioni della sua sapienza ». Non si trattava solo della generica
accettazione di mo- tivi diffusi: l’« alfabeto filosofico » proposto da Comeniocontro
quella « permolesta ingeniorum tortura » che è la sil- labatro, nel quale le
lettere son riprodotte accanto all’imma- gine dell'animale «cuius vocem litera
imitatur »,!” non fa che riprodurre, con intenti solo in parte diversi, quegli
« al- fabeti mnemonici » che troviamo presenti in tutti i testi
quattrocenteschi e cinquecenteschi di ars reminiscendi. A questa stessa tecnica
del raffrozamento della memoria (lar- [Orbis senstalis picti pars prima. Hoc
est: omnium principalium in mundo rerum et in vita actionum pictura et
nomenclatura, cum titu- lorum iuxta cetque vocabulorum indice, Noribergae,
Sumtibus Joh. Andr. Endteri haeredum, anno salutis. Si vedano, in particolare,
le pagine della prefazione. Cfr. Orbis sensualis picti pars prima, cit., prefazione]
ghissimamente impiegata dallo stesso Comenio nel DE SERMONIS LATINI STUDIO), ai
teatri del mondo, alla ca- bala si richiamano poi quelle numerose pagine di
Comenio nelle quali vien presentato quel Theatrum sapientiae cui dev'essere
attribuito, per la nobiltà degli oggetti che racchiu- de, il più solenne nome
di Templum. Il tempio della panso- fia cristiana è costruito secondo le idee,
le norme, le leggi divine, è consacrato a tutte le genti di ogni lingua: in
esso sono « collocati » le facoltà, gli oggetti prodotti dalla forza naturale
presenti nel mondo visibile, l’uomo e i prodotti dell'ingegno umano, le realtà
interne dell’uomo, Dio e le potenze angeliche, i prodotti della vera sapienza:
di fronte a queste pagine comeniane è difficile non ricordare le mac- chinose
costruzioni emblematiche di De VALERIIS (si veda) e di CAMILLO, le grandi
rassegne della realtà universale presenti nel Thesaurus artificiosa memoriae philosophis
di ROSSELLI (si veda). Anche il progetto comeniano di una enciclopedia totale »
appare del resto profondamente legato alle impostazio- ni del lullismo, alle
discussioni sulla catena scientiarum, ai progetti, così numerosi nel
Cinquecento, di una scienza uni- taria o arte universale. L’oggetto della
sapienza — scrive Comenio nel Pansophiae prodromus — è stato di volta in volta
attribuito alla filosofia, alla medicina, alla teologia, al diritto; è stato
concepito come oggetto di una scienza par- ticolare; identificato con una
visione parziale che allontana ogni speranza di pervenire alla totalità, alla
comprensione dell’unità del mondo. Alla visione totale, alla lettura del gran
libro dell'universo si potrà giungere attraverso un pro- cesso graduale che va
dall’enciclopedia sotto la specie sensi- bile (orbis sensualis) all’enciclopedia
sotto la specie intellet- tuale (orbis intelletualis): alla visione unitaria,
che è lo scopo più alto del sapere, non si potrà invece mai giungere me- [Il
testo della Dissertazio didactica de sermonis latini studio in Pan- sophiae
prodromus. Per il tempio della pansofia cristana cfr. Pansophiae christianae
templum ad Ipsius supremi Architecti Onnipotentis Dei ideas, normas, legesque
Istruendum, et usibus Catholicae Iesu Christi Ecclesiae, ex omnibus gentibus,
tribubus, populis et linguis collectae et colligendae consecrandum ». Cfr.
anche la Pansophiae Diatyposis iconographica, Amstlelodami] diante la
successiva aggiunta di considerazioni parziali. Tutti i tentativi di giungere
all'unità mediante l’enumerazione e la collezione delle soluzioni e delle tecniche
particolari, sono miseramente falliti: da un lato si son confezionati gigante-
schi ma inutili elenchi che volevano esaurire, in una mint- tiarum confectatio,
la totalità delle parole e delle cose; dal- l’altro si son costruite
ordinatissime enciclopedie simili più ad eleganti catene dai molti anelli che a
macchine capaci di funzionare in modo autonomo e cocrente. Ne son derivati
ordinati mucchi di legna disposti con gran cura e pazienza, ma non si è
riusciti a dar luogo a quell’albero vivo delle scienze verdeggiante di fronde e
ricco di rami e di frutti che trae alimento e vigore dalle sue proprie radici.
Dar vita a quell’albero («at nos scientiarum et artium radices vivas, ar- borem
vivam, fructus vivos desideramus »), sarà possibile solo attraverso la visione
unitaria del tutto, la pansofia che è insieme possesso del tutto e viva
immagine del vivente uni- verso: Pansophiam dico, quae sit viva universi imago,
sibi ipsi undique cohaerens, seipsam undique vegetans, seip- sam undique fructu
applens. A quegli inutili, pedante- schi elenchi di parole e di cose andrà
quindi contrapposto il promptuarium universalis eruditionis, il libro della
pan- sofia: qui la compendiosità, la chiarezza, il rifiuto di ogni oscurità, la
« perpetua connexio causarum cet effectuum » la ordinis continuo fluentis
series a principio ad finem» so- stituiranno la caoticità e l’oscurità delle
precedenti compila- zioni.!’ In realtà l'enciclopedia comeniana, per quanto
attiene ai motivi di fondo, non si muoveva su un piano molto diverso da quello
sul quale si erano mossi Cfr. Pansophiac prodromus, e le considerazioni svolte
a questo proposito da GARIN, L'educazione in Europa, Cfr. Pansophiae prodromus: Quas adhuc vidi
Encyclo- paedias ctiam ordinatissimas similiores visae sunt catenae annulis
mul- tis eleganter contextae, quam automato rotulis artificiose ad motum
composito et seipsum circumagente; et lignorum strui, magna quadam cura et
ordine eleganti dispositac similiores, quam arbori e radicibus propriis
assurgenti spiritus innati virtute se in ramos et frondes expli- canti, et
fructus edenti. Cfr. Pansophiae prodromus gli “enciplopedisti” di ispirazione
lulliana. Questa comu- nanza di impostazioni, che sussiste al di là delle
differenze, delle critiche e dei polemici rifiuti, risulterà chiara ove si
prendano in considerazioni alcuni problemi caratteristici) quello dei rapporti
intercorrenti fra la logica e l’enciclope- dia; 2) quello della corrispondenza
fra l’universo dei segni c l'universo delle cose; quello dell’unità del mondo
(ritma- to secondo l'armonia delle leggi divine) rispetto alla quale
l'enciclopedia si pone come uno specchio; infine quello della
logica-enciclopedica come «chiave universale » capace di dischiudere all’uomo i
segreti ultimi della realtà. Su ciascuno di questi punti la posizione di
Comenio è precisa: il vocabolario o la fanua linguarum coincide con la enciclopedia
(«januam linguarum et encyclopediam debere esse idem ») e si pongono come una
intellectus humani cla- vis che consente la lettura dell’alfabeto divino
impresso sulle cose; l'ordinamento rigoroso delle nozioni, l’immagine uni-
taria e gerarchica dell’universo sono il frutto più alto del nuovo metodo che è
in grado di ricondurre ogni nozione al suo genere e alla sua specie ut quicquid
de ulla re dicendum est, simul et semel de omnibus dicatur de quibus dici
potest »; l’intera enciclopedia appare fondata su un numero ridottissimo di
«assiomi » o di «sententiae per se fide di- gnae, non demonstrande per priora,
sed illustrandae solum exemplis »; l’intero mondo del sapere apparirà in tal
modo simile a una «catena » la cui struttura appare simile a quel- la in uso
nella matematica. Il rimedio sarà: una conformazione di tutte le arti e le
scienze tale che ovunque si inizi dalle cose più note e il processo verso
quelle ignote avvenga con lentezza e gradatamente, così come, in una catena,
ogni anello sostiene e trascina l’altro anello... Come, presso i ma- tematici,
dimostrato un teorema segue il sapere e dimostrato un problema segue l’effetto,
così, nella pansofia, dimostrata una qualche parte dell’universale dottrina, ne
conseguono certezza e infallibilità. Cfr. Pansophiae prodromus. Sulla
coincidenza della Janua linguarum e dell'enciclopedia cfr. la Janua linguarum
reserata aurea, Lugduni Batavorum, prefazione e l' Eruditionis scholasticae
atrium rerum et linguarum ornamenta exhibens, Norimbergae, Braid., e Angelica. L’infinita varietà delle nozioni
e delle cose è dunque ri- ducibile ad un numero limitato d’assiomi o di
princìpi. Questa riducibilitù —che rende possibile la stesura del libro della
pansofia — appare chiaramente fondata, anche in Comenio, su alcuni tipici
presupposti: le strutture del di- scorso e quelle del mondo reale si
corrispondono pienamente; le stesse, identiche rationes sono presenti in Dio,
nella natura, nell’arte. Le raziones rerum sono in ogni caso le stes- se: in
Dio sono ut in Archetypo, in natura ut in Ectypo, nell’arte ut in Antytipo. Di
fronte ai dubbi che possono essere avanzati sulla possibilità di rintracciare
una «chiave univer- sale », Comenio fa appello alla riducibilità del mondo a
pochi fondamentali elementi e allo stretto parallelismo intercorren- te tra le
res da un lato ce i conceptus, le imagines, i verba dall’altro: Per quanto le
cose poste al di fuori dell’intelletto sembrino qualcosa di infinito, tuttavia
esse non sono infi- nite perché il mondo, opera stupenda di Dio, consta di
pochi elementi e di poche forme differenti e perché tutto quanto è stato
escogitato mediante l’arte può essere ricondotto a determinati generi e a
determinati punti principali. Poiché dunque fra le cose e i concetti delle
cose, fra le immagini dei concetti e le parole si dà un parallelismo, e poiché
nelle cose singole sono presenti alcuni princìpi fondamentali dai quali tutto
il resto risulta, io pensavo che quei princìpi fon- damentali, che sono
egualmente nelle cose, nei concetti e nel discorso, potessero essere insegnati.
Mi veniva anche alla mente che i chimici avevano trovato il modo di liberare le
essenze o spiriti delle cose dalla superfluità della materia in modo da poter
concentrare in una piccola goccia una forza ingente di minerali e di vegetali e
che questa goccia era, nelle medicine, di maggior efficacia che i corpi mine-
rali e vegetali nella loro integrità. E non potrà essere escogitato nulla
(pensavo) per radunare e concentrare in qualche modo i precetti della sapienza
ora sparsi per i così ampi ter- reni delle scienze ed anzi, al di là dei loro
stessi confini, sparsi Eadem proinde sunt rerum rationes, nec differunt, nisi
existendi forma: quia in Deo sunt ut in Archetypo, in natura ut in Ectypo, in
arte ut in Antitypo Pansophiac prodromus. all’infinito? Allontaniamo ogni
sfiducia perché ogni atto di sfiducia è una bestemmia verso Dio. Determinando i
princìpi e le essenze, ponendosi come specchio fedele della natura, l’arte ha
il compito di rivelare la profonda armonia che lega gli elementi dell’universo:
Omnis harmoniae fons, Deus, harmonice fecit omnia i musici chiamano armonia la
piacevole consonanza di molte voci e tale, in verità, è l’armonioso concerto
delle virtù eter- ne in Dio, delle virtù create nella natura, delle virtù
espresse nell’arte; in Dio, nella natura, nell'arte si dà armonia e c’è armonia
divina e l’arte è immagine della natura. Di qui nasceva la fede di Comenio
nella possibilità di una partecipazione di tutti gli uomini a una comune
salvez- za, la sua convinzione che, attraverso la conquista della pansofia,
potessero terminare per sempre le guerre, le liti, i dis- sidi dei quali
fin’ora si è nutrito il mondo: «cederent etiam non invitae tam claro lumini
errorum tenebrae et hominibus facilius cessarent dissidia, lites, bella quibus
se nunc conficit mundus. L'eredità dell’ enciclopedismo lullista, la fede nella
possibilità di un’arte capace di porsi come strumento di razionale convivenza
tra le genti, l'aspirazione a un metodo universale o scienza unitaria che
riveli la coincidenza tra le strutture del pensiero e quelle della realtà erano
ormai state integralmente accolte, in quanto avevano di più valido, dai
maggiori rap- presentanti della cultura europea. Bacone, Cartesio, Alsted,
Comenio (così come più tardi avverrà con Leibniz) avevano accolto alcuni temi
presenti nella tradizione lullista e li ave- [Pansophiae prodromus, Pansophiae
prodromus. Ma su que- ste conclusioni cfr. anche la Janua rerum reserata hoc
est sapientia pri- ma (quam vulgo metaphysicam vocant) ita mentibus hominum
adaptata ut per cam in totum rerum ambitum omnemque interiorem rerum or- dinem
et in omnes intimas rebus coeternas veritates prospectus pateat catholicus
simulque et cadem omnium humanarum cogitationum, ser- monum, operum fons et
scaturigo, formaque et norma esse appareat. Pansophiae prodromus] vano inseriti
in un più vasto discorso concernente la logica, la funzione della filosofia, i
rapporti fra le scienze, l'educazione del genere umano. In molti dei testi,
numerosissimi, dei sequaci e dei commentatori di Lullotroviamo invece solo la
ripetizione di motivi ormai tradizionali, l’insistenza su temi ormai
trasformati in luoghi comuni, la pedantesca riesposizione delle regole della
combinatoria. Le discussioni sull’enciclopedia, sulla trasmissione del sapere,
sul metodo, sul linguaggio si andavano ormai svol- gendo, a più alto livello,
in ambienti differenti. E tuttavia anche di questi testi — non pochi fra i
quali furono ammirati c celebrati in tutta Europa e amati e studiati da uomini
insigni — gioverà tener conto. Non solo per sottolineare la presenza operante
di un tipo di ricerche che ebbe eco vastissima, ma anche per rendersi conto di
come, su quelle stesse ricerche, andassero riflettendosi alcune esigenze
caratteristiche della cultura del Seicento. Abbiamo già ricordato i progetti di
unificazione delle scienze presenti nelle opere di Morestell, di Meyssonnier, d’Aubry,
ma altri casi sono, da questo punto di vista, non meno indicativi. A Parigi, veniva
pubblicato da R. L. de VASSI (si veda), consigliere del re, Le fondément de
l'artifice universel... sur lequel on peut appuyer le moyen de pervenir à
l’Encyclopedie ou universalité des sciences par un ordre méthodique beaucoup
plus prompte et vrayment plus facile qu aucun autre qui soit communement receu.
Il libro, nonostante le
mirabolanti promesse contenute nella lettera dedi- catoria, conteneva in realtà
solo la parziale traduzione di alcuni scritti di Lullo. Ma è significativo che
l’opera di Lullo venisse allora presentata come l’strumento atto a consentire
il metodico ordinamento delle scienze e la realizzazione del- l'enciclopedia. In una situazione che il
de Vassi giudicava assai poco favorevole agli studi lulliani («la pratique
artift- cielle du Docteur Raymonde Lulle, mis en oubly par la plus grand part
et rejetté communement du commun des Docteurs) i testi della combinatoria
venivano riproposti in fun- 29 Traduit par Sicur de Vassi, conseiller du Roy, A
Paris, dans l'imprimerie d’Ant. Champenois
(Triv., Mor.] zione di un problema che era, in quegli anni, estremamente
attuale. E’ un atteggiamento, questo, che ritroviamo presente anche negli
scritti (ben noti a Leibniz) di Jano Cecilio Frey, medico della regina madre di
Francia, au- tore, oltre che di scritti di medicina e di fisiognomica, di un
compendio di filosofia aristotelica e di una Via ad divas scientias artesque,
linguarum notittam, sermones extemporaneos nova et expeditissima. Nell’edizione
postuma delle sue opere ® troviamo, accanto ai consueti interessi per la
retorica e per il linguaggio, per la logica (via ad scienttas) e per l’enciclo-
pedia (scientiae et artes omnes ordine distributae et desumptae), il tentativo
di ridurre ad assiomi i princìpi di tutte le scienze (ariomata philosophica) e
di tracciare le linee di un ordina- mento degli studi. Le regole dell’arte
della memoria di origine ciceroniana vengono riprese dal Frey e inserite —
sulle tracce del Lavinheta — nella tematica dell’ars combinandi. Non a caso la
pAilosophia rationalis viene ripartita dal Frey in logica, dialettica e arte
memorativa -- philosophia rationalis est logica et dialectica et ars memorativa.
La costruzione di una assiomatica delle scienze (riduzione di tutti i termini
fondamentali delle singole scienze ai prin- cìpi di una combinatoria
riformata), la determinazione dei rapporti fra i vari rami del sapere sono i
temi centrali anche [L'opera e pubblicata a Parigi (excudebat Langlaeus) (Braid.). Del Frey sono da ricordare il
Compendium medicinae e | Onmnis homo, item amor et amicus, item Physiognonia
Chiromantia Onciromantia, Parigi. Di questi ultimi due scritti e del panegirico
com- posto dal Gaffarcl (Lacrimae sacrae in obitum Ilani Caecilii Frey medici,
Parigi) dà notizia il THORNDIKE, History of magic and experimental science, New
York. È da vedere anche l'Universae philosophiae compendium luculentissimum, ad
mentem ct methodum Aristotelis concinnatum, Parisiis, excudebat D. Langlaeus (Par.
Naz.). Jani Caecitu Frey, Opera quae reperiri potuerunt in unum corpus
collecta, Parisiis, J. Gesslin (Copia usata: Angelica). Philosophia rationalis est logica
et dialectica et ars memorativa. Dialectica quidem dans materiam disputandi et
argumenta. Logica dans formas
argumentandi. Dialectica vel lullistica, vel peripatetica, vel ramea » (Opera).
Per la ripresa dei tradizionali motivi della mnemotecnica ciceroniana si vedano]
del macchinoso Digestum sapientiae (di Ivo de Paris e del grande Commento
all'arte lulliana di PACE (si veda), scolaro di ZABARELLA (si veda) e profugo a
Ginevra, professore a Heidelberg e a PADOVA. Quest'ultimo testo, compilato da
uno fra i più acuti e più noti traduttori e commentatori dell’Organon
aristotelico, da un uomo che e, oltre che logico insigne, giurista di gran
fama, sarebbe, di per sé, meritevole di un lungo discorso. Ma giove invece
soffermarsi con una certa ampiezza su un testo
che ha immediata risonanza curopea e godette poi di fortuna grandissima:
il Pharus scientiarum d’Izquierdo. Alla costruzione dell’arte universale o
«scienza delle scienze — afferma Izquierdo — hanno lavorato nei secoli
Aristotele e CICERONE, Quintiliano e Lullo. Quest’antica aspirazione verso una
logica prima che possa illuminare, come un faro, il cammino ai naviganti nel
mare della sapienza, ha trovato espressione nella Sinzaxis di Gregoire, nel
Digestum di Ivo de Paris, nella Cyclognomica di GEMMA (si veda), da Flandre, nel
Novum Organum di Bacone. Per condurre a termine l’opera da questi autori
avviata, è necessario rendersi conto di tre cose: 1) l'enciclopedia (la
scienzia circularis o orbicularis degli antichi) non consiste in un aggre- [L’opera
di Ivo De Paris, Digestum sapientiac, in quo habetur scien- tarum omnium rerum
divinarumn atque humanarum nexus et ad prima principia reductio, fu pubblicata
a Parigi. Un'altra edizione, più nota, a Lione. Cfr. CarrERAS y ARTAU, Op.
cit.. Pace,
L'art de Raymond Lullius esclaircy... divisé en IV livres ou est enscigné une
méthode qui fournit grand nombre de termes universels d'attributs, de
propositions et d’argumens par le moyen desquels on peut discourir sur tous
sujets, Paris, F. Julliot (Par. Naz.); Artis lullianac emendatae libri IV,
Neapoli, ex typ. Secundini Roncalioli (Par. Naz. Rés.). Sul grande commento
aristotelico - In Porphyrii Isagogen et Aristotelis Organtm commentarius
analyticus, Aureliac - si vedano, fra l’altro, le considerazioni di Colli,
introduzione alla versione italiana dell'’Organon, Torino; SepastIan IzquierDo
S. ]., Pharus scientiarum ubi quidquid ad cognitionem humanam humanitus
acquisibilem pertinet, ubertim juxta atque succincte pertractatur, Lugduni,
sumptibus C. Bourget et M. Liétard (Par. Naz.). Cfr. Carreras Y Artau, Cenat, E/ P. S. Izquierdo y su
Pharus scientiarum, « Revista de filosofia] gato di tutte le scienze, ma in una
scienza speciale (« in spe ciali quadam scientia consistere ») che comprende in
sé la totalità di tutte le scienze ivi compresi i princìpi della stessa scienza
speciale o universale; alla logica parziale di Aristotele, va sostituita una
logica integra che comprenda, oltre all’ars intelligendi perfezionatrice
dell’intelletto, un’ars memorandi che soccorre alla memoria, un’ars imaginandi
e un’ars experiendi che si volgono ad accrescere le capacità della fantasia e
quelle dei sensi esterni; a metafisica deve procedere con assoluto rigore
dimostrativo secondo il modello delle scienze matematiche: se i metafisici
avessero ragionato dimostrativamente muovendo, al modo dci matematici, da
princìpi evidenti, avrebbero già costruito gran parte della me- tafisica ». In
questo modo di concepire la funzione della filosofia prima e in questa
auspicata estensione del metodo mate- matico alla metafisica, operavano senza
dubbio suggestioni cartesiane. Che si fanno ancor più evidenti quando
l’Izquierdo (dopo aver criticato l’arte di Lullo per la barbarie della sua
terminologia, l'insufficienza delle combinazioni binarie e ternarie,
l'incapacità a discendere dai termini universali a quelli particolari)
identifica la combinatoria con un calcolo. Solo la matematizzazione dell’ars
combinandi potrà consentire la creazione di quell’unico strumento di tutte le
scienze « per quod immediate fabrica scientiae humanae construitur et absque
ullo termino semper augetur ». L’idea di avvicinare l’Ars magna ai procedimenti
della matematica, assimilando la combinatoria ad un «calcolo », sarà ripresa,
com'è noto, dal Leibniz e sarà feconda di importanti sviluppi. Ma negli anni
nei quali Leibniz si volgeva alla combinatoria, si tratta, contrariamente a
quanto molti han ritenuto, di idea non peregrina. La ritroviamo per esempio,
chiaramente formulata, negli scritti di quel singolare venditore di fumo che fu
il padre gesuita Atanasio Kircher,*° celebrato per le sue mirabili competenze [
Sul Kircher cfr. Carreras Y Artau, THORNDIKRE, History of magic, Couturat, La
logique de Leibniz, FriepLanpER, A. Kircher und Leibniz. Ein Beitrage zur
Gesch. der Polyhistorie im XVII Jahrh., Atti della Pontificia Accad. romana di
archeologia », Rendiconti, in fisica e in archeologia, in filologia e in
egittologia, in storia e in teoria del linguaggio, autore, fra l’altro, del
celeberrimo Mundus subterraneus e di un trattato, altrettanto noto, sui mi-
steri dei numeri.?° Ed è significativo, importante per l’inten- dimento di un
ambiente culturale, che l'accostamento dell’Arte ai procedimenti matematici,
l'esaltazione della combinatoria di Diofanto (« Diophanti nobilis mathematici
ars combinato- ria ») alla quale veniva ravvicinata la combinatoria di Lullo,
ci appaia presente non solo negli scritti di logici insigni, come l’Izquierdo,
ma nelle opere confusissime di un uomo come il Kircher per tanti aspetti legato
ai temi della tradizione erme- tica e della sapienza gnostica, ai motivi della
magia e della cabala, alle speculazioni sui misteria numerorum. Nonostante le
sue tirate retoriche sul valore del metodo sperimentale e la sua difesa della
nuova scienza, Kircher credeva alle qualità occulte, alle « simpatie » e ai
poteri dell’immaginazione, riat- fermava la teoria della generazione spontanea,
era convinto dell’esistenza di demoni girovaganti per le miniere, era pronto,
in ogni caso e in ogni circostanza a sottolineare gli aspetti « miracolosi » e
meravigliosi » della realtà. Quando l’impera- tore Ferdinando III, durante le
aspre polemiche suscitate in Germania dall’apparizione del Pharus scientiarum
dell’ Iz- quierdo, fece appello alla dottrina del Kircher per essere in-
formato sulla reale utilità dell’arte lulliana e sulla possibilità di una sua
ulteriore semplificazione, il gesuita tedesco elaborò una complicata riforma
che si rifaceva in gran parte al Pharus dell’ Izquierdo.?! Mentre riprendeva le
critiche del suo pre- decessore, Kircher si volgeva però, con prevalente
interesse, alla costruzione delle immagini, alle allegorie, alla elaborazione
di figure e di simboli, ai misteri dell'alfabeto. Negli ultimi decenni del
secolo, soprattutto ad opera dei °° KircHer, Mundus subterraneus, Amstelodami,
apud Joannem Janssonium et Elizeum Weyerstraten; Arithmologia sive de abditis
numerorum mysteriis, Roma, KircHer, Ars
magna sciendi in XII libros digesta, qua nova et universali methodo per
artificiosum combinationum contextum de omni re proposita plurimis et prope
infinitis rationibus disputari omniumque summaria quaedam cognitio comparari
potest, Amsterdam, gesuiti, il lullismo si legava ancora una volta
all'atmosfera, ormai torbida ed equivoca, dell’ermetismo e della magia. Nei
farraginosi scritti di un altro gesuita, il padre Caspar Knittel, troviamo solo
un’ampia esposizione delle regole della combi. natoria e la stanca, monotona
ripetizione delle tesi del Kir- cher.*° Nei primi anni del Settecento, un
grande erudito, il Morhofius, esprimeva, su queste riforme e questo tipo di
pro- duzione magico-filosofica, un giudizio che può essere ripreso: « illa vero
consistit in eo nel Knittel emendatio, quod nova comminiscatur Alphabeta, aliis
literarum formis alioque or- dine, quae mihi res exigua videtur »." In
tutt'altro senso, intorno alla metà del secolo, aveva par- lato dell’ «
alfabeto » Bisterfield che aveva progettato un alfabeto filosofico dopo aver
raccolto e ordinato, in accuratissime tavole, tutti i termini tecnici e tutte
le definizioni impiegati da ciascuna scienza. Nella creazione di 22
Sull'ipotesi di una presa di posizione dei Gesuiti in favore della magia contro
la nuova scienza cfr. L. THorNDIKE, History of magic, KNITTEL S. J., Via regia
ad omnes scientias et artes, hoc est ars universalis scienttarum omnium artiumque
arcana facilius pene- trandi, Pragae, J. C. Laurer (Par. Naz.); ma è da ve-
dere anche la Cosmographia elementaris, Norimbergae, J. A. et Endteri (Angelica)
MorHorius, Polyhistor literarius philosophicus et practicus, Lubecca, Ho fatto
uso dei due volumi delle opere: Bisterfieldus redivivus, seu operum
Bisterfieldi... tomus primus-secundus, Hagae Comitum, ex typographia A. Vlacq,
1661. Il primo volume contiene: Alphabeti philosophici libri tres; Aphorismi
physici; Sciagraphia Analyseos (pp. 191-211); Parallelismus analy- seos
grammaticae et logicae; Artificium definiendi catho- licum (pp. 1-104);
Sciagraphia Symbioticae (pp. 3-144). Il secondo volume contiene: Logica; DE
PVRITATE ORNATV ET COPIA LINGVA LATINAE; Ars disputandi; Ars combinatoria; Ars
reducendorum terminorum ad disciplinas liberales technologica; Ars seu canones
de reductione ad praedica- menta (pp. 42-46); Denarius didacticus, seu decem
aphorismi bene discendi; Didactica sacra; Usus lexici. (Angelica). Del
Phosphorns catholicus, seu queste tavole, nella ricerca di perfette definizioni
si esauriva per Bisterfield la stessa enciclopedia, quel pictum mundi
amphitheatrum che è « ordinatissima compages omnium disci- plinarum ».'° Più
che sulla logica e sul metodo (inteso come regola dell'intelletto e rimedio
alla naturale debolezza della memoria) Bisterfield insiste infatti
sull'importanza decisiva della praxis logica che è una «artificiosa coniunctio
» dei ter- mini della logica e di quelli dell’enciclopedia, una mescolanza
degli instrumenta della logica con l’universale enciclopedia. Alle radici
dell’enciclopedia stanno i termini trascendentali (« termini trascendentales
sunt primae universae encyclopae- diae radices »): da essi muovono l’analisi
(che è riduzione di un discorso o di un testo ai suoi termini semplici) e la
genesi (che è simplicium combinatio): come per una scala si potrà pervenire a
quell’artificium definiendi che consente una esatta definizione di tutti i
termini dell’enciclopedia e una risolu- zione di tutti i termini nei termini
primari o fondamentali.?* ars meditanti epitome cui subjunctum est consilium de
studiis felici- ter instituendis ho visto l'edizione Lugduni Batavorum, H.
Verbiest (Angelica). Alphabeti philosophici libri tres, Cfr. Alphabeti
philosophici libri tres, Praxis logica consummatur, si omnes termini logici,
cum universa encyclopaedia misccantur; Logica. Usus seu praxis logica est
artificiosa instrumentorum logicorum ct terminorum enciclopaediae coniunctio...
In praxi logica singulos terminos logicos cum singulis singularum disciplinarum
terminis conferri debere. Cfr. Alphabeti philosophici libri tres. Termini
trascendentales sunt primae universae encyclopaedia radices; Sciagraphia
analyscos, Analysis est accuratum de textu seu dissertatione in sua principia
resoluto iudicium. Totuplex sit analysis quotuplex in textu adhibita fuit
genesis, idque ordine retrogrado. Analysis autem upote praxis frugalem
compendiorum ac tabularum cognitionem prae- supponit; A/phabeti philosophici
libri tres, p. 110: «Praxis logica est vel simplicium combinatio vocaturque
Genesis, vel combinatorum reductio vocaturque analysis, vel denique mixta
estque vel Genesis- analysis vel Analysis-genesis cuius varietas est infinita;
Artificium definiendi, Artificium definiendi catholicum est quod do- cet modum
omnium encyclopaediace terminorum definitiones accurate inveniendi ac
diiudicandi. Scopus huius artificii est foclix id est facilis, solida ac
practica, et quoad in hac vita fieri potest, certa perfec- taque universa
encyclopaediac cognitio. Definitiones sunt omnis ge- neseos et analyseos claves et
normae. Omnis enim mentis et
entis, cum Sull’importanza delle definizioni che sono claves et normae della
praxis logica, Bisterfield insiste senza posa. Tantum scit homo solide quantum
scit definire: per giungere a deft- nire esattamente gli enti reali e gli enti
di ragione, gli enti separati e quelli collettivi, gli enzia positiva e quelli
priva- tionis, è necessario in primo luogo un dizionario (romencla- tura) dei
termini impiegati nei vari discorsi propri delle sin- gole discipline. Sulla
base del dizionario verranno costruite le tavole che sono «totius mundi
totiusque encyclopaediae re- praesentationes ». Mediante le tavole verranno
posti in luce i termini omogenei, quelli subordinati e quelli coordinati. La
costruzione di una tabula primitiva, comprendente i termini comuni a tutte o
alla maggior parte delle scienze, avvierà alla comprensione di quell’armonia
delle scienze che, Bisterfield se ne rende ben conto, è insieme basis et clavis
della prassi logica. L’armonia delle scienze è la base e la chiave della prassi
logica. Quest'armonia è quella soavissima convenienza per la quale non solo
tutte le scienze concordano con tutte, ma anche le parti con le parti di
ciascuna; ed è così grande quest’armonia che uomini valorosissimi credono che
non si diano più scienze, ma una sola scienza, o piuttosto che sia unico il
corpo e il sistema di tutte le scienze.Per realizzare quest’unico systema, per
giungere alla indi- viduazione dei termini trascendentali cui tutti gli altri
appaiano analiticamente riducibili, Bisterfield aveva ritenuto indispensabile
una elencazione minuziosa e accuratissima delle reductionem, tum deductionem
complectuntur, si singula definitionum verba in primos terminos per scalam
descendentem et ascendentem resolvantur, sic enim erunt omnigenae reductionis
claves, argumento- rum compendia, propositionum fontes, syllogismorum et
methodorum lumina. Sulle definizioni’ cfr. Artificium definiendi. Sulle tavole
cfr.: Tabulae fundamentales (quae sunt certae terminorum homogcanorum
subordinationes et coordinationes) sunt faciles, sed accuratae totius mundi
totiusque encyclopac- diae repraesentationes. Universa illa inductio ac
structura tabularum nititur panharmonia tum rerum tum disciplinarum. Tabula
primitiva est prima simplicissima universalissima adeoque brevissima totius mundi totiusque encyclopaediae
repraesentatio... cam vocabimus catholicam ». Logica, p. cose e delle nozioni.
Il teatro del mondo, con le sue tavole che rappresentano tutto ciò di cui può
discorrere la mente umana, si poneva ancora una volta a fondamento dell’arte,
della logica, della scienza delle scienze: «I termini trascen- dentali sono le
radici prime dell’universale enciclopedia che è ordinatissima raccolta di tutte
le discipline o anfiteatro di- pinto del mondo. L’universale artificium
definiendi insegna ad accuratamente rintracciare e giudicare le definizioni di
tutti i termini dell’enciclopedia. La prassi logica viene realizzata quando
tutti i termini logici vengono mescolati con l’enciclopedia universale. Le
tavole universali costituiscono il no- bilissimo alfabeto di tutte le
discipline. Esse devono contenere tutto e devono rappresentare tutto ciò di cui
la mente umana può discorrere e chi meglio possiederà le tavole avrà più fermi
i semi della scienza. Esse sono le attrezzatissime officine di ogni pensiero e
ci pongono sotto gli occhi tutto ciò intorno a cui e muovendo da cui si può
discorrere. Di qui possono essere ricavati tutti i temi, tutti gli argomenti,
tutti gli as- siomi, tutti i sillogismi, tutti i metodi. Cfr. ARTIFICIVM Grice
(non-natura) definiendi; Alphabeti philosophici libri tres; Logica. All’inizio
del suo Essay towards a real character and a philosophical language, pubblicato
a Londra, sotto gli au- spici della Royal Society, Wilkins, chiarendo le linee
fondamentali del suo progetto di una lingua « filo- sofica », « perfetta» o
«universale », rimandava il lettore a quellepagine dell’Advancement of learning
e del De aug- mentis scientiarum nelle quali Bacone aveva enumerato le 1 An
essay towards a real character and a philosophical language by Witkins, D. D.
