Luigi Speranza -- Grice e Mieli: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’uccello del paradiso; ovvero,
la lingua perduta del desiderio – la Paradisaeidae di Swinton – la scuola di
Milano -- filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice:
“Speranza has studied this; he calls it ‘Dorothea Oxoniensis,’ and indeed it is
a joint endeavour with C. R. Stevenson – who *knows*!” -- «Spero che la lettura
di questo libro favorisca la liberazione del desiderio gay presso coloro che lo
reprimono e aiuti quegli omosessuali manifesti, che sono ancora schiavi del
sentimento di colpevolezza indotto dalla persecuzione sociale, a liberarsi
della falsa colpa» (Elementi di critica omosessuale. M Attivista e
scrittore italiano, teorico degli studi di genere. È considerato uno dei
fondatori del movimento omosessuale italiano, nonché uno tra i massimi teorici
del pensiero nell'attivismo omosessuale italiano. Legato al marxismo rivoluzionario,
è noto soprattutto come eponimo del Circolo di cultura omosessuale M. e per il
suo saggio Elementi di critica omosessuale pubblicato nella sua prima edizione
da Einaudi nel 1977. M. penultimo dei sette figli di Walter Mieli e di
Liderica Salina. Il padre, ebreo e originario di Alessandria d'Egitto, vive a
Milano dalla metà degli anni venti e aveva fondato con successo un'azienda di
filati, divenuta in seguito una delle più importanti nella torcitura e nella
lavorazione della seta. La madre, milanese, era insegnante di lingue.
Sposati, durante la seconda guerra mondiale i coniugi M. erano sfollati a Lora,
frazione di Como. Mario crebbe in questa cittadina, pur mantenendo forti legami
con Milano dove il padre continuava a lavorare e a risiedere. Il giovane
Mario si stabilì definitivamente nel capoluogo lombardo quando si iscrisse al
liceo classico Giuseppe Parini, raggiunto due anni dopo dalla sorella minore
Paola, alla quale fu sempre molto legato. Già in questi anni diede
dimostrazione della sua viva intelligenza e dichiarò la propria omosessualità.
Secondo quanto testimoniato dal compagno Milo De Angelis, nfondò un circolo di
poesia che divenne anche un luogo di incontro per omosessuali. Fu pienamente
coinvolto nella contestazione ed evocò questo periodo nel suo romanzo
autobiografico Il risveglio dei faraoni. A causa della sua miopia fu
esonerato dal servizio militare alla fine del liceo, si trasferì a Londra per
perfezionare l'inglese, come già avevano fatto altri suoi familiari. Qui frequentò
il "Gay Liberation Front" venendo a contatto con l'attivismo
omosessuale nella sua fase più intensa, subito dopo i moti di Stonewall.
Tornato in Italia, fu, insieme ad Angelo Pezzana, tra i soci fondatori del
celebre Fuori! a Torino, prima associazione italiana del movimento di
liberazione omosessuale italiano. Convinto assertore di una rivoluzione
gay in chiave marxista, si allontanò dal Fuori! insieme a tutta la cellula
milanese dell'associazione quando questa si legò al Partito Radicale.
Nello stesso anno fondò a Milano i Collettivi Omosessuali Milanesi e i
Collettivi parteciparono al Festival del proletariato giovanile di Parco
Lambro, dove Mieli lanciò dal palco lo slogan Lotta dura, Contronatura!. Si
laureò in filosofia morale con una tesi, poi pubblicata con modifiche, da
Einaudi con il titolo di Elementi di critica omosessuale e che divenne un
fondamento delle teorie di genere in Italia e, in misura minore, all'estero,
venendo tradotto e pubblicato in inglese nel 1980 con il titolo Homosexuality and
liberation: elements of a gay critique ed in spagnolo con il titolo Elementos
de crítica homosexual dall'editrice Anagrama. Elementi fu uno dei testi base
dei collettivi autonomi gay. M. fu uno dei primi a contestare apertamente
le categorie di genere vestendosi quasi sempre con abiti femminili. Nel
frattempo si dedicava al teatro, destando scandalo nella mentalità dell'epoca
con opere come lo spettacolo La Traviata Norma. Ovvero: Vaffanculo... ebbene
sì! Dava volutamente scandalo anche per il modo in cui si presentava, utilizzò
anche immagini e ruoli per portare avanti la propria battaglia dei diritti
individuali inalienabili. Nel corso della sua esistenza, cercò di superare i
limiti, fece uso di droghe e si dette a pratiche sempre più estreme, inclusa la
coprofagia. Durante un viaggio a Londra, Mieli, vicino già
all'antipsichiatria, iniziò a interessarsi di psicoanalisi; fu nuovamente
arrestato, quando, semi-nudo e in preda a una crisi psichica, fu fermato
nell'aeroporto di Heathrow, in cerca di un poliziotto con cui avere un rapporto
sessuale. Prima venne incarcerato, poi messo nella sezione psichiatrica del
Marlborough Day hospital, assistito dai familiari venuti dall'Italia in attesa
del processo. Venne ricondotto a Milano, dopo la condanna a pagare una
multa, e ricoverato in una clinica psichiatrica per un mese. Una volta dimesso,
su consiglio del suo psicoanalista Zapparoli, i genitori gli diedero un
appartamento autonomo. L'anno seguente viaggiò ad Amsterdam e di nuovo a Londra
e si laurea con lode in filosofia. Poco dopo lasciò l'appartamento che gli
avevano trovato e interruppe la terapia psichiatrica. Al V congresso del
Fuori!, che sancì la sua rottura col movimento e con Pezzana, M. prese la
parola, si dichiarò transessuale e parlò della sua esperienza di malattia
mentale («sono stato definito uno schizofrenico paranoide, sono stato in
ospedale, in manicomio per questo motivo») e di omosessualità. Dopo questo
periodo si dedicò alla stesura degli Elementi di critica omosessuale.
Negli ultimi anni di vita si dedicò all'esoterismo e all'alchimia, abbastanza
isolato dal resto del movimento omosessuale, e lavorando al romanzo Il
risveglio dei faraoni. Morì suicida infilando la testa nel forno della sua
abitazione di Milano dopo un lungo periodo di depressione. Tra i motivi del suo
gesto estremo fu l'ostruzionismo che il padre, influente industriale milanese,
aveva fatto per impedire la pubblicazione della sua ultima opera, Il risveglio
dei faraoni, ritenendolo troppo autobiografico e lesivo dell'onore famigliare.
A lui è intitolato il Circolo di cultura omosessuale M. sorto a Roma nello
stesso anno della morte. Il pensiero Il transessualismo universale Il
pensiero di M. consiste nel ritenere che ogni persona è potenzialmente
transessuale se non fosse condizionata, fin dall'infanzia, da un certo tipo di
società che, attraverso quella che Mieli chiamava "educastrazione",
costringe a considerare l'eterosessualità come normalità e tutto il resto come
perversione. Per transessualità, non intende quello che si intende oggi nella
comune accezione del termine, ma l'innata tendenza polimorfa e
"perversa" dell'uomo, caratterizzata da una pluralità delle tendenze
dell'Eros e da l'ermafroditismo originario e profondo di ogni individuo.
La liberazione omosessuale in chiave marxista fu tra i primi studiosi ed
attivisti del Movimento di Liberazione Omosessuale Italiano, accanto a
Castellano,Consoli, Modugno e Pezzana.
Tutti partivano dalla certezza che la liberazione dall'ancestrale omofobia
dovesse fondarsi sulla consapevolezza della propria identità, censurata fin
dalla nascita dalla cultura dominante, da loro ritenuta antropologicamente
sessuofoba e pervicacemente omofoba. Da queste basi partivano per
abbattere la discriminazione pluri-secolare nei confronti di chi non si
identificava nella sessualità assiomaticamente definita come naturale e
normale. Abbracciò immediatamente il marxismo, cercando di rimodularlo sulle
istanze della lotta di liberazione ed emancipazione omosessuale e ritenendo la
società capitalista intrinsecamente omofoba. Rilettura della psicanalisi
Negli Elementi di critica omosessuale, volle rielaborare alcuni degli spunti
teorici della teoria della sessualità di Freud, attraverso la lettura che, tra
gli anni Cinquanta e Sessanta, ne aveva fatto
Marcuse. Marcuse, infatti, in opere come “Eros e civiltà e L'uomo a una
dimensione aveva voluto fondere marxismo e psicanalisi. Fu proprio Freud,
infatti, a sostenere che l'orientamento sessuale poteva prendere qualsiasi
"direzione", riconducendo eterosessualità e "omosessualità a
semplici varianti della sessualità umana in senso lato. Una non escluderebbe
l'altra, e anzi, in potenza, tutti saremmo pluri-sessuali,
"polimorfi" o, più semplicemente, bi-sessuali. In base a questa
riflessione, riteneva che si dovesse denunciare come assurda e inconsistente
l'opposizione ideologica "eterosessuale" vs "omosessuale",
essendo viziato il principio stesso di "mono-sessualità". A questa
prospettiva unilaterale, che riteneva incapace di cogliere la natura
ambivalente e dinamica della dimensione sessuale, M. ha preferito opporre un
principio di eros libero, molteplice e polimorfo. Per Mieli era tragicamente
ridicola «la stragrande maggioranza delle persone, nelle loro divise mostruose
da maschio o da "donna.” Se il travestito appare ridicolo a chi lo incontra,
tristemente ridicolissima è per il travestito la nudità di chi gli rida in
faccia». Dean, psicoanalista dell'Buffalo, che redasse l'appendice
dell'edizione Feltrinelli di Elementi di critica omosessuale, afferma: «Nel processo
politico di ristrutturazione della società, M. non esita a includere nel suo
elenco di esperienze redentive la pedofilia, la necrofilia e la coprofagia» e
«ridefinisce drasticamente il comunismo descrivendolo come riscoperta dei corpi.
In questa comunicazione alla Bataille di forme materiali, la corporeità umana
entra liberamente in relazioni egualitarie multiple con tutti gli esseri della
terra, inclusi "i bambini e i nuovi arrivati di ogni tipo, corpi defunti,
animali, piante, cose" annullando "democraticamente" ogni
differenza non solo tra gli esseri umani ma anche tra le specie». A
questa rivoluzione sociale sono di ostacolo determinati elementi, ritenuti da
Mieli come «pregiudizi di certa canaglia reazionaria» che, trasmessi con l'educazione,
hanno la colpa di «trasformare troppo precocemente il bambino in adulto
eterosessuale». Il tema della pedofilia Da provocatore dei
"benpensanti", quale è stato tutta la breve vita, facendo
esplicitamente riferimento a Freud, M. affrontò a modo suo anche il tema della
sessualità infantile, per questo andando incontro a forti critiche. I bambini,
secondo il pensiero di Mieli, potevano "liberarsi" dai pregiudizi
sociali e trovare la realizzazione della loro "perversità poliforme"
grazie ad adulti consapevoli di quanto sopra asserito: «Noi checche
rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l'Edipo, o il futuro
Edipo, bensì l'essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i
bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di
Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che
profondono, possiamo fare l'amore con loro. Per questo la pederastia è tanto
duramente condannata. Essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società
invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo
erotismo la griglia edipica. La società repressiva eterosessuale costringe il
bambino al periodo di latenza; ma il periodo di latenza non è che
l’introduzione mortifera all’ergastolo di una «vita» latente. La pederastia,
invece, «è una freccia di libidine scagliata verso il feto» (Francesco
Ascoli)» (Elementi di critica omosessuale). Nella nota 88 si legge:
«Per pederastia intendo il desiderio erotico degli adulti per i bambini (di entrambi
i sessi) e i rapporti sessuali tra adulti e bambini. Pederastia (in senso
proprio) e pedofilia vengono comunemente usati come sinonimi» (Elementi di
critica omosessuale). Il tema dell'alterazione psichica, della follia Mieli
faceva uso di sostanze stupefacenti, attraverso le quali mirava a superare lo
stato di normalità in cui riteneva le persone intrappolate. Riteneva che
nevrosi, follia, paranoia, delirio e, soprattutto, la schizofrenia, al pari
dell'omosessualità fossero caratteristiche latenti in tutti gli esseri umani e,
con riferimento a Jung, che tali condizioni permettessero «la (ri)scoperta di
quella parte di noi che Jung definirebbe “Anima” oppure “Animus”». In
riferimento all'omosessualità, considerava che potesse essere una porta verso
il lato inesplorato della personalità, in analogia con la follia: “La paura
dell’omosessualità che distingue l’homo normalis è anche terrore della “follia”
(terrore di se stesso, del proprio profondo). Così, la liberazione omosessuale
si pone davvero come ponte verso una dimensione decisamente altra: i francesi,
che chiamano folles le checche, non esagerano». Opere: “Comune futura,”
“Elementi di critica omosessuale, Einaudi, Torino, Elementi di critica
omosessuale, Barilli e M., Feltrinelli, Milano,
Elementi di critica omosessuale, G. Barilli e Paola Mieli, Feltrinelli,
Milano, “Il risveglio dei faraoni,” preservato da Marc de' Pasquali e Umberto
Pasti, Cooperativa Colibri, Milano, “Il risveglio dei faraoni,” Alfonso Sarrio
Solidago, dR, Milano, “Oro, eros e
armonia,” G. Silvestri e A.Veneziani, Edizioni Croce, Oro, eros e armonia,
Gianpaolo Silvestri e Antonio Veneziani, Edizioni Croce, “E adesso,” S. Laude, Clichy, Teatro La Traviata Norma. Ovvero:
Vaffanculo... ebbene sì!, Film “Gli anni amari, regia di A. Adriatico.. T. Giartosio, Perché non possiamo non dirci:
letteratura, omosessualità, mondo, Feltrinelli,
Barilli, Il movimento gay in Italia, Feltrinelli, L. Schettini, M. in
Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Ideologia. Progetto omosessuale rivoluzionario, in Elementi di
critica omosessuale, Dizionario Biografico degli Italiani, in Treccani,
Trascrizione del suo intervento in congresso nazionale del “Fuori!”, in Fuori!
rancobuffoni/ files/pdf/gp_leonardi_mieli.pdf
M., artista contro la violenza, in La Stampa, Elementi di critica omosessuale, Einaudi, M.
Elementi di critica omosessuale. Milano, Einaudi, Estremo e dimenticato. Storia
di un intellettuale provocatore., in Treccani Il tascabile, M., Mieli, Paola. e
Rossi Barilli, Gianni., Elementi di critica omosessuale Il risveglio dei
Faraoni, in A. Solidago, PRIDE, Milano, dR Edizioni, Silvestri, L'ultimo M.:
Oro Eros Armonia: contributi di Ivan Cattaneo e A. Veneziani, 2 ed. riveduta e
corretta, Libreria Croce, De Laude, Silvia,, Mario Mieli: e adesso, A. Pezzana. La politica del corpo. Roma,
Savelli, E. Modugno. La mistificazione eterosessuale. Milano, Kaos. S. Casi.
L'omosessualità e il suo doppio: il teatro di M. Rivista di sessuologia (numero
speciale L'omosessualità fra identità e desiderio,Francesco Gnerre. L'eroe
negato. Milano, Baldini e Castoldi, M. Philopat, Lumi di punk: la scena
italiana raccontata dai protagonisti, Milano, Agenzia, Concetta D'Angeli,
Teatro Talento Tenacia... Mario Mi"Atti&Sipari" Circolo di
cultura omosessuale Mario Mieli Fuori! Marc de' Pasquali Movimento di liberazione
omosessuale Omosessualità Queer Storia dell'omosessualità in Italia Studi di
genere Teoria queer Transessualismo. Biografia, in italiano, su culturagay. Chi
era M. (articolo sul gay.tv), su gay.tv
Circolo di cultura omosessuale "Mario Mieli", su mariomieli.org. Mario
Mieli. Mieli. Keywords: l’uccello del paradiso; overo, la lingua perduta del
desiderio. Refs. Luigi Speranza, “Grice e Mieli” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Miglio: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- implicatura ligure –
la LIGVRIA e la PADANIA – la scuola di Como – filosofia lombarda -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Como). Filosofo
Lombardo. Filosofo italiano. Como, Lombardia. Grice: “Berlin, who thought was a philosopher, ended up lecturing
on the history of ideas, i..e. ideology – M. defines ideology so simply that
would put Berlin to shame: an ideology is what politicians propagate to reach
or buy consensus!” -- essential Italian
philosopher. Sostenitore della trasformazione dello
Stato italiano in senso federale o, addirittura, confederale, fra gli anni
ottanta e i novanta è considerato l'ideologo della Lega Lombarda, in
rappresentanza della quale fu anche senatore, prima di "rompere" con
Umberto Bossi dando vita alla breve stagione del Partito Federalista.
Polo scolastico "M." ad Adro. Costituzionalista e scienziato
della politica, fu senatore della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII
legislatura. Ha insegnato presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore
di Milano, ove fu preside della Facoltà di Scienze politiche. È stato allievo d’Entrèves
e Pallieri, sotto la cui docenza si è formato sui classici del pensiero
giuridico e politologico. Colpito da ictusnon si riprese e morì
ottantatreenne nella sua stessa città natale, Como, circa un anno dopo. Il
funerale si tenne a Domaso, sul Lago di Como, comune d'origine del padre e sede
di una villa nella quale il professore si rifugiava spesso; in seguito M. è
stato tumulato nel locale cimitero, a fianco dei membri della sua
famiglia. Laureatosi in Giurisprudenza all'Università Cattolica con la
tesi, “Origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche internazionali
pubbliche nell'età moderna”, evitò l'arruolamento per la Seconda guerra
mondiale a causa di un difetto uditivo congenito, e poté divenire assistente
volontario alla cattedra di Storia delle dottrine politiche, che d'Entreves
tenne sino alla fine degli anni quaranta nella medesima università.
Libero docente, si dedicò negli anni cinquanta allo studio delle opere di
storici e giuristi, soprattutto tedeschi: dai quattro volumi del Deutsche
Genossenschaftsrecht di Gierke, ai saggi di storia amministrativa di Otto
Hintze, alcuni dei quali, negli anni seguenti, vennero tradotti in italiano dal
suo allievo e ferrato germanista Schiera
(O. Hintze, Stato e società, Zanichelli). Fu di quegli anni l'incontro di
M. con l'immensa produzione scientifica di Weber: il professore comasco fu uno
dei primi ad aver studiato a fondo “Economia e Società”, l'opera più importante
del sociologo tedesco che era stata completamente trascurata in Italia.
Sviluppo del lavoro scientifico Miglio storico dell'amministrazione Alla fine
degli anni cinquanta, M. fonda con il giurista Benvenuti l'ISAP Milano
(Istituto per la Scienza dell'Amministrazione Pubblica), ente pubblico
partecipato da Comune e Provincia di Milano, di cui ricopri per alcuni anni la
carica di vicedirettore. In un saggio memorabile intitolato Le origini della
scienza dell'amministrazione, il professore comasco descriveva con elegante
chiarezza le radici storiche della disciplina. L'interesse per il campo
dell'amministrazione era dovuto in quegli anni alle politiche pianificatrici
che gli stati andavano conducendo per l'incremento della crescita
economica. La Fondazione italiana per la storia amministrativa Ben presto
M. sente tuttavia l'esigenza di studiare in modo più sistematico la storia dei
poteri pubblici europei e, negli anni sessanta, costituì la Fondazione italiana
per la storia amministrativa: un istituto le cui ricerche vennero condotte con
rigoroso metodo scientifico. A tal proposito, il professore aveva appositamente
preparato per i collaboratori della fondazione uno schema di istruzioni
divenuto famoso per chiarezza e organicità. In realtà, fondando la F.I.S.A. M.
si era posto l'ambizioso obiettivo di scrivere una storia
costituzionale che prendesse in esame le amministrazioni pubbliche
esistite in luoghi e tempi diversi: in tal modo egli sarebbe riuscito a
tracciare una vera e propria tipologia delle istituzioni dal medioevo all'età
contemporanea, al cui interno sarebbero stati indicati i tratti distintivi o,
viceversa, gli elementi comuni di ogni potere pubblico. Ma v'era un'altra
ragione che aveva indotto M. a studiare i poteri pubblici in un'ottica, come
scriveva lui stesso, analogico-comparativa. Servendosi di un metodo
scientifico che Hintze aveva parzialmente seguito nella prima metà del
Novecento, il professore comasco intendeva definire l'evoluzione storica dello
stato moderno, storicizzando in tal modo le stesse istituzioni contemporanee.
La fondazione pubblica tre collezioni: gli Acta italica, l'Archivio (diviso in
due collane: la prima riguardante ricerche e opere strumentali, la seconda
dedicata alle opere dei maggiori storici dell'amministrazione) e gli Annali.
Tra i più autorevoli lavori storici pubblicati nell'Archivio, si ricordano il
volume sui comuni italiani di Goetz e il famoso saggio di Vaccari sulla
territorialità del contado medievale. Nella prima serie alcuni giovani studiosi
poterono invece pubblicare le loro ricerche di storia delle istituzioni:
Rossetti, allieva dello storico Violante, vi diede alle stampe un approfondito
studio sulla società e sulle istituzioni nella Cologno Monzese dell'Alto
Medioevo; Petracchi pubblicò la prima parte di un'interessante ricerca sullo
sviluppo storico dell'istituto dell'intendente nella Francia dell'ancien régime;
occorre inoltre ricordare il poderoso volume di Pierangelo Schiera sul
cameralismo tedesco e sull'assolutismo nei maggiori stati germanici. Su
tutt'altro piano si poneva invece la collezione della F.I.S.A. denominata Acta
italica: al suo interno dovevano essere pubblicati i documenti relativi
all'amministrazione pubblica degli stati italiani preunitari: è probabile che
l'ispirazione per quest'ultima serie fosse venuta a M. dallo studio delle
opere di Hintze: lo storico tedesco aveva infatti scritto alcuni saggi
sull'amministrazione prussiana pubblicandoli negli Acta borussica,
un'autorevole collana che raccoglieva le fonti storiche dello stato degli
Hohenzollern. L'edizione dei lavori della commissione Giulini Tra i
volumi degli Acta italica, occorre ricordare l'edizione dei lavori della
Commissione Giulini curata da Raponi uno studio cui M. tenne molto e di cui si
servì, molti anni dopo, per la stesura del celebre saggio su “Vocazione e
destino dei lombardi” (in La Lombardia
moderna, Electa, ripubblicato in Miglio, Io, Bossi e la Lega, Mondadori). La
commissionei cui lavori avevano avuto luogo a Torino sotto la presidenza del
nobile milanese Cesare Giulini della Portaaveva il compito di elaborare
progetti di legge che sarebbero entrati in vigore in Lombardia nel periodo
immediatamente successivo alla guerra. Cavour, che in quegli anni ricopriva la
carica di primo ministro, voleva che il governo, nel sancire l'annessione dei
nuovi territori al Piemonte di Vittorio Emanuele, mantenesse separati gli
ordinamenti amministrativi delle due regioni, lasciando che in Lombardia
continuassero a sussistere una parte delle istituzioni austriache
esistenti. Il saggio Le contraddizioni dello stato unitario Nel saggio
magistrale Le contraddizioni dello stato unitario scritto in occasione del
convegno per il centenario delle leggi di unificazione, M. prese in esame gli
effetti devastanti che l'accentramento amministrativo aveva provocato nel
sistema politico italiano. La classe politica italiana non fu capace di
elaborare un ordinamento amministrativo che consentisse allo stato di governare
adeguatamente un territorio esteso dalle Alpi alla Sicilia. Ricorrendo a una
felice similitudine, il professore scrisse che la scelta di estendere le norme
piemontesi a tutta Italia fu come "far indossare a un gigante il vestito
di un nano". Secondo M., i nostri "padri della patria",
spaventati dalle annessioni a cascata e dalle circostanze fortunose in cui era
avvenuta l'unificazione, preferirono conservare ottusamente gli istituti
piemontesi, costringendo la stragrande maggioranza degli italiani ad essere
governati da istituzioni che, oltre ad essere percepite come
"straniere", si rivelarono palesemente inefficienti. Nel
saggio, M. ha però messo in luce un altro dato fondamentale; il professore
scrisse che il paese, quantunque fosse stato formalmente unito dalle norme
piemontesi, continuò nei fatti a restare diviso ancora per molti anni: le
leggi, che il Parlamento emanava dalle Alpi alla Sicilia, venivano infatti
interpretate in cento modi diversi nelle regioni storiche in cui il Paese
continuava, nonostante tutto, ad essere naturalmente articolato. Era il
federalismo che, negato alla radice dalla classe politica liberal-nazionale in
nome dell'unità, si prendeva ora la rivincita traducendosi in forme evidenti di
"criptofederalismo".[senza fonte] Sono inoltre fondamentali,
nella sua formazione i saggi di Brunner. Di Brunner fa tradurre svariati saggi,
Per una nuova storia costituzionale e sociale (Vita e Pensiero), ma promosse
anche la pubblicazione dell'opera monumentale Land und Herrschaft: in questo
lavorouscito per la prima volta Brunner aveva preso in esame la costituzione
materiale degli ordinamenti medievali, ponendo in evidenza i numerosi elementi
di diversità tra la civiltà dell'età di mezzo e quella moderna, soprattutto nel
modo di concepire il diritto. La traduzione di Land und Herrschaft,
affidata inizialmente alle cure di Emilio Bussi, sarebbe dovuta comparire
nell'elegante collana della F.I.S.A. già negli anni sessanta. Interrotto negli
anni seguenti, il lavoro venne invece portato a compimento solo nei primi anni
ottanta dagli allievi Schiera e Nobili. Pubblicato da Giuffré con il titolo di
"Terra e potere", il capolavoro di Brunner apparve negli Arcana
imperii, la collana di scienza della politica di cui M. era divenuto direttore.
