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Monday, January 27, 2025

LUIGI SPERANZA -- GRICE ITALO A-Z M MI

 

Luigi Speranza -- Grice e Mieli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’uccello del paradiso; ovvero, la lingua perduta del desiderio – la Paradisaeidae di Swinton – la scuola di Milano -- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “Speranza has studied this; he calls it ‘Dorothea Oxoniensis,’ and indeed it is a joint endeavour with C. R. Stevenson – who *knows*!” -- «Spero che la lettura di questo libro favorisca la liberazione del desiderio gay presso coloro che lo reprimono e aiuti quegli omosessuali manifesti, che sono ancora schiavi del sentimento di colpevolezza indotto dalla persecuzione sociale, a liberarsi della falsa colpa»  (Elementi di critica omosessuale. M Attivista e scrittore italiano, teorico degli studi di genere. È considerato uno dei fondatori del movimento omosessuale italiano, nonché uno tra i massimi teorici del pensiero nell'attivismo omosessuale italiano. Legato al marxismo rivoluzionario, è noto soprattutto come eponimo del Circolo di cultura omosessuale M. e per il suo saggio Elementi di critica omosessuale pubblicato nella sua prima edizione da Einaudi nel 1977.  M. penultimo dei sette figli di Walter Mieli e di Liderica Salina. Il padre, ebreo e originario di Alessandria d'Egitto, vive a Milano dalla metà degli anni venti e aveva fondato con successo un'azienda di filati, divenuta in seguito una delle più importanti nella torcitura e nella lavorazione della seta. La madre, milanese, era insegnante di lingue.  Sposati, durante la seconda guerra mondiale i coniugi M. erano sfollati a Lora, frazione di Como. Mario crebbe in questa cittadina, pur mantenendo forti legami con Milano dove il padre continuava a lavorare e a risiedere.  Il giovane Mario si stabilì definitivamente nel capoluogo lombardo quando si iscrisse al liceo classico Giuseppe Parini, raggiunto due anni dopo dalla sorella minore Paola, alla quale fu sempre molto legato. Già in questi anni diede dimostrazione della sua viva intelligenza e dichiarò la propria omosessualità. Secondo quanto testimoniato dal compagno Milo De Angelis, nfondò un circolo di poesia che divenne anche un luogo di incontro per omosessuali. Fu pienamente coinvolto nella contestazione ed evocò questo periodo nel suo romanzo autobiografico Il risveglio dei faraoni.  A causa della sua miopia fu esonerato dal servizio militare alla fine del liceo, si trasferì a Londra per perfezionare l'inglese, come già avevano fatto altri suoi familiari. Qui frequentò il "Gay Liberation Front" venendo a contatto con l'attivismo omosessuale nella sua fase più intensa, subito dopo i moti di Stonewall. Tornato in Italia, fu, insieme ad Angelo Pezzana, tra i soci fondatori del celebre Fuori! a Torino, prima associazione italiana del movimento di liberazione omosessuale italiano.  Convinto assertore di una rivoluzione gay in chiave marxista, si allontanò dal Fuori! insieme a tutta la cellula milanese dell'associazione quando questa si legò al Partito Radicale.  Nello stesso anno fondò a Milano i Collettivi Omosessuali Milanesi e i Collettivi parteciparono al Festival del proletariato giovanile di Parco Lambro, dove Mieli lanciò dal palco lo slogan Lotta dura, Contronatura!. Si laureò in filosofia morale con una tesi, poi pubblicata con modifiche, da Einaudi con il titolo di Elementi di critica omosessuale e che divenne un fondamento delle teorie di genere in Italia e, in misura minore, all'estero, venendo tradotto e pubblicato in inglese nel 1980 con il titolo Homosexuality and liberation: elements of a gay critique ed in spagnolo con il titolo Elementos de crítica homosexual dall'editrice Anagrama. Elementi fu uno dei testi base dei collettivi autonomi gay.  M. fu uno dei primi a contestare apertamente le categorie di genere vestendosi quasi sempre con abiti femminili. Nel frattempo si dedicava al teatro, destando scandalo nella mentalità dell'epoca con opere come lo spettacolo La Traviata Norma. Ovvero: Vaffanculo... ebbene sì! Dava volutamente scandalo anche per il modo in cui si presentava, utilizzò anche immagini e ruoli per portare avanti la propria battaglia dei diritti individuali inalienabili. Nel corso della sua esistenza, cercò di superare i limiti, fece uso di droghe e si dette a pratiche sempre più estreme, inclusa la coprofagia.  Durante un viaggio a Londra, Mieli, vicino già all'antipsichiatria, iniziò a interessarsi di psicoanalisi; fu nuovamente arrestato, quando, semi-nudo e in preda a una crisi psichica, fu fermato nell'aeroporto di Heathrow, in cerca di un poliziotto con cui avere un rapporto sessuale. Prima venne incarcerato, poi messo nella sezione psichiatrica del Marlborough Day hospital, assistito dai familiari venuti dall'Italia in attesa del processo. Venne ricondotto a Milano, dopo la condanna a pagare una multa, e ricoverato in una clinica psichiatrica per un mese. Una volta dimesso, su consiglio del suo psicoanalista Zapparoli, i genitori gli diedero un appartamento autonomo. L'anno seguente viaggiò ad Amsterdam e di nuovo a Londra e si laurea con lode in filosofia. Poco dopo lasciò l'appartamento che gli avevano trovato e interruppe la terapia psichiatrica.  Al V congresso del Fuori!, che sancì la sua rottura col movimento e con Pezzana, M. prese la parola, si dichiarò transessuale e parlò della sua esperienza di malattia mentale («sono stato definito uno schizofrenico paranoide, sono stato in ospedale, in manicomio per questo motivo») e di omosessualità. Dopo questo periodo si dedicò alla stesura degli Elementi di critica omosessuale.  Negli ultimi anni di vita si dedicò all'esoterismo e all'alchimia, abbastanza isolato dal resto del movimento omosessuale, e lavorando al romanzo Il risveglio dei faraoni. Morì suicida infilando la testa nel forno della sua abitazione di Milano dopo un lungo periodo di depressione. Tra i motivi del suo gesto estremo fu l'ostruzionismo che il padre, influente industriale milanese, aveva fatto per impedire la pubblicazione della sua ultima opera, Il risveglio dei faraoni, ritenendolo troppo autobiografico e lesivo dell'onore famigliare. A lui è intitolato il Circolo di cultura omosessuale M. sorto a Roma nello stesso anno della morte.  Il pensiero Il transessualismo universale Il pensiero di M. consiste nel ritenere che ogni persona è potenzialmente transessuale se non fosse condizionata, fin dall'infanzia, da un certo tipo di società che, attraverso quella che Mieli chiamava "educastrazione", costringe a considerare l'eterosessualità come normalità e tutto il resto come perversione. Per transessualità, non intende quello che si intende oggi nella comune accezione del termine, ma l'innata tendenza polimorfa e "perversa" dell'uomo, caratterizzata da una pluralità delle tendenze dell'Eros e da l'ermafroditismo originario e profondo di ogni individuo.  La liberazione omosessuale in chiave marxista fu tra i primi studiosi ed attivisti del Movimento di Liberazione Omosessuale Italiano, accanto a Castellano,Consoli, Modugno e  Pezzana. Tutti partivano dalla certezza che la liberazione dall'ancestrale omofobia dovesse fondarsi sulla consapevolezza della propria identità, censurata fin dalla nascita dalla cultura dominante, da loro ritenuta antropologicamente sessuofoba e pervicacemente omofoba.  Da queste basi partivano per abbattere la discriminazione pluri-secolare nei confronti di chi non si identificava nella sessualità assiomaticamente definita come naturale e normale. Abbracciò immediatamente il marxismo, cercando di rimodularlo sulle istanze della lotta di liberazione ed emancipazione omosessuale e ritenendo la società capitalista intrinsecamente omofoba. Rilettura della psicanalisi Negli Elementi di critica omosessuale, volle rielaborare alcuni degli spunti teorici della teoria della sessualità di Freud, attraverso la lettura che, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, ne aveva fatto  Marcuse. Marcuse, infatti, in opere come “Eros e civiltà e L'uomo a una dimensione aveva voluto fondere marxismo e psicanalisi. Fu proprio Freud, infatti, a sostenere che l'orientamento sessuale poteva prendere qualsiasi "direzione", riconducendo eterosessualità e "omosessualità a semplici varianti della sessualità umana in senso lato. Una non escluderebbe l'altra, e anzi, in potenza, tutti saremmo pluri-sessuali, "polimorfi" o, più semplicemente, bi-sessuali.  In base a questa riflessione, riteneva che si dovesse denunciare come assurda e inconsistente l'opposizione ideologica "eterosessuale" vs "omosessuale", essendo viziato il principio stesso di "mono-sessualità". A questa prospettiva unilaterale, che riteneva incapace di cogliere la natura ambivalente e dinamica della dimensione sessuale, M. ha preferito opporre un principio di eros libero, molteplice e polimorfo. Per Mieli era tragicamente ridicola «la stragrande maggioranza delle persone, nelle loro divise mostruose da maschio o da "donna.” Se il travestito appare ridicolo a chi lo incontra, tristemente ridicolissima è per il travestito la nudità di chi gli rida in faccia». Dean, psicoanalista dell'Buffalo, che redasse l'appendice dell'edizione Feltrinelli di Elementi di critica omosessuale, afferma: «Nel processo politico di ristrutturazione della società, M. non esita a includere nel suo elenco di esperienze redentive la pedofilia, la necrofilia e la coprofagia» e «ridefinisce drasticamente il comunismo descrivendolo come riscoperta dei corpi. In questa comunicazione alla Bataille di forme materiali, la corporeità umana entra liberamente in relazioni egualitarie multiple con tutti gli esseri della terra, inclusi "i bambini e i nuovi arrivati di ogni tipo, corpi defunti, animali, piante, cose" annullando "democraticamente" ogni differenza non solo tra gli esseri umani ma anche tra le specie».  A questa rivoluzione sociale sono di ostacolo determinati elementi, ritenuti da Mieli come «pregiudizi di certa canaglia reazionaria» che, trasmessi con l'educazione, hanno la colpa di «trasformare troppo precocemente il bambino in adulto eterosessuale».  Il tema della pedofilia Da provocatore dei "benpensanti", quale è stato tutta la breve vita, facendo esplicitamente riferimento a Freud, M. affrontò a modo suo anche il tema della sessualità infantile, per questo andando incontro a forti critiche. I bambini, secondo il pensiero di Mieli, potevano "liberarsi" dai pregiudizi sociali e trovare la realizzazione della loro "perversità poliforme" grazie ad adulti consapevoli di quanto sopra asserito: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l'Edipo, o il futuro Edipo, bensì l'essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l'amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata. Essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica. La società repressiva eterosessuale costringe il bambino al periodo di latenza; ma il periodo di latenza non è che l’introduzione mortifera all’ergastolo di una «vita» latente. La pederastia, invece, «è una freccia di libidine scagliata verso il feto» (Francesco Ascoli)»  (Elementi di critica omosessuale). Nella nota 88 si legge:  «Per pederastia intendo il desiderio erotico degli adulti per i bambini (di entrambi i sessi) e i rapporti sessuali tra adulti e bambini. Pederastia (in senso proprio) e pedofilia vengono comunemente usati come sinonimi» (Elementi di critica omosessuale). Il tema dell'alterazione psichica, della follia Mieli faceva uso di sostanze stupefacenti, attraverso le quali mirava a superare lo stato di normalità in cui riteneva le persone intrappolate. Riteneva che nevrosi, follia, paranoia, delirio e, soprattutto, la schizofrenia, al pari dell'omosessualità fossero caratteristiche latenti in tutti gli esseri umani e, con riferimento a Jung, che tali condizioni permettessero «la (ri)scoperta di quella parte di noi che Jung definirebbe “Anima” oppure “Animus”». In riferimento all'omosessualità, considerava che potesse essere una porta verso il lato inesplorato della personalità, in analogia con la follia: “La paura dell’omosessualità che distingue l’homo normalis è anche terrore della “follia” (terrore di se stesso, del proprio profondo). Così, la liberazione omosessuale si pone davvero come ponte verso una dimensione decisamente altra: i francesi, che chiamano folles le checche, non esagerano».  Opere: “Comune futura,” “Elementi di critica omosessuale, Einaudi, Torino, Elementi di critica omosessuale, Barilli e M., Feltrinelli, Milano,  Elementi di critica omosessuale, G. Barilli e Paola Mieli, Feltrinelli, Milano, “Il risveglio dei faraoni,” preservato da Marc de' Pasquali e Umberto Pasti, Cooperativa Colibri, Milano, “Il risveglio dei faraoni,” Alfonso Sarrio Solidago, dR, Milano,  “Oro, eros e armonia,” G. Silvestri e A.Veneziani, Edizioni Croce, Oro, eros e armonia, Gianpaolo Silvestri e Antonio Veneziani, Edizioni Croce,  “E adesso,” S. Laude, Clichy,  Teatro La Traviata Norma. Ovvero: Vaffanculo... ebbene sì!, Film “Gli anni amari, regia di A. Adriatico.. T.  Giartosio, Perché non possiamo non dirci: letteratura, omosessualità, mondo, Feltrinelli,  Barilli, Il movimento gay in Italia, Feltrinelli, L. Schettini, M. in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Ideologia. Progetto omosessuale rivoluzionario, in Elementi di critica omosessuale, Dizionario Biografico degli Italiani, in Treccani, Trascrizione del suo intervento in congresso nazionale del “Fuori!”, in Fuori! rancobuffoni/ files/pdf/gp_leonardi_mieli.pdf  M., artista contro la violenza, in La Stampa,  Elementi di critica omosessuale, Einaudi, M. Elementi di critica omosessuale. Milano, Einaudi, Estremo e dimenticato. Storia di un intellettuale provocatore., in Treccani Il tascabile, M., Mieli, Paola. e Rossi Barilli, Gianni., Elementi di critica omosessuale Il risveglio dei Faraoni, in A. Solidago, PRIDE, Milano, dR Edizioni, Silvestri, L'ultimo M.: Oro Eros Armonia: contributi di Ivan Cattaneo e A. Veneziani, 2 ed. riveduta e corretta, Libreria Croce, De Laude, Silvia,, Mario Mieli: e adesso,  A. Pezzana. La politica del corpo. Roma, Savelli, E. Modugno. La mistificazione eterosessuale. Milano, Kaos. S. Casi. L'omosessualità e il suo doppio: il teatro di M. Rivista di sessuologia (numero speciale L'omosessualità fra identità e desiderio,Francesco Gnerre. L'eroe negato. Milano, Baldini e Castoldi, M. Philopat, Lumi di punk: la scena italiana raccontata dai protagonisti, Milano, Agenzia, Concetta D'Angeli, Teatro Talento Tenacia... Mario Mi"Atti&Sipari" Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli Fuori! Marc de' Pasquali Movimento di liberazione omosessuale Omosessualità Queer Storia dell'omosessualità in Italia Studi di genere Teoria queer Transessualismo. Biografia, in italiano, su culturagay. Chi era M. (articolo sul  gay.tv), su gay.tv Circolo di cultura omosessuale "Mario Mieli", su mariomieli.org. Mario Mieli. Mieli. Keywords: l’uccello del paradiso; overo, la lingua perduta del desiderio. Refs. Luigi Speranza, “Grice e Mieli” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Miglio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- implicatura ligure – la LIGVRIA e la PADANIA – la scuola di Como – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Como). Filosofo Lombardo. Filosofo italiano. Como, Lombardia. Grice: “Berlin, who thought was a philosopher, ended up lecturing on the history of ideas, i..e. ideology – M. defines ideology so simply that would put Berlin to shame: an ideology is what politicians propagate to reach or buy consensus!” --  essential Italian philosopher. Sostenitore della trasformazione dello Stato italiano in senso federale o, addirittura, confederale, fra gli anni ottanta e i novanta è considerato l'ideologo della Lega Lombarda, in rappresentanza della quale fu anche senatore, prima di "rompere" con Umberto Bossi dando vita alla breve stagione del Partito Federalista.   Polo scolastico "M." ad Adro. Costituzionalista e scienziato della politica, fu senatore della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.  Ha insegnato presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ove fu preside della Facoltà di Scienze politiche. È stato allievo d’Entrèves e Pallieri, sotto la cui docenza si è formato sui classici del pensiero giuridico e politologico.  Colpito da ictusnon si riprese e morì ottantatreenne nella sua stessa città natale, Como, circa un anno dopo. Il funerale si tenne a Domaso, sul Lago di Como, comune d'origine del padre e sede di una villa nella quale il professore si rifugiava spesso; in seguito M. è stato tumulato nel locale cimitero, a fianco dei membri della sua famiglia. Laureatosi in Giurisprudenza all'Università Cattolica con la tesi, “Origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche internazionali pubbliche nell'età moderna”, evitò l'arruolamento per la Seconda guerra mondiale a causa di un difetto uditivo congenito, e poté divenire assistente volontario alla cattedra di Storia delle dottrine politiche, che d'Entreves tenne sino alla fine degli anni quaranta nella medesima università.  Libero docente, si dedicò negli anni cinquanta allo studio delle opere di storici e giuristi, soprattutto tedeschi: dai quattro volumi del Deutsche Genossenschaftsrecht di Gierke, ai saggi di storia amministrativa di Otto Hintze, alcuni dei quali, negli anni seguenti, vennero tradotti in italiano dal suo allievo e ferrato germanista  Schiera (O. Hintze, Stato e società, Zanichelli).  Fu di quegli anni l'incontro di M. con l'immensa produzione scientifica di Weber: il professore comasco fu uno dei primi ad aver studiato a fondo “Economia e Società”, l'opera più importante del sociologo tedesco che era stata completamente trascurata in Italia.  Sviluppo del lavoro scientifico Miglio storico dell'amministrazione Alla fine degli anni cinquanta, M. fonda con il giurista Benvenuti l'ISAP Milano (Istituto per la Scienza dell'Amministrazione Pubblica), ente pubblico partecipato da Comune e Provincia di Milano, di cui ricopri per alcuni anni la carica di vicedirettore. In un saggio memorabile intitolato Le origini della scienza dell'amministrazione, il professore comasco descriveva con elegante chiarezza le radici storiche della disciplina. L'interesse per il campo dell'amministrazione era dovuto in quegli anni alle politiche pianificatrici che gli stati andavano conducendo per l'incremento della crescita economica.  La Fondazione italiana per la storia amministrativa Ben presto M. sente tuttavia l'esigenza di studiare in modo più sistematico la storia dei poteri pubblici europei e, negli anni sessanta, costituì la Fondazione italiana per la storia amministrativa: un istituto le cui ricerche vennero condotte con rigoroso metodo scientifico. A tal proposito, il professore aveva appositamente preparato per i collaboratori della fondazione uno schema di istruzioni divenuto famoso per chiarezza e organicità. In realtà, fondando la F.I.S.A. M. si era posto l'ambizioso obiettivo di scrivere una storia costituzionale che prendesse in esame le amministrazioni pubbliche esistite in luoghi e tempi diversi: in tal modo egli sarebbe riuscito a tracciare una vera e propria tipologia delle istituzioni dal medioevo all'età contemporanea, al cui interno sarebbero stati indicati i tratti distintivi o, viceversa, gli elementi comuni di ogni potere pubblico. Ma v'era un'altra ragione che aveva indotto M. a studiare i poteri pubblici in un'ottica, come scriveva lui stesso, analogico-comparativa. Servendosi di un metodo scientifico che Hintze aveva parzialmente seguito nella prima metà del Novecento, il professore comasco intendeva definire l'evoluzione storica dello stato moderno, storicizzando in tal modo le stesse istituzioni contemporanee.  La fondazione pubblica tre collezioni: gli Acta italica, l'Archivio (diviso in due collane: la prima riguardante ricerche e opere strumentali, la seconda dedicata alle opere dei maggiori storici dell'amministrazione) e gli Annali. Tra i più autorevoli lavori storici pubblicati nell'Archivio, si ricordano il volume sui comuni italiani di Goetz e il famoso saggio di Vaccari sulla territorialità del contado medievale. Nella prima serie alcuni giovani studiosi poterono invece pubblicare le loro ricerche di storia delle istituzioni: Rossetti, allieva dello storico Violante, vi diede alle stampe un approfondito studio sulla società e sulle istituzioni nella Cologno Monzese dell'Alto Medioevo; Petracchi pubblicò la prima parte di un'interessante ricerca sullo sviluppo storico dell'istituto dell'intendente nella Francia dell'ancien régime; occorre inoltre ricordare il poderoso volume di Pierangelo Schiera sul cameralismo tedesco e sull'assolutismo nei maggiori stati germanici. Su tutt'altro piano si poneva invece la collezione della F.I.S.A. denominata Acta italica: al suo interno dovevano essere pubblicati i documenti relativi all'amministrazione pubblica degli stati italiani preunitari: è probabile che l'ispirazione per quest'ultima serie fosse venuta a M. dallo studio delle opere di Hintze: lo storico tedesco aveva infatti scritto alcuni saggi sull'amministrazione prussiana pubblicandoli negli Acta borussica, un'autorevole collana che raccoglieva le fonti storiche dello stato degli Hohenzollern.  L'edizione dei lavori della commissione Giulini Tra i volumi degli Acta italica, occorre ricordare l'edizione dei lavori della Commissione Giulini curata da Raponi uno studio cui M. tenne molto e di cui si servì, molti anni dopo, per la stesura del celebre saggio su “Vocazione e destino dei lombardi” (in  La Lombardia moderna, Electa, ripubblicato in Miglio, Io, Bossi e la Lega, Mondadori). La commissionei cui lavori avevano avuto luogo a Torino sotto la presidenza del nobile milanese Cesare Giulini della Portaaveva il compito di elaborare progetti di legge che sarebbero entrati in vigore in Lombardia nel periodo immediatamente successivo alla guerra. Cavour, che in quegli anni ricopriva la carica di primo ministro, voleva che il governo, nel sancire l'annessione dei nuovi territori al Piemonte di Vittorio Emanuele, mantenesse separati gli ordinamenti amministrativi delle due regioni, lasciando che in Lombardia continuassero a sussistere una parte delle istituzioni austriache esistenti.  Il saggio Le contraddizioni dello stato unitario Nel saggio magistrale Le contraddizioni dello stato unitario scritto in occasione del convegno per il centenario delle leggi di unificazione, M. prese in esame gli effetti devastanti che l'accentramento amministrativo aveva provocato nel sistema politico italiano. La classe politica italiana non fu capace di elaborare un ordinamento amministrativo che consentisse allo stato di governare adeguatamente un territorio esteso dalle Alpi alla Sicilia. Ricorrendo a una felice similitudine, il professore scrisse che la scelta di estendere le norme piemontesi a tutta Italia fu come "far indossare a un gigante il vestito di un nano". Secondo M., i nostri "padri della patria", spaventati dalle annessioni a cascata e dalle circostanze fortunose in cui era avvenuta l'unificazione, preferirono conservare ottusamente gli istituti piemontesi, costringendo la stragrande maggioranza degli italiani ad essere governati da istituzioni che, oltre ad essere percepite come "straniere", si rivelarono palesemente inefficienti.  Nel saggio, M. ha però messo in luce un altro dato fondamentale; il professore scrisse che il paese, quantunque fosse stato formalmente unito dalle norme piemontesi, continuò nei fatti a restare diviso ancora per molti anni: le leggi, che il Parlamento emanava dalle Alpi alla Sicilia, venivano infatti interpretate in cento modi diversi nelle regioni storiche in cui il Paese continuava, nonostante tutto, ad essere naturalmente articolato. Era il federalismo che, negato alla radice dalla classe politica liberal-nazionale in nome dell'unità, si prendeva ora la rivincita traducendosi in forme evidenti di "criptofederalismo".[senza fonte]  Sono inoltre fondamentali, nella sua formazione i saggi di Brunner. Di Brunner fa tradurre svariati saggi, Per una nuova storia costituzionale e sociale (Vita e Pensiero), ma promosse anche la pubblicazione dell'opera monumentale Land und Herrschaft: in questo lavorouscito per la prima volta Brunner aveva preso in esame la costituzione materiale degli ordinamenti medievali, ponendo in evidenza i numerosi elementi di diversità tra la civiltà dell'età di mezzo e quella moderna, soprattutto nel modo di concepire il diritto.  La traduzione di Land und Herrschaft, affidata inizialmente alle cure di Emilio Bussi, sarebbe dovuta comparire nell'elegante collana della F.I.S.A. già negli anni sessanta. Interrotto negli anni seguenti, il lavoro venne invece portato a compimento solo nei primi anni ottanta dagli allievi Schiera e Nobili. Pubblicato da Giuffré con il titolo di "Terra e potere", il capolavoro di Brunner apparve negli Arcana imperii, la collana di scienza della politica di cui M. era divenuto direttore. Il professore comasco si occupò inoltre dei contributi recati alla scienza dell'amministrazione da parte di altri due storici e giuristi tedeschi: Stein e Gneist.  La chiusura della FISA Negli anni Settanta la F.I.S.A. dovette chiudere i battenti per mancanza di fondi. Il professor M., ricordando a distanza di tempo la fine di quell'autorevole collana di storia delle istituzioni, ne espose le ragioni con un breve commento: "Malgrado la sua efficienza, la F.I.S.A. ebbe vita breve: gli enti che provvedevano al suo finanziamento, non scorgendo l'utilità politica immediata della sua attività, strinsero i cordoni della borsa.  M. scienziato della politica e costituzionalista Negli anni ottanta, il degenerarsi del clima politico in Italia indusse il professor M. ad occuparsi di riforme istituzionali; egli intendeva contribuire in tal modo alla modernizzazione del paese. Fu così che, raggruppando un gruppo di esperti di diritto costituzionale e amministrativo stese un organico progetto di riforma limitato alla seconda parte della costituzione. Ne uscirono due volumi che, pubblicati nella collana Arcana imperii, vennero completamente trascurati dalla classe politica democristiana e socialista. Tra le proposte più interessanti avanzate dal "Gruppo di Milano"così venne definito il pool di professori coordinati da M. v'era il rafforzamento del governo guidato da un primo ministro dotato di maggiori poteri, la fine del bicameralismo perfetto con l'istituzione di un senato delle regioni sul modello del Bundesrat tedesco, ed infine l'elezione diretta del primo ministro da tenersi contemporaneamente a quella per la camera dei deputati.  