Luigi Speranza -- Grice e Paolino: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- dizionario
filosofico portatile per ginnasti – la scuola di Napoli – filosofia napoletana
-- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “In
England, we have it easy: we have Oxford and we have Oxford. In Italy, small a
country as it is, they have Bologna, Bologna, Bologna, and Nappoli, Venezia,
Roma, etc.” Autore
di quattro trattenimenti De' principj del dritto naturale, stampati a Napoli presso
Giovanni di Simone, di un supplemento al Dizionario storico portatile di Ladvocat,
ma è noto soprattutto per i due volumi della sua Istoria dello studio di
Napoli, uscita anch'essa dalla stamperia di Giovanni di Simone. Si tratta della
prima storia compiuta dell'Napoli, nella quale l'autore dimostra con buoni
argomenti (come ricorda Tiraboschi nella sua Storia della letteratura
italiana), che quello studio non e veramente fondato da Federico II di Svevia,
ma, prima di lui, dai Normanni, benché questi non le dessero veramente forma di
università e non la onorassero dei privilegi che a tali corpi convengono, cosa
che invece fu fatta da Federico, che così meritò la fama di suo vero
fondatore. Opere: Giangiuseppe Origlia,
Istoria dello studio di Napoli, Torino,
Giovanni Di Simone, Girolamo Tiraboschi. Grice: “Paolino is
a quasi-contractualist. His contractualist treatise is very accessible. Man is
the political animal, so politics is in the essence. Polis means civil, so a
man who is not civil is not a man. Paolino analyses a contract – in general, and
then the social contract in particular. This sets him to analyise such duties
which are addressed to the other members of the civitas. Paolino is alo the
author of a dictionary of antiquities, which has the nice alphabetical touch
about it, if you are into a first
thought on Julius Caesar or Cicero! He also traced the stadium tradition
to the ‘gym,’ ‘nudare’ as he notes. And notes that it started in the cities
where such as Athens or Rome where the athletes needed a place to get undress
and practice. He mentions Plato’s Academy (after Hekademos) and Aristotle’s
Lycaeum, after the statue of Apollo Liceo, reposing after extercise. It is good
to call Platonists accademici and Aristotelians liceii then. The gyms were particularly
popular in Italy – even before the great expansion of the Latins and Romans
over other ethinicities. In the South of Italy especially, due to the weather,
it is more natural for an athlete to feel the need to get undress as soon as
possible, and philosophers followed.” Di tutte adunque le società del mondo
non e ch'una ftetia l'origine, perchè tutte, giusta il vostro avviso,
nonsìmisero inpiè, nèsi formarono, se non secondo le diverse nécessità, e
bisogne degl’uomini. Anzim in tutte altre sìsi ha un istesso fine perchè non si
risguardò ad altro, se non al commodo, e dutile commune de socii. Ma quali sono
le società particolari, che sarebbero state mai nel Mondo inufo, semante nuta
si fofle ben falda, e stabile la società Universale (A )? (A) Egli è fuor di dubbio
che gl’uomini, essendo tutti in obbligo ed in dovere d'amarsi u vicenda; el'uno
come non nato, per se medesimo, dovendo non che al proprio anche all’altrui
commodo badare, quando ciò tutto esattamente osservavano, non venivano a
comporre che una società universale in guisa che niun diefi considerarsene potea
al di fuor. Quindi divero io non M. La
271 safidica l'Eineccio, il quale tutto scaglian, dosicontro il Puffendorfio,
che trattiavea, e deafai malamenge inferiti tutti gli obblighi, e gl’umani
doveri della società, soggiugneto, jto ch'era uom tenuto soddisfara tuttiquegli
che Uella,ch'è la più vera, e la più saggia, antichità del e la sola
infallibile maestra dell'umana Ginnasio Na II. Cosa fossero prudenza si lasciarono in dietro di gran lunga
ogni altra nazione. Quindi, giustache scrive Dion Crisostomo agl’Alessandrini
sull'autorità d'Anacarside, non vi fu città della Grecia, che non avesse avuto
il suo Ginnasio. Questo solo basta di presente supporre per farci sicuramente
acredere, che Napoli Città oggi dall'eterna divina provvidenza
maravigliosamente fornitadi quanto in una ben nobile, e doviziosa potrebbe mai
l'uom brą mare; e sopra tutte l'altre ben culte città dell'Europa, e per le
scienze,e per l'armi, e per lo Erano presso de Greci questi Ginnasj alcuni
grandi, stati i Ginnasi e magnifici edifizii con ampii portici, e stanze d'ogni
ca onde venifer opacità, luoghi coverti, e scoverti, ombre, ed altrepref così
deti: eso che infinite comodità, ove la gioventù ammaestravasi qual fosse la
lor forma. Oppinio non meno nell'ARTE GINNICA che nelle scienze, e nelle
fa pari celebre gran trafficodi essendo stata, come tutti fuor versia
asseriscono, fondata di ogni contro l'altre da Greci, ha anch'ella come della Grecia
il suo ginnasio finda' suoi cominciamenti Infatti STRABONE, che vise che a’ suoi
al tempo di OTTAVIANO, scrive, giorni questa città avea ancora ti che Greche
costumanze molte dell'an, come le Curie, le l'Efebeo,e altre d ital Fratrie,
fatta. E con queste ha il Ginnasio. Né v'ha scrittore al tresì osi su questo
muover di buon senno, che ombra di dubbio e ne di coloro che arti liberali; onde
sotto uno stesso tetto venivano a c o m avuto il luogo prendersi, per così
dire, due diverse accademie proprio per le, e due Scuole, ribut ta varj, e
diversi generi di Scuole, cioè: quelle dell'arte ta comefavolo- bellica, e
quelle delle scienze, e delle belle lettere. E niodi molti çe perchè a coloro, che
applicatierano alla Ginnica, e per lebri scritori. Io gran novero loro, e per
gli esercizi, che far doveano, come il corso, la lotta, il salto,il pancrazio, il
di Strab. 1.s. fco, . “γύμνοω”, det idioma, senza aggiugnimento
d'altro, semplicemente O ti Ginnasj. Per la qual cosa alcuni nel progresso del tempo
non badando che al semplice suono del vocabolom con cui chiamavansi, li
credettero non per altro essere edificati, che per un tal mestiere: opi stati esi
prima, forse il primo, Crasso presso CICERONE che porta la ne, e tra gli altri,
che in questi ultimi secoli sostennero fi furono MERCURIALE, e Pier L a però
avendo per certo, per quel, che ne scri sena. Noi Ginnica non e pove Galeno a
Trafibolo, che l'arte sta in voga nella Grecia, che alquanto prima dell'età di
Platone, e che in Grecia, come manifestamen te fi ravvisa nell'ingegnoso, ed
ammirabile poema di visselungamente prima di quel cele Omero, il qualee da
molti celebri scrittori, come bre filosofante avanti lo Lino, Filamone,
Tamiride, e altri fioriti stesso Omero, sono vị le Scuole delle belle lettere
fino da’primi tempi; stimiamo più ragionevole il credere, che s'introdussero i
giuochi Ginnici, ed Atle che dopo fatto, che amtici, I Greci altro allor non avessero
pliare que’ medesimi edifizj, fatti molto tempo prima non per altro fine, che
per le scuole, e chiamatigli per le ragioni, che testè noi accennammo, Ginnasj:poichè
Crasso steso, il quale e il primo, ed A2 inge sco, facea mestieri d'uno spazio
maggiore, e asai più grande diquello,che bisogna percoloro,che istrụi vansi
nell'arti liberali, e venivano per questo ad occupare buona parte di tali edifizii;
sono questi dal modo, con cui in es si faceansi quegli esercizj, cioè dalla
voce greca yújrow, che tanto vale quanto NUDARE nel nostro e . CICERONE De
orat. Apud Anson.Vandal differt. 8. de Gymnasiarcb. ingenuamente egli
anche lo attesta, a metter in campo un sentimento a questo del tutto opposto. Parlando
del suo tempo dà atutti a conoscere, che le pubbliche scuole delle scienze non
era allora in costume d'aprirsi in altro luogo, che ne' Ginnasi; e che per
quanto egli si studialle, non potea in niun modo fisar in cui queste erano colà
state erette. Ego alio modo interpreter (dice egli) qui primum Palæstram e
sedes deporticusetiam ipsos, Catulé, Grecos exercitationis, eg delectationis
causa, non disputationis invenisse arbitror; et sæculis multis ante gymnasia
inventa sunt, quam in his FILOSOFI garrirecæperunt; hoc ipso tem porecumomnia Gymnasia
FILOSOFI teneant tamen eo rum auditores discum audire, quam Philosophum malunt etc.