Il professore comasco si occupò inoltre dei contributi recati alla scienza
dell'amministrazione da parte di altri due storici e giuristi tedeschi: Stein e
Gneist. La chiusura della FISA Negli anni Settanta la F.I.S.A. dovette
chiudere i battenti per mancanza di fondi. Il professor M., ricordando a
distanza di tempo la fine di quell'autorevole collana di storia delle
istituzioni, ne espose le ragioni con un breve commento: "Malgrado la sua
efficienza, la F.I.S.A. ebbe vita breve: gli enti che provvedevano al suo
finanziamento, non scorgendo l'utilità politica immediata della sua attività,
strinsero i cordoni della borsa. M. scienziato della politica e
costituzionalista Negli anni ottanta, il degenerarsi del clima politico in
Italia indusse il professor M. ad occuparsi di riforme istituzionali; egli
intendeva contribuire in tal modo alla modernizzazione del paese. Fu così che, raggruppando
un gruppo di esperti di diritto costituzionale e amministrativo stese un
organico progetto di riforma limitato alla seconda parte della costituzione. Ne
uscirono due volumi che, pubblicati nella collana Arcana imperii, vennero
completamente trascurati dalla classe politica democristiana e socialista. Tra
le proposte più interessanti avanzate dal "Gruppo di Milano"così
venne definito il pool di professori coordinati da M. v'era il rafforzamento
del governo guidato da un primo ministro dotato di maggiori poteri, la fine del
bicameralismo perfetto con l'istituzione di un senato delle regioni sul modello
del Bundesrat tedesco, ed infine l'elezione diretta del primo ministro da
tenersi contemporaneamente a quella per la camera dei deputati. Secondo
il gruppo di Milano, queste e numerose altre riforme avrebbero garantito
all'Italia una maggiore stabilità politica, cancellando lo strapotere dei
partiti e salvaguardando la separazione dei poteri propria di uno stato di
diritto. Diversamente dalla F.I.S.A., la collana Arcana imperii era incentrata
esclusivamente sullo studio scientifico dei comportamenti politici. Il citato
volume di Brunner costituì pertanto un'eccezione perché, come si è avuto
modo di accennare, esso doveva essere pubblicato negli eleganti volumi della
F.I.S.A. All'interno della collana Arcana imperii vennero invece inseriti saggi
e contributi di psicologia politica, di etologia, di teoria politica, di
economia, di sociologia e di storia. Intende costituire un vero e proprio
laboratorio dove lo scienziato della politica, servendosi dei risultati portati
alla disciplina dalle diverse scienze sperimentali, e in grado di conseguire
una formazione che si ponesse all'avanguardia. Vi vennero pubblicati più di
trenta saggi. Si ricordano, tra gli altri: il saggio di Ornaghi sulla dottrina
della corporazione nel ventennio fascista, l'edizione degli scritti schmittiani
su Hobbes, la pubblicazione interrotta di alcune opere di Stein, il trattato di
diritto costituzionale di Smend. Degni di nota anche i saggi di Mises e Hayek.
I saggi di squisita fattura, non poterono tuttavia eguagliare l'elegante veste
tipografica di quelli pubblicati dalla F.I.S.A., ed un identico destino parve
accomunare le due collane: anche in questo caso, e infatti costretto a
sospendere le pubblicazioni. Alla sua formazione contribuirono i saggi di
Stein e Schmitt sulle categorie del politico. In ogni comunità sono presenti
due realtà irriducibili: lo “stato” e la “società”. La società è il terreno
della libera iniziativa, ove gli uomini forti vincono sui deboli e tentano di
stabilizzare le loro posizioni attraverso l'ordinamento giuridico. Lo stato è
invece il luogo ove regna il principio di uguaglianza. Lo stato italiano o non
può che identificarsi con la monarchia. Il re d’Italia è infatti l'unica
autorità in grado di intervenire a sostegno dei più deboli. Un monarca, attraverso
il potere di ordinanza, e in grado di modificare la costituzioni giuridiche
cetuali all'interno del suo territorio, una politica che il re d’Italia puo condurre
in porto non senza grosse difficoltà, a vantaggio del BENE COMUNE. Questo e
accaduto nel granducato di Toscana e in Lombardia. Quando si sostene che il
ruolo dello stato italiano dove contro-bilanciare quello della società, si ha in
mente il riformismo illuminato. Ma la sua filosofia si pone all'interno di uno
“stato liberale” e parte dal presupposto che la monarchia, lungi dall'essere un
potere assoluto, dove comunque fare i conti con il potere della “società”
attestato nel parlamento. La omunità prospera solo quando stato e società sono
in equilibrio, ugualmente vitali ed operanti. Una comunità e dominata da due
realtà irriducibili. Lo stato italiano è una realtà storica inserita nel tempo
e, come tutte le creature e specie viventi, destinata a decadere, a scomparire
ed essere sostituita da altre forme di aggregazione politica. La società non e
solo economico-giuridica. E senza dubbio decisivo l'incontro con Schmitt, i cui
saggi sono trascurate dagli intellettuali italiani. L'aiuto che Schmitt presta
al regime hitleriano, in particolare nel sostenere la legalità delle leggi
razziali in un sistema di diritto internazionale, sono più che sufficienti per
oscurare in Italia la sua imponente produzione. I rapporti di Schmitt con il
nazismo sono di breve durata. Prende definitivamente le distanze da Hitler. Di
Schmitt apprezza i saggi di scienza politica e di diritto internazionale. Cura
assieme a Schiera l'edizione italiana di alcuni saggi pubblicati dal Mulino con
il titolo Le categorie del politico. Nella prefazione, si sofferma sui decisivi
contributi portati da Schmitt alla scienza politologica. L'antologia desta
scalpore nel mondo accademico. Bobbio sostenne che destabilizza la sinistra
italiana. È dall'incontro con la produzione di Schmitt che riusce quindi a fabbricarsi
gli strumenti per costruire una parte importante del suo modello sociologico.
L’essenza del politico è fondata sul conflitto tra amico e nemico. E uno
scontro all'ultimo sangue perché la guerra politica porta normalmente all'eliminazione
fisica dell'avversario. L’esempio più emblematico di scontro politico fosse la
guerra civile nella storia dell aroma antica -- tra fazioni partigiane. Qui il
tasso di conflittualità tra amico (Catone) e nemico (Giulio Cesare) è sempre
stato altissimo. Chi ha lo stesso amico non può che avere lo stessi nemico del
proprio compagno di lotta. Si crea la solidarietà tra due membri (un gruppo) che
è decisivo nella guerra contro l’altro gruppo di nemici. Il rapporto
politico è sempre esclusivo. Marca l'identità del gruppo in opposizione a
quella degli altri. L’avvento dello stato italiano portato a due risultati
di eccezionale portata storica. Primo: la fine della guerre civile all'interno
del territorio (le faide e le guerre confessionali) con l'annientamento del
ruolo politico detenuto sino a quel momento dalle fazioni in lotta (dai partiti
confessionali ai ceti). Da quel momento il sovrano e il supremo garante
dell'ordine all'interno dello stato, territorio sempre più esteso ch'esso
governa servendosi di un apparato amministrativo regolato dal diritto. Il
secondo grande risultato e per certi versi una conseguenza del primo: l'avvento
dello stato porta all'erezione di un sistema di diritto pubblico europeo (ius
publicum europeum) assolutamente vincolante per i paesi che vi aderirono. Anche
in questo caso, il tasso di politicità (cioè l'aggressività delle parti in
lotta, gli stati) venne fortemente limitato. La guerra legittima, intraprese
solo dagli stati, vennero condotte da quel momento in base alle regole dello
ius publicum europaeum. Si tratta quindi di un conflitto a basso tasso di
politicità, non foss'altro perché la vittoria di una delle parti in lotta non
puo portare in alcun modo all'annientamento dell'avversario, il cui diritto di
esistenza era tutelato dal diritto e accettato da tutti gli stati. La
crisi dello ius publicum europaeum, divenuta palese alla fine della Grande
Guerrae acuitasi ulteriormente con lo scoppio delle guerre partigiane nei
decenni successivi, resero palese a lui la fine della regle de droit su cui si
e fondato l'universo giuridico occidentale nei rapporti internazionali tra
stati sovrani. La guerra civile e, in modo particolare, l'estrema
politicizzazione avvenuta durante le guerre mondiali con la criminalizzazione
degli avversari lo persuasero che la fine dello ius publicum europaeum era
ormai compiuta. In questo, vide soprattutto il fallimento della civiltà
giuridica occidentale nel suo supremo tentativo di fondare i rapporti umani
unicamente sulle basi del diritto. Prende atto della fine dello ius
publicum europaeum ma non crede che tale processo segna la fine del diritto e
la vittoria definitiva delle leggi aggressive della politica. Fondando il suo
originale modello sociologico, sostenne che la comunità e sempre rette su due
tipi di rapporti: l'obbligazione politica e il contratto-scambio. Lo stato e un
autentico capolavoro perché, apportando un contributo decisivo alla sua
costituzione, il giurista e riuscioi a regolare la politica inserendola in una
norma fondata sulla RAZIONALITA del diritto, sull'IM-PERSONALINTA del comando e
sui concetti di CON-TRATTO e rappresentanza -- elementi appartenenti alla sfera
del contratto/scambio. Il crollo dello ius publicum europeum ha però messo
in crisi la stessa impalcatura su cui si regge lo stato, che ora dimostra tutta
la sua storicità. Non rimane legato all'idea dell'organizzazione statale. La
civiltà occidentale, stesse attraversando una fase di transizione al termine
della quale lo stato e probabilmente sostituito da altre forme di comunità ove
obbligazione politica e contratto/scambio si reggeranno in un nuovo equilibrio.
Lo stato e e giunto al capolinea. Il progresso tecnologico e, in modo
particolare, il più alto livello di ricchezza cui erano giunti i paesi
occidentali lo convinsero che negli anni successivi sono avvenuti cambiamenti
di portata radicale, tali da coinvolgere anche la costituzione degli ordinamenti
politici. Lo stato ha difficoltà nel garantire servizi efficienti alla popolazione.
Ciascun cittadino, vedendo accresciuto il proprio tenore di vita in forza
dell'economia di mercato, sarà infatti portato ad avere sempre meno fiducia nei
lenti meccanismi della burocrazia pubblica, ch'egli riterrà inadeguata a
soddisfare i suoi standard di vita. L'elevata produttività dei paesi
avanzati e la vittoria definitiva dell'economia di mercato su quella pubblica
porterà in altri termini a nuove forme di aggregazione politica al cui interno
i cittadini saranno desti contare in misura molto maggiore rispetto a quanto
non lo siano oggi nei vasti stati in cui si trovano inseriti. Secondo il
professore gli stati democratici, ancora fondati su istituti rappresentativi
risalenti all'Ottocento, non riusciranno più a provvedere agli interessi della
civiltà tecnologica. Con il crollo del muro di Berlino e la fine della guerra
fredda, si creano in altri termini le premesse perché la politica cessi di
ricoprire un ruolo primario nelle comunità umane e venga invece subordinata
agli interessi concreti dei cittadini, legati alla logica di mercato. La
fine degli stati moderni porterà secondo Miglio alla costituzione di comunità
neofederali dominate non più dal rapporto politico di comando-obbedienza, bensì
da quello mercantile del contratto e della mediazione continua tra centri di
potere diversi: sono i nuovi gruppi in cui sarà articolato il mondo di domani,
corporazioni dotate di potere politico ed economico al cui interno saranno
inseriti gruppi di cittadini accomunati dagli stessi interessi. Secondo il professore,
il mondo sarà costituito da una società pluricentrica, ove le associazioni
territoriali e categoriali vedranno riconosciuto giuridicamente il loro peso
politico non diversamente da quanto avveniva nel medioevo. Di qui l'appello a
riscoprire i sistemi politici anteriori allo stato, a riscoprire quel variegato
mosaico medievale costituito dai diritti dei ceti, delle corporazioni e, in
particolar modo, delle libere città germaniche. Il professore studiò a
fondo gli antichi sistemi federali esistiti tra il medioevo e l'età moderna: le
repubbliche urbane dell'Europa germanica, gli ordinamenti elvetici d'antico
regime, la Repubblica delle Province Unite e, da ultimo, gli Stati Uniti. Ai
suoi occhi, il punto di forza risiedeva precisamente nel ruolo che quei poteri
pubblici avevano saputo riconoscere alla società nelle sue articolazioni
corporative e territoriali. M. si dedica allo studio approfondito di questi
temi, progettando di scrivere un volume intitolato l'Europa degli Stati contro
l'Europa delle città. Il libro è rimasto incompiuto per la morte del
professore. L'impegno politico diretto e il federalism. S iscrisse alla
neonata Democrazia Cristiana, che lascia quando divenne preside della Facoltà
di Scienze politiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. M. rimase comunque legato culturalmente alla DC
fnell'immediato domani della Liberazione, fu tra i fondatori, a Como, del
movimento federalista Il Cisalpino, con altri docenti dell'Università Cattolica
di Milano. Ispirato alle idee di Cattaneo, il programma del “Cisalpino”
prevedeva la suddivisione del territorio italiano su base cantonale, secondo il
modello svizzero, con la costituzione di tre grandi macro-regioni (“nord”, “sud”
e “centro”). Il suo nome e proposto per il conferimento del titolo di
Commendatore dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana, ma una volta
informato del fatto rifiuta di accettare l'onorificenza, che venne annullata
con un successivo decreto presidenziale. Si avvicina alla Lega Nord. Eletto al
Senato della Repubblica come indipendente nelle liste della “lega nord” “lega lombarda”
(da allora a lui fu attribuito l'appellativo lombardo di Profesùr) lavora per
il partito con l'intento di farne un'autentica forza di cambiamento. Elabora
un progetto di riforma federale fondato sul ruolo costituzionale assegnato
all'autorità federale e a quella delle tre macro-regioni o cantoni (del Nord o,
“Padania”, del Centro o Etruria, del Sud o Mediterranea, oltre alle cinque
regioni a statuto speciale). Questa architettura costituzionale prevedeva
l'elezione di un governo direttoriale composto dai governatori delle tre
macroregioni, da un rappresentante delle cinque regioni a statuto speciale e
dal presidente federale. Quest'ultimo, eletto da tutti i cittadini in due tornate
elettorali, avrebbe rappresentato l'unità del paese. I puntisalienti del
progetto, esposti nel decalogo di Assago vennero fatti propri dalla Lega Nord
solo marginalmente: il segretario federale, Bossi, preferì infatti seguire
una politica di contrattazione con lo stato centrale che mirasse al
rafforzamento delle autonomie regionali. Il dissenso di Miglio, iniziato al
congresso leghista di Assago, si acuì dopo le elezioni politiche, dove fu
rieletto al Senato, quando il professore si disse non d'accordo sia ad allearsi
con Forza Italia, sia a entrare nel primo governo Berlusconi. Soprattutto M.
non gradì che per il ruolo di ministro delle Riforme istituzionali fosse stato
scelto Francesco Speroni al suo posto. Bossi reagì spiegando: «Capisco che
Miglio sia rimasto un po' irritato perché non è diventato ministro, ma non si
può dire che non abbiamo difeso la sua candidatura. Il punto è che era molto
difficile sostenerla, perché c'era la pregiudiziale di Berlusconi e di Fini
contro di lui. Di fatto, il ministero per le Riforme istituzionali a lui non lo
davano. (Se M. vorrà lasciare la strada della Lega, libero di farlo. Ma vorrei
ricordargli che è arrivato alla Lega e che, a quell'epoca, il movimento aveva
già raggranellato un sacco di consiglieri regionali». In conclusione per Bossi,
M. «pare che ponga solo un problema di poltrone e la difesa del federalismo non
è questione di poltrone. In aperto dissidio con Bossi, lascia la Lega Nord
dicendo di Bossi. Spero proprio di non rivederlo più. Per Bossi il federalismo
è stato strumentale alla conquista e al mantenimento del potere. L'ultimo suo
exploit è stato di essere riuscito a strappare a Berlusconi cinque ministri.
Tornerò solo nel giorno in cui Bossi non sarà più segretario. Nonostante
ciò, moltissimi militanti e sostenitori leghisti continuarono a provare grande
simpatia e ammirazione per il professore e per le sue teorie. Alcuni dirigenti
della Lega tennero comunque vivo il dialogo con Miglio, in particolar modo
Pagliarini, Francesco Speroni e il presidente della Libera compagnia padana
Oneto, al quale il professore era particolarmente legato. In particolare M. fu
in stretti rapporti con l'ex deputato leghista Negri, col quale fonda il Partito
Federalista. Eletto ancora una volta al Senato, nel collegio di Como per il
Polo per le Libertà, iscrivendosi al gruppo misto. Negli anni in cui la
Lega si spostò su posizioni indipendentiste, il professore si riavvicinò alla
linea del partito, sostenendo a più riprese la piena legittimità del diritto di
secessione della Padania dall'Italia come sottospecie del più antico diritto di
resistenza medievale. Nella sua originale riflessione sul contrasto tra i
regimi giuridici freddi e caldi M. sostenne la necessità di sviluppare,
all'interno delle diverse società e culture, ordini giuridici in grado di
rispondere alle specifiche esigenze. In maniera provocatoria, egli giunse a
dichiararsi favorevole al «mantenimento anche della mafia e della 'ndrangheta.
Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che
cos'è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre
il Meridione al modello europeo, sarebbe un'assurdità. C'è anche un
clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire
dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere
costituzionalizzate». La sua riflessione puntava a cogliere quali fossero le
ragioni profonde alla base di mafia, camorra e 'ndrangheta (insieme a ciò che
genera il consenso attorno a queste organizzazioni criminali), perché solo
istituzioni che sono in sintonia con la comunitànel caso specifico, che non
dimentichino la centralità del rapporto personale piuttosto che impersonale
nella società meridionalepossono creare una vera alternativa al presente. Altre
saggi: “La controversia sui limiti del commercio neutrale: ricerche sulla
genesi dell'indirizzo positivo nella scienza del diritto delle genti,” Milano,
Ispi, La crisi dell'universalismo politico medioevale e la formazione
ideologica del particolarismo statuale moderno, Pubbl. Fac. giurispr. Univ.
Padova, La struttura ideologica della monarchia greca arcaica ed il concetto
patrimoniale dello stato nell'eta antica, Jus. Rivista di scienze giuridiche, Le
origini della scienza dell'amministrazione, Milano, Giuffrè, L'unità fondamentale di svolgimento
dell'esperienza politica occidentale, in: "Rivista internazionale di
scienze sociali", “I cattolici di fronte all'unità d'Italia, Vita e
pensiero, “L'amministrazione nella dinamica storica, in: Istituto per la
Scienza dell'Amministrazione Pubblica, Storia Amministrazione Costituzione, Bologna,
Mulino, Le trasformazioni dell'attuale regime politico, in: "Jus. Rivista
di scienze giuridiche", “ Il ruolo del partito nella trasformazione del
tipo di ordinamento politico vigente. Il punto di vista della scienza della
politica, Milano, La nuova Europa editrice, L'unificazione amministrativa e i
suoi protagonisti, Vicenza, Neri Pozza, La trasformazione delle università e
l'iniziativa privata, in: Atti del I Convegno su: Università: problemi e
proposte, promosso dal Rotary Club di Milano, Centro Una Costituzione in corto
circuito, Prospettive nel mondo", Ricominciare dalla montagna. Tre
rapporti sul governo dell'area alpina nell'avanzata eta industriale, Milano,
Giuffrè, La Valtellina. Un modello
possibile di integrazione economica e sociale, Sondrio, Banca Piccolo Credito
Valtellinese, Utopia e realtà della Costituzione, in "Prospettive del
mondo", Posizione del problema. Ciclo storico e innovazione
scientifico-tecnologica. Il caso della tarda antichità, in Tecnologia, economia
e società nel mondo romano. Atti del Convegno di Como, Como, Genesi e
trasformazioni del termine-concetto Stato, in Stato e senso dello Stato oggi in
Italia. Atti del Corso di aggiornamento culturale dell'Università cattolica,
Pescara, Milano, Vita e pensiero, Guerra, pace, diritto. Una ipotesi generale
sulle regolarità del ciclo politico, in Curi, Della guerra, Venezia, Arsenale,
Una repubblica migliore per gli italiani. Verso una nuova costituzione, Milano,
Giuffrè, Le contraddizioni interne del sistema parlamentare integrale, Rivista
italiana di Scienza Politica, Considerazioni sulle responsabilità, Synesis,
periodico dell'Associazione italiana centri culturali", Le regolarità
della politica. Scritti scelti raccolti e pubblicati dagli allievi, Milano,
Giuffrè, Il nerbo e le briglie del
potere. Scritti brevi di critica politica, Milano, Edizioni del Sole 24 ore,
Una Costituzione per i prossimi trent'anni. Intervista sulla terza Repubblica,
Roma-Bari, Laterza, Per un'Italia federale, Milano, Il Sole 24 ore, Come
cambiare. Le mie riforme, Milano, Mondadori, Italia. Così è andata a finire,
con "Il Gruppo del lunedì", Collezione Frecce, Milano, Mondadori, ed.
Oscar Saggi, Disobbedienza civile,
Milano, Mondadori, Io, Bossi e la Lega. Diario segreto dei miei IV anni
sul Carroccio, Milano, Mondadori, Come cambiare. Le mie riforme per la nuova
Italia, Milano, Mondadori, Modello di Costituzione Federale per gli italiani,
Milano, Fondazione per un'Italia Federale, Federalismi falsi e degenerati,
Milano, Sperling e Kupfer, Federalismo e secessione. Un dialogo, con Barbera,
Milano, Mondadori, Padania, Italia. Lo stato nazionale è soltanto in crisi o non
è mai esistito?, con M. Veneziani, Firenze, Le Lettere, Le barche a remi del
Lario. Da trasporto, da guerra, da pesca, e da diporto, con Gozzi e Zanoletti,
Milano, Leonardo arte, L'Asino di
Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro
destino, Vicenza, Pozza, L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con
l'ultima occasione di cambiare il loro destino. Nuova edizione, pref. Di Formigoni,
postf. di Romano, Varese, Lativa, M.: un uomo libero, coll. Quaderni Padani, La
Libera Compagnia Padana, Novara, Un M. alla libertà, audiolibro, coll. Laissez
Parler, Treviglio, La Libera Compagnia Padana Facco Editore); li articoli, coll.
Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, Gianfranco le interviste,
coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese
con l'ultima occasione di cambiare il loro destino, pref. di Formigoni, coll. I
libri di Libero M., Firenze, Libero); “Padania, Italia. Lo stato nazionale è
soltanto in crisi o non è mai esistito? Firenze, Libero; Federalismo e
secessione. Un dialogo, con Barbera, coll. I libri di Libero M. Firenze,
Editoriale Libero, Disobbedienza civile, coll. I libri di Libero; Firenze,
Libero, La controversia sui limiti del commercio neutrale fra Lampredi e
Ferdinando Galiani, pref. di Ornaghi, Torino, Aragno, M.: scritti brevi,
interviste, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, Lezioni
di politica. Storia delle dottrine politiche. Scienza della politica Bologna,
Il Mulino; Bianchi e Vitale, Bologna, Mulino,Discorsi parlamentari, con un
saggio di Bonvecchio, Senato della Repubblica, Archivio storico, Bologna,
Mulino, L'Asino di Buridano. Gli
italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino -- Opere
scelte” (Milano, Guerini); Considerazioni retrospettive e altri scritti, coll.