Secondo il gruppo di Milano, queste e numerose altre riforme avrebbero garantito all'Italia una maggiore stabilità politica, cancellando lo strapotere dei partiti e salvaguardando la separazione dei poteri propria di uno stato di diritto. Diversamente dalla F.I.S.A., la collana Arcana imperii era incentrata esclusivamente sullo studio scientifico dei comportamenti politici. Il citato volume di Brunner costituì pertanto un'eccezione perché, come si è avuto modo di accennare, esso doveva essere pubblicato negli eleganti volumi della F.I.S.A. All'interno della collana Arcana imperii vennero invece inseriti saggi e contributi di psicologia politica, di etologia, di teoria politica, di economia, di sociologia e di storia. Intende costituire un vero e proprio laboratorio dove lo scienziato della politica, servendosi dei risultati portati alla disciplina dalle diverse scienze sperimentali, e in grado di conseguire una formazione che si ponesse all'avanguardia. Vi vennero pubblicati più di trenta saggi. Si ricordano, tra gli altri: il saggio di Ornaghi sulla dottrina della corporazione nel ventennio fascista, l'edizione degli scritti schmittiani su Hobbes, la pubblicazione interrotta di alcune opere di Stein, il trattato di diritto costituzionale di Smend. Degni di nota anche i saggi di Mises e Hayek. I saggi di squisita fattura, non poterono tuttavia eguagliare l'elegante veste tipografica di quelli pubblicati dalla F.I.S.A., ed un identico destino parve accomunare le due collane: anche in questo caso, e infatti costretto a sospendere le pubblicazioni.  Alla sua formazione contribuirono i saggi di Stein e Schmitt sulle categorie del politico. In ogni comunità sono presenti due realtà irriducibili: lo “stato” e la “società”. La società è il terreno della libera iniziativa, ove gli uomini forti vincono sui deboli e tentano di stabilizzare le loro posizioni attraverso l'ordinamento giuridico. Lo stato è invece il luogo ove regna il principio di uguaglianza. Lo stato italiano o non può che identificarsi con la monarchia. Il re d’Italia è infatti l'unica autorità in grado di intervenire a sostegno dei più deboli. Un monarca, attraverso il potere di ordinanza, e in grado di modificare la costituzioni giuridiche cetuali all'interno del suo territorio, una politica che il re d’Italia puo condurre in porto non senza grosse difficoltà, a vantaggio del BENE COMUNE. Questo e accaduto nel granducato di Toscana e in Lombardia. Quando si sostene che il ruolo dello stato italiano dove contro-bilanciare quello della società, si ha in mente il riformismo illuminato. Ma la sua filosofia si pone all'interno di uno “stato liberale” e parte dal presupposto che la monarchia, lungi dall'essere un potere assoluto, dove comunque fare i conti con il potere della “società” attestato nel parlamento. La omunità prospera solo quando stato e società sono in equilibrio, ugualmente vitali ed operanti. Una comunità e dominata da due realtà irriducibili. Lo stato italiano è una realtà storica inserita nel tempo e, come tutte le creature e specie viventi, destinata a decadere, a scomparire ed essere sostituita da altre forme di aggregazione politica. La società non e solo economico-giuridica. E senza dubbio decisivo l'incontro con Schmitt, i cui saggi sono trascurate dagli intellettuali italiani. L'aiuto che Schmitt presta al regime hitleriano, in particolare nel sostenere la legalità delle leggi razziali in un sistema di diritto internazionale, sono più che sufficienti per oscurare in Italia la sua imponente produzione. I rapporti di Schmitt con il nazismo sono di breve durata. Prende definitivamente le distanze da Hitler. Di Schmitt apprezza i saggi di scienza politica e di diritto internazionale. Cura assieme a Schiera l'edizione italiana di alcuni saggi pubblicati dal Mulino con il titolo Le categorie del politico. Nella prefazione, si sofferma sui decisivi contributi portati da Schmitt alla scienza politologica. L'antologia desta scalpore nel mondo accademico. Bobbio sostenne che destabilizza la sinistra italiana. È dall'incontro con la produzione di Schmitt che riusce quindi a fabbricarsi gli strumenti per costruire una parte importante del suo modello sociologico. L’essenza del politico è fondata sul conflitto tra amico e nemico. E uno scontro all'ultimo sangue perché la guerra politica porta normalmente all'eliminazione fisica dell'avversario. L’esempio più emblematico di scontro politico fosse la guerra civile nella storia dell aroma antica -- tra fazioni partigiane. Qui il tasso di conflittualità tra amico (Catone) e nemico (Giulio Cesare) è sempre stato altissimo. Chi ha lo stesso amico non può che avere lo stessi nemico del proprio compagno di lotta. Si crea la solidarietà tra due membri (un gruppo) che è decisivo nella guerra contro l’altro gruppo di nemici. Il rapporto politico è sempre esclusivo. Marca l'identità del gruppo in opposizione a quella degli altri. L’avvento dello stato italiano portato a due risultati di eccezionale portata storica. Primo: la fine della guerre civile all'interno del territorio (le faide e le guerre confessionali) con l'annientamento del ruolo politico detenuto sino a quel momento dalle fazioni in lotta (dai partiti confessionali ai ceti). Da quel momento il sovrano e il supremo garante dell'ordine all'interno dello stato, territorio sempre più esteso ch'esso governa servendosi di un apparato amministrativo regolato dal diritto. Il secondo grande risultato e per certi versi una conseguenza del primo: l'avvento dello stato porta all'erezione di un sistema di diritto pubblico europeo (ius publicum europeum) assolutamente vincolante per i paesi che vi aderirono. Anche in questo caso, il tasso di politicità (cioè l'aggressività delle parti in lotta, gli stati) venne fortemente limitato. La guerra legittima, intraprese solo dagli stati, vennero condotte da quel momento in base alle regole dello ius publicum europaeum. Si tratta quindi di un conflitto a basso tasso di politicità, non foss'altro perché la vittoria di una delle parti in lotta non puo portare in alcun modo all'annientamento dell'avversario, il cui diritto di esistenza era tutelato dal diritto e accettato da tutti gli stati.  La crisi dello ius publicum europaeum, divenuta palese alla fine della Grande Guerrae acuitasi ulteriormente con lo scoppio delle guerre partigiane nei decenni successivi, resero palese a lui la fine della regle de droit su cui si e fondato l'universo giuridico occidentale nei rapporti internazionali tra stati sovrani. La guerra civile e, in modo particolare, l'estrema politicizzazione avvenuta durante le guerre mondiali con la criminalizzazione degli avversari lo persuasero che la fine dello ius publicum europaeum era ormai compiuta. In questo, vide soprattutto il fallimento della civiltà giuridica occidentale nel suo supremo tentativo di fondare i rapporti umani unicamente sulle basi del diritto.  Prende atto della fine dello ius publicum europaeum ma non crede che tale processo segna la fine del diritto e la vittoria definitiva delle leggi aggressive della politica. Fondando il suo originale modello sociologico, sostenne che la comunità e sempre rette su due tipi di rapporti: l'obbligazione politica e il contratto-scambio. Lo stato e un autentico capolavoro perché, apportando un contributo decisivo alla sua costituzione, il giurista e riuscioi a regolare la politica inserendola in una norma fondata sulla RAZIONALITA del diritto, sull'IM-PERSONALINTA del comando e sui concetti di CON-TRATTO e rappresentanza -- elementi appartenenti alla sfera del contratto/scambio. Il crollo dello ius publicum europeum ha però messo in crisi la stessa impalcatura su cui si regge lo stato, che ora dimostra tutta la sua storicità. Non rimane legato all'idea dell'organizzazione statale. La civiltà occidentale, stesse attraversando una fase di transizione al termine della quale lo stato e probabilmente sostituito da altre forme di comunità ove obbligazione politica e contratto/scambio si reggeranno in un nuovo equilibrio. Lo stato e e giunto al capolinea. Il progresso tecnologico e, in modo particolare, il più alto livello di ricchezza cui erano giunti i paesi occidentali lo convinsero che negli anni successivi sono avvenuti cambiamenti di portata radicale, tali da coinvolgere anche la costituzione degli ordinamenti politici. Lo stato ha difficoltà nel garantire servizi efficienti alla popolazione. Ciascun cittadino, vedendo accresciuto il proprio tenore di vita in forza dell'economia di mercato, sarà infatti portato ad avere sempre meno fiducia nei lenti meccanismi della burocrazia pubblica, ch'egli riterrà inadeguata a soddisfare i suoi standard di vita.  L'elevata produttività dei paesi avanzati e la vittoria definitiva dell'economia di mercato su quella pubblica porterà in altri termini a nuove forme di aggregazione politica al cui interno i cittadini saranno desti contare in misura molto maggiore rispetto a quanto non lo siano oggi nei vasti stati in cui si trovano inseriti. Secondo il professore gli stati democratici, ancora fondati su istituti rappresentativi risalenti all'Ottocento, non riusciranno più a provvedere agli interessi della civiltà tecnologica. Con il crollo del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, si creano in altri termini le premesse perché la politica cessi di ricoprire un ruolo primario nelle comunità umane e venga invece subordinata agli interessi concreti dei cittadini, legati alla logica di mercato.  La fine degli stati moderni porterà secondo Miglio alla costituzione di comunità neofederali dominate non più dal rapporto politico di comando-obbedienza, bensì da quello mercantile del contratto e della mediazione continua tra centri di potere diversi: sono i nuovi gruppi in cui sarà articolato il mondo di domani, corporazioni dotate di potere politico ed economico al cui interno saranno inseriti gruppi di cittadini accomunati dagli stessi interessi. Secondo il professore, il mondo sarà costituito da una società pluricentrica, ove le associazioni territoriali e categoriali vedranno riconosciuto giuridicamente il loro peso politico non diversamente da quanto avveniva nel medioevo. Di qui l'appello a riscoprire i sistemi politici anteriori allo stato, a riscoprire quel variegato mosaico medievale costituito dai diritti dei ceti, delle corporazioni e, in particolar modo, delle libere città germaniche.  Il professore studiò a fondo gli antichi sistemi federali esistiti tra il medioevo e l'età moderna: le repubbliche urbane dell'Europa germanica, gli ordinamenti elvetici d'antico regime, la Repubblica delle Province Unite e, da ultimo, gli Stati Uniti. Ai suoi occhi, il punto di forza risiedeva precisamente nel ruolo che quei poteri pubblici avevano saputo riconoscere alla società nelle sue articolazioni corporative e territoriali. M. si dedica allo studio approfondito di questi temi, progettando di scrivere un volume intitolato l'Europa degli Stati contro l'Europa delle città. Il libro è rimasto incompiuto per la morte del professore.  L'impegno politico diretto e il federalism. S iscrisse alla neonata Democrazia Cristiana, che lascia quando divenne preside della Facoltà di Scienze politiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. M.  rimase comunque legato culturalmente alla DC fnell'immediato domani della Liberazione, fu tra i fondatori, a Como, del movimento federalista Il Cisalpino, con altri docenti dell'Università Cattolica di Milano. Ispirato alle idee di Cattaneo, il programma del “Cisalpino” prevedeva la suddivisione del territorio italiano su base cantonale, secondo il modello svizzero, con la costituzione di tre grandi macro-regioni (“nord”, “sud” e “centro”).  Il suo nome e proposto per il conferimento del titolo di Commendatore dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana, ma una volta informato del fatto rifiuta di accettare l'onorificenza, che venne annullata con un successivo decreto presidenziale. Si avvicina alla Lega Nord. Eletto al Senato della Repubblica come indipendente nelle liste della “lega nord” “lega lombarda” (da allora a lui fu attribuito l'appellativo lombardo di Profesùr) lavora per il partito con l'intento di farne un'autentica forza di cambiamento. Elabora un progetto di riforma federale fondato sul ruolo costituzionale assegnato all'autorità federale e a quella delle tre macro-regioni o cantoni (del Nord o, “Padania”, del Centro o Etruria, del Sud o Mediterranea, oltre alle cinque regioni a statuto speciale). Questa architettura costituzionale prevedeva l'elezione di un governo direttoriale composto dai governatori delle tre macroregioni, da un rappresentante delle cinque regioni a statuto speciale e dal presidente federale. Quest'ultimo, eletto da tutti i cittadini in due tornate elettorali, avrebbe rappresentato l'unità del paese.  I puntisalienti del progetto, esposti nel decalogo di Assago vennero fatti propri dalla Lega Nord solo marginalmente: il segretario federale, Bossi, preferì infatti seguire una politica di contrattazione con lo stato centrale che mirasse al rafforzamento delle autonomie regionali. Il dissenso di Miglio, iniziato al congresso leghista di Assago, si acuì dopo le elezioni politiche, dove fu rieletto al Senato, quando il professore si disse non d'accordo sia ad allearsi con Forza Italia, sia a entrare nel primo governo Berlusconi. Soprattutto M. non gradì che per il ruolo di ministro delle Riforme istituzionali fosse stato scelto Francesco Speroni al suo posto.  Bossi reagì spiegando: «Capisco che Miglio sia rimasto un po' irritato perché non è diventato ministro, ma non si può dire che non abbiamo difeso la sua candidatura. Il punto è che era molto difficile sostenerla, perché c'era la pregiudiziale di Berlusconi e di Fini contro di lui. Di fatto, il ministero per le Riforme istituzionali a lui non lo davano. (Se M. vorrà lasciare la strada della Lega, libero di farlo. Ma vorrei ricordargli che è arrivato alla Lega e che, a quell'epoca, il movimento aveva già raggranellato un sacco di consiglieri regionali». In conclusione per Bossi, M. «pare che ponga solo un problema di poltrone e la difesa del federalismo non è questione di poltrone. In aperto dissidio con Bossi, lascia la Lega Nord dicendo di Bossi. Spero proprio di non rivederlo più. Per Bossi il federalismo è stato strumentale alla conquista e al mantenimento del potere. L'ultimo suo exploit è stato di essere riuscito a strappare a Berlusconi cinque ministri. Tornerò solo nel giorno in cui Bossi non sarà più segretario.  Nonostante ciò, moltissimi militanti e sostenitori leghisti continuarono a provare grande simpatia e ammirazione per il professore e per le sue teorie. Alcuni dirigenti della Lega tennero comunque vivo il dialogo con Miglio, in particolar modo Pagliarini, Francesco Speroni e il presidente della Libera compagnia padana Oneto, al quale il professore era particolarmente legato. In particolare M. fu in stretti rapporti con l'ex deputato leghista Negri, col quale fonda il Partito Federalista. Eletto ancora una volta al Senato, nel collegio di Como per il Polo per le Libertà, iscrivendosi al gruppo misto.  Negli anni in cui la Lega si spostò su posizioni indipendentiste, il professore si riavvicinò alla linea del partito, sostenendo a più riprese la piena legittimità del diritto di secessione della Padania dall'Italia come sottospecie del più antico diritto di resistenza medievale. Nella sua originale riflessione sul contrasto tra i regimi giuridici freddi e caldi M. sostenne la necessità di sviluppare, all'interno delle diverse società e culture, ordini giuridici in grado di rispondere alle specifiche esigenze. In maniera provocatoria, egli giunse a dichiararsi favorevole al «mantenimento anche della mafia e della 'ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos'è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un'assurdità. C'è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate». La sua riflessione puntava a cogliere quali fossero le ragioni profonde alla base di mafia, camorra e 'ndrangheta (insieme a ciò che genera il consenso attorno a queste organizzazioni criminali), perché solo istituzioni che sono in sintonia con la comunitànel caso specifico, che non dimentichino la centralità del rapporto personale piuttosto che impersonale nella società meridionalepossono creare una vera alternativa al presente. Altre saggi: “La controversia sui limiti del commercio neutrale: ricerche sulla genesi dell'indirizzo positivo nella scienza del diritto delle genti,” Milano, Ispi, La crisi dell'universalismo politico medioevale e la formazione ideologica del particolarismo statuale moderno, Pubbl. Fac. giurispr. Univ. Padova, La struttura ideologica della monarchia greca arcaica ed il concetto patrimoniale dello stato nell'eta antica, Jus. Rivista di scienze giuridiche, Le origini della scienza dell'amministrazione, Milano, Giuffrè,  L'unità fondamentale di svolgimento dell'esperienza politica occidentale, in: "Rivista internazionale di scienze sociali", “I cattolici di fronte all'unità d'Italia, Vita e pensiero, “L'amministrazione nella dinamica storica, in: Istituto per la Scienza dell'Amministrazione Pubblica, Storia Amministrazione Costituzione, Bologna, Mulino, Le trasformazioni dell'attuale regime politico, in: "Jus. Rivista di scienze giuridiche", “ Il ruolo del partito nella trasformazione del tipo di ordinamento politico vigente. Il punto di vista della scienza della politica, Milano, La nuova Europa editrice, L'unificazione amministrativa e i suoi protagonisti, Vicenza, Neri Pozza, La trasformazione delle università e l'iniziativa privata, in: Atti del I Convegno su: Università: problemi e proposte, promosso dal Rotary Club di Milano, Centro Una Costituzione in corto circuito, Prospettive nel mondo", Ricominciare dalla montagna. Tre rapporti sul governo dell'area alpina nell'avanzata eta industriale, Milano, Giuffrè,  La Valtellina. Un modello possibile di integrazione economica e sociale, Sondrio, Banca Piccolo Credito Valtellinese, Utopia e realtà della Costituzione, in "Prospettive del mondo", Posizione del problema. Ciclo storico e innovazione scientifico-tecnologica. Il caso della tarda antichità, in Tecnologia, economia e società nel mondo romano. Atti del Convegno di Como, Como, Genesi e trasformazioni del termine-concetto Stato, in Stato e senso dello Stato oggi in Italia. Atti del Corso di aggiornamento culturale dell'Università cattolica, Pescara, Milano, Vita e pensiero, Guerra, pace, diritto. Una ipotesi generale sulle regolarità del ciclo politico, in Curi, Della guerra, Venezia, Arsenale, Una repubblica migliore per gli italiani. Verso una nuova costituzione, Milano, Giuffrè, Le contraddizioni interne del sistema parlamentare integrale, Rivista italiana di Scienza Politica, Considerazioni sulle responsabilità, Synesis, periodico dell'Associazione italiana centri culturali", Le regolarità della politica. Scritti scelti raccolti e pubblicati dagli allievi, Milano, Giuffrè,  Il nerbo e le briglie del potere. Scritti brevi di critica politica, Milano, Edizioni del Sole 24 ore, Una Costituzione per i prossimi trent'anni. Intervista sulla terza Repubblica, Roma-Bari, Laterza, Per un'Italia federale, Milano, Il Sole 24 ore, Come cambiare. Le mie riforme, Milano, Mondadori, Italia. Così è andata a finire, con "Il Gruppo del lunedì", Collezione Frecce, Milano, Mondadori, ed. Oscar Saggi, Disobbedienza civile,  Milano, Mondadori, Io, Bossi e la Lega. Diario segreto dei miei IV anni sul Carroccio, Milano, Mondadori, Come cambiare. Le mie riforme per la nuova Italia, Milano, Mondadori, Modello di Costituzione Federale per gli italiani, Milano, Fondazione per un'Italia Federale, Federalismi falsi e degenerati, Milano, Sperling e Kupfer, Federalismo e secessione. Un dialogo, con Barbera, Milano, Mondadori, Padania, Italia. Lo stato nazionale è soltanto in crisi o non è mai esistito?, con M. Veneziani, Firenze, Le Lettere, Le barche a remi del Lario. Da trasporto, da guerra, da pesca, e da diporto, con Gozzi e Zanoletti, Milano, Leonardo arte,  L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino, Vicenza, Pozza, L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino. Nuova edizione, pref. Di Formigoni, postf. di Romano, Varese, Lativa, M.: un uomo libero, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, Un M. alla libertà, audiolibro, coll. Laissez Parler, Treviglio, La Libera Compagnia Padana Facco Editore); li articoli, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, Gianfranco le interviste, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara,  L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino, pref. di Formigoni, coll. I libri di Libero M., Firenze, Libero); “Padania, Italia. Lo stato nazionale è soltanto in crisi o non è mai esistito? Firenze, Libero; Federalismo e secessione. Un dialogo, con Barbera, coll. I libri di Libero M. Firenze, Editoriale Libero, Disobbedienza civile, coll. I libri di Libero; Firenze, Libero, La controversia sui limiti del commercio neutrale fra Lampredi e Ferdinando Galiani, pref. di Ornaghi, Torino, Aragno, M.: scritti brevi, interviste, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, Lezioni di politica. Storia delle dottrine politiche. Scienza della politica Bologna, Il Mulino; Bianchi e Vitale, Bologna, Mulino,Discorsi parlamentari, con un saggio di Bonvecchio, Senato della Repubblica, Archivio storico, Bologna, Mulino,  L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino -- Opere scelte” (Milano, Guerini); Considerazioni retrospettive e altri scritti, coll. Opere scelte, Milano, Guerini e Associati,  Lo scienziato della politica, coll. Opere scelte di M., a cura di Galli, Milano, Guerini, Guerra, pace, diritto, La Nuova Guerra, S.l. Milano, La Scuola, 1 Scritti politici, Bassani, coll. I libri del Federalismo, Roma, Pagine, Modello di Costituzione Federale per gli italiani Torino, Giappichelli; “La Padania e le grandi regioni, L'unità economico-sociale della Padania Fano, Associazione Oneto); “Il Cerchio, Schmitt. Saggi, Palano, Brescia, Scholé  Morcelliana); “Le origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche internazionali pubbliche Torino, Aragno; “Vocazione e destino dei Lombardi” (S.l.Milano); “Regione Lombardia, Prefazioni Oneto, Bandiere di libertà: Simboli e vessilli dei Popoli dell'Italia settentrionale. In appendice le bandiere dei popoli europei in lotta per l'autonomia, Effedieffe, Milano, Morra, Breve storia del pensiero federalista Milano, Mondadori; Governo della Padania, Manuale di resistenza fiscale” (Gallarate, Oneto, “Croci draghi aquile e leoni. Simboli e bandiere dei popoli padano-alpini; Roberto Chiaramonte EditoreLa Libera Compagnia Padana, Collegno; Sensini, Prima o seconda Repubblica? A colloquio con Bozzi e M., Napoli, Edizioni scientifiche italiane, Ornaghi e Vitale, Multiformità e unità della politica. Atti del Convegno tenuto in occasione del compleanno, Milano, Giuffrè, Ferrari, “Storia di un giacobino nordista Milano, Liber internazionale); Bevilacqua, Insidia mito e follia nel razzismo; Il rinnovamento, Campi, “Figure e temi del realismo politico europeo, Firenze, Akropolis La Roccia di Erec, Capua, Scienziato impolitico Soveria Mannelli Catanzaro Rubbettino, Vitale, La costituzione e il cambiamento internazionale. Il mito della costituente, l'obsolescenza della costituzione e la lezione dimenticata, Torino, CIDAS, Luca Romano, Il pensiero federalista una lezione da ricordare. Atti del Convegno di studi, Venezia, Sala del Piovego di Palazzo Ducale, Venezia, Consiglio regionale del Veneto-Caselle di Sommacampagna, Cierre, Lanchester, M. costituzionalista, Rivista di politica: trimestrale di studi, analisi e commenti,  Soveria Mannelli Catanzaro, Rubbettino. Damiano Palano, Il cristallo dell'obbligazione politica in ID., Geometrie del potere. Materiali per la storia della scienza politica italiana, Milano, Vita e Pensiero. Maroni: voglio riprendere l'eredità di M. M. Verde, su miglio verde. eu. Bossi a sorpresa al convegno su M. a Domaso:"Un grande"Ciao Como, su Ciao Como, la Repubblica/politica: È morto su repubblica. Ticino COMO: Lunedì a Domaso i funerali. Riletture. Arianna. il ricordo. Terre di Lombardia, su terredilombardia. Alessandro, Cristianesimo e cultura politica: l'eredità di otto illustri testimoni, Paoline, Morra, La vita e le opere, La Voce di Romagna Il silenzio di M. fa paura alla Lega  Bossi: Pensa solo alla poltrona. "Con Bossi è un amore finito"  Miglio torna nell'arena: è l'occasione buona  M., Una repubblica mediterranea?, in  Un'altra Repubblica? Perché, come, quando, Laterza, Roma-Bari, U. Rosso, M. l'antropologo. 'Diverso l'uomo del Sud', in la Repubblica, Non mi fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica Treccani Istituto dell'Enciclopedia. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. su senato, Senato della Repubblica. Associazione Openpolis.  Istituto per la scienza dell'amministrazione pubblica, su isapistituto. Interviste Intervista sulla Secessione della Padania, su prov-varese. Lega nord. Commemorazione di M. nell’anniversario della scomparsa di Campi, su giovani padani. lega nord. Non mi fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica, Il Giornale, su new rassegna.camera. Interviste a M. sui "Quaderni della Libera Compagnia Padana" su la libera compagnia. Documenti politici Sezione di approfondimento sul pensiero di M., dal sito ufficiale della Lega Nord. Gianfranco Miglio. Miglio. Keywords: implicatura ligure. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Miglio,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Speranza “Saturdays and Mondays” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Millia: la ragione conversazionale della setta dell’ottimati a Crotone -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Pythagorean according to Giamblico. He is said to have been one of a group of Pythagoreans who were ambushed but found their escape route blocked by a field of beans. Being prohibited by Pythagoreans precepts from even touching beans, he preferred death to betraying his principles. Millia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Milone: la ragione conversazionale e la setta d’ottimati di Crotone – Roma –  filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean. He studied with Pythagoras himself. He died when an anti-Pythagorean mob burnt his house down when he was inside it.