Dean of Ripon and Fellow of the Royal Soctety, London, printed for Sa. Gellibrand and for John Martyn
printer to the Royal Society, (Ambros.,
Villa Pernice). Su Wilkins, vescovo di Chester e membro della Royal Society,
autore del celebre scritto The discovery of a wordl in the moone, cfr. Niceron,
Mémoires, Paris. Fra i contributi
di maggior rilievo sono da segnalare: HENDERSON, The life and times of }. Wilkins, London, Stimson,
Wilkins and the Royal Society, in «Journal of modern history, Jones, Science and language in England of the
mid-seventeenth century, in « Journal of Engl. and Germ. Philology, poi
ripubblicato nel volume The seventeentài century, Standford; C. AnpRrape, The
real character of Bishop Wilkins, in « Annals of science; F. ChÙristensen, /.
Wilkins and the Royal Societys reform of prose style, Modern Language
Quarterly; R. H. Svyrret, The origins of the Royal Society, in « Notes and
records of the Royal Society of Lon- don; C. Emery, John Wilkins universal lan-
guage, in « Isis»; B. De MotT, Comenius and the real character in England, in «
PMLA; Science versus mnemonics, în « Isis. Scarso interesse presen- tano le osservazioni contenute
nel noto volume citato da H. P. GRICE, di Ogden e Richards, The meaning of
meaning, London. Sulle idee astronomiche di Wilkins sono da vedere i saggi di
McCottey, in « Annals of science », PMLA e in « Studies in Philology. Una parte
dell’Essay di Wilkins fu ripubblicata in TecHmer, Beitràge zur Geschicthe der
franzòsischen und en- glischen Phonetik und Phonographie, Heilbronn] differenze
esistenti tra i geroglifici e i «caratteri reali ».? I primi, in quanto
emblemi, « hanno sempre qualcosa in co- mune con la cosa significata »; i
secondi — aveva scritto Ba- cone — «non hanno nulla di emblematico », sono
caratteri costruiti artificialmente il cui significato dipende solo da una
convenzione e dall’abitudine che su di essa sì è andata in se- guito
istituendo. Anche le lettere dell'alfabeto derivano da convenzione, ma i
caratteri reali, a differenza delle lettere alfabetiche, rappresentano non
lettere o parole, ma diretta- mente cose e nozioni (« neither letters nor
words... but things or notions »): « È da qualche tempo cosa assai nota che in
Cina e nelle regioni dell’ Estremo oriente sono oggi in uso dei caratteri
reali, non nominali; che esprimono cioè non let: tere c parole, ma cose e
nozioni. In tal modo genti di diver- sissime lingue, che consentono su questo
tipo di caratteri, co- municano tra loro per scritto; e in questo modo un
libro, scritto in quei caratteri, può essere letto da chiunque nella sua
propria lingua... I caratteri reali non hanno nulla di emble- matico e sono in
qualche modo sordi, costruiti in modo ar- bitrario (ad placitum) e poi accolti
per consuetudine come per un tacito patto. È chiaro poi che questo genere di
scrittura esige una grandissima quantità di caratteri che devono es- sere tanti
quante sono le parole radicali (vocabula radicalia)». Alla creazione di una
lingua universale e artificiale, che climini la confusione delle lingue
naturali e ne superi le de- ficienze e le imperfezioni, contesta di simboli che
fanno ri- ferimento non ai suoni, ma direttamente alle «cose », si de-
dicheranno, nella seconda metà del secolo, non pochi cul- tori inglesi di
logica e di problemi del linguaggio : esce a Londra uno scritto di Francis
Lodowick: The grundwork or foundation laid (or so intended) for the framing of
a new perfect language; appare il Lagopandecteision, or an introduction to the
universal language di Urquhart- Cfr. Bacon, Works, by J. Spedding, Ellis,
Heath, Londra; HI, Sui linguaggi universali nell’Inghilterra: O. FunckE, Zum
Weltsprachenproblem in England, Heidelberg, c le brevi indicazioni contenute in
L. Coururat-L. LeAau, Histoire de la langue tniverselle, Paris (cfr. la
recensione di VAILATI (si veda), Scritti, Firenze] quhart, il notissimo
traduttore di Rabelais; quat tro anni dopo Beck pubblica la sua opera The
universal character by which all nations may understand one ano- ther's
conceptions; le Tables of the universal character e V Ars signorum, vulgo
character universalis et lingua philosophica di Dalgarno vedono la luce, sempre
a Londra; infine, Wilkins pubblica il già ricordato £Essay towards a real
character and a philosophical language. Per comprendere il significato di
queste opere (e delle altre dello stesso tipo) e la funzione storica da esse
esercitata, per intendere l’atmosfera culturale dalla quale esse trassero
alimento e dalla quale derivarono le ragioni della loro dif- fusione e del loro
successo, bisognerà tener conto di tre grandi fenomeni storici che
caratterizzano (per quanto qui ci concerne) la vita intellettuale inglese. Si
tratta: 1) in primo luogo della profon- da, decisiva azione esercitata in
Inghilterra dall’opera di Ba- cone e dai gruppi “baconiani” della Royal
Society, impe- gnati in una dura lotta contro la retorica del tardo umanesi- mo
e in un'appassionata difesa della nuova scienza; 2) in se- condo luogo di
quella grande “rivoluzione” (che non fu solo « mentale » perché investì non
solo le idee e la cultura, la letteratura e il modo di pensare, ma anche le
istituzioni accademiche e scientifiche, il modo di insegnare, di impa- rare e
di vivere) che conseguì ai grandi progressi della “fi- losofia sperimentale” e
degli studi fisico-matematici; 3) in terzo luogo, infine, della profonda
risonanza che l’opera, l'insegnamento, le utopie, le speranze di Giovanni Amos
Co- menio ebbero su molti ambienti della cultura filosofica, poli- tica,
religiosa dell’ Inghilterra del Seicento. Cominciamo dunque da Bacone, anche
perché le sue af- fermazioni sui caratteri reali (il termine avrà, in
Inghilterra e fuori, una fortuna grandissima), la posizione da lui assunta nei
confronti del problema del linguaggio, costituiscono, in tutte queste
trattazioni di lingua universale, dei presupposti implicitamente (ma quasi
sempre esplicitamente) presenti. Sul carattere « materialistico » delle teorie
linguistiche di Ba- cone, Richard Foster Jones ha scritto pagine di grande
rilie- vo nelle quali, fra l’altro, è stato anche dimostrato il gran peso
esercitato dalle tesi baconiane su quella « rivoluzione stilistica » che
caratterizza, in Inghilterra, durante la Restau- razione, gli sviluppi della
prosa secolare (testi di storia, di filosofia naturale, di politica) e
religiosa (libri di edificazione, prediche, preghiere). Foster Jones ha parlato
di una «an- tipatia di Bacone per il linguaggio». In realtà si tratta di
qualcosa di più che di una «antipatia: l’atteggiamento di Bacone è fondato
sulla convinzione che il linguaggio, come del resto gli altri prodotti dello
spirito umano, costituisca o possa costituire un ostacolo, del quale tuttavia
in quanto crea- ture umane non si può fare a meno, alla autentica compren-
sione della realtà, sia, in altri termini, qualcosa che s! frap- pone fra
l’uomo e i fatti reali o le forze della natura. Per « avvicinarsi alle cose » è
necessario da un lato rifiutare i nomi che non corrispondono a cose reali,
dall’altro impa- rare a costruire parole che rispondano alla realtà effettiva
delle cose. Gli :4ola che si impongono all’intelletto per mezzo delle parole —
afferma Bacone nel Novum Organum — sono di due generi: o sono nomi di cose che
non esistono, o sono nomi di cose che esistono, ma confusi, mal definiti e
astratti dalle cose in modo affrettato e parziale. I primi sono legati a
determinate teorie fantastiche (la for- tuna, il primo mobile ecc.) e, mediante
un rifiuto di quelle teorie è possibile liberarsi da essi. Nel caso dei secondi
il problema è molto più complesso perché qui si ha a che fare con una inesperta
« astrazione dalle cose » che ha dato luo- go a nozioni confuse. Queste
affermazioni di Bacone ci consentono di chiarire ulteriormente la sua posizione
di fronte al linguaggio: le no- zioni devono essere astratte correttamente
dalle cose e corrispondere ad esse; ove la nozione sia stata costruita in modo
vago e impreciso il nome risente di questa vaghezza e im- precisione. Inoltre i
nomi attribuiti alle cose, le parole, eser- citano a loro volta un'azione
sull’intelletto: le parole indi- canti nozioni vaghe «ritorcono e riflettono
sull’intelletto la [Oltre al saggio qui sopra indicato si vedano: Science and
english prose style in the third quarter of the seventeenthà century; Saence
and criticism in the neo-classical age of english literature] loro forza » e
condizionano negativamente la sua stessa ri- cerca di nozioni precise. In tal
modo le parole « riflettono i loro raggi e le loro immagini fin dentro la mente
e non solo sono dannose alla comunicazione, ma anche al giudizio e
all’intelletto. Quando, attraverso un'osservazionepiù ac- curata e una più
attenta opera di «astrazione », si tenta di far meglio corrispondere le parole
alla natura, «le parole si ribellano » e danno luogo a infinite, sterili
controversie che hanno per oggetto non la realtà, ma solo i nomi e le parole.
Il tentativo di impiegare definizioni precise del tipo di quelle usate dai
matematici non appare a Bacone molto utile: « trat- tandosi di cose naturali e
materiali, neppure le definizioni possono rimediare a questo male, perché le
stesse definizioni constano di parole e le parole generano altre parole ». Era,
questa, una conclusione assai significativa e la critica (svolta da Bacone nel
Novum Organum) del termine « umido » è preziosa per intendere il suo punto di
vista: la equivocità del termine « umido » dipende per lui dalla equivocità
della nozione di « umido » che indica una molteplicità di comportamenti diversi
e che è stata « astratta superficialmen- te e senza le dovute verifiche
soltanto dall’acqua e dai liqui- di comuni e volgari ». Di fronte a questa
varietà di signifi- cati, non si tratta, per Bacone, di dare una definizione
che determini il campo di applicazione del termine « umido » predeterminando
l’uso possibile di quel termine e limitan- done il senso, ma di elaborare,
sulla base «di uno studio dei casi particolari, della loro serie e del loro
ordine », una nozione che riconduca ad unità la diversità dei comporta- menti e
serva da criterio per spiegare questa diversità. La validità di questo criterio
sarà però, sempre e in ogni caso, dipendente dalla maggiore o minore
corrispondenza alle cose della nozione così elaborata. Si comprende in tal modo
come Bacone possa giungere ad una identificazione dei termini “ nozione » e «
parola » (« mala et inepta verborum imposi- to », « nomina temere a rebus
abstracta » ecc.) che è in contrasto con gli accenni convenzionalistici pur
presenti nella sua trattazione del linguaggio. In conclusione: ciò che Ba- cone
non è in alcun modo disposto ad accettare è una teoria che identifichi la
verità di una proposizione con la coerenza logica tra i termini che compongono
la proposizione stessa: la ricerca si riporta di continuo alle cose, alle
qualità sensibili e alle proprietà dei corpi materiali. L'ispirazione fonda-
mentalmente « materialistica » di questa concezione del lin- guaggio si fa
particolarmente evidente quando Bacone crea una specie di graduatoria
rispecchiante «i diversi gradi di aberrazione e di errore presenti nelle parole
»: il genere di nomi meno difettoso è quello dei nomi di alcune sostanze ben
note (creta, fango, ecc.); più difettoso è il genere di nomi indicanti azioni
(generare, corrompere, ecc.); più difettoso di tutti è il genere dei nomi di
qualità (grave, denso, leg- gero, ecc.).° Bacone aveva dunque contrapposto le
«cose» alle parole, aveva insistito sulla necessità di un linguaggio che
rimandasse, il più direttamente possibile, alla realtà e alle operazioni o
forze presenti nella natura, aveva accentuato i pericoli presenti nell’uso del
linguaggio, aveva pensato ad una lingua artificiale, composta da simboli di
tutte le parole radicali che potesse
climinare alcuni o molti di questi pericoli. Ma Bacone — e questo è altrettanto
importante — era stato anche il /eader dell’anticiceronianismo, si era fatto
assertore dei brevi aforismi contrapponendoli al corposo pe- riodare dei
seguaci di Cicerone, aveva sostenuto la necessità di un ritorno allo stile
«attico» o «senechiano » mirante alla espressività e alla chiarezza, vicino
alla « brevità » degli Stoici, « grave » e « sentenzioso », lontano dagli
abbellimenti retorici, dalle fioriture stilistiche, dall'impiego delle analogie
ce delle metafore, Bacone polemizza contro le scolastiche dispute di parole e
aveva contrapposto al linguaggio in uso nelle scuole – Bologna e i mertoniani
-- una lingua breve ed essenziale, precisa e cruda, capace di rimettere
nuovamente l’uomo — dopo tanti secoli di tenebre e di volontario acciecamento —
a contatto con il mondo. ® Cfr. Bacon, Works (Redargutio philosophiarum); sugli
idola fori: (Advancement); HI, (Cogitata
et visa) e Novum Organum, Cfr.M. W. CroLt, Attic prose in the seventeenth
century, Studies in philology; Artic prose: Lipsius, Montaigne, Bacon, in
Schelling anniversary papers, New York; The baroque style of prose, in Studies
in English philology; a miscellany in honour of Klaeber, Minneapolis, Negli
scritti dei seguaci e degli ammiratori di Bacone, nelle opere di molti fra i
maggiori difensori della nuova scienza troviamo, energicamente riaffermate, le
posizioni ora delineate. Basterà qualche esempio. Webster, cap- pellano
nell’armata del Parlamento, acceso sostenitore della filosofia baconiana,
attacca con estrema violenza nell’Academiarum Examen (Londra) la retorica e
l’oratoria che servono solo per adornare e sono soltanto l’abito e la veste
esteriore di ben più solide scienze, respinge gli studi grammaticali che gli
appaiono inutili ad un reale progresso della conoscenza e insiste sulla
opportunità di una symbolic and emblematic way of writing che superi la
confusione e le imperfezioni delle lingue naturali. Nelle Considerations
touching the style of the holy scriptures di Boyle troviamo lo stesso disprezzo
per ogni inutile abbellimento dello stile. In un interessante brano autobiografico
lo stesso Boyle contrapponeva la sua propensione per la filosofia sperimentale
e per la conoscenza delle cose alla sua avversione e al suo disprezzo per lo
studio delle parole insistendo anche sull’ambiguità e licenziosità dei termini
scientifici che è esiziale al progresso della vera filosofia: my propensity and
value for real learning gives me such aversion and contempt for the empty study
of words. Boyle si e a lungo interessato ai problemi di una lingua artificiale;
sui danni che derivano alla scienza dalla confusione delle lingue naturali si
sofferma a lungo un altro fervente baconiano, Childrey, che nella sua Britannia
Baconia (Londra) afferma che il volto della realtà non va sfigurato
imbrattandolo con il belletto del linguaggio (not disfigure the face of truth
by daubing it over with the paint of language). Anche Sprat, la cui History of
the Royal Society rispecchia anche le opinioni dei suoi illustri colleghi,
condanna l’uso delle metafore, la viziosa abbondanza delle frasi, la continua variabilità
delle lingue come altrettanti mali dai quali gli [Wessrer, Academiarum examen,
Londini, cfr. R. F. Jones, The works of
the honourable Boyle, ed. Birch, London]
uomini di scienza debbono liberarsi.’ Difendendo la Roya! Society dagli attacchi di Henry
Stubbe che aveva osato assa- lire tutti i « true-hearted virtuous intelligent
disciples of our Lord Bacon », George Thompson scrive: "Tis Works, not
Words; Things not Thinking; Pyrotechnie [chimica], not PhAilologie; Operation,
not merely Speculation, must justifie us physicians. Forbear then hereafter to
be so wrongfully satyrical against us noble Experimentators, who questionless
are entred into the right way of detecting the True of things. Le ricerche tendenti alla costruzione di una
lingua filosofica o perfetta trovarono
un terreno oltremodo favo- revole nell’atmosfera culturale che abbiamo ora
delineato. E queste diffuse esigenze di chiarezza e di rigore, questi progetti
di una lingua simbolica trassero senza dubbio alimento dagli sviluppi degli
studi matematici, anche se sarebbe impresa disperata sostenere che i progetti
di una lingua universale, ai quali qui si fa riferimento, dipendano o
storicamente derivino da quegli sviluppi. Il rigore delle dimostrazioni
matematiche, il largo impiego, in matematica, di simboli contribuì però senza
dubbio a rafforzare l’idea che fosse possibile, per gli scienziati, ridurre il
loro stile a quella mathematicall plainess di cui parla, nella History of the
Royal Society, il baconiano Sprat: essi hanno avuto la costante risoluzione di
rifiutare tutte le amplificazioni, digressioni e ampollosità dello stile: hanno
voluto far ritorno alla primitiva purezza e brevità, a quando gli uomini
esprimevano molte cose all’incirca con un egual numero di parole. Hanno richiesto
a tutti i membri della So- cietà: un modo di parlare discreto, nudo, naturale;
espres- sioni positive; sensi chiari; una nativa facilità; la capacità di
portare tutte le cose il più vicino possibile alla chiarezza della ® THoMas
SpraT, The history of the Royal Society of London, London, Cfr. H. FiscH and H. W. Jones, Bacon's
influence on Sprat's History, in « Modern Language Quarterly Grorce THomprson,
Mtooxoplag. Londra, Cfr. R. F. Jones] matematica; una preferenza per il
linguaggio degli artigiani, dei contadini, dei mercanti piuttosto che per
quello dei dotti ».!! A conclusioni più precise di quelle dello Sprat giunge-
vano quegli studiosi che avevano, almeno in parte, subito l'influenza delle
posizioni di Hobbes e accolto la sua definizione dei termini come simboli di
relazioni e di quantità e la sua concezione del linguaggio come calcolo. Da
questo punto di vista è tipica la posizione di Ward, professore di astronomia
ad Oxford, che vede nella symbolicall way invented by VIETA (si veda), advanced
by Harriot, perfected by Oughtred and Des Cartes il rimedio migliore alla
verbosità eccessiva dei matematici. Quel tipo di scrittura, secondo Ward, può
essere esteso all’intero linguaggio in modo che, per ogni cosa e nozione
possano essere trovati simboli appropriati e tali da eliminare ogni confusione:
«I was presently resolved that symboles might be found for every thing and
notion ». Con l’aiuto della logica e della matematica (0y the help of logic and
mathematics) tutti i discorsi umani potranno essere risolti in enunciati
(resolved in sentences), questi in parole (words) e, poiché le parole
significano nozioni semplici o sono in esse risolvibili (eszher simple notions
or being resol- vible into simple notions), una volta rintracciate le nozioni
semplici e assegnati ad esse dei simboli, sarà possibile rag- giungere un
discorso rigorosamente dimostrativo tale da ri- velare (e l’aggiunta è
importante) le nature delle cose (the natures of things). « Un linguaggio di
questo tipo — conclu- deva Seth Ward — nel quale ogni termine sarebbe una de-
finizione e conterrebbe la natura della cosa, potrebbe non ingiustamente essere
denominato un linguaggio naturale, e potrebbe realizzare quell’impresa che i
Cabalisti e i Rosa-cruciani hanno invano tentato di portare a compimento quando
ricercavano, nell’ebraico, i nomi assegnati da Adamo alle cose. A una lingua
universale, composta di caratteri « incomparabilmente più facili di quelli
attuali » e a un “dictionary of sensible words” che fornisse la necessaria
terminologia al meccanicismo hobbesiano, lavora anche, dopo la metà [Sprat, The
history, Warp, Vindiciac academiarum, Londra, Cfr. R. F. Jones, in The
seventeenth century, Petty, membro della Società reale e gran- de pioniere
negli studi di economia politica. « Il dizionario di cui ho parlato — scrive in
una lettera a Southwell — ave- va lo scopo di tradurre tutti i termini usati
nell’argomentazione e nelle materie più importanti in altri termini equiva-
lenti che fossero signa rerum et motuum ».'* Anche Boyle, in una lettera, aveva
visto nel carattere interlinguistico dei simboli matematici, una prova della
possibilità di costruire una lingua composta di caratteri reali. In verità,
poiché i caratteri che impieghiamo in matema- tica sono compresi da tutte le
nazioni europee nonostante che ciascuno dei tanti popoli esprima questa
comprensione nella sua lingua particolare, non vedo alcuna impossibilità a
fare, con le parole, ciò che già abbiamo fatto con i nu- meri. Gli stessi
cultori di algebra e di matematica non furono del tutto estranei a queste
discussioni sul linguaggio, sulla scrittura, sui simboli. Abbiamo già visto
quali fossero, su questi argomenti le opinioni dell’astronomo e matematico Seth
Ward, ma anche negli scritti del grande matematico Wallis il problema dei
carazteri o delle note da impie- gare nell’algebra veniva presentato come un
aspetto del più generale problema dei segni, delle cifre e delle scritture.
For- temente interessato agli sviluppi storici dell’algebra, Wallis metteva
chiaramente in rilievo, nelle pagine del De algebra, i vantaggi che
presentavano, di fronte alla troppo prolissa simbologia di Viète i characteres
o le notae compendiosae di William Oughtred. Nella Mazhesis universalis
troviamo, numerosissimi, i riferimenti al problema della scrittura in genere e
della scrittura occulta in specie: haec qui- dem occulte scribendi ratio,
flagrante nuper apud nos Bello intestino, admodum erat familiaris». Non a caso,
nel De loquela sive sonorum formatione, premesso alla sua Gram- 1° Cfr. The
Petty papers, ed. Marquis
of Lansdowne, Londra; Petty-Southwell Correspondence, cd. Marquis of Lansdowne,
Londra. Ma è da vedere anche
l’Advice to Hartlib, Londra, nel quale si accenna al problema dei caratteri
reali. Lettera allo Hartlib, in Works, ed. Birch, ly ip; matica linguae
anglicanae, Wallis si era a lungo soffermato sulle questioni attinenti alla
grammatica e ai suoni. Infine nel De algebra, accanto ad un ferocissimo attacco
alla in- competenza matematica di Hobbes (turpissimis paraloismis ubique scatet
liber iste), troviamo un ampio capi- tolo dedicato ad illustrare i vantaggi che
presentano, per il matematico, le tecniche dedicate al rafforzamento della me-
moria. L'influenza esercitata dall’insegnamento di Comenio sui progetti miranti
alla costruzione di una lingua universale è stata ampiamente e minuziosamente
documentata.'* Nessun libro dedicato alla lingua perfetta era apparso in
Inghilterra prima del viaggio di Comenio a Londra; dopo quel- l’anno si ebbe
una vera e propria fioritura di questi testi. E non si trattava di una
coincidenza: Hartlib — che !5 Il De algebra tractatus historicus et practicus
ciusdem origines et progressus varios ostendens è contenuto nel secondo volume
delle Opera mathematica, Oxoniae, ex Theatro Sheldoniano (Braid.). Sui caratteri
di Viète e di Oughtred cfr. . Per i riferimenti alla scrittura presenti nella mathesis
universalis, sive arithmeticum opus integrum tum philologice tum mathematice
traditum cfr. nella stessa ediz. delle opere. Per l'attacco ad Hobbes cfr.
Opera (ma su questo argomento e sui numerosi scritti antihobbesiani del Wallis
cfr. SortaIs, La philosophie moderne depuis Bacon jusqu'à Leibniz, Paris),
sulla memoria è da vedere il capitolo del De algebra (in Opera) intitolato De
viribus memoriae satis intentae, experimentum. La prima edizione della
Grammatica linquae anglicanae cui pracfigitur de loquela sive sonorum
formatione tractatus grammatico-physicus. Ho visto l’ediz.: Oxoniae, typis L.
Lichfield (Braid.). Sul Wallis matematico cfr., oltre ai correnti manuali di
storia delle matematiche, ]. F. Scort, Mathematical work of |. Wallis, London,
l’opera gram- x maticale è stata studiata da M. LeHNERT, Die Grammatik des ]. Wal- lis, Breslau. 1 Cfr.
StiMson, Comenius and the Invisible college, in « Isis»; Scientists and
amateurs. New York; B. Mott, Comenius and the real character in England, cit.;
sui rapporti Comenio - Wilkins cfr. M. Spinka, /. A. Comenius, that incomparable Moravian, Chicago] era
stato per lunghi anni in corrispondenza con Comenio e che apparve, agli uomini
del suo tempo, il difensore e il diffusore, in Inghilterra, dell’opera
comeniana — fu il più appassionato sostenitore ed editore di opere sulla lingua
uni- versale. Hartlib pubblicò nel 1646 l’opera del Lodowick (A common
writing); incoraggiò numerosi tentativi per la crea- zione di un vocabolario
dei termini essenziali; fu in corri- spondenza con Boyle su questi problemi;
contribuì alla pubblicazione dell’Ars signorum del Dalgarno. Espliciti
riferimenti a Comenio troviamo presenti negli scritti di Henry Edmundson
(Lingua linguarum) e di Webster (Academiarum examen), mentre Wilkins, il più
noto e celebrato fra questi teorici della lingua perfetta, fu aiutato e
incoraggiato da un altro discepolo inglese di Comenio con cui egli ebbe
rapporti di viva amicizia: Theodor Haak. Lo stesso Comenio, dedicando nel 1668
alla Royal Society la sua Via lucis vestigata et vestiganda, affermava che
l’opera di Wilkins, pubblicata in quello stesso anno, rappresentava la
realizzazione dei suoi programmi e delle sue più alte aspi- razioni. Proprio
nella Via Zucis, che circolava manoscritta in Inghilterra, Comenio aveva
ripreso, con ampiezza molto maggiore, le osservazioni di Bacone sui « caratteri
reali ». I caratteri simbolici usati dai Cinesi — scriveva — consentono a
uomini di differenti lingue di intendersi reci- procamente: se tali caratteri
sembrano cosa buona e vantag- giosa, perché non si potrebbero dedicare i nostri
studi alla scoperta di un «linguaggio reale », alla scoperta cioè « non solo di
una lingua, ma del pensiero e delle verità delle cose stesse? ». Se la
molteplicità delle lingue «è derivata dal caso o dalla confusione, perché non
si potrebbe, facendo uso di un procedimento consapevole e razionale,
costruire un’unica lingua che sia
elegante e ingegnosa e appaia in grado di su- perare quella dannosa confusione?
Se abbiamo la possibilità di adattare i nostri concetti alle forme delle cose,
perché non dovremmo avere quella di adattare il linguaggio a più esatte espressioni
e a più precisi concetti? ».!” 17 Per la Via lucis, che non sono riuscito a
vedere nel testo originale, ho fatto uso della traduzione di Campagnac: The Way
of light of Comenius, London. Il problema di una lingua universale si era posto
come centrale nell'opera comeniana: nel suo pensiero era senza dubbio presente
l'esigenza di una maggior precisione termi- nologica, di un linguaggio più
chiaro, accessibile e rigoroso, ma alla base del suo progetto non stavano
preoccupazioni di “logica” o di “metodologia”; stavano quelle aspirazioni e
quelle esigenze tipicamente “religiose” che avevano trovato espressione nei
testi del lullismo e del neoplatonismo, nelle idee di universale pacificazione
— sulla base di una comune lingua — sostenute dai panteisti, dai cabalisti e
dai Rosa- cruciani. Più che i testi dei lullisi — ai quali abbiamo spesso fatto
riferimento — sarà opportuno ricordare qui la fede di uno dei maestri di
Comenio — Johan Valentin Andrei — in una mistica armonia delle nazioni (la
respublica christia- nopolitana) realizzabile mediante un nuovo universale lin-
guaggio e le osservazioni di Jacob Boehme, un pensatore ben noto a Comenio, su
un originario linguaggio della natura (Natursprache) che è stato sommerso dalla
confusione delle lingue e che va ricostruito e ricompreso per la salvezza del
genere umano.'* Anche per Comenio — come già per i se- guaci di Lullo e per
l’Andreîi — il linguaggio reale o «la perfetta lingua filosofica » ha dve scopi
fondamentali: 1) porre l’uomo a rinnovato contatto con la divina armonia che è
presente nell’universo mostrandogli la piena coincidenza tra il ritmo del
pensiero e quello della realtà, tra le cose e le parole; porsi quindi come
base, l’unica possibile base, per una piena riconciliazione del genere umano,
per una du- ratura, stabile pace religiosa. Nella moltitudine, varietà e
confusione delle lingue, Co- menio aveva visto il maggiore ostacolo alla
diffusione della luce e alla penetrazione, presso tutti i popoli, della
pansofia. Quando sarà costruita «una lingua assolutamente nuova, !* Cfr. J. V. Anprea£,
Fama fraternitatis, pp. 3, 12-13 cit. in B. De MotT, Comenius and the real
character; Jacos BoEH- ME's, Simmiliche Werke, ed. a cura di K. W. Schiebler,
Leipzig, assolutamente chiara e razionale, una lingua pansofica e uni- versale,
allora gli uomini apparterranno a una sola razza e ad un solo popolo. Sulla par
pAilosophica, sulla concordia mundi, sull'unità del genere umano avevano a
lungo insistito, nei secoli del Rinascimento, PICO (si veda) e Sabunde, Cusano
e Guillaume Postel ed è precisamente a questa tradizione che si richiamavano le
speranze millenaristiche di Comenio. Ma sull'importanza e sul significato dei
dissensi di carattere ter- minologico, sulla necessità di una lingua comune,
sull’opportunità di preservare gli elementi comuni della fede ab- bandonando le
vane « dispute di parole » si era lungamente e ampiamente discusso, durante la
Riforma, negli ambienti più diversi. Non è certo il caso di affrontare qui un
problema così complesso, ma vale certo la pena — anche se in vista di scopi assai
limitati — di indicare qualche posizione ca- ratteristica. Bedel, che fu in
Inghilterra uno dei maggiori sostenitori dell’irenismo e della conciliazione
fra luterani e calvinisti, attribuiva carattere soprattutto ver- bale alle
controversie fra le sètte ed era fortemente interessato ai progetti di lingua
universale di Comenio e dei comeniani inglesi. Ma anche negli scritti dei
teorici della lingua uni- versale questo interesse “religioso” appare quasi
sempre in primo piano. La lingua filosofica — afferma Wilkins — chiarirà le
attuali divergenze in materia religiosa ed esse si riveleranno inconsistenti,
una volta che il linguaggio sarà stato liberato da ogni imperfezione ed
equivocità. L’eliminazione degli equivoci linguistici contribuirà grandemente,
secondo Beck, al progresso della religione nel mondo. Petty vuol tradurre tutti
i termini usati nelle argo- mentazioni in altri termini che siano signa rerum
(« tran- slate all words used in argument and important matters into words that
are signa rerum »), sostiene energicamente una distinzione fra termini
significanti e termini privi di significato, e concepisce l’intero suo
dizionario in funzione di una chiarificazione dei termini della vita religiosa.
Determinando l’esatto significato di God e devill, angel e wordl, heaven e
hell, religion e spirit, church e christian, catholic e pope, si giungerà alla
conclusione che le liti e le guerre fra le di- verse sètte si sono fondate solo
su divergenze terminologiche e che esiste invece la possibilità di una effettiva
intesa sulle nozioni e sulle cose. Anche nell’Ars signorum di Dalgarno troviamo
presente un tentativo di questo genere realizzato mediante un complicato
sistema di divisione dei concetti e di appropriati simboli. Nella History of the Royal
Society, Sprat parla di una filosofia dell’umanità che su- eri le differenze e
le ostilità di carattere religioso: «not to lay the foundation of an English,
Sotch, Irish, Popish [ROMANA] or Protestant philosophy, but a philosophy of
mankind ». Non si tratta solo
della convinzione che la nuova « filosofia speri- mentale » possa affratellare
gli uomini al di là delle separa- zioni politiche e delle differenti
convinzioni religiose, si tratta anche della speranza (ed è questo aspetto che
si vuol qui sot- tolineare) che la stessa organizzazione scientifica possa
costi- tuire un potentissimo mezzo per il ristabilimento della concordia mundi,
dell’unità religiosa e spirituale del genere umano. Non diversamente, del
resto, la nuova scienza era stata intesa da Bacone come uno strumento di
universale redenzio- ne dal peccato originale.? Ove si rinunci a proiettare
all’indietro nel tempo i nostri interessi e i nostri problemi per attribuirli
agli uomini che scrissero ed operarono alla metà del Seicento, bisognerà ren-
dersi conto che i progetti di una lingua « perfetta » o « uni- versale » sui
quali in quegli anni si affaticarono non pochi studiosi, traevano senza dubbio
alimento dall’atmosfera cul- turale legata alla nascita della nuova scienza,
dai progressi della fisica e da quelli della matematica, ma non intendevano
certo limitarsi a fornire chiarimenti semantici agli studiosi di filosofia
naturale. Quelle «lingue » avevano scopi assai più vasti e più ambiziose
finalità: intendevano essere stru- menti di redenzione totale, mezzi per
decifrare l’alfabeto divino. Si connettevano storicamente ai sogni di
pacificazio- !° The Petty papers; Datcarno, Ars signorum, in The works of G.
Dalgarno, Edinburgh. Per il passo di Sprat, cfr. The history, cit., p. 63.