Opere scelte, Milano, Guerini e Associati,
Lo scienziato della politica, coll. Opere scelte di M., a cura di Galli,
Milano, Guerini, Guerra, pace, diritto, La Nuova Guerra, S.l. Milano, La Scuola,
1 Scritti politici, Bassani, coll. I libri del Federalismo, Roma, Pagine,
Modello di Costituzione Federale per gli italiani Torino, Giappichelli; “La
Padania e le grandi regioni, L'unità economico-sociale della Padania Fano, Associazione
Oneto); “Il Cerchio, Schmitt. Saggi, Palano, Brescia, Scholé Morcelliana); “Le origini e i primi sviluppi
delle dottrine giuridiche internazionali pubbliche Torino, Aragno; “Vocazione e
destino dei Lombardi” (S.l.Milano); “Regione Lombardia, Prefazioni Oneto,
Bandiere di libertà: Simboli e vessilli dei Popoli dell'Italia settentrionale.
In appendice le bandiere dei popoli europei in lotta per l'autonomia,
Effedieffe, Milano, Morra, Breve storia del pensiero federalista Milano,
Mondadori; Governo della Padania, Manuale di resistenza fiscale” (Gallarate,
Oneto, “Croci draghi aquile e leoni. Simboli e bandiere dei popoli
padano-alpini; Roberto Chiaramonte EditoreLa Libera Compagnia Padana, Collegno;
Sensini, Prima o seconda Repubblica? A colloquio con Bozzi e M., Napoli, Edizioni
scientifiche italiane, Ornaghi e Vitale, Multiformità e unità della politica.
Atti del Convegno tenuto in occasione del compleanno, Milano, Giuffrè, Ferrari,
“Storia di un giacobino nordista Milano, Liber internazionale); Bevilacqua,
Insidia mito e follia nel razzismo; Il rinnovamento, Campi, “Figure e temi del
realismo politico europeo, Firenze, Akropolis La Roccia di Erec, Capua, Scienziato
impolitico Soveria Mannelli Catanzaro Rubbettino, Vitale, La costituzione e il
cambiamento internazionale. Il mito della costituente, l'obsolescenza della
costituzione e la lezione dimenticata, Torino, CIDAS, Luca Romano, Il pensiero federalista
una lezione da ricordare. Atti del Convegno di studi, Venezia, Sala del Piovego
di Palazzo Ducale, Venezia, Consiglio regionale del Veneto-Caselle di
Sommacampagna, Cierre, Lanchester, M. costituzionalista, Rivista di politica:
trimestrale di studi, analisi e commenti, Soveria Mannelli Catanzaro, Rubbettino. Damiano
Palano, Il cristallo dell'obbligazione politica in ID., Geometrie del potere.
Materiali per la storia della scienza politica italiana, Milano, Vita e
Pensiero. Maroni: voglio riprendere l'eredità di M. M. Verde, su miglio verde. eu.
Bossi a sorpresa al convegno su M. a Domaso:"Un grande"Ciao Como, su
Ciao Como, la Repubblica/politica: È morto su repubblica. Ticino COMO: Lunedì a
Domaso i funerali. Riletture. Arianna. il ricordo. Terre di Lombardia, su
terredilombardia. Alessandro, Cristianesimo e cultura politica: l'eredità di
otto illustri testimoni, Paoline, Morra, La vita e le opere, La Voce di Romagna
Il silenzio di M. fa paura alla Lega
Bossi: Pensa solo alla poltrona. "Con Bossi è un amore
finito" Miglio torna nell'arena: è
l'occasione buona M., Una repubblica
mediterranea?, in Un'altra Repubblica?
Perché, come, quando, Laterza, Roma-Bari, U. Rosso, M. l'antropologo. 'Diverso
l'uomo del Sud', in la Repubblica, Non mi fecero ministro perché avrei
distrutto la Repubblica Treccani Istituto dell'Enciclopedia. Dizionario di
storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degl’italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. su senato, Senato della Repubblica.
Associazione Openpolis. Istituto per la
scienza dell'amministrazione pubblica, su isapistituto. Interviste Intervista
sulla Secessione della Padania, su prov-varese. Lega nord. Commemorazione
di M. nell’anniversario della scomparsa di Campi, su giovani padani. lega nord.
Non mi fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica, Il Giornale, su
new rassegna.camera. Interviste a M. sui "Quaderni della Libera Compagnia
Padana" su la libera compagnia. Documenti politici Sezione di
approfondimento sul pensiero di M., dal sito ufficiale della Lega Nord. Gianfranco
Miglio. Miglio. Keywords: implicatura ligure. Refs.:
Luigi Speranza, "Grice e Miglio,” per il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Speranza “Saturdays and
Mondays” – The Swimming-Pool Library.
Luigi
Speranza -- Grice e Millia: la ragione conversazionale della setta
dell’ottimati a Crotone -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Crotone). Filosofo
italiano. Pythagorean according to Giamblico. He is said to have been one of a
group of Pythagoreans who were ambushed but found their escape route blocked by
a field of beans. Being prohibited by Pythagoreans precepts from even touching
beans, he preferred death to betraying his principles. Millia.
Luigi Speranza --
Grice e Milone: la ragione conversazionale e la setta d’ottimati di Crotone –
Roma – filosofia calabrese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Crotone).
Filosofo
italiano. According to Giamblico, a Pythagorean. He studied with Pythagoras
himself. He died when an anti-Pythagorean mob burnt his house down when he was
inside it.
Luigi Speranza --
Grice e Minicio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale d’Adriano
nel diritto romano e Plinio minore-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Rescritto di
Adriano a Gaio M. Fundano. L'imperatore Adriano, autore del rescritto a Gaio M.
Fundano. Il rescritto di Adriano a Gaio Minucio Fundano è un rescritto
imperiale inviato dall'imperatore romano Adriano a Gaio Minucio Fundano,
proconsole d'Asia. Il documento giuridico, scritto originariamente in latino,
fu tradotto e tràdito in greco ellenistico da Eusebio di Cesarea che si
rifaceva a Giustino. Il testo è noto agli storici e agli studiosi di
Storia del Cristianesimo per essere uno dei più antichi scritti pagani sul
cristianesimo. Il documento di Adriano, pur indirizzato a Minucio Fundano,
rispondeva in realtà a un'istanza sollecitata da Quinto Licinio Silvano
Graniano, predecessore del destinatario: Graniano aveva chiesto lumi sul
comportamento da tenere nei confronti dei cristiani e delle accuse che venivano
loro rivolte. Adriano rispose al proconsole di procedere nei loro
confronti solo in presenza di eventi circostanziati, emergenti da un
procedimento giudiziario e non sulla base di accuse generiche, petizioni o
calunnie: veniva stabilito così il principio dell'onere della prova a carico
dei promotori delle accuse. Eventuali azioni promosse a scopo di calunnia
dovevano, al contrario, essere duramente perseguite e punite, affinché non
fosse permesso ai calunniatori di procurare del male. Il rescritto, che è una
delle prime fonti pagane sul cristianesimo, è anche di somma importanza per la
comprensione della politica tenuta da Adriano e dal suo predecessore Traiano
nei confronti dei cristiani: Adriano, infatti, si mosse su un piano analogo, e
anche più garantista, rispetto a quello del suo predecessore che si era
espresso sull'argomento in un precedente rescritto sollecitato da una specifica
richiesta di Plinio il Giovane che era a quel tempo legatus Augusti pro
praetore in Bitinia e Ponto. Giustino sostenne l'interpretazione più favorevole
del rescritto, accettata da una parte della storiografia moderna. Dubbi
esegetici Il significato esatto del rescritto adrianeo, pur confrontato con
quello di Traiano, rimane per alcuni studiosi controverso. Se è assodata,
infatti, l'affermazione del principio dell'onere della prova da cui, in
definitiva, far dipendere la perseguibilità dei cristiani che avessero agito
«contro la legge», non è per tutti chiaro, invece, fino a qual punto dovesse
spingersi l'assolvimento di quell'onere, se fosse cioè sufficiente provare la
sola fattispecie della professione di fede (quello che Plinio, nella sua
epistola a Traiano, chiama il nomen ipsum) o si rendesse invece necessario
circostanziare anche la contemporanea presenza di reati ascrivibili all'essere
cristiani (flagitia cohaerentia nomini), la distinta fattispecie che Plinio già
individuava e intendeva suggerire all'imperatore nell'indirizzargli la sua
richiesta. Tesi di Marta Sordi Marta Sordi, storica dell'antichità
greco-romana e del cristianesimo delle origini, propendeva per
l'interpretazione più favorevole ai cristiani, una posizione esegetica a cui
peraltro già aderiva l'apologetica cristiana, da Giustino in poi. Secondo la
Sordi, Adriano, in linea con la politica del suo predecessore Traiano, avrebbe
non solo confermato il divieto di perseguibilità d'ufficio[8] ma vi avrebbe
anche aggiunto, di suo, due nuovi elementi: Il primo di essi la Sordi lo
individua in quel passo in cui Adriano afferma la necessità di dover giudicare
«secondo la gravità della colpa» (sempre nel caso - beninteso - di una denuncia
sorretta da prove). Il riferimento a una graduabilità della colpa escluderebbe,
secondo Marta Sordi, che quest'ultima potesse ridursi al solo 'essere
cristiani', una fattispecie che poteva rivelarsi vera o falsa, ma che non
poteva ammettere graduazioni: seguendo questa interpretazione, bisogna quindi
ritenere necessaria l'associazione a un diverso reato, ascrivibile allo status
religioso ma non coincidente semplicemente con questo. Questa interpretazione,
inoltre, sempre secondo la studiosa, sarebbe in sintonia con il tono generale
della prosa dell'imperatore, da cui trapela, infine, persino insofferenza nei
confronti di possibili derive intolleranti. L'espressione di questa
insofferenza, sottolineata anche da un'interiezione, è contenuta nella frase
«ma, per Ercole, se qualcuno accampa pretesti per calunniare, tu, stabilitane
la gravità, devi senza indugio punirlo». E proprio in questa frase si rinviene,
secondo Sordi, il secondo elemento di novità rispetto all'atteggiamento del
predecessore: la necessità che le conseguenze di azioni prive di prova, e
pertanto temerarie e calunniose, dovessero ritorcersi contro gli stessi
proponenti. Gianluigi Bastia, Lettera di Adriano, Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica,
Giustino Martire, Apologia Il testo
greco, in Giustino, è riportato in calce (v. Apologia. Rescritto di Adriano a
Caio M. Fundano, proconsole d'Asia (o su
Giustino, Apologia Plinio il Giovane, Epistulae Plinio il Giovane, Epistulae.
CIL Sordi, I Cristiani e l'impero romano, Jaca Book, Milano. Sordi, I Cristiani
e l'impero romano, Jaca, Milano, Bastia, Lettera di Adriano. Eusebio di
Cesarea, Storia Ecclesiastica, Giustino
Martire, Apologi, Plinio il Giovane, Epistulae, CIL, M. Fundano, Gaio, in
Treccani Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Voci
correlate Rescritto di Traiano a Plinio il Giovane Fonti storiche non cristiane
sul cristianesimo Gesù storico Storiografia su Gesù Ricerca del Gesù storico
Storicità di Gesù Onere della prova Ius puniendi Portale Antica
Roma Portale Cristianesimo Portale Diritto Portale Gesù
Categorie: Fonti del diritto romanoStoria antica del cristianesimo Adriano [altre]
Military diploma (CIL) attesting his consulship suffect consul. In office Nationality: Roman;
Occupation: politician. A Roman senator who holds several offices in the
Emperor's service, and is an acquaintance of PLINIO MINORE. He is suffect
consul with Tito Vettenio Severo as his colleague. He is best known as being
the recipient of an edict from ADRIANO (si veda) about conducting trials of
Christians in his province. This is known from an inscription recovered at Baloie
in Bosnia. The first office listed is military tribune with Legio XII
Fulminata. Next is quaestor, and, upon completion of this traditional
Republican magistracy, he would be enrolled in the Senate. Two more of the
traditional Republican magistracies follow: plebeian tribune and praetor. The
last appointment, before the inscription breaks off, is his commission as
legatus legionis or commander of Legio XV Apollinaris. Other sources attest
that he was governor of Achaea. The terminus post quem his governorship is when
Gaio Caristanio Giuliano is known to have governed. The terminus ante quem he
leaves his post is the year of his consulate, although the letters he receives
from PLINIO MINORE (si veda) indicate he is no longer in Achaea. The
inscription from Baloie mentions he has been admitted to the Septem-viri
epulonum, one of the four most prestigious ancient Roman priesthoods. Because
this inscription does not mention his consulate, it can be assumed his entrance
precedes that office. Most, if not all,
of the letters PLINIO MINORE (si veda) writes to M. fall before is suffect
consul. In the first letter of his collection, PLINIO declares that living on
his rural estate is preferable to living in Rome, where he is subject to
constant pleas for assistance. The second letter petitions him to appoint the
son of Plinio’s friend ASINIO RUFO as M’s quaestor for M.’s upcoming consulate;
The last letter is another petition to M., canvassing him on behalf of GIULIO
NASONE, who is running for an unnamed office. While all of these letters
demonstrate M. And PLINIO MINORE are acquainted, they fail to show the warmth
of a friendship. Following his
consulate, during the reign of TRAIANO, M. is governor of Dalmatia. It is through a rescript the historian EUSEBIO
preserves at length in his Ecclesiae Historia that we know M. is proconsul of
Asia. M.' predecessor, QUINTO LICINIO SILAVNO GRANIANO, asks ADRIANO how to
handle legal cases where some inhabitants are accusing their neighbours of not
following the Roman cult through informers or mere clamour. ADRIANO’s reply is to
state that any such accusations had to be through a law court, where the matter
may be properly investigated, and if they are guilty of any illegality, thou M.,
must pronounce sentence according to the seriousness of the offence. This
rescript is important as an independent witness to the existence of one or more
non-Roman sects in this part of Anatolia. The only other contemporaneous
evidence we have for these communities is the list of the VII churches of Asia
in the book of Revelation. M.’s wife is
the daughter of a MARCO STATORIO. We know her name from a funerary inscription,
which suggests that she died before M.’s consulship. The name of their
daughter, Minicia Marcella, comes from two independent sources. Minicia dies young.
Her funerary vase has been identified, which states her age at death as XII
years, XI months, and VII days. PLINIO MINORE also attests to her existence,
revealing information about the girl that shows that he and M. are better
friends than the surviving letters he writes to M. suggest. In the letter,
addressed to one EFULANO MARCELLINO, Pliny notes that, although she was not yet
XIV years old, she was betrothed. Pliny describes the preparations for her
wedding, with which M. was busy; and he asks Marcellinus to send M. a letter
consoling him for his loss. It is not known if M. has any other children. Smallwood, Principates of Nerva, Trajan and
Hadrian, Cambridge, CIL, ILJug., Talbert, The Senate of Imperial Rome, Princeton;
Wheeler, "Legio XV Apollinaris: From Carnuntum to Satala—and beyond",
in Bohec and Wolff, eds. Les Légions de Rome sous le Haut-Empire, Paris; Eck,
"Jahres- und Provinzialfasten der senatorischen Statthalter”, Chiron; Pliny,
Epistulae, I.9 Syme, Tacitus, Clarendon;
Eusebius, Ecclesiae Historia; Williamson, Eusebius: The History of the Church, Harmondsworth:
Penguin; Political offices Preceded by Acilius Rufus, and Quintus Sosius
Senecio II Consul of the Roman Empire with Titus Vettennius Severus Succeeded
by Gaius Julius Longinus, and Gaius Valerius Paullinus Categories: Roman
governors of AchaiaSuffect consuls of Imperial RomeRoman governors of
DalmatiaRoman governors of Asia Epulones of the Roman Empire Minicii. Keywords: Roman law, Adriano a Minicio -- Gaio
Minicio Fundano. Minicio.
Luigi Speranza --
Grice e Minnomaco: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone -- Roma
– filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A Pythagorean
according to Giamblico. Grice: “Cicerone argues: Minnomaco speaks Greek;
therefore he is no Roman!” Minnomaco.
Luigi Speranza --
Grice e Minucio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale
dell’eulogio ad Ottavio da Frontone -- Roma – filosofia lazia -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. He writes “Ottavio” – draws on a speech by Frontone. La gente: Minucia Marco Minucio Felice Da
Wikipedia, l'enciclopedia libera. Marco M. Felice (in latino; Marcus M. Felix;
Cirta, filosofo, scrittore e avvocato
romano. Non è noto con certezza quando visse. Il suo Octavius è simile
all'Apologeticum di Quinto Settimio Fiorente Tertulliano, e la datazione della
vita di Felice dipende dal rapporto tra la sua opera e quella dello scrittore
africano morto nel 230. Nelle citazioni degli autori antichi (Seneca, VARRONE,
CICERONE) è considerato più preciso di Tertulliano e questo concorderebbe col
suo essere anteriore ad esso, come afferma anche Lattanzio;[1] Girolamo lo
vuole, invece, posteriore a Tertulliano, sebbene si contraddica dicendolo
posteriore a Tascio Cecilio Cipriano in una lettera e anteriore in un'opera Per
quanto riguarda gli estremi della sua esistenza, Felice menziona Marco Cornelio
Frontone; il trattato Quod idola dii non sint è basato sull'Octavius; dunque se
quello è di Cipriano, M. Felice non fu attivo oltre il 260, altrimenti il
termine ante quem è Lattanzio. Anche la zona d'origine di M. è
sconosciuta. Lo si ritiene talvolta di origine africana, sia per la sua
dipendenza da Tertulliano, sia per i riferimenti alla realtà africana: la prima
ragione, però, non è indicativa, in quanto dovuta al fatto che all'epoca i
principali autori di lingua latina erano africani, e dunque il loro era lo
stile cui ispirarsi; la seconda, inoltre, potrebbe dipendere esclusivamente dal
fatto che il personaggio pagano dell'Octavius, Cecilio Natale, era africano,
come attestato da alcune iscrizioni. Cionondimeno, è significativo che entrambi
i personaggi dell'Octavius abbiano nomi citati in iscrizioni africane, e che lo
stesso valga per il nome M. Felice.Octavius L'Octavius è un dialogo che
ha per protagonisti lo stesso scrittore, Cecilio e Ottavio e che si svolge
sulla spiaggia di Ostia. L'opera si è conservata per errore dopo i sette libri
dell'Adversus nationes di Arnobio come (liber) octavus. Mentre i tre
passeggiano sul litorale, Cecilio, di origine pagana, compie un atto di omaggio
nei confronti della statua di Serapide. Da ciò nasce una discussione in cui
Cecilio attacca la religione cristiana ed esalta la funzione civile della
religione tradizionale, mentre Ottavio, cristiano, attacca i culti idolatrici
pagani ed esalta la tendenza dei cristiani alla carità e all'amore per il
prossimo. Alla fine del dialogo Cecilio si dichiara vinto e si converte
al Cristianesimo, mentre Minucio, che funge da arbitro, assegna ovviamente la
vittoria ad Ottavio. Il Cristianesimo di M. è lo stesso dei ceti
dirigenti, che non vogliono che il cambiamento di religione sia accompagnato da
sommovimenti sociali e sono convinti che debbano, comunque, sopravvivere la
finezza e l'equilibrio costruiti da secoli di civiltà greco-latina. Del resto,
di questo ceto sono i personaggi dell'Octavius, tutti e tre avvocatiː il
pagano, Cecilio Natale, era nativo di Cirta (dove l'omonimo registrato dalle
iscrizioni aveva ricoperto cariche sacerdotali) e viveva a Roma, come Minucio,
di cui seguiva l'attività forense; Ottavio, invece, è appena arrivato nella
capitale all'epoca in cui è ambientata l'opera, e ha lasciato la propria
famiglia nella provincia d'origine. Girolamo gli attribuisce una seconda
opera, De fato, di cui però non vi sono tracce. Divinae Institutiones, De
viris illustribus, Ottavio Ianuario a Saldae, CIL, e Cecilio a Cirta. A Tébessa e Cartagine. Bracci, Il linguaggio di M.
Felice. Fra dialogo filosofico e disputa religiosa, in Controversie: dispute
letterarie, storiche, religiose dall'Antichità al Rinascimento, a cura di G.
Larini, Padova, Libreriauniversitaria Vecchiotti, La filosofia politica di M.
Felice. Un altro colpo di sonda nella storia del cristianesimo primitivo,
Urbino, Università degli Studi, De viris illustribus L'Ottavio di Marco M.
Felice in italiano: play. google. com/ books/ reader?id=xj GOJAAAAEAJ& pg=GBS.PA0
Paul Lejay, «Minucius Felix», in Catholic EncyclopediaBracci, Il linguaggio di
Minucio Felice. Fra dialogo filosofico e disputa religiosa, in Controversie:
dispute letterarie, storiche, religiose dall'Antichità al Rinascimento, a cura
di G. Larini, Padova, Libreriauniversitaria.it, M. Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Marco M. Felice, su Internet Encyclopedia of Philosophy. Marco M.
Felice, Cyclopædia of Biblical, Theological, and Ecclesiastical Literature,
Harper. Opere di Marco M. Felice, su MLOL,
Horizons Unlimited. Modifica su Wikidata (EN) Audiolibri di Marco M. Felice
Marco M. Felice (altra versione), su LibriVox. Marco M. Felice, Catholic Encyclopedia, Robert
Appleton, Higgins, Felix, M., Encyclopedia of Philosophy. Opera Omnia dal Migne, Patrologia Latina, con indici
analitici, su documenta catholica omnia. eu.. V D M Padri e dottori della
Chiesa cattolica Portale Antica Roma Portale Biografie Portale
Cristianesimo Portale Letteratura Categorie: Scrittori romaniAvvocati
romaniScrittori Scrittori Romani Romani Nati a Cirta Apologeti Padri della
Chiesa Scrittori africani di lingua latina Scrittori cristiani antichi [altre]
M. – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. CONGRESSO
DI SCIENZE STORICHE, Roma. Sezione Storia della Filosofìa Storia delle
Religioni. L’APOLOGETICO DI TERTULLIANO E L’OTTAVIO DI M. COMUNICAZIONE di
RAMORINO ROMA LINCEI SALVIUCCI. Ancora non è stata risolta in
modo definitivo la questione dei rapporti che intercedono tra il discorso di
Tertulliano in difesa de’ Cristiani e il dialogo di M. Felice, dove alle accuse
formolate in un discorso d' ispirazione pagana messo in bocca a Cecilio
Natale, op- ponesi una eloquente difesa del Cristianesimo per bocca di
Ottavio dal quale il dialogo prende nome. Ancora non sono state date
sufficienti ragioni per stabilire se Tertulliano abbia avuto sott’ occhio
M., o se invece questi abbia tratto da quello come da sua fonte, e
quindi quale dei due abbia da considerarsi come cronologicamente
anteriore. La questione ha un vero interesse per la storia del
Cristianesimo in Occidente perchè trattasi delle prime scritture latine
d' ispirazione cristiana, e dipende di qui il sapere chi primo abbia
divulgato fra le genti di parlata latina le ragioni addotte dagli
Apostoli del Cristianesimo, già da più decenni diffuse tra i Greci. Tale
questione sorge dal fatto che tra le due opere corrono tali e tante
analogie di pensiero e di frase, da dover senz’altro ritenere che l’un
dei due abbia avuto sott’occhio l’altro. Si può ben congetturare anche, e s’ è
in fatto congetturato, abbiano entrambi attinto a una fonte comune, che
per noi sarebbe perduta. Primo propose quest’ ipotesi l’ Hartel, poi
cercò sostenerla in apposita monografia il Wilhelm. Più tardi De Lagarde pensa
a dirittura a un’apologià scritta da papa Vittore I da cui Tertulliano e
M. avrebbero copiato a man salva; infine l’Agahd in una sua ricerca di cose
Varroniane, voi. supp. dei Jahrbiicher di Fleckeisen, ammettendo anche
egli un’apologià cristiana latina anteriore a Tertulliano e M., ne
investigò le fonti in VARRONE e in qualche altro libro dell’età alessandrina.
