Luigi Speranza --
Grice e Rubellio: la ragione conversazionale della filosofia sotto il
principato di Nerone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Portico. Uomo di carattere
encomiabile e studi filosofici che si ritrova al centro delle faide tra
Agrippina e il figlio princeps NERONE per la sua ascendenza imperiale -- egli e
cugino di secondo grado del princeps in quanto figli di cugine nipoti di
Tiberio e bisnipoti adottive d’OTTAVIANO -- venne prima esortato, insieme alla
moglie Antistia Pollitta figlia del console Lucio Antistio Vetere, a ritirarsi,
verosimilmente dopo aver ricoperto solo la questura, nei possedimenti familiari
in Asia e poi ucciso con la testa mozzata riportata a Roma. Nel
mezzo di tali vicende, brillò in cielo una cometa, che la credenza popolare
interpreta come segno di cambiamento del re. Quindi, come se già Nerone
fosse stato cacciato, ci si domandava su chi sarebbe caduta la scelta, e sulla
bocca di tutti correva il nome di Rubellio Plauto, la cui nobiltà derivava, per
parte di madre, dalla famiglia Giulia. Amava le idee e i principi del passato,
austero nel comportamento, riservato e casto nel privato, e quanto più cercava,
per timore, di passare inosservato, tanto più si parlava di lui. Le
chiacchiere sul suo conto presero consistenza, quando si diede, con altrettanta
leggerezza, l'interpretazione di un fulmine. Infatti, mentre Nerone banchettava
presso i laghi di Simbruvio, in una villa chiamata Sublaqueum, i cibi furono
colpiti dal fulmine, che mandò in pezzi la mensa, e ciò si era verificato nel
territorio di Tivoli, da cui proveniva il padre di Plauto, sicché la gente
credeva che il volere degli dèi l'avesse destinato alla successione, e
parteggiavano per lui non pochi, per i quali vagheggiare avventure rischiose è
una forma di ambizione suggestiva, ma in genere illusoria. Scosso dunque dalle
voci, Nerone scrisse una lettera a Plauto: lo invitava a farsi carico
della tranquillità di Roma e a non prestarsi a chi propalava chiacchiere
maligne: aveva, in Asia, terreni ereditati, in cui poteva passare, al sicuro,
una giovinezza lontana da torbidi. Così Plauto là si ritirò con la moglie
Antistia e pochi amici.Tacito, Annales. Syme. Related by marriage to Tiberio. Perceived as a
threat by Nerone, he is sent to Asia where he is killed. He is a friend of
Coerano and Musonio Rufo. Sergio Rubellio Plauto. Keywords: Nerone. Rubellio.
Luigi Speranza -- Grice e Ruberti: la ragione
conversazionale -- la natura abhorre il vuoto, o la tromba di Gabriele – la
scuola di Fanza -- filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Faenza). Filosofo emiliano. Filosofo italiano.
Pideura, Faenza, Ravenna, Emilia-Romagna. Studia a Faenza e Roma sotto CASTELLI.
Srive a GALILEI una lettera di risposta a sue richieste a CASTELLI, che assente
in quei giorni lascia allo studente il compito di segretario. In tale lettera
colge l'occasione per presentarsigli, che egli ammira grandemente. Il vivere da
vicino le vicende del processo a Galilei gl’indusse a dedicarsi più
strettamente alla matematica nonostante padroneggiasse gli strumenti teorici e
fosse un abile costruttore di cannocchiali. Divenne segretario di Ciampoli, un filosofo
devoto a Galilei, che segue nei suoi incarichi governativi nelle Marche e
nell'Umbria. Castelli presenta a Galilei il saggio di R., “De motu gravium” suggerendogli
di impiegarlo come discepolo e assistente. Così e e divenne assistente di
Galilei e su domanda e insistenza di Galilei si trasfere nella sua
abitazione. Alla morte di Galilei, Ferdinando II gli nomina matematico del
gran ducato di Toscana. Studia geometria, dove anticipa il calcolo in-finitesimale.
Si dedica alla fisica, studiando il mosso dei gravi e dei fluidi e approfonde
l'ottica. Possede un laboratorio nel quale realizza egli stesso lenti e
telescopi. Si dedica anche allo studio dei fluidi, giungendo ad inventare il
baro-metro a mercurio chiamato, "tubo di Torricelli" o "tubo da
vuoto”. Tale invenzione si basa nella misurazione della pressione atmosferica
attraverso l'uso di questo tubo che, proprio sotto la spinta di tale pressione,
viene riempito dal mercurio fino all'altezza costante di 760 mm -- esperimento
effettuato sul livello del mare. Proprio da questa invenzione nasce l'unità di
misura della pressione "millimetri di mercurio" – mmHg -- e
l'uguaglianza: 1 Atm = 760 mmHg -- la pressione di un'atmosfera corrisponde a
760 millimetri di mercurio. Pubblica “Opera Geo-Metrica”, della quale “De motu
gravium” costituisce la II parte. Si dice faentino e tale è considerato
dalle persone che lo conosceno, ma le ricerche compiute già subito dopo la sua
morte nei registri battesimali di Faenza non hanno esito. Ciò da adito ad un
secolare dibattito, durante il quale varie altre località romagnole
rivendicarono l'onore di avergli dato i natali. Rossini ricostrusce l'albero
genealogico della famiglia, originaria di Pideura, nel contado faentino,
risalendo di due secoli oltre la nascita di R.. Bertoni, del liceo che da R.
prende nome, trova nel registro dei battezzati della Basilica di S. Pietro in
Vaticano il suo atto di battesimo. Ciò che trae in inganno i filosofi è il
fatto che R. assume il cognomen Torricelli della madre. Si sa che il nome del
padre e Gaspare. Pertanto, si cercano notizie di un inesistente Gaspare
Torricelli. Viceversa, si hanno notizie di una Giacoma Torricelli e si ritenenne
che è la zia paterna. È invece la madre. La lettera a Galilei, conservata alla
Biblioteca Nazionale di Firenze fra i manoscritti galileiani, è il primo
documento nel suo carteggio. Rappresenta un documento fondamentale per studiare
la vita e l'opera del filosofo faentino. Descrive la propria formazione filosofica.
Si dichiara a conoscenza dei fatti che portano a breve alla condanna di Galilei
e dichiara la propria fede galileiana. Molto Ill. re et Ecc. mo Sig. r mio Col.
mo Nella absenza del Rev. mo padre matematico di N. Sig. re, sono restato
io; humilissimo suo discepolo e servitore, con l'honor di suo secretario. Fra
le lettere del quale havendo io letta quella di V. S. molto Ill. re et Ecc. ma,
a lei ne accuso, conforme l'ordine datomi, la ricevuta, e a lui Rev. mo ne do
parte in compendio. potrei nondimeno io medesimo assicurar V. S. che il padre abbate
in ogni occasione, e con il maestro di Sacro Palazzo e con i compagni di quello
e con altri prelati ancora, ha sempre procurato di sostenere in piedi li dialoghi
di lei Ecc. ma, e credo che sia stato causa che non si è fatta precipitosa
resolutione. Io sono pienissimamente informato d'ogni cosa. Sono di
professione matematico, scolaro del Padre R. mo di anni, e duoi altri havevo
prima studiato da me solo sotto la disciplina dei gesuiti. Son stato il primo
che in casa del padre Abbate, et anco in Roma, ho studiato minutissimamente e
continuamente sino al presente giorno il libro di V. S., con quel gusto che
ella si puol imaginare che habbia havuto uno che, già AVENDO ASSAI BENE PRTICATA
TUTTA LA GEOMETRIA, Apollonio, Archimede, Teodosio, et che havendo studiato
Tolomeo et visto quasi ogni cosa del Ticone, del Keplero e del Longomontano,
finalmente adhere, sforzato dalle molte congruenze, al Copernico, ed è DI
PROFESSIONE E DI SETTA GALILEISTA. Il Padre Grienbergiero, che è molto mio,
confessa che il libro di V. S. gli da gusto grandissimo e che ci sono molte
belle cose, ma che l'opinione non la loda, e se ben pare che sia, non la tien
per vera. Il Padre Scheiner, quando gliene ho parlato, l’ha lodato, crollando
la testa. Dice anco che si stracca nel leggerlo per LE MOLTE DISGRESSIONI. Io
gli ricordo le medesme scuse e diffese che V. S. in più lochi va intessendo.
Finalmente dice che V. S. si porta male con lui, e non ne vol parlare.
Del resto io mi stimo fortunatissimo in questo, d'esser nato in un secolo nel
quale ho potuto conoscere et riverir con lettere un Galileo, cioè un oracolo
della natura, et honorarmi della padronanza et disciplina d'un Ciampoli, mio
amorevolissimo signore, eccesso di meraviglia, o se adopri la penna o la lingua
o l'ingegno. Haverà quanto prima il Padre R. mo la carissima di V. S., e le
risponderà. Intanto V. S. Ecc. ma mi fa degno, ben che inetto, d'esser nel
numero de' servi suoi e DE’ SEGUACI DEL VERO; che già so che il Padre R. mo, o
a bocca o per lettere me gli haverà altre volte offerito per tale. E per fine a
V. S. faccio con ogni maggior affetto riverenza. Roma, Di V. S. molto
Ill. re et Ecc. ma Sig. r Gall. Gal. La lettura approfondita delle “Due nuove
scienze” di Galilei dei cui ultimi capitoli segue direttamente la stesura ad
Arcetri, gli ha suggerito molti sviluppi dei principi della meccanica ivi stabiliti.
Tali sviluppi sono esposti nel trattato dal titolo “De motu gravium”. Nell’ “Opera
Geometrica” conceve il principio del
baro-metro, costruendo quello che ora è chiamato tubo di Torricelli e
individuando il "vuoto torricelliano". Con VIVIANI dimostra che IL
VUOTO ESISTE IN NATURA e che l'aria ha un peso PONENDO QUINDI FINE ALLE
MILLENARIE DISCUSSIONI FILOSOFICHE SULL’HORROR VACUI. Un'unità di misura della
pressione è stata chiamata “Torr” in onore alla madre di R. e corrisponde a
millimetri di mercurio. L'unità di misura del sistema Internazionale è invece
il “pascal”, in onore di un altro illustre fisico Blaise Pascal, che fa fiorire
numerose ricerche sperimentali dalla estesa e definitiva teoria della pressione
atmosferica descritta da Torricelli. La parola “baro-metro” coniata da
Boyle è quasi sempre associata al nome di R. che risulta quindi fra i più
celebri filosofi italiani nella storia. Essendo in diretto contatto con
Cavalieri inizia a lavorare con la geometria degl’indivisibili e ben presto
supera, secondo lo stesso Cavalieri, il suo maestro. E abilissimo
nell'utilizzarne le tecniche, cioè il metodo degl’indivisibili, come anche il
metodo d'esaustione, che e in uso presso gl’antichi, fra tutti il grande
Archimede, di cui è entusiasta ammiratore. A R. dobbiamo la riscoperta del
matematico siracusano. Per il gusto di imitare i classici, dimostra in XXI
modi diversi un teorema di Archimede: XI con il metodo d'esaustione, X con il
metodo degl’indivisibili. Spesso i risultati ottenuti con la geometria
degl’indivisibili venneno poi confermati con altre dimostrazioni, a causa della
controversia sulla loro fondatezza. Il fatto interessante è che lo stesso
Archimede elabora una sorta di geometria degl’indivisibili, ma non la ritiene
rigorosa, e perciò dimostra sempre i suoi risultati con il metodo d'esaustione.
Tutto ciò si è scoperto quando si scopre un palinsesto con un'opera sconosciuta
d’Archimede, il Metodo meccanico, nel quale espone questi procedimenti. --
è famoso per la scoperta del solido di rotazione infinitamente lungo detto “la tromba
di Gabriele”, da lui chiamato “solido iper-bolico acutissimo”, avente l'area
della superficie infinita, ma il volume finito. La tromba di Gabriele è considerato
per molto tempo un paradosso "incredibile" per molti, incluso R. stesso,
che cerca diverse spiegazioni alternative, anche perché l'idea di un secchio
che è possibile riempire di vernice, ma impossibile da pitturare è senz'altro
singolare. Il solido in questione scatena un'aspra controversia sulla natura
dell'infinito, che ha coinvolto anche Hobbes. In questa disputa alcuni sostenneno
che il solido conduce all'idea di un infinito completo. -- è stato pioniere nel
settore delle serie infinite. In “De dimensione parabolae" R. considera
una successione decrescente di termini positivi “{{0},{1},{2}}” e mostra che la
corrispondente serie tele-scopica “{{0}{1})+{1}{2})+}” converge necessariamente
a “{{0}-L{0}-L},” dove “L” denota il “limite” della successione. In questo modo
riusce a dare una dimostrazione dell’espressione per la somma della serie
geometrica. A Faenza è presente una statua di fronte alla chiesa di S. Francesco
che lo raffigura con in mano un baro-metro a mercurio -- nella statua, l’altezza
del barometro è proporzionalmente inferiore a quella reale, che deve essere di
almeno 76 cm. -- Per la storia della scoperta della sua vera origine vedi anche
Registrazione del convegno per lui, Fidio, C. Gandolfi, Idraulici italiani, Biblioteca
Europea di Informazione Cultura. In questa sperimentazione venne preceduto da Berti,
che conduce un esperimento baro-metrico utilizzando acqua anziché mercurio.
Cfr. L'esperimento di Berti, realizzato a Roma Moon: Torricelli G. Rossini, Convegno di studi torricelliani in
occasione dell’anniversario della nascita, Faenza, Lega, Bertoni, La sua
faentinità e il suo vero luogo di nascita, in Studi e ricerche del liceo
Torricelli, Faenza, Ragazzini, Toscano, L'erede di Galilei. Vita breve e
mirabile, Milano, Sironi. Alexander, Infinitamente piccoli. La teoria
matematica alla base del mondo moderno, Torino, Codice edizioni, Baro-metro di Torricelli, Equazione di
Torricelli, Legge di Torricelli Torr, Tromba di Torricelli, Treccan Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Crusca. E. Torricelli,
Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Scienze, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Museo della Storia della Scienza, Firenze. Evangelista
Torricelli Ruberti. Keywords: il vuoto, geometria. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruberti” – The
Swimming-Pool Library
Luigi Speranza -- Grice e Rucellai: la
ragione conversazionale degl’amori di Linceo, o della filosofia imperfetta –
scuola fiorentina – la scuola di Firenze -- filosofia toscana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano.
Firenze, Toscana. Crusca. Discepolo di GALILEI e in certa guisa il depositario
e spositore delle opinioni meta-fìsiche professate dal suo maestro. Di più: in
cui la scuola di Galilei ha uno dei maggiori lumi. Afferma di essere amico e
confidente di Galilei, ma ciò non corrisponde al vero. In verità si incontrano
solo una volta quando e suo ospite nella villa di Arcetri. Men che meno e suo
studente. Quanto poi alla meta-fisica di Galilei, i dialoghi filosofici parlano
da soli. Quando comincia a comporre i dialoghi
presero persino a chiamarlo "il nostro sapientissimo Socrate". Ma
anche questa è una bufala. Il fatto è ogni volta che compone un dialogo, ama recitarlo
al suo palazzo davanti a un pubblico scelto di personaggi del bel mondo
fiorentino. Che al suo palazzo, uno dei più ricche di Firenze, si mangia e beve
gratis. Quindi più dialoghi recita, più si gozzoviglia. Per questo lo incitano
a continuare. La verità è che in filosofia non vuole, non segue la ragione. Chiudendo
gl’occhi alla scienza, in qualunque punto, non dice nero né bianco. Altro che
discepolo di Galilei anche se a Firenze, a questa panzana, ci credeno in molti.
Non è un caso dunque se i dialoghi sono pubblicati non per meriti filosofici, ma
linguistici. I dialoghi sono citati dal vocabolario della Crusca, ed ottimo
avviso è il farne spoglio abbondante perché la loro favella è veramente d'oro
e, se lo stile procede talvolta prolisso, è sempre chiarissimo ed elegante e à gran
ricchezza di voci e frasi, convenienti agli studj speculativi. Forse è proprio
per la sua grande abilità nel farsi credere che, nel gran ducato, la sua stella
sembra non tramontare mai. Ambasciatore toscano prima presso Ladislao IV e poi Ferdinando
III. Intendente della biblioteca laurenziana. Tutore di Francesco Maria. Acclamato
priore dell'accademia della Crusca con l’alias di “imperfetto” Strano perché
lui, invece, è un perfetto: un perfetto bugiardo. Altre saggi: “Descrizione
della presa d'Argo e de gl’amori di Linceo con Hipermestra”; Opuscoli inediti di
celebri autori toscani, Prose e rime inedite di R., Tommaso Buonaventura, Degl’officii
per la società umana”; “Della provvidenza”; “Della morale”, Crusca. ALFANI gia alooio
di R. Istitnto Superiore di Fireoze.
FIRENZE, BARBARA. Tia Faenza. Agl'
Illustbi Pbofbssobi CONTI E FERRI. Non
crediate che io dedichi a voi questo
libro per cerimonia : no ; io 1' affido invece al vostro patrocinio, come un padre che vedendo
il suo caro figlio sul punto di escire
dalla vita delle mura domestiche, per entrare in quella pubblica della citta e della
patria, Io affida sicuro a cittadino
illustre, onorato, provetto, perche gli
agevoli col suo nome la via, e col
consiglio suo Io diriga e protegga; io
Io dedico a voi come cosa che vi appartiene, poiche se io ne fui 1' autore, voi
ne foste bene i consiglieri
sapientemente aniorevoli, que' due che in mezzo alle non lievi difficolta m' incoraggiaste
e mi ajutaste a combatterle e a superarle. E, anzi, io posso affermare con sicurta che questo libro debba
a voi piu che a me la sua vita, dovendo io
appunto alia vostra scienza, alle vostre instituzioni e ai voatri
consigli, se datomi agli studj
prediletti della filosofia ho potuto proseguire non vanamente nel difficile
cammino e in queste ardue discipline,
per le quali ora meglio che mai
riconosco altri ingegni che non il mio
poverissimo esser richiesti sempre, e
particolarmente oggi che la filosofia vera, questa prima nutrice della ragione
umana, questa ultima consolatrice di lei
o desolata dal dubbio, o da' contrasti affranta non vinta, e con ogni sorta di
mezzi ingratamente assalita, per
sostituire in sua vece una larva
pericolosa a cui si da noma di scienza,
e che invero non e altro se non la cupa
e colpevole generatrice di una Comune di Parigi, e delle negazioni piu
spudorate e micidiali coUe quali, sotto i nostri occhi medesimi, per un falso giudizio di
liberta si permette di insultare scherzevolmente il buon senso e la coscienza degli
uomini. Siffatti contrasti ed errori io
appena in,travedeva (non li poteva discernere chiaramente) quando negli anni
primi della gioventu. quantunque
innamorato della filosofia, maneggiava la riga e il compasso, e piu per
rar gione di metodo che per intenzione
di scelta studiava le scienze superiori
esatte e le natural!, utili quelle, e necessarie queste al filosofo che voglia
conoscere tutto I'uomo e le leggi vera
dell' universe. lo li ricordo, sapete,
quegli anni! AUora che il velo del
disinganno che ricuopre le malizie umane
o non 6 punto soUevato a'nostri occhi, o n' e appena : allora che i problemi e
le questioni piu gravi della filosofia
intomo a Dio, all' uomo ed al mondo le si risolvono piu col cuore e col linguaggio
materno, giammai ingannatore, che non col severe e spesso arido sillogizzar
delle scuole ; e tutto ci sembra piano,
evidente; e le risposte piu ardue ci
sembrano le risposte piu naturali,
perche appunto dettate dalla voce infallibile della natura. In quegli anni le negazioni si
tengono e si combattono non come negazioni
vere e proprie, sibbene, e piu, come artifizi scolastici, e la possibility, che le
divengano terribilmente reali, e
guastino la sovrana armonia tra la verita e 1' intelletto, ci par le miglia
Montana. Ma pur troppo, andando innanzi, ogni giorno che passa e un fiore
che cade dall' albero delle illusioni
della vita ; e noi scorgiamo sempre piu
farsi reale e tremenda la guerra al vero, le sue armonie minacciate dalla
superbia di ragione delirante, e dair
odio piu spietatamente beffardo. E come
difficile non esser feriti dalla punta
awelenata del dubbio! come difficile non rimanere sorpresi e colti dalle
astute carezze di quella ingannevole
Armida, che si fece introdurre nelle nostre tende a promettere le sue grazie e favori a quei che
disertassero I'antica bandiera, che e
poi la bandiera delr onesta ! E quanti restarono a' lacci che tese loro ambizione ! quanti minacciano di
restarvi, chiuse le orecchie alia voce
della loro coscenza e della verity ! La
quale voi, benemeriti, m' insegnaste a
venerare e difendere efficacemente (ed oh! r avessi imparato bene) colle armi di non
effimera scienza, le cui parole e i di cui pronunziati sentii sempre lietamente
rispondere a' palpiti primi del mio
cuore, a' miei primi sospiri religiosi,
alia voce medesiraa di mia madre che m' insegnava, dandomene essa la prima e col fatto 1' esempio, ad onorare
Dio, ad amare 1' umanita, a rispettare
me stesso. La vostra filosofia insomma
sentii essere veramente la filosofia; e
quel prime amore che mi fece cercarla
quasi inconsapevolmente, giovanetto
ancora, pote con voi divenire nelr anima mia fortissimo e consapevole, e ad
essa attrarmi potentemente, stupito di
tante sue bellezze sublimi, che voi
dottamente mi rivelaste, perche alia mia volta anch'io, salendo una cattedra, insegnassi que' medesimi
veri, e scoprissi quelle medesime
bellezze e il loro amore ai giovani
intelletti che la patria e la Prowidenza
mi avrebbero poscia affidati. Accostandosi a questo ufficio santo e
terribile insieme, non puo 1' anima non
esser compresa di alta trepidazione : si
tratta dell'avvenire di uomini, si
tratta dell' avvenire della patria, che noi dobbiam preparare. Dedicando a voi questo libro, io
voglio, egregi professori, darvi pur
anco un pegno che in tale ufficio
solenne, nel mio insegnamento, seguitero le orme vostre ed i vostri precetti ; e che sempre a conforto e guida vi
avro innanzi al pensiero, illustri propugnatori
della verita e del bene. N^ voi,
io spero, sgradirete il ricordo che vi
testimonia perenne la gratitudine mia, ne
sdegnerete di conservare la memoria di me, discepolo vostro, e di ajutarmi ancora,
fatto da voi ad altri maestro. E cosi
legati tutti, professori e discenti, nel
vincolo di reciproco affetto, i nostri
studj e le nostre fatiche saranno benedette da Dio, e coronate dal trionfo del bene, e dalla prosperita della
patria. Tutto vostro devotissimo AuGusTo Alfani. Firenze. Spbcchio begli sceitti bditi e
tnbditi di Obazio Rioa SOLI RUCELLAT. Firmamento dei cieli e firmamonto del
pensiero. — Armonie loro. — Orazio
Ricasoli Rucollai e il socolo decimosettimo. — Quegli h specchio delle condizioni di quosto in
Firenze. — E pero si spiega r
ammirazione grande per R. de' suoi contemporanei. — Divisione generale di questo libro. — Suo
fine e importanza. Capitolo Prima. — Il
Sbcolo Decimosettimo 7 Scrittori di R..
— II marchese Carlo Rinuccini. — Anton
Maria Salvini. — II canonico Domenico Moreni. — II Tiraboschi. II Passerini. — II Turrini. — II Mamiani e
il Centofanti. — Necessity di ritesser
la vita di R. per il proposito nostro.
— Difficolt^ pel difetto di docnmenti. — Condizioni generali del secolo decimosettimo. — fe un secolo di
contrasti politici e morali. —
Contrasti nelle arti, nolle lettere, nella filosofia. Capitolo Secondo, — Dblla vita di Orazio
Ricasoli Rucellai 20 Nascita di R.. —
Suoi parenti. — Antichit^ e nobilti delle
due famiglie Ricasoli e R.. — Loro attinenze con le glorie politiche e letterarie deir Italia. — I
Ricasoli, i R. ed i Medici. — P erch^ Orazio piucch^ Ricasoli appellino gli
scrittori col nome materno de' R.. --
Questi e le dottrine platoniche. — L'
Accademia Platonica istituita da Cosimo e da Marsilio Ficino. — Intendimenti di questo. — Suoi scritti. —
Platonismo cristiano di lui e de'snoi
accademici. — Si nominano. — Bernardo R.. — Sue
qnalita, opere, preg i di esse. —
Fa parte dell' Accademia Platonica. —
L' accoglie ne' suoi Orti, onde essa piglia il nome di Accademia degll Orti Oricellari. — Figli e nipoti di
Bernardo platonici. — Congiura contro i Medici, e sbandamento dell' Accademia.
— Gli Orti menide o d* uno eterno. —
Anassimandro o dell' infinito. — Necessity
deir Infinite. II finito non e
privazlonc di questo. — Cartesio, o 1'
idea dell' infinito prova della sua realty. — Dato 1' uomo finito, conyien ammettere rente infinito. — E questo
secondo argomento il R. tiene per
piiistringente di quello del Cartesio. — Ma si I'uno che I'altro sono argomenti probabili. —
Anassimandro o della luce. — Galileo. —
II R. non nega I'influsso degli astri sul mondo e le cose nmane ; combatte pero 1' astrologia. t-
La Genesi, sant'Agostino, Dante e 1'
opinion! di Anassimandro e Galileo sulla luce. — Platone, la luce e 1' anima dell' universe. — Ma e
tutto un pud easere. — Anassimandro o
de'colori. — Zenone ed altri filosofi. — Si conchiude coll' « Hoc unum seio quod nihil ado * di
Socrate. — La fede. Gapitolo Nono, —
Esposizionb del timeo di Platone nk'
Dialoghi di Orazio Ricasoli R. . . Pag. 157
Ammirazione di R. pel Timeo di Platone. — Opinione e scienza. — Necessita di un Principio primo. —
Plotino. — Triniegisto. — II R. non e dualista, come Platone. — Fine della creazione, il buono. — Obiezione e risposta.
— Nell'ordine dell' universe si legge il verbo di Die. — Gli archetipi eterni.
— Platone manca della fede, e pero nell'
attinenza di causality tra Die e il
mondo cade in errori. — La mente divina forma di tutte le forme. — La mente umana e le idee. — Loro natura. —
II R. combatte Aristotele. — Trimegisto
e la creazione. — II mondo non e Die ; ne Dio
e I'anima di esse. — Ma e sua legge. — Ne I'amere, per se, e anima deir universe. — Desso come armonia ed ordine
pu5 appellarsi anima del mondo. — £, pel
R., le Spirito Santo. Ga/pitolo Decimo.
— (Segue) il TIMEO. Dell'anime razio NALI 173
Quesiti. — Natura dell' anima razionale. — Non e particella deir anima universale. — fe intiera e
perfetta da sh, — In che il R. si
discosta qui da Platone. — Spirituality dell' anima. — Perfezione maggiore
negli spiriti angelici. — Immortalita. — Argomenti dl ragione probabili. — Cartesio e la sua
teorica dell' idee connessa alia
questione dell' immortality. — Passe di questo filosofo. — Altre prove d' immortalita. Gapitolo Decimoprimo. — Breve cenno sullb aemonichb
propoRzioNi NET Dialoghi filosofici di Orazio Ricasoli R. 187
Oggetto di questo trattato di R.. — Suono. — Ordine. — Armenia. — Proporzione. — Passo dell' autore.
-- Platone e le proporzioni
armoniche. — II medesimo e il diverso. — Anco pel Racellai tatto e armonia. — I
tre regni della natura. — L* armonia e ranima
univorsale platonica. — II corpo umano e le armoniche proporzioni. — La
materia. — Gindizio di R. sn questa parte
delle dottrine platoniche.
Capitolo Decimosecondo. — Esposizionb del trattato BELLA PROVVIDENZA NBI DlALOOHI FILOSOFIOI DI R. Importanza di questo trattato. — Meglio che
in ogni altro scritto di R. si fa qui
palese la natura del suo ftlosofare. —
Prove di ci6. — Obiezioni di Epicuro e risposte. — L*ordine
dell'uniyerso e argomento del Provvedere di Dio. — Questi e la natura. — Essa non e per al che una voce generica. — II
Case. — Si combatte. — Gli atomi. — Si
nega ad essi, contro Platone ed Epicuro, la eternity. — Si confuta V
accozzamento fortuito di quelli. — Galileo. —
La creazione. — Si ritorna alia Provvidenza di Dio; prove per
eliminazione. — Obiezione e risposta. — Galileo e R.. — Dio non informa il mondo come anima corpo. — V
esempio del sole. — Marsilio Ficino. —
La fedo. — Creazione ex nihilo, — Ragioni probabili. — Ripete V autore : fine
della creazione il buono. — II Vero
Bene. — I beni del mondo han ragione di mezzo, di fine no. Ga/pitolo Decimoterzo. — {Segue) La
esposizionb del trattato DELLA PROVVIDENZA
Dei mall. — Necessity di questi nel mondo. — I veri mali. — La morte non h un male. — E cosl la poverty,
la perdita delle ricchezze, le ingiuste
persecuzioni ec. — I mali occasione e strumeiito di bene. — II dolore. — La
infelicita. — Del done della ragione. — Sua natura. — Malizia e ragione. —
Libero arbitrio e prcdestinazione. — Liberti e fato. — Passo dell'Autore su
questo punto. -> Epilogo delle
probability ragionevoli intorno V esistenza di Dio provvidente. — Rifugio nella fede. —
Conclusione. Capitolo Decimoquarto, —
Esposizionb bblla psioolooia e della
morale nei Dialoghi FILOSOFIOI di Orazio
RiOASOLi R. 246 II detto di
Socrate e quello di Talete. — Fatti intemi: psicologici e moral!. — Notee te
ipeum, ~ Dell* anima in generate. —
Galileo. — fe presunzione Toler comprendere quel che Tanima sia. — Studio proficuo de' suoi strumenti. — Notomia.
— Proemio del Rucellai alia parte morale. — Qui h aristotelico. — Riepilogo. —
La ragione ed il senso. — Loro contrarieta nel riconoscere il bene. — Tre sorte di beni ; dell' anima, della
fortuna e del senso. — Apprezzamento di essi. — La vera scienza morale e il
timore di Dio. L' anima nmana, perche
ragionoTole, h capace del timore di Dio, e,
perd, di virtti. — Anche qui R. e mistico. — Operazioni delr anima e
della Tolonta. — Errore e dubbio. — Buono e reo. — La vera felicitd,. — tl la vera virtti. —
Stoicismo. — Aristotele. — Virtii
cardinali. — Loro definizioni ed uffici. — Estremi delle Tirtii. — Applicazione
delle yirtCi alia societa umana. — Fine di essa. — Doveri. — Diyisione di essi. — Cicerone. —
Sentenza esagerata intorno lo donne. —
Conclusione. Capitolo Becimoquinto ed
ultimo, — Ossbbvazioni oeitichb SULLA FiLOsoFiA
DI Obazio Rioasoli Ruoellai. Pag. 281
Opportunita della critica. — Importanza storica dei libri del R.. — II professor Palermo ha giudicato
Vlmperfetto imperfottamente. — Perche.
Quesiti da risolvere. — II Rinascimento e le sue qualita. — Scetticismo. —
Tradizionalismo. — Bruno. — Campanella. — Galileo e il suo metodo di
osservazione esterna. — I suoi scolari e
TAccademia del Cimento. — Metaftsica galileiana. — Sommi capi di essa nei
Dialoghi dei Maesimi Siatemi. — II Cartesio e
r osservazione interna. — Spinoza e Malebranche. — Bacone. II
sensualismo di Loke. — Eclettismo di R.. — Suo probabilismo. — Si provano riandando la sua filosofta. —
La seconda Accadomia. — Cicerone. — La
fede. — Differenza tra' iilosofl del Medio Evo e il R.. — Questi e il Galileo. — Nel metodo 11 R.
apparentemente e moderno. — Perche. — Intende solo negativamente Taforisma socratico. — Ed e sempre probabilista. Accordi tentati. — Gli fa difetto la speculazione. — E per6 riesce
eclettico. — Breve riscontro di tal fatto nei suoi Dialoghi su' Principii
passivi dell* universe, e nel Timeo, — Platone, tl Cristianesimo e Galileo. —
Cartesio. — Teorica della cognizione. — Teorica del volere. — Liberty e fato. — Stoicismo ed epicureismo. — Libero
arbitrio e predestinazione. — Psicologia e morale. II R. e Cousin. — Aristotile. — Platone. ~ Stoicismo. — Cristianesimo. —
Divisione delle virtd. — Cicerone. —
San Tommaso. — La Scuola Epicnrea e il Rucellai. Teologia razionale. Platone e il nostro scrittore. — I
Padri. La Fede. — Si conchiude che nello
studio dei tre obietti della filosofia R.
e eclettico. — La forma esteriore, - lo
stile - e la natura de' personaggi ne' Dialoghi di R. sono un' ultima conferma della nostra
Conclusione. APPENDICE, ANTOLOGIA DI COSE INEDITE DI ORAZIO RICA80L1 BdCELLAI. Ottavk.
Alia Serenissima Margherita d'Orleans, Prin cipessa di Toscana SONBTTI 324 Della Gobte e del eigibo di Roma 326 da' DIA.LOGHI FILOSOFICI. ViLLEGGIATUBA TuSCOLANA. — H TimeO. Delle idee 344 Sopra ranima del Mondo 373 Se V Amore sia Y anima del Mondo 379 Dell' immortality delP anima 435 PbEAMBULO ALL a ViLLEGGIATUBA AlBANA ALL A
PsiCO LOGIA ViLLEGGIATUBA TiBUBTINA DELLA MoBALE. — Offizi delta facoltd deUa ragione 456 SPECCfflO DEGLI SCKITTI EDITI E
INBDITI DI ORAZIO RICASOLI R.. Brose edUe, s
CoNTRO I SoFiSTi. — Intomo a' Principj universali della Natura, — 16
Dialoghi filosofici che comprendono i primi tre
tomi del Codice manoscritto, corretto di mano deirAutore. Quest! pure sono stati pubblicati con una
Prefazione del Chiarissimo Prof. Palermo nel volume III del Manoscritti Palatini di Firenze, coi tipi di M. Cellini, 1868, e
precedono i noye della Provvidenza. Della Provvidenza. — 16 Dialoghi filosofici,
pubblicati insieme con una Lettera al
Cav. Poltri sulla Polonia per cura del
Prof. TuRRiNi, coi tipi Le Monnier. Firenze Nove dei
quali Dialoghi, nel medesimo anno, furono ripubblicati dal Prof. Francesco Palermo nel volume III dei
Manoscritti Palatini di Firenze, coi tipi di M. Cellini e C. alia Galileiana.
Firenze. Quattro di questi dialoghi
furono pure pubblicati dal Sig. Canonico Domenico Moreni, coi tipi del Magheri
in Firenze nel 1823, e che corrispondono
a.' Dialoghi iO, ii, i2, i3, de'
Manoscritti {Trattato della Provvidenza). E quelli stampati dal Sig. Prof. Palermo corrispondono al
Numero 1-9 de' medesimi manoscritti.
Villeggiatura Tiburtina. — Proemto. -- Fu pubblicato dal Sig. LuiGi FiACCHi nella bella Collezione
degli Opuscoli Scien SPECCHIO DEGLI
SCRITTI EDITI E INEDITI tifici e
Letterarj, Volume XIX, pag. 33, e che io ho riprodotto ora per intiero, perch^ 6 per eleganza di
stile e ricc?iezza di concetti moraji
pregevolissimo. DiscoRSO CONTRO IL
Freddo Positivo. — Lo pubblic6 il Canonico
DoMENico MoRENi insieme con altre cose di R., del Bonaventuri e d' altri, nel 1822 co'tipi del
Magheri. Firenze. « Questo discorso,
avverte il Moreni nella Prefazione, pag. XIX
e XX, per quanto risulta da una copia di una lettera di Carlo Dati dei 6 aprile 1666 a Ottavio Falconieri,
manoscritto nella Magliabechiana alia
pag. 9 del Codice 183 Class. IX intitolato
Notizie dell' Accadeniia della Crusca, Selva I, fu da lul recitato in
un'Accademia a bella posta fatta in ossequio e trattenimento del famoso
Cardinale Delfino^ che trovavasi allora
di passaggio per Firenze. Eccone di essa I'articolo: Io mi
era scordato di dare a V. S. Illustrissima avviso dell'Accademia. II
Sig. Cardinale Delfino arrivo qui venerdi passato a desinare, e subito disse di
voler partire il lunedi, sicchd poco
luogo restava per fare Accademia. Sabato sera essendo bene allindata T Accademia. si fece Adunanza
privata, ma pero nunierosa, dove vennero il Sig. Cardinale e il Sig.
Principe Leopoldo dalla casa li vicina
del Sig. Duca Salviati, dov'era
alloggiata Sua Eminenza. II Segni, Arciconsolo, introdusse r Accademia assai galantemente. Discorse
mirabilmente il Sig. Prior R.,
sostenendo che il freddo fosse privazione
di calore. Opposero lo Smarrito e il Sollecito fortemente, mantenendo il
freddo positivo e reale. » Traduzione
della Prima Lettera del Libro primo di Cicerone. Ad Quintum Fratrem. —- Trovasi nella
raccolta fatta dal Canonico Moreni, e che ho citato di sopra, di alcuni scritti
del R., Buonaventuri ed altri;
pubblicata co'tipi del Magheri, in
Firenze nel 1822. Di questa medesima
parte de'Dialoghi filosofici del Rucellai, I'egregio Parroco Luigi Razzolini
pubblico qualche anno indietro V
Argomento e qualche Capitolo, cio^ quello intitolato: Della Morale; Della
cognizione delVuomo e degli strumenti e facolta onde egli e composto; Della
facoltd delV anima razionale, e Degli
Officj per la Societd umana, Se non che
ora questa raccolta non trovasi piii vendibile,
Vedizione essendo stata scarsissima e pero oggi esaurita. Non ho dubitato percio di porre nella mia
Antologia di cose inedite di R. anche un brano sulla Facoltd delV Anima razionale, quasi considerandolo come inedito.
Orazione tenuta nel rendere l'Arciconsolato in bcamo del SiGNOR Desiderio
Montemagni (ossia del Timido) nel 1651. —
Qiiesta Orazione fu pubblicata da Ltjigi Fi^cchi nella Collezione degli
Opuscoli scientifici e letterarj, Tomo XXI, pag. 59 e segg. — L' autografo della medesima si
trova in un manoscritto miscellaneo della Biblioteca Nazionale di Firenze-,
gia appartenuto alia Biblioteca dei
Padri Serviti di Firenze, segnato di N« 1422.
CiCALATA SULLA LiNGUA loNADATTiCA, letta nelV Accodemia della Ci*U8ca Vanno 1602, — Fu pubblicata nel Volume
I, parte III delle Prose Florentine,
pag. 132 e segg., edizione del 1723. A
questa cicalata fu dal Canonico Lorenzo Panciatichi fatta la Contraccicalata, che il Biscioni pel primo
pubblico con ispiegazioni, a cui precede
questo avvertimento : ocNel pubblico »
stravizzo delF Accadeniia della Crusca si faceva una le» zione in burla, che si
chiamava Cicalata ; contra la quale » un
altro Accademico, montato in bugnola, ne faceva una che i» si chiamava Contraccicalata, di cui al
pubblico non c' S se » non questa.
» RisPOSTA ALL' AccTJSA DATAGLi dall'
Ornato (Conte Ferdinando Del Maestro),
delta dal Rticellai nelV Accodemia della Crusca
a* di 26 giugno d652, — Non ha indicato il Moreni donde la ricavasse per pubblicarla, come face nelle
Prose e rime del Rticellai, del
Buonaventuri e d'altri, Aroomento e
descrizioni prehesse dal R. alla Presa
d' ArgOf e gli Amori di Linceo e di Ipermestra, — Dramma teatrale di Giovanni Andrea Moniglia, parte
prima. Firenze, stamperia Arcivescovile
1689. — Quest* argomento e descrizione di
R. trovansi nella Raccolta delle Poesie drammatiche del Moniglia, starapata dalla tipografia
Granducale nel 1689, Firenze; tantoch^
qualcuno, fra'quali il Sig. Gav. Luigi Passerini, bibliotecario della Nazionale
in Firenze, dall'avere il R. fatte
queste descrizioni in prosa, e premesse a quel
dramma, dedusse erroneamente esser lui V autore del dramma stesso. Leggasi la Prefazione a questi Drammi
del Moniglia. Lettera SULLA PoLONiA AL
SiG. Cav. Poltri. — Sta in appendice ai
Dialoghi filosqfici della Prowidenza che di R. ha pubblicati il Prof. Giuseppe Turrini,
tipografia Le Monnier,1868. Pag. 405 e
segg. Questa lettera scrisse T Autore da Varsavia b
SPECCHIO DEGLI SCBITTI EDITI E INEDITI
il 7 maggio 1635, allora che trovavasi la in qualita d*ainbasciatore
della Corte Toscana presso Vladislao quarto.
Lettehe Fahiliari: a) A
Monsignor Giacomo AUoviti, — Lettere cinque, pubblicate dal Canonico Domenico
Moreni, sotto il titolo di Saggio di
Lettere d'Orazio R. e di testitnonianze autorevoli in lode e difesa deW Accademia della Crusca,
Firenze, nella stamperia Magheri, 1826.
«Di queste lettere come delle seguenti, ad eccezione di pocbe, gli Originali,
dice il Moreni (Ibid. Pag. YIII. Ai
benigni lettori) ritroyansi in Oderzo nella immensa epistolare raccolta con
grande studio e diligenza da pill anni
assembrata dal Chiarissimo Sig. Conte Giulio Bernardino Tomitano, il quale con
quella sua solita cordialita. che in
pochi altri e si leale, ad un mio cenno, senza por mente egli a si grave incarico, cui
addossavasi, me ne fece avere di esse
una diligentissima copia, da lui medeslmo fatta, clie in nulla si discosta dal loro originate.
]> b) A Monsignore Ottavio
Falconieri, — ^ una lettera nella quale
combatte gli atomi frigorifici positivi, contro i quali ei fece e lesse pure un discorso neir Accademia
della Crusca. Si trova nella raccolta
medesima del Moreni di sopra menzionata.
c) A Monsignor Giovanni Delfino Patriarca d'Aquileja. — Sono 29 lettere nelle quali R. discorre
de*suoi componimenti filosofici a quel patrizio veneto, che alia sua voita inviava al R. i proprj. Stanno nella medesima
coUezione fatta dal Moreni. d) A Monsignor Francesco Redi, — Gli
originali di queste 4 lettere sono in uno
dei volumi di lettere scritte al Redi, che
con gli alUi manoscritti del mcdesimo son passati alia Biblioteca
Laurenziana. Le ha pubblicate il Moreni, ibid.
e) A Sua Altezza il Granduca Ferdinando II dei MedicL — Gli discorre del
disegno, della disposizione ed ordinamento de* suoi Dialoghi filosoficL Porta
la data del maggio 1665, soiitta di
villa; estratta dal Prof. Francesco Palermo dalla Ghigiana di Roma, dove trovasi in copia, e
pubblicata nel suo Avvertimento al
volume terzo dei Manoscritti Palatini di Firenze, da lui ordinati ed esposti, e dove ha
pubblicato pure quei Dialoghi di R. che
ho accennati piu sopra. mPoesie
edite. Il Filosofo R. al Filosofo
Magalotti. — Sono trentasei terzine a
mo*di lettera pubblicate dal Canonico MORENI nella sua raccolta a c. 174, citata piii volte di
sopra. L*autografo io no so dove
trovisi; forse presso gli eredi. Una copia 6 nella Magliabechiana nel Codice Manoscritto N^
31-7. VII. sotto il titolo di Poesie
manoscritte di diversi autori del secolo XVII.
Al Signor Carlo Guidacci. — Quartine in occasione della morte del Torrigiani. Sono in numero di otto.
Trovansi stampate come sopra, COS! la
copia manoscritta, cosi, credo, Toriginale.
Sulla Corte. — Son dodici sonetti levati dal Moreni, come gli altri, dal Codice Magliabechiano citato, e
comincian cosi: 4) ft Corte albergo di
regi, ove si vedo) (Pag' 141.) 2) « Con
benigne maniere, uniche e sole » (Pag. 142.)
3) «Lusinghiera favella onde discorda)) (Id.) 4) « Di picciol furto un poverel sovente »
(Pag. 143.)' 5) « D'ostro, e d* oro
vestito, e altero il volto » (Id.) 6) «
La bella verita ch* ove s' apprende. a Che il reo costume a volo erger si
scerna » (Id.) 8) «Dunque tema non ha
chi di natura:^ (Pag. 145.) 9)
(icRagion che intenta a' maliziosi modi» (Id.)
10) ((Quella, che scende dall'Empiree soglio) (Pag. 146.) 11) ((L'eterna Provvidenza il tutto regge»
(Id.) 12) ({ Misere pecorelle a cui nel
cielo » (Pag. 147.) Non potersi
comprendere Iddio che con la fede, quani'unque
L* OPERE DI SUA PROVVIDENZA MOSTRINO CHIARAMENTE CH'EGLI CI t. — Sono dodici Sonetti, pubblicati dal
signor Fiacchi, nella collezione degli
Opuscoli scientifici e letter ari. Firenze 1816, volume XXI, dalla pagina 68
fino alia 74. Non sono stati estratti dal
Codice Magliabechiano intitolato Poesie Mss,
di diversi autori, VII, 347, come ne fanno fede le varianti che si trovano tra quelli editi dal Fiacchi, e
quelli manoscritti in XXrV SPECCHIO
DEGLI SCRITTI EDITI E INEDITI quel
Codice. N^ il signor Fiacchi indica donde li abbia cavati: ma b pill che probabile siano stati tolti
dalF original e, che si conserva presso
gli eredi. Questi sonetti incominciano:
1) c Oltre i Gonfin de' miseri raortali » 2) ft Nella piu cupa eternita si ascose
)» 3)
4) dc Si con sua fe' Zanobi al Ciel rapia » SuLL'EsTASi DI Santa Maria Maddalena
de'Pazzi. — Tre Sonetti, stampati nella
Raccolta del Moreni. Dove trovisi I'originaledi
essi non so di certo; credo, al solito, nella biblioteca privata degli Eredi. Una copia d nella
Magliabechiana, ora Nazionale, nel
Codice Manoscritto No 347. VII. col titolo di Poesie manoscritte di diversi
autori del secolo XVII. Incominciano. II quarto, pubblicato col quinto, come s'
6 detto, dal Orescimbeni, incomincia:
«c Nel giorno che costei si bella nacque » II quinto :
« Quella che dal mio cor non parte mai » Felice annunzio a una lettera amorosa. —
(Vedi Moreni. ibid., a c. 140.) cc Vanne, che serbi i miei pensieri ascosi »
SPBCCHIO DEGLI SCRITTI EDITI E INEDITI
Si detestano gli abusi del seoolo.— (Vedi Moreni, ibid. Sonetto, a c. 140.)
« Vasti flutti solcai di speme iniida »
VORREBBE PENTIRSI MA GLI RESISTE L' ABITO NON BtJONO. — SonC^to, ibid. Incomincia: ((Piango'l mio tempo, e dell'eta
fugace» In risposta a un sonetto morale
del Graziani. — Sonetto, ibid., a c.
136. «Non toglie i pregi al cielo e non
depreda)> La Divina disposizione
sempre giovevole, anche talora paia il
OONTRARio. — Altri due Sonetti, ibid., a c. 135: 1) a Per entro eterna, incoraprensibil luce
i» 2) « Fra tj^nti prodi ormai viver
recesso » Stimoli di penitenza destati
nella volontA non aiutata da' sensi. — Sonetto pubblicato, ibid, a c. 134. II
primo verso e: « Occbi piangete.
Mirerovvi ancora » Suo AMORE DA
VECCHio. — Sonetto della Tramoggia, a cui fece la censura il Dati, e che fu pubblicato dal
Fiacchi nel Vol. XI degli Opuscoli
scientifici e letterari, pag. 64. Incomincia:
«Ardo bencb'abbia il crin canuto gelo»
Non si ritrova manoscritto nel Godice Magliabechiano sopra citato, n6 1' ho potuto trovare altrove. L'
autografo poi sari, come degli altri,
nella Biblioteca degli Eredi. Prose
inedite. Dialoghi FiLOSOFici DEL PRIOR Orazio Ricasoli R.. — Gia sappiamo di essi quali son pubblicati. Or qui
pongo il contenuto de* quattro manoscritti (cio^, Magliabechiano, Palatine,
e 1 due codici della Biblioteca
Ricasoli) avvertendo subito che le Villeggiature Albana e Tiburtina non si
ritrovano die in queste ultimi due. Codj/ce Manoscritto della Palatina: (Copia).
— £ un volume in-4o slegato, di pag.
788, senz' indice, e in carattere minutissimo.
Contiene Y esposizione delle opinioni dei filosofi antichi intorno a'
principii naturali delle cose, (16 Dialogbi); T esposizione del Timeo di
Platone, (15 Dialogbi) ; cui fan seguito
quelli della Provvidenza, (16 Dialogbi); e infine due dialogbi suUe Musiche proporzioni. In tutti N^ 49
Dialogbi. Codice Manoscritto, anch*
esso Copia, nella Magliabechiana. — Sono
nove volumi in-4o, legati in pelle con dorature in costola, e miniature e arme R. in frontespizio. Erano
per 1' innanzi di propneta della signora Maria Settimanni, moglie del signor marcbese Dante Catellini Da
Oastiglione, e da essa gli acquisto poi
il signor Vincenzo Follini Bibliotecario, a'di 26maggio 1815. Questi Dialogbi
sono dedicati al signor marcbese Cosimo Da Castiglione. Questo codice contiene i Dialogbi su i
principii naturali deir universe (16)
come il Codice Palatino ; poi i dialogbi della
Provvidenza (16), indi il Timeo (15 Dialogbi) ; e per ultimo le Musiche proporzioni, (9 Dialogbi) stando alia
indicazione e numerazipne dei
Volumi. 1» Codice Manoscritto della
Biblioteca Ricasoli Firidolfi. — Son
dodici volumi in-4«>, legati in pelle, di scrittura antica ma
corretta e leggibilissima. Comprendono in 1° i Dialogbi sulle opinioni dei
filosofi anticbi intorno ai principii naturali dell' universe (16), poi la
Provvidenza (16 Dialogbi), indi il Timeo,
(15 dialogbi) Villeggiatura Tusculana; si passa poi alia Villeggiatura
Albana, (2 dialogbi e il Proemio) ossia ai Dialogbi deir Anirna, della Notomia, e per ultimo,
alia Villeggiatura Tiburtina, e cioe alia Filosofia Morale (Proemio, due
Argoraenti e due Dialogbi). Questo
Codice fu rivisto e corretto da Anton
Maria Salvini. 2" Codice
Manoscritto in detta Biblioteca. — Puo considerarsi come I'autografo, percb^ corretto di mano
dell' Autore. Son 14 volumi in-4o,
legati essi pure in pelle, e scritti sufficientemente bene. Qui I'ordine ^
alquanto diverse; imperoccb6 i Dialogbi
della Provvidenza si trovano coUocati nei volumi 7, 8 e 9, ciofe dope quelli della Filosofia naturale
antica, (16 Dialogbi) e il Tin? eo (15 Dialogbi). Abbiamo poi un volume
senza Dumero col titolo di Musiche
proporzioni, (9 Dialogbi) e cbe SPECCHIO
DBGLI SCBITTI EDITI E INEDITI
evidentemente va aggiunto al Timeo. Per ultimo sono le due Yilleggiature, Albana (Proemio e 2 Dialoghi)
e Tiburtina come nel Codice
antecedenteraente descritto. (Proem., 2 argomenti e 2 dialoghi). — Per piii ample notizie
veggasi il mio capitolo intitolato
Disegno, ordine e fine dei Dialoghi filosofici di Orazio Ricasoli R., PlANTA E RiGIRO DELLA CORTE DI ROMA. —
Libello del Stg. PHoT Orazio R.. — Una
copia di questo scritto inedito fu da me
ritrovato in una Filza Strozziana, neH'Archivio Centrale di State. Di questo scritto incomplete nissuno
fin qui avea fatto parola, forse perchfe
sconosciuto, oltre V essere inedito. Credo
r autografo trovisi presso gU eredi. Vedi pag. 326 in Appendice.
DiscoRSO SULLA FoRTUNA. — Lo lesse R. in una Adunanza tenuta dall' Accademia della Crusca ai 20
febbraio 1654, in onore del Principe
Gio. Adolfo, fratello del re Gustavo di Svezia, come risulta dal Diario del
Buonmattei. £ inedito presso gli eredi,
e penso che sia quelle incorporate tra' Dialoghi filosofici nella Villeggiatura
tiburtina, dove discorre della Filosofia Morale. Le lodi di San Zanobi, Vescovo, protettore
dell' Accademia DELLA Crusca. Discorso
recitato dal R. in un' Adunanza solenne
che detta Accademia celebro in onore di quel santo, nel Palazzo Strozzi, il 20 giugno 1651, come
ricavasi a pag. 89 e segg. del Diario di
Benedetto Buonmattei allora segretario.
£ inedito presso gli eredi, ma da me non potuto leggere. Invettiva contro il collega Tommaso Segni.
— Anco questa e inedita presso gli Eredi
; ne ho potuto consultarla, e solamente
ricavasi il tenore di essa dalla difesa del Segni, della quale fa menzione il Moreni, a pag. XVI della sua
Prefazione alle Prose e poesie di R.,
Buonaventuri ed altri. CiCALATA per
LO Stravizzo DEL 1662. — Una copia di essasitrova nella Libreria Marucelliana, Codice A N® 158,
ed un' altra nella MagUabechiana Codice
Manoscrilto E, 5, 6, 24, insieme con
altra del figlio Luigi Ricasoli R.. Trovasi pure nella Palatina* m Scherzo in lode dell* Uccello. — Lo cita
il signor LuiGi PasseRiNi nella sua Genealogia e Storia della Famiglia
Ricasoli. Firenze, Tip. Cellini, 1861,
dove discorre di Orazio R., a pag. 86, e
che dice pubblicato a Firenze nella Raccolta delle Prose fiorentine, parte III, volume I, pag.
124, Anno 1722. Ma io non V ho
rinvenuto, e percio ritengo come inedito anche esso nella Biblioteca degli Eredi. ISTRUZIONE E CaRTEGGI DEL COMMENDATORE PRIOR
OrAZIO RiCASOLI R., nella stia
Ambasceria di Corte Cesarea e di PoIonia dal principio di gennaio al giugno
1635. — Questa raccolta con le lettere del suddetto R., e delle quali ne
pubblico una come saggio il Prof. Turrini, conservansi nell' Archivio degli
Eredi; e pero non potute esaminare da me.
Lettere Familiari — Sette di queste indirizzate al suo Serenissimo Principe trovai in una cassetta nella
Biblioteca Palatina, che a^eva per
titolo Autograft Italiani, Non hanno soprascritta, c furon levate, come molte di altri uomini
illustri, dair Archivio centrale di
State, nella occasione della Gran Raccolta de'roanoscritti Galileiani e degli
Accademici del Gimento. Altre tre
Lettere inedite da me ritrovate nel carteggio universale mediceo, Filza 1013,
Anni 1631-1641, dirette al Granduca
Ferdinando II dal R., di Roma, negU anni 1638-39-40. AxTRA Lettera inedita di Orazio R. rinvenni
nella Filza Medicea, dal 1640 al 1650,
pacco 2°, datata da Roma li 24 luglio 1649, e colla quale ei domanda al
Granduca nuove dilazioni per la Gabella. {Filza Medicea, 52, Principe Mattias
5488). Poesie medite. L'AccADEMico Imperfetto DELLA Crusca, che
era il signor Prior Orazio R., dopo aver
cenato alio stravizzo fatto dalla medesima Accademia, presenta un meraoriale ai
Provveditori della Gena, chiedendoli il
solito tribute del Cacio. Sotto questo
titolo dice il signor Passerini che si trovano
pubblicate nelle Prose Fiorentine, 1723, 84 quartine, copia delle quali e nella Magliabechiana, nel solito
Codice, Poesie ec,, VII, XXX SPECCHIO
DEGLI SCBITTI KDITI E INEDITI 347, e
comprendono dalla paginal99, alia 205. Ma io non Tho potute trovare stainpate, e per do le ho
poste qui tra le inedite. Alla Serenissima
Margherita d* Orleans, Principessa di ToscaNA. — Per un maizolino di fiori
donatole il giortio di Santa Margherita,
dal Stgiwor Prior Orazio R.. — Sono in copia quattro Ottave che si trovano nel
solito codice magliabechiano sotto il titolo di Poesie manoscritte di diversi,
del secolo XVII, YII, 347, pag. 198. In
morte oella donna amata. — Un Sonetto inedito che trovasi con altri editi nel medesimo Codice
Magliabechiano YII, 347. Poesie di
diversidel secolo XVil a pag. 208 e;209. Incomincia : « Quello che sola ai miei pansier risponde
» Amor Platonico. — Sonetto, ibid, a c.
213. « Non di vostra beltk caduca e
frale > Sentimenti amorosi secondo
il concetto Platonico che Dio creasse le
anime particolari degli uomini, degli avanzi
dell'anima UNIVERSALE DEL MONDO. — Sonetto, ibid, a pag. 214 che comincia: « Con eteme faville il sommo Sole » Si querela che il SONNO TENGA CHIUSI GLI
OCCHI DELLA sua DONNA. — Vedi ibid., a
c. 212. Incomincia questo Sonetto: «
Orabra il sonno d di morte, i sensi atterra »
Sulla Prowidenza. — Altri tre Sonetti inediti, ibid., che fan corpo cogli altri gia pubblicati dal Fiacchi.
Corainciano : 1) ((Come aguzza il gran
fabbro, e con qual lima)) 2) « Se alla
ministra del Motor Sovrano )) 3) ((
Nasca talun senza mirar la luce )»
Desiderio dell'anima d*unirsi a Dio,— Sonetto, ibid., a c. 218. Comincia :
« Padre del ciel che le bell* alme accogli t> Nel Codice Manoscritto Magliahechiano poi,
sotto 11 titolo Poesie Diverse piacevpli
VIII. Var. 363, si trovano scherzi immorali
del RuCELLA.1. Come pure neiraitro Codice superiormente citato se ne
trovano altri frammisti a poesie oneste del nostro Imperfetto.
Alcuni dei Sonetti raorali o religiosi di R. trovansi ricopiati pure in altri Codici manoscritti
come p. es. nel Libro Valerii
Chimentelli De FunamhulOy II, 50, e nel Codice Magliabechiano. Firmamento dei
cieli, e firnianionto del pensiero. — Armonie
loro. — Orazio Bicasoli Bucellai e il sccolo decimosottimo. —
Quegli e specchio delle condizioni di
qaosto in Firenze. — E pero si spiega r
ammirazione graude per il RuceHai de' saoi contcmporanei. — Dirisione generale di questo libro. — Sao
fine e importanza. Come accade nel
firmamento dei cieli, cosi, o lettore benevolo, mi sembra accadere nel
firmamento del pensiero o deU'anima
umana; e I'armonia che tu scorgi regnare
nelF ordinata misura de' corpi celesti non dissomiglia punto da quest' altra
armonia che le idee, o le stelle dell'
anima, compongono tra se nel loro ordinamento stupendo. Ond' ^ che in quella
guisa medesima che anco un astro il piii piccolo, 1' occhio deir osservatore de' cieK scopre ed afferma
talora necessario anello tra' maggiori e piii luminosi ; non altrimenti nella
storia del pensiero umano sovente uno
scrittore, un filosofo, pur de' non grandi, lo ritroviamo, studiandolo,
quasi anello logico, se non necessario,
tra due etd. e du§ scuole che si succedono, tra' filosofi maggiori di quell' et^ stessa. Cosi, per
esempio, in un tempo di confiitti di dottrine
con dottrine, di liberty, e di servitu,
di ragione e di autorita, se vi ^ un uomo
il quale specchi in se nella loro schiettezza i pensieri e le disposizioni diverse della societa
civile in mezzo alia quale egli trovasi;
se quest' uomo dia la immagine vera di
que' contrast! che ingegni piii chiari e piii valorosi di lui allora combattono;
quest' uomo, anco de' non grandi,
acquistera senza dubbio per tal fatto
importanza non lieve nella storia del pensierq e della civilt^, perch^ appunto ei potra nella Storia
rappresentare veramente il suo tempo ; egli, se vogliamo conservare il
paragone, sara un anello logico di quel sistema di astri intellettuali che compongono
Y armonia spirituale dell' universo.
Potrei, volendo, recar qui per la mia
asserzione testimonianze storiche a dovizia;
ma non lo fo, sicuro che al leggitore non ripeterei che notissime cose, e cadrei nel superfluo. Orazio Ricasoli R., del quale imprendo a
discorrere, non ^, giova dichiararlo tin d' ora, un gigante tra' pensatori, e neppur grande ; egli 6 un
astro minora, e nulla pitl ; invano
tenteresti ritrovare in lui una gran
forza speculativa e una potenza straordinaria d' ingegno. Forse egli era
nato uomo di alti spiriti ; ma infetto
anch' egli di quel miasma ond'era ammorbata la filoSofia e le lettere
nel secolo decimosettimo, se non imbolsi
affatto, pur n'ebbe il suo ingegno a sofifrire; poichd, come scrive il Guasti nel suo Lorenzo
Panciatichij era il pensiero a'
filosofi, come 1' estro a' poeti tarpato.
E appunto, credo, perchd R. ci apparisce
cosl e nella filosofia e nelle lettere; appunto perch^ respird que'miasmi, e le inclinazioni diverse
del suo tempo sperimentd in sd stesso, e
manifestd ne'suoi scritti ; io son d'
avviso ch' egli acquisti per noi pitl importanza come quello che valga a
rappresentarci fedelmente quel secolo nel quale fiori, e riproduca le
condizioni reali del pensiero filosofico e del civile consorzio in mezzo al quale viveva. E se questo d vero,
come in progresso dimostrero, la cagione
e ragione della stima e ammirazione
grandissima de' suoi contemporanei, che
lo ritenner quasi come un mezz' oracolo, ^ spiegata e almeno in parte
giustificata. Come Orazio R., cosi quel
valenti eruditi contemporanei sentivaao dentro di se ripercosse le molteplici disposizioni del
tempo, e tutta la violenza delle
correnti contrarie che urtavano per
trascinare ciascuna seco la navicella delle lor menti. II R., che ^ alia testa di loro, vuol
dominare la furia de' corsi, e in parte
riesce ; ma poi quasi inconsapevolmente ei segue cogli altri or questa or quella fiumana; egli e come un prisma sulle
cui faccie riflettonsi i colori
molteplici dell' iride filosofica di quelr et^. Egli e insomma il
rappresentante del suo tempo in Firenze,
perch^ raccoglie in s^ stesso tutte le
opinioni opposte che v' erano allora e tenta conciliarle; e, altresi,
perche questa conciliazione ha pitl delr accademico che dell' intimamente
speculativo ; speculazione che, salvo le scienze naturali, era molto
fiacca a quei tempi nella sua patria. Dimostrato questo, apparir^ anco pitl quella
importanza che a me sembra avere questo libro, come quello che avr^ mirato ad aggiungere un po' di luce
alia storia del pensiero di quel secolo;
a presentare un trapasso anco pitl intimo tra due et^ che si succedono. E per arrivarvi, nulla di meglio che gettare
uno sguardo al viver civile del secolo
decimosettimo, esaminarne attentamente le condizioni politiche e morali, vederne lo stato delle lettere e delle
scienze; poich^ tutti insieme questi
risultamenti dell' attivit^ umana, e non
tra di loro sconnessi o separati, valgono a rappresentarcela. Noi considereremo
quindi R. in quello stato de' tempi
suoi, e vedremo come la sua vita vi si
svolga, e nelle varie manifestazioni a quelli esattamente risponda. E man mano
che la critica seguir^ la esposizione
delle sue opere filosofiche e letterarie, delle
quali stimo opportuno ofifrire come appendice e documento al libro una
Antologia^ avremo occasione di veder
cose singolari e di non lieve importanza. Con
questo mezzo io spero di ricondurre nel novero de'filosofi im uomo, di cui nissuna Storia della
filosofia, ch'io mi sappia, ha fatto
sufficiente menzione fin qui ; e saro lieto
del pari di aver dato mano, come ho gia detto, a stringer viepitl i
legami del pensiero fra due epoche della
filosofia, e di avere additato come unione tra esse un mio illustre concittadino. Orazio Kucellai, lo ripeto, non ^ un ingegno
straordinario, ma e tale che ci spiega intieramente il suo tempo. D'altra parte le menti straordinarie,
appunto perche tali, volano sempre
innanzi al lor secolo, superano coi loro intendimenti le condizioni
de'contemporanei, e si lanciano nel futuro divinandolo. E Galileo che mori, fiorente R., non rappresenta quel
secolo, perche ancora dominava 1' inquisizione, e le antiche scuole e le
dispute del Peripato fiaccavano Tali
agli spiriti ; Galileo rappresenta, inaugurandola, 1' eta futura, le future generazioni, quando la
liberta del pensiero avr^ rotto i
vincoli della servitii, e I'astrologia ed il Sarsi e il cieco discepolato avran
dato luogo al libero esame della
ragione. L' uomo che pure non sordo
alle sublimi dottrine del Vecchio d'
Arcetri, e coll' animo schiuso ad esse,
dara nuUadimeno ancora una parte del suo pensiero al servigio dell' antica scuola, e quando,
secondo 1' errore di alcuni dell'et^ sua, egli reputera ostili fra loro la fede e la ragione, sara pronto per la
fede di far getto della ragione sua,
piuttostochd investigarne con libero
esame 1' accordo, questi, non grande ingegno,
sar^ del suo tempo la immagine. E Orazio R. ^ senza dubbio quest' uomo. Scrittori flel R.. — II marchese Carlo
Rinnccini. — Aoton Maria Salvini. — II
canonico Pomenico Moreni. — II Tiraboschi. — 11 Passerini. — II Turrini. — II
Mamiani e il Centofanti. — Necessita di
ritesser la vita del Rucollai per il proposito nostro. Difficolta pel difetto
di docnmenti. — Condizioni generali del
secolo decimosettimo. fe un
secolo di eontrasti politici e morali.
— Contrasti nelle arti, nelle lettere, nella filosofia. Che han scritto di R. sono varj,
contemporanei a lui e posteriori. Ma gli uni e gli altri piti che la vita deir uomo ne scrissero o lodi, o cenni
necrologici, o per la scienza ne
toccarono di sfuggita. II marchese
Carlo Rinuccini, accademico della Crusca sotto il nome di lAetOy disse le lodi di
R. nelr Adunanza pubblica che in onore di esso fu fatta nella sala terrena del palazzo del duca Strozzi,
a'di 11 settembre 1698, e ce lo riferisce il Diario stesso delFAccademia, ove
leggesi : Quest' elogio perd non e a noi pervenuto, ossivvero sar^, come
tant'altre cose di importanza maggiore, sepolto in qualche libreria privata de'nostri Signori
fiorentini. L' Orazione in morte del
Eucellai scritta da Anton Maria Salvini,
non d che una bella sequela di lodi delI'uomo e dell'opere sue, un rimpianto solenne
per la perdita dell' illustre Accademico
contemporaneo, che lo scrittore jpropone
ad esempio imitabile di virtii e di
dottrina. H canonico Moreni ha discorso dell'Imperfetto nelle prefazioni
a quella parte di scritti che ha
pubblicati di lui ; ma son cenni, son lodi, che se bastano a darci un' idea dell' uomo, non valgono a
mostrarcelo, come vorremmo, in relazione
a'suoi tempi, e molto meno ci
chiariscono del come e del quanto quei tempi
potessero sulla vita e sulle dottrine di esso. Cosi il Tiraboschi nel volume ottavo della
sua Storia delta Letteratura ItcHiana,
cosi il Passerini nella 6renealogia della famiglia Ricasoli, e il prof. Turrini
nella sua Prefazione ai JDidoghi
Filosofici di R. sulla Provvidenza, han
dato di lui alcuni cenni brevissimi a
mo' di biogralia, per guisa che anco in essi 1' attinenze dei tempi colla vita
e coU'opere letterarie e scientifiche
del nostro scrittore non spiccano, ne ti accade
di rinvenire descritte. L' illustre Mamiani e il Centofanti han toccato del platonismo di questo seguace
ed amico del Galileo, ma Than fatto di
volo, encomiandone la purezza del
dettato e la ricchezza feconda dell' idioma
sapientemente adoperato ne' suoi Dialoghi. Se non che giova riconoscere che per 1' intendimento
loro, questi cenni o que' tratti bastano
all' uopo, n^ pud da' lettori ricercarsi
di piii. Ma 'per il fine che mi sono
prefisso, apparisce altresi manifesto come sia cosa necessaria il ritessere
piil completamente la vita di lui, per
quanto mi d oggi concesso. Dico cosi,
imperocche molti documenti preziosi, che potrebbero assai illuminare questa
storia e la mente del critico non mi ^
stato eoncesso di esaminare. Non parlo
qui de'Dialoghi Filosofid, de'quaU I'erede
signor Alberto Ricasoli Firidolfi tiene due copie, una delle quali, in quattordici tomi manoscritti,
^ come autografo, perch^ corretta di
mano del RuceUai; che questi Dialoghi
anzi mi consent! (e glie ne rendo
pubbliche grazie) di esaminare minutamente per confrontarli coUe copie
che sono nella Biblioteca Nazionale e Palatina in Firenze ; ma io alludo ad
altri documenti preziosi pel critico, cio^ lettere, corrispondenze e scritti minori che si trovano altrove
sventuratamente, e che tanto lume
avrebbero potuto recare al soggetto.
Non pertanto cercheremo nel tessere questa biogralia del RuceUai di
riempire, quanto e piii possibile, il vuoto che la mancanza di documenti
lascia, con indagini indirette, e col
raziocinio; e quelle che abbiamo tra
mano bastera, credo, all' intento. Ma
prima di seguire il nostro scrittore nella via della 8ua vita, penetriamo un istante nel consorzio
in cui egli fiorisce, e ricordiamone intanto
i caratteri e le quaUt^ pill generali,
ch6 le particolari noteremo via via
procedendo. I ricordi del passato quando non si
restringono a una cronaca arida e secca acquistano un pregio indipendente daU' importanza degli
avvenimenti che ci rammemorano. Come il piil piccolo vaso e r utensile piii umile coperto dalla ruggine
del tempo diventano ne' nostri musei 1'
oggetto prezioso di una grande curiosity
; cosi f atti pur semplici, ritrovati nella
distanza dei secoli col loro carattere reale e native, acquistano un pregio singolare, e anche un
certo attraimento per colui che studia la storia con un po' di immaginazione e di critica, e che
nelle sue ricerche e letture ha per canone e guida la massima morale di non ritenere per indifferente nulla
di cid che 6 umano. Che ^ mai pertanto il secolo decimosettimo?
Si dice generahnente che esso appartiene
all' et^ moderna; che la servitil del
Medioevo e scomparsa; che la imitazione del Rinascimento ^ tramontata : Bacone,
Cartesio, Galileo sono apparsi di gia suir orizzonte, ed hanno inaugurato il mondo moderno. Ed e vero,
ma solamente in parte ; imperocche essi,
sorgendo, trovino da sgombrare dal cielo
del pensiero nubi ancor dense, e questo
non fanno ne posson fare in un attimo, sibbene gradatamente. Le inveterate
abitudini, le antiche affezioni, le
tendenze ormai radicate non si cancellano, non si mutauo a un tratto; ci vuole
la esperienza longanime, si richiede un conllitto inevitabile tra il vecchio ed il nuovo, che trovansi Y
uno dinanzi aU' altro. Ed ecco il
perche, non altrimenti che nella natura
accade, cosi uell' ordine storico del pensiero e dell'azione e sempre vauo cercare quelle
divisioni recise che si trpvano nelle
matematiche. Si direbbe che la storia
del pensiero e un sorite, in cui ogni
conclusione posteriore ritiene a suo termine medio e necessario la conseguenza dell' argomento
immediatamente anteriore. Ed infatti il
secolo decimosettimo, a chi ben lo
riguardi in s^ stesso e nelle manifestazioni di ciascheduna delle
molteplici attivit^ umane, ^ senza dubbio
un secolo di contrasti. L' Italia (ch6 io parlo dell'Italia principalmente) scissa in molte parti, e pero
debole; deboU adimque ordinariamente
anco gli animi, o forti di fortezza apparente e non propria: essa, T
Italia, teatro a' litigi tra' piccoli, a
guerre tra' grandi prepotenti, riaperta ad armenti stranieri, come terra
di pascoli eletti. Principi italiani,
mentre la madre comuue era in servitii,
non pure non amare di unirsi in lega tra
lore, travagliarsi invece tra loro stessi con inganni e veleni per mania di possedimento. Amore di
guerra, gelosia di acquistare
territoriuzzi italiani a danno di
principe italiano compagno; non generosity, non altezza d' animo, non dolce superbia di procurare od
almeno di preparare all' Italia quell'
onorata condizione che al suo glorioso
nome si conviene, regnavano in quei
tempi. (BOTTA, Sioria d' Italia, vol. I, pag. 620.) Quivi le successioni de' principi hanno luogo
rapidissime, e cosi ad ogni istante I'ltalia
ci presenta un aspetto nuovo, mentre si
trova costretta a sottostare a idee
nuove, a nuovi capricci de' suoi principi nuovi. In meno di'settant' anni tra duchi, dogi, papi
ella ne vede sorgere e sparire novanta,
e insieme ad essi vede sparire e
risorgere contrasti a dismisura; e se per un
momento arride U sereno della pace, gli ^ per rendere agli occhi degli uomini piil fosco il tempo
di gara che ne succede. II gran politico
e gran raggiratore del decimoterzo Luigi
favoreggia intanto il duca di Nevers 6
lo vuole ad ogni costo porre in possesso di un' eredita, la quale assicura alia
Francia il punto piil considerevole dell' alta Italia. La Germania, la Spagna
ed anche Carlo Emanuele gli muovono contro,
e nel 1630 la terra di Mantova e
posta a sacco dagli Spagnoli. Conchiuso il trattato di Cherasco, Mantova e
il Monferrato rimangono al duca di Nevers; Alba, Torino e alcune altre terre alia Savoja, la quale alia
sua volta ^ costretta a cedere Pinerolo.
Ma Richelieu non h sodisfatto; egli
vuole stremata la potenza d' Austria e di Spagna, in Italia precipuamente ; e
contro la Germania presta ajuti a Gustavo Adolfo di Svezia, confisca la Lorena,
e, collegati essendo la Francia, la
Savoja e i duchi di Parma e di Mantova, indice guerra agli Spagnoli. E la Toscana, i cui Granduchi
predilessero sempre la pace, trovossi pure travolta nella comune ruina; e se i primi anni di regno scorsero a
Ferdinand© II calamitosi per gli orrori della pestilenza e della fame, non mancarono poi a turbarlo gli
orrori, non gravi meno, della guerra
contro i Francesi prima, poi contro
Urbano VIII, che pari al Cardinale di
Francia nelle pretese, non nell' astuzia, per favorire i Barberini suoi nipoti, vuol togliere ad Odoardo
Farnese, cognato del Granduca Mediceo, i dominj di Castro e Ronciglione. E mentre in Roma trattasi
legalmente la faccenda, il cardinale
Barberini assalta il feudo di Castro, e
se ne impadronisce. Sdegnato il Farnese,
passa col suo esercito, per la Toscana, negli Stati del Papa, e sparge dovunque spavento e terrore.
Ferdinando II, riuscitagli vana una conciliazione, trascinato dalle insolenze de' Barberini e dalle
controversie onde tormentavalo la corte
di Roma, si mette in punto di guerra, e per
f arsi sicuro all' interno, esilia quanti religiosi ed ecclesiastici vi sono
nativi delle Romagne, e col cognato
sconfigge le armi del Papa, il quale cede
alia forza e al diritto, restituendo al Farnese il ducato. E cosi di questo passo per tutto il secolo e
per tutta la Italia andarono le cose; e
i popoli si vendevano, e si lasciavano
vendere quantunque se ne dolessero, mentre
e dissensi e contrasti e debolezze e frodi e vilt^ costituivano allora
la totality di quel fantasma volubile
che si chiama anc'oggi politica.
E di tal fatta, e non altrimenti, le condizioni morali. Che, pur
restringendoci alia Toscana, noi vediamo i suoi principi altalenare tra il bene
ed il male continovamente. Or ligi alia Spagna, or al Papa, or ai frati,
or aUe cortigiane; e Ferdinando 11, uomo
prudente, ma non sempre coraggioso, cade
nella pusillanimity. E mentre dianzi ti
si mostra superiore alle minaccie del governo
di Roma, vedi poi che lascia, durante il suo regno, radicare negli
ecclesiastici arbitrario esercizio di giurisdizione politica, pel quale vanno
in breve vieppiii sperdute le antiche consuetudini deUa repubblica, e le ordinanze del duca Cosimo, e per timore dell'
Inquisizione abbandonare il disegno di erigere un monumento a Galileo. E nel medesimo tempo (come
vedrem--o poi pill particolarmente) ama
e protegge gli studi, coltivandoli, e in essi trova conforto o distrazione agli affanni politici e famigliari; e a chi gli
dimostra come, facendo egli ammaestrare
il popolo, sarebbero venuti a mancare artigiani
e servitori, risponde compiacersi assai piii d' esser principe d' uomini
che di bestie. Che se dalle Corti si viene a' nobili e si
scende al popolo, noi assistiamo a'
contrasti medesimi, alle medesime scene di discordie, di debolezze, d'
immorality. Ogni privilegio ^ pe'
nobili, oppressione 6 pel popolo; inani
per i primi le leggi, eccessivamente rigorose al secondo*; impedito il popolo di portar armi,
padrone di cingeme quando e quant' e'
vuole il signore e di accerchiarsi di bravi, per aver mezzo cosi
d'insolentir sopra i deboli. Indi le
vendette, i tradimenti, e quella
riazione sanguinosa dell'oppresso contro I'oppressore; d veramente una societa ingiusta senza
grandensea, passionata senza generosita, dove niuna esaltazione, ma ragionamento e calcolo e frode e intrighi
indecorosi predominano. E pjsrfino nel
vestire servility e contrasto di gusti
si fanno palesi. Sono state tante (dice il Rinuccini ne'suoi Bicordi Storicl)
le vanita del vestire che in questo secolo
sono seguite, che si rende impossibile di poterle non solamente narrar tutte,
ma anco la maggior parte di esse:
tuttavia non lascia egli di notarne
qualcuna, prima degli uoraini, poi delle donne ; dopo di che in generale ha detto, che E quest' eclettismo esteriore era non altro
se non un riflesso dell' interno
eclettismo e contrasto di quelle menti e
di quelle volonta, sicch6 i medesimi
uomini, come, per esempio, R. nostro co' suoi amici, avresti veduti a un' ora portare
impettiti e gravi il vestito ricamato di
seta nera e con frange e con nastri
rasati, ad un' altr' ora coraparire al pubblico in farsetto e in pianelle. N^ poteva essere a
meno che accadesse quella volubility e
imitazione servile delle mode di
Francia, imitatori com' eran gi^ divenuti
quegli animi del pensare francese. Imperocch^ le guerre, la letteratura
e le dispute clericali di quella nazione occupavano gi^ gl' intelletti
italiani; e il nostro paese che, come
nota il Guasti, aveva mandate Leonardo e r Alamanni a portar suUa Senna le arti
e le lettere, tornava a scuola dai
discepoli, tutto trovando ne' Francesi
grande, a cominciare dal re. II quale,
per mantenere il credito, spargeva anche in Firenze quelle pensioni, che il monaco Mabillon
rifiutava, e il Dati e il Viviani
soUecitavano. (Scritti varj di LORENZO Panciatichi, pag. XIII-XIV.) Se entriamo nel sacrario delle arti, delle
lettere e delle scienze, noi vediamo
riflesse le condizioni medesime di contrasto, e di fare spensierato, che le
politiche e le morali condizioni ci
offriroiio. Alcuni artisti si buttavano
all' esagerato, al teatrale, sostituendo al
vero r artificioso, il forzato al semplice ; gesti violenti anco negli affetti pacati, panni svolazzanti
anco in sale chiuse, riputando
triviality la naturalezza; sicch^ i
michelagnoleschi fanno Veneri cLe sembran Ercoli, e si presta culto alia me'diocrit^, si segue
il traviamento. E Lodovico Caracci che
tenta in Bologna coUo studio di veri
capiscuola, opporsi a' degeneri imitatori,
riesce a fondare una scuola che ha per carattere r eclettismo, stimando arte suprema accordare
non solo ma fondere quanto i grandi
artisti avevan di mejglio ; ne egli ne i
suoi cugini sepper mai all' eclettismo aggiungere il pensiero ispiratore,
preferendo, come dice lo stesso Cantil
(Storia Universale, vol. XVII, pag.
816), di avvicinarsi ai fenomeni della natura e
supplire al genio colle rimembranze. Percio i migliori di loro scuola fecero riazione contro questa
infelic^ idea. II cavaliere d'Arpino
proclama I'idealismo, ma condannando i
marinisti materiali della pittura, diventa egli il Marini della pittura stessa
per la ricerca affettata dell'ideale. A
Guide Reni che vagheggia il soave, si
contrappone il Guercino che si d^ a' gagliardi contrasti di luce e d'ombra:
alia facility del Berrettini la
creazione fiera del Rosa. Matteo Roselli
contrasta con Carlo Dolci; il primo sereno, quieto, corretto, il secondo smorfioso alquanto, e
coloritore con non abbastanza armonia.
Cosi nella scultura e neir architettura,
le quali pure ci presentano piil cadute spensierate che creazioni e voli
generosi, contrasti, esagerazioni ; e 1'
alito dell' affetto che spira ne' rozzi
tentativi del trecento, non ritrovi in esse ora piiH ; n^ vecchio viiol trovare un accordo, un
legame, un'armonia. Intendimento quant' altro mai salutare e generoso, ma che
appunto per esser concepito da menti
ineguali a si grande lavoro, rimane frustrato o contraffatto, e piucch^
il nuovo farlo sgorgare naturalmente dall' antico, e ajutarne, quasi a mo' di
levatrice, il parto desiderate,
trascurano inesperti e loro malgrado il primo per il secondo, o il secondo pel
primo. E un eclettismo quello che esce
dalle mani di questi uomini; 6 la figura
mostruosa che Orazio ci dipinge nel
principio della sua Arte Poetica. Or
bene, in quel secolo abbiamo da un lato Platone ed il neoplatonismo, dall'
altro Aristotele e 1' ipse dixit de'
suoi seguaci. Qua Galileo, 1^ il Peripato : qui
il Cartesio, li Huet : qui 1' ardito proposito e la ferma volont^ del tutto esaminare ; qua la
tirannica pretensione del tutto imporre e far accoglier per fede; da una parte la liberty,, spesso sconfinata, del
Bruno e del Campanella, dall' altra
parte 1' inquisizione pronta a tai'pare
le ali, se vogliam temerarie, di quegli ardimentosi sfidatori del cielo. In una parola noi siamo sempre con un piede
nel Medioevo, con 1' altro nella
Riforma. Ella 6 questa che si combatte
una vera guerra da giganti, nella quale
le intelligenze di coloro che non son ingegni potenti, si debbono trovare in
baUa di impulsi diversi, che, come
dissi, se ne disputano ad ogni istante il
dominio. A larghissimi tratti
noi abbiam vedute come in ispecchio le
condizioni politiche, morali e intellettuali
di questo secolo ; imperocch^ senza questo lavoro preHininare noi
reputassimo di non potere arrivare a conoscere determinatamente 1' uomo di cui
teniamo discorso, e i suoi scritti, e la storica importanza di essi. La vita di
ogni individuo ^ un problema, per risolvere il
quale condizione necessaria si 6 di saper dove questa vita si svolse, e in quale civilt^. Poich^ la
civUtlt d' un secolo viene sempre
essenzialmente espressa dal tutto
insieme delle opinioni, preoccupazioni e tendenze, forme e gradi di cultura proprie o particolari a
ciascuno degli ordini sociali che in esso si comprendevano ; 6 insomnia lo
specchio della vita interna dell' individuo in
mezzo agli uomini del suo tempo.