Sull’unità religiosa quale fine dell’organizzazione scientifica insi- ste anche
Hartlib. Per
questa posizione cfr. TuRNBULL, Hartlib: a sketch of his life and his relations
to |. Comenius, Londra; Harglib,
Dury and Comenius, Londra] ne e alle utopie millenaristiche di quegli autori
che abbiamo fin qui — nel corso di questo libro — preso in esame. Nell’Ars
signorum di Dalgarno e nell’Essay to- wards a real character di John Wilkins
troviamo considera- zioni sui geroglifici e gli alfabeti, sulle scritture
normali c cifrate, capitoli dedicati a discussioni sul linguaggio e sulla
logica, sulla grammatica e sulla sintassi, pagine e pagine nelle quali si
procede ad una minuziosa classificazione degli ele- menti e delle meteore,
delle pietre e dei metalli, delle piante e degli animali, delle attività umane
e delle arti liberali e meccaniche, dizionari dei termini essenziali propri
delle varie lingue, dizionari « paralleli », troviamo infine la pro- posta di
una lingua artificiale. E’ lo stesso intreccio di temi, per noi moderni così
sin- golare e caotico, del quale abbiamo tante volte riscontrato la presenza in
tutte quelle opere e quelle enciclopedie che, di- rettamente o indirettamente,
si richiamano al filone logico- enciclopedico del lullismo. Per amore di
chiarezza e di bre- vità, oltre che per facilitare il lettore, si cercherà,
nelle pagine che seguono, di individuare, enumerandole successiva- mente,
alcune tesi concernenti la lingua perfetta o universale che rivestono
un'importanza centrale e che appaiono re- ciprocamente connesse. L'esposizione
del contenuto delle va- rie opere servirà di volta in volta a documentare e a
chiarire il significato di ciascuna delle affermazioni che seguono. I teorici
della lingua perfetta, filosofica o universale
muovono dalla contrapposizione tra lingue natu- [L’opera di Wilkins è
suddivisa in quattro parti: Prolegomena; Universal philosophy, Philosophycal
grammar, Real character and. philosophical language. Il titolo dell’opera del
Dalgarno è il seguente: ARS SIGNORVM: VVLGO CHARACTER VNIVERSALIS ET LINGUA
PHILOSOPHICA QVA POTVERVNT HOMINES DIVERSISSIMORVM IDIOMATVM SPATIO DVARVM
SEPTIMANARVM OMNIA ANIMI SVA SENSA NON MINVS INTELLIGIBILITER SIVE SCRIBENDO
SIVE LOQVENDO MVTVO COMMVNICARE QVAM LINGVIS PROPRIIS VERNACVLIS PRAETEREA HINC
ETIAM POTVERVNT IVVENES PHILOSOPHIAE PRINCIPIA ET VERAM LOGICES PRAXIN CITIVS
ET FACILIVS MVLTO IMBIBERE QVAM EX VVLGARIBVS PHILOSOPHORM SCRIPTIS, Londini,
cxcudebat J. Hayes sumptibus authoris (Ambrosiana, Villa Pernice, e Par Naz.).]
-rali e lingue artificiali e intendono costruire una lingua artificiale o
sistema di segni che risulti comunicabile e comprensibile (quindi adoperabile
sia nel linguaggio scritto che in quello parlato) indipendentemente dalla
lingua na- turale che effettivamente si parla. I caratteri dei quali la lingua
è composta, sono effables in ogni distinct language, in ogni caso le regole
della lingua universale non è detto che coincidano con quelle proprie delle
lingue naturali. La lingua artificiale è resa possibile dal fatto che le
nozioni interne o apprensioni delle cose (internal notions or apprehension of
things) o immagini mentali (mental ima- ges) sono comuni a tutti gli uomini,
mentre i nomi attribuiti alle nozioni e alle cose sono, nelle varie lingue
naturali, suo- ni o parole (sounds or words) nati dalla convenzione o dal caso
mediante i quali si esprimono, diversamente da lingua a lingua, le nozioni
interne o immagini mentali. A nozioni comuni, non corrispondono quindi, allo
stato presente delle cose, espressioni (expressions) comuni: creare
artificialmente queste ultime è appunto il compito che si propongono i teo-
rici della lingua universale.” 3) La lingua artificiale (che farà corrispondere
all’ac- 22 J. Witxins, Essay, cit., To the reader. 23 J. WiLkins, Essay, As men do
generally agree in the same principle of reason, so do they likewise agree in
the same internal notion or apprehension of things. The external expression of
these mental notions, whereby men communicate their thoughts to one another is
to the EAR -- by sounds, and more particularly by articulate voice and words.
That conceit which men have in their minds concerning a horse or a tree, is the
notion or mental image of that beast or natural thing, of such a nature, shape
and use. The NAME given to these in several languages – such as Latin, or
Italian --, are such ARBITRARY sounds or words, as nations of men – such as the
Romans -- have agreed upon, either causally or designedly, to express their
mental notions of them. The written word is the figure or picture of that
sound. So that, if men should
generally consent upon the same way or manner of expression, as they do agree
in the same notion, we should then be freed from that curse in the confusion of
do with all the unhappy consequences of it.] -cordo già presente nella sfera
delle immagini mentali anche l'accordo nelle espressioni) costituisce dunque un
efficace rimedio alla babelica confusione delle lingue – dopo la scolastica
latina -- e potrà eliminare le assurdità e le difficoltà, le ambiguità e gli
equivoci di cui son piene le varie lingue naturali, come il italiano e il
francese. Tutta prima parte (Prologomena) dell’opera di Wilkins è dedicata a un
esame, assai ampio e minuto, della situazione in cui versano le varie lingue,
dei mutamenti e delle corruzioni (changes and corruptions) che in esse si
verificano, dei loro difetti (defects), del problema dell'origine del
linguaggio. Wilkins parte dal presupposto — comune del resto a tutti questi
studiosi — che ogni lingua naturale sia di necessità imperfetta. Ogni mutamento
che si verifica nel patrimonio linguistico coincide per lui con un processo di
graduale corruzione. Every change is a gradual corruption – witness the passage from Cicero’s
Latin to Alighieri’s Italian! Nel
mescolarsi della nazione romana mediante i commerci, nei matrimoni tra sovrani,
nelle guerre e nelle conquiste, nel desiderio di eleganza dei dotti che conduce
a respingere la forma linguistica tradizionali, egli vede altrettanti fattori
di corruzione. Tutte le lingue, ad eccezione di quella originaria di ROMOLO,
sono state create per imitazione (‘mitation), derivano dall’arbitrio o dal caso.
In tutte le lingue sono quindi presenti difetti che, con l’aiuto dell’arte,
possono essere eliminati. Neither letters nor languages have been regularly established by the
rules of art. La non artificialità
delle lingue, quella che noi chiameremmo la loro spontaneità, appare a Wilkins
una specie di vizio d’origine e di peccato originario, la fonte di un
inevitabile processo di degenerazione, la radice di una confusione sempre
maggiore. In poche centinaia di anni — egli afferma — alcune lingue possono
andare completamente perdute, altre si trasformano fino a diventare
inintelligibili. La grammatica (unica arte che po: trebbe introdurre ordine nel
linguaggio) si è costituita più tardi delle lingue stesse e si è quindi
limitata a prendere atto di una situazione dominata dall’ambiguità dei termini
che assumono, a seconda dei contesti, una enorme varietà di si- gnificati.
Identica è, su questo punto, la posizione sostenuta da Dalgarno: l’arte ha il
compito «di porre rimedio alle difficoltà e alle confusioni di cui son piene le
varie lingue, eliminando ogni ridondanza, rettificando ogni anomalia, togliendo
di mezzo ogni ambiguità ed equivocità. La lingua artificiale –
DEUTERO-ESPERANTO -- vien presentata come un mezzo di comunicazione enormemente
più « facile » di tutti quelli attualmente in uso. Nelle pagine di Dalgarno e
di Wilkins ritroviamo presenti quelle mirabolanti promesse che aveva- no
riempito, per due secoli, i frontespizi delle opere lullia- ne e mnemotecniche.
Nello spazio di due settimane, afferma Dalgarno, uomini di differenti lingue
potranno giungere a comunicare per scritto e oralmente « non minus intelligibi-
liter quam linguis propriis vernaculis ». In un mese, secondo Wilkins, un uomo
di normali capacità intellettuali può im- padronirsi della lingua universale ed
esprimersi in essa con la stessa chiarezza con la quale si esprimerebbe in
latino dopo quarant'anni di studio. La lingua artificiale esercita una funzione
terapeutica nei confronti della filosofia che puo esser liberata dalle sue
malattie (l’uso dei sofismi e l’abbandono alle logomachie) e, per la sua
esattezza, può porsi come valido strumento per un ulteriore perfezionamento
della logica. In una parola l’Ars signorum non solo rappresenta un rimedio alla
confusione delle lingue, non solo offre un mezzo di comunicazione più facile di
qualunque altro finora conosciuto, ma anche cura la filosofia dalla malattia
dei sofismi e delle logomachie, e la provvede di più elastici e maneggevoli
strumenti opera- tivi (c0/edly and manageable instruments of operation) per
definire, dividere, dimostrare ecc. Dall’adozione della lingua artificiale
risulterà facilitata la trasmissione delle idee fra i popoli. I confini della
conoscenza potranno in tal modo essere allargati e potrà esser perseguito, con
nuovo vigore, quel bene generale dell’uma- 24 Per quanto qui esposto cfr.
Witkins, Essay. Sulla
grammatica cfr.: The very art by which a language such as Italian should be
regulated, viz. grammar, is of much later invention than the language itself,
being adapted to what is already in being, rather than the rule of making it so.
Per Dalgarno, cfr. Funke,
Weltsprachenproblem, WILKINS, Essay, Datcarno, Ars signorum] nità (general good
of mankind) che è superiore a quello di ogni particolare nazione. La nuova
lingua puo contribuire in modo decisivo allo stabilimento di una vera pace. Questo
progetto contribuirà grandemente a ri- muovere alcune delle nostre moderne
divergenze in religione smascherando molti stravaganti errori che si nascondono
sotto le frasi affettate; una volta che queste saranno filosoficamente spiegate
e ritradotte secondo la genuina e naturale importanza delle parole, si
riveleranno inconsistenti e contraddittorie. I segni dai quali è costituita la
lingua universale sono caratteri reali nel senso attribuito da Bacone a questo
termine): segni convenzionali che rappresentano o significano non i suoni e le
parole, ma direttamente le nozioni e le cose. Riprendendo le tesi di Bacone e
richiamandosi alle discussioni allora assai diffuse sui geroglifici, Wilkins
distingue dalle normali lettere dell’alfabeto (originariamente inventate da
Adamo – o Romolo – o Ennea – o il fondatore di Troia) le note (rotes) che sono
for secrecy e for orevity. AI primo tipo ‘appartengono la Mexican way of
writing by pictures e i geroglifici egiziani che sono rappresentazioni di creature
viventi o di altri corpi dietro i quali gl’Egiziani nascosero i misteri della
loro religione »; al secondo tipo appartengono quelle letters o marks dei quali
ci si può servire, come di una forma di scrittura abbreviata, per esprimere una
qualsiasi parola. In
tutto diversa è la fun- zione del « real universal character » che « should not
signi- fie words, but things and notions, and consequently might be legible by
any nation in their our tongue ».?* Tutti
i caratteri, secondo Wilkins, significano naturally o by institution. Quelli
che significano naturalmente sono pictures of things o altre immagini o
rapppresentazioni simboliche. Gl’altri derivano il loro significato da una
conven- [Wikkins, Essuy, cit., Epistola dedicatoria. 28 Sulle note e i geroglifici
egiziani J. Witkins, Essay; parlando dei caratteri reali Wilkins fa riferimento
a Bacone (« hath been reckoned by learned men amongst the desiderata) e alle
pagine di Bacone sulla scrittura cinese: mediante i caratteri reali « the inha-
bitants of that large kingdom, many of them of different tongues, do
communicate with one another, every one understanding this common character,
and reading in his own language.] zione ARBITRARIA LIBERAMENTE – pel libero
aribtrio -- ACCETTATA. A
quest’ultimo tipo appartenono i caratteri reali che dovranno essere semplici,
facili, chiaramente distinguibili l’uno dall'altro, di suono gradevole e di
forma graziosa, come nell’ITALIANO, e, soprattutto, dovranno essere methodical.
Rivelanti cioè la presenza di corrispondenze, di relazioni e di rapporti fra
segni. Fra i segni e le cose esiste una relazione univoca ed ogni segno
corrisponde al una cosa o azione («to every thing and notion there were
assigned a distinct mark): il progetto di una lingua universale implica dunque
quello di una enciclopedia, implica cioè la enumerazione completa e ordi- nata,
la classificazione rigorosa di tutte quelle cose e nozioni alle quali si vuole
che, nella lingua perfetta, corrispon- da un segno. Poiché la funzionalità
della lingua universale dipende dalla vastità del campo di esperienza che essa
riesce ad abbracciare e del quale riesce a dar conto, al limite la lin- gua
perfetta esige una preliminare classificazione di tutto ciò che esiste
nell'universo e che può essere oggetto di discorso, richiede una enciclopedia
totale, la costruzione di « tavole per- fette ». In vista di questa
classificazione totale, di questa riduzione a tavole delle cose e nozioni,
viene elaborato un metodo classificatorio fondato sulla divisione in categorie
ge- nerali, in generi e in differenze. Solo mediante questa grande costruzione
enciclopedica ogni segno impiegato potrà fun- zionare come il segno di una
lingua perfetta: fornire cioè una esatta definizione della cosa o nozione
significata. Si ha infatti definizione quando il segno rivela il « posto » che
la cosa o azione (indicata dal segno) occupa in quell’insieme ordinato di
oggetti reali e di azioni reali rispetto al quale le tavole si pongono come uno
specchio. Inizialmente i costruttori di queste lingue universali segueno una
strada in parte differente. Iniziano la raccolta di tutti i termini primitivi
(primitive o radical words) contenuti nelle varie lingue per giungere alla
costruzione di un dizionario essenziale. In questa direzione si e mosso lo
stesso Wilkins in un’opera che riecheggiava nel titolo una espressione di Co- [Sugli
alfabeti cfr. J. Wilkins, Essay, sulla distinzione dei caratteri e sulle loro
caratteristiche] menio: Mercury or the secret and swift messenger. I termini
radicali apparivano qui a Wilkins in una relazione meno ambigua con le cose di
quanto non fossero i derived words.° A questa stessa ricerca dei termini
primitivi (si ricordino a questo proposito le tavole dei termini fondamentali
del Bister- field) si erano dedicati, in Inghilterra, Lodowick nella sua opera
sul linguaggio perfetto e Beck nell’Ur:iversal character. Quest'ultimo aveva
impiegato, come caratteri, i numeri arabi dallo 0 al 9; le combinazioni di tali
caratteri, esprimenti tutti i termini primitivi di ciascuna lingua, erano
disposte in ordine progressivo da 1 a 10.000, un numero, questo, che appariva a
Beck sufficiente ad esprimere tutti i ter- mini di uso generale. Ad ogni numero
corrispondeva un ter- mine di ogni lingua: ne risultava un « dizionario
numerico » i cui termini venivano poi disposti alfabeticamente (a seconda delle
varie lingue) in un altro dizionario alfabetico. Ciascuno dei due dizionari
serviva in tal modo da chiave
all’altro.?! L'adozione dei caratteri reali con l’annesso progetto di
una costruzione di « tavole complete » fece poi passare in se- conda linea la
ricerca dei radicals words: si trattava ora di procedere alla riduzione di
tutte le cose e le nozioni alle ta- vole («the reducing all things and notions
to such kind of tables »). Costruire una raccolta di questo genere apparve a
Wilkins un’impresa più adatta ad una accademia e ad un’epoca che a una persona
singola: la principale difficoltà consisteva proprio nella completezza (« without
any redundacy or deficiency as to the number of things and notions ») e nella
siste- maticità (regular as to their place and order). Il problema dei termini
primitivi o radicali non poteva tuttavia essere eluso: le tavole non potevano
evidentemente contenere dav- vero tutto. Le cose e le nozioni in esse
classificate ed enume- rate erano solo quelle che rientravano (si era deciso di
far rientrare) nella lingua universale o « cadevano all'interno del discorso »:
«a regular enumeration and description of all [ J. WiLkins, Mercury or the
secret and swift messenger, ahewing how a man may with privacy and speed
communicate his thoughts to a friend at a distance, London (ediz. London). Cfr. EMery, Wilkins'
universal language, those things and notions to wich names are to be
assigned... enumerating and describing all such things and notions as fall
under discourse... ».?* La
completezza della lingua veniva fatta dipendere dalla completezza delle tavole
che erano presentate come uno spec- chio dell'ordinamento del mondo reale, ma
per realizzare una completezza che non fosse irrealizzabile (enumerazione com-
pleta) Wilkins riprese l’esigenza che era stata alla base della ricerca dei
radical words. Le tavole non dovevano contenere tutto, ma soltanto le cose di «
a more simple nature »; quelle di «a more mixted and complicated signification
» dovevano essere ridotte alle prime ed espresse mediante perifrasi (per:
phrastically). Il dizionario alfabetico inglese posto da Wilkins in appendice
alla sua opera intende rispondere a questo scopo: mostrare come tutti i termini
della lingua inglese possano essere in qualche modo riportati a quelli elencati
e ordinati nelle tavole. Per realizzare l’ordinamento in tavole di tutte le
cose e nozioni Wilkins fornisce un elenco di XL generi, ciascuno dei quali
viene poi suddiviso secondo le differenze che (fatta eccezione per alcune
classificazioni zoologiche e bota- niche) sono sei di numero. I primi sei generi, che
compren- dono « such matters, as by reason of their generalness, or in some
other respect, are above all those common head of things called predicaments »,
sono: I. Trascendentale generale 4. Discorso
2. Relazione trascendentale mista Dio Relazione trascendentale di azione 6.
Mondo Gli altri trentaquattro generi sono ordinati come segue sotto i cinque
predicamenti : 22 J. Wikins, Essay, cit., pp. 20-22 e numerosi passi contenuti
nel- l’epistola dedicatoria. % Wilkins, Essay: An alphabetical dictionary wherein all english words
according to their various significations are either referred to their places
in the philosophical tables, or explained by such words as are in the tables. Wilkins, Essay. Per l'esposizione che segue
cfr. anche .; c il riassunto delle varie parti dell’opera. Erba considerata
secondo: Animali: Parti : Sostanza Elemento Pietra Metallo Foglia Fiore Seme
Arbusto Albero . Esangui . Pesce . Uccello . Bestia . Parti peculiari . Parti
generali QUANTITÀ (Cf. Grice) Grandezza Spazio Misura Privata : Pubblica : QUALITÀ
(Cf. Grice). Potere naturale Abito Costumi Qualità sensibile Malattia Azione
Spirituale Corporea Movimento Operazione RELAZIONE (Cf. Grice). Economica
Proprietà Provvigione Civile Giudiziaria Militare Navale Ecclesiastica Ciascuno
di questi XL generi viene suddiviso secondo le sue differenze e si enumerano
poi le varie specie ap- partenenti a ciascuna delle differenze «seguendo un
ordine e una dipendenza tali che possano contribuire a una defini- zione delle
differenze e delle specie, determinando il loro si- gnificato primario ».
Dell’ottavo genere (pietra) vengono per esempio enumerate sei differenze: Le
pietre possono essere distinte a seconda che siano: Volgari o senza prezzo Di
prezzo medio Preziose: Meno trasparenti Più trasparenti Le concrezioni
terrestri sono: Solubili Non-solubili Ciascuna delle differenze è suddivisa
nelle varie specie. Le « pietre volgari » (prima differenza) comprendono per
esem- pio otto specie che non vengono (questo accorgimento è essen- ziale alla
tecnica di Wilkins) semplicementeelencate, ma variamente raggruppate,
all’interno della tavola, e classificate a seconda della maggiore o minore
grandezza, dell’uso che se ne fa e dell'impiego nelle arti, dell'assenza o
presenza di elementi metallici, ecc. Di questo tipo sono le tavole di Wilkins,
che occupano poco meno di trecento pagine, in corpo fittissimo, della sua
opera. Mediante questa ordinata classificazione delle cose e nozioni alle quali
« devono essere assegnati i nomi in accordo alle loro rispettive nature, si è
realizzata quella universal philosophy che sta alla base della lingua perfetta
e che indica l'ordine, la dipendenza e le relazioni tra le nozioni e tra le
cose. Mediante l’uso di lettere e di segni convenzionali è ora possibile dar
luogo a un linguaggio universale che è il corri- spettivo della « filosofia
universale ». I generi (ci limitiamo qui ai primi nove) vengono indicati come
segue: Trascendentale generale Ba Relazione trascendentale mista Ba
Trascendentale di azione Be Discorso Bi Dio Dx Mondo Da Elemento De Pietra Di
Metallo Do Per esprimere le differenze vengono indicate, nell’ordine, le
consonanti B, D, G, P, T, C, Z, S, N; le specie vengono indicate ponendo, dopo
la consonante che indica la diffe- renza, i segni seguenti: a, a, €, i, 0, ò,
Y, yi, yo. Per esempio: Di significa « pietra »; Did significa la prima
differenza che è « pietra volgare »; Diba indica la seconda specie che è « ragg
»; De significa elemento; Ded significa la prima differenza che è « fuoco »;
Deba denoterà la prima specie che è « fiamma », Det sarà la quinta differenza che
è « meteore » e Dera la prima specie della quinta differenza che è « arcobaleno
». Individuando la posizione che un dato termine occupa nelle tavole si potrà
definirlo, determinare cioè con sufficiente chiarezza il “primary sense of the
thing’. Le tavole di Wilkins forniscono senza dubbio non poche informazioni:
per esempio il significato del termine « diamante » risulterà, in base alle
tavole, esser quello di una sostanza, di una pietra, di una pietra preziosa,
trasparente, colorata, durissima, bril- lante. Ma varrebbe la pena di
soffermarsi su alcune tipiche definizioni come quella di «bontà » 0 di «
moderazione » v di «fanatismo ». La formazione del plurale, degli aggettivi,
delle preposizioni, dei pronomi, ecc. consente a Wilkins di giungere, sia pure
assai faticosamente, alla costruzione di una vera e propria lingua. Dell’uso di
questa, impiegando prima le lettere alfabetiche poi i più complessi « caratteri
reali » egli ci offre un esempio con la traduzione del Pater noster e del
Credo. In modo non dissimile aveva proceduto Dalgarno quando aveva costruito,
nell’Ars signorum, vulgo character universalis et lingua philosophica, una
classificazione logica di tutte le idee e di tutte le cose dividendole in
diciassette classi supreme: A. Essere, cose M. Concreti matematici ». Sostanze
N. Concreti fisici E. Accidenti F. Concreti artificiali I. Fsseri concreti B.
Accidenti matematici (composti di sostanza e acci- ID. Accidenti fisici
generali denti) G. Qualità sensibili O. Corpi P. Accidenti sensibili v. Spirito
T. Accidenti razionali U. Uomo K. Accidenti politici (compesto di corpo e
spirito) S. Accidenti comuni Ciascuna
delle diciassette classi supreme veniva suddivisa in sottoclassi che si
distinguevano per la variazione della se- conda lettera. Ecco, a titolo di
esempio, la sottoclasse di K : Ka. Relazione di ufficio Ko. Ruolo del giudice
Kn. Relazione giudiziaria Kwv. Delitti Ke. Materia giudiziaria Ku. Guerre Ki.
Ruolo delle parti Ska. Religione I termini, compresi in ciascuna delle
sottoclassi, si distin- guono per la variazione dell’ultima lettera. In questi
termini la lettera s, non iniziale, è « servile » e non ha un senso logico
determinato, r indica l’opposizione, / il medio fra gli estremi, v è l'iniziale
dei nomi di numeri. Sotto Ska (religione) sono compresi i termini seguenti:
Skam: grazia Skag: sacrificio Skan: felicità Skap: sacramento Skaf: adorare
Skat: mistero Skab: giudicare Skak: miracolo Skad: pregare L'introduzione della
lettera ” consentirà la determinazione degli opposti che sono, in questo caso,
natura che si op- pone a grazia; miseria che si oppone a felicità; profanare
che si oppone ad adorare; lodare che si oppone a pregare. Riproducendo nei
dettagli questa classificazione Leibniz comporrà quelle ampie tavole di
definizioni che costituiscono il più importante documento del suo progetto di
una universale enciclopedia. La funzionalità di queste complicate lingue
artificiali è evidentemente legata (sia nel caso di Wilkins sia in quello di
Dalgarno) alla maggiore o minore funzionalità della loro macchinosa
classificazione delle cose e delle nozioni. A proposito di quest’ultima, resta
da sottolineare una tesi caratteristica delle posizioni delle quali qui ci
occupiamo e alla quale abbiamo più volte accennato. L’enciclopedia, l’in- sieme
delle tavole — e quindi la lingua artificiale che ne è il correlato — appaiono
valide in quanto costituiscono lo specchio dell’ordine presente nella realtà.
La classifica zione dev'essere fondata sull’ordine delle cose; i rapporti di
relazione fra i termini riproducono rapporti e relazioni reali: apprendendo i
caratteri e i nomi delle cose, verremo istruiti similmente nelle zazure delle
cose: questa duplice conoscenza dev’essere congiunta. Per realizzare davvero
ciò è necessario che la stessa teoria, sulla quale il nostro progetto è
fondato, riproduca esattamente la natura delle cose Couturat, Opuscules et
fragments inédits de Leibniz, Paris (Phil. Witkins, Essay. By learning the character and the
names of things, we should be instructed likewise in their natures, the
knowledge of both which ought to be conjoyed. For the accurate effecting of
this, it would be necessary, that the theory itself, upon which such a design is
to be founded, is exactly suited the nature of things. Non a caso Wilkins, che
pure dedica ai problemi del linguaggio non poche delle sue energie, ripete, con
Bacone e con i baconiani: as things are better then [sic] words, as real
knowledge is beyond the elegancy of a speech like the Italian speech. I segni della lingua perfetta o universale consentono
dunque di individuare con la massima precisione il posto che ciascuna cosa (o
azione) occupa nelle tavole, permettono cioè di collocare esattamente ogni
singolo oggetto naturale in quell'ordine universale che è rispecchiato dalla
ewrniversal philo- sophy o enciclopedia. Mediante questa collocazione si
possono individuare le relazioni tra la cosa significata e le altre
appartenenti alla stessa classe o specie, si possono determinare i rapporti
intercorrenti tra la cosa stessa e le differenze c i generi dai quali essa è
contenuta come elemento. Perché si potesse giungere con la necessaria rapidità
a realizzare queste collocazioni, giungendo in tal modo a precise, esaurienti
de- finizioni, Wilkins aveva elaborato tutta una serie di accorgi- menti di
tipo mnemonico: « Se questi segni o note vengono costruiti in modo da essere in
un reciproco rapporto di dipen- denza e di relazione conveniente alla natura
delle cose signi- ficate, e similmente se i nomi delle cose vengono ordinati in
modo da contenere nelle lettere o suoni che li compongono una specie di
affinità e opposizione in qualche modo rispon- dente alle affinità e alle
opposizioni delle cose significate, si avrebbero ulteriori vantaggi: oltre che
aiutare la memoria (helping the memory) in modo ottimo, l’intelletto verrebbe
grandemente rafforzato Mott, commen- tando questo passo, ha scritto con molta
chiarezza: «era fa- cile richiamare alla mente il termine atto a indicare
l'oggetto salmone se si sapeva che il termine era composto di due sil- labe e
cominciava con Za, il simbolo del genere pesci... Una volta ricordato il
termine Zara lo studioso, data la sua fami- liarità con la progressione
alfabetica dei caratteri, avrebbe [Witkins, Essay, cif., cpistola. 38 J.
Witxins, Essay, avuto chiaro il posto del salmone all’interno del genere pesci
e, in ultima analisi, entro l’intero schema della creazione dr * L’insistenza
sul valore mnemonico della lingua univer- sale, presente nell’opera di Wilkins,
non era casuale : una lingua di questo genere sembrava in effetti esaudire le
spc- ranze e realizzare le aspirazioni di tutti quei teorici della me- moria
artificiale che avevano inteso « disporre ordinatamente — entro i loro
complicatissimi teatri — tutti quei luoghi che possono bastare a tenere a mente
et ministrar tutti gli humani concetti, tutte le cose che sono in tutto il
mondo. Tutti i maggiori teorici della lingua universale insistono del resto,
concordemente, sul valore mnemonico dei linguaggi perfetti. Cipriano Kinner,
che collabora con Comenio c che per primo aveva formulato nei dettagli il
progetto di una lingua artificiale, concepiva la sua lingua non solo come un
rimedio alla « babelica confusione delle lingue naturali », ma anche, e
soprattutto, come un potente, prezioso « aiuto alla memoria ». Col suo metodo
gli studiosi di scienze natu- rali avrebbero potuto ritenere le nozioni più
complicate e dif- ficili: «quale botanico, anche espertissimo, potrebbe impri-
mersi nella memoria, fra tanta varietà di autori in contrasto, le nature e i
nomi di tutte le piante? L'adozione
della lingua artificiale i cui termini indicano la natura c le qualità di ogni
singola pianta e il posto che ciascuna pianta occupa nella clas- sificazione
per generi e specie, renderà quest’impresa, in apparenza disperata, possibile e
oltremodo facile: « mediante la lingua artificiale tutto potrà essere ricordato
e recitato senza interruzioni, così come in un’aurea catena, composta di un
migliaio di anelli, se vien mosso il primo anello, si muovono tutti gli altri,
anche se noi non vogliamo affatto che essi si muovano ».°! Non diversamente da
Kinner, anche Lodowick, Edmundson e Dalgarno metteranno in luce il valore
mnemo- nico della lingua universale, mentre Wilkins presenterà più volte, nel
corso del suo Saggio, la sua lingua come un aiuto °° B. De MotT, Science versus
mnemonics, Cfr. G. CAMINO (si veda), Opere, Venezia, A. Griffo. Il testo del Kinner è contenuto
in una lettera a Hartlib pubblicata da B. De Mott, The sources of the
philosophical language, Journal of Engl. and Germ. Philol.] alla debolezza della memoria naturale. I
tremila termini dei quali la sua lingua è composta, sono certo in numero assai
minore di quelli impiegati in una qualunque lingua cffetti- vamente parlata e
tuttavia questi tremila termini « sono ordi- nati in modo da poter esser
ricordati più facilmente di mille termini propri di una qualunque lingua
naturale ».'? In una lettera scritta a Boyle, Beale, membro della Royal
Society, raccomanda l’uso dei mnemonical characters (così egli chiama i
caratteri reali) giacché essi gli apparivano in grado di introdurre finalmente
ordine in tutte le possibili combinazioni di lettere, di sillabe e di parole.] Come
Kinner aveva ben visto, il problema della funzione mnemonica delle lingue
artificiali si presentava strettamente connesso a quello della classificazione
dei minerali, delle piante, degli animali. Proprio su questo argomento si apre un’interessante
discussione della quale fu prota- gonista John Ray, l’autore della monumentale
Historia plantarum generalis, uno dei maggiori scienziati. Congiuntamente al
Willoughby il Ray collabora attivamente all’opera di Wilkins, elaborando una
classi: ficazione delle piante rispondente agli scopi e alle esigenze proprie
della lingua universale. Alle tavole della grande enciclopedia contenuta
nell’Essay towards a real character and a philosophical language non spettava
certo, secondo Wilkins, una funzione meramente ausiliaria. Nei suoi propositi e
nei suoi intendimenti le tavole « soprattutto quelle concernenti i corpi
naturali » avrebbero dovuto « promuovere e facilitare la conoscenza della
natura » contribuire cioè in modo diretto al lavoro di ricerca svolto dai
membri della Royal Society. Rivolgendosi al presidente e ai membri della
illustre accademia Wilkins affermava: « nelle tavole ho disposto le cose in un
ordine che potrà essere appro- vato dalla Società: in esse potrete trovare un
ottimo metodo per la costruzione di un repository che servirà da un lato a
ordinare le cognizioni già possedute e dall’altro a supplire le eventuali
lacune ». Le ambizioni di Wilkins dovevano essere 42 Per i riferimenti alla
memoria: WiLkins, Essay. La lettera è ripubblicata in R. BovyLE, Works, cir.]
presto deluse, ma è certo che il suo tentativo di una ordinata, completa
classificazione dovette interessare fortemente quanti erano impegnati, in sede
di scienze della natura, alla costru- zione di classificazioni riguardanti
campi limitati di esperienza. E’ stato notato, molto acutamente, che Wilkins si
proponeva di fare con le parole ciò che Linneo farà più tardi con le piante: *
« scopo principale di queste tavole — scriveva il buon vescovo di Chester — è
di offrire una enumerazione sufficiente di tutte le cose e nozioni e
contemporaneamente di disporle in ordine tale che il posto assegnato a ciascuna
cosa possa contribuire alla descrizione della sua natura indicando la specie
generale e particolare entro la quale la cosa è collo- cata e la differenza per
la quale essa è distinta dalle altre cose della stessa specie ».! Sulla base di
questa convergenza di interessi e di problemi si verificò, di fatto, una
collaborazione fra Wilkins da un lato e Willoughby e John Ray dall’altro. Le
classificazioni di ani- mali e di piante, presenti nell’Essay, sono infatti
opera dei due illustri scienziati. Ad essi si era rivolto nel 1666 lo stesso
Wilkins per poter inserire nel suo testo una « regular enume- ration of all the
families of plants and animals ».‘*° L' inte- resse del Ray al progetto dello
Wilkins non era certo margi- 41 C. EMery, /. Wilkins universal language, cWiLkins, Essay, Si
veda la lettera di John Wilkins a Willoughby in W. DerHax, Philosophical
letters, London. Il piano di
Wilkins relativo alla lingua universale circola; sui contatti di Wilkins con
Ray c Willoughby si vedano le considerazioni di Mott, Science versus mnemonics.
Sull’opera scientifica di Ray che e
detto il Plinio inglese e che fu il primo a far uso del termine specie nelle
classificazioni botaniche cfr. E. GuyenoT, Les sciences de la vie, Paris,
OtLiver, Makers of british botany, Cambridge; Raven, /. Ray naturalist, London,
ma sì vedano anche le precise osservazioni di MarceLLA RENZONI, nell'ampio e
preciso commento a Burron, Storia naturale, Torino] La celebre classificazione
del Ray, presente nel Mezliodus plantarum nova del 1682 non è che una
rielaborazione di quella già pubblicata nell'opera di Wilkins. Sull’opera
congiunta di Ray e di Willoughby (autore della Orzitfologia; della Historia piscium;
della Historia insectorum, cfr. anche E. GurExor, Biologie humaine et animale
nel secondo vol. della Histoire générale des sciences, Paris] nale: l’insigne
scienziato si sottopose all’ingrata fatica di tra- durre in latino, per
renderlo accessibile a tutta Europa, l'intero testo dell'Essay. Le sue
divergenze con Wilkins nasceno però sul terreno del metodo, riguardano proprio
gli aspetti mnemonici della lingua universale. Nella costruzione di queste
tavole — scrive Ray a Lister — non mi si è richiesto di seguire i comandi della
natura, ma di adattare le piante al sistema proprio dell’autore. Io debbo
dividere le erbe in tre classi il più possibile eguali, suddividere poi
ciascuna classe in differenze stando attento a che le piante ordinate entro
ciascuna differenza non superino un dato numero fisso. Chi potrebbe sperare che
un tal metodo sia soddisfacente? Esso appare assurdo e imperfettissimo, debbo
dire francamente che si tratta di un metodo assurdo perché attribuisco più
valore alla verità che alla mia personale reputazione. Anche Wilkins, proprio
come Ray, aveva inteso che i suoi schemi « seguissero con esattezza la natura
delle cose », ma, a diffe- renza di Wilkins, Ray trovava assai difficile
iceordare: almeno in sede di botanica, l’a/fabeto e la natura, l'ordine della
me- moria e l’ordine presente nella realtà. Di fronte alle difficoltà di una
classificazione degli animali e delle piante entrava in crisi, in realtà,
quella assoluta regolarità delle tavole che era essenziale al funzionamento
della lingua perfetta: i quaranta generi « may be subdivided by its peculiar differences,
which, for the better convenience of this institution, I take leave to
determine (for the most part) to the number of six. Unless it be in those numerous
tribes of herbs, trees, exanguious animals, fishes, and birds, which are of too
great variety to be com- prehended in so narrow a compass »."* Sul metodo come ordinata classificazione, come
divisione, costruzione di armoniose tavole e di regolarissime gerarchie,
avevano concordemente insistito, per secoli, i teorici dell’ars reminiscendi.