Per verità non v'e ginnasio nella
Grecia, in cui non vi fossero queste Scuole. Cosi leggiamo,che in Atene nel “CINOFARGO”,
il quale e un Ginnasio eretto molto prima del tempo di Platone, sono vi tra
l'altre Scuole, quelle della setta “cinica”, dalle quali egli anche ha il nome,
e nell'ACCADEMIA e vi l'uditorio di Platone come nel LIZIO quello d'Aristotele.
Anzi accolto, ovvero al di dentro d'alcuni celebri ginnasii trovavansi non meno
delle scuole, che delle famose, e celebri biblioteche; come sappiamo diquello
parimente in Atene, che avea dappresso la celebre BIBLIOTECA di Pisistrato,
rammentata da Girolamo, e da altri, e quello in Rodi, della cui celebre Biblio
Schol. Ariftoph. Pace Xenophont. In Hippar. Plutar. Symphofilo vi11. q. iv. Suid.
Pauf. in Artic. Hieron.de Beat. Pompbil. martyr. ep. Ad Marcel.14. Gell. l.vi.c.17.
Lucian. adverfus indo&um. Pauliin Atricis. Ifidor. orig.hiv1.3. a Р ерос
Suid. Pauf. in Attic. Schol. Ariftoph. ad Nubes ec. Ammon. vit.
Aristot.
Plutarch. De exilio. CICERONE . q. TUSCULO] teca parla Ateneo; é per questa
stessa ragione per cui sempre ai ginnasii accoppiavansi le scuole delle
lettere, troviamo che molti valenti uomini, e dotti scrittori applicarono in
molti luoghi delle lor opere questo vocabolo, a significar non altro, che
queste, quasi per eccellenza; essendo lo studio delle scienze molto più nobile,
e sublime di tutti gli esercizi ginnici. – l’archi-ginnasio di Bologna – la
prima universita --. III. che h una con quello nello stesso tempo le Scuole nide
le Scuole Atben. Biblioth. l.1. dipnofoph.c.1. Senec. epift.76. ut 0 1,
Supposto adunque pervero, come lo è infatti, Tenimonianza che Napoli, come città
greca, ha il suo ginnasio fin di Seneca, e di da' suoi primi principi, egli
convien credere anchevero, tri autori Lati . di Napoli : delle belle lettere; senza
le quali nella Grecia, come Scienze che vi abbiam detto, non si forma Ginnasio;
e certamente s'insegnarono; di queste, di cui è solo or nostro assunto il
favellare,vifiorirono. parla Senecainuna sua pistola, nella quale, come dalle
parole, che poco fa da noi fi allegarono di Crasso, con lui filagna presso CICERONE
di que’ giovani, che al meglio delle lor lezioni lasciavano i lor maestri nelle
Scuole per correre frettoloji a veder il disco, la lotta, e gl’altri ginnici esercizi.
Così egli fiduole fortemente col suo LUCILI, che nelle scuole della nostra città
visto avea far cerchio ai filosofi, giovani in nove romolto pochi al paragone
di quelli, che a calca tra ftullavansi nel Teatro, il quale, come egli narra, e
in questa Città non guari distante dello stesso ginnasio, Pudet autem me
generis humani -- scrive egli -- Quoties Scho lam intravi, prater ipfum theatrum
neapolitanum Il fcis, transeundum eft, Metro
nacti spetentibus domum lud quidem farctum est: hoc ingenti studio, quis fit
Pithaules bonus, judicatur. Habet tibicen quoque Græcus du præco
concursum: at in i lo loco, in STAL: quo ritur, in quo vir bonus discitur, paucis
simisedent; et bi plerisque videntur nibil boni negotii babere, quod agant,
inepti cu inertes vocantur. i più nobili della Città non isdegnavano neppur d'inviarvi
per tal fine i propri figliuoli; poichè egli scrive, che portatosi in Napoli
con Giuliano, professor di rettorica udito vavea un giovinetto molto riccocum
utriusque lingua magistris -- per valerci delle stesse sue parole 00 meditans,
exercens ad caul'as Roma orandas eloquentia Latina facultatem. Quanto alla Filosofia,
la dottrina dell’ORTO, la quale venne da'più dotti dell' antichità ricevuta con
applauso, e fu universalmente se guita da tutti que'grandi uomini del tempo d'Ottaviano;
e quella, che in queste medesime scuole avea MAGGIOR VOGA; come par che si
conobbe da una iscrizione,che fi rinvenne in un Cimiterio fco verto nella Valle
della Sanità, non guari distante da quella Chiesa sopra alcune urne, che state sono
per quel che n'appare, dell’ORTO.. Poichè in alcune di quelle vedeası il nome
di alcuni celebri filosofanti di questa setta, scritti con caratteri Latini leggevasi;
manonbene, e oscuramente. E come apprendiamo da Gellio, che fa anche di questo ginnasio
onorata memoranza vir bonusque. 3 DELLA e fiori al quanto dopo Seneca; al suo
tempo in queste scuole nell'istessa guisa, che in quelle del ginnasio di
Cartagine rammemorato da molti Autori, s'istruivano i giovani non meno nelle scienze
che nelle lingue; e I più Salvion. Hieron.
In Catbalog. Jone Proph. Aug. conf. fc. Celan. Giorn. 3. delle notizie di Nap. STALLIVS.GAIVS.SEDES
HAVRANVS.TVETVR EX EPICVREIO.GAVDI.VIGENTE CHORO Quindi tra' maestri, che in
tali Scuole insegnarono le lettere umane e le lingue si conta Stazio Papinio
nativo di Silta, Città dell'Epiro, che fiorì circa al tem po dell'Imperadore
Domiziano; padre di Publio Stazio; il quale, come dal costui poema fi ravvisa
espose in queste Scuole l'opere de'più celebri poeti Greci, come Omero, Esiodo,
Teocrito, ed altri di questo genere; e tra coloro, che v'insegnarono le scienze
filosofiche, deve annoverarsi senza dubbio quel Metronatte,di cui, come prima
abbiam fatto vedere, fa motto Seneca; e fimorì molto giovine,che glifu
contemporaneo, co me questi medesimo attestainun'altra pistola diretta al lo
stesso fuo Lucilio;e febbene degli altrimaestri, e professori, che vi furono in
questi, o in altri più anti chi tempi,dato non ci siaora di tesser un ben
lungo,e distinto catalogo, poichè i lumi, e le memorie della Storia totalmente
ci mancano ; non però egli è certo, che essi furono tutti di tanto sapere
adorni,e di sì rara dottrina,che abbondando perciò laCittà digiovani let terati
venne ella d’ ROMANI concordemente non con altro titolo chiamata, che di dotta,
e studiofa ; e così per tralasciar degli altri,che cið fecero COLUMELLA in
parlando di Napoli, non con altro epiteto nominol la>,che con questo:
Doftaque Parthenope, Sebethide roscida lympha. E'l medesimo fece anche Marziale
col seguente verso: bi di 00 .1 >1 li
al Papir. Star. flvar. s. epiced. inpatr. Senec. ep. Er Oras. Epod.