Nascita del Racellai. — Suoi parent!. — Antichitli e nobilU delle due famiglie Ricasoli e Racellai. — Loro
attinenze con le glorie politiche e
letterarie dell* Italia. — I Ricasoli, i Racellai ed i Medici. — Perch^ Orazio
piacchd Ricasoli appellino gli scrittori col
nome materno de* Racellai. — Qaesti e le dottrine platoniche. — L' Accademia Platonica istituita da Gosimo e
Marsilio Ficino. — Intendimenti di
questo. — Saoi scritti. — Platonismo cristiano di lui e de*8aoi accademici. — Si nominano. —
Bernardo Racellai. — Sue qualiti, opere,
pregi di esse. — Fa parte deir A (Epist. 1*). E percio egli loda Porfirio anche nella teorica dei sacrifizii, e non nega che
le anime umane vengan giu da una certa
parte del cielo, e vi risalgano, e agli
angeli assegna un tenuissimo corpo;
dottrine tutte, che non il Platonismo solo, ma questo e le emanazioni alessandrine ci possono
spiegare. Gli 6 per cio che 1' Accademia
istituita dal nostro Marsilio piii che
Platonica dovrebbe appellarsi neoplatonica, per
un certo neoplatonismo che si distingue ad un tempo dal Platonismo schietto, e dal neoplatonismo
alessandrino, trasformati entrambi cosi dal cristianesimo come da una certa mistura di dottrine e di forme
aristoteliche; essendo in questo aspetto neoplatonici e fondatori e
continuatori di essa. I quali furono in
grandissimo numero, contemporanei ed amici del Ficino, come egli,
distinguendoli in tre classi, scrive a
Martino Uranio, e li nomina tutti. Fra i
primi che meritano speciale menzione sono (scrive il medesimo Galeotti) Giovanni Cavalcanti,
che Marsilio chiamava 1' Eroe e amico unico e i fiorentini il di lui Acate, il quale per tutta la vita fu
il confidente de'suoi pensieri piU
riposti, e il confortatore delle sue
amarezze: Angiolo Poliziano, cui dette il nome di Ercole, che egli consultava in tutte le
difficoM filologiche, che fii tra' suoi piil caldi ammiratori, e con sommo
conforto lo vide poi in eta matura piil propenso alia filosofia platonica: Giorgio Antonio Vespucci,
Francesco Diacceto, Pico della Mirandola, e altri molti, tra cui Giovanni Canacci, Bindaccio Ricasoli,
e Bernardo R., i quali ultimi tre andavano ogni giomo a tenergli compagnia quando desinava, e con
essi conversava, ora scherzando piacevolmente, ora trattando gravi argomenti di filosofia. Bernardo,
antenato illustre di Orazio R., era uomo di sublime e grave ingegno, a niuno secondo per civile prudenza,
casto nel parlare, aflFezionato a'
costumi antichi, e nulla non v' era in
lui che non fosse veramente patrizio o senatorio. La sua vita politica ci
dimostra com' egli sostenne sempre le
cariche piU rilevanti, ambascerie importantissime, e sebbene stretto per sangue
alia famiglia Medicea, non fu tra i suoi
amici, e seppe ad essa mostrarsi spesse fiate contrario. Egli fu chiarissimo
letterato, scrittore di storie. uno di coloro che la lingua del Lazio seppero mantenere in onore grande,
come ce ne attesta la sua Orazione: De
auxilio Typhernatibus (idferendo, modello di perfetto latino ; il De Bello Pisano ; il De Bello Italico, in cui si
descrive la storia della venuta di Carlo
VIll in Italia, e il Bellum Mediolanense, e sovrattutti il suo De Urbe Boma
che voile dedicate al suo figlio Palla,
nel qual libro, illustrando Sesto Rufo e Public Vittore, raccolse quanto si trova negli antichi scrittori intorno alle
antichit^ di Roma, e quanto ^ proprio a
dare una idea di quella regina delle
nazioni. (Passerini, Curiosita Storiche.)
Lo stile di R. e piano ed elegante, ed Erasmo da Rotterdam, nel libro ottavo dei suoi
Apoftegmi, ebbe a dire che niuno meglio
di lui »' era mai avvicinato a Sallustio. Fattosi strada coUa sua dottrina,
Bernardo fu dunque chiamato a coinporre
la schiera eletta delFAccademia
ficiniana; e nelproferire il suo nome, in ogni cuore fiorentino
risvegliasi ormai istintivamente la memoria degli Orti famosi. Morto Lorenzo il Magnifico nel
1492, il quale, come abbiamo notato,
avea ampliato e protetto sempre V
Accaderaia Platonica, fino a rinnovare i banchetti solenni co'quali Platone era
solito di celebrare il suo di natalizio
; i componenti di essa poterono ancora per due anni, ospitati e protetti dal
cardinale Giovanni e da Piero de'
Medici, far le loro adunanze in quel
portico novello di Atene, quale era divenuta la
Villa a Careggi, frammettendo sempre, per suggerimenti e per esempio di
Lorenzo, scrittore e poeta Italiano gentile, e dello stesso Marsilio, il quale
dettava un elogio italiano dell'
Alighieri, e traduceva il libro De
Monarchia^ le letterarie discipline in mezzo alle disputazioni filosofiche. Per.la qual cosa
ebbe grande vantaggio*la nostra lingua; che tutti i Platonici ripresero lodevolmente a scrivere nella lingua di Dante
e del Boccaccio, e chi raggiunse V apice dell' eleganza e della dolcezza fu indubbiamente il Poliziano. Se
non che nel 1494 cacciati, per la
debolezza vergognosa di Piero figlio di
Lorenzo, dalla citt^ di Firenze i Medici, e
posti dalla plebe a sacco i loro palagi, il Ficino, se voile continuare i suoi studi diletti, fu
costretto ad abbandonare Firenze e la
villa, e ricovrarsi nella rustica solitudine del suo Montevecchio. E quei
sapienti che gli facevan corona dovetter
lasciare il noto asilo, il luogo
memorando de'loro divini convegni! Ma
la grand' anima del Ficino spird sempre nel
petto di quegli amici e discepoli le sublimi dottrine e le belle virtil ; e Bernardo R. diede ad essi
cortese ospitaUt^ nella sua casa in
Firenze, e poi nel suo giardino, sul principio del secolo decimosesto, donde 1'
Accademia platonica prese nome d' Accademia degli Orti Oricellarj. Quivi convennero principal!
Niccolo Machiavelli, Luigi di Piero e Luigi di Tommaso Alamanni, Piero del Riccio detto il Crinito, Antonio
Brucioli, Giovanni Corsi, Francesco Vettori, Pietro del Nero, Giovanni Canacci,
i due Francesco da Diacceto, I'uno detto
il Nero, Y altro il Faona^zo dal color delle vesti, Giovanni Corsini, Cristoforo Landino, Piero e
Niccold Martelli, Giovanni Cavalcanti e
il Martini, i quali due ultimi il Ficino
chiamd nel 1499 esecutoridel suo testamento; e per tacere di molti altri, i
figli di Bernardo R.. In questo
giardino veramente platonico si addita
ancora il luogo, dove quei dotti uomini si radunavano, e dove sur un cartello di porfido sta
scritto: Ave Hospes. Quelle volte e quei
viali risuonarono di voci sapienti, e il
Diacceto vi leggeva i suoi Libri sul Bello,
il Machiavelli i suoi discorsi sulla prima Deca di Tito Livio e i Libri suW Arte della Guerra, T
Alamanni il Trattato della Coltivazione.
L' amore delle dottrine Platoniche divenne fin d'allora viepiii tradizionale
nella famiglia de' R., che lo serbarono
sempre come una gloria superba, quasi
depositarii di preziosa reliquia, ereditata con tante altre grandezze da
tempi pill fortunati e migliori. E dopo
due anni il ritorno de' Medici in
Firenze, morto Bernardo nel 1514, i suoi
figliuoli Giovanni, Palla, Cosimo, e il nipote Cosimino, non furono men gloriosi ed ardenti seguaci
delle vestigia pateme. E Marsilio Ficino e i tre Pulci e il Poliziano e Pico della Mirandola, ormai
spenti, doverono a questi esser modelli sublimi, immortali, sovrattutto
Bernardo. Leone X e il Machiavelli furono condiscepoli di Giovanni, il Diacceto
maestro a lui di filosofia e di eloquenza. Ebbe anch'esso anima platonica, come conservaronla tale Palla e il
nipote. E li pure all' ombra di quegli
Orti, in quell' atmosfera piena di vita
e di scienza, die mano Giovanni al suo
poema suU' Api, modello tra le scrittnre di tal genere, a tale che vi ha chi scrisse sembrare che le
api stesse, ronzando d'intorno al poeta
per libare il succo dei fieri, se gli
posassero talvolta sulla penna, infondendovi quella dolcezza che tanta spirano
i versi suoi. L'Accademia degli Orti col
sacrofuocodella scienza e delle lettere
nutriva ancora e conserva va quelle non meno
sacro della liberty e della repubbUca ; e i liberi insegnamenti del
Machiavelli e del Diacceto congiunti alle* divine speculazioni platoniche non
poterono rimanersene privi di frutto.
L'oppressore cardinale Giulio dei Medici
pesava suU' anima libera di quei platonici, come suU'ardente gioventii
fiorentina, la quale correva volentieri ad
udirli. Fu allora che la quieta stanza di Sofia videsi trasformata in sede di una congiura a danno
del despota, alia quale presero parte moltissimi, tra cui i due Alamanni, il Buondelmonti, il Diacceto.
Sventuratamente scoperta, mentre quest' ultinlo spirava la grand' anima sua per mano del carnefice, e
molti altri niigravano in esilio
forzato, I'Accademia Platonica fii
sbandata, e non pot^ piii fin d' allora (1522) proseguire le sue
adunanze in quegli orti di sapienza e di
pace. De'R., quantunque amici di liberty, pur legati strettamente alia famiglia de' Medici
in parentela, non apparisce che alcuno pigliasse parte a quella congiura; che anzi noi conosciamo la sorte di
Palla, quando nel 1527, unico superstite
de'figli di Bernardo, mostratosi dalla
parte dei Medici, allorchd furono ricacciati dalla citt^, videsi invaso il
palazzo, guaste e ftirate le
suppellettili, e la vita in pericolo. Quel Palla bensi, che, ristaurata la
potenza medicea, veduto il nuovo Duca
della Repubblica andare a poco a poco
erigendosi in assoluto signore, pentitosi della protezione accordatagli, si oppose unico poi nel 1537
all'elezione del nuovo despota, morto
Alessandro, e dichiard doversi a Firenze restituire la prima liberty. Invano ;
che Cosimo de' Medici fu proclamato il
Secondo Duca. II giardino stette in
propriety de'R. fino al 1573; dopo il
qual tempo passd venduto, per mena certamente de' Medici, per sei mila ducati a
Bianca Cappello, che di luogo consacrato alle sovrane armonie della scienza platonica, mutollo in sede di
delizie e di volutta a' cortigiani medicei.
Ed ora questo gran monumento ricco di tante memorie e propriety di una nobile dama Bussa, la contessa Orloff, la
quale, curando il decoro di questo luogo, ha speso ingenti somme per abbellirlo, e farvi miglioramenti
notevoli. Se pero 1' Accademia degli
Orti non pote daDa congiura in poi
radunarsi, e gli Orti stessi furono con
pensiero ingeneroso venduti, la tradizione platonica non si spense guari, nd si poteva. Troppi
erano gli uomini grandi, il cuore de'
quali batteva per le idee del divino
Ateniese; troppo viva era in essi la memoria del Ficino e di Bernardo ; troppo
cdnsone ormai le platoniche divinazioni
al sentimento italiano, rispondenti troppo alia bellezza del cielo che aUe
pendici di Firenze, alia torre di
Arnolfo, e a Italia tutta divinamente sorride. II Casa, lo Speroni, il Patrizi
platonici tutti legano i tempi di Bernardo e dei figli ai tempi del platonico Orazio. Ma pur nella
famiglia medesima de'R. questa fiamma si conserve viva sempre, e se un uomo tra essi debole o
degenere potd r avidity del danaro
preferire al glorioso possedimento di
quel luogo; sacro ormai come tempio, o cederlo, vinto dair altrui minacce, i
piii di loro dovettero deplorare
sififatta perdita; mentre, contemperate dalF indirizzo dei tempi, predilessero sempre le dottrine
della illustre Accademia. E 1' avo matemo
di Orazio R., cultore del neoplatonismo, conobbe Torquato Tasso ancor giovane a Napoli, e il Tasso, platonico in
certi punti, ricorda quell' avo con
parole di molta lode e di molta familiarita
nel suo Dialogo che ha per titolo : II Goneaga o del piacere onesto. (Dialoghi
del Tasso, per cura di Cesare Guasti,
Tip. Le Monnier, vol. I, pag. 60). Ed 6
a questo punto che comparisce sulla scena della
vita Orazio nostro, di animo nobile, d'ingegno elevate, il quale doveva come riunire in s^ e nell'
opere sue la tradizione neoplatonica
custodita gelosamente nel seno deDa
famiglia materna. II conservarsi, come tesoro
santo^ r amore delle dottrine dell' Ateniese e del Ficino da' R., le case dei quali furono teatro in
cui i piii dotti si raccolsero sempre,
non pud da noi non risguardarsi come un'
occasione, un motivo intrinseco dell'
indirizzo filosofico del nostro filosofo, o almeno come un elemento sostanziale che doveva
concorrere insieme con altri, e
potentemente, a informare lo spirito scientifico e letterario di lui. Un
Ricasoli infatti diede a Orazio la vita;
ma i R. ne informaron la mente, in
quella guisa medesima che coUe sostanze
di Monsignor Delia Casa ereditd, come scrive il Casotti, il suo spirito, la sua virtii. (Elogio di R.). Non anticipiamo il racconto ; ma possiamo
dire fin d' ora che R. nostro,
ammiratore e seguace delle dottrine
platoniche, dovS sognare sovente i deliziosi sapienti convegni nell' avito
giardino, e pitl d' ogni altro dolersi
che quel monumento di virtii e di dottrina non potesse piii, fatto albergo ai
disordini di Bianca Cappello, e poi di
un cardinale de' Medici, ispirare nell' animo siio il forte volere, i gravi
pensieri, che quei liberi ingegni vi
aveano raccolti e maturati. Nondimeno
egli, R., per far rivivere quell' avite
conversazioni, e perpetuare cosi la tradizione domestica, raduner^ nelle stanze della sua casa i
celebri eruditi del tempo suo, e dietro
le orme de' suoi parenti, ascolterh e detter^ precetti di sapienza e di virtti,
non potendoli ancora di liberty. Ch^ in luogo della voce sdegnosa del Diacceto,
degli Alamanni e del Buondelmonti, che
nel sacro ricinto de'suoi Orti venduti echeggiava minacciando i fautori del dispotisDio, gli
oppressori dell'antica e gloriosa
repubblica, qui nelle stanze del R.,
uomo di corte insieme con dotti uomini di corte, si udiranno parole di
dottrina, rime d'amore, rim-, proveri
pur anco ai costumi guasti della Corte e del
Clero ; ma non saranno piii, no, gli energici avvisi del Machiavelli e degli altri per trattener la
caduta di una liberty che vedevano
precipitare ; saranno i timidi lamenti
di un bene irremissibilmente perduto, deboK
querele di uomini curvati sotto il gravame della servittl, proteste
inconsapevoli talora, sommesse sempre,
perch^ i Medici ormai signori assoluti, se splendidi e munifici protettori delle scienze,'non sono
tali da consentire si grande temerity, e il tribunale 6 la ad impaurire gli
intelletti, e a tarpare le libere ali del pensiero e della coscienza. Cosi i motivi generali esteriori ed
intrinseci delI'avviamento educative e scientifico di R. apparvero a me, ed io
credo pure al leggitore, distinti.
Vediamone ora lo svolgimento successive nel cammino della sua vita. Prima edacazione e istrazione del Bacellai. —
Fa segnace del Galilei. ~ Lo dichiara
egli stesso ne* suoi scritti. — Abitudini sue
e motteggi de* suoi amici. — Lorenzo Panciatichi. — Luigi Ricasoli Rncellai. — La Corte Toscana e il Bucellai. —
Suo cortigianesimo e suo disprezzo della
Corte. ~ Contrast© de* tempi che anche su
questo pimto si ripercuote nell* uomo. — Sua missione diplomatica a Vienna «^'Varsavia. II 'signer Luigi Passerini che piii
largamente di ogni altro s' intrattenne
suUa vita di R. (Genealogia della
Famiglia Bicasoli, Tipografia Cellini, pag. 84 e segg.) discorrendo della prima educazione di
lui ci dice che Ma i nomi di quegli uomini chiari non li sappiamo, nd I'esame accurate
che su tutte le opere di R. abbiamo
fatto, n^ altre ricerche diligenti ce li han rivelati. Gli ^ certo perd che Galileo fu udito dal R., e questo
possiamo asserire con sicurt^ piena.
Imperocche il signer Passerini si appoggi, come noi, nell' afifermar cio
sopra quelle che il nostro scrittere nel
suo Discorso centre il Freddo Positive
dice in principio, e che ^ prezzo delr opera rammentare. Questo e qualche altro passo delle opere sue, provano essere
stato il R. discepolo del Galilei, non
gia nel significato ristretto che si
suol dare a questa parola, ma in quanto
egli giovane piil volte ascoltd da' labbri medesimi del Galileo la esposizione delle dottrine di lui;
e a questi passi si appoggiano il Nelli,
il professor Palermo, il conte Mamiani
ed altri che ne favellarono. e pone in nota che cio ricavasi da alcuni
frammenti di oi)ere del medesimo
esistenti nella sua libreria. E il
professor Palermo e il conte Mamiani chiamano con sicurezza piu che discepolo, amico del
Galilei V Imperfetto. E il canonico Moreni batte la medesima strada, aUora che discorre di lui, e si maraviglia, e
a ragione, che il Tiicaboschi, laddove
nel tomo ottavo della sua Storia della
Letteratura italiana si trattiene a parlare di R., nol collochi tra' piii
solenni filosofi di quel fioritissimo
secolo, in cui \isse 1' immortal Galileo di
lui maestro. (Saggio di Dialoghi filosofici del Bucellai dato dal Moreni. Tipografia Magheri, 1823,
pag. xxi. Firenze.) E le dottrine del gran filosofo poteron
davvero anch'esse ed efficacemente sull' animo del nostro scrittore, come su di uomo tenero amico della verity.
Galileo infatti aveva trovato nella
selva opaca il vello d'oro: egli aveva
ritornato a vita sotto un certo rispetto il metodo di SoCrate e lo aveva riconsegnato
alle intelligenze stanche ormai di
servire ciecamente all' autorita di
Aristotele. Ecco il perch^ R. vedi abbracciare del Galileo le teorie con animo aperto. Ed ei
pud dirsi che dififerisce dagli altri
segi\aci del Galileo e che li supera in
questo ; gli altri svolgon le dottrine
metodiche del Galileo nell' osservazione dei fatti esteriori e delle
loro leggi ; mentre che R. si propone di svolgere quel metodo stesso in ogni
disciplina filosofica, cio6 anche nella
osservazione dell' uomo interiore; quantunque nelle conseguenze della sua
lilosofia seguiti piii il probabilismo accademico, come vedremo in
progresso. n R. dov6 avere altri
maestri e di rettorica e di filosofia, e
compiere nella sua gioventii studj ordinati; e di cio fan testimonio le opere
sue eruditissime, e nello stile e nella
lingua adorne di tante bellezze.
Oltrediche era questo il costume de' ricchi e de' nobili di que' secoli
; che allora, come ne ricorda il buon
Moreni (Dial, fil., pag. Vill), quanto piil erano eglino di nobilt^ forniti e al di sopra degli altri,
tanto piii e'si credeano in debito ad
esempio ancora, ed eccitamento altrui, di viemaggiormente nobilitarla coUe
virtii, e colle lettere, ben persuasi
che senza il di loro corredo, soccorso e accoppiamento, niente o assai
poco ella nello spirito signoreggiar
suole o suUa opinione degli uomini. D R.
educate fin da giovanetto da' suoi
genitori e maestri nel sentiero della scienza
e della virtii, fu quanto e piii di altri compreso di cid, e la verity di questa sentenza tradusse
egregiamente in atto nella sua vita fino
all' estremo; si che il Magalotti, quando avvenne nel 1672 il 16 febbraio la
morte di lui, mestamente scriveva a
Luigi Del Riccio. (Lettere Familiari, tomo II, pag. 28) A dieci anni fu decorato delle divise
equestri delrOrdine di Santo Stefano; a sedicirimasto privo del padre, ebbe il
Priorato di Firenze, istituito dal suo avo
Giuliano nel 1589; e nel 1656 i cavaKeri di quell' Ordine lo elessero
gran Contestabile nella solenne adunanza tenuta in Pisa. A 27 anni sposo Maria
Felice de' nobili Altoviti, egregia
donna, e dalla quale ebbe nove figU, tra
cui Luigi il maggiore, che seguendo le
orme del padre fu anch' esso, • giusta ne dice Salvino Salvini ne' Fasti Consolari dell' Accademia
Fiorentina, e secondo che ne porgono
argomento sicuro gli scritti eruditi di
lui, lo splendore della patria, e 1' ornamento
non meno delle accademie che delle corti dei principi. Orazio RuceUai pari av^ndo alle doti della
mente quelle del cuore, fu caro a quanti
lo conobbero, venerate anco da' grandi, e mite senza che cio vietasse a lui di essere nelle sue poesie e cicalate
acuto e pungente, e dei vizi rampognatore mordace. Fu come i suoi genitori uomo pio e religioso, anco troppo talora,
fino a sapere di eccessiva misticit^ nei
suoi scritti. Ebbe sua dimora in
Firenze; pero talfiata recossi e abitd in Roma, dove aveva possedimenti, e
spesso, dopo le politiche incombenze a
Vienna e in Polonia, ritiravasi specialmente gli ultimi aniii nella quieta
villa al PoggiaJe, ne' dintorni di San
Casciano. Le sue abitudini come d' uomo che vuole stare in una custodia di cristallo, meticolose sempre e, come a dire,
scetticamente impacciate, che ti sembrano un debole si, ma pur verace riflesso del suo carattere, de'
suoi scritti e del suo tempo, e pero mi
ci fermo. Tanto era della sua salute
eccessivamente riguardoso, che certi suoi incomodi e certe curiose precauzioni
per questi, diedero ansa ai motteggi e
alle canzonature poetiche de'suoi amici
accademici, non disdette neppure da Luigi suo
figlio, e accademico anch'egli. E Cesare Guasti scrive di lui motteggiato dal Panciatichi: E infatti nel bel suo ditirambo di im BevUore
brillo, a Panciatichi deride cosi il
Bucellai: « Pupilletto, Vezzosetto,
Caro Orazio RuceUai, Gioiellino
degli amici, E splendor deUe
morici, Dimmi 3e io son cotto, filosofo mio dotto, Tu che trovasti, Tu che redasti Fralle cose paterne indite e rare Le pillole che fanno indovinare. » Dalle quali ultime espressioni ricavasi
conferma ancor di quello che nel
precedente capitolo andava accennando,
sul trasmettersi quasi per tradizione ciascun de' R. di padre in figlio, iino
ad Orazio, la dottrina platonica. E delle medesime sofisticherie ragiona quasi
sul serio il figlio Luigi'nella Cicalata
della Ipocondria: i Ditemi un poco, egli
esclama, quella difficoM di respirare che tiene sempre sospetto d' asma il
nostro filosofo (chd Orazio era cosi antonomasticamente appellato) pud ella essere altro che 1' ipocondria
pettorale ; la quale mentre impedisce V
esalazione di quelle si vive favilluzze,
gli mantiene sempre piena di filosofia la
lingua e il petto? Cosi la vivezza dell'Imperfetto, mio genitore, con cui le piii difficili cose del
Timeo spiega si chiaramente, A
daU'emorroidale prodotta; ond'egli, che
bene il ravvisa, per aggiungere coi nuovi sopravvegnenti spiriti vigore ed impulsi
all' intelletto, ad ora ad ora 1'
emorroidi rimpinza, perch^ ella per quella via
non gli scappi fuori; cbe perd a ragione dal suo gran panegirista (il Panciatichi) fu chiamato (( Gioiellino degli amici E splendor delle morici. » Ma odansi, di grazia, de'motteggi ancor pitl
acuti che alle sue abitudini legate si
fecero: e con cid intanto il lettore^ si
far^ meglio un' idea di quel che allora erano
I'Accademie in generale, e dove gli eruditi e i letterati snervavano 1' ingegno. In un altro ditirambo
D' una che per febbre deliri motteggia
da capo il Panciatichi il nostro Orazio
cosi: « Malan che il ciel vi dia^ Sto male, ho le petecchie, ho quel sudore Che
di luglio uccideva il mio Priore.*
Solamente sdraiato sugli marraori
Queir omazzo attendea V alba deir jomo,
Quand' ecco in un istante >
Di strida e d' ululati, Di
singulti e latrati Himbomba
Parione,* E corron le persone A casa V Imperfetto Che faceva all' amor col cataletto. Corse Razzullo,* e senza aver pigrizia II Priapo * volo della sporcizia, * Per dichiarazione di questi versi giova
recare alcune parole di Luigi R. nella
Cicalata suir Ipocondria : « N^ meno provvidente si dee reputare mio padre,
diligentissimo Ipocondriaco, al quale
venne, poche settimane sono, in villa, una specie di granchio nella penna, che
debilitando quelle sue dita, ferme gliene
tenne e inabili a scrivere per due momenti ; onde esso temendo d' improvviso accidente d' apoplessia,
acciocch^ col mote non gii piovesse
nuovamente flussione, mando tosto a cercare del medico tre miglia lontano ; e intanto tenne immobile
nella medesima positura la mano e le dita per aria, finche il medico non vi
arrive che gli die licenza di muoverle.
» E appresso : «E per certo s'udirebbero piu rade, o forse non mai, le
scalmane, se tosto che 1' iiomo dal natural temperamento si sente fuori, alia
prima gocciola di sudore, anche d'
agosto, si ritirasse nella piii tepida stanza ; e fino quando gli sudano le tempie per
rnangiare il marinate, o altra cosa acetosa, proibisse il far vento per cacciar
le mosche da tavola. i> * Strada in Firenze^ ove era il palazzo
Ricasoli^ convertito oggi in Locanda. * II Biscio7ti nella stampa annoto : « Si
crede foss% un plebeo. » Ma neW esempl&re oggi Riccardiano, suppli a penna
: « Vogliono alcuni che in quel tempi si denominasse Razzullo il poi famosissimo dott. Francesco Redi. » * II Priapo della sporcizia, in lingua
Jonadattica, il Priore della Sporta,
convento e spedale dei frati di San Giovanni di Dio. Vedilo ricordato anche nella Controccicalata. II
Panzacchi, che forse ^ questo Priore,
praticava molto in casa del march. Corsini ; dove, oltre gli altri divertimenti che le brigate
ne traevano da lui, uno Che appunto
colla barba veneranda, Facea le
fregagioni A certi suoi malati
vagabond! Che pativano un po'di mal di
pondi. Che c' 6 e che non c' fe ? Chi ha mal ? che cosa 6 stato ? Grida il Priore : Oiin6 ! lo son, che son spacciato. \r 6 cascata la gocclola. Che gocciola, Signore? Gocciola di sudore,' Gocciola amara e tetra Che alia mia tomba incavera la pietra.* Deh! cantatemi tutti I'Epicedio! Sudai di luglio e non c' e piii rimedio.
» E via di questo gusto canzonature
sopra canzonature, che io debbo tralasciare per non digredir troppo dal pill importante. II riferito per6 credo
basti a dipingere, tolta 1' esagerazione, il carattere di questo era il farlo predicare : nella qual
funzione faceva e diceva cose
stravagantissime. Una volta gli fu fatta questa burla. Avendo i signori
Corsini adunata una buona conversazione al loro giardino vicino alia porta al Prato, e volendo far
predicare questo frate su quelle parole
del Vangelo, Modicum et videhitis me etc. ; ed avendo fatto accomodare una grande asse sopra un
vivaio o tinozza d'acqua; fattolo quivi
sopra salire; quando si fu bene incalorito, ed ebbe molte volte esclamando ripetuto : Modicum, et
videhitis m.e; nei ripetere Taltra parte
del testoi Modicum et non videhitis me ; gli
fu tratta di subito I'asse di sotto, e il caro frate, cadendo nell'
acqua, tutto quanto vi si tiiffo.
Accorsero i servitori a trarnelo, e lo condussero in una stanza a rasciugare :
ed alcun gentiluomo fu nel1' istesso tempo a confortarlo e a dargli ad
intendere che era stata una disgrazia
dalla veemenza del suo dire procurata. (C. Guasti. In nota agli Scritti varj- del
Panciatichi.) * Vedi di sopra la nota
alle parole quel sudore ec. * Scherza
su quel verso : Gutta caval lapidem,
non vi, sed scepe cadendo. uomo, le esitanze e i timori del quale per la
salute rassomigliano alquanto agli
scrupoli ed ai timori incessanti di trasmodare che nelle opere scritte di
lui trapelano ogni momento; e a farci
meglio conoscere le consuetudini
spensierate di quella et^ della quale giova
veraraente ripetere : che non sappiamo se rimpiangere que' tempi o compiangerli; perch^ rimane a
sapere, se quello fosse un ridere
consolato, od un amaro sorridere. (GUASTI, Ibid.) Come i suoi antenati, cosl Orazio entro
presto nella Corte, e a dieci anni fu
ascritto tra' paggi ; e fin da quel
giorno incomincio la sua vita di cortigiano sotto il governo di Cosimo II. II quale, quantunque
di ottima indole e di buone intenzioni,
non poteva per la mal ferma salute aver
grandi cure del govemo. II Rucellai perd dovette incominciar a nausearsi fin
d'allora della sfarzosa vacuity della corte, cui Cosimo U, per distrarsi dal fastidio
del governo, riempi di nani e di buflbni
e di lusso spagnolesco, seguendo cosi le misere inclinazioni di un tempo
ancora piii misero e ostile alia liberty
dello speculare e del vivere. E piii
ancora dov^ 1' animo suo disgustarsi del
fare artificioso dei Principi e delle Corti, quando, morto Cosimo II, e Ferdinando II destinato a
succedergli s'instruiva, giovinetto ancora, nelle cose di Stato, le due principesse Gristina di Lorena e
Maddalena d' Austria tennero per ben
sette anni le redini del govemo toscano.
Amministrando con femminil leggerezza, incorsero in gravissimi errori. Tra
questi non pot^ loro perdonarsi V aver
allontanato dal consiglio e dal governo
il Segretario di Stato Curzio Picchena,
uomo di probity sperimentata e di costumanze severe, al quale le aveva Cosimo raccomandate ;
sostituendo in sua vece Valerio Cioli,
uomo raggiratore, avido, menzognero, che
presto pose le finanze e tutta V amministrazione in disordine. E fu pure per i mali consigli del Cioli se
le due donne, con grave danno della
Toscana s'indussero a rinunziare in
favor del Papa il Ducato di Urbino, il
quale, appartenendo alia fanciullina Vittoria Della Rovere unica erede
del morto Duca Federigo, e promessa sposa a Ferdinando II, doveva come
patrimonio della moglie (deplorevoie uso
del tempo) tornare alia casa Medicea.
Deboli, incerte, pusillanimi queste due
principesse avevano troppi e spesso ingiusti riguardi verso la nobilt^ ; il perche codesto ordine
di cittadini, soverchiamente
privilegiato, lo fecero montare in tanta
baldanza, che impunemente opprimendo la plebe, la eccitava a tali vendette e delitti, cui le
leggi piii non potevano impedire. Ed 6
naturale ! tirannia nemica di liberty ^
sempre generatrice esecrata di licenza e
delitti. Ma cid nondimeno, in
tanto contrasto di grandezza e di
miseria, di virtii e di vizio, di dispotismo e di liberty,, R. pur disgustato, lo vediamo
anziche allontanarsene, continuar
I'abitudini di famiglia, proseguir nella Corte, e sotto il reggimento di
Ferdinando, salito al trono nel 1627,
diventa r suo gentiluomo di camera.
Egli, Orazio, si fa, come tutti gli altri letterati del tempo, sempre piii
ligio al Granduca; ne dico cid a caso ;
cM alcune lettere ''di lui ritrovate da
me fra le carte di Ferdinando II e del cardinale Leopoldo ce ne oiBFrono
prova manifesta. Biasimera poi con
nobili versi i vizi dei principi e dei cortigiani; dispregier^ con isdegni generosi quelle
catene dorate ma pesanti sempre, e il
contrasto dei tempi vedremo qui pure riflettersi nei pensieri e nolle
azioni del nostro lilosofo. Ma intanto
ei si piega, ei fa getto della indipendenza del suo spiiito, cotanto necessaria soprattutto a un iSlosofo. E poi se biasima
la Corte e i cortigiani, non tocca ne
biasima punto il malo govemo, si i vizi particolari del govemante; d questo
un biasimo come di famiglia grande ma
quasi privata; ne la patria sua ricorda
mai, e non ha mai un pensiero per essa ; sembra quasi Y abbia dimenticata,
o non sappia che ella ^ in servitu;
solamente la Corte, TAccademia e la
villa formano il mondo del nostro
filosofo. Mi si permetta in
grazia dell' opportunita, ch'io tolga da
un de' capitoli prossimi, qualcuna delle sue
parole servili inverso il Granduca; indi alcune altre che contro la corte ed i principi lancia
sdegnato ne'suoi sonetti, e giudichi il
lettore s'io sia, nelle mie
aflfermazioni, fuori del vero. E
nell' occasione della nascita d' un suo figlio, pur di Roma un anno dopo, il 10 dicembre 1639,
(V. Garteggio idem, lett. 304, filza idem), V annunzia al suo padrone serenissimo cosi : E in altre lettere
scritte al granduca medesimo per
domandargli favori, poich^ sembra in certi momenti ii suo patrimonio abbia sofferto gravi
avarie, e per rendergli grazie dei
soccorsi somministratigli, arriva a dire
che la sua vita medesima ^ a Ferdinando obbligata per legge di natura. Ed io
non so dove pescarmi servility maggiori di queste, n6 qual' altr' uomo mai che piii fedelmente di lui mi narri colla
sua propria bocca inconsapevolmente le tristi condizioni di quegli spiriti. Egli ^ questo il pid alto
grade della cortigianeria, ^ la
negazione di quel che gli antichi con
aurea parola chiamavano umano decora ! quantunque la generale consuetudine di
parole tanto serviH togliesse loro gran
parte dell' abiezione che a noi sembrano avere. Ma ecco I'antitesi, il contrast© de' tempi
nell'uomo, e Tuomo che li spiega. II R.,
dopo quelle ligie proteste di servitil
par ti diventi a un tratto un altro
uomo, allorche quasi libero cittadino scrive cosi contro i Principi e contro le Corti: « La beUa verita, ch' ove s' apprende Puo far d' alte virtii feraci i regni. Ma con lume piu vivo entro s* accende Gli uinili alberghi e ne' piu pari
ingegni, Non sopra eccelse raura unqua
risplende. Dove il mentire e 1' adular
s' ingegni, Anzi la vista a' regnatori
offende, Quasi infausta nemica a' lor
disegni. L' inclita Maesta temano i
regi, Non cangi all' opre lor specchio
si fine, E sembrin macchie impure ilor
bei fregi. Quelle ch' usan chiamar
virtu divine, Arti fian di malizia, e
gli alti pregi Di lor gloria maggior
frodi e rapine. » Comunque Ferdinando
II, e a buon diritto, fece di R. giovine
ancora assai conto, e nell' eta di 30
anni, sapendolo esperto nella ragione civile, gli die a sostenere le due ambascerie, a cui ho
accennato di sopra, e la prima nel 1635
a marzo per Vienna, appresso rimperatore Ferdinando per rallegrarsi delr
elezione dell' arciduca Ferdinando suo figlio a re dei Romani, come ne attestano i documenti che si
trovano nel nostro Archivio Centrale di
Stato (FU^a Medicea, n** 4389) ; 1'
altra a Varsavia, nel medesimo tempo, per
condolersi col re di Polonia Vladislao IV, per la morte del Cardinale suo fratello, e per trattare il
matrimonio della principessa Anna dei Medici col principe Reale {FU^a Medicea, n° 4795). In queste due
legazioni ei diede prova di molto sapere e di altrettanta cortesia, e le letter e stesse dei Principi e
degli ambasciatori toscani presso quelle due Corti addimosfcrano quanto R. fosse stimato e gradito, e pel
suo sapere e gentilezza di maniere
ammirato da tutti. Sicchd il Tartaglini
ambasciatore del Granduca a Vienna
scrivendo di lui, il 9 marzo 1635, al ball Cioli segretario di Stato ebbe a dire: (FiUa
Medicea,n'*4^S8d) E al cavalier Poltri
nel 17 marzo 1635 il medesimo Tartaglini
aggiungeva: Del rimanente, avremo
meglio piii tardi, discorrendo dell' opere del RuceUai, campo di vedere
quanto ei fosse nella ragion civile
versato ed accorto, e quanto
giustificata fosse 1' ammirazione, che coloro i quali tenevano allora
gli alti ufficj del governo portavano a
lui, che Lorenzo Magalotti per la sua prudenza qualificava come V uomo
piu esperto a f of mare il more di un
principe. Ufftcj di R. nella corte di Ferdinando II. — Qnalita di qaesto principe. — £ di Leopoldo. —
Benemerenze di essi nella protezione e
cultara degli stadj. — Si restituisce a vita V Accadeniia Platonica. — Si fonda TAccademia del Gimento.
— II R. poeta, letterato o filosofo. —
Lodi a lui de^contemporanei e dei posteriori.
— II Rovai. — II Redi. — II Crescimbeni. — II Moreni. — II Pallavicini.
— .Uffiicj di R. nell* Accademia della Crusca. — Esercizio di versione da*
classici antichi introdotto dal R. nelr Accademia. — Se e quanto R. conobbe il
greco. — II Jlucellai e i suoi Dialoghi
filosofici. — L* elogio a lui del SaMni. —
L* Accademia in sua casa. — Materia e disegno de* suoi DialoghL — Relazioiil di lui co* dotti del tempo, e
co* principi. — I quali r ajutano
sempre. Traversie nella sua vita, — economiche, — moral!. — Rassegnazione sua.
— II R. e Cosimo III. — Questi non e,
come generalmente si crede, nemico degli studj filosofici e e letterarj. — Morte di R.. — Si chiude con
lui V etk del Rinascimento. — Onori al
merito di quest' uomo prodigati anche dai
posteri. — Come anch' io intendaonorarlo con questo libro. Tornava, pertanto, R. dalla missione
politica sulla fine del 1635, rientrando nel suo ufficio di gentiluomo di camera di Ferdinando 11, e
dedicandosi pure senza interruzione a'
suoi studj, a' quali trovava, giova
ricordarlo, impulso grande ed esempio ne'molti
eruditi fiorentini del tempo e negli stessi principi, il Granduca e Leopoldo. Ferdinando II ai guasti
deUe due reggenti Cristina di Lorena,
madre di Cosimo 11, e Maddalena d'
Austria sua moglie, le quali avevano empita la corte di lusso e di intrighi,
tolto alia giustizia il suo corso con le
immunity e gli asiK delle chiese, tento
ogni via di rimedio, da eccellent' uomo ch'egli
era. E se nella politica non gli arrisero sempre idee felici, e seguitd ora piti ed ora meno le
orme spesso non imitabili degli avi
suoi, e alia prndenza non seppe
costantemente unire il coraggio, tuttavia delle scienze, delle lettere e delle arti fu quanto e piii
de'suoi predecessori amico e cultore, e ai suoi aiBFanni cercd distrazione, proteggendole regalmente e
promovendo soprattutto le scienze esatte
e le naturali. L' Emitiani Giudici (e credo in parte a ragione, ma in
parte pure esageratamente) attribuisce
questa protezione ad un fine politico e
la spiega cosi : E Leopoldo fratello a
lui minore di et^ non fu di certo minore a lui per scienza e per I'amore di essa. E il conversare
frequente col Galileo Io rese esperto a
schivare up. servile ossequio al
Peripato, e a farsi della osservazione, dell' esperienza e della geometria criterio alia liberty dell'
intelletto; e la filosofia naturale del Galileo e della sua scuola trovo HI esso e nel Granduca due propugnatori
ardent! ed ^fficaci. Nutriti ne' buoni studj, contribuirono a mantenere in vita e in vigore le Accademie
toscane, dove ridioma nostro potd almeno
trovar salute dal contagio generale del
tempo, e le scienze naturali uno incremento
grandissimo. Nessun' altra et^ parmi possa
vantare come questa di Ferdinando e di Leopoldo, tanto viva operosit^ di scienza e di lavoro
letterario, destata per impulso di
questi due principi. E Leopoldo, il
quale sebbene avesse anco nelle faccende governative la plena fiducia del
fratello, che del consiglio e dell'
opera di lui sempre si valse, pure non
avendo in mano la somma delle cose, che tutta era nel Granduca riposta, trovava piti largo
campo per promuovere e favorire le
lettere, le arti e le scienze. Difatti
benemerito del nostro splendido robusto e
gentile idioma con animo appassionato e caldo facilitava e sollecitava i
lavori del Vocabolario, accudiva alle
pubblicazioni di vari testi di lingua. Arricchiva di nuove collezioni la GaUeria di Firenze,
che da lui riconosce molto del suo presente
splendore. Rifondava, e questa fu delle
prime sue cure, sulF esempio del vecchio Cosimo, Y Accademia Platonica, perch^
Dante e Petrarca fossero illustrati a
seconda di quella filosofia; e sebbene
il ritorno all' idee platoniche non fosse veramente un favorire la tendenza
degli intelletti in quelr etib, n^ un avvantaggiare la filosofia Galileiana
(Vedi Notizie istoriche premesse ai
Saggi di Nat. Esp.^ Firenze, 1841, pag. 60), era pure un forte attacco,
comunque indiretto, alle dottrine scolastiche fatte da lungo tempo cibo quotidiano ed unico della
numerosa mediocrity; e per questi fatti e per questo colpo indiretto sarebbesi meritato Leopoldo da
qualunque ingenuo e libero storico il nome di Benemerito, quando anche non vi avesse aggiunto tutto cid che
voile operare a promuovere direttamente la nuova Filosofia delrUniverso.
Nell'avvantaggiare le lettere, la filosofia e le scienze ebbe sempre in costume Leopoldo di
associarsi agli uomini che pitl si erano
in quelle varie discipline segnalati;
cosi nel favorire lo studio della lingua nativa
conveniva cogli Accademici deUa Crusca a pubbHcare opere poetiche o testi di lingua, radunava
presso di s^ i Dati, i R., i Redi, i
Magalotti a richiamare la filosofia di
Platone; istituiva a bella posta una congrega in sua casa a raccogliere,
pubblicare e ristampare le opere del Galileo, del Castelli, del Torricelli
e dei matematici antichi nuovamente
illustrati e dichiarati. E anco lo
stupendo concetto di fondare un' Accademia destinata espressamente alia
Filosofia sperimentale, si deve in particjolar modo alia gran mente del principe Leopoldo, il quale voile nel 1657
stabilire delle regolari Adunanze, nelle
quali sotto i suoi occhi la nuova filosofia
sperimentale, gi^ nelle domestiche mura
promossa, avesse culto quotidiano e sistema, con Vincenzo Viviani, BorelU, Rinaldini, Marsili
Magalotti, OKva, Bellini, Redi, molti
dei quali fregiarono indi le famose
University di Pisa, di Firenze, di Siena, inauguratori sovrani di quella
Riforma proclamata dal Galileo e dal Torricelli. Orazio R. fioriva in mezzo a quegli
uomini grandi, ed emulo della loro
operosita e di operosita esempio ad essi
costante, nei rumori della Oorte schivando Tozio coltivo sempre come nelle mura
domestiche la morale e gli studj, ed ivi al pari del Redi trovo mezzi e pascolo airansietli irrequieta
del sue spirito filosofico. Venuto
presto in fama di molto sapere, il Granduca e Leopoldo non potevano non
prenderlo in considerazione alta, e oltre le missioni politiche, che sopra
mentovammo, gli affidarono la direzione degli studj del principe Francesco, e
nel 1657 la sopraintendenza della
Biblioteca Lanrenziana, che insieme alia
Galleria veniva con regia profiisione arricchita. Le piii illustri Accademie
fecero a gar^ per ascriverlo tra loro, e
prima la Fiorentina della quale fa
consolo nel 1653. E anche dell' Accademia della
Cnisca fa singolare omamento e sostegno, e ne ebbe piti volte r Arciconsolato. Voile, imitando
in ci6 la modestia di Socrate e la moderazione di Pittagora, giusta ne scrive
Anton Maria Salvini, essere chiamato in
essa V Imperfetto, e fece per impresa un disegno in matita rossa corretto con midolla di pane,
col motto : per ammenda, Mostrossi il nostro Autore poeta, letterato,
e filosofo, e in queste tre qualita riusci a' suoi contemporanei famoso, come
le lodi di essi a lui prodigate fan
fede. Infatti lo stesso granduca Ferdinando e Leopoldo a lui versi richiedevan sovente come da
alcune lettere sue in risposta a loro
ricavasi. Egli, R., scrisse rime di
amore, filosofiche sociali, religiose,
ed anche disoneste ; scrisse cicalate e
panegirici, e dialoghi filosofici. Certamente questa mischianza di
contradittorj non potra a meno di colpire
la riflessione del lettore; molto piii se egli ricordi le qualita morali e anzi gli scrupoli che, come
nel fisico, cosi nel morale assalivano
di continuo il nostro filosofo. Perch^
mai egli a lato di poesie che ti discorrono
soavemente dell' anima, dell' amore, della Provvidenza, che ti lodano la verginit^ di santa Maria
Maddalena, • osa porre lubrici scherzi,
immorali canzoni? Questo e un primo
problema che fra poco risolveremo. Intanto vogliamo finir di vedere in qual
conto cospicuo e come letterato e poeta
e filosofo lo tenessero i suoi contemporanei, e anche i ppsteriori vicini a
noi; indi ridurremo coUa critica al suo giusto valore le lodi. Francesco Rovai amico, a quel che sembra, di
Orazio, e cantore delle Muse egli pure, indirizzandogli una sua canzone in morte d' un barone Bettino
Ricasoli, cosi gli parla: « Dillo tu
che sublime Sovra Eliconia ascendi, Orazio amato, e vai per i' aure a volo, Di' se de' colpi suoi fleri, tremendi Alcun giammai segno di piaga im prime Suir Apollineo stuolo ; Dical tua cetra i cui sonori carmi Al tempo ed air oblio spezzate ban V armi.
)» E il Redi, pur amico di R., e
scrittore forbitissimo di lingua nostra, pote dire di lui, che E per tacer
d' altri, il Crescimbeni neir Arcadia dice che : E nel secondo volume della Volgar Poesia,
aggiunge che : Ed anco come letterato accademico ne'suoi Discorsi, nelle sue invettive, e nelle sue cicalate,
apparve a quegK eruditi modello di scrivere, e lo encomiarono profusamente, ora
ammirando Y eleganza del dettato, or il
brio e le facezie di che le andava adornando. E il canonico Panciatichi, con lettera in data di
Parigi de' 24 ottobre 1670, volendo
esaltare la gran perizia che aveva nella
nostra lingua la duchessa di Vitry, cosi
dice : Da che si vede com' era
egli tenuto per letterato e scrittore in gran conto, e a molti, se non a tutti i suoi contemporanei, superiore. E il cardinale Pallavicino che quantunque,
come dice il Giudici, se la piccasse un
po' troppo per modello di stile, pure ne ^ di certo maestro, in questo modo scrivendo al R. de' suoi componimenti
giudicava: (1666) E veramente R. si
mostra qui, come nella versione di molte
altre cose latine fatta man mano ne'
suoi Dialoghi FUosofid, del latino idioma egregio conoscitore, non senza difetti che faremo poi
notare aver esse comuni col tempo; il
tempo poi questa conoscenza delle antiche lingue prediligeva, ch^ 1' et^
del Rinascimento non era ancora spirata,
e dovea anzi chiudersi col nostro
Filosofo. II quale, come quel che piii
d' ogni altro de'suoi contemporanei ea; ^ro/i2550 si occupo nella filosofia di
Platone doveva (e naturale arguirlo) il
greco conoscere profondamente, e piil che
non il latino. Se non che noi restiamo su tal punto tra il si e '1 no, e ci nasce anche il dubbio
ch'ei ne avesse una notizia non troppo
grande, e che per la versione e
interpretazione del testo si servisse di traduzioni gia fatte dagli anteriori
neoplatonici, dal Ficino pr^cipuamente ; molto piii che neoplatonicamente nella massima parte le teorie e le dottrine
del divino Filosofo spiega ed illustra,
cogl' intendimenti di Marsiho, di Plotino e di Giamblico, n^ si cnra, se non
di radissimo, di ricondurre al suo
verace e legittimo valore i pensieri deirAteniese; ne una parola greca
ne'quattordici volumi de'suoi Dialoghi ti ^ dato trovare scritta, molto meno una frase ; e se v' ^ una parola
greca § logos scritta italianamente. E
vero che percorrendo le sue lettere, ne
troviamo una principalmente diretta di villa
al Redi, il 13 novembre 1662, e dove dice tra le altre cose :
E piil volte di aver letto sul testo or
quella or questa cosa, di sua propria voce conferma ue' Dialoghi, e nel prime Dialogo sul Timeo
assevera aver per questo riscontrato
tutti quanti i testi mighori ed
esaminato (perd) qualunque de' piii reputati interpreti e piii autorevoli. Ma
come ognun vede, questi passi vengono piii in conferma de' nostri sospetti
che contro; e ad avvalorarli vo'recare
qualche espressione che ho trovato nella
difesa del signor Tommaso Segfii, com'
accademico detto 1' Ardito, contro le accuse dategli dal Kucellai, in uno di
quei soliti finti battibecchi di quegli Accademici. In questa difesa mentre si ricava la
conferma che R. studid sempre e
profondamente le Matematiche, lo che si .vede chiarissimo ne' suoi
Dialoghi sulle armoniche proporzioni, e
ch' ei dettd rime lubriche, v'^ pur conferma del nostro pensiero sulla poca scienza sua del greco. Tra le altre cose
egli, il Segni, dice al R.: Entrasti dopo cio nella mia traduzione
della cornmedia di Plauto, dicendo che io I'ho fatta a non so che mio fine. A questo non ti rispondo perch^
io non t' intendo ; se tu ti dichiari
megHo, ci sar^ la risposta anche per
questo, non dubitare. Questa commedia si
recita domani, vieni alia stanza, che ci sar^ qualche cosa per te; gli ^ giomo di festa; tu non
sarai impedito da' tuoi gravissimi studj delle Mattematiche ; nou biasimo la
scienza, non ti alterare, che io so benissimo
che si 6 lo pifl hello e lo piii utile studio che possa fare un giovane nohile come tu se'; ma
infatti vuoi sapere a cid che ti serve,
giacch^ io non veggo che tu sappi
coUegare insieme quattro periodi, che provino e
concludano mai nulla ; e non hasta sap*er quattro proposizioni, e poi
volere orare alia presenza di cosi dotta
Accademia : innominato Ricasoli, e' ti hisogna studiare, e leggere gli autori buoni, e leggergli nella
lor lingua^ non si fidare dei trdduUori.
> V 6 un proverbio latino che dice :
in vino Veritas. ed h in questo modo in
realta; or credo non men vero rimanga il
proverbio temperato cosi: in ludo Veritas;
poich^, in mezzo alle finte accuse, come nei nostri scherzi, cosi in quelle tiritere accademiche
e spensierate un barlume di verity sempre traluce. E lo prova R. avendo realmente scritto rime
iramorali, araico del Giraldi, e
conosciuto profondamente le matematiche; e I'accusa di R. stesso intorno
alia nullita del merito nella versione
di Plauto fatta dal Segni, della quale,
per fermo, come di nessun pregio non si
fece da' contemporanei e posteriori letterati
menzione mai. Ora io ripefco che I'esser venuti in chiaro della non grande esperienza del nostro
Filosofo intorno al greco, fa molto,
perchd ci spiega come pitl che le vere
dottrine platoniche, le interpretazioni neoplatoniche accettasse e trasformasse
nel suo lavoro scientifico. E perch^ su
questo punto non mi rimanesse dubbiQ veruao, io voUi confrontare i passi
del Timeo, tradotti dal R., col testo, e
indi con le traduzioni latine anteriori;
e cid mi servi di riprova irrefragabile.
Nel 1650 il nostro R. era nominato dalr
Accademia membro della Deputazione del Vocabolario, e prendeva a fare lo
spc^lio delle Lettere di Monsignor Delia
Casa, e delle storie del Machiavelli.
Cio rilevasi da' diarii dell' Accademia e da una lettera scritta da lui al cardinale Leopoldo. Ma pitl che per le rime, per le cicalate, e
i discorsi accademici, venne egli in
alta venerazione presso i contemporanei come filosofo. Ch^ tale, vedemmo,
antonomasticamente chiamavanlo, e consultavanlo come un oracolo, sicch^ ei fu della rinnovata
Accademia Platonica r anima e il duce, in quella guisa che il Ficino due secoli innanzi. 11 Redi appella i Dialoghi
filosofici di lui E basta leggere le lettere che R. scriveva in risposta al
Cardinale Delfino, per vedere come in riverbero, in qual alto pregio quel Patriarca tenesse i dialoghi
dell' Imperfetto; e come il Delfino, cosi il Magalotti, il Dati e tutti quei grandi eruditi, che convenivano in
sua casa ad ascoltarne lettura.
Imperocch^ la casa de' R. era una vera e
propria Accademia. II R., come abbiam
detto sopra, dovea ricordarsi degli Orti di sua
famiglia; doveva udire in cuor suo potente ancora la voce dell'avo Bernardo e di quei grandi
sostenitori delle dottrine Platoniche e
della liberty. Egli aveva perduto que'
luoghi memorandi ; gli dovea risospirare,
e in qualche modo farli rivivere. E' mi sembra veder quella casa; mi sembra di veder lui, co' suoi
figliuoli, e con illustre schiera di
dotti, intento a favellare delr uomo, dell' uni verso e di Dio ! E di queste
adunanze fa parola appunto il Tiraboschi
nell' ottavo volume della sua Storia,
dove discorrendo del fiore in che allora, nel
secolo decimosettimo, erano le Accademie fiorentine pubbliche e private, dice che tra quest'
ultime, celebre singolarmente fu quella
del prior Orazio R.; e riferisce le
parole di Lorenzo Magalotti, il quale in una lettera indirizzata a Luigi Del
Riccio incitalo a procurare che non si
abolisca quell' istituto, e si rallegra che egli abbia si buoni assegnamenti per
farlo sussistere, cioe il Salvini, il
Lorenzini e rAverani. E anco il Negii
appella a questa riunione di letterati {Storia degli Scrittori Fiorentini)
dicendo: Ma il Salvini, nelP Elogio al
Filosofo^ ci dipinge a colori
vivacissimi il fare di lui, e le sue relazioni, e i suoi modi e le dotte adunanze, e le erudite
conversazioni. E, magnificata indi il
Salvini la gentilezza e vigoria deir
idioma nostro, soggiunge pitl sotto :
E giacche sono sul toccare de' Dialoghi vo' dirne qui tosto piti ampiamente, la materia e il
disegno.^ Di questi dialoghi, in
numero di sessantacinque, sono stati
pubblicati solamente trentadue, quelli cioe intorno la Filosofia antica della natura, esclusa la
platonica, e il trattato della
Provvidenza; * per il che sarebbe desiderabile vederli pubblicati per intero ed
ordinatamente. Era ben naturale adunque
che R., di si vasta erudizione e di
tante belle qualita adorno, riscuotesse
Tammirazione de'dotti suoi contemporanei e principi d' allora, e tutti si attribuissero a ventura
ed onore di potersi chiamare suoi amici.
Talche una lunga schiera de'piii
segnalati uomini del tempo vediamo f ar corona
all' illustre seguace di Galileo, al cultore della filosofia neoplatonica, all' ultimo figlio del
Rinascimento filosofico itaUano. II Magalotti, il Redi, i due Falconieri e il Filicaia sono in continua corrispondenza
di affetto e di scienza con lui, e si
legati in amicizia che niun di lore
ardisce porre un' opera in luce senza aver prima consultato gli altri per averne le critiche,
e fatte su quelle le opportune
correzioni. E Lorenzo Magalotti pone talvolta ne'suoi scritti dialogici a
interlocutore principale il nostro Orazio,
e gli scrive lettere sopra un Effetto
* Vedi : Indice delV opere di R.. delta neve e sul Bibollimento del
sangue^ secondo i pensieri del Galileo; in quella guisa medesima che il Rucellai
scrive al Magalotti rime confidenziali, in cui gli apre Y animo suo, e dimostra la sfiducia
grande ne' suoi proprj lavori, e
minaccia di gettare al fuoco i suoi dialoghi filosofici e si pente de'trascorsi
di gioventii. 11 Filicaia gli dedica un
sonetto in sua lode, e il Redi ne
discorre, encomiandolo nel suo Ditirambo. II
Viviani, nel ragguaglio deU'ultime opere del Galileo, parlando di una lettera di esso, dice
che e Monsignor Giacomo Altoviti amante
delle belle arti, il marchese Vincenzo
Capponi, il Dati, il Pallavicino, il Buonaccorsi, il Magiotti, il primo de'
suoi interlocutori, e uno di quelli che
composero, come si esprime il GaUleo, il.
suo triumvirato, tutti li vediamo in corrispondenza d' affetto e scientifica col nostro filosofo
; il quale nelle sue lettere, dimostrasi
deferente a tutti, e modestissimo, e quasi trepidante ogni volta che a qualcuno
di loro invia, richiesto, qualche suo
filosofico componimento. E le lodi riguarda sempre come eccesso di bont^ deir animo di quei che gliele fanno, non mai
effetto de' meriti proprj, mentre egli
trova sempre che lodare negli scritti
degli altri. E i principi govemanti lo venerarojio anch' essi con reverenza ed
affetto speciale ; e lo ajutarono
sempre, poich^ dalle sue lettere ricavasi
aver egli avuto alcuni disastri in famiglia come abbiamo gia veduto
superiormente. Infatti da Pisa, ov'era
gran Contestabile, soUecita dal Principe
Leopoldo con lettera del 28 aprile 1653
soccorsi profittevoU per i disastri economici della sua casa, afline di
potere con piii quiete e piCi comodamente
esercitare in qualche trattenimento studioso gli scarsi talenti ch' ei si ritrova. A questo
decadimento delle sostanze di R.,
accenna pure il Panciaticlii nella sua
Contraccicalata alia Cicalata sulla lingua lonadattica (1662) dove apostrofa il
Priore Orazio cosi : « Sovvegnati del viaggio da par tuo clie tu facesti in mia
compagnia a Pisa, Lucca ec, quando tu gridasti il Meschini^ (gia somigliere del tuo corpo, ed ora nel
nuovo governo revisore generale, per
quanto io intendo, delle tue possessioni) perche ti lasciava andare coUe gomite
rotte ec... > Oltrediche egli fu
pure da morali traversie angustiato molto talora; come quando ei seppe ucciso
in rissa un de' suoi cari figli,
Giuliano, in casa d' una cortigiana, del quale eccesso il vino non sembra
essere state r ultima cagione. A questo
fatto egli accenna in una delle sue
lettere (Firenze 8 settem'bre 1668) al Patriarca d'Aquileia, dove spicca in
tutta la sua pienezza e r affetto di
padre, la mitezza sua e il sentimento religioso che dominavalo tutto. Questo scriveva I'onorando vecchio pochi
anni avanti la morte sua, sollecitata
fors' anco da questi colpi della
sventura ch' ei rassegnato riguardava pur come segni incomprensibili della Provvidenza divina, di
cui si bene favelld ne' suoi libri. E anche
da Cosimo III ebbe a soffrire
dispiaceri. Imperocche se ei fece sembiante,
succeduto che fu a Ferdinando, nel 1670, di onorare il Kucellai,
confermandolo nella carica di gentiluomo
di Camera, a poco a poco lo allontand dalla Corte. Perd da alcuni storici (come il Maffei) si 6
detto e si dice ancora che Cosimo III
non fu troppo tenero ma anzi ostile alle
lettere ed alle scienze filosofiche, e
che percio era ben naturale s' allontanasse dalla Corte quei che le coltivavano. In questo vi 6
per lo meno esagerazione, ed una
conferma che preso per alcune cagioni
I'uomo in dispetto, spariscono troppo
spesso dalla memoria e dagU occhi quei lineamenti veri che a scemare la bruttezza del quadro
sarebbe giusto considerare. 11 liglio
primogenito di FerdinandoII quantunque
meschinamente bigotto, e inabile a generosi pensieri in politica, pure non
solamente la teologia, come dice il Canttl, (Storia Universale, vol. 17, pag. 766) ma favori anzi ed amd le scienze e
le lettere, e a persuadersene basterebbe gettare uno sguardo sul grandissimo carteggio ch'egli e il suo
segretario privato canonico Basetti
ebbero con tutti i primi uomini dotti del secolo nostrani e stranieri. Questo
voluminoso epistolario trovasi nell' Archivio centrale in Firenze, e tra le altre vi si ammirano
lettere dell' Autore delYArmonia prestabilita^ il Leibnitz. Sarebbe anzi desiderabile che qualche
studioso prendesse quelle filze neglette in accurata disamina, e ne traesse ad utility della scienza e a
vantaggio di quel principe quella luce
che finora non h comparsa fuori, ed ^
per lo pitl sconosciuta agli occhi degli storici nostri. Non possiamo dunque alia cagione supposta
attribuire Tallontanamento di R. dalla
corte; sibbene forse la salute
vacillantissima di lui di^ ragione a Cosimo III
di non adoperarlo piii negli ufficj di suo Gentiluomo. II R. infatti moriva poco tempo dopo che si
fu allontanato dalla Corte Medicea. Ma
la morte trovoUo col volto ridente, come Socrate, e con costanza serena. Egli
moriva nell'et^ di TOanni il 16 febbraio 1674,
stile comune, in mezzo alle lacrime de' suoi e degli amici, la piii bella e confortevole
benedizione ad un'anima che lascia la
prigione del corpo. Cristiano, ebbe pure
i conforti soavi di quella religione, in nome
della quale ei filosofava con afietto di innamorato, e pieno di fiducia di vedere svelata nell'
eternity a' suoi sguardi la verity, la
bont^ e la bellezza infinita. L'avello
de' suoi maggiori fu pure sepolcro a Orazio
nostro nella Chiesa di Santa Maria Novella in Firenze ; e col richiudersi di quella lapide si cliiuse
insieme il periodo del Rinascimento filosofico itaUano. Pero rimasero le opere di lui, monumento prezioso; perche
un giomo se ne imparasse la importanza
vera, che pur troppo non ravvisarono (n^
lo potevano) i suoi contemporanei.
Tuttavia i Dialoghi di R. ne furono pascolo a quegli uomini colti anco appresso.E Anton
Maria Salvini, poco dopo la morte del
loro autore scriveva a Lorenzo Adriani
ragguagliandolo delle veglie che si facevano
allora quasi seralmente nell' Accademia della Crusca, per la nuova edizione del Vocabolario:
Leguntur in hoc eruditorum hominum codu
scriptiones varied cdque pulcherrimce,
ac jprcesertim Horatii Oricdlarj Dialogi
quibus dodissimus ille senex disputans more Socratico philosophiam fere amplexus est universam.
Huitis contentum scribendi laborem nee
aetas extrema tardavit^ qui jamdudum
vita functus, magni sui, atque operis
desiderium reliquit. E il Crescimbeni scriveva pure: se, di piti, si consideri che frammiste a queste lubriche che si
attribuiscono al nostro Priore, si
leggono di suo, firmate, poesie onestamente amorose ; e che nella sua Cicalata
in quartine fatta in lode del Cacio
Lodigianoy non certo in sospetto di
apocrifia, perch^ scritta di sua mano, e riconosciuta da lui che ne fa menzione negli altri suoi
scritti, egli si compiace d' incastrarvi
non pochi equivoci disonesti ; io credo
che la critica imparziale non potr^. risparmiare al Filosofo Platonico la non
troppo onorifica paternity di quelle eleganti bruttezze. Oltredich^ abbiamo visto un suo amico medesimo Tommaso Segni,
accademico, quantunque in istato di esagerazione e di finzione burlevole, pure
accennare a questo peccato del R. nella
sua difesa contro un' accusa data a lui
da quest' ultimo, che in alcuni suoi scrit ti .deplora poi queste sue giovanili leggerezze e le riprova. Ma per non stare troppo sulle generality, e
addentrarsi alquanto invece nell' analisi delle sue poesie, incomincieremo dal
notare come R. nei suoi sonetti filosofici discorrendo della Provvidenza
divina, conformemente alle dottrine
neoplatoniche e al domma cristiano,
asserisce non potersi comprendere Dio che con la Fede, quantunque le opere di
sua Provvidenza od il mondo, ch^ e, per
usare la frase de' sapienti ripetuta dopo con tanta compiacenza da Galileo,
codice vivo di Dio, dimostrino
chiaramente che e' c' 6. A prima vista
si scorge qui la sua grande sfiducia nelle forze delPumana ragione, che reputa da sola
insufficiente a levarsi oltre la sfera
del mondo, per discorrere col suo lume
naturale dell'Ente Infinito e dei suoi attributi divini. Sentesi qui una tal
qual'aura di scetticismo, che gli antichi sistemi risuscitati dal rinascimento,
e tra loro combattentisi, dovevano aver iinito
con ingenerare in quegP intelletti spossati, nelle menti di quei filosofi allora che si stava
compiendo la piti grande delle
rivoluzioni intellettuali, e la riforma si
veniva mano mano estendendo.
Egli, il nostro scrittore, viene qui sulForme del Ficino a professare che Religione e Filosofia son
sorelle, e la prima la maggiore; anzi
-poich^ filosofia ^ Simore e studio di verity e di sapienza, e Dio solo ^
principio di sapienza e fontana di
verity, ne consegue che legittima
filosofia non sia altro che la vera religione. Quindi se la fede non ^ I'unico fondamento della
scienza, pur n'6 engine grande e
primaria; e per di piti, mediante la
sola fede noi ci accostiamo a Dio : imperciocch^ Platone scriva nel Timeo che
dell' eterna essenza non si puo dir
altro, se non che ella ^ cio che e, e che ^ alI'uomo nascosta, iinche pero,
aggiugne Ficino- e il R. in sentenza
cristiana, Iddio stesso non riveli s6
alia umana creatura. Ed ecco il perch^, siccome il Ficino venne a dichiarare che voleva
piuttosto credere divinamente che sapere
umanamente, professando la fede divina
essere infinitamente piti certa della sapienza
degli uomini, la credulity che viene dalla fede essere sempre confermata dalla scienza vera (Epist.
lib. V, p. 1.), esister nel mondo invisibile
le cose vere, e nel mondo visibile
rombi?a solamente della verity; cosi il R.
non isdegna, ma ama la filosofia; pur come
i neoplatonici d' allora, come gik il Ficino, come il Bessarione, voleva
unita alia religione e dipendente da
questa, perche da se sola incapace, la filosofia, a farci comprendere Dio, che essendo Verity perfetta
e il sommo Bene (Cfr. Platone nel Fedro)
noi mortali non possiamo per le natural!
vie afferrarlo, o non riusciamo ad averdi
esso che una nozione o rappresentazione analogica, guardando, anzich^ il padre, il figlio, cioe
le cose belle, vere e buone di
quaggiti. Questi concetti fondamentali
intorno la comprensione di Dio per I'umano intelletto, R. voile esporceli in quattordici sonetti, ne' quali,
in sostanza, e'non fa che riprodurre
quelle esclamazioni e quelle espressioni
di maraviglia che di tratto in tratto ritroviamo ne' suoi Dialoghi filosofici
delta Provviden^a^ magnificando le opere
della creazione ed i portenti che Ella
n' ofire, per risalire ad un Ente che tutte le cose dell'universo ha fatte e ordinate; ed e
questo, a dir vero, non altro che questo
il concetto che sotto varj aspetti ei ci
viene difiusamente ripresentando.
Infatti egli professa che « A
quel sovrano ed invisibil nume Nostro
intelletto non puo mai trar Y ali, »
imperciocch^ non ha pupille uguali a si gran vista « Per jiffisaiie in quell' eterno lume. Ivi fermare il guardo lian per costume Sol r angeliche menti ed imniortali. » {Sonetto 29 del Cod. Magliab. Poesie di
Diversi, p. 234.) E passando via via in
rassegna i regni della natura, minerale, vegetabile ed animale, ascende iino
all' uomo di cui dice: (Sonetto 34 loc.
cit. pag. 239.) (.o7t (I Dialoghi della
Frovviden^a^ edit, dal Turrini; Le
Monnier, p. 385). Indi la ideality, platonica
deU' amore, che il Petrarca traduce cristianeggiandola mirabilmente ne' suoi versi, imitati si ben?
dal R.. II Petrarca infatti, questo
Raffaello nell' arte della poesia, con
generoso ardimento tolse, per cosi dire,
nuovo Prometeo dal cielo, dove Platone guardando lo contemplava, V archetipo della beUezza
perfetta, animatrice di amore; e recandolo, egli cristiano, in sulla terra, per megUo ammirarlo fecelo reale di
una realty non inane nd effimera, nel
volto divinizzato di Laura : « E in
umil donna alia belta divina. *
Personificando in costei vero e buono, bellezza e virtil, realizzava I'idea, ideal^zzava la
reaM. Era un connubio divino che il
poeta deU' amore cristiano cantava, sostenuto da quelle medesime ali amoroso,
da cui fa il filosofo spirituale di Atene, ma purificato dalla religione, eccitato dalla cavalleria. La
religione inalzava ad uguagHanza la donna; come redenta, la faceva rispettabile da disprezzata che ell' era. La
cavalleria la rendeva anmiirabile,
ispiratrice delParti e delle virtii
militari : i trovatori, eccitatrice delle arti di pace e della poesia; i poeti italiani, divina,
potente su i destini dell' uomo cui
conduce alia virtii per la strada deUa
bellezza. II Petrarca non canta perd un amore
che non sente, nd le lodi di una donna che ei non conosce. Egli conosce, ammira, desidera, ama
Laura e per essa risale al cielo; egli
conserva, armoneggia ed innalza 1'
elemento cristiano dei trovatori e dei
poeti italiani nell'ideale platonico del bene e della virttl. fi veramente un' armonia divina, che
incomincia dal cuore del poeta, si
avviva sul volto della donna amata, per
avere il suo compimento 1^ dove senza velo
e confine si ammirano le eteme figlie di Dio! U R. ha piena la mente di queste idee ;
egli ama secondo il concetto platonico e
petrarchesco, e questa teoria egli pure,
mi si passi la frase, viene personificando in dieci sonetti, dei quali piii che
la met^ rimangono inediti ancora ; ond'
io credo mio debito di dame qui un
saggio, ma senza potere affermare in
qual tempo ei gli scrivesse, e se per donna reale o immaginaria, quantunque dall'esame loro mi
paia piii probabile che in gioventii e
per donna vera. Egli in uno de' sonetti
inediti si rivolge alia donna amata con
questi accenti, non nuovi, gli 6 vero, ma
pur delicatamente vestiti: oc
Non di vostra belta caduca e frale, Amo
quel fuoco vil che i sensi accende, Ma
pill a dentro sen va Talma e comprende
Un bello incorruttibiie, immortale. Qoal da »pecchio tersiMirao ed
eguale Da be* yoaif occhi nn non so che
risplende, C*ha deiretemo, e luminosa
rende Qadia forma ch' k in voi breve e
mortale. Non quel che srnonta in un
baleno, e fugge False lustro di ben vo
cercand' io Che pria ne abbaglia, e poi
ne accende e strugge. Ma sj di raggio
in raggio a quel rn'invio Sol che non ha
chi lo ricopra e adugge, E contempl^do
voi, mi volgo a Dio. » In yerit^ che
noi dimentichiamo il seicento qui^ come
pure negli altri sonetti, i quali per6 ci rammentano troppo 11 Petrarca,
imitato talvolta dal R. diremo quasi con
plagio. Per esempio, in questo seguente, pure inedito, in morte della sua
amata, e adomo indubitatamente di gusto
delicatissimo: (C(mL Magliab. Foesie di
Diversi, VII, n* 3). Quella che dal mio
cor non parte mai. Bench^ vederla agli
occhi miei sia tolto, Spesso tra 1
sonno. con pietade ascolto Dirmi : non
pianger pih ch* hai pianto assai. Son
vivi in ciel di queste luci i rat, Che
vedesti languir, misero e stolto, E
bench^ spirto dal suo vel disciolto. Son
quella e t*amo pur quanto t'amai. Dal
tribute mortal libera e franca Quest'
alma attende alle celesti porte La tua,
ch' k senza me di viver stanca. Deh!
vieni, o mio fedel, c\\*k miglior sorte
Qoder V immenso ben che mai non manea,
Che un breve corso di continua morte. it Mi si confessi giusto: chi non sente qui
Tanima del Petratca che inspira? chi dal
seicento non ritoma per questi yersi
alle pure regioni del trecento, ed oblia i trascorsi scapestrati di quella et^?
Non ti par egli ad ogni espressione ti
ritomi sulle labbra quel lamento diyino :
« khimh \ terra h fatto il suo bel viso
Che solea far del cielo E del bel
di lassb fede tra noi ? E come in questo, cosi negli altri sonetti di
amore, de' quali a maggiore conferma di
quel che vo esponendo aggiungo alcuni in appendice nella piccola Antologia
degli scritti di R., i concetti platonici
chiaramente tralucono. Ad illustrazione dei medesimi io preferirei invece di riportarmi alle
parole stesse dal R. adoperate intorno V
Amore nel dialogo decimo deUa
Fromidenza, modello di eloquenza e di stile, e
che valgono a compiere a maraviglia le osservazioni premesse. Ma poich6 ci dilungheremmo qui
troppo, nol fo, e rimando il lettore a
quello scritto gi^ edito, potendo in
questa guisa da se medesimo ritrovare tosto
la verita di quanto io venni dichiarando su questo importante
subietto. Io chiudo per6 ripetendo che
questi versi del Rucellai nulla per il pensiero tenendo del seicento, ti riconducono a' giomi pill belli della
italiana poesia, e ti legano quasi il
trecento col secolo dell' Achillini, del
Marini e del Preti! Sembra F ultimo respiro che in questi versi d' amore trar volesse la musa
Petrarchesca, soffocata, per cosi dire,
in quella gravosa atmosfera. Non cosi
riguardo alle figure, alle imagini ed alio
stile, dir si pud di tutte le altre poesie esaminate fin qui nel loro contenuto o materia. II diffuso
e il cicaleggio accademico trovi sovente frammisto al forte e robusto pensiero; troppo uso di mitologia,
che giudichi abuso, e che ti accenna una
volta di piil 1' et^ del rinascimento imitatrice esagerata dell' antico non
aver ancora finito il suo tempo. Non di rado accanto ad un' immagine mite,
delicata e serena, un' altra immagine
tronfia, rigogliosa e syentata, tolta a
prestito dalla scuola Mariniana ; come,
per esempio, in un sonetto scritto da vecchio, il buon R. confessa di amare sempre, e dice
nientedimeno che arde qucA Etna, senza pensare che neanche le Guardie del f uoco (oggi Fompieri) se
c'erano, avrebber potuto spengerlo con
tutti i mezzi dell' arte loro ; e dopo
soggiunge che arde qucd dgno, senza riflettere alia sconcezza di quelF animale colle penne
abbruciaccliiate sul dorso. Ma in generale nello stile si modera, ed
appartiene, credo, alia seconda maniera
di poetare, alia quale noi accennammo in
principio di questo Capitolo. Percid
quelli de' suoi contemporanei, i quali erano imbevuti deir aria medesima respirata dal R., ma perd
non eccessivamente viziati, levaronlo a'
terzi cieli, pur come illustre poeta, e
il medesimo Redi, il piii puro di tutti,
ebbe lodi lusinghiere per lui. Ma noi oramai abbiamo, dopo il discorso, un criterio sicuro per
ricondurre gli encomj al lor giusto
valore, e per conchiudere che Orazio
Ricasoli R. fu poeta piti imitatore che
originale ; che nel loro contenuto molteplice e contrario le sue poesie, nonch^ nella forma esteriore,
ritraggono fedeli il secolo nel quale
egli fiori, i contrasti del tempo nel
quale egli visse; e che se talvolta sorretto
dalle ali poderose di un grande intelletto che ei prese a duce, il Petrarca, seppe farsi soUevare ad
altezze non comuni; piii spesso perd ei
non potd non lasciarsi sviare dal volo sfrenato de'suoi contemporanei, e non precipitare con essi nel vano, nel
lubrico, nelr eccessivo. delle prose letterarie e scientifiche di orazio rica soli R.. SoxirABio. — La Prosa nel seicento. —
Anche in essa R. veriflca il nostro
concetto. — Contrast! nella natura diversa di questi scritti letterarj, — Si noverano. — Invettiva all'
Ornato (conte Ferdiuaodo Del Maestro) e
air Ardito (Toramaso Segni). — Discorso del Rnoellai nel rendere rArciconsolato. Cicalata sulla lingua lonadattlca. — Scherzo in lode delF Uccello. — Elogio di san
Zanobi. — Versione della Lett&ra di
Cicerone ad Quintum Fratrem. — Critica. — Discorso della Fortuna. — I) suo discorso contro il
Freddo Positivo, — Riepilogo di questo discorso. — Segue il metodo del
Galilei.— Lettero familiari e politiche. Osservazioni. — Suo libello sulla pianta
e rigiro della Corte di Roma. — Disegno
di questo scritto. — Giudizio. Nei suoi
discorsi, nelle sue prose letterarie e scientifiche obbedisce egli R. alia
medesima legge, verifica il nostro
concetto? £ bene ricordare che anco la
prosa di quel tempi fu viziata
ugualmente che la poesia; cio ^ chiaro, imperocch^ gli uomini come pensano,
scrivono; come riflettono, parlano; la parola essendo segno d'idea. I professori d' eloquenza, i predicatori, gli
accademici ed i filosofi mostrarono
allora vergogne rettoriche da fare
sgomento, curiose dicerie, stucchevoli, inani. (GIUDICI, StoTia della letteratura itcdiana, Vol. II,
pag. 261.) Tuttavia, come nel pensiero e nelle condizioni poUticlie e religiose del tempo, gi^ a lungo discorse di
sopra, cosi nelle prose avemmo in quel secolo un contrasto, e non sempre sconsolante, specialmente in
Toscana. II DaviJa nelle guerre civili
di Francia, il Bentivoglio in quelle di Fiandra, Fra Paolo Sarpi e il cardinale
Pallavicino nelle Storie del Concilio di Trento, il Galileo e i suoi numerosi discepoU, il
Redi, il Dati, e molti altri si tennero
lontani dalle stramberie di dizione del secolo, ed alcuni sono splendido
testimonio deir indipendenza del
pensiero italistno, che sorge animoso ed affronta ogni genere di
persecuzioni. Leggendo le prose di R.
varie e diverse per natura, assai bene
troviamo riconfermato il giudizio nostro
sulla intima e profonda rispondenza de' tempi
air uomo, e dell' uomo a' suoiscritti. Accademico della Crusca segue 1' andazzo dell' Accademia, e
chiacchiera in bugnola, e finge inveire
contro questo e quell' Accademico, e cicaleggia sur un nome o sopra un verbo, con quell' ardore col quale oggi un deputato
fa e svolge un' interpellanza per
cogliere in fallo il paziente ministro ; tesse 1' elogio di san Zanobi, il
protettore delr Accademia; discorre sulla Fortuna, fa panegirici dei Granduchi, incensa nelle sue lettere
Cardinali, sdrucciola al solito in indecenze e in equivoci; e poi in quelle stesse lettere ragiona gravemente di
studj, e di scienza ; in quelle stesse
Accademie svolge con gran dovizia di
dottrina ed acume di riflessione subietti
filosofici, facendo tesoro delle tradizioni scientifiche, degl '
insegnamenti del Galileo e dell' esperienze del Cimento ; traduce nel nostro
idioma la lettera moralissima di M. TuUio Cicerone a Quinto fratello, e mette in mostra come i pi'egi cosi i difetti
pericolosi di alcune Corti d' Europa, e quello che piil sorprende, non la risparmia neppure alia Gorte di Roma,
svelando di essa i rigiri, in un suo
scritto iuedito ed incomplete, ma dotto per riflessioni di diritto e politiche,
ritrovato da me nella Filza Strozziana 330"* dell' Archivio Centrale di Firenze. Questo scritto lo avr^, credo, non letto ad
alcuno, come le sue poesie contro le
Corti, o se si, indubitatamente in segreto a qualche fido amico suo,
perch^ seegliloavesse resopubblico, sono
certochene avremmo notizia da'
contemporanei, non foss' altro per le molestie a ctd egli sarebbe andato
incontro. Si vede tosto come questa
diversity di soggetti sia iin accenno
non dubbio di quel contrasto di opinioni,
che tanto nel suo paese, quanto nella mente di lui doveva aver luogo in
quel tempo, in cui, come abbiam tante
volte ripetuto, il mondo antico faceva quasi 1' ultimo sforzo contro il nuovo
che sorgeva in Europa, e che ormai era
impossibile arrestare nel suo moto veloce e potente. Del resto, oltre agli
scritti accennati qui nel loro concetto
generico, e che specificainente nominerd nell'indice delle opere di R.,
sembra esser stato egli I'autore di
qualche altro scritto importante, smarrito ora, o con altri, de'quali abbiamo
esatta contezza, giacente in biblioteche
private. Ma contentiamoci di quel che c' d, ne ritomiamo a' lamenti. Era uso, per esercizio di lingua, che gli
Accademici della Crusca fingessero di darsi delle accuse e delle impertinenze a vicenda, e in queste
finte battaglie non ^ da dire quanto volentieri s' impelagassero. D R., quantunque mite per natura, non rimase
perd dietro ad alcuno nella fierezza delle sue invettive, tanto che in una di
esse, in risposta all' accusa datagU
dall' OrncUo^ ossia dal conte Ferdinando del
Maestro, (il quale con frasi arditissime, e con risonanti periodi accuso
Y Imperfetto, ultimo Arciconsolo nel 22
maggio 1652, come colpevole della pigra lentezza in cui erano caduti gli
Accademici nell' adempimento degli obblighi loro con tanto discapito e vergogna
deir Accademia), fu giudicato aver troppo ecceduto, e che di tante villanie
dovesse con pena condegna pagare il fio.
(V. Diario del Buonmattei, segretario.)
E davvero questa replica ^ ingegnosissima e curiosa, e fatta con arte
fina di molto, e ci fa senapre piii
lamentare che ingegni si eletti stremassero in
quelle futility le loro forze. I periodi e lo stile e la lingua di questo scritto son veramente
ammirabili, se tu eccettui al solito una
tal quale tendenza al tronfio, e quel
dondolare il dettato per troppo desiderio di leggiadria, difetto del tempo rimproverato
anco al Bartoli. Ed ^ percid tanto piii
notevole come di frasi esagerate e di paroloni riprenda accortamente V
avversario, egli che vivea nel seicento,
e non immune da' secentismi, e lo richiami al puro e soave idioma toscano
con tanta religiosa osservanza
da'maggiori custodito. E per dare un'
idea del suo fare nelF invettiva, riferisco
qui la chiusura di questa risposta, la quale ^ degna di considerazione. Dopo avere ben bene
rimbeccato I'accusatore, e dimostrato
che invece di torti egli, r ImperfettOy aveva
ragioni da vendere, e meriti da mostrare
a esuberanza, e Y Ornato d' ogni pregio disadomo, vile, calunniatore e
macchinatore della rovina dell'
Accademia, cosi finisce a lui rivolgendosi :
II lettore sente di quanto veleno
sian ripiene quelle parole, e come per la quanta sua questo scritto sia
modello, tanto che lo stesso Omato si
dolse anche in progresso perche la piil bella
cosa che avesse a que' di fatta il prior R., I'avesse fatta contro di lui. Di altra sua invettiva, fiera atroce e sanguinosa, come place chiamarla al Moreni, abbiamo
notizia solo perch^ la difesa di Tommaso Segni, scrittore, secondo il Salvini, di alta reputazione, e contro cui
quest* accusa di R. era diretta, ci attesta essere stata scritta dal Priore Imperfetto. E da'titoli di
usurpor tore, di sfacdatOj di
stravagmite, di infamatore, che possono formare la corona del piii famoso
malvivente, e coi quali il Segni
apostrofa il nostro Orazio, si rileva
che egli non doveva anco in questa accusa avere scarseggiato di epiteti,
tutt' altro che accademici, in quelle
sproloquio smarrito, e dove davvero la vigoria delrintelligenza,
indebolendo, smarrivasi. Come vuolsi pertanto che occupati quegli uomini, o per
giuoco, o sul serio, a tirarsela giti
senza misericordia e spesso, in quelle
adunanze, dove i Principi stessi, vedendone iltomaconto, intervenivano e
fingevano di ridere ; come vuolsi che
stemprati gli ingegni cosi, alzassero il capo
al di sopra delle mura della citta, e assorgessero al nome di indipendenza, di nazione, d' Italia ?
Se riscuotevansi talvolta contro il vieto e malo governo che di lor si faceva, erano come i garriti di
scolaretti che dicon male, quando non
sente, del loro maestro severo, in quella stanza, su quella panca, e non
altro; che anzi quando il maestro
ritoma, si chetano e ne hanno pitl
soggezione di prima. Non m' intratterro
a parlare del discorso del Rucellai, recitato nel 1651, nel rendere P
arciconsolato in mano del Timido
(Desiderio Montemagni) e pubblicato dal
Fiacchi nella sua coUezione d'opuscoli scientifici (T. XXI, pag. 59) e il cui autografo trovasi
in un manoscritto miscellaneo della
Magliabechiana, segnato N. 1422. E un discorso di non molta importanza, e,
come possiamo immaginarci, pieno di
comphmenti, di scuse, di proteste, di
nullita ec. ec, come ognuno soleva fexe, e R. pitl d' ogni altro per la qualita
modesta, anche troppo, dell' animo suo.
fi scritto anche questo in ottima
lingua, ma con il solito vizio del tempo, il
diffuso, ed un po' di quel rigoglio accademico. E neppure, se non per aggiunger prova alia
mia prima asserzione che 6 come la
stregua a cui ricondurre ogni mio discorso, io m' intratterrd con lunghe parole ad esaminare una sua cicalata suUa
lingua lonadattica, che trovasi nelle
Frose Florentine (Parte prima, Vol. I,
Venezia, 1730) e la cui contraccicalata
fu letta nella Accademia della Crusca la sera dello Stravizzo del 10 settembre 1667. Daro un
accenno di quel che si tratta, per
mostrar anco qui quanto allora, pur
negli scherzi, si mirasse all' esagerato, e si coprisse, quasi
inconsapevolmente, di nomi pomposi la
nullity delle cose, dei concetti, degli uomini, e si cercasse ogni
strada per ridere, e come R. partecipasse anche in cid a'vizj del tempo, e in
ogni verso se ne facesse 1' immagine.