Ma noi vedremo che i riscontri verbali tra l’Apologetico e l’Ottavio sono
tanti e tali da escludere l’ipotesi d'una terza fonte co- mune, se non
forse per uno speciale punto di dottrina derivato dalla scuola di
Euemero. Tra quelli che rinunziando all’ipotesi di una terza fonte
comune, riducono la questione ai soli Tertulliano e M., gli uni
credono anteriore M., gli altri Tertulliano, e le due schiere sono
egual- mente notevoli per numero e autorità di aderenti. I fautori della
prio- rità di M., come si fan forti di una espressione di Lattanzio,
così vantano l’adesione di uomini quali Eber, Baehrens, Norden,
ecc. Gli altri si rifanno dall’attestazione di Gerolamo, e hanno compagni
uomini di incontestato valore come Schultze, Neumann, Harnack, nome che
vai da solo per molti. Ultimamente si schierò da questa parte anche il
francese Monceaux che con tanto studio e dottrina s’ è occupato della
letteratura affricana. Non è qui il luogo di ripetere le ragioni
addotte da tutti questi studiosi, nè di discuterle. Intendo qui di
istituire un confronto, il più completo possibile, di luoghi Minuciani e
Tertullianei, presentandoli in modo che ne riesca chiaro il contenuto e
sia facile ai lettori di trarne le debite conclusioni. Prendo per base il
discorso di Tertulliano, seguendone l’argomento come filo conduttore, e
additando via via i luoghi paralleli di M. Nei primi tre capitoli del suo
Apologetico, mira Tertulliano a far vedere, come fosse iniquo l’odio che
si aveva contro i Cristiani. Vol- gendo nell’esordio la parola ai
reggitori del Romano Impero, dice che, se non era loro lecito fare una
pubblica inchiesta intorno alla causa dei Cristiani, se a questo solo
fattispecie o temevano o arrossivano di volgere l’attenzione
pubblicamente, e se le troppe condanne private avevano compromesso la
difesa della setta cristiana, doveva pur essere lecito a lui cercar di
giungere alle loro orecchie per la via letteraria; la verità cristiana
ben sapere di essere peregrina sulla terra e di trovar facilmente nemici
tra gli estranei, ma non voler essere condannata senza essere conosciuta.
Condannarla inascoltata essere una iniquità, e far nascere il sospetto
che i governanti non vogliano ascoltare ciò che non potrebbero più
condannare conoscendolo. La scusa dell’ignoranza non essere che apparente, anzi
aggravare il carico dell’iniquità; perchè qual più trista cosa che
l’odiare quel che si ignora, anche se la cosa meriti effettivamente odio?
Se poi si viene a sapere che la cosa non meritava odio, chi era solo
colpevole d’ignoranza, cessata questa, cessa anche di odiare; come fanno
appunto i convertiti al Cristianesimo, i quali cominciano a odiare quel
che erano e a professare quel che prima odiavano. Invece, dice
Tertulliano, gli avversari nostri segnalano bensì il fatto delle molte
conversioni, ma, anziché arguire che ci sia sotto qualche gran bene,
seguitano a ignorare e a odiare. Si dirà che le molte conversioni non
vogliono dir nulla, perchè ci si volge anche al male. Ma il male,
avvertasi, per natura o si teme o se ne ha vergogna; ed è perciò che i
malvagi voglion rimanere nascosti; sorpresi trepidano, accusati negano,
anche tormentati non sempre confessano, e condannati poi n’han dolore. I
Cristiani non si vergognano, non si pentono; si gloriano d’ esser notati
; accusati non si difendono ; interrogati confessano ; anzi confessano
spontaneamente, e condannati ringraziano. Non è dunque questo un male se
non ha le circostanze connaturate al male, il timore, il rossore! il
pentimento, il rimpianto. Anche la procedura che si segue con noi
Cristiani, continua Tertulliano, è iniqua. Non ci si concede libertà di
difesa, e si vuol da noi soltanto la con- fessione del nome, senza poi
esaminare il crimine. E mentre per un omicida, per un incestuoso, per un
nemico pubblico si indagano le cir- costanze dei fatti, il numero, il
luogo, il tempo, i complici dei delitti, per noi non si procede così ;
anzi un famoso editto di Traiano ha proi- bito che si inizino processi
contro noi, mentre poi ha disposto che data una denunzia, ci si deva
punire ; disposizione contradittoria ed ingiusta. Si viene così ad
applicare per noi un’assurda procedura, quella di torturarci, non per
farci confessare come gli altri, sì perchè neghiamo, mentre se si
trattasse di male, noi staremmo sulla negativa, e la tor- tura ci si
applicherebbe per farci confessare. È evidente che non un delitto è in
causa nel caso nostro, ma solo il nome. Si arriva al punto di biasimare
uno che si riconosce come un galantuomo, solo perchè è cristiano; si
cacciano via dalle case, anche contro ogni interesse, le mogli pudiche e
i buoni servi, solo perchè cristiani; è tutto in odio al nome. Ma che
cos’ ha di male questo nome che significa « unti » o, se si piglia la
forma « Crestiani » usata talvolta per errore, ha a connettersi con «
buono » ? Odiasi forse ia setta per il nome del suo autore ? Ma
anche le sette dei filosofi sono denominate dai loro autori, e niuno se
n’offende. Prima di odiare il nome, conveniva indagare e riconoscere dalle
qualità della setta l’autore o da quelle dell’autore la setta ; invece non si è
fatto e non si fa nulla di questo, e si seguita a far ingiusta guerra al
nome. Fin qui l’ introduzione dell’Apologetico Tertullianeo. Con le
idee qui espresse si ha qualche riscontro nell’Ottavio, a metà
circa del discorso in difesa della nuova dottrina. Accenna Ottavio all’opera
dei cattivi spiriti che insinuano l’odio contro i Cristiani anche prima
che siano conosciuti. Il capitolo seguente tocca la procedura usata coi
Cristiani, e Ottavio ricorda che anche egli prima, credendo alle solite
calunnie, usava le stesse arti diaboliche contro i Cristiani. I demonii
appunto ispirano quelle dicerie sciocche le quali, se mai, hanno un fondo
di verità per i pagani non per i Cristiani. La confu- tazione di tali
calunnie si estende. Si chiude con l’ affermazione delle virtù cri-
stiane, la pudicizia, la temperanza, la serietà. L’aumentare del nostro
numero, dice, non è accusa di errore, ma testimonio di lode, e non è
meraviglia se noi ci riconosciamo al segno dell’ innocenza e della modestia, e
se ci amiamo a vicenda chiamandoci fratelli. Ecco alcuni riscontri
verbali: Min.: nec in angulis garruli sumus si audire nos
publice aut erubesciti s aut timetis » (intendi: non è vero che noi
facciamo pettego- lezzi di nascosto, se invece siete voi che pubblicamente
rifiutate di darci ascolto o perchè arrossite o perchè temete di
farlo. : ic occupant animos (im- puri spiritus) ... ut ante nos
incipiant homines odisse quam nosse, ne cognitos, aut imitari
possint, aut damnare non possint. Anche noi, prima della
conversione, credevamo alle calunniose voci sparse contro i Cristiani, e
non ci accorgevamo che eran tutte dicerie sen- za fondamento ; «
malum autem adeo non esse, ut Cliristianus reus nec eru- besceret
nec timeret, et unum solum- modo quod non ante fuerit paeniteret. Tertull.
Apolog. I princ.: .si ad hanc solam speciem auctoritas vestra de
iustitiae diligentia in publico aut timet aut erubescit inquirere
inauditam si damnent, praeter invidiam iniquitatis etiam suspicionem
merebuntur alicuius conscientiae, noleutes audire quod auditum dan- nare
non possint. Quod vere malum est, ne ipsi quidem
quos rapit defendere prò bono audent. Omne malum aut timore aut
pudore natura perfudit. Denique malefici gestiunt latere, devitant
appa- rere, trepidant deprehensi, negant accu- sati, ne torti
quidem facile aut semper continentur, certe damnati maerent. Dinumerant
in semetipsos mentis malae impetus, vel fato vel astris imputant,
nolunt enim suum esse quia malum agnoscunt. Christianus vero quid simile?
Neminem pudet, neminem paenitet nisi piane retro non fuisse.
Si denotata gloriata, si accusata non defendit, interrogatns vel
ultro confi- tetur, damnatus gratias agit. Quid hoc mali est quod
naturalia mali non habet, fimorem, pudorem, tergiversationem,
paenitentiam, deplorationem? Quid?
hoc malum est cuius reus gaudet? cuius .accusatio votum est et
poena felicitas ? Qui si osservi come a un cenno fuggevole di Minucio rispetto
al non essere un male il cristianesimo, corrisponde in Tertulliano
tutta una spiegazione psicologica della natura del male e del contegno
dei malvagi col quale si confronta quello dei Cristiani. Apolog. c.
IL Si critica la procedura usata coi Cristiani. Tra l’altro, si dice. Ceteris
negantibus tormenta udhibetis ad confitendum, solis Chri- stianis
ad negandum. Quo perversine cum praesumatis de sceleribus no stris
ex nominis confessione, cogitis tormentis de confessione decedere, ut negantes
nomen pariter utique negemus et scelera... Sed, opinor non vultis
noe perire, quos pessimos creditis. Si non ita agitis circa nos
nocentes ergo nos innocentissimos iudicatis cum quasi innocentissimos non
vultis in ea confessione perseverare, quam necessitate non iustitia
damnandam sciatis. Vociferata homo:
Christianus sum. Quod est dicit; tu vis audire quod non
est. Veritatis extorquendae praesides de nobis solis mendacinm elaboratis
audire. Oct.: Noi prima della conversione, mentre assumevamo la difesa di
sacrilegi e incestuosi e anche di parricidi, hos i Cristiani nec
audiendos in toto putabamus, nonnunquam etiam miserantes eorum crudelius
saeviebamus, ut torqueremus confitentes ad negandum, videlicet ne
perir ent, exercentes in his, perversam quaesti onem nòn quae verum
erueret sed quae mendacium cogeret . Et si
qui infìrmior malo pressus et victus Christianum se negasset, favebamus
ei quasi, eierato nomine, iam omnia facta sua illa negatione pur-
gata ». Dopo avere nell’Apologetico confutato il pregiudizio che il
Cristianesimo non fosse permesso dalle leggi romane, facendo vedere come
le leggi potessero essere benissimo pattate, e mu- tate furono tante
volte attraverso ai secoli, Tertulliano passa a confutare le calunnie lanciate
contro i Cristiani, d’ infanticidio e di cene incestuose. Queste cose si
dicono sempre, ma nessuno mai si cura d’ indagare so sono vere. La verità è
odiata, e ha nemici da tutte le parti. Chi ha mai visto a spargere sangue
di bambini, e abbandonarsi, dopa il pranzo e dopo fatti spegnere i lumi
da cani lenone s tenebrarum, a orgie incestuose? Se i nostri ritrovi son
segreti, chi può rivelare quel che vi si fa? non gli iniziati che hanno
interesse a non si tradire; non gli estranei, appunto perchè non
penetrarono mai. È dunque tutto opera' della fama. E qui Tertulliano ha
una bella pagina sulla natura della fama o si dice. È antico il motto :
fama malum quo non aliud velocius ullum Virgilio. Perchè è un male la
fama? perchè veloce? o non anzi perchè essa è per lo più menzognera? anche
quando ha del vero, non è mai senza bugia, togliendo, aggiungendo,
mutande dal vero. Ed è di tal natura che non persiste a essere se non
in quanto mentisce, e vive solo fin quando non si arriva alla prova
dei fatto vero. Quando si ha il fatto, cessa ogni « si dice », e rimane
la notizia del fatto. La fama, nomen incerti > non ha più luogo dov’
è la certezza. Ora alla fama uom savio non deve credere. Si sa come
na- scono le dicerie. Hanno principio da qualcuno che è mosso o da
ge- losia o da dispetto o da mania di dir bugie; e poi passate di bocca
in orecchio, e via ripetute, nascondono sempre più la verità. Meno male,
che il tempo poi rivela ogni cosa, per felice disposizione della natura-
per cui il vero si fa strada. Le accuse sono nient’ altro che dicerie, ma
non hanno fondamento di verità. Si soggiunge che noi promettiamo la vita
eterna a chi uccide bambini e commette incesti. Ma anche se tu credi a
questo, dice Tertulliano, io chiedo se tu stimeresti tanto questa
eternità da arrivarci con simili infamie. Tu nè vorresti farle queste cose,
nè potresti ; dunque perchè crederai che vogliano e possano farle i
Cristiani, che sono uomini come te ? Si dirà che sono iniziati a tali
cerimonie quando non ne sanno ancor nulla; ma in tal caso, una volta
conosciute tali infamie, non continuerebbero a parteciparvi, per la
stessa avversione che avrebbe impedito loro d’ iniziarsi nel caso che ne
fossero informati. Tale il contenuto dell’Apologetico. Vi
corrispondono il M., ove con le accuse d’ infanticidio e di cene incestuose si
confutano anche quelle di adorazione d’una testa d’asino, o dei genitali
di sacerdoti, o di un uomo crocifisso, o della croce stessa. E siccome di
queste accuse si parla anche dove Cecilio Natale le espone facendo eco
alla voce comune, così è da tener conto anche di questo capo per taluni
riscontri verbali: Apolog.: quod eversofes luminum canes, lenones
scilicet tenebrarum, libidinum impiarum inverecundiam procurent candelabra et
lucernae et canes aliqui et offulae quae illos ad eversionem
luminum extendant. Veni, demerge ferruin in infantem, nullius
inimicum, nullius reum, omnium filium, vel tu modo adsiste morienti
komini antequam vixit... excipe rudem sanguinem, eo panerai tnum satia, vescere
libenter Nego te velie ; etiamsi volueris, nego te posse. Cur ergo alii possint si vos non potestis?... qui
ista credis de homine potes et tacere. Quis
talia facinora cum invenisset celavit?... Si semper latemus quando
proditum est quod admittimus? immo a quibus prodi potuit? Natura famae
omnibus nota est (v. il riassunto precedente)... quae ne tunc
quidem cum aliquid veri offerti sine mendacii vitio est Tam-
diu vivit quam diu non probat, siquidem ubi probavit cessat esse et
quasi officio nunciandi functa rem tradit et exinde res tenetur,
res nominatur. Nec quisquam dicit verbi gratia: 'hoc Romae aiunt factum 1
aut : ‘ fama est illuni provinciam sortitum sed: sortitus est ille provinciam ’,
et : hoc fa- ctum est Romae \ Fama, nomen incerti, locum non habet
ubi certum est. Min. Oct.: canis qui
cande- labro nexus est, iactu offulae ultra spatium lineae qua vinctus
est, ad impetum et saltum provocatur. Sic everso et exstincto conscio
lumine impuden- tibus tenebris etc. Illuni velim convenire, qui
initiari nos dicit aut credit de caede infantis et sanguine. Putas posse
fieri, ut tam molle corpus, tam parvulum corpus fata vulnerum
capiat? ut quis- quam illum rudem sanguinem novelli et vixdum
hominis caedat f fundat, exhauriat? nemo hoc potest credere nisi
qui possit audere nec tanto tempore aliquem existere qui proderet nec tamen
mirum, cum omnium (quoniam, Vahlen) fama quae semper insparsis
mendaciis alitur, ostensa ventate consumitur. Anche
qui si noti che il modo di esprimersi di Minucio intorno alla fama non
solo è conciso, ma chi legge quell’ostessa ventate consu- mitur non lo
intende se non quando lo confronta con la pagina di Ter- tulliano, la
quale può servire assai bene di commento. I Cristiani non si contentavano
di scagionarsi dalle accuse calun- niose mosse loro, ma le ritorcevano
contro gli avversari, facendo ve- dere come essi, all’ombra della
religione, molti infanticidi e incesti davvero commettevano. Di ciò
tratta l’Apologetico, da confrontarsi con alcuni passi
dell’Ottavio. Ricordano entrambi i sacrifizi di bambini fatti in Africa
in onor di Saturno, divoratore dei propri figli: Apolog.: cum
propriis filiis Saturnus non pepercit, extran eis utique non parcendo
perseverabat, quos quidem ipsi parentes sui offerebant et libenter
respondebant, et infantibus blan - diebantur, ne lacrimante s
immolarenturi. Oct.: Saturnus fìlios suos non exposuit sed voravit ;
merito ei in nonnullis Africae partibus a parentibus infantes
immolabantur y blanditile et osculo comprimente vagitum, ne
flebilis hostia immolar etur. Ma Tertulliano ha maggiori
informazioni su questi sacrifizi d’infanti in Affrica, durati
ufficialmente fino al proconsolato di TIBERIO, poi vietati ma seguitati a
praticare occultamente: et nunc in occulto per - severotur hoc sacrum
facinuSj perchè nessuna costumanza delittuosa si può sradicare per
sempre, nè gli Dei mutano costume. Oltre questo poi altri sacrifizi
umani vanno imputati alla religione antica. Entrambi i nostri scrittori
ricordano i sacrifizi umani fatti in Gallia in onor di Mercurio, e nella
Taurica (M. aggiunge anche, da CICERONE. Rep., e da LIVIO (si veda), il
ricordo di Busiride Egi- ziano e di antichi riti romani), e l’uso ancor
vigente di sacrificare con- dannati a morte nelle feste di Giove Laziale.
E all* infuori della religione, rinfacciano entrambi agli avversari
l’abitudine di esporre i bambini ap- pena nati o ucciderli, o quello più
tristo di spegnere la vita appena iniziata nell’utero materno.
b) Apolog . IX: « conceptum utero dum adhuc s angui s in hominem
deli- batur, dissolvere non licet. Homicidii festinatio est
prohibere nasci ; nec refert ratam quis erìpiat animam an nascentem
disturbet. Quanto poi al bevere uman sangue, Tertulliano ricorda da
Erodoto (est apud Herodotum, opinor) alleanze strettesi fra alcuni popoli
col ferirsi a sangue le braccia e bevere gli uni il sangue degli altri;
(ISO) Oct.: u snnt quae in ipsis vi- sceribus
medicaminibus epotis originem futuri hominis extinguant et
parricidium faciant antequam pariant ricorda poi Catilina, e alcune genti
Scitiche divoratrici dei proprii morti, e il rito dei sacerdoti di
Bellona consistente nel ferirsi la coscia, rac- cogliere il sangue nel
cavo della mano e darlo a bere. M., più conciso, non menziona che la congiura
di CATILINA e Bellona con brevi cenni. L’uno e V altro poi fanno menzione
dell’uso di dare a bere sangue umano agli epilettici, ma Tertulliano solo
adduce il particolare, che ai raccoglieva a tal fine il sangue scorrente
dalle ferite dei delinquenti .sgozzati nell’arena. In tutto
ciò è strano il modo come Minucio mette questi ricordi in relazione con
la menzione fatta avanti delle cerimonie in onor di Giove Laziale: ipsum
credo docuisse san - guinis foedere coniurare Catilinam et Bellonam
sacrum suum J ecc.; quasi che proprio Giove Laziale abbia insegnato a
Catilina e ai Bellonari i lor sanguinosi usi ; il che è del tutto fuor di
proposito. Infine, sempre intorno alle bibite di sangue, entrambi
gli apologeti ricordano l’avidità con che solevano alcuni acquistare, per
cibarsene, la carne delle bestie uccise nell’arena, dopo che quéste s’
erano empite le viscere di membra umane. Ma Tertulliano è più ricco di
particolari, come è più immaginoso ed energico nell’espressione.
Confrontisi: Tertull.: Item illi qui de harena Min. : non dissimiles ei
qui de haferinis obsoniis cenant, qui de apro qui rena feras devorant inlitas
et infectas se est quandoque memoriara dissipari, et simili error
impegerit, exinde iam tradux proficiet incesti serpente genere cum
scelere. Tunc deinde quocumque in loco, domi, peregre, trans freta
Comes et libido, cuius ubique sal- tus facile possunt alicubi ignaris
filios pangere vel ex aliqua seminis portione, ut ita sparsum genus
per commercia humana concurrat in memorias suas, neque eas caecus
incesti sauguinis agnoscat. Min.: etiam nescientes, miseri, potestis in
inlicita proruere, dum Venerem promisce spargitis, dum passim liber os seritis,
dum etiam dorai natos alienae misericordiae frequenter exponitis, necesse
est in vestros recurrere t in filios inerrare. Nella diversa
disposizione dei pensieri, pur si riconosce l’affinità dei due scrittori,
dei quali Tertulliano è più ricco e compiuto, aggiun- gendo qui tra le
ragioni di figliuoli dispersi anche l’adozione. Alla corruttela
pagana poi opponesi la continenza cristiana la quale o si contenta di
legittimo matrimonio, o aspira anche alla verginità. Tertull.: quidam
multo secu- Min : plerique inviolati corporia riores totam vim
huius erroris virgine virginitate perpetua fruuntur potiua continentia
depellunt, senes pueri. quam gloriantur. Dove non isfugga l’esagerazione
del plerique minuciano di fronte all’espressione tertullianea più conforme al
vero. Gli Dei pagani erano in origine uomini. Nell’ Apologetico,
passa Tertulliano a ragionare di un’altra recriminazione fatta ai Cristiani,
quella che non venerassero gli Dei e non sacrificassero per gli
imperatori ; onde erano fatti rei di sacrilegio e di lesa maestà. Ora
egli dice che i Cristiani cessarono dal prestar culto agli Dei pagani
dacché conobbero che tali Dei non esistevano; e non esser giusto il
punirli se non quando tale esistenza fosse dimostrata. E questa
convinzione soggiunge che i Cristiani ricavavano dalle stesse testimonianze
pagane, concordi nel lasciar chiaramente vedere che i pretesi Dei non erano
altro che uomini di- vinizzati. Infatti se ne adducevano i luoghi di
nascita, le regioni ove avevano vissuto e lasciato tracce dell’opera
loro, e si mostravano anche i loro sepolcri. Serva d’esempio per tutti
Saturno, cui gli scrittori come Diodoro e Tallo fra i Greci, Cassio e
Nepote fra i Latini attestarono essere stato uomo. La qual cosa è
comprovata anche da prove di fatto, verificatesi sopratutto in Italia,
ove egli fu accolto da Giano, ove il monte che abitò fu chiamato
Saturnio, la città che fondò ebbe pari- mente nome Saturnia, e anzi tutta
l’Italia dopo il nome di Enotria ricevette quello di Saturnia. Da lui
l’origine delle legali scritture e del conio monetario, onde la sua
presidenza dell’erario. Dunque era uomo, è nato da uomini, non dal cielo
e dalla terra. Ignorandosene la pa- rentela, fu detto esser figlio di
quelli onde tutti possiamo esser figli, chiamandosi per venerazione il
Cielo e la Terra padre e madre, e figli della terrà denominando il volgo
quelli la cui parentela è incerta. Sa- turno dunque era uomo; e lo stesso
si può dir di Giove e di tutto l’altro sciame di divinità pagane. Si dice
che furono tutti divinizzati dopo morte. Da chi? Bisogna vi fosse un
altro Dio più sublime, ca- pace di regalare la divinità, giacché da sé
questi uomini non si po- tevan certo crear Dei. Ma perchè il Dio Magno
avrebbe donato la divinità ad altri esseri? Forse per esserne aiutato nel
grande còmpito di dirigere l’universo? Ma che bisogno vi poteva essere di
ciò, se il mondo o era ab aeterno, come volle Pitagora, o venne fatto da
un essere ragionevole, come disse Platone? Del resto questi uomini si
lo- dano per aver trovato le cose utili alla vita, ma non le hanno
create, perchè già c’erano. Si dirà egli che la divinizzazione fu un
premio alle loro virtù? Ma, a dir vero, anziché virtuosi, erano costoro
pieni di vizi e piuttosto da cacciar giù nel Tartaro che accogliere nel
Cielo. Ma mettiamo anche fossero buoni, o perchè allora non s’ è dato
lo stesso premio a uomini lodatissimi come Socrate, Aristide, Temistocle,
ecc.P Di tutta questa dimostrazione ragionata a fil di logica,
Minucio non ha nell’Ottavio che un punto solo, l’affermazione che i
pretesi Dei erano uomini. E questa si contiene nel cap. 21 del dialogo, il
quale fa seguito alla parte fisolofica del discorso di Ottavio e alla
sentenza che le favole mitologiche erano tutte finzioni poetiche, da
spiegarsi seconde la teoria di Evemero, della quale cita altri
rappresentanti antichi come Prodico, Perseo, lo stesso Alessandro il Macedone.
Connettesi con tale ordine di idee il ricordo di Saturno già uomo. E qui
diversi riscontri: Tertull. Apol.: Saturnum ita- que, si quantum
litterae docent, neque Diodorus Graecus aut Thallus neque Cassius
Severus aut Comelius Nepos neque ullus commentator eiusmodi anti -
quitatem aliud quam hominem promul- gaverunt. Min. Oct.: Saturnum
enim omnes scriptores vetustatis Graeci Ro- manique hominem prodiderunt.