 

Luigi Speranza -- Grice e Minicio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale d’Adriano nel diritto romano e Plinio minore-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Rescritto di Adriano a Gaio M. Fundano. L'imperatore Adriano, autore del rescritto a Gaio M. Fundano. Il rescritto di Adriano a Gaio Minucio Fundano è un rescritto imperiale inviato dall'imperatore romano Adriano a Gaio Minucio Fundano, proconsole d'Asia. Il documento giuridico, scritto originariamente in latino, fu tradotto e tràdito in greco ellenistico da Eusebio di Cesarea che si rifaceva a Giustino.  Il testo è noto agli storici e agli studiosi di Storia del Cristianesimo per essere uno dei più antichi scritti pagani sul cristianesimo. Il documento di Adriano, pur indirizzato a Minucio Fundano, rispondeva in realtà a un'istanza sollecitata da Quinto Licinio Silvano Graniano, predecessore del destinatario: Graniano aveva chiesto lumi sul comportamento da tenere nei confronti dei cristiani e delle accuse che venivano loro rivolte.  Adriano rispose al proconsole di procedere nei loro confronti solo in presenza di eventi circostanziati, emergenti da un procedimento giudiziario e non sulla base di accuse generiche, petizioni o calunnie: veniva stabilito così il principio dell'onere della prova a carico dei promotori delle accuse. Eventuali azioni promosse a scopo di calunnia dovevano, al contrario, essere duramente perseguite e punite, affinché non fosse permesso ai calunniatori di procurare del male. Il rescritto, che è una delle prime fonti pagane sul cristianesimo, è anche di somma importanza per la comprensione della politica tenuta da Adriano e dal suo predecessore Traiano nei confronti dei cristiani: Adriano, infatti, si mosse su un piano analogo, e anche più garantista, rispetto a quello del suo predecessore che si era espresso sull'argomento in un precedente rescritto sollecitato da una specifica richiesta di Plinio il Giovane che era a quel tempo legatus Augusti pro praetore in Bitinia e Ponto. Giustino sostenne l'interpretazione più favorevole del rescritto, accettata da una parte della storiografia moderna. Dubbi esegetici Il significato esatto del rescritto adrianeo, pur confrontato con quello di Traiano, rimane per alcuni studiosi controverso. Se è assodata, infatti, l'affermazione del principio dell'onere della prova da cui, in definitiva, far dipendere la perseguibilità dei cristiani che avessero agito «contro la legge», non è per tutti chiaro, invece, fino a qual punto dovesse spingersi l'assolvimento di quell'onere, se fosse cioè sufficiente provare la sola fattispecie della professione di fede (quello che Plinio, nella sua epistola a Traiano, chiama il nomen ipsum) o si rendesse invece necessario circostanziare anche la contemporanea presenza di reati ascrivibili all'essere cristiani (flagitia cohaerentia nomini), la distinta fattispecie che Plinio già individuava e intendeva suggerire all'imperatore nell'indirizzargli la sua richiesta.  Tesi di Marta Sordi Marta Sordi, storica dell'antichità greco-romana e del cristianesimo delle origini, propendeva per l'interpretazione più favorevole ai cristiani, una posizione esegetica a cui peraltro già aderiva l'apologetica cristiana, da Giustino in poi. Secondo la Sordi, Adriano, in linea con la politica del suo predecessore Traiano, avrebbe non solo confermato il divieto di perseguibilità d'ufficio[8] ma vi avrebbe anche aggiunto, di suo, due nuovi elementi:  Il primo di essi la Sordi lo individua in quel passo in cui Adriano afferma la necessità di dover giudicare «secondo la gravità della colpa» (sempre nel caso - beninteso - di una denuncia sorretta da prove). Il riferimento a una graduabilità della colpa escluderebbe, secondo Marta Sordi, che quest'ultima potesse ridursi al solo 'essere cristiani', una fattispecie che poteva rivelarsi vera o falsa, ma che non poteva ammettere graduazioni: seguendo questa interpretazione, bisogna quindi ritenere necessaria l'associazione a un diverso reato, ascrivibile allo status religioso ma non coincidente semplicemente con questo. Questa interpretazione, inoltre, sempre secondo la studiosa, sarebbe in sintonia con il tono generale della prosa dell'imperatore, da cui trapela, infine, persino insofferenza nei confronti di possibili derive intolleranti. L'espressione di questa insofferenza, sottolineata anche da un'interiezione, è contenuta nella frase «ma, per Ercole, se qualcuno accampa pretesti per calunniare, tu, stabilitane la gravità, devi senza indugio punirlo». E proprio in questa frase si rinviene, secondo Sordi, il secondo elemento di novità rispetto all'atteggiamento del predecessore:  la necessità che le conseguenze di azioni prive di prova, e pertanto temerarie e calunniose, dovessero ritorcersi contro gli stessi proponenti. Gianluigi Bastia, Lettera di Adriano,  Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, Giustino Martire, Apologia  Il testo greco, in Giustino, è riportato in calce (v. Apologia. Rescritto di Adriano a Caio M. Fundano, proconsole d'Asia  (o su Giustino, Apologia Plinio il Giovane, Epistulae Plinio il Giovane, Epistulae. CIL Sordi, I Cristiani e l'impero romano, Jaca Book, Milano. Sordi, I Cristiani e l'impero romano, Jaca, Milano, Bastia, Lettera di Adriano. Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica,  Giustino Martire, Apologi, Plinio il Giovane, Epistulae, CIL, M. Fundano, Gaio, in Treccani Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Voci correlate Rescritto di Traiano a Plinio il Giovane Fonti storiche non cristiane sul cristianesimo Gesù storico Storiografia su Gesù Ricerca del Gesù storico Storicità di Gesù Onere della prova Ius puniendi Portale Antica Roma Portale Cristianesimo Portale Diritto Portale Gesù Categorie: Fonti del diritto romanoStoria antica del cristianesimo Adriano [altre] Military diploma (CIL) attesting his consulship suffect consul. In office Nationality: Roman; Occupation: politician. A Roman senator who holds several offices in the Emperor's service, and is an acquaintance of PLINIO MINORE. He is suffect consul with Tito Vettenio Severo as his colleague. He is best known as being the recipient of an edict from ADRIANO (si veda) about conducting trials of Christians in his province. This is known from an inscription recovered at Baloie in Bosnia. The first office listed is military tribune with Legio XII Fulminata. Next is quaestor, and, upon completion of this traditional Republican magistracy, he would be enrolled in the Senate. Two more of the traditional Republican magistracies follow: plebeian tribune and praetor. The last appointment, before the inscription breaks off, is his commission as legatus legionis or commander of Legio XV Apollinaris. Other sources attest that he was governor of Achaea. The terminus post quem his governorship is when Gaio Caristanio Giuliano is known to have governed. The terminus ante quem he leaves his post is the year of his consulate, although the letters he receives from PLINIO MINORE (si veda) indicate he is no longer in Achaea. The inscription from Baloie mentions he has been admitted to the Septem-viri epulonum, one of the four most prestigious ancient Roman priesthoods. Because this inscription does not mention his consulate, it can be assumed his entrance precedes that office.  Most, if not all, of the letters PLINIO MINORE (si veda) writes to M. fall before is suffect consul. In the first letter of his collection, PLINIO declares that living on his rural estate is preferable to living in Rome, where he is subject to constant pleas for assistance. The second letter petitions him to appoint the son of Plinio’s friend ASINIO RUFO as M’s quaestor for M.’s upcoming consulate; The last letter is another petition to M., canvassing him on behalf of GIULIO NASONE, who is running for an unnamed office. While all of these letters demonstrate M. And PLINIO MINORE are acquainted, they fail to show the warmth of a friendship.  Following his consulate, during the reign of TRAIANO, M. is governor of Dalmatia.  It is through a rescript the historian EUSEBIO preserves at length in his Ecclesiae Historia that we know M. is proconsul of Asia. M.' predecessor, QUINTO LICINIO SILAVNO GRANIANO, asks ADRIANO how to handle legal cases where some inhabitants are accusing their neighbours of not following the Roman cult through informers or mere clamour. ADRIANO’s reply is to state that any such accusations had to be through a law court, where the matter may be properly investigated, and if they are guilty of any illegality, thou M., must pronounce sentence according to the seriousness of the offence. This rescript is important as an independent witness to the existence of one or more non-Roman sects in this part of Anatolia. The only other contemporaneous evidence we have for these communities is the list of the VII churches of Asia in the book of Revelation.  M.’s wife is the daughter of a MARCO STATORIO. We know her name from a funerary inscription, which suggests that she died before M.’s consulship. The name of their daughter, Minicia Marcella, comes from two independent sources. Minicia dies young. Her funerary vase has been identified, which states her age at death as XII years, XI months, and VII days. PLINIO MINORE also attests to her existence, revealing information about the girl that shows that he and M. are better friends than the surviving letters he writes to M. suggest. In the letter, addressed to one EFULANO MARCELLINO, Pliny notes that, although she was not yet XIV years old, she was betrothed. Pliny describes the preparations for her wedding, with which M. was busy; and he asks Marcellinus to send M. a letter consoling him for his loss. It is not known if M. has any other children.  Smallwood, Principates of Nerva, Trajan and Hadrian, Cambridge, CIL, ILJug., Talbert, The Senate of Imperial Rome, Princeton; Wheeler, "Legio XV Apollinaris: From Carnuntum to Satala—and beyond", in Bohec and Wolff, eds. Les Légions de Rome sous le Haut-Empire, Paris; Eck, "Jahres- und Provinzialfasten der senatorischen Statthalter”, Chiron; Pliny, Epistulae, I.9  Syme, Tacitus, Clarendon; Eusebius, Ecclesiae Historia; Williamson, Eusebius: The History of the Church, Harmondsworth: Penguin; Political offices Preceded by Acilius Rufus, and Quintus Sosius Senecio II Consul of the Roman Empire with Titus Vettennius Severus Succeeded by Gaius Julius Longinus, and Gaius Valerius Paullinus Categories: Roman governors of AchaiaSuffect consuls of Imperial RomeRoman governors of DalmatiaRoman governors of Asia Epulones of the Roman Empire Minicii. Keywords: Roman law, Adriano a Minicio -- Gaio Minicio Fundano. Minicio.

 

Luigi Speranza -- Grice e Minnomaco: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone -- Roma – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A Pythagorean according to Giamblico. Grice: “Cicerone argues: Minnomaco speaks Greek; therefore he is no Roman!” Minnomaco.

 

Luigi Speranza -- Grice e Minucio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’eulogio ad Ottavio da Frontone -- Roma – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He writes “Ottavio” – draws on a speech by Frontone. La gente: Minucia  Marco Minucio Felice Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Marco M. Felice (in latino; Marcus M. Felix; Cirta, filosofo,  scrittore e avvocato romano. Non è noto con certezza quando visse. Il suo Octavius è simile all'Apologeticum di Quinto Settimio Fiorente Tertulliano, e la datazione della vita di Felice dipende dal rapporto tra la sua opera e quella dello scrittore africano morto nel 230. Nelle citazioni degli autori antichi (Seneca, VARRONE, CICERONE) è considerato più preciso di Tertulliano e questo concorderebbe col suo essere anteriore ad esso, come afferma anche Lattanzio;[1] Girolamo lo vuole, invece, posteriore a Tertulliano, sebbene si contraddica dicendolo posteriore a Tascio Cecilio Cipriano in una lettera e anteriore in un'opera Per quanto riguarda gli estremi della sua esistenza, Felice menziona Marco Cornelio Frontone; il trattato Quod idola dii non sint è basato sull'Octavius; dunque se quello è di Cipriano, M. Felice non fu attivo oltre il 260, altrimenti il termine ante quem è Lattanzio.  Anche la zona d'origine di M. è sconosciuta. Lo si ritiene talvolta di origine africana, sia per la sua dipendenza da Tertulliano, sia per i riferimenti alla realtà africana: la prima ragione, però, non è indicativa, in quanto dovuta al fatto che all'epoca i principali autori di lingua latina erano africani, e dunque il loro era lo stile cui ispirarsi; la seconda, inoltre, potrebbe dipendere esclusivamente dal fatto che il personaggio pagano dell'Octavius, Cecilio Natale, era africano, come attestato da alcune iscrizioni. Cionondimeno, è significativo che entrambi i personaggi dell'Octavius abbiano nomi citati in iscrizioni africane, e che lo stesso valga per il nome M. Felice.Octavius  L'Octavius è un dialogo che ha per protagonisti lo stesso scrittore, Cecilio e Ottavio e che si svolge sulla spiaggia di Ostia. L'opera si è conservata per errore dopo i sette libri dell'Adversus nationes di Arnobio come (liber) octavus. Mentre i tre passeggiano sul litorale, Cecilio, di origine pagana, compie un atto di omaggio nei confronti della statua di Serapide. Da ciò nasce una discussione in cui Cecilio attacca la religione cristiana ed esalta la funzione civile della religione tradizionale, mentre Ottavio, cristiano, attacca i culti idolatrici pagani ed esalta la tendenza dei cristiani alla carità e all'amore per il prossimo.  Alla fine del dialogo Cecilio si dichiara vinto e si converte al Cristianesimo, mentre Minucio, che funge da arbitro, assegna ovviamente la vittoria ad Ottavio.  Il Cristianesimo di M. è lo stesso dei ceti dirigenti, che non vogliono che il cambiamento di religione sia accompagnato da sommovimenti sociali e sono convinti che debbano, comunque, sopravvivere la finezza e l'equilibrio costruiti da secoli di civiltà greco-latina. Del resto, di questo ceto sono i personaggi dell'Octavius, tutti e tre avvocatiː il pagano, Cecilio Natale, era nativo di Cirta (dove l'omonimo registrato dalle iscrizioni aveva ricoperto cariche sacerdotali) e viveva a Roma, come Minucio, di cui seguiva l'attività forense; Ottavio, invece, è appena arrivato nella capitale all'epoca in cui è ambientata l'opera, e ha lasciato la propria famiglia nella provincia d'origine.  Girolamo gli attribuisce una seconda opera, De fato, di cui però non vi sono tracce.  Divinae Institutiones, De viris illustribus, Ottavio Ianuario a Saldae, CIL,  e Cecilio a Cirta. A Tébessa  e Cartagine. Bracci, Il linguaggio di M. Felice. Fra dialogo filosofico e disputa religiosa, in Controversie: dispute letterarie, storiche, religiose dall'Antichità al Rinascimento, a cura di G. Larini, Padova, Libreriauniversitaria Vecchiotti, La filosofia politica di M. Felice. Un altro colpo di sonda nella storia del cristianesimo primitivo, Urbino, Università degli Studi, De viris illustribus L'Ottavio di Marco M. Felice in italiano: play. google. com/ books/ reader?id=xj GOJAAAAEAJ& pg=GBS.PA0 Paul Lejay, «Minucius Felix», in Catholic EncyclopediaBracci, Il linguaggio di Minucio Felice. Fra dialogo filosofico e disputa religiosa, in Controversie: dispute letterarie, storiche, religiose dall'Antichità al Rinascimento, a cura di G. Larini, Padova, Libreriauniversitaria.it, M. Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Marco M. Felice, su Internet Encyclopedia of Philosophy. Marco M. Felice, Cyclopædia of Biblical, Theological, and Ecclesiastical Literature, Harper. Opere di Marco M. Felice, su MLOL, Horizons Unlimited. Modifica su Wikidata (EN) Audiolibri di Marco M. Felice Marco M. Felice (altra versione), su LibriVox. Marco M. Felice, Catholic Encyclopedia, Robert Appleton, Higgins, Felix, M., Encyclopedia of Philosophy. Opera Omnia dal Migne, Patrologia Latina, con indici analitici, su documenta catholica omnia. eu.. V D M Padri e dottori della Chiesa cattolica Portale Antica Roma Portale Biografie Portale Cristianesimo Portale Letteratura Categorie: Scrittori romaniAvvocati romaniScrittori Scrittori Romani Romani Nati a Cirta Apologeti Padri della Chiesa Scrittori africani di lingua latina Scrittori cristiani antichi [altre] M. – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. CONGRESSO DI SCIENZE STORICHE, Roma. Sezione Storia della Filosofìa Storia delle Religioni. L’APOLOGETICO DI TERTULLIANO E L’OTTAVIO DI M. COMUNICAZIONE di RAMORINO ROMA LINCEI  SALVIUCCI. Ancora non è stata risolta in modo definitivo la questione dei rapporti che intercedono tra il discorso di Tertulliano in difesa de’ Cristiani e il dialogo di M. Felice, dove alle accuse formolate in  un discorso d' ispirazione pagana messo in bocca a Cecilio Natale, op-  ponesi una eloquente difesa del Cristianesimo per bocca di Ottavio dal  quale il dialogo prende nome. Ancora non sono state date sufficienti  ragioni per stabilire se Tertulliano abbia avuto sott’ occhio M.,  o se invece questi abbia tratto da quello come da sua fonte, e quindi  quale dei due abbia da considerarsi come cronologicamente anteriore. La questione ha un vero interesse per la storia del Cristianesimo  in Occidente perchè trattasi delle prime scritture latine d' ispirazione  cristiana, e dipende di qui il sapere chi primo abbia divulgato fra le  genti di parlata latina le ragioni addotte dagli Apostoli del Cristianesimo, già da più decenni diffuse tra i Greci. Tale questione sorge dal fatto che tra le due opere corrono tali  e tante analogie di pensiero e di frase, da dover senz’altro ritenere  che l’un dei due abbia avuto sott’occhio l’altro. Si può ben congetturare anche, e s’ è in fatto congetturato, abbiano entrambi attinto a una  fonte comune, che per noi sarebbe perduta. Primo propose quest’ ipotesi  l’ Hartel, poi cercò sostenerla in apposita monografia il Wilhelm. Più tardi De Lagarde pensa a dirittura a un’apologià  scritta da papa Vittore I da cui Tertulliano e M. avrebbero copiato a man salva; infine l’Agahd in una sua ricerca di cose Varroniane, voi. supp. dei Jahrbiicher di Fleckeisen, ammettendo anche  egli un’apologià cristiana latina anteriore a Tertulliano e M.,  ne investigò le fonti in VARRONE e in qualche altro libro dell’età alessandrina. Ma noi vedremo che i riscontri verbali tra l’Apologetico e  l’Ottavio sono tanti e tali da escludere l’ipotesi d'una terza fonte co-  mune, se non forse per uno speciale punto di dottrina derivato dalla  scuola di Euemero. Tra quelli che rinunziando all’ipotesi di una terza fonte comune,  riducono la questione ai soli Tertulliano e M., gli uni credono  anteriore M., gli altri Tertulliano, e le due schiere sono egual-  mente notevoli per numero e autorità di aderenti. I fautori della prio-  rità di M., come si fan forti di una espressione di Lattanzio, così  vantano l’adesione di uomini quali Eber, Baehrens,  Norden, ecc. Gli altri si rifanno dall’attestazione di Gerolamo,  e hanno compagni uomini di incontestato valore come Schultze,  Neumann, Harnack, nome che vai da solo per molti.  Ultimamente si schierò da questa parte anche il francese Monceaux che con tanto studio e dottrina s’ è occupato della letteratura affricana.   Non è qui il luogo di ripetere le ragioni addotte da tutti questi  studiosi, nè di discuterle. Intendo qui di istituire un confronto, il più  completo possibile, di luoghi Minuciani e Tertullianei, presentandoli  in modo che ne riesca chiaro il contenuto e sia facile ai lettori di  trarne le debite conclusioni. Prendo per base il discorso di Tertulliano,  seguendone l’argomento come filo conduttore, e additando via via i luoghi  paralleli di M. Nei primi tre capitoli del suo Apologetico, mira Tertulliano a far  vedere, come fosse iniquo l’odio che si aveva contro i Cristiani. Vol-  gendo nell’esordio la parola ai reggitori del Romano Impero, dice che,  se non era loro lecito fare una pubblica inchiesta intorno alla causa  dei Cristiani, se a questo solo fattispecie o temevano o arrossivano di  volgere l’attenzione pubblicamente, e se le troppe condanne private  avevano compromesso la difesa della setta cristiana, doveva pur essere  lecito a lui cercar di giungere alle loro orecchie per la via letteraria;  la verità cristiana ben sapere di essere peregrina sulla terra e di trovar  facilmente nemici tra gli estranei, ma non voler essere condannata  senza essere conosciuta. Condannarla inascoltata essere una iniquità, e  far nascere il sospetto che i governanti non vogliano ascoltare ciò che  non potrebbero più condannare conoscendolo. La scusa dell’ignoranza non essere che apparente, anzi aggravare il carico dell’iniquità; perchè  qual più trista cosa che l’odiare quel che si ignora, anche se la cosa  meriti effettivamente odio? Se poi si viene a sapere che la cosa non  meritava odio, chi era solo colpevole d’ignoranza, cessata questa, cessa  anche di odiare; come fanno appunto i convertiti al Cristianesimo, i  quali cominciano a odiare quel che erano e a professare quel che prima  odiavano. Invece, dice Tertulliano, gli avversari nostri segnalano bensì  il fatto delle molte conversioni, ma, anziché arguire che ci sia sotto  qualche gran bene, seguitano a ignorare e a odiare. Si dirà che le molte  conversioni non vogliono dir nulla, perchè ci si volge anche al male.  Ma il male, avvertasi, per natura o si teme o se ne ha vergogna; ed  è perciò che i malvagi voglion rimanere nascosti; sorpresi trepidano,  accusati negano, anche tormentati non sempre confessano, e condannati  poi n’han dolore. I Cristiani non si vergognano, non si pentono; si  gloriano d’ esser notati ; accusati non si difendono ; interrogati confessano ; anzi confessano spontaneamente, e condannati ringraziano. Non  è dunque questo un male se non ha le circostanze connaturate al male,  il timore, il rossore! il pentimento, il rimpianto. Anche la  procedura che si segue con noi Cristiani, continua Tertulliano, è iniqua.  