Proprio nella costruzione dei «teatri » e degli 4? La traduzione di Ray, che fu
effettivamente condotta a termine, non fu mai pubblicata. Cfr. Select Remains of the
learned Ray by Derham, ed. G. Scott, London, The correspondence of Ray,
ed.Lankester, London. Sul
significato di queste riserve cfr. Mott, Science versus mnemonics, Wikins,
Essay, «alberi », negli ordinamenti e nelle classificazioni essi ave- vano
visto i più importanti strumenti per realizzare una me- moria artificiale che
potesse soccorrere aila debolezza delle naturali facoltà ritentive. Da questo
terreno storico aveva tratto alimento l’idea, così diffusa, di una logica
memorativa, di una sostanziale affinità tra la logica (il metodo) e la memoria
(come facoltà di ritenere l’ordinato si- stema di tutte le scienze). In questo
senso Ramo aveva attri- buito alla memoria una funzione ordinatrice e aveva
visto nella memoria una parte o sezione del metodo; in questo senso Bacone
aveva concepito la min:istratio ad memoriam (cui spet- tava il compito di « eliminare
la confusione » e di procedere alla costruzione delle tavole) come parte
integrante della nuova logica; in questo senso, infine, Cartesio aveva inteso
la enu- meratio come un soccorso alla naturale fragilità dell’umana memoria. In
questi stessi anni Alsted aveva visto nella me- moria una «tecnica
dell’ordinamento delle nozioni » e aveva sostenuto la piena risoluzione della
memoria « madre dell’or- dine » in una logica intesa come arte del
classificare, come metodo per la costruzione del systema mnemonicum o uni-
versale enciclopedia delle scienze. In modo non dissimile concepirono il «
metodo » gli uomini che si volsero alla non facile impresa di una integrale,
ordinata, coerente classificazione dei minerali, delle piante, degli animali.
Metodo voleva dire per essi « metodica divisione delle diverse produzioni della
na- tura in classi, generi, specie», capacità di costruire una no- menclatura i
cui termini fossero significativi di rapporti fra il singolo elemento e i
generi e le specie di appartenenza, chia- rissero il posto di ciascun elemento
in un sistema più vasto. Proprio nel momento in cui, alla metà del Settecento,
i « metodi » entrarono in crisi e vennero rifiutate le classificazioni
tradizionali troviamo esplicitamente teorizzata, in polemica contro un
recentissimo passato, la funzione mnemonica delle classificazioni e dei metodi.
Rifiutando, in nome di una esatta descrizione, l’idea stessa del « sistema» e
polemizzando contro la tradizione della botanica, Buffon rifiutava
energicamente «tutti i metodi che si sono compilati per aiutare la memoria ».°°
E proprio su questa [Burron, Storia naturale] funzione mnemonica dei metodi
insistono concordemente i maggiori esponenti della botanica del Settecento: «
l’immensa quantità di piante cominciò a pesare sui botanici — scrive lo Adanson
nella prefazione alla Famulles des plantes — quale memoria poteva bastare a
tanti nomi? I botanici, per allegge- rire questa scienza, immaginarono perciò i
metodi ».°! E Fontenelle, nell’elogio pronunciato all'Accademia per la morte di
Tournefort, scriveva: «egli permise di mettere ordine nello straordinario
numero di piante disseminate alla rinfusa sulla terra e anche sotto le acque
del mare e di distribuirle nei di- versi generi e nelle diverse specie che ne
facilitano la memoria e impediscono alla memoria dei botanici di crollare sotto
il peso di una infinità di nomi »°° Non si tratta di accostamenti casuali: per
rendersene conto basta leggere la voce Botanigue della grande enciclopedia il-
luministica: «il metodo serve a dare un'idea delle proprietà essenziali di
ciascun oggetto e a presentare le relazioni e i contrasti esistenti fra le
differenti produzioni della natura... per chi si avvia allo studio della natura
il metodo è un filo che serve da guida entro un complicatissimo labirinto, per
gli altri (già esperti nelle scienze) è un quadro che rappre- senta taluni
fatti, i quali possono farne ricordare altri nel caso che già li si conosca un
solo metodo è sufficiente per la nomenclatura: si tratta di costruirsi una
sorta di memoria artificiale per ritenere l’idea e il nome di ogni pianta
giacché il numero delle piante è troppo grande perché si possa tra- scurare un
tale soccorso; a questo scopo qualunque metodo è buono ». La violenza di questa
polemica, il vigore di questi rifiuti costituiscono, di per sé, una conferma
della persistenza, per tutto il secolo precedente, di una concezione del metodo
come memoria. È contro una concezione di questo tipo che pole- mizzano gli
enciclopedisti: queste divisioni metodiche — è scritto nelle pagine dedicate
alla voce Histoire naturelle — aiutano la memoria e sembrano venire a capo del
caos for- M. Apanson, Familles des plantes, Paris, 1763, p. XCV. B. DE
FonteneLLE, E/oge de Tournefort, Hist. Acad. Sci.. Questo e il passo precedente
sono cit. da M. Renzoni nelle note a Burron, Storia naturale] mato dagli
oggetti della natura... ma non bisogna mai di- menticare che questi sistemi
sono fondati solo su arbitrarie convenzioni umane e che essi non sono d'accordo
con le in- variabili leggi della natura ». Qui non venivano solo rifiu- tati
quegli « aiuti della memoria » che erano stati teorizzati e difesi da illustri
esponenti della filosofia e della scienza; qui veniva rifiutata, in nome di un
deciso conven- zionalismo, anche l’antica idea di una piena, totale corrispon-
denza fra i termini dell’enciclopedia e la realtà delle cose. Anche il
matematismo di derivazione cartesiana ha senza dubbio contribuito a creare
un’atmosfera favorevole alla costruzione di una lingua artificiale – Grice’s
DEUTERO-ESPERANTO], ma l’azione esercitata da Cartesio sui progetti di una
lingua universale è, quantomeno, difficilmente determinabile. In una lettera a
Mersenne pubblicata a Parigi nella raccolta di Clerslier e che poté quindi
essere letta da qualcuno dei teorici del linguaggio universale -- ma siamo sul
piano delle ipotesi e di questa lettura non ho trovato alcuna documentazione
--, Cartesio, pur chiarendo con molta precisione le caratteristiche e gli scopi
di una lingua filosofica, si era mantenuto su un piano assai ambiguo. L'impresa
di una lingua filosofica gli e apparsa, almeno teoricamente, possibile:
stabilendo un ordine in tutti i pensieri che possono penetrare nello spirito
umano, allo stesso modo che esiste un ordine naturalmente stabilito nei numeri,
potrebbe costruirsi una lingua composta di caratteri apprendibili con grande
facilità e rapidità. L'invenzione di questa lingua — aggiunge— dipende però
dalla costruzione della vera filosofia, perché sarebbe altrimenti impossibile
enumerare tutti i pensieri degl’uomini e metterli in ordine. Una lingua di
questo genere, fondata sulla individuazione di quelle idee semplici che sono
nell’immaginazione degl’uomini e delle quali si compone tutto ciò che gli
uomini pensano », sarebbe facile da apprendere e da scrivere e, cosa
fondamentale, aiutera il giudizio rappresentando le cose così distintamente che
sarebbe impossibile ingannarsi, mentre al contrario le parole dell’italiano delle
quali attualmente disponiamo hanno quasi solo significati confusi ai quali da
lungo tempo si è adattato lo spirito degli uomini – cf. H. P. GRICE,
MODERNISM/FORMALISM. A causa di ciò quasi nulla viene inteso perfettamente. Ma
poco più avanti Cartesio ha messo in luce il carattere utopistico di un'impresa
di questo tipo e manifesta il suo radicale scetticismo sulla possibilità di una
pratica realizzazione. Je tiens que cette langue – DEUTERO-ESPERANTO -- est possible, et qu’on
peut trouver la science de qui elle dépend, par le moyen de laquelle les
paisans pourroient mieux juger de la verité des choses, qui ne font maintenant
les philosophes. Mais n’esperez pas de la voir jamais en usage, cela présuppose
de grands changemens en l’ordre des choses et il faudroit que tout le monde ne
fust qu’un paradis terrestre, ce qui n'est bon à proposer que dans le pays des
romans. [cf. H. P. GRICE –
IDIO-LECTO]. Una cosa Cartesio vede con chiarezza: lo stretto rapporto tra la
lingua perfetta e la vera filosofia -- quella che Wilkins poi chiam la
universal philosophy o enciclopedia. Cartesio aveva concepito questo rapporto
come un rapporto di dipendenza. L’assenza di un ordinato elenco di tutti i
pensieri degl’uomini dal quale ricavare l’elenco delle idee semplici rende impossibile
e illusoria la costruzione di una lingua universale come il DEUTERO-ESPERANTO. Dalgarno
e Wilkins avevano tentato l'impresa di una classificazione totale delle nozioni
e delle cose. Leibniz, largamente utilizzando questi tentativi, rifiuta
esplicitamente, proprio commentando la lettera a Mersenne ora ricordata, la
posizione cartesiana: « Quantunque questa lingua dipenda dalla vera filosofia,
essa non dipende dalla sua perfezione. Vale a dire: questa lingua può essere
costruita nonostante che la filosofia non sia perfetta; a misura che crescerà
la scienza degli uomini, crescerà anche questa lingua. Nell'attesa, essa
costituirà un aiuto meraviglioso: per servirci di ciò che sappiamo, per
renderci conto di ciò che ci manca € per trovare 1 Mezzi per arrivarci, ma
soprattutto servirà a eliminare, sterminandole, le controversie negli ar-
gomenti che dipendono dalla ragione. Perché, allora, calcolare e ragionare
saranno la stessa cosa. Descartes, Oesvres, ed. Adam et Tannery (ediz. Clerselier.
Coururat, Opuscules ct fragments inédits de Leibniz. In una lettera scritta a Francoforte Leibniz esprimeva
il suo entusiasmo per l’opera di Wilkins. Ho letto da poco il Caraztere
universale del dottissimo Wilkins; le sue tavole mi piacciono moltissimo e
vorrei che egli si fosse servito di figure per esprimere quelle cose che non
possono essere descritte che mediante la pittura, come per esempio i generi
degli animali, delle piante, degli strumenti. Quanto sarebbe desiderabile una
traduzione in latino della sua opera! ». La stessa speranza in una rapida
traduzione, Leibniz esprimeva due anni più tardi, in una lettera all’Oldenburg.
Dobbiamo arrivare a dopo gl’anni del soggiorno parigino e londinese, per
trovare espresse alcune ri- serve di fondo: « Sento che quell’uomo illustre
[Hoock| tiene in gran conto il Carattere filosofico di Wilkins che ho anch'io
nella meritata considerazione. Non posso ta- cere, tuttavia, che può essere
realizzato qualcosa di molto più rande e di molto più utile. Di tanto più
grande, di quanto i caratteri dell’algebra sono migliori di quelli della
chimica ».' Il contatto con l’analisi matematica era stato, da questo punto di
vista, decisivo: per Leibniz non si trattava più sol- tanto di costruire una
lingua che fosse in grado di facilitare la comunicazione tra gli uomini, ma di
dar luogo ad una scrittura universale mediante la quale si potessero, così come
in algebra e in aritmetica, costruire infallibili dimostrazioni. La differente
posizione assunta da Leibniz in queste lettere conferma ancora una volta, dal
punto di vista di un problema particolare, la validità di quella
interpretazione che vede nel soggiorno a Parigi e a Londra una « svolta » nel
pensiero leibniziano. In questi anni Leibniz si dedica allo studio della
matematica ed entra in contatto con il cartesianesimo e con le correnti più
vive del pensiero euro-[GerHarDT, Die philosophischen Schriften von Leibniz,
Berlin] peo. L'attenzione per gli aspetti sintattici del linguaggio, la
scoperta della « magia dell’algoritmo » o della « funzionalità » dei
procedimenti puramente formali, l'affermazione della pos- sibilità di una
scienza generale delle forme: questi temi e queste discussioni sono posteriori
agli anni della giovinezza, presuppongono l’accostamento dei metodi della
combinatoria a quelli della matematica e dell’algebra. Il progetto leibniziano
di una caratteristica universale era fondato — com'è noto — su questi tre
princìpi: le idee sono analizzabili ed è possibile rintracciare quell’alfabeto o
ABECEDARIO dei pensieri che è costituito dal catalogo delle nozioni semplici o
primitive; le idee possono essere rappresentate simbolicamente; è possibile una rappresentazione simbolica
delle relazioni tra le idee e, mediante opportune regole, è possibile procedere
alla loro combinazione. Questo progetto di Leibniz non nacque certamente sul
terreno dell’algebra o del formalismo logico. Kabitz ritrovato nella biblioteca
di Hannover l’esemplare, annotato da Leibniz, delle opere di Bisterfield ed è
certo a quest’ultimo autore, oltre che più genericamente alla tradizione del
lullismo, che va fatta risalire l’idea, fondamen- tale per lo stesso
costituirsi della combinatoria leibniziana, di un alfabeto o ABECEDARIO dei
pensieri umani o di un catalogo delle nozioni primitive dalla combinazione
delle quali si possano ricavare tutte le idee complesse. In una lettera scritta
probabilmente al barone di Boineburg e che contiene una delle prime for- [Per 1
rapporti con Bisterfiecld e la presenza di motivi attinti alle correnti
mistiche-pitagoriche: Kasirz, Die Philosophie der jungen Leibniz.
Untersuchungen zur Entwicklungsgeschichte seines Systems, Heidelberg; per i
rapporti con la pansofia: Leibniz’ Verhaltnis zur Renaissance im allgemeinen
und zu Nizolius im besonderen, Bonn, 1912; per i rapporti con Alsted c con
Henry Morc: D. MaHNKE, Leibmizens Synthese von Untversalmathematik und
Individualmetaphysik, Jahrb. fur Philos. u. phinomenologische Forschung .
FeitcHenFELD, Leibniz und Henry More, Berlin G. Couturat, Opuscules et fragments inédits de
Leibniz, Paris, Alcan (di qui in avanti indicato con la sigla Op. seguita dal
numero della pagina); LEIBNIZ, Textes inédites publiés et annotés par Grua,
voll. 2, Paris (di qui in avanti si userà la abbreviazione Grua, seguita dal
numero delle pagine] mulazioni della caratteristica, Leibniz mostrava di
accettare, nella sostanza, il progetto di Kircher: ai concetti e alle nozioni
fondamentali vanno sostituite figure di circoli, di qua- drati, e di triangoli
variamente disposti; mediante la combi- nazione delle figure potranno essere
espresse le relazioni e le combinazioni fra le idee. Accanto a quelli del
Bisterfield e del Kircher, troviamo ricordati, nella Dissertatio de arte
combinatoria, i nomi di Lullo e di BRUNO, di Agrippa e di Grégoire, di Alsted,
di Bacone ec di Hobbes. La critica che Leibniz rivolgeva a Lullo non concerne
minimamente il principio ispiratore della combinatoria: riguardal’arbitrarietà
delle classi e delle radici, la insufficienza delle combinazioni. Il
riferimento a Bacone e giustificato dal fatto che il Verulamio pone fra i
desiderata una logica inventiva. Quello a Hobbes dalla identificazione di ogni
operazione mentale con una computatio. Il riferimento a Hobbes non deve trarre
in inganno. Leibniz si limita ad approvare l’accostamento, presente nei testi
di Hobbes, ma larghissimamente diffuso anche nei testi del lullismo, della
logica ad un calcolo – cf. H. P. Grice, “first-order predicate calculus with
identity. The Merton Calculators. Speranza. Come ha mostrato con abbondanza di
argomentazioni Couturat, il peso esercitato d’Hobbes sull’idea della
caratteristica è assai scarso e, nella interpretazione del calcolo, Leibniz si
allontana in modo radicale dalle posizioni hobbesiane. Prevalgono in ogni modo,
tra le fonti indicate da Leibniz, i testi dei lulliani e degli enciclopedisti:
richiamandosi agli saggi di BRUNO, d’Agrippa, di Alsted, Leibniz fa riferimento
alle più note e celebrate esposizioni e ai più diffusi commenti dell’Ars magna;
nella Sintassi del Grégoire aveva trovato, vigorosamente espressa,
l’aspirazione ad una scienza generale fondata sulla determinazione di una serie
limitata di princìpi e di assiomi; dalla Technica curiosa sive mirabilia artis
di Caspar Schott, uno dei testi più caratteristici della « magia » dei gesuiti
del Seicento, aveva infine attinto notizie sulle lingue universali. Cfr. Op.; G.
Coururat, La logique de Leibniz d’après des documents inédits, Paris, 1901,
tutta la appendice Il e in particolare le pp. 458 - (Qui di seguito abbreviato
con CouTuRaT). ® Caspar ScHotT, Technica curiosa, sive mirabilia artis,
Norimbergae (Triv. Mor. H.). Il problema fondamentale della logica inventiva,
quale viene esposta nella Dissertatio de arte combinatoria, è quello, ben noto,
di trovare tutti i possibili predicati di un dato sog- getto e, dato un
predicato, trovare tutti i suoi possibili soggetti. Trascurando, come è
legittimo fare in questa sede, tutta una vasta serie di problemi più
strettamente tecnici, ci si limi- terà a fornire, sulla traccia della
esposizione del Belaval, un esempio del modo di procedere di Leibniz. Per
risolvere il problema sopra indicato è necessario individuare le idee semplici
e primitive che possono essere indicate con un SEGNO convenzionale, in questo
caso con un numero. Siano i termini della prima classe: 1: il punto; 2: lo
spazio; 3: l’interposto fra; 4: il contiguo; 5: il distante; 9: la parte; 10:
il tutto; 11: lo stesso; 12: il diverso: 13: l’uno; 14: il numero; 15: la
pluralità; 16: la distanza; 17: il possibile ecc. Combinando a due a due i
termini della prima classe -- com2natio -- si ottengono i termini della seconda
classe. Per esempio la quantità -- il numero delle parti -- sarà rappresentata
dalla formula: 14709 (15). Mediante la combinazione dei termini a tre a tre -- com3natio
-- si otterranno i termini della terza classe: per cs. intervallum è 2.3.10,
vale a dire che l’intervallo è lo spazio (2) preso in (3) un tutto (10). E così
di seguito procedendo per comA4natio, comSnatio ecc. Per trovare i predicati di
un determinato soggetto basta suddividere un termine nei suoi fattori primi
determinando poi le possibili combinazioni di questi fattori. I predicati
possibili di intervallo sono: lo spazio (2), l’intersituazione (3), il tutto
(10) presi uno ad uno; poi, presi per com2natio, lo spazio intersituato (2.3),
lo spazio totale (2.10), l’intersituazione nello spazio (3.10); infine, per
com3 natio, il prodotto 2.3.10 che costituisce la definizione di :ntervallo.
Per trovare tutti i possibili soggetti di intervallo (predicato) bisogna
individuare tutti i termini le cui definizioni contengono i fattori 2.3.10.
Tutte le combinazioni risultanti da questi fattori apparterranno
necessariamente alla classe delle nozioni complesse di ordine superiore alla
classe cui appar- tiene intervallo (che appartiene alla terza classe). La
linea, che è definita come un intervallo tra due punti, appartiene alla quarta
classe giacché per definirla occorreranno quattro ter- minì primitivi: 2,3,10 e
1 -- il punto. Dati n termini semplici e indicando con 4 (2>4) il numero dei
fattori primi costituenti un predicato si daranno 2 "-k soggetti possibili
(la pro- posizione tautologica «un intervallo è un intervallo » è evi-
dentemente compresa in questo numero). La caratteristica, come ha notato con
esattezza il Couturat, non fu tuttavia inizialmente concepita sotto la forma di
un’al- gebra 0 di un calcolo, ma sotto la forma di una lingua o scrit- tura
universale.* L’uso XI dell’ars combinatoria consiste in- fatti per Leibniz
nell’invenzione di una «scrittura universale, intelligibile cioè ad un
qualunque lettore esperto in una qual- siasi lingua ». Tra i testi di lingua
universale a lui contempo- ranei, Leibniz ricordava — fondandosi
sull’esposizione che ne aveva fatto Schott — uno scritto anonimo pubblicato a
Roma nel quale il metodo era abbastanza
ingegnosamente ricavato dalla natura delle cose: l’autore distribuiva le cose
in varie classi ed ogni classe era formata da un deter- minato numero di cose
»,° per designare un oggetto qualunque bastava indicare il numero della classe
e il numero dell’ og- getto. Le altre due opere ricordate da Leibniz sono: il
Character pro notitia linguarum universali di
Becher (Francoforte) e la Polygraphia nova et universalis ex
combinatoria arte detecta di KIRCHER (si veda) (Roma). Entrambi questi testi
sono costruiti sulla base di un dizionario numerico del tipo di quello al quale
si è fatto riferimento a proposito dell’Universal Character di Beck. E diventato
una specie di luogo comune, nella storiografia leibniziana, quello di
contrapporre agl’informi abbozzi o ai vaghi e confusi progetti di lingua
universale costruiti dai « predecessori, il limpido, scientifico, coerente
piano di una lingua filosofica costruito da Leibniz. In realtà le cose (quando
non si attribuisca a qualcuno la qualifica di prede- [G. e cfr. Betavat,
Leibniz, Paris; Couturat; e, per una più ampia esposizione, BARONE, Logica formale e logica trascendentale
da Leibniz a Kant, Torino; Couturat, G.
Nella Technica curiosa di Schott, per titolo Mirabilia graphica, sive nova aut
rariora scribendi artificia (ediz. di Norimberga) è contenuta una dettagliata
esposizione dell’opera anonima e del
volume del Becher. Le brevi considerazioni svolte da Leibniz sembrano
esclusivamente fondate su questa esposizione.] cessore per evitare la fatica di
leggerne le opere stanno un po’ diversamente. Quando Leibniz formula, nella
Dissertatio de arte combinatoria, il suo progetto di lingua universale, egli
non conosce né l’Ars signorun di Dalgarno. In quegli anni, Leibniz concepiva
ancora, sulle traccie di Bacone e di Kircher, i caratteri della lingua
universale come composti di figure geometriche e di pitture del tipo di quelle
usate un tempo dagl’egiziani e impiegate oggi dai cinesi; pitture che non
vengono ricondotte a un determinato alfabeto o a lettere, il che è causa di
incredibile afflizione per la memoria. Le riserve che egli avanza a proposito
dell’opera di Becher erano, d’altra parte, assai simili a quelle che formula,
indipendentemente da Leibniz, lo stesso Wilkins: l'ambiguità dei termini che,
nelle varie lingue, hanno diversi significati; la impossibilità, data la
mancanza di esatti sinonimi, di una precisa corrispondenza fra i termini di due
lingue; la impossibilità, data la diversità delle regole sintattiche, di una
pura e semplice traduzione dei termini uno in fila all’altro; la difficoltà
infine di ritenere a memoria i numeri corrispondenti non solo alle classi, ma
ai singoli oggetti appartenenti a ciascuna classe. – cf. H. P. GRICE’S EIGHT
DESIDERATA OF A FORMAL LANGUAGE of the MODERNISTI – versus the eight defences
of the ORDINARY LANGUAGE of the neo-traditionalists like Strawson --. Speranza,
“Implicatura conversazionale.” Una scrittura o lingua universale che volesse
evitare questi pericoli doveva quindi essere fondata su un’analisi completa dei
concetti e sulla loro riduzione ai termini semplici. Leibniz legge il Saggio
sui caratteri reali di Wilkins e, probabilmente nello stesso giro di tempo,
l'Ars signorum di Dalgarno. Il suo entusiasmo per l’opera di Wilkins, il suo
desiderio di vedere il Saggio TRADOTTO IN LATINO e diffuso in Europa appare,
dopo quanto si è detto, pic- namente giustificato. Nell’Essay e nell’Ars
signorum egli trova (almeno in parte realizzato) il tentativo — già da lui
stesso auspicato ed avviato nella Dissertatto — di costruire una lingua universale
che fosse anche artificiale e filosofica, costruita cioè non sulla base di una
corrispondenza tra dizionari, ma sul fondamento di una classificazione logica
dei concetti. Le critiche di Leibniz a Dalgarno e a Wilkins G.1V, 73. n G.] nasceranno,
abbiamo visto, solo negli anni del soggiorno a Parigi: in una nota apposta al
suo esemplare dell’Ars signorum e in una lettera all’Oldenburg (scritta da
Parigi) Leibniz criticava i due autori inglesi affermando che, più che a
costruire una lingua davvero filosofica, capace cioè di indicare le relazioni
logiche tra i concetti, essi si erano preoccupati di dar luogo a una lingua che
potesse facilitare il commercio fra le nazioni. La lingua internazionale —
aggiunge Leibniz — è solo il più piccolo dei vantaggi offerti dalla lingua
universale : essa è prima di tutto un instrumentum rationis. Ma nel modo di
concepire la lingua universale (il termine caratteristica reale, sovente
impiegato da Leibniz, deriva in modo evidente dalla terminologia baconiana
ripresa anche da Wilkins) Leibniz non si discostava di molto dalle posizioni
tradizionali. Da questo punto di vista alcune delle sue affermazioni appaiono
particolarmente significative e valgono a mostrarci la effettiva vicinanza di
alcune delle sue tesi con quelle sostenute dai teo- rici inglesi della lingua
artificiale. La lingua universale o caratteristica reale risulta da un sistema
di segni che rappresentano direttamente le nozioni e le cose, non le parole («
peindre non pas la parole, mais les pensées »), tali quindi da poter essere
letti e compresi indi- pendentemente dalla lingua che effettivamente si parla. La
costruzione di una lingua universale coincide con quella di una scrittura
universale -- nihil refert, an scripturam tantum universalem, an vero et
linguam condere velimus; facile enim est utrumque eadem opera efficere. Pur
dichiarando di volersi discostare dalla tradizione, Leibniz vede nei
geroglifici egiziani, nei caratteri cinesi, nei segni impiegati dai chimici,
gli esempi di una caratteristica reale -- hieroglyphica Aegyptiorum et
Chinensium et apud nos notae chemicorum, Characteristicae realis exempla sunt,
fateor, sed qualis hactenus auctores designavere, non qualis nostra est. G.;
Couturat] La lingua universale può essere appresa in un tempo brevissimo (in
poche settimane, ripete Leibniz con Dalgarno) e serve anche, seppure non
principalmente, alla propagazione della fede cristiana e alla conversione dei
popoli (cette Eesinure ou langue pourroit estre bientost receue dans le monde,
parce qu'elle pourroit estre apprise en peu de semai- nes, et donneroit moyen
de communiquer par tout. Ce qui seroit de grande importance pour la propagation de
la foy, et . pour l’instruction des peuples eloignés. L'apprendimento della lingua universale coincide con
l'apprendimentodella enciclopedia o del sistematico ordina- mento delle nozioni
fondamentali. Il progetto dell’enciclopedia è organicamente legato a quello
relativo alla lingua universale e da esso inscindibile -- qui linguam hanc
discet, simul cet discet encyclopaediam quae vera erit janua rerum. L'apprendimento
della lingua universale costituisce, di per se stesso, un rimedio alla
debolezza della memoria -- qui linguam hanc semel didicerit, non potuerit eius
oblivisci, aut, si obliviscatur, facile omnia necessaria vocabula ipse sibi
reparabit. La superiorità della lingua universale sulla scrittura cinese sta
nel fatto che le connessioni tra i caratteri corrispondono all’ordine e alla
connessione esistenti fra le cose -- on la pourra apprendre en peu de semaines,
ayant les caracteres bien liés selon l’ordre et la connexion de choses, au lieu
que les Chinois. Su due punti, entrambi di importanza fondamentale, Leibniz si
discosta però dai precedenti tentativi. I caratteri della lingua universale hanno
il compito d’esprimere i rapporti e le relazioni che intercorrono tra i
pensieri. Come nel caso dell’algebra e dell’aritmetica, i caratteri devono
servire all’invenzione e al giudizio. Questa scrittura, scrive Leibniz, e una
specie di algebra generale e offre il modo di ragionare calcolando, di modo
che, [G.] invece di disputare, si potrà dire: calcoliamo. E si trova che li
errori del ragionamento sono soltanto errori di calcolo individuabili, come
nell’aritmetica, per mezzo di prove. Il pro- getto di una lingua universale o
filosofica, ripreso da Leibniz con nuovo vigore dopo la lettura delle opere di
Dalgarno e di Wilkins, puo in tal modo essere accostato a quello già avviato
nel De arte combinatoria e tendente alla costruzione di un’ars inveniendi
concepita come calcolo. La costruzione della lingua universale conduce in tal
modo non solo alla realizzazione di un MEZZO DI COMUNICAZIONE, ma contribuirà
anche, in modo diretto, alla realizzazione dell’ars inveniendi. Il nome – segno
-- attribuito nella lingua universale ad un determinato oggetto o ad una
determinata nozione non serve solo a individuare le relazioni intercorrenti fra
la cosa significata e le altre appartenenti alla stessa classe o specie e a
determinare i rapporti tra la cosa stessa e le differenze e i generi nei quali
essa è contenuta come elemento. Il segno non serve solo a indicare la posizione
che l’oggetto occupa nello schema dell’universo. Serve anche ad indicare l’ESPERIENZE
che devono essere razionalmente intraprese per estendere la nostra conoscenza. Equidem
fateor et res ipsa clamat, non posse nunc quidem ex nomine quod auro (exempli
causa) imponemus, duci phaenomena quaedam chymica quae dies et casus detegent,
donec sufficientia phaeno- mena ad reliqua determinanda nacti simus. Solius Dei
est, primo intuitu, huiusmodi nomina imponere rebus. Nomen – SEGNVM -- tamen
quod in hac lingua imponetur, clavis erit eorum omnium quae de auro humanitus,
id est ratione atque ordine sciri possunt, cum ex eo etiam illud appariturum
sit, quaenam experimenta de co cum ratione institui debeant. Nel lungo
frammento intitolato LINGVA GENERALIS, un sistema di CALCOLO logico concepito
da Leibniz, puo in tal modo presentarsi come il fondamento del progetto
leibniziano di una lingua universale. Per trasformare la caratteristica
(facente uso di simboli numerici) in una lingua che potesse essere parlata Leibniz n fa ricorso, come ha chiarito anche
Couturat, ai metodi n G. e cfr. Grua, 263 - 64. 2! G. VII, 13; Op. 277-79. ?2
CoururaT] teorizzati da Dalgarno e da Wilkins, indica con le nove prime CONSONANTI
(B, C, D, F, G, H, L, M, e N) -- i numeri dall’Ia IX, e con le cinque VOCALI –
A, E, I, O, ed U -le unità decimali in ordine ascendente -- 1, 10, 100, 1000,
10000 -- per le unità superiori
ammetteva l’impiego di dittonghi. Così il numero “81.374” si scrive e si
pronuncia “Mubodilefa”. Poiché ogni sillaba indica, mediante la vocale, il suo
ordine decimale, il valore della sillaba stessa è indipendente dal posto
occupato nella parola. Lo stesso numero può essere espresso con il termine “Bodifalemu,”
che significa “1000 + 300 + 4 +70 + 80000 = 81.374.” Non è il caso di esporre
qui le dottrine di Leibniz concernenti la GRAMMATICA RAZIONALE, né i suoi
tentativi di una semplificazione grammaticale e sintattica del LATINO CLASSICO al
quale egli, dopo i ripetuti insuccessi cui è andato incontro, fa ricorso com’intermediario
fra le lingue viventi e la futura lingua latina universale. È ben certo,
tuttavia, che il problema che necessariamente Leibniz doveva porsi, della
costituzione di un dizionario pone Leibniz di fronte ad una questione nella
quale si sono già imbattuti non pochi fra i teorici della lingua perfetta.
Perché il nome di ogni oggetto o nozione possa esprimere la definizione
dell’oggetto o della nozione in modo che i termini della lingua artificiale
divengano simboli adeguati e trasparenti simili a quella della lingua di Adamo
o ROMOLO, è necessario aver individuato gl’elementi primi e semplici che
compongono l’alfabeto del pensiero. Ma per individuare quest’alfabeto o
ABECEDARIO è necessario un inventario di tutte le conoscenze umane; è
indispensabile disporre di un’enciclopedia nella quale tutte le nozioni siano
classificate nell’ambito di un sistema unitario e appaiano quindi riconducibili
ad un NUMERO LIMITATO di categorie fondamentali. La caracteristique que je me
propose ne demande qu’une espèce d’encyclopedie nouvelle. L’encyclopedie est un
corps où les connoissances hu- [Cfr., su questi argomenti, Coururat, c, dello
stesso autore, Histoire de la langue universelle, Paris. Per una ri- presa, da
parte di Couturat, di questi temi leibniziani cfr. Des rapports de la logique
et de la linguistique dans le probleme de la langue internattonale, Atti del
Congr. di filosofia, BOLOGNA] maines les plus importantes sont rangées par
ordre. Cette En- cyclopedie estant faite selon l’ordre que je me propose, la
Caracteristique seroit quasi toute faite ».° In una serie numerosissima di abbozzi, di frammenti, di
piani, di capitoli o sezioni offerti come provvisori specimina, Leibniz,
rivolgendosi alle società e alle accademie, ai principi e ai sovrani, andò
elaborando durante l’intera sua vita, il pro- getto di un'enciclopedia
universale che non si presentasse sem- plicemente come una classificazione o un
bilancio delle cono- scenze già acquisite, ma avesse valore dimostrativo, serve
cioè di guida alla ricerca scientifica in atto.? Sulle fonti di non pochi tra
questi progetti appaiono essenziali le testimonianze dello stesso Leibniz.