Scit hoc Nepos et Cassius in historia ; et Thallus et Diodorus hoc
loquuntur. È questo il passo che all’Ebert e a’ suoi seguaci parve e
pare dimostrativo della priorità di Minucio, per la ragione che il
Cassius Severus di Tertulliano in luogo del semplice Cassius (ossia
Hemina) è un errore, e per la presunzione che chi sbaglia copii. Se tale
indu- zione sia giusta, vedremo in seguito. Per ora notiamo solo che
Ter- tulliano aveva fatto lo stesso sbaglio in Ad Nationes: Legimus
apud Cassium Severum, apud Cornelios Nepolem et Ta- citurna ecc. Tertull.
ibid.: in qua Italia Saturnus post multas expeditiones postque Attica
hospitia consedit, exceptus a Iano vel lane ut Salii volunt. Mons
quem incoluerat Saturnius dictus, civitas quam depalaverat Saturnia usque
nunc est, tota denique Italia post Oe- notriam Saturnia cognominabatur. Ab ipso primum tabulae et imagine signa- tus
nummus et inde aerarlo praesidet. Si homo Saturnus utique ex homine, et
quia ab homine, non utique de caelo et terra. Sed cuius parentes
ignoti erant facile erat eorum fìlium dici quorum et omnes possumus videri.
Quis enim non caelum ac terrai matrem ac Min.: Saturnus Creta
profugus Italiana metu filii saevientis accesserat et Iani susceptus
hospitio rudes illos homines et agrestes multa docuit ut Graeculus et politus,
litteras imprimere, nummos signare, instrumenta conficere. Itaque
latebram suam, quod tuto latuisset, vocari maluit Latium, et ur.bem
Saturniam idem de suo nomine ut laniculum Ianus ad memoriam uterque
posteritatis reliquerunt. Homo igitur utique qui fugit, homo utique qui
latuit, et pater ho- minis et natus ex homine. Terrae enim vel
caeli filius (se. est dictus) quod apud Italos esset ignotis parentibus
proditus, ut in hodiernum inopinato visos patrem venerationis et honoris
grati a appellet? vel ex consuetudine humana, qua ignoti vel ex
inopinato adparentes de caelo supervenisse dicuntur. Proinde
Saturno repentino utique caelitem contigit dici; nam et terrae filios
vulgus vocat quorum genus incertum est. Etiam Iovera ostendemus tam
hominem quam ex homine, et deinceps totum generis examen tam mortale
quam seminis sui par. Nunc ego per singulosdecurram? Otiosum est
etiam titulos persequi totum generis examen caelo missos, ignobiles et ignotos
terrae filios nominamus. Eius fìlius Iuppiter Cretae excluso
parente regnavit, illic obiit, illic filios habuit; adhuc antrum Iovis
visitur et sepulcrum eius ostenditur et ipsis sa- cris suis
humanitatis arguitur. Otiosum est ire per singulos. Saturnum principem
huius generis et examinis. Per la divinizzazione
dopo morte, M. ha considerazioni diverse dai ragionamenti di Tertulliano.
Ricorda Romolo fatto Dio per lo spergiuro di Procolo, e il re Giuba per
il consenso dei Mauri ; furono consacrati Dei come si consacrano gli altri re,
non per attestare la divinità loro, ma per onorare la potestà che hanno
esercitato in terra. Queste stesse persone che si divinizzano, dice, non
ne vorrebbero sapere, e sebbene già vecchi declinano quell’onore. Rileva
poi l’assurdo di far Dei esseri già morti o nati destinati a morire. E
perchè non nascono ora più Dei? Porse s’ è fatto vecchio Giove o s’ è
esaurita Giunone? 0 non è da dire anzi che è cessata questa generazione
perchè nessuno ci crede più ? E del resto se si creassero nuovi Dei, i
quali di poi non potreb- bero morire, s’avrebbero più Dei che uomini, da
non poter essere più contenuti nè in cielo, nè nell’aria, nè sulla
terra. Tutte queste riflessioni di Minucio sono differenti da quelle
che fa Tertulliano ; sicché in questo punto non vi possono essere
riscontri. Però confronta: Ad Nationes: qui deum Caesarem dicitis et
deridetis dicendo quod non est, et maledicitis quia non vult esse quod
dicitis. Mavult enim vivere quam deus fieri. Min.: Invitis his hoc
nom.en adscribitur: optant in homine perseverare, fieri se deos metuunt,
etsi iam senes nolunt. Tertulliano passa a considerare che cosa
sieno effettivamente i supposti Dei pagani. E prima parla dei loro
simulacri, i quali son fatti di materia identica a quella dei vasi e
strumenti comuni, o forse dai vasi medesimi artisticamente elaborati. Son
dunque Dei foggiati per mezzo di battiture, di raschiature, di
arroventature; proprio il trattamento che si fa ai Cristiani, di che
questi possono avere qualche conforto. Se non che questi Dei non sentono
i maltrat- tamenti della loro fabbricazione, come non sentono gli ossequi
dei loro fedeli. Tali statue di morti, cui intendono solo gli uccelli e
i topi e i ragni, non è egli giusto non adorare? Come sembrerà che
offendiamo tali esseri, mentre siam certi che non esistono affatto?
Riflessioni analoghe fa M.. Detto delle favole mitologiche
irriverenti e corrompitrici, nota che le immagini di tali Dei adora il volgo,
più abbagliato dal fulgore dell’oro e dell’argento che ispirato da fede
vera; e richiama l’attenzione sul fatto che tali simulacri sono formati
dalla mano d’un artista, e se di legno, forse reliquia di un rogo o di
una forca; sono sospesi e lavo- rati con l’accetta e la pialla, se d’oro
o d’argento, magari tolto da vaso immondo, sono pesti, liquefatti,
contusi tra il martello e l’ incudine, ecc. Ecco
riscontri: Tertull. Apoi.: reprehendo... materias sorores esse
vasculorum instrumentorumque communium vel ex isdem vasculis et
instrumentis quasi fatum consecratione mutantes. Min.: deus aereus
vel argenteus de immundo vasculo, ut accicipimus factum Aegyptio regi
(Amasi, Erodoto) conflatur, tunditur malleis et incudibus figuratur
nisi forte nondum deus saxum est vel lignum vel argentum. Quando
igitur hic nascitur? ecce funditur, fa- bricatur, sculpitur, nondum deus
est; ecce plumbatur construitur, erigitur, nec adhuc deus est; ecce
ornatur consecratur oratur, tunc postremo deus est, cum homo illum voluit
et dedicavit. Piane non sentiunt has iniurias nec sentit lapideus deus
suae et contumelias fabricationis suae dei nativitatis iniuriam ita
ut nec postea, vestri sicut nec obsequia ». de vestra veneratione
culturam. Statuas milvi et mures et Quam acute de diis vestris attinane ae
intellegunt. malia muta naturali ter iudicant ! mures, hirurrdines,
milvi non sentire eos sci uni; rodunt inculcant insident, ae, nisi
abigatis, in ipso dei vestii ore nidificant; araneae vero faciem eius
intexunt et de ipso capite sua fila suspendunt. Vos tergetis mundatis eraditis et illos qoos
facitis, protegitis et timetis. Si noti qui la maggior
quantità di particolari in M., il che come deva spiegarsi diremo in
seguito. Tertulliano invece è poi solo nel notare che i pagani stessi
prendono a gioco illudunt e offendono le loro divività, non riconoscendo tutti
le stesse, e trat- tando alcuni Dei come i Lari domestici con compre-
vendite, pignora- menti, incanti, tal quale s’usa per le case cui sono
annessi, altre volte tsasformando, poniamo, un Saturno in una pentola e
una Minerva in un mestolo. Di nuovo entrambi ricordano, di
passata, le strane cerimonie del culto pagano (Tertull. in., Min. e
rilevano le invereconde leggende dai poeti ripetute intorno agli Dei,
auspice Omero, e l’aver gli Dei combattuto o pei Greci o pei Troiani, e
Venere ferita, e Marte incarcerato, e Giove liberato per opera di
Briareo, ecc., ecc. Tertull.: Quanta inverno ludi- Min.: hic enim
Homerus bria! deos inter se propter Troianos et praécipuus bello Troico
deos vestros, Achivos ut gladiatorum paria congres - etsi ludos
facit, tamen in hominum resos depugnasse, Venererà humana sa- bus et actibus
miscuit, hic eorum pagitta sauciatam, quod filium suum Ae- ria composuit,
sauciavit Venererà, Mar - nean paene interfectum ab eodem Dio- .
tem vinooit vulneravit fugavit. Iovem mede rapere vellet, Martem tredecim
narrat Briareo liberatum, ne a diis cemensiìms in vinculis paene consumptum,
teris ligaretur, et Sarpedonem filium, Iovem ne eandem vim a
ceteris caeli- quoniam morti non poterat eripere, tibus experiretur,
opera cuiusdam moncruentis imbribus flevisse, et loro Ver stri
liberatum, et nunc flentem Sarpe - neris inlectum flagrantius quam in aduldonis
casum, nunc foede subantem in teras soleat cum Iunone uxore consororem sub
commemoratione non ita cumbere. dilectarum iampridem amicarum. L’esempio
d’Omero indusse altri poeti a irriverenti invenzioni: Quis non poeta ex
auctoritate Alibi Hercules stercora egerit, principis sui
dedecorator invenitur Dee- et Apollo Admeto pecus pascit. Laorum ? Hic
Apollinem Admeto regi pa- medonti vero muros Neptunus instituit
scendis pecoribus addicit, ille Neptuni (forse: construit) nec mercedem
operis structorias operas Laomedonti locat. Est infelix structor
accipit. Illic (Vulcanus, et ille de lyricis (Pindarum dico) qui
aggiunge TUrsinus) Iovis fulmen cum Aesculapium canit avaritiae merito,
quia Aeneae armis in ineude fabricatur, cum avaritiam nocenter exercebat,
fulmine caelum et fulmina et fulgura longe ante iudicatum. Malus Iuppiter
si fulmen il- fuerint quam Iuppiter in Creta nasce- lius est, impius in
nepotem, invidus in retur artifìcem. Dal contesto di Tertulliano
apparirebbe ch’egli attribuisse le leggende di Apollo pastore presso
Admeto e di Posidone operaio al soldo di Laomedonte ad altri poeti che ad
Omero, mentre è noto che già in Omero vi è un cenno di queste leggende.
Ma forse Tertulliano aveva in mente ulteriori elaborazioni di dette
leggende forse in drammi (ad es., per Apollo pastore, l’Alcestide d’
Euripide), come dopo fa espressa menzione di Pindaro. In Minucio invece
tutte le ri- cordate leggende par si attribuiscano ancora ad Omero, il
che viene a essere inesatto per il racconto di Ercole che scopa le stalle
d’Augia, in Omero non menzionato, e per il ricordo delle armi di ENEA
opera di Vulcano, tolto da VIRGILIO (si veda) non da Omero. In
connessione col precedente argomento, Tertulliano ricorda an- cora le
irriverenze contro gli Dei scritte dai filosofi, specie dai cinici (tra
cui pone Varrone, che chiama il Cinico Romano
e a cui rimprovera l’aver introdotto ter centos foves sive Jupitros sine
capitibus), e quelle peggiori contenute nei mimi e nella
letteratura istrionica, aggravati dalla circostanza che gli istrioni spesso
rappresentano essi stessi la divinità, e, dice: vidimus aliquando
castratura Attin, Mura Deum ex Pessinunte, et qui vivus ardebat Eerculem
in - dueraL Di tutto ciò nulla in M.. Invece di nuovo vanno di con-
serva nel rinfacciare al paganesimo i sacerdoti corrotti e corruttori.
Apoi.: in templis adul - Oct.: dopo ricordati i molti teria componi,
inter aras lenocinia incesti delle Vestali, continua: «ubi tractari,
in ipsis plerumque aedituo- autem magis a sacerdotibus quam inter
rum et sacerdotum tabernaculis sub aras et delubra condicuntur
stupra, isdem vittis et apicibus et purpuris tractantur lenocinia,
adulterio medithure flagrante libidinem expungi. tantur? frequentius denique in
aedituorum cellulis quam in ipsis lupana- ribus flagrans libido
defungitur. Si avverta nel latino di Minucio il meditantur usato
passivamente con una ripetizione inutile di concetto dopo il condicuntur
stupra ; si noti [Salvo se V alibi di M. voglia interpretarsi:
«presso altri autori. Ma tale interpretazione ripugna al contesto, perchè
poco di poi, ricordato ancora Tadulterio di Marte e Venere, e i rapporti
di Giove e Ganimede, soggiunge : quae omnia in hoc (scil. Homero) prodita
ut vitiis hominum quaedam auctoritas pararetur. pure l’esagerazione del
frequentius quam inipsìs lupanaribus che guasta il concetto espresso dal
plerumque di Tertulliano ; in terzo luogo si avverta l’epiteto flagrans
attribuito alla libido, in luogo del thure fla- grante così significativo
di Tertulliano. Infine quel defmgitur, usato assolutamente, e con
soggetto di cosa in senso di « si sfoga » o in quello passivo di viene
saziata è tanto poco giustificato da altri esempi di scrittori latini
(*), che fa pensare a un errore del testo. Forse in luogo di defmgitur,
va letto: expungitur . Tertulliano dopo le cose dette, si dispone a venire
alla parte po- sitiva della sua Apologia, ma prima confuta ancora le
dicerie sparse sul conto de’ Cristiani, che essi adorassero una testa
d’asino e avessero in venerazione la Croce. Quanto alla prima, ne
attribuisce l’origine a Tacito, che avendo narrato nel quinto delle
Storie l’esodo degli Ebrei dall’Egitto, e la sete patita nel deserto, e
il fatto che una fontana era stata indicata da alcuni asini selvatici,
aveva soggiunto che gli Ebrei grati a queste bestie del beneficio
ricevuto avevano preso a venerarle. Di poi la stessa cosa sarebbe stata
attribuita ai Cristiani come setta affine ai Giudei. Eppure, dice
Tertulliano, lo stesso Tacito narra bene che quando Pompeo presa
Gerusalemme entrò nel tempio, non vi trovò alcun simulacro. Piuttosto ai
pagani possono i Cristiani rinfacciare che i giumenti e gli asini intieri
venerano insieme colla dea Epona. Quest’ultimo punto, e solo questo,
trovasi anche in Minucio onde può riscontrarsi: Tertull.
Apoi.:Tostameli Min.: vos et totos asinos non negabitis et iumenta
omnia et totos in stabulis curri vestra \jveT} Epona concantherios curri sua
Epona coli a vobis secratis, et eosdem asinos cum Iside (cfr. ad
Nationes: sane vos totos religiose decoratis. asinos colitis et cum sua Epona et omnia iumenta et
pecora et bestias quae perinde cum suis praesepibus consecratis. Impersonalmente
trovasi usato defungor in Tee. Adelph.: utinam hic sit modo defunctum,
purché la finisca qui » ; e con soggetto di cosa pub ricordarsi il
barbiton defunctum bello di Orazio, la lira ha finito le sue battaglie
d’amore ». Abbastanza frequente è il defungor usato assolutamente ma con
soggetto personale come in Ter. Phorm.: cupio misera in hac re iam de-
funger e in Ovid. Am.: me quoque qui toties merui sub amore puellae,
defunctum placide vivere tempus erat . Sempre defungi ha senso di « finire
la parte sua, esaurire il proprio mandato. Il ricordo degli asini nel
culto d’ Iside è solo minuciano, e si aggiuuge ancora menzione di altri
culti strani, come quello del bue Api e di altre bestie venerate dagli
Egiziani (forse dal De Nat. Deor. di CICERONE. Quanto al
culto della Croce, osserva Tertulliano che anche i pa- gani adorano i
loro idoli di legno ; sarà dunque question di linee, ma la materia è la
stessa, sarà question di forma, ma è sempre il corpo del creduto Dio. Del
resto, dice, le immagini in forma di semplice palo della Pallade Attica e
della Cerere Paria, che gran differenza hanno dal legno della croce?
poiché ogni palo piantato verticalmente è una parte della croce. Poi gli
statuari, quando fabbricano un Dio, si ser- vono d’uno scheletro ligneo a
croce, tale in fondo essendo la figura del corpo umano ; e un sopporto di
legno della stessa foggia usasi pure nei trofei e nelle insegne militari.
M. parla di ciò. Ecco alcuni riscontri: Tertull.: Qui crucis nos
reli- giosos putat, consecraneus (correligionario) erit noster. Cum
lignum aliquod propitiatur, viderit habitus dura materiae qualitas cadera
sit, viderit for- ma dum id ipsum Dei corpus sit. Diximus originem deorum
vestrorum a plastis de cruce induci » (allusione a Ad Nationes dove
la fabbricazione degli idoli con uno scheletro ligneo a forma di
croce è ampiamente descritta. Sed et Victorias adoratis cum in tropaeis
cruces intestina sint tropaeorum. Religio Romanorum tota castrensis signa
veneratur... Omnes illi imaginum suggestus in signis monilia crucum
sunt; sipbara illa vexillorum et cantabrorum stolae crucum sunt. Laudo
dili- gentiam. Noluistis incultas et nudas cruces consecrare. Ad Nationes:
Si statueris hominem manibus expansis, imaginem crucis
feceris. Tertulliano poi parla ancora della venerazione del Sole
attribuita da alcuni ai Cristiani per l’uso loro di pregare rivolti ad
Oriente Ma anche questo, dice, non è rimprovero che si possa fare ai
Cristiani, Min.: Cruces... nec colimus nec optamus. Yos sane qui
ligneos deos consecratis cruces ligneas ut deorum vestrorum partes
forsitan adorates. Nani et signa et cantabra et ve - xilla castrorum quid
aliunt quam inauratae cruces sunt et ornatae? tropaea vestra victricia
non tantum simplicis crucis faciem verum et adfixi hominis
imitantur. Signum sane crucis naturaliter visimus in navi cum velis
tumentibus vehitur, cum expansis palmulis labitur; et, cum erigitur
iugum, crucis signum est,* et cum homo porrectis manibus deum pura
mente veneratur. praticando anche i pagani la preghiera al levar
del sole. E se i Cri- stiani fanno festa il giorno del sole (la
domenica), fanno ciò per ben altra causa che la religione del sole : pure
i pagani nel dì di Saturno (il sabato) si davano all’ozio e al mangiare,
scimiottando, a sproposito, i Giudei. Di ciò nulla in M..
Infine nell’Apologetico ricordasi la pittura da un miserabile mu-
lattiere messa in pubblico, a Roma, rappresentante una figura umana con
orecchie d’asino, e l’un dei due piedi ungulato, vestito di toga e con un
libro in mano, appostavi la iscrizione: Deus Christianorum òvoxoirjtrjQ.
Era un Giudeo l’autore di questo indecente scherzo (ad Nat.); e la gente
ci credette e per tutta la città scorreva sulle bocche quell’ Onocoetes.
Ma di tali mostri, soggiunge, veneransi più fra i pagani che tra
cristiani; chè essi hanno accolto tra i loro Dei esseri con testa di cane
e di leone, e corna di capri e d’ariete, e coda di serpenti, alati le
spalle o i piedi. Un fuggevole ricordo di tali mostri è anche in M., che
del resto si tace: d) Tertull. : « Illi debebant adorare
statim biforme numen, quia et canino et leonino capite commixtos, et de
ca- pro et de ariete cornutos, et a lumbis hircos et a cruribus
serpentes et pianta vel tergo alites deos receperunt. Solo è invece
M. a scagionare i Cristiani dell’accusa di adorare sacerdoti virilia; alla
quale occasione ritorce contro gli avversari la taccia di impudicizia,
ricordando le licenze sessuali onde quei cinedi si disonoravano. Min.: item bonra capita et capita vervecum et
immolatis et colitis, de capro etiam et de homine mixtos Deos et
leonum et canum vultn deos dedicatis. Ma
venendo ornai alla parte positiva della dottrina, Tertulliano celebra il
Dio unico, creatore del cosmo, invisibile sebben si veda, incomprensibile
sebbene in via di grazia divenga presente, inestimabile sebbene coll’umano
sentimento si stimi. E in quanto si vede, si comprende, si stima, Egli è
minore dei nostri occhi, delle nostre mani, dei nostri sensi; ma in
quanto immenso, a sè solo è noto. Così la sua stessa grandezza lo rende noto
e ignoto insieme a noi. Ecco appunto il gran delitto, consistente
nel non voler riconoscere Dio, mentre non si può ignorare. Non lo
attestano le sue opere? non lo attesta la stessa anima? la quale
sebbene incarcerata nel corpo, svigorita dalla concupiscenza, fatta
ancella di falsi Dei, pure quando rientra in sè e sente la sua sanità
naturale, esce fuori in esclamazioni, quali: Dio buono e grande!, e:
ci sia propizio Iddio!, e : Dio vede, e : a Dio ti raccomando e
simili; e queste cose, esclama, non rivolta al Campidoglio, ma al Cielo,
sede naturale del Dio vivo. In Minucio la parte positiva del discorso,
per quel che riguarda la filosofia o teologia razionale, precede la parte
polemica o negativa. Del Dio unico parla Ottavio in principio del suo
discorso, e trovansi diversi luoghi paralleli a passi di Tertulliano.
Eccoli: Tertull.: deus ... totam molem istam verbo quo iussit,
ratione qua disposuit, virtute qua potuit de nihilo
expressit. Per il dispensare in confronto col disponere, vedi
CICERONE. Orai.: inventa non solum ordine sed edam momento quodam
atque iudicio dispensare atque disponere . Invisibilis est incomprehensibilis... inaestimabilis. quod
immensum est, soli sibi notus est. Anima cum sanitatem suam
patitur, deum nominat. Deus bonus et magnus et quod Deus dederit 1
omnium vox est. Iudicem quoque contestato illum ‘ Deus videt ’ et Deo commendo, et Deus mihi reddet \ 0 testimonium animae
naturaliter Christianae! Denique pronuntians haec
non ad Capitolium sed ad caelum respicit». Su questo tema
dell’anima naturalmente cristiana è noto che Tertulliano scrisse più tardi un
opuscoletto a parte intitolato appunto De testimonio animae, dove le
stesse idee sono esposte con maggiore ampiezza ed efficacia.
Min.: Qui Deus universa quaecumque sunt verbo iubet, ratione dispensai, virtute
consummat hic non videri potest... nec comprendi potest nec
aestimari. Immensus et soli sibi tantus quan- tus
est notus ». « Audio vulgus; cum ad caelum ma* nus tendunt,
nihil aliud quam * o Deus ’ dicunt et ‘Deus magnus est’ et * Deus
verus est’ et ‘ si Deus dederit’. Yulgi iste natoalis
sermo est an Christiani confidente oratio ? L’Apologetico e importante
per le indicazioni delle fonti letterarie della dottrina cristiana.
Ricordati i primi storici ispirati dall’Ebraismo e i profeti e i libri
ebraici tradotti in greco dai Settandue per suggerimento di Demetrio
Falereo al tempo <ìi Tolomeo Filadelfo, ricordata l’antichità
dei primi scrittori ebraici molto maggiore di qualsiasi memoria greca, e
fatto anche un cenno di altre fonti storiche greche, egiziane, caldee,
fenicie fino a Giuseppe Ebreo, notata la concordia e completezza delle
profezie che pronunziarono gli avvenimenti secondo verità, e hanno
acquistata autorità sicura anche per le cose ancora da venire,
Tertulliano espone la dottrina di Cristo uomo e Dio. La teoria della
Trinità divina in unità di sostanza è qui già chiara- mente formolata, e
confermasi l’idea del Àóyog, o parola o ragion divina artefice
dell’universo, con testimonianze di antichi filosofi. Poi si riassume la
storia di Gesù e ricordasi la divulgazione della dottrina di lui fatta dagli
Apostoli, fino alla persecuzione neroniana. Ecco dunque, conchiude, qual’
è la nostra fede, che noi sosteniamo anche fra i tormenti : Deum colimus
per Christum . Cristo è uomo ma in lui e per lui Dio vuol essere
riconosciuto e adorato. Di questa, che è la sostanza del Cristianesimo,
Minucio tace affatto; non nomina neppur Cristo, pur parlando a ogni piè
sospinto de’ Cristiani. È questo il lato debole dell’ Ottavio. Solo in un
punto uvvi una non chiara allusione alle dottrine dell’uomo-Dio, uve per
iscagionare i correligionari dall’accusa di venerare un delin- quente
dice : « molto siete lungi dal vero, se ritenete si creda da noi deum aut
meridie ìioxium aut potuisse terrenum, che un Dio o si rendesse colpevole
da meritar supplizio o potesse come cosa terrena subirlo; parole non
abbastanza chiare nel testo latino, e che diedero luogo a ben disparate
interpretazioni. Minucio in questo luogo è rimasto inferiore a sè stesso,
nè s’avvide come questa dottrina fondamentale meritava più ampio
svolgimento in una difesa del resto eloquente e sentita della nuova
religione. Continuando Tertulliano la esposizione sua, parla dell’esistenza di
sostanze spirituali, esistenza ammessa già dai filosofi e poeti antichi
come dal volgo; e, ricordata la caduta di alcuni angeli e l’origine dei demoni,
parla dell’opera di costoro tutta rivolta a dannar l’uomo; son essi che
eccitano le più strane passioni u pazzi capricci e corruttele dell’anima;
son essi che ingenerano la fede negli Dei falsi e bugiardi, e, colla loro
rapidità di movimenti e parziale notizia del vero anche futuro, ispirano
oracoli e vati, e in tutto contribuiscono a ingenerare inganni e deviar
la mente dal vero Dio. I miracoli dei maghi son da loro ; da loro spesso
i sogni e ogni specie di divinazione. La più bella prova di ciò, dice
Tertulliano, è questa che se uno invaso da un demone si trovi in faccia a
un Cristiano, e questi dia ordine al demone di parlare, quegli senz’altro
si confesserà, quel che è ; e così pure quelli che son creduti invasi da
un Dio, in presenza d’un cristiano confessano di essere nient’ altro che
demoni. Il nome di Cristo basta ad atterrire questi esseri ; una prova di
più cho il nostro è l’unico Dio e vero, e che non esistono gli Dei
pagani. Sicché si vede quanto poca regga l’accusa di lesa religione romana,
mentre di vera irreligiosità si macchiano gli avversari coll’ adorare i
falsi Dei, e diversi nelle diverse regioni, e altresì coll’ impedire a
noi il culto del vero Dio. Tali pensieri trovansi su per giù anche
in M.. Ottavio discorre degli spiriti mali, degradati dalla loro primiera
innocenza e tutti intenti a perdere anche gli altri. Tale discorso
continua r offrendo vari luoghi paralleli a Tertulliano. Tertull.