Non ci si concede libertà di difesa, e si vuol da noi soltanto la con-  fessione del nome, senza poi esaminare il crimine. E mentre per un  omicida, per un incestuoso, per un nemico pubblico si indagano le cir-  costanze dei fatti, il numero, il luogo, il tempo, i complici dei delitti,  per noi non si procede così ; anzi un famoso editto di Traiano ha proi-  bito che si inizino processi contro noi, mentre poi ha disposto che  data una denunzia, ci si deva punire ; disposizione contradittoria ed  ingiusta. Si viene così ad applicare per noi un’assurda procedura, quella  di torturarci, non per farci confessare come gli altri, sì perchè neghiamo,  mentre se si trattasse di male, noi staremmo sulla negativa, e la tor-  tura ci si applicherebbe per farci confessare. È evidente che non un  delitto è in causa nel caso nostro, ma solo il nome. Si arriva al punto  di biasimare uno che si riconosce come un galantuomo, solo perchè  è cristiano; si cacciano via dalle case, anche contro ogni interesse, le  mogli pudiche e i buoni servi, solo perchè cristiani; è tutto in odio  al nome. Ma che cos’ ha di male questo nome che significa « unti »  o, se si piglia la forma « Crestiani » usata talvolta per errore, ha a  connettersi con « buono » ? Odiasi forse ia setta per il nome   del suo autore ? Ma anche le sette dei filosofi sono denominate dai loro  autori, e niuno se n’offende. Prima di odiare il nome, conveniva indagare e riconoscere dalle qualità della setta l’autore o da quelle dell’autore la setta ; invece non si è fatto e non si fa nulla di questo, e  si seguita a far ingiusta guerra al nome.   Fin qui l’ introduzione dell’Apologetico Tertullianeo. Con le idee  qui espresse si ha qualche riscontro nell’Ottavio,  a metà circa del discorso in difesa della nuova dottrina. Accenna Ottavio all’opera dei cattivi spiriti che insinuano l’odio contro  i Cristiani anche prima che siano conosciuti. Il capitolo seguente tocca la  procedura usata coi Cristiani, e Ottavio ricorda che anche egli prima,  credendo alle solite calunnie, usava le stesse arti diaboliche contro i  Cristiani. I demonii appunto ispirano quelle dicerie sciocche le quali,  se mai, hanno un fondo di verità per i pagani non per i Cristiani. La confu-  tazione di tali calunnie si estende. Si chiude con l’ affermazione delle virtù cri-  stiane, la pudicizia, la temperanza, la serietà. L’aumentare del nostro  numero, dice, non è accusa di errore, ma testimonio di lode, e non è  meraviglia se noi ci riconosciamo al segno dell’ innocenza e della modestia, e se ci amiamo a vicenda chiamandoci fratelli. Ecco alcuni riscontri verbali:   Min.: nec in angulis  garruli sumus si audire nos publice  aut erubesciti s aut timetis » (intendi:  non è vero che noi facciamo pettego-  lezzi di nascosto, se invece siete voi che  pubblicamente rifiutate di darci ascolto  o perchè arrossite o perchè temete di  farlo. : ic occupant animos (im-  puri spiritus) ... ut ante nos incipiant  homines odisse quam nosse, ne cognitos,  aut imitari possint, aut damnare non  possint. Anche noi, prima della  conversione, credevamo alle calunniose  voci sparse contro i Cristiani, e non ci  accorgevamo che eran tutte dicerie sen-  za fondamento ; « malum autem adeo  non esse, ut Cliristianus reus nec eru-  besceret nec timeret, et unum solum-  modo quod non ante fuerit paeniteret. Tertull. Apolog. I princ.: .si  ad hanc solam speciem auctoritas vestra  de iustitiae diligentia in publico aut  timet aut erubescit inquirere inauditam si damnent,  praeter invidiam iniquitatis etiam suspicionem merebuntur alicuius conscientiae, noleutes audire quod auditum dan-  nare non possint. Quod vere malum est, ne  ipsi quidem quos rapit defendere prò  bono audent. Omne malum aut timore  aut pudore natura perfudit. Denique  malefici gestiunt latere, devitant appa-  rere, trepidant deprehensi, negant accu-  sati, ne torti quidem facile aut semper  continentur, certe damnati maerent. Dinumerant in semetipsos mentis malae  impetus, vel fato vel astris imputant,  nolunt enim suum esse quia malum  agnoscunt. Christianus vero quid simile? Neminem pudet, neminem paenitet nisi piane retro non fuisse. Si  denotata gloriata, si accusata non  defendit, interrogatns vel ultro confi-  tetur, damnatus gratias agit. Quid hoc  mali est quod naturalia mali non habet,  fimorem, pudorem, tergiversationem,  paenitentiam, deplorationem? Quid? hoc  malum est cuius reus gaudet? cuius  .accusatio votum est et poena felicitas ? Qui si osservi come a un cenno fuggevole di Minucio rispetto al  non essere un male il cristianesimo, corrisponde in Tertulliano tutta  una spiegazione psicologica della natura del male e del contegno dei  malvagi col quale si confronta quello dei Cristiani. Apolog. c. IL Si critica la procedura usata coi Cristiani. Tra l’altro,  si dice. Ceteris negantibus tormenta  udhibetis ad confitendum, solis Chri-  stianis ad negandum. Quo perversine  cum praesumatis de sceleribus no stris  ex nominis confessione, cogitis tormentis de confessione decedere, ut negantes nomen pariter utique negemus et  scelera... Sed, opinor non vultis noe  perire, quos pessimos creditis. Si non  ita agitis circa nos nocentes ergo nos  innocentissimos iudicatis cum quasi innocentissimos non vultis in ea confessione perseverare, quam necessitate  non iustitia damnandam sciatis. Vociferata homo: Christianus sum. Quod  est dicit; tu vis audire quod non est. Veritatis extorquendae praesides de nobis solis mendacinm elaboratis audire. Oct.: Noi prima della conversione, mentre assumevamo la difesa di  sacrilegi e incestuosi e anche di parricidi,  hos i Cristiani nec audiendos in toto  putabamus, nonnunquam etiam miserantes eorum crudelius saeviebamus, ut  torqueremus confitentes ad negandum, videlicet ne perir ent, exercentes in his,  perversam quaesti onem nòn quae verum  erueret sed quae mendacium cogeret .  Et si qui infìrmior malo pressus et  victus Christianum se negasset, favebamus ei quasi, eierato nomine, iam  omnia facta sua illa negatione pur-  gata ».  Dopo avere nell’Apologetico confutato il  pregiudizio che il Cristianesimo non fosse permesso dalle leggi romane,  facendo vedere come le leggi potessero essere benissimo pattate, e mu-  tate furono tante volte attraverso ai secoli, Tertulliano passa a confutare le calunnie lanciate contro i Cristiani, d’ infanticidio e di cene  incestuose. Queste cose si dicono sempre, ma nessuno mai si cura d’ indagare so sono vere. La verità è odiata, e ha nemici da tutte le parti. Chi ha mai visto a spargere sangue di bambini, e abbandonarsi, dopa  il pranzo e dopo fatti spegnere i lumi da cani lenone s tenebrarum,  a orgie incestuose? Se i nostri ritrovi son segreti, chi può rivelare quel  che vi si fa? non gli iniziati che hanno interesse a non si tradire;  non gli estranei, appunto perchè non penetrarono mai. È dunque tutto  opera' della fama. E qui Tertulliano ha una bella pagina sulla natura  della fama o si dice. È antico il motto : fama malum quo non  aliud velocius ullum Virgilio. Perchè è un male la fama? perchè veloce? o non anzi perchè essa è per lo più menzognera? anche quando  ha del vero, non è mai senza bugia, togliendo, aggiungendo, mutande  dal vero. Ed è di tal natura che non persiste a essere se non in  quanto mentisce, e vive solo fin quando non si arriva alla prova dei  fatto vero. Quando si ha il fatto, cessa ogni « si dice », e rimane la  notizia del fatto. La fama, nomen incerti > non ha più luogo dov’ è  la certezza. Ora alla fama uom savio non deve credere. Si sa come na-  scono le dicerie. Hanno principio da qualcuno che è mosso o da ge-  losia o da dispetto o da mania di dir bugie; e poi passate di bocca  in orecchio, e via ripetute, nascondono sempre più la verità. Meno male,  che il tempo poi rivela ogni cosa, per felice disposizione della natura-  per cui il vero si fa strada. Le accuse sono nient’ altro che dicerie, ma  non hanno fondamento di verità. Si soggiunge che noi promettiamo la  vita eterna a chi uccide bambini e commette incesti. Ma anche se tu  credi a questo, dice Tertulliano, io chiedo se tu stimeresti tanto questa  eternità da arrivarci con simili infamie. Tu nè vorresti farle queste  cose, nè potresti ; dunque perchè crederai che vogliano e possano farle  i Cristiani, che sono uomini come te ? Si dirà che sono iniziati a tali  cerimonie quando non ne sanno ancor nulla; ma in tal caso, una volta  conosciute tali infamie, non continuerebbero a parteciparvi, per la stessa  avversione che avrebbe impedito loro d’ iniziarsi nel caso che ne fossero informati.   Tale il contenuto dell’Apologetico. Vi corrispondono il M., ove con le accuse d’ infanticidio e di cene incestuose si confutano anche  quelle di adorazione d’una testa d’asino, o dei genitali di sacerdoti, o  di un uomo crocifisso, o della croce stessa. E siccome di queste accuse si parla anche dove Cecilio Natale le espone facendo  eco alla voce comune, così è da tener conto anche di questo capo per  taluni riscontri verbali:  Apolog.: quod eversofes luminum canes, lenones scilicet tenebrarum, libidinum impiarum inverecundiam procurent candelabra et lucernae  et canes aliqui et offulae quae illos ad  eversionem luminum extendant. Veni, demerge ferruin   in infantem, nullius inimicum, nullius  reum, omnium filium, vel tu modo  adsiste morienti komini antequam vixit... excipe rudem sanguinem, eo panerai tnum satia, vescere libenter   Nego te velie ; etiamsi volueris, nego te  posse. Cur ergo alii possint si vos non  potestis?... qui ista credis de homine  potes et tacere. Quis talia facinora cum  invenisset celavit?... Si semper latemus  quando proditum est quod admittimus?  immo a quibus prodi potuit? Natura famae omnibus  nota est (v. il riassunto precedente)...  quae ne tunc quidem cum aliquid veri offerti sine mendacii vitio est Tam-   diu vivit quam diu non probat, siquidem ubi probavit cessat esse et quasi  officio nunciandi functa rem tradit et  exinde res tenetur, res nominatur. Nec  quisquam dicit verbi gratia: 'hoc Romae aiunt factum 1 aut : ‘ fama est illuni provinciam sortitum sed: sortitus est ille provinciam ’, et : hoc fa-  ctum est Romae \ Fama, nomen incerti,  locum non habet ubi certum est. Min. Oct.: canis qui cande-  labro nexus est, iactu offulae ultra spatium lineae qua vinctus est, ad impetum et saltum provocatur. Sic everso  et exstincto conscio lumine impuden-  tibus tenebris etc. Illuni velim convenire,  qui initiari nos dicit aut credit de caede  infantis et sanguine. Putas posse fieri,  ut tam molle corpus, tam parvulum  corpus fata vulnerum capiat? ut quis-  quam illum rudem sanguinem novelli  et vixdum hominis caedat f fundat,  exhauriat? nemo hoc potest credere  nisi qui possit audere nec tanto tempore aliquem existere qui proderet nec tamen mirum, cum omnium (quoniam, Vahlen) fama quae  semper insparsis mendaciis alitur, ostensa ventate consumitur. Anche qui si noti che il modo di esprimersi di Minucio intorno alla  fama non solo è conciso, ma chi legge quell’ostessa ventate consu-  mitur non lo intende se non quando lo confronta con la pagina di Ter-  tulliano, la quale può servire assai bene di commento. I Cristiani non si contentavano di scagionarsi dalle accuse calun-  niose mosse loro, ma le ritorcevano contro gli avversari, facendo ve-  dere come essi, all’ombra della religione, molti infanticidi e incesti  davvero commettevano. Di ciò tratta l’Apologetico,  da confrontarsi con alcuni passi dell’Ottavio.  Ricordano entrambi i sacrifizi di bambini fatti in Africa in onor di  Saturno, divoratore dei propri figli: Apolog.: cum propriis filiis  Saturnus non pepercit, extran eis utique non parcendo perseverabat, quos  quidem ipsi parentes sui offerebant et  libenter respondebant, et infantibus blan -  diebantur, ne lacrimante s immolarenturi. Oct.: Saturnus fìlios suos  non exposuit sed voravit ; merito ei in  nonnullis Africae partibus a parentibus  infantes immolabantur y blanditile et  osculo comprimente vagitum, ne flebilis  hostia immolar etur. Ma Tertulliano ha maggiori informazioni su questi sacrifizi d’infanti  in Affrica, durati ufficialmente fino al proconsolato di TIBERIO, poi vietati ma seguitati a praticare occultamente: et nunc in occulto per -  severotur hoc sacrum facinuSj perchè nessuna costumanza delittuosa  si può sradicare per sempre, nè gli Dei mutano costume.   Oltre questo poi altri sacrifizi umani vanno imputati alla religione antica. Entrambi i nostri scrittori ricordano i sacrifizi umani fatti  in Gallia in onor di Mercurio, e nella Taurica (M. aggiunge anche,  da CICERONE. Rep., e da LIVIO (si veda), il ricordo di Busiride Egi-  ziano e di antichi riti romani), e l’uso ancor vigente di sacrificare con-  dannati a morte nelle feste di Giove Laziale. E all* infuori della religione,  rinfacciano entrambi agli avversari l’abitudine di esporre i bambini ap-  pena nati o ucciderli, o quello più tristo di spegnere la vita appena  iniziata nell’utero materno.   b) Apolog . IX: « conceptum utero  dum adhuc s angui s in hominem deli-  batur, dissolvere non licet. Homicidii  festinatio est prohibere nasci ; nec refert  ratam quis erìpiat animam an nascentem  disturbet. Quanto poi al bevere uman sangue, Tertulliano ricorda da Erodoto (est apud Herodotum, opinor) alleanze strettesi fra alcuni popoli  col ferirsi a sangue le braccia e bevere gli uni il sangue degli altri;   (ISO)    Oct.: u snnt quae in ipsis vi-  sceribus medicaminibus epotis originem  futuri hominis extinguant et parricidium  faciant antequam pariant ricorda poi Catilina, e alcune genti Scitiche divoratrici dei proprii morti,  e il rito dei sacerdoti di Bellona consistente nel ferirsi la coscia, rac-  cogliere il sangue nel cavo della mano e darlo a bere. M., più conciso, non menziona che la congiura di CATILINA e Bellona con brevi  cenni. L’uno e V altro poi fanno menzione dell’uso di dare a bere sangue  umano agli epilettici, ma Tertulliano solo adduce il particolare, che  ai raccoglieva a tal fine il sangue scorrente dalle ferite dei delinquenti  .sgozzati nell’arena.   In tutto ciò è strano il modo come Minucio mette questi ricordi  in relazione con la menzione fatta avanti delle cerimonie in onor di  Giove Laziale: ipsum credo docuisse san -  guinis foedere coniurare Catilinam et Bellonam sacrum suum J ecc.;  quasi che proprio Giove Laziale abbia insegnato a Catilina e ai Bellonari i lor sanguinosi usi ; il che è del tutto fuor di proposito.   Infine, sempre intorno alle bibite di sangue, entrambi gli apologeti  ricordano l’avidità con che solevano alcuni acquistare, per cibarsene, la  carne delle bestie uccise nell’arena, dopo che quéste s’ erano empite le  viscere di membra umane. Ma Tertulliano è più ricco di particolari,  come è più immaginoso ed energico nell’espressione. Confrontisi: Tertull.: Item illi qui de harena Min. : non dissimiles ei qui de haferinis obsoniis cenant, qui de apro qui rena feras devorant inlitas et infectas se est quandoque memoriara dissipari, et simili error impegerit,  exinde iam tradux proficiet incesti serpente genere cum scelere. Tunc deinde  quocumque in loco, domi, peregre, trans  freta Comes et libido, cuius ubique sal-  tus facile possunt alicubi ignaris filios  pangere vel ex aliqua seminis portione,  ut ita sparsum genus per commercia  humana concurrat in memorias suas,  neque eas caecus incesti sauguinis agnoscat. Min.: etiam nescientes, miseri, potestis in inlicita proruere, dum Venerem promisce spargitis, dum passim liber os seritis, dum etiam dorai natos  alienae misericordiae frequenter exponitis, necesse est in vestros recurrere t  in filios inerrare. Nella diversa disposizione dei pensieri, pur si riconosce l’affinità  dei due scrittori, dei quali Tertulliano è più ricco e compiuto, aggiun-  gendo qui tra le ragioni di figliuoli dispersi anche l’adozione.   Alla corruttela pagana poi opponesi la continenza cristiana la quale  o si contenta di legittimo matrimonio, o aspira anche alla verginità. Tertull.: quidam multo secu- Min : plerique inviolati corporia   riores totam vim huius erroris virgine virginitate perpetua fruuntur potiua  continentia depellunt, senes pueri. quam gloriantur. Dove non isfugga l’esagerazione del plerique minuciano di fronte all’espressione tertullianea più conforme al vero. Gli Dei pagani erano in origine uomini. Nell’ Apologetico, passa Tertulliano a ragionare di un’altra recriminazione fatta ai Cristiani, quella che non  venerassero gli Dei e non sacrificassero per gli imperatori ; onde erano  fatti rei di sacrilegio e di lesa maestà. Ora egli dice che i Cristiani  cessarono dal prestar culto agli Dei pagani dacché conobbero che tali  Dei non esistevano; e non esser giusto il punirli se non quando tale  esistenza fosse dimostrata. E questa convinzione soggiunge che i Cristiani ricavavano dalle stesse testimonianze pagane, concordi nel lasciar  chiaramente vedere che i pretesi Dei non erano altro che uomini di-  vinizzati. Infatti se ne adducevano i luoghi di nascita, le regioni ove  avevano vissuto e lasciato tracce dell’opera loro, e si mostravano anche  i loro sepolcri. Serva d’esempio per tutti Saturno, cui gli scrittori come  Diodoro e Tallo fra i Greci, Cassio e Nepote fra i Latini attestarono  essere stato uomo. La qual cosa è comprovata anche da prove di fatto,  verificatesi sopratutto in Italia, ove egli fu accolto da Giano, ove il  monte che abitò fu chiamato Saturnio, la città che fondò ebbe pari-  mente nome Saturnia, e anzi tutta l’Italia dopo il nome di Enotria  ricevette quello di Saturnia. Da lui l’origine delle legali scritture e del  conio monetario, onde la sua presidenza dell’erario. Dunque era uomo,  è nato da uomini, non dal cielo e dalla terra. Ignorandosene la pa-  rentela, fu detto esser figlio di quelli onde tutti possiamo esser figli,  chiamandosi per venerazione il Cielo e la Terra padre e madre, e figli  della terrà denominando il volgo quelli la cui parentela è incerta. Sa-  turno dunque era uomo; e lo stesso si può dir di Giove e di tutto  l’altro sciame di divinità pagane. Si dice che furono tutti divinizzati  dopo morte. Da chi? Bisogna vi fosse un altro Dio più sublime, ca-  pace di regalare la divinità, giacché da sé questi uomini non si po-  tevan certo crear Dei. Ma perchè il Dio Magno avrebbe donato la  divinità ad altri esseri? Forse per esserne aiutato nel grande còmpito  di dirigere l’universo? Ma che bisogno vi poteva essere di ciò, se il  mondo o era ab aeterno, come volle Pitagora, o venne fatto da un  essere ragionevole, come disse Platone? Del resto questi uomini si lo-  dano per aver trovato le cose utili alla vita, ma non le hanno create,  perchè già c’erano. Si dirà egli che la divinizzazione fu un premio  alle loro virtù? Ma, a dir vero, anziché virtuosi, erano costoro pieni di vizi e piuttosto da cacciar giù nel Tartaro che accogliere nel Cielo. Ma mettiamo anche fossero buoni, o perchè allora non s’ è dato lo  stesso premio a uomini lodatissimi come Socrate, Aristide, Temistocle, ecc.P   Di tutta questa dimostrazione ragionata a fil di logica, Minucio  non ha nell’Ottavio che un punto solo, l’affermazione che i pretesi Dei  erano uomini. E questa si contiene nel cap. 21 del dialogo, il quale fa  seguito alla parte fisolofica del discorso di Ottavio e alla sentenza che  le favole mitologiche erano tutte finzioni poetiche, da spiegarsi seconde  la teoria di Evemero, della quale cita altri rappresentanti antichi come  Prodico, Perseo, lo stesso Alessandro il Macedone. Connettesi con tale  ordine di idee il ricordo di Saturno già uomo. E qui diversi riscontri:  Tertull. Apol.: Saturnum ita-  que, si quantum litterae docent, neque  Diodorus Graecus aut Thallus neque  Cassius Severus aut Comelius Nepos  neque ullus commentator eiusmodi anti -  quitatem aliud quam hominem promul-  gaverunt. Min. Oct.: Saturnum enim omnes scriptores vetustatis Graeci Ro-  manique hominem prodiderunt. Scit hoc  Nepos et Cassius in historia ; et Thallus et Diodorus hoc loquuntur. È questo il passo che all’Ebert e a’ suoi seguaci parve e pare  dimostrativo della priorità di Minucio, per la ragione che il Cassius  Severus di Tertulliano in luogo del semplice Cassius (ossia Hemina)  è un errore, e per la presunzione che chi sbaglia copii. Se tale indu-  zione sia giusta, vedremo in seguito. Per ora notiamo solo che Ter-  tulliano aveva fatto lo stesso sbaglio in Ad Nationes:  Legimus apud Cassium Severum, apud Cornelios Nepolem et Ta-  citurna ecc. Tertull. ibid.: in qua Italia  Saturnus post multas expeditiones postque Attica hospitia consedit, exceptus  a Iano vel lane ut Salii volunt. Mons  quem incoluerat Saturnius dictus, civitas quam depalaverat Saturnia usque  nunc est, tota denique Italia post Oe-  notriam Saturnia cognominabatur. Ab  ipso primum tabulae et imagine signa-  tus nummus et inde aerarlo praesidet. Si homo Saturnus utique ex  homine, et quia ab homine, non utique  de caelo et terra. Sed cuius parentes  ignoti erant facile erat eorum fìlium dici  quorum et omnes possumus videri. Quis  enim non caelum ac terrai matrem ac Min.: Saturnus Creta profugus Italiana metu filii saevientis accesserat et  Iani susceptus hospitio rudes illos homines et agrestes multa docuit ut Graeculus et politus, litteras imprimere,  nummos signare, instrumenta conficere.  Itaque latebram suam, quod tuto latuisset, vocari maluit Latium, et ur.bem  Saturniam idem de suo nomine ut laniculum Ianus ad memoriam uterque  posteritatis reliquerunt. Homo igitur utique qui fugit,  homo utique qui latuit, et pater ho-  minis et natus ex homine. Terrae enim  vel caeli filius (se. est dictus) quod  apud Italos esset ignotis parentibus proditus, ut in hodiernum inopinato visos patrem venerationis et honoris grati a  appellet? vel ex consuetudine humana,  qua ignoti vel ex inopinato adparentes  de caelo supervenisse dicuntur. Proinde  Saturno repentino utique caelitem contigit dici; nam et terrae filios vulgus  vocat quorum genus incertum est. Etiam Iovera ostendemus tam  hominem quam ex homine, et deinceps  totum generis examen tam mortale quam  seminis sui par. Nunc ego per singulosdecurram? Otiosum est etiam titulos persequi totum generis examen caelo missos, ignobiles et ignotos terrae  filios nominamus. Eius fìlius Iuppiter Cretae excluso  parente regnavit, illic obiit, illic filios  habuit; adhuc antrum Iovis visitur et  sepulcrum eius ostenditur et ipsis sa-  cris suis humanitatis arguitur. Otiosum est ire per singulos. Saturnum principem huius  generis et examinis.  Per la divinizzazione dopo morte, M. ha considerazioni diverse dai ragionamenti di Tertulliano. Ricorda Romolo fatto Dio per  lo spergiuro di Procolo, e il re Giuba per il consenso dei Mauri ; furono consacrati Dei come si consacrano gli altri re, non per attestare  la divinità loro, ma per onorare la potestà che hanno esercitato in terra.  