Nella Nova methodus iurisprudentiae troviamo precisi riferimenti a Lavinheta
cui vien riconosciuto il merito di aver individuato quei termini giuri- dici
fondamentali mediante i quali potrà venir costruita la tavola enciclopedica del
diritto.?” In una lettera del 1714, rife- rendosi agli anni della giovinezza,
Leibniz parlava dell’in- flusso esercitato su di lui dal Digestum sapientiae di
Paris. Sull’opera di Alsted, già ricordato nella Dissertatio per i suoi scritti
lulliani, Leibniz ritornò più volte: nel 1681 par- lava di lui con ammirazione,
dieci anni prima aveva dedicato un breve scritto a migliorare e perfezionare la
sua grande enciclopedia. Ancor più profondo è il debito verso Comenio: la mia
propria enciclopedia, non differisce molto da quella di Comenio ed a Comenio Leibniz aveva attinto la tesi di
importanza centrale di una sostanziale, profonda identità fra la lingua
universale e l’enciclopedia. G. Sul carattere dimostrativo dell’enciclopedia latina
e dell’enciclopedia italiana leibniziana cfr. le utili precisazioni contenute
nel saggio di R. McRae, Unity of the sciences: Bacon, Descartes, Leibniz, in «
Journal of the History of Ideas, Dutens, G. G. Leibmtii Opera Omnia, voll. 6,
Genevae, ec cfr. Carreras y ARtAU, La filosofia cristiana. 2° G. IV, 62; G.
VII; Cogitata quaedam de ratione perficiendi et emendandi Encyclopaediam
Alstedii in Dutens, Leibnitit Opera, cit., V, 183; cfr. Op. 354 - 55. 3° Cfr. Carreras y ARTAU,
II, p. 320; Couturat, 571 -73; /udicium de scriptis comenianis in Dutens,
Leibnitii Opera. Facendo
riferimento al commento leibniziano alla lettera di Cartesio sulla lingua
universale, abbiamo visto come Leibniz si rendesse ben conto del perfetto «
parallelismo » esistente tra il progetto della lingua universale e quello
concernente l’enciclopedia. In quel passo, di incerta datazione, egli si era
rifiu tato di far «dipendere» la caratteristica dall’ enciclopedia: «
Quantunque questa lingua dipenda dalla vera filosofia, essa non dipende dalla
sua perfezione. Vale a dire: questa lingua può essere costruita nonostante che
la filosofia non sia per- fetta ».*! Ma, su questo punto, la posizione di
Leibniz pre- senta non poche incertezze : in una lettera a Burnet egli afferma,
muovendosi in una direzione completamente opposta, che i caratteri
presupporrebbero la vera filosofia ed è solo al presente che io oserei dare
avvio alla mia costruzione. Questo
duplice punto di vista, nota BARONE, corrisponde al duplice punto di vista da
cui Leibniz guarda alla caratteristica, considerandola rispettiamente, come
strumento metafisico assoluto o come strumento per la costruzione di
particolari sistemi o calcoli deduttivi – come il sistema Q di H. P. Grice, “a
first-order predicate calculus with identity.” – cf. Myro, SISTEMA G. L'osservazione
è molto esatta. La caratteristica come strumento, come calcolo modellato sul
formalismo dell’algebra, non richiedeva la preliminare fondazione della vera
filosofia: caratteristica ed enciclopedia si risolvevano l’una nell’altra e
procedevano di pari passo. Continuando però a concepire la caratteristica come
chiave universale come lo strumento atto a disvelare le essenze e a decifrare
quell’alfabeto del mondo che corrisponde all’alfabeto dei pensieri, Leibniz si
ritrova-di fronte allo stesso problema che hanno dovuto affrontare i teorici
della lingua perfetta: costruire una universal philosophy che serve di base e
di fondamento alla lingua filosofica. Per rendersi conto di ciò basta
considerare quelle ampie tavole enciclopediche che furono composte da Leibniz. Al
termine della sua attività, dopo aver steso e abbozzato piani e frammenti
numerosissimi di enciclopedie,Barone, Logica formale e logica trascendentale] Leibniz
torna a muoversi, ancora una volta, sul piano stesso sul quale si erano mossi
Wilkins e Dalgarno. In queste pagine l'enciclopedia si configura come una
classificazione logica fondata sulla distinzione scolastica delle sostanze e
degl’accidenti dei principali concetti di tutte le scienze -- dalla matematica,
alla morale, alla politica --, di tutti gl’oggetti naturali -- dai minerali,
alle piante, agli esseri viventi -- e di tutti gl’oggetti artificiali – gl’utensili
e gli strumenti costruiti dalla mano dell’uomo. La classificazione leibniziana
riproduce, con trascurabili differenze, quella dell’Ars signorum di Dalgarno:
Res: Concreto matematico Accidentia: Accidenti comuni Concreto fisico Accidente
matematico Concreto artificiale Accidente fisico generale Concreto spirituale
Qualità sensibili Accidenti sensitivi Accidente razionale Accidente economico
Accidente politico. Anche all’interno delle varie classi e sottoclassi veniva
riprodotta la stessa classificazione. La classe degl’accidenti politici
comprende per esempio, anche per Leibniz: la relazione d’ufficio, la relazione
giudiziaria, la materia giudiziaria, il ruolo delle parti, il ruolo del
giudice, i delitti, la guerra, la religione. Anche nell’elencazione dei singoli
ter- mini compresi in ciascuna delle classi e sottoclassi, Leibniz si
discostava in misura assai limitata dallo schema costruito da Dalgarno. Il
progetto di una enciclopedia dimostrativa — storicamente così importante —
sembra qui abbandonato. Le ragioni di questo mutamento di prospettive
richiederebbero un'analisi particolare. Qui ci si voleva limitare a far
rilevare che l’influenze delle posizioni dei teorici inglesi della lingua latina
come lingua universale non sono presenti soltanto negli scritti di Leibniz.
Facendo riferimento ai testi dedicati alla costruzione delle lingue
filosofiche, abbiamo notato come essi insistano tutti, concordemente, sul
valore mnemonico delle lingue universali: i numerosi riferimenti a questo
problema, presenti nelle opere di Leibniz, risultano anch'essi, dal nostro
punto di vista, oltremodo significativi. Come già Bacone e Cartesio, anche
Leibniz era al corrente o era interessato al problema, così a lungo dibattuto
in Europa, della memoria artificiale. Di questo suo interessamento per l’ars
reminiscendi resta traccia in un gruppo di carte leibniziane ancora inedite:
Phil. VI.19, che è una raccolta di appunti avente per titolo Mremonica sive
praecepta varia de memoria excolenda, e Phil. che contiene una seconda raccolta
di appunti e di riassunti di opere di ars memorativa. Alla carta 5r. del primo
di questi due manoscritti troviamo teorizzata una serie di accorgimenti che
possono essere usati per ricordare facilmente, facendo ricorso alle lettere
alfabeti- che, una serie qualunque di numeri: Sr. Arcanum: qua ratione omnes et
singulos nmumeros, prae- sertim cos quorum usus est in chronologia, atque
aliorum infinitorum, memoriae mandare, corum citra omnem in- genii cruciatum
recordari, ac nunquam oblivisci possis, ne dicam, ulteriora et infinita queas
deducere. Si quis multos numeros citra cruciatum memoriae atque ingenii
memorare cupit, omnino opus est ut subsidio ali- quo utatur. Sunt qui varie rem
tentarunt, absque tamen singulari effectu ac successu, donec non adeo pridem
hunc modum quispiam excogitando invenerit, multis rationibus ipsaque
experientia reddiderit probatum. Alphabeti elementa sunt XXIV: haec dividuntur
in vocales et consonantes. Vocales hac in re vicariam nobis tantum praebent
utilitatem, consonantes vero primariam. / 5 v. Consonantes autem sunt hae:
BCDFGKLMNPQRST, his adiungantur WZV. Numeros habemus hos: 1234567890. Si plures
dantur numeri, ex hisce componuntur, ut ex | et 2 fiunt 12 quemadmodum res est
plana. Iam vero nihil memoriam adeo torquet quam res referta numeris, quos
tamen scire memoriaque comprehendere ma- ximi interest itaque hocce subsidii,
ut utaris, valde pro- dest et conducit memoriam. Reduc consonantes istas ita,
et puta quod sint numeri, sic facile te extricabis: 1234567890 BCFGLMNRSD PK WQ
Z LA CARATTERISTICA LEIBNIZIANA. Il ricorso ai versi, così diffuso nei testi di
mnemotecnica dal Quattrocento fino a Bacone, è presente in un altro di questi
fogli di appunti nel quale Leibniz traduce in latino i versi 33-42 della
Geografia di Marciano d’Eraclea: Haec ergo visum est explicare carmine facili
atque claro, quali utuntur comici. Nam sic iuvatur memoria nec sensus perit et
simile quiddam vita nobis exhibet. Qui vult solutam ferre lignorum struem
prohibebit aegre ne quid illi decidat sed colligatam facile fasciculo geret
Oratio soluta pariter diffluit comprehensa versu mens fidelius tenet. Accanto
ad una critica al Lexicon d’Hoffmann (Anversa), questo stesso concetto ritorna
in un’altra brevissima nota sulla grammatica d’Alvarez (Dilingae, Venezia) e
sulla Grammatica philosophica di Scioppio (Amsterdam). Eos quos in grammatica
sua habet Emmanuel Alvarez Societatis Iesu, ipse Scioppius in GRAMMATICA
FILOSOFICA laudat et disci suadet. Ait cum centum et sexaginta versibus
hexametris feliciter complexum omnes regulas de verborum praeteritis et supinis
et omnem prosodiae latinae rationem centum sexaginta aliis versibus. Hofmanni
lexicon universale maxime nominum propriorum utilis liber. Unum desidero: cum
non posset autor ob rerum multitudinem cuncta plenis edisserere, praeclare
fecisset si ubique indicasset autorem aliquem unde cele- rior in studio peti
possit. Nelle pagine che hanno per titolo Artificium didacticum ed Exercitia
ingenti troviamo, esplicitamente teorizzati, altri caratteristici precetti
dell’arte mnemonica: Artificium didacticum. Semper cognita incognitis miscenda
et temperanda sunt ut labor et molestia minuantur. Ita optime discimus linguas
per parallelismum cum linguis nobis notis, ita scriptum non satis cognitae
lecturae, discendae linguae causa, sumamus librum familiarem nobis cuius sensa
pene memoriter tenemus ut Novum Testamentum. Hinc etiam si cui musicam docere
possem aut vellem, monstrarem cantiunculas sibi notas posset in charta
exprimere si vereretur oblivisci.Cfr. Geographi graeci minores, llr. Exercitia ingenti. Ut Rhetores exercitia
habent orationis, Grammatici exercitia styli, ita ego in pueris exercitia
ingenii institui desidero. Exercitia ingenii nec gratiora nec efficaciora
reperiri posse nititur quam ludos verba quo ordine turbato iterum recitare ope
mnemonices cuiquam facilis, inverso etiam si placet aut per saltus, historias
ab aliis recitatas iterum recitare, extempore describere proelia, itinera,
urbes quorum ipsis via ante audita, historias ab aliis recitatas resumere et
denuo recitare, fingere preces et iubere ut quis ex duorum disputationibus et
concertationibus patrias causas cuiquam implicatas discat facere aut solvere.
Alle carte 16r-16v. è infine presente un ampio e analitico riassunto del
Simonides redivivus sive ars memoriae et obli- vionis di Adam Bruxius (Lipsia).
Ma accanto all’esposizione di tesi tradizionali ricompaiono in questi appunti i
nomi dei teorici del metodo geometrico. Ad essi Leibniz rimprovera di non aver
messo sufficientemente in luce quelle proposizioni primarie che stanno a
fondamento di tutto il discorso. Video cos qui geometrica methodo tractare
scientias, ut P. Fabrius, Joh. Alph. Borellus, Benedictus Spinosa, R. des
Cartes, dum omnia in propositiones minutas divellunt, efficere ut primarias
propositiones lateant inter illas mi- nutiores, nec satis animadvertantur, unde
saepe quod quae- ris difficulter invenies.?6 Su questi appunti inediti di
Leibniz ci siamo soffermati così a lungo non perché essi presentino un
particolare interesse, ma perché essi valgono a mostrare — e la cosa non era
stata finora messa in rilievo — come i numerosi riferimenti di Leibniz alla
memoria e alla mnemotecnica nascano non tanto, come si è fin qui creduto, dalla
lettura delle confuse pagine del Kircher, ma dalla conoscenza effettiva c
dettagliata di al- cuni testi di arte mnemonica, come quello del Bruxius, ben
noti e celebrati nella cultura del Seicento. Questa conclusione riceve d'altra
parte nuova conferma da un csame delle pagine 26 Gli autori cui Leibniz fa
riferimento sono, accanto a Cartesio € Spinoza, il padre gesuit FABRI (si veda),
feroce anti-copernicano ed autore dei Dialoghi Physici, Lyon, e BORELLI (si
veda) il cui Euclides restitutus sive prisca geometriae elementa e pubblicato a
Roma] contenute nel manoscritto Phil. In una nota della quale conosciamo la
precisa data di composizione troviamo, accanto ad alcune regole per la
costruzione di una grammatica razionale, la descrizione dei mezzi mnemonici dei
quali far uso per ricordare una serie qualunque di idee. L'antica dottrina dei
luoghi e delle immagini; la tesi della necessaria riduzione dei concetti e
delle idee sul piano delle figure sensibili; le figure dei patriarchi, degli
apostoli, degli imperatori; i precetti relativi all'ordine e alla collocatio in
locis; le immagini degli animali; gli accorgimenti relativi ai ter- mini delle
lingue «barbare » ricompaiono in questa pagina leibniziana. Certo è che
Leibniz, oltre al Simonides redivivus del Bruxius, lesse e commentò con una
minuziosa (come risulta dalle carte 1r.-4v. di questo manoscritto) gli scritti
di Schenkelius soffermandosi particolarmente su quella parte del- l’opera che è
dedicata all’apprendimento del latino, all’educa- zione dei fanciulli alla
retorica, alle numerosissime regole del- l’ars reminiscendi.! Questi interessi
di Leibniz, queste sue letture non furono senza influenza sulla soluzione di
problemi di carattere più ge- [Schenkel, cui tocca in sorte di essere
brevemente discusso da Cartesio e studiato da Leibniz, è figura particolarmente
interessante: fortunato insegnante c DIFFUSORE dell'arte mnemonica IN ITALIA (artem hanc — scrive il Morhofius — magno cum
successu suo mec sine insigni suo lucro exercuit») fu accusato di stregoneria
durante un suo soggiorno all’Università di Lovanio, riuscendo poi ad ottenere
protezione ed appoggio dalla facoltà teo- logica di Douai. La prima edizione
della sua opera, poi spessissimo ristampata: De memoria liber secundus in quo
est ars memoriae, Leodii, Leonardus Straele. Insieme ai tre opuscoli sopra
ricordati d’Austriacus, di Marafioto e di Spangerberg l’opera e ristampata con
il titolo Gazophylacium artis memoriae, Argentorati, Antonius Bertramus (Angelica.
SS.). Fra i suoi scritti, che comprendono una Apologia pro rege catholico in
calvinistam, Anteverpiae, e una raccolta di Flores et sententiac insigniores ex
libris de Constantia Justi Lipsit (Par. Naz.), è stato ristampato, in edizione
moderna, il Compendium der Mnemonik, con testo latino, cur. Klùber, Erlangen.
All’insegnamento di quest’autore si richiama la curiosa enciclopedia di ApRIAN
LE Cuiror, Le magazin des sciences, ou vrai art de mémotre découvert par
Schenkelius, traduit et augumenté de l’alphabet de Trithemius, Paris, J.
Quesnel, che amplia molto il testo originario (Par. Naz.).] nerale: è indubbio
che per Leibniz l’arte della memoria conserva un suo posto ed una sua precisa
funzione nel mondo del sapere e viene più volte accostata alla logica: nella
Nova methodus di- scendae docendaeque iurisprudentiae la mnemonica, la topica e
l’analitica costituiscono le tre parti della didattica; nel Consilium de
Encyclopaedia nova conscribenda methodo inventoria, la mnemonica viene
collocata fra la logica e la topica; negli /ritia et specimina scientae novae
generalis la sagesse o « perfetta conoscenza dei princìpi di tutte le scienze e
arte di applicarli » viene suddivisa in art de bien raisonner, art d'inven- ter
e art de souvenir; in una lettera a Koch Leibniz giunge ad accogliere la tesi
avanzata da Ramo e ripresa poi fra gli altri da Bacone secondo la quale l’ars
memoriae costi- tuisce una parte o sezione della logica. Sulla funzione mnemo-
nica della lingua universale, dell’enciclopedia, delle tavole, della stessa
caratteristica Leibniz insiste più volte: i caratteri c le figure venivano
concepiti anche da Leibniz, in pieno accordo con la tradizione, come mezzi per
rafforzare l’immaginazione; le tavole gli apparivano, come già a Bacone, ad
Alsted, a Comenio, a Wilkins indispensabili aiuti alla naturale fragilità della
memoria. Combinatoria: his qui imagi- natione firma non valent ad res attente
considerandas succur- ritur figuris et characteribus, ita his qui memoria non
valent nec multa simul exhibere possunt, succurritur ope tabula- rum ».5 Nell’elaborazione
dei suoi numerosi, grandiosi progetti con- cernenti la caratteristica, la
lingua universale, l'enciclopedia, Leibniz si era dunque richiamato di continuo
a quelle discussioni sulla combinatoria e sull’enciclopedia, sull’alfabeto dei
pensieri e sulla LINGVA LATINA come LINGVA VNIVERSALE, sui caratteri reali e
sulla memoria che avevano avuto in tutta Europa un'eco vastissima. Non si
trattava di una lieve eredità. Ad anni di distanza dalla pubblicazione della
Dissertatio de arte combinatoria, dopo il soggiorno a Parigi e a Londra, dopo
le grandi « scoperte » matematiche, Leibniz parla ancora della [Per questi
riferimenti alla memoria artificiale cfr. Durens, Leibnitii Opera.; Op.
Sull'uso mnemonico delle classificazioni cfr. anche la lettera a Wagner in G.
e, sui caratteri, palpabili e sensibili: Gaua -- sua invenzione con accenti
caratteristici, con un tono che appare singolarmente vicino a quello «
miracolistico » e «magico » di tanti fra i lullisti e i maestri di memoria. La
mia invenzione contiene, tutto intero, l’uso della ragione; un giudice delle
controversie; un interprete delle nozioni; una bilancia per le probabilità; una
bussola che ci guiderà nell’oceano dell’esperienza; un inventario delle cose;
una tavola dei pensieri; un microscopio per scrutare le cose presenti; un
telescopio per indovinare quelle lontane; un cal- colo generale; una magia
innocente; una cabala non chime- rica; una scrittura che ciascuno potrà leggere
nella sua propria lingua; infine una lingua che puo venire appresa in poche
settimane e che avrà presto corso nel mondo portando, ovun- que potrà giungere,
la religione vera. Non sono parole dettate dal desiderio di adattarsi a una
moda culturale o a un linguaggio corrente: come già i seguaci di Lullo e i
teorici della pansofia anche Leibniz resta sempre convinto che fosse possibile
rintracciare un metodo che costituisca la chiave della realtà universale; che e
possibile dar luogo ad una scienza generalissima capace di scoprire la piena
corrispondenza tra le forme originarie costitutive della realtà e la catena
delle ragioni o dei pensieri umani. La scienza generale non abbraccia soltanto
la logica ma è ars inventendi e methodus disponendi, è sintesi e analisi,
didattica e scienza dell’ insegnare, è noologia e arte del ricordare o
mnemonica, è ARS characteristica o SIMBOLICA, è GRAMMATICA FILOSOFICA, arte
lulliana, cabala dei sapienti e magia naturale. Dalla tradizione
dell’enciclopedismo lullista, da quella della pansofia, dalle teorie sulla
lingua universale Leibniz non accoglie soltanto una serie di temi di importanza
secondaria e marginale. Quella tradizione operava potentemente su uno dei punti
centrali e fondamentali della sua filosofia: sul concetto stesso di una scienza
generale che è anche una, sia pure «innocente », magia naturale, che è in grado
cioè di rivelare le ragioni presenti ed operanti nel cosmo, di chiarire la
strut- [Leigniz, Samtliche Schriften und Briefe herausgegeben von der
Preussischen Akademie der Wissenchaften, I. R., Darmstad, Introductio ad
Encyclopaediam arcanam, in Op.] tura ontologica della realtà. Su questo punto,
che è di importanza decisiva, i testi sono oltremodo precisi. L'arte — scrive
Leibniz nella Dissertatio — conduce con sè l’animo obbediente attraverso quasi
tutto l’infinito e abbraccia insieme l’armonia del mondo e le intime
costruzioni delle cose e la serie delle forme. La lingua latina come lingua universale,
d’altro lato, scopre le interiori forme delle cose 4° e l’astrazione ha il suo
fondamento nella trama ideale della realtà. Se il nostro animo non trova il
genere delle cose lo sa Dio, lo trovanno gl’angeli e preesiste un fondamento a
tutte queste astrazioni. Nella Confessio naturae Leibniz insiste sul concetto
di un’armonia universale che proviene dallo spirito divino,‘* mentre, in una
lettera, troviamo esplicitamente teorizzata una concezione platonico-pitagorica
della realtà nel cui ambito la matematica diviene veramente lo strumento per
penetrare i lineamenti più intimi e segreti del mondo. Qual'è la ragione dell’armonia
delle cose? Nulla: ad esempio, non si può dar nessuna ragione del fatto che il
rapporto di 2 a 4 sia eguale a uello di 4 a 8, neppure movendo dalla volontà
divina. Ciò dipende dalla stessa essenza o idea delle cose. Le essenze delle
cose sono infatti numeri, e costituiscono la stessa possibilità degli enti, che
non è fatta da Dio, che ne fa invece l’esistenza: poiché, piuttosto, quelle
stesse possibilità o idee delle cose coin- cidono con lo stesso Dio. Essendo
Dio mente perfettissima, è impossibile che non sia egli stesso affetto
dall’armonia per- fettissima. Temi di questo tipo ritornano, con ampiezza molto
mag- giore, in quella serie di saggi che Jagodinski ha raccolto e pubblicato.
G. IV, 56. Il passo è stato sottolincato dal Kasitz, Die p/ulosophie der jungen
Leibniz, G. Lersniz, Sdmtiliche Schriften und Briefe. Su questo passo hanno
richiamato l’attenzione il KaÒitz, Die philosophie der jungen Leibniz, e BARONE, LOGICA FORMALE E TRASCENDENTALE. La
lettera fu pubblicata dal TRENDELENBURG, Hist. Beitrige zur Philos., Berlin. JacopiINSsKI,
Lerbriziana. Elementa philosophiae arcanae. De summa rerum, Kasan; dello stesso
autore cfr. Leibniziana inedita: a proposito dei quali si sarebbe davvero
tentati di dire, con il Rivaud, che «il principio di armonia è stato il centro
in- torno al quale tutte le idee di Leibniz si son venute cristalliz- zando, c
questo stesso principio appare, fin dall’inizio, non una semplice legge logica
ma una necessità estetica e mo- rale. Negli Elementa philosophiae arcanae non
troviamo solo l'affermazione che « existere nihil aliud esse quam harmo- nicum
esse », ma vediamo esplicitamente affermata la dottrina di un ordine logico del
cosmo secondo la quale ciò che distingue una sostanza dall’altra è la sua
situazione nel con- testo razionale dell’universo ».°* Su questo stesso terreno
si muoveva Leibniz quando scrive a Federico di poter dimostrare l’esistenza di
una ratio ultima rerum seu harmonia universalis o quando afferma, in una
lettera alla duchessa Elisabetta, la piena coincidenza tra i caratteri reali e
gli elementi semplici costitutivi della realtà: «la caratteri- stica
rappresenterebbe i nostri pensieri veramente e distinta- mente e, quando un
pensiero fosse composto da altri più sem- plici, il suo carattere lo sarebbe
egualmente... i pensieri semplici sono gli elementi della caratteristica e le
forme semplici le sorgenti delle cose.‘ confessio philosophi, Kasan (testo lat.
con traduzione russa a fronte. Rivaup, Textes inédits de Leibniz publiés par Jagodinski,
Revue de Met. et de Morale. JAGODINSKI,
Leibniziana. La lettera a Federico in G. I; quella ad Elisabetta in Sdngliche
Schriften und Briefe. Sulla presenza di motivi metafisici anche in quei temi di
logica che sono alla base dell’interpretazione panlogistica cfr. JasinowskI,
Die analitische Urteilslehre Leibnizens in ihrem Verhiltnis zu seiner
Metaphysik, Vienna. Pur muovendo dall’accettazione delle tesi di Couturat e di
Russell, PRETI, Il cristianesimo universale di Leibniz, Milano, è giunto a
conclusioni che mi pare vadano sottolineate. In realtà Leibniz non è giunto mai
ad uno sviluppo completo della sua logica ed è rimasto impigliato in gravissime
difficoltà perché non ha saputo mai abbandonare completamente il suo originario
platonismo: il criterio dell’evidenza (intuizione immediata delle idee), il
rea- lismo logico (per cui esistono idee in sé primitive e in sé composte), la
concezione secondo la quale il gioco formale dei simboli doveva riprodurre i
rapporti ideali eterni sussistenti fra le idce le quali erano nella mente di
Dio, hanno impedito a Leibniz di svolgere fino in fondo le sue intuizioni
logiche, che pur sono tanto geniali e nel seguito si mostreranno tanto feconde.
In realtà Leibniz crea una logica sempre con la PR di creare un’ONTOLOGIA e una
metafisica. Ma per creare la logica occorre svincolarsi del tutto da ogni
preoccupazione ontologico-metafisica, e seguire una gnoseologia (quella che,
nascendo da Hume, arriva al positivismo del circolo di Vienna) che Leibniz non
avrebbe seguita. A conclusioni non dissimili, da queste di PRETI, è giunto BARONE,
Logica formale e logica trascendentale, che parla di una « fondamentale
differenza fra la logica formale e la
logica leibniziana sempre inglobata e sorretta, anche nelle ricerche più
modernamente tecniche, dall'ideale metafisico della pansofia e che ha
sottolineato la presenza, nel pensiero di Leibniz, di una concezione platonico-pitagorica
delle forme che è a fondamento della formalità degli schemi logici. A
conclusioni fortemente divergenti da queste ora csposte è giunto CORSANO -- Lerbniz,
Napoli -- che acutamente analizza le influenze esercitate sul pensicro di
Leibniz dalle opere di Suarez e ha sostenuto la tesi di un’intima e quasi
intera adesione al nominalismo, dalla quale avrebbe preso le mosse il pensiero
di Leibniz. Con questa tesi, per le ragioni sia pur brevemente accennate nel
testo, non mi pare di poter concordare anche perché non credo, come ritiene CORSANO,
che agl’arcaici e decrepitti motivi di misticismo platonico-pitagorico Leibniz e
costretto a inchinarsi in omaggio alle opinioni dei suoi maestri (Weigel) e per
parlare con un linguaggio accessibile all’arretratissima cultura
filosofico-scientifica della Germania barocca -- Corsano, rec. a Barone, Logica
formale e logica trascendentale, Rivista critica di storia della filosofia.
Mostrare la presenza e il non indifferente peso esercitato da quelle arcaiche
sopravvivenze — che non mi paiono in alcun modo riducibili ad una specie di
espediente accademico o retorico — è in ogni caso il fine che in queste pagine
mi sono proposto. IL AD MEMORIAM CONFIRMANDAM DI LULLO Il Liber ad memoriam
confirmandam e composto a Pisa. A Pisa, Lullo era giunto da Genova, dopo un
viaggio assai avventuroso ed un naufragio del quale egli stesso ci dà notizia. Saraceni
ipsum [Lullum]) miserunt in quandam navem tendentem Genovam, quae navis cum ma-
gna fortuna venit ante Portum Pisanum; et prope ipsum per decem millaria fuit
fracta, et Christianus Lullus vix quasi nudus evasit, et amisit omnes libros
suos et sua bona» (cfr. Disputatio Raymundi Christiani et Hamar Saraceni, ediz.
di Magonza) A Pisa, Lullo portava a compimento, fra l’altro, la stesura
dell’Ars magna generalis ultima iniziata a Lione e progettava una crociata
appoggiandosi al governo della Repubblica per ottenere racco- mandazioni per il
Pontefice e per i cardinali. Troviamo Lullo di nuovo a Genova e poi a
Montpellier. La data di composizione dell’opera indicata da S. Garmes: (cfr.
Dinamisme de R. Lull, Mallorca appare quindi oltremodo probabile. A que- sto
studioso si deve una breve ma accuratissima biografia del Lullo: Vita
compendiosa del Bt. Ramon Lull, Palma de Mallorca. Il testo dell’operetta
lulliana del quale si dà qui di seguito la trascrizione è conservato in tre
mss.: il cod. dell’Ambrosiana (qui indicato con la sigla B); il cod., ff. 1
v.-3v. della Staatsbibl. di Monaco (indicato con M); il cod. lat. della
Nazionale di Parigi (indicato con P). Il ms. B appartiene senza dubbio ad un
ramo della tradizione diverso da quello cui appartengono gli altri due mss. i
quali presentano, rispetto a B, caratteristiche in parte comuni (diverso
incipit, assenza della suddivisione in capitoli, lacune comuni rispetto a B,
diversa terminologia ecc.). In P sono presenti lacune che non sono in M. Oltre
che una derivazione di M. da P, è tuttavia da escludere anche una derivazione
di P da M: le divergenze fra i due mss. dipendono nella maggior parte dei casi
da diffe- renti interpretazioni dovute alle abbreviature presenti nel testo
originario o in un subarchetipo comune. Si vedano a titolo di esempio le
varianti corrispondenti alle note. In nomine Sanctissimae Trinitatis incipit
liber ad memo- riam confirmandam. Ratio quare presentem volumus colligere tractatum est ut
memoria hominum quae labilis est et caduca modo rectificetur meliori. Ipsum
quidem dividimus in duas partes principales, subsequenter in plures. Prima
igitur pars est Alphabetum ABECEDARIVM ideo ut sequitur ipsum diffinimus. Alphabetum
ABECEDARIVM ponimus in hoc tractatu ut per ipsum possimus memoriam diffinire ct
in certis et terminatis princi- piis
ipsam in duabus ponere potentiis. Primo igitur significat memoriam naturalem,
significat capacitatem, significat discretivam. Quid tamen sit naturalis
memoria, quid capacitas, quid discretiva, vade ad quintum subiectum per b.c. d.
designatum in libro septem planetarum quia ibi tractavimus miraculose et
notitiam omnium habebis entium naturalium, quapropter ipsorum prolixitatem et
sermonem declarationis hic ad prae- sens exprimere praetermitto, cum
intellectus per unam literam plura significata habentem sit generalioret possit
in memoria plura significata recipere quam per aliam largo modo sumptam.
Sequitur nunc secunda pars quae memoriam dividit in partes speciales pariter et
generales de generali tractans ad specialia postea descendendo. Primo igitur ut
laborans in studio faciliter sciat modum scientiam et ne, post amissos
quamplurimos labores, scientiae huius operam inutiliter tradidisse noscatur,
scd potius labor in . requiem et sudor / in gloriam plenarie convertatur, modum
scientiae decet pro iuvenibus invenire per quem non tanta gravitate corporis
iugiter deprimantur, sed absque ni- mia vexatione et cum corporis levitate et
mentis laetitia ad scientiarum culmina gradientes cquidem propere subeant. Multi enim sunt qui
more brutorum litera- rum studia cum multo et summo labore corporis prosequun-
tur absque exercitio ingenii artificioso et continuis vi- gilits maceratum
corpus suum iuxta labores proprios inuti- liter exhibentes. Igitur decet modum
per quem virtuosus studens thesaurum scientiac leviter valeat invenire et a
gravamine tantorum laborum relevari possit. Oportet nos igitur conservare ante
omnia quaedam prin- cipia et praccepta necessaria et postrmodum ad specialia
condescendere. Primum ergo oportet praeceptum legis observare, idest diligere
Deum ciusque Genitricem beatissi- mam virginem Mariam. Nam Spiritus Sanctus dat
scien- tiam cum magnitudine ut sit magna, Beata Virgo Maria dat scientiam cum
bonitate ut sit bona. Spiritus Sanctus dat B. 36r. scientiam ut charitas duret,
Domina nostra beatissima dat P. 438v. P. 439r. M. 2r. B. 36v. P. 439v.
scientiam ut pietas duret. Spiritus Sanctus dat scientiam cum potestate ut sit
fortis, Domina nostra virgo beatis- sima dat scientiam ut recolatur. Spiritus
Sanctus dat scientiam contra infidelitatem, Domina nostra virgo Maria dat
scientiam contra peccatum. Spiritus Sanctus dat scientiarp cum ratione, Domina
nostra pia dat scientiam cum patientia Spiritus Sanctus dat scientiam cum spe,
Domina nostra sanctissima pia Virgo Maria dat scien- tiam cum pietate. Spiritus
Sanctus dat scientiam cui sibi placet, Domina nostra dat scientiam omnibus illis
qui ipsam rogant. Spiritus Sanctus dat scientiam ad rogandum, Domina nostra dat
scientiam petendi. Spiritus Sanctus dat scien- tiam divitibus, Domina pia dat
scientiam pauperibus. Spiritus Sanctus dat scientiam cum gratia, Domina nostra
sacra- tissima virgo Maria dat scientiam cum petitione Spiritus Sanctus idiomata
dat pariter et consolationes ab ipso quidem divino Domino nostro Jesu Christo
omnia prospere procedunt et conceduntur et sine ipso fac- tum est nihil et
placa ipsum per devotissimas orationes maxime per orationem Sancti spiritus.