Tra le molte e moltiformi accademie che spuntavano come 1' erba sul suolo d' Italia, e precipuamente in Toscana, in
Firenze, vi era quella de'
Mammagnuccoli, capitanata da Paolo
Minucci, (il Puccio Lamoni del Malmantile). Erano una conversazione di galantuomini (Nota del
Minucci alia stanza 26, cantare 3** del
Malmantile) i quali facevano professione
di sapere il conto loro in ogni cosa, e particolarmente nel giuocare, e nello
spender bene il loro danaro, e d' essere
il fiore della reale e onorata scapigliatura. Avevano un loro capo che si
chiamava I'Abate, dal quale erano
gastigati quando facevano qualche errore
nel giuocare o nello spendere; ma pero tutto
era in galanteria. Le loro adunanze si facevano in casa r Abate, dove si giuocava a giuochi piii di
spasso che di vizio; e si facevano aitre
allegrie di cene, di merende ed altri passatempi. Costoro erano tutte
persone gravi e quiete e della piti
riguardevole civilta, e percio la loro
conversazione si bramava da molti che v' intervenivano ; sebbene non fosse
ammesso a quella veruno che non avesse
provata prima la sua dabbenaggine, e non
fosse stato riconosciuto dall' Abate e da altri suoi consiglieri meritevole d'esser ammesso : la
quale dabbenaggine in un certo loro gergo equivaleva a furberia. Perch^ vi era anche un gergo o parlare
furbesco, noto solo agli adepti, che
riconosceva per padre il Burchiello; ed
era pure in grand' uso fra loro la lingua lonadattica, cosi detta per ironica
ampoUosit^, quasi composta dell' ionico
e dell' attico dialetto, la quale da quel gergo
difFeriva, non essendo composta di parole che avessero in qualche modo analogia con le parole vere
delle cose che si volevano significare,
ma di vocaboh che del vero vocabolo
avevano le prime lettere. Or appunto sulla
origine, bellezza e propriety di questo linguaggio, chiamato dagli
stessi Accademici scioperatissimo, intess^
una cicalata il nostro R., plena, a dir vero, di gaiezza curiosa, e che desterebbe sovente il
riso, se .dalle considerazioni fatte di
sopra, e che sorgono nella mente
spontanee, non ci fosse piii sovente che mai
trattenuto. E anche qui i Principi intervenivano, lodavano, e
sorridevano, e come ! quando per esempio, invece di dire: ioho mangiato una
minestra di miglio brillata, leggevasi: io ho mangiato una minestra di
miUe prelati; voi avete della rosa sotto
il coUare, per dire della roccia; per il
Dante della Beatrice, il Damo della Bea;
la mula delV Arcidiacono per la musica delV Arciduca, ec. Or mi si dica: non
par egh quasi impossibile uno
stranissimo cozzo questo, di vedere un uomo che
sale in bugnola. con tanta spensieratezza e che scherza su tali puerilita; e quel medesimo uomo
illustrar poi le pagine del divino Platone, e filosofare quasi Socrate novello, giusta lo chiama il Salvini? Se la
ragione di ci5 non trovassimo noi nella
condizione dei tempi che aveva preso
sopravvento su lui, di certo saremmo
tentati di ritrovarla, per segtdre la teorica di alcuni fisiologi, in qualche oncia di cerveDo che
egli avesse di meno, al di sotto cioe
del peso de jure, per secemer le idee, e
per fare ordinate le digestioni dei proprj
ragionamenti. Dicesi anche, e il
Passerini ed altri ne fanno menzione, che R. voile pure in prosa dar
saggio delle sue debolezze erotiche, e
della sua ability negli equivoci, in uno
scherzo in lode dell' Vccello. lo ne ho
fatto ricerca, ma non mi e stato dato
imperocch^ autore di questo come di altri drammi fu Giovanni Andrea Moniglia ; e R. non fece
che gli argomenti e le descrizioni in
prosa di ciascun atto ; descrizioni
assai vivaci, quantunque sempre un po' verbose, e nelle quali egli dimostra una
cognizione vasta e minuta della
raitologia. Che egli poi fosse, come si
dice, assai padrone del latino e delle
bellezze di quella lingua apprezzatore
autorevole, oltre 1' accorta interpretazione che nei suoi dialoghi filosofici fa sovente di squarci di
classici, e argomento sicuro la
Traduzione della prima Lettera del libro
1° di Cicerone ad Quintum Fratrem superiormente notata. Ed io ho detto gi^ come
questo esercizio, si proficuo per ogni
rispetto, introdusse R. nel suo secondo
Arciconsolato (1650) tra gli Accademici
della Crusca ; e come il suo desiderio ed i suoi eccitamenti non andaron
delusi. Se devo dar pero il mio giudizio intorno a questa versione, sembrami
che in mezzo a' molti pregi, come la
scelta di soggetto morale, la lingua, la
fedelt^, la eleganza, scoprasi il difetto di
una eccessiva imitazione del periodo latino e del giro ciceroniano, e di quel Lei invece del tu
adoperato, che ti divien quasi ridicolo,
una volta che pensi esser traduzione dalla lingua del Lazio. II buon Canonico
Moreni troppo facile alia lode e troppo inclinato alia scusa, vuole giustificare in cio R.,
notando come appaia che egli con si
fatto signorile trattamento abbia qui voluto conservare la stessa sostenutezza,
che Cicerone uso col fratello suo in questa seria, e quasi rimproverante lettera ; come
se r altezza o propriety, o la bassezza e indecenza del linguaggio stesse nel lei o nel tti, o non
piuttosto nella gravita del concetti che
possono manifestarsi propriamente anco col dolce tUy appellativo con il quale
il Casa monsignore, e il Moreni canonico
si rivolgevano a Dio stesso nelle loro pregliiere,
senza credere, io penso, di mancare a
lui di rispetto. Deve dirsi pertanto come
questa fosse una tra le altre curiose debolezze del prior R., che viveva in quel tempo come
di grandi imprese, cosi di stravaganze e
di capricci fe^ condissimo. Voglio
riportar qui due soli versi della fine
di quella lettera, e che mi si dica se non par di vedere il grave Cicerone comparire ad alcuno
diuanzi vestito con seta, nastri e rasi,
e fare mutatis mutandis un complimento galante a una signora di conoscenza che
incontra, mentre lo stesso monsignor Della
Casa lo vede da lontano e sorride. « Cio conseguir^ ella facilissimamente (ecco le parole) se penser^
che io, cui sopra di ogni altro ha
premuto sempre in dar. gusto, mi ritrovi
di continuo con esso lei e intervenga a tutti
i suoi discorsi ed azioni. Resta adesso che io la preghi ad avere ogni
possibil cura della sua salute, s' ella
vuole che io e tutti i suoi godiamo la stessa, e le bacio le mani. > E Cicerone fatta la reverenza d'uso, se ne
va Via pe' suoi fatti. Del resto, se questa traduzione imita si
brutto costume, allora assai in yoga anco nella Francia, dove appunto nelle Orazioni di Cicerone,
traducevasi la parola Quirites col
francese Messieurs ; ^ poi precipuamente pregevole per il fine morale per cui
essa fu fatta, ed d anco questa una lodevole
espiazione per le mende di disonesta
dalle quali non serbossi immune. scrivendo, il nostro filosofo. Quantunque di
non grande importanza a prima giunta,
ptir mi sembra che questi fatti sieno, a
chi gli osserva con occhio imparziale, di
lume e di prova sempre maggiore, e prendano qui per noi un' importanza che altrimenti non
avrebbero. Non siamo neanco alia met^
della strada; eppure trapeliamo gi^ qual
possa esser la natura della via che ci tocca
ancora a percorrere, e quale la m^ta. Piii c' inoltriamo, e r orizzonte nostro si dilata, ed i colori
della pittura che abbiarao dinanzi
prendono un aspetto vie piti deciso, determinato e perfetto. Dallo stato
fisico, fisiologico e morale noi ci avviciniamo sempre piCi all'intellettuale,
che tutti gli comprende ed informa : noi
vogliamo cogliere il pensiero del pensiero nel R., come filosofo della natura, dell' uomo, e di
Dio. Ed infatti, senza por mano ancora
alia sua macchina filosofica, noi abbiamo in tre scritti suoi piii spiccato il
pensiero filosofico di lui, abbiamo non piii tanto il letterato e 1' accademico, quanto il
ragionatore. Quantunque, come di altri
e accaduto, un suo discorso sulla Fortuna sia rimasto inedito, pure siamo in grado di ten^er parola del concetto che
dovea informarlo, argomentandolo dall' altre opere sue filosofiche, dove appunto della fortuna discorre. Ed
aggiungo anzi che non sarei lontano dal
credere che questo discorso sulla
Fortuna non fosse su per giii se non quello che nel corpo di quel suoi dialoghi sul medesimo
soggetto ritrovasi. Comunque, e da
notarsi che questo discorso egli lesse
a' 20 febbraio 1654, in una solenne Accademia che fu pubbKcamente tenuta nella
Sala de' Bona del Palaz zo Pitti, per
onorare il principe Giovanni Adolfo,
fratello al re Gustavo di Svezia. Arciconsolo
allora era Lorenzo Magalotti (intimo di R.) come ricavasi dal Diario deU'Accademia, e letto da
quello un elegante proeraio, discorse poi V Imperfetto della Fortuna con sottigliezza, novita ed
erudizione piii che ordinaria (Vedi
MORENI, Prose, pag. XX in nota),
mostrando come fecero innanzi il Petrarca, lo Speroni, e molti altri la fortuna non esser che nome
vano in se stessa, e invece sotto tal
nome cui il volgo o pensatori traviati diedero corpo e figura, nascondersi
I'esecuzione del volere divino; e combattendo il caso contro Epicuro, e recando a sostegno de' suoi
pensamenti i pitl celebrati autori
antichi e contemporanei. Conforme poi
alle teoriche Galileiane e coUe leggi
del suo metodo sperimentale e condotto il discorso del R. contro il Freddo positivo. Discorso
ingegnosissimo per argomenti di prova, e, secondo il Dati, mirabUe (Vedi Dati,
Lett, a pag. 69), che il nostro prior
Orazio recito in un' Accademia fatta a bella
posta in ossequio e trattenimento del famoso cardinale Delfino,
patriarca di Aquileia, il quale trovavasi
allora di passaggio in Firenze, e a cui R., lo vedemmo, era legato in amicizia, giusta ne
fanno fede le lettere indirizzatesi
scambievolmente. Non e qui ufficio
nostro il farla da fisici, e per6 non discutiamo sul valore reak delle ragioni addotte dal R.
in appoggio della sua tesi: vogliamo
solamente presentare il disegno di
questo suo lavoro, per dimostrare come
nella filosofia naturale egli, quantunque nel platonismo cercasse di rinvenire armonia con quelle
medesime verity dimostrate dalla
filosofia moderna, in tutto seguitasse il metodo inaugurato dal Galileo, con
cui si rapidi progressi pot6 fare la
scien za fisica, che fu solamente allora creata. Egli dunque voile provare il
freddo essere privazione di calore, contro
lo Smarrito (il Dati) e il SoUecito (il
Capponi) che fortemente mantenevano il
freddo essere positivo e reale. Si fatta questione, ne ricorda il Moreni,
(Prose ecc, pag. XXI) comincio a
ventilarsi nell'Accademia del Cimento
con grave dissenso di vari insigni soggetti,
che la coraponevano, in tal materia, e che tento di risolvere il dottor Giuseppe Del Papa con
la sua celebre lettera a Francesco Redi,
sostenendo che il freddo non e che una
sempKce privazione, ed un mero
discacciamento del caldo, e non gi^ una sostanza positiva e reale come pare la volesse il
Dati, versato assai, del resto, in cose
naturali e di fisica. E il Rucellai, con grande compiacenza, premette come Platone dice, dal.tramescolamento del fuoco
con gli altri elementi nascerne il moto,
e dal moto le generazioni. > E non
solamente per eccitare il caldo nei nostri
sensi vuolsi il moto, ma lo stropicciamento dei calorifici con le parti
sensibili. > Tutti gli atomi, che
non sono calorifici dicogli sieno
frigorifici, e in tal caso solo gli concedo, che 6 il medesimo essere il
freddo privazione del caldo. > Le
cose lisce appajon piil fredde delle rozze, perch^ si turano i passi agli
stropicciamenti degli atomi, uscendo e
entrando pe' nostri pori. > Ci par
freddo il piede, essendo nel letto, e non
la coscia, perch^ il freddo lo consideriamo e conosciamo in comparazione
del pii\ caldo. > 11 secco e il
buio, che sono privazioili, non forman
patimenti, come fa il freddo.
> Si vede, che del fuoco n' 6 tenuto conto, e gli h stato assegnato la propria stanza ; il che non si
vede seguir del freddo ; bench^ dicano
nelle neve, e nel ghiaccio ch' 6 una
minima parte e un accidente dell' acqua.
> L' umido e il caldo esser cosa vera e sostanziale, ma il secco e il freddo esser di loro la
privazione. > Dicono il freddo aver
azione e moto come si vede nelle
sperienze del caldo e del freddo e delli agghiacciamenti ecc. > Scorgesi qui, io diasi,.applicato nella sua
pienezza il metodo del Galilei, ed una
prova novella percid di quel contrasto
di pensieri e dottrine che andiamo man
mano riscontrando nel nostro filosofo.
Che se innanzi di passare alia esposizione e all' esame diretto dei suoi
pensieri filosofici intorno all'uomo, alr universe e a Dio, vogliamo ancor piii
vedere quanta rispondenza ci sia tra lui
e la sua eta, non dobbiamo che gettare
uno sguardo, ancorch^ rapido, non tanto
sulle sue lettere, quanto sopra il suo breve, incompleto, ma pure
importante scritto che porta per titolo: Pianta della Corte e del Rigiro di
Roma. Son dodici pagine in 4*, divise in
due capitoli, il secondo dei quali non
terminato. Le lettere del prior R.
pertanto non destano, per verity, in
generale grande interesse, imperocche
scarse di numero le conosciute, e non aventi una qualit^ scientifica; ma
o accennino all' invio di scritti
scientifici a' suoi amici, o parlino di cose domestiche, o sieno incensate alia bont^ de' Principi suoi
padroni ; nondimeno esse servono a
chiarirci alcun po' delle relazioni sue
con i dotti contemporanei, e delle qualit^ deiranimo suo, e del tempo in cui
alcuni lavori filosofici furono da esso
scritti, e dell' ordine da assegnarsi loro; e qualcuna di esse, diplomatica,
manifesta nell' uomo nostro accorgimento non comune e conoscenza profonda del
cuore umano. Stando alia numerazione
delle lettere familiari, data dal canonico
Moreni, esse non sarebbero in numero
minore di cento; ma pubblicate non ne abbiamo che 36; e io, coU'aiuto del chiarissimo cavalier
Cesare Guasti, ne ho potute ritrovare
alcune altre, 8 o 10, di poco conto
perd, inedite, nella Biblioteca Palatina tra gli Autografi, e nell'Archivio Centrale di Stato in Firenze.
Quelle edite, come bene giudicd il
Moreni stesso, {Prefae, alle Led., pag.
VIII) quasi che sempre conservano un non
so che di grave e di eloquente, e mai sempre
appaiono scritte con facility di stile. Se non che, per dir il vero, in qualche parte scorgesi, ed in
special guisa in quelle al cardinale Giovanni Deliino, una monotonia di sentimenti e di idee, altresi in lui
inevitabili, perdxh quasi tutte aggiransi, con maniere pero varie e distinte, suUe di lui lodi e ordinariamente
su di uu medesimo soggetto. Ed aggiungo
che per istile, che a lettera si
convenga, troppa contorsione e ridondanza
di period! alcuna fiata tu vi ritrovi, non dicevole, parmi, a chi deve tra parenti ed amici discorrere, e
manifestare, tutt' altro che in una Accademia, i proprj pensieri. Nello stile
adunque ritrae del secolo, e nei pensieri anco talora ; sicche quando egli
scende al faceto fiorentino, vedi cid
farsi da lui con isforzo, e non con
quella tanta facilita che riscontri nella propriety del dettato, giustamente encomiata dal Moreni e
da altri. Sul contenuto di queste
lettere sarebbe superfluo intrattenersi, dappoich^ lungo il corso del nostro
cammino ne abbiamo fatto tesoro e ne faremo ancora per illustrare V uomo, gli atti e V opere sue
letterarie e filosofiche. E neppure
minutamente ci fermeremo nelle
politiche, delle quali assai duolci di non avere che due tre, mentre e probabile che altre piii ne
giacciano ignote. Scrive in esse al signor Poltri, allora Segretario delle LL. Altezze in Firenze, e lo
ragguagUa dello stato di Vienna e di Polonia, ed esamina le condizioni interne
ed intemazionali di quei paesi, e piil
specialmente le quaUt^ di quei principi.
Ed ^ notevole, invero, che egli in quel tempo di vincoli al pensiero e
di animi proni all' adulazione dei
potenti, fino a encomiarne le ingiustizie e gli abiti malvagi, dimostrisi indocile a questo
difetto, sicche dimentichiam volentieri
le piaggerie al suo Granduca, e le
eccessive proteste di devozione e di servitii, e conyeniamo anche una volta col Magalotti che
lo appello r uomo piil proprio a forniare un principe (Vedi Palermo, Manoscr.
Pal.^ Vol. Ill, Avvertiinento). Se non
che confrontando le date, rincrudelisce la piaga, dappoich^ osservisi come le piil libere o
meno serve di queste lettere scrivesse
piii giovane, le piCl ligie piil vecchio
; quasi coll' affievolirsi del vigor dell' et^, quelle pure di liberi sensi deteriorasse, o per
timore di perdere protezione, o per altra causa di debolezza li tacesse,
sentendoli uguali, ossivvero scrivesse al suo principe altrimenti da quelle che
avrebbe desiderate. Ed infatti chi ha
letto in quali termini R. protestasse a
Ferdinand© II dei Medici e ad ogni principe la servitii sua e de' suoi figli,
pud scorgere il divario profondo che v' ha nelle condizioni dell' animo suo in quel tempo, e quando cosi scriveva al
Poltri, da Varsavia, intorno alle
qualita del re Vladislao, presso cui era
stato dal Granduca inviato in legazione straordinaria : Noi vediam qui come R. sembri assolutamente
sciolto da qualunque legame, e non guardando
in viso a persona, ne censuri aspramente i vizi e tanto piti gU dispregi in un Re il quale preferisca
V utile proprio al bene del popol suo, o
questo solamente ricerchi, perch6 appunto gli ^ via ad ottenere il proprio vantaggio. Lo che dimostra bene quanto
rettamente pensasse intorno ai doveri di
un principe R., e quanto, conoscendo le
bugiarde apparenze delle corti, egli di
certo avesse bramosia di smascherarle ad utility dei soggetti; e cid vedesi piu
ampiamente nella parte morale dei suoi
dialoghi; ma il volere rimaneva
pressochd inefficace o sortiva un efFetto ben lieve, una volta che ritornato in patria lasciavasi
vincere da miUe riguardi che un uomo
dabbene ma debole co-stringono, se non altro, a rimanersene muto di fronte a ogni abuso. Dove poi nel R. piil si vede spiccare
quel conflitto di sentimenti si 6, rho
gi^ detto, nel suo scritto su Roma. Non
giova riandare le condizioni poUtiche ^ religiose d' Italia e della Toscana
principalmente in quel tempo; ch^ ci sembra sufficientemente aver chiarito tal punto. Giova pero averle in
mente ora coUe quality morali del
filosofo, per apprezzare in lui, amico
di Principi e di Cardinali, quella liberta
di pensiero che sembra scuotere a un tratto ogni giogo, sfidare il passato ed il presente,
protestando contro certi non lodevoli
usi della Curia Romana. Si; protestava
di fatto il filosofo, e la sua coscienza sapeva bene distinguere, quantunque
scrupolosamente cattolico, il principio dagli uomini, la bont^ di un' istituzione ed i vizi di chi la
sostiene ; se non che apparisce che egli
non avesse coraggio di pubblicare tale protesta, e fors'anco quello di
terminarla, sebbene tante verita gli piovessero dalla penna e dall'animo. Sono i due sentimenti che
contrastano in un medesimo uomo, il
sentimento del vero, il sentimento del timore, e il secondo sciaguratamente
prevale. Nel V Capitolo pertanto, R.,
con ampiezza di vedute dimostra : come V
tiguaglianjsa di tutte le condizioni degli uomini, alle pretensioni di Boma fu
sempre giovevole, sinche le dignita e le grandezse furon premio solamente dei meriti e delle virtu, E
nel secondo: come tutti i Governi ove s'
intruda V avarizia e V ambizione rovinano, e quello di Boma con esse piu che
mai si sostiene, E per giungere aUa
dimostrazione della prima tesi egU
osserva, come la Repubblica universale
di Roma ebbe per suo sostegno nel suo istituto originario quel misto
perfetto dei tre stati, monarchico,
Ill aristocratico e democratico,
reputato per la forma piii durabile e
meglio ordinata • di tutti i governi, dove
ella si mantiene nella sua bene accordata armoida, e che r uno stato di essa ben corrisponde, e
serve di correggimento all' eccesso
dell' altro. Ella d questa, si Bcorge
tosto, la teoria stessa di Cicerone e del Machiavelli riprodotta nel suo
genuino significato, 1' accordo della quale pero coll' indole della vita del
Rucellai tutto intento al servizio di un principe assoluto, sarebbe per noi sempre un eninuna, dove non
avessimo la via a spiegarlo nelle ragioni
tante volte, discorse. E soggiunge E ponendo in rafironto cio che di Roma
discorre Quinto Cicerone al fratello, con quello che era Roma in quei di, e alia stretta somiglianza delle
due Rome guardando, soggiunge (notisi,
di grazia, perche qui si ritorna all'
antico) che egli ha voluto registrar cid in
questo luogo perche si conoscc che o sia la postura del cielo, o sia pure la necessity dei
medesimi fini negli ultimi tempi della
Repubblica romana, forse come oggi
adulterati e guasti, hanno come posto i temperamenti conformi, influiscono similmente negli animi
la stessa maniera e inclinazione di
costumi, e nell'una e nelr altra etade s' introdussero e stabihrono nella
Corte di Roma contro la virtil e contro
la piet^ della sua primiera istituzione,
tutte quelle arti che piii si producono dair opere della malizia, che dalla
carita e dalla devozione. Si pud dunque
concludere, che la macchina del rigiro
di Roma stia appoggiata sopra r estremo
del vizio, non sopra 1' eccesso della virtii,
perche qua e talmente raffinata la fraude, che quanto gli uomini sono piti nemici, tanto piii usano
tra loro atti di confidenza, e piii
liberty di tratto. > E le destre che
sogliono essere testimonii di fede, sono
in loro violate dall'inganno, e dalla malizia di farsela 1' un V altro a tempo, e con
vantaggio, e quegli solamente 6 stimato
piii valent' uomo, che pu6 piti. Quindi
avviene che qualunque e reputato uom di valore
nelle altre regioni del mondo, venendo a Roma si perde, trovandosi in
una diflerente scuola da quelle, ove
s'apprende ad esser soggetto grande con le virtuose azioni. Quei dunque, che si mette a vivere in
questa Corte non basta che e' sia
letterato e sapiente, quanto se gli
conviene il saper ben discernere i vizii altrui. Ceda perd alio stile del paese, mantengasi
per sd nelI'arti virtuose, ma assuefaccia I'animo educato ne'buoni costumi a non si scandalezzar de' pessimi. Se
il Bianchi Giovini avesse scritto il rigiro di Roma, credo che avrebbe potuto scriver in questo
modo ; piii liberamente, non giudico.
Egli seguita sempre su questo piede, ed
e cosa ammirabile, senza intaccar mai i
principj, guardando ai vizi degli uomini, e dando cosi una lezione a noi che gli uni cogli altri
tramescolando, condanniamo con maliziosa
leggerezza i primi in un co' secondi,
dimenticandoci o fingendoci di dimenticare
i canoni piii elementari di logica, per non dire di buon senso e di buona fede. Ambizione, interesse private, ipocrisia,
inganno ed invidia, ecco adunque, per
cosi dire, i fili conduttori nell'
intricato labirinto della Corte di Roma per chi vi s' introduce e pretende di avvicinarsi al suo
centre, dappoiche fu distrutto quel
principio d' ordine nell'armonia dei tre elementi dello stato perfetto, e
incominciossi a misurare V ability degli uomini, non dai meriti dalle virtii,
ma si daU- interesse e dal genio di chi
comanda. Ognuno cerca per aggiungere il
suo talento di tener quella via che
stima pitl opportuna, di tener dietro a
quel flip che pensa o vede piu atto a condurlo ; sicche ognuno s'infinge per quel che non ^, e si
maschera dell' estremo contrario di quel
ch' e' si sente dentro nella sua propria
natura. La virtii dunque nella Corte
di Roma sempre adonesta gli avanzamenti
quantunque non abbia parte nell'
avanzare. Evvi dunque una Koma apparente, e
una Roma reale; e R. ve le descrive a meraviglia con una vigoria di
concetti e di immagini, che sembra il
Frate Ferrarese avergli in certi dati momenti spirata in petto la disdegnosa
anima sua. lo rimando, a persuadersene
meglio, il lettore alia fine di questo
libro, 1^ dove ho riprodotto per intiero e
per la prima volta qtiesto libello incompleto, ma pur bastevole perchi^ ci facciamo un' idea chiara
dell' animo di R. intomo al govemo di
Roma, che si fondava, secondo lui, sopra Y ambizione e V interesse private. E
tanto egli era cattolico e distinguevabene
religione da uomini di Chiesa, che questo primo capitolo fa terminare
cosi: II secondo capitolo e breve, non
compiuto, e insieme importantissimo, in quantochd volendo provare come tutti i governi ova s' intruda 1'
avarizia e 1' ambizione rovinano al contrario di quelle di Roma; il R. stabilisce essi vizj essere il tossico che
la giustizia distributiva corrompe e
distrugge, e i fatti antichi e modemi lo
confermano, seguendo le teorie deir
Alighieri professate nel De Monarchia. Intorno
alia nobilt^, espone in un modo determinato come questa giustizia distributiva, senza la quale
riman cadavere, e imperdsenz' anima e senza vita ogni stato, intenda ad uguagliare gli uomini sotto le
leggi della virtii, la quale solamente
pud esser base di differenza tra gF
individui, e non le ricchezze ed il genio, cio^ il capriccio e 1' ingiustizia. Cid espone in
brevissime pagine col solito vigore di argomenti, coUa solita leggiadria del
dettato; ma rimane qui, come si vede, al
principio, almeno in questa copia, I'originale della quale, e chiss^ che tutt' intiero, sar^ forse
con altre cose smarrito o nascosto. Mentre io deploro 1' incompiutezza di questo
scritto,in cui da cima a fondo si sente un' aura dell' dra modema che spira, e
la coscienza deU' uomo per la forza
oltrepotente del vero distrigata un istante daUo scrupolo e dal timore,
protestare contro i vizj o le loro
sembianze; tuttavia mi riconforto nella certezza che il lettore avr^ aggiunto un argomento di piil
a sostegno di quel ch' io scrissi in principio, e che d come il perno su cui gira, pud dirsi, e consiste il
mio librc' * Ad eliminare poi anche
Tombradel dubbio che potesse sorgere, per avventura. sulP autenticit^ di questo
scritto, riporto qui Qui R. non 6 piil I'uoino del Medioevo e del Rinascimento; non ^ piil 1' uomo ligio
all' autorit^; e il filosofo modemo che
evitando gli eccessi del Bruno, riprova
gli scandali del chiericato, ne condanna, per
ainore della religione che ei professa, gli abusi; e innamorato del vero
e della virtil, al pari di Platone,
richiama con severe e giuste rampogne a tornare nella via smarrita lo stesso sacerdote, il
quale, immerso talvolta nello interesse mondano, posterga i principj deir Evangelio, egli del Vangelo e
della carit^ cattolico banditore. in nota, come a confronto, cio che trovo
scritto dal R. stesso, nel suo trattato
della Provvidenza, pag. 368. Tip. Le Monnier. —
« Ed io vi replico esser verissimo die tutte le cose che si fanno fannosi per divino volere; e questo il fato
si h. cio 6, decreto infallibile di quanto ab eterno e' dispose ; ma dagli
uomini per lo libero volere le cose si deterrainano, come dianzi si disse. E
siami lecito, signor Elea. far qui
riflessione sopra cio che avete mentovato
di Roma; come Roma antica, mentre fu appoggiata al valore, al buon costume e alia virtii diquegli animi, si feo
padrona del mondo; ma degenerando da'
suo' principii si spense, perchfe cosi voile la divina predeterminazione per mezzo del libero
arbitrio mal guidato dagli Qomini. E
questa Roma moderna. che fondata su la pieta su la poverty e su I'esempio del
mondo anch' essa signora divenne, mutando
costurai pill che mai si mantiene: manifesto segnale come malgrado de'vizii piii licenziosi degli uoraini la
religione sostiene loro, non essi la
religione sostengono, la quale pero vince ogni regola perch^ ella k forte braccio e onnipotente della
Provvidenza divina. Come ci condurremo quind' innanzi nel nostro lavoro. — 10 Esposizione de'Dialoghi filosofici. — 20
Critica. — Perche si pretermettera la critica minuziosa delle dottrine
filosofiche del Bucellai. — lucertezza
del tempo preciso in cui farono scritti i Dialoghi. — Certo e pero che son parte di mente matura. —
Quattro codici manoscritti de* Dialoghi,
e qaali di essi pud considerarsi autografo. — Parole del prof. Palermo. — Una lettera di R. al
Granduca, intorno air ordine di quest!
Dialoghi. — Noi segniamo, neir esporli, questo
ordine. — Si riporta, e perche, V intero Preambolo ad essi del Bucellai. Quando nei precedent! capitoli si e
discorso della vita e degli scritti
minori di questo filosofo, dopo aver
dato uno specchio generale delle condizioni intellettuali, politiche e morali d' Italia nel secolo
decimosettimo ; a ciascun argomento
facemmo precedere sempre una descrizione pitl particolareggiata di esse,
secondo che appunto il subietto nostro
particolare esigeva. Venendo ora a
discorrere dei Dialoghi filosofici di lui, stimiamo meglio invertire quest' ordine, senza recar
percio verun pregiudizio alia chiarezza
e alio sviluppo logico della
dimostrazione. Imperocchd di gia con sufficiente ampiezza abbiamo
tracciate certe linee che della figura
ci somministrano un disegno abbastanza determinate, sicch^ pitl non vi sia da smarrirla, e non ci
resti che colorirla piii e piii, e
ridurla a compimento maggiore. E pero la
nostra mente condurr^ quind' innanzi il suo
lavoro cosi: stabilito Tordine materiale, e il fine di que'Dialoghi con critica e precauzione,
adoprando in ci5 il finqui messo in sodo
con evidenza da altri; ne esporremo con
qualche larghezza il conteniito, come di
un' argomentazione e de' dati di un problema farebbesi, e indi, fermatili bene, procureremo di
scioglierlo, rivolgendoci ad un esame piii accurato ed attento delle diverse opinioni filosofiche che
combattevansi allora, e ponendo in
chiara luce quel che veramente il Kucellai
ha fatto, quanto e come le abbia adoprate, con quali intendimenti e criterj, ed il posto precise,
per conseguenza, che gli si spetta nella storia del pensiero italiano. Ne
questo disegno esclude aflfatto che man mano
si espongono le dottrine del nostro filosofo e s' iacontran de' punti
cardinali che servono a qualificare il suo
metodo e il suo sistema, noi possiamo farli rilevare, e notarli, e raccomandarli alia
considerazione del leggitore; ch^ poi essi devono trovarsi come di riscontro
alle loro sorgenti generali, apparseci nell' esame del pensiero di quel tempo, e queste e quelle
ricondurci sicuri al punto d' onde
muovemmo, e che nel cammino ci servi
sempre come il centro di un circolo serve ai
punti della sua circonferenza.
Aggiungasi che pel fine e intendimento nostro non importa guari intrattenersi minutamente sulla
critica delle dottrine di questo
filosofo, bastandoci, a mostrarne il suo
eclettismo e scetticismo, di fermar Y attenzione su que' punti che lo appalesano piii, e indi
non ci venga attribuito a soperchio se
oltre I'appendice di cose scelte
letterarie, scientifiche e morali, nello sviluppo di questa parte del libro
intrecciamo la citazione di varj e non brevi pezzi di questi Dialoghi, che pitl fanno all' uopo. Imperocche appunto
trattisi qui di esporre i pensieri filosofici d' un autore, la maggior parte degli scritti del quale sono inediti,
come puo ricavarsi dalla Nota di essi. Cosi facendo, penso inoltre di rispanniare ai lettori quella lunga fatica
che ho dovuta spendere io nello scorrere tutti da cima a fondo questi Dialoghi, che pel diffuso stancano
spesso; ed infine riferendo qui nel mio
Hbro le cose pitl importanti di questi, mentre lo pongono, risolvono, sto
per dire, o almeno agevolano di assai la
risoluzione del problema ; lasciando poi a chi avesse in animo d' intrattenersi
sull' ultimo sviluppo che ebbe il platonismo nel secolo XVII col R., il quale chiude il ciclo
del Rinascimento in Firenze, di recare piii attenta anahsi nei suoi libri su cio ; come ad altri altre cose ; io
per me che considero R. da un punto di vista meramente storico e ne noto, per
tal rispetto, Y importanza, non son
tenuto a quel lavoro di paragone, a quello studio di trasformazioni e trapassi che le dottrine
platoniche subirono dair origine loro conosciuta fino aH^ Imperfeito; lavoro del resto della somma importanza e di
grandissima utiKt^, e che io auguro all' Italia si faccia presto e da uno de' suoi ; e credo aver motivo di
acquietarmi nella speranza che questo
augurio trover^ sollecito il suo
compimento feKce. E per primo il tempo
preciso in cui questi dialoghi farono
scritti, non possiamo determinare a puntino,
malgrado che nolle sue lettere R. accenni ad alcuni di essi che aveva allora, mentre
scriveva, compiuti, o si accingeva a distendere. Quel che bene si scorge (e del resto per noi piii importante),
d che tutti questi Dialoghi sono parto
della sua mente matura, imperocch^
solamente dal 1665 in poi troviamo da lui
uomo adulto fatto cenno agli amici ed al Principe di questi lavori scientifici, intomo ai quali
indefessamente aveva per lo innanzi lavorato e proseguiva ora a lavorarvi.
Omettendo di citare le lettere scritte dal nostro filosofo a messer Giacomo Altoviti, al
Patriarca Delfino ed al Redi, nelle
quali fa menzione or di questo or di
quel soggetto filosofico trattato da lui, e che man mano ricopiato 1' avea ad essi e ad altri amici o
illustri personaggi per mezzo di quelli mandavalo; io, come il chiarissimo
professore Palermo nel Vol. Ill, dei Manoscritti palatini^ daro intorno a questi dialoghi un
qualche cenno, e verrd con un brano di let^era scritta dal R. al granduca Ferdinando II, nel maggio del
1665, a stabiUre 1' ordine (un po' incerto nelle diverse copie) e a conoscere il disegno che I'autore aveva
architettato intorno quest' oper a, che
per mala ventura rimase incompiuta.
Delle quattro copie di questi Dialoghi filosofici da me tutte esaminate con diligenza, la Palatina,
la Magliabechiana, e quelle che si conservano nella libreria privata dei
Ricasoli Firidolfi, le piii emendate sono queste ultimo due, copie entrambe, la prima in
dodici tomi nella massima parte corretta
e aggiustata dall' autore, e che per6 fa
citata dagli accademici della Cru
sca come r originale. La seconda
in quattordici tomi apparteneva a Lorenzo Pucci, e Anton Maria Salvini vi acconcio
di sua mano gli sbagli propri del copista. Gi^ discorrendo della vita
scientifica dell' Imperfetto (cap. Ill),
avemmo occasione, ^ vero, di conoscere lo intendimento acui egli mirava principalmente con questo
scritto; ma era al disegno materiale ^
non inutile il far seguire il preambolo di
R., nel quale espone ampiamente il
concetto primo di essi. Nel primo
esemplare della libreria Ricasoli, pertanto,
i Dialoghi in numero di 65 sono cosi disposti nelle tre viDeggiature. che eseguird volentieri. Le
invio il preambolo, onde si ricava 1'
ordine e la distinzione di tutto il mio proponimento. Dipoi ho stimato bene
lasciare il primo Dialogo contro i sofisti, che serve solamente per
introduzione alle varie opinioni de' Filosofi intorno ai principii della natura, non essendo ripulito ; e mando
il secondo dialogo sopra I'opinione di
Talete Milesio, che tenne r acqua per
principio universale di tutte le cose ; proposizione non molto difficile a
esser trattata. Appresso, saltando il
numero di 25 dialoghi gik fatti, ma non
pienamente corretti, e due o tre a' quali non ancora ho messo mano, sopra V opinione d' Aristarco
Samio, le trasmetto i tre primi Dialoghi
sopra il Timeo di Platone, dei
quattordici che ne ho imbastiti; parendomi che questi trattino, sopra tutti gli
altri, cose molto malagevoli a spiegarsi.
Delia prima villeggiat ura, che 6 la Tusculana, ho da fare due o tre dialoghi
innanzi al Timeo; e dopo uno sopra la filosofia
d' Aristotele, che non ho ancora cominciato. (Vedi conferma nella
Trovvidensa^ Le Monnier, pag. 188, dove
si rileva che questo trattato della Provvidenza va dopo il Timeo) E appresso ne vengono sedici
dialoghi sopra r opinione d' Epicuro,
che ho messo insieme, ma non ancora bene
ridotti ; e diciotto contro il medesimo Epicuro, della Provvidenza divina, che
gli ho finiti, ma non messi al polito.
Della seconda Villeggiatura, «h'^ r
Albana, dov'entrano dialoghi della natura dell'anima vegetativa e della sensitiva, compresa da
molti dialoghi di notomia, gli ho tutti
distesi, ma non rivisti; e ne ho da fare
due di pianta sopra Tanima ragionevole.
Delia, villeggiatura Tiburtina, ch'd 1' ultima, la quale contiene materie morali, ne ho fatti
parecchi, ma ne avrei da fare
altrettanti. Vero e che ho repertoriato
ogni cosa ; e se ho tempo e quiete, che mi viene interrotta spesso e
dalle cure familiari, e dai disastri della
casa, che mi tengono in liti continue, spero in diciotto mesi o due anni ridurre ogni cosa al suo
termine. Ci trover^ delle cassature e
delle rimesse, qualche errore d'
ortografia, per la rarity che abbiamo di copiatori che intendano. > Cio nella lettera. Ma il
suo proposito, negli otto anni che sopravvisse, non gli venne fomito; lasciando, come si ^ detto, alcuni
dialoghi senza 1' ultima mano, alcuni
ammezzati, e quali poco nulla fuori il
disegno. E quanto alia lor disposizione,
parrebbe anche questa, aggiunge il professor Palermo, non fosse in tutto fermata. Poiche nell'
originale i dialoghi contro Epicuro seguono i primi sedici ; onde noi gli abbiamo allogati anche cosi. Ma nel
dialogo XXII si rammenta il Timeo, come
discorso dinanzi; e il Timeo vuol prima
di sd i quattro dialoghi intorno alle
matematiche. E forse pero nella copia Pucci ai primi sedici attaccansi questi, in tre, e quindi il
Timeo; e nella copia Palatina il Timeo
senz' altro avanti ai Dialoghi contro
Epicuro. lo pure nel discorrere terrd
quell' ordine come il pitl logico e
naturale, e vi porrd tutta la cura ch' essi
meritano, poichd, quantunque vi sia del mancante, pure bastano a costituire un importante e
quasi compiuto edificio, e a rappresentarci intiero il sistema ed il metodo di questo filosofo toscano. N^ ^ meno utile, com' ho gi^ detto,
premettere qui per intiero il preambolo
cheva in testa ad essi dialoghi, e che
ci dimostra con maggiore chiarezza r
obietto principale e nobilissimo loro. fi un' orazione toccante quant' altra mai e di bellissima
lingua, che varr^ a riposare,
ricreandola, la mente del leggitore, il
quale pure da essa potra fin dai primi periodi rilevare la natura deUa filosofia che R. vuole
insegnarci. Dietro alia meditazione dunque della virtii, io mi ridussi, siccome voi vedete, sotto '1
benigno, e salutifero cielo di questo novello Tusculo, dove 1' orribile rammemorazione sfuggendo, e' rischi della
mortifera pestilenza, che poc'anzi
incominciata a Napoli, o per la
corruzione dell' aere, o pe' venti, che dalle parti Orientali soffiando, seco ne la portaro, s' e
nella citta di Roma miserabilmente
appigliata, nulla dimora parve agli
occhi miei piii gioconda, n^ piii sicura, e piii lieta di questa, ne cotanto in si spaventosi tempi
per le nostre speculazioni appropriata.
Vennemi qui subito in mente di quelle
cotanto feconde, che M. TuUio ci fece
gi^ sopra di questa virtii in quelle torbide congiunture delle soUevazioni civili, e si al medesimo m'
accinsi, forse con troppo animo, anch'io
per I'amenita, e per le solitudini di
queste ville, desiderosamente cercandola. Ora nel levare, ch'io feci degli occhi
al cielo, mi ricordai di quanto ne
ammonisce il nostro Poeta: « Chiamavi
il cielo, e intorno vi si gira,
Mostrandovi le sue bellezze eterne. »
> Percid mi misi a guardar fiso d' intorno a questo nostro Emispero, e oltre agli stupori, che di
lassii in varie guise agli occhi nostri
lampeggiano, volt^mi a basso, e posi
mente alle innumerabili creature, onde
si vede la terra a maraviglia ripiena. Qui considerai con qual ordine, e magistero elle sono dalla
virtuosa, e poderosa mano guidate della
Provvidenza suprema, ch' elle paion
fatte tutte per noi, e come dalla loro
ingegnosa architettura apprese lo intelletto umano i piii industriosi esempli, e coll' imitazione
della natura fecesi maestro dell' arti,
talmentech^ i' mi rimasi siccome attonito a prima vista, e adombrato da una
virtii si grande, che da 1' essere a
tutte quante le cose, e reputaila in
ogni modo per 1' oggetto piti proprio delle
nostre meditazioni ; imperocche mi si fe' innanzi per ricordanza quel che il Timeo ne insegna,
cioe, le infinite bellezze, e maravigliose di questo mondo visibile, essere lo specchio di quelle piii perfette, e
piii ragguardevoli, che sono nel mondo intelligibile raccolte insieme, anzi nello intelletto divino per
guisa, che sovvenendomi di que' versi :
« Quanto per mente, e per occhio si gira
Con tant' ordine fe', ch' esser non puote Senza gustar di lui, chi eio rimira; » mi fissai in esso quel piii, e credei senz'
alcun fallo da si ammirabili e da si ben
regelate fatture, qualche sembianza
della ragione universale agevolmente comprendere, di maniera che io pensai di
accenderne in me un certo lume pitl
spiritoso, e piii vivo per additame a voi le forme pitl simili nella virttl, e
con esso lei mettervi sulla via maestra del vivere ; ma appena i' volli ne' segreti profondarmi della
natura, e di Iddio, ch' io immantenente
rimessi 1' animo, e quanto pitt nel
pensier mi stendeva, quel pitl m'accorsi la virttl, ch'egli hanno in s6, vincere ogni sentimento umano, e
vie piii di riverenza esser degni, ch'
agl' intelletti de' mortal! in verun conto proporzionali ; anzi e' mi parve
miracolo, che noi possiamo cogli occhi distinguere, ed abbracciare coll' inmiaginazione 1' ampiezza
di una tal macchina, non che noi
dobbiamo intendere con qual concerto
ella si govemi, e lo spirito, che dentro la
muove, e impercio Dante, che in prima ne invitd alia contemplazione del cielo, ce ne modera poi
I'ardimento, dicendo : « Perche
appressando s^ al suo desire Nostro
intelletto si profonda tanto, Che retro
la memoria non puo ire. » riflessione veramente proporzionata ad un uomo; 1' altra e d' Apollo, o di
chiunque si sia : € Cognosci te stesso,
> che era scolpito in fronte al famoso Tempio di Delfo ; proposizione
divero, e ammaestramento degno di un Dio: e '1 medesimo Socrate, il piii savio per awentura di tutti gli uomini,
a tai fondamenti appoggid la sua vera scienza; perciocch^ stracco dagli studj meno che utili delle cose
naturaU, in ch' e' conobbe poco, q nulla
potersene approfittar r uomo, tutto alia
cognizion di sd stesso si diede, ciod a
dire, alia Filosofia Morale, ch^ egli ebbe per irreprobahil dottrina, e per V
unico oggetto, e pel giovevole dell'
intelligenza umana. Verremo pertanto con amendue le sopraddette proposizioni i
nostri presenti trattati regolando ; ravviseremo in prima la fallacia
della Filosofia naturale, onde molti si
danno a credere d'intendere quel che per Io pitl e' non son capaci d'
intendere. Quindi al frutto discenderemo delle morali, facendoci dalla
costituzione dell' Uomo, e delle quality,
e degli strumenti, che Io compongono ; imperocch^ con tal ordine procedendo, dalle azioni pitl
brutali de'sensi, riconoscendo voi
stessi, salir potrete di grade in grade
alle pitl sublimi dell' intelletto ed all'altezza gloriosa della virttt, onde 1' uomo s' illumina, e
conservasi tanto piii simile a Dio.
Incomincieremo percid domani a discorrere; e perch^ le giornate, che son
lunghe, e Tore calde ne obbligano a
qualche lodevol trattenimento, a niuno
piii profittevole repute potersi donare il tempo, nd scegliersi materia che pitt di questa all'
et^ vostra sia confacevole ; oltre che in si calamitosi tempi godono le nostre
vite sicura franchigia in questo aere
salubre dalla pestilenziosa mortality., che Roma atrocemente distrugge;
nelle cui miserie ogni tribunale, ed
ogni pill fruttifero studio senza giudici, e senza contradittori rimaso,
e si senza maestri, o discepoli, ogni
arte, e ogni Accademia oziosa lasciata; i pitt litterati uomini in tutte le pitl nobili professioni
sotto si purissimo cielo a loro salvezza rifuggiti si sono; dove noi in conversando con loro, ed or I'uno, or
I'altro scegliendo per si deliziose gite
de' tesori di questa, e di queir altra
scienza per bocca loro faremo raccolta,
e perfettamente ammaestrati ne diverremo; e 'n fra gli altri D. Raffaello Magiotti, che con esso
noi qui ^ dimora, fia il nostro Socrate
sapientissimo in tutti i discorsi, il
quale ben sapete essere insigne e nell'uno
e nell' aJttoo idioma ftreco, e Latino, maestro perfetto di Geometria, ed esimio in tutte le antiche,
e modeme fildsofiche speculazioni, il
cui chiarissimo ingegno in si alte
materie, pitl che I'autoritib de'nomi le sperienze convincono, e V evidenza
delle ragioni. Qaal concetto abbia della scienza il Bucellai, e soe
diiferenze da Flatonc. — Quali erano,
secondo R., i fondamenti del sapero, i
criteij e il metodo. — Varie opinioni sai principj passivi delFuni ^
verso. NecessittL, noli ' esaminarle, di
spogliarsi da qualunque preconcetto. — Gaida e fine deir esame la sentenza
socratica « Hoc unum scio quod nihil
scio. » — Sfiducia del Bucellai nelle forze dell* umana ragione. — II perche di qaesto. — II
probabilismo accademico si scorge qui
fin da* primi passi ; e la fede come ancora di certezza, e di salate. — Talete Milesio o dell'acqua. — Anassimene o
dell* aria. — Graclito del fuoco. —
Galileo. — Empedocle o i quattro elementi. — Parmenide o d*uno eterno. —
Anassimandro o dell* infinite. — Necessity
deirinfinito. — II finite non e privazionc di questo. — Cartesio, o Tidea dell'infinito prova della sua realty. —
Dato ruomo finito, convien ammettere
l*ente infinite. — E questo secondo argomento il Bucellai tiene per piti stringente di quelle
del Gartesio. — Ma si 1* nne che Taltre
sone argementi prebabili. — Anassimandro e della luce.— Galileo. — II Bucellai nen nega 1* influsse
degli astri sal mendo e le cose umane ;
combatte per6 1* astrologia. — La Genesi, sant*Agestino, Dante e 1* opinioni di Anassimandro e Galilee
suUa luce. — Platooe, la luce e 1* anima
dell* universe. Ma ^ tutte un pud
easere. — Anassimandro o de*celeri. —
Zenene ed altri filesofi. — Si conchiude
coll* « Hoc unum ado quod nihil ado » di Sucrate. — La fede. 11 R., come tutti i filosofi, vuole
esaminare i tre obietti della scienza,
Fuomo, runiverso, Dio. Incomincia daj mondo, passando in rassegna le
opinioni degli antichi intomo a' principj
di esso naturali, guidato dall' aforisma
« quest* uno io so che nulla io so » e dalr autorita. E sul punto di prender le
mosse per questo viaggio, egli infrena, per cosi dire, i destrieri della fantasia, perchd questa non lascisi traviare
dalle apparenze, e pel troppo desio di sapere, non cada in presunzione smodata, ne, giusta V ammonimento
platonico, 0, per dir meglio, di Socrate, la scienza sia confusa colla
opinione; o, peggio ancora, questa pigli luogo
di quella appresso colore che vogliono intendere tutto alia rinfusa e senza scelta veruna, e quello
pure che non d da loro, n^ a' proprj
intelletti proporzionale. E a ragione
Socrate discorrendo della opinione che, al
contrario della scienza, giudica le cose per quel che a lei dettano le immagini e il sogno,
chiamavala una certa demenis^a dell'
anima, imperciocch^ mentr' ella s'
ingegna di giungere al vero, fa si che V intelligenza prevarichi, e per lo piii determini il falso
; anzi, se pure il vero determina, cio
fa ella per caso, talmentech^ se scienza
fosse 1' opinione, la scienza consisterebbe in apporsi. Ond' 6 che per riparare
a cio, i primi sapienti della Grecia
(detta da Diodoro Siculo la scuola del genere. umano) aprirono una via maestra,
la dialettica, per la quale il naturale
discorso, non a benefizio di natura, ma si camminasse sotto 1' indirizzo della
ragione. il notorio come nella dottrina
di Platone si distinguesse la fede, la scienza e 1' opinione, e come
secondo Platone la scienza consiste nel
giungere agli universali, cio^ alle idee che sono la essenza intelligibile delle cose ; essenza intelligibile delineata
coUa definizione^ e secondo cui si pud giudicare con certezza delle cose stesse. La opinione invece consiste in
un giudizio piii meno probabile secondo
le apparenze deUe cose, piuttostochd
secondo Fidea loro. La fede 6 un giudizio
secondo Fautorit^. Ora R. pone
queste distinzioni platoniche, ma senza
seguime la dottrina, perchd quantunque egli pure ponga la scienza nel conoscer
le cose in s^ stesse mediante le idee,
nega che si possa mai giungere alia
certezza se non mediante la fede ; talch^ la scienza per lui diviene scienza o certezza nella fede
; da sd sola non 6 che opinione piii o
men probabile, o doxa, EgU esclude
solamente le matematiche, le quali, a
parer suo, ci recan certezza. Ma ^ notabile anche in tal parte com'egli si allontani da Platone,
il quale anzi poneva le matematiche in
secondo luogo, dando il prime luogo alia
scienza delle essenze o degli archetipi etemi, e alia scienza che vi conduce,
ciod aUa dialettica. Finalmente vuol
notarsi che, secondo Platone, la sola fisica non pud uscire dai confini
della probabilita : mentre che pel R. non
pud uscirne la metafisica e la fisica,
ma soltanto la matematica. A Jeracio
poi, sofista interlocutore, che esaltando
la autoritit del sommo dialettico Aristotele, dichiara infalUbile, e i dettami di lui come oracoli,
si che asseveri tutto per la dialettica e perd per Aristotele poter sapersi, e
comprendersi le cose di quaggiil e quelle
anche di sopra, il sacerdote Magiotti, guidator de' dialoghi, oppone che
quantunque il filosofo di Stagira sia
grande, e dette abbia grandissime verity, pur le cose da lui proferite non son tutte vere; e
soggiunge come r eccesso della fiducia
proveniente dalla logica meni a
disordini gravi, se ci si arroghi d'intendere quello che ^ racchiuso nella intelligenza divina, e
che il piccolo seno deUe menti nostre non cape; quantunque il discorso per quest' arte si elevi all' alta
contemplazione divina ; ma altro, pel R., d contemplare e il toccar coUa mente le cose superiori, altro
d lo intenderle ed aveme possesso. Di
guisa che anco pel R. la filosofia sarebbe scienza delle ragioni supreme delle
cose. Ma ognuno di gi^ si accorge della
sfiducia che il filosofo fiorentino sperimenta e professa intomo alle forze deUa umana ragione ; intravede subito
che malgrado abbia R. presi a guida i due noti aforismi sulla indagine della
verity, pure nel suo procedere innanzi
ha sempre tese le orecchie alia placida armonia della sua fede, in cui spesso
lo vedremo quietarsi, a mano a mano che
egli procede tra i rumori discordanti delle opinioni e del dubbio. Vuole
avvertirsi ancora come R. non distingua quello che i Platonici tutti distinguevano, e segnatamente Proclo ;
anzi quello che d pur necessario
distinguere secondo la verita dei fatti,
cio^ tra dialettica di Platone e logica d'Aristotele. La dialettica di Platone
d la scienza dell' idee archetipe o
universali, a cui si giunge per contemplazione, discemendo Fidentico e il
diverso. Invece la logica d'Aristotele
espone le leggi formali del nostro
pensiero. Quindi mentre la logica di Aristotele, considerata da s^ sola,
pud servire anco al sofista, la dialettica di Platone no, perch^ consiste nel
cogliere la genuina idea delle cose. Si
pud errare secondo i Platonici, ma perchd non si contempla bene abbastanza,
come si pud errare dal fisico non osservando con esattezza i fatti ; ma la
contemplazione come 1' osservazione non possono per s6 medesime condurre all'
errore. E tanto poi ^ voro di questa
sfiducia di R. che per bocca del
Magiotti, in quel tempo nel quale il
Galileo, suo maestro, creava la fisica, e il Cartesio riportava una non
piil udita vittoria sulle scoperte delTanima, dice: E conchiude
queste che io con Toce militare, ma significativa, chiamevQi parole di
consegna, dicendo che la vera filosofia
non consiste nell'imparar molte cose, nel saper tutte r arti ; ma e' la riduce solamente alia
cognizione di sd stesso, e a quella vera e irreprobabil proposizione di Socrate
: « Quesf uno f so che nulla iosoE nel muoversi
dubbi a vicenda nelle prossime conversazioni, dice consistere la giusta
maniera per ritrovare la vera ragione
delle cose, e non affidarsi aUa sola autorit^ nei maestri. Sfiducia adunque o fiducia limitatissima
nelle forze della umana ragione, la
consapevolezza della propria ignoranza,
1' universale consentimento, I'esame, e soprattutto la Fede^ sono le Encore di
salute dell' umano sapere, i fondamenti di
esso per R. ; V autorit^ umana una riprova probabile di verity, Y autorit^ religiosa il porto dove ogni tempesta del
dubbio si calma, ed ogni nube d'
ignoranza sparisce. Vediamo intanto com'
egli osservi questi criterj, ed applichi questo metodo alle indagini sue., Deposta qualunque maniera di anticipate
giudizio a favore piil di una che d' un'
altra opinione, e di che prega
caldamente gli ascoltatori, R., col Magiotti, si fa da'primi principj che gli
antichi opinanti attribuirono alle cose
natural!, non dal lore principio agente,
cio^ dalla Cagion Primaria, dispositrice di tutte le cose, increata e senz' altre origini che
da sh stessa ; imperciocch^ di questa
per quella guisa che ne hanno speculate
i grandi uomini, faveller^ in piii appropriate
luogo ; ma dai principj materiali che essi appellano causa passiva, conciossiachd dalla cagion
prima ricevono tutti la lore impressione. Ed in sedici Dialoghi, ch' io chiamo fisid, (e, si noti, non gi^ nel
significato di scienza sperimentale,
come oggi si prende, ma nelr altro antico di speculazione filosofica intorno ai
principj delle cose), riferisce le molteplici e diverse opinioni intorno a cio professate dagli antichi
filosofi, con questo intendimento che cio^, mostrando le ragioni apparenti che
militano a favore di questa e di quella sentenza si fra di loro contrarie, e
facendo si che, una per Tina a tutte
quelle opinioni, per le ragioni probabili clie le sostengono, inclinino gli
ascoltatori; se ne deduca per
conclusione finale la verity di quello aforisma socratico, e, come il gran
Vecchio faceya, cosi noi in quella specie
di scettico ondeggiamento, lo poniamo a base e a pietra angolare del nostro
sapere. Ella ^ questa, come ognuno si
accorge, del trattato filosofico di R.
una parte negativa. E di Talete Milesio
per prime discorre, come di quello che
pensd incominciamento universale della
natura esser I'acqua, in cui gli sembrd tutte le cose si disciogliessero ; imperciocch^ I'acqua
assottigliandosi in yapori finissimi aria si facesse, e pigliando corpo visibile se ne formassero le materie
piii dure, divenisse terra, e fino si
convertisse in sassi. E poi, perch^
osservo tutte le semenze delle cose esser umide, tutte le diverse specie e composti degli
umidi fossero sotto il genere puro,
semplice e universale dell' acqua, e il
fuoco stesso avesse bisogno dell' umido per mantenersi, perch^ non la quantita
e 1' eccesso dell' umido, ma la quality,
in proporzione di loro essere, ^ quella
che le suddette cose in vita sostiene. Ed aggiunge il Magiotti, come anche Zenone, il capo e
maestro degli Stoici, tenesse per fermo
che Iddio per s^ in ogni natura convertisse I'acqua, e che egli come virtii
prolifica di tutte le cose nell' acqua risedesse : adunque I'acqua era creduta da lui il cominciamento
materiale e passive del tutto,
perciocch^' Zenone osservd ogni misto
nella sua putrefazione risolversi in una massa, nella quale ^ manifesto al sense che predomina 1'
umido; e sembra di piti al R. ricavarsi
dalla stessa Genesi la prima generazione
dei corpi misti e viventi farsi dalla
virttl vivifica di Dio posta suU' acqua. Anzi alcuni de' primi dottori della Chiesa, san
Giovanni Crisostomo, Agostino, Procopio,
seguiti dal Pererio, il luogo del
Genesi, ove si dice che lo spirUo del Signore si trasportava sopra le
acque, espUcano cosi, cio^ che una
virtii divina e vitale disponeva le ^cque alia concezione e generazione
delle cose. Adunque (dice il Rucellai) tennero anch'egUno che Domeneddio,
primo agente, si valesse dell'acqua, si
come prima e comune materia passiya, ove s' imprimessero tutte le diverse forme. E accennate con precisione altre fra le
opinioni di Talete e Zenone intomo all'
altre cose deUa natnra, e osservato come
Talete negasse il vuoto, e come Zenone
quant' alia terra abbia detto cose che mirabilmente ai nostri sensi s' acconciano, espone il nostro
filosofo la dottrina di Anassimene,
seguita poi da Diogene, che fa deir aria
il principio naturale e causa passiva di
tutte le cose, come quella che d per tutto e prima dell'acqua che di essa componesi, riferendo i
dati di possibilita che dall'aria, come
I'acqua, cosi le altre cose per mezzo di
questa divengano, si che per le ragioni
che Anassimene ne porta sia giocoforza, dice
il Magiotti, che ne' sensi di lui si discenda, abbandonando Talete. Pare
da non lasciarsi sotto silenzio come R. prenda un po' all' ingrosso queste
antiche dottrine. Secondo gli Jonici e secondo Eraclito, il primo principio delle cose, acqua, aria,
fuoco, non sono gi^ r aria, 1' acqua e
il fuoco quaU appariscono, ma un intimo
e occulto principio che in tutti gli elementi si tra^orma, e che pitl si manifesta in cio che
a noi apparisce essere o acqua o aria o
fuoco. E qui riferisce pure il pensiero di Anassimene intorno alia struttura
dell' universe, E all' Imperfetto che
esclama : il medesimo Magiotti
socrMicamente risponde : Ed Eraclito
fu quelle che ebbe si fatta opinione,
cio^ dal fuoco incominciarsi ogni cosa e nel fuoco tutto dissolversi ; e 1' acqua e 1' altre cose
credette esser pezzetti e corpusculi di fuoco insieme congiunti. Mi si conceda fermare il pensiero un poco su
questa opinione del Galileo riferita dal R.. Essa, per quahto noi sappiamo, non trovasi nei libri di
Galileo stesso, ma sembra una ipotesi
che il grand' uomo ponesse innanzi ragionando cogli amici e di^cepoU. II qnal supposto ci riesce confermato dalle seguenti
parole del R. : Inoltre 6 molto singols^re che in questa ipotesi Galileo precedeva i modemi
sostenitori deir unit^ delle forze
fisiche. Ma con quanto ritegno il
feujeva! aggiungendo solo che questa non gli pareva piii inverosimile di tant' altre opinioni
spacciate fuori per vere : e non osava
chiamarla, non che vera, verosimile. II R.
aggiunge, come Galileo al padre Campanella,
il quale consigliava il gran matematico a metter fuori certi suoi pensieri come una nuova e ben
fondata filosofia, rispondesse : che non voleva per alcun modo con cento pitl proposizioni apparenti delle cose
naturah screditare e perdere il vanto di
died o dodici sole da lui ritrovate, e
che sapeva per dimostrazioni esser vere.
E tomando al nostro R., egU argomenta con questo tutte le cose farsi per
via del moto o del caldo, poich^ il caldo si produce dal moto, e il moto si
eccita dal fuoco (materia sottilissima
che 6 per V aria e penetra per tutto) e
anche la stessa terra, come anco i modemi
pensano, dice il Magiotti, riceve dal fuoco suo intemo lo impulso onde salgano i vapori per I'aria.
Dichiara indi, esponendone le
probability, come Parmenide, per render
conto dell' apparenza dei sensi, la quale basa
sopra una maniera costante di rappresentarsi le cose. tenesse anch' egli
il fuoco etereo principio della natura,
perd anche la terra. E cosi di Empedocle di Agrigenfco il quale riconosce in un modo espresso
quattro elementi, la terra, Tacqua, Faria e il fuoco: e il fuoco, come agente della produzione, esercita
secondo lui la parte principale. E il
Magiotti ne illustra si bene la
ragionevolezza dell' opinione, che i suoi interlocutori abbandonato Talete, Anassimene ed Eraclito,
nella sentenza di Empedocle sono costretti di convenire. E questo artificio
dialettico, si stupendamente adoperato da
Platone in quel dialoghi, dove via via esclude le diverse opinioni,
senza esprimere una conclusione positiva,
e maestrevolmente, parmi, seguito del pari dal Rucellai in questi
dialoghi, all' obietto che ho dichiarato.
E, indi, tornando a Parmenide, e discorrendo delr unico principio, ciod
dell' una eternOy dice, iUustrando i
concetti di lui, che il non essere non potrebbe esser possibile, che ogni cpsa esistente e una ed
identica, che pure cid che esiste non ha
punto principio, che egU 6 invariabile,
indivisibile, e che ogni movimento 8
cangiamento 6 una pura apparenza. E cosi quantunque abbia egli ben presupposto
un principio unico, immobile, eterno, tali attributi non d^ poi cui si
convengono, poich^, dice monsignor Limeo interlocutore, non si pud negare che non ci lasci luogo
Parmenide a salire un po' piii in su, e a presupporre un' unit^ superlativa e
assoluta, che non ammette in sd stessa diversity anco insensibile, e un' immobility perfetta,
semplicissima e mai sempre costante ad un modo che in s^ non abbia movimento alcuno, avvegnachd per lei
tutti i moti e tutte le operazioni dell'
universe si tacciano, ed abbiano essere
e vita. Scende poi al sistema di
Anassimandro che ripone nell' infinite
il principio delle cose, e al figUo Luigi, che dice dell' infinito essere
impresa vana il farellare, poicM non
potendosi intendere, 6 gran segnale ch'ei
non si dia, risponde il Bucellai col suo Magiotti che gli ingegni umani non sono adequati a tutti i
possibiliy e che percid il non
comprendere una cosa non ^ per noi prova
che la non ci sia; come anche in questo
caso altro si 6 il conoscere quel che ^, e come e'ci sia r infinito, altro s' egli 6 : e mentre la
prima inda^ gine a noi mortali rana
riuscirebbe, la seconda e agevolissima ad effettuarsi, per modo che sia
giocoforza il confessar3 che per
necessity T infinito ci sia. Da questa
conclusione di R., apparisce come egli
attribuisse forae alia ragione la capacity di giungere alia certezza solamente in qualche cosa. In
qual cosa? Nell' aflfermare che Dio c'
d, che c' ^ il mondo, e che noi
esistiamo ; negando poi alia ragione di poter sapere per sd sola, fuorch^ con
opinioni probabili, quel che siano le
cose del mondo, e I'uomo, e Dio. Ma per
quello che riguarda le dottrine di Anassimandro, R. ricorda come quel filosofo
dicesse che 1' infinito e la sostanza prima, contenente tutto in s6 stessa, e in cui avvengono e
produconsi i cangiamenti perpetui delle
cose; come dall' infinito si dividono i contrarj per un continue movimento,
nello stesso modo che essi ritornano a lui.
Tutto ci6 che d contenuto nell' infinito va soggetto a cangiamento, ma d immutabile egli stesso. E
cosi si confonde 1' infinito agente
colla materia per Anassimandro, e, come per lui, anco per altri filosofi
antichi e recenti. Mentre R., quantunque dica
r infinito non potersi intendere, perch^ non ha proporzione col finite,
e quindi doversi contentare di assoggdtare lo inteUeUo a tenerlo per fede, ei
lo distingue bene e ferma il finito non
esser privazione dell' infinito, sibbene solamente il nulla infinite o finite ^
incompatibile coU' Ente infinite, si
come Y Ente finite o infinite ^ incenipatibile eel nulla infinite. E ci5
dimestra cen eleganti parele ; ceme pure dimestra centre Anassimandre, scerdandesi alquante dell'intendimente
negative a cui mira in questi DicHoghi
eel sue metede di successiva
eliminaziene, dimestra, ie dice, geemetricamente la impessibilit^ che 1' infinite asselute si
cemunichi alle cese finite e che ci
siane due infiniti, applicande alia
dimestraziene la terza prepesiziene del trattate di Galilee su i meti unifermi.
E in sentenza platenica seggiunge pei ceme tutte le cese finite e le lere
perfezieni si staccane dall' infinite,
cied da quel perfettissimi esemplari etemalmente lecati nella mente di Die,
createre perd della materia dal nulla, e
che raccoglie nell' atte prime, ciee nel
prime cencette dell' epere sue, una virtii
seminale e ideale, ceme direbbe Platene, di tutte le cose fatte, quante in petenza di farsi. Vedesi con quanta chiarezza il nostre
neeplatonice ricordi ed accelga i
pensieri dell' Ateniese, contemperati sempre dal Cristianesime, e cen quelle
stile che e degno di si alte dottrine le
renda accessibili ad ogni intelletto,
pregio invere da tenerne cento in une scrittore di materie filesefiche. E
stabilita la necessity, del1' infinite, soggiunge : Che e' si vegga V universe
mutabile, variabile e in tutto diverse dall'essere dell' infinite, questo ^ chiaro. Adunque come s' intend' ella
? E a Luigi che risponde : oh ! questo
noi non glielo sappiam dire, cosi (prego
si avverta) discorre: e questo vale che, dato I'uomo, ^ data 1' esistenza di un
ente, e che questo ente ^ limitato. E anche in quel che con discorso metafisico applicato a naturali proposizioni 6 venuto
provando, conchiude che non v'§ da
riporre certezza, ma solamente ritenerlo come probabile; e pero meglio stimare
di rifugiarsi nella fede che le cose razionalmente probabili illumina di verita, e conchiudere
anco una volta col detto sapiente di
Socrate : Quesf uno io so, che nulla io
so, Ne'quattro dialoghi suUa luce
(9-12) meramente fisici, egli riporta le
dottrine di Anassimandro e professa, esponendole, le opinioni del Galileo con
trepidazione per timore di guastare cid che dice il grand' uomo a cui professa
venerazione, e dichiara tutto cid che di
buono dice intomo al sole e sua natura essere del filosofo illustre. E anzi tutto ^ notevole questo passo in cui
si esprime per guisa da non lasciar
dubbio che egli crede agrinflussi degli
astri sulle cose terrene: E nel dialogo
sopra Xenofane, (dial. 16) detto chiaro
che egli ha per impresa impossibile e vana Y astrologia, conclude che mentre
non puo negare V influsso fisico degli
astri, sulle cose della natura, e anco sull'uomo che della natura fa parte,
aggiunge pero che a voler fare 1' astrologo, vuolsi sapere e accorgimento non
ordinario, jBnezza e malizia ingegnosa; e soprattutto il cicalar di molto ^
giovevole a interessare e prendere gli
animi, di cui si predicono gli
avvenimenti ; nulladimeno da chiunque fa si fatto mestiere agevolmente s'inciampa. Gli ^ degno
senza dubbio di nota questo, perch6
distacca il Rncellai dal Rinascimento,
che trovava appunto spiegazione del risorgere cosi alacremente tutto Tantico
nell'idea stessa della civiM e della
filosofia Platonica e Aristotelica, e
precisamente nel loro concetto intomo al mondo.
Qual infatti era esso concetto? Quello di un movimento circolare,
concetto antichissimo, che noi ritroviamo anche nell' liidia. Platonici e
Aristotelici immaginavansi il mondo siccome una vastissima sfera, ma pur limitata, che avendo in se molte sfere
concentriche, girasse intorno a se e ad esse, e per modo che il ritorno periodico della tale o tal'altra
posizione degli astri nel cielo si
congiungesse ad un periodico rinascere degli avvenimenti nel mondo per
Tinflusso che quelli esercitavan su
questi. Lo che invero pu6 essere una
tra le altre- cagioni che spiegano la fede che quel filosofi ed eruditi del Rinascimento avevano del doversi
rinnovellare in ItaHa gli antichi
sistemi, le antiche civilt^ per definire
con essi i loro problemi intorno al triplice obietto della filosofia.
La luce pertanto in modo vario e per mille maniere d^ 1' essere, per
Anassimandro, a tutte quante le
creature, e senza di essa qualunque cosa riducesi al nulla. II sole ^ il fonte primiero della
luce, ma non I'unico, come ne confermano
parecchie esperienze, ed essa 6 una cosa
da se, che in gran dovizia ritrovasi
nell' astro maggiore del sistema nostro. La luce che Platone nel Timeo e altri filosofi poser nel
fuoco e la dissero la quintessenza piii fina e piU lata di esso, forma i colori nelle sensibili cose, ^ Y
elixir vUtB della natura, e in tutte le
cose rinviensi, ed d secondo il Galileo
(che pur qui R. chiama principQ de'filosofi, e scorta e direttore dei suoi
discorsi) 1' ultima ed estrema
espansione della natura. E qui cita
molti esempi addotti dal gran fisico e
matematico per dimostrare che in tutte
le cose c'^ mistura di luce o etere, o fuoco, secondo che questa sostanza gli d parso chiamarla
cosi o cosi dai filosofi. E R. tiene
come Platone, Galileo e Descartes gli
atomi, che come il tutto cosi 1' etere o
il faoco la luce compongono, ma pero soggiunge col Magiotti che il definire gli atomi, rotondi,
o acuti, o piramidali, d parlare per
ipotesi, non perche dessi gli abbiano
visti. Comunque, e dal vedere come Galileo
provi col fatto ogni cosa esser permista o vivificata dalla luce cominciamento naturale di esse, e
dall' osservare come ci6 sembri confermato dal Genesi e dai Santi Padri, ben deduce potersi commendare in
questo senso quella proposizione platonica che assegna 1' anima universale del mondo, e come per quest' anima
egli intender dovesse la luce. Odasi, di grazia, il ragionamento erudito :
E santo Agostino, quel sottilissimo ingegno, nelle sue Confessioni : QueUa liice soUilissima
sopra ogni cosa, alimentata da
vivificante colore, quarito tempo ignorai
che f OSS' ella cagione delV ornamento delV universo ! Fino a che agli occhi miei annebbiaii non rifulse
U lume eterno del Vero! La qual luce
alia bellezza ed alio spirito, sopra d' ogni altra creatura, si rassembra
di quel primo ed ineffabil lume, che
etemalmente e senza fine risplende; di
cui elia d qua tra noi la piii famiglievole immago. Che irapero fu detto 1'
eterno Fattore: Luce della luce, e
fontana di lume. Ed in altro luogo:
Delia luce Egli la luce, e '1 giorno.
> E simigliantemente sant'Agostino, coUa sua acutezza, si andava
rivolgendo per Tanimo dicendo: Ma che
pro dunque a me ne veniva, che tu, Signore e Dio mio, Verita, fossi luddissimo corpo, ed to
particella d'un corpo tcde? Oh! quanti
sentimenti al nostro proposito trar si
possono da queste scritture! Percio duirque si
puo credere, con essa luce (come piii attiva, piii semplice e piii pura,
e impero, come principio, pitl alle
divine cose somigliante) si dessc, per mano del Sovrano artefice, il cominciamento e 1' omamento a
tutto il mondo visibile ; locandopoi
quella per la maggior parte, come in sua
miniera, nel sole. II che viemaggiormente
si autentica dal nostro medesimo divin Poeta, in quei versi :
« Lo ministro maggior della natura,
Che del valor del cielo il mondo imprenta, E col suo lume il tempo ne misural » > Cosi dunque, avendosi la luce, a cagione
di sua purissima natura, non dico per la
pitl simile tra le cose visibili, ma
almanco per la meno dissimigliantiB alia
divina sostanza ; puossi commendare in cid quella proposizione
Platonica. Perchd Platone, col lume solo della
natura, giunse a fare una si maravigliosa graduazione: ponendo tanti termini di mezzo tra Dio e la
materia, per render meno discrepante e
meno discorde I'ammirabil concetto e fabbrica del mondo ; mentre co'mezzi all'uno e all' altra confacevoli va regolando
la differenza che e tra '1 composto inferiore e il Supremo Compositore, e quale
attaccatura, e per qua'mezzi, possa
darsi tra loro. E imper6 mi cred' io, quandunque alcun dato avesse a quelle
intelletto perspicacissimo ad esplicare
quel detti della Genesi: E lo spirito di Bio
id andava sopra le acque. E disse Iddio : Sia fatta la luce, ed ecco la luce; egli, non giungendo
tant' oltre al lume della Fede,
conformando tal sentenza a'proprj
Bentimenti, avrebbe rispo^to, che questo era Iddio ; il quale, coll'occhio della sua divina Mente, se
ne giva yagando, e riguardando in qua e
in 1^ sopra il chaos ; e che secondo gli
esemplari e le idee perfettissime, in
essa raccolti ab atemo, disegnasse tutte le forme delle cose fattibili, ed innanzi ad ogni . cosa
facesse la luce, che ebbe dall'eterno
Motore (quantunque Egli in sd stesso sia
mai sempre stabile e fermo) gl' impulsi primieri, cio6 a dire dall' atto primo
V attivit^ e il moto, ond'ella avesse la
mano (come principio della natura e
anima dell' universe) in tutte le formazioni e nella perpetuity delle produzioni, che ad ora ad
ora si rinnovellano nella materia. Che appunto disse il Timeo, Iddio col valore di sua somma onnipotenza, senza
mezzi, aver creato 1' anime, gli spiriti
e gl' intelletti universali, siccome sostanze prime, e viepitl alia sua
divina natura conformi ; aUe quab* desse
la cura e '1 disegno, sotto la sua
assistenza come Architetto sovrano, di
formare tutte le cose pitl materiaU e corporee, ove esse locar si dovidno. Talmentech^ dove noi non
comprendiamo quale sia quell' anima universale, che egli intendeva per
collegatrice delle cose divine coUe naturaU,
possiamo noi, con piU fondamento ancora che non avea egli, creder che cid sia la luce; la quale
fosse da Dio creata, onde ella desse
all' universe sensibile, ad esempio
dell' archetipo, la sua piil bella, visibile e
maravigliosa forma. Che impero sembrami tornarci mirabilmente in
acconcio quel luogo di Dante nel
Paradiso: cDunque nostra veduta,
che conviene Esser alcun de'raggi della
Mente, Di cui tutte le cose son
ripiene.» > Abbiamo per conseguente
gran cagione d'immaginarci, ancorch^ nol possiamo con prove infallibili fermare
per vero, la luce essere quel movimento occulto
e perpetuo, sparso e disseminato per tutte le cose viventi ; risvegliato per lo prime impulso
nella natura universale dall' atto
primo, che d Iddio. > j&
prcfbdbUe, disse, non infallibilmente vero ; che la ragione d agitata e ravvolta nel contrasto di
opinioni diverse che il vero le
adombrano sempre, e mai per intiero
gliel mostrano, finchd 1' anima sia mischiata col corpo. E di questi quattro dialoghi la
conclusione non d percid a dubitarsi che
sia identica nella sostanza alle altre,
e confermisi ivi appunto lo scetticismo in
cui si mantiene nel discorrer dei principj della natura il tilosofo nostro, in questa parte de' suoi
dialoghi che noi chiamammo
distruttiva. Uguale d poi la
conclusione a cui R. arriva dope aver
favellato de' colori, ed esposte intomo ad
essi le opinioni dei varj filosofi, e cercato di avvicinare, come sempre
fa, col modemo 1' antico, Galileo con
Platone. II qual Platone, come Democrito ed Epicure, fa i colori consistere in
una fiammella a cui perd 6 necessario il
concorso del sole; questo fulgore di
luce riflette variamente dai corpi colorati secondo i modi varj coi quali i raggi del sole gli
feriscono, e secondo le positure e
figure delle superficie dei corpusculi componenti quello o quell' altro oggetto
che i raggi ricevono o ribattono. E come
Aristotele, cosi il R. opina i colori
non esser sostanze,ma accidenti, effetto
cioe di luce cadente nei corpi, luce che forma
i colori. Conchiude pero che queste sono opinioni di filosofi, ma noi non possiamo ritenerle per
veri assoluti ; e pero ritomare all' aforisma: Hoc unum scio quod nihil sdo.
Io mi astengo da riferire la esposizione che nel Biajogo quindicesimo fa il RuceUai delle
opinioni intomo al principio passive delle cose professate da Zenone, da
Archelao, da Filolao Pittagorico, da Protagora, e da Senofane, dope le quali
egli conchiude nella medesima guisa, non
senza prima aver magnificato certe
stupende divinazioni di quegli antichi filosofi, e allettato gli ascoltatori, per bocca del
Magiotti, ad abbracciare ad una ad una
le loro opinioni diverse. Questo
viaggio di R. a traverse le varie e
molteplici sentenze de' filosofi intorno al cominciamento passive del mondo, piii che viaggio, adunque,
ti si rassomiglia all' ondeggiare
irrequieto di una nave che sospinta in alto mare, e pur volendo pigliare una
direzione a porto sicuro, venti contrarj e tra s^ lottanti ne la tengono perplessa, mentre nell' animo
del pilota suscitano come una tempesta
di dubbj suUa sorte avvenire del legno ch' e' guida. E uno scetticismo non disperato no, ma, se m'e lecito la frase, imo
scetticismo fiducioso e credente, che si pone a fondamento di tutto il sapere, giusta 1' insegnamento
Socratico, la consapevolezza della
propria ignoranza; fondamento negativo
per R., in quantochd la fede religiosa
solamente rende certi gli argomenti probabili della ragione; e che per il Cartesio si converte
nella certezza della coscienza del proprio pensiero, vale a dire in un fondamento positivo dello scibile
umano. Capitolo Nono. ESPOSIZIONE DEL TIMEO DI PLATONE, Ammirazione
del Racellai pel Timeo di Platone. Opinione
e scienza. — Necessita di un Principio primo. — Plotino. Trimegisto. — II Rueellai non e dualista,
come Platone. — Fine della creazione, il
buono. — Obiezione e risposta. — Neirorditfe delPuniverso si legrge il verbo di
Dio. — Gli archetipi eterni. — Platone
manca della fede, e per5 neir attinenza di causalita tra Dio e il mondo cade in errori. — La mente divina forma
di tutte le forme. — La mente umana e le
idee. — Loro natura. — II Rueellai combatte
Aristotele, Trimegisto e la creazione. — II mondo non e Dio; ne Dio e Tanima di esse. — Ma e sua Icgge. — Ne
I'amore, per se, e anima deiruniverso. —
Desso come armonia ed ordine pu5 appellarsi anima del mondo. — % pel Rueellai, lo Spirito
Santo. Del !Bmeo di Platone il Rueellai
d^ tutta la struttura, esponendolo, col riprodurne tradotti i punti piU qualificativi, e commentandoli. Desso,' il
nostro filosofo si accosta, direi quasi, con religioso tremore e come compreso nelP animo di alta maraviglia a
questo monumento divino del genio
Ateniese, che pare scriva dal cielo le
cose stupende di lassil agl' intelletti finiti
degli uomini. E per6 egli, a malgrado che i voli della mente cerchi infrenare coUa ragione e V
esame, pur non di rado accade che amniiri
piii di quel ch' e' discuta, magnifichi piii che esamini, e Tidealismo pla.
tonico lo preoccupi tutto, e dimentichi la voce del Galileo. E su' principj della natura
discorrendo in sentenza platonica, osserva come a ragione il j&losofo ponga
per universale fondamento ch' e' si dee innanzi tutto distinguere qudlo che sempre c, da queUo che
mai e, e che ha nascimento ; e come il
primo lo comprende la ragione, 1'
opinione per via de' sensi il secondo; vale
a dire che a Dio non si pu6 arrivar con i sensi, ma si r animo il pud seguire meditandolo, e
raffigurandolo nelle sue contemplazioni
per cagion prima, universale, assoluta.
11 secondo (cio^ I'universo) accorgerci ch'ei
c' ^, perch^ il senso lo vede, e varie opinioni formarsi delle cose naturali, e la certa verita di
come elle siano non esserci mai chi V
aggiunga; dappoich^ il senso non sia che
un vestigio dell' intelletto, e 1' opinione e V immaginazione una copia di esso
confusa ed abbozzata; ed i sensi
ingannin sovente. Edefinite il divario tra
opinione e scienza, tra senso e intelletto, R., siccome Platone,
riconosce dialetticamente la necessity
di un Principio primo delle cose, o come i Teologi, di un principio prindpiante della natura, in cui
stieno gli archetipi eterni delle cose
create, le quali sono alia lor volta
imagini imperfette di quelli. Onde a ragione Plotino chiama la natura forma di
tutte le forme^ ma con tale infinita
disparity, che Iddio, principio
principiante di tutte le cose, eccetto della materia eterna per Platone, ma pel R. anco di questa
(nel che discostasi dal Maestro, come per senten za contraria alia fede piil che ei la stimi contraria alia
ragione stessa) infuse nel mondo create
o formato grimpulsi della sua
conservazione e dello svolgersi continovo suo. E dove sulla ragione dell'origine dello universo,
opera bellissima e imagine di qualche
cosa di etemo, discorre, dimostra esser
lo stesso Platone rimasto trepidante come dinanzi a cosa troppo sovrumana, e quasi, come santo
Agostino, aver egli medesimo confessato
ch' e' conviene credere per intendere,
non volere intendere per credere. N^ si
diparte da Platone, anzi concorda con lui il
R. nel dire che fine della creazione fu a Dio perfettissimo il buono, e
questo per formare con amore una cosa,
la quale e' voleva che riuscisse oltre ogni paragone bellissima ; E nel Paradise, mostrando di scorgere
tutte quante queste cose sublimi nella
incomprensibil luce della Divina
Mente: « Pero che'l ben, ch'6 del voler
obietto, Tutto s' accoglie in lei, e
fuor di quella £ difettivo, cio che 6 li
perfetto. » > Per lo che vien
dimostrando anch'egli che questa copia
non giugne a gran via alia perfezione del suo
originale. > E, come Dante,
recasi qui pur David a sostegno della
dottrina platonica, laddove il Cantore de' Salmi enumera, come Platone fa, i principali e piii
sovrani attributi di Dio, in cui stanno
gli archetipi etemi delle cose, e dice
come nella creazione, prima di tutti
cominciamento universale di qualunque sua fattura formo egli i cieli nel
suo intelletto ; con che interpreta] R.
aver voluto David, come Platone, significare che avanti di creare le cose fuori
di s^, Iddio avesse ingenerato oft
aitemo in s^ medesimo I'idea di quella
fabbrica che poi fece, e con la formasfione dei
cieli neW intelletto^ volersi indicare il mondo intelligibile, il mondo
archetipo eterno, in sentenza stessa platonica. E come beUo cred il mondo,
perche la perfezione assoluta del bello ?ibbraccia anche la perfezione assdluta del buono, ambedue contenute in unit^
perfetta della volonta, onnipotenza e sapienza divina, cosi lo creo dunque anche buono, formandolo con
armonica proporzione, daUa discordanza
riducendolo a consonanza, dal disordine alFordine. E le forme che non riescono buone e belle, non per colpa di Dio,
ma per vizio della natura si trovan nel
mondo, e sono occasione a lui eterno Facitore per ispargere, dice Platone, suir universo i suoi beni. II quale,
soggiunge il Magiotti, piii che e' pud si studia farci comprendere questa
creazione del mondo. Onde il poeta
: « Nel suo profondo vidi che s*
interna Legato con amore in un
volume Cio che per I'universo si
squadema. » > Ed il Petrarca ben
distingue 1' idea dalP esemplare in quel
sonetto maraviglioso che incomincia: c
In qual parte del cielo, in qualMdea,
Era Tesempio onde natura tolse
Quel bel viso leggiadro, in che ella volse Mostrar quaggiu quanto lassii potea.
> II qual mondo visibile, vuole il
Timeo, ma il Rucellai non consente, che per divino privilegio o per merito
dell' amma universcde che da Dio fatta immortale lo informa, sia anch' egli, quantunque
continuamente morendo, immortale. E
ascendendo piii particolarmente alle idee, agU archetipi etemi, egli, R. col
Ficino dichiara, come Platone ne insegna, la Mente Divina esser forma di tutte le forme, idea di tutte le idee, le
quali tutte in s6 le comprende, idee a
cui le sensibili forme si rassomighano
come le ombre ai corpi. La idea dunque di ciascheduna cosa, bench^ in
riguardo al nostro intendimento di
diverse cose paia composta (ei
soggiunge) e da movimenti varj distratta in qua e e in 1^, in Dio eUa e una sola, e sempli(?e e
ferma ed etema, possedendole tutte insieme,
Ed oltre convenire in questo intendimento, il Rucellai, a conforto di
esso, le ragioni di dotti antichi e di
santi ne adduce, specialmente deU' Ipponese, e lo stesso libro dell' EcclesiasHco e di Giobbe.