Apolog,:Sciunt daeraones philosophi, Socrate ipso ad daemonii
arbitrium exspectante. Quidni? cum et ipsi daemonium a pueritia
adhaesisse dicatur, dehortatorium piane a bono. Omnes sciunt
poetaen. Min.: eos spiritus daemones- esse poetae sciunt, philosophi
disserunt, Socrates novit, qui ad nutum et arbitrium adsidentis sibi
daemonis vel deeli nabat negotia vel petebat. Il demonio socratico è da
Tertulliano giustamente detto debortatorium a borio; meno esattamente
Minucio gli attribuisce efficacia e positiva e negativa contro la nota
verità storica. Quid ergo de ceteris ingeniis vel etiam viribus
fallaciae spiritalis edisseram? phantasmata Castorum, et aquam cribro
gestatara, et navem cingalo promotam f et barbam tactu inrufatam, ut numina
lapides crederentur et deus verus non quaereretur ? Min.: de ipsis
daemonibus etiam illa quae paullo ante tibi dieta sunt, ut Iuppiter ludos
repeteret ex somnio, ut cum equis Castores viderentur, ut cingulum
matronae navicula sequeretur. Tali esempi di miracoli erano conosciuti
volgarmente dai libri relativi all’arte divinatoria, e in riassunti
dottrinali non fa meraviglia di veder citati or gli uni or gli
altri. Tertull.: « Iussus aquolibet chrifitiano loqui spiritus ille tam
se daerannem confitebitur de vero quam alibi dominum de falso. Aeque
producatur aliquis ex his qui de deo pati existiraantur Ista ipsa
Virgo caelestis pluviarum pollicitatrix, ipse iste Aesculapius
medicina- Tum demonstrator nisi se daemones confessi fuerint
Christiano mentiri non audentes etc. vobis praesentibus erubescentes.
Credite illis, cura verum de se lo- quuntur, qui mentientibus creditis.
Nemo ad suum dedecus mentitur, quin potius ad honorem de corporibus
nostro imperio «xcedunt inviti et dolentes sciunt pleraque pars vestrum
ipsos daemonas de se met ipsis confiteri, quotiens a nobis
tormentis verborura et oratìonis incendiis de corporibus
exiguntur. Ipse Saturnus et Serapis et Iuppiter... vieti
dolore quod sunt eloquuntur. nec utique in turpitudinem
sui, nonnullis praesertim vestrum adsisten- tibus mentiuntur .
Ipsis testibiis esse eos daemonas credite fassis adiurati per deum verum
et solum inviti miseri corporibus inhorre- scunt et... exsiliunt. Un
altro riscontro ancora notasi volgendo rocchio a Tertulliano ove si riprende il
discorso degli angeli e dei demoni. Licet subiecta sit nobis tota
vis daemonum et eiusmodi spirituum, ut nequam tamen servi metu
nonnunquam contumaciam miscent, et laedere gestiunt quos alias verentur.
Odium enim etiam timor spirat. Inserti mentibus imperitorum odium
nostri serunt occulte per timorem ; naturale enim est et odisse quem
timeas et quem oderis infestare si possis. In Tertulliano sono i demoni
che temendo i Cristiani, appunto per ciò qercano di offenderli, perchè il
timore partorisce odio. In Minucio si fa che i demoni insinuino nei
pagani Todio contro i Cristiani per mezzo del timore. Ma ciò, si noti, è
meno naturale, perchè i pagani non avevano nessuna ragione di temere i
Cristiani. Li odiavano invece senza conoscere la loro dottrina ; ma ciò
non ha a che fare col timore. Non a proposito dunque Minucio fece sua
quest’osservazione psicologica dell’odio figlio del timore. Infine
a riguardo della varietà politeistica, Tertulliano ricorda le bestie venerate
in Egitto ; e qui è da fare un raffronto con M. Tertull.: Aegyptiis permissa
est tam vanae superstitionis po- testas avibus et bestiis consecrandis
et capite damnandis qui aliquem huiusmodi deum occiderint. Min.: nec
eorum (Aegyptiorum) sacra damnatis instituta serpentibus, crocodilis,
belluis ceteris et avibus et piscibus, quorum aliquem deum si quis
occiderit etiam capite punitur. Una delle ragioni che i pagani opponevano più
frequentemente alle censure dei loro Dei fatte dai seguaci del Cristo,
era questa che a buon conto Roma doveva la sua grandezza alla religiosità
tradizio* naie e al rispetto degli Dei e delle cerimonie istituite in
loro onore. Di questa idea appunto si fa interprete Cecilio Natale presso
M. nel suo discorso in difesa del paganesimo. I Cristiani dovettero
ribattere queste ragioni, mostrando che Roma se era grande non doveva
nulla ai falsi Dei. Tertulliano svolge questo punto nell’Apologetico. Con
ironia comincia a chiedere se Dei quali Stercolo e Mutuno e Larentina
hanno potuto promuovere l’imperio ; poiché, dice, non è da supporre che Dei
forestieri, come la Gran Madre, favorissero Roma, a detrimento dei loro
fedeli indigeni. Del resto, soggiunge, molti Dei romani furono prima re ;
da chi ebbero la podestà regia? Forse da qualche Stercolo. E il potere di
Roma già era, molto prima che si costituisse il culto ufficiale, e che di
idoli greci ed etruschi fosse inondata la città. Ma poi tutta la storia
romana è prova di irreligiosità piuttostochè di religiosità. Guerre e
conquiste di città come si fanno senza ingiuria agli Dei, senza distruzione di
templi e stragi di cittadini e di sacerdoti, e rapine di ricchezze sacre e
profane? E come può essere che gli Dei delle città vinte tollerino poi
d’essere adorati dai conquistatori ? Non possono dunque essersi fatti
grandi per merito della religione quelli che crebbero coll’offenderla o
crescendo l’offesero. Anche Ottavio in M., svolge questi pensieri,
ricordando le scelleratezze compiute da Romolo in poi, e mostrando la
improbabilità che i Romani siano stati aiutati dai loro Dei vernacoli
come Quirino, Pico, Tiberino, Conso, Pilunno, Volunno, Cloacina, il
Pavor e il Pallor, la Febbre, Acca Laurenzia e Flora; tanto meno li
aiuta- rono gli Dei forestieri come Marte Tracio, Giove Cretese, Giunone
o Argiva o Samia o Punica che dir si voglia, Diana Taurica, la
madre Idea, o le non divinità ma mostruosità egiziane, (ricordi attinti a
CICERONE e Seneca, v. ediz. Waltzing. Ecco qualche riscontra con
Tertulliano: Tertull.: Tot igitur sacrilegia Min.: totiens ergo
Romania Romanorum quot tropaea, tot de deis impiatum est quotiens
triumphatum, quot de gentibus triumphi, tot manu- tot de diis
spolia quot de gentibus et biae quot manent adhuc simulacra capti-
tropaea. vorum Deorum. Omne regntim vel imperium
bellis quaeritur et victoriis propagata. Porro bella et victoriae captis
et eversis plurimum urbibus Constant. Id negotium sine deorum ini uria
non est. Eadem strages moenium et templorum pares caedes civium et
sacerdotum, nec dissimiles rapinae sacrarum divitiarum et profanarum. Tertull.:
Videte igitur ne ille regna dispenset cuius est et orbis qui
regnata et homo ipse qui regnat... Regnaverunt et Babylonii ante ponti
- fices et Medi ante XVriros et Aegyptii ante Salios et Assyrii
ante Lupercus, et Amazones ante Virgines V est ale s. civitates
proximas evertere cum templis et altaribus disciplina com- raunis
est Ita quicquid Romani tenent colunt possident, audaciae praeda
est: tempia omnia de manubiis, i. e. de ruinis urbium, de spoliis
deorum, de caedibus sacerdotum. Hoc insultare et inludere est....
adorare quae manu ceperis, sacrilegium est consecrare non numina.
Min.: ante Romanos deo dispensante diu regna tenuerunt Assyrii,
Medi, Persae, Graeci etiam et Aegyptii, cum pontifices et arvales
et salios et vestales et augures non haberent nec pullos caveas reclusos
quorum cibo vel fastidio reip. summa regeretur. Per non
volere i Cristiani sacrificare agli idoli, erano tacciati sì di
irreligiosità, ma non potevano essere processati per questo, essendo
ciascuno libero di avere, come gli piaccia, favorevoli o sfavorevoli gli
Dei. Formale accusa invece si moveva loro per non volere sacrificare in
onore dell’ imperatore divinizzato, e chiamavan questo lesa maestà. Di
ciò parla Tertulliano. La cosa si capisce, die egli ; voi avete più paura
e usate furbescamente più riguardi a Cesare che a Giove stesso in Cielo.
In fondo avete ragione; perchè un vivo vai più dun morto. Ma commettete
voi in questo colpa d’irreligiosità, dando la preferenza a una
dominazione umana; e più presto si sper- giura da voi per tutti gli Dei
che per il solo genio di Cesare. A questo punto è a notare una lieve
somiglianza col discorso di Ottavio presso Minucio, là dove rimprovera i
pagani del prestar culto divino ad un uomo, e dell’ invocare un nume che
non c’ è ; pure, dice, è per loro più sicuro spergiurare per il genio di
Giove che per quello del re. Tertull.: citius de- Min.: et est eis tutine per
nique apud vos per omnes Deos quam Ioyìs genium peierare quam
regis. per unum genium Caesaris peieratur. Segue in Tertulliano un gruppo
di capitoli bellissimi in cui con calorosa eloquenza si fa vedere quanto
più onesti ed efficaci voti facessero i Cristiani pregando per la salute
dell’imperatore il Dio uno e vero, e a cbi solo può dare chiedendo per
lui lunga vita, securo imperio, casa tranquilla, forte esercito, senato
fedele, popolo probo, mondo quieto; e ciò non con apparati di culto
esterno, ma con sincerità d’anima e innocenza di vita. I Cristiani, dice,
hanno imparato dal loro Maestro a pregare anche per i nemici e i
persecutori; e nel far voti per la diutur- nità dell' impero, sanno di
ritardare quel cataclisma che minaccia all’orbe universo la fine. Ma non
possono chiamare Dio l’ imperatore senza derisione di lui e ingiuria al
vero Dio. Perchè dunque saranno qualificati come nemici pubblici? Forse
perchè si astengono dalle licenziose feste pubbliche celebrate a
solennizzare qualche lieto avvenimento della casa imperiale? A buon
conto, non dai Cristiani, ma dal novero dei Komani escono e i Cassii e i
Nigri e gli Albini, cioè i ribelli all’autorità imperiale; i quali pure
avevan preso manifesta parte alla feste pubbliche e ai pubblici voti per
la salvezza dell’ imperatore. La vera sudditanza e fede dovuta
all’autorità sta nei buoni costumi e nei rapporti d’onestà quali noi
Cristiani serbiamo con tutti. Amando noi i nostri nemici, chi possiamo
ancora odiare? Inibita a noi la vendetta, chi possiamo offendere? Quando
mai i Cristiani pensarono a vendi- carsi neppure del volgo che li
malmenava, non rispettando nemmeno i morti? Eppur quanto facimente
avrebber potuto preparare le loro vendette in segreto, o anche dichiarare
aperta guerra, tanto numerosi essi già sono in tutte le città, nelle
isole, nei municipi, nei campi militari, nel senato stesso e a corte !
Potevano anche senz’armi pugnare, ritirandosi in qualche angolo remoto
del mondo e lasciando dietro sè una spaventosa solitudine. Eppure ci avete
chiamati nemici del genere umano, anziché « dell’errore umano. Che ragion vi
era di non considerare la nostra setta come una factio licita, dal
momento che non facciamo nulla che turbi la società, e produca divisioni,
attriti, violenze? Una repubblica sola noi riconosciamo, il mondo. Ai
vostri spettacoli rinunziamo, perchè ne conosciamo l’origine dalla falsa
religione. In che v’offendiamo, se abbiamo altri gusti e piaceri? L’unità
della fede e della speranza ci unisce e ci affratella. Ci aduniamo a
pregare e a leggere i libri santi; ivi ci esortiamo a far bene, e ci
rimproreriamo se manchiamo ai nostri doveri. Si contribuisce un tanto al
mese per alimentare i poveri e so- stenere le spese delle sepolture e dei
derelitti. Il nostro mutuo amore 4, dà noia agli avversari, perchè essi
si odiano, noi siamo pronti a morire l’un per l’altro, quelli ad uccidersi l’un
l’altro. Ci riconosciamo fratelli, perchè abbiamo lo stesso padre Iddio,,
e come si mescolano le nostre anime, così mettiamo in comune le sostanze.
Tutto è da noi accomunato, salvo le mogli. Le nostre cene sono parche e
denominate con parola significante amore, e lì si prega prima di mangiare
come dopo, e si canta, chi sa farlo, in onor di Dio. Che male c’ è, o a
chi torna di danno tutto ciò, da parlare di factìo illicita? A questo
punto, il dialogo di M. offre qualche possibilità di riscontro con
l’Apologetico. Giacché, dopo confutata l’accusa di cene incestuose,
Ottavio nel suo discorso prende subito a celebrare l’ inno- cenza dei
costumi cristiani, e qua e là il suo pensiero corre parallelo a quel di
Tertulliano. a ) Tertull. c. XXXIX, fin.: « haec Min.: nec factiosi
(così coitio Christianorum merito damnanda THerald; il cod. ha:
‘fastidiosi 1 ) su- I si quis de ea queritur eo titillo quo de mus,
si omnes unum bonura sapimus factionibus querela est. In cuius
perni- eadem congregati quiete qua singuli. ciem aliquando convenimus?
Hoc su- mus congregati quod et dispersi, hoc universi quod et
singuli, neminem lae- dentes, neminem contristantes. Sed eiusmodi vel
maxime dile- sic mutuo, quod doletis amore ctionis operatio notam
nobis inurit pediligimus, quoniam odisse non novimus, nes quosdam.
Vide, inquiunt, ut in vicem sic nos, quod invidetis, frati es vocamus, se
diligant; ipsi enim invicem oderunt; ut unius dei parentis homines, ut
con- et ut prò alterutro mori sint parati; sortes fidei, ut spei
coheredes. Yos enim ipsi enim ad occidendum alterutrum pa- nec
invicem adgnoscitis, et in mutua ratiores erunt. Sed et quod
fratres nos odia saevitis, nèc fratres vos nisi sane vocamus, non
alias opinor, insaniunt ad parricidium recognoscitis. quam quod apud ipsos
omne sanguinis nomen de affectione simulatum est. Fra- y tres autem
etiam vestri sumus at quanto dignius fratres et dicuntur et
habentur qui unum patrem Deum agnoverunt, qui unum spiritum biberunt
sanctitatis, qui de uno utero ignorantiae eiusdem ad unam lucem
exspiraverunt Veritatis. Tertull.: Deo offero opimam et maiorem
hostiam... orationem de carne pudica, de anima innocenti, de spiritu sancto
profectam. Tertull.: Aeque spectaculis vestris in tantum renuntiamus
in quantum originibus eorum, quas scimus de superstitione conceptas, cupi
et ipsis rebus de quibus transiguntur praetersumus. Nihil est nobis
dictu, visu, auditu cum insania circi, cum impudi- citia theatri,
cum atrocitate arenae, cum xysti vanitate. Min.: qui innocentiam
colit Deo supplicat, qui iustitiam Deo libat... qui hominem
periculo subripit, opimam (il cod. ha optimam) vidimavi caedit: a nos. .
merito malis voluptatibus et pompis et spedaculis ve- stris abstinemus,
quorum et de sacris originem novimus, et noxia blandimenta
damnamus. Nam in ludis circensibus (così leggo io, il cod. ha:
currulibus) quis non horreat populi in se rixantis insaniam ? in
gladiatoriis homicidii di- sciplinami? in scenicis etiam non minor
furor et turpitudo prolixior ; nunc enira mimus yel exponit adulteria vel
monstrat, nunc enervis histrio amorem dum fingit infigit I capitoli XL e
XLI dell’Apologetico contengono la confutazione dell’accusa che delle
pubbliche calamità fossero causa i Cristiani, come 8’ andava già fin
d’allora vociferando, e si seguitò a dire per molte ge- nerazioni.
Tertulliano ricorda molti cataclismi, isole scomparse, terre- moti e
maremoti, e il diluvio, e l’ incendio di Sodoma e Gomorra, di- sastri
avvenuti tutti avanti al Cristianesimo. E col distruggersi delle città,
dice, si distruggevano anche i templi degli Dei; prova che non veniva da
loro ciò che anche a loro accadeva. Bensì il Dio unico e vero non poteva
essere propizio a chi ne disconosceva i favori. Del resto, i mali ora
sono minori di prima, e ciò è dovuto alle preghiere dei Cristiani che
disarmano l’ira divina. Che se il nostro Dio per- mette i disastri anche
a danno de' suoi cultori, ciò non ci stupisce nè sgomenta, aspirando noi
a vita più alta e migliore. Di tutto questo in Minucio non v’ è
parola. Altro titolo d’ ingiurie contro i Cristiani era il ritenerli
alieni dagli affari e disutili al commercio locale. Tertulliano dedica a
questo argomento i capitoli XLII e XL1II, dove fa vedere l' insussistenza
di questo rimprovero. Vivevano bene i Cristiani come gli altri,
serven- dosi e dei mercati e delle botteghe e delle officine e dei bagni
pubblici. Che se si astenevano da certi usi, se non si coronavano di
fiori la testa, se non intervenivano agli spettacoli, se non sovvenivano
i templi pagani coi loro contributi, avevano bene ragione di farlo. E
del pari certo quattrini non ricevevano da loro nè i lenoni, nè.i
sicari, nè i magi, nè gli aruspici, nè altri tali ; ma in compenso i
Cristiani eran tutte persone innocue da non dar ombra a nessuno.
Qui, rispetto alluso di portar corone di fiori in capo, si può con-
frontare : Tertull.: non amo capiti coronam. Quid tua interest, em- ptÌ8 nihilominus floribus
quomodo utar ? Puto gratius esse liberis et solutis et undique
vagis. Sed etsi in coronam coactis, nos coronam nariòus novimus,
viderint qui per capillum odorantur. Min. c. 38, 2 : « quis autem
ille qui dubitat vernis indulgere nos floribus, cum capiamus et
rosam veris et lilium et quicquid aliud in floribus blandi co-
loris et odoris est? his enim et sparsis utimur, mollibus ac solutis, et
sertis colla complectimur. Sane quod caput non
coronamus, ignoscite; auram bo- nam floris nariòus ducere non
occipitio capillisve solemus haurire. 1 due capitoli che seguono in
Tertulliano, il XLIV e il XLY, sono rivolti a segnalare l’ innocenza dei
Cristiani, proveniente dal se- guire essi una legge non umana ma divina,
e dal considerarsi come in presenza di Dio sempre, di Dio scrutatore,
giudice e vindice. b) Terlull. Tot a vobis nocentes variis
criminum elogiis recen- sentur; quis illic sicarius, quis manti-
cularius, quis sacrilegus aut corruptor aut lavantium praedo, quis ex
illis etiam Christianus adscribitur? aut cum Chri- stiani suo
titulo offeruntur, quis ex illis etiam talis qttales tot nocentes?
De vestris semper aestuat career, de vestris semper metalla
suspirant, de vestris semper bestiae saginantur, de vestris semper
munerarii noxiorum greges pascunt. Nemo
illic Christianus nisi piane tantum Christianus, aut si et aliud
iam non Christianus ». c) : quid perfectius, prò-
hibere adulterium, an etiam ab oculorum solitaria concupiscentia arcere ? : u
Christianus uxori suae soli masculus nascitur. Min.: de vestro
numero career exaestuat, Christianus ibi nullus nisi aut reus suae
religionis aut'profugus: vos enim adulteria pròhibetis et facitis, nos uxoribus
nostris solummodo viri nascimur. Pur vinti da tanta copia
di fatti e bontà di ragioni, non si arrendevano gli avversari de’ Cristiani, e,
a corto d’altri argomenti, finivano con dire che in sostanza le massime
cristiane non erano cosa nuova, ma erano già state professate e praticate
dai filosofi. Di ciò Tertulliano nel capitolo XLYI, dove istituisce un
eloquente confronto tra le massime e la vita pagana da una parte e i
precetti e costumi cristiani dall’ altra, per dimostrare la superiorità
dei secondi. Qui un riscontro con M.: Tertull. c. XLVI: a ...
licet Plato Min. c. 19, 14: u Platoni... in Ti- adfirmet
factitatorem universitatis ne- maeo deus est ipso suo nomine mundi
que inveniri facile et inventum enar- parens, artifex animae, caelestium
ter- rari in omnes difficile. Cfr. Plat. Tim. renorumque fabricator, quem
et inve-: « Tòv fxhv noirjrijy xai nire difficile praenimia et
incredibili naréga tovóe tot) navròg eògeìv re eg- potestate (cfr.
Plato qui inve- lo!', xai etigóvia elg ndvrag àóvvarov nire Deum negotium
credidit, et Xéyeivn. cum inveneris in publicum praedicere
impossibile praefatur. Non può negarsi, riconosce Tertulliano, che i
filosofi antichi hanno espresso molte cose vere, ma queste son derivate
dalla fonte dei nostri profeti. E queste stesse verità sono involute e
com- mescolate a ipotesi e opinioni disparatissime, sicché poi questi
filosofi sono in completo disaccordo gli uni cogli altri. Tale varietà
d’opinioni pur troppo venne anche introdotta nella setta cristiana,
sicché bisognò prescrivere ai nostri adulteri, quella essere regola di
verità la quale venga a noi trasmessa da Cristo per mezzo de’ suoi
compagni. Per queste adulterazioni della verità, insinuate dagli spiriti
dell’errore, certi prin- cipii già si trovano tra i pagani, come il
giudizio finale delle anime, le pene dell’inferno e il soggiorno
delizioso degli Elisi, ma tali prin- cipii in quanto hanno del vero, sono
di origine nostra. Tertull.: quis poetarum, quis Min.: animadvertis
philososophistarum,qui non omnino de prò- pbos eadem disputare quae
dicimus, pbetarum fonte potaverit? non quod nos simus eorum
vestigia u Unde baec ... nonnisi de nostris sasubsecuti, sed quod
illi de divinis praecramentis? Si de nostris sacramentis, dictionibus
profetarum umbram inter- ut de prioribus, ergo fideliora sunt no-
polatae veritatis imitati sint ». stra magisque credenda, quorum imagines
quoque fìdem inveniunt. Una delle credenze cristiane più combattute e derise
dagli avversarli, era quella della resurrezione finale dei corpi e del ritorno
delle anime in que’ corpi che già avvivarono. A questo dogma dedica
Ter- tulliano il cap. XLYIII, adducendo la ragione della divina
onnipo- tenza, che come ha dal nulla creato il mondo, così può far
risuscitare i corpi morti. Non è quotidianamente sotto gli occhi nostri
il segno della resurrezione nell’alternativa della luce e delle tenebre,
nel tramontare e rinascere delle stelle, nel rifarsi delle stagioni e dei
prodotti della natura? Se a Dio fosse piaciuta altresì l’alternativa
della morte e della resurrezione, chi l’avrebbe impedito? Volle invece
che alla condizione presente di vita passeggera, si contrapponesse
un’altra vita eterna, e a questa passassero tutti risorgendo coi corpi,
per vivere un’eternità di premio o di pena secondo i meriti di ciascuno.