Ad
Canid. Sil. Italib. Stor. Syluar. Ovid. Metamorpb. is. Napoli, quanto
Illo VIRGILIO me tempore dulcis alebat mente cari; ond'è,che niuna altra Città
più della loro Costantino. Sen.ritroviam nellaStoria, che avessero eglinofino
nel cadi li, che vogliomento dellor Imperio maggiormente frequentata; equel no,
aver Titali sopratuttolafrequentavano, se vogliam prestarfe in rifateleScuo-de
a Strabone che impiegavano ilpiù del lor tem le,con allega re'inpruovailpo
allostudio delle lettere, edelle scienze. marmo,cheog Et quas d o &t
a Neapolis creavit. Anzi Virgilio e riguardo scienze Parthenope, studiis florentem
ignobilis oci. E tra perquelto conto i Napoletani, e per laGin
comebenrifletteil Bembo inunasua pistola, fu mandato, e mantenuto da Augusto in
questa Città a proprie spese per farvi i suoi studj. E in fat ti nella prima
Egloga de' Buccolici, scrit ti anche in Napoli, egli riporta a' favori di quel
Principe il suo Napoletano ozio, cioè, studio con quelle parole: Deus nobis hæc
otia fecit. E confessa nella fine de'Georgici, che: che visicolei nica, la
quale nel si. lor Ginnasio esercitavano anche con vavanofofefta somma diligenza
e con tutta la magnificenza del Mon ta FREQUENTATA DA’ ROMANI; edo,divennero
universalmente agli stesiRomani somma anche dagl'Imperadori fino a gi fi
conserva Quindi LUCILIO, che fu ilprimo tra’Latini a scrive fopra la fontere
delleSatire, non solo visse, ma anche morir volle tra' .An
nunziata;mo:Napoletani, comeattefta Quintiliano,e Cicerone, il strato falso ; e
quale v’ebbe anche un'abitazione e Virgilio, dicui di che propriamente in
efoabbiam favellato, Orazio, Livio, Marziale, Silio Italico - fac cialimenzio
--, Claudiano, e tutti gli altri tra gl’antichi, ne mar che mo rapportato mercè
dellor saperelasciarono a'posteriillornome im in cuilafenzamortale, abitarono
in Napoli perpiù tempo; anzi dubbio fi parla delle Scuole . molti Bemb. lett. 27.
Strab.l.3.infin. Quintil. CICERONE ep. famil. Crinit. de Poet. Latin. Philoftr.
Icon. Sil. Ital. per 9 molti,come dal Poeta Archia narra Cicerone brama rono ben' anche di esservi ricevuti per
Cittadini; cosa, che i Greci non erano molto larghi a concedere; feb bene su
ciò non tuttiusassero lastesa moderazione: Ma non meno de’ privati CITTADINI
ROMANI,visita rono questa nostra Città glistesiImperadori ; poichè sal vo
Celare, il quale, come scrisve CICERONE inalcun tempo ebbe a sdegno i
Napoletani, forse perchè infer matosi fra esi Pompeo nelprincipio della lor
guerra, gli mostrarono,come scrive Plutarco,moltisegnid'af fezione, gli altri
tutti fino a Costantino, lebbero per le stese ragioni anche molto cari: così
che eglino molte prerogativen'ottennero. Il perchè TITO, chesuccef se a
Vespasiano circa l'anno 79.. dell'era Cristiana, essendo pe'violenti tremuoti
accaduti al suo tempo, a cagione di unobengrande incendio del Monte Vesuvio rovinati
molti luoghi vicini ; e traquelli, come scrivonoalcuni de'noftri Storici,in
Napoli anche il Ginnasio: egli pose ogni studio per farlo con pubblico danajo
ristorare: e comunalmente fivuole, che di questo fatto ne faccia anche oggi
giorno una chiara, e certa testimonianza quella Gre. eLatina Inscrizione, la quale
tuttaviaravvisiamoin questa città in un marmo elevato nel muro della Fonta na dell'Annunziata,
ch'è la seguente, riferita anche dal Grutero, non cheda tuttiinostri Istorici, li
quali vogliono, che in essa fi faccia parimente una espressa memoria delle scuole,
ch'esistevano nel Ginnasio. 100 Jens 1 CI, 22 > 1 00 TO са, fuz a .
B Cic. pro Archia. Ezechiel. Spanhem. Orb.
Roman. CICERONE Ad Attic.l.10. ep.11.
Plutar.inPomp. V. l'Autor della Stor. Civil. Del Regn. lSueton.in Tit. cap.12.b.i.
Gruter. Infcript. oper. et locor. publicor. Capacc.ift. l. 1. c.18. Bened. di Falco
Antich. Di Nap.&c. TI ΙΤΟΣ -ΚΑΙΣΑΡ ΕΣΠΑΣΙΑΝΟΣ: ΣΕΒΑΣΤΟΣ ΚΗΣ ΕΞΟΥΣΙΑΣ ΤΟΙ
OE TIIATOE TO H TEIMHTHE OETHEAE·TOT: TYMNASIAPXHEAE ΥΜΠΕΣΟΝΤΑ ΑΠΟΚΑΤΕΣΤΗΣΕΝ NI
·F ·VESPASIANVS ·A V G .COS.VIII.CENSOR.P. P. IBVS .CONLAPSA ·RESTITVIT Ma
senza che quì noi ci distendiamo molto nepo co in far riflettere agli abbagli,
ed agli errori, che co munalmente han preso tutti nella sposizione di questo
marmo ; basta, che con qualche diligenza per uom si legga, per dubitare se in
esso si tratti del Ginnasio; o v ver più tosto dell'antiche Terme, come più
probabil cosa essercrediamo, nel fito delle quali eglifu trovato ; ed ; il
numero delpiù,il quale si vede in esso adoperato a notare gli edifizj rifatti
per ordine di Tito,par che troppo chiaramente lo ci additi ; nè per qualunque
ftu dio vi fi faccia, potrà mai scorgervisi parola, che colle Scuole, o cogli
esercizj letterarj abbia coerenza ; onde quanto su ciò fi dice sono tutte
pure,e prette immagi nazioni de'nostri; egli v'ha però un altro marmo rife rito
dal Capaccio, ove espressamente leggasi: SCHOLAM. CVM. STATVIS ET
IMAGINIBVS ORNAMENTISQVE. OMNIBVS SVA: IMPENSA FECIT Capacc. Ift. tom.I.h.1.6.18.