Queste stesse persone che si divinizzano, dice, non ne vorrebbero sapere,  e sebbene già vecchi declinano quell’onore. Rileva poi l’assurdo di far  Dei esseri già morti o nati destinati a morire. E perchè non nascono ora  più Dei? Porse s’ è fatto vecchio Giove o s’ è esaurita Giunone? 0 non è  da dire anzi che è cessata questa generazione perchè nessuno ci crede  più ? E del resto se si creassero nuovi Dei, i quali di poi non potreb-  bero morire, s’avrebbero più Dei che uomini, da non poter essere più  contenuti nè in cielo, nè nell’aria, nè sulla terra. Tutte queste riflessioni di Minucio sono differenti da quelle che  fa Tertulliano ; sicché in questo punto non vi possono essere riscontri. Però confronta: Ad Nationes: qui  deum Caesarem dicitis et deridetis dicendo quod non est, et maledicitis quia  non vult esse quod dicitis. Mavult enim  vivere quam deus fieri. Min.: Invitis his hoc nom.en  adscribitur: optant in homine perseverare, fieri se deos metuunt, etsi iam  senes nolunt. Tertulliano passa a considerare che cosa sieno  effettivamente i supposti Dei pagani. E prima parla dei loro simulacri,  i quali son fatti di materia identica a quella dei vasi e strumenti comuni, o forse dai vasi medesimi artisticamente elaborati. Son dunque  Dei foggiati per mezzo di battiture, di raschiature, di arroventature;  proprio il trattamento che si fa ai Cristiani, di che questi possono  avere qualche conforto. Se non che questi Dei non sentono i maltrat-  tamenti della loro fabbricazione, come non sentono gli ossequi dei  loro fedeli. Tali statue di morti, cui intendono solo gli uccelli e i  topi e i ragni, non è egli giusto non adorare? Come sembrerà che  offendiamo tali esseri, mentre siam certi che non esistono affatto?   Riflessioni analoghe fa M.. Detto  delle favole mitologiche irriverenti e corrompitrici, nota che le immagini di tali Dei adora il volgo, più abbagliato dal fulgore dell’oro  e dell’argento che ispirato da fede vera; e richiama l’attenzione sul  fatto che tali simulacri sono formati dalla mano d’un artista, e se di  legno, forse reliquia di un rogo o di una forca; sono sospesi e lavo-  rati con l’accetta e la pialla, se d’oro o d’argento, magari tolto da  vaso immondo, sono pesti, liquefatti, contusi tra il martello e l’ incudine, ecc.   Ecco riscontri: Tertull. Apoi.: reprehendo... materias sorores esse vasculorum instrumentorumque communium vel  ex isdem vasculis et instrumentis quasi fatum consecratione  mutantes. Min.: deus aereus vel argenteus de immundo vasculo, ut accicipimus factum Aegyptio regi (Amasi,  Erodoto) conflatur, tunditur  malleis et incudibus figuratur nisi forte nondum deus saxum  est vel lignum vel argentum. Quando  igitur hic nascitur? ecce funditur, fa-  bricatur, sculpitur, nondum deus est;  ecce plumbatur construitur, erigitur,  nec adhuc deus est; ecce ornatur consecratur oratur, tunc postremo deus est,  cum homo illum voluit et dedicavit. Piane non sentiunt has iniurias nec sentit lapideus deus suae   et contumelias fabricationis suae dei nativitatis iniuriam ita ut nec postea,  vestri sicut nec obsequia ». de vestra veneratione culturam. Statuas milvi et mures et Quam acute de diis vestris attinane ae intellegunt. malia muta naturali ter iudicant ! mures,   hirurrdines, milvi non sentire eos sci uni;  rodunt inculcant insident, ae, nisi abigatis, in ipso dei vestii ore nidificant;  araneae vero faciem eius intexunt et  de ipso capite sua fila suspendunt. Vos  tergetis mundatis eraditis et illos qoos  facitis, protegitis et timetis. Si noti qui la maggior quantità di particolari in M., il che  come deva spiegarsi diremo in seguito. Tertulliano invece è poi solo  nel notare che i pagani stessi prendono a gioco illudunt e offendono le loro divività, non riconoscendo tutti le stesse, e trat-  tando alcuni Dei come i Lari domestici con compre- vendite, pignora-  menti, incanti, tal quale s’usa per le case cui sono annessi, altre volte  tsasformando, poniamo, un Saturno in una pentola e una Minerva in  un mestolo.   Di nuovo entrambi ricordano, di passata, le strane cerimonie del  culto pagano (Tertull. in., Min. e rilevano  le invereconde leggende dai poeti ripetute intorno agli Dei, auspice  Omero, e l’aver gli Dei combattuto o pei Greci o pei Troiani, e Venere  ferita, e Marte incarcerato, e Giove liberato per opera di Briareo, ecc., ecc. Tertull.: Quanta inverno ludi- Min.: hic enim Homerus bria! deos inter se propter Troianos et praécipuus bello Troico deos vestros,   Achivos ut gladiatorum paria congres - etsi ludos facit, tamen in hominum resos depugnasse, Venererà humana sa- bus et actibus miscuit, hic eorum pagitta sauciatam, quod filium suum Ae- ria composuit, sauciavit Venererà, Mar -   nean paene interfectum ab eodem Dio- . tem vinooit vulneravit fugavit. Iovem  mede rapere vellet, Martem tredecim narrat Briareo liberatum, ne a diis cemensiìms in vinculis paene consumptum, teris ligaretur, et Sarpedonem filium,   Iovem ne eandem vim a ceteris caeli- quoniam morti non poterat eripere,   tibus experiretur, opera cuiusdam moncruentis imbribus flevisse, et loro Ver   stri liberatum, et nunc flentem Sarpe - neris inlectum flagrantius quam in aduldonis casum, nunc foede subantem in teras soleat cum Iunone uxore consororem sub commemoratione non ita cumbere.   dilectarum iampridem amicarum. L’esempio d’Omero indusse altri poeti a irriverenti invenzioni: Quis non poeta ex auctoritate Alibi Hercules stercora egerit,   principis sui dedecorator invenitur Dee- et Apollo Admeto pecus pascit. Laorum ? Hic Apollinem Admeto regi pa- medonti vero muros Neptunus instituit   scendis pecoribus addicit, ille Neptuni (forse: construit) nec mercedem operis   structorias operas Laomedonti locat. Est infelix structor accipit. Illic (Vulcanus,   et ille de lyricis (Pindarum dico) qui aggiunge TUrsinus) Iovis fulmen cum Aesculapium canit avaritiae merito, quia Aeneae armis in ineude fabricatur, cum  avaritiam nocenter exercebat, fulmine caelum et fulmina et fulgura longe ante  iudicatum. Malus Iuppiter si fulmen il- fuerint quam Iuppiter in Creta nasce-  lius est, impius in nepotem, invidus in retur artifìcem.   Dal contesto di Tertulliano apparirebbe ch’egli attribuisse le leggende  di Apollo pastore presso Admeto e di Posidone operaio al soldo di  Laomedonte ad altri poeti che ad Omero, mentre è noto che già in Omero  vi è un cenno di queste leggende. Ma forse  Tertulliano aveva in mente ulteriori elaborazioni di dette leggende forse  in drammi (ad es., per Apollo pastore, l’Alcestide d’ Euripide), come  dopo fa espressa menzione di Pindaro. In Minucio invece tutte le ri-  cordate leggende par si attribuiscano ancora ad Omero, il che viene  a essere inesatto per il racconto di Ercole che scopa le stalle d’Augia,  in Omero non menzionato, e per il ricordo delle armi di ENEA opera  di Vulcano, tolto da VIRGILIO (si veda) non da Omero.  In connessione col precedente argomento, Tertulliano ricorda an-  cora le irriverenze contro gli Dei scritte dai filosofi, specie dai cinici  (tra cui pone Varrone, che chiama il Cinico Romano  e a cui rimprovera l’aver introdotto ter centos foves sive Jupitros sine capitibus),  e quelle peggiori contenute nei mimi e nella letteratura  istrionica, aggravati dalla circostanza che gli istrioni spesso rappresentano essi stessi la divinità, e, dice: vidimus aliquando castratura  Attin, Mura Deum ex Pessinunte, et qui vivus ardebat Eerculem in -  dueraL Di tutto ciò nulla in M.. Invece di nuovo vanno di con-  serva nel rinfacciare al paganesimo i sacerdoti corrotti e corruttori.  Apoi.: in templis adul - Oct.: dopo ricordati i molti   teria componi, inter aras lenocinia incesti delle Vestali, continua: «ubi   tractari, in ipsis plerumque aedituo- autem magis a sacerdotibus quam inter   rum et sacerdotum tabernaculis sub aras et delubra condicuntur stupra,   isdem vittis et apicibus et purpuris tractantur lenocinia, adulterio medithure flagrante libidinem expungi. tantur? frequentius denique in aedituorum cellulis quam in ipsis lupana-  ribus flagrans libido defungitur.   Si avverta nel latino di Minucio il meditantur usato passivamente con  una ripetizione inutile di concetto dopo il condicuntur stupra ; si noti   [Salvo se V alibi di M. voglia interpretarsi: «presso altri autori.  Ma tale interpretazione ripugna al contesto, perchè poco di poi, ricordato ancora  Tadulterio di Marte e Venere, e i rapporti di Giove e Ganimede, soggiunge : quae  omnia in hoc (scil. Homero) prodita ut vitiis hominum quaedam auctoritas pararetur. pure l’esagerazione del frequentius quam inipsìs lupanaribus che guasta  il concetto espresso dal plerumque di Tertulliano ; in terzo luogo si  avverta l’epiteto flagrans attribuito alla libido, in luogo del thure fla-  grante così significativo di Tertulliano. Infine quel defmgitur, usato  assolutamente, e con soggetto di cosa in senso di « si sfoga » o in  quello passivo di viene saziata è tanto poco giustificato da altri  esempi di scrittori latini (*), che fa pensare a un errore del testo. Forse  in luogo di defmgitur, va letto: expungitur . Tertulliano dopo le cose dette, si dispone a venire alla parte po-  sitiva della sua Apologia, ma prima confuta ancora le dicerie  sparse sul conto de’ Cristiani, che essi adorassero una testa d’asino e  avessero in venerazione la Croce. Quanto alla prima, ne attribuisce  l’origine a Tacito, che avendo narrato nel quinto delle Storie l’esodo  degli Ebrei dall’Egitto, e la sete patita nel deserto, e il fatto che una  fontana era stata indicata da alcuni asini selvatici, aveva soggiunto  che gli Ebrei grati a queste bestie del beneficio ricevuto avevano preso  a venerarle. Di poi la stessa cosa sarebbe stata attribuita ai Cristiani  come setta affine ai Giudei. Eppure, dice Tertulliano, lo stesso Tacito  narra bene che quando Pompeo presa Gerusalemme entrò nel tempio,  non vi trovò alcun simulacro. Piuttosto ai pagani possono i Cristiani  rinfacciare che i giumenti e gli asini intieri venerano insieme colla  dea Epona. Quest’ultimo punto, e solo questo, trovasi anche in Minucio  onde può riscontrarsi: Tertull. Apoi.:Tostameli Min.: vos et totos asinos   non negabitis et iumenta omnia et totos in stabulis curri vestra \jveT} Epona concantherios curri sua Epona coli a vobis secratis, et eosdem asinos cum Iside   (cfr. ad Nationes: sane vos totos religiose decoratis.   asinos colitis et cum sua Epona et  omnia iumenta et pecora et bestias quae  perinde cum suis praesepibus consecratis. Impersonalmente trovasi usato defungor in Tee. Adelph.: utinam  hic sit modo defunctum, purché la finisca qui » ; e con soggetto di cosa pub  ricordarsi il barbiton defunctum bello di Orazio, la lira ha finito le sue  battaglie d’amore ». Abbastanza frequente è il defungor usato assolutamente ma con  soggetto personale come in Ter. Phorm.: cupio misera in hac re iam de-  funger e in Ovid. Am.: me quoque qui toties merui sub amore puellae,  defunctum placide vivere tempus erat . Sempre defungi ha senso di « finire la  parte sua, esaurire il proprio mandato. Il ricordo degli asini nel culto d’ Iside è solo minuciano, e si  aggiuuge ancora menzione di altri culti strani, come quello del bue  Api e di altre bestie venerate dagli Egiziani (forse dal De Nat. Deor.  di CICERONE.   Quanto al culto della Croce, osserva Tertulliano che anche i pa-  gani adorano i loro idoli di legno ; sarà dunque question di linee, ma  la materia è la stessa, sarà question di forma, ma è sempre il corpo  del creduto Dio. Del resto, dice, le immagini in forma di semplice palo  della Pallade Attica e della Cerere Paria, che gran differenza hanno  dal legno della croce? poiché ogni palo piantato verticalmente è una  parte della croce. Poi gli statuari, quando fabbricano un Dio, si ser-  vono d’uno scheletro ligneo a croce, tale in fondo essendo la figura  del corpo umano ; e un sopporto di legno della stessa foggia usasi pure nei  trofei e nelle insegne militari. M. parla di ciò.  Ecco alcuni riscontri:  Tertull.: Qui crucis nos reli-  giosos putat, consecraneus (correligionario) erit noster. Cum lignum aliquod propitiatur, viderit habitus dura  materiae qualitas cadera sit, viderit for-  ma dum id ipsum Dei corpus sit. Diximus originem deorum vestrorum a  plastis de cruce induci » (allusione a Ad  Nationes dove la fabbricazione  degli idoli con uno scheletro ligneo a  forma di croce è ampiamente descritta. Sed et Victorias adoratis cum in tropaeis cruces intestina sint tropaeorum. Religio Romanorum tota castrensis signa veneratur... Omnes illi imaginum  suggestus in signis monilia crucum  sunt; sipbara illa vexillorum et cantabrorum stolae crucum sunt. Laudo dili-  gentiam. Noluistis incultas et nudas cruces consecrare. Ad Nationes: Si statueris  hominem manibus expansis, imaginem  crucis feceris. Tertulliano poi parla ancora della venerazione del Sole attribuita  da alcuni ai Cristiani per l’uso loro di pregare rivolti ad Oriente Ma  anche questo, dice, non è rimprovero che si possa fare ai Cristiani, Min.: Cruces... nec colimus nec  optamus. Yos sane qui ligneos deos  consecratis cruces ligneas ut deorum  vestrorum partes forsitan adorates. Nani et signa et cantabra et ve -  xilla castrorum quid aliunt quam inauratae cruces sunt et ornatae? tropaea  vestra victricia non tantum simplicis  crucis faciem verum et adfixi hominis  imitantur.  Signum sane crucis naturaliter visimus in navi cum velis tumentibus  vehitur, cum expansis palmulis labitur;  et, cum erigitur iugum, crucis signum  est,* et cum homo porrectis manibus  deum pura mente veneratur.   praticando anche i pagani la preghiera al levar del sole. E se i Cri-  stiani fanno festa il giorno del sole (la domenica), fanno ciò per ben  altra causa che la religione del sole : pure i pagani nel dì di Saturno  (il sabato) si davano all’ozio e al mangiare, scimiottando, a sproposito,  i Giudei. Di ciò nulla in M..   Infine nell’Apologetico ricordasi la pittura da un miserabile mu-  lattiere messa in pubblico, a Roma, rappresentante una figura umana  con orecchie d’asino, e l’un dei due piedi ungulato, vestito di toga e  con un libro in mano, appostavi la iscrizione: Deus Christianorum  òvoxoirjtrjQ. Era un Giudeo l’autore di questo indecente scherzo (ad  Nat.); e la gente ci credette e per tutta la città scorreva sulle  bocche quell’ Onocoetes. Ma di tali mostri, soggiunge, veneransi più  fra i pagani che tra cristiani; chè essi hanno accolto tra i loro Dei  esseri con testa di cane e di leone, e corna di capri e d’ariete, e  coda di serpenti, alati le spalle o i piedi. Un fuggevole ricordo di  tali mostri è anche in M., che del resto si tace:   d) Tertull. : « Illi debebant adorare  statim biforme numen, quia et canino  et leonino capite commixtos, et de ca-  pro et de ariete cornutos, et a lumbis  hircos et a cruribus serpentes et pianta  vel tergo alites deos receperunt. Solo è invece M. a scagionare i Cristiani dell’accusa di adorare sacerdoti virilia; alla quale occasione ritorce contro gli avversari la taccia di impudicizia, ricordando le licenze sessuali onde quei  cinedi si disonoravano. Min.: item bonra capita et  capita vervecum et immolatis et colitis,  de capro etiam et de homine mixtos  Deos et leonum et canum vultn deos  dedicatis. Ma venendo ornai alla parte positiva della dottrina, Tertulliano  celebra il Dio unico, creatore del cosmo,  invisibile sebben si veda, incomprensibile sebbene in via di grazia divenga presente, inestimabile sebbene coll’umano sentimento si stimi.  E in quanto si vede, si comprende, si stima, Egli è minore dei  nostri occhi, delle nostre mani, dei nostri sensi; ma in quanto immenso, a sè solo è noto. Così la sua stessa grandezza lo rende noto e  ignoto insieme a noi. Ecco appunto il gran delitto, consistente nel  non voler riconoscere Dio, mentre non si può ignorare. Non lo attestano le sue opere? non lo attesta la stessa anima? la quale sebbene incarcerata nel corpo, svigorita dalla concupiscenza, fatta ancella di  falsi Dei, pure quando rientra in sè e sente la sua sanità naturale,  esce fuori in esclamazioni, quali: Dio buono e grande!, e: ci  sia propizio Iddio!, e : Dio vede, e : a Dio ti raccomando e  simili; e queste cose, esclama, non rivolta al Campidoglio, ma al Cielo,  sede naturale del Dio vivo. In Minucio la parte positiva del discorso,  per quel che riguarda la filosofia o teologia razionale, precede la parte  polemica o negativa. Del Dio unico parla Ottavio in principio del suo  discorso, e trovansi diversi luoghi paralleli a passi di  Tertulliano. Eccoli: Tertull.: deus ... totam molem  istam verbo quo iussit, ratione qua  disposuit, virtute qua potuit de nihilo  expressit.   Per il dispensare in confronto col  disponere, vedi CICERONE. Orai.: inventa  non solum ordine sed edam momento  quodam atque iudicio dispensare atque  disponere .  Invisibilis est incomprehensibilis... inaestimabilis. quod immensum est, soli sibi  notus est. Anima cum sanitatem suam  patitur, deum nominat. Deus bonus  et magnus et quod Deus dederit 1  omnium vox est. Iudicem quoque contestato illum ‘ Deus videt ’ et  Deo  commendo, et  Deus mihi reddet \ 0  testimonium animae naturaliter Christianae! Denique pronuntians haec non  ad Capitolium sed ad caelum respicit».   Su questo tema dell’anima naturalmente cristiana è noto che Tertulliano scrisse più tardi un opuscoletto a parte intitolato appunto  De testimonio animae, dove le stesse idee sono esposte con maggiore  ampiezza ed efficacia.    Min.: Qui Deus universa quaecumque sunt verbo iubet, ratione dispensai, virtute consummat hic non videri potest... nec  comprendi potest nec aestimari. Immensus et soli sibi tantus quan-  tus est notus ».   « Audio vulgus; cum ad caelum ma*  nus tendunt, nihil aliud quam * o Deus ’  dicunt et ‘Deus magnus est’ et * Deus  verus est’ et ‘ si Deus dederit’. Yulgi  iste natoalis sermo est an Christiani  confidente oratio ? L’Apologetico e importante per le  indicazioni delle fonti letterarie della dottrina cristiana. Ricordati i  primi storici ispirati dall’Ebraismo e i profeti e i libri ebraici tradotti in greco dai Settandue per suggerimento di Demetrio Falereo al tempo  <ìi Tolomeo Filadelfo, ricordata l’antichità  dei primi scrittori ebraici molto maggiore di qualsiasi memoria greca,  e fatto anche un cenno di altre fonti storiche greche, egiziane, caldee,  fenicie fino a Giuseppe Ebreo, notata la concordia e completezza delle  profezie che pronunziarono gli avvenimenti secondo verità, e hanno  acquistata autorità sicura anche per le cose ancora da venire,  Tertulliano espone la dottrina di Cristo uomo e Dio.  La teoria della Trinità divina in unità di sostanza è qui già chiara-  mente formolata, e confermasi l’idea del Àóyog, o parola o ragion  divina artefice dell’universo, con testimonianze di antichi filosofi. Poi  si riassume la storia di Gesù e ricordasi la divulgazione della dottrina di lui fatta dagli Apostoli, fino alla persecuzione neroniana. Ecco  dunque, conchiude, qual’ è la nostra fede, che noi sosteniamo anche  fra i tormenti : Deum colimus per Christum . Cristo è uomo ma in  lui e per lui Dio vuol essere riconosciuto e adorato. Di questa, che è la sostanza del Cristianesimo, Minucio tace  affatto; non nomina neppur Cristo, pur parlando a ogni piè sospinto  de’ Cristiani. È questo il lato debole dell’ Ottavio. Solo in un punto  uvvi una non chiara allusione alle dottrine dell’uomo-Dio, uve per iscagionare i correligionari dall’accusa di venerare un delin-  quente dice : « molto siete lungi dal vero, se ritenete si creda da noi  deum aut meridie ìioxium aut potuisse terrenum, che un Dio o si  rendesse colpevole da meritar supplizio o potesse come cosa terrena  subirlo; parole non abbastanza chiare nel testo latino, e che diedero  luogo a ben disparate interpretazioni. Minucio in questo luogo è rimasto  inferiore a sè stesso, nè s’avvide come questa dottrina fondamentale  meritava più ampio svolgimento in una difesa del resto eloquente e  sentita della nuova religione. Continuando Tertulliano la esposizione sua, parla dell’esistenza di sostanze spirituali, esistenza ammessa già dai  filosofi e poeti antichi come dal volgo; e, ricordata la caduta di alcuni angeli e l’origine dei demoni, parla dell’opera di costoro tutta  rivolta a dannar l’uomo; son essi che eccitano le più strane passioni  u pazzi capricci e corruttele dell’anima; son essi che ingenerano la  fede negli Dei falsi e bugiardi, e, colla loro rapidità di movimenti e parziale notizia del vero anche futuro, ispirano oracoli e vati, e in tutto  contribuiscono a ingenerare inganni e deviar la mente dal vero Dio.  I miracoli dei maghi son da loro ; da loro spesso i sogni e ogni specie  di divinazione. La più bella prova di ciò, dice Tertulliano, è questa  che se uno invaso da un demone si trovi in faccia a un Cristiano, e  questi dia ordine al demone di parlare, quegli senz’altro si confesserà,  quel che è ; e così pure quelli che son creduti invasi da un Dio, in  presenza d’un cristiano confessano di essere nient’ altro che demoni. Il  nome di Cristo basta ad atterrire questi esseri ; una prova di più cho  il nostro è l’unico Dio e vero, e che non esistono gli Dei pagani. Sicché si vede quanto poca regga l’accusa di lesa religione romana, mentre  di vera irreligiosità si macchiano gli avversari coll’ adorare i falsi Dei,  e diversi nelle diverse regioni, e altresì coll’ impedire a noi il culto  del vero Dio. Tali pensieri trovansi su per giù anche in M.. Ottavio discorre degli spiriti mali, degradati dalla  loro primiera innocenza e tutti intenti a perdere anche gli altri. Tale  discorso continua r  offrendo vari luoghi paralleli a Tertulliano. Tertull. Apolog,:Sciunt  daeraones philosophi, Socrate ipso ad  daemonii arbitrium exspectante. Quidni?  cum et ipsi daemonium a pueritia adhaesisse dicatur, dehortatorium piane a bono. Omnes sciunt poetaen. Min.: eos spiritus daemones-  esse poetae sciunt, philosophi disserunt,  Socrates novit, qui ad nutum et arbitrium adsidentis sibi daemonis vel deeli nabat negotia vel petebat. Il demonio socratico è da Tertulliano giustamente detto debortatorium  a borio; meno esattamente Minucio gli attribuisce efficacia e positiva  e negativa contro la nota verità storica. Quid ergo de ceteris ingeniis  vel etiam viribus fallaciae spiritalis edisseram? phantasmata Castorum, et  aquam cribro gestatara, et navem cingalo promotam f et barbam tactu inrufatam, ut numina lapides crederentur  et deus verus non quaereretur ? Min.: de ipsis daemonibus etiam illa quae paullo ante tibi  dieta sunt, ut Iuppiter ludos repeteret  ex somnio, ut cum equis Castores viderentur, ut cingulum matronae navicula sequeretur. Tali esempi di miracoli erano conosciuti volgarmente dai libri relativi  all’arte divinatoria, e in riassunti dottrinali non fa meraviglia di veder  citati or gli uni or gli altri.  