Ed e degno di considerazione cio;
imperocchd quantunque apparentemente egli esca qui fuori un po' del suo
consueto e sistematico probabilismo, pure
in realta vi rimane; ch^ questo vero non
in quanto la mente umana lo ritrova e
proferisce si 6 vero, e da accogliersi con
certezza, sibbene perch^ gliene viene conferma inMlibile dall' autorit^
dei Ubri santi. Perd come le idee
diverse dalle opinioni, le intelligibili cose diverse dalle opinabili, ossia,
come le prime notizie intelligibili si attacchinO a noi, ^ pel Eucellai un mistero e con rAlighieri ripete: aPero Ih donde vegna lo intelletto Per le prime notizie uomo non cape E del primo appetibile V affetto. » E s' intrattiene a provare ancora piuttosto
come esse idee riseggano in Dio, e le
cose a somiglianza di quelle si facciano. « le cose tutte quante Hann' ordine tra loro, e questa 6 forma Che r universo a Dio fa somigliante. Qui veggion Y alte creature 1' orma Deir eterno valore il quale ^ fine Al quale ^ fatta la toccata norma. Neir ordine ch'io dico sdho accline Tutte nature per diverse sorti, Pill al principio loro e men vicine* Onde si muovono a diversi Porti Per lo gran mar dell' Essere e ciascuna Con istinto a lei dato che la porti. » Evidentemente scorgiamo noi qui come il
Rucelki rigetti la opinione che lo
intelletto umano sia tanquam tabfda
rasa^ in cui si venga a scriver man mano, e pur
senza sottoscriversi alia teoria della Eeminiscen^a nel senso platonico, ammetta invece la umana
mente illustrata da un lume supemo impresso in essa "da Dio, quantunque poi non sia ben chiaro sul come
cio avvenga, e anzi. reputi questo un mistero, come detto abbiamo di sopra. Ci6 che puo dirsi per i
passi gi^ riferiti o per altri che giova
per brevity tacere, si ^ questo, che per
lui la partecipazione delFidee eterne
all' intelletto umano ^ fatta non per immediata intuizione^ ma per
impressione, Perocch^ egli dica che le
idee sono nell' animo come lineamenti divini ivi stampati da Dio. Nonostante
egli segue I'Ateniese nella strada che
mena al conoscimento perfetto delle idee,
che sono nella mente eterna, asserendo egli pure essere a cid necessarie cinque condizioni. E adopera
V esempio del cerchio, cui V animo
nostro vuol sapere che sia. Del
rimanente R., come Platone e i neoplatonici del suo tempo, in questa parte e
cosi anche nelle altre del suo lavoro
filosofico, ritiene e professa il principio I'occasione della cognizione venire
da' sensi, che la suscitano, e la fanno
ricordare alia mente, in questo
significato perd che le notizie prime siano state impresse in essa da principio dalla
onnipotenza e provvidenza divina.
Veduti gli archetipi etemi, a immagine dei quali venne formate il mondo, si discorre dell'
anima di esso secondo Platone, di cui riferisce
R. testualmente i concetti, senza metter (com' e' dice) in questione se cid sia
vero o no. Ed io credo poter far grazia al lettore ed a me di questa
lunghissima e diffusa esposizione, che
non ^, come altrettali, al mio soggetto.
E cosi pure della esposizione di quel sistemi falsi che ammettono il mondo da s^ essere o governarsi
(naturalismo) o Dio stesso essere (panfeismo), che R. condanna e beff'eggia, ammettendo
determinatissimamente la creazione ex nihilOy secondo il concetto cristiano, e
la fede. Belle pagine invero son quelle, e dove
si appalesa in tutto il suo splendore la luce di erudizione immensa che
irradid la mente di questo filosofo
fiorentino ; se non che la h null' altro che erudizione ; mentre valore speculative, propriamente tale,
invano pur qui tu ricerchi. Chiudero questo capitolo recando un altro ragionamento di R. preso da
Ermegisto nella sostanza, e col quale
egli svolge pitl e piil il suo pensiero
sulla creazione del mondo fatta da Dio.
c Tutte quante le cose che si apprendon co' sensi, (egli dice) fatte sono, e tutto di si fanno e
fannosi non generate da per s^ ma da
altri. Adunque qualcuno ci ha da essere,
che generate le abbia, il quale generate
non sia, e delle generate cose piil antico: e delle cose generate nd uno pu6 esser piA vecchio di
quelle che generate non ^. Ma il
Facitore h piii potente di lore, e unico
e solo in verita, sa ogni cosa perch^ niuno a
lui va innanzi. Le generate cose visibili sono, egli invisibile, e pero
fa a fine di rendersi visibile, per lo
che sempre fa, e a lui solo si compete degnamente la appellazione di Dio, di Fattore, di Padre.
Dio per V onnipotenza, Fattore per I'operazione, Padre ^ per la bont^, ond' E^li opera, n^ ci ha cosa di
mezzo fra il genitore e il generato, n^
altro fiiori di questi due: uno per
propria natura la natura dell' altro riguarda
mai sempre, e V efficiente e '1 fatto sono vicendevolmente uniti in
guisa perd che I'uno preceda e 1' altro
seguiti. Nd la struttura di cose tanto diverse malagevole si 6 vero
disdicevole alia divina maest^ ; la
costituzione di tutte le cose ridonda in gloria unica a Dio. Perch^ da lui che fa, nieijte di reo,
niente di deforme precede; siflEatte
passioni seguono solamente le operazioni
create. Delia generazione la perseveranza
fa pigliar piede al male, e per tal cagione istitui Dio con la corruzione loro la mutazione delle
cose, come una certa purga via via di
essa generazione, e cosi per mezzo di
una continua mortality, conservasi perpetua
al mondo la vita. Iddio ha una sola e sua propria natura, e questa si d il buono, e il buono d quella
virttl onde tutte le cose operano; quanto ^ generate, da Dio generate si § cio^
dal buono, che ^ quelle che pud e fa ogni
cosa. Iddio nel cielo semind V immortality, in terra la mutability, in tutto quanto il mondo la vita
e il moto, a simigiianza dell' agricoltore
cbe sparge i semi nel grembo della
terra, in un luogo appropriate il grano, in
un altre Torzo, e in quelle e in quell' altro altra sorta di seme, il medesimo dove riannesta, e dove peta
le viti, e altre maniere di frutti,
nelle stesso mode fa Iddio. > E se
il mondo nen 6 Die, neppure Die ^ 1' anima
del mondo, preva R. in altri Dialoghi, e sostiene come Egli sia mente
Creatrice e Prevvidente in quelle, senza
infermarlo, come fa anima cerpe, nd tramescolandosi con esse perch^ egli
immense nen pud esser circescritto da
termini, senza cessar d' esser Die ;
perfettissimo nen pu6 nell' imperfetto stare, che ^ il mondo. Iddio crea, e la sua mente divina gli
6 legge ; imperocchd essa in un medesimo
punto pensa, cenosce perfettissimamente e delibera impermutabilmente con sapienza infinita, e con immutabile
ennipetenza, e tutto ipso facto, senza
replica, a quelle ebbedisce, e perd
legge si ^ la mente divina. come
ritratto e immagine del suo facitore, ma
non gi^ reputd che Iddio anima fosse del
mondo, quantunque anima di ragione dotata
e fabbricata dal maestro etemo delle sovrane intellettuali cose e divine
assegnasse all' universo. > La mente
divina pertanto 6 pel R. legge impermutabile all' universo, e concorda in ci6
che ne dice Cicerone: Legem video
sapientissimorum fuisse sentendam, neque
hominum ingeniis excogitatam, neque
sdtum aliquod esse populorum sed cetemum quiddam quod universum mundum regeret imperandij
prohihendique sapientia. Ita principem legem illam et ultimam mentem esse
dicebant omnia ratione aut cogentis aut
vetantis Dei, vita autem est cum mente divina et ratio est recta summi Jovis ; ergo divina
mens summa lex est Insomma 1' anima dell' universo d pel R. lo Spirito Santo, che e Luce ed Amore, d la
Provvi denza, o I'Arte divina. E va egli man mano avver tendo come Platone
nella graduazione degli enti per r
universo e nello spiegare la formazione del mondo sensibile e spirituale siasi accostato alia
dottrina della creazione, e conchiude
sovente com' egli abbia davvero avuto a
logger la Genesi. E tanto e' crede
probabile cid, che espressamente in un
Dialogo pone a confronto i passi biblici sulla
creazione dell' universo con quel di Platone, per vedere a luogo a luogo
dove elle si rassembrano, e dove egli,
Platone, abbia fallato. In che appunto noi abbiamo una nuova testimonianza di
fatto degli intendimenti filosofici del
nostro Neoplatonico. Egli accetta da Platone le sue dottrine finch^
armoneggiano colla Teologia cristiana, e a tal fine cerca volta a volta in
questo sense ultimo d'interpretarle; e dove le vede troppo palesemente
discordi, se ne diparte, e alia rivelazione
intieramente si appiglia. Or questo studio comparativo tra i testi biblici sulla creazione e quei di
Platone che vi si approssimano, e
importantissimo a chi voglia, come ho
accennato innanzi, vedere gli estremi svolgimenti del neoplatonismo nel
secolo^decimosettimo. Si fa R. un
ultimo quesito, se cioe in sentenza platonica I'Amore sia anima del mondo, o
la parte pitl nobile opitl sovrana di
essa. E teologicamente discorre di Dio sommo Bene e sommo Amore, della Trinity dapprima, indi dell' amore
necessario e dell' amore libero, quelle
nelle cose insensibili, nella madre
natura e negli animali bruti ; questo nelle creature intelligenti, per le quali
esso non ^ che un.concordamento tendente alia perfezione della divina
uniti; e percio disse Platone, amore
essere quell' armonia e quell' ordine
che richiama le cose discordanti alia
Concordia ed all' uno, E in questo senso deve intendersi ammetter egli 1' amore come anima del mondo,
e porzione piii perfetta di essa, e 1' immaginarsi che ei fa due Veneri generatrici di due amori, naturale
1' uno, divino 1' altro, entrambi
maestri di tutte le arti e di tutte le
operazioni. {Segue) IL TIMEO. - DELL'ANIME RAZIONALI. Qaesiti.
Natura deir anima razionale. — Non e particeUa deiranima uniyersale. — et intiera e perfetta
da sd. — In che il Rncellai si discosta
qai da Platone. — Spiritualitd. deiranima. — Perfezione maggiore negli spiriti
angelici. — Immortality. — Argomenti di
ragione probabili. — Cartesio e la sua teorica dell' idee connessa alia questione deUMmmortalitll. — Passo di
questo filosofo. — Altre prove d'
immortality. Intomo a questo argomento
il Bucellai si propone di vedere se
sieno da per loro le anime razionali ovvero
porzioni dell' anima universale; in che erri Platone, a ft
differenza del nostro credere; e quali motivi senza lume della fede ne persuadono, e con Socrate e col
divino lilosofo e con molti altri
maestri di sovrano lume ancorch^ Gentili, che le anime nostre sono immortaU. E per primo si studia di dimostrare la natura
di queste anime, e come non sieno particelle dell' anima universale, possedendo
1' anima nostra invece una sua propria
sostanza, ed essendo una certa essenza intellettuale da s6, che si forma
semplicemente dall'intelletto divino, come ammette Platone, £ da notare qui come si avveri quel che
abbiamo avvertito altra volta, ciod
quanto il filosofo nostro s' ingegni di ridurre a vera sentenza in conformity
del Cristianesimo le parole di Platone, che per contrario, nel Timeo, sostiene I'anime particolari essere
particelle della universale. E dice poi
Platone (continua R.) r anime esser
fatte per le cose celesti e immortali, e perch6 r uomo si faccia imitatore di
Dio, servendosi per ci6 anco dei sensi,
tra' quali il piii degno e il piA umano,
la vista e I'udito. Nel che, soggiunge egli, discorda alquanto la verity nostra perch^elle sono
create da Dio di ugual perfezione di mano
in mano in quel punto che fornita di
fare tutta la struttura del feto nelFutero
matemale, il corpo ne divengS; capace, messoinsieme con tutti quanti i suoi organi ben che teneri
e male abbozzati, e sono anime intere e
da per loro, n^ vi ha anima comune onde
le nostre razionali porzioni sieno di
essa in alcun modo. E della differenza tra questa e quelle e tra quelle e le anime dei bruti
lungamente favella, sempre appigliandosi
pitl ch e ad argomenti probabili di
ragione, a precetti di fede religiosa. E il
contrasto interne dell' uomo che proviene dalla Ubert^ del volere e da' sensi e il supremo e
invincibile argomento a sostegno della spirituality dell' anima umana, e della sua gran diflferenza con ogni altra
che Platone ponga nel mondo, o che negli
animali ci sia. Stabihsce quindi, anco
secondo 1' opinare di lui, la perfezione
maggiore degli spiriti angelici, chiamati da Platone SEGUE IL TIMEO. — DELL'ANIME RAZIONALI.
Demoni, o Dii, percM immagini pitl perfette che Panime nostre dell' idea eterna; e afferma non
potersi dare accostamento di termine tra il corporeo e lo incorporeo, r immateriale e 1' incomposto, 1' anima
insomma, la quale sebbene non si veda n^
si tocchi, pur si manifesta che ella c'^ dalle sue operazioni ammirabili,
giusta ne dice pure Platone. Confessa pero al solito che in somiglianti materie, come si ^ dell'
infinite, dell' incorporeo e delle operazioni lore, come della immortality non vi ^ da aspettarsi mai prove convincenfi^
oltre queUe delta nostra infcHlibiLe
cattolica doUrina, perche eUe non sono
da noi^ ma si bene favellare se ne puote
e trovarci da proporre molte verosimiglianjs^e e probabilUa. Nondimeno
con tutti gli argomenti che adopera
Platone e i filosofi spiritualisti, specialmente tra' nostri il Ficino e
indi anco il Cartesio, di cui espone ed
ammette, temperandola col neoplatonismo, la dottrina della cognizione, e le cui ragioni sulla
immortality paiono anco al R. ben
fondate, egli vien dimostrando man mano la spiritualita e immortality delr
anima con discorso vivace e stringente, e ribattendo con arguta confutazione gli argomenti in
contrario, specialmente pohendo in
evidenza gli errori, nei quali su cio
cadde Tertulliano, e rilevando le contradizioni
frequenti di quella intelligenza.
Non repute inutile pertanto a questo punto riferire ci5 che R. per bocca
del sacerdote Magiotti, dice intorno alia teorica delle idee di Cartesio, teorica della cognizione che egli connette
stretto con quella della immortality, e
se ne vale come argomento, sempre s'intende, probabile, coll' uniformarsi intieramente alia fede. Confesso bene, che il volere riconoscere del
tutto dair idee, ch' e' chiama innate, e
che esse ci sieno, non che dell'
essenza, dice solamente dell' esistenza divina,
r ho per intraprendimento troppo ardito, e da non se ne uscire con onore, chi volesse, seguitando
Renato, col proprio intelletto giungere
a si sovrane cose, senza gli anticipati
giudicj dell' immaginazione, percM io per me
non so ritrovare modo da figurarmi come cio segua: impercid che avendo noi si fattamente
impastate le parti intelligibiU con le
sensibili, la maniera di distinguere totalmente le loro operazioni 1' una senza
I'altra, cio^ a dire quella dell'
intelletto senza quella del senso, io
non mi rincuoro di rinvenirla. > La
opposizione che fa il nostro autore alia dottrina del Cartesio sull'idea innata
di Dio ^ notevole molto, perch^ viene ad
escludere in lui la dottrina delle
intuizioni ontologiche o anche ideali, che abbiano per obietto Iddio e gli
esemplari etemi. Scintilla della
divinity si pud dire, che sia non solamente quel lume di conoscere le cose
esteme per via de' sensi, il che hanno
parimente gl' irrazionali, ma di pill
quel conoscere di conoscere, ch' e un atto proprio deir intelletto, e della mente astratto da'
sensi, pe r il quale ci si apre la
strada al raziocinio, e al discorso, con
cui noi salghiamo piu in su, che le sensibili cose non sono comech' esse ne facciano la scala
per soUevarvisi sopra alquanto. Per lo che disse Plotino nelr ordine della
cognizione 1' ultimo grado tiene il senso,
il sommo V intelletto ; il senso nel conoscere tiene la linea retta, V intelletto la circolare,
rivolgendosi in sd stesso, e pero 1'
anima per la vegetazione, per il senso,
e per V immaginazione si affaccia fuori di s^, ma per e' moti deir intelletto si rende capace di
riflessione in 8^ stessa, e cotale
operazione si maravigliosa del conoscere
di conoscere, 6 presa da molti filosofi, anche di pit! acuto intendere, per
grande argomento dell' immortality, delle Anime, ma viemaggiore a me pare che sia non le avere innate in noi le idee
dell' esistenza, ed essenza di Dio, e non da quQsta per I'ordine delle medesime idee, passare ad avere plena
notizia dell'essere una cosa cogitante
che non pud essere distesa, e perd
essere incorporea e poi di essere insieme
una cosa distesa, e non cogitante, e perd essere corporea, onde se ne
ricavi essere 1' uomo fatto di due •cose
totalmente diverse e distinte, talchd 1' una potendo stare senza 1' altra, possa ricevere la
posizione cogitante da per s^, cio6 a dire la mente, e 1' anima incorporea, e
perd immortale. Ma si bene questi lumi
di ragione, o di divinity, che sono in noi ancor che annebbiati, e indistinti, si ritrovi in noi
medesimi talento d'avvedersi ch'e' ci
sieno i principj di molte e molte cose,
le quali -noi ci accorghiamo avere molto
pill ampio spazio di quello che non ^ conceduto a noi di giugnere a capire per possedere in verun
mode scienza di loro intera e perfetta,
e non avendo in noi r intero della
perfezione delle cose di cui noi conoschiamo i principj, da' quali ci sentiamo
abili a conoscere piti, bench^ piii non arriviamo a conoscere : adunque
trovandosi in noi le misure proporzionate, e lo
acume per arrivarci, e venendoci impedito 1' uso e '1 potere da queste grossolane membra mortali, e
da questi organi, che noi abbiamo
limitati, ed angusti, i quali paran la
vista all' occhio dell' anima: egli ^ molto
ragionevole di credere, che abbia a essere in noi, quando che sia, I'adempunento del conoscere 1'
intero delle cose, di cui noi scorghiamo
i primi semi, e lampeggiare le
scintille, il che non potendo conseguir qua, ^ verisimile, che ci sia riserbato ad altro luogo, cui le
anime nostre destinate sieno, spogliate
e libere da questa gravosa soma corporea; e qui si addice meglio la
considerazione che Iddio 6 veritiero, e non cooperatore ad illusione massime in
certi principj e fondamenti, che si
scorgono bene e fermamente stabiliti a sostenere una mole di pitl alta architettura che none
quella, che alia nostra veduta si
concede. Impercid che se 1' anima per
s^, e per sua propria natura avesse terminate le vie del sapere, quieterebbe s^ medesima a
que' soli principj, ne s' imm^ginerebbe
piii oltre di quelli immensi spazj dello scibile ch' ella s' immagina,
credendosi che quello che gliele impedisce fusse il suo ultimo fine; imperciocche quando uno vivendo
racchiuso in una angusta spelonca,
condottovi da lontane parti di notte al
bujo, e che ivi brancolando con esso le mani, .
ben grossi e sodi pilastri vi ritrovasse con archi sopra, certo ^ ch'egli s' immaginerebbe qualche alta
e gran fabbrica dimorarvi sopra all'
occhio del giorno, e non indamo si forti
fondamenti esservi stati sotterrati, o
che almeno alcuna volta stata vi fosse ; se pero un si fatto uomo cotanto stolido non fosse, o
ch'entro vel ponessero di nascita, che
impercid non avendo per innanzi veduto
altra cosa finora di li si facesse a credere che quelle pareti, e quelle volte
fossero i termini estremi del mondo. Cid
verisimilmente succede alle bestie, le
quali non hanno talento di credere che ci
sia da sapere piii di quello che elle sanno. > Ma pitl R. si compiace d' intrattenersi nella prova a posteriori della esistenza di
Dio e della immortality dell' anima
umana, e in cid pure si vale dei vigorosi
argomenti dei piii riputati filosofi,
come e precipuamente di quello che ricavasi dall'ordine del mondo, e
dall' indefinito desiderio di beni insiti in noi, e della sempre incompleta
soddisfazione che i beni finiti della
terra e dei sensi ci recano. E s' intrattiene molto pur qui, ma assai piii nel
trattato della Prowiden^a^ come vedremo
fra breve, a discorrere di questa
natura di beni, e in che il vero bene consista, seguendo in tutto le traccie neoplatoniche e
stoiche, e come i beni di fortuna son
tali solamente in quanto s' indirizzano
al conseguimento della virtii, in che sta
il vero bene. Or facendosi cid appunto per la ragione, mediante la quale si arriva alia bonta, alia
giustizia ec. e questi essendo
attributi di natura sempiterna, ne
viene che Fuomo abbia I'anima immortale. E come questo, cosi molti altri argomenti
verosimili e proba bili della immortality dell' anima, reca R. a so stegno di
essa, di Platone, di Socrate, di Pittagora, di
Cicerone e di Seneca, il qualp ultimo par talrolta r ammetta, tal'altra no; ma io credo non
essere neces sario fermarcisi per riferirli, bastandoci di porre in sodo com'egli, il nostro filosofo, cerchi
corroborare quanto piii pud con
argomenti probabUi della ragione quello
che intomo all' anima umana e a' suoi futuri destini ritiene per fede, e d i rilevare com' egli
faccia anco qui uno sfoggio vastissimo
di erudizione nel recare gran dissima copia delle opinioni de' piii antichi e
se gnalati pensatori su tale subbietto. E via via ch' e' li reca, li rimprovera o corregge in quel ch'
essi hanno di non razionale, o di
contrario alia fede, come la pa lingenesi o la trasmigrazione dell' anima di
Platone, ossivvero ne interpreta
ciiriosamente le frasi, come il demons
di Socrate, per esempio, nel quale vuol ravvi sare I'Angelo Custode dei
cristiani. E finalmente ritorna R. a
discorrere della cosmologia, della
formazione cioe del mondo e figura sua
in sentenza platonica, rigettando pero come detto si 6 la eternity della materia, e dove pu5, a
sostegno delle dottrine platoniche,
riportandone i detti di Galileo e questi con quelle conciliando, come contro
la incorruttibilit^ dei cieli. Eccone il
brano, e avremo terminato 1' esposizione
del Timeo. Imperf. — Nascemi nell'
intelletto una nuova opposizione da farvi procedendo secondo V ordine
platonico, e estraendoci dalla fede.
Convien supporre la materia informe per
s6 discordante e de'contrarj compostaessere eterna, altrimenti se creata fosse
da Dio, potriessegli apporre che egli avesse errato tirando i principj
tumultuosi e contradj, mentre poscia egli ebbe
mestiero di ridurli alia similitudine, anzi alia unitade. Biionac, — Avea mestiero di ridurre all'
unitade i contrarj, acciocche permanendo
uno, e perfetto huniversale, essi operassero di lor natura i loro effetti
speciali, nella parte spicciolata di quello a modo di contrarj: ma si ben sotto
le debite regole e proporzioni tra loro
ridotti per tal maniera che non isvariassero
dair ordine dato loro e mantenessero perpetue le specie, mentre di mano
in mano si rifiniscono gli individui.
Imperf, — Operano i contrarj naturalmente da contrarj, e cid ^ d' uopo
per la corruzione de' composti,
riducendoli ai loro principj come udiste poc'anzi. Ma opera la proporzione, e la analogia ch' egli
ebbero per lo componimento, e per hunit^
del tutto ; richiamandoli via via mai sempre al rifacimento di quelle cose individuali che periscono per mantenere nel
loro debito pieno le specie, altrimenti se fosse un elemento solo nulla si genererebbe giammai. E o vero
sarebbe r universe una cosa tutta, una,
soda e ferma, con la figura solamente
esteriore che ritonda gli assegna il
Timeo^ e allora fuori che nella grandezza, che differenza fareste voi da
esso a una palla di Travertine? si pure
se da principio senza contrarj create avesse
tutte quante le cose, elleno sarebbero sempre ferme, e le.stesse in
perpetuo impermutabile stato, senza che
n^ una giammai se ne riformasse di nuovo, di che come udiste si ^. dichiarato molto bene il
Ficino. Mag, — Oh come bene si B&k
un bellissimo luogo, che io vi verrd
dicendo a cotesto alto concetto, che,
avete detto signor Gioseppo intorno all'esser necessario che la
creazione dell' Universo si facesse dei contrarj a volere la perpetuity de'
moti e delle generazioni, e ch' essi armonizzati fossero con esso le lor medie proporzionali per renderlo uniforme e
si somiglievole all' unitade del mondo archetipo ! Impercid che egli h certo, che senza
Tarmonia rimaneva tra detti contrarj la materia informe e scompigliata e
disordinati moti, e senza le contrariety, restaya il mondo senza operamento che
sia, e senza il fruttifero movimento per
le generazioni disfacendosi, e
rifacendosi di continuo, c onciossiacosach^ qtiando non di marmo lustro, o di porfido si fosse 1'
universo tutto, ma di qualunque altra
gioia piii dura, pit! preziosa e piii fine, qual maraviglia, o stupore
recherebb'egli, e che nobilta o maestria sarebbe in lui, a petto a quello che ci si scorge, con le
continue fabbriche che ci si formano per mezzo delle corruzioni e delle generazioni, senza perder mai un minimo
che di sua intera pienezza e di sue alte
e basse maravigliose strutture? Come ben dunque si affi^ a codesto concetto quel pensiero non punto meno alto,
che pone il nostro Linceo in bocca al
Segredo contro V incorruttibilit^ peripatetica de'cieli, riputando viepiil
nobile e di piii pregio la terra per la
generazione e corruzione che in essa si fa, che ne dessa n^ i cieli sarebbero,
n^ gli astri e pianeti se veramente incorruttibili fossero, avvertendo alle tante e si belle
mutazioni, che in quella si fanno di
pitl sovrano e ingegnoso magistero, che se ozioso si stesse ancorchd di
qualunque pit! pregiata e speziosa
materia fosse composta. Perchi§ altro
(die' egli nei Massimi Sistemi) verrebbe essa ad essere salvo, che una vasta solitudine di
arida e spessa arena, e si infruttifera
e vana, o una massa di dia spro, o quando bene si fosse un adamante sfavillan
tissimo saria sempre un corpaccio inutile, con quella differenza ch'^ tra un animal vivo e un
morto, e il medesimo della luna di
GiOve, e di tutti gli altri orbi,
potrebbe dirsi, e vien poi seguendo con una maravi gliosissima e bella
riflessione, che se il popolo chiama
preziose le pietre, le gemme e V oro, e vilissima la terra, cio awenire per la dovizia di questa e
carestia di quelle. Imperd che dove
della terra ce ne avesse penuria chi
non ispenderebbe una soma di diamanti e
di rubini, e quattro carrate d'oro, per aveme so lamente tanta in un piccol
vaso da piantare un gelso mino, un arancio, ivi veggendoli nascere, crescere
e produrre si belle fronde e fieri e
frutti cosi odorosi e saporiti? E il
volgo loda un belUssimo diamante (dice
egli) perch^ all'acqua pura si rassomiglia, e poi per dieci botti d' acqua non il cambierebbe. Per
la qual cosa, conchiude con molta ragione,
che questi detrat tori della corruttibilit^ si meriterebbero che un capo di Medusa gli cangiasse in statue durissime;
e vera mente non quality e attribute di piil valore si dona dalla scuola peripatetica a'cieli, anzi
farsi lore torto, la corruttibilita e
generazione togliendo loro, il cui di scorso si accoppia mirabilmente con la
interpretazione del Ficino, ch' espone
lo altissimo concetto platonico, dove
chiaramente si ricorda che anche Platone ebbe
per piCi nobile e per piii ammirabile, anzi per neces saria la struttura
dell' universe sensibile con muta menti continui, e con esse le produzioni
varie derivanti dalla generazione e corruzione, che se stabile, neghittoso e
fermo senza moto si dimorasse ancor che d'oro
e' fosse, o di qualunque pit! preziosa gemma di sua indefinita grandezza
come verbigrazia sarebbe state, se di
una cosa stessa e senza contrarj lo architetto supremo fabbricato lo avesse. E perd il divino
filosofo,'^nch' elli antepone la
corruttibilit^. del mondo, dei cieli, dei pianeti e degli astri a quello
incorruttibile che per accrescer loro pregio assegno loro poi dopo Aristotile
di sua propria immaginazione, avvenga
che egli avesse bevuto suo prime latte
dalla disciplina accademica. Oggetto di questo trattato di R.. Suono.
Ordine. — Armonia. — Proporzione.
— Passo dell' autore. — Platone e le
proporzioni armoniche. — II medesimo e il diverao, — Anco pel Rucellai
tatto e armonia. — I tre regni della natura. — L' armonia e Tanima anivorsale platonica. — 11 corpo nmano
e le armoniche proporzioni. La materia.
— Giudizio di R. su questa parte delle
dottrine platoniche. E'prende inoltre, R.,
in nove Dialoghi a discorrere delle
proporzionalita armoniche, delle ragioni
musiche in genere e delle loro applicazioni all' aniina platonica, aggiungendo, egli dice, molte cose
e ripetendo di quelle che della musica pitagorica, secondoch^ di essa riferisce Marsilio Ficino, egli
pronunzid. E si rif^ da certi principj
universali esposti nel trattato suo
della Geometria, (Vol. 3° del Codice Ricasoli, corretto dair autore, dove si trovano tre dialoghi
sopra la matematica), che egli prova con Galileo esser Vabhicd dell'umano sapere; i quali principj ne
condurranno agevolmente a tutte le cose particolari di questa armonia. Ogni suono ^ aria percossa che ne viene per
varj modi, increspamenti e vibrazioni
alle orecchie; e secondo la intensity di forza della causa produttrice il suono 6 pill meno grave, pitl o meno acuto,
ed ha ragione Aristotile allorchd dice,
che il suono troppo acnto muove assai il
senso in breve tempo, e il grave quando
6 soperchio in piii tempo lo muove poco, a
somiglianza d' tm ago, il quale se tosto ne tocchi qualche parte con la
sua punta, a un tratto la ci punge, se a
bell'agio, piega solamente e avvalla un poco la
parte ch' e' tocca, ch' altri non se . ne sente. E le cagioni che il
Mersennio, (maestro di musica che il Rucellai dta spesso e cui segue) non che i
piii celebrati maestri all'acutezza e
gravity di suoni attribuiscono e il
nostro filosofo accetta, sono la figura, la radezza o density, sottigliezza ec, insomma
proporzionalita : ritenendo pur con
Democrito che da'corpi sonori escano
minutissimi corpicciuoli od atomi, non pero ammettendo, come Democrito
fa, ch' essi sieno queUi che formano il suono.
Discorre elegante delle somiglianze tra il suono, la luce e gli eflfetti loro, e delle loro
diversity, sempre fisicamente. E mi sia
lecito di far a meno di esporre tutto
cid di cui il nostro autore, seguendo le tradizioni pittagorica e platonica su tal proposito,
ampiamente faveUa ricavandolo dal Ficino ; e che se pud in qualche guisa destare interesse per uno storico della
musica. come quello in che si fa tesoro
degli svolgimenti successivi della scienza dell' armonia dagli antichi
fino al Galileo (del quale apprezza ed
accoglie le analoghe scoperte) per noi d
un fuor d' opera, e ce ne possiamo
passare senza il menomo pregiudizio. Piuttosto io riferisco qui il
concetto della fine di questo trattato delle
Musiche Proporzioni, che assommando i concetti generali qui esposti, d
altresi ponte tra le due rive, tra il
trattato in genere cioe, e le sue applicazioni all' anima platonica.
Qui dunque ritomando a'primi principj della proporzione, postavi innanzi
e con tanto sapere avvertita dair
accademico nostro Linceo, convien restare ragionevolmerite convinto, tutti i
primi element! della geometria e tutte
le proporzioni che in essa si contengono essere
gli elementi primi altresi della sapienza universale. Onde Iddio a tutte sue infinite e
maravigliose opere si volse, e perd in
qualunque scienza e naturale e intellettuale trovansi si fatte proporzioni, si
come i primi fondamenti di tutto lo
scibile. Platone pertanto s' immagind che 1' anima (universale) toccasse il
medesimo, cioe 1' intelletto, e mente divina ricettacolo perfettissimo ed unico
delle infinite idee, le quali per V
unit^ perfetta di colui che oft ceterno
le concepio, s'identificano in un'idea sola; onde I'esemplare dell'
universe sensibile ch' ella dico si dirami
poscia nel diverse che viene a significar la materia per s^ varia, disordinata e incomposta, di cui il
visibile mondo crear volea, per la qual
cosa a fine di fabbricarlo ornato, e maravigliose e si degno delle mani perfette onde egli uscio, coUegare il voUe
per quanto per lo suo difetto e' poteva
patire e assimigliarlo alr unit^ e perfezione del mondo archetipo, e per6 non altra maniera ci adopero che la mentovata
armonia, la quale tratta dall'uno
perfetto si venisse scompartendo con musiche proporzioni, tra loro tendenti
alrunisono, onde la varieta divenisse per merito loro talmente bene ordinata e perfetta, che dalla
moltitudine per la commensurabilita loro fosse atta a richiamarsi nell' uno ;
impercio fe' agguaglio dell' anima a un
triangolo, il cui angolo superiore toccasse il medesimo, e allargandosi poscia co' lati nel diverso,
questi venisse proporzionevolmente digradando,
come ne spose il Timeo, nelle duple e triple, e si parimente nelle
sesquialtere, e sesquiterze proporzioni; laonde per I'ordine perfetto -e per lo regolato movimento, che la
fabbrica di questo universe ricevette da
quest' anima armonizzante all' imitazione dell' Idee in una Idea sola
identificate insieme dalla moltiplicit^ delle parti riducessesi per quanto era in lui, e s' immedesimasse
nell' uno, cio6 a dire, in quell' unit^
ch'egli ha tutto insieme senza dargliene
un aJtro compagno, e a lui somiglievole, la qual' anima mercd di suo toccamento
con esso il Medesimo il mantenga uno,
perpetuo, immutabile, e si ne'suoi
movimenti ordinate che immobile resti nel
suo tutto, per quel mode che Parmenide ne insegno, awenga che di sua natura e per difetto della
materia mutevole, e forse mortale,
movibile e diverse nel novero vario e senza novero delle sue membra. E infatti R.
ammirando 1' universe, ritrova tutto
armonia, musiche proporzioni, e con eleganza di
dettato lo espone e lo prova nelle stelle, nel mondo, nei loro giri costantemente ordinati, nella
vegetazione, negli organi degli animali,
nei sensi dell'uomo, nelle sue
intellettuali potenze. E non solamente nell'unit^, ma sibbene nella varieta sublime dello
universe, queste armoniche proporzioni sono, ch6 nel variarsi concordemente 1'
universale componimento con i definiti
armoniosi intervalli e divisioni finissime, la concord auza e requisono
armonioso e la commensurabilit^ corrispondente di tutte le parti 1' una coll'
altra, vi si rivede in somma e singolar
perfezione, a modo che seppero r uno
appo r altro distinguere nelle regioni dell' acuto e del grave i maestri migliori nel genere non
solamente pill perfetto molteplice e
delle duple e delle triple, e si nel
superparticolare, e delle sesquialtere e delle
sesquiterze, ma di ben mille e mille altre che ha saputo conoscere e
misurare la madre natura sotto il
Maestro di Gappella Supremo^ e dove da' nostri musici si trovano le consonanze aggiustate con
limitati interstizj deH' arte : Indi
affine di dilucidar meglio come, in sentenza
platonica, debba intendersi che la simetria, I'armonia e il moto sieno
anima dell' universo, e qual natura
Platone attribuisca a quest' anima universale,
il Buonaccorsi riassume i principj platonici circa la costruzione dell' universo, e dimostra che
Platone ancorch' e' voglia 1' anima universale che sia ragionevole, pure non le attribuisce gli effetti della
ragione, che negli esseri propriamente
razionali osserviamo. E continuando R.
ad illustrare questi concetti deir Ateniese, osserva come in siffatte
applicazioni deU'armoniche proporzioni all' anima dell' universo pitl che noi faccia lo stesso Ficino (piii
metafisico di Platone talvolta) egli si
rende intelligibile, aggiungendo pure
come se a quel filosofo fossero state note tant'altre consonanze minori che dopo'diluiper buone
accettate si sono, e molte eziandio
delle irrazionali, che al supremo Compositore razionali saranno, avrebbe
dichiarato di sicuro la divina mane averle adoperate tutte in questa fabbrica dell' universo e delle
anime umane ; le quali soggette anch'
esse alia misura, all' armonia, se
travalichino i confini di essa, malvagie divengono. Discorre quindi della fabbrica del corpo
umano e delle sue parti, e, per incidenza, della materia, e dice che noi la materia la appelleremo madre e
ricettacolo di quelle cose che generate
e visibili sono, non terra ne aria ec,
per guisa che il Dafinio osservi esser sott' altre parole questa la sentenza di
Aristotele circa la materia; e R.
risponda: Perd il Magiotti
soggiunge: € Eisponderanno i platonici
su' loro altissimi fondamenti metafisici che la materia 6 qualcosa perch6 la sua forma informe 6 invisibile anch' essa suo
attaccamento speciale e sua dependenza dallo intelligibil mondo nella mente divina, cio^ a dire, ha sua
idea particolare per sd, ond'ella ^
simulacro ed immagine ancorch^ visibile
non sia, nd per noi e per la nostra
veduta, ^ necessario che tutte le cose che sono fatte sieno, o che non le veggendo non abbiano a
essere ; e se la non fosse nulla per s6 ma un solo componimento insieme dei quattro elementi, le forme sole
degli elementi e non la materia da s^ avrebbero il loro esemplare, e V idee
loro per entro il ricettacolo della mentc
divina. > A cui infine
VImperfetto: lo non credo necessario
seguitar passo passo il Rucellai nel commento che fa a questa parte del
Timeo di Platone, avendo, parmi, citato
quel che di piii importante ho creduto trovarvi: nd al mio soggetto richiedesi
altro di quel che ho stimato far qui ed ho
fatto, di un trattato che non h se non una prolissa esposizione e dichiarazione delle opinioni
platoniche in queir argomento : opinioni
che noi abbiamo visto in qual conto e'
le tenga R. e com' e' le consideri nella
massima parte qual una sublime poesia del filosofo atenieie, piuttostoch^
teoriche le quali nolle loro
particolarit^ abbiano un fondamento sul reale e sulla esperienza. Importanza di questo trattato. —
Meg^lio che in ogni altro scritto del
Bucellai si fa qui palese la natura del suo filogofare. — Prove di ci5. — Obiezioni di Epicaro e
risposte. — L'ordine deiraniTerso e argomento del Provvedere di Dio. — Qaesti e
la natura. Essa non h per »i che una
voce generica. — II Caso. — Si combatte.
— 611 atomi. — Si nega ad essi, contro Platono ed Epicure, la eternita.
— Si confuta V accozzamento foi^tuito di quelli. — Galileo. — La creazione. — Si ritorna alia Provvidenza
di Dio; prove per eliminazione. — Obiezione e risposta. — Galileo e il
Bucellai. — Dio non informa il mondo
come anima corpo. L* esempio del sole.
— Marsilio Ficino. — La fedo. —
Creazione ex nihilo. — Bagioni probabili. — Bipete Tautore: fine della creazione
il buono. — II Yero Bene. — I beni del
mondo ban ragione di mezzo, di fine no.
Se v' ^ libro nel quale, pitl che in ogni altro scritto filosofico del Bucellai, ritroviamo delineati
gl'intendimenti di lui, questo si ^ della Frowidema, dove ragionando in sedici
dialoghi contro Epicure, il quale nega
il provvedere etemo di Dio, espone in termini
netti e precisi la natura e il metodo del suo proprio filosofare, e le tentate armonie, e il
rifugio nella fede e nell'autorit^
religiosa, e la grande sfiducia nelle forze
deir umana ragione, e il probabilismo, non la certezza, degli argomenti che essa, la ragione, secondo
lui nelle questioni seinpre ne
somministra. E siffattamente cid accade,
che pur tralasciando Tesame d'ogni altra parte
filosofica da lui scritta, quelle di questa sola ne basterebbe a persuaderci
della verity della tesi nostra :
imperocch^ come in una sintesi tutti gli element! qua si ritrovano che costituiscono tutte le parti
del suo filosofare. Egli qui si propone di votare la dialettica faretra contro
I'empie e stolte proposizioni d'Epicuro, che
dairordine dell' universe la Prowidenza ne toglie, e di vedere, divisando co' lumi soli del
ragionevole e naturale discorso, se Teterno provvedimento nell'essere
universale si ravvisi, ed attiene il proposito ; e poi quantunque argomenti
solidi in sostegno di essa egli, il R.,
ne rechi ed anzi dichiari che cid meditando
con una qualche scintilla di ragione, si passi molto avanti, pure finisce poi in un e quasi pianta al raggio di sole egli sorride al lume
infallibile della fede divina. E come negli altri dialoghi, la scelta degli
interlocutori conferma pur qui la sua natura, dappoich6 anco in questi abbiamo
il sacerdote Magiotti che fa da Socrate,
e a terminare il trattato, il Nicheo, il
quale fondatissimo in tutte le scienze pitl gravi, ma sopra d'ogni altra nella teologia, in cui,
giusta ne dice il Magiotti stesso, ha
saputo la pitl giovevol parte
riscegliere, cio6 la cognizione dei dogmi, Tesposizione delle sacre lettere e la perizia delle lingue
; e che udito discorrere VImperfetto e
gli altri della Prowidenza^ e contro r
ateismo, e il sospetto di Guidobaldo Trifonio
che fosse assai malagevole di trovare argomenti ad acquietar I'intelletto naturalmente
ragionandone, quantunque ciascuno di essi interlocutori stesse fermo con s6 medesimo, n^ revocasse in dubbio cid che
in chiaro si scerne coU'occhio purissimo
della fede, esclama: E se dopo si
accomoda ai loro desiderj e ne discorre, egli e un discorso teologico piu che
di ragione, e a quel discorso il Trifonio,
che la facea qui, pur credente, da avversario e sofistaj conchiude :
Ond'io soggiungo che se dovessi definir questo trattato della Protwidenza (e con esso ogni
altro trattato filosofico del Eucellai) nol saprei meglio di cosi: poich^
R. non solo consideri la Frovvidmsa in generale sibbene anco in
particolare, il provvedere diDio nel
mondo e nelP uomo. E di fatto egli a
favellare di Bio vuole unito il concento sublime della natura; e qui, Platonico
a tutta prova nel tratteggiare il dramma
del dialogo, dove egli ha un' arte di
dire e di rappresentare raffinatissima,
apre il cuore con respiro tranquillo all' armonie dei luoghi deliziosi, e li presso la rinomata
fontana di Belvedere, nei contorni di Eoma, va, raerc^ di si bella apertura, meditando per la chiarezza
dell'aere I'ampiezza e gli stupori del cielo, e per le pianure di Eoma le varie bellezze della terra, le quali del
Provvedere etemo recheranno contro
Epicuro i piii potenti argomenti. I quali, sull'ordine dell' universe
posando, devono esser per il Eucellai
riprova, non prova, di quest' arte
divina nel mondo, perocch^ con I'occhio
acutissimo della fede egli scorge chiarissimo Iddio e le sue miracolose operazioni a pro nostro.
Questa riprova h un soprappitl od un esercizio dialettico fatto a modo
Socratico, di un credente, non rindagine di
un filosofo, il quale coUa ragione solamente a guida osservi, induca, argomenti e conchiuda; non
valendosi come tale, dei dettami della
fede, e facendo conto che e'non vi
siano. Alia domanda infatti se col
naturale raziocinio alle prove si
perviene di Dio provvidente, il Magiotti risponde E co'medesimi argomenti di san Tommaso, e dei
Padri e de'filosofi cristiani, corroborati fin
dov'e'pud dalle dottrine di Platone e de'filosoli gentili, ribatte le
opinioni di Epicure e di Lucrezio centre il Provvedere di Dio, sia che dicano
la natura divina eterna e beata godere in sd perpetua pace e tranquillity, lontana e disgiunta per lungo
intervallo dalle cose nostre, e da'
benefizj non poter esser presa; a cui R.
risponde che anche Iddio, perche Iddio
e'sia, 6 forza che e'sia sommo e infinite bene ed amore, che tanto si § a dire avere infinite carit^ e
beneficenze, senza alcuno intendimento di premio, esercitandolo a diritta
ragione: sia che altri ostacoli ne rechino in mezzo al suo cammino, egli
considerando la natura di Dio, e Y
ordine sublime delF universe e del
microcosmo, li supera e ne trionfa. E quando rinnova Epicuro con Lucrezio la difficoM che Dio
provvedendo turberebbe la sua quiete, ed egli solo non potrebbe in un tempo
stesso badare a tante faccende,
sostenere la soma dell'universo; soggiunge: E al sostituire che gli epicurei voglion fare della natura a Dio, in cotal guisa
risponde : Combatte indi il fortuito e
fortunoso accozzamento degli atomi
secondo Epicure; n§ in cid pure discostasi
da quel ch' era state dagli anteriori filosofi allegato in contrario, ond'io me ne passe; e poi dice che
non essendo noi la misura di tutte le cose
che sono, ancor che alcune di esse si
scontrino inutili o dannose e far centre
percid al provvedere di Dio, non possiamo dirlo
non conoscendone i fini e 1' ordinamento. Dope di che seguitando, com' egli dice, le sue
prohdbilita interne alia Provvidenza,
viene dal generale al particolare, esaminandola nei varj regni della
natura," minerale, vegetale, animale ed umano. E continua a combattere
il case, e la insipienza sua e
I'agitazione disordinata degli atomi. a
formare lo inestimabile ordine e concento di questo teatro dell' uni verso e la
perfezione di sue opere e di suo
movimento. I quali atomi se in sentenza di Platone etemi chiamar si possono,
quantunque il mondo ebbelo esse pure per fatto dopo da Iddio, il Kucellai sebbene ritenga che esistano con
Epicuro e Platone, nega pero che si
possano appellare come tali, cioe
eterni, doYC dice : E riguardo al case
conchiude con Galileo ch' e' non sa quel che sia e in qual maniera possa operare si ordinatamente ; e
confessar dunque si dee, eziandio per
via di ragion naturale, che r alto e
supremo artefice, e non il case, sia quelle che
il formi, regga e addirizzi in tutte quante 1' opere^sue. E la geometria dell' universe ^ come Sole che
fuga le ombre del caso dalla natura, ed ^ V A JB C delk sapienza universale, come argutamente
chiamoUa il GaKleo stesso, dopo che
Platone aveva chiamato Diogeometrizzante in tutte le opere della sua infinita
sapienza. Le quali al postutto pitl che
parlare al nostro intelletto lo abbagliano di loro luce infinita, ed il loro
linguaggio travalica ogni nostro comprendimento, sicche poco nulla intendiamo, studiando, salvo che
la nostra socratica proposizione : Perd noi possiamo sempre indagare se fra le
cose del mondo visibili, ci venga fatto
di ritrovare questa natura questo
reggitore del mondo, e che Iddio non sia. E
di vero se ei ci si ritrova, egli ha da essere il meglio del mondo. E siccome il meglio di tutto ^
Tuomo, vedasi se V uomo 6 da tanto, da
volgere tutte le macchine deir universo, a suo senno, remossa in prima la opinione che gli angeli dei cristiani o i
demoni di Platone e di Socrate, i quali primi non altro sono, per i credenti, che esecutori o iniziatori degli
ordini e degli awisi di Dio e di sue
grazie dispensatori ; e i secondi non
altro essendo che spiriti fabbricatori delle cose manuali, mentre Iddio h delle ragionevoli;
cid h uno sporre le cagioni seconde
sotto lo indirizzo e I'onnipotente braccio della primaria, la quale assista e
governi tutto per si fatte menti. Adunque se non ci ha meglio deir uomo, e, quel che ^ meglio,
ministro subordinato si 6 della divina volenti; la volenti divina, che da s6, o per mezzi subordinati amministra
con tanto ordine tutte le cose, essa si
h che ha in mano il provvedimento e
reggimento dell' universo, come
interpreta-il nostro Tullio; n^ ^ convenevole a noi stremare per tal
modo la di lui infinita onnipotenza, la
sua suprema ragione, la sua sapienza infallibile, per dame il vanto a chi d da meno e ha 'minor forza
e potenza, anzi, che piil schernevole si ^, alia combinazione eventuale degli
atomi e alle stravaganze incostanti e disordinate che il caso farebbe da s$, se
e' non se gli desse si alto e
sapientissirao sopraintendere. Impero 5
fuori d' ogni credenza che altri che Dio sia
quello che tutto abbia fatto e tutto muova e sostenga. E Si]r Imperfetto il quale osserva come quel
presupposto dell'incorporeo, e del non potere esser tocco e toccare egli le cose tangibili sia un gran
punto e un grande argomento a pro d'
Epicure negatore della Provvidenza, rispondesi per mezzo del Magiotti questo
che io stimo opportune di riferire per
intero, perch^ sembrami un punto importantissimo. Molteplici e varie poi sono le quistioni
che a mano a mano mette in campo e
risolve il filosofo nostro su questo
soggetto, ma io credo potervi sorvolare, fermandomi alle principali; come
questa anco nel Timeo ragionata, se Iddio sia 1' anima dell' universe, e cosi
lo diriga e lo muova e a lui provveda
come 1' anima al corpo nostro, a un
dipresso come la pensarono i Greci, i
quali tennero Dio anima del Mondo, tra' quali
Aristotele e Crisippo della setta stoica. Al che si oppone con forza R.
dimostrando I'assurdo in cui cadrebbesi,
cio ammesso; come fece appunto di sopra
nel Timeo, discorrendo di questa medesima
ipotesi. Ond' ^ che egli, per il Cristianesimo non cade nel Panteismo, n^, come Platone, nel
dualismo, ma con la Creazione distinto
fa Dio dal mondo, quantunque ne sostenga la Provvidenza sopr' esso. E contrp il
Panteismo rinnuova spesso i suoi argomenti,
guardando principalmente agli attributi divini, e com'essi disconvengano
e siano anzi contrarj alle qualit^ deU'universo e della materia, che imperfetta
e non etema e mutabile si ^ all'
incontro di Dio eterno, immutabile e
perfezione assoluta, il quale se ^ tutte
le cose, e perd Iddio d 1' universe in quanto senza di lui I'universo non sarebbe mai state, n^
senza di lui sarebbero al presente nd al
future, non d gi^ vero che tutte le cose
e 1' universe Iddio sieno ; e come il sole
il quale percuote nelle cose e le cose illuminate il sole non sono, cosi Iddio ^ tutte le cose perch^
tutte le cose per lui sono, e senza lui
non sono, ma desse non sono Iddio, perch^ dalla materia imperfetta
fabbricate sono, dov' egli perfettissimo
si e. E in somma come dice del sole
Marsilio Ficino : Sol est imtar Dei, aspectu
ante omnia venerandus: est amplificatio qucedam subita et latissima absque detrimento sui, 6b
exuberantem bonitotem largitatemque suam cunctis sese libentissinie larffiens,
causa conservatioque, et excitatio omnium quce
nascuntur; absque hujus prcesentia mori cuncta videntur, hujus aute^n
prcesentia reviviscere. Simigliante definizione, piii altamente levandosi, pud
farsi di Dio, e perd: Deus est omnia, ma
non le cose sono Iddio. E il Trifonio in
altro Dialogo dopo queste proposizioni soggiunge: Ma R. qui si discosta, abbandona ed avversa
anche Platone, come lo ha abbandonato sempre dove cose contrarie alia fede
professa; egli dice per il Magiotti: E
come la materia, cosi gli atomi non possono essere eterni. Imperocch^ se il
mondo in tutte le sue parti ^ imperfetto
e corruttibile, come vorremmo che nei
suoi componenti primarj sia eterno e senza mancamento? Delia stessa natura e il
composto che sono i componenti suoi. E
molto meno poi se noi volgeremo r occhio
a quel che veramente sia quest' eternity.
Impero dunque pongo da un lato si fatti argomenti, accorgendomi bene che mi si replicherebbe da
qualcheduno de'piii maliziosi, co'diluvj e con gli incendj varie volte avvenuti nel mondo le buone arti
essersi spente e ritornata la ruvidezza
e I'ignoranza de'secoli ; essersi le scienze o disperdute o soppresse, i
hbri arsi e divampati, e si nell' acque
affogate le memorie deir istorie
preterite ; molte essersene deteriorate, se
non del tutto ite male ; e percio rinascerne alcuna fiata di quelle che noi non sapevamo che mai state
fossero, altre restaurate le quali erano
divenute peggiori ; n^ percio aversi
prova sicura che niuna nata ne sia dai
suo' primi principj ; impercio che esser puote che di 1^ da innumerabili secoli fossero in fiore, e
che ad ora ad ora si perdano, e ad ora
ad ora si rinnoveUino, tornando a
maggiore o a minore perfezione gU ingegni
e r etadi : che impero di si fatte ragioni io non fo conto, naturalmente favellando, quantunque
noi abbiamo per fede con sicurezza irrefragabile gli anni della creazione del mondo : mentre di cotanto pitl
forza sono le altre che addotte si sono,
per render con tanto piii vaUde ragioni
convinti colore che, per sola miscredenza
o miUanteria d' ingegni o mahgni o di soperchio vivaci, pongono
difficult^ eziandio alle cose piil chiare secondo r ordine della natura, perch^ 1' hanno
sottoposte i nostri maestri all' autorit^ della fede. > Ne gK sfugge robiezione deir^^r nihilo
nihitf che dal nulla non si fa altro che
nidla; che perd Cicerone: erit aliquod quod ex nihilo oriatur aut in nihilum
suhifo occidat? Quis hoc phisicus dixit unquam?
€ 11 Magiotti vi risponde: Se noi favelliamo del mondo Archetipo, e eterno nella mente di Dio
siccome le idee di tutte le cose che f
urono, che sono e che saranno e di tutte le possibili ad una onnipotenza
infinita : ma il mondo sensibile e la materia F ha fatto 1* artefice sovrano a quegli esemplari dal
nulla : n^ dee ci5 parer gran cosa a un
Dio onnipotente e infinite. E come gli
uomini dal nulla possono far anch' essi
qualcosa, come di trar fuori da quelle una nuova forma, a maggior forza Dio infinitamente
onnipotente dee poter fabbricar la
materia ex nihilo, e di cid noi dobbiamo
restar persuasi che sia cosi; come quantunque sia impossibile a intender che
sia eternita 6 del pari impossibile a
restar persuaso com' ella non sia,
perchd voltandoci indietro per la graduazione d' innumerabili principj
1' uno dell' altro, ^ forza di giungere
ad un principio non principiato ed eterno. E se Dio che onnipotente si ^, pu6 adoperar gl'
impossibili a noi, quale ardimento sar^
dell' uomo che voglia gl' impossibili limitargli ch' a lui possibili sono,
quantunque r uomo non giunga a capirli,
e di quel che egli afierma non abbia voluto convincercene con argomenti,
ma 8i d' autorita proferire? Imperocche
Iddio voglia merito da noi, e per
intiera fede ; anzi fortiticandocela con si
chiari esempi, con rivelazioni e co'detti d' uomini ec E qui superfluo che io rintessa quelle che
dice il R. intomo al fine per cui Dio
provvide alia bellezza della donna; poiche gi^ sufficientemente V ho chiarito 1^ dove ho discorso dell' amore
secondo il nostro filosofo ; e siccome qui si rannoda la teorica della reminiscenza Platonica, e della creazione ab
ceterno dell'anime, la quale dottrina di
Platone ei vuol conciliata con quello che ne insegna la fede mentre rigetta la
tavola rasa dei Peripatetici, io ne ho riferito
ampiamente a suo luogo. Ne basti pertanto osservare: 1° com' egli, R., per bocca del prete
Magiotti, a torto, e troppo tolga all'
intelligenza e alia razionalit^ delle donne, in compenso delle quali
privazioni dice aver Iddio dato loro
appo I'uomo la raccomandazione della bellezza; sendo esse, pur razionali,
animali si imperfetti e dell' uso di ragione cotanto manchevoli a petto agli
uomini che non a torto disse quel savio
infra Io stremo peggiore deUe nature ragionevoli e '1 meglio delle sensibili, la natura
donnesca essere stata locata; 2** come
il nostro filosofo in sentenza platonica e petrarchesca le bellezze della
donna, raggio delle divine, abbia il
supremo Provvidente create agli uomini
come gradino per ascendere a sollevarsi alle
bellezze infinite. Capitolo
Decimoterzo. {Segue) Dei mali. — Necessita di questi nel mondo. —
I yeri mali. — La morte non e un male. —
£ cosl la poverty, la perdita delle
riccbezze, le ingiuste persecuzioui ec. — I mali occasione e strumento
di bene. — II dolore. — La infelicita. — Del dono della ragione. — Saa natura.
— Malizia e ragione. — Libero arbitrio e prodestinazione. — Liberta e fato. —
Passo dell'Autore su questo punto. —
Epilogo delle probabilita ragiouevoli intorno 1* esistenza di Dio provvidente. — Bifugio nel la fede. Intricata
e ritale questione ne'tre dialoghi 11, 12 e 13
aflfronta e definisce ilRacellai col metodo 8te8SO,e co'medesimi
intendimenti, la quale d necessaria a risolversi per chiunque favelli di provvidenza; la
questione del male nel mondo, che egli
reputa, come i beni, dipendere da essa. E prima di tutto, con a maestro e
duce Platone, che dei veri beni e veri
mali divinamente discorre, pone la
necessity de' mali nel mondo; e al
signor Elea che obietta veder noi il giusto esser oppresso e percosso dalla sferza dei mali, e
1' ingiusto trasportato nelle regioni
della felicity, sicch^ Dio mostrarsi o non provvidente o non equo,
risponde Per la qual cosa facciamo esamine
un poco sopra di questi mali si gravi
che non sono in poter nostro di
ributtargli; e veggiamo, se mali dir si deggiono, onde, dall'esser noi sopraifatti da quelli, abbia a
dependere quel giudizio, che con tanta
franchezza forma Epicuro, dell'essere
Iddio a tal cagione o non giusto, o vero
non provvidente ; e incominciamo dalU ultimo, di tutte le cose piii terribile alPuomo, dico dallo
spaventoso accidente della morte, che
indifferentemente e alP improvviso, e d' innumerabili spezie e in ogni e qualunque et^ cade sopra noi viventi mortali. E,
quantunque per lo lume vivissimo della
fede Y immortality dell' anime nostre ne
sia manifesta, pure non di meno, poich^ si
risponde a Epicuro, all' Epicurea favelliamo e di sue opinioni vestiamoci, supponendo con falsa
dottrinach'elle mortali esser potessero:
imperd che in tal caso eziandio male non h la morte, nd che Iddio
provvidente non sia, si come egli ebbe
per indubitabile, cid dee essere argomento. Dicamisi un poco: quando bene
I'anima mortale si fosse, che torto
riceve T uomo dove prima o poi egli
adempia il termine a lui prescritto del vivere, posto anch'egli come le altre
cose caduche e finite a discrezione
degli accidenti fortuiti che provengono
dalle seconde cagioni? Per modo che non pena n^ gastigamento d' Iddio,
ancor che provvedente, la morte degli
uomini chiamar si dee: imperd che non piti ragione ha di dolersi morendo colui
ch' h stato ingenerato a condizione di ritomare a quelle ch' egli era anzi che ingenerato fosse, di quelle che avrebbe
chi non fii mai, dolendosi perche
ingenerato non fue ; con cio sia cosa
che a colui che non ^, non manca mai nulla; n6
ha desiderj o bisogni, n^ passioni o diletti se non quello che ^; e il mancamento e il dispiacere di
esser manchevole non da altro si deriva, salvo che dove non si conseguisca cid che ottenere si vorrebbe; n^
dolersi puote ed esser misero se non
colui che abbia senso. Adunque non altro
la morte si ^ che ritornare a non
essere, cid 6 a non avere di nulla mestiere e a restar franco da ogni tormento, si come era prima
che fosse. E poi ; che ^ il nostro
vivere perch' e' s' abbia V uomo ad
atterrire della morte? Alcuni piccoli animalucci non giungono a vivere un di intiero, de' quali
chi arriva alle venti ore di vita pud
chiamarsi decrepito : e ch' ^ di piii
nostra vita comparata all'eterno? Adunque, sela
morte ne finisse del tutto, si come tiene stoltamente Epicure, cid fora ricondurci a'nostri
principii: cheimpero lamentarsi non gli si conviene di torto alcuno. > E quei mali che accompagnano la morte
(la quale ^ un punto di tempo si
momentaneo che non tocca i vivi e non s'
appartiene ai morti) o non sono che una
necessity alio scioglimento che si fa di tutte le parti sensibili a poco a poco, accid che si come
passo passo si andd formando, cosi
lentamente a suo disfacimento venga il
composto: quindi le malsanie avanti le debolezze provengono d'anno in anno
secondo il vigore e il temperamento che
loro piii o meno fii conceduto da
vivere. Ma quanti per la crapula, per le libidini e per ben mille sofferenze cagionate dall'ambizione
o dalr avarizia si smenomano la vita loro, mal servendosi e consumando gli strumenti datine per nostra
conservazione ! > E indi il nostro
scrittore passa a discorrere degK altri mali, la poverty, la perdita delle
facolt^, i disfavor! de' principi, le
infermiii,, le servM, gli esilj, le ingiurie,
le calunnie, le ignominie, le ingiuste persecuzioni, la perdita delle provincie, e de' reami interi
a' Re che giustamente li posseggono ; e di nuovo il giusto oppresso, ringiusto esaltato; e vi risponde, e risolve
la questione^ mostrando come cid non dal
caso n^ da Dio, si da noi stessi molte
volte dipenda, e dalla nostra ingiustizia del
vivere, e come alcune cose che a noi sembrano mali,, Iddio a fine di bene ce le mandi. Convione pero dire che R. scendendo a parlare
de'mali particolarmente, e'si dimostri troppo
stoico, per dirla pi^ conformemente alia quality della £ua dottrina, troppo mistico, sicch^, a m,o'
d' esempio, discorrendo della poverty e del suo contrario, la ricchezza,
mentre, e a ragione, encomia quella virtuosa
come germe e fondamento di felice tranquillity, troppo invero questa dispregi e condanni,
sbagliandone Tabuso con I'uso. Bello
perd 6 il quadro che fa degli onori
dispensati sovente a' men degni, e de' dispregi a chi invece onori avrebbe meritato per le sue
virt^. La provvidenza divina, dice
I'autore nostro, die alI'uomo i mali, e lo sottopose al dolore, in quanto
intendimento suo si fii quello di renderlo perfetto e agevolargli le vie a scuotere il giogo dei sensi e si
indurargli sotto quello dell' anima
razionale. Adunque il dolore patir si
pud, ed ^ dono del prowedere supremo; con cid sia cosa che a gloriosi trionfi ne mena, la sicurezza
e la liberta ne conserva dell' animo, e
ne fa esser gli uomini sopra gli uomini,
anzi, come Seneca tenne, uguali o superiori
agli Dii : Ferte fortiter, die' egli, habetis quo antecedatis deum :
ipse extra patientiam malorum est : vos supra patientiam. Iddio per renderne
degni di sua alta beneficenza, perfetti
ci vuole negli atti della ragione, in
cui sopra gl' irrazionali privilegiati ci ha : e gU uomini di virtii bramosi,
anticipatameate apparecchiandovisi, debbono gaiamente a tutti i patimenti
essere esposti e si aspettarseli, per
conseguire i doni dell' onesto e la turpitudine viziosa iscansare. L' infelicity, in qualunque modo ella ne
accada, la pill fedele maestra si d ddl'
adoperar ragionevole ; perchd essa e
quel fuoco onde si alluma la luce, quasi
che spenta, della ragione, per cui altri si perfeziona e rendesi degno degli infiniti beni della
Provvidenza Divina. Ne' tre ultimi dialoghi di questo trattato,
il Rucellai s' intrattiene a discorrere del dono della ragione e della liberty, che il Prowedere etemo ha
fatto agU uomini, si che essi si distinguano dai bniti, e per ultimo riepiloga
contro Epicure gli argomenti gi^ espressi,
sull' esistenza di Dio, e sulP arte sua divina nel mondo. E nella prima questione egK definisce la
ragione alia peripatetica, e com' egli
dice, vendendo le descrizioni per definizioni, e gli effetti per le cagioni,
imperocch^ se non si pu6 arrivare alia cognizione del senso, molto meno si pu6 giungere a sapere quel che
sia la ragione di cotanto piii pregio e
piii sovranamente prodotta. E indi
lungamente discorre della malizia cui la ra gione raffina, e de' mali usi che
di questa fa Tuomo; e mentre questi
acerbamente condanna il Bucellai, come
prodotti dal Kbero arbitrio delF uomo traviato, quella difende come dono sqxiisito e stupendo
dell'Etemo Prov veditore; n^'perchd Tuomone abusa,il dono devesi spre glare, o
tenere in non cale; e conclude con V aggua glio del sole dicendo r o per varie vie si disperdono? Qual colpa
la ragione ci ha, se fluttuando per
furiosi turbini di violente pas sioni, tutti fantasimi dell' anima, torbida e
confiisa si rende la cognizione del
vero? Perch^ accagionare la ragione, se
le varie facce che ci si volgono davanti
de' mal regolati e incostanti appetiti, per esse ci si mo strano
falsificati e varj da quel che sono i suo'lumi
negli oggetti che noi miriamo? Non i raggi della ragione, ma si la
materia ov' essi percuotono, trasforma
sua purissima luce in variati colon; onde quello che per s^ d lucido e puro, torbido, o si vero
di tinte non sue colorato rassembra ? E
perch' essi da luce proven gono, ed alterati ne sono i riverberi, distinzione
ne rendouo, ma s) rea distinzione e
mentita, che abbaglia e delude in noi V
elezione, rivolta i talenti in malizia,
seduce la vista dell' anima ed aguzzala in yedere quel che non d; ond' ella allettata da immagini
false, ivi si studia di giugnere, e si
adoprando astutamente il male^
perfeziona le qperazioni viziose: per la qual cosa Marsilio Ficino, corona della patria nostra,
disse divi namente in simil proposito: Sicut miopia terrena a coda lumen reddit opacum, facUque colorem ex
lumine, sic corpus circa animam reddit
ex inteUigeniia sensum. Non h dunque
colpa del lume ragionevole, per s6 mai sem pre chiarissimo, ma di noi che
tortamente il guardiamo^ con
frapponimenti che ingannano e insozzano i suoi
riverberi, si che ei non ci si mostra bene, non per suo, ma si per nostro difetto. II sole, dice il
prefato autore, trapassa di presente
per la chiarit^ de'cristalli, che non
parano, o rigettano indietro il vivo lume ch' e' ne tramanda ; ma dove ne' corpi terrei ed
opachi si ab batta, inetti a imbevere la luce, voglionci replicate pcrcussioni de'raggi suoi, che pria gli
riscaldino, ac cendangli ed assottiglino ; e poscia suo lume vi penetjfa a fecondarli. N6 piii, n6 meno, i rai
vivificanti deUa ra gione umana, ch'6 pur favilla della divina, per la
purity e.trasparenza degli organi
intemi, passano agevolmente a {ax lume
all'occhio dell' anima; ma se le tenebre
de' sensi brutaU e la materiality delle passion! terrene fiannosi loro innanzi, non perdono que'
raggi loro luci dezza, ma le tenebre non la comprendono ; e per6 o il lume della ragione dall' occhio mentale
smarriscesi, poi ch6 esse gliele
tengono, o vuolci tempo e atti iterati di
loro vigorosi percuotimenti, accid che disciolgano, liquefacciano e si
consumino quelle grossezze, anzi ch' e' passino a rendere sinceri all' anima
gli oggetti dell' immaginativa e veridica V elezione della volont^; cosi come non ^ colpa del sole se suo' rai non s'
insinuano si di leggieri per la durezza
e asperity della terra, n^ anche ^ colpa
della ragione se suo' lumi trovano I'opacit^ degli affetti che gli ribatte, e
si presta loro I'imperfezione de' suo' inform! aspetti, per falsificame la luce. Impercid, signor Elea, la colpa tutta e di
noi, e V uomo quando usa bene la
ragione, e I'ottimo di tutti gli
animali, quando male, e pessimo di tutti. Che poi I'usino pochi per lo nostro naturale
iucitamentode'sensi, non d colpa della
ragione, n6 cid si dee apporre al j)rovedimento
divino: ma noi proprii ne semo i colpevoli, impercio che la ragione n' 6 data,
accio che I'uomo, come buon villano, il
campo del cuor suo diligentemente lavori, si che quello che v'^ duro, spezzi e quello che mal cresce, ricida; e con
imperio d'animo debbia governare tutte
le corporal! parti; se cid non adempie,
d! lui fallo si ^. non del dono della ragione,
n^ del domatore sovrano, perch^ molt! pravamente si vagliano di tal beneficio. Con tutto che
tant! e tanti scialacquino i patrimonii,
perde forse merito lor padre di cotanto
utile lasciato loro? Quanti sono che, volendo far male, giovarono altrui, e ben
lor nacque ? e come non si dee saper
grado di cio a' primi, cosi n^ meno
averne odio a' secondi. FoUe discorso saria, sa
d'un principe, che di una alcuna nobile e salutevole vivanda regalo ne facesse, lamentare ci
volessimo, perch^ male ne avesse fatto, o per la mal sana disposizione di noi
medesimi, o pe'rei condimenti, onde cucinata I'avessimo. Elea. — Non hanno
colpa i principi se di qualche loro
grazia male ci venga, perch^ essi saper non poteano che cid ne dovesse accadere
; ma il provveditore etemo non puote
scusarsi di non antivedere le cose
avvenire. Era dunque migliore, o non darci la ragione, o si levarci Y elezione dell' operare, che
damela per male servircene. > E con questo si scende a risolvere Taltra
quistione importante del libero arbitrio
dell' uomo, ch.e, appunto dal malo uso
ch' e' se ne fa, alcuni vorrebbero escluso
e rimesso nelle mani volubili della fortuna e del caso, o in quelle ferree di una cieca ed
irrevocabile necessity,. Difende R. la liberty d' elezione nell'uomo, della quale ad esso solamente fu fatto dono
tra gli animali quaggiiH, perch^ e
ragionevole appunto, e accorda questa liberty colla predestinazione,
invadendo cosi, mi sembi^a, un campo che
piii che suo, 6 di teologizzante, mentre
invero assai debolmente ragiona della
liberty in s6 filosoficamente considerata. In sostanza la predestinazione
puossi invero accordare con la liberty,
purch6 si badi al concetto di questa medesima
predestinazione. Ch' d ella mai inf atti ? Iddio in cui il passato e il futuro s' immedesima nell'
eterno presente, non puo, umanamente
parlando, non prevedere ogni azione
dell' uomo, e in tanto prevede, egli predestina; se non che quell' idea di tempo che nelle due
parole s' inchiude non vale per Iddio, si per noi che finiti siamo e nella successione del tempo ; ond' 6 che la
liberty umana in nulla rimane impedita;
imperocchd non perch^ Iddio prevede che
I'uomo determina, impercid egli determina; ma perche I'uomo 6 per determinare
di suo arbitrio, inipero Iddio, che ha
cognizione infallibile, prevede ; c e,
se 1' uomo fosse per determinare il contrario, Iddio previsto 1' avrebbe, si
come colui che errar non puote nelle sue previsioni. Adunque I'atto della determinazione 6 libero, ancor che Dio lo
preveda; ma r atto dell' esecuzione non
^ libero, e perd Iddio o il permette o
lo predetermina o toglie ch' e' non awenga,
perch^ cosi predetermino. >
Ond' ^ che Iddio pone Fanima razionale per entro la corporale materia, accio che la parte
inferiore alia superiore ingaggi
battaglia, e con questa gli nomini da
per loro prodi si facciano contro gli empiti degli appetiti espugnandoli con la ragione. Ma
raffiguriamo ci6 ne' sentimenti piii che
umani di Pittagora e di Plato, i quali
col barlume della natura nell'infinita
beneficienza di Dio ragguardando, ben si awiddero il merito della sublime condizione deiranime
non esser merito bastevole per lo
godimento di quella; e si da questi
astri immaginati, ove secondo loro Iddio le teneva in serbanza, con la viziata
natura della materia vile mischiandole,
le lasciava in suo arbitrio, accio che
col divino talento della ragione sapessero di proprio volere i vizii vincere e far si che i sensi
servi fossero e instrumento della ragione,
non questa instrumento di queUi; per lo
cui merito o le stelle piCi luminose o'
Campi Elisi per lor felice magione dopo morte assegnarono ; ma, altrimenti
oprando, da' corpi umani la trasmigrazione
davano dell' anime in que' delle bestie
i cui costumi brutali piii a' vizi loro si confacessero. Imperciocch^ la ragione non d essa il merito
d«' beneficj divini, ma si lo strumento che messer Domeneddio ne porge loro, bene usandola, a meritevoli
farsene. E perch^ pugna forte la natura
della materia corporea contro a' dettami
della ragione, n^ Iddio vuol per miracolo perfezionar la materia, quindi nasce
il libero arbitrio in si fatto contrasto
di due contrarj stimoli, il, quale,
dov'e'si volge, all'un di loro d^ lavittoria: e perch^ a nostra imperfetta
natura sono piii i vizi che le virtudi
conformi, non volendo Iddio fame oprar
bene di potenza, perch^ i meriti degni meriti non sarebbono appo di lui, ne viene che il minor
numero se ne approfitti: e per6 la
ragione nulladimeno d prowedimento
sovrano datone a dar regola al nostro
libero arbitrio, ancor che forse il minor numero se ne vagliano. Adunque il farsi meritevole de'
beni di Dio non in aver la ragione
consiste, ma nel volerla spontaneamente adoprare, potendo fare il
contradio. Imperf. — In somma ell' d
una proposizione molto difficile a
intendersi questo libero arbitrio, com' egli
stia collegato con la predeterminazione di Dio. Mag. — Udite piii innanzi e con piii
chiarezza. Cid che sono per deliberare
ed eleggere gli uomini, il vide Iddio ab
aterno; ma videlo, non lo sforzd; seppelo,
no '1 determind; il predisse, non V ordind. > E indi R. combatte la necessity che gli
stoici affermano darsi nel nostro
acconsentimento, che non altrimenti
spontaneo sia ma risultante dalle cagioni
antecedenti per fatality impermutabile. E gli oggetti che ad agire ne stimolano dimostra col senso
comune, e coir esperienza, esser bensi
cagioni prossime e particolari, non principali ed universali, e come lo
acconsentimento e la deliberazione nasca da noi si come il principle del moto alia trottola il d^ chi la
tira, ma il volgersi in giro per merito
si ^ di sua propensione e figura. E nel mondo evvi anco il fato a cui Tuomo
soggiace senza che quelle contrarii il libero arbitrio di questo. Fato, il quale non d che volere
divino, pare al Bucellai che nominar si
debban le morti repentine, e ogni e
qualunque altro accidente nel qual cagion prossima particolare non si ravvisa
che a quella innanzi ne disponga, ma che
immediate e all' improwiso dalla cagione
universale discenda, laonde niuna libera determinazione di nostro ai:bitrio
luogo ci abbia. E riepilogando, il
nostro filosofo dice, cadendo poi nel
suo solito probabilismo : Per la qual
cosa a ragione fu chiamato il fato;
inJuerens rebus mobUibus immobUe promdentim decreturn, quod singula 5wo
ordine loco et tempore firmiter reddit.
E in ci5 distinguono gli autori la provvidenza
divina dal fato; quella dicono, vis in Deo et potestas omnia videndi, sciendi^ et gubemandi indivisa
stipata et uniter juncta ; ma il fato lo
pongono partitamente nelle cose
particolari: la provvidenza ^ in Dio solo locata, e a lui solo sta in petto: il
fato h il decreto e resecuzione di essa applicata alle cose speciali. La provvidenza dunque ^ in Dio e il fato nelle
cose discende da Dio ; e perd la provvidenza h prima del fato, si come il sole ^ innanzi al lume, V eternity
al tempo: Providentiam rerum omnium
jundim esse fatum per distributionem
singtdarum? Seriem nexumque eausarum in
ordine in loco in tempore. E di queste cause si
prevale secondo lor virtii o dote data loro da Dio. Pendentem a divino consilio seriem
ordinemque causarum chiama il fato Pico
della Mirandola. Ma le cagioni seconde 1' adopera per quel modo ch' elleno
usate sono di adoperarsi, e percio delle
libere determinazioni nostre mosse
dagli. impulsi o degli appetiti o della ragione, secondo che bene o male
deliberiamo; il cui effetto segue o non
segue secondo la predeterminazione divina ; e noi degli atti nostri volontarj, o ragionevoli o
irragionevoli, abbiamo il merito e il
demerito. Che iraperd per divino
provedere la ragione n' ^ data a correggimento di nostro libero arbitrio, da' cui moti bene o male
regolati la virtii o il vizio ne
risulta, quantunque non se ne adempiano gli efiFetti. Cosi anche naturalmente
favellando, la predeterminazione e
prescienza delle cose col nostro libero
arbitrio coUegare si puote, cui la ragione soprasti ; e perd non n'^ data
indamo come altri vanamente si presuppone.
Elea. — Oh quanto malagevole si 6 il poter fermare ci6 con tutte quante le argute ragioni
addottene dal nostro Magiotti,
autenticate eziandio daU'autorit^ di
grand! uomini, le quali son belle si e appariscenti, ma in somma poi non provano! Mag. — Egli ^ sufficiente lo 'ntendere che
quantunque non rintendiamo possa essere anzi abbia del verisixnile che si
fiatta coUegazione si dia, e che noi non giunghiamo a poter provare il contradio;
impercid che chi 6 colui che osa senza
forza di manifeste dimostrazioni contradire a' proprj sentimenti ? II libero
arbitrio noi ce '1 sentiamo in noi da
per noi : che gli effetti poi di esso
dipendano da piii alta cagione, cio eziandio
n' ^ indubitabile e aperto per chiarissimo e continuato sperimento. Come dunque volere affermare che
tale collegamento non ci abbia? Adunque
acquietamci, senza negare o affermare sopra
il modo come e'si sia col nostro usato
rifugio. Quest' uno i' so, che nulla io so :
che d'intorno a qualunque cosa noi non intendiamo per lo piii vero e indubitabile d' ogni
scienza che sia. > E col riassunto
delle probability ragionevoli intorno
all' esistenza e al provedere eterno di Dio, si compie questo trattato, eliminando sul bel prime 1'
opinione di Epicure che la speranza e il
timore siano i due fattori di Dio nella mente dell'uomo, o, per dir
meglio, riducendo questa proposizione al
sue giusto valore, che e la speranza e il
timore di Dio, il quale nolle opere sue
e nell'arte sua divina si manifesta, non sono da fantasmi o da immaginazione. E conchiude il Magiotti : E il signer Giovanni Nicheo Dalmatino,
che sopraggiugne, abbiam visto in principio della Esposizione con quali parole si rivolga, domandato, a chi
cerca altri argoraenti sull' esistenza e
prowidenza di Dio, e •come dope aver
detto che grandiose segno di tal verita si ^ V universal consentimento in tale
credenza, che equivale a un dettame di
natura, si rifugia in argomento di
teologia rivelata e conchiude : Al che
tutti s' acquetano, come vedemmo, e la ragion di loro, chiuse le ali, si riposa
timorosa e tranquilla, come Colombo, nel nido securo di una religiosa credenza. II detto di Socrate e quelle di
Tale to. — Fatti interni: psicologici e
morali. — Nosce te ipsum. — Dell' anima in generale. — Galileo. — t presunzione voler comprendere
quel che Taninia sia.— Studio proficuo
de' suoi strumenti. — Notomia. — Proemio del Rncellai alia parte morale. — Qui
e aristotelico.— Riepilogo. — Laragione ed il scnso. — Loro contrarieta nel
riconoscere il bene. — Tre sorte di beni
; dell' anima, della fortuna e del sense. — Apprezzamento di essi. — La vera
scienza morale e il timore di Dio. — L'
anima umana, perche ragionevole, ecapace del timore di Dio,e, pero, di Tirttj. — Anche qui R. e mistico. —
Operazioni delr anima e della volonta. — Errore e dubbio. — Buono e reo. —
La vera felicita. — iJ la vera virtu. —
Stoicismo. — Aristotele. — A^irtii
cardinali. — Ldro definizioni ed uffici. — Estremi delle virtu. —
i\.pplicazione delle virtti alia societa umana. — Fine di essa. — Doveri. — Divisione di essi. — Cicerone. —
Sentenza esagerata intorno le donne. —
Goudusione. Fin qui ^ stato un discorso
per il regno della natura sensibile, e
per il regno della natura divina. Accompagnato apparentemente il Kucellai dalla
voce di Socrate, osservd, come vedemmo, le stupende regioni di questi due regni, ma le ragioni delP esser
loro non impard con certezza, si discopri col lume incerto dell'intelletto come
probabili, perche la loro certezza solamente la fede ci manifesta, e il
probabilismo (che infine non d se non
uno scetticismo) razionalmente fayellando, si fu la conclusione delsuo
lunghissimo esame: probabilismo e
scetticismo, io ripeto, che come per incanto tramutossi in evidenza, allorch^ V
autoriU divina sopraggiunse, e le nebbie della ragione, quasi raggio di sole, penetrando disciolse. Or la guida del Eucellai muta, e come
Virgilio al limitare del Paradiso ced6 V
ufficio di condottiero per Dante a
Beatrice, cosi il detto Socratico sul limitare
della coscenza umana si rist^, e a quel di Talete d^ luogo, perche serva di guida al Filosofo
nell' esame dei fatti interiori,
psicologici, io dico, e morali. In un modesto preambolo accenna egli a tutto
cio; e nella Villeggiatura Albana che comprende due Dialoghi, il secondo de'
quali diviso in 31 capitoli, discorre della
psicologia e antropologia, molto imperfettamente per 6, si che non ha importanza, abbozzo piii che
discorso, 6 percio anch' io spendo poche
parole in compendiarla, per quel tanto
che al mio ufficio sodisfi e non piCi.
Badare, egli dice, agli antidoti contro le malattie deir Anima ^ necessario, e cid si fa e si
consegue anzi tutto, conoscendo bene s6
stessi. Nosce te ipsum; conoscendo cio^ intieramente gli organi nostri, sede
delr inteUetto e dell' altre potenze dell' Anima, e imparando a tener bene d'
accordo i due movimenti contrari sotto
le leggi del dovere. E cid, applicando pure la
scienza della Natura a correggimento dell' Animo, affine di conseguire
quella felicity espressa in quelle parole :
E siccome nell' individuo tre operazioni diverse ma congiunte si osservano, vegetativa, sensitiva
e ragionevole, giova dire le opinioni che in antico si ebbero della sede di queste potenze, cio^ della
natura delr Anima; discorrendo poi partitamente dell' anima vegetativa, indi
della sensitiva, e per ultimo della ragionevole, ossia dell' anima in questi
tre aspetti diversi. Poscia il filosofo
si propone di far riflessione siccome
rUomo per mezzo dalle quality eccelse dell'anima deve istruire s^ stesso neUe virtii morali,
per conseguire il bene perfetto, che spesso in oggetti onninameirte ad esse
contrari noi andiamo cercando. D
disegno di queste parti si ^ chiaro, e precede
con discorso naturale della mente, e giusta il buon metodo: 1' Uomo ^ problema a s^ stesso; ogni
sosprro, ogni movimento, ogni pensiero,
ogni volizione 6 un complesso di fatti
che TUomo produce e che avendo in s^ del
misterioso vuol sapere di essi il perche.
L'Uomo 6 un creatore finite di cose indefinite; egli compie degli atti agevolmente, ma quegli atti
li diresti divini, se non lo sapessi finite, tanta 6 la lore grandezza, la lore
portentosit^ ! Egli si vuole conoscere
e ne ha tutto il diritto. E *a che
sapere delle cose che lo circondano, se ignora
Tessere proprio? Ei vuol saper
com'^, chi ^, dov'^, dov'andr^; ^ ben
naturale ! A che darmi questa sete insaziabile di scienza, di amore, di infinite, se poi, come
a Tantalo, ella dovesse formare a me uno
strumento d' un eterno martirio? A che
fomirmi di tanti organi stupendi, di
tante facoltS, prodigiose; a che sottoporre al mio volere in me stesso tanti abili ministri di
arte e di ingegno; a che questa ragione, questo volere, s'io son condannato come un organismo di cera a
restarmene immobile, o, come macchina, a
muovermi senza sapeme il come e il perche? Oh! dunque rUomobisogna conosca sd
stesso, il sue corpo, la sua anima, le
facoM di ambedue, se vuol dir di sapere alcun che. Questa sentenza del conoscer s^ stesso e
adunque la base del verace sapere.
Obbediamola, e, guidati da essa,
studiamoci. L' anima, lo abbiamo
veduto, ^ di piii sorte; quindi conviene vedere prima dell' anima in generale.
II Galileo interrogato che fosse quest' anima naturale, rispose : non lo so.
Tutte le definizioni date dagli antichi
suir anima si accordano a dire che essa ^ un movimento. Ma pero il
movimento ^ un effetto, dice il Rucellai col Galileo, e resta sempre a sapersi
quel che r anima sia veramente. Chi
produce questo effetto nel mondo? chi ^
I'origine di questo moto universale?