Secundo est OPTIMVM observare modum vivendì in potando et come- dendo praccipue
ex parte noctis vel etiam in dormiendo quoniam ex superfluitate horum corpus
gravitate ponde- rositatis ultra modum aggravatur et anima, corpori adherens,
illius dispositionem sequitur. Nihil enim tam praecipuum scientiam inquirenti
ut moderationem ponat ori suo et palpebris suis non concedat multam dormitionem
et inor- dinatam. Tertium praeceptum invenio quod nunquam deficiat quin maiorem
partem sui temporis scientiae operam tribuat cum affectu quoniam ex hoc
sequitur capacitas, ex hoc memoria, ex hoc discretio naturalis. Sequitur nunc
secunda pars ad specialia descendens. In artificioso studendi modo distinguo
tres potentias natu- rales: una est capacitas, alia est memoria, alia est
discretio. Prima stat in prima
parte capitis quae dicitur phantasia, secunda stat in posteriori, tertia
stat in summitate capitis quae aliis
velut regina dominatur. Et bonum est habere bonam capacitatem, sed melius est habere bonam
memoriam, sed multo melius habere bonam
discre- tionem. Modo restat videre de singulis, et primo viden- dum est de
capacitate, secundo de memoria, tertio de discretione. Si igitur aliquis
capacitatem lectionis cuiuscunque facultatis audiendae ambit, regulas quas
infra dicam debet diligenter observare,
quas si observaverit quod sibi eveniet experientia demonstrabit in brevi tem-
pore. Primo enim, antequam ad scholam accedat, lectionem statim tam de
grammatica quam de logica tam de iure civili quam de iure canonico et ita de
omni- bus aliis scientiis audiendam, si potest de iure canonico aut civili
textum et glossas alias solum textum, et videbit si credit intelligere; adhuc non confidens de proprio
intellectu dabit tibi materiam speculandi, dum legat, utrum bene vel male
intellexcrit, ct postmodum, quando legetur, erit attentus lectioni ut
intelligat per alium id quod per se ignorabat. Item postquam semel in domo
viderit, facilius postca intelliget, et tali modo ego scientiam mcam
multiplicavi, et ita faciet artista meae artis quoniam sic acquiret / scientiam
quam voluerit. Item secundo dico quod dum erit in scholiis habeat intellectum
ad id quod doctor vel magister tam in sacra pagina quam in artibus dicet, quod
si non, faciliter mens eius spargitur et potius videtur esse in loco ubi habet mentem
quam in scholiis ubi est tam- que / frustra. Ex hoc tamen multi perdunt offi- cium capiendi. Item quia
dum fuerit casus vel scientia, legere mentaliter in se revolvat et dum
questionem se- cundam vel argumentum cuiuscunque facultatis dicit doctor vel
magister vel artista meae artis, primam eodem modo revolvat, et interim quando
dicetur tertia reducat ad memoriam secundam et sic de caeteris, et sic habebit
intentionem capiendi totam lectionem. Posito quod non, nec partem accipiat quarum paulisper argumentabitur,
non autem uno momento poterit habere. Item quando per sc vel per alium quis
vult habere bonam capacita- tem, debet ponere ordinem in legendis. Nam si vult
intelligere unam legem vel decretalem vel gramaticae vel logicae lectionem,
dividat ipsam in duas / tres quatuor partes secundum quod lectio fuerit parva
vel magna quoniam ad capacitatem multum et forsan magis quam aliud operaretur.
Et de primo haec sufficiant. Venio igitur ad secundam, scilicet ad memoriam
quae quidem secundum antiquos alia est NATVRALIS alia est artificialis. NATVRALIS
est quam quis recipit in creatione vel generatione sua secundum materiam ex qua
homo generatur et secundum quod influentia alicuius planetac superioris regnat
et secundum hoc videmus quosdam homines meliorem memoriam habentes quam alios
sed de ista nihil ad nos quoniam Dei est illud conce- dere. Alia est memoria
artificialis et ista est duplex quia quae- dam est in medicinis et
emplastris cum quibus habetur et istam
reputo valde periculosam quoniam interdum dantur tales medicinae dispositioni
hominis contrariae interdum superfluae et in maxima cruditate qua cercbrum
ultra modum desiccatur et propter defectum cerebri homo ad dementiam demergitur
ut audivimus et vidimus de multis (138) et ista displiciet Dco / quoniam hic
non se tenet pro contento de gratia quam sibi Deus contulit unde, posito casu
quod ad stultitiam non perveniat, nunquam / vel raro habebit fructum scientiae.
Alia est memoria artificialis per alium modum acquirendi nam dum aliquis per
capacitatem recipit multum in memoria ct in ore revolvat per se ipsum quoniam
secundum Alanum in parabolis studens est admo- dum bovis. Bos enim cum maxima
velocitate recipit herbas et since masticatione ad / stomachum remittit quas
postmo- dum remugit et ad finem cum melius est digestum in sanguinem et carnem
convertit, ita est de studente qui moribus oblitis capit scientiam sine
deliberatione unde ad finem ut duret, debet in ore mentis masticare ut in me-
‘moria radicetur et habituetur; quoniam quod leviter capit leviter recedit et
ita memoria, ut habetur in libro de memoria et reminiscentia, per saepissimam
reiterationem firmiter confirmatur. Lectionem igi- tur diei lunae revolvat die martis et
studeat et die martis et die mercurii et sic de cacteris et talia faciendo
scientior erit uno anno audiens illo qui sex audierit annis et artistae hoc
consulo meae artis caeterisque ad- discere volentibus invenire attingere et
habere. Venio ad tertiam videlicet ad discretivam et dico quod discretio est
duplex ut de memoria dixi: alia NATVRALIS, alia
artificialis. Naturalis est quam quis habet ex dono Dei et de ista non
loquor. Alia est artificiosa et ista acquiritur aliquibus modis. Primo enim
acqui- ritur si ea quae in memoria retinemus diligenter servemus, cum enim
aliquid in mente memoramus sive textum sive glosam sive auctoritatem sive
rationem per alium dictam et de illo vel de simili a nobis petatur, per €a quae
iam sunt in nostra notitia et memoria radicata Z P. 443r. B. 39r. P., faciliter
indicabimus cuicumque respondendo, verum et certum est quod melius discernit
sciens quam ignarus propter scientiam quam habet iam cum memoria acquisitam. Postquam de memoria et capacitate et discretiva
tam in speciali quam in generali pariter et singulari dictum est, nunc videndum
est de memoriac recitatione, et ad multa recitanda consideravi ponere quaedam
nomina relativa per quac ad omnia possit responderi . quoniam quodlibet corum
crit omnino generale ad omnino speciale et habet scalam ascendendi et
descendendi de non omnino generali ad omnino speciale et de non omnino speciali
ad omnino generale. Ista cnim sunt no- mina supra dicta: quid, quare quantus et
quomodo. Per quodlibet istorum poteris recitare viginti rationes in
0ppositum factas vel quaecunque
advenerint tibi recitanda et quam admirabile est quod centum possis rationes
retinere et ipsas, dum locus fuerit bene recitare. Certe hoc auro comparari non
debet, ergo qui scientiam habere affectat ct universalem ad omnia desiderat,
hoc circa ipsum tractatum laboret cum diligentia toto possc quoniam sine dubio
scientior erit aliis quia nomina sine speciebus aut sine magistro non possumus
recitare ideo ipsas pono: primo cnim quid habet tres species quas hic propter
carum prolixitatem ponere non curo, sed vade ad quintum subiectum per b.c.d. SIGNIFICATVM
in libro septem planetarum quoniam ibi videbis miraculose ipsas aliqualiter
declarare hic intendo, et sic dictum de primis tribus ita intelligi potest de
aliis sequentibus. Primum igitur per primam speciem nominis quid, poteris
certas quacstiones sive rationes sive alia quaccunque voluerisrecitare evacuando
secundam figuram de his quae continet, per secundam vero poteris in duplo
respondere seu recitare ct hoc per cvacuationem tertiae / et multiplicationem
primae, et si per primam tu recitas viginti vel triginta nomina seu rationes,
per secundam poteris quadraginta vel sexaginta recitare et hoc semper per
evacuationem et multiplicationem. Tamen est multum difficile nisi sit homo ingeniosus et
intellectu subtilis et non rudalis. Per tertiam vero centum poteris recitare
evacuando primam et multiplicando secundam et de aliis poteris sicut de ista
cognitionem habere. Quare firmiter et ferventer praedictas stude species in
praclibato septem planetarum libro quem nunquam eris studere defessus immo eris
gaudio cet laetitia plenus; in dicto libro multa sunt studenti necessaria quae
si nota essent et bene intellecta non possent ullo modo extimari; ideo consulo
cuicumque ut istum habeat prac manibus et P. 444r. prae oculis suae mentis. Ad
laudem et honorem Domini nostri Iesu Christi et publicae utilitati compositus
fuit praesens tractatus in civitate Pisana in monasterio sancti Dominici per
Raymundum Lullum ut prius dominus Iesus Christus in memoria habeatur et verius
recolatur. Cfr. il Doctrinale minus, alias Liber parabolarum magistri Alani
(uno degli auctores octo) in Micne, P. L., 210, col. 585 (DD): Denti- bus
atritas bos rursus ruminat herbas Ut toties tritae sint alimenta sibi / Sic
documenta tui si vis retinere magistri Sacpe recorderis quod semel aure capis.
De memoria et reminiscentia. Sulla multiplicatio et cvacuatio figurarum cfr.
Ars brevis e Ars magna, Zetzner. In nomine... confirmandam Perutilis Raymundi
Lulli Tractatus de Memoria B. hominum ]
om. B. ] hominis P. meliori ] et melioretur B. (4) principales ] et add. B.
diffinimus definimus M. Cap. I (e
tutte le successive intitolazioni dei Cap.) om. MP. diffiniredefinire M. et ]
om. B. ipsam ipsum P. Primo ] prima
P. significat ] om. B. tamen ] autem B.
subiectum ] librum B. designatum om. B.
designata M. in libro septem ] in
libro octavo positum B. in libro septimo
P. omnium ] omnem B. ipsorum ] ipse MP. sermonem ] cc- riem M. scientia P. intellectus generalior sit add. MP. per unam literam
plura significata habentem sit generalior
pariter in memoria pro litera significata habentem B. ponit in memoria plura significata P. et
possit in memoria plura significata recipere
om. BP.
quac memoriam dividit ] quac est de memoria et dividitur B. speciales spetiales B. specialia spetialem B.
ut laborans in studio laboranti in studio virtuose B. laboranti in
studio studiose P. faciliter ] facile B. scientiam ] scientiae P. huius
huiusmodi M. tradidisse credidisse B.
plenarie ] plenariam M. cum etiam P.
gradientes ] gradus BM. equidem eiusdem
B. ] cosdem M. propere subeant ] properari sublimiter B. absque nullo add. B. artificioso ] artificiosi
B. sed add. MP. labores proprios
inutiliter exhibentes ] labores proprios exercentes conservare MP. Igitur Considerare igitur B. decet docet P. laborum ] aliquando ad4. B.pos- sit
] om. MP. Oportet nos igitur conservare ] Nos igitur conside- ramus B.
principia et praecepta ] praccipitata B.condescendere condescendentia B. beatissimam virginem ]
perbeatissimam gloriosam B. Maria dat scientiam ] om. MP. dat scientiam per
sapientiam add. B. cum potestate ] cum pietate B. ] in po- testate P. virgo ]
om. B. cum ratione ] in ratione P. nostra ] Maria B. cum patientia ] in
patientia P. cum ] in P. nostra
sanctissima pia Virgo Maria ] sacratissima pia virgo B. cum ] in P. petendìi ]
poenitenti BP. cum gratia ] in gratia P. cum petitione ] in petitione P.
Sanctus ] om. MP. et om. B. divino ] Deo pio MP. prospere ] prospera MP. ct
conceduntur ] om. MP. placa ] placare B. orationes Sancti Spiritus ] orationem
spiritus B. Secundo est opti- mum ] Secundum est B. quoniam ] cum BM. horum ]
corum B. inquirenti ] acquirenti B. ut moderationem ponat ori suo ] ut ponat
custodiam in somno B. ] ut moderate ponat ori suo P. invenio ] om. B. nunquam ]
nunque B. quin ] ut B. temporis ] spiritus B. operam ] opera M. (76) cum
affectu ] in af- fectu P. quoniam ] cum M. in artificioso studendi modo ] in
artificio secundo studendi P. quae dicitur phantasia ] om. B. stat ] om. B. stat ] om. B.
summitate ] sanitate P. sed me- lius est
habere bonam memoriam ] sed multo melius est habere bonam discretionem P.
melius ] plus B. discretionem ] discretivam B. primo videndum ] providendum M.
de capacitate ] de bona capacitate M.
aliquis ] vult habere bonam 444. B. ambit ] om. B. diligenter ]
diligentia B. evenit ] quod add. B. tempore ] om. B. Primo ] Secundo B. (94)
tam ] quam MP. iurc ] om. B. audiendam } auditum M. } audiendum P. civili ] simili MP. adhuc ] ad hoc MP. de proprio intellectu ]
proprii intellectus B. ] de primo intellectu P. tibi materiam speculandi et ut
viam studendi MP. utrum bene ] num vel benc B. (per sc ] per ipsum B. Item ]
quia add. MP. ego ] om. B. quoniam sic ]
cum B. ] quoniam P. quod ] om. B. intellectum ] inventionem M. faciliter ]
facile B. ] facilius P. tamque frustra } tamquam frustra B. ] om. P. tamen ] tam P. perdunt officium capiendi }
per dictum officium capientur B. Item
quia dum fuerit casus vel scientia, legere mentaliter in se revolvat et ] Item
dum sciat causam vel scientiam litere mentaliter inter se revolvat ut B. ] Item
quod dum fuerit casus vel sententia litterae mentaliter in se revolvat et P.
dum questionem secundam vel argumentum ] dum questionem vel scientiam vel
argumentum B. ] dum questionem sciendam vel argu- mentum P. dicetur tertia ]
docetur tertia MP. reducat ad memoriam secundam ] ducat ad memoriam secundam B.
] ducat ad memoriam sciendorum P. nec ] nisi B. quarum ] quaerere MP. autem ]
enim ad4. B. quando ] si secundo B. secundo P.legendis ] agendis MP. et est MP.
quam aliud ] quam quodvis aliud M. operaretur ]} om. MP. primo ] priori M. quae quidem ] Memoria quidem B. secundum
antiquos ] in capitulo de memoria add. P. artificialis ] artificiosa M.
secundum materiam ex qua ] ex materia qua B.
et ] etiam MP. secundum quod influentia alicuius planetae superioris
regnat ] secundum que influentia alicuius planetae inferioris regnat B. ]
secundum quod influentia actus planetarum supe- rioris regnat M. ] secundum
quod influentiam accipit planetae supe- rioris regnat P. sed ] et MP. emplastris
] epistolis M. ] eplis P. cum ] in P. dantur ] dammantur B. dispositioni
hominis contrariae )] dispositio hominis quae contrariae MP. cruditate ]
quantitate B. ] caliditate P. qua cerebrum ] quod certe bene B. ] quod cerebrum
P. de multis ] multos B. tenet pro
contento ] contentat B. stultitiam ] insaniam B. perveniat ] deveniat MP.
habebit ] consequetur B. fructum ] fructus B.
scientiae ] suac add. B. Alia est me- moria artificialis... revolvat per
se ipsum ] om. B.
Alanum ] Alo- nium M. ] Aristotelem P. finem ] seriem B. (148) moribus ]
munibus B. ] modis M. quod ] om. B.
capit ] ct add. B. et ita memoria ] 0m. B. ut habetur in libro de memoria et
reminiscentia ] om. B. firmiter confirmatur ] firmiter conti- netur B. ] firmiter confirmiter
confirmetur P. studeat et die martis et ] om. B. talia ] taliter B. faciendo
scientior ] faciendo quis scienter B. illo qui sex audierit ] illud quod sex
annis audiverit B. attingere ] ctiam add. M. ad ] om. BM. alia ] est. MP. alia
] est add. MP. est ] om. MP. habet ex dono Dei ] debet dono Dei B. (164) et de
ista ] de qua B. aliquibus ] duobus B. diligenter ] dili- gentia B. cum ]
quando P. sive textum sive glosam sive auctoritatem sive rattonem per alium
dictam ] sine textu sine glossa sine auctoritate sine ratione per aliud dictum
MP. radicata ] radicantur B. cuicumque respondendo verum ] cuiuscunque unde B.
discernit discerit BB. propter scientiam quam habet ] nam rationem quam habet
B. acquisitam ] acquisita M. Postquam ] visum est ad4. B. et ] om. MP. discretiva
] dis- cretione P. dictum est ] om. B.
recitanda } recitandum B. eorum ] illorum B. et habet scalam.... ad omnino
speciale ] om. B. non Jom. B. quantus ] quotus, totus B. quatenus M. oppositum
]oppositionem P. quam admirabile ] quoniam mirabile M. ] quam mirabile P. quod ] quia M. possis ] possit P. fuerit ] adfuit B.
bene ] om. MP. debet ] potest MP. universalem ad omnia ] utilis omnia B.
universalis ad omnia M. hoc ] homo esse B. ipsum ] istum B. cum diligentia ]
cadem diligentia B. ] in diligentia P. Quia ] quoniam M. aut ] aliquid B. ideo
] labore adeo B. Primo enim quid primo
quo B. earum ] illarum B. ponere om. B. subiectum ] librum B. (201)
significatum ) desi- gnatum vel significatum B. septem ] septimo P. quoniam ]
cum B. miraculose ] iam add. B. aliqualiter ] aliquan- tum B. declarare ] volo
add. M. hic intendo... potest de aliis ] om. MP. sequentibus ] in sequentibus
MP. quid ] quod B. recitare evacuare secundum de his quae continet per
scientiam positis add. B. secundam ] secundam corretto in primam da mano più
tarda B. secundam figuram de his quae con- tinet, per secundam vero poteris ]
0m. B. duplo ] duo P. (214) seu recitare et ] on. B. si ] sic P. recitas ] duo
vel tria nomina seu rationes add. M. duo e tria sono correzioni più tarde di
secunda e tertia. viginti vel triginta nomina seu rationes } om. M. vel sexaginta ] om.
B. intellectu ] multum B. rudalis ]
naturalis B. ] non ruralis M. recitare ] om. MP. et ferventer ] om. B. stude }
audire B. quem nunquam eris studere defessus ] quem nunquam eris audire fessus
B ] quoniam eris studendo defessus M. ] quoniam nunquam eris studere defessus
P. multa ] nulla B. studenti ] alia evidenter B. ullo modo ] modo
aliquo B. ] modo P. cuicunque ut ] quoscunque quod B. oculis suae mentis ] oculis et suae mentis ferveat B.
Lullum ] Lulli MP. UN TRATTATO IN
VOLGARE. Il trattatello in volgare sulla memoria artificiale composto da autore
ignoto e qui di seguito riprodotto, è contenuto nei Codd. Palatino e Conv.
Soppr. I 1.47 (carte non numerate) della Nazionale di Firenze. Contrariamente a
quanto afferma Yates (T%e ciceronian art of memory) questo scritto non può
essere attribuito con sicurezza a Bartolomeo da San CONCORDIO (si veda). Questa
attribuzione oltre che al Manni, risale a TIRABOSCHI, ma come già ha osservato
Tocco (Le opere latine di BRUNO), nel corso del testo si fa riferimento al
Rosarum odor vitae (contenuto negli stessi codici sopra indicati) e
probabilmente composto da CORSINI (si veda), priore della Repubblica fiorentina
(cfr. l’edizione del Rosa:o della vita a cura di Polidori, Firenze, Soc.
Tipograf. Ital., 1845). Anche se l’anno di composizione del Rosaio può
presentare qualche incertezza resta il fatto che l’opera fu composta da un
contemporaneo del Petrarca (Ediz. Polidori). A quanto osservato da Tocco si può
qui aggiungere che nel suo riferimento al Rosato l’autore del trattato sulla
memoria parla di 84 capitoli mentre, sia nel Palat. che nel Cod. I, 1, 47.
L'attribuzione a San CONCORDIO appare dovuta al fatto che in entrambi i codici
gli Ammaestramenti degli antichi di Bartolomeo sono preceduti da una traduzione
del capitolo sulla memoria della RAetorica ad Herennium e seguiti dal trattato
sulla memoria artificiale. Nel Palat.1 testi sono così disposti: Testus memorie
artificiose vulgariter scilicet super quandam partem rectorice.: Bartolomeo da
S. Concordio gli ammaestramenti degl’antichi; Ars memoriae artificialis. Il
volgarizzamento del testo della retorica ad Erennio forma la seconda parte o il
sesto trattato del Fior di Rettorica di GIAMBONI (si veda) (Magliab. Palch.,
Riccardiano. Cfr. Tocco. ll bro di leggere cui si fa riferimento nelle prime
righe del trattato può essere, come vuole Tocco, il trattato della pronunzia che è il terzo del
Fior di Rettorica nella redazione di Guidotto da BOLOGNA (si veda) e in quella
di GIAMBONI. Il trattato sulla memoria artificiale fa dunque parte, con ogni
probabilità, di una qualche redazione del Fior di Rettorica. La trascrizione è
condotta sul Palat. 54, ma si è fatto spesso ricorso anche all’altro codice
indicato. Si sono apportate modifiche, oltre che alla punteggiatura, a talune
grafie (per es. nolla = non l’ha; lo = l’ho; vene = ve ne; a = ha ecc. Poi che
aviamo fornito il libro di leggere, resta di poter tenere a mente, e però qui
di sotto si scrive l’arte della memoria artificiale in si facta forma che non
offende la naturale che ha sifatto ordine il libro da sé che con questa memoria
si può d’esso grande parte imparare a mente se solamente il libro si legge
cinque volte ct fra l'una volta et l’altra sia spazio di mezzo di quello che
vuoi tenere a mente, et observando le regole di questa me- moria non si potrà
errare solo in una lettera di tutto questo libro che tutto non si imparasse a
mente. La memoria artificiale sta solamente in due cose, cioè ne luoghi e nelle
imagini. Luogo non è altro a dire se non come una cosa disposta a potere con-
tenere in sé alcuna altra cosa, sicome una casa, una sala, una camera o simili
cose a questa come ab octo dieci anni a te dicte. Le imagini sono il proprio
representamento di quelle cose che noi vogliamo tenere a mente. Due sono le
maniere de luoghi, cioè NATURALE e artificiale. NATURALE luogo è quello che è
facto per mano di natura come c il monte e il piano e gli albori che per sé
sono. Artificiale luogo è quello che è facto per mano d’huomo sì come è una
camera o un cammino, uno versatoio, uno studio, una finestra, una casa, uno
cofano et simili luoghi a questi. Non intendere però tutte le masseritie minute
de la camera però che non ti riverebbe la ragione, ma vogliono essere
masseritie grandi come sono cassoni, soppedani, fortieri, et se pure alcuna
masseritia ci vogliamo mettere, conviene che sia molto riconosciuta et stia in
luogo continuamente palese, come è una barbuta, uno cappello lavorato, uno elmo
da campo v vero cimiero e cose simili a queste. Intorno a luoghi convengono /
più cose avere. In prima avere dentro molti luoghi, cioè quanti sono i nomi che
vogliamo tenere amente però che ogni luogo ha la sua imagine a pigliare
ciascuna imagine e rapresentamento da una cosa sola per sé, ct però se aremo a
tenere a mente XX nomi si pogniano XX imagini per luogo. Et come dico di XX,
così si potrebbe fare di cento, CC, CCC, CCCC, pure che luoghi assai aviamo.
Non obstante che io dica qui di CC e LII, posto che di questi CCLII viene facta
non poca fatica che sono nel librecto dinanzi decto del rosaio odore della vita
capitoli LXXXIIH et ad ogni capitolo si possono leggiermente accattare tre nomi
sì che tre via LXXXIII, CCLII. Ma di più nomi dire qui di sotto più pienamente.
Apresso questo, ci conviene avere e’ luoghi ordinati, cioè che per ordine l'uno
vada dietro a l’altro. Et se quella persona che vuole usare quella memoria in
man- cino, cominci e’ conti de luoghi a mano mancha et se queste sopra da la
drecta mano, se a diricta vada sopra la mano diricta, in questo modo: che se in
una sala aremo da poter pigliare cin- que luoghi, el primo sia uno camino, el
secondo un uscio o un armaro da vasi, el quarto una colonna overo uno pilastro,
el quinto uno versatoio. Incominciamo dal primo come è il ca- mino, poi il
secondo come è un uscio et così per ordine l'uno dopo l’altro et non si dee mai
passare niuno luogo se non che si debbono sapergli bene a mente come sono
ordinati da sé. A presso si conviene che i luoghi sicno numerati cioè che ogni
nego quinto si segni; cioè a questo modo: che al primo quinto i ponga una mano
d'oro che per le cinque dita ripresentino ji luogo essere quinto; poi il
secondo quinto, cioè il decimo luogo, ripresenta in questo modo o trovata per
sapere subito a quanti nomi sta Piero. Subito puoi avisare se alle due mani
sarà il decimo se a due nomi dopo le due mani sarà il duodecimo / 142r. ct così
seguitando si può sapere di molti. Ma questa regola di queste mani abbi posta
qui perché la insegnia Tulio CICERONE et non vorrei che altri credessi che io
non la sapessi, però l’ho posta qui, ma a me pare uno poco faticosa per tale
quale persona. Imperò potiamo lasciare andare testé questo affanno delle mani
del oro, et fare in questa forma: cioè che i luoghi sempre cag- gino o in
cinque o in dicci; în questa forma che se in una sala sono sci o septe luoghi
non tenere a mente se non cinque, et se fussino quattro forzati tanto che sieno
cinque che leggier- mente viene facto poi che si mette in pratica. Et così
similmente vuole andare de decti che se aremo una sala o una camera dove sieno
nove luoghi, forzati tanto che ve ne aggiungi un altro si che sieno dieci. Se
ce ne fussino da dieci in su in sulla sala, non ne tenere a mente se non dieci.
Adunque se arai in una tua casa una sala et in questa fussino cinque luoghi,
una camera et in questa camera fussino dieci luoghi, uno verone et in questo
fussino pure dieci luoghi, un’altra camera et in questa fussino cinque luoghi,
uno terrazzo et in questo fussino dieci luoghi, una grotta et in questa fussino
dieci luoghi, raccogli tutti questi luoghi et vedi quanti sono, et, quanti sono
i luoghi, tanti sono i nomi che puoi tenere a mente. Sì che se i dicti luoghi
sono L, et L nomi potrai tenere a mente sanza faticha di memoria, et così
similmente chi la volessi fare più in grosso, potrebbe avisare dieci case delle
dita sue dove trovasse L luoghi ciascuna casa et così la farà di cinquecento et
di mille et di diecimila sanza fallo, però che troviamo che Seneca fu giovane
esso la fe' di dumilia, ritornando allo inanzi et allo indietro, come fanno i
fanciulli ad a.b.c. quando la dicono alla dietro. Ancora vogliono essere dicci
luoghi noti cioè che bene gli conosciamo etc. Apresso non vogliono essere troppo
grandi né troppo piccoli, ma di mezzana fog/gia come si richiede alle imagini
che qui si pongono. Ancora vogliono essere i luoghi temperati dove non usi
troppa gente però che la troppa gente guasta il luogo et la nostra memoria.
Ancora vogliono essere né troppo chiare né troppo ob- scure però che la troppa
chiarezza et la troppa obscurità fa noia agli occhi della mente sì che vedere
non possiamo i luoghi. An- cora conviene che i luoghi non si rassomiglino
troppo l'uno a l’altro, ma quanto più sono variati meglio è. Ancora non
vogliono essere troppo apresso l'uno a l'altro né troppo di lungi, ma intorno
di cinque o di dicci piedi l'una da l’altra. Et questo è tutto quello che
bisognia a’ luoghi. La imagine non è altro se non, come di sopra è detto, come
il proprio representamento di quelle cose le quali vogliamo tenere ad mente.
Questa imagine ha due proprietà: cioè che ella ha a ricordare il nome et il
sentire. Ricordare il nome è ricordare a mente MARTINO (si veda) per ordine
ciascuno per sé, ricordare sententie è in questo modo che se io mi voglio
ricordare come Troia fu presa Greci con
ferro con fuoco con ruina per cagione di Elena, io pongo in uno luogo la
imagine di Troia come ardeva e come in lei sieno entrati cavalieri armati.
Ancora se io mi volessi ri- cordare della hedificatione di Cartagine la quale
hedificò una donna chiamata Dido, porrò una imagine d’una con molti gua- tatori
di intorno, et così va di simile a simile di molte et infinite sententic. Hora
d'intorno alle imagini sì come di nomi et di sententie vediamo quante cose sono
di necessità. Mostra che sieno sei per ordine. In prima si richiede che le
imagini sieno pro- prie, cioè che se io mi voglio ricordare di Piero solamente
ponga in uno luogo la sua propria imagine, et se io voglio tenere a mente MARTINO,
quello medesimo. Ancora conviene che la imagine non sia / equivoca cioè che
rapresenti più cose di quelle che vogliamo tenere a mente. Ancora conviene che
le imagini non sieno troppe, cioè più che non sicno di bisogno non si pon- gano
nel luogo, che se io voglio tenere a mente Piero, solamente porre una imagine
che rapresenti Piero, la quale cosa è contro alla doctrina di Tulio CICERONE.
Ancora conviene che la imagine non sia varia, cioè che abbia alcuna varietà in
sé e questa è delle più utili cose che si possa avere. Questa memoria però
sempre ci doviamo studiare di porre imagini di nuove foggie. Ancora conviene
che la imagine sia segnata da alcuno segno il quale si convenga a la cosa per
la quale è facta, cioè che la imagine del re pare che gli si convenga il segno
de la corona, et a’ cavalieri il segno dello scudo, al doctore il segno del
vaso et ad cui uno segno ad cui uno altro come la fantasia della memoria
comunemente si vuole dotare. Ancora conviene che a la imagine si faccia alcuna
cosa cioè la proprino quanto agli acti quelle cose che a loro si convengono, sì
come si conviene ad uno lione dare la imagine apta et ardita et alla golpe
l’acto sagace et abstuto, al sonatore l'apto di sonare stromento. Adunque
veggiamo sempre che ne’ luoghi si convengono porre le imagini sì come nelle
carte si convengono porre le lectere. Qui finisce delle sententie et de’ nomi
abbreviato. Ancora doviamo tenere questo modo il quale è molto utile: che poi
che abbiamo imparato C 0 CC nomi et recitargli, non per tanto dobbiamo
conservargli, più inanzi ci doviamo studiare più che possiamo che ci escano di
mente e così facendo escono di mente e i luoghi rimangono voti per gli altri
che volessino imparare. Finis. Deo gratias. Amen. MSS. DI ARS MEMORATIVA Il Cod.
lat. ambrosiano sup. (di carte) contiene i seguenti scritti : Tractatus brevis
ac solemnis ad sciendam et ad consequendam artem memoriae artificialis ad M.
Marchionem Mantuae. Inc.: Iussu tuo princeps illustrissime. [È il trattato di RAGONE
(si veda) da Vicenza del quale abbiamo citato vari passi nel testo, conservato
in due esem» plari di diversa mano anche nel Cod. marciano cl. VI, 274 ai ff.
15-34 e 53-66 e in un terzo esemplare nel marciano 159 della stessa classe. Il
nome dell’autore (artificialis memoriae regulae per Jacobum Ragonam Vicentinum)
e la data di com- posizione (Kal. Nov.) risultano dal marciano. Tractatus
solemnis artis memorativae. Inc.: Artificiosie memoriae egregia quaedam. [Di
questo scritto si dà qui di seguito la trascrizione. Si è omesso l’elenco in
vol- gare dei « luoghi » che occupa i ff. Exp.: Trespo da tavola. Zovane
fameglio. Tractatus artis memorativae eximii doctoris artium et medicinae
magistri Girardi. Inc.: Ars commoda na- turae confirmat et auget. Nella
trascrizione che segue si è fatto ricorso anche al cod. dell’Angelica che reca lo stesso trattato con
il titolo, di mano più recente, Hic traditur preclarus modus conficiende
memoriae. Inc.:
Ars commoda natura e confirmat et augct. Excerpta ex libris CICERONE de
memoria. Inc.: M. T. CICERONE de
oratore haec de memoria scripta sunt. Gli excerpta sono tratti dalla Rhetorica
ad Herennium. La data di composizione della miscellanea si legge in fine al
codice al f. 45: Anno scriptus pro Raphael de Fuzsy. Tractatus solermnis artis
memorativae incipit. Artificiosac me- moriae egregia quaedam atque
preclarissima praecepta in lucem allaturi, non invanum esse duximus quod ipsa
sit primum effin- gere cum, iuxta CICERONE sententia in primo De officiis,
omnis de quacumque re sumitur disputatio a diffinitione proficisci debeat ut
sciri possit quid sit id de quo disputatur. Est igitur artificialis memoria
dispositio quaedam imaginaria vel localis vel idealis mente rerum sensibilium
super quas natu- ralis memoria reflexa per ea summovetur atque adiuvatur ut
prius memoratorum facilius, distinctius atque divitius denuo va- leat
reminisci. Vel sit artificialis memoria est decentium imagi- num quaedam
industriosa collocatio qua corum quae in his debite applicantur ad tempus
memorari valeamus. Tertio vero ex menti CICERONE, Rhetoricorum tertio, sic eius
diffinitionem im- plecti possumus: memoria artificialis est artificium quoddam
quo naturalis memoria praeceptoris voce confrmatur. Differt autem memoria
naturalis ab artificiosa. Harum naturalis est una quae nostris animis insita
est et simul cum ipsa creatione nata. Artificiosa vero est quaedam inductio et
praeceptionis ratione confirmatur. Haec autem ars duobus perficitur: locis
videlicet et imaginibus, ut CICERONE sentit in tertio rhetoricorum a quo non
dissentit beatus Thomas illud addiciens oportere ut ea quae vult quis memoriter
tenere ordinata consideratione disponat, ut ex uno memoratu ad aliud facile
procedatur. CICERONE vero sic inquit: oportet igitur, si multa reminisci
volumus, multos locos domus comparare, ut in multis locis multas imagines
comprchendere atque amplecti valeamus. Aristoteles vero in eo que de memoria
scripsit a locis inquit reminiscimur. Necessarii itaque sunt loci ut res
seriatim pronuntiare et memoriter tenere valeamus. Dif- ferunt autem loci ab
imaginibus quia loci sunt imagines ipsae su- per quibus tamque super carta
imagines delebiles, quasi literae, collocantur. Habeant igitur sc loci sicut
materia, imagines vero ut forma. Differunt quasi ut fixum et non fixum. Et quoniam haec
ars, ut dictum est, duobus absolvitur, locis videlicet et imagini- bus, primum
locorum precepta attingenda videntur. Nam cum ars imitetur naturam in quantum
potest, volenti autem scribere primum
carta et cera preparanda est, quibus loci simillimi sunt. Imagines autem
literis, dispositio autem et collocatio imaginum scripturac, pronuntiatio autem
lectioni comparantur. Illud merito fit ut ex his locis primum diffiniamus.