. E per .I. 11 E perverità ebberoi Greci in costume di adornardi
statue, e d'immagini ilor Ginnasj, con riporre quellede più celebri Atleti, ed icoloro,
che si erano più nella Ginnica refi immortali, ne’luoghi, ove l'arte esercitasi.
E quelle de’ gran FILOSOFI nelle Scuole; come del Ginnasio diTolommeo celebre
in Atene narra Pausania Per la qual cosa se non a Tito, sicuramente ad Adria no,
che nell'anno 117. dell'Era volgare successe nell Imperio a Trajano. Di quanto
narrasi in questo marmo convien darsi il vanto. Poichè questo Imperadore, come
scrive Sparziano inomnibus pæne
urbibus,com aliquid ædificavit,o ludosedidit:efucotantoamatoda'Na poletani, che
volontariamente lo elessero Demarco; ch' è quanto dire Pretore della lor
Repubblica. Come prug va il Reinesio
contro il Capaccio, ed altri,che cre dettero esser questo un
Magistrato:Greco;avendo avuto le colonie a fomiglianza diRoma parimente un
talMa giftrato. Orciðne fa chiaramente conoscere, che il Ginnasio, e le scuole
in NAPOLI sono ugualmente celebri di queste Scuo non meno prima, chedopo che
questa città fi: sottolefinoa Costan mise aldominio de Romani; poichè febbene i
Napole tanidall'anno diRoma,come sostienetraglial triil Reinefio finoad
Augufto, edanche molto tempo dopo, toltone il tributo, che pagano a’Romani, essendo
stati trattati da quelli con ogni piacevolezza,ed. amore,e reputati amici anzi,
che soggetti ; fossero stati dopocircail tempo di Tito,o diVespasiano,se si
vuol credere al Caracciolo, ridotti in forma di Colonia, Paulin Attic. Cic. De finib. Spart.in Adrian. Reinef. var. le&t. l.3.0.13. Lo Meliovariar,
bection 6.3. 6.16
20 CO) 210 eto 7h OV V. Continuazione CIT per col ied che cole :ftu. onde magi
0 rife : e refi B 2 Cih e refi più soggetti,preso avessero a
dismettere gl’antichi greci inftituti. Tutta volta seguirono pur eglino, come
manifestamentedaquantoabbiam dettoappare,adeser citarsi nella Ginnica, e tener
te loro Scuole ben ordi nate ; con mantenervi ottimi professori in ogni genere
di scienze. Ma in quale regione della nostra città situato esse le, e del Ginna-questo
Ginnasio, molto'vario è il sentimento degli Au tori. Alcuni credettero, che le
Scuole state foffero ove nel corso degli anni edificosi la Chiela di S.Andrea;
non però questa oppinione quanto sia folle, e vana di leggieri si mostra ; poichè
o fi vuole, che queste scuole sono divise dal GINNASIO. E ciò quanto sia lungi
dal Summon. le cole che di sopra abbiam
detto,bastante mente lo appalesano; o fivuol credere,che queste era no, come in
fatti furono,accoppiate,ed unite, anzi in corporate con quello; e giammai si verrà
a mostrare esservi in tal luogo apparse vestigia di tali edifizj. E' ben
vero,che essisupposero laddove fuinappresso eret to ilCollegio
de'RR.PadriGesuiti,vifossestatoun altro Teatro, diverso da quello, che di sopra
divisam mo; ma questo anche quanto sia inverisimile, anzi impossibile
chiaramente appare da quel che in tutti i noftri İftoricisilegge; come dire: che
Napoli a tempo parimente di Ruggiero Normanno dopovarj, e diversiac crescimenti
diedifizj, ediabitanti, nonera, che'una Città molto picciola, etale,chefatta da
quel Remi. surare, non li rinvenne il fuo giro maggiore, che di pallil;onde
ove:mai figurarvifi voglia notanti diversi Teatri, e Ginnasi di quella
magnificenza,ed a m piezza, ch'era solito dagli antichi edificarsi, non po trem
VI. Sito delle Scuo vero, tremmo mai concepire; senza che in sì
picciolo spazio non vi farebbe rimasto luogo per abitarvi. Seguente sillogismo.
Appare eglidicono da Platone,che: il luogo proprio per li Ginnasj esser debba
il mezzo della Gittà: aveano questi, secondo gli antichi, il più dappresso le Terme;
e come si deduce da Stazio nel Ginnasio de’ napoletani era vi un tempio dedicato
ad Ercole. Orduppo Ito, che in Napoli il Ginnasio occupasse questa regione,
veniva egli ad aver tutto ciò; perchè ella quafiil mez: zo occupava dell'antica
Città; avea nel suo distretto le chi IK er qual sopra tutti ik prese a
difenderla, avendo preso, a scrivere di questo GINNASIO, che per la morte
sopraggiun tagli, non potè terminare; fi appoggiano del tutto sul Altri
all'incontro furono di parere, che il Ginna fro occupasse propriamente quella regione
della Città, la quale per le Terme, ch'erano nelsuo distretto, chiamossi Termense;
e si vede anche dagl’antichi filosofi chia mata Erculense, come chiamola
Gregorio nelle fue pistole perloTempio,cheiviancheera inonor di Ercole
oveoggièla Cappella detta S. M. Ad Ercole e dopo fu chiamata,comeparimente or
fichiama,di Forcella. Non già come vogliono alcuni,ch'è troppo follia il
credere dalla scuola di Pittagora,che quivi era, la qualeavea per insegna la lettera
biforcata Y ;ma si bene, giusta che fu il sentimento de'più favj, da un antico
Seggio, il quale facea per avventura per sua im-. prela, quelta lettera, che
finoggimiriamo scolpita in un antico marmo sopra la porta della Chiesa
Parrocchia ledi S.Maria a Piazza; e diede ilnome a tutto il quartiere. Quegli,che'fifostengono
inquesta oppinione, come sivede da quel dotto libro, che Pier Lalena, 1 Gregor.
Terme, Terme, ed un Tempio ancora consecrato ad Ercole. Dunque, eglino
conchiudono,deve credersi di necessità, che questo così fosse. Pur tutta volta,
posto che Platone non parli di quel che in fatti costumavasi nella Grecia al
fuo tempo, ma soltanto di quel che bramava, che si costumasse. Poichè sappiamo
per certo che tutti i GINNASJ eretti erano fuora delle porte della Città, o a
can to a quelle, come lungamente pruova Meursio, e tutti gli altri, che
dottamente hanno le cose deGreci co'lo roscrittiillustrato;e perchèleTerme
esser potevano, come realmente sono anche in altri luoghi di Napoli, e cosi
pure il Tempio in onor di Ercole, il quale ove fifuppone accoppiato al
Ginnafio,figurar non fideve moltoampio,e magnifico, ma per ben picciolo,e come
un nostro Oratorio, o Cappella; nè creder, che questo fosse stato solo, ma con
esso insieme congiunti, o dentro lo stesso ben molti altridellamedesima
formaerettiinonordiMercurio,di Apollo,di Cupido, e di altro Dio di questo
genere, del Teatro, e Somma piazza. E per verità quiviiveg gonfi!