Tertull.: « Iussus aquolibet chrifitiano loqui spiritus ille tam se daerannem confitebitur de vero quam alibi dominum de falso. Aeque producatur aliquis ex his  qui de deo pati existiraantur Ista  ipsa Virgo caelestis pluviarum pollicitatrix, ipse iste Aesculapius medicina- Tum demonstrator nisi se daemones confessi fuerint Christiano mentiri non  audentes etc. vobis praesentibus erubescentes. Credite illis, cura verum de se lo-  quuntur, qui mentientibus creditis. Nemo ad suum dedecus mentitur, quin  potius ad honorem de corporibus nostro imperio  «xcedunt inviti et dolentes sciunt pleraque pars vestrum ipsos  daemonas de se met ipsis confiteri,  quotiens a nobis tormentis verborura  et oratìonis incendiis de corporibus  exiguntur. Ipse Saturnus et Serapis et Iuppiter... vieti dolore quod sunt eloquuntur.  nec utique in turpitudinem sui,  nonnullis praesertim vestrum adsisten-  tibus mentiuntur . Ipsis testibiis esse  eos daemonas credite fassis adiurati per deum verum et solum inviti miseri corporibus inhorre-  scunt et... exsiliunt. Un altro riscontro ancora notasi volgendo rocchio a Tertulliano ove si riprende il discorso degli angeli e dei demoni. Licet subiecta sit nobis tota vis daemonum et eiusmodi spirituum, ut  nequam tamen servi metu nonnunquam contumaciam miscent, et laedere gestiunt quos alias verentur. Odium enim  etiam timor spirat.  Inserti mentibus imperitorum odium nostri serunt occulte per timorem ;  naturale enim est et odisse quem timeas et quem oderis infestare si possis. In Tertulliano sono i demoni che temendo i Cristiani, appunto per ciò  qercano di offenderli, perchè il timore partorisce odio. In Minucio si  fa che i demoni insinuino nei pagani Todio contro i Cristiani per mezzo  del timore. Ma ciò, si noti, è meno naturale, perchè i pagani non avevano nessuna ragione di temere i Cristiani. Li odiavano invece senza  conoscere la loro dottrina ; ma ciò non ha a che fare col timore. Non  a proposito dunque Minucio fece sua quest’osservazione psicologica dell’odio figlio del timore.   Infine a riguardo della varietà politeistica, Tertulliano ricorda le bestie venerate in Egitto ; e qui è da fare un raffronto con M. Tertull.: Aegyptiis permissa est tam vanae superstitionis po-  testas avibus et bestiis consecrandis et  capite damnandis qui aliquem huiusmodi deum occiderint. Min.: nec eorum (Aegyptiorum)  sacra damnatis instituta serpentibus,  crocodilis, belluis ceteris et avibus et  piscibus, quorum aliquem deum si quis  occiderit etiam capite punitur. Una delle ragioni che i pagani opponevano più frequentemente  alle censure dei loro Dei fatte dai seguaci del Cristo, era questa che  a buon conto Roma doveva la sua grandezza alla religiosità tradizio*  naie e al rispetto degli Dei e delle cerimonie istituite in loro onore.  Di questa idea appunto si fa interprete Cecilio Natale presso M.  nel suo discorso in difesa del paganesimo. I Cristiani  dovettero ribattere queste ragioni, mostrando che Roma se era grande  non doveva nulla ai falsi Dei. Tertulliano svolge questo punto nell’Apologetico. Con ironia comincia a chiedere se Dei  quali Stercolo e Mutuno e Larentina hanno potuto promuovere l’imperio ; poiché, dice, non è da supporre che Dei forestieri, come la Gran  Madre, favorissero Roma, a detrimento dei loro fedeli indigeni. Del  resto, soggiunge, molti Dei romani furono prima re ; da chi ebbero la  podestà regia? Forse da qualche Stercolo. E il potere di Roma già  era, molto prima che si costituisse il culto ufficiale, e che di idoli  greci ed etruschi fosse inondata la città. Ma poi tutta la storia romana è prova di irreligiosità piuttostochè di religiosità. Guerre e  conquiste di città come si fanno senza ingiuria agli Dei, senza distruzione di templi e stragi di cittadini e di sacerdoti, e rapine di ricchezze sacre e profane? E come può essere che gli Dei delle città  vinte tollerino poi d’essere adorati dai conquistatori ? Non possono dunque  essersi fatti grandi per merito della religione quelli che crebbero coll’offenderla o crescendo l’offesero. Anche Ottavio in M., svolge questi pensieri, ricordando le scelleratezze compiute da Romolo in poi, e mostrando la improbabilità che i Romani siano stati aiutati dai loro Dei vernacoli come  Quirino, Pico, Tiberino, Conso, Pilunno, Volunno, Cloacina, il Pavor  e il Pallor, la Febbre, Acca Laurenzia e Flora; tanto meno li aiuta-  rono gli Dei forestieri come Marte Tracio, Giove Cretese, Giunone o  Argiva o Samia o Punica che dir si voglia, Diana Taurica, la madre  Idea, o le non divinità ma mostruosità egiziane, (ricordi attinti a CICERONE e Seneca, v. ediz. Waltzing. Ecco qualche riscontra  con Tertulliano: Tertull.: Tot igitur sacrilegia Min.: totiens ergo Romania   Romanorum quot tropaea, tot de deis impiatum est quotiens triumphatum,   quot de gentibus triumphi, tot manu- tot de diis spolia quot de gentibus et   biae quot manent adhuc simulacra capti- tropaea.  vorum Deorum. Omne regntim vel imperium  bellis quaeritur et victoriis propagata.  Porro bella et victoriae captis et eversis  plurimum urbibus Constant. Id negotium sine deorum ini uria non est. Eadem  strages moenium et templorum pares  caedes civium et sacerdotum, nec dissimiles rapinae sacrarum divitiarum et  profanarum. Tertull.: Videte igitur  ne ille regna dispenset cuius est et orbis  qui regnata et homo ipse qui regnat...  Regnaverunt et Babylonii ante ponti -  fices et Medi ante XVriros et Aegyptii  ante Salios et Assyrii ante Lupercus,  et Amazones ante Virgines V est ale s. civitates proximas evertere cum  templis et altaribus disciplina com-  raunis est Ita quicquid Romani tenent  colunt possident, audaciae praeda est:  tempia omnia de manubiis, i. e. de  ruinis urbium, de spoliis deorum, de  caedibus sacerdotum. Hoc insultare et  inludere est.... adorare quae manu ceperis, sacrilegium est consecrare non  numina.   Min.: ante Romanos deo dispensante diu regna tenuerunt  Assyrii, Medi, Persae, Graeci etiam et  Aegyptii, cum pontifices et arvales et  salios et vestales et augures non haberent nec pullos caveas reclusos quorum cibo vel fastidio reip. summa regeretur. Per non volere i Cristiani sacrificare agli idoli, erano tacciati sì  di irreligiosità, ma non potevano essere processati per questo, essendo  ciascuno libero di avere, come gli piaccia, favorevoli o sfavorevoli gli  Dei. Formale accusa invece si moveva loro per non volere sacrificare  in onore dell’ imperatore divinizzato, e chiamavan questo lesa maestà.  Di ciò parla Tertulliano. La cosa si capisce, die egli ;  voi avete più paura e usate furbescamente più riguardi a Cesare che  a Giove stesso in Cielo. In fondo avete ragione; perchè un vivo vai  più dun morto. Ma commettete voi in questo colpa d’irreligiosità,  dando la preferenza a una dominazione umana; e più presto si sper-  giura da voi per tutti gli Dei che per il solo genio di Cesare. A questo punto è a notare una lieve somiglianza col discorso di  Ottavio presso Minucio, là dove rimprovera i pagani del prestar culto  divino ad un uomo, e dell’ invocare un nume che non c’ è ; pure, dice,  è per loro più sicuro spergiurare per il genio di Giove che per quello  del re.  Tertull.:  citius de- Min.: et est eis tutine per   nique apud vos per omnes Deos quam Ioyìs genium peierare quam regis.  per unum genium Caesaris peieratur. Segue in Tertulliano un gruppo di capitoli bellissimi in cui con calorosa eloquenza si fa vedere quanto più  onesti ed efficaci voti facessero i Cristiani pregando per la salute dell’imperatore il Dio uno e vero, e a cbi solo può dare chiedendo per  lui lunga vita, securo imperio, casa tranquilla, forte esercito, senato  fedele, popolo probo, mondo quieto; e ciò non con apparati di culto  esterno, ma con sincerità d’anima e innocenza di vita.  I Cristiani, dice, hanno imparato dal loro Maestro a pregare anche per  i nemici e i persecutori; e nel far voti per la diutur-  nità dell' impero, sanno di ritardare quel cataclisma che minaccia all’orbe universo la fine. Ma non possono chiamare Dio  l’ imperatore senza derisione di lui e ingiuria al vero Dio. Perchè dunque saranno qualificati come nemici pubblici?  Forse perchè si astengono dalle licenziose feste pubbliche celebrate a  solennizzare qualche lieto avvenimento della casa imperiale? A buon  conto, non dai Cristiani, ma dal novero dei Komani escono e i Cassii  e i Nigri e gli Albini, cioè i ribelli all’autorità imperiale; i quali  pure avevan preso manifesta parte alla feste pubbliche e ai pubblici  voti per la salvezza dell’ imperatore. La vera sudditanza  e fede dovuta all’autorità sta nei buoni costumi e nei rapporti d’onestà  quali noi Cristiani serbiamo con tutti. Amando noi i  nostri nemici, chi possiamo ancora odiare? Inibita a noi la vendetta,  chi possiamo offendere? Quando mai i Cristiani pensarono a vendi-  carsi neppure del volgo che li malmenava, non rispettando nemmeno  i morti? Eppur quanto facimente avrebber potuto preparare le loro  vendette in segreto, o anche dichiarare aperta guerra, tanto numerosi  essi già sono in tutte le città, nelle isole, nei municipi, nei campi  militari, nel senato stesso e a corte ! Potevano anche senz’armi pugnare,  ritirandosi in qualche angolo remoto del mondo e lasciando dietro sè  una spaventosa solitudine. Eppure ci avete chiamati nemici del genere umano, anziché « dell’errore umano. Che ragion vi era di non considerare la nostra setta come una factio licita,  dal momento che non facciamo nulla che turbi la società, e produca divisioni, attriti, violenze? Una repubblica sola noi riconosciamo, il  mondo. Ai vostri spettacoli rinunziamo, perchè ne conosciamo l’origine  dalla falsa religione. In che v’offendiamo, se abbiamo altri gusti e  piaceri? L’unità della fede e della speranza ci unisce  e ci affratella. Ci aduniamo a pregare e a leggere i libri santi; ivi  ci esortiamo a far bene, e ci rimproreriamo se manchiamo ai nostri  doveri. Si contribuisce un tanto al mese per alimentare i poveri e so-  stenere le spese delle sepolture e dei derelitti. Il nostro mutuo amore  4, dà noia agli avversari, perchè essi si odiano, noi siamo pronti a morire l’un per l’altro, quelli ad uccidersi l’un l’altro. Ci riconosciamo  fratelli, perchè abbiamo lo stesso padre Iddio,, e come si mescolano le  nostre anime, così mettiamo in comune le sostanze. Tutto è da noi  accomunato, salvo le mogli. Le nostre cene sono parche e denominate  con parola significante amore, e lì si prega prima di mangiare come  dopo, e si canta, chi sa farlo, in onor di Dio. Che male c’ è, o a chi  torna di danno tutto ciò, da parlare di factìo illicita? A questo punto, il dialogo di M. offre qualche possibilità di  riscontro con l’Apologetico. Giacché, dopo confutata l’accusa di cene  incestuose, Ottavio nel suo discorso prende subito a celebrare l’ inno-  cenza dei costumi cristiani, e qua e là il suo pensiero corre parallelo  a quel di Tertulliano.   a ) Tertull. c. XXXIX, fin.: « haec Min.: nec factiosi (così   coitio Christianorum merito damnanda THerald; il cod. ha: ‘fastidiosi 1 ) su-   I si quis de ea queritur eo titillo quo de mus, si omnes unum bonura sapimus   factionibus querela est. In cuius perni- eadem congregati quiete qua singuli.  ciem aliquando convenimus? Hoc su-  mus congregati quod et dispersi, hoc  universi quod et singuli, neminem lae-  dentes, neminem contristantes. Sed eiusmodi vel maxime dile- sic mutuo, quod doletis amore   ctionis operatio notam nobis inurit pediligimus, quoniam odisse non novimus,   nes quosdam. Vide, inquiunt, ut in vicem sic nos, quod invidetis, frati es vocamus,   se diligant; ipsi enim invicem oderunt; ut unius dei parentis homines, ut con-   et ut prò alterutro mori sint parati; sortes fidei, ut spei coheredes. Yos enim   ipsi enim ad occidendum alterutrum pa- nec invicem adgnoscitis, et in mutua   ratiores erunt. Sed et quod fratres nos odia saevitis, nèc fratres vos nisi sane   vocamus, non alias opinor, insaniunt ad parricidium recognoscitis. quam quod apud ipsos omne sanguinis  nomen de affectione simulatum est. Fra-  y tres autem etiam vestri sumus at   quanto dignius fratres et dicuntur et  habentur qui unum patrem Deum agnoverunt, qui unum spiritum biberunt sanctitatis, qui de uno utero ignorantiae  eiusdem ad unam lucem exspiraverunt  Veritatis. Tertull.: Deo offero  opimam et maiorem hostiam... orationem de carne pudica, de anima innocenti, de spiritu sancto profectam. Tertull.: Aeque spectaculis vestris in tantum renuntiamus  in quantum originibus eorum, quas scimus de superstitione conceptas, cupi et  ipsis rebus de quibus transiguntur praetersumus. Nihil est nobis dictu, visu,  auditu cum insania circi, cum impudi-  citia theatri, cum atrocitate arenae, cum  xysti vanitate. Min.: qui innocentiam colit  Deo supplicat, qui iustitiam Deo libat...  qui hominem periculo subripit, opimam  (il cod. ha optimam) vidimavi caedit: a nos. . merito malis voluptatibus et pompis et spedaculis ve-  stris abstinemus, quorum et de sacris  originem novimus, et noxia blandimenta  damnamus. Nam in ludis circensibus  (così leggo io, il cod. ha: currulibus)  quis non horreat populi in se rixantis  insaniam ? in gladiatoriis homicidii di-  sciplinami? in scenicis etiam non minor  furor et turpitudo prolixior ; nunc enira  mimus yel exponit adulteria vel monstrat, nunc enervis histrio amorem dum  fingit infigit I capitoli XL e XLI dell’Apologetico contengono la confutazione  dell’accusa che delle pubbliche calamità fossero causa i Cristiani, come  8’ andava già fin d’allora vociferando, e si seguitò a dire per molte ge-  nerazioni. Tertulliano ricorda molti cataclismi, isole scomparse, terre-  moti e maremoti, e il diluvio, e l’ incendio di Sodoma e Gomorra, di-  sastri avvenuti tutti avanti al Cristianesimo. E col distruggersi delle  città, dice, si distruggevano anche i templi degli Dei; prova che non  veniva da loro ciò che anche a loro accadeva. Bensì il Dio unico e  vero non poteva essere propizio a chi ne disconosceva i favori. Del  resto, i mali ora sono minori di prima, e ciò è dovuto alle preghiere  dei Cristiani che disarmano l’ira divina. Che se il nostro Dio per-  mette i disastri anche a danno de' suoi cultori, ciò non ci stupisce nè  sgomenta, aspirando noi a vita più alta e migliore. Di tutto questo in  Minucio non v’ è parola. Altro titolo d’ ingiurie contro i Cristiani era il ritenerli alieni  dagli affari e disutili al commercio locale. Tertulliano dedica a questo  argomento i capitoli XLII e XL1II, dove fa vedere l' insussistenza di  questo rimprovero. Vivevano bene i Cristiani come gli altri, serven-  dosi e dei mercati e delle botteghe e delle officine e dei bagni pubblici. Che se si astenevano da certi usi, se non si coronavano di fiori  la testa, se non intervenivano agli spettacoli, se non sovvenivano i  templi pagani coi loro contributi, avevano bene ragione di farlo. E del  pari certo quattrini non ricevevano da loro nè i lenoni, nè.i sicari,  nè i magi, nè gli aruspici, nè altri tali ; ma in compenso i Cristiani  eran tutte persone innocue da non dar ombra a nessuno.   Qui, rispetto alluso di portar corone di fiori in capo, si può con-  frontare :   Tertull.: non amo  capiti coronam. Quid tua interest, em-  ptÌ8 nihilominus floribus quomodo utar ?  Puto gratius esse liberis et solutis et  undique vagis. Sed etsi in coronam  coactis, nos coronam nariòus novimus,  viderint qui per capillum odorantur.    Min. c. 38, 2 : « quis autem ille qui  dubitat vernis indulgere nos floribus,  cum capiamus et rosam veris et lilium  et quicquid aliud in floribus blandi co-  loris et odoris est? his enim et sparsis  utimur, mollibus ac solutis, et sertis  colla complectimur. Sane quod caput  non coronamus, ignoscite; auram bo-  nam floris nariòus ducere non occipitio  capillisve solemus haurire. 1 due capitoli che seguono in Tertulliano, il XLIV e il XLY,  sono rivolti a segnalare l’ innocenza dei Cristiani, proveniente dal se-  guire essi una legge non umana ma divina, e dal considerarsi come in  presenza di Dio sempre, di Dio scrutatore, giudice e vindice.    b) Terlull. Tot a vobis  nocentes variis criminum elogiis recen-  sentur; quis illic sicarius, quis manti-  cularius, quis sacrilegus aut corruptor  aut lavantium praedo, quis ex illis etiam  Christianus adscribitur? aut cum Chri-  stiani suo titulo offeruntur, quis ex illis  etiam talis qttales tot nocentes? De  vestris semper aestuat career, de vestris  semper metalla suspirant, de vestris  semper bestiae saginantur, de vestris  semper munerarii noxiorum greges pascunt. Nemo illic Christianus nisi piane  tantum Christianus, aut si et aliud iam  non Christianus ».   c) : quid perfectius, prò-  hibere adulterium, an etiam ab oculorum solitaria concupiscentia arcere ? : u Christianus uxori suae  soli masculus nascitur. Min.: de vestro numero  career exaestuat, Christianus ibi nullus  nisi aut reus suae religionis aut'profugus: vos enim adulteria pròhibetis et facitis, nos uxoribus nostris  solummodo viri nascimur. Pur vinti da tanta copia di fatti e bontà di ragioni, non si arrendevano gli avversari de’ Cristiani, e, a corto d’altri argomenti, finivano con dire che in sostanza le massime cristiane non erano cosa  nuova, ma erano già state professate e praticate dai filosofi. Di ciò  Tertulliano nel capitolo XLYI, dove istituisce un eloquente confronto  tra le massime e la vita pagana da una parte e i precetti e costumi  cristiani dall’ altra, per dimostrare la superiorità dei secondi. Qui un  riscontro con M.:   Tertull. c. XLVI: a ... licet Plato Min. c. 19, 14: u Platoni... in Ti-   adfirmet factitatorem universitatis ne- maeo deus est ipso suo nomine mundi   que inveniri facile et inventum enar- parens, artifex animae, caelestium ter-  rari in omnes difficile. Cfr. Plat. Tim. renorumque fabricator, quem et inve-: « Tòv fxhv noirjrijy xai nire difficile praenimia et incredibili   naréga tovóe tot) navròg eògeìv re eg- potestate (cfr. Plato qui inve-  lo!', xai etigóvia elg ndvrag àóvvarov nire Deum negotium credidit, et   Xéyeivn. cum inveneris in publicum praedicere   impossibile praefatur. Non può negarsi, riconosce Tertulliano, che i filosofi  antichi hanno espresso molte cose vere, ma queste son derivate dalla  fonte dei nostri profeti. E queste stesse verità sono involute e com-  mescolate a ipotesi e opinioni disparatissime, sicché poi questi filosofi  sono in completo disaccordo gli uni cogli altri. Tale varietà d’opinioni  pur troppo venne anche introdotta nella setta cristiana, sicché bisognò  prescrivere ai nostri adulteri, quella essere regola di verità la quale  venga a noi trasmessa da Cristo per mezzo de’ suoi compagni. Per queste  adulterazioni della verità, insinuate dagli spiriti dell’errore, certi prin-  cipii già si trovano tra i pagani, come il giudizio finale delle anime,  le pene dell’inferno e il soggiorno delizioso degli Elisi, ma tali prin-  cipii in quanto hanno del vero, sono di origine nostra. Tertull.: quis poetarum, quis Min.: animadvertis philososophistarum,qui non omnino de prò- pbos eadem disputare quae dicimus,   pbetarum fonte potaverit? non quod nos simus eorum vestigia   u Unde baec ... nonnisi de nostris sasubsecuti, sed quod illi de divinis praecramentis? Si de nostris sacramentis, dictionibus profetarum umbram inter-   ut de prioribus, ergo fideliora sunt no- polatae veritatis imitati sint ».  stra magisque credenda, quorum imagines quoque fìdem inveniunt. Una delle credenze cristiane più combattute e derise dagli avversarli, era quella della resurrezione finale dei corpi e del ritorno delle  anime in que’ corpi che già avvivarono. A questo dogma dedica Ter-  tulliano il cap. XLYIII, adducendo la ragione della divina onnipo-  tenza, che come ha dal nulla creato il mondo, così può far risuscitare  i corpi morti. Non è quotidianamente sotto gli occhi nostri il segno  della resurrezione nell’alternativa della luce e delle tenebre, nel tramontare e rinascere delle stelle, nel rifarsi delle stagioni e dei prodotti  della natura? Se a Dio fosse piaciuta altresì l’alternativa della morte  e della resurrezione, chi l’avrebbe impedito? Volle invece che alla  condizione presente di vita passeggera, si contrapponesse un’altra vita  eterna, e a questa passassero tutti risorgendo coi corpi, per vivere  un’eternità di premio o di pena secondo i meriti di ciascuno. E il fuoco  eterno che aspetta i dannati, è di natura ben diversa dal nostro; come  altro è il fuoco che serve agli usi umani, altro quello che apparisce  nei fulmini del cielo o nelle eruzioni dei vulcani, perchè questo non  consuma quello che brucia, e mentre disfa, ripara. Tali principii se  sono professati da filosofi e da poeti, si tollerano e si lodano; perchè  noi Cristiani dobbiamo esserne derisi e anche puniti? Infine queste  credenze sono utili, perchè allontanano dal mal fare colla paura dei  divini castighi, e, alla peggio, non fan male a nessuno. Anche M. mette in bocca al suo Ottavio alcune considera-  zioni sulla fine del mondo e la risurrezione dei morti, dedicandovi tutto il  capo 34 e parte del 35. Sulla fine del mondo ricorda le opinioni  degli Stoici e degli Epicurei e anche di Platone circa la conflagrazione  finale dell’universo, e giustifica così la credenza cristiana. Per la risurrezione pure cita Pitagora e Platone, ma solo per dimostrare che i  saggi pagani in questo vanno in qualche modo d'accordo coi Cristiani.  