Locus enim, ut quibusdam placet, est spatium quidam domus proportionatum et condi-
tionatum quo conditionari debet; vel melius, secundum CICERONE, locos
appellamus eos qui breviter perfecte et insigniter manu aut natura absoluti
sunt ut eos facile naturali memoria comprendere atque amplecti valeamus. Haec
autem ars centum locis perficitur. quos hoc pacto nobis constituere poterimus
si decem domos nobis comparare poterimus in quarum singulis decem loci
affigantur in diversis ipsarum domorum parietibus, vel paranda nobis erit una
domus quae computatis cameris co- quina et scalis constituatur centenus numerus
apponendo cuilibet camerae vel scalae quinque locos. Locorum proprietas
multiplex est: primo locorum multitudo, locorum ordinatio, locorum solitudo,
locorum meditatio, locorum signatio, locorum dissimilitudo, locorum mediocris
magnitudo, mediocris lux et distantia. Sequitur de imaginibus. Ima- gines sunt
rerum aut verborum similitudines in mente conceptae. Duplices autem
similitudines esse debent, ut ait CICERONE, una rerum, alia verborum. Rerum
autem similitudines constituuntur cum summatim ipsorum negotiorum imagines
comparamus, verborum autem similitudines exprimuntur cum uniuscuiusque vocabuli
memoria a nobis imagine notatur. Verborum quidem similitudines aliae sunt
notae, aliac ignotae, notabilius aliae animatac, aliae inanimatae. Animatarum
quaedam propriae quaedam communes. Propriarum quaedam duplices, quacdam
simplices. Communium vero tam animatarum quam inanimatarum quacdam simplices,
quaedam ex duabus pluribusne partibus constituuntur, de quibus omnibus dicetur
inferius. Et primo videndum est de nominibus propriis simplicibus et
duplicibus. Et premicto pro
generali regula imaginum collocandarum quod in locis semper collocandae sunt
imagines cum motu et acto ridiculoso crudeli admirativo aut turpi vel
impossibili sive alio insueto. Talia enim crudelia vel ridiculosa aut insueta
sensum immutare solent et melius excitare eo quod animus circa prava multum
advertat. Secundo vero noto collocandam circa imaginem ut aliquid agat vel
operet circa se vel circa ipsum locum. Si igitur daretur tibi ad memorandum
nomen proprium, puta Petrus vel Martinus, debes accipere aliquem Petrum tibi
notum ratione amicitiae vel inimicitiae, virtutis vel vituperii vel
precellentis pulcritudinis aut nimiae deformitatis, non ociosum sed se
exercitantem motu aliquo ridiculoso. Si nomen non adsit tibi notus capias aliquem factum
et si non fuerit, recurrendum erit ad regulam dictionum ignotarum. Duplicia
vero sunt cum duo ex istis simplicibus sumptis in recto casu quae veniunt ad
significationem unius simplicis ut Jacobus Philippus, Johannes Maria. Preniomina vero sunt cum unum preest alteri in
unico nomine quae prelatio semper est in obliquo cum dependentia, ut Johannes
Andrec, Matheus Tomasii. Cognomina autem et agnomina sunt quae parentelae vel
ab cunctu faciunt ad singularem notitiam vel alicuius indi- vidui: ut
Franciscus BARBARO et SCIPIONE Affricanus. Duplicia sic collocanda sunt ut
cadem facias etiam ipsam imaginem ordinate operari. Item de prenominibus ita
tamen quod actus attributus recto habeat se in minus et actus attributus
obliquo in maius. Agnomina autem et cognomina secundum primam sui partem ut
traditum est de nominibus propriis. Secundum vero secundam sui partem prout
tradetur de nominibus ignotis. Pro clariori doctrina notandum est imagines, cx
quibus simi- litudines capiuntur, formari posse dupliciter: aut ex parte rci,
aut ex parte vocis. Si ex parte rei et tunc dupliciter: aut respectu rei
propriac in se, aut ex parte methafisicac. Ex parte rei propriac in se
similitudo capitur ut rem ipsam formando in propria forma et naturali, ct hoc
modo in rebus naturalibus maxime convenit. Secundo modo similitudo capitur ex
parte rei methafisicac et secundum eius officium quod operatur aut secundum
instru- mentum cum quo operatur, et isto modo praccipue operamus in rebus
invisibilibus. Si igitur rerum invisibilium vis tibi imagines servare, si sint
res pertinentes ad virtutes vel vitia duplices possumus similitudines capere
scilicet aut capiendo rem in qua est per excellentiam ut pro superbia
Luciferum, pro sapientia Salomonem; secundo modo methafisice. Divina autem ut
dictum et angelos a pictoribus didicimus collocare. Item de sanctis, ut virtus
iustitia angelus anima deus, scilicet Petrus et cetera.Nominum accidentalium
similitudines ita capiuntur indifferenter videlicet ponendo picturam aut
similitudinem aut realem rem cuius coloris qua nota collocanda demonstratur.
Nota vero dignitatum officiorum et artium mechanicarum sic collocatur, capiendo
similitudinem secundum signa et principalia eorum si- gnificata demonstrativa
et declarativa ipsorum, ut si volumus collocare papam Martinum tibi notum
secundum regulam de propriis habentem unam mitriam trium coronarum et sic de
singulis secundum signa convenientia suis dignitatibus officiis et artibus. Si
vis memorari inanimatas duobus modis id efficere poteris. Primo modo ipsius rei
inanimatae similitudinem capiendo ut aliquid operetur, imaginandus est homo sub
concepto naturali non sub spetiali, nota et talis operatio fiat contra locum
vel contra se. Secundo modo cligendo ordinem alphabeti et ad unum / quemque
locum ponendo unum hominem tibi notum suprastanterm tamque custodem et
operarium loci qui operetur quando necesse est cum re inanimata ut dictum est
in praccedentibus capitulis. Finalis regula de collocatione prosarum versuum
am- basiatarum et ceterorum huiusmodi. Ad apte figendas certa mente epistulas
orationes sermones versus et cetera collocandi ratione potissimum opus esse
percipi- tur, ut videlicet primum res ipsa universa rectissime teneatur ea quae
naturali commendata memoriae congrue despiciatur. In primis enim rei totius
summa simplici imagine vel nota aut ex pluribus aggregata contineatur quae
quidem deinceps partes in suas idonee recitetur. Deinde illae partes in alias
subdividere licebit. Finalis tamen divisio loco uno vel multiplicato capiatur.
Principales autem divisiones ipsis quinariis applicentur, earum vero partes
reliquas in aliorum imaginibus accomodentur. Versus spetialiter vocari possunt
si praeter eorum summam figurationem principio annotentur aut spetiali imagine
aut sillabis vel litteris. Historiac vero per actus annotari possunt ctiam
parte tibi nota. Rubricae collocari solent aut corum summas perstringendo
imagine accomodata aut per verborum similitudines. Ambasiatas vero si commode volueris
recordari ipsas, pro quo ambasiata collocanda est, imagines capies sive ipsumet
in quo pacta sive promissa repones et ex adversis autem illum cui facienda est
ambasiata in illo petita repones, et si sumuntur plu- res res sive capitula
seriatim conclusive per loca dispones. Argumenta possumus congrue argumentibus
applicare quibus absentibus locorum custodibus affigantur. Si enim sologismus
fuerit, maiorem dexterae, minorem sinistrae accomodemus, aut potuerimus pro
maiori tenere imaginem notatam vel medii aut conclusionis. Si vero fuerit
entimema satis erit primam proposi- tionem notare; in iure aut rubricam cum
lege aut scilicet cum cius mente notare ut fucrit. TeAog. Il. Tractatus artis
memorative eximii doctoris artium et medi- cinae magistri GIRARDO. Ars commoda
naturae confirmat ct auget, ut inquit egregius Tullius CICERONE in tertio
rhetoricae, cuius experientiam habemus in duplici arte scilicet domificatoria
qua artifex finalis per hanc intendit defectui naturae providere; in arte etiam
medicatoria minister salutis conatur proposse superflua naturae expellere ac
defectus eiusdem restaurare. Que quidem ars minime foret in- venta si natura
auxilio non cgerct. Verum quia anima nostra in principio sue creationis
nascitur defectuosa in tribus suis po- tentiis clarioribus: scilicet memoria,
intellectu et voluntate. Non tamen dico defectuosa sit quod anima nostra in
principio creationis suac non habeat omnes potentias sibi concreatas, sed dico
defectuosa sit quod in principio nostrae nativitatis anima nostra nequaquam
potest per has potentias suos actus exercere. Non igitur parum utilis est
artificialis memoria, quae commoda naturae amplificat ratione doctrinae. Huius
quippe artis multi fuerunt inventores inter quos quidam nimis occulte, alii
nimis confuse cam tradiderunt. Sed ego zelo sapientiac dilatandae / hanc artem
compendiosis et utilibus verbis declarare intendo, hoc opusculum dividendo per
novem capitula. In capitulo primo ostendetur breviter et succinete quac sint
instrumenta quibus utendum est in hac arte. In secundo tradetur ars memorandi
terminos substantiales.In tertio dabitur ars memorandi terminos accidentales.
In quarto dabitur ars memorandi auctoritates ct quascumque orationes simplices.
In quinto
tradetur ars memorandi epistolas collectiones et quascumque historias prolixas.
In sexto tradetur ars memorandi argumenta ct quascumque orationes
sillogisticas. In septimo tradetur ars memorandi versus. In octavo tradetur et
dabitur ars memorandi dictiones igno- tas, puta graecas, hebraicas, sincathagoremata
et capita legum. In nono et ultimo dabuntur sccreta huius artis. Unde versus:
Sedibus humanis trita stans filia celsi Inexculta cibo mens grave tenet in albo
Sed si concipiat post sernen arca volutum In varias formas parit similia
monstro Qui igitur volet perfectam gignere prolem Promptam facetam recte natam
in ordine membri De multis tractum subiectum forbeat haustum. Pro expeditione primi capituli prenotan- dum
est quod finalis intentio nostra in hac arte est componere librum mentalem qui
quid se habeat ad instar libri artificialis. Nam quemadmodum in libro
artificiali duo sufficiunt instru- menta duntaxat scilicet carta et scriptura,
ita ct non aliter in hoc libro mentali quem intendimus per hanc artem conficere
duo sufficiunt instrumenta: scilicet loca ct rerum similitudines. Unde egregius
Tullius in sua rhetorica loca inquit carte simil- lima, sicut imagines literis.
Dispositio vero imaginum in locis lectioni comparatur. Sed quia vari sunt modi
accipiendi loca in hac arte, sufficiet ad presens tres modos notare. Primus modus est secundum
Tullium, et hic est satis grossus, accipiendo videli- cet domum realem vel
imaginariam in qua diversa signa noten- tur inter angulos illius contenta.
Secundus modus est servando ordinem scalarum. Tertius est servando ordinem mense
vel alium quemvis artificialem huic consimilem. Verum est tamen quod de novo
praticantibus in hac arte bonum est in primis modum Tullii imitari ut a
facilioribus ad difficiliora facilior sit transitus. Unde versus: Tipicha
fortificat poliniam vallis locorum. Hec per ambages deserti querere noli Que
rapuit pacifex iam lux perdit vel atro Invisaque spernit fugit gravissima
quecque Huius vero plus placuit medios habuisse penatos Incultos natos diversos
noto placentes In quorum costis fingantur ordine quino Que fixa maneant signa
distantia tractu.? ® Grosse
INTERLINEARI: Sedibus humanis: in corpore humano; trita: afflicta; filta celsi:
scilicet dci; inexculta: scilicet impleta; grave: graviter; in albo: scilicet
memoria. Giosse INTERLINEARI: Tipicha: figurata; poliniam: memoriam; vallis
loco- rum: scilicet ordinatio; Haec: loca; per ambages: per loca dubia;
pacifer: scilicet intellectus; ian: lux perdit vel atro: per nimiam lucem vel
obscuritatem. Secundum capitulum. Si vis memorari terminos substantiales scire debes quod
tales sunt duplices. Quidam sunt proprii et qui- dam communes. Si igitur vis
memorari terminos communes suf- ficit pro quolibet tali accipere similitudinem
agentem aliquid mirabile vel patientem ct illam memento in suo loco collocare,
praesuppositis his quae dicta sunt de locis in precedenti capi- tulo. In
propriis autem nominibus non sic fit quoniam multorum hominum una est
similitudo communis, accipere igitur pro quolibet nomine proprio aliquem tibi
notum ratione laudis, vituperii vel conversationis et illum memento in suo loco
collocare. Et notatur dictum cst supra
quod similitudo rei memo- randae debet agere vel pati aliquid mirabile quoniam
quanto actio vel passio fuerit mirabiltor aut magis ridiculosa tanto diu-
turnior crit memoria. Unde versus: Usia post rerum recte ponatur in istis / Cum
voles hanc disce viam quac plana patebit Subiectis propriis proprias est darc
figuras Communes aliis: cythara noscetur Apollo.? Tertium capitulum. Si vis
memorari terminos accidentales, quia accidens non habet esse per sc sed totum
esse eius dependet a substantia, pro quolibet tali accidente debes accipere
substan- tivum in quo est per excellentiam: ut pro rubeo rosam, pro albo
lilium, pro fortitudinem Sansonem, pro sapientia Salomonem. Et nota hic tres
regulas solemnes. Prima est quod omne nomen significans substantiam in qua est
aliquid accidens per excellen- tiam significat duo: scilicet substantiam primo
et accidens poste- rius et secundario; et sic monialis significat feminam et
castita- «tem, lupus animal et voracitatem, philomena avem et cantorem. Secunda
regula est quod a tali nomine significanti duo descendit nomen adiectivum vel
verbum, ut de rosa descendit roscus rosea roseum et roseare quod est rubcum
facere. Tertia regula est quod ad commemorandum artificiose derivativa sive
fucrint nomina sive verba aut participia / vel adverbia sufficit habere
memoriam primitivi, et ratio est quoniam omnem derivativum virtualiter
includitur in primitivo et capit naturam
ciusdem. Unde versus: Quod pendet fixum de se vult capere plenum Si varias uno
profers multis ne licebit In derivativis quae sit origo notabis.4 Invisa: loca;
gravissima: dissimillima; quecque: loca; medios habuisse penatos : scilicet manifestas
domos; Incultos: non habitatas; diversos: scilicet colore vel figura; noto
placentes: scilicet voluntati; In quorum: penatum; costis: parie- tibus; fixa:
firma. ì GLossi INTERLINEARI: Usig: scilicet forma; recte: sub ordine; in
istis: sci- licet costis; Subiectis: nominibus; communes: similitudines. Gtosse
INTERLINEARI: OQtiod pendet: illud quod est auribus pendens; fixum: subiectum;
de se vult capere plenum: scilicet in quo est per excellentiam. Quartum
capitulum. Si vis memorari auctoritates ct quascum- que orationes simplices
accipe pro qualibet obiectum principale eiusdem et illius memento in suo loco
collocare praesuppositis his quae dicta sunt supra. Ratio autem huius est
quoniam signum et signatum sunt corrclativa. Unde versus: Complexum si vis
obicctum indicat illud. Quintum capitulum. Si vis memorari epistulas et
quascum- que historias prolixas divide per suas partes principales ct rursus
quamlibet per suas partes donec perveneris ad clausulam; quo facto age ut
dictum est in capitulo praecedenti de orationibus simplicibus. Et ratio huius
est quoniam divisio valet ad tria. Primum animum legentis excitat, secundo
intelligentiam confir- mat, tertio memoriam artificiose corroborat. Unde
versus: Ut plerique volunt tribus divisio valet Animum legentis excitat mentem
quoque probat Intelligentis memoriam roborat atque. Sextum capitulum. Si vis
memorari argumenta et quascum- que orationes sillogisticas sufficit pro
quolibet argumento habere memoriam medii et ratio est quoniam, ut dicit
Aristoteles in primo priorum, medium est in virtute totus sillogismus. Sed quia
difficile est medium invenire secundum doctrinam quam tradit Aristoteles in
fine primi priorum, sciendum est quod medium in proposito nihil aliud est quam
causa conclusionis, idest illud inferens in quo virtualiter consistit argumentum.
Unde versus: Qui nescit causas nihil scit, quia nulla Res est nota satis, cuius
origo latet. Septimum capitulum. Si vis memorari versus hoc potest fieri altero
duorum modorum: primo accipiendo a quolibet versu sententiam meliori via in qua
fieri potest et cum versus bis vel ter replicando; secundo accipiendo duas vel
tres dictiones prin- cipales cuiuslibet versus et cum illis ipsum versum bis
vel ter repetendo. Sic enim ars suppedit naturae et ratio huius est quo- niam
versus ex sua natura valet ad tria. Unde versus: Metra iuvant animos,
comprehendunt plurima paucis Pristina commemorant quae sunt tria grata legenti.
Si vis memorari dictiones ignotas hoc potest duobus modis fieri. Primo per viam
similitudinis, acci- piendo videlicet pro qualibet dictione ignota dictionem
nobs notam habentem aliquam similitudinem cum tali dictione ignota. Secundo
fiat hoc per viam divisionis sillabarum, dividendo scilicet dictionem ignotam
per suas sillabas, et pro qualibet sillaba accipiendo dictionem tibi notam
incipientem ab ca. Unde versus: Ignotum memorari si vis barbarum nomen Aut
summas apparens per partes divide totum. Ultimum capitulum. Pro cxpeditione
completa huius artis facien- dum quod bcatus Thomas in secunda secundae,
quaestione et capitulo. Ponit quatuor documenta quibus proficimur in bene
memorando. Primus est ut eorum quae vult aliquis me- morari quasdam
similitudines assumat convenientes nec tantum omnino consuetas, quia ca quae
sunt inconsueta magis miramur et sic in eis animus magis et vehementius
detinetur. Ex quo fit quod corum quae in pueritia vidimus / magis memoremur.
Ideo autem magis necessaria est huiusmodi similitudinum vel imaginum
adinventio, quia intentiones simplices et spirituales facilius ex animo
elabuntur nisi quibusdam similitudinibus corporalibus quasi alligentur, quia
humana cognitio potentior est circa sensi- bilia. Unde hacc memorativa ponitur in parte sensitiva.
Secundo oportet ut homo ca quac memoriter vult tenere sua considera- tione
ordinate disponat ct cx uno memorato facile ad aliud procedat. Unde dixit
philosophus in libro de memoria a locis videtur reminisci aliquando, causa
autem est quia velocitate ab uno ad aliud veniunt. Tertio oportet quod homo
sollicitudinem apponat et affectum adhibeat ad ca quae vult memorari, quia
quanto magis aliquid fuerit impressum animo co minus elabitur. Unde Tullius
dixit in sua rhetorica quod sollicitudo conservat integras simulacrorum
figuras. Quarto oportet quod ea frequen- ter meditermur quae volumus memorari.
Undec philosophus dixit in libro de memoria quod meditationes servant /
memoriam, quia, ut in codem libro dicitur, consuetudo est quasi natura. Unde
quae multoties intelligimus cito reminiscimur quasi natu- rali quodam ordine ad
uno ad aliud procedentes. Sed quia tota difficultas artis memorativac consistit
in difficili et laboriosa io- corum acceptione et in illa laboriosa
adinventione imaginum convenientium, in hac arte notanda sunt duo pro secretis
huius artis. Primo est notandum pro facili et prompta locorum acceptione quod
tota perfectio huius artis ex parte locorum consistit in centum locis
familiaribus quae pro certa loca habere poterimus duplici via. Primo accipiendo
decem domus reales a nobis opti- me frequentatas in diversibus civitatibus vel
in eadem, itaque in qualibet domo notentur decem loca distincta loco situ et
figura ac in convenienti ordine et aliqua distantia. Secundo possunt ha- beri
centum loca familiaria accipiendo viginti imagines divisa- rum rerum quac tamen
sint ordinatae secundum ordinem lite- rarum alphabeti: ut pro A accipiamus
arietem, pro B bovem, pro C canem, pro D dromedarium, pro E cquum, pro F
folium, pro G griffonem, pro H hircum, pro I idolum, pro K Katerinam, pro L
leonem, pro M monacum, pro N nucem, pro O / ovem, pro P pastorem, pro Q
quiritem, pro R regem, pro S sapientem, pro T turrim, pro V vas olci vel vini.
Ita tamen qued in qualibet istarum imaginum notentur quinque determinata signa
quae facient quinque loca in qualibet, ct hoc quidem facillimum est ut patebit
in pratica. Secundo est notandum cx parte imaginum sive similitudinum quod
permaxime perficit in memorando arti- ficiose servare imaginibus colligantiam.
Talis autem colligantia dupliciter intelligitur. Primo ut quaclibet imago se
exercitet ali- quo modo cum suo loco. Secundo ut una imago se exercitet cum
alia: sic prima cum secunda, tertia cum quarta et sic de aliis. Et est
diligenter advertendum in hac arte quod attestatur egregius Tullius in tertio
Rhetoricorum videlicet quod artis huius preceptio est infirma nisi diligentia
et exercitatio comprobetur. Unde versus: Doctrinae pater est usus doctrina scolaris
Interscissa perit, continuata urget. DOCUMENTI SULL'ATTIVITÀ DI PIETRO DA RAVENNA Al testo della sua Phoenix
seu artificiosa memoria, Ravenna premette, nella prima edizione a stampa,
alcune lettere di previlegio: del Comune di Pistoia; di Bonifacio marchese del
Monferrato; di Eleonora d’Aragona duchessa di Ferrara. Oltre al testo della
lettera di Eleonora, si riproducono qui i versi scritti da EGIDIO VITERBO in
onore del Ravenna e alcuni passi della prefazione che si riferiscono ad cpisodi
della vita del Ravenna. Si è usata la copia della prima edizione a stampa
contenuta, insieme ad altri tre incunaboli, nel Cod. marciano lat. della
classe, ai ff. Elconora de Aragona Ducissa Ferrariac etc. quod ab omnium
bonorum datore immortali deo generi humano concessum est placrique in orbe
terrarum a constitutione mundi usque ad hanc aetatem excellentes viri evasere,
quos inter nunc adest spectatus miles auratus et insignis utroque iure
consultus dominus Petrus Tomasius Ravennas harum literarum nostrarum exhibitor,
qui, practer alias corporis et animi dotes, ita omni doctrinarum genere et
tenacissima memoria refulget ut nedum superiorem, sed etiam in his parem minime
habere videatur. Quod quidem nuper latissime re ipsa comprobavit non solum nos,
sed etiam omnis haec civitas nostra testimonium perhibere potest. Qua ex re
factum est ut cum singulari admiratione precipuaque charitate complexae inter
nostros praeter alios familiarem et domesticum habere constituerimus. Quamobrem
serenissimos reges, illustres principes, excellentes respublicas et alios
quosqunque dominos patres fratres amicos benivolosque nostros precamur et
oramus ex animo ut quotienscunque ei contigerit ipsum dominum Petrum / tam optime meritum cum suis famulis et equis
usque ad numerum octo cum suis bulgiis forceriis et capsis cum pannis ct
vestibus suis libris vasis argenteis et aliis cuibuscunque rebus suis ac armis
per eorum urbes oppida vicos passus aquas et loca die noc- teque liberrime et
expeditissime absque alicuius datii gabellae ct alius cuiuslibet oneris
solutione amoris nostri et potissimum tam maximarum huius hominis virtutum
causa transire permittant commendatissimumque ipsum semper habentes ci
providere velint de liberrimo expeditissimoque transitu et idonca cohorte ut
opus fucrit et ipse requisiverit. Quod quidem nobis iucundis- simum semper
cerit atque gratissimum, paratissimis ad omnia corum qui sic in eo sc habuerint
beneplacita. Mandamus autem omnibus et singulis magistratibus quoruncunque
locorum nostrorum ct potissimum custodibus passuum reliquisque subditis nostris
ut praedicta omnia ct singula in terris et locis nostris in- violabiliter
servent servarique faciant. Sub indignationis nostrae incursu et alia quavis
graviori poena pro arbitrio nostro eis imponenda; ad quorum robur et fidem has
nostras patentes litte- ras ficri iussimus et registrari ct nostri maiori
sigilli munimine roborari. Datas Ferrariae in nostro ducali palatio anno
nativitatis dominicae Millesimo quatringentesimo nonagesimo primo, indic- tione
nona, die decimo mensis Octobris. Severius. Il Paduae Domino Petro memoriae
magistro. Qui modo pyramides, quid iam Babylona canamus Quid Iovis et triviae
templa superba deae Non magis immensum mirabimur amphitheatrum Nam summe
facerent hoc quoque semper opes Scipio non ultra iactet quod fecerat usus
Agmina qui proprio nomine tota vocat Petrum fama canat quam nobilis ille
Ravennae est Gloria, qui plusque docta Minerva potest Quid magni facere dei
mirabile dictu Nam retinet quicquid legerit ille semel Effatur triplici
quaecunque orator in hora Protinus hic iterum nil minus ore refert Sic reor
hunc genuit doctarum quinta sororum Cui pia musa nihil non meminisse dedit
Frater Egidio VITERBO heremita. Bononiae, Papiae, Ferrariaeque legi et qui me
audierunt mul- ta memoriter scire incoeperunt, et quamvis mea artificiosa me-
moria aliorum auctoritatibus sit comprobata, peccare tamen non puto si acta mea
in hoc libello legentur quae ipsam mirabiliter approbabunt. Dum essem iuris auditor,
nec vigesimum vidissem annum, in universitate patavina dixi mc totum codicem
iuris civilis posse recitare; petii namque ut mihi leges aliquae ad arbi- trium
astantium proponerentur, quibus propositis, summaria BARTOLI dicebam, aliqua
verba textus recitabam, casum adducebam, tacta per doctores examinabam, lexque
ista tot habet glosas dicebam et super quibus verbis erant positae recordabar,
/ contraria allegabam et solvebam. Visum est astantibus vidisse miraculum;
Alexander Imolensis diu obstupuit, nec fabulam narro: ego palam locutus sum in
universitate Paduae ex qua in ore duorum vel trium stat omne verbum; testes
huius rei tres habco: magnificum dominum Pasqualicum senatorem venetum et iuris
utriusque doctorem excellentissimum apud illustrissimum Mediolani ducem nunc
legatum, clarissimum doctorem dominum Sigismundum de capitibus listae civem
nobilem patavinum cuius predictus Franciscus fuit acutissimi ingenii iuris
consultus, specta- bilem dominum Monaldinum de Monaldiniis Venetiis commorantem
in quo virtus domicilium suum collocavit. Lectiones etiam Alexandri Imolensis
Paduae legentis copiosissimas memoria tencbam et illas ex verbo ad verbum in
scriptis redigebam, illas etiam postquam finierat, astante magna audito- rum
copia, a calce incipiens recitabam ex suisque lectionibus dum in scholis
audirem carmina faciebam et omnes carum partes in carminibus positas statim
replicabam; et qui hoc viderunt obstu- pucre: huius rei testes habeo
clarissimum equitem et doctorem dominum Sigismundum de capitibus listae et
filium Alexandri Imolensis qui nunc est iuris consultus celeberrimus. Centum et
quatraginta quinque auctoritates religiosissimi fratris Michaelis de Mediolano
Paduae praedicantis immortalitatem animae probantes, coram eo memoriter et
prompte pronunciavi, qui me amplexus est dicens: vive diu, gemma singularis,
utinam te religioni dicatum viderem. Testis est tota civitas patavina, sed magnificum
dominum Ioannem Franciscum Pasqualicum et do- minum Sigismundum de capitibus
listae et dominum Monal- dinum de Monaldiniis testes habco. Petii ego doctor
creatus in universitate patavina, ut mihi in cathedra sedenti, aliquis de
universitate auditor unum ex tribus voluminibus digestorum quid eligeret
praesentaret locum- que in quo legere deberem designaret. Dixi enim supra rc
proposita innumerabiles leges allegabo. Testes sunt clarissimus iuris utriusque
doctor dominus Orsatus Paduae iura canonica legens et doctissimus dominus
Prosper Cremonensis Paduae commorans. Semel in schachis ludebam et alius
taxillos iaciebat aliusque omnes iactus scribebat ct ex themate mihi proposito
duas epistolas dictabam. Posquam finem ludo imposuimus omnes iactus schachorum
cet taxillorum et epistolarum verba ab ultimis inci- piens repetii; hacc
quatuor per me codem tempore collocata fuerunt. Testes sunt dominus Petrus de MONTAGNANO
et NERVOLINO nobiles patavini cives. Dum cssem Placentiae monasterium
monachorum nigrorum intravi ut illud viderem, in dormitorioque cius comitante
mona- cho quodam bis deambulans monachorum nomina quae in ostiis cellarum erant
collocavi; deinde congregatis eis nomine proprio quemlibet salutavi, licet quem
nominabam digito demonstrare non potuissem. Mirabantur monachi quo pacto ego
peregrinus nomina eorum memoriter proferrem, ipsis mirari non desinenti- bus,
dixi tandem: hoc potuit mea artificiosa memoria, quorum unus dixit ergo hoc
Petrus Ravennas facere potuit et non alius. In capitulo generali canonicorum regularium Paduac,
prac- dicationem domini Deodati Vincentini co ordine quo ipsam pronunciaverat
recitavi astante ipsius praedicationis auctore. Sc- mel me traxit ad sui
contemplationem Cassandra, fidelis veneta virgo excellentissima, quae dum
legeret litteras serenissimae coniugis
regis Ferdinandi ad se missas, illas collocavi et recitavi; testis est illa
doctissima virgo, dominus Raimusius doctor excellens ariminensis et Angelus
Salernitanus vir clarus. De mea artificiosa memoria testis est illustrissimus
marchio Bonifacius et eius pulcherrima uxor quae me egregio munere donavi;
testis est illustrissimus Hercules dux et illustrissima uxor Eleonora; testis
est tota Ferraria duas enim pracedicationes cele- berrimi verbi dei pracconis
magistri mariani heremitae recitavi, quo audito obstupuit dictus magister et
dixit: illustrissima du- cissa hoc est divinum et miraculosum opus; testis est
universitas patavina: omnes enim lectiones mceas iuris canonici sine libro
quotidie lego ac si librum ante oculos haberem, textum et glosas memoriter
pronuncio ut nec etiam minimam syllabam omittere videar. In locis autem meis
quae collocaverim hic scribere statui et quae locis tradidi perpetuo teneo, in
decem et novem litteris alphabeti vigintimilia allegationum iuris utriusque
posui et codem ordine sacrorum librorum septem milia, mille OVIDIO carmina quae
ab co sapienter dicta continent, ducentas CICERONE auctoritates, trecenta
philosophorum dicta, magnam VALERIO partem,
naturas fere omnium animalium bipedum et quadrupedum quorum auctoritatum
singula verba collocavi, et quando vires arti / ficiosae memoriae experiri
cupio, peto ut mihi una ex litteris illis alphabeti proponantur, super qua pro-
posita allegationes profero, et ut clare intelligas, exemplum ha- bes:
proposita est mihi nunc littera A in magno doctorum vi- rorum conventu, et
statim a iure principium faciens, mille alle- gationes et plures proferam de
alimentis, de alienatione, de ab- sentia, de arbitris, de appellationibus et de
similibus quac iure nostro habentur incipientibus a dicta littera A; deinde in
sacra scriptura de Antichristo, de adulatione et multas allegationes sacrae
scripturae ab illa littera incipientes pronunciabo, carmina Ovidii,
auctoritates Ciceronis et Valerii non omittam, de asino de aquila de agno de
‘accipitre de apro de ariete auctoritates allegabo, et quaecumque dixero ab
ultimis incipiens velociter repetam. MSS. DI ARS MEMORATIVA. Una posizione come
quella del Rosselli, che pure si muove nell’ambito della tradizione
“ciceroniana” e non ha contatti con il lullismo, appare per molti aspetti assai
vicina a quella che verrà poi assunta da Bruno. Non mancarono tuttavia, an- che
sul finire del secolo, trattazioni di ars memorativa con- dotte secondo i
canoni più tradizionali della mnemotecnica “classica”. Più che altro per amore
di completezza, si dà qui conto di tre testi manoscritti che risentono
fortemente di que- ste impostazioni tradizionali. Nel primo di questi testi,
con- servato nel ms. Palatino della Nazionale di Firenze (Cod. cart. miscell.
di carte. Ai ff. è un anonimo trattato di mnemotecnica: /Inc.: Queritur primo,
quare, antequam hanc, artificialem memoriam non in aperto tradiderunt. Expl.:
Vox continua est de quantitate continua. Grafia) ritorna, secondo gli schemi
ormai ben noti, la trattazione dei luoghi e delle immagini. Nel secondo,
l’ashburnhamiano della Laurenziana (Cod. cart. in folio di carte) riscontriamo
quel feno- meno, che abbiamo visto tipico, di una trasformazione dei trat- tati
di retorica in una ordinata e sistematica classificazione di nozioni. L'arte
della memoria non è qui fatta oggetto di spe- cifica trattazione; gli intenti
mnemonici risultano chiari dalla disposizione della materia, ordinata in
tavole. Si veda per cs. al fol. La Rhetorica è un’arte di trovare ciò che in
ogni cosa sia acconcio a persuadere. Le fedi con le quali si per- suade sono:
Dell’arte cotai sono: nella vita e nei costumi dell’oratore, in mover l’animo
del giudice, nell’oratione quando si prova o par che si prova alcuna cosa.
Questa maniera di fede si prova e si tratta dall’oratore. Fuori dell’arte cotai
sono : leggi, patti, testimoni, tormenti, giuri. Quest’altra maniera di fede si
tratta solamente dall’oratore. Del manoscritto, già Magliab. della Nazionale di
Firenze, Cod. cart. in folio grande di carte) già segnalato da Yates, si cono-
scono invece sia l’autore, sia il luogo e la data di composizione. Scritto da RICCIO
(si veda) Riccio nel Convento di Santa Maria Novella, il trattato si rivolge «
alla gioventù fioren- tina studiosa di lettere. Yates (The CICERONE Ciceronian
Art of Memory, in Medioevo e Rinascimento, Studi in onore di Nardi, Firenze) ha
visto in questo scritto « qual- cosa di meno astratto che i trattati del
Romberch e del Ros- selli ». In realtà l’operetta del Riccio appare in tutto
convenzionale, ultima eco di una tradizione che si andava ormai spegnendo.