ancheoggienellecase, che diciamo dell'Anticaglia, e in tutta quella vicinanza,
ove dopo fu eret: to il Tempio in onor de'Principi degli Apostoli S. Pie tro, e
Paolo infino al vicolo della Porta piccola della Chiesa della Vergine Avvocata,
volgarmente detta l'A nime del Purgatorio, infiniti pezzi d'opera laterizia, e
condo costume era di farsi universalmente da Greci ne' Ginnasj; devequestosentimentoanche
con tutta ragione: ributtarfi. più koNon pochi finalmente contesero, eforsecon
saldo giudizio,econ maggior fondamento,che ilGinna fio, e 'l Teatro stati
fossero in questa città in una stessa,verso quella contrada, che anticamente
dicevasi saparte fe secolo, quella di Berito
e quella di Costantinopoli eretta teflandrini;te del pra Viil Celan. notiz.
di Nap. Giorn. V.Plutar.inopusc.viramepicur. non esse beatam.Strab.l.s.&
Philostr. in Po lemon.] Spartian. In Adrian, Sueton. in vit. Claud. Gronov. dissertat.
de Museo. Juftinian. Conftitut. Ad Anteceffores $.7.6 Dioclet. h.n.c.quietate
velprofeffione fe excufat.6 l.10.c.eod. V.l'Autor della Stor.Civile del Regnol.s.
dur NON Comunque però ciò sia, rientrando in nostro sentiero. Dopo che
Costantino trasfere la sede dell’imperio dele Scuolede nellanuova sua Città, non
vihadubbio, ch'egli, echedopotraj. Lita ove crediamo noi essere stato il
Ginnasio, viene ad essere per avven tura fuor delle mura, ovvero accanto a
quelle. Continuazione quelli, che lo seguirono, tralasciaffero perla
lorlonta-dpeolrl'taItmapelraifoe de nanza, di frequentar Napoli alla guisa, che
ilorante - Costantinopoli. ceffori avean fatto; e che perciò venne ella anche
me- Womenerico da no da’ private cittadini romani frequentata. Ma non per tempo
di NERONE questo il suo Ginnasio fcemò dipregio :erano allora in letani, eglio
an di marmi Orientali di una maravigliosa bellezza,in gui fa, che in niuna
altra parte di Napoli se ne rinvenga tanta copia ; e vi si discuoprono
parimente le vestigia d’alcuni edifizj, che pajono non aver fervito che per
leTerme. Questo sentimento vien confermato oltre modo non solo da quelche
scriveSeneca a Lucilio,che come di sopra abbiam riferito,suppone in fatti ilGin
nasioaccanto alTeatro;ma benanchedalcostume di già ricevuto nella Grecia, il quale
come testé da noi notossi, e d'erigere questi Ginnasj fuora, o vicino le 1
porte della Città; poichè comunque tra levarie op 0
pinionide'scrittorifisupponga, che fosseilsitodell' anticaNapoli,questo luogo
veramente Oriente le scienze in un molto sublime grado. Per tro-rientali, accre
varsi in molti luoghi delle famose Università degli Studj, etonelIV.eV. delle celebri Academie, di
cuiquella d’Alessandria Coʻ Leterati A stimonianza dal medesimo Costantino il
Grande portavano 10-fa Agostino bilito netrai Napo 3 ita qual
cosamoltidiquesti, ed egli altri Orientali soprattutto in questi tempi, ne'quali
trovandosi la Sede dell'Imperio in Costantinopoli; rela era la‘nostra Città a
quella fu bordinata, capitando continuamente in essa; questo gran cambiamento
delle cose non solo non apporta niuno im pedimento alla letteratura napoletana.
Ma moffii Na poletani dall'emulazione di superar gli Orientali, che è troppo
naturale tra gli uomini,egli è incredibilequarto maggiormente ella fosse venuta
ad accrescerli. Ciò tanto è vero, che anche nel V. secolofiori vano perciò in
queste Scuole mirabilmente le scienze; e vi fioriva soprattutto lo studio
dell'eloquenza, come attesta Agostino, che allora altresì,vivea. Perchè scrivendo egli contro gli. Grice: “You can see the difference
between Rome and other civilisations in that the philosophical gatherings – as
Austin’s were at my St. John’s – or the Athenian dialectics’ were at the Lizio,
the Accademia, and the Cinargo – the Romans preferred to meet at Scipione’s! Call it
Roman gravitas!” DE’ PRINCIPI
DEL DRITTO NATURALE. Filofofo,e Giureconfùlto
Napoletano. NAPOLI. Predò Giovanni di Simone CON HCSNZJ P*’ SVfS
RIQKl. AL SIGNOR D. NICCOLO’ MARTINO %
Pubblico Profeffore di Matematica ne’Regg j Studj di Napoli,
&c. v. LETTERA Dell’autore, che ferve
anche cP introduzione all * Opera. Uefta picciòla operetta, che ora ho
rifo luto di efporre al pubblico, Stimatiffimo Signor mio,
fìt da me comporta, fono già quattro anni, per foddisfare al
defiderio di \ina Dama, che per fu a propria a a i itruzione
con premuro!!, ed autorevoli impubi mi avea coftretto a darle in ileritto
una chiara, e generale -contezza di tutte le parti, della
Filofofia, di cuiella fu. preifo che la conchiufìone . La ragione più
forte, per cui mi fono mcflb a farla comparir fola, lènza, che vi liano
unite Y altre opere fi lo fo fi che, delle quali fu parte, ella è la lpéranza
di poter col fùo mezzo, più, che colle altre contribuire in qualche
parte, e per quanto fia poffibile al profitto de’giovani, eh' è
fiato fèmpre mai, e farà’ il termine unico de' miei ardentifiìmi
defiderj: poicchè conofeendo quanto abbondevoL mente datanti
valentuomini fiali • «k 4 *, travagliato a prò
de’giovani, facilitando con tante lodevoli maniere tutte le più intricate q
milioni della fcienza fìlofofica, pareami, che quella fu blimc,
enobiliflìma Tua parte della r agion Naturale, che pur
contiene non men’ una buona parte della Morale, e della Politica,
che la vera origine di tutte l’umane obbligagioni, mancale di un’ ordine
facile, e proporzionato alla capacità de’ Scolari $ lo che pareami non
eil’erfi fatto fin ad ora in tante Opere di eccellenti
Giureconfulti, e fapientiffimi Filofoii, che tanto bene han trattata quella
materia, eflèndo gli di loro libri certamente e foltanto adatti, e
proprj per gli uomini provetti, e molto avanzati nelle buone
cognizioni . Onde riflettendo meco fleffo a queir occulta impercettibile forza,
che difpone per a 3 mezo di tanti improvifi avveni-, e
fapientiffimi Filofoii, che tanto bene han trattata quella materia, eflèndo gli
di loro libri certamente e foltanto adatti, e proprj per gli
uomini provetti, e molto avanzati nelle buone cognizioni . Onde
riflettendo meco fleffo a queir occulta impercettibile forza, che difpone
per a 3 mezzo di tanti improvifi avvenimenti di -noi, e di noftre forti, e
che firn dal momento in cui giunfi in gualche modo a comprendere
per ' quelche a coloro, che fon racchiufi Nel tenebrofo carcere,
e nell * ombra Del mortai velo ; vien permelfo, qualche cola