Platone reputa etemo questo moto, ed erra stimandolo etemo colla materia, sibbene dee ritenersi
eterno con Dio ; ^ egli dunque Dio
stesso, che 6 anima dell' Universe, d egli Dio il moto che 6 anima del Mondo?
fi presunzione il rinvenire se questo
moto sia veramente r anima del Mondo e
percid dobbiamo starcene quieti a quello
che gi^ per lo innanzi abbiamo veduto, e non
andar pitl oltre in quest' indagine, imperocch^ chi vuol saper pitl innanzi della verity, va a caccia
della bugia. E qui invero si ferma R.
quasi scoraggiato della ricerca, per
passare all' esame di cid che si vede, e
di cid che si tocca, cio6 della fabbrica esteriore delrUomo, osservando come
dalla fabbrica dei diversi ingegni e deUe
varie maestranze degli organi dei corpi
che vivono. argomentare si puo la quality delle anime che quelli informano ; sicche giovi
discorrere della notomia, non ad uso della medicina o physice, come avrebbero detto gli scolastici, ma si all'
esame delr operazioni dell' anima sensitiva e della ragionevole, cio^ Metaphysice ; esaminando cio6 i /?ni a'quaH
son formate quelle parti e quegli
organi, e 1' ordinamento loro sotto il
regime volontario dell' anima umana o ra^
gionevole. E nel suo trattato d' anatomia segue il Rucellai i pill dotti
Naturalisti del tempo, e soprattutto il
dottissimo medico di Firenze Rodrigo de Castro, il quale fii autore del libro SuUe Meteore del corpo
Umano. L' egregio lettore mi permetter^, e non a malincuore, ch' io gli
risparmi la descrizione di questo trattato, che del rimanente non contiene in
s6 altra importanza tranne quella di essere basato sulle cause finali e d' essere informato al principio
universale delr ordine e della proporzione. E questo ^ tutto quello cui nella seconda Villeggiatura accenna 11 R.; poco importante, come ognun vede, ed
imperfettissimo, e che era forse per lui
un abbozzo di un lavoro pii compiuto e a
cui come ad altri manco al filosofo nostro
11 tempo di porre mano, o di dar T ultimo tocco. Reputo piuttosto, come quello che merita
piii, di intrattenermi con alquanta
maggiore larghezza sul trattato delle facolta interne e morali, nella
Villeggiatura Tiburtina compreso, che
quantunque imperfetto ancli' esso, pure per natura sua e all' obietto nostro
giovevolissimo, ed incomincio pertanto dal riportame il Proemio, pubblicato dal signer Fiacchi, come
ho avvertito nel Cap. 7**, (Collet, degli opmcdi Scientif. 1814) ma ignorato quasi generalmente, e che ^ bene
risottoporlo all' attenzione del letterato e del filosofo, percM oltre a designare in esso quel che intende
contengano i suoi dialoghi sulla morale,
d come uno specchio fedele della qualita
loro e del sistema, ed agevola la strada
alia critica nostra. Pboemio alla
Villeggiatura Tiburtina. Per modo che
fatta questa pausa di parecchie ore di
tenebre, egli h ben ragione ch' e' ci ritorni alia vista e alia mente quell' ammirabile opera
dell' Onnipotente mano di Dio con le indefinite specie che ne giungono a un tratto agli occhi e alia
fantasia di si varie e leggiadre
particolari sue creature, che tutto il
corpo universale del mondo con si stupenda consonanza e armonia
compongono insieme. Per lo che alio
scoprimento di si belle varietadi e di tante sorte di cose, che annoverare e distinguere non si
ponno in un' occhiata sola, e di si
diverse tinte e lumeggiamenti, onde si
scorge tutta la terra colorata e distinta; chi
non rimarrebbe attonito e stupefatto, se non 1' avesse di giorno in giorno per lungo corso di anni
osservate e vedute, e perdutone con
I'uso quotidiano degli occhi, la maraviglia? Tutto questo per I'appunto 6
intervenuto a me stamattina su lo spuntare dell' Alba, in questa nostra uscita per andarcene a
Tivoli da Nemi partendoci. Perch^ al primo
raggio lucente, che in un attimo si
distese con 1' illuminazione della terra
e del cielo dall' uno all' altro orizzonte : io non potetti far di meno in quel subito di non rimanere
strabilito da tali e si maravigliose
bellezze, che mi vennero di presente a
ingombrar le palpebre come di cosa nuova
e non piii veduta, e ipsofatto aprironmi altresi la mente a piii subUmi e piii nobili considerazioni.
Impero dunque quantunque volte meco
pensando riguardo alia lucidezza del
cielo, e alia vaghezza della terra, io rinnuovo subito tra me stesso le usate
riflessioni avvertendo con quante diverse situazioni e riverberi di luce questo tutto adorno sia ; ravviso di quanti
vari colori da essa dipinto venga questo
nostro Emispero, variato per ben mille
vaghe maniere di lumi e d' ombre. Vagheggio con sommo diletto quante positure
difformi vi si rinvengano di piani, di valli, di colline e di monti che lo disagguagUano nella rotondit^ sua:
osservo di quante maniere sia divisato
da una banda di boschi verdissimi, dair
altra di amene campagne, e di campi
aperti, Golmi e fluttuanti d'oro ad ogni aura che spiri; scorgo dove acque nitidissime che a guisa di
tante vene serpeggiando e correndo lo
irrigano, dove Tampiezza dei mari che ondeggiando ne vengono ad ora ad ora con tempi ordinati alle prode; e
insomma innumerabili differenze di cose che in qua e 1^ disseminate si mirano;
le quali avvegnachS per difetto della
capacity nostra, ne appaiano confuse ed a case; pur tuttavia elle sono ordinate e disposte con
ammirabile simmetria dalla madre natura
e da colui che la guida. Laonde se 1'
ordine altro non d che una composizione
di pill cose insieme adattate e accomodate a' lor luoghi prescritte con
sommo e alto sapere dall' opportunity dei siti, e da' tempi in che esse s'
addicano, e se bellezza e compiacenza
veruna de' sensi nostri dar non si puote
senz' ordina, e tutto quello ch' 6 brutto e spiacevole, per6 spiacevole e
brutto si ^ peych^ ^ disordinato ed a caso; confessare pur mi conviene che
nella confusione di si leggiadre e
dilettevoli composizioni e disposizioni,
ordine maraviglioso e misura e propoBzione vi sia, comecch^ da' vostri occhi
non se ne discema cosi perfettamente la distinzione. > Dalla bella vista dunque di co^ varie
ed alte maraviglie, le quali noi in
viaggiando con la considerazione godiamo stamane ; mi si leva eziandio con
gran diletto il pensiero alia
contemplazione delle altre cose belle,
le quaH presentemente non ci si rappresentano
all' occhio : lasciamo da un lato il far ricordanza delle diversity* de' pesci del mare con tante
dissimili figure, e co'lor proprii
colori; delle bestie della terra d'indefinito numero, che niuna si rassomiglia
alia sembianza dell' altra, e '1 simile
degli augelletti svolazzanti per r aria
; ma che direm noi della maestria industriosa
per la quale con si differenti e si minute fabbriche e ordigni son fatti tutti quanti gli animali, e
quali picciolissimi ingegni sieno scompartiti entro di essi con finissimo lavoro, ciascuno a varie ed
ammirabili operazioni adattato? Qual'S si stolido che non rimanga a un tratto preso dalla beltade e leggiadria
delle donne, che creature ragionevoli
sono, facendo reflessione con qua' proporzioni corrispondenti di vari
lineament! si bene innestati insieme sia formata una faccia delicata e gentile?
e con qual tenerezza e delicatura risplendano a chi le mira le fattezze loro; e
con che elegante artifizio fuori dalle labbra
con dolci moti balenando un riso
aggradevole, I'alme ammalii con
soavissimo incanto? E chi ^ colui che sperimentato non abbia i vivi e chiarissimi lampi, i quali
scappando in un attimo dalle loro
ardenti pupille ne feriscono i cuori e
1' alme senza discemere ove sia il dardo, e dove Tarco, e la mano che lo scocchi? Ma
contempliamo altresi la variety
dell'effigie degli uomini, la robustezza delle membra loro con si nobile
proporzione scolpite dal Maestro
Sovrano, e la destrezza e la dispostezza in tutte quante le azioni, e il valore
che avvezzandosi egli acquistano per combattere talora e farci stare ogni piti temuta fiera? e
finalmente tutte quelle cose che la
natura di miracoloso ha in essi locato sopra g? irrazionali anche nelle parti
corporee. Per guisa che se Y uomo solo e
per natura e per dono di ragione
dilettasi e conosce quel che 1' ordine sia,
e '1 bello, e '1 modo, e V armonia di tutte le cose visibili e
apparent!, appagandovi entro la reflessione, il
che non dimostrano di conoscere n6 pigliame alcun diletto gli altri
animali; e se cotanto maravigliose cose
noi risguardiamo nelle parti che hanno gli uomini a comune co' bruti, e nelF artifiziosa
composizione degli organi loro, fatti
apposta dalla natura per le operazioni sovrane a cui ci rende abili V Eterno
architetto ; di quanta maggiore
ammirazione c' ingombrerem noi se
trasporteremo sifiFatte meditazioni dall'occhio alr animo, cio6 da' miracoli
delle cose che si veggiono o che veder
si possono, a quelle che si fanno entro a
quegli organi per oi)era di ragione, e che dall'intelletto solamente
comprender si possono? Molto piii avremo
diletto e consolazione senza alcun fallo nella
bellezza, nella impermutabilit^ e fermezza loro, e si nell'ordine che puote osservarsi nelle azioni
buone, nelle deliberazioni giuste, e
convenevoli, e nei giudicj retti della
porzione interiore dove consiste V operar
ragionevole, e V ammirabile leggiadria dell' onesto cotanto reputato da'
filosofi, e per cui 1' uomo non a torto
merita il nome di saggio. >
Ora per quella maniera che i lineamenti del volto e le proporzioni delle parti corporee, e la
loro convenienza insieme compongono quel vago aggregate che per maestria della natura fa risplendere e
piacere cotanto il bello, e'l leggiadro ne' corpi; non altrimenti per r opera tanto pii\ sagace e maravigliosa
della ragione e per lo suo alto magistero dalle convenevoli azioni, dagli atti dell' intelletto e dai
lodevoli costumi trainee fuori 1'
ordine, la simmetria e la bellezza delr animo di piiH eccellente perfezione
senza veruno agguaglio che sia; laonde con giustissimo titolo gli antichi savi anche di bello posero nome all' onesto,
a differenza del suo contrario che essi
addimandarono turpe, cioe deforme
veramente e fuori d' ogni regola e misura. Di
modo che restiamo pure persuasi come nella stessa guisa che la
bianchezza delle cami, I'oro inanellato
de' capelli, la grazia d' un riso che esce con vezzosi moti da una leggiadrissima bocca, il fulgore
e la vivacity spiritosa di due nerissime piipille che ne passano da un lato
all' altro senza accorgercene per mezzo
del cuore, e le guance di rose e le altre nobili e diligenti fattezze
bene accoppiate, e disposte in un volto
dalla natura spesse volte piu ad una femmina favorevole che all' ^Itra,
son tutte cose che il rendono bello ed
adomo, e fannolo riguardare, ammirare ed amare
con sommo piacimento e dilettazione da chiunque si sia. Maggiormente senza verun paragone dee
muoverci e dilettare la candidezza della
mente e de' costumi, la vivezza e '1
lume chiarissimo dell' intelletto, la grazia
e la nobilta del tratto e delle maniere, e la gravity et il decoro delle azioni che sono i lineamenti
perfetti che forma il magistero accurato
della ragione, e fa bella e
ragguardevole un' anima, e rendela amabile e aggradevole e nobile e gentile e
sopra tutte le altre in grandissimo pregio, ed estimazione; e questa si h la
vera bellezza che si appfeUa dai
sapienti onest^, il che non pud fare
giammai la bellezza di un volto corporale
ben fatto, il quale ^ solamente bastante a destare lo stimolo vehemente de' sensi ; dove all'
eccelsa maraviglia dell' altra con altrettanta violenza si risentono le parti superiori e le facoM piii preclare
dell' anima,. cioe a dire I' intelletto,
e la mente, conciossiache quelle
bellezze che all' onest^ si appartengono, sono d' intera,^ e non corruttibile fattura; dove 1' altre
caduche sono, e transitorie, e le riguarda
solamente con dilettazione la porzione
sensibile. > Ecco perch^
gl'irrazionali, che non hanno misure da
cio, non si muovono n6 si appagano se non di quello che il senso detta loro, e che e presente, n^
del passato del fiituro fanno verun conto. che sia. Ma I'liomo con la ragione intende alia conseguenza delle
cose, a'principj, alle cagioni e a' progress! loro, e con le passate paragona
la simiglianza delle present!, e a queste appoggia r investigazione e la conoscenza dell'
avvenire, e per tal via esamina e
considera e quasi dispone tutto il corso
della sua vita, appressandosi al vero, la dove Tuomo savio s' immagina cha 1' eccellenza del bello
con giusta misura sia collocato. Per
tale attitudine e inclinazione a noi
soli conceduta, tutti quanti siamo tirati alia bramosia della cognizione e
della scienza; e perciocche (come abbiam
dimostrato sin qui) delle naturali operazioni, di quelle eziandio che tutto
giomo da noi si scorgono e che noi
adoperiamo o per diletto o per V uso del
vivere, non ci e lecito o possibile di rinvenire i principj loro; n^ le loro speciali cagioni
ancorche gli occhi nostri apertamente le
mirino; a tale intenzione nel
cominciamento de' nostri discorsi proposi quellasentenza di Socrate ; parendomi sempre piti evidente noi non
potere ad altra scienza rivolgerci che
alia cognizione di noi stessi, e di noi
alia notizia di quelle porzioni che quantunque non si veggiano, si adoperano e regolansi da noi
medesimi, e riduconsi a quella perfetta
bellezza, che risplende viepiii e con
pitl verita all' occhio delle nostre menti,
che quell' altra all* occhio corporale non fa. Per la qual cosa applichiamo ogni nostra cura, e ogni
soUecitudine neir investigazione del
vero, intomo a quello ci driuscibile di aggiugnerlo, che in quel bello dimora,
in quel buono cosi sublime, il cui
esemplare, il cui ammirabil ritratto
dalla Divina mente staccandosi, ne f u si altamente nell' anima impresso, cio^
il lume della ragione dalla cui accurata
meditazione arrivasi con I'intelletto e
con I'opere al vero, al buono al bello, all'onesto; prima a conoscere quale
veramente e' sia, e vagheggiarlo con sommo deaio, per indi imitarlo con
I'esercizio della retta intenzione e della virtil. Ora se noi proviamo a qual segno ci muove e ne innamora
quelr ordinamento si ben tirato di parti perfettamente locate a' lor luoghi
della belta corporale onde sfa villa
quel lampo, quel non so che il quale i piii reputati filosofanti rag^o appellarono della Divina
PulcritudiQe; che dovrebbe operare in
noi, a che amore, a che consolazione destarci quell' armonia si perfetta di
convenienze tanto rettamente ordinate insieme, e si leggiadre e si ammirabili della heliA dell' onesto? il
quale piil accertatamente nominar si
puote non raggio solamente ma vivo e ben
condotto ritratto di quell' originale eterno
della sapienza infinita, 1^ dove il sommo bello di tutti i belli, il sommo buono di tutti i buoni e 1'
infinite e sommo sapere d' ogni altra
sapienza in una perfezione unica e
infinita si altamente rifulge ; e se la schiettezza e modestia sola degli ornamenti arroge
qualcosa di piii alia bellezza corporea,
dove la falsificazione e '1 liscio la
sminuisce e la toglie ; non altrimenti la purity e integrity de'costumi gentili
e delle maniere con I'ornamento solo delle scienze, e dell'arti pitl nobili,
fanno piii bella e pitl vaga 1' onesto
dell' animo, e rccanle piti chiaro
splendore che non fa la gloria vana e I'ostentazione e 1' ambizione, la quale
eziandio con le dignita e con esso gli
onori non meritati di piil alto grade
adultera e guasta e corrompe i bei lineamenti delr anima. E qui
rammemoriamoci per paragone delle belle
giovani di Marino che non accattano i rossetti
dair arte per farsi belle e leggiadre, ma serbano intatto quel finissimo velo di candide e lucide carni
federate di rose, le quali non col
cinabro o col bianco ma solamente coir acqua fresca ravvivano, a difierenza
delle nostre bellezze di Eoma, che false si veggiono e dipinte co' lisci, e
affatturate e guaste con V affettazione
degli ornamenti soverchi e delle artifiziate invenzioni. Ma per maggior riprova di quanto i' vi
propongo, passiamo di grazia a pitl precisa simiglianza di questo onesto col bello, e rimarremo sicuramente convinti
esser di gran lunga pitl leggiadro 1'
onesto che il bello. Ecco: il bello e la
bellezza dei corpi sono nomi universaK
che tornan bene, e s' applicano a innumerabili cose, come s' 6 a tutte quelle tanto naturali,
quanto fabbricate dall'arte in cui si ravvisi a un tratto perfezione di misure e di proporzioni che tirino gli
occhi di ciascuno a guardarle, a lodarle ad ammirarle; e cionon solamente segue nel rimirare una vaga e bella
faccia femminea, ma un cavallo o altro
animale eziandio, che nella sua specie
sia ben formate dentro alle sue debite proporzioni, le quali dal loro sesto
naturale non escono punto n^ poco; il
simile d'una bella pianta, d'una selva
ben posta e ben ordinata, che vi diletta
senza scorgerne il perche ; e infine tutte quelle belle cose, che noi abbiamo con tanto nostro
piacimento ammirate, e nel tutto
generalmente e nelle parti sue ciascuna
da per s6 di beM intera, e perfetta nel suo
essere, bench^ ella sia parimente porzione della bellezza del tutto insieme : nel medesimo mode delle
cose perfezionate dell' Arte il piii per imitazione della natura, belle ci convien dirle, e per tali celebrarle
; come delle pitture e delle sculture
addiviene, delle fabbriche magnifiche e dei palagi, e di tante e tante altre
fatture ben fatte di mano in mano
secondo la qualita loro e secondo
I'ordine, la simmetria e '1 componimento speciale che loro s' addice per 1' uso
a che elle hanno a servire, e per la
mostra che elle hanno a fare. Ma nella
stessa guisa che nella leggiadria e nella vaghezza delle opere della natura, noi ammirato
abbiamo V alto intendimento di chi 1' ha
fatte ; n6 piil n^ meno nelr artifizio e lavoro di quelle fabbricate dall'
arte, non ci dimentichiamo di lodare la
maestria e '1 lavoro di colui che meglio
I'abbia sapute ridurre a fine: e come
nel maestro della natura noi veneriamo Y infinite e onnipotente sapere le sue opere contemplando;
cosi dobbiamo non tq,nto lodare la mano
degli artefici, quanto riconoscere di
essi I'ingegno e Tintendere che da quella
infinita sapienza piglia il suo lume primiero, ed ammirare viepitl
I'intelletto e la ragione di quelle che opera,
che r opera istessa ; anzi si dee riconoscere che quella bellezza del lavoro, che noi cotanto lodiamo,
non ^ veramente titolo che meriti esso lavoro, ma conviensi alia mente e alFingegno del lavorante; e pero
anche la bellezza delle corporali cose
non 6 attribute che propriamente a' corpi belli si richieda, ma all'
intendimento di chi seppe la belt^ donar loro, al Divino se delle cose naturali favelliamo, e alia
ragione infusa nell' uomo, che 6
parimente cosa divina, se discorriamo
delle cose dell' arte. Ora se il bello veramente 6 bello non per rispetto al corpo dov' egli e
introdotto, ma per rispetto alia mente
di chi con istudio e diligente applicazione lo conduce a fine; la lode che si
da per usanza a una cosa bella non cade
appropriatamente sopra la cosa, che
riceve sua perfezione d' altronde, e non
trae essa da sd medesima le sue prerogative del
bello, ma sempre si dee riferire a colui che il bello ha saputo darle; e insomxaa quella bellezza
che noi tanto commendiamo nella cosa
bella, non ha essa il merito di esser
tale, come I'ha chi bella I'ha fatta.
> Quanto dunque ci convien confessare che sia piii bella la bellezza dell' animo che la bellezza
dei corpi? perch^ se questa dei corpi,
la quale con iscalpello o altra manuale maestranza si forma entro materia
grossolana, vile e terrestre ne' corporali lavori, ricevendo il componimento suo e la maestria dalla prima
Idea deir Architetto, ha in se un non so
che del Divino; quella degli animi che
si perfeziona e adornasi di gentili e saggi costumi, di azioni e pensieri
prudenti, e di atti tutti ragionevoli,
quanto pitl veramente pud dirsi neir
opera e nelF operante, tutta insieme cosa divina, essendo 1' operante e 1' opera tutta insieme
in s6 stessa della medesima condizione,
e perd tanto piii maravigliosa, e sopra 1' ordine della natura pud dirsi;
perche con la ragione, che e scintilla di
Divinita, non si abbellisce materia vile e terrena, ma si purifica e si
perfeziona un' anima, che ^ della mano divina creatura tanto perfetta facendosi leggiadra e pura
dalla belta dell' onesto, che sottraendola
fuori dalle macchie fangose de' sensi corporei, nella sua prima divina
sembianza la riconduce. > L' Onesto
impercid da grandi uomini si distingue in due sorter Tuna consiste nella
grandezza e eccellenza dell' animo che e
bellezza vigorosa, e da uomo grande e di
alti e generosi sentimenti dov' abbia
modo di esercitarli ; 1' altra che sta posta nella conformazione col
dovere e nella moderazione, e nella modestia per cui rifulge la continenza,
I'umilt^ e la temperanza che sono le
virttl, le quali formano nella pill ben
misurata proporzione i lineamenti e le fattezze di questo bello, che si chiama
onesto. Con esso s'impara a non temere,
per fare il giusto, di niente che sia; a
dispregiare con fortezza le cose umane, dove
iia di mestiere, e non credere intollerabile cosa alcuna che possa all' uomo intervenire; non bramare
se non il diritto, e deUberare con
ottimo cuore e con ben ponderata ragione
tutte le cose che s'hanno da fare e da dire, e da cui derivar non ne possa n6
pentimento proprio, n^ detrimento altrui; onde traluce fuori da tutte le azioni umane quel non so
che di vago e di maraviglioso che si
chiama Giudicio, il quale puo chiamarsi
la grazia e '1 compimento della beM
deirOnesto; si come la gentilezza e '1 nobile portamento e '1 moto
vivace degli occhi e delle membra, la
grazia si e e 1' ornamento piti leggiadro che risplenda nella bellezza dei corpi. Tutte quante le
operazioni dunque giuste, ragionevoH e
ben temperate dalla prudenza e delle altre virttl convenevoli sono, e percid decorose e belle; come le ingiuste e fuori di
ragione disconvenevoli, senza decoro e
deformi. Per la qual cosa da dubitare
non 6 che le virttl non sieno le piti
aggradevoli ed ammirabili parti e piii delicate di quel belle che chiamasi onesto, si come i vizj del
turpe e deforme. Ma per quel modo che la
vaghezza corporale difficilmente dura e
mantiensi senza la sanity e sejiza una
ben formata complessione ; cosi la leggiadria e la belt^ dell' animo che ci d^ negli occhi con V
avvenenza dei costumi e del tratto e
delle amabili maniere, di rado si
conserva senza una buona e sana mente, e
senza la robustezza di una ben ferma e retta intenzione ; percioc^h^
quel tutto insieme che noi scorghiamo
nell' adoperar nobilmente e saggiamente ne d^ il primo indizio (egli ^ vero) e la prima
raccomandazione per giudicar poi con le
debite riprove, che 1' onesto sia vera,
stabile, ferma in tutte sue parti e non variaoile, incostante, malfondata e finta. Ma perch^ sia
Fargomento pitl forte di si fatta riprova, e con piil prestezza si rinvenga, se
6 sincero quel non so che il quale
spioca fuori talvolta dalle decorose maniere, o
che abbia veramente Y eccellenza in s6 del bello e del maraviglioso che si richiede all' onesto,
tutto consiste nell' osservare se il modo di contenersi in tutte le azioni sia al maggior segno differente dall'
operare irragionevole; e di vero che quel bello che da noi si appella decoro,
gravita e avvenenza di costumi, il quale
lampeggia fuori del portamento d' un uomo savio, tira r appro vazione di tutti coloro i quali hanno
nell'ordine, nella fermezza e nella moderazione de' detti e de' fatti buon gusto, e tutto il
compiacimento loro; per lo splendore e
*1 lumeggiamento piil vivace e pitl chiaro
di questo decoro, e di questa bellezza dell' animo, Tintelligenza e 1
giudicio si 6, e se cotanto si lodano e
approvansi le attitudini e moti del corpo e la di lui dispostezza che vagUono alle azioni corporee;
molto pill i movimenti e le attitudini
ben regolate dell' animo che servono
alle opere della ragione, nelle quali avvegnach^ tutti gli onesti uomini, come
dicono i Franzesi per dar loro quel
giusto titolo che meritano le persone veramente di garbo, non abbiano tutti i
medesimi talenti, solamente che in
ciascun di loro stia sempre ferma la
mente retta, e invariabile 1' uso della ragioue, non si toglie loro la venust^ dell' onesto,
non altrimenti che non perdono la grazia
e la bellezza delle attitudini corporali quegli che in esse non siano abili
alle medesime cose, imperciocch^ altri
sono agili al corse, altri sono isciolti
nel danzare, altri nel maneggiare un
corsiero, e altri forti e robusti in varie operazioni della ginnastica; ma in somma qualunque cosa che
noi adopriamo con 1' intelletto e col raziocinio ha sempre piu garbo e piil nobilt^ di quelle che si fanno
coUe forze e con la destrezza del corpo
; ma fermisi insomma per proporzione
infallibile e universale che 1' onesto ha per
compagna mai sempre la virttl, nh puote dalla virtil sradicarsi, e dove non d virtii non d
perfetta onesto, ma solo sembianza d'
onesto. L' onesto dunque ^ bellezza vera, costante e incorruttibile, non
solamente generica, ma particolare
eziandio; percioccM e bella la virtil in
genere, che d T aggregate di tutte le bellezze insieme deU'onest^; ma tutti gli
atti virtuosi, ciascuna opera di
ragione, e tutte le sue facolt^ da per
se, hanno la perfezione speciale ma intera di questa miracolosa belleiza, che onest^ da' sapienti
si appella; e insomma tutto quello che
ci muove al dovere, che ci sprona al
convenevole, e che ne indirizza per le vie
dell'operar virtuoso, tutto quello, che regola i nostri Sin qui abbiamo ragionato di quel bello che
si chiama dai filosofi morali onesto, il
quale d^ la forma perfetta agli animi
nel modo che il bello visibile abbellisce le fattezze dei corpi; per lo che non
reputo in questo luogo che sia alieno
dalla materia proposta discorrere dell' utile il qnale, a' detta di molti,
vien giudicato 1' opposto dell' onesto,
che tanto s'^ dire turpe e deforme; ma
essi scambiano i termini e nomi, perciocch^ quello che onesto non ^, utile non
si puo dire, il quale presso gli stolti
ha tale la sembianza per la cupidigia
loro, che utile lo credono perch^ si studiano
di conseguire cose ingiuste e disdicevoli, senza pensar piii innanzi se dannoso sia a sd e al
prossimo; perciocche oltre al male, che da essi altrui pud prodursi o col torre il loro, o col fare lor cosa che
sia ingiuriosa o spiacevole, ridonda
anche in biasmo e in inquietudine e in gravi pericoli di chi 1' usa e di chi lo
cerca con aspettativa mal pensata di
trame profitto, perch^ utility, vera e
stabile dar non si puote, dove non sia
congiunto 1' onesto, e 1' utile per ci6 ^ utile perch^ e onesto; ne onesto si d^ mai che utile non
sia. Ora facciamo un po' avvertenza, vi
prego, in che grado stiano amendue 1'
uno con 1' altro, e per qual maniera
possano far lega insieme. Aflfermero primieramente con Marco TuUio, che il vero onesto con I'util
vero sono in istrettissima
confederazione, non potendosi trovar
cosa effettivamente giovevole che onesta non sia. Imperciocch^ quello,
che dagli uomini poco savi utile
falsamente si presuppone, e quello che ^ veramente contrario all' onesto, non utile anzi
detrimento e disutile nominar si dee. Erran pero colore che reputan questa
sorta d' utile al pari dell' onesto, delusi dagli affetti soveichi dell'amor proprio e dell'interesse,
imperciocche dove sia cosa contraria al
dovere, ancorch^ paia che metta conto di
conseguirla, ci ^ la turpitudine, con
esso la qualv^ cosa utile accoppiar non si pud per v runa r^aniera che
sia, perch^ senza 1' onesto util vero
non trova gi^ mai. Ed d tanta la virtil e 1' e^cellenza dell' onesto, che ancorchd e' sia utile, non
perche egli e utile far si dee, ma perch^ egli 6 onesto, anteponendosi tal nome
e tal riguardo air utile che util sia congiunto col diritto e coll' onesta ;
anzi 1' util vero degenererebbe dall' onesta che seco dimora, qualora il
fine di quello si preferisse al fine
delP onesto. E percid r onesto sola ne
ha da indurre a operare senza far
considerazione all' utility, se non secondariamente a voler che essa non isvarj e non s' allontani
dall' onesto, il quale quantunque per nostre sregolate passioni e' ci paresse contrario al nostro utile,
sempre com' egli d onesto, utilissimo si
^. E per ci6 niuna cosa ^ giovevole che non sia onesta, diceva Socrate, perch^
quello f:he onesto non e, non puo mai
utile divenire, sconvolgasi quanto si voglia I'ordine dell a natura. > E quale utility si pud egli mai trovare
dove si oscuri lo splendore e '1 nome d'
uomo giiisto, e da bene? E chi ^ colui
che recar ci possa tanto giovauiento ohe ci torni con to scapitare per esso la
buona fama, la giustizia e la fede ?
Perch^ s' hann' eghno a trascurare le
cose giuste e oneste per acquistar ricchezze e potenze, che utile vero dir non
si possono, qualunque volta perd elle
non s' indirizzino ed esercitinsi a questo fine dell' onesta e della virttl,
con le quali pill 1' operar ragionevole
abhia lustro, e facciasi riconoscere
quando le faculty e le grandezze sono rettamente e gloriosamente applicate ?
Chi non ha questa mira nel maneggiare i
beni della fortuna facendoli servire a quelli dell' animo, ci6 si ^ farsi
bestia, o in forma d' uomo govemarsi da
bestia. E chiunque afferma che la
cupidigia, I'avarizia, 1' ambizione e la vana^loria contravvenendo alia giustizia, possano util
cosa chiamarsi, ^ in grave errore o meiitecatto si 6. Come pu6 mai trovarsi utility dove segue o dee seguire
rimorso di coscienza o pentimento o dove
sovrastar pericoli? Pud bene nominarsi padre della patria Giulio Cesare da' cittadini impauriti; perche egli non
sar§, mai altro che un parricida. II
comandare agli altri, che dee sostenersi
su la base della gloria e dell' amore de' sudditi, come pud esser utile, dove
in iscambio si vegga su '1 bilico deir
odio e della mala fama ? Ecco la bella e
gloriosa utility, di Giulio Cesare dove ell' andd a finire; rimase tra le coltella ucciso in
Senato. Ecco dove termino la tirannia
usurpata in Atene lor patria da'
Pisistrati, e dagl'Ipparchi ; restarono oppressi dal valore e dalla sagacity di Aristogitone e
d'Armodio. E per addurre esempi moderni,
dove pard la grandezza e la potenza del generate Valdestain che non temeva di chi glieH potesse torre ? Si
convert! in tradimento del quale pagd il fio in Egra con sua propria strage; e di si fatti casi e negli antichi e
ne' presenti secoli ne raccontano in
grandissima dovizia tutte quante le
istorie. Utile dunque non pu5 darsi con odio e con pericolo, e con rimordimento interiore, ma
vuol esser riguardato dalla stima dei
saggi e dall' amore de'buoni, il quale
solamente d giusta retribuzione dell' onesto;
senza un' utility, ragionevole, ne lecita non si trova giammai, n6
utilita puo dirsi quello acquisto che sia giovevole ad uno e all' altro no;
anzi anche le oneste cose disoneste si
fanno, dove V utile di qualcheduno possa
patire ; chd perd niuna cosa e pitl onesta del mantener la parola, ma perde sua prerogativa, come cid
porti pregiudizio a chi ella si
mantiene; per esempio (come i poeti
fingono) non fu cosa onesta che il Sole mantenesse la parola a Fetonte. E
veridicamente parlaudo fu cosa fuori di
tutti i termini dell' onesta, e giunse
alia scelleraggine che Erode mantenesse la parola a Erodiade. Concludasi dunque che non si da
onesto che non sia utile, nd util vero
senza 1' onesto, rimanendo chiaramente persuasi che 1' onest§, sia quel nome
generico che significa in una parola sola la proporzione e r armonia di tutte le operazioni ragionevoli,
e di tutte le faculta ben guidate
dell'animo; per quella guisa, che il
nome della bellezza ne spiega con un sol vocabolo r accordo insieme in ben
regolata forma di tutte le parti, di
tutti i lineamenti d'un corpo bello; come
di tutte le altre cose che piacciono nel genere loro ; e siccome da tutte le cose belle particolari ne
risulta questo nome universale che
beltade si appella; cosi da un ben
misurato accompagnamento di tutte le virtii
morali, e di tutti quanti gh atti virtuosi, si raccoglie insieme questo nome generale, che onesto si
chiama; il quale vuol dire e abbraccia,
si in genere, come in particolare tutte
quante le beUezze delFanimo. Quello
dunque che riguarda e s' aspetta in genere alia virtii morale, e alia sua perfezione dicesi onesto;
e percio da questo universale potremo
nella presente villeggiatura e nolle consuetegite che andremo facendo,
potremo, dico, favellare della virtti
morale, e delle sue -pit belle parti,
esamingtndo i precetti e gli ammaestramenti di
essa, che sono le pitl speciose prerogative della bellezza deir animo.
Per questa via impareremo a conoscer noi stessi, e quali strumenti dati ne
sieno dal Maestro Etemo per conseguire
si nobile ornamento, pel quale noi ci
sottragghiamo dalla sembianza di bruti,
e ci accostiamo con la figura interiore alia simiglianza di Dio. >
E un di pill far rilevare al leggitore come il nostro autore si mostri
qui nella morale Peripatetico,
aristotelico, subito che ripone come lo Stagirita la virtti nel giusto mezzo; lo ch6 h da intendersi non
nel mediocre, com' altri ne voUer dedurre, si nella giusta misura, oltre la
quale non ^ piil bene, non ^ pitl perfezione, ^ un trasmodare. Stabilito cio,
riassumiamo brevemente i quattro dialoghi intomo alia morale, per indi venire alia cons^guenza del sillogismo
di cui abbiamo dato le premesse, o alia risoluzione del problema da noi posto in campo. Gli uomini, egli dice nell' argomento del
Dialogo 1% ban dunque anima vegetativa,
sensitiva e ragionevole, di cui le
potenze sono, memoria, intelletto e volonta.
L' uomo cx)nsulta, giudica, compara, delibera, vuole. Sovente la parte concupiscibile c iraocibile,
come ammette anco Platone, le quali ha dato in servigio della ragione, si trovano a contrast© coUa ragione
stessa, e traviano la volonta ; e 1'
atto, anzi che virtuoso, e allora
vizioso. Imperocch^ la ragione fondi i
suoi motivi suUa costanza dei beni, e
stimi beni anco i mali preseuti, che
pero menano a futura felicita; e gli appetiti invece si curino solamente
de'beni presenti, guidino poi
partecipino al male. I beni degli appetiti sono pure obietto della ragione che gl'indirizza a sano
e giusto fine, subordinandoli alle
azioni virtuose. Da si fatte e si
diverse apprensioni della ragione e degli appetiti si deriva la contrarieta tra loro nel
riconoscere il bene; onde secondo dove
aderisca la volenti, formasi la virtil
ed il vizio di cui sta per discorrere. Se non che, giusta la sentenza aristotelica, dir si conviene
come i beni sieno di tre sorta: beni
deiraninna, della fortuna, e del sense.
• E beni dell'anima si chiamano quelli
che ritroviamo in noi, e che da noi stese* dipendono, come sono le virtii, e la retta intcnzione, i quali,
come nel trattato della Provviderzo osservammo, non ci possono esser dati n6 tolti, se non da noi medesimi.
Beni della fortuna quelli sono che stan fuora di noi, e ad arbitrio di altri ci vengono dati,
e ci vengono tolti, come le ricchezze, gli onori, il pQtere; i quali son beni non veri e fermi, se non s'
indirizzano a beni deiranimo e all'opre
della virtii. Beni del sense, per
ultimo, sono quelli che noi abbiamo a
comune co'bruti, e solamente dir si possono beni, in quanto dalla natura si
bramano per mantenimento del vivere e della propagazione e conservazione della
specie, e terminano ciascuno col termine
della propria vita. Nel resto i
beni del sense, dice il Eucellai, sono
d' ordinario mali e non beni, fondati tutti sulla volutt^ e sul piacere, n^ in altro case beni possono
divenire, salvoch^ quando per abito
virtuoso, vinti e mortificati tutti gli
aflFetti e g? incitamenti lore, I'oprar virtuoso s' ^ a poco a poco convertito in sensualitii,
sentendone godimento eziandio nella
parte inferiore. E nel V Dialogo dichiara che la filosoila morale, ^ la piil
vera e meglio fondata filosolia dell'uomo. E dove sta questa vera apprensione della
scienza dell'uomo? Udite la risposta
teologica e mistica che egli ne d^: Nel
timore di Dio, imperocch^ appunto d
intendimento della filosofia morale cristiana insegnare altrui operar bene e non far male, affine di
conseguire la felicity vera che 6 il
Paradise, e sfuggire il gastigo, la
pena, Y infelicity, ossia Y inferno. E cid venivano ad ammettere anche i filosofi gentili, quando
aflFermavano il bene consistere nella
felicity e nel godimento del sommo Bene.
Or la felicity, non la d^ che Dio, e il timore e I'Amore di lui ci ammaestrano
a viver bene per conseguirla, perche
tutti quanti i beni veri dipendono da Lui. Initium sapientice timor
Domini. Voi scorgete qui tosto il nosce
te ipsum filosofico innestato alia religione, alia fede, e ad essa consegnato,
perche non si diparta da quella via che deve
eondurre R. alia meta prefissa. Intanto dalla cognizione dell' uomo, egli dice, e dei suoi
istrumenti e facolt^ si apprende la difierenza di lui dagli irragionevoli, i quali hanno anima vegetativa
e sensitiva, ma non si aggiunge loro come neU'uomo la ragionevole. E quest' anima che per R.,
definendola, consiste in un moto continuo e ordinate che ne fa avere sense e ragione, non 6 nell' uomo
la somma di tre anime ; sibbene 1' anima
umana ha tre doti, della ragione
principalmente in s^ stessa, e poi anco quella
del senso e della vegetazione. E una unita sostanziale in cui tutte quante le facolta e le potenze
dell' uomo consistono. Dotata poi la
ragionevole di libertgb, giusta quelle
che dimostrd R. nella Prowiden0a, d infinitamente superiore, incomparabilmente
piil perfetta deir altre due che ne'
bruti si trovano, e per essa I'uomo e
capace di atti virtuosi o viziosi di imputazioni morali, di premio o di
pena. Imperocch^ il moto sensibile
(Capo 3°, Dialogo !•) e il moto
ragionevole dell' anima umana non vadan
sempre d' accordo, e la vita morale sia soggetta a delle continue perturbazioni, nolle quali I'uomo ha
dovere di obbedire al moto ragionevole
della mente. Ha il dovere ! perchd 1'
uomo ha questo dovere ? d' onde la legge
? Esiste ella questa legge che ha forza di imporsi a tutti gli uomini, con sanzione etema,
infinita? II Rucellai non lo dimostra^ o almeno dalle sue parole non ritraesi un argomento che abbia valore di
prova. Egli ^ mistico senza dubbio, ^
tradizionalista, pur senza addarsene: e
mentre accenna a seguire il discorso naturale della mente, or con questo o con
quel filosofo antico, egli non fa altro
che commentare quel che la rivelazione gli ha dato a credere. !fe la
ragione al servigio della fede. Cos' 6
pertanto questa mente al cui moto
ragionevole obbedisce 1' uomo ? Ell' ha significati diversi, ma secondo
Platone, cui segue, 6 quella generale
consulta e ricettacolo in cui sono comprese
tutte le potenze della parte superiore dell' anima, ciod memoria, intelletto e volont^. La prima
conserva gli oggetti acquistati
co'sensi, i quali oggetti si porgono
innanzi air intelletto per 1' immaginativa. L' intelletto gli esamina, e ne d^ alia ragione un giusto
ragguaglio. La ragione vi discute e
giudica, e poi la volont^ in seguito a
giudizio delibera ed eseguisce ; al che fare la
volont^ si serve dei due ministri, moto irascibile e concupiscibile, che
inviano spiriti sottilissimi ma corporei
a produrre i varj movimenti necessarj.
Se non che. pur nel giudizio la mente pu6 errare ; in quanto da' sensi posson esser ad essa
presentati gli oggetti imperfettamente o
per vizio naturale. E, se non errare,
pud rimaner dubitosa ed incerta; indi
I'opinione, che potendo esser falsa, ^ pericolo che venga scambiata per la vera scienza. Ufficio
dunque della ragione si 6 di far in modo
che 1' intelletto sia sgombro di
passioni, n^ deve cosi subito, e come alia
cieca, prestar fede ai sensi, fontana inesauribile di errori, a chi non
esamini bene e non tenga come a salvaguardia quel detto di san Paolo: Video
aliam legem in membris meis repugnantem legi mentis mece, E, di vero, dalle facoM ragionevoli si
discerne la differenza nell' anima degli atti secondi dai primi: coi quali atti secondi meglio riflettesi, e si
pesa col giudizio il valore e la differenza dell' onesto e del dilettovole, e
principalmente la diversity del huono e del
reo. Imperciocchd il godimento del bene o il patimento del male, giusta ne dice Cicerone, di cui qui
il Eucellai si e proposto di seguire le orme, non stiano rispettivamente nel
piacere o nel dolore, beni o mali de'sensi;
ma nella felicity o infelicity che vien data dalla ragione; felicity vera e perd immanchevole ; mentre
tutti gli altri beni di quaggiii, lo
dissero stupendamente gli stoici, ci
possono venir meno, e a quella vera felicita,
cui essi incapaci sono di darci, possono essere mezzo, in quanto ban capacity, indirizzati a lor
fini, di divenir beni ancb' essi. La
vera felicita pertanto, checche ne dica
Epicuro e la sua scuola, sta nel possesso del Bene sommo, cbe R. filosofo teologo, trova nel
Paradiso. Ma ancbe di qua, in questa vita, non esclude R. con gli stoici che possano i veri beni
godersi, operando secondo virtil ottima e per sempre; virtu che si acquista con la saviezza della
ragione, e con gli abiti buoni e con
tenere essa in freno gli appetiti siccome auriga gli sfrenati destrieri del suo
cocchio, E la virtu ottima che e elk
mai? Risponde per lui Aristotile, del quale accetta la definizione non che le
classificazioni di essa virtCi. La virtil (Argom. del 2** Dial.) ^ abito per elezione che si contiene nel
mezzo per Tappunto fra due estremi: il
vizio e operazione dispregiatrice della ragione. L' atto virtuoso non altro
e che il ridurre la propria natura all'
operare ragioBevole. Distinguonsi poi virtil primarie nell' uomo, o, come si dice, cardinali, e secondarie, le quali dipendono
dalle prime. Le virtil cardinali, come
per Aristotele, cosi per il
Cristianesimo, sono la prudenza, la giustizia, la temperanza e la fortezza. La prima, secondo Platone, ^ la misura di
tutte le altre, ^ V occhio diritto della
morality, la vera scoria neir elezione
dei fini. Prudenza, 6 bilancia che pesa
con somma finezza tutti quanti gli oggetti che desiderare si debbono, o
vero sfuggire. Ad essa si riducono. per Plato-ne, tutte le virtil, perch^ 6
questa misura, stando in mano di lei il
vero compasso proporzionale per il quale
si misurano tutti i fini. La Giustizia
dispensa suo diritto a ciascuno si degli
utili, come delle prerogative che competono lojx) secondo i gradi dei meriti, della dignity e delle
virti\ che egli hanno, e questa
distinguesi, come Aristotile e Cicerone
fanno, in civile, distributiva, e commutativa. E per la commutativa parla della dottrina del cambio,
che, come afferma, toglie in massima
parte dal Davanzati. La fortezza, che
ne insegna sopra ogni cosa di superar s6 medesimi e soggiogare gli affetti e le
passioni e non temer di minaccie, n^ di
rischi, nd di morte a pro della
religione, della patria e della reputazione.
La temperanza, per cui si ritiene a freno ogni smoderata cupidigia, ed d
il vero antidote contro 1' ambizione e contro I'interesse soperchio ; e tutte
queste virtii primarie manchevoli sono,
n6 possono esser vere virttl senza il
concorso e '1 sussidio 1' una dell' altra tra loro. E siccome la virtd ^ il giusto mezzo, non la
mediocrity, che e difetto, ma il mezzo ch' d il limite tra due eccessi, od estremi, ciascuna di esse
virtii ha i saoi estremi in&a i quaU
riseggono. Ed io li accenno, ma non mi
ci trattengo. Estremi della prudenza
sono, (pure secondo Aristotile) la malizia e la stupidita; della giustizia, 1'
avarizia, la trascuraggine ; della fortezza, temerity e codardia; della
temperanza, gli estremi viziosi di tutte
r altre. Dalle quali tutte, e in fra i rispettivi estremi di esse, discendono o stanno le virtii
secondarie. Accosto alia prudenza, e
come sue figlie, si trovano la
perspicacia, la sagacity, I'arguzia, Taccortezza, la dissimulazione (in buon sense), 1'
industria ; V astuzia, la circospezione, la sincerity, la segretezza, la fedeM;
alle quali tutte comspondono vizj; imperocchd dalla circospezione sia agevole
cosa cadere nel vizio della sospensione,
della suspicacia, come poi e agevole
dall' accortezza cadere nella astuzia in mal
sense presa, nella malizia, nella simulazione, frode, tradimento, irresoluzione, stupidity,
taciturnity, finzione, adulazione, calunnia: come dalla facondia nella procace loquacity, e nel sofisma, dalla
prontezza nelrimprudenza o inconsideratezza.
Gli atti virtuosi che seguono la Giustizia sono: Liberality — - Parsimonia — - Beneficenza —
(Jenerosit^ — Magnanimita — Magnificenza.
Le quali virtii posson degenerare e viziarsi, divenendo Ambizione
Ladrocinio Vanagloria Lascivia
Superbia Prodigality,. Altre
virtil secondarie Ragionevoli
rimunerazioni e retribuzioni — Carit^ — virttt divina germana della fede e della speranza. La Parsimonia sta a dirimpetto della
Liberalita. Son due atti virtuosi. Vizio ^ la Sordidezza. Altre yirtt seguaci della Giustizia
sono: Severity, Rigore da un lato, e
Equity, e Misericordia da un altro. —
Eccessi di equity e di rigore. — Tirannie — Vendette — GrudeltS, ec. Degli Atti virtuosi che seguono la
Fortezza. Da un lato Y Intrepidezza, il
Coraggio, il Valore del cuore e della
mano. Vi0j. — Animosity — Iracondia —
Audacia — Indolenza — Furie — Ferocia.
Dall' altro lato abbiamo seguaci della fortezza : la Pazienza ragionevole — la Mansuetudine. Vi0j. — Timidity, — ViM — Codardia. Al^e virtu seguaci della Giustizia. —
Costanza Fermezza — Lmpermutabilit^.
Vi^ij. Ostinazione — Pertinacia,
Perfidia. Virtu. — Facility di cedere
al dovere. — Piacevolezza del tratto. — Moderazione, Gravity, Decoro — Modestia.
Visj. — Alterigia, Vanagloria ec.
Virtu. — Emulazione.
ViiSfio. Competenza —
Mormorazione — Falsity — Calunnia —
Superbia ec. Degli Atti virtuosi che seguono
la Temperanza. Veramente tutti gli atti
virtuosi surriferiti accompagnano altresi la Temperanza, perch^ atto
virtuoso non si d^ se la temperanza non
moderi I'impeto naturale. Perd tra gli atti piiH confiacevoli ad essa sono da annoverarsi quelli che rattengono
gl'impeti della concupiscenza o
Fingordigia della gola. Virtit. —
Castit^, — Pudicizia — Pudore — OnestS,
— Ingegno — Digiuno Astinenza
Sobriety. Vi0j opposti. — Eccessivo
rossore, e Libidine, Lascivia, Adulter)' e Ubriachezza ec. Questo per le virtiH in s6 considerate. Or
siccome la virtCl solamente 6 base della
society, umana, e n' ^ il cemento,
bisogna veder di esse 1' applicazione nel consorzio civile, e discorrere con
Marco Tullio degli Officj per la
society, umana medesima. La quale d da natura, e da ragione: ch6 Dio ha fatto
gli Uomini per gli Uomini. E Iddio, poi,
diede a tutti il libero arbitrio, accio niuno di noi potesse conseguir lui
senza noi stessi, e senza 1' educazione
cristiana, e senza gli ammaestramenti spirituali e senza i divini precetti,
insegnatici da' Religiosi, da' Teologi e dalle persone devote che Uomini sono; e gli Angioli per la stessa
maniera (aggiiinge il buon Bucellai) se noi non diamo le orecchie agli ajuti loro, alle loro savie persuasioni
niun utile o giovamento recar ne possano
in verun conto che sia. E, come scorgesi, la morale dell' EvangeUo questa, ne io so davvero dove e come si applichi
filosoficamente il Nosce te ipsum!
Proseguiamo : Gli ufficii, come
Cicerone, divide il Eucellai in
necessarj e per ele^ione. I primi vengono imposti dalla provvidenza, i secondi dal nostro
volere. Sono dessi differenti secondo i
gradi e le combinazioni delle persone, e, al solito, si distinguono in doveri
verso Dio, verso gh altri e verso noi medesimi,
dei quali ultimi pero non discorre. I doveri verso Dio sono necessari; il prime d di gratitudine,
impiegando in cid le potenze tutte delle
quali ci ha forniti, e conformando la nostra volenti a' suoi decreti, alle
ispirazioni che egli ci manda, e la nostra corta inteUigenza alle sue leggi. La fede, 1' amor di Dio, la carit^, sono
pure doveri verso Dio stesso, i quali
sono il fondamento di tutti gli altri.
Accenna indi profusamente il Eucellai i doveri verso gli altri, i primi dei
quali sono i doveri conjugali, sendo per primo la society parentale. E ricorda
come V Uomo debba tenere uguale a s^ la Donna,
e la Donna riconoscere a s^ superiore Y Uomo, e come debba esser tra essi rispetto, discrezione e
compatimento ; e amare ugualmente i figli, come i figli amare, rispettare, aiutare i genitori. E intomo alia
scelta della moglie, ecco qui coaa ne
dice il prete Magiotti, e che io stimo
non inopportuno di riferire, in quanto
che dalla stima in che si d tenuto e si tiene la donna, si sia potuto e si possa argomentar sempre o
comprovare il grado di civiM de'popoli e del consorzio umano in ciascun' eta, e in questo caso pur
ne abbiamo riscontro, etarei quasi per dire matematico. € Io son prete, (dice adunque il Magiotti;,
e circa al prendersi mogli e mariti non
me ne intendo e non oserei dame alcun
mio parere, massime in concorrenza dei buoni consigli e de'giovevoli
ammaestramenti e fedeli di messer Lodovico Ariosto, per non mentovare il Laberinto di Messer Giovanni
Boccaccio, il quale dalle donne
ammartellato anzi che no, fu del povero
compassionevol sesso troppo rabbioso morditore. Egli e pero bene aver per
ricordo che al tempo d' oggi piii Elene
si trovano che Penelopi al moodo; e guai a colui che le -pit leggiadre, le pitL
graziose pur le donne d' alto ed acuto ingegno s' effigia nella mente per le migliori; imperciocch^ se
bella ed avvenente e' 1' ottiene,
sembragli averla debita altrui e ch'ella
non sia tutta sua; dove ella sia di finezza e
acume, tutta nolle foggie I'esercita, e in ornament! novelli, e nel rigirare il marito per piacere
agli altri ; anzi, che peggio si 6, ella
si tien per prudente, e vuolsi subito
meschiar nei consigli; senza che, e' si d tutto di alle novelle, alle contese, alle grida, e
allora le par di esser saggia quand'
ella non fa a mo' d' altri. Donna 278
CAPITOLO DECIMOQUARTO. savia adunque, o
di rado, o non si d^ mai, e tutto che
con difetti bisogni averle, il meno dannoso per mio avviso credo che sia se ha qualche specie in
lore di Prudenza, dov' elle abbiano poco
conoscimento, perche queste sono atte a
reggersi, non si dando mai caso che elle
sieno buone a reggere altrui; e nolle donne,
ancorchd in esse sia la ragione, poche o niuna ne han r uso, che a tal fine definille un Uomo di
senno, che la natura femminea 6 posta
tra 1' estremo peggior delr Uomo e r eccesso miglior delle bestie. Niuno
dunque si lasci svolgere cosi alia prima
dalla vaghezza o dalla novit^ del
soggetto, o vero dall' allegria e dalle solennit^ delle nozze, imperciocchd
dopo il fatto non ci e rimedio, e cotali
belle apparenze usansi ad arte, per far
rimanere al laccio gli Uomini dolci, e impegnarK con lieto animo alle fatiche perpetue e alia
schiavitudine eterna del matrimonio ; anzi la natura medesima, per soccorrere in esse a mancamento del sesso
e farle in qualcosa aggradevoli, le
ripuli, le liscid, e raffazionoUe al di fuori, e si dono loro la grazia e gli
altri arredi del bello; qualunque impero
d tenuto a impacciarsi in si fatta rete, pigli innanzi le misure giuste di quel che sono le donne ; e del suo
mestiere goda come per trastullo se la
sorte gliela da bella, n^ s'inimagini, perche ella si chiami compagna, di
poterne trar frutto d' amica, ma la
consideri come soggetta, e per dolce
maniera di cortesia 1' avvezzi obbediente a
non recalcitrare al marito. Percid la jAtL sicura si e r aver la moglie di grossa pasta, e di scarso
intendimento ; difettose insomma (si come io dissi) elle hanno da essere e pero Y Uomo apparecchiar si vuole
a sofferire i difetti che elle hanno, pregando Dio che buone ne le mandi, ned' e poi il comportarle si
malagevole, -atteso che donne elle sono,
e tenere di cuore, e il viacolo di quando in quando matrimoniale rinnovella e rinfresca Tamore, e serve di buon condimento
alle imperfezioni loro e ne addolcisce
la noia. > Si occupa inoltre de'
doveri tra i parenti e gli agnati, tra
servi e padroni, de'nobili, de' cortigiani, imperocchd r osservanza di questi
doveri privati si riversi anche sul
pubblico, ed inline de' doveri di cittadini, dei sudditi, e de' govemanti. Intomo a' quali
molto ritrae del platonico, e discorre
con molta severitit tanto per i prindpi
eletti daDio, quanta per quelli eletti dagli uomini. Tocca infine i doveri per elezione, che
tanta bene^ volenza conciliano, e
intesse come iin piccolo galateo sulla
data di quelle di Monsignor suo parente, e cui
dimostra avere attentamente esaminato e ritratto nei modi e negli scritti. E accennato alia forza
dell' abito, termina questo trattato
della morale di R., imperfetto nel contenuto e nel disegno, imperciocch^
egK prometta qui di discorrere in
progresso de'temperamenti e degli aflfetti degli uomini, ma non abbia
avuto o volenti tempo di dargli
compimento, e d' emendare il gi^ fatto.
Sufficiente perd invero a chiarirci i termini del quesito, e a porre in tutta evidenza il
problema di cui dobbiam dare la
soluzione. Agevole a trarsi pur questa; imperocchd non trattasi di andar per il
sofistico e il lambiccato : ma si da'
fatti lampanti formulare il principio, e
porre questo in attinenza con le condizioni
generali e particolari del tempo, del quale lo scrittore ^ riverbero indubitato. La critica che potremmo fare alia teorica
morale di R. si acchiude in poche
parole; imperocchS sia manifesto che
egli, piil che neUe altre parti della
fillosofia, qui non d^ U giusto valore alia ragione umana. Infatti egli trascura di porre in luce la
legge naturale, di cui pur parlano si
altamente gli stessi dottori scolastici, come san Tommaso, san Bonaventnra e il Suarez, per tutto sostenersi all'autorita
della legge divina, cio^ del Nuovo
Testamento. Inoltre, procedendo egli
piiH ecletticamente che con ordine interiore di concetti, non sa bene accordare
quel suo tradizionalismo con certe altre
sue dottrine; giacchd di fatti egli dice
la virttt consistere neU'operare secondo ragione: ma potrebbe osservarsi che quando la ragione non
ha criterio di ragione in se medesima speculativamente, non pud averlo nemmeno praticamente. II Eucellai
rende immagine anco su ci6 de' suoi
tempi; ma in che senso diciamo tal cosa
h bene sia definito. Le menti, a quei
tempi, erano agitate dai dubbi, e il nostro autore dice in piii luoghi come i dubbi combattessero pur
la sua mente. L' esame dubitativo fuor
d' Italia condusse molti a terminare nel
dubbio; in Italia colore che accolsero r
esame dubitativo terminarono i piii nel riparo della Fede. Ma dobbiamo distinguere da costoro i
filosofi e i teologi non
tradizionalisti, e che non accolsero F esame
dubitativo, come il Pallavicini nel suo TrattaJto del bene; giacch^ questi ammettevano certezza razionale
e verita preliminari alia Teologia,
quantunque neUa Teologia ponessero il
sommo della sapienza; invece i tradmoncdisti, come oggi li chiamano, alia
ragione ricusarono la capacity di
riposarsi nel vero e nel certo, che solo
ci vengono dalla fede. Ecco il perch^ mentre il Pallavicini, il Suarez,
san Tommaso, san Bonaventura con sant'
Agostino affermano esser nella ragione la legge
naturale del giusto, dell' onesto, alia quale si accorda la legge Divina positiva ; il Eucellai, per
lo contrario, parla di san Paolo e del
Vangdo, e della legge naturale non tiene gran conto, bench^ aUa sfuggita
Taccenni. SouMABio. Opportunita della critica. Importanza storica dei libri di R..
II professor Palermo ha giudicato VTmperfetto imperfettamente.
Perche. Quesiti da risolvere. II Rinascimento e le sue qualita. Scetticisrao.
Tradizionalismo. Bruno. Campanella.
Galileo e il sue metodo di osservazione esterna. — I suoi scolari e rAccademia del Cimento. — Metafisica
galileiana. — Sommi capi di essa uei Dialoghi dei Masaimi Sistemi. II Cartesio e
1' osservazione interna. Spinoza
e Malebranche. Bacone. II
sensualismo di Loke. — Eclettismo di R..
Suo probabilismo. Si provano
riandando la sua filosofla. — La seconda Accadomia. — Cicerone. — La fede. — Differenza tra'
filosofi del Medio Evo e il R.. — Questi
e il Galileo. Nel metodo R.
apparentemente h moderno. Perche. Intende solo negativaraente Taforisma socratico. — Ed e semj)re probabilista. —
Accordi tentati. — Gli fa difetto la
speculazione. E pero riesce
eclettico. Breve riscontro di tal fatto
nei suoi Dialoghi su' Principii passivi dell' universe, e nel Tim^o, — Platone,
il Cristianesimo e Galileo. — Cartesio. — Teorica della cognizione. — Teorica
del volere. — Liberta e fato, Stoicismo ed epicureismo. Libero arbitrio e predestinazione. Psicologia e morale. — II R. e Cousin. —
Aristotile. — Platone. — Stoicismo. —
Cristianesimo. Divisione delle
virtti. — Cicerone. — San Tommaso. — La
Scuola Epicurea e il Rucellai. — Teologia razionale. — Platone e il nostro
scrittore. — I Padri. — La Fede. — Si conchiude che nello studio dei ' tre
pbietti della filosofia R. e
eclettico. La forma esteriore, - lo stile - e la natura de* personaggi ne'
Dialoghi di R. sono i;n' ultima conferma
della nostra Conclusione. n problema ^
posto, adunque, in termini chiari, fatta
che abbiamo la esposizione dell' opere filosofiche di R. ne' precedenti capitoli. Ora e tempo di
risolverlo, e la via ci ^ molto agevolata; diro di piii, che dopo il cammino gia fatto, sembrami quasi
raggiunta la m^ta, che fa del viaggio nostro il desiderio continovo. Imperocch^, riepilogando, noi
ponemmo questo per principio, che R. specchiaVa in s^ Timmagine del suo tempo
in Firenze. E ad esso volgendoci, lo
vedemmo significare per la storia un potente contrasto di elementi di un' et^ che periva sotto la
mole della sua grandezza e un' et^
giovane e superbamente bella, che
conquistava il regno delle intelligenze e de'cuori. E tutte le facolt^ dell' antica far guerra a
tutte le potenze della nuova in
opposizione fortissima. Ed io allora
volli condurre il lettore all' esame della vita del R. e delle sue opere letterarie; e questo
contrasto manifestossi, credo, chiaro al lettore stesso, come si era mostrato a me dopo la lettura
diligente di quegU scritti dimenticati,
o non curati a dovere. FilosoJla e
autorita religiosa, gravity di discussioni
scientifiche e leggerezza di cicalate accademiche; purezza di stile e d'
immagini, verbosity ed esagerazione di
confronti ; timore soperchio di aver che fare col Tribunale dell' Inquisizione, e contro la
Corte di Roma pagine sanguinose ; vita
di cortigiano ossequente e rime e
lettere contro la corte ed i re ; lodi della castita e verginit^ di Protettori e di SanfS, e scherzi
equivoci e sonetti immorali; tutto cio
nel R., come precisamente nella comune degli uomini del seicento, scorgevasi in
quel trapasso dalla fine del Rinascimento
alia Riforma, dal mondo antico al mondo moderno. Un eclettismo inconciliato nei costumi, nella
vita, negli scritti, nell' arte, neUa
letteratura ; e R. questo eclettismo
accoglie in se e manifesta nelle abitudini,
nella vita sua civile, letteraria e morale. Or nello scorrere che abbiamo fatto il suo
lavoro maggiore, senza intrattenersi a lungo via via a rilevar pure inumi, nella vita, negli scritti, nell' arte, neUa letteratura ; e R.
questo eclettismo accoglie in se e manifesta
nelle abitudini, nella vita sua civile,
letteraria e morale. Or nello scorrere
che abbiamo fatto il suo lavoro maggiore, senza intrattenersi a lungo via via a
rilevar pure in esso que' medesimi
contrasti ; nondimeno, prevenuti, li notammo man mano, per guisa che,
finito I'esame, supponessimo pur
compiuta la nostra fatica. Ma se nel mio
pensiero ed in queUo del leggitore questa
conclusione si 6 gi^ fermata, giova tuttavia, anzi ^ necessario definirla, e in un disegno piil
raccolto concentrare con linee brevi e distinte quel che abbiamo osservato lungo la via ; in quel modo
medesimo che un pittore, percorsa una
vasta campagna, la raccoglie poi tutta
su di piccola tela, senza toglierne parte alcuna alio sguardo di chi la voglia fedelmente
conoscere. Non a torto pertanto (ce ne siam
fatti certi) io comparai il nostro
filosofo a un prisma, suUe cui faccie si distinguevano i molteplici raggi del
pensiero del tempo suo ; e in che sta,
per me, veramente 1' importanza storica di questo scrittore ; per guisa che
ognuno il quale non lo consideri,
giudicandolo, in tutti i suoi aspetti, b
ne falsa il vero suo essere, o ne fa una pittura destituita di valore, od
almeno imperfetta. In questo ultimo
scoglio sembrami, io lo dico coUa dovuta deferenza, abbia urtato il professore
Francesco Palermo, 1' egregio ordinatore
dei Manoscritti Palatini in Firenze ; il
quale di R. ha pubblicato con un lungo
avvertimento, diviso in sette paragrafi, sedici
dialoghi sulla filosofia naturale antica, e quegli altri sedici sulla Provvidenza. In quell'
avvertimento, bello davvero del
rimanente, d^ il concetto e il disegno deU' opera intiera, e la natura di essi
Dialoghi chiama fruUo di Galileo, (CONTI, Op. cit,) Tale il metodo del Galilei detto dal R., a buon diritto, il
sapientis simo Socrate, come quello che ritomava le menti al r esame del mondo
esterno e del mondo intemo, me diante il discorso della ragione, gli assiomi
naturali ed i fatti sensibili, ond' e'
poteva finalmente creare la fisica, e r
Accademia del Cimento ingigantirla dietro le orme di lui, con Benedetto Castelli, il
Cavalieri, il Torricelli, il BoreUi, il
Viviani, il Eedi, il Cassini e moltissimi altri, i quali, secondando la inclinazione del
tempo coll' isti tuire quell' Accademia, applicarono i canoni deUa filoso fia
del lore Maestro alle scienze naturali, le conferma rono Bulla strada di
progresso indefinito, e le scienze
universe sulla via della riforma. Ed invero, in quel canoni del metodo Galileiano, sviluppati
ampiamente nei saggi del Cunento,
accliiudevansi verity, profonde, le
quali non potevano a meno di partorire quegK effetti stupendi; e vi 6 determinato chiaramente il
concetto, il fine ed i mezzi di una
filosofia che tutto comprende. Cio6,
che riconosce le somme verity naturali nell' Anima umana; che adopra la geometria per
raggiungere la verity ideale e reale,
n6 trascura, anzi esige, 1' uso
diligente della esperienza, e indi del ragionamento a cogliere la evidenza: e infine non 6
spregiatrice, come molte iilosofie meschinamente altere, dell'
autorit^., mentre la servitii dell'
autorit^ stessa rigetta, e la vuole
sottoposta essa pure all' esperienza ed al nostro giudizio. Ma la filosofia del Galilei e de' suoi
scolari gene ralmente risguardava, giova averlo fisso, il metodo e la sua applicazione particolare alle scienze
naturali: a che sticettamente questi si
attennero. Ne con cid dire, io intendo
negare contenersi nei libri del Galilei sparsa una metafisica, come lamentava
ilLibri, il quale, nella sua storia
delle Matematiche, si duole altamente
del non trovarvi in alcuna parte delPopere del sommo Italianol'esposizionedi essa; la quale, anzi,
inclinerei anch'io a creder davvero col
Puccinotti (11 JSoem ed altri scriU%
Tip. Le Monnier 1864), che valesse a vincere le tenacity peripatetiche, indebolite
gi^ dairAccademia Platonica fiorentina. Imperocche fu prime Galileo che
dimostro la necessity di dividere fisica da metafisica, e i Umiti veri deUa
ragione, la fede religiosa nelle scienze
soprannaturaK, la matematica nelle natural!. C!ome Platone, il vero ed il bello
professd Galileo per una medesima cosa,
nella medesima guisa che il false ed il
brutto. E nella giomata prima dei
DioHoghi dei Massimi sistemiy il Galileo
comprese i sommi capi della Metafisica, che possono qui compendiarsi in due
massimi corollarii, siccome avverte il
Pucciuotti sopra citato. Prima.
Partivasi Galileo dalla Creazione, e veneraya
in Dio una sapienza infinita; anzi diceva, il sapere divine essere infinite volte infinite: la
mente umana la piii eccellente opera di
Die : in essa concreate alcune verity primitive, come preziose gemme nei
loro incastri, la di cui luce, per il
terrene abitacolo in cui ella ^ posta, §
da velami e da caligini oscurata. La
pienezza di cotesti veri e in parte nel soprannaturale, e parte disseminata tramezzo alle naturali
cose. L'intelletto consegue con la intensivit^ i soprannaturali neUa lor piena luce per mezzo della rivelazione e
della fede: i naturali, colla
dimostrazione matematica; e onde con
questi potenti e benefici ajuti della grazia divina, le menti con piii sollecitudine e costanza e
pienezza veggano e profittino di tali verity,, 6 mestieri che V uomo temperi e assottigli quanto piil pud que'
velami e quelle caligini di falsity,, che partono dai fermenti e dalle passioni della sua materia: ed ecco il
fondamento della morale, e il culto
necessario e il merito insieme della
virtii umana. Secondo. Per le
verity naturali la mente umana procede allo'stesso modo, solamente traendone la
dimostrazione, non dalla metafisica, ma dalle matematiche. Ch^ la geometria cammina anch' essa
grandissimi spazi, e trascorre la
vastit^ delle opere della natura, e contiene nelle sue dimostrazioni la
necessity de' suoi veri; riverberando in
certo modo e scoprendo quelle matematiche leggi, coUe quali Y etemo
intendimento tempera 6 govema 1' universe. Ma la geometria, con le sue mille e mille conclusioni ottenute, 6 sempre
a immense intervallo da quanto resta
ancora a investigarsi ed intendersi
nella natura: epperd si reca allato per sua
aiutatrice e ministra la esperienza, la quale, tentando effetti e cagioni, e le attinenze lore,
prepara la serie deUe probabilitS;, che
la matematica disnebbia colla
dimostrazione ; presentandole come verity e leggi natural! alio
intelletto, il quale, ove le trovi rispondenti ai tipi concreati delle soprannaturali gi^
disnebbiate dalla metafisica, ossia
dalla religione, e se ne nutre e se ne
bea. Ma la moltitudine degli
intelligibili nell' universe d
immensurabile, e questa che il solo Creatore vede per numero, peso e misura in un sempKce intuito,
1' uomo non percorre che lentissimamente,
e fra mille ambagi e pericoli, di
conclusione in conclusigne. Onde la necessity della modestia e della pazienza
nell' investigare e nell'operare degli
uomini, nel raccorre ed intendere le
veritd, nella fisica del mondo.
Comunque, il Cartesio animato come Bacone (cbe pel dispregio alle tradizioni incappd in
alcuni errori) e Galileo daU'istesso desiderio
di universale riforma, inaugurando piil
precipuamente il metodo di osservazione interna, devesi a lui il compimento dei
mezzi e gl' istrumenti per la vera
filosofia, Tesperienza e la speculazione. La quale ultima per il Cartesio
recata invero all' eccesso, chiuso il
pensiero in se stesso, n^ riguardando piU alle sue attinenze reali, porto ad
errori il filosofo illustre, e porse
occasione a scuole diverse arbitrarie ; e basti per tutti lo Spinoza e il
Malebranche, in quella guisa stessa che
dall' empirismo di Bacone scoppid il sensualismo di Loke. D Cartesio pure
comincio dair esame, e per esso istitui
un metodo, e indi tento un ordinamento
generale di tutte le scienze; se non
che, ponendo il dubbio non solo di ogni istruzione ricevuta, ma pur
anche del valore delle fiacoM umane,
eccedd fino ad essere scontento della logica, dell' algebra e della
geometria de' suoi tempi. (CONTI, Op, cit^
vol. II, pag. 354.) Lo si deduce chiaro dal suo discorso sul metodo. E il Malebranche, il piii grande
metafisico che la Francia abbia
prodotto, spinto dalla filosofia
cartesiana, o meglio dalla parte negativa di essa, il dubbio, si rifugid nel misticismo, e con esso
la sua filosofia, ond' e' ritornava alle
intuizioni Platoniche, e preveniva
Vincenzo Gioberti e Antonio Rosmini.
Tali erano i principali sistemi che allora signoreggiavano il mondo
della filosofia, disputandosi il primaU)
deir autorit^, e tra loro contrastandosi. Orazio R. ebbe cognizione di tutti questi
elementi, da' quali esci faori 1' et§. moderna: se non che non dotato di molta vigoria di speculazione,
o per formarne I'armonia tentata, o per dominarU, nel suo filosofare or I'uno or I'altro seguitd
riuscendo eclettico, e per5 speculativamente scettico una seconda volta. Spiego quest' ultima frase, in che ripongo la
sostanza della critica, con la quale io do termine a questo libro.
La filosofia di R. ammette, lo vedemmo, una prima divisione generale per rapporto al
metodo; ciod negativa e costruttiva^ e
si nell'una come neU'altra non esce il
filosofo da' termini del probabilismo, egualmente che la seoonda Accademia,
guidata da Filone che fu il primo
neoplatonico di Alessandria; la quale
riconoscendo la natura assoluta del vero, ammetteva solo come verosimili le dottrine che ne
derivavano. Ad illustrare la qualitit
filosofica di R., si prenda in esempio
Cicerone. Questo grand' uomo in alcune
parti della sua dottrina sembra tenere dell' Accademia Nuova; quando egli, cioe, intorno alia natura
del mondo e di Dio afferma con probabilita
anzichd con certezza. Ma le probabilitli
di Cicerone si ristringono alle determinazioni di problemi che il Paganesimo e
1' estremo corrompimento e
infiacchimento della filosofia greca ai
suoi tempi aveano coperto d' ombre. Bensi Cicerone non pone in dubbio mai 1' evidenza dei
supremi assiomi della ragione ; non in
dubbio mai la veracity del testimonio della coscienza psicologica e morale; non
in dubbio mai la validity del metodo
dialettico e logico; n^ in dubbio mai la
conoscenza che Dio e, ed h distinto dal
mondo ; n^ in dubbio, finalmente, mai la legge naturale eterna e i doveri e i
diritti che ne derivano. Ma R. non fa
come il GiureconsultoJRomano; egli se ne
sta, sfiduciato della ragione, nel gretto del probabile, e ritiene essa, la
ragione, non potergli dare di pill. E,
lo ripeto, questo h naturale; imperocchd nello
svolgimento della rifiessione filosofica, dovea seguire che fra tante autorit^ opposte, la mente di
lui si sentisse quasi smarrita, e che egli, come molti altri, dubitasse della
ragione appunto, perch^ si palesava con sistemi tanto contraij, e si rifuggisse
nella fede del sovrannaturale,
sostenendo incapace la ragione a farci
conoscere la verity. Gontro i
sofisti, pertanto, ei ripete ed accoglie qiial
principio di metodo la proposizione socratica; ma non sa derivarne, come Socrate, il suo mondo
intelligibile e certo; I'avrebbe forse potuto fare, perche sorretto dag? insegnamenti di Galileo e di
Platone; ma si contenta di meno assai,
sapendo bene di sapere per fede, che egli stabilisce come unico fondamento di
assoluta certezza, con tal divario nell'intendimento da' filosofi cristiani o
dottori del Medio Evo ; che, cio6,
mentre essi ponevano la filosofia come preliminare certo della teologia, sicchd
d' ambedue si faceva un' unica sapienza,
accordando la ragione colI'autoritii (Vedi Beductio artium ad Theologiam
di san Bonaventura, e le prime questioni
delle due Somnie di san Tommaso e il
Gerzone De octdo); R., invece, dichiara
la filosofia seienza dei probabili, che
delle ultimo ragioni, alle quali conduce, possiamo sempre comecch^ sia
dubitare. II R. poi h moderno
apparentemente nel metodo, la
osservazione, la induzione e 1' esame per
fine diretto, onde coglier le relazioni delle idee e dei f^ftti, e giungere al possedimento del
vero. Galileo suo maestro osservava,
provava, sperimentava, induceva, riprovava nel mondo dei fenomeni, e creava cosi la fisica ; e diceva
sapientemente : il tentar r essenze aver egli per impresa impossibile ; e
abbatteva V alchimia e quel castelli incantati d' ogni sistema a priori ;
riconduceva la ragione al suo posto, e
facendola ridiscendere da quelle altezze pericolose, dove temerariamente se n' era salita, la
riakava nel fatto, poicM nell' ordine
stia la grandezza e la perfezione degli esseri. II R. batte la strada del
Galilei, ne accoglie quasi religiosamente i pijecetti ed il metodo, ma a qual fine ? con quali
intendimenti ? Per arrivare con Galileo
alia certezza naturale delle cose ? Mi
sembra che la lunga esposizione del suo lavoro filosofico contenga la risposta
genuina e sicura. Notisi frattanto, o
meglio ricordisi, che spesso, quasi in ogni
dialogo, e, sto per dire, in ogni pagina, R. protesta di voler affidarsi alia sua ragione,
di volere starsi all' esame dei fatti
sia esterni che intemi nel suo discorso
filosofico, e di non accettar ciecamente la
autoritil, a cui sembra fare una guerra continua ; e ripete a ogni passo che non si deve formar
giudizj sopra quelle che pare a noi, ma
e'fa mestieri esaminare le cose, avanti di pronunziar sentenzia ; e asserisce a
ogni tratto, che nel muover via via a se i dubbj sta la verace maniera per trovar la ragione
delle cose, e non nell' affidarsi alia
sola Sbuiorith dei Maestri ; che d
percid necessario deporre nelle questioni qualunque maniera di anticipati giudizii a favore piiH
d' una che d' un' altra opinione, sia
d'Aristotile, o di Platone, o di
Pittagora, o di qualunque siasi altro, imperciocchd r apprensione fa in noi grandissima forza,
anzi iegli d molto malagevole lo
spogUarsene, quando ci si 6 fatto r
abito da' primi elementi degli studi (Dialogo J2'', cotitro i Sofisti). II
lettore vede che qui tutto in apparenza
precede direttamente ; che il filosofo, nel metodo esteriore, ^ seguace
del Cartesio e del Galileo, oh' egli e insomnia un moderno. E, voglio
avvertirlo, non intendo chiamar filosofo
moderno chi d' ogni autorita e sprezzatore, imperocchd allora bisognerebbe non
fosse piil uomo, essendo pur essa,
I'autoritii, un elemento essenziale deir umana ragione. N^ il Galileo e gh
altri fecero getto di quella ; chd anzi
studiava il nostro matematico e Platone e Aristotile, e da tutti, siccome
Socrate, avea ambizione di intendere, e
I'autorM ragionevole di essi fomivagli
sussidio a conoscere la verity. Se non
che R., che professa di seguire queste
onne, e di accogliere in questo aspetto il metodo di esame, nel fatto, e consapevolmente, vi si
diparte. II suo metodo ed il suo esame
non 6 che un istrumento per la vittoria
della fede. In che modo ? Gik prima di
porsi in cammino verso i tre obietti della filosofia, la natura esteriore cio^, la nmana e la divina,
ha determinato in mente sua il punto preciso a cui egli vuole arrivare, non per
teoremi razionali, ma secondo la fede soltanto; e guai altrimenti, con tanta
sfiducia in che e'tiene le forze della
ragione ! Egli ha detto : — Queste sono le verity inf allibili di nostra fede,
alia quale io mi piego interamente : la umana ragione, pud ella, nel suo
procedere, condurmi alle medesime verity
? riesce ella a darmene una riprova
certa o soltanto probabile? Esaminiamo!—
Vedete pertanto che questo esame non h un mezzo per* scoprire la verita, come per il Galileo,
per il Cartesio, e pe' filosofi moderni ; R. questa verita nell'ordine degK enti la conosce per fede; il
suo esame razionale non ha per obietto di mostrare la potenza della ragione, o anche 1' accordo di questa
con la fede; ma in lui e palesemente la
preoccupazione di mostrar coUa ragione
la impotenza della ragione a dame certezza, per concludere poi a favore della
fede che la certezza pu6 venirci solo da
questa, e che si accordano con essa le
massime probability razionali. In un tal
quale rispetto, data la differenza dei tempi, somigliano i Didloghi di R. al Saggio del La Mennais
Sulh Indifferensa, ed in un altro
rispetto ne dissomigUano. Qual
somiglianza ? II La Mennais voile in quel Saggio provare, come R., la impotenza della ragione
a faxci conoscere con certezza la verity, certezza che solo vien dalla fede. In che la dissomiglianza
? 11 La Mennais afferma che la nostra
ragione da s^ sola si contraddice di
necessity ; R., per contrario, afferma che la ragione pu6 giungere a dottrine
piU o meno probabili, e, come probabUi,
in armonia coUa certezza della fede. Che
la ragione non si reputi capace da lui di giungere alia certezza, egli lo
mostra da cima a fondo ne' suoi
Dialoghiy dove e nella filosofia
naturale, e nella morale non arriva colF esame e colla riflessione che a ragioni probabili piii o
meno. Orazio Bicasoli Bucellai, la
sentenza socratica quesf uno to So che
nulla io so accettando solo negativamente, d^ mano per il suo metodo de' probabili alio
scetticismo ; in quella guisa medesima
ch' ei la rid^ col suo eclettismo. E
tanto ^ negativa 1' applicazione dell' aforisma socratico in tutta la parte de'
suoi Dialoghi, la quale si comprende
nella Villeggiatura Tusculana, che pur le
dottrine stesse del Galileo, dove si accennano teorie filosofiche sul mondo, anzich^ semplicemente
sperimentali fisiche, non professa guari come certe, ma come tra le probabili le piii probabili, sulla
scienza del Mondo, e, come tali, da non
escludere che altre in progresso bandiscano quelle. Cosi neU'esporre il
Timeo di Platone, cosi nel trattato
della Frowidenza^ che chiude la
Villeggiatura Tusculana, ei si restringe sempre nel solito probabilismo,
quantunque parlando del Provvedere
eterno, o dell' Arte divina nel mondo,
mostri credere fermamente ch'ella esiste ed opera in esse ; ma le ragioni ed i fatti ritiene
nient' altro che come barlumi di quel
vero, il quale per la fede religiosa sfavilla alle menti che credono. E molto
efficacemente della liberty egli discorre, facendo tesoro degli argomenti recati in campo da'piH
reputati filosofi in sostegno di essa; ma con le riserye consnete della Seconda Accademia, e considerando la
ragione come regina se non spodestata
del regno intellettual/B dell' Uomo, pur
di ben misera autorit^ e ginrisdizione
sovr' esso. Solamente le verity matematiche hanno yirtd di evidenza per lui, Bicchd per esse la
ragione ritorni sovrana, e siano del
sapere i primordj sicuri. Nelle morali
verity poi lascia egli quel suo metodo dei probabili e afferma con sicurezza ;
ma queste affermazioni non procedono da
evidenza di ragione, bensi apparisce
chiaro che esse procedono dalla dottrina del Cristianesimo intorno ai
fini soprannaturali, ed ai precetti per
conseguirli ; tanto che le dottrine platoniche, aristoteliche, ec, servono solo
di raflEronto al catechismo. Questo sia
detto pel metodo della filosofia nelle
opere di R. ; su che io stimo aver discorso bastevolmente, dopo Tesame
che il leggitore ha avuto occasione di
fare da se, con qualche ampiezza, de' Dior
loghi filosofici di lui.' Aggiungo ora, ne ^ difficile persuadersene,
che egli nel sqo sistema filosofico 6 eclettico, e pero dit mano di nuovo alio
scetticismo, riproducendo cosi pure per la centesima volta le condizioni del pensiero in quel secolo, ed espirando
inalterata I'atmosfera filosofica del
suo tempo. Vuole avvertirsi come i tre
punti cardinali, a dir cosi, del suo
filosofare dovevan condurre»R. all'
eclettismo. Quei tre punti consistono : primOy certezza per la fede ; secondo,
cdmputo delle razionaU probability in sostegno della fede; ter^o, esclusione
delr autorit^ del tale o del tal altro filosofo particolare, secondo gl' insegnamenti di Galileo. Sicche
non avendo R. piena fiducia nella
ragione, escludendo le particolari
autorita dei filosofi, doveva naturalmente
ridursi a cercare i dati del suo cdmputo di probabilita nelle opinioni
varie di tutte le scuole, tentandone un accozzo. Aristotile e Platone, Epicure
e Cartesio, Galileo e il
Tradizionalismo, tali erano le scuole
principali che disputavansi il terreno in quel
secolo. Lo abbiamo veduto. II R. ve le trova, ne apprende gli intendimenti, ne tenia un
accordo; diro con frase piil viva, e che
il lettore mi consentir^, ne immagina una
confederazione, con a capo, perche sfiduciato della ragione, la fede. II R., pertanto, che ritraeva in tutto
del sue tempo, in cui la forza
speculativa degl'Italiani era svanita, e
non lievemente svanita, di questa vigoria di speculazione non era pur egli a
dovizia fornito, per riuscire ad aggiungere intendimento si alto e generoso, a formar ciod questa sintesi, e
comporre un' armonia si sovrana. Era
dunque inevitabile che in queste armonie
tentate ei si smarrisse, riuscendo invece a una fantasmagoria di accordi, cioe
ad un eclettismo di quei vari elementi, di quelle dottrine diverse, e perd, lo ripeto, desse mano di nuovo alio
scetticismo, poiche r eclettisrao sia di
questo una forma particolare. E dico cid, distinguendo le intenzioni dalla
essenza speculativa d' un sistema. L'
eclettico, per le intenzioni sue, ^ tutt' altro che scettico, anzi vuole
opporsi alio scetticismo: ma e scettico
speculativamente, giacch^, negando che
la ragione abbia potuto mai produrre con
un criterio intrinseco suo, una dottrina non esclusiva di sostanziali verity, crede che la filosofia
si divida tutta in sistemi particolari
ed erronei, dal cui ricucimento possa derivare la dottrina plena, o almanco
la dottrina massimamente probabile. Indi
apparisce chiaro che, quantunque V
eclettico dica valersi d' un criterio
interiore od anche della coscienza, principalmente si vale di im criterio esteriore o storico;
poichd altrimenti, se fiducia avesse nel criterio interiore, non impugnerebbe
la tradizione della filosofia vera, n6 la porrebbe necessariamente divisa in
brani od in sistemi erronei. Va bene che
lo studio dei sistemi giova, bensi come
aiuto, n^ potrebbe giovare, quando nn criterio
interiore per eleggere il vero dal falso nei varj sistemi cimancasse. L'eclettico risponderd,
forse: Ma in tal caso, soggiungiamo noi, se un criterio interiore vi ha sicuro,
gli eclettici ban torto dicendo che
tutta la storia della filosofia h una
storia di sistemi erronei, e che la verita pud solo venire dal ricucirli insieme. Anche il
tradizionalista nelle intenzioni sue e
dommatico, ma h scettico speculativamente, poich^ non ammette razionale
certezza. Le quali cose ho volute notare
per la natura del mio soggetto, a far
vedere cio^ che, filosoficamente considerato, R. partecipa dei dubbj del suo
tempo, e che egli cerca rifugio dai
dubbj dommaticamentenel tradizionalismo,
eniditamente nell' ecclettismo. Qual'^
infatti la sua dottrina intorno al mondo, all' Uomo, ed a Dio? Ne'primi sedici Dialoghi, ne' quali si
espongono le dottrine de' piii antichi
filosofi intorno a'principj universali
della natura, e che formano, ho detto, la
parte negativa del suo filosofare, R. non acr cenna ad alcun sistema suo particolare
intorno al principio materiale dell' Universe, e solamente riducendo al nulla e destituendo d'ogni valore di
verity tutti quei sistemi ritornati a
vita dal Rinascimento, intona, pud
dirsi, 1' estremo funerale a quel grande periodo della nostra filosofia. Bensi noi ci
accorgiamo di leggieri come egli in quelle pagine stesse distingua bene, del pari che Galileo e la scuola moderna, la
scienza metafisica dell' universe stesso
dalla filosofia naturale dalla fisica:
progresso grande, invero, questo;unperocch^ per 1' innanzi e nel Medio Evo e
presso i Peripatetici formava parte integrale della filosofia la fisica. o filosofia naturale, diversa assai dalla
scienza metafisica del mondo, alia quale ben piCi avvicinasi la fisica di Aristotile e di Platone, intendendo essi
questa appunto non come scienza tutta di esperimenti esteriori (nd r avrebbero' potuto), ma come cosmologia
nel senso che le diamo oggi ; vale a
dire la scienza dell' ordine mondano in
relazione colPanima umana e con Dio;
sebbene ponessero in questa anche lo studio deU'anima, come r ultimo punto a cui la fisica menasse.