Tuttavia, anche in questo testo, non manca un elemento di novità rispetto alle
fonti classiche. Allo scopo di imprimere meglio nella mente del lettore le
regole dell’arte della memoria, vengono qui impiegati immagini e simboli: in
altri termini, per esprimere i precetti che insegnano a collocare le immagini,
ci si serve di altre, più complesse imma- gini. Dello stesso accorgimento già
aveva fatto uso inella Explicatio triginta sigillorum. Ir. Essendo la memoria
madre delle scienze poi che quello che vera- mente si sa che si ritiene nella
memoria impresso, utilissima è l’arte che rende perfetta questa natural
potenza. Di essa da molti sono stati scritti vari libri, ma non però ho stimato
ch’a me sia negato il formare questo trattato nel quale sotto la simi- litudine
d’un potentissimo Re ch’appresso di sé ha due consi- glieri e tre valorosi
capitani et un servo che provede ciò che fa di bisogno, brevemente e
chiaramente ho ridotto in sette precetti la somma di quest'arte et a voi la
dono. Seconda regola o Primo consiglier o luoghi, son nominati da me, ché tutti
questi tre nomi significano una cosa medesima come si dichiara per la figura
dipinta a uso d’huomo consigliere del Re, ché detto consigliere tiene una mano
sopra a un map- pamondo dipinto nel quale si vede città, terre, castelli, case,
botteghe, così anco chiese, palazzi, vie, piazze, conventi di religiosi e a
molte altre cose. Però io ho fatto molti Alfabeti diversi acciò che tu gli
legga e vi facci pratica, un Alfabeto è di fiumi laghi e pesci, un di pietre
preziose e tutte l'altre pietre insieme, un d’'erbe c piante piccole, un di
fiori, un d’alberi e frutti grandi, un d’animali grandi e piccoli... un di
città, un di casati fiorentini, un d'arti meccaniche e liberali o exercitii o
servitù che si faccino per guadagnare, un d'huomini honorati. PETRARCA MAESTRO
DI ARTE DELLA MEMORIA In un saggio più volte citato nel corso di questo libro
(The ciceronian Art of Memory, nel vol. Medioevo e Rinascimento, Studi in onore
di NARDI, Firenze) Yates ha segnalato una serie di testi di ars memorativa nei
quali compaiono espliciti richiami a Petrarca. Nel Congestorium artificiose
memorie, pubblicato a Venezia, Romberch si richiama più volte a PETRARCA attribuendogli
anche la paternità di non poche affermazioni di carattere tecnico sui /oci e
sulle imagines; nella Plutosofia di GESUALDO (si veda) (Padova) il Romberch
viene addirittura qualificato un seguace della mnemotecnica del Petrarca; nella
Prazza universale (Venezia, Disc.) Tommaso Garzoni include il Petrarca fra i
più noti cultori di mnemotecnica; Schenkel nel Gazophylacium artis memoriae
(Argentorati), dopo aver riportato un lungo passo dei Rerum memorandarum libri
(ediz. di Basilea; ediz. Billanovich, Firenze), fermi che l’arte mnemonica fu
da PETRARCA «avide susceptam et diligenter excultam. Gli sparsi accenni alla
memoria, alla memoria artificiale, agli illustri esempi di prodigiosa memoria
presenti nell’opera del Petrarca sono stati elencati, con la precisione che le
è consueta, da Yates: nessuna specifica regola di mnemotec- nica, né alcuna
esaltazione o raccomandazione dell’ars memo- riae — della cui divulgazione il
Petrarca era tuttavia a cono- scenza («Itaque minus miror tantis nature
preditum mune- ribus artificiosam memoriam contempsisse, que tum primum in
Grecia reperta, apud nos hodie vulgata est », Rerum mem. libri, ediz.
Billanovich) — è presente nell'opera dell’autore del Canzoniere. La tradizione
che vede nel Petrarca un “classico” della letteratura sulla memoria non nasce
tuttavia dal semplice desiderio — così diffuso negli autori di questi trattati
— di invocare sempre nuove “autorità”. Essa ha origini precise: I think one can see how the
tradition about PETRARCA as an advocate of the classical mnemonic arose.
Everyone knew that the great scholastics in treating memory as a part of
prudence had recommended the artificial memory. It was therefore supposed that
when Petrarch treated memory as a part of prudence by giving amongst his
exempla the me- mories of great classical rhetors in which he made allusions to
the classical mnemonic, he thereby meant — though in his own ’humanist’ way —
to recommend it. And it was probably further supposed that in the description
of the memory of his friend he was describing the feats of a modern ’ artift-
cial memory” based on the practice of the ancients. This was certainly the
assumption made by Lambert Schenkel, in the passage referred above. Con le conclusioni della Yates sembra difficile
non concor- dare, anche se l’unico passo del quale disponiamo per renderci
conto delle origini di questa curiosa tradizione, contiene affer- mazioni che
solo parzialmente confortano le affermazioni ora citate. Qui autem aequus rerum
aestimator, considerans quae ex Francisco Petrarcha hic citata sunt, nempe
artificio- sam memoriam sua aetate vulgatam fuisse, militem illum ami- cum ab
adolescentia multorum itinerum individuum comitem ipsi fuisse, saepe totos dies
et noctes colloquiis traductos, alias- que circumstantias, ac maximam
occasionem consequendae huius artis, vel ab ipso, qui eam tali amico, viro tam
docto, negare non putuisset, vel ab aliis, iudicet illam ab ipso esse
neglectam; praesertim cum memoriae illius excellentia, com- muni omnium fama,
celebretur et a scriptoribus in numerum illorum relatus sit qui admirabili
memoria insignes fuerunt, ac scripta facile testentur quantus ille orator,
quantus poeta latinus, quodque italorum poetarum princeps habeatur, unde recte
colligitur artem memoriae avide ab illo fuisse susceptam et diligenter
excultam, atque maximo sibi in studiis omnibus adiumento et ornamento fuisse ».
(Gazophylacium). Comunque stiano le cose, è certo che la tradizione di PETRARCA
maestro e teorico della memoria artificiale si estende molto al di là dei
limiti cronologici indicati dalla Yates (« the tradition of associating
Petrarch with mnemonics goes on even into the early seventeenth century). Negli
scritti di Jean Belot pubblicati e in seguito riediti, il nome di PETRARCA
compare accanto a quelli di Pietro da RAVENNA (si veda) e di BRUNO (Les oeuvres
de M. Jean Belot contenant la chiromance, physionomie, l'art de memoire de
Raymond Lulle, Lyon). Nella lunga nota integrativa apposta da DIODATI D alla
voce Mémotre del- l’Enciclopedia di Diderot (Ediz. di Lucca) ritro-viamo,
accanto a quelli di Pietro da RAVENNA (si veda), di Jacopo Publicio, del
Romberch, di Cosma ROSSELLI (si veda), il nome di PETRARCA. UN SAGGIO DI CAMILLO
(si veda). Di carattere teologico e cabalistico è uno scritto inedito di
CAMILLO (si veda) sul quale richiama l’attenzione GARIN (si veda), Giornale
crit. della filosofia italiana. Cfr. E. MANDARINI, I codici manoscritti della
Biblioteca Oratoriana di Napoli, Napoli, e il Ms. Pil. XV, n. ll, in 4°, di cc.
non numerate. Lo scritto di CAMILLO (si veda) inizia con un proemio
caratteristico nel quale fra l’altro si afferma: « Et perché né più degno
soggetto, né più alto si tratta del sommo divino, contenendo la presente opera
l’interpretazione dell’Arca del Patto, per la quale si ha la vera Intelligenza
delli tre Mundi, cioè Sopra-Celeste, Celeste et Inferiore, onde ne risorge la
vera Cognitione Theologica, over Divina che dir vogliamo, qui è esponuto il
Senario Canone Pitagorico et sforbito dal Ternario, cioè Artifex, Exemplar,
Hyle. Qui è dichiarato cos'è Materia, Forma et Privatione. Qui più luoghi delle
Sacre pagine enodati et de oscuri fatti chiari. Qui vedrai accordata la
Pitagorica di CROTONE, et Platonica disciplina, con la philosophia et theologia
nostra. Di questo stesso testo di CAMILLO (si veda) ho trovato un altro
esemplare nel Ms. Aldino della Bibl. Univ. di Pavia (Ms. cart., di cc. scritte
e numeate, legatura in cartone, mm.). Anche qui, come nell’esemplare
napoletano, segue un trattato De Transmuta- tone. Tre esser le une
transmutationi, cioè: la Divina, quella delle Parole, et quella ch'è pertinente
alli Metalli. Et tutte tre fra loro haver una maravigliosa corri- spondenza. Sono
ricordati Agrippa e Giovanni da RUPESCISSA (si veda). Le cc. segg. contengono
una trascrizione dall’edizione veneta della Porta della luce santa. ESERCIZI DI
MEMORIA NELLA GERMANIA. Com'è noto, i testi mnemotecnici di Pietro da Ravenna
prima, e di Giordano Bruno poi, ebbero grande risonanza negli ambienti della
cultura tedesca. Il brano qui di seguito trascritto costituisce un singolare
documento dell’interesse, prc- sente anche in ambienti accademici, per quegli
esercizi di memoria che avevano avuto gran voga SOPRATUTTO IN ITALIA. A questi
divertimenti (recitare per esempio indifferentemente dal principio alla fine o
dalla fine al principio una filza di qualche centinaio di termini o di
espressioni inusitate) si dedicavano del resto anche non pochi fra i maggiori
emble- matisti del Seicento. Come ricorda PRAZ (si veda) (Studi sul CONCETTISMO,
Firenze) il gesuita padre Menestrier, celebratissimo autore di un centinaio di
opere di emblematica, fa mostra della sua prodigiosa memoria davanti a Cristina
di Svezia servendosi di esercizi di questo tipo. Il testo che segue è tratto da
Paepp, Schenkelius detectus seu memoria artificialis hactenus occultata,
Lugduni, Trivulziana, Mor. M. Negli scritti di Paepp (cfr. anche Artficiosae
memoriae fundamenta ex Aristotele, CICERONE, AQUINO, ecc., Lugduni, e
Introductio facilis in praxin artificiosae memoriae, Lugduni) è particolarmente
interessante il tentativo di fondereinsieme le figure della combinatoria
lulliana e quelle in uso nella mnemotecnica ciceroniana. Goclenius, nominato
nel testo, è personag- gio assai noto. Si vedano su di esso: Morhof, Polyhistor
literarius philosophicus et practicus, Lubecca, e Thorndike, History of Magic
and Experimental Science, New York. Die XXIX Sept., styli veteris anni, MDCII,
hora octava matutina convenerunt ad aedes celeberrimi ac magni illius
philosophi et profes- soris D. Rudol. Goclenii, clariss. vir ac D. Henricus
Ellenbergerus praeclarus medicinae doctor et professor, Mathias à Sichten
Dantiscanus Borossus, ct M. Christophorus Bauneman Maior stipendiarorum.
Petitque Schenkelius a Goclenio er
Ellenbergero dictari XXV sententias, quas ipsc calamo excepit,
pracposita cuique nota arith- metica, deinde intro vocavit ingenuum ac doctum
adolescentem Dn. lustum Ingmannum, Cassellanum Hessum iuris ac philosophiae
studio- sum cui cae omnes ordine prelectae sunt a Schenkelio, singulae bis
interiecto aliquantulo more, omnibusque dictis tacitus aliquantisper sedit.
Deinde exorsus loqui a prima ad ultimam ordine recto et retro- grado ab hac ad
illam sine mora, haesitatione aut errore recitavit. Cum vero bis terve
evenisset ut dictionem unam alteri pracponeret, ac bis ut synonymum pro
synonymo in quibus facillimus est lapsus ita pro sic, limites pro fines, unico
hoc verbo admonitus, dic ordine dixine ita? synonymum ponis: statim et eadem
substituit vocabula et suo ordine. Postremo intercalari ordine quolibet
expresso numero statim sententiam, aut dicto primo cuiuslibet sententiae
vocabulo confestim numerum indi- cavit. Tum rogavit Dn. Iungmannum Schenkelius
an vellet aliquas praeterea sententias adiici. Alacri animo XXV alias addi
optavit. Verum Schenkelio respondente nimis multas fore, quindecim pettit; quas
arti applicatas eadem dexteritate promptitudine qua superiores quolibet or-
dine et separatim et cum aliis coniunctim intercalari repetiit. Fuerunt autem
sententiae sequentes: Omnia sunt fucata, nihil candoris in aula est. Animus
philosophi debet esse in sagina, corpus in macie. Ut planctae saepius
translatae raro perveniunt ad frugem, sic et ingenia vagabunda. Timiditas
ignorantiam audacia temeritatem arguit. 40. Iuvandi non oppugnandi sunt qui
nobis iecere fundamenta sa- pientiae. Si inter alias a Dominis aliquae
dicerentur sententiae paulo tritiores quas coniiciebat D. Iungmannum antea
memoriter scire, id sincere Do- minis indicavit Schenkelius aliasque illarum
loco accepit. Si quoque aliquae iusto breviores videbantur petivit addi
aliquid. Ut factum in XXIII et XXIV. Sequenti die XXX Septembris denuo
convenerunt su- pra nominati domini ad acdes D. Mathaei Schrodij pharmacopolae
hora nona et ab cisdem dictata sunt quinquaginta vocabula a Schenc- kelio
excepta; et intro vocato Dn. Iungmanno singula semel praelecta, relicto ipsi
paululum morae ad cogitandum et applicandum arti, deinde a primo ad ultimum
ordine recto ab hoc ad illud retrogrado, postea intercalari quocunque numero
dicto subiecit vocabulum, et contra nominato quolibet vocabulo numerum sine
mora, haesitatione vel errore. Interrogavit Schenckelius an placeret dominis plura dare.
Videlicet: numerum illum duplicatum? Quod desiderabat quidem Dn. Iungman- nus, sed responderunt sufficere,
nec se dubitare quin possit multo plura codem modo recitare. Postea Schenckelio
conquestus est Dn. Iungman- nus dolere se quod non ad quinquaginta sententias
et centum vocabula esset processum, haud dubie se optime repetiturum fuisse;
fuerunt autem sequentia: I. Gobius, 2.
Peristroma, 3. Ficedula, 4. Ephipium, 5. Phalerae, 6. Canabis. Mantica.
Locaria. Rursus oblatis a Schenckelio Dominis ducentis sententiis in quibus sc
exercuerat, Dn. Iungmannus dum specimini se praepararet, et quas iam memoria
tenebat; una cum quadraginta heri pro specimine dicti- tatis, quibus
pracpositac crant notae arithmeticae. Rogavit ut expri- merent quemlibet
numerum et Dn. Iungmannus statim corresponden- tem diceret sententiam quod
factum est feliciter, non sine praesentium admiratione. Cum praesertim magno id
fieret numeri intervallo. E. g. dic 235, dic 27, dic 9, dic 240, dic 228...
etc. Postremo Dominis sunt oblata 250 vocabula scripta in quibus partim se
privatim ad specimen praepararat, partim cum Schenckelio cexercuerat ita ut
illa quoque memoria tencret; quibus iam cadem hora erant apposita 50 alia, ut
cum prioribus trecenta efficerent; et petivit Schenckelius ut Domini quem
vellent numerum proferrent. Quod ita ut modo dictum est de sententiis fecerunt et
statim Dn. Iungmannus vocabulum quodque red- didit. Si semel aut bis non
diceret ipsam sententiam aut vocabulum servato prorsus ordine vocum, monitus
rem acu non esse tactam, veram aut sententiam aut vocabulum illico restituit.
Dic subsequenti primo Octobris interfuit Dn. Iungmannus concioni publicae R. D.
Doc- toris Winckelmanni Concionatoris ac Professoris celcberrimi quam etiam
valde attente audiverunt, ut certius de specimine iudicare pos- sent Eximius
Med. Doctor et Professor Ellenbergerus et D. ac M. Chris- tophorus
Baunemmannus, qui una cum Schenckelio concione absoluta iverunt recta ad aedes
pracclariss. D. Goclenii, ut coram ipsis cam repcteret, quod fecit ita prompte
ct exacte ut nihil ex tota concione esset practermissum. Haec omnia ita ut
supra fideliter relata sunt se habere testamur cum ea nobis praesentibus,
videntibus sententias et vocabula dictanti- bus, gesta sint et probata, omni
fraude et dolo seclusis. In quorum
fidem hoc veritati non minus quam equitati debitum testimonium nominibus
nostris subscriptis siglillisgue munitum libenter Schenckelio vel non roganti
dedimus. Marpurgi Hassorum anno, mense, die supra- positis. Rod. Goclenius L.
Professor Henricus Ellenbergerus Med. Doctor et Professor Mathias à Sichten Dantiscanus
Borossus Cristophorus Bauneman Maior stipend. LA VOCE ART MNEMONIQUE NELL’ENCICLOPEDIA ITALIANA DI
DIDEROT Commentando la voce Mémoire della grande Enciclopedia, DIODATI rimpiangeva
che l’autore della dotta dissertazione non avesse fatto seguire alla
trattazione della memoria naturale una esposizione, altrettanto ampia e
precisa, delle regole della memoria artificiale (Ediz. di Lucca). Per rimediare
a questa lacuna DIODATI (si veda) ripete alcuni dei più tradizionali concetti
della mnemotecnica di origine “ciceroniana”; aggiorna l’elenco degli uomini
dotati di prodigiosa memoria aggiungendo ai nomi di PLINIO (si veda), di Aulo GELLIO
(si veda), di Cinea, di Ciro, di Seneca e di PICO (si veda), quello di
MAGLIABECHI (si veda). Si richiamava ai nomi dei maggiori trattatisti; elencava
infine alcune regole di medicina della memoria e i principali precetti
dell’arte della memoria locale. La lacuna che aveva scandalizzato il buon DIODATI,
non esiste affatto nell’ Enciclopedia italiana. Nel primo volume dell’opera
(che lo stesso DIODATI aveva annotato e pubblicato nove anni prima) un’intera
sezione della lunga voce Art appare dedicata alla trattazione dell'Art
mnémonique. Del testo, che è opera dell’Yvon (sulla cui figura e posizione
intellettuale cfr. F. VEx- tuRI, Le origini dell’ Enciclopedia italiana,
Roma-Firenze) si trascrivono qui di seguito le parti essenziali. Nella
identificazione dell’arte mnemonica con la logica, nell’appello alla chiarezza
e alla distinzione, nell’idea di un ordinamento delle idee in una catena di
premesse e di conseguenze, infine nel deciso rifiuto di ogni forma di “memoria
artificiale” tradi. zionalmente intesa sono evidenti le influenze delle
posizioni cartesiane. Le due opere alle quali l’autore fa riferimento sono:
Marius D’Assicny, The Art of Memory, London, e Wix- KELMANN (che è pseudonimo
di Stanislaus Mink von Venussheim), Logica mnemonica sive memorativa, Halae
Saxonum. On
appelle ar: mnemonique la science des moyens qui peuvent servir pour
perfectionner la mémoire. On admet ordinairement quatre de ces sortes de moyen:
car on peut y employer ou des remedes physiques, que l’on croit propres à fortifier
la masse du cerveau; ou de certaines figures et schématismes, qui font qu’une
chose se grave mieux dans la mémoire; ou des mots techniques, qui rappellent
facilement ce qu’on a appris; ou enfin un certain arrangement logique des
idéesen les plagant chacune de facon qu’elles se suivent dans un ordre naturel.
Pour ce qui regarde les remedes physiques, il est indubitable qu’un régime de
vie bien observé peut contribuer beaucoup à la con- servation de la mémoire, de
méme que les excès dan le vin, dans la nourriture, dans les plaisirs,
l’affoiblissent. Mais il n'est pas de méme des autres remedes que certains
auteurs ont reccomandés... qu'on peut voir dans l'art mmnemonique de Marius
d’Assigny, auteur anglois. D’autres ont eu recours aux schématismes. On sait
que nous retenons une chose plus facilement quand elle fait sur notre esprit,
par les moyens des sens cxtérieurs, une impression vive. C'est par cette raison
qu'on a tiché de soulager la mémoire dans ses fonctions, en réprésen- tant les
idées sous de certaines figures qui les expriment en quelque facon. C'est de
cette manière qu'on apprend aux enfans, non seule- ment à connoître les
lettres, mais encore à se rendre familiers les principaux évenemens de
l’histoire sainte et profane. Il y a méme des auteurs qui, par une prédilection
singuliere pour les figures, ont appliqué ces schématismes à des sciences
philosophiques. C'est ainsi qu'un certain Allemand, nommé Winckelmann, a donné
toute la logique d'Aristote en figures. Voici aussi comme il définit la Logique.
Aristote est représenté assis, dans une profonde méditation : ce qui doit
signifier que la Logique est un talent de l’esprit et non pas du corps; dans la
main droite il tient un clé: c’est-a-dire que la Logique n'est pas une science,
mais un clé pour les sciences; dans la main gauche il tient un marteau: cela
veut dire que la Logique est une habitude instrumentale; et enfin devant lui
est un étau sur lequel se trouve un morceau d'or fin et un morceau d'or faux
pour indiquer que la fin de la Logique est de distinguer le vrai d’avec le
faux. Puisqu'il est certain que notre immagination est d’un grand secours pour
la mémoire, on ne peut pas absolument rejetter la méthode des schématismes,
pourvà que les images n’ayent rien d'extravagant ni de puérile, et qu'on les
applique pas à des choses qui n’en sont point du tout susceptibles. Mais c’est
en cela qu'on à manqué en plusieurs fagons: car les uns ont voulu désigner par
des figures toutes sortes de choses morales et métaphysiques; ce qui est
absurde, parce que ces choses ont besoin de tant d’esplications, que le travail
de la mémoire en est doublé. Les autres ont donné des images si absurdes et si
ridi- cules, que loin de rendre la science agréable, elles l’ont rendu dégot-
tante. Les personnes qui commencent à se servir de leur raison, doivent
s'abstenir de cette méthode, et tàcher d’aider la mémoire par le moyen du
jugement. Il faut dire la méme chose de la mémoire que l'on appelle teckni-
que. Quelques-uns ont proposé de s’immaginer une maison ou bien une ville, et
de s'y représenter différens endroits dans lequels on pla- ceroit les choses ou
les idées qu'on voudroit se rappeller. D'autres, au lieu d'une maison ou d’une
ville, ont choisi certains animaux dont les lettres initiales font un alphabet
latin. Ils partagent chaque membre de chacune de ces bétes en cinq parties, sur
lesquelles ils affichent des idées; ce qui leur fournit 150 places bien
marquées, pour autant d'idées qu’ils s'y imaginent affichées. Il y en a
d’autres qui ont eu recours è certains mots, vers, et autres choses semblables:
par exemple pour re- tenir les mots d’Alexandre, Romulus, Mercure, Orphée, ils
prennent les lettres initiales qui forment le mot armo; mot qui doit leur
servir à se rappeller les quatre autres. Tout ce que nous pouvons dire là-des-
sous c'est que tous ces mots et ces verbes techniques paroissent plus
difficiles à retenir que les choses mémes dont ils doivent faciliter l'étude.
Les moyens les plus sùrs pour perfectionner la mémoire, sont ceux que nous
fournit la Logique; plus l’idée que nous avons d'une chose est claire et
distincte, plus nous aurons de facilité à la retenir et à la rappeller quand
nous en aurons besoin. S'il y a plusieurs idées, on les arrange dans leur ordre
naturel de sorte que l’idéc principale soit suvie des idées accessoires, comme
d’autant de consequences; avec cela on peut pratiquer certains artifices qui ne
sont pas sans utilité: par exemple, si l’on compose quelque chose, pour
l’apprendre ensuite par coeur, on doit avoir soin d’écrire distinctement, de
marquer les différen- tes parties par de certaines séparations, de se servir
des lettres initiales au commencement d’un sens; c'est ce qu'on appelle la
mémotre locale... Les anciens Grecs et Romains ROMANI parlent en plusieurs
endroits de l'art mnemonique Cicéron CICERONE dit, dans le Liv. II de Orat. que
Simonide l’a inventé. Ce philosophe étant en Thessalie, fut invité par un nommé
Scopas; lors qu'il fut à table, deux jeunes gens le firent appeller pour lui
parler dans la cour. A_peine Simonide fut-il sorti, que la chambre où les
autres étoient restés, tomba et les écrasa tous. Lorsqu’on voulut les enterrer,
on ne put les reconnoître, tant ils étoient défigurés. Alors Simonide, se
rappellant la place où chacun avoit été assis, les nomma l’un après l’autre; ce
qui fit connoître, dit Cicéron, que l'ordre étoit la principale chose pour
aider la mémoire. La voce “caractère”
della grande Enciclopedia -- i caratteri tipografici vengono trattati da
Diderot in un'ampia voce, “caractères d'imprimerie”) risulta dalla
collaborazione di vari filosofi. Dopo alcune brevissime definizioni d’Eidous
che distingue fra suoni e SEGNI o figure e fa risalire l’origine dei caratteri
ai primi rozzi disegni tracciati sui corpi materiali, Alembert tratta
brevemente della scrittura in generale cinviando: per una trattazione più
analitica, alle voci “langue” e “alphabet”. Ai caratteri egiziani accenna in
poche righe, rimandando alle voci “hiéroglyphe” ec “symbole”, il celebre
grammatico Marsais. Seguono nell’ordine: una colonna c mezzo d’Alembert
dedicata ai caratteri reali e al problema della lingua universale; una
descrizione dei caratteri dei vari alfabeti e dei segni impiegati in geometria
e trigonometria di Chapelle; una breve voce sui “caractères dont on fait usage
dans l' arithmetique des infinis ancora di d’Alembert; infine una colonna circa
del Venel sui Caractères de la Chimie. Si vuol qui richiamare l’attenzione sul
secondo dei tre “pezzi” scritti dal d’Alembert. In questo testo troviamo pre-
sente la contrapposizione baconiana dei “caratteri reali” (che esprimono non
suoni o lettere, ma cose) ai “caratteri nomi- nali” (o normali lettere
alfabetiche. Vediamo ripreso il parallelo, presente nel “De augmentis” di
Bacone e nell’”essay” di Wilkins, tra gl’ideogrammi cinesi e i caratteri reali
che possono essere letti e compresi indipendentemente dalla lingua che
effettivamente si parla. Vediamo brevemente esposti i risultati cui sono giunti
lo stesso Wilkins, Dalgarno e Lodowick. Le riflessioni di Leibniz sulla
caratteristica e sulla lingua universale -- di questi interessi non fa cenno la
voce “erbnittanisme ou philosophie de Leibniz” -- vengono infine poste in un
rapporto di diretta derivazione con le dottrine dei due autori inglesi e
scozzesi. Le opere
di Dalgarno, di Wilkins, di Lodowick alle quali Alembert fa riferimento nel
testo sono nell’ordine: “Ars signorum, vulgo character universalis et lingua
philosophica, Londra; Essay towards a real character and a philosophical
language, Londra; The grundwork or foundation laid, or so intended, for the
framing of a new perfect language, Londra. Les hommes qui ne formoient
d'abord qu'une société unique, ct qui n’avoient par conséquent qu’une langue et
qu'un alphabet, s'étant extrémement multipliés, furent forcés de se distribuer,
pour ainsi dire, en plusieurs grandes sociétés ou familles, qui séparées par
des mers vastes ou par des continens arides, ou par des intéretéts differens,
n'avoient presque plus rien de commun entr'elles. Ces circonstances
occasionnerent les différentes langues cet les différens alphabets qui se sont
si fort multipliés. Cette diversitt de caracteres dont se servent les différentes
nations pour exprimer la méme idée, est regardée comme un des plus grands
obstacles qu'il y ait au progrés des sciences: aussi quelques auteurs pensant à
affranchir le genre humain de cette servitude, ont proposé des plans de
caracteres qui pussent ètre universels, et que chaque na- tion pùt lire dans sa
langue. On voit bien qu’en ce cas, ces sortes de caracteres devroient étre
réels et non mominaux, c'est-a-dire exprimer des choses, et non pas, comme les
caracteres communs, exprimer des lettres ou des sons. Ainsi chaque nation
auroit retenu son propre langage, et cependant auroit été en état d’entendre
celui d'une autre sans l’avoir appris, en vo- yant simplement un caractere récl
ou universel, qui auroit la méme signi- fication pour tous les peuples, quels
que puissent étre les sons, dont chaque nation se serviroit pour l’'exprimer
dans son langage particulier : par cxemple, en voyant le caractere destiné à
signifier Sorre, un An- glois auroit lù o drink, un Frangois dorre, un Latin
bidere, un Grec riverv, un Allemand trincken, et ainsi des autres; de méme
qu'en voyant un cleval, chaque nation en exprime l’idée à sa maniere, mais
toutes entendent le mème animal. Il ne faut pas s’'imaginer que ce caractere
réel soit une chimere. Le chinois et les japonois ont déjà, dit-on, quelque
chose de semblable: ils ont un caractere commun que chacun de ces peuples
entend de la méme maniere dans leurs différentes langues, quoiqu’ils le
prononcent avec des sons ou des mots tellement différens, qu’ils n’entendent
pas la moindre syllabe les uns des autre quando ils parlent. Les premiers
essais, ct méme les plus considérables que l’on ait fait en Europe pour
l’institution d’une langue universelle ou philosophique, sont ceux de Wilkins
et de Dalgarme: cependant ils sont demeurés sans aucun effet. M. Leibnitz a eu
quelques idées sur le méme sujet. Il pense que Wilkins et Dalgarme n’avoient
pas rencontré la vraie méthode. M. Leibnitz convenoit que plusieurs nations
pourroient s'entendre avec les caracteres de ces deux auteurs: mais, selon lui,
ils n’avoient pas attrapé les véritables caracteres réels que ce grand
philosophe regardoit comme l’instrument le plus fin dont l’esprit humain pùt se
servir, et qui devoient, dit-il, extrémement faciliter et le raisonnement, et
la mémoire, et l’invention des choses. Suivant l’opinon de M. Leibnitz, ces
caracteres devoient ressem- bler à ceux dont on sc sert en Algebre, qui sont
effectivement fort simples, quoique très-expressifs, sans avoir rien de
superflu ni d’equi- voque, et dont au reste toutes les variétés sont
raisonnées. Le caractere réel de Wilkins fut bien regu de quelques savans. M.
Hook le recommande après en avoir pris une exacte connois- sance, et en avoir
fait lui-méme l'experience: il en parle comme du plus excellent plan que l'on
puisse se former sur cette étude, il a eu la complaisance de publier en cette
languc quelques-unes de ses décou- vertes. Leibnitz dit qu'il avoit en vàe un
alphadet des pensées humaines, et mèéme qu'il y travailloit, afin de parvenir à
une langue philosophi- que: mais la morte de ce grand philosophe empécha son
projet de venir en maturité. M. Lodwic nous a communiqué, dans les transactrons
plulosophi- ques, un plan d’un a/phabet ou caractere universel d’une autre
espece. Il devoit contenir une énumération de tous les sons ou lettres simples,
usités dans une langue quelconque; moyennant quoi, on auroit été en état de
prononcer promptement et exactement toutes sortes de langues; et de d’écrire,
en les entendant simplement prononcer, la prononciation d’une langue
quelconque, que l'on auroit articulée; de maniere que les personnes
accoùtumeées à cette langue, quoiqu'elles ne l’eussent jamais entendu prononcer
par d'autres, auroient pourtant été en état sur le champ de la prononcer
exactement: enfin cc caractere auroit servi comme d’étalon ou de modele pour
perpétuer les sons d’une langue quelconque. Dopo aver accennato a tentativi più
recenti (Journal Littéraire, sul quale cfr. Coururat-Leau, Historre de la
langue universelle, Paris), Alembert conclude. Mais ici la difficulté est bien
moins d’inventer les caractères les plus simples, les plus aisées, et les plus
commodes, que d’engager les différentes nations à en faire usage; elles ne
s’accordent, dit Fontenelle, qu’ì ne pas en- tendre leurs intéréts communs ». La sua sfiducia concerneva quindi,
esclusivamente, la possibilità di una realizzazione pra- tica. Su questo punto
le opinioni dei collaboratori all’Enciclopedia si configurano variamente. Per
rendersene conto basterà confrontare la voce Langage nella quale veniva
esplicitamente rifiutata la possibilità, anche teorica, di una lingua
universale («Puisque du différent génie des peuples naissent les diffé- rents
idiomes, on peut d’abord décider qu'il n’en aura jamais d’universel ») con la
voce Langue nella quale veniva esplicita mente riaffermata la speranza in una
pratica realizzazione della lingua universale. Mon dessein n’est pas au reste de
former un langage universel à l’usage de plusieurs nations. Cette entreprise ne
peut convenir qu’aux académies savantes que nous avons en Europe, supposé
encore qu’elles travaillas- sent de concert et sous les auspices des puissances.
Firenze Hannover : Innichen Milano
Monaco Napoli Laurenziana Ashb. Nazionale (già Magliab.): Conv. Soppr. Magliab.
cl., cod. Magliab. Palch.: Palat. Palat. : Riccardiana Ricc. Ricc. Phil. Phil.
VII. B. mi, Ambrosiana D. 535 inf.: sup.: inf.: inf.: sup.: N. 259 sup.: R. 50 sup.: sup.: Staatsbibl. Oratortana Pil.
XV n. IT: Parigi Pavia Ravenna Roma Torino Venezia Bibliothèque Nationale lat.
lat. lat. lat. Universitaria Ald. Ald. Ald. Classense Mob. Angelica (B.5): Casanatense
Vaticana Ott. lat. Urb.
lat. Urb. lat. Vat. lat. Vat. lat. Vat. lat.Vat. lat. 5437: 70. Vat. lat.
Vat. lat. 6295:. Nazionale Marciana lat. cl. lat. cl. lat. cl. lat cl. VI, : 25. lat. cl. Paolo
Rossi. Paolo Rossi Monti. Monti. Keywords: Cattaneo, Aconzio, Vico, Galilei, nato
Paolo Rossi, adottato dalla zia materna, Monti, Vico, Vinci, Garin, Banfi, la
storia della nazione italiana, Vico e la storia della nazione italiana, favola
antica, dalla magia alla scienza, bruno. – Refs. Luigi Speranza, “Grice e Rossi:
l’implicatura di Vico” – The Swimming-Pool Library.
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