dell’ordine, e del decreto delfeterna, e di vina prò videnza, determina
varai alf elercizio della lettura, che dopo 4 tante
variazioni di mia fortuna, ho profeflhto per otto anni} a ni un’
altra cola mi ftimai obbligalo di porre maggior Studio, che in
prò-» vedermi d’idee le più chiare, e nette, come quelle che fono
le più neceifarie per ben comunicar a’ giovani gli precetti di
quelle fcienze, che vogliono apprendere, e lo e lor
tutto dì s’infegnano . E perchè a ben* illuminar la mente di coloro,
ches’applicano allo Studio > delle leggi tanto nella Città
noStra coltivato, e giustamente tenuto in * pregio, utiliffima, e
quafi neceflaria pareami la notizia di tutte le rnaffime generali del
Dritto Naturale, come quelle, che fcuoprono la. vera Sorgiva delle Società,
de’ commercj, de’ contratti, de* pat( ti, ed’ una infinità dì altre
cole di tal fatta, profittevoliffime all’ intelligenza delle leggi
medefime, ed aj buon regolamento della vita umana, -credetti, che
non efiendovi ni un’ opera per quel, che io mi fappia, che ne tratti, e
tratti in modo, che ficuràmente dar fi poffa in man de’ giovani, il profi
tro de’ quali fopratutto ho avuto a 4 lempre a cuore, non
farebbe data fuor eli propofito la mia fatiga . Quindi proccurai di
metter ciò, che avea penfato, e fcritto per la divifata occafione
nell’ ordine il più naturale, e facile, 'eh è quello de’dialoghi,
come dalla tavola de' trattenimenti, e de’ loro fommarj giunta qui da
predo lì vede, Icrivendo colla maggior polli bil chiarezza 5
febbene per tju cl, che riguarda lo Itile delìderato 1’avrei più puro e
femplice, di che farò compatito da Voi, c da tutti coloro, che
fanno in quali didurbi, e rancori io me ne viflì per più tempo nè men
dinanzi di badar a tale opera, che dopo, cd in quedo ideilo tempo,
che hò imprefo di darla alla luce 5 e con tal mia proteda
gentilmente farò altresì fcufato preffo coloro, che non fanno il
tenor di mia vita. Ma comunque ciò fi a 5 e fe nel defideriò
di giovare a tutti io l’abbia fallita, pur non farà dannevole quella mia
volontà di procurare f altrui profitto, poiché colui, che fi affàttica
per il pubblico bene, ancorché non vi riefca, pus non deve privarli del
premio di effer creduto uòmo di buona volontà . Eccovi in poche parole
fvelato il mio pen fiero, e quella mia fatica quafella fiali, sì per
impul-» fo d* oflèquio al fuo merito, sì per ragion di debito per
tanti buoni infegnamenti datimi, sì per infiniti altri motivi ad altri
non dovea prelèn tarla, che a Voi Stimatilfimo Signor mio, perchè fempre con
una fomma, ed ineffabile gentilezza avete riguardato me, e favorite
le mie cofe . Tanto più, ch’eflèndo Voi dotato d’una mente fubiimc, che T
avete arricchita * di tante cognizioni coll’ indefejflò Studio, per
cui liete giuftamente reputato per uomo di profondo lupere, e.di
politiflìma letteratura, di che fanno chiara teftimorianza gli dottiffimi Libri
delle • Icienze Matematiche dati alla luce, potrete ben garantire
queft’ope- j retta dalle punture inevitabili delf invidia, eh’ elfendo la
più abominevole tra tutti gli vizj,pur Tempre inforge a mordere chiunque
li arrifehia di fottoporre alla pubblica cenfura le fue fatiche.
Contentatevi di ricevere in buon grado quelT attefhto del mio rif-,
petto, c di quella profonda vene raz orazione, con cui ammiro Ja voffra
virtù, perche accurato della voffra protezione mi lulingo di non
incontrar difagio, e fac end ole riverenza mi raffermo . i
Napoli. « Di V.S. ! ^
Dhotifi. Obbligati y?. Servidore Giangiufèppe Origlia P. Èrche il
Perfonaggio, chea fé 30 Voi conviene rapprefèntar nel fl
Mondò, egli altro al fin non fa r$(fe non m’inganno) che di
un Giureconfalto, o Avvocato, guitta che la voftra natura, o
inclinazione, che dir vogliamo, e l’ educaziojrede* propri Genitori, non
fAoas^4 tyòxots M Òr' aJ$j ine ’ e che non è la ‘ qt !i aIe
**’ * ^ »* In/Ta*™ J l j mh fi nza ampiezza afille,’ M“
i« alcun dì mi mortali d temi „,/ J 9 » e»trant Jìa-,t oppojla alle
fu* .Jan «**£•«* J/ r:> ikf'fr .ym^ A T * ^ .. 4
O) InftÙ DiVro. vi. S., i 4 ; Grot. de indul^. «$•««* ' TV
V *•; *.i fck» 5 4r u ¥
. ^di più oltre pafiando fi potrebbe altresì qon ogni naturalezza
arguire, che la giustizia, o ingiuftizia dell’ umane operazioni, in
A4 fin fanti tà, 0 bontà, non pub a patto alcuno, dalle
ojfervanze di si fatta legete in modo veruno difobbligarci ( f ) . Il perche
agevolmente quindi pojfon tutti apprender quanto diffidi cofa fa, e
malagevole il giugner per Uomo alla cognizione non men delle leggi
de 9 Romani, che più di tutte V altre barbare Nazioni al Mondo
travagliarono nello Jiadio del Dritto della Natura, che degli fiatati, e
delle confuetudini, 0 leggi della propria patria, fenza effer fuperfdalmen te
almanco di ciò frutto, eh' è la fola, e la vera guida, che aÌP interpr et
amento di quello può mai condurlo, e con divilupparne il lor Vero
Jfenfo fargli conofcere, e capire quante elle giujìef ano, 0 ingiujìe .
Quindi Ulpiano . quel che fopr atutto Jìimò nelle fue injìituta
tieccjTario da faperf per un Gìureconfulto, •* b° ni » et «qui
notitiam ( 6 ), lodando Celf > 9 che defnito avea al dinanzi lui il
Gius : C r ) Idem de indulg. c. a. et Uh. 1. c. I. de jur. Bell. et pac.
Pufendorf. c. ;.T. 2. §. 4. J. N. C 6 ) L. i.de jud. Se
jur. DE’ PRINCIPJ-' fin altro non fia, che quella conformità,
e convenienza, che pofiòn mai quelle avere, o non avere con sì fatte regole
naturali a tale, che confiderate lenza un tal ri/guardo, e di per se lòie,
puramente come dall* Uomo fatte ( come che ciò fi fofiè una mera
ipotefi,ed un puro liippofto ) totalmente meritino d’ averfi per
indifferenti. CoGius : ars boni, et aequi : Cosi fecondo attefa
Seneca appellarono gli antichi Giare conflitti il Gius della Natura, il perche CICERONE
(vedasi) imputa a fomtno pregio, e gloria di Sulpizio che : ad aequitatem,
facilitatemque omnia referebat, et tollere controverfias malebat, quam
conftituere, per valermi delle parole del dottijfmo Vives. Egli ha
ciafcuna delP Umane azioni una tal qualità, e condizione, che per
fua natura, giujìa il fenlimento di Platone nel fuo convito, non fa
in guifa alcuna nè turpe, nè cnefa ; cosi, egli dice, è quanto
adejjb noi facciamo : il bere, per ef empio, il cantare, il difputare ;
nulla di si fatte azioni racchiude in se fconcezza alcuna, 0 onefà,
I . ., ma Apud todovic. Vives coranaent, sd lib» xtx. c. ai.