E il fuoco eterno che aspetta i dannati, è di natura ben diversa dal
nostro; come altro è il fuoco che serve agli usi umani, altro quello che
apparisce nei fulmini del cielo o nelle eruzioni dei vulcani, perchè
questo non consuma quello che brucia, e mentre disfa, ripara. Tali
principii se sono professati da filosofi e da poeti, si tollerano e si
lodano; perchè noi Cristiani dobbiamo esserne derisi e anche puniti?
Infine queste credenze sono utili, perchè allontanano dal mal fare colla
paura dei divini castighi, e, alla peggio, non fan male a nessuno. Anche
M. mette in bocca al suo Ottavio alcune considera- zioni sulla fine del
mondo e la risurrezione dei morti, dedicandovi tutto il capo 34 e parte
del 35. Sulla fine del mondo ricorda le opinioni degli Stoici e degli
Epicurei e anche di Platone circa la conflagrazione finale dell’universo,
e giustifica così la credenza cristiana. Per la risurrezione pure cita Pitagora
e Platone, ma solo per dimostrare che i saggi pagani in questo vanno in
qualche modo d'accordo coi Cristiani. Ricorre anch’egli all’argomento
dell’onnipotenza divina e alla possibi- lità che rinasca dal nulla quello
che dal nulla ebbe origine, come accenna pure ai segni di risurrezione
dati dalla natura, e alle condizioni del fuoco eterno. Qui alcuni
riscontri: Tertull.: sed quomodo, inquis, dissoluta materia exhiberi
potest? Considera temetipsum, o homo, et fidem rei invenies. Kecogita
quid fueris antequam esses. Utique nihil; Min.: quis tam
stultus aut brutus est, ut audeat repugnare, hominem a Deo ut
primum potuisse fingi, ita posse denuo reformari? Sicut de nihilo
nasci licuit, ita de nihilo limeminisses enim si quid fuisses. Qui cere
reparari? porro difficilius est id ergo nihil fueras priusquam
esses, idem quod non sit incipere, quam id quod nihil factus cum
esse desieris, cur non fuerit iterare. Tu
perire et Deo credis possis rursus esse de nihilo eiusdem si quid
oculis nostris hebetibus subipsius auctoris voluntate qui te voluit trahitur ?
» esse de nihilo ? Quid novi tibi eveniet ? Qui non eras
factus es; cum iterum non eris fies. Et tamen facilius utique fies
quod fuisti aliquando, quia aeque non difficile factus es quod nunquam
fuisti aliquando. Lux coti die interfecta Min. ib. 11: «in
solacium nostri resplendet et tenebrae pari vice dece-
resurrectionem futuram natura omnis dendo succedunt, sidera defuncta
vive- meditatur. Sol demergit et nascitur, scunt, tempora ubi
finiuntur incipiunt, astra labuntur et redeunt, flores occi-
fructus consummantur et redeunt, certe dunt et revirescunt, post senium
ar- semina non nisi corrupta et dissoluta busta frondescunt, semina
nonnisi cor - fecundius surgunt, omnia pereundo ser- rupta
revirescunt». vantar
omnia de interitu reformantur. Tertull. ibid.: « Noverunt et phi- : Illic
sapiens ignis losophi diversitatem arcani et publici membra urit et
reficit, carpit et nutrit. ignis. Ita longe alius est qui usui hu-
Sicut ignes fulminum corpora tangunt mano, alius qui iudicio Dei apparet,
nec absumunt, sicut ignes Aetnaei monsive de caelo fulmina stringens, sive de
tis et Vesuvi montis et ardentium ubi- terra per vertices montium
eructans: que terranno flagrant nec erogantur, non enim absumit quod
exurit, sed dum ita poenale illud incendium non damnis erogat
reparat. Adeo manent montes sem- ardentium pascitur, sed inexesa corpo-
per ardentes, et qui de caelo tangitur, rum laceratione uutritur.
salvus est, ut nullo iam igni decinerescat. Et hoc erit testimonium
ignis aeterni, hoc exemplum iugis iudicii poenam nutrientis. Montes
uruntur et durant. Quid nocentes et Dei hostes? Eccoci all’ultimo capitolo
dell’Apologetica, dove il grande scrittore africano giustifica l’atteggiamento
dei Cristiani, esultanti di essere perseguitati e di soffrire anche la
morte per la confessione di Cristo. Tale atteggiamento era oggetto di vive
censure; eran considerati i Cristiani come gente disperata e perduta.
Pure gli antichi avevano celebrato invece come eroi gloriosi alcuni uomini che
avevano patito, senza scomporsi, i più atroci dolori, quali un Mucio
Scevola, un Attilio Regolo, ecc. Perchè han da stimarsi pazzi i Cristiani
che fan lo stesso? Del resto, conchiude Tertulliano, fate pure, o buoni
governanti, contentate la plebe tormentandoci, condannandoci, uccidendoci;
codesta crudeltà non servirà che ad aumentare il nostro numero; il
nostro sangue è seme; il nostro esempio e l’ostinazione che ci
rinfacciate, fa scuola ; perchè chi ci vede e ammira, sente di dover
ricercare che cosa ci sia sotto, e conosciuto vi si converte, e
convertito desidera patire alla sua volta per redimere la sua vita
anteriore e ottenere Feterno premio. Di analogo argomento, della
resistenza dei Cristiani al dolore e della lotta loro contro le minaccie
e i tormenti dei carnefici, discorre pure Ottavio in Minucio. Anche per
lui il soffrire non è castigo, è milizia, e non è vero che Dio abbandoni
chi soffre, anzi lo assiste e a sè trae. Che bello spettacolo per Dio
quando il cristiano scende in lizza col dolore e le minacce e le torture,
e contro re e principi difende a testa alta la libertà della sua fede, non
cedendo che a Dio, vincitore anche di chi lo condanna e uccide. Glo-
rioso ritiensi colui che tormenti ha sostenuto con costanza; ma altret-
tali e peggiori soffrono col sorriso sulle labbra i fanciulli e le donnicciuole
cristiane, evidentemente perchè li aiuta Iddio. In manifesta affinità di
pensieri, non mancheranno riscontri di parole: Tertull. c. L: «
...Victoria est... prò quo certaveris obtinere. Haec desperatio et
perditio penes vos in causa gloriae et famae vexillum virtutis extollunt.
Mucius dexteram suam libens in ara reliquit: o sublimitas animi ! Empedocles totum sese Catanensium Aetnaeis
incendiis do- navit : o vigor mentis! Aliqua
Cartaginis conditrix rogo se secundum matrimonium dedit : o praeconium
castitatis! Regulus ne unus prò multis hostibus viveret,
toto corpore cruces patitur: o virum fortem et in captivitate victorem!
etc. Min.: vicit qui quod contendi obtinuit. vos ipsos calamitosos
vi- ros fertis ad coelum, Mucium Scaevolam, qui cum errasset in regem
perisset in hostibus nisi dexteram perdidisset. Et quot ex notfris non
dextram solum sed totum corpus uri, cremari, sine ullis
eialatibus,pertulerunt,cum dimitti prae- sertim haberent in sua
potestate! Viros cum Mucio aut cum Aquilio aut Regulo Comparo? pueri et
mulierculae nostrae cruces et tormenta, feras et omnes suppliciorum
terriculas inspirata patientia doloris inludunt. Messoci
sott’occhio ordinatamente e nel modo più compiuto possibile il materiale di
raffronto fra Tertulliano e M., possiamo risolvere il problema, quale dei
due abbia avuto sott’occhio l’opera dell’altro. A questo fine chi ci
ha seguito fin qui voglia con noi fare due osservazioni. La prima è che
in molti luoghi si trova la stessa materia trattata con ampiezza e originalità
di vedute da Tertulliano, e accennata brevemente da Minucio; ad es. al §
1 c, come già s’è osservato, a tutta una teoria tertullianea sulla natura del
male morale e sull’atteggiamento del malvagio, teoria addotta per
mostrare che non era un male Tesser cristiano, corrisponde in Minucio un
cenno fuggevole della stessa sentenza; così al § 2 d, la natura della
fama o diceria è rilevata con minuziosa analisi da Tertulliano, ed è, in
frase inci- dente, come per transenna, e con parole per sè sole non
chiare, toccata da Minucio; lo stesso dicasi al § 6 i, sullo scheletro
ligneo a forma di croce adoperato nel fabbricare gli idoli; e ‘al § 13 b,
sull’essere i delinquenti in massima parte pagani e d’altri brani ancora.
In tutti questi casi si ha egli a pensare che Tertulliano, visto il breve
cenno minuciano, n’ abbia preso occasione per ampliare e a volte
costruire una teoria intiera basata sull’osservazione psicologica? o non
si presenta anzi spontanea l’ipotesi che M. abbia conosciute e fatte sue
le spiegazioni tertullianee, riassumendole dov’ e’ credeva opportuno? A
chi non parrà questo secondo processo ben più naturale del primo? Non è
questo il modo comune di lavorare in opere letterarie, quando non si
tratta di amplificazioni rettoriche e luoghi comuni? Chi potrà credere il
rapporto inverso, se tenga conto dell’ ingegno vigoroso, del ragionamento
serrato e a fil di logica di Tertulliano, in comparazione dei discorsi
alquanto rettorici da M. messi in bocca agli inter-locutori del suo
dialogo? La seconda osservazione che noi vogliamo si faccia, ci
conferma nell’ ipotesi della priorità di Tertulliano; e questa riguarda i
passi dove Minucio presenta lo stesso pensiero e la frase tertullianea, ma
o in luogo meno opportuno per la concatenazione delle idee, o con
aggiunta od uso di parole che alterano il concetto esagerandolo. Fin dal
prime riscontro segnalato al § 1 a, il cenno del non volere i pagani
udire pubblicamente i Cristiani desiderosi di difendersi, vien fuori poco
opportunamente come argomento del non essere essi Cristiani in angulis
garruli Così al § 3, già s’è notata la stranezza del derivare dalle
cerimonie di Giove Laziale gli usi sanguinarii di Catilina e di Bellona.
Nello stesso § 3, il riscontro f ci dà un esempio di esagerata espressione in
quel plerique sostituito al quidam di Tertulliano; come al § 4 g, è fuor
di squadra il frequentius. Inesattezze pure riscontrammo al § 5 f, dove è
attribuita ad Omero una leggenda che non gli appartiene, e ove del demonio
socratico si parla men corretene)] tamente che in Tertulliano. Ma il passo più
significativo è al § 9 g, ove poco a proposito, come già s’ è rilevato,
Minucio fece sua l’osser- yazione psicologica del timore che partorisce
odio. Tali difetti dell’esposizione minuciana sono una evidente conferma della
priorità ter- tullianea ; è nella natura delle cose che l’ imitatore non
afferrando con precisione i concetti dello scrittore che gli serve di
modello, alteri i rapporti delle idee e le renda in modo difettoso ;
mentre è ben più raro, se non impossibile, che un imitatore, prendendo le
mosse da un lavoro altrui, ne emendi tutti i difetti, raggiungendo una
precisa coe- renza e spontaneità, quale spicca in Tertulliano. Vi
sono però due luoghi che paiono far contro la nostra tesi. Uno è al § 5,
b e d, ove a una semplice parola o proposizione tertullianea: consecratione; d:
statuas . . . milvi et mures et araneae in - ielligunt) corrisponde in
Minucio una descrizione più ampia e ricca di particolari. Ma, se ben si
guardi, ciò non vuol dir nulla contro la tesi che sosteniamo. Già prima
si può pensare che Minucio, come per altre parti del suo dialogo prese da
Cicerone e da Seneca, così per questa abbia attinto ad altra fonte oltre
l’Apologetico, desumendone sia la descrizione dell’ idolo che finché vien
lavorato non è Dio e lo diventa appena è consacrato dall’uomo, sia quella
dei topi, delle rondini, dei ragni che rodono e fanno il nido e le ragnatele
nelle statue dei templi. Ma può anche darsi che qui s’abbia a fare con
una semplice amplificazione del pensiero suggerito dall’espressione di
Tertulliano, amplificazione non contenente altro che osservazioni
semplicissime e di dominio comune. Tanto più è probabile che tale lavoro
si deva attribuire a M., quanto che la caratteristica del suo stile,
cioè l’uso degli asindeti trimembri con omeoteleuto, si trova qui più
volte: funditur fabricatur sculpitur; plumbatur conslruilur erigitur;
ornatur eonsecratur oratur; rodunt inculcant insident; tergetis mundaiis
eraditis, ecc. L’altro punto che deve qui discutersi riguarda il fatto già
segnalato, a, pel quale Ebert e molti altri conchiusero senz’altro per la
priorità di M., vale a dire l’errore commesso da Tertulliano completando in
Cassius Severus il nome dello storico Cassius così letto da lui nelle sue
fonti. Pur riconoscendo che Tertulliano ha qui commesso un errore, era
proprio necessario di supporre che l’indicazione di quelle fonti storiche,
Diodoro e Tallo Greci, Cassio e Cornelio Romani, egli l’avesse presa da M.? Si
noti che il discorso si aggira intorno alla spiegazione euemeristica
degli Dei pagani, e si ricercano le vicende di Saturno e di Giove per
conchiuderne che costoro in origine erano nomini. Ora questa tesi non era solo
degli apologeti cristiani, ma da secoli era di dominio comune in molte
scuole filosofiche. Può dunque ben darsi che in qualche libro euemeristico
del primo o del secondo secolo dell’era volgare già si citassero
Diodoro Siculo e Tallo, Cassio e Cornelio Nipote, e anche Varrone, a
conferma della dottrina ; può essere che la citazione di quei nomi fosse
diventata come un luogo comune; tant’ è vero che un secolo dopo
Tertulliano, ancor la ripete con poche varianti Lattanzio. Questo è
l’unico punto in cui ritengo vera l’ipotesi di una fonte comune anteriore
a Tertulliano e M.. Il che se si ammette, l’errore di Tertulliano non
dice più nulla a favore della priorità di Minucio e contro la tesi
inversa da noi propugnata. Da questa stessa fonte euemeristica potrebbero
supporsi derivati i particolari minuciani che sopra avvertimmo non trovarsi in
Tertulliano, come pure ne derivarono le tradizioni simili a quella che si
legge nel De origine gentis Romanae e nei breviari storici concernenti le
origini di Eoma. Sia dunque lecito di conchiudere che l’ Ottavio di M. è
posteriore all’Apologetico; di non molto forse, se al tempo della sua
comparizione era ancora sì viva la memoria dell’oratore Frontone da
ricordarlo nel modo che fanno i due interlocutori del dialogo: Girtensis noster,
: Pronto tuus. Non andarono forse errati quelli che supposero composto il
dialogo nel primo o al più nel secondo decennio del terzo secolo, come certo
l’Apologetico è degli ultimi anni del secondo. Insù . : omnes ergo
non tantum poetae sed historiarum quoque ac rerum antiquarum scriptores
hominem fuisse consentiunt Saturnum. Qui
res eius in Italia gestas prodiderunt, Graeci Diodorus et Thallus t Latini
Nepos et Gassius et Varrò. V. il Minucio del Waltzing. Marco Minucio Felice –
He wrote “Ottavio” – draws on a speech by Frontone. – cf. Marco Minucio Felice.
Refs. : Luigi Speranza, « Grice
e Minucio, » The Swimming-Pool Library. Minucio.
Luigi Speranza -- Grice e Miraglia: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale di CICERONE – la scuola di
Reggio -- filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. Reggio, Emilia. Grice: “Miraglia is
the type of philosopher beloved by the Oxford hegelians; but then he is a
Neapolitan Hegelian!” Grice: “I always found Kant easier, but there’s nothing
like a ‘filosofia del diritto’ in Kant! And Hegel’s ethics itself, compared to
Kant’s is mighty more complex – that’s why I taught Kant!” Si laurea a Napoli, dopodiché insegna filosofia del
diritto nella stessa università, ed economia politica alla scuola superiore di
agricoltura di Portici. Segue una
corrente di pensiero eclettica, ad esso contemporanea, che mira
all'integrazione di pratiche giuridiche ed ispirazioni filosofiche. Sindaco di
Napoli. Tra le più famose si ricordano: “Condizioni storiche e scientifiche del
diritto di preda (Napoli); “Un sistema etico-giuridico” (Napoli); “Filosofia
del diritto” (Napoli). Nella sua biografia ufficiale per la Treccani è nato a
Reggio nell'Emilia, mentre nella sua scheda storico-professionale sul sito del
Senato si riporta a Reggio di Calabria. Giuseppe Erminio. Enciclopedia Italiana,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, (latinista) Sindaci di Napoli
Senatori della legislatura del Regno d'Italia
Luigi Miraglia, su Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Opere su open MLOL, Horizons
Unlimited srl. su Senatori d'Italia,
Senato della Repubblica. I sistemi filosofici ed i principi del diritto. La speculazione
greca e LA DOTTRINA ROMANA. Fichte. Spedalierie Romagnosi. Gli scrittori della
reazione. La scuola storica e la scuola filosofica. Schelling e Scleiermacher. Hegel
Rosmini. Herbart, Trendelenburg e Krause.Le varie fasi della filosofia di
Schelling. Sthal e Schopenhauer Il materialismo, il positivismo ed il
criticismo. L'idea della filosofia del diritto. La Filosofia e le scienze. Il carattere
della Filosofia mo. L'idea del Diritto
ed i metodi logici. L'induzione e la deduzione. L'induzione, l'osservazione e
l'esperimento. L'idea del Diritto naturale e quella del buono civile di AMARI
ricavate dall'induzione. L'importanza del metodo storico-comparativo secon do VICO
Amari, Post e Sumner-Maine. Parallelo fra lo sviluppo della lingua e lo
sviluppo del Diritto. L'induzione statistica. Il compito della deduzione.
L'universale astratto e l'universale concreto come principi. Moderna divinato
da VICO. La Filosofia del Diritto come parte della Filosofia. L'idea umana del
Diritto se condo la dottrina di VICO, e le definizioni di Kant, di Hegel, di Trendelenburg,
di ROMAGNOSI e di SERBATI. La teoria sociale e la teoria giuridica. Il Diritto
e la Filosofia positiva. L'idea induttiva del Diritto. Lo studio della
coscienza etico-giuridica dei vari popoli. Il contributo della razza ariana e
della razza semi tica nella storia della civiltà. L'idea del diritto come
misura in LA RAZZA ARIANA. La misura riposta nel l'ordine fisico, nella legge
positiva e nella ragione. Il principio della personalità. Gl’elementi organici
e spi rituali della persona e la loro corrispondenza. La spiegazione del
materialismo. La teorica dell'evoluzione. La critica dell'evoluzionismo
meccanico La teorica dell'evoluzione e la Psicologia. Il sentimento
fondamentale e le sensazioni. La coscienza e la sua origine. Le
rappresentazioni sensibili e le rappresentazioni coscienti. Il pensare e le categorie. La cognizione secondo
l'empirismo oggettivo. La critica di questa teoria. I presupposti pratici
dell'idea deduttiva del Diritto. Sviluppo e partizione. L'istinto, il desiderio
e la volontà. L'arbitrio e la libertà morale. La costanza degl’atti umani
rivelata dalla Statistica. Il fine dell'uomo ed il bene. Il bene umano ed il
Diritto. La forma imperativa, proibi. I presupposti teoretici dell'idea
deduttiva del Diritto. Seguito dei presupposti teoretici. tiva e permissiva del
Diritto. Il Diritto come principio di co-azione, di coesistenza e di armonia.
La tri-partizione razionale del Diritto. La divisione di Gaio. Analisi critica
delle principali definizioni del Diritto. Le dottrine che riguardano a preferenza
il contenuto sensibile del diritto: Hobbes, Spinoza, Roussean, Mill e Spencer.
Le dottrine che considerano il diritto come astratta forma razionale: Kant, Fichte
ed Herbart. Le definizioni di Krause e di Trendelenburg. Ciò che vi è di vero
nelle dottrine esaminate. Il Diritto, la Morale e la Scienza sociale. Il
Diritto come disciplina etica. I rapporti fra Morale e Diritto nella storia.
Critica della confusione e della separazione dei due termini. Il fondamento
comune e la differenza reale. L'Etica e la vita sociale.VICO, Süssmilch ed i
fisiocrati precursori della Scienza sociale. La Sociologia di Comte ed i vari
indirizzi. La Sociologia di Spencer. La Sociologia come Filosofia delle scienze
sociali. Le analogie tra la società e l'organismo. Le relazioni fra il Diritto
e la Scienza sociale. Il Diritto, l'Economia sociale e la Politica.
L'ordinamento sociale-economico ed i filosofi del Diritto antichi e moderni.
L'Etica, la Sociologia fondata sulla Biologia, la Politica e la Storia come
presupposti dell'Economia. Il carattere del fatto economico. I rapporti tra il Diritto
e l'Economia. Il concetto della Politica. La Politica, la Scienza sociale,
l'Etica ed il Diritto. L'idea compiuta dello Stato. Il Diritto razionale ed il
Diritto positivo. Fonti ed applicazioni. La distinzione del Diritto razionale
dal Diritto positivo in sé e nella storia. La consuetudine ed il costume
primitivo. La giurisprudenza ed i suoi uffici. La legislazione ed i codici. L'efficacia
della legge nello spazio.L'efficacia della legge nel tempo. Esame delle diverse
teorie sulla retroattività . Diritto Privato. La persona. I diritti essenziali
o innati ed i diritti accidentali o acquisiti. Il principio dei diritti. Il
diritto alla vita fisica e morale. Il diritto alla libertà. I diritti all'eguaglianza,
alla sociabilità ed all'assistenza. Il diritto di lavoro . Il concetto storico
dei diritti innati. I diritti dell'uomo nello stato di natura.Lo stato di na.
tura dei filosofi del secolo decimottavo in rapporto. La persona ed i suoi
diritti. Le persone incorporali. Lo scopo delle persone incorporali. La teoria
della fin. La proprietà e i modi di acquisto. La proprietà e dil suo fondamento
razionale. Dottrine in torno a questo fondamento. Le limitazioni ed i
temperamenti della proprietà. I modi originari e deri vativi di acquisto La
storia della proprietà e dei modi di acquisto. L'attività procacciatrice
dell'animale e dell'uomo. La storia della proprietà e la storia della persona.
La proprietà collettiva. La comunità di famiglia. Il Cristianesimo ed il valore
della persona individua. Il feudo. La riforma ed il diritto naturale.La com
piuta individuazione ed itemperamenti della proprie tà privata. I modi di
acquisto primitivi. Le distin zioni dei beni. L'usucapione, l'equità e la
procedura civile.. ! all'ordine di natura dei giureconsulti romani e dei
filosofi greci.La teorica della conoscenza ed ilmodo di concepire i diritti
essenziali della persona. I diritti innati e la Filosofia moderna. Il regime
dello status e del contratto . zione e dell'equiparazione. La teoria che
riguarda la persona incorporale come veicolo. La teoria del patrimonio sui
juris. Le idee dei pubblicisti tedeschi.Il soggetto reale nella corporazione e
nella fon dazione. I diritti delle persone incorporali ed il jus confirmandi
dello Stato. La teoria di Giorgi. La proprietá prediale. Il collettivismo territoriale.