Comunque, la confusione della fisica
coUa metafisica era in que' secoli giunta al colmo, cagionando que' conflitti e
quelr eteme dispute che nelle scienze rendonsi inevitabili, ognivolta gli obietti loro per natura ed
essenza distinti si mischiano. Ed i
fisici che volevano farla da metafisici, ponendosi a ricercare nell' ordine
degli enti esterni le leggi che
governavangli, presumevano trovarne apche i fini, invadendo per cotal guisa il
terreno della metafisica, con indicibile
danno della scienza e del suo stesso
incremento. Ma R., riconoscendo tutto
cio per la benefica influenza delle dottrine e del metodo Galileiano,
sfugge i pericoU di queste confusioni
peripatetiche, n^ i fini dell' universo d^ per obietto di studio 6 d' investigazioni alia fisica, la
quale intende ne' termini stessi del suo
maestro, riprovando nel fatto del suo
scetticismo, e del senso negative con cui in
questa parte intende 1' aforisma socfatico, quella naturale filosofia
architettata a priori o con induzioni ed
esami troppo superficial! da' filosofi antichi, e ritomate a vita e seguite, qual piii qual meno, da
alcune scuole del tempo suo. Tantochfe
del medesimo Platone ei rigetta le opinioni
intomo alia formazione del Mondo, come
quelle che non si fondamentano sulle solide basi relazioni di dipendenza dell'
una parte dall'altra, e implicitamente combattuto 1' errore di quei che V
uomo dicono operare in tale e in tal
modo, col tale o tal organo, perch6 ha
quell' organo, non perchd questo I'abbia
avuto a quel fine. Ed ecco percid un altro punto capitalissimo nel quale R., pur non escendo
dal suo probabilismo, segue la filosofia
modema, n^ cade nolle negazioni che
delle cause finali si era &tto prima
di lui, e si faceva anche al suo tempo.
Ma di ci6 basti: ch^ inutile ripetizione sarebbe recar qui nuovamente le parole del nostro
Scrittore, dove di queste ragioni finali
delle cose tutte dichiara la sua
credenza. N6 stard guari piii oltre a ricordare come R. ancora dissenta da Platone che
ammette r Anima dell' Universo, mentre
si adopera a scusarne r errore, e a
conciliare tal dottrina, interpetrandola
benignamente, coll' insegnamento fisico galileiano e con quelle religiose della Prowiden0a. Come il lettore ricorder^, R. passando
in rassegna i yarj sistemi antichi della
filosofia naturale, pose avanti il
concetto che Platone ayesse potuto intendere di assegnare al mondo per anima
sua la luce, che per Galileo ^ a tutte
le cose frammista, ed e la estrema
espansione della natura e in essa tutto risolversi di tutto cid che 6 nel mondo
con la rarefazione. N6 di cid abbiamo
osservato esser pago il Kucellai, che
nel Timeo si fa varj altri quesiti intorno a quanto di diverso dal fin qui detto potrebbe
immaginarsi aver Platone opinato suUa natura delP anima universale, come, per esempio. se abbia potuto creder esser
quella Iddio stesso, o TAmore. Indi dal
primo supposto piglia le mosse a
confutare il Panteismo e il Naturalismo conforme alle dottrine stesse Platoniche e de' piCi
reputati filosofi del suo tempo,
da'quali toglie gli argomenti probabili in
difesa della distinzione di Dio dal mondo. E cosi dal vedere che per tutto e seme di amore, nelle
cose inorganiche, organiche, negli animali e neiruomo, e da considerare i fini della creazione, si
domanda se per anima dell' universe
Platone possa aver tenuto I'amore, come
quello che, necessario, tira a ricongiunger le cose che per il loro difetto dal loro ordine
deviano, e, libero, le creature
ragionevoli. E ambedue le ipotesi o i supposti spiega affermando che Dio non si
deve confondere col mondo, ne ponsare che egli vi si trovi quasi anima in un corpo ; che Y amore puo, ma non
come essere vivente, ritenersi per anima
universale, sibbene e Dio stesso, h il
suo amore, o lo Spirito Santo, il quale,
virtii vivifica, e legge impermutabile infinita ha valso air ora della creazione, e varra in
perpetuo. E a questo sense crede R.
poter ridursi, cristianeggiandolo, il
pensiero del filosofo greco, della
cosmologia del quale ricorda alcune sentenze da cui puo arguirsi che 1' amore abbia egli
considerate se non come 1' anima intera
del mondo, almanco come il fiore d'essa,
che consiste nel medesimo; quell' amore
che appresso i cristiani, in Dante, in Petrarca ec, 20 altro non 6 nel suo concetto divino che
la provTidenza, o lo spirito che di s^ tutto riempie 1' iini verso. E quest' accordo tra Platone e la fede in
tal subietto palesemente dimostra aver tentato R. ne' suoi Dialoghi ddla Prowidenffa^ ne' quali
abbandonandosi spesso a mistici voli, si compiace rinvenire questa profonda armonia tra il precetto di
fede e il pensiero del filosofo pagano,
il quale, per lui, (ed ^ in fatto), piii
d' ogni altro nell' errore della gentility avvicinossi all' idea vera di Dio e
de' suoi divini attributi, quasi davvero gli si fosse in parte svelato. E per concludere sull' opinione di R.
intomo al mondo, resterebbe a ricordarsi
del come egU applichi le armoniche proporzioni aU'anima dell' universo, e in qual modo, altresi, riconosca
I'importanza delle matematiche nello
studio di esso, e quanto potuto abbia su
di lui la benefica tradizione Platonica in questo argomento. i] agevole in brevi parole
sodisfare a quest' oggetto, rammentandosi come egU, il nostro scrittore,
discorso delle matematiche, esponga neUa sua
verity r applicazione che 1' Ateniese fa di esse aU'anima Platonica,
senza as^entirvi, non ammettendo Tanima
universale ; ed invece riconoscendo in tutto 1' universo la intelligenza geometrizzante divina, il
numero, V armonia, dia lode a Pittagora, Platone e a Galileo che fecero base dello studio del mondo le
matematiehe, e continui la tradizione
perenne, chiamando con essi la scienza
delle quantity Vabbkcl di ogni sapere.
E come Platone, cosi R., che ne illustra il Timeo^ dall'anima universale passa a
discorrere del1' anime razionali e della loro immortality. II lettore ha tenuto dietro all' esposizione
di questi argomenti, n^ vale qui, anco
in succinto, ritornare sopr' essi pid.
Certo, il nostro filosofo, ritagliando pur qui dalle teorie platoniche
sull'anima tutto quello che alle
dottrine del Cristianesimo contrasta, gli argomenti di Flatone sulla natura ed immortalitS; di
quella accetta ed espone, e cosi di Socrate, di Pittagora e di Cicerone, de' Dottori e de' Padri, come poi
del Ficino e de' neoplatonici del secolo
decimoquinto, e anco del Cartesio,
contemperati da quello che la fede cristiana
ne insegna, onde dal grado di argomenti probabili assorgano alio splendore della certezza. Ch^
col lume della ragione solamente nelle
prove dell' immortality dichiard anche
qui nmi esservi da aspettarsi mai prove
convincenti^ oltre quelle della nostra infalUbile cattolicd dot-trina,
percM elle non sono da rioi, ma si bene favellar se ne puote, e trovarci da proporre molte
verosimiglianze e probability. E dove
dell' idee parla, tenta (lo vedemmo) un
accordo tra gli archetipi etemi di Platone a' quaK s' inalza la mente umana e le idee innate del
Cartesio. Imperocchd e' rigetta 1'
opinione aristotelica, tornata, tra' moderni, in vita da Condillac, che lo
intelletto umano sia tanquam tabula rasa, in cui si venga a Bcriver man mano, e, pur senza
sottoscriversi alia teoria della
reminiscenza nel sense platonico, ammette
invece la mente umana illustrata da un lume supemo impresso in essa da Dio, quantunque poi non
sia ben chiaro del come cid avvenga, e
anzi reputi questo un mistero, nel tempo
che Platone ammette chiara e determinata la cognizione delle idee eterne. Non
esclude la relazione obiettiva di
queste, e accostasi alia teorica delle idee secondo il Cartesio, temprandola
col suo neoplatonismo, e combatte il
Gassendi, non escludendo per6 quel che gli sembra contenere di buono, fino a dire che ritagliando un po' di qu^ e
un po' di 1^ si puo venire a un terzo
ripiego di verosimiglianze. E in fatti
ritiene come probabile che Iddio creando ranima e infondendo in essa il lume
delle idee, queste per la nebbia del
corpo e de' sensi yengano ad essere
alquanto nel loro fulgore offuscate, e i nuvoli della materia parino la vista all' occhio
deiranima, per modo che anche da tal
fatto del conoscimento imperfetto attuale delle idee e delle cose arguir si
possa Tadempimento per noi del conoscere intiero in altro luogo che sia. Ma, convien dirlo, a me sembra che
in questa teoria della cognizione e in
quest' accordi e' non riesca ben chiaro
a determinar cosa pensi ; e che il suo probabilismo assuma qui la qualita dell'
esitazione e della incertezza, e che in
questa e'faccia pur altalenare la mente
del critico. Causa al certo non secondaria di
tutto ci5 le deboli ali del suo speculare, ben diverse dalla semplice erudizione, che mentre al
probabilismo suo pud dar la quality di
erudite, non vale ad aggiungere vigoria a quelle intelligenze spossate da'
contrasti di si diverse dottrine. Che se dall' intendere dell' uomo passiamo
al volere, noi, nel combattere ardente che fa il Kucellai ogni obiezione della scuola epicurea e
determinista, la quale niega la liberta
umana, avemmo luogo di riscontrare anco qui il neoplatonico cristiano, il
quale, facendo tesoro di' tutti quanti gli argomenti che dalr antiche scuole
fino a' suoi tempi a sostegno di essa si
recarono, manifesta 1' ampia erudizione della sua mente da un lato, e dall' altro il suo
intendimento di una sintesi delle
opinioni diverse, come per esempio
quella della liberty e quella del fato, lo stoicismo e r epicureismo, del libero arbitrio e della
predestinazione, siccome riscontrossi ne' Dialoghi della Provvidenza. Cio che
preme di notare si d in primo luogo: che
alle varie facolta dell' anima non fa corrispondere altrettante anime, e, come a- dire, giusta il
pensiero platonico, la vegetativa, la sensitiva, e la intellettiva, radice della conoscenza e del volere ;
sibbene pur ammettendo queste distinzioni, le considera come quality di un' anima sola, creata da Dio, allorch^ il
corpo deiruomo venne formato. In secondo
luogo: che il R. ponendo in sodo, con
tutti gli argomenti pro7 babili de'
quali puo disporre, la liberty dell' arbitrio
umano, ci stabilisce le fondamenta della morale, precisamente come Platone
faceva, e la possibility per r uomo di
tendere al conseguimento del bene perfetto
e della perfetta felicity. Basta il ricordare il Proemio alia Villeggiatura Tibnrtina per rendersene
persuasi, e riandar col pensiero
principalmente i due be'Dialoghi che nel trattato della Provvidenza si
trovano, dove del dono della ragione, e
della liberty e del fato discorre. Come
in principio della esposizione della sua
psicologia e filosofia morale osservammo, giova rammentarci qui esser
questa la parte piil manchevole e
imperfetta ie^ Dialoghi; pur tuttavolta sufficiente alr intendimento
mio, che ^ quello di dimostrare il suo
eclettismo, e V applicazione mancata in lui del Nosce te ipsum. Vuolsi avvertire qui come
succedesse al Rucellai quello che poi succedette al Cousin, qualunque siaperaltririspetti la diversita d'ingegno,
d'inchnazioni e di successi dall' uno
all' altro. II Cousin, cosi nelle sue
Lezioni di storia della filosofia, come in ogni altra sua opera, sempre ripete per gl'insegnamenti
di Cartesio la necessity, dell' osservazione
interiore o dello studio della coscienza
umana ;sicche parrebbe ch' egli lo studio
de' sistemi avesse dovuto subordinare a questo esame interiore, e al criterio della coscienza. Ma
invece lo studio storico de' sistemi ^ V
intendimento eclettico ed espresso del
Cousin che reputa trovare in essi la integrita della filosofia. Similmente R.
ripete il Nosce te ipsum di Socrate ad ogni istante; ma in fatto poi si vale piCi eruditamente dei sistemi che
non delr esame interioi:^. E come la interpetrazione negativa del questo io so che nierUe to so valse al R.
d'impulso ad una speculazione erudita, piuttostoche ad una speculazione spontanea; cosi la parte
dubitativa negativa delle dottrine
cartesiane servi d' impulse al Cousin
per il suo Edettismo. Ed infatti,
lasciando d' intrattenersi suUa psicciogia^
cui il medesimo R. guarda e passa, nella parte morale, senza dimenticare la stregua
infallibile de' suoi ragionamenti, le
verita della fede, egli non voltando le
spalle alle teorie morali platoniche, pur quelle di Aristotile e degli stoici cerca studiosamente
di conciliare insieme, giusta pud vedersi nella definizione della virtii e nella classificazione degli
ofBcj umani. Si pud dire anzi che egli
non abbia fatto che seguir passo passo
or questo or quel sistema e quel metodo;
che il suo, piCi che un trattato, anco incomplete, sia piuttosto uno specchio delle sottili
distinzioni di quelle virtii e di quel
doveri, che Cicerone viene nei suoi
libri enumerando. Imperciocchd il leggitore abbia in mente quali fossero intomo la morale o la
teorica delr operare i pensieri di Platone, di Aristotile e della Scuola Stoica. — Platone ammise Dio esecutore
e mallevadore della Legge morale. La qual legge, imposta al volere deiranima, da Platone stesso
riconosciuta e per la prima volta
dimostrata immortale, riducesi alia
pratica della virtii, che 6 la imitazione dell'Archetipo sommo, ciod a
conformare le nostre azioni alle idee,
anteponendo all' amore dei beni sensibili quello del buono assoluto. La virtii d una ; ma comprende
in se quattro elementi, che
corrispondono alle quattro virtti
conosciute da noi sotto il nome di cardinal!, sapienza (sofia), coraggio o
costanza, temperanza e probity giustizia. L' applicazione della legge
morale non gi^ alia volontS; degl'
individui, ma a quella del popoli e
delle nazioni, costituisce la politica nel senso di Platone, il quale, oltrech^ veniva meno a
s6 stesso, allorch^ distinti nello stato
i tre ordini, ottimati o sapienti,
guerrieri ed operai, questi faceva servi, non
punto mostravasi alia corruzione dei tempi superiore, quando, per esempio, pigliando a massima che
1' utile non dev' essere un diritto
esclusivo e che dalla society umana
vogliono eliminarsi i sospetti di prole illegittima, ne inferiva la comunanza
dei beni e delle donne. Per Aristotile
il bene morale ^ la felicitit, il bene assoluto e la beatitudine perfetta che
comprende V attivit^ perfetta e il godimento perfetto. Base dell' operare umano
^ la libert^i, il cui esercizio perfetto fa
raggiungere la felicity, che ^ la somma dei godimenti. II bene finite non § che un accostamento al
bene assoluto: desso bene s'identifica col fine, e perd la ricerca del bene e
del fine si unificano. II mezzo pertanto di conseguir questo bene, ossia la
felicity, § la Yirtti. La quale consiste
nell' evitare i due estremi del vizio,
come la vilta e la superbia, tenendoci nel
giusto mezzo. La giustizia poi d tutta la virtti; h la virtd nelle relazioni che gli Uomini hanno
tra loro (Lib. V, Etica Nicomachea). Or
bene, ognun vede subito come la base su
cui si fonda la giustizia d per
Aristotile opposta a quella su cui la stabilisce Platone.
Imperciocchd Aristotile parta dallo studio delrUomo e dei fatti sociali,
e sia guidato, come Platone, dall'ideale del bene assoluto, ed essere
divino; ma pero il suo ideale 6 il tipo
perfetto della virtd, cio^ la
beatitudine, che • comprende attivita perfetta e godimento i)erfetto ; mentre
1' ideale Platonico contiene r unita
perfetta, assoluta, e percio il niodo di render
giusto rindividuo e lo stato e per Platone queflo di nniiicarli il piii possibile. E infine quail erano gl' intendimenti degli
Stoici? € Insegnano (riepiloga il Paysio
nella sua SL deUa FUosofia) che ogni
male ed ogni bene ^ solo apparente o
relativo, tranne il vizio che d un male vero e positivo, e la virtii che ha in
se un valore assoluto. La virtii ^ una
sola, un solo il vizio, e tutte le buone
azioni fra loro, come fra loro le cattive, sono equivalenti ; ma la
virtti si esercita in quattro modi
principalmente, colla prudenza, col coraggio o fortezza d'animo, colla
temperanzia e colla giustizia; e dicasi
lo stesso del vizio, le cui forme stamio
negli otto contrarj avendo ciascuna virtii due contrarj opposti.
> La virtii che consiste nel vivere secondo la legge della ragione bene ordinata come il yizio (^
una conseguenza della ragione disordinata o pervertita, che non sa vincere le cattive inclinazioni,
sradicare gli affetti colpevoli) conduce alia felicity, riposta nel vero vivere, cio^ in quello stato dagli Stoici
chiamato apatia^ nel quale 1' animo
senz' essere insensibile, e pero libero
da ogni passione, e, in genere, da tutto che possa turbare la pace
interna. Questa la mercede alia virtd
promessa, questo il premio accordato al sofo o saggio, r apatia. Frammezzo alle contraddizioni e
agli errori dello stoicismo, che qui non
giova rimettere in mostra, ognuno scorge nel sistema un germe di nobiK dottrine, fatte per elevar 1' Uomo e destare
in lui il sentimento della propria dignity
dagli Stoici (s(^giunge il Paysio giustamente) portato fino all'orgoglio
presuntuoso, e direi quasi feroce, che i beni menzogneri disdegna, e i inali
pcggiori non cura, anzi disfida. » Si fractus illabatur orbis Impavidum ferient ruince. » (HoRAT., lib. Ill, od.S.) Ebbene, ne'due Dialoghi della morale del
RuceUai, non che sparsi poi in tutti gli altri, precipuamente nel trattato
della Provvidenza divina, noi ritroviamo
predominare quest! tre sistemi da me riandati di volo, e del quali egli cerco,
tolto da ciascuno il non buono, T
accordo, subordinandolo sempre, s' intende, ai principj della morale cristiana
che irraggia e vivifica V umana
coscienza. Pone egli, con Aristotile,
mezzo della felicity la virtii che sta tra due estremi ; con che non dee intendersi il mediocre,
sebbene la giusta misura oltre la quale
e un trasmodare. La ragione, egli dice poi con Platone, fonda i suoi
motivi sulla costanza de' beni, e con
gli Stoici stima beni anco i mali
present!, che perd menano a felicity. E
distingue con Aristotile tre sorta di beni, ieWAnima, della fortuna e del senso^ e che nel definir
giusto la natura di quest! beni, e
aggiunge quale tra essi costituisce il fine vero dell' Uomo sta la filosofia
morale che ^, dice egli, la pii\ vera e
megliofondata filosofia deU'Uomo. La
quale null'altro 6 alia per fine che il timore di DiOj in che sta il vero mezzo di conseguire
la vera felicity, ciod il Paradise, che
equivarrebbe al possesso del Bene sommo,
assoluto di Platone. Qui R. segue
addirittura le credenze religiose, alle quali vuol ricoUegati i sistemi di morale antica
rivissuti ne' contemporanei : tantoch^ pur lo Stoicismo che qui parrebbe
escluso, ricomparisce a ogni tratto, ed in pagine, a dir vero, beUissime; imperciocchd soventi
fiate il filosofo nostrp vada ripetendo
che la virtil dee esercitarsi ad ogni costo, e malgrado tutto ; e nell'
esercizio di essa debba Y Uomo ritrovare
quaggiii la vera felicity. Pero quantunque R. abbia posto a fondamento della
morale la libertlL umana, siccome vedemmo, pur n^ dell' origini del dovere, n^
del percM della Legge morale ragiona,
cbe ha fondamento nel divino e trae
dalla mente eterna la sua forza, la sua
sanzione : invece li pone come postulati necessarj e gia consentiti da chi lo segue nei suoi discorsi,
quantunque non manchi di distinguere tra legge divina e naturale, e tra naturale e positiva. Nella divisione poi delle rirtii e nell'
analisi di esse e degli opposti loro,
segue Aristotile, Cicerone e san
Tommaso, come pure segue questo e Platone neUo
stabilire il fine della Society umana, cbe riconosce nel Bene comune, nell' utile coordinato all'
onesto : ond' 6 ch' ei tiene per principal
fondamento dell' umano consorzio e regolatrice degli Uffizj umani la giustimy
e poi le altre virtii, cbe insieme a
tutte le loro compagne secondarie definisce con san Tommaso, come quest! le
avea alia sua volta definite con Cicerone e con
Aristotile. E nel dividere gH
ufficj stessi dell' uomo, segue il R.
Cicerone; anzi, ricordisi, egli quind' innanzi
non fa cbe ripetere in compendio tutto cid cbe il giureconsulto romano
lascid scritto intorno a sifiiatto argomento, temperandolo sempre con 1'
insegnamento cristiano. In conclusione,
come nel tempo suo anco nolle questioni
supreme morali riscontravasi un contrasto di dottrine, la platonica, 1'
aristotelica, la stoica, la epicurea, la
cristiana; cosi negli scritti morali del
R. tutti questi diversi elementi ritrovansi in un singolare eclettismo riuniti. E bo detto
ancbe la scuda epicureaj e non a case;
imperoccb^ R. stesso non escluda che pure i beni del senso ordinatamente goduti sieno fonte di felicity, e mezzo al
conseguimento del vero bene; nel che
scorgesi tosto bensi la diflferenza tra lo intendimento Epicureo e quelle di
lui ; poich^ mentre Epicure e i suoi
seguaci nei beni del senso ordinatamente
goduti fanno consistere il vero fine
della natura umana; R. tempera e corregge tale dottrina, restituendo a' beni
sensibili il valore e V ufficio che ad essi si compete, vale a dire di mezzo al raggiungimento del fine supremo
dell' uomo, che 6, giusta Platone e il
Cristianesimo, il Bene Sommo,
Iddio. Proferendo questa parola,
entriamo finalmente nei penetrali della
teologia : esaminiamo brevemente se pur
in essa il fiucellai verifica il nostro concetto, dope di che, dato un rapido sguardo alio stile e a'
personaggi de' suoi Dialoghi, avrd
terminate. Come Platone, cosi R.
riguarda Dio ente eterno, infinite,
beato in sd e finalita suprema, nella
cui mente riseggono gli Archetipi eterni ; pero mentre Platone cade nel Dualismo, facendo coeterna a
Dio la materia, egli, R., col
Cristianesimo si scosta qui dall'
insegnamento platonico, e professa Dio creatore ex nihilo, tomando poi con V
Ateniese e Pittagora a considerarlo com'
eterno geometrizzante, ordinatore e
provvidente, e da questo attribute di Dio, dall' Arte divina che si manifesta nel Monde trae
argomenti probabili dell' esistenza del supremo Facitore, non escludendo perd
affatto la possibility della prova a priori^
quelle, per esempio, del Cartesio, che dall' idea dell' infinite
argomenta la sua realty; ma pure stabilendo sempre a cardine de'suoi
ragionamenti le verity della fede. E
nel passare in esame il trattato sue della Provvidenza, credo il lettore abbia
veduto R. far tesoro di tutta la tradizione filosofica teistica contro r Epicureismo, specialmente della filosofia
de' Padri del Cristianesimo, sovrattutto
dove discorre del mali e delr origin loro, dimostrando come di veri mali sia
solamente V uomo autore e capace, perchd dotato di libero arbitrio ; e come Iddio, essere perfettissimo
e prowidente per sua natura, non possa essere origine di male vero ; mentre quello che a noi nella natura
sembra male, o ^ limit e naturale delle
cose, siccome la morte, e pero non e
male in s6 ; ovveramente 6 del fatto, che
giudichiamo esser male, sconosciuto a noi il fine o Tordinamento, e in
tal caso egli e questo un errore delle
nostre corte intelligenze; e qui, in tali dottrine, come vedesi, ha
seguito Platone, e gli Stoici, e la tradizione universale cristiana. Ma per 6,
ricordiamoci anco una volta, egli,
affermando tutto ci6 col lume naturale, dichiara di non potere escire da' limiti del
probabilismo, e di esser necessario lo
starsi a quel che la Fede ce ne disvela,
imperocch^ V uomo che colla sua ragione
sola vuol troppo scoprire la verity, vada a caccia deUa iugia, Platonico adunque egli e nelF ammetter
Die e nel provarne la sua esistenza ;
Cristiano nell' ammetterlo come Creatore ; probabilista nelle sue conchisioni di ragione ; mistico e tradizionalista ne'
suoi intendimenti e nel suo metodo reale, generalmente seguito nell'intiera opera sua. Egli e dunque R. nell' esame de' tre
obietti deUa filosofia, V Universe, 1'
Uomo, Dio, una seconda volta scettico
filosoficamente, poich^ egli non esce dalr eclettismo. Imperocch^ (ho dimostrato)
1' eclettico, sfiduciato dal contrasto
turbinoso delle opinioni e de'sistemi diversi, abbia perduto ogni stima nel
criterio interiore della coscienza, che ei reputa incapace da sola a riconquistare le regioni della verity ; ma
pur bramoso di questa, si pone a sceglier tra le tante teorie quel che gli pare sufficiente a ricostituirsela
innanzi gli occhi, formosa piil ch' e' pud, affine di sottrarsi alia
desolazione del nulla. Se R. abbia
vissuto in un' et^ di contrasti, vide il
lettore diflfusamente. Ond' ^ che la cagione del suo eclettismo ne sorge evidentissima, e tale
che raentre giustifica in parte almeno il suo errore, stabilisce il punto di vista importante sotto il quale
si pud considerare quest' uomo, e mostrarlo ai cultori delle disciphne
filosofiche, agli studiosi delle leggi con le quali il pensiero umano si svolge nelle vicende de'
secoli. Un' ultima considerazione. Essa
risguarda la strutturade'DmZa^'Aitilosofici delnostro scrittore, forma
esteriore, ciod, stile e personaggi ; ritrovando anco in questa un triplice
riscontro della verita del soggetto
propostomi, e, fin qui, io credo, dimostrata. Non occorre dopo il gia osservato superiormente, riandare
anche per capi, le condizioni della
lingua e letteratura del tempo. Noi le
abbiam presenti, e basta esaminare la
forma esteriore e lo stile de' Dialoghi di R., perchd sia evidente la
rispondenza tra le prime e i secondi.
Qual' e infatti la forma de' suoi scritti filosofici ? II dialogizzare socratico, forma prediletta
nell' antichita, risuscitata in Italia
fin dal trecento dal nostro Petrarca. Quella forma preferita pur anco dal
Galileo, siccome la piii acconcia a dar
calore di vita alle dottrine, ed a rappresentarle alia mente, direi, come
esseri animati. II Eucellai, anch'egli ammiratore delle dottrine platoniche, e seguace almeno
esteriormente del metodo di Socrate e
del Galileo in quel secolo, oltre dettar
le opere sue nella lingua volgare, predilige acconciarle a quella forma cosi
semplice, come efficace, e che tanto
bene opponevasi anco in cid al fare irto e disarmonioso de' Peripatetic!
eccessivi e della Scolastica (specialmente de' seguaci di Scoto e degli
Averroisti), la quale, per cosi dire, gelava il pensiero in quelle forme secche ed incadaverite, e
rendeva gravosa la scienza destituendola
di ogni attraimento ; con che non
vogliaino offendere la temperanza de' libri di san Tommaso, pur nelle forme sillogistiche.
Imperciocch^ la scienza sia non un che
morto, ed astratto, ma parlandoci dell' universo, delle meraviglie dell' uomo,
della vita divina e delle loro
relazioni, debba esser anzi supremamente viva, ed adoma di bellezza giovanile,
perch6 sia quanto pud piii fedele imagine di quegli obietti. Ed ecco I'arte stupenda dell' Ateniese,
ne'cui 2)ia?o^M tu senti spirare quell'
anima dell' universo che nelle sue
poetiche speculazioni si finse; il cuore dell' uomo battere ad ogni istante di palpiti sovrumani
e rispondere alle celesti armonie, e Iddio come sole intelligibile scaldare,
fecondandoli, i germi preziosi di quella
mente, dove sorrise perenne la primavera del bello. Orazio R. commosso da questi concenti
divini, voile nell'opere sue imitare
Platone e la sua arte; e, per dir vero,
nelle sue platoniche descrizioni, nelr introdurre il discorso suUe diverse
materie con abbastanza facility, e saper man mano socraticamente procedere
nella risoluzione dei varj quesiti imita bene il Maestro. Se non che i difetti dell'et^ sua
pur qui compariscono, la difiFnsione ed il tronfio, sicchd tu incontri,
per esempio,uninterlocutore che
senzainterruzioniperprender fiato e per rompere la monotonia prosegue per
lunghissimo tratto a favellare, mentre passeggiano, come se si trovasse in una scuola, sur una cattedra;
e le immagini e le frasi ritraggono
talora di quel colorito che i tempi seco
portavano, come ho avuto luogo di fare
osservare per le poesie e per le prose letterarie di lui. Con tutto cid la
lingua d tersissima e ricca, e in
generale lo stile allettevole e ripieno di pure bellezze : e ti 6 dato in
questi Dialoghi ammirare delle voci
preziose, sicch^ il filosofo italiano pud trovar qui, come nei Dialoghi stupendi del Tasso, e nell'opere
volgari di Monsignor Piccolomini, la
genuina favella dottrinale, anzich^ pescarla ne'libri stranieri. E la natura diversa de' personaggi adoperati
dal R. e un' ultima conferma delle
nostre persuasioni. Infatti basta a
tutti ricordare chi pone a maestro e mantenitore principale de'suoi Dialoghi
iilosofici. fi il Magiotti, un neoplatonico vero, e seguace delle dottrine
fisiche del Galilei; ma sacerdote, e soverchiamente inclinato al tradizionalismo, per guisa che laragione
destituisca del suo legittimo valore, e
criterio supremo della verity professi solamente la fede rivelata. E gli altri
poi, credenti tutti, fingono di tenere o
da Epicuro, o da Cartesio, o da
Aristotile, e al piii giovane, Luigi suo figlio, per il quale precipuamente questi Dialoghi furono
scritti,fa il Eucellai rappresentare la parte fanciulla della ragione
sola, che cerca liberarsi dai dubbi che
I'assalgano; dubbi che vengono passo
passo fugati dagli altri coll' autorit^ di
Platone e degli antichi e moderni filosofi, corretti perd, io lo ripeto, dal concetto cristiano ne' loro
argomenti probabili, per trovar quindi V
intera pace deir anima nella certezza
evidente della verity della fede. Come
vedesi, adunque, i personaggi stessi manifestano la natura del filosofare
del Eucellai, il suo metodo, il suo fine,
e dimostrano essi pure quant' io non andassi errato definendo la filosofia o il probabilismo
filosofico del Eu cellai : un viaggio alia fede e colla fede per la natura
e per la ragione. Concludendo, io dico che in quella guisa che
nel consorzio civile del secolo XVII,
pure nel Eucellai trovammo i contrasti delle abitudini, de' pensieri e
delle dottrine, giusta che ce ne fecero
testimonianza e la sua vita, e le sue
poesie, e le sue prose letterarie e scientifiche, ed infine i suoi Dialoghi
filosofici. Che percio egli vale meglio
di ogni altro a rappresentarci il suo
tempo, le quality costitutive di esso in Firenze, imperciocche mentre
tutti gli altri, chi ad una piuttosto che
ad un' altra opinione assentiva, chi un sistema piuttosto che un altro
seguitava, o nella fisica, o nella filosofia; il Eucellai che chiude V eik del
Rinascimento, tien dietro a tutti, e da
tutti trae a comporre Tedifizio suo, i cui materiali concilia ecletticamente
con la verity della fede che gli fa da
cemento : e, altresi, perch^ questa
conciliazione ha piil dell' accademico che
deir intimamente speculative; speculazione, che salvo le scienze naturali, era molto fiacca a que'
tempi nella sua patria. Sembranmi chiare le premesse, legittima la
conclusione ; per il che io dovrei aprir 1' animo alia speranza di non aver fatto inutile cosa, n^ al mio
illustre Concittadino reso onore vanamente. II benevolo lettore che mi accompagnd lunghesso la via, non serapre,
a dir vero, amena e leggiadra,
giudichera : e il suo giudizio,
qualunque e' sia per essere, riterro come impulse sapiente e amorevole a
nuove e maggiori fatiche, delle quali
sar^ sempre mio fine la Verita ed il suo Amore*
ai OTTAVB. ALLA SERENISSIMA MARGHERITA D'ORLfiANS, Frincipessa di Toscana. Per un mazxolino di Fiori donatole il giomo
di Santa Mar^herita dal Priore Orazio R., Quando lacrime sparge il di nascente Dal sen delPalba in rngiadoso nembo, Ghiare conche eritree del mar iremente Teti gli appresta, e le raccoglie in
grembo. Poi spiega il Sol dal lucido
ori'ente De'raggi onde si veste aurato
lembo, E con alta virtii di sue
faville Ragnna in perle Talbeggianti
stille. Ma non tutte del mar Palta
Reina Accolse in Bh le prezi'ose
prede; Oh! a te di quella inargentata
brina Tatto cosperso il bianco sen si
vede, E 1 sol degli occhi tuoi le
tempra, e a£&na In piii pregiate e
chiare perle, e cede Quel cbe risplende
con eterni ardori A te, donna reale, i
primi onori. Or qual pegno al tuo nome
in si bel giomo Bender potr6 d*
ossequioso affetto? Questo di bianchi e
casti fiori adomo Ficciol fascio odoroso
al Regio petto Ahi non s^ aggaaglia, ch' il falgor d^ intorno Fa parer negro ogni piu cbiaro oggetto; Qual sotto a'rai del sol smonta e
s'imbrana YergogDando di se 1' argentea
Luna. Dun^ue h vano tentar I'alto pensiero, Che seguir non lo puo mio stato umile, Ma pur conMo troppo ardito, e spero Che lo mio buon voler non prenda a vile QuelPeccelsa bonta nota alFImpero, Che pur suole aggradir dono servile, Se un timido rossor purpuree rose In fra ^1 candor di questi fiori ascose.Si
querela che il sonno tenga troppo chiusi gli oechi della sua Donna, Ombra il sonno e di morte, i sensi
atterra, E gran parte di vita alPuom
ritoglie, Che quasi dal suo vel Talma
discioglie, E n'insogna le vie per gir
sotterra. Sonno s* altrui dk pace, a me
fa gaerra, Che '1 vivo lume a quei begli
occhi togUe, L^ dove amor del Paradiso
accoglie II piii bel raggio che
risplenda in terra. Ben a giusta ragion
lagnar si vole Questo mio cor, ch^in
preda al sonno oppresso Scorge in si
lunga notte il suo bel sole; Se 1
Poeta, che gih, d' Apollo istesso Segui
la fronda, si di lei si duole Che 1
batter gli occhi suoi fusse si spesso.
Sentimenti amorosi in morte di sua Donna, Qaella che sola ai miei pensier risponde, E i sensi del mio cor penetra e intende, Talor tra 1 sonno a consolarmi scende Fercbe tregua il mio duol non aye
altronde. iDdi lace si pura in me
trasfonde, Cbe quasi senza vel V alma
comprende : Quantu e la su di bello, e
come splende Quel Yolto in Giel che poca
terra asconde. Dicemi: apprendi che
caduca e frale Nel mondo ogni bellezza a
morte fugge, E contro morte il sospirar
non vale. Ogni cosa col tempo il tempo
strugge, Ma se miri il mio ben fatto
immortale, Non ha chi lo contrasti, o
chi V adugge. Sentimenti amorosi
secondo il concetto Platonico, che Dio creasse
V anime particolari degli uomini dagli avanzi delVanima universale del
mondo. Con eterne faville il sommo
sole Suo divino valor nel moudo
accese, E quelPalta ragion dal Ciel
discese, Ghe spirto infuse a cosi vasta
mole. Ma percb6 si belF opra adempir
vuole, I preziosi avanzi in man riprese, E vostr^ alma gentil formarne intese Con divine virtudi al mondo sole. E se mille anni, e mille altri compose Spiriti accesi da si ardente zelo, Qualche raggio piu vivo in voi nascose. E 'n porgervi natura il mortal velo Tanta cbiarezza e leggiadria ripose, Cbe ben traspare in voi cbe cosa e Gielo.
Desiderio che ha Vanima d*unirsi a Dio,
Padre del Giel, che le beiralme accogli
Quasi figlie smarrite entro al tuo seno,
Dall^ atre nubi a lucido sereno
Teco r inalzi su gli empire! sogli,
Dal tenebroso carcere ritogli La
mia, cli^e mai si presso a venir meno, £
di questo mortal limo terreno La man che
pria vestiUa or ne la spogli. Se col
tuo sangue ricomprar yolesti Da rio
seryaggio i miseri mortali, Gosi gran
somma anco a mio pro spendesti; Da si
caduchi ben, si grayi mail Per gir lieta
a goder beni celesti, Tu sol puoi darle
il volo, impennar Tali. DELLA CORTE E DEL RIGIRO DI ROMA, L’ngniaglianza di
tutte le condizioni degli uomini alle pretensioni di Roma fa sempre giovevole, sincbe le digniti e
le grandezze fiiron premio solamente
de'meriti e delle yirth, Capitolo
Peimo. La costituzione di questa
Repubblica universale di Roma si forma
dal concorso di tutte le Nazioni cattoliche, e dalr aMuenza continua de'
pretendenti, i quali, gonfiando le rele
delle proprie speranze, qua si trasportano da qualunque regione del
mondo. Ebbe per suo sostegno nel suo originario
Institute quel misto perfetto de' tre Stati Monarchico, Aristocratico e
Democratico, reputato per la forma piti durabile, e meglio ordinata di tutti i
govemi, dov' ella si man* tiene nella
sua bene accordata armonia, e che runo stato
di essa ben corrisponde e serve di correggimenio alP eccesso deir altro.
Nel Papa risplende la Maest^ del primo, che ha in s^ la plenitudine dell* autorita Ec^lesiastica
indipendentemente da ogni altro fuori
che da Cristo, di modo che niuno, ne -il
Collegio stesso de' cardinali contradice a quel che e' delibera, se non per ragion
di consiglio; ne' cardinali, come
senatori apostolici, si raffigura lo stato degli ottimati; il quale farebbe perfettamente il suo officio,
dove i Papi con esso loro consultassero
gli afifari maggiori di Santa Ghiesa;
staccandosi poi dalla suprema potesta le deliberazioni ben purgate et assicurate dalle passioni, e da
genj; ma T autorita maggiore del Sacro Collegio si conosce nelPInterregno, rendendo i cardinali venerabili a ognuno la
voce attiva e passiva che egli hanno al
papato negli altri ordini del Clero
universale, si de' vescovi, si de' prelati, e si pure de' sacerdoti, e
de'religiosi; come altresi nella moltitudine innumerabile de' pretendenti si
considera lo stato popolare, imperocche egli avevano grandissima parte
nell'elezione de'Papi; a' vescovi
apparteneva dare il lor voto per le discordie di Religione, e per la riforma de'costumi
Ecclesiastici nella celebrazione de'
Concilii, e dal concorso di essi insieme con
1' autorita de' Pontefici se ne formavano quei sacrosanti Decreti. II
Clero poi aveva il gius dell' elezione de' vescovi, e questi, quasi sto per dire, indipendentemente
reggevano gli affari spirituali e
temporali delle lor chiese: masopra ogni
altra cosa, che fa riguardevole e stimabile il comune del popolo h, che ciascuno, di qualunque qualita
o condizione, e ngualmente abile a
divenire Principe, Padrone di Roma, e
capo di questa Repubblica, perche la Provvidenza Divina, che la sostiene, a tutta 1' umana generazione
benignamente sguardando, h volta con
pari misura al bene comune di tutti;
appresso di Lei solo le tenebre dell'ignoranza e de'vizi, e la chiarezza della virtu ne distinguono,
dove, quantoanoi. roscurita e lo splendore del.sangue, la poverty e le
ricchezze disagguagliano. Era danque
ben dovere che la Bepubblica generale di
tntti i Gristiani si accomanasse a ciascuno, non ammettesse differenza di gradi, ma fosse madre amoreyolo
ugualmente di tutti i Gattolici, e fin
tanto cbe ella si mantenne nel vigore
del suo fondamentale instituto, e cbe gli interessi priyati non guastaron questi ordini, e non
isconcertarono U temperamento di cosi
ottimo e profitteyol governo, qual
requisito migliore potea ritrovarsi, cbe la parity di tutti gli stati degli uomini tanto celebrata a Roma,
per costitnirla una patria veramente
comune? Cosi invano si sforzavano le due
Ministre del mondo, dico la natura e la sorte, di dar talvolta ad un'anima nobile o un vil corpo, o
un yil mestiero, e si ad un soggetto di concetti bassi, e di peDsieri oscuri cbiarissimo nascimento, percbe in Roma
si uguagliayano gli uomini, yeggendosi taluno col mezzo della yirtu d^ infima miseria a stato reale eleyarsi.
Altri, per lo contrario, di gran riccbezza, e di splendido lignaggio in
brevissimi spazi yenire al nulla, e perdersi ben tosto fra la caligine della
propria ignoranza, per guisa cbe con I'opere
solamente lodeyoli^ e giuste, e non con le qualita accattate dalla fortuna, poteya ognuno partecipare di
qualunquepiu degna prerogatiya, essere
ascritto a quel sagrosanto Senato, e
diyenire Vicario di Cristo, e Principe di si gran condizione. Ma a poco a poco una tale ottima
instituzione traligno ancb' ella in
abuso, percbe tra V ayarizia di que* cbe comandano, e V ambizione di cbi
pretende s' introducesse nel Reggimento Ek^clesiastico la parzialit^ degli
affetti, e 1' util priyato si mise sotto il pubblico bene. La potesta dello
stato maggiore assorbi la forza, e
sconyolse le operazioni degli stati
minori; ruppersi quelle bilancie cbe teneyano equiponderato il goyemo, e rimase
confusa in loro la distinzione de' pesi,
si cbe delle tre forme sopraccennate altro non ci resta cbe la figura et i nomi : quindi ^, cbe
la parity degli stati nella Corte di
Roma senza il pareggiamento de' meriti h
dannosa, anzi cbe no, la quale si dee bene reputar dai plebei, cbe s* inalzano
indegnamente ad uguagliarsi co^ nobili,
non da' nobili, cbe contro a ragione si yengono a pareggiare co' plebei; conciossiacbe in quella giiisa
cbe lo splendor e della stirpe non
conyiene cbe abbia yantaggio sopra la
nobilta de' costumi, e degli ornamenti delP animo cbe illustrano ancbe i
piu yili; cosi non debbono pareggiarsi quest! con quelli, quando con 1* azioni
virtuose e grandi non si solleyino dalla
bassezza di lor natali. Ecco come si sono
smarrite le yere yestigia della yirtu cb' erano tanto piii calcate in
Eoma, quanto per una si gloriosa competenza gareggiavano tra lore gli ingegni,
allorche gli uomini eziandio di piccol
essere avean questo unico mezzo di farsi grandi, e che il saper solamente e '1 yalor degli
ignobili era preferito alia dappocaggine, e alPignoranza de' nobili. Ma percbe
oggi si misurano le abilita degli uomini non da' meriti, o dalle yirtu, ma si dall' interesse e dal
genio di cbi comanda, imperciocche gli ignoranti e plebei sono di numero molto maggiore, perde notabilmente la
condizione delle famiglie piu illustri, e screditansi i sentimenti migliori di
cbi porta gli stimoli dell' onore dalla
nascita e dalla educazione : cosi
presero yantaggio i costumi peggiori de' mercenarii, e le buone arti, e la reputazione, assodate
prima con 1' esempio, e con 1' avanzamento di quegli, vennero a spegnersi del tutto con 1' accrescimento, e con la
stima di questi. Per tal via si sono
tolti dall'uso comune di Roma tutti i termini dell' onore, restan priye d'ogni
fede le promesse et i giuramenti, e
dismisersi insensibilmente il yalor dell' animo
e i sentimenti cavallerescbi, cbe fanno risplendere un uomo ben nato, e si pure mantengono in creanza e
ben collegate tra loro le conyersazioni
civili. E perche all' abito clericale
non bene si confa V esser pregiato in opera d' arme, e farsi largo con la spada, sottentrano piu
ageyolmente nell' usanza degli uomini le
occulte ingiurie, e la tacita, fraudolente perfidia, yiepiu da temere cbe non e
se affrontata ed aperta. Gobi col
dominio degli infimi resta come del tutto abolita la coscienza dell' uomo onorato e da bene, e
yiziaronsi ancbe i nobili, percb6 con
I'uguaglianza delle fortune indistintamente si miscbiarono i sangui e si
corruppero gli animi, lasciandosi
yolgere all'uso e alia natura degli altri, e poi yestendo il manto sacerdotale sotto gli
onesti titoli della pazienza e della
Legge divina, cbe per ogni altra cosa dispregiano, d' ogni generosity si
spogliarono, ond' egli hanno convertito
in altrettanta vilti d' animo 1' antico sperimentato valore. Per la qual cosa
non ci essendo tra gli uomini altro
tribunale aperto contro la dislealt^, e contro i mancamenti della parola, se
non prendersi (cavallerescamente parlando) V un dell' altro soddisfazione con V
arme, perche que8to in Roma sta cbiuso, si sono nutriti, e confermati sempre yiepiu i mancamenti, e gli inganni dalla
continiia impunita cbe e' godono senza
legge civile o cavalleresca venina. L'
interesse dunque si e lo intendimento primario e la scorta de' pretensori, e dove I'uomo studia al
giiadagno, per lo pill studia eziandio
alia fraude e all'inganno; perci5 i \incoli deir amicizie non li coUega qua in
Roma la similitiidine delle nature, o
delle virtti, o vero un desiderio reciproco
I'uno di giovare all' altro, ma si le congiugne una mutua speranza, cbe ba Y uno di giovare a se per
mezzo dell' altro, e dove quelle la
fortuna buona o contraria non ba forza per
dislegarle, come non ebbe parte nell'unirle insieme; queste la sorte quasi sempre le annoda, et ad
arbitrio suo le discioglie. Cbi viene dunque a pretendere a Roma, ricerca sopratutto
la traccia degli interessi d'ognuno; e dove trova apertura, quivi s'ingegna di
concatenare i suoi in guisa tale, cbe 1'
altro si pensi di migliorare per mezzo di quegli le condizioni de' proprii ; lo spendere offizii
per motivo di meriti, e di magnanimita di cuore, non e piu in uso, ne le dimostrazioni di generosita ban credenza ; e
se talora se ne vede qualcbe atto
apparente, dicasi pure cbe e' ci h dentro
qualcbe occulto interesse cbe gli da fondamento, e lo muove; altrimenti cbi si fonda sull'aura e corre
dietro alle voci, senza cbe e' ci entri
di mezzo alcuna di queste cagioni, rimane
in poco d' ora agevolmente cbiarito. La speranza di compiacere ad un
fautore potente, il reputare cui si favorisce per mezzo efficace a qualunque intendimento
privato, fanno operare con caldezza, e chi sapra in Roma rinvenir questo
filo, et attaccarcisi con proporzione,
avra vantaggio notabile nelle fabbriche
de'proprii concetti. L' importanza e
dunque conoscer le cose nelle lor prime
cagioni, e farsi scaltro nel bene intendere le cifre degli animi, le quali molte volte altro significano
neU'interno, di quel che indicano altrui
i caratteri esterni. Per tal conto e necesaario lo informarsi de'fini
particolari, e de'pubblici, delle
nature, de^ temper am enti e de^ genii, delle dependenze e degli odii occulti di ciascheduno ; delle speranze
e de' timori, che vegliano ne'cuori di
chiunque pretende, e si ancora delle
sostanze e delle fortune loro, perche si antiveggouo per questa via di molti successi, e sono tanti
sentieri aperti agli avanzamenti altrui,
col saper ben yolgersi per i quali, quando
la via maestra e chiusa, si perviene sovente col rigiro pe' traghetti e
per vie traverse, dove non si e potuto arrivar per lo dritto. Pero si vede che lo interesse
affina gli ingegni, e come suol far la
virtu, insegna anch' egli a superar le passioni, e molti atti di avvedimento e
d'industria, che v61ti a fine d^ onore e
di gloria sarebbon virtuosi, si adulterano
per la corrotta e maculata intenzione, a che incamminati sono; la soUecitudine, la vigilanza, la
destrezza e le altre operazioni migliori
delFanima usate ad esser ministre per qualificar
le azioni buone, servono per render piu fraudolenti i pensieri viziosi dell'
avarizia, della vendetta, deir ambizione, delP invidia, che sono 1 sensi piu
comuni di quel che pretendono a Eoma, i
quali usando il bene male, e valendosi
della piu oculata prudenza per giungere dove essi bramano, avviene che molti si chiamin grand'
uomini e saggi, cio argumentandosi dall'
operazione de' mezzi, che direbbonsi misleali, pigliandosi la riprova da' fini.
Per questo i vizii in mano a costoro
peggiorano quel piu, con cio sia che non
solo sono prodotti dal senso, ma camminano sotto sembianza d' una simulata virtu, e sono
regolati dalla finezza e dal discorso
dell' intelletto. Ma odasi cio che dice
di Eoma Quinto Cicerone #al fratello quando e'chiedeva il Consolato :
«Fissatevi (diceva egli) nell'animo queste tre cose, e dite da per voi stesso:
loson uomo nuovo; domando il Consolato;
e, quel che e piii notabile, questa Roma e mescolata di varie nazioni, dove
sirag^irano molte insidie, molta fallacia, e vizii di tutti i generi. Qui si ha da patire V arroganza di molti, la
perfidia di molti, la malevoglienza e la
superbia di molti, e di molti pure gli
odj, et infinite molestie : m' avveggio ch' e' ci fa di mestieri un gran consiglio e una grand' arte a voler
vivere tra' tanti uomini, e tra tante
sorte di mali per ischivar le offese, per
ischivar le bugie e gli scherni, e per ischivar le insidie; ed e malagevole ad un uomo solo adattarsi a
tanta variety di costumi, di discorsi e
di volont^, massime che in questo fuor
di misura ell' e viziosissima, che posta di mezzo la pecania e' regali,
ciascheduno della virtii si dimentica, e della
dignita. » Sin quidisse Quinto al fratello; il che ho voluto registrare in questo luogo, accio si conosca
che o sia la positura del Cielo, o si
pure la necessita de' medesimi fini,
negli ultimi tempi della Repubblica Romana (forse come oggi) adulter ati e guasti, hanno come posto
i temperamenti conformi; influiscono
similmente negli animi la stessa maniera e inclinazione di costumi, e nell' una
e nelP altra etade s' introdussero e
stabilironsi nella Corte di Roma contro
la virtu e contro la pieta della sua primiera instituzione, tutte quelle arti
che piu si producono dall' opera della
malizia, che dalla carita e dalla devozione. Si puo dunque concludere, che la macchina del rigiro di
Roma stia appoggiata sopra I'estremo del vizio, non sopra I'eccesso della virtu; perche qua e talmente raffinata la
fraude, che quanto gli uomini sono piu
nemici, tanto piu usano tra loro atti di
confidenza, e piu liberta di tratto. E le destre che sogliono essere testimonii di fede, sono in loro
violate dall' inganno, e dalla malizia
di farsela I'un I'altro a tempo e con vantaggio, e quegli solamente e stimato
piu valent' uomo, che puo pi^. Quindi
avviene che qualunque e reputato uomo di
valore nell'altre region! del mondo, venendo a Roma, si perde, trovandosi in una differente scuola da
quelle, ove s' apprende ad esser
soggetto grande con le virtuose azioni.
Quei dunque che si mette a vivere in questa Corte, non basta che e' sia letterato e sapiente, quanto
se gli conviene il saper ben discernere
i vizii altrui. Ceda pero alio stile del
paese, mantengasi nelP arti virtuose, ma assuefaccia r animo educato ne* buoni costumi a non si
scandalizzare da' pessimi. Molti giungono a Roma, e se di eubito e all'
improvviso loro precipitano addosso
similisorte di mali, si perturbano e
sovente escono de' termini, e yi ruinan sotto; ma se loro si da punto di tempo, il far passaggio dalla
virtu al vizio e molto piu agevole, che
non e quello da' vizii alle virtu,
perche son mali che feriscono solamente le opinioni accreditate nel
mondo, e trapelano cosi ad ora ad ora nella consuetudine e negli animi nostri
che altri non se ne avvede ; e,
guastandosi poscia, appaiono con 1' uso men disgustevoli, ci si fa il callu, perdecisi la faccia, e non
tan to si smarrisce lo stile di operar
bene, ma si eziandio 1' arte d^l conoscerlo.
Questo si e il vero modo di spegner le leggi, di 6ontaminar la religione, di tor via la vergogna, perche
non si ha timore dell' infamia.
L'autoritk resta senza un minimo fondamento,
6 gli esempli e le memorie migliori si dimentican tutte. Cosi la fortuna ha deformato la faccia
bellissima della virtu. Ognun t'
offerisce la vita, il sangue, la roba, quando
il bisogno h discosto ; ma quando s' appressa, non che gli amici, i piii cari parenti mutano faccia, e
di presente si rivoltano. Gli uomini
nocivi sono, come industriosi, lodati, e
quegli che tra tanti cattivi vogliono esser buoni, perdono il credito, e sono come sciocchi e timidi
biasimati. Eoma finalmente e commercio,
dove si spacciano mercanzie di grand'
importanza, le quali stanno esposte alia forza della pecunia, che vince tutto, e insieme a chi sa
meglio romper la fede, e con piu astuzia
aggirar i cervelli, i quali, tutti all'
ambizione e al^util proprio donatisi, cercan tirarsi innanzi per quella via,
che lor piii torni in acconcio, non
riguardando all' onesto ; e perche alia larghezza delle distribuzioni di
Roma sempre molti ci pongon 1' occhio per una
stessa cosa, quindi deriva I'invidia e conseguentemente r odio tra'
concorrenti ; ciascuno spera avanzarsi su I'oppresoione degli altri, e niuno
conseguisce una cosa, che non paia ad nn
altro di perderla, onde si nutriscono sempre i disgnsti, e qua di continuo sta
accesa una guerra civile di competitori, la quale, se fusse in sua liberta e non
raflrenata dalle cautele, che lo stesso
interesse mette in ciascuno di non
gnastare i suoi fatti, si vedrebbono inimicizie scoperte, sollevazioni perpetue, e tale effrenato
stimolo metterebbe r arme in mano a
ciascuno per cavar V anima alP altro, ma
cosi resta il fuoco del? odio racchiuso e coperto in ognano dalle ceneri de' particolari rispetti, e pero
altro suonano le parole di quel cbe
sentano i cuori. L'apparenza deWoltie
totalmente contraria alia sostanza degli animi ; alia largbezza delle promesse non corrispondono gli effetti,
ed armasi la fraude dove non puo
apertamente impugnar la spada lo sdegno.
Niuno percio si stupisca della doppiezza di questo clima, e delle male arti cbe ci s^ adoprano,
perche dove lo interesse e la cupidita
signoreggia, la virtu vi perde il sno
luogo, ed e minor male per la sussistenza del governo di Eoma la simulazione e V inganno, postovi
dalla necessita del suo fondamento, che
Y impeto scoperto delF ira, instrumento
abile a precipitarla ben tosto. Tolgasi dunque, se s5 puo, dalla Corte di Roma il fine del guadagno, o
si vero e forza per men reo partito
lasciar correre questi mezzi per
arrivarci. Vero e che per entro a un labirinto cosi intrigato di tante
insidiose e fallibili vie, niuna che si tenga
da uno pu6 servire di norma e d' esempio aU' altro; le medesime scorgono
gli uni al papato, e gli altri alia propria
ruina; e sin quelle della virtu e del vizio ne menano sovente ad uno stesso confine ; la fortuna e *1 caso
ci fanno la maggior parte^ e le congiunture son quelle che apron molte volte il cammino, e ne guidano a lieto fine;
percio si scorgono gran variety di maniere et infiniti imitamenti di virtu, e di costumi varii per accomodarsi alle
opportunity de' tempi, e a quello che
altri s' immagina viepiu profittevole. Tutti
gli nomini s* ingegnano sopra ogni cosa di parere quel che non Bono, non di mutarsi da quel che sono ; V
avaro si vedra talora donar del suo, et usar atti di liberalita, per poter poi torre con piu dovizia V altrui; il
superbo e *1 vendicativo riesce pieno di cerimonie saperchievoli e di
sommissione ed umilta, per serbar a suo luogo di vendicarsi e di esercitar V alterigia. Chi e piu artifizioso
e sagace cerca di far lo stordito, e a
bello studio si lascer^ volgere a tutti i
genj per apparire altrui facile, e troppo credulo e buono. Alcnni sMmmaginano che il dare ad intendere
di essere santo sia il vero modo di
tirarsi innanzi ; pero si fingono di
stretta coscienza, e col viso pallido, e col collo torto formano V
instituto al di fuori della lor vita; ma sotto il mantello deUa pieta e degli
scrupoli, le azioni d^ ognuno censurano, tengono mai sempre Farco teso, e sotto
specie di bene scoccano a tempo colpi da
maestro, che coll^ acume di una sola
parola modesta tolgono la reputazione a chi e' vogliono, anzi con un sogghigno
che ti fanno talora^ e col tacere,
accreditano un^opinione maligna contro a qualcheduno, e non fanno manco male
collo star cheti e col celare la verity,
che s^ ei rappresentassero il falso ; e quauti ci sono, che della lode istessa si vagliono per ruinar
la fortuna di qualcheduno, onde
saggiamente di loro disse Tacito: pesHmum inimicorum genus laudantisl Tali sono le maschere varie di Roma^ dov'
ognun cerca infingersi di verso da quel
che egli e, rifuggendo per meglio coprirsi
all' estremo contrario di quel che e' si sente dentro nella sua propria natura. Per tal maniera gli
uomini travestono, non ispogliano, le passioni, e da essi i difetti si palliano per non lasciarsi appostare, non si
vincono per emendarsene. Di qui e, per
quanto io m' avviso, che Roma si dica
teatro del mondo, perche compariscono in esso tutte persone contraffatte da quel ch'elle sono;
chi e d'un partite, a un tratto diviene sviscerato dell' altro, e, secondo
che vuol la fortuna, si veggiono tuttodi
cambiare varie sorte di scene,
I'invidia, la malignita e lo sdegno, e si amore fa le sue parti, per6 1' amor proprio, che quanto h
piu tenero di se stesso, tanto h piu
crudele nel tiranneggiare altrui. Questi
h quegli che raggira tutto, muove gli ingegni e le macchine, e apre
tante sorte di vie, le qaali si trovano tatte
piene d^ impedimenti e di spine, fnor che quella della moneta, o pure d'
accomodarsi ai genj di chi govema. Di
queste, la prima non e battata per tatti, e chi ne ha 1 modo diviene superbo, imperciocche gli
pare di poter soperchiare gli egoali, e
riescon costoro per la maggior parte
ignoranti, perche fidandosi nella forza di loro ricchezze non fanno procaccio di altri mezzi per rendersi
degni, e rade volte accade che Domenedio
accoppj negli uomini i beni della
fortana e quegli dell'animo.
Alia seconda, di seguire i genj, e piu acconcia la gente d' animo e di nascita vile, che non sono gli
uomini ben nati, e virtuosamente
educati, percio quegli ban piu vantaggio
nel prender le inclinazioni de' Principi, i quali, per quanto amino I'ossequio e la riverenza nel pubblico,
aborrisconla in privato, perche lor reca
soggezione ; pero scelgono per loro
domestici uomini entranti, prosuntuosi e arditi, e soyente yiziosi, in essi
confidano, scuoprono i lor pensieri, e
le loro magagne sicuramente, e se ne vergognan meno che non farebbon co' savii, co* virtuosi, e con
le persone moraK; quegli dunque piu
agevolmente s^ inoltrano nella lor grazia,
e con essa montano piu presto in altezza, e torniam dunque a dire, che nella corruzion de'costumi e
utile si de'plebei, ma notabil danno de'
nobili la parity degli stati tanto celebrata a Roma. Imperciocche salendo in gran posto la gente
bassa, e condizione mutando, non lascian
i vizi da privato, ma piglian ben tosto quegli de' grandi, e le virtii non V
imparan mai; e come e costume degli
infimi esser nelle avversitadi abietti,
e nella prosperita insolenti, cosi essi, come da prima a' maggiori servilmente obbediscono, cosi di poi
a' minon imperiosamente comandano. £cco
perche la nobilt^ si co^ rompe,
conciossiache dove innanzi, premiandosi sol la virtiir con essa si adornavano gli animi e
nobilitavansi eziandio de* plebei, oggi
per avanzarsi conviene che s' awiliscan coi
vizi i buoni costumi, e corrompasi la coscienza de' nobili; ma chi ha stimoli d' onore, per quanto e' s'
ingegni nelle cose lecite e oneste di andare a' versi di chi governa, non ci
si abbandona poi talmente che e^ chiuda
gli occhi a quel che si dee; andra
penetrando le inclinazioni, e con quelle procurera si di confarsi, ma insieme
studiando di acquistare stima d* uomo da
bene, e concetto per la virtu, non perche
questa debba avanzarlo, ma perche tirato avanti uomo virtuoBO almeno ne
adonesti V avanzamento, a lui se ne ascriva
la gloria e '1 merito ; dove quando si viene innanzi senza virtu, tutto s' attribuisce alia sola
fortuna, e sovente volte rinalzamento di
questi fa spiccar meglio ie macchie de^ loro
demeriti alio splendore della dignita medesima, che indebitamente loro e
stata concessa; questi esaltati ricevon appena che un applauso lieve del volgo,
che e guidato dagli eventi, e lasciasi
abbagliar la vista dal lampeggiar deir orpello; ma il meritevole, benche
dispregiato e negletto, ha per se il
partito de'savi, che col paragone della prudenza discernono anco per entro alia rozzezza e
alia oscurita dello state la purita
perfetta e la chiarezza delP oro. Gran
forza e quella della verita, che finalmente non ha paura della bugia, e si schermisce da se
contro Pingiuria de' tempi, e contro
alia malignita degli uomini, ne e mai
pericolo che i concetti ben fondati de' pochi restino offuscati da' giudizi vani de* piii ; la virtu rifulge
eziandio dentro alle tenebre, ne s'
imbratta mai^ perche se la tenga sotto i piedi e in mezzo alle sordidezze della poverta la
fortuna contraria. Ella si fa conoscere,
e place eziandio ne'nemici, non che
negli uomini miseri. E se un uomo degno non e portato a gradi maggiori, il biasimo torna addosso a
chi dovea avanzarlo, e non a chi riceve Tingiuria. Sarebbe bella che il credito d* un uom meritevole avesse a
dipendere dal capriccio d' un Principe
molte volte poco prudente, e che gli s' avesse
a rivoltare la mala ventura in colpa ! Infelici dicansi coloro che non
hanno meriti^ e percio ne anche reputazione,
quando bene sono aggranditi, perche troppo ben si discerne quel che ne dona la virtii, da quelle che ne
comparte la sorte, la quale puo ben
rendere gli uomini miseri, ma non gli
pu6 gia render indegni; anzi essa molte volte sostiene gli non degni per non
gli lasciare in preda alio scheme e alia
lor propria ruina, dove i virtuosi tien bassi, perche non abbiano tant' arbitrio e autorita sopra gli
altri;posson ben essere ugaali i gradi
degli onori tra gli uomini tanto buoni,
quanto cattivi, ma saranno sempre disugnali que' della gloria ; nb
perche i peggiori s' armin d' invidia e di fraude, et allora acquistin potenza, posson mai con gli
uomini savii gareggiar di virtii,
avvenga che e' si trovino in bassissimo
stato. La virtu dunque nella Corte di Roma sempre adonesta gli
avanzamenti, quantunque non abbia parte nelr avanzare. Ma la fortuna e quella
che distribuisce le grazie, la quale sul
bel principio fa pomposa mostra de' doni suoi,
e pare che ella si faccia altrui innanzi col viso lieto e col grembo aperto, ma di subito poi cambia
faccia, e vuol vender carissimo quel che ella offeriece in dono. Stolto e
colui che abbandona la propria quiete
dietro alle sue fallaci lusinghe, e che a guisa del Cane d' Esopo lascia il ben
eh' ei possiede, per gir dietro ad un'
ombra d' un meglio dubbioso. fi vero che
alcuna volta ell' aggrandisce una casa e quella
riempie di tutti i suoi beni, e sta in suo, arbitrio d' alzar gli uomini ad esser pari e superiori de' Re;
ma quel che ella dona ad una famiglia,
sel fa pagare a gran costo della roba,
del sangue e della reputazione d' infinite altre, e per una ch' ella soUievi, mille sotto la sua condotta
pericolano. Laonde mi sembra su le rive
del Tevere fiorire piu che in altro clima
quell' albero fruttificante, onde alcuni Poeti
favoleggiarono che si ritrovi nelle larghe e fertili possessioni della
fortuna, da' cui sempre verdi rami pendono frutti di varie sorte, e non meno degli amari e
velenosi, che dei saporiti e soavi, di
quegli che porgono altrui salute, di
quelli che danno la morte. Alle cui radici anelano i pret«ndenti
ambiziosi, tanto i nobili, quanto i plebei, tanto gli idioti, quanto i dotti, gare^giando tra loro
de' posti migliori; quindi s'odono
tuttodi querimonie I'uno dell' altro, quivi
essere gli uomini martoriati ognora dalla lunga impazienza: e chi potrebbe esplicare lo sbigottimento, il
dibattito, e I'ansieta di colore, che stanno a gola aperta bramando che caschi
loro qualche vivanda megliore ? Chi si vede appena giunto con piu improntitudine degli altri
romper la calca, et accostarsi di subito
a pi^ del tronco, V uno, che non paia
sue fatto, si sospinge oltre tra gente e gente, oh' altri non se n'avvede. Chi corrompe qualcuno per farsi
far largo, e finalmente ognuno si studia
con que' modi ch' e' puo di passar oltre, et alcuno, giuntovi sotto, ci s'
inerpica sopra. Quelr altro il prende di dietro, e s' ingegna di trarlo a
basso, 6 per tal modo tra tanti contrasti
e tra le scosse dell' albero, dove cade una cosa e dove un' altra ; e a colui
che a pena v' arriva cade un porno de'
piu delicati e salubri ; a coloro che
piu lo sbattevano, cadono in mano le foglie, a
molti piovono i fiori, talora un ramo si scoscende, che percuote chi si era fatto piu innanzi, e con
furia ricaccialo indietro. Et ad alcuni vien cadendo da ultimo qualche frutto sustanzievole, quando, gia ritiratisi
indietro, pareva di loro ogni speranza
fuggita. Ne piu ne meno avvengono gli
accidenti di Roma; non ci ha regola per argomentare gli eventi, ne si puo ben giudicare il punto
cattivo, o '1 buono ; ogni voce, ogni
atto, ogni sospetto gli muove e perturba, gli
attrista^ gli allegra; ora le speranze si risuscitano, ora si moiono, quegli si picca di sgarir la fortuna,
e si trova alia fine sgarito ; questi
con la pertinacia la vince, e in cotsll
guisa senza riprova alcuna di quel che abbia av venire, gli uomini, fortuneggiando in Roma tra venti
contrarii, sono in qua e la da varii
flutti e da varii casi sempre vacillando
menati. Impercio accade che alcuni gia con le membra cascanti e deboli
tornano ad esser da capo, e pur ritengon
viva la loro ostinata ambizione, e andando invano per tutta la lor vita dietro alia gloria e agli onori,
inonorati rovinano ; perch5 e' si vede chiaro la fortuna non voler mai ad alcuna legge soggiacere degli uomini, ed ogni
regola, ond'ella si voglia acciuffar pe'
capelli, riesce vana et inutile, perche
d' ordinario da chi la segue si scosta, et a chi piu la fugge, e a lei non bada, va incontro : cosi a Saul,
che cerca I'Asine, getta nelle mani un
Regno, et Assalon, che va dietro al
Regno, trovasi per la chioma appiccato ed ucciso. Quant o e bella Roma,
quanto e ella appariscente a chi la
uiira in un' occhiata, a chi n' ode parlar di lungi ! Quanto ingegnosa e colma d' industria, quanto e
devota e santa, quanto e benigna e
cortese, quanto di tesori doviziosa e
prodiga a chi la vede nel frontespizio, e nella superficie di fuoril Ella si scorge alzarsi al Cielo con
superbi edificii, testimonii
marayigliosi deir antica grandezza, delP onnipotenza Bomana ; qua V abbondanza
delle statue e de^ marnii fanno sin oggi
risplendere la maestria e Greca e Latina.
Qua i giardini vincono quegli dell' Esperia e gli Orti favolosi d' Armida
; le fontane paion fiumi volanti per 1' aria e
tutte le altre delizie di Eoma tolgono il yanto al lusso, alle sontuosita de' Persiani. Se le devozioni
isguardiamo, qua tutti Yocaboli di
pieta, titoli di carita, ammaestramenti di
pazienza, e atti di umiltade. Qua Corpi e Sangue de'martiri, qua
raemorie scolpite di virtu cristiana. Qua Templi marayigliosi, che fanno fede di religione ben
fondata; qua tutti gli aruesi piu sacri
e piu yemerabili, si della nascita, si
della vita, si della morte di Cristo rifuggiti a mettersi in salvo nel Grembo della sua Ghiesa; e di
questa chi ne siede al governo, se non
il Vicario di Cristo? Chi ode i
complimenti e le o£ferte, chi da orecchie alle cerimonie, agli accoglimenti de' cortigiani, incontra subito
maniere dolci e aggradevoli, parole
significanti stima ed affetto. La casa,
via rojba, il sangue e la vita non par che sia propria, ma in preda al servizio et a'vbleri d'ognuno; la
sommissione assoggettisce altrui, si
contrasta tuttodi non il prime, ma r
ultimo luogo; si fa a gara a chi vuol essere piu immeritevole, piu servitdre,
piu minimo di tutti gli altri. Chi non
esagera a prima giunta la prontezza degli amici, le grazie e '1 patrocinio de' graiidi ? Chi considera
le ricompense che ci sono, i premii
proposti, 1' entrate grossissime a vita, che
non si sa onde si vengano, il dominio sopra di esse negli altrui stati, che i Principi proprii non ci
posson metier la mano, le dignita
eminenti, le grandezze, le porpore, e '1 poter
comandare, e sovraneggiare al mondo intero, a che ognuno puo giugnere? Qual altrettanto maggiore
invito possono havere g\i stranieri per
correre a si belle, a si pregiate fortune ?
Ma chi poi penetra a dentro, chi pon V occhio con attenziono a quel che
e Roma sotterranea, dico sepolta ne' cuori,
nelle menti de' pretensori, negli animi di chi domina, trova ben il contrario di quanto ella fa pompa di
fuori. Le delizie di Rama sono il piu
delle volte veleno ; sino i giardini, e
le foreste a chi troppo ci bada V uccidono ; le macchine piu superbe e piu maestose sono oggi guaste, e
rotte, e minaccian sempre rovine. L' arti e' costumi che ci s' adoprano
son molto poco conformi a' titoli di
santit^ e agli abiti ond'essi rifulgono
; le Reliquie e' luoghi santi a pena restano esposti al culto e alle visite de'
Pellegrini, e servon nel resto per
istrumenti d' ipocrisie, e per metter al coperto le passioni e gli affetti
sregolati de' grandi, e sin Tautorita
apostolica la fanno far gioco alia potesta temporal e e agli interessi di chi si vuole aggrandire. Le
cirimonie e le cortesi maniere, che son' elleno altro che parole senza
significato bfferte, e sembianti senza affetti, e una vana significazione di
onore p'osta nell' apparenza de' volti e vana, in quanto e' s' onorano in vista coloro, i quali
talora si hanno in dispregio ; bugie le
quali bene spesso si rivolgono in tradimenti, e infine un capitale di finzioni
e di lusinghe in diritto ad un grosso e
disorbitante guadagno, se i premii, le
facolta immense, e le grandezze, queste si dispensano ad arbitrio, e non per giustizia, e tutto quello
che faceva star bene molti degni e
meritevoli, cola tutto ad arricchir6 smoderatamente una sola famiglia? Qua
finalmente sotto la formalita de'nomi e dell'abito esterho e sotto speciose
voci si nascondon le occulte Industrie;
sotto le lodi delle virtu si usano di
nascosto i vizii, pero in Roma si sostengono le
opinioni e le apparenze, piu che le operazioni del bene; si fa caso degli errori superficiali, e
gastigansi con severitii le parole
ne'poveri e neMisgraziati per tener in piede i
piu grossi, e far godere V impunitade a' maggiori. Per tal via co' riti e coUe formule, co' titoli, co'
vestiti, con le Congregazioni, co' solennizzamenti si tesse un ordine bene
ag^ustato, che forma il ritratto apparente di Roma, significante altrui quello
ch'ella dovrebbe essere, non quelle cVella
e, dentro alia quale si cela un disordine, e un caoa di fini, di speranze, di timori, d' incamminamenti a
caso, d' accident! impensati, d'odii, di
finte amicizie, di gelosie, di martelli,
d' invidie, di beni, di mali che non s' intendono, non hanno riscontro, e tengon le menti degli uomini mai
sempre sospese. Perci6 si veggono i pretendenti sempre mesti, sempre astratti
da loro stessi, e si per la continua apprensione di loro medesimi favellare come matti perche
non ritrovan mai il bandolo in gual
posto si dieno dell' amicizie, dei favori, delle speranze, e delle paure nelle
quali e' si trovano martirizzati in ogni
tempo su la ruota della foriuna, guidata dall' ambizione e dalP interesse, dove
sta fondato e si regge questo governo di
Roma. Per la qual cosa egli e molto
ragionevol di credere, che la divina onnipotenza lasci correre questi vizii e queste macchie nel
rigiro di essa, perche a quest' ombra
riluca quel piii la verity infallibile
della sua Chiesa e I'autorita ben fondata conceduta all'altissimo
ministerio del suo vicario in terra, a fine di far conoscere che e' ne ha dato
il reggimento a uomini che hanno il
libero arbitrio, e che possono involgei*si fra le passioni mortali e terrene, benche non errare nel
maneggio delle cose celestiali e divine
; e cio contro 1' ereticale nequizia, che presume temerariamente controvertere,
per li abusi della corte de' preti, la
potesta che e data loro miracolosamente da Dio. Come tutti 1 Goyerni eye s*intruda Tavarizia
e T ambizione royinano, e quello di Boma
con esse piti che mai si sostiene.
Capitolo Secondo. Con r
occasione del primo Capitolo mi vien in acconcio di far meco medesimo considerazione, per qual
maniera il governo di Roma, il quale nella poUtica e nel rigiro de'
pretendefUi si regge su' fondamenti
dell' interesse e dell' ambizione, pur si
sostenga e viva, mentre tutte le altre forme di Stati, dove s' introducono si fatti vizii, per quella
guisa che apertamente dimostrano gli esempli antichi e moderni, cosi
agevolmente si spengono, imperciocche
essi vizii sono il tossico che la
giustizia distributiva corrompe 6 distrugge, senza la quale riman cadavero, e impercio senz'anima e senza
vita ogni Stato. Egli h dunque in prima
da sapere che lo intendimento della giustizia distributiva si e d^uguagliare
gli uomini sotto le leggi della virtu, pareg^iare in loro gli eccessi delle fortune, e solo V uno dalF altro distinguer
secondo che i beni delFanimo, non quelli
del corpo, fauno gli uni piii degli
altri rilucere. Questa tende ad abbassare la superchievole baldanza de^ ben
avventurati e de' ricchi, e soUevare
altresi la virtu e la modestia do^miseri; per tal via si minuisce il
soperchio alia fortuna mal adattata, e rifannosi i danni, ed arrogesi al poco di chi e uomo
prode, ma dalVingiurie della sorte contro al dovere abbattuto. Cosi i grandi non sono della sorte seguaci, anzi
essi correggono i difetti di quella, e
fannola divenir premio della virtii; imperciocche non ci e cosa che maculi i
cuori di ruggine peggiore, quanto il ferire gli uomini nella stima di lor
medesimi, che e la piu potente passione che ne domini, delF amor proprio. Per6 la di£Perenza infra gli uguali,
che si fa o per ragion di ricchezze, o
per genio, e non per motive di virtu,
che e un contrassegno lucidissimo impresso nelP anime, che distingue gli uomini V uno dall^ altro,
produce sovente che, per uno che si
grati£chi, mille se ne offendono, e Pamore
che si sveglia in quelle, non pu6*agguagliare gli odii occulti che si destano in tanti e tauti altri: e
siccome, difiPerenziando le persone a
capriccio, agevolmente si spingono gli uomini
alia impazienza e a^ rancori ; cosi, distinguendoli pel merito, si accrescono negli altri gli stimoli
alVoperar virtuoso et onesto. Per tal
modo gastigandosi i viziosi, e i migliori e
i piu degni premiandosi, s' uguagliano quelle bilancie, che conservano in equilibrio i governi, tolte le
quali tutto si confonde e disordinasi,
conciosiacosache si destano le invidie, e quindi a tempo e a luogo tutte le
sollevazioni civili. E questo perche non
ci ha favilla che nodrisca e accenda
sdegno piu fervido nelle menti de' valor osi e de' saggi, quanto il
vedersi oltrepassare soggetti facoltosi e ignorantL PercHe messer Domeneddio ha messe le differenze
delle facolta e della potenza tra gli
uomini, affine di lasciar loro 1' arbitrio
della giustizia distributiva, BOYvenendo i mono ai piii bisogaosi, e dal
fango il pregio della virtu sollevando; anzi
perci6 negli Stati cbe sono d^ ugaaglianza amatori, e^ titoli e le dignitli, che dispareggiano J gradi,
senza misura sono dannevoli, dove
postergati i rigaardi di chi e piii degno di
piacimento si scompartiscono, e per inclinazione de* grandi; e non pare le retribuzioni piu sustanzievoli,
ma eziandio gli atti semplici d^
apparenza e di stima mal ripartiti partoriscon de' mali nel consorzio civile ;
e viepi^ d^ ogni altra cosa cnoce a chi
merita veggendosi, o per trascuraggine di
mente, o per piacimento mal regolato di chi govema, scemar senza ragione da quel grado, ov' ei fu una
volta debitamente locato ; imperocche e
nemica mortale la nostra natora di tornare indietro, e *1 piu possente affetto
che h in noi e il pregio in ciascuno di
se medesimo, il quale com' egli e in
minima parte deteriorato et offeso, sempre dispiace; ma dov' egli h offeso senza ragione accendesi
un' esca, e risvegliansi si fatte scintille, che dov'elle havessero libero
il campo, o le congiunture V aprissero,
s' allargherebbon bentosto in un gravissimo et inestinguibile incendio.
DIALOGHI FILOSOFICI, IL TIMEO. Delle
idee. Dafinio. Scusatemi, a interrogare
per questa volta io voglio essere il
primo. Desidererei capir bene innanzi a ogni
cosa, qual differenza si faccia dairidee agli Esempli? Buonaccorsi.
Quella che si fa dal proponimento primario
nella mente dell' Architettore a' disegni. Secondo questi, donque,
volendo Iddio che le forme si stampassero del mondo sensibile della natura nella materia, non
parye degna cosa a Platone che quella
penetrar dovesse nel segreto di si alta
mente a contemplare quegli originali eterni ; onde e' presuppone che per
via delPanima se le ne faccia vedere cotesti esempi. Imperfetto. II medesimd appunto intese il
Petrarca, ne e vero? e'ldistinse in quel
suo maraviglioso sonetto, che qualunqueabbia buon gusto nella Poesia Toscana sa
per lo senno a mente: «In qnal parte del Ciel, in quale Idea £ra V esempio onde Natura tolse Quel bel viso leggiadro, in ch' ella
volse Mostrar quaggiti quanto lassu
potea? > Insomma e' dicono il vero,
e' fu grandissimo Platonico.
JBtwnaccorsi. — Tale appunto si e la distinzione che fa il Timco dairidee agli esempi. Magiotti. — Ora a voi appartiene, signor
Gioseppe, di dame piii ohiaramente ad
intendere il valore di queste Idee, onde
voi siete state richiesto. Buonaccorsi,
— Avete ragionato si dottamente, che a me
non mi da il cuore se non di autenticare, secondo lo incominciato
ordine, quanto avete detto voi con esso 1' autorita di qualche valent' uomo e del medesimo Platone
in varj luoghi di altri Dialoghi, che ne
favellano ; e avvenga che io avessi
stimato starmi meglio il tacere, e ch' i' non abbia veruna fidanza di potere internarmi tant' oltre per
andare del vero alia radice, e per
recare lumi maggiori ai nostri intelletti,
come di cose che troppo in su, ch' essi non vanno^ hanno la residenza loro ;' pur tutta via (come Plotino
ne ammonisce) h degna cosa si alti
principii udire, e udendogli ammirargli, e ammirandogli stimarsi beato nel
riconoscere il loro autore. Pregovi ben,
Don RaflFaello, a soccorrermi di quando
in quando, secondo la memoria vostra e il vostro felice ingegno nuove
cose da dire vi suggeriscano : ma per dare
autorita a quanto discorso avete sin qui d' intorno al mondo intelligibile, e all' Idee che si contengono
in grembo a Dio, ascoltate, di grazia, come tutto cio in due versi mette Boezio
nel suo libro De Consolatione: c Tu cuncta
superno DucM ah exemplOf pidchrum
pulcherrimiu ipee Mundum tnente gerens
aimilique imagine format. » Qui dunque
ripigliando i nostri detti, signor Magiotti, io
non vi niego che Platone, se alcun raggio in lui di verita rivelata fosse disceso, il quale aperte
meglio le.vie della mente gli avesse, e
ch' egli con ragionevole occhio vi si fosse
rivolto, ch'e'poteva per awentura giungere a piu appropriata definizione
delle divine * quality ; ma non pertanto
egli e di somma lode meritevole, avendo per nn certo 1ampeggiare
solamente di natura, e in forza (siami lecito dir cosi) di piu che umana immaginazione
favellato di quelle con tanto decoro e
si al vero approssimatosi e toccolo in
molte proporzioni; anzi, che dich'io? e'mi sovviene presentemente de^
lumi soprannaturali ch' egli ebbe dalla legge
Mosaica, nel tempo che nell'Egitto e'peregrino, come sanGiustino Martire
attesta, filosofo molto celebre della Scuola
Platonica. Ma il proferire molte di si fatte proposizioni, ch' e' vi apprese, non estimando cosa sicura
per timore degli Atoniesi e delle
rigorose pene delPAreopago, contro chiuDque rinnovare osasse cos'alcuna
d'intorno alia loro religionC; quelle medesime procuro avvedutamente di farsele proprie, e sotto gli oscuri velami delle
filosofiche speculazioni la verity Teologica ricoprire. Impercio dice il
medesimo Santo, quando Platone esplica nel Tinieo la natura d' Iddio, dicendo come poco anzi vi recitai :
« Primieramente egli e da sapere che cosa sia quello che sempre e, e che non e generato, e quello che e generato,
e voramente mai non e; > che ci6 da
Mose e^ ricavasse, cui Iddio apparendo la prima volta disse: « Io sono quello
che sono. » E mandandolo agli Ebrei
comand6gli che dicesse loro ecu le
stesse parole : « Colui che e, mi ha mandate a voi. » E il medesimo Santo Filosofo soggiugne, che
quello che parimente in un altro luogo
mette Platone : « Certamente Io stesso
Dio, come suonan le antiche parole, comprende il principio, il fine e il mezzo
di tutte le cose, > per « quelle
antiche parole > la legge di Mose egli intendesse, ma che non ebbe in animo far di lei menzione, sapendo quanto
quella dottrina a' Greci contraria
fosse. E parve al detto Santo non
altrimenti potersi intendere
conciossia cosa che e' mostra aver raccolto e da Diodoro, e da altri storici Mose essere stato il piii
antico legislatore ; anzi quando egli le
leggi promulgo, i Greci non avere ancora le
lettere ritrovate da poter scrivere le Storie. E dell' Idee, ne piu, ne meno, onde noi al presente
favelliamo, crede san Giustino che Platone da quel luogo della Genesi le abbia
tratte tradotto dal Santo, e cosi dal
greco a noi portate: « Che Iddio in
principio fece il cielo e la terra ; e che la terra era; pero non ancora visibile e fabbricata. >
Dove il santo filosofo giudica quel detto da Mose « che la terra era >
essersi inteso per la terra che prima era; impercio che aveva detto Mose :
e della medesima similmente detto avea: «Fece Iddio il cielo e la terra; » stimo che volesse
intendere quella secondo r Idea ch' era avanti nella mente d' Iddio essere
stata creata sensibile. Per la qual cosa non a caso favella il
nostro filosofo veramente divino, ed e degno di somma commendazione, massime
ch' egli era della scuola di Parmenide, il quale a differenza di lui mesce
insieme e confonde le superne e divine
cose con esso le inferiori e naturali, e Dio stesao con la materia e con Tuniverso sensibile. Dove il
divino nostro filosofo il valore
riconoscendo sovra il natural corso ammirabile di colui, pe '1 quale et a cui
tutte le cose vivono, di somma reverenza
esser degno, e si egli solo essere di sapienza e di potenza infinita capace,
con singolar riguardo in ver cotanta
perfezione, le distingue nella sua immaginatura e trova la via che le cose di
sopra adoperino in quelle di sotto senza
permischiamento insieme; e f a i suoi sforzi.
con r acume di sua mente di adattare le misure e 1' ordine di atti succedevoli nelP infinite, le
differenze di gradi e la variety dell'
Idee nel Medesimo, e la moltitudine nell' unitade, senza Tanita disgiangere,
senza diversificare il Medesimo e senza
t6rr6 V incommensurabilita e la perfezione assolnta deir iQfinito. Con le cui sottilissime
considerazioni di cose incompatibili fra
loro, e si impossibili secondo lo nostro
compasso, rasseiubragli poter reggere i miracoli soprannaturali della
infinita onnipotenza diyina, e se non co* termini nostri corti e finiti renderne bene
intendenti di si alte maraviglie, metterne almeno tra via, e recare un certo
bagliore alle tenebre di nostra
ignoranza, che si alto splendore da per
se non patisce, accio che quindi staccandoci dalle cose inferiori spicchiamo un volo piu in su, che
conceduto ne sia a formare giudicio di
un Dio, delP Autore della natura, della
Primaria Cagione, e delle operazioni eccelse che a Lui solamente
possibill sono. Viene, dunque, e cosi
favella il Ficino a interpretazione de'
sentiraenti platonici intorno all' Idee, che la mente divina e forma di tutte le forme, e Idea di tutte
quante V Idee, la quale in se tutte le
comprende. Ora, perch^ la* forma termine si chiama e mi sura, misura e termine
alle cose do-^ nando; il Sommo Bene, la
Divina Mente (aflterma Plotino) come
forma di tutte le forme, e misura e termine di qualunque cosa che sia, il che
autentica mirabilmente il nostro autore
nel Filebo, chiamando il Sommo Bene principio e
misura dell* universe cose che sono.