Ani?;, de Civit. DvLoco . !.. xix. ] ria dal modo filo con cui
vien fatta, apprende ella il cognome, che ha, 0 di buona, 0 di cattiva ;
imperocché quanto noi facciamo faggiamente, e con rettitudine egli non è fi
non buono, e onejìo ; come quanto da per noi vizìof amente fi opera non è,
che turpe, e ifconcio : T* in diverf l-oghi delle fue opere cercò Jiabilire, e
mojhare il medefmo Platone, come è molto ben noto a chi che non fa in
quelle del tutto forajìiere . Il perche /ebbene azioni veramente indifferenti
fano il dìfputare, il ragionare, il camiuare, e altre si fatte, non fi
deve però il medefmo dell* altre umane azioni afferire ; imperocché di
tutte quelle dalla cui nozione, o idea fi poffa con ogni ragione
per Uom ritrarre, e dimojìr are, che faccino, o no mai a nqfìra
perfezione, e vantaggio, o utile, eh* è quell* appunto, per cui a
ciafcuna di effe V intrinfeca bontà, o malignità s* attribuire, e imputa,
non f può per niun ver fi mai da chiunque penfi, siffatta bontà, o
malignità recar in dubbiezza ; comecché ' ( T ? A D 1 omen]co Bernino Iflor. dell’ Ercfie . Tom.
i. c. a. del leccio 2. v
• C Wt } D * luogo fopra. ( ^ Heinec. v. nel luogo di
fopra. • * f\ - v».* »•* -* 1 dijcorfiy e del
ragionare insìangujii termi k m rijtretta ad altro per lui frvir non varrebbe
$ che a fomminifìrargli una certa Speditezza per cosi dire, e dejìrezza vie
maggiori di quella i che fi ojjerva, e nell' operar de' bruti,eper
aggrandir in ejjò in parte, « accrefcer le fue forze naturali, «w non
miga ?.. ;> per indurre nelle fite assoni, è recarvi la vera
moralità, come cofa del tutto imponìbile, fenza lo ftirito della leg0, 0
un' infinità dii: vite dinanzi, che non incìfe in noi quella ; egli e
meJHeri dall * altro. U • lerfo, che da fernoi Jì affermi, /z Ani,
che per difetto di que/fo firgget to, che ingiufo, o malignò avjfe potuto e
fervi mai, o che quefa .gi ufi zia, o malignità aveffe pur potuto ridurre
in atto, non f pofi'a quefia al meri in afratto concepir, da
queìi'ijiejfo mentre ejfer * rifiata, in cui la fantità vi fu, e la bontà
f come ccfa a quefa diametralmente, oppofìa % e contraria ; e
ciò tanto più, che non ci Jì permette in guifa alcuna dubbitare, che l
idee di tutte quejì'e cape thè qua giù noi leggiamo 4 . fiate non
vi fojjero nel divino Intelletto fin * ab eterno ; é che per . ragione in
quefio medeV fimo fi ebbe altresì accoppiata 9 e unita all - idea deir
Uomo, ch\in tempo a crtàr fi aveq 9 • come un Sacerdote proprio della
natura 9 !. r idea parimente del male, xhe quefii, cerne creatura
affai imperfetta» e finita potè a, g dove a fare . Al dinanzi però dar
fine a quefio,• avvertimento, avvegnaché fii alquanto più lungo del
convenevole. y non tyalafciamo qui avvertir di vantaggi 0 » che fèbbene,
que ’ motti deir*Apofiolo,da noi al di fi òpra recati', peccatimi non cognovi,
nifi per lesero &st. alcuni I interpretino per la legge Mofaica, volendo,
che in noi per lo peccato la legge della natura ottenebrata alquanto,
pria della legge di Mose JìaveJJ e ciafcun portato a peccare fienza certa,
e ferma feienza, e che di quello fiato dell Uomo favellaffe in vqrj
luoghi rApoflolo dicendo : che (\£ ) iìnejege peccata t, fine lego erat,
fine lege puniebatur : non già per al fermo perche molte delle fu e azioni
dinanzi ìa legge non erano in, guifa alcuna peccaminofiè., mafoltantq perche :
non im . V V,./* V ’ f. ’g'ri .,A.i A V"V P9 T '-«fr r (
ré ) .Ad Ronwa.vv r. ad GopqtN.P*?.; v. ai. 4
•r«rr-r- « ygn» y yr - 1 .. .*“
' • * -& ’ - 4 » . ^ : a f| HPani-itn 1 o por meglio dire :
177. dell’ultima edìzion' r. iG. e io. Hiftor. verer.teftàm. diili • \
ChrifolU hic. Aug. !ib. u contra duas epift, Pe.
P ecu,n Artibrofiaft. Eli. Giop «c. recati cìaCalmet. tield. luogo.
‘ ‘ • 1 C *0 ) .Hierorj. ep.ad Hedibaro.q.S. Paraeus gMa Caimeu d.
l.> " v '"' f *'
•v. a •}-*} M. Così egli è
appunto j anzi da quello nd* IV. l’ ifteflà guila parimente Ilom vede molto
manifedamente, che H dritto Civile, e il dritto pubblico, non che, quello
delle Genti, o qualunque altro, vai io, e divertì) dritto j eh 9 è tra
noi, altro in effetto e non Ira, o comprenda, che quelle ideile
regole della Natura diverfamente alle bifògne, e necefiità degli Uomini
applicate, e alle lor vàrie, e diverle operazioni adattate, cpnfiderati
or come membri di una lòcietà univerfalc, or come membri di una V -
. : '*v lo f ^ \ .credere il S. Apofioln avèffi' in quejh luogo
voluto figurarci uri tlomo'at dinanzi degli anni, in cui comincia ad ttfiar
della ragioni, dìfiinguerla j e che perciò non opera tutto, (he
indifferentemente queir ifieffo, che in appreft fio, e per la ragione gli
fiàrd imputato a peccato y e a vizio y dicendo egli di lui meàejimo non
guari dopo : ego autetn fine lege vivebamt aliquando ( il ) * Onde fifa
chiaro, che Pilomo figurato da noi dopo il Grosdo, e il Puff fendorfio
fienza alcun In**? della ^oo,” r n - on fi debba aver miga in effetto, e
tener per V, mcraipotefi . ' /, . '* ( zi )• V.9. è. ep.id
Rotti, «bf v. Ang. Ics contri Ju liamum c. 1 1. Hicron. &t. apud
Corndium'a I «pwt o. » Vi •* . .• ù’ a
focietà particolare, or altamente in altro diverfo flato, e
fortuna. D. Si bene : ma come provarefte voi mai la V.