La teoria di Wagner sulla proprietà dei fabbricati. La teoria di Spencer sulla
proprietà del suolo. La proprietà privata del suolo e la rendita. Le dottrine
di George e di Loria sul la terra La proprietà forestale e mineraria. Le
funzioni dei boschi. La libertà del taglio. Il vincolo e le sue ragioni. La
proprietà mineraria e le fasi della industria. La critica degli argomenti in
favo re del proprietario del suolo. La dottrina che attribuisce la miniera allo
scopritore . La merce lavoro ed il suo prezzo. Il lavoro come pro prietà. La
coalizione e lo sciopero. La giuria industriale.La proprietà del capitale ed il
profitto. Il collettivismo ed il mutualismo. La teoria di Marx. La critica del
collettivismo e della teoria di Marx. Le coalizioni degl'intraprenditori. La
proprietà commerciale, il diritto di autore e di scopritore. Il concetto della
proprietà commerciale. La libertà dello scambio. La concorrenza. La nozione
primitiva del commercio. Il diritto di autore prima e dopo l'in La
propriatà industriale. La classificazione dei diritti sulla cosa altrui. Le
servitù gimento dell'istituto nelle legislazioni. Esposizione critica delle
varie dottrine assolute e relative. Il fon damento razionale. La critica della
teoria di Ihering sulla volontà di possedere. Le obbligazioni. zioni. Le loro
varie specie e modalità. I differenti modi di estinzione . Il contratto e le
sue forme. L'indole del possesso. La sua origine storica. Lo svol
L'obbligazione. La sua origine. Le fonti delle obbliga La nozione del
contratto. Le sue fasi ed il suo fonda. mento. I requisiti essenziali. I vizî
del consenso ed alcune recenti teorie. L'interpretazione dei contratti. Le loro
classificazione e le dottrine di Kant e di Trendelenburg. venzione della
stampa. Il suo fondamento ed il suo carattere. La garentia del diritto dello
scopritore I diritti reali particolari. e le loro specie. In quali modi le
servitù nascono, si esercitano e si estinguono. L'enfiteusi. La superficie. Il
pegno e l'ipoteca. Il carattere del diritto di ritenzione Il possesso. La
libertà di contrarre ed il contratto di lavoro. La libertà di contrarre, i suoi
limiti e la sua guarentigia.. L'interesse e la sua limitazione. La libertà
dell'interesse. L'usura ed i suoi procedimenti. L'usura come forma dell'ingiusto
civile ed i modi di combatterla. L'usura come delitto. Critica della teoria di
Stein. La figura specialedeldelittodiusura.La leggeela vita. La società, la
cambiale, il trasporto e alcuni contratti aleatori. Il contratto di società e
le sue forme. La società e la. Il prestito usurario. persona incorporale. Il
regime dell'autorizzazione e della vigilanza. La cambiale antica e la moderna.
L'indole del contratto di trasporto. L'assicurazione e le nuove teorie. Il
giuoco. La missione sociale del diritto privato. L'eguaglianza delle parti
nella locazione di opera. I sistemi che regolano la responsabilità
dell'intraprenditore negli infortuni del lavoro. La famiglia primitiva. L
accoppiamento e l'istinto di riproduzione fra gli animali. Le teoriedi LUCREZIO
e di VICO. Le unioni pri mitive. La famiglia femminile. L'erogamia ed il ratto.
Gl'inizi e lo sviluppo della famiglia patriar . matrimonio. Le sue
condizioni.Il matrimonio civile. La precedenza del matrimonio civile. I
rapporti fra i coniugi. L'autorizzazione maritale. Il libro di Bebel e le idee
di Spencer. I sistemi con cui si regolano i beni nel matrimonio.
L'indissolubilitá matrimoniale ed il divorzio. L'ideale dell'indissolubilità.
Le esigenze concrete della vita.La quistione del divorzio in rapporto ai
diritti individuali ed alle ragioni sociali e storiche. Il divorzio e la
Chiesa. Le cause di divorzio.Le cautele. La tendenza a rivivere in altri. Il
fondamento e le fasi della patria potestà. La tutela,le sue specie e la cura. L'adozione.
I figli nati fuori del matrimonio. La ricerca della paternità. La
legittimazione . Idea, storia e fondamento della successione. Il concetto
dell'eredità. La successione legittima e la te. stamentaria nella storia. La
successione ed il culto degli antenati. Le dottrine intorno al fondamento
cale. La progressiva individuazione della parentela. Il processo di
specificazione e la fine della famiglia. L'amore come fondamento del
matrimonio. L'idea del La societá coniugale.. La società parentale. della
successione. Il condominio domestico ed il diritto di proprietà come basi della
successione. La successione legittima e la testamentaria. La prossimità della
parentela e del grado. La capacità
di succedere. Le classi degli eredi. La rappresentazione. La capacità di
testare e di ricevere per testamento. Le specie di testamenti, La legittima. Il
diritto di rappresentazione e la successione testamentaria. L'errore nella
causa finale ed impulsiva, e le condizioni.Il diritto di accrescere. La
sostituzione e la fiducia. I principi comuni ad ogni specie di
successione. Il mondo romano è il mondo del volere, e quindi del diritto e
della politica. Il volere in siffatto mondo da un lato continua a mostrarsi
negli ordini superiori ed inflessibili dello stato, e dall'altro comincia a
svolgersi in forma di diritto individuale. Con il principio del volere, di sua
natura soggettivo, il diritto privato non può non sorgere, e lo stato non può
più per lunghissimo tempo conservare le rozze sembianze d'una organica
oggettività naturale. In Roma, il diritto privato ė nei suoi primi momenti
stretto, ferreo ed arcano. Poi è ampliato, oltre al divenire palese, giovato,
supplito e corretto dall'equità, ch'è lo stesso diritto in opposizione ad una
legge, la quale non ha saputo attuarlo. Alla fine è diritto umano, e per
conseguenza proclama il principio, che la schiavitù, istituto delle genti e contronatura,
non riguarda l'anima, echegliuomi ni innanzi al diritto naturale sono liberi ed
eguali. CICERONE, il filosofo più alto del mondo romano, non avendo
coscienza scientifica della manifestazione del diritto soggettivo, come atto
dell'astratta potenza del volere, ė inferiore alla stessa realtà romana. CICERONE
non è autore di una filosofia propria, e segue d’ecclettico gli scrittori greci.
CICERONE professa il dubbio, non crede che la mente possa Il vuoto
soggetto, rappresentato dall’accademici come oggetto, riceve ora tutta la sua
concretezza, ed è in seno del Cristianesimo determinato quale Verbo o mente
assoluta. La filosofia quinci innanzi s'informa al principio soggettivo.
L'uomo, immagine di Dio ed in carnazione del verbo, si riabilita; e lo stato
antico, perdendo il suo alto significato, è costretto a rimpiccolirsi. La parte
più intima dell'individuo non è più sottoposta alla potestà politica, sibbene
alle nuove credenze, che in origine si mantengono in quell'ambiente ce leste in
cui sono nate, e si oppongono al mondo ancora pagano. L'Apostolo scorge una
contraddizione tra gli stimoli della carne e gl’impulsi dello spirito. LATTANZIO
crede che la vera giustizia sia nel culto di un divino unico, ignoto ai
gentili. AGOSTINO parla di una città celeste, sede di verità e di giustizia, in
antitesi alla città terre stre, fondazione di fratricidi e prodotto del peccato
pri 6 essere assolutamente certa, é pago della semplice verosimiglianza. Nell'etica
elimina il dubbio per leconseguenze dannose, e fa appello alla coscienza
immediata, in cui si ritrovano i germi della virtù, ed al consenso del genere
umano, per definire l'onesto e per stabilire alcuni pre supposti speculativi di
esso. Preferisce il principio etico del PORTICO, che tempera da uomo pratico. Trae
il diritto non dalle leggi di le XII tavole o dall'editto, ma dalla natura
umana. Riproduce la teoria aristotelica del lo stato, e si attiene alla forma
mista, propria degl’ordinamenti politici di Roma. Luigi Miraglia. Miraglia.
Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miraglia” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Speranza -- Grice e Misefari: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- implicatura anarchica – la scuola di Palizzi
-- filosofia calabrese – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Palizzi). Filosofo italiano. Palizzi, Reggio
Calabria, Calabria. ‘Io non sono
italiano; io sono calabrese!” Fratello di Enzo (politico calabrese del P.C.I.,
storico e poeta), di Ottavio (calciatore reggino tra i più conosciuti nei primi
anni del secolo; giocò nella Reggina e nel Messina) e di Florindo (biologo,
attivista della Lega Sovversiva Studentesca e del gruppo "Bruno
Filippi"). Dopo aver frequentato la scuola elementare del piccolo
paese di nascita in provincia di Reggio Calabria, a undici anni si trasferì con
lo zio proprio a Reggio Calabria. Già da adolescente, influenzato dalle
frequentazioni di socialisti e anarchici in casa dello zio, partecipò
attivamente alla fondazione e allo sviluppo di un circolo giovanile socialista
(intitolato ad A. Babel, rivoluzionario tedesco dell'Ottocento). Iniziò a
collaborare al giornale Il Lavoratore, organo della Camera del Lavoro di Reggio
Calabria, firmando gli articoli come "Lo studente". Collaborò nello
stesso periodo a Il Riscatto, periodico socialista-anarchico stampato a
Messina; e con Il Libertario, stampato a La Spezia e diretto da Binazzi. A causa
della sua attività anti-militarista esercitata all'interno del Circolo contro
la Guerra italo-turca, fu arrestato e condannato a due mesi e mezzo di carcere
per «istigazione alla pubblica disobbedienza». Fu nei due anni successivi
che M. si convertì dal socialismo all'anarchia. Ciò avvenne soprattutto con la
frequentazione da parte di Berti, suo
professore di fisica presso l'"Istituto Tecnico Raffaele
Piria". Si trasferì a Napoli e si iscrisse al Politecnico, dopo
avere studiato fisica e matematica alle superiori, e anche per non dispiacere
al padre, proseguì tali studi. Pesò inoltre su questa decisione il fatto che in
quegli anni, dopo la tragica distruzione della città di Reggio Calabria a causa
del terremoto del 1908, il lavoro che garantiva le maggiori certezze era
proprio quello dell'ingegnere. Nondimeno continuò per proprio conto gli studi a
lui prediletti: politica, filosofia, letteratura, come aveva fatto fino ad
allora. A Napoli si fece subito avanti nell'ambiente anarchico. Il movimento a
Napoli contava allora di un centinaio di aderenti. Si rifiuta di
partecipare al corso allievi ufficiali a Benevento e fu condannato a quattro
mesi di carcere militare. Diserterà una seconda volta, trovando rifugio nella
campagna del beneventano in casa di un contadino. Tornato a Reggio Calabria,
interruppe una manifestazione interventista nella centrale Piazza Garibaldi,
salendo sul palco e pronunciando un discorso antimilitarista. Venne per questo
motivo arrestato e condotto presso il carcere militare di Acireale; sette mesi
dopo venne trasferito presso quello di Benevento. Da lì riuscì ad evadere
grazie alla complicità di un amico secondino. Fu tuttavia intercettato alla
frontiera del confine svizzero; ancora incarcerato, riuscì nuovamente nella
fuga. Tocca il territorio svizzero, ma i gendarmi lo condussero al carcere di
Lugano. Giunte dalla Calabria le informazioni su di lui, essendo un uomo
politico, dopo quindici giorni fu lasciato libero con la facoltà di scegliere
il luogo di residenza. Indicò subito Zurigo, dove sapeva di potere rintracciare
Misiano, suo caro amico e noto esponente politico socialista, anche lui
accusato di diserzione. A Zurigo trovò ospitalità presso la famiglia Zanolli,
dove si innamorò della giovane Pia, che diventerà sua compagna di vita.
Durante il periodo di esilio in Svizzera, Bruno svolgeva attività politica
tenendo i contatti con Luigi Bertoni e con altri gruppi anarchici elvetici,
collaborando anche al giornale: Il Risveglio Comunista Anarchico. Svolse una
serie di conferenze in varie città della Svizzera. M. si autoannunciava con un
suo pseudonimo anagrammatico Furio Sbarnemi. A Zurigo frequenta la Cooperativa
socialista di Militaerstrasse 36 e la libreria internazionale di Zwinglistrasse
gestita dai disertori Monnanni, Ghezzi e Arrigoni; in questi ambienti conosce
anche Angelica Balabanoff. Venne arrestato per un complotto inventato
dalla polizia. Fu incolpato innocentemente con l'accusa di avere fomentato una
rivolta nella città e di «aver fabbricato bombe a scopo rivoluzionario». Con
lui furono arrestati diversi attivisti politici, tra i quali lo stesso
Francesco Misiano (che fu poi rilasciato perché socialista e non anarchico).
Rimase in carcere per sette mesi, e venne poi espulso dalla Svizzera. Grazie ad
un regolare passaporto per la Germania, ottenuto per ragioni di studio, si recò
a Stoccarda.Lì entrò in contatto con Zetkin (che gli rilascia una lunga
intervista sul movimento rivoluzionario in Germania) e Vincenzo Ferrer. Poté
rientrare in patria, in seguito all'amnistia promulgata dal governo Nitti. -- è
a Napoli e poi a Reggio Calabria. E un periodo intenso per la sua vita
militante di M. A Napoli partecipò come oratore a molte manifestazioni, si
prodigò a favore dei suoi compagni colpiti dalla repressione, denunciò le
provocazioni della polizia; tenne numerose conferenze e comizi. Con il dentista
anarchico Giuseppe Imondi, stampò alcuni numeri del giornale: L'Anarchia. In
autunno fu chiamato a Taranto a svolgere il compito di segretario propagandista
presso la locale Camera del Lavoro Sindacale. Ha stretti contatti con
Malatesta, Berneri, Binazzi, Borghi, Vittorio e altri esponenti dell'anarchismo
e del sovversivismo italiano. Si impegnò su più fronti per la campagna a favore
degli anarchici Sacco e Vanzetti. Nello stesso periodo e corrispondente di:
Umanità Nova, settimanale anarchico diretto da Malatesta e collaborò al
periodico: L'Avvenire Anarchico di Pisa. Continuò i suoi studi a Napoli
con qualche salto a Reggio Calabria con la sua compagna Zanolli, che sposò. Si laureò a Napoli. Successivamente
si iscrisse anche alla facoltà di filosofia. Nonostante l'avvento del
fascismo, fondò un giornale libertario, “L'Amico del popolo,” che però dopo il
quarto numero fu soppresso dalle autorità. Nel primo numero del
giornale,scrisse un editoriale dal titolo “Chi sono e cosa vogliono gli
anarchici.” Lo scritto è l'espressione del suo pensiero libertario:
«L'anarchismo è una tendenza naturale, che si trova nella critica delle
organizzazioni gerarchiche e delle concezioni autoritarie, e nel movimento
progressivo dell'umanità e perciò non può essere una utopia.» Da esperto
di geologia, progettò per primo in Calabria l'industria del vetro e fondò a
Villa S.Giovanni, la prima vetreria in Calabria (Società Vetraria Calabrese).
In quegli stessi anni subì però persecuzioni continue da parte del regime. E cancellato
dall'Albo di categoria e non poté più firmare progetti. Gli venne mossa
l'accusa di avere «attentato ai poteri dello Stato, per il proposito di
uccidere il re e Mussolini». Fu prosciolto dopo venticinque giorni di carcere.
La polizia ravvisò in un discorso di commemorazione durante il funerale di un
amico (tra l'altro un industriale fascista, Zagarella) un'ispirazione anarchica
e pertanto lo propose per l'assegnazione al confino. Fu arrestato, in carcere
si sposa con Pia Zanolli, fu inviato per il confino, prigioniero a Ponza.
Tuttavia sembra che tale provvedimento fosse stato determinato da altri motivi.
M., che era ingegnere minerario, si era attivamente impegnato nello
sfruttamento su larga scala di giacimenti di quarzo, materia prima per
l'industria vetraria, che fino a quell'epoca dipendeva, in gran parte, dai
silicati stranieri. Assunto come direttore tecnico della Società Vetraria
Calabrese (di cui era stato finanziatore e Presidente il succitato Zagarella)
egli si era dovuto ben presto scontrare con l'assenteismo e l'inettitudine del
consiglio di amministrazione che si schierò contro di lui con l'intenzione di
eliminarlo in qualsiasi modo, ricorrendo anche ad espedienti politici. Giustizia
e Libertà, in un articolo anonimo ddal titolo «Politica e affarismo. Il caso di
un ingegnere libertario», attribuisce la causa del confino alle manovre dei
suoi ex soci. Durante il confino stringe amicizia con Torrigiani, Gran Maestro
del Grande Oriente d'Italia, il quale lo affilia alla Massoneria.
L'amnistia del decennale del fascismo lo liberò dal confino dopo due anni.
Ma tornato in Calabria vide il vuoto intorno a sé; scrive infatti a sua moglie:
"Amnistiato sì, però a quale prezzo: la salute sconquassata, senza un
soldo, senza prospettive per l'avvenire". Gli viene diagnosticata
l'esistenza di un tumore alla testa. Va e viene con la moglie da Zurigo a
Reggio Calabria. Riesce a trovare il capitale necessario per l'impianto di uno
stabilimento per lo sfruttamento della silice a Davoli (in provincia di
Catanzaro). Le sue condizioni di salute peggiorano a causa del tumore.
Perde conoscenza, viene ricoverato in stato gravissimo nella clinica romana del
Senatore Giuseppe Bastianelli, e lì si spense la sera stessa. Ancora
ragazzo, studente, cominciò a ribellarsi contro l'ingiustizia del mondo che lo
circondava: Palizzi Superiore, un paese tra i monti dove il castello feudale
dei signori locali dominava la valle, dove si ammucchiavano piccole e povere case
desolate di contadini. E si ribellò a quel mondo, costruito secondo
quell'immagine topografica che portava impresso nella memoria: sopra, chi
comanda e non lavora, sotto, chi subisce e lavora. E ancora ragazzo cominciò a
sognare un mondo in cui quella gerarchia fosse sovvertita prima, distrutta poi.
Poteva scegliere di ispirarsi al socialismo marxistico o al socialismo
libertario. Del primo apprezzava l'analisi dell'antagonismo tra le classi, ma
mostrava perplessità circa i mezzi proposti dalla diagnosi marxistica per
fronteggiare il pericolo di una rivincita dell'avversario di classe. Inclinò
perciò verso il socialismo libertario. «Nel comunismo libertario io sarò
ancora anarchico? Certo. Ma non di meno sono oggi un amante del comunismo.
L'anarchismo è la tendenza alla perfetta felicità umana. esso dunque è, e sarà
sempre, ideale di rivolta, individuale o collettivo, oggi come domani. M., Taccuino
personale. La scelta della diserzione fu coerente con il suo obiettivo di
combattere non la guerra degli stati, ma a fianco degli oppressi di tutto il
mondo contro il loro nemico, tenendo alta la bandiera dell'internazionalismo.
Pur sottoposto senza tregua alla persecuzione della polizia e all'inquisizione
della magistratura, fu sempre al suo posto accanto a coloro che lavoravano e
soffrivano. Come ogni rivoluzionario sincero e coerente, pagò col carcere e col
confino la sua fede in un ideale. Chi sono gli anarchici. Secondo M.,
essere anarchici voleva dire per prima cosa proclamare, contro ogni violenza,
l'inviolabilità della vita umana. Inoltre significava lottare per l'abolizione
della proprietà privata e a favore della socializzazione dei mezzi di
produzione e di scambio. Proprio per questo gli anarchici sono, di fondo, dei
socialisti. A questo esperimento di vita sociale andava affiancata la lotta
contro lo Stato, che ne impediva la realizzazione. E la lotta contro lo Stato
non poteva essere vittoriosa se non con la rivoluzione. Dunque gli anarchici
sono socialisti, antistatali e rivoluzionari. Elemento fondamentale della
lotta, secondo Misefari, era l'allargamento di essa alla sfera internazionale.
È comunque una lotta che non si fa violenta. M. è fortemente pacifista,
contrario all'uso della forza e della violenza armata. L'anarchico è inoltre
antireligioso: la religione infatti è considerata "fattore di abbrutimento
per l'umanità". Antimilitarismo Per M. la guerra è pura barbarie,
speculazione capitalistica consumata in nome dello Stato. «L'esistenza
del militarismo è la dimostrazione migliore del grado di ignoranza, di servile
sottomissione, di crudeltà, di barbarie a cui è arrivata la società umana.
Quando della gente può fare l'apoteosi del militarismo e della guerra senza che
la collera popolare si rovesci su di essa, si può affermare con certezza
assoluta che la società è sull'orlo della decadenza e perciò sulla soglia della
barbarie, o è una accolita di belve in veste umana.» Religione La
religione è considerata come un anestetico delle facoltà critiche della mente
umana. Sarebbe proprio la religione a imprigionare le energie morali dell'uomo,
a inebetire lo spirito critico e di riflessione. Perciò i popoli più religiosi
sarebbero i meno progrediti e i più afflitti dalla tirannia, mentre, laddove la
religione sparisce, lì è florida la libertà e il benessere. «È il più
solido puntello del capitalismo e dello Stato, i due tiranni del popolo. Ed è
anche il più temibile alleato dell'ignoranza e del male.» È forte nel
pensiero di M. la volontà di sottolineare l'uguaglianza sociale tra uomo e
donna. In anni difficili e lontani dalle battaglie del femminismo di metà
Novecento, egli afferma che la donna nobilita e abbellisce la condizione di
vita umana. È dovere della donna lottare per risollevarsi da una condizione di
inferiorità, che è tale in virtù di un "delitto sociale" e non dovuta
a leggi di natura. «Donne, in voi e per voi è la vita del mondo: sorgete,
noi siamo uguali!» M. vive di sogni, di ideali. Nella sua concezione non
esiste un artista, che sia poeta, filosofo, persino scienziato, che si sia mai
messo al servizio della menzogna. Se tutti potevano essere vili, un artista non
poteva. «Un poeta o uno scrittore, che non abbia per scopo la ribellione,
che lavori per conservare lo status quo della società, non è un artista: è un
morto che parla in poesia o in prosa. L'arte deve rinnovare la vita e i popoli,
perciò deve essere eminentemente rivoluzionaria. Poesia composta da M.:
FALCO RIBELLE. Un giovane falco che drizza il libero volo Ne l'alto, ove sono i
fulgori di soli immortali Un giovane falco ribelle o piccoli, io sono. Mi
spinge ne' campi ignorati, un acre desio Di sante ideali battaglie, di luce e
di gloria. Mi splende nell'occhio la speme di certe vittoria, Mi parla nel core
la voce sinfonica, dolce D'un caro sublime Pensiero, ch'è Bene ed Amore. Ho
giovini l'ale e robuste, o venti, o cicloni, O fulmini immani feroci, vi lancio
la sfida. Voi soli potete pugnare col giovine falco, Chè Luce, chè Forza, chè
Vita multanime siete. Ma voi, piccoli, no. Coi vermi guazzate nel fango, Dal
fango mirate del falco il libero volo.» Frammenti «Prima di pensare di
rivoluzionare le masse, bisogna essere sicuri di aver rivoluzionato noi
stessi» «Ogni uomo è figlio dell'educazione e della istruzione che riceve
da fanciullo. Gli Anarchici non seguono le leggi fatte dagli uominiquelle non
li riguardanoseguono invece le leggi della natura» «Prima l'educazione
del cuore, poi l'educazione della mente» «Socialismo vuol dire
uguaglianza, vuol dire libertà. Ma l'uguaglianza non può essere senza libertà;
come la libertà non può essere senza l'uguaglianza: dunque socialismo e
anarchia sono due termini dello stesso binomio, sono i due inseparabili fattori
della redenzione proletaria.» «Quando la giustizia non sarà la durda
infame delle tirannidi, quando l'amore non sarà deriso, quando il ferro non
sarà legge e l'oro non sarà dio, quando la libertà sarà religione e sola
nobiltà il lavoro, allora, solo allora, il mio rifiuto della guerra sarà
benedetto.» «M'è questa notte eterna assai men grave del dì che mi mostrò
viltà dei forti e pecorilità di plebi schiave. Lungi da quì il pianto: sto ben
coi morti! (epitaffio) Opere complete M.,
Schiaffi e carezze, Roma, Morara, M., Diario di un disertore, La Nuova Italia,
Entrambi i testi sono stati pubblicati postumi sotto lo pseudonimo Furio
Sbarnemi. Le schede biografiche di alcuni esponenti anarchici calabresi,
A/Rivista Anarchica, Antonioli, Antonioli, E. Misefari. Antonioli, Pia Zanolli era nata a Belluno. Dopo il
matrimonio con Misefari, fu iscritta nell'albo dei sovversivi pericolosi,
venendo poi arrestata col marito a Domodossola (cfr.: A/Rivista Anarchica) Chi sono e cosa vogliono gli anarchici, ed.
settembre. Antonioli, Pia Zanolli, L'Anarchico di Calabria, Roma, La
Nuova Italia, Utopia? No, Pia Zanolli, Roma, ALBA Centro Stampa, E. Misefari,
biografia di un fratello, Milano, Zero in condotta, M. Antonioli, Gianpietro
Berti, Santi Fedele, Pasquale Luso, Dizionario biografico degli anarchici
italianiVolume 2, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, Bruno Misefari, Schiaffi,
Carezze e altro, Pino Vermiglio, Laureana di Borrello, Ogginoi, Furio Sbarnemi,
Diario di un disertore, Camerano (AN), Gwynplaine, Dizionario biografico degli
italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Horizons Unlimited srl. Bruno
Misefari presso l'International Institute of Social History di Amsterdam, su
iisg.amsterdam, Fondo M. presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso di Roma, su
fondazione basso. Gli anarchici contro il fascismo, celebre articolo di Giorgio
Sacchetti. Bruno Misefari. Misefari. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Misefari” – The Swimming-Pool Library.
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