Ricorre anch’egli all’argomento dell’onnipotenza divina e alla possibi-  lità che rinasca dal nulla quello che dal nulla ebbe origine, come  accenna pure ai segni di risurrezione dati dalla natura, e alle condizioni del fuoco eterno. Qui alcuni riscontri: Tertull.: sed quomodo, inquis, dissoluta materia exhiberi  potest? Considera temetipsum, o homo,  et fidem rei invenies. Kecogita quid  fueris antequam esses. Utique nihil; Min.: quis tam stultus  aut brutus est, ut audeat repugnare,  hominem a Deo ut primum potuisse  fingi, ita posse denuo reformari? Sicut  de nihilo nasci licuit, ita de nihilo limeminisses enim si quid fuisses. Qui cere reparari? porro difficilius est id   ergo nihil fueras priusquam esses, idem quod non sit incipere, quam id quod   nihil factus cum esse desieris, cur non fuerit iterare. Tu perire et Deo credis   possis rursus esse de nihilo eiusdem si quid oculis nostris hebetibus subipsius auctoris voluntate qui te voluit trahitur ? »   esse de nihilo ? Quid novi tibi eveniet ? Qui non eras factus es; cum iterum non  eris fies. Et tamen facilius utique fies  quod fuisti aliquando, quia aeque non  difficile factus es quod nunquam fuisti  aliquando. Lux coti die interfecta Min. ib. 11: «in solacium nostri   resplendet et tenebrae pari vice dece- resurrectionem futuram natura omnis   dendo succedunt, sidera defuncta vive- meditatur. Sol demergit et nascitur,   scunt, tempora ubi finiuntur incipiunt, astra labuntur et redeunt, flores occi-   fructus consummantur et redeunt, certe dunt et revirescunt, post senium ar-   semina non nisi corrupta et dissoluta busta frondescunt, semina nonnisi cor -   fecundius surgunt, omnia pereundo ser- rupta revirescunt».   vantar omnia de interitu reformantur. Tertull. ibid.: « Noverunt et phi- : Illic sapiens ignis   losophi diversitatem arcani et publici membra urit et reficit, carpit et nutrit.   ignis. Ita longe alius est qui usui hu- Sicut ignes fulminum corpora tangunt mano, alius qui iudicio Dei apparet, nec absumunt, sicut ignes Aetnaei monsive de caelo fulmina stringens, sive de tis et Vesuvi montis et ardentium ubi-   terra per vertices montium eructans: que terranno flagrant nec erogantur, non enim absumit quod exurit, sed dum ita poenale illud incendium non damnis   erogat reparat. Adeo manent montes sem- ardentium pascitur, sed inexesa corpo-   per ardentes, et qui de caelo tangitur, rum laceratione uutritur.   salvus est, ut nullo iam igni decinerescat. Et hoc erit testimonium ignis  aeterni, hoc exemplum iugis iudicii poenam nutrientis. Montes uruntur et durant. Quid nocentes et Dei hostes? Eccoci all’ultimo capitolo dell’Apologetica, dove il grande scrittore africano giustifica l’atteggiamento dei Cristiani, esultanti di essere  perseguitati e di soffrire anche la morte per la confessione di Cristo. Tale atteggiamento era oggetto di vive censure; eran considerati i  Cristiani come gente disperata e perduta. Pure gli antichi avevano celebrato invece come eroi gloriosi alcuni uomini che avevano patito,  senza scomporsi, i più atroci dolori, quali un Mucio Scevola, un Attilio  Regolo, ecc. Perchè han da stimarsi pazzi i Cristiani che fan lo stesso? Del resto, conchiude Tertulliano, fate pure, o buoni governanti, contentate la plebe tormentandoci, condannandoci, uccidendoci; codesta  crudeltà non servirà che ad aumentare il nostro numero; il nostro  sangue è seme; il nostro esempio e l’ostinazione che ci rinfacciate, fa  scuola ; perchè chi ci vede e ammira, sente di dover ricercare che cosa  ci sia sotto, e conosciuto vi si converte, e convertito desidera patire  alla sua volta per redimere la sua vita anteriore e ottenere Feterno premio.   Di analogo argomento, della resistenza dei Cristiani al dolore e  della lotta loro contro le minaccie e i tormenti dei carnefici, discorre  pure Ottavio in Minucio. Anche per lui  il soffrire non è castigo, è milizia, e non è vero che Dio abbandoni chi  soffre, anzi lo assiste e a sè trae. Che bello spettacolo per Dio quando  il cristiano scende in lizza col dolore e le minacce e le torture, e  contro re e principi difende a testa alta la libertà della sua fede, non  cedendo che a Dio, vincitore anche di chi lo condanna e uccide. Glo-  rioso ritiensi colui che tormenti ha sostenuto con costanza; ma altret-  tali e peggiori soffrono col sorriso sulle labbra i fanciulli e le donnicciuole cristiane, evidentemente perchè li aiuta Iddio. In manifesta  affinità di pensieri, non mancheranno riscontri di parole: Tertull. c. L: « ...Victoria est...  prò quo certaveris obtinere. Haec desperatio et perditio penes vos in causa gloriae et famae vexillum virtutis extollunt. Mucius dexteram suam libens in ara reliquit:  o sublimitas animi ! Empedocles totum  sese Catanensium Aetnaeis incendiis do-  navit : o vigor mentis! Aliqua Cartaginis conditrix rogo se secundum matrimonium dedit : o praeconium castitatis!  Regulus ne unus prò multis hostibus  viveret, toto corpore cruces patitur: o  virum fortem et in captivitate victorem! etc. Min.: vicit qui quod contendi obtinuit.  vos ipsos calamitosos vi-  ros fertis ad coelum, Mucium Scaevolam, qui cum errasset in regem perisset in hostibus nisi dexteram perdidisset. Et quot ex notfris non dextram solum  sed totum corpus uri, cremari, sine ullis  eialatibus,pertulerunt,cum dimitti prae-  sertim haberent in sua potestate! Viros  cum Mucio aut cum Aquilio aut Regulo Comparo? pueri et mulierculae  nostrae cruces et tormenta, feras et omnes suppliciorum terriculas inspirata  patientia doloris inludunt. Messoci sott’occhio ordinatamente e nel modo più compiuto possibile il materiale di raffronto fra Tertulliano e M., possiamo  risolvere il problema, quale dei due abbia avuto sott’occhio l’opera  dell’altro. A questo fine chi ci ha seguito fin qui voglia con noi fare due  osservazioni. La prima è che in molti luoghi si trova la stessa materia trattata con ampiezza e originalità di vedute da Tertulliano, e  accennata brevemente da Minucio; ad es. al § 1 c, come già s’è osservato, a tutta una teoria tertullianea sulla natura del male morale  e sull’atteggiamento del malvagio, teoria addotta per mostrare che non  era un male Tesser cristiano, corrisponde in Minucio un cenno fuggevole  della stessa sentenza; così al § 2 d, la natura della fama o diceria  è rilevata con minuziosa analisi da Tertulliano, ed è, in frase inci-  dente, come per transenna, e con parole per sè sole non chiare, toccata  da Minucio; lo stesso dicasi al § 6 i, sullo scheletro ligneo a forma  di croce adoperato nel fabbricare gli idoli; e ‘al § 13 b, sull’essere  i delinquenti in massima parte pagani e d’altri brani ancora. In tutti  questi casi si ha egli a pensare che Tertulliano, visto il breve cenno minuciano, n’ abbia preso occasione per ampliare e a volte costruire  una teoria intiera basata sull’osservazione psicologica? o non si presenta anzi spontanea l’ipotesi che M. abbia conosciute e fatte sue  le spiegazioni tertullianee, riassumendole dov’ e’ credeva opportuno? A  chi non parrà questo secondo processo ben più naturale del primo?  Non è questo il modo comune di lavorare in opere letterarie, quando  non si tratta di amplificazioni rettoriche e luoghi comuni? Chi potrà  credere il rapporto inverso, se tenga conto dell’ ingegno vigoroso, del  ragionamento serrato e a fil di logica di Tertulliano, in comparazione  dei discorsi alquanto rettorici da M. messi in bocca agli inter-locutori del suo dialogo? La seconda osservazione che noi vogliamo si faccia, ci conferma nell’ ipotesi della priorità di Tertulliano; e questa riguarda i passi dove Minucio presenta lo stesso pensiero e la frase tertullianea, ma o in  luogo meno opportuno per la concatenazione delle idee, o con aggiunta  od uso di parole che alterano il concetto esagerandolo. Fin dal prime  riscontro segnalato al § 1 a, il cenno del non volere i pagani udire  pubblicamente i Cristiani desiderosi di difendersi, vien fuori poco opportunamente come argomento del non essere essi Cristiani in angulis  garruli Così al § 3, già s’è notata la stranezza del derivare dalle  cerimonie di Giove Laziale gli usi sanguinarii di Catilina e di Bellona.  Nello stesso § 3, il riscontro f ci dà un esempio di esagerata espressione in quel plerique sostituito al quidam di Tertulliano; come al  § 4 g, è fuor di squadra il frequentius. Inesattezze pure riscontrammo  al § 5 f, dove è attribuita ad Omero una leggenda che non gli appartiene, e ove del demonio socratico si parla men corretene)] tamente che in Tertulliano. Ma il passo più significativo è al § 9 g,  ove poco a proposito, come già s’ è rilevato, Minucio fece sua l’osser-  yazione psicologica del timore che partorisce odio. Tali difetti dell’esposizione minuciana sono una evidente conferma della priorità ter-  tullianea ; è nella natura delle cose che l’ imitatore non afferrando con  precisione i concetti dello scrittore che gli serve di modello, alteri i  rapporti delle idee e le renda in modo difettoso ; mentre è ben più  raro, se non impossibile, che un imitatore, prendendo le mosse da un  lavoro altrui, ne emendi tutti i difetti, raggiungendo una precisa coe-  renza e spontaneità, quale spicca in Tertulliano. Vi sono però due luoghi che paiono far contro la nostra tesi. Uno  è al § 5, b e d, ove a una semplice parola o proposizione tertullianea: consecratione; d: statuas . . . milvi et mures et araneae in -  ielligunt) corrisponde in Minucio una descrizione più ampia e ricca  di particolari. Ma, se ben si guardi, ciò non vuol dir nulla contro la  tesi che sosteniamo. Già prima si può pensare che Minucio, come per  altre parti del suo dialogo prese da Cicerone e da Seneca, così per  questa abbia attinto ad altra fonte oltre l’Apologetico, desumendone  sia la descrizione dell’ idolo che finché vien lavorato non è Dio e lo  diventa appena è consacrato dall’uomo, sia quella dei topi, delle rondini, dei ragni che rodono e fanno il nido e le ragnatele nelle statue  dei templi. Ma può anche darsi che qui s’abbia a fare con una semplice amplificazione del pensiero suggerito dall’espressione di Tertulliano, amplificazione non contenente altro che osservazioni semplicissime  e di dominio comune. Tanto più è probabile che tale lavoro si deva  attribuire a M., quanto che la caratteristica del suo stile, cioè  l’uso degli asindeti trimembri con omeoteleuto, si trova qui più volte:  funditur fabricatur sculpitur; plumbatur conslruilur erigitur; ornatur  eonsecratur oratur; rodunt inculcant insident; tergetis mundaiis eraditis, ecc. L’altro punto che deve qui discutersi riguarda il fatto già segnalato, a, pel quale Ebert e molti altri conchiusero senz’altro  per la priorità di M., vale a dire l’errore commesso da Tertulliano completando in Cassius Severus il nome dello storico Cassius  così letto da lui nelle sue fonti. Pur riconoscendo che Tertulliano ha  qui commesso un errore, era proprio necessario di supporre che l’indicazione di quelle fonti storiche, Diodoro e Tallo Greci, Cassio e Cornelio Romani, egli l’avesse presa da M.? Si noti che il discorso  si aggira intorno alla spiegazione euemeristica degli Dei pagani, e si  ricercano le vicende di Saturno e di Giove per conchiuderne che costoro in origine erano nomini. Ora questa tesi non era solo degli apologeti cristiani, ma da secoli era di dominio comune in molte scuole filosofiche. Può dunque ben darsi che in qualche libro euemeristico del  primo o del secondo secolo dell’era volgare già si citassero Diodoro  Siculo e Tallo, Cassio e Cornelio Nipote, e anche Varrone, a conferma  della dottrina ; può essere che la citazione di quei nomi fosse diventata  come un luogo comune; tant’ è vero che un secolo dopo Tertulliano,  ancor la ripete con poche varianti Lattanzio. Questo è l’unico punto  in cui ritengo vera l’ipotesi di una fonte comune anteriore a Tertulliano e M.. Il che se si ammette, l’errore di Tertulliano non dice  più nulla a favore della priorità di Minucio e contro la tesi inversa  da noi propugnata. Da questa stessa fonte euemeristica potrebbero supporsi derivati i particolari minuciani che sopra avvertimmo non trovarsi in Tertulliano, come pure ne derivarono le tradizioni simili a quella  che si legge nel De origine gentis Romanae e nei breviari storici concernenti le origini di Eoma. Sia dunque lecito di conchiudere che l’ Ottavio di M. è posteriore all’Apologetico; di non molto forse, se al tempo della sua  comparizione era ancora sì viva la memoria dell’oratore Frontone da  ricordarlo nel modo che fanno i due interlocutori del dialogo: Girtensis noster, : Pronto tuus. Non andarono forse errati quelli  che supposero composto il dialogo nel primo o al più nel secondo decennio del terzo secolo, come certo l’Apologetico è degli ultimi anni  del secondo. Insù . : omnes ergo non tantum poetae sed historiarum quoque ac rerum antiquarum scriptores hominem fuisse consentiunt Saturnum. Qui res eius in Italia gestas prodiderunt, Graeci Diodorus et Thallus t Latini Nepos et Gassius et Varrò. V. il Minucio del Waltzing. Marco Minucio Felice – He wrote “Ottavio” – draws on a speech by Frontone. – cf. Marco Minucio Felice. Refs. : Luigi Speranza, « Grice e Minucio, » The Swimming-Pool Library. Minucio.

 

Luigi Speranza -- Grice e Miraglia: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di CICERONE – la scuola di Reggio -- filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. Reggio, Emilia. Grice: “Miraglia is the type of philosopher beloved by the Oxford hegelians; but then he is a Neapolitan Hegelian!” Grice: “I always found Kant easier, but there’s nothing like a ‘filosofia del diritto’ in Kant! And Hegel’s ethics itself, compared to Kant’s is mighty more complex – that’s why I taught Kant!” Si laurea a Napoli, dopodiché insegna filosofia del diritto nella stessa università, ed economia politica alla scuola superiore di agricoltura di Portici.  Segue una corrente di pensiero eclettica, ad esso contemporanea, che mira all'integrazione di pratiche giuridiche ed ispirazioni filosofiche. Sindaco di Napoli. Tra le più famose si ricordano: “Condizioni storiche e scientifiche del diritto di preda (Napoli); “Un sistema etico-giuridico” (Napoli); “Filosofia del diritto” (Napoli). Nella sua biografia ufficiale per la Treccani è nato a Reggio nell'Emilia, mentre nella sua scheda storico-professionale sul sito del Senato si riporta a Reggio di Calabria. Giuseppe Erminio. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, (latinista) Sindaci di Napoli Senatori della legislatura del Regno d'Italia  Luigi Miraglia, su Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere su open MLOL, Horizons Unlimited srl.  su Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. I sistemi filosofici ed i principi del diritto. La speculazione greca e LA DOTTRINA ROMANA. Fichte. Spedalierie Romagnosi. Gli scrittori della reazione. La scuola storica e la scuola filosofica. Schelling e Scleiermacher. Hegel Rosmini. Herbart, Trendelenburg e Krause.Le varie fasi della filosofia di Schelling. Sthal e Schopenhauer Il materialismo, il positivismo ed il criticismo. L'idea della filosofia del diritto. La Filosofia e le scienze. Il carattere della Filosofia mo.  L'idea del Diritto ed i metodi logici. L'induzione e la deduzione. L'induzione, l'osservazione e l'esperimento. L'idea del Diritto naturale e quella del buono civile di AMARI ricavate dall'induzione. L'importanza del metodo storico-comparativo secon do VICO Amari, Post e Sumner-Maine. Parallelo fra lo sviluppo della lingua e lo sviluppo del Diritto. L'induzione statistica. Il compito della deduzione. L'universale astratto e l'universale concreto come principi. Moderna divinato da VICO. La Filosofia del Diritto come parte della Filosofia. L'idea umana del Diritto se condo la dottrina di VICO, e le definizioni di Kant, di Hegel, di Trendelenburg, di ROMAGNOSI e di SERBATI. La teoria sociale e la teoria giuridica. Il Diritto e la Filosofia positiva. L'idea induttiva del Diritto. Lo studio della coscienza etico-giuridica dei vari popoli. Il contributo della razza ariana e della razza semi tica nella storia della civiltà. L'idea del diritto come misura in LA RAZZA ARIANA. La misura riposta nel l'ordine fisico, nella legge positiva e nella ragione. Il principio della personalità. Gl’elementi organici e spi rituali della persona e la loro corrispondenza. La spiegazione del materialismo. La teorica dell'evoluzione. La critica dell'evoluzionismo meccanico La teorica dell'evoluzione e la Psicologia. Il sentimento fondamentale e le sensazioni. La coscienza e la sua origine. Le rappresentazioni sensibili e le rappresentazioni coscienti. Il  pensare e le categorie. La cognizione secondo l'empirismo oggettivo. La critica di questa teoria. I presupposti pratici dell'idea deduttiva del Diritto. Sviluppo e partizione. L'istinto, il desiderio e la volontà. L'arbitrio e la libertà morale. La costanza degl’atti umani rivelata dalla Statistica. Il fine dell'uomo ed il bene. Il bene umano ed il Diritto. La forma imperativa, proibi.  I presupposti teoretici dell'idea deduttiva del Diritto. Seguito dei presupposti teoretici. tiva e permissiva del Diritto. Il Diritto come principio di co-azione, di coesistenza e di armonia. La tri-partizione razionale del Diritto. La divisione di Gaio. Analisi critica delle principali definizioni del Diritto. Le dottrine che riguardano a preferenza il contenuto sensibile del diritto: Hobbes, Spinoza, Roussean, Mill e Spencer. Le dottrine che considerano il diritto come astratta forma razionale: Kant, Fichte ed Herbart. Le definizioni di Krause e di Trendelenburg. Ciò che vi è di vero nelle dottrine esaminate. Il Diritto, la Morale e la Scienza sociale. Il Diritto come disciplina etica. I rapporti fra Morale e Diritto nella storia. Critica della confusione e della separazione dei due termini. Il fondamento comune e la differenza reale. L'Etica e la vita sociale.VICO, Süssmilch ed i fisiocrati precursori della Scienza sociale. La Sociologia di Comte ed i vari indirizzi. La Sociologia di Spencer. La Sociologia come Filosofia delle scienze sociali. Le analogie tra la società e l'organismo. Le relazioni fra il Diritto e la Scienza sociale. Il Diritto, l'Economia sociale e la Politica. L'ordinamento sociale-economico ed i filosofi del Diritto antichi e moderni. L'Etica, la Sociologia fondata sulla Biologia, la Politica e la Storia come presupposti dell'Economia. Il carattere del fatto economico. I rapporti tra il Diritto e l'Economia. Il concetto della Politica. La Politica, la Scienza sociale, l'Etica ed il Diritto. L'idea compiuta dello Stato. Il Diritto razionale ed il Diritto positivo. Fonti ed applicazioni. La distinzione del Diritto razionale dal Diritto positivo in sé e nella storia. La consuetudine ed il costume primitivo. La giurisprudenza ed i suoi uffici. La legislazione ed i codici. L'efficacia della legge nello spazio.L'efficacia della legge nel tempo. Esame delle diverse teorie sulla retroattività . Diritto Privato. La persona. I diritti essenziali o innati ed i diritti accidentali o acquisiti. Il principio dei diritti. Il diritto alla vita fisica e morale. Il diritto alla libertà. I diritti all'eguaglianza, alla sociabilità ed all'assistenza. Il diritto di lavoro . Il concetto storico dei diritti innati. I diritti dell'uomo nello stato di natura.Lo stato di na. tura dei filosofi del secolo decimottavo in rapporto. La persona ed i suoi diritti. Le persone incorporali. Lo scopo delle persone incorporali. La teoria della fin. La proprietà e i modi di acquisto. La proprietà e dil suo fondamento razionale. Dottrine in torno a questo fondamento. Le limitazioni ed i temperamenti della proprietà. I modi originari e deri vativi di acquisto La storia della proprietà e dei modi di acquisto. L'attività procacciatrice dell'animale e dell'uomo. La storia della proprietà e la storia della persona. La proprietà collettiva. La comunità di famiglia. Il Cristianesimo ed il valore della persona individua. Il feudo. La riforma ed il diritto naturale.La com piuta individuazione ed itemperamenti della proprie tà privata. I modi di acquisto primitivi. Le distin zioni dei beni. L'usucapione, l'equità e la procedura civile.. ! all'ordine di natura dei giureconsulti romani e dei filosofi greci.La teorica della conoscenza ed ilmodo di concepire i diritti essenziali della persona. I diritti innati e la Filosofia moderna. Il regime dello status e del contratto . zione e dell'equiparazione. La teoria che riguarda la persona incorporale come veicolo. La teoria del patrimonio sui juris. Le idee dei pubblicisti tedeschi.Il soggetto reale nella corporazione e nella fon dazione. I diritti delle persone incorporali ed il jus confirmandi dello Stato. La teoria di Giorgi. La proprietá prediale. Il collettivismo territoriale. La teoria di Wagner sulla proprietà dei fabbricati. La teoria di Spencer sulla proprietà del suolo. La proprietà privata del suolo e la rendita. Le dottrine di George e di Loria sul la terra La proprietà forestale e mineraria. Le funzioni dei boschi. La libertà del taglio. Il vincolo e le sue ragioni. La proprietà mineraria e le fasi della industria. La critica degli argomenti in favo re del proprietario del suolo. La dottrina che attribuisce la miniera allo scopritore . La merce lavoro ed il suo prezzo. Il lavoro come pro prietà. La coalizione e lo sciopero. La giuria industriale.La proprietà del capitale ed il profitto. Il collettivismo ed il mutualismo. La teoria di Marx. La critica del collettivismo e della teoria di Marx. Le coalizioni degl'intraprenditori. La proprietà commerciale, il diritto di autore e di scopritore. Il concetto della proprietà commerciale. La libertà dello scambio. La concorrenza. La nozione primitiva del commercio. Il diritto di autore prima e dopo l'in  La propriatà industriale. La classificazione dei diritti sulla cosa altrui. Le servitù gimento dell'istituto nelle legislazioni. Esposizione critica delle varie dottrine assolute e relative. Il fon damento razionale. La critica della teoria di Ihering sulla volontà di possedere. Le obbligazioni. zioni. Le loro varie specie e modalità. I differenti modi di estinzione . Il contratto e le sue forme.  