Imperfetto. — Verbigrazia, V Idea sar^ il genere di tutti i generi che piglia e abbraccia in se tutte le
forme, tutte quante le specie visibili
delP universo, con esso gli individui
ancora. Luigi, — r mi sarei
presupposto che I'ldea universale fusse
il genere di quelle idee che dalle scuole volanti si tengono e sparte per V
aere, e per6 fuori della Mente Divina dimorare, e che da esse tutte le speciali
cose pigliano Pessenza loro.
Buonaccorsi, — La divina mente, come Idea di tutte le idee, in se non comprende coteste si fatte Idee,
comunque se le figurino o le scuole
nella guisa che voi dite, o qualunque
altro si sia, ch' io non vo' perder tempo al presente e starmi ma
pensare s' elle ci sieno veramente, o ch' elle vagliano. Affermo bene che cio
il nostro filosofo iu alcun modo non
tenne, siccome da vari luoghi apertamente si ritrae, ne sono in quella sovrana Mente le forme delle
sensibili cose, ma si bene le Idee delle
forme, come che da lui merce dell' Idee
queste abbiano 1' esser loro. Impero che V Idea mancando di tutte le Idee, la forma mancherebbe di
fcutte quante le forme, e fiiiirebbesi
il mondo, nello stesso modo dove non si
trovasse piu facitore di vasi, o di essi vasi le forme rompendosi, il vasajo
non ne farebbe piu. Per questo ne avvertisce Marsilio, che le forme, sostanze
non sono, ma si iniinagini solamente
delle vere sostanze e queste sono le
Idee, cui le sensibili forme si rassomigliano, come le ombre a' corpi. E Alcinoo a piu distinto
spiegamento : L' Idea rispetto a Dio 6 la sua intelligenza ; per rispetto al
mondo sensibile Tesemplare; rispetto a
se stessa Tessenza. Di maniera che Tldee non sopra alcun fondo materiale e
corporeo riseggono, ne tra loro si confondono, come le forme su la materia; per lo che tra V Idee della
Mente Divina e le mondane forme, yerun'
altra simiglianza non ci ha, salvo che
quella, la quale e da un ritratto air originale ; anzi e molto piii divario senza paragone tra quegli
infiniti originali e perfetti di vera e incorrotta sostanza, che nelP alto segreto di sua mente il Supremo Artefice
riposti tiene, i quali per via di
disegni ed esempi dalla natura si copiano,
che e' non e infra una tela dipinta e un uomo vero e di carne viva. Con cio sia cosa che questi
quantunque tra loro diversissimi, pur tutta
via alia materia universale riferendosi, posson chiamarsi tutt' una ; ma qual
similitudine ci puo egli entrare tra la
Divina Essenza infinita e perfetta comparata con essa la materia abitacolo di
tutti i difetti, di tutti i mali V L'
Idea dunque di ciascheduna cosa, benche in
riguardo al nostro intendere di diverse cose paja composta 8 da movimenti vaij distratta in qua e la; in
Dio elP e una sola, 6 semplice e ferma
ed eterna, possedendole tutte insieme ristrette e present!, che pe' nostri
fallaci giudicj vengono rimescolate, e rivoltolate col tempo, come delle
sensibill forme adiviene, e quasi elle fossero appunto volanti a caso fuori di Dio, perche noi non siamo atti
a concepire com' elle riseggono in Dio ;
ma non mai fuori di Dio proferi Platone
ch' elle si dimorassero, mentre e' disse poc' anzi: Lui nel fare il mondo avere imitato un
esempio eterno e non generato : e poco
piu in giii, ch' e' formo 1' universo simigliante a se stesso. Per qual modo
dunque fuori della Divina Mente potea un
esempio eterno trovarsi, e come rassembrar lui, se gli originali, onde il mondo
e' ricavo, fossero fuor di Lui? Fermisi
dunque su '1 presupposto platonico ch'
e' ci sono le Idee, ed essere nella Divina sua Mente; impero che quale osera mai affermare che
Iddio alcuna cosa abbia fatto, la quale
prima col suo alto intendere esattamente riconosciuta non abbia ? Ora s' e' la
riconobbe avanti di farla, erano
appresso di lui si fatte cognizioni anticipatamente al mondo creato e queste
quelle sono, che dal Timeo appellansi
Idee. Ma odasi di grazia Alcinoo che sopra cio
lo comenta : « L' Idee intendimenti sono di Dio eterni e perfetti, e quindi gli esempi eterni
parimente di tutte le cose che dalla
natura si fanno dependenti dal principio esemplare ch' e 1' Idea di tutte le
Idee. » Ed eccovi pure in questo luogo distinto 1' esempio dell' Idea, si come
dianzi vi si accenno. Bafinio. — Sono considerazioni altissime
(egli e vero) di quel finissimo ingegno,
ma io le ho piuttosto per immaginazioni concepute nella sua mente, che per
immagini eterne della Divina. Impercio
che da Dio si opera in an istante, e non
con atti disgiunti e temporalmente.
Buonaccorsi. — Da Dio si opera in uno stante, non ve '1 saprei contradire; ma tutta 1' Etemita e un
punto presenter ed instantaneo dinanzi
et lui (come poco fa si ragiono), e nel
suo infinito indivisibile tutti gli atti, che differenti e innumerabili
sono appresso di noi, i quali per nostra imperfezione d'intervalli di tempo
abbiamo mestiere per pensare, nonche per
adoprare, appresso di Lui e un atto unico e
solo, e permanente, e impermutabile; e a volere che lesae opere temerarie non fieno ed a caso, conviene
abbiano innanzi all' opera lo intendimento e la precognizione, le quali da noi due operazioni separate si giudicano,
1' una innanzi all'altra; ma in lui in
un istesso punto si accozzano senza
differenza di tempo ; e tale anticipata cognizione 1' Idea primaria si
e, dalla quale si abbracciano in s^, e contengonsi tutte quante 1* Idee ; e pero non senza molta
ragione potette intendere il nostro
filosofo e tirarlo all' Idee (come dice san
Giustino martire)quel luogo della Genesi: « Che la terra era, > come sopra memorato abbiamo; ma che tale
precognizione per r Idea antecedente
all' opera pigliar si debba, cio ne
viene con aperta sentenza dichiarato e rinforzato dall' acutissimo
Vescovo Hipponense nel libro Della Cittd d' Iddio, Qual vero religioso potra negare le Idee, o
non professarle per vere? Certamente
nessuno il quale non ardisse afFermare che le cose che da Dio sono, non abbiano
motivo ond' elle sieno, n^ da lui
sostenimento ricevano, e cho quello che
per lui si fa, senza conoscimento o ragione si faccia; che sarebbe un volere ch' egli operasse
quanto egli adopera sconsideratamente e
senza badarvi; le quali cose essendo
fuori di ogni ragionevol convenienza, egli e necessario di confessare I'ldee. E nello stesso luogo
riferisce cio che spiega Varrone, che la
favola di Minerva, nata dal cervello di
Giove, dell' Idee simbolo sia, le quali in una perfetta e intera sapienza si ragunano nella mente
divina. Ma questo e poetico
ritrovamento, dove con verita infallibile la sapienza che ha sua sede nella
mente divina pare che questo accennar
voglia, mentre cosi parla essa medesima di suo
nascimento nelP Ecclesiastico : « lo dalla bocca dell' Altissimo uscii
fuori e primogenita sono di tutte quante le creature. » Anzi dove dal santo Vescovo medesimo s'
interpreta quel luogo di san Giovanni,
testimone si veritiero delle cose soprano:
s' intende cio delle medesime
Idee, per tal modo discorrendola: « Quello che per esso fatto fue e vita; intendesi in Lui,
nella qual vita vide tutte quante le
cose quando e' le fe', e cosi fecele si come
e' le vide, non fuori di se stesso veggendole, ma dentro se stesso e per
si fatta maniera annoveio tutte le cose che
e' face. > Che avete voi da
ridire signor Dafinio verso un veracissimo maestro Cattolico? Dafinio, — lo oppongo a fine d' imparare,
non per contradirvi. MagioUi. — Eccomi
in vostro aiuto,^ signor Gioseppe, con
un liiogo di Giob che mi e paruto addirsi con maravigliosa convenienza alP Idee. Da esso si fattamente
si descrive la sapienza con la quale il
sommo Motore fe^ il tutto. « Onde viene
la sapienza, e quale e il luogo deir intelligenza ? Ella e ascosa a gli occhi di tutti i viventi, ed e
occulta per infino a gli uccelli del
Cielo. Iddio solo ne sa la via, e coDosce
sua residenza ; impercioche egli in una oqchiata scorge tutti i confini del mondo, e tutto quello ch^ e
sotto il cielo riguarda. Quando egli
dava il tratto a^ venti, quelli posando come
ancora Pacque a certa misura; quando sua legge imponeva e suo or dine
alle pioggie, e assegnava la via alle
sonanti procelle, alP ora egli la vedeva, la contava, la regolava, e
investigavala. » Al qual fine dal nostro Dante si nomina Iddio, « Golni che mai non vide cosa nuova ; » perche tutte avanti che fatte fossero vedute
le avea per entro 1' infinito comprendimento
della sua Divina Sapienza, nella quale
-sguar dava, ricercando seco medesimo Finfinita
conserva delle sue perfettissime Idee. Parv' egli ch' e' torni bene a quella anticipata cognizione delF
Intelletto Divino, a quel? unita
maravigliosa di tutte quante le Idee, al cui
esemplare rimirandolo, esso formo tutte quante le cose di qua?
Buonaccorsi. — Gran rinforzo ne avete recato, signor Magiotti,
adducendone cotesto belli ssimo luogo di Giob, che si adatta per V appunto a quell* altro di san Giovanni
esplicato da sant' Agostino : ma dee ora
tirarsi innanzi il ragionamento
co'nostri autori Platonici, i quali sopra cotali fondamenti di yerita
debbono giustamente acquistar gran fede. Che
queste Idee ci sieno argomenta Alcinoo cosi: « Owero Pintelletto e egli
Iddlo, o veramente una cosa si e, la quale
inteude in lui; onde le cognizioni eterne e immobili nella Divina Mente, e quests Pldee sono, misure
giustissime e perfette delP eterno
potere, ch' egli cape solamente, e scorge
in se stesso, senza di materia tramesoolaraento veruno. > Se dunque vero h che lo intelletto sia diverse
daU'opinione vera, anche lo
intelligibile sar^ dalP opinabile differente ; e pero sarannoci le intelligibili cose diverse
dalle opinabili, che viene a dire le
prime notizie intelligibili, siccome si hanno
le prime delle sensibili e per6 ci sono le Idee ; ma lo intendere si
fatto attaccamento non h da uomo come la Divina
nostra Commedia nel Purgatorio:
« Per5, la onde vegna lo intelletto
Dalle prime notizie, nomo non sape
E de*primi appetibill TafTetto.*
Soggiunge poscia : « Essendo lo intelletto primario bellissimo, conviensi che lo intelligibile oggetto di lui
bellissimo sia, ma niuna cosa piu di lui
^ bella, perche sempre intende se stesso
e le sue cognizioni; e questa sua operazione e Tldea. > Paionvi cose astratte e metafisiche n' e vero
? Ma cotauto eccelsa materia di
ragionare avendo tra mano, ed essendo
sublimi, e grandi, e con si alto intervallo sopra lo nostro intendere simiglianti proposizioni, quanto
ch' elle nell' ampio albergo soggiornano
di quella Mente Sovrana Sopra
simiglianti considerazioni astratte e inesplicabili si yiene da Jamblico alia
formazione continua dell' Universo conformandosi alP intenzione Platonica:
«Iddio forma il mondo e riformalo, non
per via di celestiali movimenti, non per
mezzo deUa materia mondana, ma con esso V intelligenza per merito dell' anima
sempiterna che a lui ha dato.» Ecco che
per tal maniera egli ne spone cio che voi, signor Magiotti, poco avanti toccaste ; segue poi: «
Perche nella Potenza Divina non sempre
vegliano e operano a un mode le ragioni
seminali generative negli esempli formal!, si
come alcune altre viepiu immobili che precedono le seminali, coadiutrici
di esse; ne adiviene che la potenza di amendue queste ragioni, ch6 in sostanza
le Idee sono, e dope le Idee gli esempi
eterni, vada innanzi alPuniversa generazione che nel mondo sensibile di
continuo si fa; dopo queste gli influssi adoperano, e le celesti quality, si
come il moto, e in ultimo la faculty
della materia. > Laonde Trimegisto in si fatto proposito anche piu
chiaramente : « Iddio e pieno di tutte
le Idee, e spargendo le qualita nella sfera
maggiore (cosi chiama la materia) stando egli in sua fermezza stabile,
dalla sua piti somma altezza in questo mondo
nostro sensibile semind le Idee, la detta sfera. circondando delle qualita universali e particolari di
tutti gli Enti. » Magiotti. — A cio si
accorda mirabilmente il detto di
Jamblico : « II mondo, essendo opera di Dio, conviene per si fatta guisa da lui fabbricato sia, che a
qualche Idea esemplare di esso nel suo edificare riguardato abbia, allor
ch'egli con maravigliosa provvidenza per
propria bonti alia struttura s' accinge di cotanta macchina. » Dafinio, — Questi sono pensieri che meno
difficili ne paiono, perche a noi
medesimi gli adattiamo, e nolle menti nostre sperimentiamo questi atti
disgiunti, anzi che ad alcun' opera uoi
ci mettiamo. Venendogli dunque alia Divina Mente applicando, non e malagevole
il cosi figurarsegli; ma immaginandoci poi la Divina Potehza con quelle alte e
ineflfabili prerogative d' infinite, di
unit^, di eternita, di stability
impertnutabile che alia soprana eccellenza di sua condizione vengono richieste, volerle assugettire a
distinzioni di tal fatta, e a misure che
si affanno a noi, e si considerare P
Idee innumerabili e infinite, e poi che elle in una Idea sola s' immedesimino, e che il numero dell'
unitade (se pero numero chiamare si dee) non si alteri con la moltitudine,
qui e dove nostro apprendimento
vacilla. Buonaccorsi. — Dio, di grazia,
per far la cdsa con gli esempli piu
chiara, iiditene uno, che ne mette molto proporzional mente Ploti"no
: MagiottL — Piui appropriatamente, per
quanto i' m' avviso, torna al paragone del mare il vasto Oceano del tutto, che unico e anch'egli (come Platone afferma)
per I'ordine 6 per I'armonia, la quale
dalle forme senza novero ch'egli ha in
se, e di tante ragioni, il piu ch' ella puo le raccozza insieme ; e come 1' onde del mare non sono
altro che il mare, cosi le forme nel
mondo non sono altro che il mondo. Di maniera che merce di questa armania
rendesi il mondo a Dio simiglievole, che
per cio il nostro filosofo, piu innanzi
favellando, Iddio generate lo chiama; ma non altramente deir agitato mare, e da' soffi de' venti in
yarie guise trasformato e commosso, non serba anch' egli senza yicissitudini
o divariamenti quella perfetta
concordanza e unione che nelr infinite ed eterne Idee si mantiene. Prima
impercio che le forme varie sono di lor
natura locate nella materia, avvegna che la materia, come V acqua del mare, sia
tutt' una con le forme; ma la materia
per se stessa di contrarii e conposta; per modo che, e forme vegetabili, e
forme sensibili, e forme ragionevoli, e
di altra guisa in questo visibil mondo
si rappresentano ; ne deir ordine armonico puo tanto il valore, che tra
di esse qual piu e qual meno a quel supremo
esemplare non venga a rassomigliarsi ; talmente che differmita
considerabile ci ha non che nolle spezie, negH individui loro, ancorche di
quell' unica, perfetta e non mai permutabile Idea, che le contiene in se tutte,
sieno simulacri; che per cio, come le
onde marine, le quali piu variate, e di
colore sono^ e di profondita, e di grandezza, e svariatamente corrono allido; anche le forme in questo mar
profondo delr universo valicano tutte a diverse rive, dove le Idee, che in Dio sono, per lui sono, e a lui tutte sono
sempre ugaalmente e con eterna costanza ; anzi le forme stesse razionali che d'una sola ragione pare abbiano da
essere, le qnali nolle ragionevoli
creature sono vestigii piu adattatamente impressi entro la corporale materia,
della suprema ragione, per quanto a
quella Divina Norma,' ch' e senza mendo, vie
piu che le altre rassembrino; pur tutta via si divariano sovente volte e stravolgonsi da gli affetti
soperchievoli e dalle smoderate
corporali perturbazioni, dalle quali ad ora
ad ora sregolando si viene lor bene ordinato adoprare, ch' esse te le scompongono, e traggon fuori
dalla loro formosa e ben proporzionata figura. Per la qual cosa piii o meno alia bella divina sembianza si vengono
accostando, e non serbano uguali, e mai
sempre a un modo le loro doti sovrane.
Perche tal verita insegao Beatrice con savio ammaestramento al nostro Dante nel
suo entrare del Paradiso: Adunque
non ^ tavola rasa nella mente de' fanciulli, dove si scolpiscano via via insegnando loro cose
nuove, e non piii da essi udite e
vedute; ma le notizie prime di tutte le
cose impresse ne gli animi loro, avanti ch' e' nascessero, di mano in mano si risvegliano che vi dormivano,
e in ispezialit^ stuzzicandogli con esso gli Elementi Geometrici, P ono concatenato con 1' altro, e mettendo per cosi
dire a lieva Tordine di que' primi semi,
' gli uomini delle scienze di tntte
quante le cose a poco a poco ricordarsi farebbono. Imperfetto, — Si; vol
ci sponeste, Don Raffaello, con grande
evidenza alonni giorni fa : come i primi element! geometrici sono lo A^ B, C di tutta la sapienza
universale £ino alia Divina. MagioUi. — Dissilovi, e molte probability ve
ne mostrai, se Yoi ne avete ricordanza;
ma di questa sapienza infinita che e in
Dio di tal sommo bene, quale ^ colui che ne
ottenga poi conoscenza intera, aon dico intendimento perfetto,
imperocch^ ci6 non h da noi? Per essa dunque tutte quante le cose virtu acquistano, e pregio di
bonta, e di sapere, e per ta^ragione e
utili si chiamano, e dilettevoli, e
saggie, e si tali ne riescono a chinnque acconciamente assaporare le sa, e drizzale al vero uso; ma
senza simigliante conosoimento, o senza al bene sovrano rivolgersi da qualunque cosa die di- sapere ci paia, o d'
intendere, e che buona, o giovevole noi
giudichiamo, niuna utility, nessuna
ferma e stabile compiacenza, nulla verity si ritrae, e cio non per altro adiviene, se non perche uscendo
le nostre menti dalla vera sedia della
ragione, alia contemplazione di quella
superna Idea, non giustamente, ne con la dovuta chiarezza ci addirizziamo. Per
la qual cosa tal cognizione agevolmente si scambia, secondo le varie torbe
apprensioni, e le torbid^ iuclinazioni
de gli uomini da'proprii affetti mal
consigliati; che altri questo dono divino sel credono nella voluttSi ritrovare de'sensi; altri nell'
ambizione lo si figurano; chi nelle opinioni non sane di stravolta e
prosuntuosa curiositade; e a pena che i
veri filosofanti nella sapienza e nella
verity il ripongono, e bene spesso anch' eglino troppo temerariamente del proprio senno
pavoneggiandosi, piii oltre del licito e
del possibile si traviano, e nella soperchia luce si acciecano. Egli e dunque manifesto che
ogni anima.ugualmente la saviezza desidera ed il buono, e, per
conseguirlo, fa tutto quello ch'Ella sa,
secondo perd i bugiardi o veri oggetti
che se le parano davanti ; ma ci6 tutto consiste nel saperlo rettamente riscegliere e ravvisare,
il quale in somma non altrove che nella
meditazione di Dio st^ riposto: dalla
cui Idea primaria (torno a dire) cioe dalla sua infinita sapienza quelle
prime faville nell^ anima nostra discendono,
le quali, come si e detto, Idee seconde si chiamauo da Platone,
tramandate in noi dall' Eccelso Manifattore, per fame lume tra il vero e lo iatelletto, dove con
esso il guardo interno disappassijonatamente
vi ci fissiamo, e con quello ardente, e
ben regolato amore, che Ma siffatte
purissime scintille del divin fulgore noi non le abbiamo in noi da per noi ; e quelle che dal
fuoco impuro dalle corporali passioni
vi si accendono alcuna volta, e con esse
si permischiano, ancorche accoppiamenti sieno mal messi insieme, e come abbozzi per un certo modo di
quelle, pur tuttavia per difetto della
materia ov' elle si rinvoltano, come
delle chimere addiviene, delle abbarbagliate immagi nazioni e de' sogni, non
mai alia verity delle scienze ne
menano, ma sempre a fallaci e stravolte opinioni, che dal vero ne discostano, e concetti ne formano di
la da ogni regola di ragione; e di qui
procede che invece di recarlume,
torbidezza s^ adduce e fassi nugolo alia bella chiarezza del
rintelletto; che il buono, e il vero, quanto a sua intenzione appetisce, e cio imperciocche V
immaginazione male s^ in forma da quelle passioni, che fuori del sentiero
battuto del vero senza ch^ ella se ne
accorga te la ritorcono e te la
disviano. « lo veggio ben si
come gi& lisplende Nello intelletto
tno retema lace, Che Yista sola sempre
amore accende ; E s'oltra cosa nostro
amor seduce, Non e, se non di quella
alcun vestigio Mal conosciuto, che quiri
trainee. » BttorMCcorsi, — Si disse
quel sublime ingegno ch'e dellft Poesia
Toscana onore e lume, nel quale egli e un gran dire ch' e' ci si ritrovi ogni cosa. E certamente
V uomo ottenebrate avendo le lucidissime e vivacl potenze dell^ anima da^ vapori sensibili e dalP ombre corporee,
fisandosi troppo in cotanta fulgidezza
per lo soperchievole abbagliamento se
gli cansa il vedere, o si veramente le ali del intelletto nostro cui
solamente si alte ragioni stanno esposte, dalla pania delle terrene voglie invischiate trovandosi,
non si ponno staccare, ne rilevarsi pnnto da terra ; e per quanto nostra
mente procnri di pervenirvi pi^ d'
appresso ch' ella puo, non di meno
seguendole svariatamente, e senza filo, su '1 buono la strada manca, e invece di aggiagnerle si
perdon di vista quel piii. Per lo che
dal vero sciontifico deviandosi^ alia fallacie si donano gli uomini, e hannole
per reali e per vere; e 88 per caso ad
alcuna verita pervengono (il che di rado
accade per si£fatte Tie) cio succede a simiglianza de' ciechi (come chiaramente Platone nel Sesto della
EeptMlica) cui viene a sorte camminato
pe '1 diritto, a differenza di quegli che giran girano per quella o per quell*
altra via, e mai non ne vengono a capo.
Le Idee dunque, cioe le cognizioni e le
cagioni delle cose vere, con lo intelletto e non con esso i sensi comprendersi per quello che veramente
elle sono ; e conviene la loro
perfezione nel loro vero essere raffigurare,
6 amare il loro sovranissimo Autore. H che esplica il filosofo oiostro
nel Convivio^ con la sua usata ammirabil maniera : « L* animo della Divina
Bellezza innamorato allor che e' gusta
pe '1 suo verso, e intende le ragioni divine, non piu i simulacri ma le cose vere in se stesso
partorisce, e partorite nodriscele, e con perfetta e ben accesa disianza
richiama ad alta voce la ragione dietro
a' sensi sviata; per tal modo divenendo
I'uomo familiare di Dio e vie piii immortale
degli altri.> Yedete dunque come dalla conoscenza delle Idee, la notizia vera delle cose che sono ne
risulta, non tanto esse riconoscendo da
Dio, ma ancora da noi medesimi, non come
cognizioni impresse con esso lo studio ne gli animi nostri, ma si per la reminiscenza nella
nostra mente resuscitate quelle che generate vi furono con esso noi per merito
della Divina sapienza, e che dal loto vile e dal contagio corporeo bruttate vi erano e cancellate,
senza lo ripulimento delle studiose
contemplazioni che ve le ravvivino. Le quali
del tutto si perdono o o£Fuscansi per lo contradio, facendo che per ci6 tutti gli oggetti scontraffatti a
falso lume si veggiono, e totalmente dal vero diversi. Luigi, — Come sarebbe a
dire? MagioUi. — Come, verbigrazia,
alia nostra vista per alcun mezzo
trasparente si ma gi*ossolano o mal pnlito qnalcbe oggetto passando, che per esso sua immagine
si stravolga e sformi, tuttp altro da
quel che e' ci rassembra e' lo giudichiamo ; o pnre come nuvoletta tenera, e
sottile, cbe yoli per r aere sereno, da
noi scorta talora, la quale, o per lo
risguardamento uostro mal situato, o vero per la grossezza de^ vapori si da lungi sguardandola in figura
di Lione o di Drago, o s'in forma d'Uomo
ci si rappresenti, o di altre varie
sembianze, cui, se awicinare potessimo le pupille, tutta nebbia confusa,
informe e indistinta per awentura parrebbeci,
e che tosto e ad ogni aura leggieri sfuma, e si si dilegna; o si veramente dove un alcuno schizzo casuale o
d' inchiostro o di altra tintura, il
quale da presso non e salvo che scarabocchio sformato, un ben ordinato disegno
di regolati lineamenti tal volta da
discosto ci sembra ; tale per le stesse ragioni all' occhio della mente e dello
intelletto gli oggetti non di rado
intemamente si storcono e si trasfigurano ; ma
non altramente che non h mancamento del Sole, se variamente ci paiono le
cose da quelle che elle sono in varii
luoghi mirandole, in diversi tempi, e sopra diversa materia; cosi non h difetto di quella pura semenza di
luce, che nelPanima nostra fa lume, e riluce ugualmente ad ognnno, ma si de* mezzi, ond' ella trapassa, o delle
corporali pareti, ond' ella rende i riverberi,
o della positura, onde gli oggetti si o
no aUa lor vera veduta si guardino^ imperci6 che tatto sta nel pigliare il verso e '1 vero diritto
per giustamente scerneirle; nel
mantenere ben puri e mondati gli organiele
vie per cui passano le spezie da qualunque intasamento de gli affumicati vapori, che in alto levano gli
affetti piu bassi e piu irragionevoli,
acci6 che non vi si faccia ragunata di f
uliginose fumicazioni, le quali spesso da' varii accendimenti de' sensi vi si tramandano. In si fatto modo
per 1' use de' saggi ammaestramenti, e
con la continua disciplina delle meditazioni scientifiiche, e con esso lo
incamminamento ben guidato della ragione si conserva e chiara, e pari, e liscia
la lucidezza delP immaginativa, che non s' intorbidi e render possa le immagini vere e reali, e non
isformate, ed impure all' acume delle
luci men tali, che pigliando pe '1 suo vero
filo la chiarezza di que'raggi divini scorgano e intendano le cose, come in fatto stesso elle sono^ al
loro etemo principio Yolgendosi, e da quello riconoscendole con perfetta contemplazione. Imperfetto. — Di vero, che i luoghi ne piii
degni, ne piu proprj esser ponno a fame
co' suoi veri lumi discernere le beUezze
della divina sapienza, ch' e V idea universale (come si e ^etto piu e piu volte) di tutte le cose
che sono ; irapercio che convien farsi dall' amore verso Iddio, e dall' adorare
una cotanto sublime cosa, quale e la cagione prima di tutte le altre cagioni, e non ficcarvi la
vista a fine d' intenderla con soperchievole bramosia, e con ismoderato
ardimento. E' vuol essere amore filiale, nel modo che il figliuolo r occbio al padre contegnoso rivolge e
rimesso, e non gliene squaderna in
faccia prosontuosamente e senza la dovuta
venerazione. Per tal maniera si aggiugne con 1' affetto dove con r intelletto non si puote pervenire. BuonaccorsL — Eccovi un altro luogo vie piu
dottrinale per ammaestrarne nel divino
conoscimento, in quella lettera che
Platone scrive agli amici di Deone, esplicata da Marsilio Ficino con la sua solita sottigliezza ed
acume. Ivi egli dice che V animo nostro
non ha via di capire V Idee che sono
nella mente di Dio, se non conosce antecedentemente tre cose, e in quarto luogo, la scienza non ne
abbia, e nel quinto finalmente ch' e'
non apprenda il mezzo per il quale una
cosa e conoscibile, e che veramente stia a quel modo; per esempio, 1' animo nostro e mosso alia
scienza di sapere quel che sia il
Cerchio: primieramente bisogna sapere questo
nome del Cerchio; in secondo luogo la sua propria definizione, e che a
lui solo si convenga; terzo, s' immagini disegnata essa figura circolare
awertendo, ch'essa il vero cerchio non
e, ma solamente la sua immagine; quarto si rappresenti alia mente la forma del
medesimo Cerchio, cioe il di lui
esemplare generate con esso lui ; quinto, con si fatta elevazione di mente trapassi a coatemplare
Fldea del medesimo, quale ell^ era nella mente di Dio ; onde a simile
apprensione vera e scientifica quale e colui che aspirare possa in questa vita, se non se V animo umano, con
la filosofia, di 8U0 caduco corporale
meditando la morte, come di tntti suo*
sensi, da essi per tal modo si tragga fnori, e rivoltisi a Dio ; che impero Pico della Mirandola nega
la mente delr uomo potere intendere le Idee, se non giunto a simile stato sublime, ch' h V ultimo grado della
perfezione contemplativa; e nel Htneo,
come averete udito, dice Platone agli Dii appartenersi dMntendere le Idee, e a
quegli uomini pochi, come si 6 a que^
soli, i quali merce della filosofia si sollievano al* Taltissime speculazioni d'Iddio. Luigi. — E questi saranno quegli (m'immagino
io)i quali dimenticatisi, non che di
qualunque altra cosa, dell'essere vivi,
tutti alle potenze superiori dannosi in preda, e abbandonano le inferiori^ che
viene a dire datisi alia contemplativa, perdono affatto Tuso della vita
attiva. Dafinio. — Si vede che io non
sono di cotesti che voi dite ; impercio
che riconosco bene tutte queste proposizioni
Platoniche essere di que' grandi ingegni acumi sottilissimi: ma son modi, per arrivare a intendere le
Idee, malagevoli molto, e assai piu che
non e la materia medesima delle Idee; m'
e nondimeno di alto rilevamento e di sommo diletto V udirli, e sentomi vostra
merc^ cr;escer V ali per alzarmi vie piu che io per me valevole non sarei, di
modo che eziandio che io non giunga a
intendere, posso dirvi, signer
Buonaccorsi, con molta ragione cio che fa dire a Beatrice Io nostro Poeta: « Voi mi levate si, ch' io son piu ch* io.
» Luigi. — Io sto cheto perche io credo
ch' e' nasca da me e invidio agli esimj
vostri talenti che dalla volgare schiera
degli uomini vi traggon fuori. •
MagioUi, — Anzi io professo che col non intendere si alte cose s' imparl assaissimo, comprendendo
sempre con maggiore evidenza la
proposizione di Socrate, che si fatte materie sovrane dalla nostra caduca condizione
in tutto e per tutto s'ignorano. BwmaccorsL — Questa h una materia, onde si
favella, ampla e malagevole, e per6 la
mente ci 'si affatica a pensarci, nonche la lingua nel proferire tante e si
varie proposizioni che non averebbe mai fine; e pero vi prego^ Don Raffaello^ dite un po' voi, lasciandomi in
tanto ripigliar lena. (Segue) IL
TIMEO. Sopra VAnima del Mondo, MagioUi. — Se il mondo Dio si e, tutt^
insieme unico e intero, come si fanno a
credere foUemente costoro; quest' altre Deit^, onde favellato abbiamo, che
assegnarono i piu de' Gentili a tutti
gli operamenti generici delP uni verso,
Dii interi non saranno, ma porzioni di Dio^ e la terra che e parte del mondo, sar^ parte di Dio, e per
tal modo sarebbe divisibile Iddio. Di piu; regioni del mondo grandissime, che
inabitabili sono, ed incolte per la lontananza del Sole, per lo freddo delle nevi e dei ghiacci,
che non mai vi si liquefanno, le quali
sarebbon membra divine a siffatti patimenti sottoposte^ verrebbero a dimostrare
che Iddio non fosse altrimenti
impassibile. E non che le sopraddette regioni, ma tutte le minuzie del mondo,
s^ egli e Dio, saranno particelle di Dio
; laonde qualunque parte che Tuomp e gli
altri animali calpestano del mondo, calpesteranno sacrilegamente una parte di
Dio. Ogni fiore che si colga, ogni erba
che si divella, qualunque barba che si diradichi di sotterra, BB,rk uno
strappare le viscere, dilacerare le membra
della divina sostanza^ e qualsisia cosa che nelPuniverso si corrompa e guasti, corromperassi una parte di
Dio. E tali cose posson pensarsi non che
raccontarsi senza vergogna? E per5 divinamente il nostro sublime Filosofo nella
Bepubhlica : Quel che e uno, vero, intero e perfetto siccome e Dio, per qual maniera anche con la immaginazione
si puo egli dividere in parti? Dafinio, — Noi ci formiamo a nostro arbitrio
V essere di Dio, senza cho niuno V abbia
veduto, e sappia come e qnale e^ si sia,
e poi dichiamo il mondo non potere essere Iddio, perche e' non e a quel modo che noi
immaginati ci siamo; se quello ch* e Dio
fosse e dovesse essere nel modo che dite
Yoi, allora voi avreste ragione; ma che ne sappiamo noi ch' e' sia tale ? Magiotti, — Certo e, che come sia Iddio ben
nel Cielo si puo immaginare, ma non gia
qui tra noi; noi possiamo bene e
dobbiamo credere ch' e* sia sopra ogni nostra immaginazione piu perfetto di
quel che noi possiamo comprendere, e non crederlo ne figurarcelo gia mai con
quelle imperfezioni che dette si sono, a voler ch'e' sia Iddio. E pero quando noi nominiamo Iddio, noi intendiamo
quel principio supremo che senz'aver
avuto principio, ha dato principio a
tutte le cose che sono, le quali sono a lui sottoposte, ed egli a niuna; il perfetto di tutti i
perfetti, cui nulla si pnote aggiungere
ne torre, Toriginale primario di tutte le cose
buone, di tutte le cose vere, di tutte le cose belle, di tutte le sapienti, intelligibili e razionali cose,
le quali non son parte di Lui, ne della
sua propria essenza, ma copie, abbozzi, e imitamenti, e per lo piu non ben
messi insieme, di lui; quel che pu5 cio
ch* e' vuole, e nulla ci ha che possa
sopra di lui, e pero niuno il puote offendere ne e capace di senso umano, ne puo patire per avvenimento che
sia, perche ogni avvenimento per lui viene, o da esso si puote impedire : e
impercio Parmenide chiama uno il primo Ente che
vuol dire Iddio, che non ha ne moltitudine, ne parte, ne tutto^ ne principio^ ne mezzo, ne fine,
perche e infinito, informe, ne da verun luogo puo essere circoscritto, ne si
ferma per cosa che lo trattenga, ne ha
movimento di luogo, o di agitazione, ne
si fa gia mai in conto, o per modo veruno,
non e il medesimo, o diverso a se o ad altro, ne si^nilene dissimile, ne
uguale, n^ disuguale, perche niuna cosa il misura ned' e per novello ne per
antico, ne in tempo, ma sempre senza tempo, non generato giammai, ne si genera
al presente, n^ fu mai, ne fatto e ora,
ne si far^, ned' ^, ne dope sara, ne e
partecipe di sostanza, perche egli e solo e
V unica e universal essenza del tutto. II si faceva, e fu gene' rato, e tempo preterito, U sard e si fard e
future, egli e e si genera e si fa, e
presente, che son misure di tempo, ed
egli non iatk sotto le condizioni del tempo, e pero non ha veramente niun nome che appropriatamente gli
torni, niuna defiinizione che gli si
addica, ne di lui si puo concepire da
noi aggiustato.sentimento, o opinione, o scienza verace, e perci6 n^ nominare degnamente si puote, ne
agguagliarlo con parole mortali^ ne
pensare, ne cognoscersi, ne da nessuno ente che sia formarsene concetto, o aver
sense, o lume 81 chiaro, che vi
aggiunga, perche nostra ragione 1^ non si
stende. Egli e insomma V ottimo di tutte quante le cose che sond, ma e* non e niuna delle cgse per
ottinie ch^ elle ci paiano, perche egli
e sopra 1' essenza di tutte. E se Iddio
non fosse tale, quale volete voi che fosse questo che da noi si chiama Iddio, e si adora, e si reverisce,
si come il meglio di tutto queUo ch* e,
perche ogni cosa per lui e ? E pero
Iddio e in questo modo, o non ci potrebhe essere di altra maniera.
Imperfetto, — II meglio che ci abbia tra tutte le cose visibill e il piu
perfetto, senza dubbio veruno, ch' egli e il mondo, impercio che chi fa, chi produce, e si smisuratamente
adopra tante e si meravigliose
operazioni, come fa Tuniverso, e quale
con maggior ragione e sapere di esso?
Magiotti. — Non puote essere il meglio e il piu perfetto, quello dove giungono le misure del quanto e
dove i nostri sensi si allargano, cui
competa il nome sovrant) di Dio; ma ha
da esser quell' ottimo, e perfettissimo che sdegna gli argomenti umani e dove niuno puo alzar le
vele con la navicella del proprio ingegno,
perche di cotesto non si puo andar piu
in la, ne anche da i compassi infiniti della menta divina, conciossia cosa che essendo egli
infinito, infiniti e senza termine sono gli attributi che a Ini si
convexigono. ne dalla nostra immaginazioiie
si pQ6 sapere cotanto addentro, per modo che niente ci ha da coireggere come
saocede negli sbagli e ne' difetii del
mondo, che per hi reita, e nudyagit^ natnrale della materia, a otta a otta
danno in fnori, n^ con esso V oirdine di
chi lo regola pii6 ammendarsi in gnisa,
che e' non iscaopra V imperfezione di sua natora. Per la qnal cosa il mondo, ne qnell' ottimo si e,
n^ qnel peifettissimo snperlatiyo infinito, al quale si aggiugne sohunente dalla perfezdone e dalla bonta infinita ed
assolnta di an Dio, qaantnnqne riesca ai
nostri occhi 1' nniverso a. ammirabile, e qnanto a noi la pin beUa, la piu
perfetta cosa che sia, per merito del
magistero sovrano che lo fabbrico, e che
veramente in loi si scorgano marayigliose cose della Omiipotenza Divina;
laonde con somma saviezza disse Plotino:
« dall' imperfetto ci e la progressione fino al perfettiBsuno, e dove la perfezione intera non sia, non si pao
dare V nltono fine il qnale per sna
incommensnrabiliia divenga infinito; e U
mondo (assolntamente parlando) perfetto non e, perche a cagione deUa materia patisce; > e pero,
dice il Ficino, «gK e indivisibile, e
sottoposto a diseioglimenti contimii, e come
di natora divisibUe ha mestieri di chi il mantenga conginnto, il quale
di sua natora perfettissimo' sia, ed intero,
e da se stesso, e per se stesso, e come infinito fdori di totte le'misore, e di totte le immaginazioni deDe
cose finite: impercio che il sommo di totte qoante le cose e cosi alto,
che vince la nostra vedota, e da qoesto
solamente deesi credere che abbia il
mondo V essere, il vigore, Y ordine, il moto e
qoeQe innomerabili perfezionicomparatiYee positive, ch'egli ha, in come lavoro dell' etemo motore, che
impero si raggoardevole lo ci rendono e ammirando, e cio perche ^H e opera sovrana e immensa di Dio, ma non gia
perche e' sia Dio. Dafimo. — Se r oniverso secondo la mente de'
sopraddetti filosofi fosse egli Iddio,
Terrebbed a oscire d' inconyenienti
molto notabili, cioe, o che ToniTerso sia fiitto dal nolla, che non si ammette in modo alcono da venmo
filosofante, o che diano due principj eterni, e inereati, V agenie e il
paziente insieme, di una stessa
dignitade e potenza, il che non pa6
tomar mai alia ragione de'piii esperti contemplativi; dove se Iddio e la materia fosser tutta una,
sarebbe una Deitit sola etema, cio^ il
mondo medesimo. Buofiaccorsi. — Tutto
il ragionamento precedente del nostro
Magiotti batta a terra, anche secondo i lumi della filosofia, cotesto presupposto, perche Iddio se fosse la
materia, di difetti sarebbe pieno e di
errori, che non si deve presupporre di un Dio^ ne puo essere una medesima
sostanza fatta di due cose contrarie
assolute, onde immedesimare si potessero in un solo soggetto e le condizioni
ottime di Dio e le prave quality della
materia. ImpefeMo. — Parmi aver letto,
e non mi ricordo dove, che Iddio h non
Ente, e si altresi la materia e non ente ; adunque che contrariety ci
sarebb^egli se ci6 vero fosse?
Buonaccorsi. — Egli ^ il Ficino che lodice: « Iddio, ch'e'chiamano il
primo Ente, e veramente non Ente per rispetto a
gli Enti a' quaU egli e primo e superiore ; ma la materia e non ente, perch* ella h inferiore a gli Enti
; » ora considerate s' e' sono Iddio e
la materia veramente contrarii. Ma con
altro argomento risponde Alcinoo, e di vero con somma saviezza, contro V
opinione che il mondo Dio sia : « Niun corpo
(die* egli) esser puote Iddio; imperocchd se Dio fosse corpo, di materia e di forma composto sarebbe, e
perd non saria semplice come all' essere
di Dio vien richiesto, ne imper6
principio per s^, solo, increato, come Iddio esser conviene. Ora non potendo esser corpo, non puote in
veruna ragione essere Iddio V universo
corporeo. » MotgiotU, — Gli Stoici
dividono la natura universale in due
parti, r una che fa, V altra che a farsi maneggiabile e atta si e. Nella prima la virtii della vita e del
sense consistere ; la materia per s^
infingarda, e oziosa nella seconda; ne Y
una poter stare senza V altra nell* Universo: ma non puo gill essere il medesimo quello che adopera, e
quelle in cui si adopera, come se tutta
una avesse da essere il vasaio che il
fango, e il fango che il vasaio ; e costoro danno in si fatto delirio che
reputano queste due diversissime cose il medesimo Iddio e il mondo; TArtefice e
la fabbrica! La materia, come affermauo Jamblico e Plotino, avere Tessere da
Dio e ordinarsi di continao talmente,
cbe a Dio sta Tordinarla stabilmente. E
la materia da lui ricevere la sospinta, e ordinarsi mobilmente ricevendo da Dio
la sua tempera secondo gV iutervalli de^
tempi, come dall^ Orivuolaio V orivuolo, il
quale quando egli e suUa fine, per farlo ritornare al suo essere, sempre si ricarica, se no finirebbe
il suo movimento 6 non andrebbe piu;
nello stesso modo la materia di sua
natura imperfetta, cammina di continuo al ritornare nel disordine del
Caos, perche via via col suo disfacimento ella
quanto a se vi ritorna, ma di presente il maestro eterno la ritempera e la rimette su Tordine, e falla
camminare compostamente per via delle continue generazioni, e di mano in mano ch'Ella va a perdere sue forme,
riformandola per mezzo di quegli esempi
eterni, e cio si fa per rispetto a Dio
infinitamente, non mutandosi unqua Iddio, ma indefinitamente secondo la materia, riformandosi di continuo
essa materia. Luigi, Che cosa e egli
dunque questo Universo che anima tutte
quante le cose, (secondo il nostro vedere) le forma, nodrisce, accrescele e
crea ? tutte quante in oh le riceve e seppelliscele, e di tutte ugualmente e
Padre, perche del medesimo nascendo si fanno, e nel medesimo morendo
disfannosi} s' e' non e Iddio
onnipotente, dalla cui virtCi tutte le cose
€he sono hanno T essere loro?
MagioUi. — L' Universo non e Padre delle cose che sono, ma r intelletto Divino e Padre del Mondo
(dice il medesimo autore) e la materia
Madre : e V ornamento del Mondo, e prole
Divina nelP utero materiale^ e pero noi scorghiamo la prole, ma non semo atti a vedere gli artifizi
ammirabili per cui ella si concepisce, e
come ella si fa, e per questo prendiamo errore, stimando il nostro occhio e i
no&tri sensi misure competenti delle cose che sono, il che h falsissimo.
£ pero non e il mondo Dio, ma per V
onnipotenza di Dio egli 6 quel che egli
e ; noi scorghiamo gli efifetti e non la cagione, e come detto si e, gli
pigliamo ignorantemente da quella in iscambio, facendoci a credere con somma
demenzia che quel che e fuori della
nostra veduta non sia. Iddio ^, ed e per
se^ e tutte le cose sono per lui, ned esso e obbediente o sottoposto ad alcuna natiira, ma egli e
coloi che regge e governa, e che formo
la natura. {Segue) IL TIMEO. Se VAmore sia V anima del Mondo, Imperfetto. — via ponetevi costi a sedere
pro Tribunal!, e discorrete altamente
come h nostro uso. MagioUi. — £cco fatta
Tobbedienza, e ricomincio a dire,
essendosi favellato con piu Dialoghi sopra il Timeo, prima intorno alia
sostanza Divina,e poi intorno al mondo intelligibile, e air Idee, si come alti esemplari del nostro
sensibile, e delle forme che questo
adomano. E si parimente avendo discorso
sopra r opinione dell^ anima universale e quanto i sentimenti di Platone si accostino in molte parti alia
nostra verity, mi 6 venuto in amore di
ragionare parimente co^ sentimenti
Platonic! sopra TAmore, il quale sia esso veramonte o V anima del mondo, o la porzione piu nobile e piu
sovrana di essa, e cio in seguimento del
proposito tenuto sin qui. Sommo e
infinito bene e Iddio; il sommo e infinito bene, impercio che di essenza perfettissima egli e, e anche
oggetto di infinito amore, e insieme di
godimento infinite, e di perfetta beatitudine a chi lo possiede, si come
eziandio sommo e assoluto appetibile di tutte le cose^ e appetibile a chiunque
il conosce, e non V ha in s^. Ora perche
egli e sommo e infinito bene, e oggetto altresi d^ intendimentp infinito, e
per6 Iddio solo nella sua eterna mente
il concepisce e intende, cio^ egli solo
cape s^ stesso. Questo concetto dunque, questa
cognizione ch^ egli ha eternamente di se medesimo, quell^atto primiero si h, onde s^ingenera lo intelletto
divino, come sopra si b mentovato, il quale e la sapienza impermutabile ed etemale, che tanto si e a dire 11 discorso
eminente e non errante che fa Iddio
sopra *1 suo essere divino, ottimo e
inefiPabile, e perci6 amalo infinitamente per lo infinito merito di sua
perfezione e bont^, e tale e 11 figliolo di Dio, il Yerbo divino di cui ragionato abbiamo, e per
il quale yiene constituita la persona
prima del Padre correspettiva e distinta dalla seconda che e il suo £gliuolo,
in tutto e per tutto uguale a lui. Da
questo atto poscia di cognlzione e d'
intendimento sovrano che fa Iddio di questo bene etemo ch^egli possiede in s^ stesso, subito ch* e
conceputo dal Padre per oggetto di
beneficenza infinita, a misura di sue
altissimo valore infinitamente V ama, e quindi procede quello ardentissimo primo amore equivalente alia perfezione
di esso infinito bene, per la cui
strabondevole fecondit^ sparges! pel
Indefinitamente per lo tutto quella fuocosa e inestingoibile carit^, dalle cui fruttlficanti faville tutte
le cose che sono hanno essere* e vita. E
simigliante infinito Amore procedente da amendue le altre persone, 11 Divino
Spirito si e, il quale secondo la verita
nostra h la terza Divina Persona in
essenza, e per divinita uguale ad amendue le altre del pari, e dal nostro Poeta Teologo altamente
espostoci nel Paradlso. Canto X: «
Guardando nel sao Figlio con 1* Amore
Che rnno e Taltro eternal mente spira,
Lo primo ed ineffablle Yalore, >
per cui le scintille di suo fuoco amoroso, cioe a dire le divine grazie si spandono di sua Providenza
onnipotente e benefica per tutti quanti
gli ordini della natura. Per le medesime scintille poi prese fuoco eziandio
ogni altro amore, imperciocche
innumerabili amori si accesero nella natura
universale dalle faville infinite di questo amor primiero, come bene ne awertisce 11 medesimo Divino Poeta,
perche esso amore aperse 11 varco della
creazione deirUniverso alio sparglmento
de' suoi benl portati su le all della sua arden* tissima carlt^, de* quali egli era
infinitamente ripieno, solamente per diffondergli altrui, che egli non era in
nessun conto bisognevole. c Non per avere a s& di bene
acqaisto, Gh'esser non pu6, ma perchd
suo splendore Potesse risplendendo dir:
snssisto; In saa eternitii, di tempo
faore, Faor d*ogni altro comprender come
i piacque, S*aperse in nuovi amor Tetemo
Amore. N& prima, qnasi torpente, si
giacque, Ch^ nh prima ne poscia
precedette Lo discorrer di Dio sovra
queste acque. » Qaesto amore, dunque,
raccendendosi con iscintille senza
novero in tntte quante le creature, viene ripercosso da loro piu o meno direttamente a riamare e adorare
il bene in£nito, secondo ch^ esse piu o men chiaro il rafQgurano e se-,condo le
proporzioni e disposizioni, ch^elle hanno piti o meno atte a riceverlo, e a rimandarne a lui
per diritto filo, o per via di varii e
moltiplicati ripercotimenti^ i riverberi,
o si pure stravolgendogli troppo dal loro vero corso per la positura mal situata de* proprii affetti, non
in Lui, ma in altre creature
erroneamente te gli fermino. Luigi. —
Questa h Teologia molto leggiadra^ ma per mio
conto ricerca piu esatta ospressione.
MagioUi. — I' torno a repetere che Iddio e sommo e infinite bene, e per6 bene non ci ha, il quale in Lui
non sia, e che non discenda da Lui, e
intanto il bene e bene, in quanto egli b
comunicabile; ed essendo Iddio bene infinite, anche infinitamente comunicabile
convien che sia^ e per6 tutti i beni,
che beni da noi si appellano, beni non sono, dove non si spicchino da questo unico infinite bene, e
dove non sieno riordinati a Lui. Per la
qual cosa non ci hanno beni in noi, nh
fuori di noi, se non gli spande il supremo benefattore Iddio come miniera e principio di tutti i
beni. c Dunque air essenzia, ov* e
tanto avYantaggio Che ciascun ben che
fuor di lei si trova Altro non h che di
suo lame un raggio, canta il medesimo nostro Poeta. Vero e ch'essi si
adnlterano sovente da noi, e fannosi degenerare dall' esser beni, qnalanque volta secondo il loro diritto non
si rivolgano, e se si torcono non si
riordinino a lui. Ora qaale e il veicolo
per cni fassi penetrarc la divina beneficenza in fra tutte le cose create, salvo che lo spargimento delle
faville di qnesto ardentissimo primo
Amore da iai procedente e ugnale a lui, le
quali in quelle si appigliano pin o meno, per qnel modo ch'elle ne sieno secondo loro capaci : cioe questo
desiderio, questo appetite ch* e innestato nella natura universale di finire
beni si grandi, pe* quali ella si
mantenga viva e perpetua. Imperd merce
di questo amore primiero fontana di tutti gli amon accendonsi suo' vivissimi raggi in ogni sorte
di creature o vegetabili; o sensibili,
che sono semi della sua profonda e
inesausta beneficenza, e scintille vive della sua immensa carita; e percio Tamano, e si Tamano di
voglia siccome quelle che accese ne sono
ad una cieca obbedienza della sua volonta cotanto loro giovevole per la loro
prima conservagione; e Tamano gli
individui loro, ancor che per avventura non
sappian di amarlo, conciossia cosa che intendimento e^non abbiano da
conoscerlo, che avrannolo forse in se le specie e generi loro, e se non questi,
hallo e V ama e V adora la madre natura,
ch* h il genere.di tutti i generi, la quale accendesi alTesecuzione del suo
altissimo provvedere, divenendo in qaesta
bassa circonferenza ministra della Divinitade. Ma tali beni che dall^ infinite e sommo bene si diramano
parrebbero quasi beni finiti, e
terminabili, se non ci fosse anche a chi comnnicare i beni etemi nel loro
essere intero e perfetto, che sono i
veri beni e proprii di un sommo ed infinite bene: per lo che tra le cose note a noi, appresso V
intelligenze saperiori, che Tamano, impercio che sanno perfettamente quel che elle amano, adorandolo a vise
aperto, hannoci gli uomini, i quali ci
rassembrano capaci dello sfogo della divina bont^ intorno a gli eterni beni ; e
di ragione debbono e dovrebbono amarlo
sopra ogni cosa che sia, avendone cotanta arra ne'beni sparsi per V universe, e
tanti e si be'raggi per riconoscerlo,
scorgendolo manifesto nella bellezza del tntto e nolle bellezze tante e si
varie di esso; e quando e'non fosse
altro, conoscono per alto privilegio di averne la cognizione, e la bramosia cui h credibile che
sia data, perche Iddio gli abbia fatti
degni eziandio di ricevergli, il che non
si ravvisa negli irrazionali che hanno i desiderii loro, e loro affetti^ e passioni Dei primi moti solamente,
dove gli uomini hanno ne gli atti
secondi lumi da distinguere e scerre il
meglio dal peggio ; che pero disse Salustio filosofo : Grirragionevoli
adoperano I'ira, e la cupidity per natura; i ragionevoli per volonta. Di maniera che le razionali
creature debbono accendersi, e '1
possono spontaneamente, al riconoscimento
e al desiderio volontario dello spandimento delle grazie divine^ e alia
gratitudine di sna infinita beneficenza ; impera che essi beni non piu beni sarebbero in noi
se non pigliassimo il loro vero lume, e lo accendimento loro da questa primo Amore, e non si riconoscessero da noi,
e desiderassersi con piena liberta di
volere e con atti riflessi corrispondenti
a lui che ne gH ofiPerisce e dona si largamente. Di qui e che le razionali creature hanno virtii di
distinguere e desiderare questi beni per mezzo di quest o amore scambievole
tra Dio e noi, il quale da lui per
venire a noi si diparte, e accendesi in noi per ritomare a lui, talmente che
amore dee essere in noi un
ripercotimento di Amore, e un rivolgimento
e un ricongiungimento continue con esso le cose divine, e un concordamento tendente alia perfezione
della divina unitade. E per cio Amore,
disse Platone, h quelParmOnia e quell'
ordine che richiama le cose discordanti alia Concordia ed aU'uno; per guisa che
nolle creature dotate di ragione si eccita il lume del conoscimento e le
faville di amore verso il sommo bene, e
di tutti i beni che si drizzano a Lui daUa luce splendentissima di questo primo
amore e di questo fuoco divino,
qualunque volta la parte inferiore non
recalcitri alia snperioro, e le torbide passioni do' sensi non ofiFuschino la bella luce della ragione.
Impercio che i principali movimenti
delPanima sono Pintelletto e la volenti, e le altre potenze sono o a questi, o
per questi. L' intelletto ha per oggetto il vero, la volenti ha per oggetto il
bnono, ma perch^ ne V uno ne V altro qua si pu6 consegaire perfettamente da
loro, quindi molte fiate V amore del
vero e del buono si lascia in noi traviare dalle opinioni e dai sensi, e scambia poscia il vero dal
falso, il bnono dal reo. e non al sommo
bene, ma si follemente rivolgesi altrove. Ma saviamente lo c'insegna Platone
nel Fedro, dicendo cosi: «Che in noi sono due faculty, le quali hanno gran forza o potere di guidarci a lor senno :
V una si e la cupiditib innestata in
noi, di quel che piil ci diletta : V altra
una tale opinione acquistata cbe brama il buono. Queste alcuna Yolta
convengono insieme, alcuna altra contrastano e
tnmultuano in noi, ed ora V una ed ora V altra vince. Quando r opinione sotto la scorta della ragione ne
conduce a quel che veramente h V ottimo,
tale si e la virtu vera e F adoperar
ragionevole; ma dove la cupidita senza ragione alle voluttli ne travia, e in noi imperiosamente comanda,
qnesta chiamasi cupidigia, che muta
nomi, seconda a quale effetto ella stoltamente ne mena. E tale si e quell'
amore malusato e trasportato fuori del sentiero del vero amore ch' e quelle solo, il quale all* ottimo ne insegna la via.» BuotMccorsu — Con chiarissima distinzione
considerate avete, Don Baffaello, i
movimenti di questo prime amore, e
quanto sieno poderose e di quanto ben piene le forze sue ; impercio che primo amore convien chiamarlo;
con ci6 sia cosa che tutti i moti nel
mondo, e negli ordini vaij delle creature,
tntti quanti gli stimoli e desiderj di chiunque si sia, sono impulsi di quell' amore, ch' h V origine impero
di tutti gli amori. Ecco la natura
percb^ si muov' ella alle generazioni se
non per amore, ed essa nel suo universal movimento non erra? e se ragione e al mondo, come tiene il
nostro filosofo,e non si regge e governa
a caso, come la nostra verita il vieta
di credere, questa e ella altro cbe amore ? il quale tira a ricongiugnere le cose, che per loro difetto
dal loro ordine si deviano; per lo che
nasce spesso il tumultuoso combaitimento di quelle che fuori di ogni loro
dovuto luogo a. trovano ; cosi talora e
co* venti, e co' turbini, o con le tempeste, o co'folgori, tutte impetuosamente
si commuovono. ch'e' pare ch'e' si sconvolga il mondo. E percio essendo
tratte fuori dalla loro natural positura
s' infuriano per ritornarci e per
ricongiugnersi ciascuna dijnano in mano con quello che loro torna meglio e si addice. Ne piu ne
meno le razionali creature si muovono con tutti i lor moti, quali essi sieno, o buoni, o mali, sempre per amore; se
buoni per amore alia virtu o alia
bellezza degli animi, che gli addirizza alia divina pulcritudine ; onde il Poeta: « Che mentre il segui al sommo ben tMnvia;
» se mali, perche scambiando gli
oggetti che gV inducono ad amare,
studiano di conseguire quel che egli amano per le vie non vere, « Immagini di ben segnendo false. » Impero V avaro ama le ricchezze, il lascivo
i diletti carnali, e via via di tutti i
vizj e falli degli uomini, fino 1' ambizione, anzi Tira, gli odj, e si le
malevoglienze, le maledicenze, e le vendette medesime nascono da amore per
levarsi d'intomo cio, che impedisce loro
di godere quel che egli amano ; il che
acutamente ci ammaestra san Tommaso, che
intanto odiamo un oggetto, in quanto e'ci puo vietare il bene che noi amiamo; ma non di meno in si
fatte passioni d^ amore, non mai i
mortali si satollano, impercio che anche
conseguendo cio che par loro di volere, il vero oggetto delV amor loro
non consegmscono, ancor che e' si pensino di
trovarloci entro. Impero V amor
vero e reale scorge gli uomini alia sapienza e all* amor divino. L* amore
stravolto da* sensi, e che tormina nolle
cose corporee, ha solamente per fine se
stesso, cioe a dire ama quello che reputa dargli piacere e utile, sodisfacendo in tutto per quanto e*
puo ai corporali appetiti. Per la qual
ragione dicesi amor proprio, il quale da
regola a* movimenti, e alle operazioni de gli uomini, che non sanno sollevarsi a Dio. Uditelo dal Poeta
nostro sovrano, che lo ci esplica mirabilmente nel Purgatorio, al
diciassettesimo Canto. « Ne Creator, ne
creatura mai, Comincid ei, figlinol, fu
senza amore, natural e o d'animo; e ta
'1 sai. Lo natural fu sempre senza
errore; Ma Taltro puote errar per malo
obbiotto, per troppo, o per poco di
vigore. Mentre ch'egli e ne*primi ben
diretto E ne* second! s^ stesso
misura, Esser non pu5 cagion di mal
diletto ; Ma quando al mal si torce, o
con piii cura, con men che non dee,
corre nel bone. Contra 11 Fattore adovra
sua fattura. Quinci comprender puoi,
ch' esser convione Amor sementa in voi
d' ogni virtute £ d^ogni operazion che
merta pene. » E piu abbasso^ nel medesimo
Canto, strettamente al nostro
proposito: « Amor nasce in tre
modi in vostro limo. te chi, per esser
suo vicin soppresso Spera eccellenza, e
sol per questo brama Ch*el sia di sua
grandezza in basso messo. I) chi
podere, grazia, onore e fama Teme di
perdor perch' altri sormonti, Onde si
attrista si, che '1 contrario ama; Ed 6
chi per ingiuria par ch'adonti Si, che
si fa della vendetta ghiotto; E tal
conyien, che il male altrui impronti. »
Per lo che riconoscesi manifesto che anche il desiderar male, e il far male altrui, nasce da amore, come
detto si e, ma da amor soverchio di se
medesimo, impero che la volontft non puote
per alcun modo che sia amare semplicemente il
male, ma si V ama, e il desidera sovente volte in altri a fine sempre e per amore del proprio bene, ch'
essa s' immagina, dove e' non e delusa da' sensi, e da gli affetti corporei;
conciosiache e' non intendono gli uomini, e non sanno aprir le ale, onde salgano in alto a questo
primo amore, ne sanno volare alia fiamma vivace di questo fiioco purissimo e ardente, il quale dissemina ampiamente le
sue lucidissime scintille per lo tutto a
conservazione e vita del tutto, e alia
ricongiunzione per quanto si puo con 1* unita del suo divino facitore, come detto avete : ma lo
stravolgimento nasce in noi dal mal giudicio
dell' elezione, e dall' abbacinamento della
vista dell'anime nostre, per entro le sensibili vestimenta che ne ricoprono, e nascondonne il purissimo
lume, lasciandone a pena che un mal distinto bagliore, e tutte le bellezze, che
qua tra noi rifulgono, eziandio quelle che ne' volti risplendono di bella donna, sono riflessi e
specchi della bellezza suprema; e colui il quale riguardando con amore in essi, ivi i raggi ferma della vista amorosa,
e non sa alzargli al lor perfettissimo
originale, ne va errato a guisa di quello,
che mirando il Sole nell'acqua chiara, non altro Sole che quello s' immaginasse nel cielo; il che appunto ne
awertisce Marsilio nostro, che la belta e un certo atto, vivacita e grazia che risplende ne' corpi per lo raggio della
sua prima Idea, e consiste nelV ordine,
nella proporzione e nel lume, qualita e
sembianze che si possono agevolmente guastare, e trasfigurarsi, riraanendo
solamente il corpo; e pero la bellezza e
incorporea, e qualunque ama solamente i corpi non ama vero oggetto di amore, ne bellezza sincera,
per cio che questa riceve il lume dal Volto Divino, e 1' ordine e la
proporzione dalla Divina sapienza. Per la qual cosa (die' egli) cbiunque ama il lume del Sole, non dee amar
quel corpo dove batte il Sole, ma
riferire suo amore al Sole medesimo, ch'
h la cagione ne' corpi illuminati di essi riverberi ; impercio che lo splendore
del Volto Divino che nelle cose belle
rifulge h T universale della bellezza, e Tappetito che a quella si volge e 1' universale amore, e
quindi nasce poi U particolare amore a
particolare bellezza ; e percio scambiano
di leggieri gli uomini questa bellezza da quella, e '1 riflesso adombrato dalla luce chiarissima, che lo indora. Magiotti. — Yolevaci a' miei scarsi talenti
il soccorso appunto del signor Gioseppe, che ne ha dilucidato cosi bene I'ombre del mio dire; perche non solamente
non h colpa o fallo veruno, ma e legge della natura e di Dio, che gli
uomini, e le donne, anziche gli uomini
eziandio tra loro scambievolmente si amino, ma amino la bellezza delP animo
adorno della virtu ch' e figura e
immagine vera di Dio, e non terminino I'amor loro con esso Tappetito nelle
forme corporee apparenti, conciossiache
questo amore sia anzi awersario d'Amore,
si come quello che dalle bellezze dell' Idee ne ritorce il guardo alia
deformita della materia, e ivi si ferma.
Dafinio, — Ma lo appetite che voi dite non e egli parte di amore?
MagioUi, — Son faville scappate fuori dal fuoco dell' amor vero, che si appigliano nella pece o nel
ferro, i quali pero ne scottano i sensi
e arroventano il cuore, benche ciecLi
afPatto di luce; impero che amando le corporali bellezze, come loro ultimo fine, non si amano come
Architetture divine, e percio ancor che in esse in fatto stesso amino
Iddio, come fulgor primo di quelle, e
come oggetto vero di amore, non sanno di
amarlo, e amandolo, il disamano, perche invece di ordinare T amore a lui, amano
quelle, si come incentivi non all' amor divino, ma all' amor proprio e
alle proprie volutta; e per tal modo
spengono nella corporalita materiale,
non che la fiamma del vero e lecito Amore, ma
il lume della ragione. Amar dunque si dee con amore (ne ammonisce il saggio nostro filosofo) per tal
guisa che cio sia venerare la sapienza e
temere dell' onnipotenza divina con
ammirazione di lui ; e questo si e amare con vera dottrina d' amore, impero che
con ragione rammemoraci nel Fedro, che
la faccia bellissima della Sapienza, dove si potesse con esso gli occhi
riguardare, all'ora altri si accorgerebbe che cosa sia veramente amore. Seguitiamo, dunque, il discorso, e si
repetiamo, come questo Amor primo, onde
tutti gli amanti si accendono, e
razionali, e irrazionali, lo spirito divino si e, come si disse, il quale portandosi sopra 1' acque, fu
ministro della creazione di tutte quante
le cose, riducendole alia prospettiva dell' essere; e che parimente per via
delle inspirazioni accende e volge i
cuori delle ragionevoli ai loro supremo benefattore ; ed e insomma la terza
persona della Trinity ; essendo Iddio
Padre per V onnipotenza, Figliuolo per la Sapienza, e Spirito Santo per
I'Amore. Come Padre crea, come Figliuolo
ordina e dispone, e come Spirito Santo sparge la vita e conserva, e
tutti richiama al loro Autore, che pero Dante favellandone neir Inferno, ne le
distingue con evidenza: « Giustizia
mosse il mio alto fattore : Fecemi la
divina potestate, La somma sapYenza e il
primo amore. Dinanzi a me non fur cose
create, Se non eterne, ed io eterno
duro: » con quel che segue. Ma ora adattiamo un poco al nostro vero
Timmaginazione platonica, esaminando con sollecito studio in qua' pensieri elle
si confrontino tra loro, che certo e maravigliosa cosa a udire come il nostro Autore a tanta
verity avvicinato si sia; ma ci6 a voi si appartiene di fare, signor Gioseppe,
cotanto pratico nella platonica dottrina, che in essa errar non potete (come fare' io) nel
referirlaci, e nel metterla con esso la nostra in agguaglio. Buonaccorsi, — Non per la ragione, che la
vostra modestia mi suggerisce, ma per
darvi un po' di riposo, ubbidirovvi, Don
Raffaello carissimo, incominciando anch' io col nostro eccelso Maestro a repetere il medesimo, che detto si
e ; come Iddio e sommo e infinito bene,
V occhio della cui alta mente in se
risguardando concepisce V intendimento di se medesimo^ e a simiglianza di specchio purissimo e
tersissimo, ella piglia in se, e rende
con que'divini reflessi Timmagini infinite ed eterne della sua infinita
Sapienza; e queste secondo lui so no intelletto divino, il quale comprende in
sh tutta insieme 1' Architettura
perfettissima dell' intelligibil mondo,
con tutte quante le Idee delle cose possibili a farsi da una onnipotenza infinita, le quali fornite
perfettamente di fare dalla sua infinita
sapienza si ragunano, e disegnansi nel
ricettacolo della sua mente, e ivi in quella unita indivisibile insieme
congiunte, dimorano in una idea «ola, di che altre volte ragionato si e in
proposito dell' Idee: la cuiinfinita ed eccelsa bonta e bellezza rimirando egll
con occhio desioso e benefico, giacche
per se tutta la possiede e non pu6
contenersi di non comunicarla altrui, e quindi nacquc il primo amore, come pur voi diceste, il
quale voile Orfeo essere stato locato
nel seno del Gaos nato innanzi al mondo,
appellandolo percio antichissimo di somma psrfezione e di gran consiglio. Per lo che Parmenide si
lascio intendere, Iddio innanzi a tutte
le altre Delta aver conceputo Amore. Nel
Caos parimente lo ripone il Divino filosofo, quivi trasmesso dalla Divina
Sapienza alia formazione e armonizzamento delPuniverso, da esso amore la
bellezza ricevendo e r ordine. Imperfetto. — Ma quale e la via e il modo
onde Iddio incominciando da se ordina questo filo, secondo lo intendimento platonico ?
Buonaccorsi. — Volendo la Provvidenza suprema, e questo sommo e infinito bene comunicare, e mettere
in opera i frutti della sua infinita
bonta, e non avendo nulla fuori di se,
delibera a quelli esemplari eterni che detto abbiamo del1' intelligibil mondo,
la creazione del mondo sensibile, per la
cui e£Fettuazione dispose valersi di questo Amore. Dafinio, — Meglio si desidererebbe da me
capire la sentenza platonica intorno alia nascita di questo amore. Buonaccorsi. — Fatevi conto che la Divina
Mente, cioe il suo perfettissimo
intelletto si rivolga a Dio come sommo benC;
onde essa mente e per lo suo chiarissimo raggio illustrata, e dallo splendore di quel raggio accendesi
eziandio una viva cupidita di propagare
fuori di se si maravigliosa luce, e qaesta alta e ardente cupidita del sommo
bene amore si e. Adunque la mente ch' e
accesa accostasi a Dio, e accostaDdosi riceve le forme prime divine^ che sono
la bontii, la sapienza e la bellezza
infinita del sommo bene ; e per tal
maniera si dipingono spiritualmente tutte le cose che sono, 6 che esser possono per lui, ed esse pitturc
sono le Idee infinite del Mondo
Archetipo, le quali nel mondo corporeo
aveva determinato con fabbrica piu massiccia imitare; e qaeste Idee sono, appresso Platone, ne gli
animi razionali (come si disse) ragioni
e notizie; ma nella materia immagini e
forme ; queste impercio rifulgouo nella Divina mente con raggio lucidissimo; nell'anima in modo men
chiaro; nel mondo in gaisa molto piu
oscura. Per la qual cosa, awertisce sottilmente questo grand' uomo, a fine di
mettere ordinatamente in filo le
intelligibili cose, e trovarvi qualche attaccatura per le sensibili per quella
via pero ch' ei puo, che Tunita divina
sia termine dal quale ogni e qualunque cosa ch' e, e che puo essere, e misura
senza confusione e senza moltitudine; la mente poi e una certa moltitudine
ordinatissima dell' Idee stabile e eterna : la ragione dell' anima, moltitudine di notizie e di
argomenti, mobile si ma ordinata ; 1'
opinione una moltitudine d' immagini disordinate, e mobili: I'unita non
solamente unisce le parti deU'anima tra
loro, e con tutta I'anima, ma eziandio tutta
I'anima unisce con quella unita, ch'e dell' universo cagione; la medesima anima in quanto ella riluce per
lo raggio della mente divina, le Idee di
tutte le cose per la mente con atto stabile
contempera; in quanto ella si rivolge a se medesima, le ragioni universali
delle cose considera; in quanto ella
risguarda i cor pi, le particolari forme rivolta alia sede deir opinione, e si le immagini delle cose
mobili ricevute pe' sensi ; in quanto
ella declina totalmente alia materia,
usa la natura per istrumento col quale muove essa materia e formala, onde le generazioni, e gli
augumenti, e i contrarii loro procedono.
Innanzi dunque che la mente da Dio ricevesse le Idee, a lui si accosto, e
avanti che si accostasse era la fiamma
accesa di quello appetito del buono, e del bello cotanto perfetto nella sua essenza, e prima
che si accendesse aveva il divino raggio ricevuto per conoscere la perfezione
di se stesso; e anzi che si fatto splendore lo suo intendimento illuminasse,
gia esso desiderio ardente al riguardamento di lui medesimo si era rivolto :
ora, come dice Ficino, il primo
voltamento a Dio del divino intelletto e '1 nascimento d'Amore; la grazia poi del mondo Ideale la
bellezza si e perfetta, primo raggio
della Divina bonta, alia quale di pre
sente che amore fu nato, tir6 o rapi tutte le forme a quel lame, onde il me' che si potea in questo
mondo visibile impresse restassero, e adorne ; per si fatta maniera
traendola fuori della confusione del
Gaos ; che impero fa saggiamente creduto
per entro al Caos essere stato locate Amore, accio che con la saa yivifica fiamma e fulgidissima
si rendesse maneggiabile la materia
corporea e dura, alia perfezione
conducendola di si bell' opera, e si perche le tenebre da lei discacciasse, e riducessela a quell' armonia
e a quell' ordine che fa essere 1' uni
verso opera degna di chi 1' ha fatto.
Ch'fe egli altro dunque questo amore secondo Platone, se non quell' auima universale, o la porzione
primaria e piu perfetta di essa, ch'
e's'immagina dalla natura del Medesimo
avere avuto suo cominciamento, e poi a intenzione di farla confacevole e attiva a siffatte operazioni,
diramarsi nel Diverse? Laonde della natura di questo e di quelle essere stata insiememente composta; impercio te la
veste della luce corporea, la quale e'
cre6 innanzi a ogni cosa del mondo, come
si e detto : di maniera che ben puo dirsi 1' anima del mondo platonico non essere salvo che amore,
cioe a dire quell' appetite universale,
quel caldo vivifico disseminate nella
natura del tutto, il quale acceso da quell' Amore prime, muove tutte quante le cose alia generazione
continua, onde di mano in mano che per
la naturale mortalita di tutte le cose
inferiori gl' individui periscono, merce di esse amore rifacendosi, conservansi eternalmente le
specie lore, e mantiensi il tutto immortale. E cio voile intendere per mio
avviso Marco Tullio nelle Questioni Accademiche, quando disse: Ex mtmdi ardore motus omnis oritur: is autem
ardor non dlieno impulsu, sed sua sponte
movetur; animus sit necesse est, ex quo efficitur animantem esse mundum, Eccovi
dunque in questo ardore del mondo che
anima il mondo, essere chiarissimamente spiegato amore. Per la qual cosa non a
torto s' immagino il divine filosofo esserci due Veneri, con esse distinguendo
le operazioni intelligibili dalle
sensibili in quanto alia fattura dell'
universe ; ed esser genitrici di questi due amori, naturale e divine; la prima
Venere tutta adorna del divine fillgore, lo sparge alia seconda Venere; la
prima suUe ali del 'prime amore e rapita
air in su a riguardare la bellezza di
Dio, e cingersi della purita de'suoi raggi; la seconda pigliandone, il
me' ch'ella puote, suoi vivificanti riflessi, si rivolge alPingiu, colorando con essi, piu al
simile che riuscir le possa, la divina pulcritudine ne'corpi mondani,
aiutata a cio da quell' amore, che
nell'anima universale risiede, e da gli
stimoli alia natura, e per tal via da questa Venere seconda raccolgonsi e trasfondonsi le
scintille, che schizzan fuori dal divino
fuoco amoroso in tutti i corpi del mondo,
i quali per merito di quel lume riescono belli secondo la capacita loro, e accendonsi di un
ardentissimo appetite a tutte quante le
generazioni; e per tal eflfetto (cotanto alto
sail Trimegisto) ch' egli affermo proferirsi dalla voce del Verbo Divino ad ogni e qualunque cosa creata
questo comandameuto: Germinate, crescete e propagate le universe cose che sono, le quali opere mie sono : col
quale fiato amoroso e benefice impresse nella natura e razionale e irrazionale
gli appetiti del generare e dell' operare secondo suo alto volere. In prova di che Platone nel
Convivio esplica cosi: Iddio nel creare
il mondo avere innestato in qualunque delle
cose da lui create una tale amorosa concupiscenza, che aspirando ad una
certa simiglianza e congiugnimento venissero con simili impulsi propagandosi a
conservarsi perpetue : e pitt abbasso
seguitando, dice : « Questo gran Dio (intende
d' Amore) e cotanto ammirando, si ritrova in tutte quante le cose, che si contengono nell' ampio giro
della natura universale, e s' introduce e spargesi per tutte le creature,
e umane, e divine, e pero egli e grande,
e molta, anzi tutta 1' intera efficacia,
in qualunque cosa che sia, ha Amore; » che
per tal conto i' appella di poi Padre di tutte le delizie, di tutte quante le piii vaghe leggiadrie e
bellezze e avvenenze che dar si possono,
e si di tutte le grazie, e di ogni qualsisia desiderio e generazione ; e in
somma 1' adornamento piu perfetto degli
uomini e degli Dei, e cio non si ved'egli
essere 1' istessa cosa che 1' anima dell' universe, come altresi ne vien dimostrando Apulejo di quest' anima
favellando : Illam celestem Animam fontem animarum omnium optimam et sapientissimam, virtutem esse genitricem
subservire fabricatori Deo? Ora questa
Virtu Genitrice puo ella chiamarsi altrimenti
che amore? Anzi, per rendere tanto maggiormente palese come per tutte le divine cose e piu alte
amore si spande, eccovi citato il
Divinissimo Poeta nostro favellando del Paradiso : « In questo miro ed angelico templo, Che solo amore e lace lia per confine, » e piu innanzi: « Ricomincio: noi semo usciti fuore Pel maggior corpo al ciel eh' e pura
luce; Luce intellettual piena d'
amore, Amor di vero ben pien di
letizia, Letizia che trascende ognl
dolzore. » Di modo che e' si vede e
nelle cose naturali e nelle umane, e piu
di ogni altro luogo e piu puramente nelle cose divine, essere sparse amore. Imperfetto, — lo ho notato quel che dice
Trimegisto che mi ha fatto stupire, e
sembrami, ch* e^ sia il crescUe et
multiplicate et replete terram secondo la divina favella. Buonaeeorsi, — E pero quando il vero e vero,
cioe quelle che ci par vero e veramente
vero, gl'ingegni di piu alto acume ci
danno sovente dentro eziandio col lume naturale. Ma ritornando a questo Divino Amore,
raccogliendo insieme tutto il discorso,
puo dirsi che per merito di questo amore
primiero, in sentenza di cotanto grand' uomo, tutte le fatture deir
Universe, accese di si fatte faville, si volgano e amino Dio ; le divisibili alP indivisibility
suprema ansiosamente aspirando ; le di£ferenti e varie alia simiglianza e uniformita; le discordi all'armonia; le
sparse e disgiunte al lore piu
desiderabile ricongiugnimento; le multiplici e numerabiH alia perfezione dell'
uno, cioe a dire conspirano tutte air
unita delP Universe, come il simulacro piu perfetto che mostrar si possa a' nostri occhi del mondo
divino ; per tal modo insomma, anche le cose indefinitamente difformi al Medesimo si chiamano, dal quale tutti i beni
innanzi si dipartono a fin di spargersi per via di questo nel Diverse, e quindi desiderosamente a quello si studiano
di far ritorno, si come a lore unico
perfetto e sommo bene, il quale reputano tutti quanti i Platonici esser posto
nel centre di questo circolo universale; dal qual centre tutti i divini raggi
si partono, ed a lui si ripercuetone
qualunque volta per la colpa degli
impedimenti di mezzo, piu e meno materiali e
corporei da lore dirittura non si divarino, e altra via prendane fuori
del giro piu perfetto della ragione.
Dafinio, — Qui correrebbe piu bene 1' esempie del Sole constituite, secondo la sentenza
Gopernicana, nel mezzo del nestre
sistema, che quindi spandende i raggi per
tutto illumina piu agevolmente tutte le cose, che per altra via. MagioUL — Non impediamo al signer Gioseppe
il corse del ragionamento, che e materia
melto difficile. Btionaccorsi. — E per
cio quanto bene disse Apuleje, censiderande anch' egli essere una sfera d'
infinita retendit^ V essenza del tutte,
nel cui centre risedesse il divine Sole
ad illurainamente e vivificamento continue di tutte quanto quello ch' e, e si spandende i raggi di
quell' infinite amore alia cemunicaziene
de' sue' boni, essi vie piu adoperassero
perfettamente, e mineri impedimenti patissere di mane in mane nelle ceso piu vicine a lui, che nelle
piu lontane. Corpora calestia quanto Deo finitima sunt, tanto ampUus de
Deo capere, multoque minus qua ah illis
sunt secunda, et ad hcec usque terrena
pro intervallorum modo ; ita Deum per omnia
permeare ! Magiotti, — Ma Dante,
in cui al mio parere si trova ogni cosa,
le ci esprime con evidenza grande, e nel prime del Paradise, e poi nel venfcettesimo canto anche
meglio: « La gloria di Colui, che tutto
move, Per r iiniverso penetra, e
risplende In una parte piiif e meno
altrove. Nel ciel che piil della sua
luce prende ec. E poi nel ventottesimo benche e' favelli dell' ordine de'
Beati, vien poi alle cose sensibili: che
vuol dire, come nella mente divina s' accende 1' amore, che volge cioh la intelligenza, la quale ama
il suo Creatore, e ardendo d^amore da lui si parte e ritorna a lui: il che applica Dante, si come per amoro
tiitte le cose create da Dio si partono,
e a lui ritornano, a) moto delI'universo e de' celestiali cerchi dicendo nel
Paradise: ^ « £ questo cielo non ha
altro dove Che la mente divina, in che
s' accende L*amor che il volge e la
virtti ch'ei piove. » E dimostra poi
che 1' ultimo Cielo sia dall' Empireo com preso, il quale non e se non luce ed
amore, per il quale tutti i movimenti
si ordinano de gli altri Cieli, e poi il
moto, e )' ordine si regola da tutti gli ordini della natura, il che si ricava dal resto di quel che dice
il medesimo Poeta : c Luce ed amor d' un cerchio lui
comprende, Si come questo gli altri; e
quel precinto Colui che il cinge
solamente intende. Non e suo moto per
altro distinto; Ma gli altri son
misurati da questo, Si come diece da
mezzo e da quinto.» Ghe vuol dire, come
questo Amore onde arde lo Empireo, senza
aver moto da altri che da Dio, mubve qualunque
altro moto soprano o inferiore che si dia. E ci6 e egli salvo che quelle operazioni che assegna il
divino filosofo air anima del mondo ?
Per si fatta dunque ragione, hen
confessar si dee che amore sia veramente 1' anima delr universe. Btwnaccorsi. — Ecco perche ne dice V
Areopagita medesimo : « amore e un cerchio huono, il quale sempre da bene
in bene si rivolge; in quanto Iddio e
atto di tutte le cose, e quelle aumenta,
dicesi bene; in quanto le abbella e fa leggiadre, dicesi bellezza; si come
bene, crea, regge, e provede; si come
bello, illumina, e grazia dona loro, e vaghezza. » Luigi, — Gio e appunto quelle ch* i bramava
di sapere, in qual modo stessero in Dio
e congiugnessersi insieme bonta e
bellezza, e che legamento fosse tra loro. MagioUL — La bonta infinita di tutte
le cose h Iddio solo ; la belta e raggio
di Dio sparso in que cerchi che intorno
a Dio, come centro loro, si volgono. D Sommo Bene e la sopra eminente
essenza di Dio : il Sommo Bello quel raggio si
e che da esso sommo bene rifiilge per lo tutto, penetrante prima nella mente sovrana, quindi nelP anima
dell' universe, e nolle altre razionali
anime, indi nella natura e nella materia, e la perfezione interna genera quasi
sempre la perfezione di fuori; e pero la Divina bonta la bellezza produce, e si
pero la bellezza vera dicesi da' Platonici fiore di bonta; laonde per merito di questa belt^
esteriore T interna bonta alletta ad
amare, e qualunque ama la bellezza secondo il dovere, essa ne conduce gli
amanti ad amar la bontade; per lo che con giusta ragione da Platone amore
si appella (come che in sostanza e' sia
desiderio di bellezza), bellissimo, e
ottimo, e per cio donatore di tutti i beni
a' mortali. Questo raggio, impero, colora in quattro cerchi le spezie di tutte quante le cose. Ecco nella
mente divina dipigne I'Idee, ove il raggio e nel suo piii perfetto vigore; neir anima poi la ragione, nella natura i
semi, e nella materia le forme, nolle quali cose esso splendore viene di
cerchio in cerchio dalla sua perfetta luce smontando, ma 1^ dove la divina bonta adopera immediatamente,
le cose perfettissime sono: V Fer6 se
11 caldo amor la chiara vista Delia
prima yirtu dispone e SiegDa, Tutta la
perfezion quivi s' acquista. »
Dimaniera che Iddio e la bellezza, la quale tutte le cose desiderano, come detto si e, e nella cui
possessione tutte si abbellano, tutte si
contentano, e quindi 1' amore in qualunque creatura si accende, concedendo
Iddio lume del vero a gli animali
razionali, e fuoco di carita, il quale va sempre crescendo, come il Poeta
stesso : « Lo raggio della grazia, onde
s' accende Yerace amore, e che poi
cresue amando. E in un altro luogo, ec.