L'indole del possesso. La sua origine storica. Lo svol L'obbligazione. La sua origine. Le fonti delle obbliga La nozione del contratto. Le sue fasi ed il suo fonda. mento. I requisiti essenziali. I vizî del consenso ed alcune recenti teorie. L'interpretazione dei contratti. Le loro classificazione e le dottrine di Kant e di Trendelenburg. venzione della stampa. Il suo fondamento ed il suo carattere. La garentia del diritto dello scopritore I diritti reali particolari. e le loro specie. In quali modi le servitù nascono, si esercitano e si estinguono. L'enfiteusi. La superficie. Il pegno e l'ipoteca. Il carattere del diritto di ritenzione Il possesso. La libertà di contrarre ed il contratto di lavoro. La libertà di contrarre, i suoi limiti e la sua guarentigia.. L'interesse e la sua limitazione. La libertà dell'interesse. L'usura ed i suoi procedimenti. L'usura come forma dell'ingiusto civile ed i modi di combatterla. L'usura come delitto. Critica della teoria di Stein. La figura specialedeldelittodiusura.La leggeela vita. La società, la cambiale, il trasporto e alcuni contratti aleatori. Il contratto di società e le sue forme. La società e la. Il prestito usurario. persona incorporale. Il regime dell'autorizzazione e della vigilanza. La cambiale antica e la moderna. L'indole del contratto di trasporto. L'assicurazione e le nuove teorie. Il giuoco. La missione sociale del diritto privato. L'eguaglianza delle parti nella locazione di opera. I sistemi che regolano la responsabilità dell'intraprenditore negli infortuni del lavoro. La famiglia primitiva. L accoppiamento e l'istinto di riproduzione fra gli animali. Le teoriedi LUCREZIO e di VICO. Le unioni pri mitive. La famiglia femminile. L'erogamia ed il ratto. Gl'inizi e lo sviluppo della famiglia patriar   . matrimonio. Le sue condizioni.Il matrimonio civile. La precedenza del matrimonio civile. I rapporti fra i coniugi. L'autorizzazione maritale. Il libro di Bebel e le idee di Spencer. I sistemi con cui si regolano i beni nel matrimonio. L'indissolubilitá matrimoniale ed il divorzio. L'ideale dell'indissolubilità. Le esigenze concrete della vita.La quistione del divorzio in rapporto ai diritti individuali ed alle ragioni sociali e storiche. Il divorzio e la Chiesa. Le cause di divorzio.Le cautele. La tendenza a rivivere in altri. Il fondamento e le fasi della patria potestà. La tutela,le sue specie e la cura. L'adozione. I figli nati fuori del matrimonio. La ricerca della paternità. La legittimazione . Idea, storia e fondamento della successione. Il concetto dell'eredità. La successione legittima e la te. stamentaria nella storia. La successione ed il culto degli antenati. Le dottrine intorno al fondamento  cale. La progressiva individuazione della parentela. Il processo di specificazione e la fine della famiglia. L'amore come fondamento del matrimonio. L'idea del La societá coniugale.. La società parentale. della successione. Il condominio domestico ed il diritto di proprietà come basi della successione. La successione legittima e la testamentaria. La prossimità della parentela e del grado. La capacità   di succedere. Le classi degli eredi. La rappresentazione. La capacità di testare e di ricevere per testamento. Le specie di testamenti, La legittima. Il diritto di rappresentazione e la successione testamentaria. L'errore nella causa finale ed impulsiva, e le condizioni.Il diritto di accrescere. La sostituzione e la fiducia. I principi comuni ad ogni specie di successione. Il mondo romano è il mondo del volere, e quindi del diritto e della politica. Il volere in siffatto mondo da un lato continua a mostrarsi negli ordini superiori ed inflessibili dello stato, e dall'altro comincia a svolgersi in forma di diritto individuale. Con il principio del volere, di sua natura soggettivo, il diritto privato non può non sorgere, e lo stato non può più per lunghissimo tempo conservare le rozze sembianze d'una organica oggettività naturale. In Roma, il diritto privato ė nei suoi primi momenti stretto, ferreo ed arcano. Poi è ampliato, oltre al divenire palese, giovato, supplito e corretto dall'equità, ch'è lo stesso diritto in opposizione ad una legge, la quale non ha saputo attuarlo. Alla fine è diritto umano, e per conseguenza proclama il principio, che la schiavitù, istituto delle genti e contronatura, non riguarda l'anima, echegliuomi ni innanzi al diritto naturale sono liberi ed eguali. CICERONE, il filosofo più alto del mondo romano, non avendo coscienza scientifica della manifestazione del diritto soggettivo, come atto dell'astratta potenza del volere, ė inferiore alla stessa realtà romana. CICERONE non è autore di una filosofia propria, e segue d’ecclettico gli scrittori greci. CICERONE professa il dubbio, non crede che la mente possa  Il vuoto soggetto, rappresentato dall’accademici come oggetto, riceve ora tutta la sua concretezza, ed è in seno del Cristianesimo determinato quale Verbo o mente assoluta. La filosofia quinci innanzi s'informa al principio soggettivo. L'uomo, immagine di Dio ed in carnazione del verbo, si riabilita; e lo stato antico, perdendo il suo alto significato, è costretto a rimpiccolirsi. La parte più intima dell'individuo non è più sottoposta alla potestà politica, sibbene alle nuove credenze, che in origine si mantengono in quell'ambiente ce leste in cui sono nate, e si oppongono al mondo ancora pagano. L'Apostolo scorge una contraddizione tra gli stimoli della carne e gl’impulsi dello spirito. LATTANZIO crede che la vera giustizia sia nel culto di un divino unico, ignoto ai gentili. AGOSTINO parla di una città celeste, sede di verità e di giustizia, in antitesi alla città terre stre, fondazione di fratricidi e prodotto del peccato pri  6 essere assolutamente certa, é pago della semplice verosimiglianza. Nell'etica elimina il dubbio per leconseguenze dannose, e fa appello alla coscienza immediata, in cui si ritrovano i germi della virtù, ed al consenso del genere umano, per definire l'onesto e per stabilire alcuni pre supposti speculativi di esso. Preferisce il principio etico del PORTICO, che tempera da uomo pratico. Trae il diritto non dalle leggi di le XII tavole o dall'editto, ma dalla natura umana. Riproduce la teoria aristotelica del lo stato, e si attiene alla forma mista, propria degl’ordinamenti politici di Roma. Luigi Miraglia. Miraglia. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miraglia” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Misefari: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale --  implicatura anarchica – la scuola di Palizzi -- filosofia calabrese – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Palizzi). Filosofo italiano. Palizzi, Reggio Calabria, Calabria.  ‘Io non sono italiano; io sono calabrese!” Fratello di Enzo (politico calabrese del P.C.I., storico e poeta), di Ottavio (calciatore reggino tra i più conosciuti nei primi anni del secolo; giocò nella Reggina e nel Messina) e di Florindo (biologo, attivista della Lega Sovversiva Studentesca e del gruppo "Bruno Filippi").  Dopo aver frequentato la scuola elementare del piccolo paese di nascita in provincia di Reggio Calabria, a undici anni si trasferì con lo zio proprio a Reggio Calabria. Già da adolescente, influenzato dalle frequentazioni di socialisti e anarchici in casa dello zio, partecipò attivamente alla fondazione e allo sviluppo di un circolo giovanile socialista (intitolato ad A. Babel, rivoluzionario tedesco dell'Ottocento). Iniziò a collaborare al giornale Il Lavoratore, organo della Camera del Lavoro di Reggio Calabria, firmando gli articoli come "Lo studente". Collaborò nello stesso periodo a Il Riscatto, periodico socialista-anarchico stampato a Messina; e con Il Libertario, stampato a La Spezia e diretto da Binazzi. A causa della sua attività anti-militarista esercitata all'interno del Circolo contro la Guerra italo-turca, fu arrestato e condannato a due mesi e mezzo di carcere per «istigazione alla pubblica disobbedienza».  Fu nei due anni successivi che M. si convertì dal socialismo all'anarchia. Ciò avvenne soprattutto con la frequentazione da parte di  Berti, suo professore di fisica presso l'"Istituto Tecnico Raffaele Piria".  Si trasferì a Napoli e si iscrisse al Politecnico, dopo avere studiato fisica e matematica alle superiori, e anche per non dispiacere al padre, proseguì tali studi. Pesò inoltre su questa decisione il fatto che in quegli anni, dopo la tragica distruzione della città di Reggio Calabria a causa del terremoto del 1908, il lavoro che garantiva le maggiori certezze era proprio quello dell'ingegnere. Nondimeno continuò per proprio conto gli studi a lui prediletti: politica, filosofia, letteratura, come aveva fatto fino ad allora. A Napoli si fece subito avanti nell'ambiente anarchico. Il movimento a Napoli contava allora di un centinaio di aderenti.  Si rifiuta di partecipare al corso allievi ufficiali a Benevento e fu condannato a quattro mesi di carcere militare. Diserterà una seconda volta, trovando rifugio nella campagna del beneventano in casa di un contadino. Tornato a Reggio Calabria, interruppe una manifestazione interventista nella centrale Piazza Garibaldi, salendo sul palco e pronunciando un discorso antimilitarista. Venne per questo motivo arrestato e condotto presso il carcere militare di Acireale; sette mesi dopo venne trasferito presso quello di Benevento. Da lì riuscì ad evadere grazie alla complicità di un amico secondino. Fu tuttavia intercettato alla frontiera del confine svizzero; ancora incarcerato, riuscì nuovamente nella fuga. Tocca il territorio svizzero, ma i gendarmi lo condussero al carcere di Lugano. Giunte dalla Calabria le informazioni su di lui, essendo un uomo politico, dopo quindici giorni fu lasciato libero con la facoltà di scegliere il luogo di residenza. Indicò subito Zurigo, dove sapeva di potere rintracciare Misiano, suo caro amico e noto esponente politico socialista, anche lui accusato di diserzione. A Zurigo trovò ospitalità presso la famiglia Zanolli, dove si innamorò della giovane Pia, che diventerà sua compagna di vita.  Durante il periodo di esilio in Svizzera, Bruno svolgeva attività politica tenendo i contatti con Luigi Bertoni e con altri gruppi anarchici elvetici, collaborando anche al giornale: Il Risveglio Comunista Anarchico. Svolse una serie di conferenze in varie città della Svizzera. M. si autoannunciava con un suo pseudonimo anagrammatico Furio Sbarnemi. A Zurigo frequenta la Cooperativa socialista di Militaerstrasse 36 e la libreria internazionale di Zwinglistrasse gestita dai disertori Monnanni, Ghezzi e Arrigoni; in questi ambienti conosce anche Angelica Balabanoff.  Venne arrestato per un complotto inventato dalla polizia. Fu incolpato innocentemente con l'accusa di avere fomentato una rivolta nella città e di «aver fabbricato bombe a scopo rivoluzionario». Con lui furono arrestati diversi attivisti politici, tra i quali lo stesso Francesco Misiano (che fu poi rilasciato perché socialista e non anarchico). Rimase in carcere per sette mesi, e venne poi espulso dalla Svizzera. Grazie ad un regolare passaporto per la Germania, ottenuto per ragioni di studio, si recò a Stoccarda.Lì entrò in contatto con Zetkin (che gli rilascia una lunga intervista sul movimento rivoluzionario in Germania) e Vincenzo Ferrer. Poté rientrare in patria, in seguito all'amnistia promulgata dal governo Nitti. -- è a Napoli e poi a Reggio Calabria. E un periodo intenso per la sua vita militante di M. A Napoli partecipò come oratore a molte manifestazioni, si prodigò a favore dei suoi compagni colpiti dalla repressione, denunciò le provocazioni della polizia; tenne numerose conferenze e comizi. Con il dentista anarchico Giuseppe Imondi, stampò alcuni numeri del giornale: L'Anarchia. In autunno fu chiamato a Taranto a svolgere il compito di segretario propagandista presso la locale Camera del Lavoro Sindacale. Ha stretti contatti con Malatesta, Berneri, Binazzi, Borghi, Vittorio e altri esponenti dell'anarchismo e del sovversivismo italiano. Si impegnò su più fronti per la campagna a favore degli anarchici Sacco e Vanzetti. Nello stesso periodo e corrispondente di: Umanità Nova, settimanale anarchico diretto da Malatesta e collaborò al periodico: L'Avvenire Anarchico di Pisa. Continuò i suoi studi a Napoli con qualche salto a Reggio Calabria con la sua compagna  Zanolli, che sposò. Si laureò a Napoli. Successivamente si iscrisse anche alla facoltà di filosofia.  Nonostante l'avvento del fascismo, fondò un giornale libertario, “L'Amico del popolo,” che però dopo il quarto numero fu soppresso dalle autorità. Nel primo numero del giornale,scrisse un editoriale dal titolo “Chi sono e cosa vogliono gli anarchici.” Lo scritto è l'espressione del suo pensiero libertario:  «L'anarchismo è una tendenza naturale, che si trova nella critica delle organizzazioni gerarchiche e delle concezioni autoritarie, e nel movimento progressivo dell'umanità e perciò non può essere una utopia.»  Da esperto di geologia, progettò per primo in Calabria l'industria del vetro e fondò a Villa S.Giovanni, la prima vetreria in Calabria (Società Vetraria Calabrese). In quegli stessi anni subì però persecuzioni continue da parte del regime. E cancellato dall'Albo di categoria e non poté più firmare progetti. Gli venne mossa l'accusa di avere «attentato ai poteri dello Stato, per il proposito di uccidere il re e Mussolini». Fu prosciolto dopo venticinque giorni di carcere. La polizia ravvisò in un discorso di commemorazione durante il funerale di un amico (tra l'altro un industriale fascista, Zagarella) un'ispirazione anarchica e pertanto lo propose per l'assegnazione al confino. Fu arrestato, in carcere si sposa con Pia Zanolli, fu inviato per il confino, prigioniero a Ponza. Tuttavia sembra che tale provvedimento fosse stato determinato da altri motivi. M., che era ingegnere minerario, si era attivamente impegnato nello sfruttamento su larga scala di giacimenti di quarzo, materia prima per l'industria vetraria, che fino a quell'epoca dipendeva, in gran parte, dai silicati stranieri.  Assunto come direttore tecnico della Società Vetraria Calabrese (di cui era stato finanziatore e Presidente il succitato Zagarella) egli si era dovuto ben presto scontrare con l'assenteismo e l'inettitudine del consiglio di amministrazione che si schierò contro di lui con l'intenzione di eliminarlo in qualsiasi modo, ricorrendo anche ad espedienti politici. Giustizia e Libertà, in un articolo anonimo ddal titolo «Politica e affarismo. Il caso di un ingegnere libertario», attribuisce la causa del confino alle manovre dei suoi ex soci. Durante il confino stringe amicizia con Torrigiani, Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, il quale lo affilia alla Massoneria.  L'amnistia del decennale del fascismo lo liberò dal confino dopo due anni. Ma tornato in Calabria vide il vuoto intorno a sé; scrive infatti a sua moglie: "Amnistiato sì, però a quale prezzo: la salute sconquassata, senza un soldo, senza prospettive per l'avvenire". Gli viene diagnosticata l'esistenza di un tumore alla testa. Va e viene con la moglie da Zurigo a Reggio Calabria. Riesce a trovare il capitale necessario per l'impianto di uno stabilimento per lo sfruttamento della silice a Davoli (in provincia di Catanzaro).  Le sue condizioni di salute peggiorano a causa del tumore. Perde conoscenza, viene ricoverato in stato gravissimo nella clinica romana del Senatore Giuseppe Bastianelli, e lì si spense la sera stessa. Ancora ragazzo, studente, cominciò a ribellarsi contro l'ingiustizia del mondo che lo circondava: Palizzi Superiore, un paese tra i monti dove il castello feudale dei signori locali dominava la valle, dove si ammucchiavano piccole e povere case desolate di contadini. E si ribellò a quel mondo, costruito secondo quell'immagine topografica che portava impresso nella memoria: sopra, chi comanda e non lavora, sotto, chi subisce e lavora. E ancora ragazzo cominciò a sognare un mondo in cui quella gerarchia fosse sovvertita prima, distrutta poi. Poteva scegliere di ispirarsi al socialismo marxistico o al socialismo libertario. Del primo apprezzava l'analisi dell'antagonismo tra le classi, ma mostrava perplessità circa i mezzi proposti dalla diagnosi marxistica per fronteggiare il pericolo di una rivincita dell'avversario di classe. Inclinò perciò verso il socialismo libertario.  «Nel comunismo libertario io sarò ancora anarchico? Certo. Ma non di meno sono oggi un amante del comunismo. L'anarchismo è la tendenza alla perfetta felicità umana. esso dunque è, e sarà sempre, ideale di rivolta, individuale o collettivo, oggi come domani. M., Taccuino personale. La scelta della diserzione fu coerente con il suo obiettivo di combattere non la guerra degli stati, ma a fianco degli oppressi di tutto il mondo contro il loro nemico, tenendo alta la bandiera dell'internazionalismo. Pur sottoposto senza tregua alla persecuzione della polizia e all'inquisizione della magistratura, fu sempre al suo posto accanto a coloro che lavoravano e soffrivano. Come ogni rivoluzionario sincero e coerente, pagò col carcere e col confino la sua fede in un ideale.  Chi sono gli anarchici. Secondo M., essere anarchici voleva dire per prima cosa proclamare, contro ogni violenza, l'inviolabilità della vita umana. Inoltre significava lottare per l'abolizione della proprietà privata e a favore della socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio. Proprio per questo gli anarchici sono, di fondo, dei socialisti. A questo esperimento di vita sociale andava affiancata la lotta contro lo Stato, che ne impediva la realizzazione. E la lotta contro lo Stato non poteva essere vittoriosa se non con la rivoluzione. Dunque gli anarchici sono socialisti, antistatali e rivoluzionari. Elemento fondamentale della lotta, secondo Misefari, era l'allargamento di essa alla sfera internazionale. È comunque una lotta che non si fa violenta. M. è fortemente pacifista, contrario all'uso della forza e della violenza armata. L'anarchico è inoltre antireligioso: la religione infatti è considerata "fattore di abbrutimento per l'umanità".  Antimilitarismo Per M. la guerra è pura barbarie, speculazione capitalistica consumata in nome dello Stato.  «L'esistenza del militarismo è la dimostrazione migliore del grado di ignoranza, di servile sottomissione, di crudeltà, di barbarie a cui è arrivata la società umana. Quando della gente può fare l'apoteosi del militarismo e della guerra senza che la collera popolare si rovesci su di essa, si può affermare con certezza assoluta che la società è sull'orlo della decadenza e perciò sulla soglia della barbarie, o è una accolita di belve in veste umana.»  Religione La religione è considerata come un anestetico delle facoltà critiche della mente umana. Sarebbe proprio la religione a imprigionare le energie morali dell'uomo, a inebetire lo spirito critico e di riflessione. Perciò i popoli più religiosi sarebbero i meno progrediti e i più afflitti dalla tirannia, mentre, laddove la religione sparisce, lì è florida la libertà e il benessere.  «È il più solido puntello del capitalismo e dello Stato, i due tiranni del popolo. Ed è anche il più temibile alleato dell'ignoranza e del male.»  È forte nel pensiero di M. la volontà di sottolineare l'uguaglianza sociale tra uomo e donna. In anni difficili e lontani dalle battaglie del femminismo di metà Novecento, egli afferma che la donna nobilita e abbellisce la condizione di vita umana. È dovere della donna lottare per risollevarsi da una condizione di inferiorità, che è tale in virtù di un "delitto sociale" e non dovuta a leggi di natura.  «Donne, in voi e per voi è la vita del mondo: sorgete, noi siamo uguali!»  M. vive di sogni, di ideali. Nella sua concezione non esiste un artista, che sia poeta, filosofo, persino scienziato, che si sia mai messo al servizio della menzogna. Se tutti potevano essere vili, un artista non poteva.  «Un poeta o uno scrittore, che non abbia per scopo la ribellione, che lavori per conservare lo status quo della società, non è un artista: è un morto che parla in poesia o in prosa. L'arte deve rinnovare la vita e i popoli, perciò deve essere eminentemente rivoluzionaria. Poesia composta da M.:  FALCO RIBELLE. Un giovane falco che drizza il libero volo Ne l'alto, ove sono i fulgori di soli immortali Un giovane falco ribelle o piccoli, io sono. Mi spinge ne' campi ignorati, un acre desio Di sante ideali battaglie, di luce e di gloria. Mi splende nell'occhio la speme di certe vittoria, Mi parla nel core la voce sinfonica, dolce D'un caro sublime Pensiero, ch'è Bene ed Amore. Ho giovini l'ale e robuste, o venti, o cicloni, O fulmini immani feroci, vi lancio la sfida. Voi soli potete pugnare col giovine falco, Chè Luce, chè Forza, chè Vita multanime siete. Ma voi, piccoli, no. Coi vermi guazzate nel fango, Dal fango mirate del falco il libero volo.»  Frammenti «Prima di pensare di rivoluzionare le masse, bisogna essere sicuri di aver rivoluzionato noi stessi»  «Ogni uomo è figlio dell'educazione e della istruzione che riceve da fanciullo. Gli Anarchici non seguono le leggi fatte dagli uominiquelle non li riguardanoseguono invece le leggi della natura»  «Prima l'educazione del cuore, poi l'educazione della mente»  «Socialismo vuol dire uguaglianza, vuol dire libertà. Ma l'uguaglianza non può essere senza libertà; come la libertà non può essere senza l'uguaglianza: dunque socialismo e anarchia sono due termini dello stesso binomio, sono i due inseparabili fattori della redenzione proletaria.»  «Quando la giustizia non sarà la durda infame delle tirannidi, quando l'amore non sarà deriso, quando il ferro non sarà legge e l'oro non sarà dio, quando la libertà sarà religione e sola nobiltà il lavoro, allora, solo allora, il mio rifiuto della guerra sarà benedetto.»  «M'è questa notte eterna assai men grave del dì che mi mostrò viltà dei forti e pecorilità di plebi schiave. Lungi da quì il pianto: sto ben coi morti!  (epitaffio) Opere complete M., Schiaffi e carezze, Roma, Morara, M., Diario di un disertore, La Nuova Italia, Entrambi i testi sono stati pubblicati postumi sotto lo pseudonimo Furio Sbarnemi.  Le schede biografiche di alcuni esponenti anarchici calabresi, A/Rivista Anarchica, Antonioli, Antonioli, E. Misefari.  Antonioli,  Pia Zanolli era nata a Belluno. Dopo il matrimonio con Misefari, fu iscritta nell'albo dei sovversivi pericolosi, venendo poi arrestata col marito a Domodossola (cfr.: A/Rivista Anarchica)  Chi sono e cosa vogliono gli anarchici, ed. settembre.  Antonioli, Pia Zanolli, L'Anarchico di Calabria, Roma, La Nuova Italia, Utopia? No, Pia Zanolli, Roma, ALBA Centro Stampa, E. Misefari, biografia di un fratello, Milano, Zero in condotta, M. Antonioli, Gianpietro Berti, Santi Fedele, Pasquale Luso, Dizionario biografico degli anarchici italianiVolume 2, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, Bruno Misefari, Schiaffi, Carezze e altro, Pino Vermiglio, Laureana di Borrello, Ogginoi, Furio Sbarnemi, Diario di un disertore, Camerano (AN), Gwynplaine, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Horizons Unlimited srl. Bruno Misefari presso l'International Institute of Social History di Amsterdam, su iisg.amsterdam, Fondo M. presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso di Roma, su fondazione basso. Gli anarchici contro il fascismo, celebre articolo di Giorgio Sacchetti. Bruno Misefari. Misefari. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Misefari” – The Swimming-Pool Library.

 

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