« Perch e s' accrescera ci6 che ne dona
Di gratuito lame il sommo Bene;
Lume che a lui yeder ne condiziona: »
il che ci sentiremo dentro di noi adivenire, dove noi andiamo mantenendo vivo col vero amore questo lame
della grazia, finche chiamati siamo a
lui per goderloci a occhi veggenti.
Imperci6 che la perpetua invisibil luce del divino sole sempre a tutte
le cose con la sua presenza da conforto, vita
e perfezione, e dona loro virtu di augumento, e pero Iddio se sopra tutto PUniverso spandere. Zoroastre, se bene ho a mente, pose tre
principii del mondo, signori di tre
ordini, Iddio, la mente, e ranima, cui
rispondono le spezie divine; idea, ragioni e semi. Le Idee da Dio date sono alia mente, perch e
esse con la bellezza loro richiamino la
mente in Dio; le ragioni intomo alia mente, perche elle si conducano per la
mente nelFanima, e si addirizzino Tanima
alia mente. I semi circa all' anima,
impero ch^ mediante V anima passino
nella natura, e dalla natura con V ordine e con 1' armooia si richiamino alle operazioni dell' anima.
Per lo medesimo ordine poi dalla natura
nella materia discendono le forme; ma
queste non sono nel filo delle spezie divine, le qaali pure da esse prendono il diritto loro, e con
esso T ordine deir anima alP Idee, e per
queste all' unita prima si vadano
accostando, per quanto esse capaci ne sono. Tale si e il sistema Platonico per cui si coUegano le cose
divine ed eterne, con le temporali e
sensibili; e quindi da qaesti quattrp
circoli riflettono gli splendori della Divina Bellezza che si rivolgono piu o meno lungi al centro
ch' e Iddio : e'l primo amore da tali
splendori acceso, da moto e attitudine a tutte quante ie operazioni dell'
universo, o vegetabili, o sensibili, o razionali ; le Idee, le ragioni, e'
semi, che per via di quest' amore, di
quest' Anima universale discendono nella natura, e secondo il luogo dove
discendendo si posano, mutan nome, sono
ie cose vere, ma le forme poacia de'corpi sono piu tosto ombre delle cose vere.
Ora chiunque queste attentamente rigaarda, puote ammirare ed amar quelle, perche in esse scorge, e riconoscevi
il divino fulgore, e per esso sale ad
amare Iddio stesso; e come diceste, signer Grioseppe, niuno amatore amando si
satolla per qualunque conseguimento qua tra noi di ogni bellezza che sia, impercio che quel che e' vorrebbe non
conseguisce, 1' occulto sapore della
Divinita gli amanti non assaggiano, quantunque ne sentano suavissimo odore, che
gli alletta ad amarlo. E cosi per questa
fragranza si appetisce il sapore nascoso,
ma sovente non sappiamo, ne ravvisiamo in che, che e^ si sia. Quel, fulgore della Divinita che
risplende nel corpo bello costrigne gli
amanti a stupirsi, e venerare esso corpo come
statua di Dio, ancorche e'non si rinvengano in essa delr originale, e
pero non veramente la materia corporea si ama,
come di sopra ne avvertiste, ma la divina belt^ che in essa riluce, e vorrebbe Puomo trasformarsi nella
cosa amata (dice Marsilio) perche in
quelP atto amoroso senza saperlo
appetisce di farsi Iddio. Sospirano gli amanti, perche si avveggono di lasciare se medesimi, e non si
trasformano in quel che e' vorrebbono;
percio che vogliono, e non sanno quel
che essi vogliano. Laonde colui che antepone la forma del corpo alia bellezza delP animo, non usa
bene la dignita di amore ; conci6 sia
cosa che la belta corporale sia splendore neir omamento di colori e di linee
che agevolmente si cancellano e
oscuransi; quella delPanima risplende nella
consonanza delle scienze e de' costumi, che sono imitamenti piu al vivo della divina sembianza. Lo
splendore del volto divino nelle
sopraddette cose e 1' universale della bellezza, I'appetito che a quelle si volge e I'uni
versale di amore, e quindi si deriva poi
il particolare amore a particolar bellezza, la
quale nella convenienza deUe parti con esso i nostri occhi, che la mirano in un modo a questo, e in un
mode a quelle consiste, e nella
approvazione che da noi se ne fa col desiderarne V acquisto, nasce il
particolare amore, che per ci6 scambiano
tal volta gli uomini, se non ci badano diligentemente, o che non abbiano le
vere seste ne gli occhi lore, la bellezza vera dalla falsa, e '1 riflesso dal
lame. Per lo che Delia mente delF uomo e
situato da Dio un eterno amore di vedere
e godere F universale beltk, e con esso gli stimoU della particolare, sed essa non ci
abbarbaglia i sensi, ci moviamo alle
virtu e appetiamo la sapienza, che sono i pin
be' ritratti di Dio e di piu perfetta maniera. Per guisa che Platone, nell'Epistola al Re Dionisio : « L'
animo dell' Uomo desidera intendere le
cose divine, riguardando in qneUe che a
lui sono piu propinque, e a tal cagione amore secondo lui e interpetre e
mezzano per far trasvolare le umane alle
divine cose, e far discendere le divine a noi; » il che amava meglio Cicerone dicendo: maltAerim
divina aA nos, e quindi con somma
ragione appellasi amore un mezzo tra le
cose mortali e le immortali. II raggio di qualunque bellezza (come bellezza e\V
e) discende innanzi da Dio, poi trapassa
nella mente, e neir intelligenza, e quindi nell* anima, come per materia di vetro, e dall^ anima
passa nel corpo, preparato a ricevere
tal raggio, e da esso corpo formoso
trainee fuori massime per gli occhi come per trasparenti finestre, e da
essi penetrando negli occhi, che in quelli riscontrano, per quegli ferisce V
anima e acceudevi lo appetite, e r anima
ferita, e P appetito acceso ne induce a bramare il refrigerio, c ci6 ottiene qualunque volta il
ricondace a quelle alto luogo, onde il primo raggio discese pe' gradi del
corpo della cosa bella ed amata alia
bellezza dell' anima di essa cosa amata,
di poi alia mente e alU Idea di quella, e in ultimo a Dio, ch'e lo splendor
primario, e Pe tutto insieme di ogni
bello che sia. E per quale altra cagione hanno piu forza gli occhi di accendere i cuori, che le
altre belle fattezze deWolti, se non perche amore che nasce in ciascuno h invitato a penetrare fin entro alle
bellezze dell' anima, e qaindi risalire
a Dio, e non terminare lo appetito solamente nella superficie corporea? Udite
il Petrarca com'e'favella quando e'ragiona de gli occhi: « P«r divina bellezza indarno mira Chi g\i occhi di costei gia mai non vide Gome soayemente ella gli gira.» E nelle canzoni Degli Occhi: « Gontar porria quel che le due divine Luci sentir mi fanno. » E nell^ ultima : e quel che segue, sempre discorrendo
sopra gli effetti am-^ mirabili di
questo Giove per lo giovamento e beneficenza
ch' e' rende al tutto, ma per via di questo amore di quest' anima
dell'universo; laonde amore, ch'e della sostanza di Griove, e Dio anch'esso, o e il fiore, e
il lume piu puro dell' anima, o e T
anima stessa del mondo, la quale ordina, unisce, e mantiene immortale la natura
delle cose mortali, perche per se
morendo tutte, sua merce tutte si ringiovaniscono e si si risuscitano ; cosi
per virtu di quest' anima universale, dico di questo ferventissimo amore dal
Medesimo, cioe dal sommo bene^ tanti bem
al Diverso comunicabili si fanno, e
quindi al Medesimo con armonici numeri si riconcatenano, e dal Medesimo via via nel Di verso, e dal
Diverso nel Medesimo, con perpetua amorosa circolazione ritornano, e
percio o r anima del mondo e ripiena di
amore, o T amore e r anima egli del mondo,
come mirabilmente disse Torquato Tasso,
in quel suo sonetto esplicando in pochi versi quasi tutta la nostra dottrina. « Amore alma e del mondo amore h mente Che volge in ciel per corso obliquo il
sole, E degli erranti Dei Palte
carole Bende al celeste suon veloci o lento. L^aria, ]' acqua, la terra, il foco
ardente Misto a' gran membri dellMmmensa
mole Nudre il suo spirto, e s' uom s'
allegra, o duole Ei n' e cagiono, o
speri anco o pavente. Pur, benche tutto
crei, tutto governi E per tutto
risplenda, e 'n tutto spiri, Fiti spiega
in noi di sua possanza Amore; E,
disdegnando i cerchi alti, e supemi,
Fosto ha la reggia sua ne* dolci giri
Be* bei nostri occhi, e '1 tempio ha nel mio core. » Amore e dunque esso 1' anima dell' universo,
perche qualunque desiderio che si accende in tutte quante le creature di ogni
sorta ch' elle si sieno, quale appetito che sia il quale regna nel tutto e nelle sue parti e si
nelle specie e negli individui del
mondo, ha suo primo impulso da quelle
incentivo sovrano che ci muove ed eccita al godimento del buono perfetto, conciosiacosa che tutti i
beni comparativi, che veramente beni
sono, dal superlativo del sommo bene ne
piovono sopra di noi; e se gli appetiti nostri si smoderano, e pigliano i mali per beni, cio non da amore,
che non erra nel suo fine, ma nasce da
noi, e dalla nostra imperfetta e cieca
natura, i quali scompigliando co' fiati delle disordiaate passioni quelle
faville, te le deviano dal vero riflesso loro,
cioe dal diritto incamminamento al lor bene, onde sfavillarono da prima,
scambiandolo col falso bene, che bene ci
rassembra, impercio che noi non sappiamo alzarci dalle terrene cose, ed
in queste fermando il pensiero non come mali,
ma siccome beni gli bramiamo. M' immagino ch' e' vi paia esserci noi troppo distesamente dilungati dal
filo ; ma se amore e veramente I'Anima
dell' Universo, o Fanima di quest'
anima, sara stata simile proposizione parte principale, e molto ben fondata, e
non digressione dell' incominciato ragionamento. Imperfetto, — Ora che ne dite: non vi
par'egli che il concetto di quest' Anima
universale, di questo amore, che da
moto, regge, e mantiene, e ordina il tutto, e riscalda di esso le parti, e svegliale a gli appetiti delle
generazioni, e della conservazione di
tutte le spezie, e dell' universo medesimo, sia
una cosa in tutto e per tutto al divino spirito somiglievole, del quale poco fa discorse si altamente il
nostro Magiotti ? MagioUu — E quello
che ha proferito con si sovrano ragionamento il signor Gioseppe, e spezialmente
la difinizione cotanto sottile ed arguta
ch'egli ha seco medesimo pensato intorno alia differenza che dar si possa tra
questo amore, e 1' anima del mondo,
quanto perfettamente si adatta al divino
spirito! poiche (diss'egli) che credeva poter essere per awentura questo amore
quella porzione del1' Anima Platonica, solamente nel Medesimo consistente, e il fiore per cosi dire di essa Anima. Ora se
Platone non imbrattasse per un certo modo la sua anima con esso il componimento
del Diverso, mala facesse essere perl'appunto questo amore del Medesimo solamente fatto, che ci
averebb'egli da ridire, perche e' non
fosse tutt' una col nostro divino
spirito dispensatore per 1' universo tutto, e a tutti gli ordini delle Creature, delle celestiali grazie e
degli aiuti soprani ? Quanto poco e
mancato a Platone a non dir tutto vero?
Dafinio, A questo modo Platone
con altri vocaboli avra quasi senza
errare intesa e espostane la Trinity ; se e' 1' ha fatto per proprio lume, ell' e intelligenza
piu che da uomo. MagiotH, — E intelligenza certo piu che da nomo, e da non potersi intendere salvo cbe su '1
fondamento del credere, e chi presume piii oltre e matto, come disse il nostro Dante:
Puossi egli dir piu? Ma e' non seppero perfezionare questi Platonici il
concetto intero delle tre persone e un
solo Iddio, nel modo, ch' «lle sono, impercio che, come bene osserva il
cardinale Bessarione, seppe Plato ne
riconoscere Iddio come la prima mente, e il suo
divino intellotto colmo delle Idee, che tanto si ^ a dire la sua infinita sapienza, siccome figliolo seco
coetemo ed ngaale, e come della medesima
natura chiam5 la divina sostanza col
vocabolo del Medesimo e dell'uno. Ma non giunse poi a far rassomigliare tanto cbe basti Y anima
deir universo al divino spirito, facendola
staccare si dalla sustanza del Medesimo
; ma rinvolgendola nel Diverso con le sensibili cose e corporee, te la permiscbi5 nel suo
componimento, e percio riconobbela come inferiore e non uguale a Dio, e al
suo Divino intelletto; e questo impercio
cbe tra due cose tra se per si grande
intervallo distanti, e di disuguaglianza
infinita, reputo convenirci, per necessita, de^mezzi, n^ potette capire che la Divinitli pura ed intera tra le
cose corporali e sensibili a mescolare si avesse, cotanto tra se differenti e
lontane, senza patire macchia o difetto, e percio stimo r anima composta dell' uno e delP
altro, accio che fosse mezzana per
traportare la ragione ad armon^zzare e
perfezionare si vasto ed alto edificio, e non trapasso a conoscere che la purita, semplicita e
chiarezza perfetta, quale ella e in Dio,
non teme ombra, o contaminamento da veruna
cosa che sia. Periculum status sui Deo nuUum est, disse Tertulliano. Buonaccorsi. — V noto che Ermete si
approssima alia verita nostra piii
che cioe a dire dell' essere divino, e
della TrinitJi delle persone.
Imperfetto, — E' mi sowiene di un altro luogo di Dante, nel Paradiso, che mi pare piii bello^ e ch'
esprima bene, e nel quale discorrendo
della Trinitib specifica in ultimo lo
Spirito Santo: « Nella profonda
e chiara snsslstenza Dell* alto lume
parremi tre giri Di tre colon e d'una
contenenza: E run dairaltro, come Iri da Iri,
Parea reflesso, e il terzo parea fuoco
Che quinci e qaindi egualmente si spiri. » Con esso il ben fondato appoggio della fede,
che si contenta di non intendere quel che ella crede, possonsi dire cose altissime intorno ietlla Trinita ; ma
gli altri che fondano il loro sapere tutto su lo intendere, salgano pure
in su quanto si vogliano, che ognun di
loro in qualche parte vacilla; impercio
che non ha si gran seno la nostra comprensione. MagioUL — E di qui nasce, che Trimegisto
piglia equivoco, e non si dichiara bene in quel suo elevatissimo presupposto, e
Platone non resta capace che un Dio possa
adoperare nella materia senza termini di mezzo alPuno e all^ altra in gran parte confacevoli ; laonde
e^ s^ immagina quest' anima composta del
Medesimo e del Diverso, e svaria dalla verita, che in noi s^innesta per grazia
e per merito della fede. Imperfetto, — Ma che vuol dire che la Genesi
ancora mette che Iddio spendesse sei
giorni neUa creazione dell' Universo, e
il settimo si riposasse? II tempo, come pure detto avete, non s' incominci6 egli a computare dopo la
creazione, cioe a dire I'ordine
successivo de' giorni, de' mesi e degli anni, la cui misura sono le revoluzioni quotidiane del
Sole? e poi sempre sete venuto
affermando per cosa indubitabile che
Iddio onnipotente non abbia mestieri di distinzione di tempi, e di differenze, e di atti nel suo
adoperare, contrario a quelle che pone
il Timeo. BuonaccorsL — Iddio con sua
onnipotente mano opera in uno istante,
dico col suo Verbo onnipotente nel modo che
ne avvertisce Trimegisto scrivendo a Tazio, che il sommo Architettore col Verbo, non con le mani, ha
fabbricato il mondo. II suo Verbo dunque
con un atto solo indivisibile per5 e' fa
tutto. Imperfetto. — Ora dunque che
cosa vuol' ella dire la Genesi cental divisione di giorni, che suppongono atti
diversi? Ella ne pone pure una verita
infallibile ? E poi dice che Iddio si riposasse: puo capire in un Dio la
fatica, la lassezza e perci5 V aver uopo
di quieto ? Saracci sotto qualche mistero.
Buonaccorsi. — Cio dice la Scrittura, non perche Dio operi con atti distinti, ma perche delP ubo de gli
atti distinti abbisogniamo noi a fine d' intendere una operazione individua e cotanto immensa di un Dio ; e pero la
Scrittura, e per avventura Dio medesimo nella creazione del mondo, e del tempo, si accomodo al nostro modo, e alle
misure che capiamo noi. Dafinio, —
Ancbe Platone e Trimegisto V avran detto
pel medesimo fine, non perche e' non avesse a sapere quali sono le alte condizioni dell' onnipotenza
divina, e per tale effetto le assegnasse
le nostre a farci intendere il suo mo' di
operare. Magiotti. — Non dico
ch' e' non possa essere, ma e' non e in
verun conto vcrisimile, che alcuno che sia aggiugnesse a quello che si arriva solamente con la iidata
scorta della grazia e del lume divino,
che per Y acquisto di una tal yerita dona Iddio a suo' fedeli solamente, e non
si puo gia mai acquistare per natura, o
per istudio. £' giunse pur troppo
innanzi col barlume del suo acutissimo ingegno; ma non potette, ne seppe dare il suo legittimo e
giusto peso alia divina onnipotenza, e
per quanto e' si alzasse con le misure,
non seppe interamente uscire dalle nostre bilancie; e pero ne parla il filosofo nostro come s'
ella avesse bisogno di un' operatrice sotto di lei a fare andare con
ordine il mondo, e farlo vivere vita
perpetua, quasi Iddio disagiare si avesse, e partirsi da suo sovrano seggio,
quando dovesse adoprare da se, ne gli
bastasse il vigore del suo divino
sermone quando disse per stabilir di
pianta in un attimo I'Universo intero,
si come e'fe', e si farlo camminare con ragione in virtu di quell' editto
irrevocabile che e impermutabile legge
ed eterna della sua volonta. Cambise, Xerse e Dario, come considera Apulejo,
standosene come serrati in un Tempio
nella Citta capitale de' loro reami a
render co' popoli piu venerabile la loro maestli, e piu sti' mabile e autorevoie la loro potenza, faceano
abbidire prontamente, e senza disdetta veruna le leggi loro per Tampiezza
de'lor dominj. E Filippo Secondo Re di Spagna
ne' tempi modemi usava dire, che dalP Escuriale governava piu d^un mondo; ed hassi a dabitare se un Dio
immobile e perfetto per sua natura
possa, senza muoversi, con an volger di
ciglio reggere e moderare il governo delP Universo? Se con un tocco di tromba una moltitudine ne gli
eserciti di presente, ciascuno per
ciascuno, si mette all' opera di quello
gli si appartiene obbedendo, senza scattare punto a gli ordini del loro
generale, e pure le leggi de gli uomini imperfette sono e mutabili a capriccio
dei Principi, e o per ribellione de'popoli alterar si possono, o perche non da
tutti s' intendano ; e la voce sonora
della Divina parola non si ha da udire
per tutto e' suoi decreti, e le sue leggi che non variano, e che sono di infinita luce e
chiarezza, come affermano i sacri proverbi : mandatum Domini lucema est, et
lex lux, 6 per cio etemi sono, n^ patir
possono alterazione o dubbiezza ; hassi
a mettere in disputa s' essi s' odano a un
tratto per tutto, e non si esegyiscano dalla natura e da tutte le minime parti del tutto, senza
ch'egli si abbia a muovere dal suo altissimo
Trono per farle eseguire ? e che perci6
se gli convenga assegnare un' altra cosa, che se, per ministro subordinato, come si e V anima del
mondo, accio che ella vada ad ogni
minima particella di esso portandole gli
ordini ec? Iddio strabondevole di forze e di potenza, di augustissima specie, Genitore delP
immortalita e la virtu stessa di tutte
quante le virtu, la cui legge sola h perfetta,
e impermutabile, per cui tutti quanti i semi fanno le special!
operazioni loro nelle nature diverse di tutte le cose ; e i Cieli, e gli Orbi, e i pianeti e tante altre
stelle, con le loro speciali revoluzioni
si volgono per la medesima con tanto
ordine, e regola bene armonizzata e distinta? Non perche dunque Iddio fosse bisognevole di tempi e di
atti diversi, ma a maggiore intelligenza
nostra, la Sacra Scrittura divise in piu atti un atto solo del divino adoprare^
e in piu tempi la sua operazione
instantanea, dicendo che Iddio e il suo
alto intendimento conobbe di far cosa buona, e conosciutala delibero con esso
la volont^, e deliberatala col suo Verbo
e col suo spirito fece il mondo, cosa per cosa,
nella divina settimana per fame capaci i mortali, che cio dovean credere, e non erano atti ad
intendere, essendo necessarie si fatte misure a noi per capire quel che non
e da noi. Dafinio. — Tant' h, io non ^ni rinvengo per
qual ragione noi abbiamo da a£fermare
che Platone non Tabbia fatto al medesimo
fine, con diverso modo dal nostro.
Magiatti. — No, perche ne il filosofo, ancor che Divino veramente
chiamar si debba, parlando cose che il tacere e bello, non poteva senza lume soprannaturale, onde ha
privilegiato solamente i suoi fedeli la
Divina prowidenza^ per quanto e' si
sollevasse alle piu alte cime, non poteva mai, dico, si a dentro penetrare, come noi facciamo con la
fede, nella cognizione imperscrutabile della divina onnipotenza ; e si
camminava, e vi saliva tentoni, e non era atto a spiccare nn volo sicuro si come riesce a noi illustrati
da si chiaro fiilgore. E poi Platone non averebbe formata Tanima inferiore,
come si h detto, rendendone per ragione ch'ella dovesse mescolarsi dove non
conveniva si permischiasse Iddio, e
perche in somma non capiva benissimo qnello che veramente fosse Iddio; imper6 egli
reputo necessaria qnesta anima fatta si
da Dio^ ma disseparata da lui per la forma*
zione del mondo, non potendo rimaner capace che la sovrana parity della
divina essenza dovesse mettersi in risico
di macolarsi in fra le cose nostre inferiori, e cio e impossibile scorgere cosi per V appnnto
il vero, si come egli e ancora che
dinanzi a gli occhi de^ mortali se ne spanda
il lustro ed una vivace splendenza.
Dafinio, — Se Apulejo T intend' egli, perche tal cosa di una onnipotenza assoluta di Dio non Fha da
capire Platone ingegno divino?
Buonaccorsi, — E per questo convien confessare che ana si ampia materia, a si alta, che si distende
in vie piii largo, ed immenso spazio, ohe il seno non e delle menti
nostre, avendo colmo, per grande e
spazioso ch' (b' fosse, quello del
nostro divino filosofo, nel volerlo abbracciare e comprendere UQ tal concetto tutto insieme, e ben
verisimile che glie ne scappasse fuori
qualche particella, ancor che atta ad ogni
capacita, introducendovela sola, nel mpdo che poche gocciole di acqua
son quelle che fanno traboccare il vaso quando
egli e gia pieno; e pero ne prese la vasta mente Platonica quanto ella poteva di si larga e strabondevole
e infinita materia; ma perche essa mente
era finita, non la potette capire e
rattener tutta ; o si pure egli e ragionevole di credere, ch' egli avesse lette
e studiate le sacre pagine di si alta
proposizione, e per farsela sua fosse constretto a mutar qualcosa, e mutasse questo; e Apulejo disse
quello, e si abbatte a dire il vero, ma
non giunse poi tant^oltre a un gran
pezzo quanto Platone, e il meglio 11 tolse da lui. Imperfetto, — Egli e certo che la verita si
fa lume da Be, ma e cosi grande e cosi
lucido ^ suo spandimento, ch' ella ne
abbaglia. Sant^ Agostino non die* egli discorrendo sopra quel luogo del Vangelo: per Verhum Dei facta
sunt omnia, in questa maniera ? Inveniuntur
ista et in libris Philosophorum, et quia
unigenitum habet Deus per quern facta sunt omnia, illud potuerunt videre quid est^ sed viderunt de
longe. MagiottL — Anzi, tutto il contrario,
impercioche per qual maniera ci6 sia, o
ch* e* se 1' abbia immaginata da se, o no,
e* s* h approssimato col suo falso tanto innanzi al vero, che piu tosto si pu5 dire ch' e' si tocchino V un
V altro con un sottilissimo confine. Ita
.... finitima sunt falsa veris, disse
Marco TuUio; e Dante: € Cos!
parlar conviensi al vostro ingegno,
Perocche solo da sensato apprende
Ci6 che fa poscia d' intelletto degno. > E pill abbasso: lo fo dunque conto che il moto non sia altro che questo, e pero secondo il
declive che le cose incontrano, per
varie sorte di canali e secondo le forze
e le resistenze in che elle si awengano, V una a petto all'altra, nasconne tante varieta di moti
nella natura, e air insu, e all' ingiu,
e pe' lati, e non V ho per cosa soprannaturale, e che quindi poi ne vengano gV
impulsi alle sensibili cose : ma egli e
che noi altri uomini abbiamo questo mode
di fare, che quando noi non giunghiamo a intendere una cosa, o noi siamo cotanto temerarj che,
perch6 noi non V intendiamo, la neghiamo ; o tanto facili, che le assegniamo
nna cagione sopra naturale, senza sapere
quelche ella si sia per quietarci nella nostra
insaziabile curiositade ; tratto di coteste cose del moto, perche in che modo
stieno i movimenti delP anima imraortale
e di sovrana fattura, ancor che io vi
opponga per mantenere il discorso, e investigare meglio il vero; io so e credo quel che io debbo
credere; ma che da noi si possa giugnere
col nostro intendere per le vie cbe voi
fate, oh ! questo io T ho quasi per impossibile. MagioUi. — Ma quando fosse quel che voi
dite, pur ci vorrebbe un geometra perfettissimo,
e sopra le cose nostre inferior!, il
quale avesse saputo con sopra natural maestria
fabbricare e situare questi canali e queste vie col loro debito declive maggiore, o minore, e posto a^ lor
luoghi si ordinatamente, e dato a tutte le variety degli umori che vi debbono
scorrere, i lor varj pesi a ragione, come non solamente nell' universe, ma anche nel microscomo
camminar si veggono tutte quante le cose con ordine, e proporzibne, e
tanti moti di vita non cessar mai finche
e^n6n si muore. Ma pure dope morte
finiscono, avvegnache i canali iie' cadaveri si
scorgano interi, e non guasti, e gli umori vi si ritrovino ; ma perduto il raoto, adunque, questi movimenti
maravigliosi non hanno 1' impulso loro
dal declive, quantunque forse il declive
gli agevoli loro, e ne apra loro le vie ; e pero e' convien credere cbe
r anima abbia sospinta, e con altra forza sospinga e muova le cose, che con quella cbe voi dite
; e s' ella venisse d* onde voi mi date
ad intendere, le maestranze appareccbiate con ordine, e con regola cotanto
eaatta, non sarieno da cagione corporea,
ma da cagione intellettuale e divina,
cb' e principio universale di moto, perch' essa e quella che adatta si maravigliosamente e dispone le cose
a pigliare il moto ed operare con tant^
proporzione e virtu. Bafinio. — Anche
le anime vegetative, e le sensitive averanno a vostra detta il loro movimento
da Dio. Adunque anch* esse immortali
saranno ? Magiotti. In sentenza platonica (contradicendo per6 in qualche piccola parte a Platone) egli e assai
agevole a sopire la vostra dificult^,
impercio che si come le anime razionali
adoperano in virtu di quel moto, vita, e azione, innestato dal Supremo Arteiice per entro la
sustanza loro perfetta, intera e
incorporea per impulso di forza infinita;
cosi il moto loro (come detto si e) e si la vita e 1' azione loro viene a essere perpetua e immortale ; ma
nell' anime irrazionali, le quali pare
che Platone abbia anch' esse per
immortali, nulla di meno, ancor che mortali elle sieno, il lor moto, la lor vita, e la loro azione dall'
anima universale riceve lo impulso, il quale compone in quelle 1' azione con quelle ordinaraento cb' esso moto ritrova
addirsi alia disposizione varia de'
temperamenti e degli organi che hanno da
muoversi; onde o la vegetabilit^ sola ne resulta, o la sensibilita con esso la vegetabilita
insieme congiunta; imperocche esso movimento delF anima universale da
sospinta alia disposizione delle parti
official! de^ corpi, e inducevi la
vegetazione, e^ sensi per il modo che noi veggiamo ; e que8ta puo
cbiamarsi sustanza mliteriale, e corporea, perche quest' anima vegetabile, e sensibile, non e
anima da s^ senza essi organi, e
disposizioni che concorrono insieme all' azione
6 alia vita, e mancando e morendo gli individui, e disfacendosi la
struttura de gli organi loro, esso moto, e azione, cbe ha Purto si bene ordinato dalla ragione e
dal movimento dell' anima del mondo, finisce di esser anima propria, e rimane nell'universale componimento
dell'anima del mondo. Ma ne anche ^
difficile il rispondervi nella vera nostra dottrina: impercio che l6 anime
razionali ricevono I'impressione de'moti loro dalla forza infinita della mano
divina, quando ella le crea sustanziali,
e incorporee, allor che finito di fare
il feto, informano il suo corpo, e perche il moto, la vita^ e le azioni loro sono totalmente
nell' anima, e dalla disposizione di
esse membra organali anzi ricevono impedin^ento e contradizione, che sveltezza
e sussidio a' lor moti divini. Essa
anima e anima ancorche fuori de' corpi, ed ha
fuori di essi piu libera 1' azione, il moto, e la vita; e percio, anche morendo i corpi, ella vive immortale.
Le anime vegetative poi, e )o sensibili corporee sono si come detto si e; concio sia che la parte della vita e
dell' azione loro consiste nell'
attitudine e positura corporale organica, e
ne' temperament! varj degli umori composti insieme, e parte nel moto, il quale avvenendosi in esso corpo
e disposizione atta a riceverlo, tra '1
temperamento degli umori, tra la
disposizione degli organi, essi corpi ottengono le azioni loro per un modo o per 1' altro dal moto assegnato
alia natura da Dio ; e percio esse anime
per tal maniera ricevon potenza di
vivere le vite loro ; delle cui vite e Tesoriera la madre natura per compartirle di raano in mano alle
nascenti cose, e succedenti V una dopo 1' altra in perpetuo. fi impero che questo moto, che s' infonde ne' corpi dal ventre
della terra, ond' egU esce, e dagl'
impulsi delle operazioni natural!, e fuoco, e aere, e umidore ne mena seco, e con fluidezza e
agib'ta indicibile per essi organ! discorrendo in varie guise, rende
vivificazione continua e accrescimento
nelle vegetabili creature, e un eccitamento di senso nelle sensibili, per quel
sovrano modo che da noi non s^ intende ;
ed essendo esse anime e formandosi per
loro un componiiuento di corpicelli, e un temperamento corporeo che le
racchiude; corporali e materiali si chiamano,
perche per se nulla non sono senz' essi corpicelli bene accordati a
ricevere il moto nel corpo maggiore dell' individuo. Buonaccorsi, — Quel che mi fa maravigliare
si e, come Yoi abbiate a mente tanti e
si be' luoghi trovati anche negli autori
di piu credito gentili ; ma a maggior miracolo della sapienza, e contemplazione di quell* uomo
esimio di Socrate, se ne leggono molti,
e n^* Apologia^ e nel Fedone, e non solo
per r immortality dell' anima, ma si e avanzato lino a far conoscere la necessita del Purgatorio, e
del Paradiso, e deir Inferno ; e avvegna
che con qualche differenza da quel che
veramente e' sono, pure ebbe talento da conoscergli ; e come che piii e piu altri ne abbiano scritto
con favolose invenzioni, Socrate ne ha
favellato da senno nel punto della sua
morte, aUor che da ognuno e'si dice il vero, e che lo intelletto non va vagando dietro a favole
finte. lo so che questi sono luoghi
letti, riletti, e considerati da tutti noi
piu e piu volte, ma toman si bene al nostro proposito, ch' egli e ragionevole di replicargli ; ed io
me ne piglio Tassunto, e vovegli tutti
recitare da capo per maggiore autentica
di quelle che ha ragionato si dottamente Don
Raffaello sin'ora. Ascoltatemi, dunque, vi prego, che io vo'contarvi cio che viene ragionando nel
Fedone con singolare e sagacissima saviezza, per rendere s^ medesimo persuaso
dell' immortalita dell' anima in quell' ultimo punto ch'egli era su il morire, assegnando all'
anime de gli uomini luoghi appropriati
secondo i meriti fabbricatisi nella vita
di qua; seutite di grazia. Ei si fignra qnesta terra non avere il colmo
piii alto della sua sfera in questa
superficie, dove ditnoriamo noi ; anzi
noi, e tutti quanti gli altri sog^ornare nelle cavitk della ten*a, e tale essere queste regioni, dove noi
abitiamo, imperci6 che e' si fa a credere la vera, nobile e piu pnra
superficie, 6 sommita di essa, sopra di quella esser locata, che da noi chiamasi atmosfera ; anzi piu in su che
1' aere non e ne'confini del cielo;
verbigrazia (che so io?) in quella purissima e lucidissima sostan^a che etere
si appella; e di quaggiu da questa bassa parte dove noi stiamo, veggendosi il Sole e gli astri, si come anche in questi
bassi paesi tante belle e maravigliose
fatture isguardando variate con tanti e
si diversi colori, che in queste nostre abitazioni si perfette ci paiono, niuna di loro aver che fare con le
piu eccelse ch' e' si vien figurando
lassu, ed essere queste imperfettissime e impurissime in agguaglio di quelle,
che si vedrebbero da chiunque si potesse fermare su Tali in que'superni luoghi,
ed ivi mirasse quelle onde son ricavate queste,
che scorgerebbe e quelle di 'tal sorta, e piu altre stupende manifatture, e lumi, e colori, oltre ad ogni
comparazione beUissimi sopra qualunque
di queste, che corrono agli occhi di noi
altri mortali abitanti in si fatte concavitadi. £ cio con molta maggior differenza di quel che si
facessero i Pesci dal fondo del mare, i
quali per entro quelle arene e pantanose caverne, non avendo volo da alzarsi su
la superficie deir acque, ne vita da
reggervi, mirano i raggi del Sole e
delle steUe penetranti giu per lo filo dell' onde tutti annacquati, e
adombrati, e confusi; laonde per cio sMmmaginassero di simiglievole maniera
essere veramente le stelle, e il Sole,
quali eglino le scorgono di colaggiu ; cosi e a noi, che non avendo piurae da travolare sopra
quelP etere, abbacinati standocene entro V umidore grossolano di questi vapori, ci crediamo la luce del Sole e le
altre cose belle, che lassti
scintillano^ non essere piu leggiadre e piu vaghe di quel che a noi e conceduto di scernerle. In
quelle altissime piagge, adunque, e le
piante, e tutti quanti i germogli, e le
cose animate, reputa che ivi sieno di somma perfezione e Don a
mutatnenti suggette e a corruzioni in verun conto che sia; e le gemme piii preziose di qua, e'
Topazii, e' Rubini, e'Diamanti stessi, e le Perle, e le altre gioje di
piii alto pregio, essere la feccia piii
impura di quelle che lassii si ritrovano
; e in somma quelle sovrane regioni di si nobili cose essere adorne, e di oro, e di argento, e
di altre simiglianti chiarissime e lucidissime sopra ogni vostro credere e conoscimento, che quivi nascono e piii
perfettamente si conservano, per guisa
che a vederle e a goderle sia veramente uno spettacolo d' incomparabile godimento^
e beatitudine. Quivi trovarsi e Paesi Mediterranei e creature ragionevoli,
molte di piii schietto intendimento, che qua tra di noi non sono, e di tanto in tanto avervi delP
Isole, le quali non lungi poste da
terraferma sono circondate dall'aere,
conciosia cosa che quello, ch'e a noi e alle nostre Pacqua e '1 mare, a loro essere 1' Etere : e in fine
tutto la ritrovarsi temperatissimo, e
per le stagioni, e per Taure che vi spirano, e vivervi quelle fortunate genti
di continuo senza ammalarsi, e forse
senza morire. Di piii giudica che vi si
scorgano ricchi tempi sacrati a gli Dii. e con esso gli Dei medesimi convivere gli uomini, e conversare
domesticamente. Imperfetio. — Mi
rassembra che Socrate quasi tenga che
tali maravigliose e ragguardevoli regioni sieno i pianeti e gli astri, dove appunto Platone colloca la
dimora delP anime, assegnata loro quando
da Dio dopo V anima universale si
formarono; a'cui beati luoghi le piii pure di continuo dopo lunghe peregrinazioni facciano ritorno. Buonaccorsi. — S' immagina appresso che per
entro tutta questa gran terra si trovino
innumerabili concavita di luoghi circolari, parte piii profondi e parte piii
alti, e piii ampi, e parte che abbiano
apertura e spazii eziandio minori di
quelli, che abbiamo noi, e piii cupi anche de' nostri, e tutti questi incontrarsi sotterra scambievolmente
tra loro, con varii andamenti ed uscite
; pe^ quali e grandi acque, dove
caldissime, dove freddissime, e voragini, e fiumi di fuochi in varii luoghi di esse sotterranee spelonche
muoversi e raggirarsi; e in altre di
esse cavity credono che umori fangosi vi stagnino e sieno menati in giu e in sn
ondeggiando, a simiglianza di uno
qualcbe gran Taso pensile che si agiti 6
muova. Dopo cio, della maggiore e pin ampla voragine favellando, che \k sotto dimori, la quale per
tntta quanta Tampiezza entro terra
trapassa e distendesi, mostra che da
Omero fa chiamata il Baratro profondo sotto terra, e da molti altri Poeti nominata Tartaro, nel
quale tutti i fiumi sotterranei
concorrono, e indi si spandono, ed esconne
ad innafQare la superficie nostra terrestre in mari, in laghi, in fonti e in fiumi Tarii disseparandosi, e con
Faria e co' fiati interiori, come anche
col movimento interne di queste acque,
formarsene i venti, i turbini, e terremoti, che scaotono la terra; e di tal
sorta di acque tiene parimente che sia
Acheronte, e la Palude Acherusia, e la Stigia, e il Piriflegetonte, e Cocito.
Ora essendo per tal maniera disposte si
fatte cose, e sopra detti luoghi i morti pervenendo, dove dal suo proprio demone ciascnno si conduce,
quivi innanzi a ogni cosa giudicati sono
secondo loro meriti, o demeriti di chi
visse onestamente, e con dirittura di ragione, o di chi fe' il contrario. Coloro, che tennero,
vivendo, una mezzana via, valicando Acheronte sopra alcuni carri, pervengono
alia Palude Acherusia, e quivi si purgano dalle colpe loro, pene patendo pari aUor falli.
Purificati poscia^ assoluti rimangono, e ciascun di loro a proporzione delle
opere buone e lodevoli ne riportano
condegna mercede. Ma queUi i quali nella
malattia e putredine delle enormita de' delitti
di varie sorte insanabili sono, precipitano nel Tartaro, d'onde mai non ritornano. Alcuni poi, che peccati
avranno commesso curabili, ma grandi, per essere prima venuti a pentimento,
caderanno si nel Tartaro, e condannati sarannovi per un anno o piu ; ma poi da quell' onde
gittati fuori^ quali per lo Gocito, come
i micidiali, quaU per lo Piriflegetonte,
come i violatori del Padre e della Madre, solamente che pentiti e' ne
fieno, vengono a galla su la Palude Acherusia, di dove chiamano ad alta voce, stridendo, que^
tali che gli hanno o£fesi, e pregangli a
lasciargli varcar la Palude, ed essere
da' lor castighi prosciolti ; il che se ottengono, pongono fine a' lor
mali; quando che no, nel Tartaro rigettati sono, si dura pena imponendo loro i Giudici. Ma gli uomini pii e giusti trasvolano a piu
alte regioni, abitando quelle beate
Provincie, e purissime, che abbiam detto
starsi cotanto sopra terra; e parimente quelli, che avendo in molte loro opere fallito, si sieno
dipoi sufficientemente purgati per mezzo della filosofia, essi pure senza corpi vivendo, hanno ottenuto in sorte dimore
anche piii belle delle sopramentovate,
le cui maravigliose bellezze non e
facile ad uomo di dimostrare : « e pero (dice Socrate) deesi, o Simmia, porre ogni studio in questa vita e
conseguir la virtu, e la sapienza,
perciocche bellissimo e 'I premio e di
gran cose si e la speranza, Che poi esse, che contate vi ho, sieno a punto in si fatta maniera, non e da
uomo di senno r affermarlo : nulla di
meno si convien credere, o che tali elle
sieno intorno alle anime nostre e all* abitazioni loro, o ad esse simiglianti; e conciosia cosa che
egli appaja con tanta verisimilitadine
che le anime nostre sieno immortali,
mette conto correre un si bel risico. Egli e adunque ragionevole munirsi
ed allestirsi a questa peregrinazione, ed
abbellirsi delli ornamenti della virtu, cioe della temperanza, della giustizia, della fortezza, della
liberty dell'anima, e della scienza
della verita, aspettando il tempo ed apparecchiandosi per essere pronto quando
ne chiami il fato.» Di si fatte
considerazioni sopra V anima immortale, e sopra sue degne prerogative aveva poco innanzi Socrate
per tal modo ragionato, quantunque non
con certezza indubitabile di affermativa, siccome colui che per altissima
immaginazione naturale, e non per divino soccorso di fede ne favellava ;
diceva bene, che tutto quello, il quale
intorno a ci5 si discorre, saria di
animo troppo debole e pigro chiunque sottilmente non V esaminasse, o repudiasselo, e da esso
si dipartisse senz' avere innanzi, con
ogni acutezza di ragione, adoperati
tutti i pesi piu legittimi de gli argomenti, e badatoci ben bene fino all' ultimo sforzo del nostro
intendere. « Impercioch6 (segue poi) fa di mestieri I'una delle due, o
apprendere in qual modo elle possano
essere, o rinvenirne totalmente il vero, e dove qaesto conseguir non si possa,
appoggiarsi ad una delle pin forti e piu
stabili ragioni umane cbe se ue abbiano,
scegliendo quella cbe abbia meno inciampi, ne
debbasi percio rifiutare, ed ivi posarsi; acci6 cbe sopra di essa portati come sopra un legno de* meno
gelosi, valichiamo per le difficultose
tempeste il mare di questa vita, mentre
non se ne abbia qualcbe pin sicaro e piu ben fondato mode, quasi un piu fermo yeicolo che ne conduca;
come sarebbe a dire, qualcbe divina
parola, la quale piu sicuramente, e con
minor risico lo ci faccia trapassare ;» la qual divina parola si 6 quella, cb' h toccata per sovrana grazia
di udire a noi introducendone nel Porto
della verita, con esso grirrefragabili insegnamenti delle sacre carte. Ora, cbe
dite di qnesto filosofo esimio, che tanto s' inoltro col lume della natura solamente, a scorgere i lumi della fede? Ma
piu eziandio percbe avea descritto la felicita de^gpusti nell'altra vita in quel discorso antecedente al Fedane,
dov* e' forma la propria apologia: ivi
dopo aver fatto suo calculo di quel che
torni meglio immaginarsi intorno alia morte, considera brevemente quello che awerrebbe quando di la
non ci fosse nulla, il che non ammette
in verun conto per credibile; e viene
poi discorrendo cosi della beatitudine delle cose di lit: «S* egli e vero, si come io credo, che
la morte sia an passaggio da queste a regioni piu felici, dove albergano e vivono i defunti; ci6 h molto piti
desiderabile e foi*tanato, uscendo gli
uomini dalle mani e dall' arbitrio di coloro, che si annoverano da noi e tengonsi per giudici,
per condurci dinanzi a quegli che
veramente Giudici si nominano e giastissimi Giudici sono, i quali temperano
colli e correggono tutti i Giudici fatti
qua, come s^ ^ o Minosse, Radamanto, ed
£aco, e Trittolemo, e tutti quanti gli altri semidei, che giustamente e fedelmente vissero. E
simigliante trasmigrazione non e da apprezzare? Andar di Ik, e ritrovarsi
a conversare con Orfeo, con Museo, con
Esiodo, con Omero e con tanti e tanti
altri santi e valorosi uomini, e un tale
stato non e da anteporre a questo, dove noi oggi dimoriamo? Che
consolazione sar^ la mia, quaudo io arriverd da Palamede, da Ajace figliuolo di
Telamone, e da si grand! soggetti fatti
rei a torto per la nequizia de* Giudici nostri,
paiagonando insieme il mio caso co' loro ? Ed ivi trovare savie persone le quali esaminino e conoscano
senza errare chi da yero e sapiente, o
chi lo si crede di essere e poi non sia,
6 udire schiettamente la sentenza loro senza passioni, e parlare, e conferire insieme i pareri non e
ella questa una scuola di perfetta
sapienza? Ne e pericolo che vi si moia,
ne di essere come colpevole ucciso; anzi, nelle felicitli loro per tutto '1 tempo perpetuo essere immortali.
Per la qual cosa torua conto pigliare
gioconda speranza della morte ; e questo
seco medesimo reputare per vero, e per infallibile, che nulla di 1^ possa intervenire di male a
gli uomini da bene, o vivi, o morti, ne
tal cosa per yeruna maniera che sia da
gli Dii porsi in non cale, e per6 io stimo piu utile senza paragone il morire che il yiyere.
» Imperfetto. — Ma della trasmigrazione
dell' anime destinate a purgarsi ne'corpi degP irrazionali, io non odo ch'e ne dica nulla? MagioUL — Platone ne fayella e nella fine
del Timeo, e da molti altri luoghi si
ricaya ch'egli si fatto sentimento ayea
come uscito dalla scuola Pittagorica : ma si come colui il quale scorgeya la yerit^ per barlume,
riconobbe non solamente che F anime immortali fossero, ma che di 1^ ci fossero i premj e le pene, e fino quel terzo
luogo per purgarsi dalle colpe; il che eziandio de'cristiani ereticalmente e per estrema foUia hanno osato di mettore in
dubbio, acciecatisi da per loro nel lume della fede, quando si yede che il lume solo naturale e stato bastante a
insegnarlo a'piti sayj gentili; ma
perche senza la yeritk rivelata andavano
tentoni e al buio, cio ricercando, non h gran cosa che nel modo dell* essere e fignrarsi simili cose
sopra il nostro intendere, non tenessero il fermo a una cosa sola, ne
giugnessero per V appunto al yero, ma si bene yariando le maniere, e il concetto, avessero per molto chiaro la
proposizione di esse in uniyersale. Ptionaccorsi. — V rimango trasecolato come
Socrate giugnesse fino a conoscere che chi mdore senza sacramenti pericola, e chi con esso i sacramenti si
salva ; impercio cbe nel medesimo Fedone
fa awertenza che quegli i quali instituirno i riti e le cerimonie, non essere
stati altrimenti stolti e yili uomini,
ma sotto velami di parole aver voluto
significare cio che di vero detto si e, a£Fermando che chinnque non
purgato dalle sagre costumanze discendera air altra vita, esso vi precipiter^
nel fango rinvolto ; ma coloi il quale
fia purificato e contrassegnato co' sacri instituti, vi andra per abitare con gli Dei. Imperfetto, — lo confesso che questo e un
gran dire per uno che la nostra
religione non professi. MagwUi, — Egli
e che la verita e una (come piu e piu
volte si e replicato), e qualunque si studia ricercarla con disappassionata bramosia, ne puo arrivare
gran parte, perch' ella ne passa d* avanti ; e s' eila non si puo
apprendere per r appunto cosi com' ella
e, pur quella luce, awegna che adombrata
e non ben distinta ne disfavilla.
Dafinio. — In fatti se noi non avessimo la certezza della fede, e' si cammina con supposti molto
fallibili naturalmente discorrendo,
massime in quella si gran differenza che si
stima essere tra gli irrazionali e noi, che ce ne sono di quelli cui non manca se non la parola a parer
uomini. Magiotti. — Per quanto alcune
bestie arrivino di lor natura ad esser scaltre e avvedute, a badarci bene,
poche o niuna giungono ad avere T
accorgimento e la distinzione, per
debole ch* ella sia, che hanno anche i bambini innanzi a gli anni della discrezione. E poi di queste
s\ difficili proposizioni hannosi da addurre veirisimigliame e non prove,
altrimente il credere a che noi siamo fenuU non sarehhe piu ere' dere, Egli e bene il vero che la divina bonta
ha dato a tutti gli uomini intelletto e
ragione, a fine ch^ essi eziandio da per
loro, meditando col lume della natura, acquistino certi chiarori di sapienza ben fondata, con
esso i quali ponderando in si fatta materia il concorso delle verisimilitudini
per rispetto alio contrarie, che s'oppongono, e che negano la immortalita ; quelle ch' e' trovano
in maggior copia e di piu vif^ore a petto alF altre, dieno aiuto a' sensi, accio che e' si rendanO piii agevoli a
credere, quel che e' non sono atti ad
intcndere. E coloro che si lasciano assorbire
dair ignoranza e trascarano la Divina grazia, e gli instramenti dati
loro per esercitarsi in una studiosa, assidua, e acuta contemplazione intorno a si alte cose,
o chiuggano affatto gli occhi, e
credano, e se cio non fanno, tal sia di
loro ; impercio che eziandio i piu dotti e sayj gentili, come avete inteso, hanno talento di pervenirvi ;
ora se questi uomini di si sovrano intendimento, e per essere gentili, con libera conscienza di tenere e pubblicare cio
che loro piii ragionevol parea, hanno si
fermamente insegnato altioii r
immortality dell'anime; convien pur confessare che le probabilita grandi ci
abbiano e senza paragone in piu novero e
di piu forza che dalla parte ayversa non sono.
Dafinio, Noi siamo tanto gelosi
di questo vivere, che in dubbio non e
gran cosa che gli uomini, come condizione
tanto per loro desiderabile, abbian piu volentieri tenuto e per piu vera Timmortalita delPanima che la
mortalita; imperci6 che a quel tornare a non essere, chi e colui che non si senta tutto turbare, e raccapricciarsi,
meditandoci sopra ? E pero anzi la
passione che la ragione ha dettato loro
questo parere, come piu confacevole alia nostra natural
propensione. Magiotti. — Un Socrate
tanto superiore ad ogni umana affezione,
di cosi sublime sapere, si spogliato di tutte quante le cupidigie deUa terra, e tanto indifferente
del vivere, alia sola virtti tenendo
fisso il pensiero e il volere, si ha da
credere che, deluso dalla propria voglia di vivere, mentre lietamente moriva, abbia in questo a fallire?
Per la qual cosa puo sicuramente
affermarsi lui aver ci6 giudicato per
forza dMntendimento, non per stimoli di umanitade. Dafinio,
Son cose che la fede ce le insegna, e noi dobbiamo crederle; ma iTho per
troppo ardimento farsi a credere di
capirle naturalmente. Buonaccorsi. —
Gnardate se la veritii ci viene tra le mani,
dove noi non ci turiamo gli occhi, e la vogliamo conoscere ! Secondo
Platone le anime ritorneranno a'corpi umani; secoDdo Porfirio le anime sante
non ritorneranno a' mali del mondo.
Congiungansi (dice sant'Agostino) queste due sentenze, che ameudue insieme
dicono il vero, quantunque paia che,
ognun da se, e Platone e Porfirio si contradicano ; impercio che V anime non ritorneranno (egli e
vero) a' mali del mondo, ma si bene
ritorneranno a'corpi, per essere o nell'
Empireo eternalmente .premiate con esse le membra corporee, o nell' Inferno punite. Dafinio,
Gia noi sappiamo manifestamente V immortality deir anime, e solamente vi
ho contradetto, acci6 che,
rispondendomi, ambo venghiate a proforire si belle e maravigliose
proposizioni, come fatto avete; come altresi accio che niuno si persuadesse ch' ella si chiara
fosse per lame naturale, che si perdesse
o nulla valesse il lume della fede, nel
modo e per la stessa ragione ch'e stato il vostro giudizioso pensiero. MagioUi,
Ed io ho difesa questa verity infalHbile con si gran copia d' argomenti di probability.,
che udito avete, perche non si avesse
per impossible, e si tenesse alieno e
lungi da ogni sussidio di naturale ragionevolezza quelle che noi siamo obbligati di credere; laonde
dovesse essere in gran parte
compatibile, come ben fondata su prove autentiche, e per argomenti forti in
natural discorso, V opinione d' Epicuro, e di chiunque vuole dell' anime la
mortalita: e fin qui mi sembra essersi a sufficienza ragionato che le razionali anime immortali sieno,
parendomi ora mai tempo che dal signor
Gioseppe si ripigli il filo del Testo
Platonico, secondo la fattura che il Timeo s'immagina di questa anima universale, da cui pur troppo
deviati ci siamo. Luigi. — Ma dell'
anime ragionevoli quali sieno le faculta
loro, a differenza delle sensibili, e quali stromenti ell' abbiano per
le loro operazioni, avremmo caro di udire.
MagioUi, Non e tempo a proposito
di favellarne adesso, essendo una
materia da se, la quale a suo debito luogo verr& proposta, concio sia cosa che la dottrina del
Timeo, cni abbiam dato principio,
verrebbe presto presto in dimeaticanza, poiche giunti noi siamo a casa, e il
ragionare e andato piu oltre che io non credeva, e sono tre quart! di ora ch' e' sono sonate le ventiquattro ;
risolviamo quanto prima di andare a
cena, e domattina che riposato avremo e con
gli spirit! piu quieti, tirerassi innanzi il ragionamento d! quest' anima universale secondo il Teste, e a
vo! si appartiene discorrerne, signor Gioseppe. Buonaccorsi,
Quando sarete desti, e che vi parra 1' ora, venitemi prontamente a trovare, che io
obbediro ai vostri comandi, quando vi
sia in piacere, perche (come ben sapete) io dormo poco, non avendo fumi di vino
da digerire, che mi vadano in su. Che gli uomini non abbiano qua ferma dimora,
e che ad altri luoghi destinati sieno
dal Fautore Eternale, tra molti e molti
argomenti che se ne scernono, quello pare a
me sopra gli altri aver grandissima forza, della inistabilita degli animi loro, imperciocche della varieta
dilettandosi mai sempre senza costanza
veruna, niuno soggiorno ci ha, quantunque soUazzevole e desiderato da loro, il
quale allorche e' vi giungono gli fermi
e gli quieti, e noioso in breve loro non
divenga, altrove ben tosto rivolgendo il pensiero. Ecco noi, attediati dalle bellezze piu deliziose e
piu magnifiche di Tusculo, alle piu
naturali e di niuno artificio di Nemi in
si virtuosa conversazione venuti semo, che meritamente esser questi i piu grati diporti di Diana gli
attribuirono, e non molto andra che
anche qui rincrescevole la dimoranza ne
fia, e ad altri paesi dirizzeremo il desio ivi perfetto e non mai
sazievole godimento aspettando, ma cio indamo, imperciocche stabile fennezza
non otterremo gia mai, finche vita
avremo : si parimente, di qualunque altro diletto favellando, cui volga I'umana
condizione sua cupidigia, quella nel
conseguirlo non ferma il volere, anzi sovente disvuole cio che pur voile teste, il che ne insegna
Lucrezio in que'versi, favellando degli
uomini: « Haud ita vitam agerenty ut
nunc plerumqite videmua: Quid aibi
quiaque velit, nescire, et qucerere semper;
Commutare locum, quasi oniLs deponere posait. Exit acepe foras magnis ex cedibus
iUe, Esse domi quern pertaesum est,
subitoque reventat; Quippe /oris nihilo
melius qui sentiat esse. Currit, agtns
mannas, ad villam prcecipitanteTy
Auxilium tecteis qvMsi ferre ardentilms instans; Oscitat extemplo, tetigit quom limina
villce; Aut alit in somnum gravis, atque
ohlivia qua^t; Aut etiam properans urbem
petit atque revisit. Hoe se quisque modo fugit : etc,
» cioe a dire, annoiato fin di se
stesso si fugge, e da se allontanar si vorrebbe, cio e V anima che s^ inquieta
e trasporta il corpo in qua e in la, sua
debita residenza qui non avendo;
solamente lo studio della scienza (non ci ha dubbio alcuno) ne appaga, ne mai ci satolla, percbe questo
solo e degno pasto e proporzionato
delPumano intendimento, si come cibo
divino, conciossia cosa che ha per oggetto e per fine la verita delle cose. « lo veggio 1)611 che giammai non si sazia Nostro intelletto, se '1 ver non lo
illustra, Di faor dal qual nessun vero
si spazia, » disse Dante, adornamento e
lume della Poesia Toscana. Ma egli e ben
d' awertire, che il sole per quanto illumina, e si comprende in un attimo di sua luce V
ampiezza^ nondimeno mirandolo fisso ci
abbaglia, e nol possiamo patire, non che
distinguer raggio per raggio. Nelio stesso modo e^ si scorge a un tratto la chiarezza della verita
universale, cioe lo splendore che ne
circumfulge della sapienza divina; ma chiunque
si affisa in lei, perdesi, la vista confondesi, ne si possono per alcun modo
discernere a un per uno i lumi di sua
infinita virtude, cioh a dire le cagioni special! de'miracoli della natura :
Molto si mira, e poco si discerne >
disse lo stesso Poeta. Per guisa che ne apparisce (egli e il vero) un certo bagliore, e abbiamo le imagini
delle cose vere nelPanima; ma in ogni
modo si annebbiate rimangono intra le
caligini onde noi siamo involti, che per una piccola favilla che in noi di
quando in quando del vero riluca, ne
aduggia la mente per lo piu una nuvola viepiu grande del falso. Cio riconobbe Socrate, come che
piu altamente di ogni altro e^
contemplasse quest a lampada accesa, imperocche avvidesi ben tosto di non aver
V occhio dell' aquila, e quietandosi
anch' egli all' imperfezione dell' umana natura, pronunzio al mondo quella
sentenza che noi dicemmb da prima: Qiiesf uno to so, che nulla io so.
Sopra I'esperienza, dunque, di
cotant'uomo chiarito anch'io, m'acciiigo solamente alia meditazione di me
medesimo, mosso da quel savio
ammaestramento, scolpito cola nel Tempio d' Apollo : Conosci te stesso. Tale si
e la vera e piu sincera scieiiza^ ove
dee studiarsi ciascuno di pervenire, a intendimento di potersi di se medesimo valere a ragione,
usare de' proprj strumenti per quello a
che dati ne furo, e non iscompor 1' ordine col quale a perfettissime operazioni
gli dispose il Maestro Eterno. II piu delle creature noi veggiamo esser
composte di corpo e di spirito, e niuna piu soUecita cura per natural talento porsi da loro, quanto di
conservare e 1' uno 6 gli altri insieme
congiunti a mantenimento ciascuna del
proprio individuo ; per la qual cosa elle s' ingegnano di ristorargli, e
da tutte le corporali infer mit^ di tenerli sani, solamente a fine di sottrargli da ogni
rischio di separazione; il medesimo ne piu ne meno gli uomini fanno, imperocche
null' altro per loro s'attende che ad investigare rimedj contr' a' mali del corpo, ma poi poco
o nulla si bada agli antidoti contro le
malattie dell'animo. Di questa arte
nuova di medicina von-ei, impercio, che maestri esperti noi divenissimo,
e si come i medici il piu della dottrina loro
nella Notomia ripongono, ancora a noi tutta la nostra in essa fondare e richiesto, cioe nel
conoscimento con ogni studio di noi
medesimi. Ma lo intendimento nostro fia al
sicuro d' assai piu pregio, conciossia che i medici riveggon sottilmente ogni minuzia del corpo umano, e
gli ordigni considerano, e lo
intrecciamento di tutte le membra, di tutte
le viscere e di qualunque delle piu minime particelle interiori, a fine
d' intendere le operazioni yitali ; ma cio e solamente per temperarle e per
ricomporle, qualunque volta stemperare e
scomporre si veggiano; dove in questa disciplina novella s^insegna la valuta si
e la situazione degli organi in quanto
e' servono per canali de' sensi ; ma perche
e^ sono ancora la sede delP intelletto e deW altre potenze deiranima, imparasi eziandio per tal via come
mantenere ben d' accordo due movimenti
contrarj sotto le leggi del dovere, e
come P intemperanza deU'uno moderare con la
temperanza deU'altro. Di modo che questa utile e salutifera scienza
della Notomia, adottata con proporzione e a
soccorso della natura, e altresi a correggimento dell' animo, essa ne fia giovevole per a quella felicita
per venire, ove ansiosamente aspirano i saggi, cioe a godcre mente sana ia corpo sano; percio mirabilmente Platone nel
Timeo definisce la sanit^^ essere una
comuae concordia delP anima e del corpo,
cioe quando il corpo e valido e fermo sotto un animo molto piu valido; ma acciocche in tal materia
con debito ordine io proceda, diro, come
in principio mi si parano innanzi tre
operazioni tra se diverse insieme congiunte nelV uomo, le quali pure in varie
sorte di specie si raffigurano r una
diversa dalP altra. Ecco, nelle piante e 'n tutte quelle cose che si nutriscono e crescono, opera la vegetativa sola, imperocche esse mancano del sentimento
; ne' bruti la sensitiva insiememente
con la vegetativa, essendo che la
seconda e consecutiva della prima, e pero crescono, nutrisconsi, e di piii
hanno sensi; ma agli uomini si dee arrogere la ragionevole, che e la piu
perfetta, ond' egli hanno senso,
crescono altresi e nutrimento rioevono, ma soprattutto gl'informa lo intelletto
e la mente. Tali sono quelle diverse
qualitadi o moti (che noi dir gli vogliarao) che anime da' naturalist! si chiamauo, cioe tre forme
dove elle sono disgiunte e in oggetti di
specie disformi allogate, conciossiache ciascuna da loro V essere, la vita ; ma
egli h manifesto che chi e piu perfetto nella sua fabbrica e capace di tutte queste operazioni varie, e impero nell'
umana natura esse si riconoscono si per
movimenti diversi, ma a una medesima e sola forma adattati, cioe a dire come
potenze distinte d'un'anima sola, in
quanto che tutte hanno a essere
instrumenti della ragionevole, e sotto di quella operare: percio (se ben mi
torna in mente) dissivi un giorno esger
raccolte in questa piccola architettura delP uomo tutte le potenze delP universo, e sino trovarsi
effigiata in lui 1' imagine della divina
mente, la quale allora quel piu risplende, che noi stenebrare la sappiamo da'
nugoli degli aifetti, e tener monda e
ben custodita dalle sozzure e dalle
corruttele dei sensi. Ora dunque per piu agevole intelligenza di questo dir ne conviene (non mi sembra del
tutto inutile, ovvero lontano dalla
materia proposta) il venire in ragionamento sopra le opinioni che s' ebbero
negli antichi secoli da quel grand'
uomini intorno a quest' anima, talmente che
molti 1' assegnarono all' universo, come principio in esso e cagione del moto, pel quale si trasfondesse e
si traducesse da piu alto cominciamento
la virtu seminale nella natura maestra
di tutte le innumerabili generazioni che si fanno nella materia. Quindi con viepiu agevolezza
trarremo argomento di quel che sia 1' anima che essi appellano vegetativa, e si
pure gli organi dove s' attaccano i suoi movimenti speciali, come e a dire nelle piante; indi
trapasseremo alia sensitiva, dove
acconciamente si potr^ dell' edificio de' corpi
trattare, per poter poi, staccati dalle sostanze piti basse, favellar dell' anima ragionevole e delle
quality eccelse ch'ella ebbe in dote
dal. suo Fattore; poscia farem riflessione siccome r uomo per mezzo di quelle
dee istruire se stesso nella virtii
morale che alle leggi ci regola dell' intelletto, mantiene incorrotta in noi la
sembianza della suprema ragione, e apreci la via e ne illamina per ritrovare
quel bene perfetto, che noi tuttodi alia cieca in qaa e 1^, e spesso in oggetti a lui del tutto contrarj andiamo
cercando. Offizi della facoltd delta ragione. Luigi, Nella regione, dunque, di sopra ha suo trono
la ragione. Magiotti,
E per cio ad essq, si appartiene di comandare a quella che sta di sotto,
e governarla e tenerla a freno, come
compos ta d^ una moltitudine di yassalli, per lo piii sfrenati e senza regola, e percio da
questa sotto il suo comando si conviene
all' altra obbedire. Luigi, Ma se ella
e piena di tumulto e di confusione
recalcitrer^ per lo piu. Laonde non occorreva darlaci, mentre alia parte
razionale diventa molte volte contraria e
rubella. MagioUi, Anche questa « atta a divenir ragionevole
se alia ragione obbedisce, e a^suoi savi
ricordi; anzi a quella sovrana
dominatrice tocca di rimetter Y altra al debito segno, e valersene a tutte le azioni lecite e
lodevoli, che eUa risolve di fare.
Essendo^ dunque, la ragione signora nella superior parte del corpo, ivi e dovere che alloggino i
suoi piu principali e piii confidenti rainistri; acciocch^ le assistano siccome
consiglieri primari, e questi sono le facoltk, pero dette potenze principali delP anima. Luigi,
Ma queste quali son elleno ?
Imperfetto, — Memoria, intelletto e volont^; ma dichiaratene di grazia
qua' sleno veramente gli offizii loro. Magiotti. —La memoria conserva nelF
archivio e nella segreteria che ella ha
in custodia e sotto sua chiave la
maggior parte degli oggetti varii che le sono cola entro tramandati da' cinque sensi che detti abbiamo
; per le cui porte s' intromettono come
dispacci di belle e varie no vita tutte
le specie, e immagini esteriori sensibili; e siccome molte, data loro a pena un' occhiata, yi si
ripongono senza badarci come di non
grande importanza; alcune poi di maggior rilievo dall' immaginativa o fantasia,
come detto si e, pongonsi innanzi
all'intelletto, dove egli, come dentro uno
specchio ben chiaro, a posat'animo le rimira; avendo egli r incumbenza di considerare diligentemente e
di intendere quel che esse sono,
recandone poi alia ragione un giusto e
puntuale ragguaglio. Questa appresso ne discorre seco maturamente, e
esaminano insieme con aweduto raziocinio e
con ponderate riflessioni se elle son buone o triste; e per tal modo ne nasce il giudizio, col cui
consiglio la volonta delibera di fame
conto o di lasciarle. E percio di si ben
ayvertita deliberazione, e della esecuzione di essa, ne ha la cura la volonta, la quale firma il decreto di
volerle, o di non le volere secondo la
disposizione del sopraccennato consiglio supremo. Luigi,
Dell'ingegno pi6 o meno vivace degli uomini nel discorso di questa porzione superiore,
voi non ne avete favellato punto ne
poco, quale e la sua funzione. E' si dice
pur tutto di: il tale ha belPingegao, ha ingegno vivo, e uomo d'ingegno spiritoso; insomma pare che
chi non ha bell' ingegno, non abbia
discorso ne attitudine, e quasi stolido o mentecatto sia. Magiotti.
L' ingegno, per dir quello che all' improwiso mi viene ora in mente, crederei che fosse una
fabbrica interna dell' uomo, che si forma per mezzo dell' intelletto e della memoria; e percio giudico che 1'
ingegno si risvegli con agevolezza in
una mente doviziosa d' immagini varie,
raccolte insieme in piu tempo, o dall' osservazione d' innumerabili cose
di diversa maniera passate pe' sensi, o dalla
lettura di piu e piii sorte di sentenze, le quali cose abili sieno a
muoversi con agility e dieno stimolo e apertnra
alia chiarezza dell' intelletto di inventare e di formare di quelle medesimef accozzandole o innestandole
tra loro con bel modo, nuovi e
maravigliosi disegni per entro la mente,
onde ne result! un concetto leggiadro e vivace, il quale ancorche di piti e piu belle cose altre volte
a noi note composto sia, giunga nondimeno nuovo, e generi maraviglia in chi Tode; tanto che perche un ingegno produca
e fabbricbi da se medesimo, vuolci la memoria che presti delle piu belle immagini che ella in se contenga, e la
fantasia e r intelletto lucido e
distinto il quale le sappia con belP ordin
collegare e attaccare V una con V altra in guisa, che di piii cose vedute a avute fra mano, se ne
concepisca un' altra da se, nuova e non
piu veduta o sentita. £ allora piu belli e
piu vaghi si partoriscono simili concetti ingegnosi, quanto maggiore raccolta e di piu pregiate cose
abbia la memoria fatta innanzi conserva.
Yero e che glMngegni si variano r uno
dall' altro e piu pronti riescono e piu veloci, e vie piu atti a bizzarri e spiritosi concetti; e con
piu o meno prestezza te gli formano secondo i temperamenti diversi della corporatura di chi gli possiede. Imperciocche
come gli spiriti che salgono dalla
porzione inferiore abbiano la lor tempera
fervida e secca; di subito con la vivacita loro da uno moto e stimolo all' intelletto e alia memoria, che
molte volte, senza dar tempo a veruna
ponderazioue degli atti secondi, di presente alzano moli ingegnose di vari
pensieri alti e di spirito ; e quindi
giudicherei che nascesse quello che entusiasmo si chiama, il quale non rassembra dissimile a'
sogni, imperciocche i sogni si formano dormendo di pezzi dalla immaginativa, e
lo piu sovente senza conclusione; e i parti dell' ingegno stesBO negli uomini
appena desti, e a cervello riposato la
roattina al buio, anch' eglino vengono in luce alia mente, e rappezzansi parimente di varie specie, onde
io repute ch' e' sien anch' essi (sto
per dire) sogni a proposito. E cio piu o
meno vivacemente succede, e piii tosto, o piu tardi, secondo che la fierezza o agility degli
spiriti muova le potenze deH'anima a simiglianti operazioni. e all'ora dicesi
deir uomo che egli abbia piu o meno pronto V ingegno. Di qui parimente avviene che chi ha piu bello
ingegno, abbia sovente meno giudizio,
imperciocche T uno colla sua teraperatura minuisce V abilita dell' altro ;
essendo che 11 giudizio Yuole lentezza e
flssazione di riflessioni fatte dalla ragione
6 dair intelletto insieme, per esaminar sottilmente e rivedere 11 conto a cio che sovvien loro. La cul savia
operazione ha duopo dl spiriti meno
ferventl, e che vadan di passo e non
corrano con Tali spiegate a dar moto alle loro azionl e deliberazioni ; e per cio V Ingegno
ordinariamente da per se sapra formare
abbpzzi blzzarrl e graziosl, e molte volte
subllmi e n(»blli conforml alle specie, che gli spirltl agili e accesi a un tratto nella mente soUievano, ma
non mai ben forniti di fare, se '1
giudizio con la su^, esattezza non da
loro Tultima mano. La qual cosa chiaramente si osserva neU'esempio de'pittorl tra' quail molti che
hanno spirito piu elevato e piu vivo si
veggono fare in un baleno schizzl di
varie figure ciascuna da se atteggiate con si bella propriety ed espression di
aflFetti, che sembrano aver moto e vita;
ma al comporne poi una tavola o una storia tutta insieme, non riescono nel disporle con
maestrla a' lor debitl luoghi, ne' quali
tornino bene per esprimere le attitudini e
i sentiment! corrlspondenti T una delP altra con ben aggiustata
simetria) Intorno a quello che slgnificare elle abbiano, perche a cio fare vuolsi attenta applicazione
e fermezza, che e opera dl giudizio, 11
quale mlsuratamente ne forml la
composizione, e piu e piii volte cancelli e rltaccia; ne tal cosa si puo comporre e mettere insieme In un
attimo a forza di vlvezza d' ingegno,
come 1 priml sbozzi si fanno, obbedendo
la mano alia velocity de* mossl fantasmi. Convien dunque fermar per vera e per indubitabile
sentenza, che quanto piu V uomo con la
continuazione dello studio e sotto una
bene accurata dlsclpllna negli annl piii teneri abbia megllo assodato e fissato 11. giudizio, anche
nelle persone dl spirito e d' ingegno ;
cotanto piii chlari e distintl e meglio
perfezionati vengon gli abbozzi loro Ingegnosl; onde la differenza in
tantl e si varj modi da un Ingegno alP altro si scorge; e questo e quello cbe
io so immaginarmi intomo agli nomini d'
ingegno, e quel che veramente questo sia, e
che adoperi nel ricettacolo della nostra mente. Ma per affermare quel
ch^ egli e, e se tale sia quale detto abbiamo, e se di tal maniera si facciano le operazioni
sue, come anche delle altre facolta delP
anima, Y bo per cosa molto oscura e
fallace. Imperfetto, — Io stimo
certo cbe voi abbiate detto quanto se ne
possa dire, e sembrami in ci5 essere pienamente sodisfatto. Ma tornando alia
volonta, questa entro di se puo dire il
si o il no; ma chi eseguisce sotto il suo ordine? Magiotti, — Per eseguire quel cbe si e in si
prudente conBulta determinato di volere, o non volere una cosa, egli e d'uopo cbe la volonta abbia i ministri sotto
di lei, a cui ella dia gli ordini. Luigi. — Ed essi ministri dove alloggiano
? Magiotti, — Questi i sopraccapi sono
della regione piu bassa, nella quale
comandano i due moti piu principali
sensibili, cbiamati il concupiscibile e V irascibile ; V uno e r altro promotori e caposquadra di tutti gli
affetti dati per guardia e per satelliti
alia ragione, accioccbe eseguiscano con
prontezza quanto da quella vien loro imposto: verbigrazia, i moti del
concupiscibile hanno da desiderare e
cercare il conseguimento di quel cbe la volonta, d' ordine della ragione ba determinato per buono;
ovvero ad accendersi il moto dell' irascibile per aborrire e per torsi
davanti quel cbe la ragione col suo
consiglio ba giudicato per non
buono. Imperfetto. — Questi duo
adunque (che appetiti si cbiamano) in vigor degli ordini eseguiscono quanto la
volonta comanda loro; ma in cbe modo e
con quali strumenti cio fanno? Magiotti, — Spediscono ciascun di essi
numerose scbiere di spiriti, e di quelli
di mano in mano, cbe sono sotto la
condotta o giurisdizione delFuno o dslP altro arruolati, a dar sospinta a' movimenti necessarj delle
mani, dei piedi e delle altre membra
corporee a fine di pigliare ii possesso di quel che place alia ragione, a per
mettere in fuga e discacciare cio che le displace. Luigi,
Ma come si fanno elleno tante operazlonl la dentro in si poco spazio? Magiotti, — Egli e da sapere come queste
operazlonl fannosl dagli spirit! che sottilissimi sono, quantunque corporei
; ma le azlonl della mente sono
Incorporee come chi le governa e
dispone, e pero gli organi nostri aprono loro gran vie per Insensibili e minime che elle ci paiano.
Eccitandosi dunquein questa parte inferiore delP anima nostra divers!
affetti 6 perturbazionl, secondo la
varieta degll oggett! che per via del
sensl se le rappresentano ; subito la parte ragionevole sommlnistra e prescrive il modo di regolare e
modlficare essi affetti, lasciando bene
a nostra disposizione ed arbitrlo di
consentirv! o no con la volonta. Laonde se la parte razionale si lascla vincere
dalP affetto, e qudlo fa che 11 moto
irraglonevole le detta, egli e segno che la volonta sprezza gli ordini della ragione, e f a a modo degli
appetlt! disobbedienti, dove se ella alia ragione accostandosl e alle sue savle persuasioni, volta le spalle alP
affetto e lo doma, allora essa la
volenti regge e fa altresi la porzione inferiore ragio- nevole divenlre. Vero e che le faculta dell'
anlma ragione- vole non vogliono mai
quello che non sia effettivamente buono,
o che da loro per buono accettato non sia. Orazio Ricasoli-Rucellai. Ruscellai.
Keywords: gl’amori di Linceo, imperfetto? perfetto – perfetto bugiardo. --. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Rucellai”
Luigi Speranza -- Grice e Ruffolo: la
ragione conversazionale dal guazzabuglio al possibilismo come terapia
eutimistica – la scuola di Cosenza – filosofia calabrese -- filosofia italiana
– Luigi Speranza (Cosenza). Filosofo
calabrese. Filosofo italiano. Cosenza, Calabria. Torna a Roma dal fronte della
campagna greco-albanese della seconda guerra decorato con IV medaglie al valore
per diverse intrepide azioni contro il nemico, in cui e ferito con arma da
fuoco trapassante il petto. Organizza in seno al ministero dell'interno una
cellula di resistenza partigiana, che gli vale l'attestazione di partigiano
combattente e una medaglia di bronzo al valore partigiano. Per via della
delazione di un componente del gruppo di resistenza è arrestato dalla banda
Pollastrini-Koch e incarcerato alla pensione Jaccarino in via Romagna. Trasferito
in Regina Coeli, condivide la cella con PINTOR e SALINARI, discutendo del dopo
liberazione. Trasferito a via Tasso e interrogato da Kappler. L'iniziale
sentenza di morte e commutata in deportazione. Qualche ora prima
dell'ingresso degl’alleati in Roma, all'abbandono di Roma da parte dei tedeschi,
usce dal carcere insieme per essere avviato su uno dei III torpedoni in attesa
a Piazza S. Giovanni per essere deportato in Germania. Un IV torpedone e invece
quello destinato all'eccidio di La Storta dove e ucciso BUOZZI. Lee SS gli
impedeno il suo proposito di salire proprio sul IV torpedone, scostato dagl’altri,
avvalorando la tesi che l'eccidio e pre-meditato e non una reazione impulsiva
del comandante. Costretto a salire su uno dei restanti III torpedoni, si getta
mentre il convoglio e in marcia. Riusce a far perdere le tracce e a liberarsi
nonostante le S. S. hanno fermato il convoglio e lo insegueno nella campagna
nei pressi di Ficulle. Dell’arresto e prigionia da conto in "Roma -- storia
della mia cattura e fuga dalle S. S. dai nazisti” (Roma). Al termine della
guerra, ha la carriera di notaio a Grosseto. Uomo colto, conversatore brillante
con battute spesso umoristiche. In occasione della trasmissione "Testimoni
oculari" di S. Zavoli, circa la detenzione a Via Tasso, venne intervistato
il fratello Sergio. La sua condizione di laringectomizzato per il tumore alle
corde vocali, e probabile causa della mancata intervista. Tuttavia non è
citato nella trasmissione, in quanto il fratello omite di nominarlo
nell'intervista, causando uno spiacevole dissapore familiare, tenuto conto
delle drammatiche e indimenticabili circostanze di quei momenti vissuti
insieme. Amico e intrattenne corrispondenza tra gl’altri, con ORLANDO,
LEVI, RAGGHIANTI, BALDINI, TROMBADORI, VALERI, MORANTE, CASSOLA, MELLONE
(‘Fortebraccio’), GUERCIO, RIPELLINO, GABRIELLI, E STERN. Notevole la mole dei
suoi saggi filosofici e il cui interesse di pensiero, investe gli argomenti più
disparati. Altri saggi: “La cosmologica” (Roma, Signorelli), opera
poetico-filosofica. Fonda la “metafisica possibilista” basata sulla teoria della
relatività generale e della fisica dei quanti; "America come pre-testo"
(Roma, Ventaglio); "Il possibilismo: suggerimento filosofico
eutimistico-terapeutico” (Roma, Mancosu); "Guazzabuglio"; “Quadri di
una esposizione” (Roma, Barone); “Guazzabuglio” (Roma, Croce); “Oltre gl’ali di
Icaro” (Roma, Mancosu). Nicola Ruffolo. Ruffolo. Keywords: Icaro, Cosmologica,
possibilismo, guazzagublio, lo specchio del diavolo, implicatura eutimistica-terapeutica.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruffolo” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza-- Grice
e Rufino: la ragione conversazionale del commentario filosofico – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Aquileia). Filosofo italiano. Aquileia, Udine, Friuli-Venezia Giulia. He comments
some ‘saggi’ by Origen. Tirannio Rufino.
Luigi Speranza --
Grice e Rufo: la ragione conversazionale -- NAM CVM ESSET ILLE VIR EXEMPLVM VT
SCITIS INNOCENTIÆ CVM ILLO NEMO NEQVE INTEGRIOR ESSET IN CIVITATE NEQVE
SANCTIOR NON MODO SVPPLEX IVDICIBVS ESSE NOLVIT SED NE ORNATIVS QVIDEM AVT
LIBERIVS CAVSAM DICI SVAM QVAM SIMPLEX RATIO VERITATIS FEREBAT – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo Italiano. Scolaro di Panezio. Combatte sotto Numanzia agl’ordini
d’Emiliano SCIPIONE (si veda) come tribunus militum ed e pretore
urbano. Al pari di MARIO (si veda) – e SCEVOLA augure, R. segue come
legato Quinto Metello nella guerra contro Giugurta. Quando Mario, quale
console, assunse il comando dell’esercito, R. ritorna a Roma. Console. R.
segue l’amico Marco Scevola l’augure nel suo pro-consolato d’Asia. Condannato
ingiustamente per accuse di nemici che si è procurato con la sua rigida onestà,
R. vive da prima a Mitilene e poi a Smirne, e rifiuta l'invito di SILLA (si
veda) di accompagnarlo a Roma. CICERONE conosce Rufo a Smirne. A Smirne, Rufo
scrive un "De vita sua" e una storia di Roma. È oratore. I suoi
discorsi hanno per la loro aridità impronta del Portico. Coltiva gli studi
giuridici. Militari romani e politici romani. Console della Repubblica
romana. Muore a Smirne. Gens: Rutilia. Console. Militare, politico e storico romano.
Comincia la sua carriera militare al seguito d’Emiliano Scipione Africano
minore, nella guerra in Spagna. R. è legato di Quinto Cecilio Metello Numidico,
proprio nel corso della guerra contro Giugurta, durante la quale, fra i sotto-posti
di Metello, vi è anche Gaio Mario. Si distinse nella battaglia del Muthul, nel
corso della quale fronteggia un attacco di Bomilcare e organizza la cattura o
il ferimento della maggior parte degl’elefanti da guerra numidici. Eletto
console, ha come collega Gneo Mallio Massimo, il quale arriva secondo
all'elezione. Le sue iniziative principali riguardarono la disciplina militare
e l'introduzione di un migliore sistema di addestramento delle
truppe. Legato di Quinto Mucio Scevola (si veda) l’augure, governatore
della provincia d'Asia. Aiutando il suo superiore nei suoi sforzi di proteggere
i provinciali dalle malversazioni dei pubblicani, R. si guadagna l'inimicizia
dell'ordine equestre, al quale i pubblicani appunto apparteneno. Venne citato
in giudizio con la grave accusa di estorsione ai danni di quegli stessi
provinciali che lui ha fatto tutto il possibile per proteggere. L'accusa è
sfacciatamente falsa. Ma, poiché le giurie della quaestio de repetundis -- il
tribunale preposto al giudizio dei governatori e amministratori provinciali
accusati di ruberie -- sono scelte fra i cavalieri, la sua condanna è cosa
certa, a causa del risentimento che essi provano per lui. R. e difeso da suo
nipote Gaio Aurelio COTTA (si veda), e accetta il verdetto con la rassegnazione
che si addice a uno seguace del Portico e allievo di Panezio quale era
lui. R. si ritira a vita privata dapprima a Mitilene e poi a Smirne -- forse
un atto di sfida nei confronti dei suoi persecutori. È infatti accolto con
tutti gl’onori nella medesima città nella quale, secondo i suoi accusatori, si è
comportato da funzionario corrotto -- e dove Cicerone lo incontra non più tardi.
Sebbene invitato da Lucio Cornelio SILLA (si veda) a fare ritorno a Roma, R.
declina l'invito. Durante il suo soggiorno a Smirne, R. scrive la propria
autobiografia e una storia di Roma. R. ha infatti una profonda conoscenza della
filosofia, della letteratura ma anche del diritto, e scrive dei saggi
giuridici, dei quali alcuni frammenti sono citati nel “Digesto.” R. su Treccani
– Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Momigliano, R. in
Enciclopedia Italiana. R., in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. R., su sapere; Agostini, R., Enciclopedia Britannica; R., su PHI
Latin Texts, Packard Humanities Institute. Predecessore Console romano Successore
Quinto Servilio Cepione e Gaio Atilio Serrano con Gneo Mallio Massimo Gaio
Flavio Fimbria e Gaio Mario II V · D · M Storici romani . Portale Antica
Roma Portale Biografie Categorie: Militari romani Politici romani
Storici romani Militari Storici Nati a Roma Morti a Smirne Consoli repubblicani
romani Rutilii Stoici. R., who came
after BRUTO, is the first tribune of the people, then Consul, and subsequently proconsul
of Asia. His ancestors had been both censors and consuls. All that is related
of him is, that he is in high esteem with OTTAVIANO, who supports all his own
plans by the reasonings of this great lawyer. Wise Romans. To the list of wise
men recognised by the Greeks, the Romans are proud to add other names from
their own history, thereby associating their philosophic principles with
patriotic pride. From their mythology ENEA is selected, the man who crushes his
desires that he may loyally co-operate with the destiny of his people. From the
times of the republic SCIPIONE africano minore and his gentle companion LELIO;
whilst in R. a Roman is found who, like Socrates, would not, when on his trial,
consent to any other defence than a plain statement of the facts, in which he
neither exaggerates his own merits nor makes any plea for mercy. Nam cum esset
ille vir [R.] exemplum, ut scitis, innocentiae, cumque illo nemo neque
integrior esset in civitate neque sanctior, non modo supplex iudicibus esse
noluit, sed ne ornatius quidem aut liberius causam dici suam, quam simplex
ratio veritatis ferebat. Cic. de Or. -- cf. Sen. Dial. Publio Rutilio Rufo.
Keywords: Filosofia romana. Luigi Speranza, “Grice e Rufo” – The Swimming-Pool
Library. Rufo.
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