poflìbilità, e l’cflflenza di sì fatte rei gole ? M Egli è,
vaglia il vero, colà certiflìma, e • che non li può miga per niun
verlò da Uomo, che facci di fu a ragione un buon ul& recar mai in
dubbio. Ch’ ogni un di noi nell’operare egli fia Ifw bero totalmente, e
padrone della propria volontà: e che per una sì fatta libertà nulla
mai di vero, o di fermo unqua nell! giudizi delle cofe, che naturalmente
noi avertiamo, o appetiamo dal canto noltro richiedendofi ( effondo
pur il noflro intelletto affai dappoco, è fievole ) egli fi polla per
buono, e pier utile, o per onerto, e per retto, che dir vogliamo,
agevolmente eleggere da cialcuno, e avere non meu quel che in
effetto e’ fia in fe tale; m 9 altresì tutto altro, purché fi prezzi da noi,
e fi reputi come tale ( D ; . B IL Due adunque fon le verità,
che qui da noi fi propongono, e me t tonfi al dinanzi de nojtri
leggitori come ben certe, e Mimo fra Jìrabili;come che ne ’ nofiri
trattenimenti fulla Metaffica fio no pur fiate elleno dffuf amente
mojìrate appieno # provateci quejìe fi è la prima la libertà, eh' ha ciaf c un
di noi da poter fare#d eleggere quanto mai gli sa buono # gli và a
grado, eh' è quello per V appunto, che da' Scolajiìci dicefi d'ordinario
indifferenza cPefer* tizio; la feconda ella è, che non da altro y falvo
dalla fodere hi a, e molto gran limitazione del noftro proprio intelletto
n avvenghi il feguir noi ben furente, ed eliggere un bene falfo del tutto,
ed apparente per un ben vero reale . Ad ogni modo per quel che può mai riguardare
alla libertà della nofira volontà, non tralafciamo qui pur di notare, ch'
egli non v' abbia a noftro credere tra le majfme pejiilenziofe, e
nocivi: allo fato, e al governo di una Monarchia, o Keppubblica y ch'
ella ipeggior di quella, con cui fi vie n quejìa a dinegare, o
metterla in guifa alcuno in forfè j II perche per niun verfo mai ciò permetter
fi deve da Principi, e da Regnanti, giufia rinveniamo, che dinanzi ogni
altro fi fu l' avvi fo dell’ACCADEMIA; devendofi di neceffttà, ciò pofio
per vero, riconofcer Dio altresì per Autore, e per propagatore de'
peccati, e de ' mali degli Uomini, non che annullar total* C
** ) De Republ. lib. ili . j 9 talmente, e derogar ogni
legge, ed umano fa-, tuto ; Qgindi noi queir Ere/te piu di tutte E
altre offerii amo, che fatto e'aveffero maggior guerra alla Chiefa di Dio> e
recato maggior /pavento alla Reppubblica di Chrijìo in cui una sì empia
affirzione Jì //enne mai, c difefe ; imperocché non v' ha al Mondo, vaglia
il vero, chi non /oppia, per tralafciar di far motto degli altri di tal
fatta \ quanto/ fu mai quel fuoco, che v' accefe nel primo fecole r empio
Mago Simone, da cui la fetta de' Simoniaci ebbe il fuo principio ; e quanto/
fu quello, recatovi da Carpocrate, nel fecondo fecole, autore dell'
abbominevol fetta de' Gno/i ci, non che gli agitamenti grandi, che ella fffetfe
in quell ' ijìefo fecola per un Cerdone, e per un Alarcene; e per
un Curbico, o Manes in appre/b nel terzo, Capo de' Manichei (21 );
del rcjto per quelche riguarda all ’ intelletto, egli fi ha altresì altrove
moftro molto alla dijlefa>e nella nojira Meta/fica ; I.Ch' in ogni, e
qualunque azione nojtra libera non men quejìo vi abbia la fua parte,
che la volontà • non potendo/ per la volontà inguija alcuna defiar altro
mai, 0 ap-\ petere, /alvo ciò che dall' Intelletto pria gli •
B * 2 . . /reIl Semino nell» Ilìor. dell ’erefie ci. Se;, ^ c. 6 .
Sec. II. c. 1 ». Sec. HI. ., Ch’ a tutte le colè qua giu create, le quali
dal vero, giufto, e dritto fentiero fi partano, faccia medieri che fi
reggano in ogni tempo, e continuamente fi regolino giuda qualche
norma. Il Jt recò, e mofirò per bene e per utile ; ne
da ella evitare, o ifchifare altro mai Jappiendofì che quello, che per
quejìo le gli vene r apprestato come malo e cattivo . 11. Che non Jt
pojfa Uom mai dar in colpa, ne accagionar di altro, che delle azioni Tue
libere, come quelle, che fono le Jole che pojfono per leggi regol arf,
giujia da quello, che qui al di fopra fi diffe, ciafcuno imprende ; Il
perche in quefo tutto, fenza più ci rimettiamo noi a ciò, che n abbiamo
ivi favellato . * ( E ) Chi che porrà mente mai, e vorrà
attentamente confderar le cofe del Mondo, conofcerà, fenza dubbio,
agevolmente la verità di quanto qui noi diciamo, niuna ejjendo vene in realtà
per cui Dio non abbia preferitto y e formato certe, e proprie leggi, e
una qualche norma proporzionata totalmente alla fua natura, e
c^njìituzione ifiabilito ; cofa che fopr atutto miriamo in quelle di cui
qui Jt tratta, inguìfa, che non fembra fopra ciò punir
Il perche fe pur quello egli è fi vero, e certo come noi lo abbiamo, egli
fa meftieri altresì aver come tale, che tutte 1* azioni dell’ Uomo
libere, e dipendenti da lui, debbano qualche norma avere, e giuda quella
per l’appunto efier mai fèmpre difpofte, e ordinate: lènza che l’ Uomo
fomigliantiflìmo a colui eflèndo, che B 3 creo! punto fia
mefieri il pili dffufamente difenderci, e di vantaggio . Per quel che ben
faggiamente egli vien notato per un autore ( 24 ) abbiam noi due
ben diverfe, é- differenti fpezìe d' lnfìtuzioni ; r una delle quali eli * è
del tutta. arbitraria, e dipendente da noi medefimi ; r altra come
nella natura della cofa ijiejfa conffente del tutto, e fondata., altro
non è } che una fegvela ben molto neceffaria di quanto f ebbe al dinanzi
penfato, dove pur coll* . operar al r over fcio totalmente di ciò, che
pria fi abbia avuto in mente d'operare, non fi voglia fe medefimo metter
in /memoratine X e obblianza ; un Architetto per efemploavve-'
•*•«•■ .•••'*! gna •> 4 Pufendorf. fpecim cofltrov. Cf. Joan.
&rW.ùÌ fw* 1. J. N. c# ij, *v* ‘ 5 * • » V' > --‘A l creollo
dapprincipio, c a colè infinitamen* te, c da troppo più al di fopra di
quelle, che qua giù guardiamo di detonarlo fi compiacque, e
contotuirlo, egli è per al fermo una fconvenevolezza grande oltre
mifiira figurartelo, che polla mai da te, lènza qualche norma, o legge
operare, la cui ofièrvanza, o rifpetto dagli altri animali divitendolo,
gli vaglia non men per indurre nelle lue azioni, oltre l’ ordine, e
decoro, molto altresì di bellezza, e di leggiadria, che per un
gran argine, e ritegno alle file sfrenate pa filoni, e alli fiioi
licenziofi affètti ; cote che vie più per cer ta, e ferma deve egli
averfi, che te non » • * D v. x v * ho gnache in
fio arbitrio, e potefià egli abbia dì f ridare, o non fondar e, giufia,
eh' a lui vie più aggrada un Edificio, o P alaggio, cF egli fia>
affai magnifico, ed eccellente, dopo aver «li iifpjb, e ordinato da vero
fabbricarlo fa mejiieri metta in affetto y e in punto degli
materiali tutto altrimente, che s* egli ne vo* leffe mai un mero, e puro
difegno ordinare, e difporre ; poiché fetiza fallo apparirebbe un
matto univerfalmente a tutti, e un melerfo y fe fatto, e formato et? egli
ri* avejfe qufi”,vo% 2* hò delle traveggole in sù gli occhi
della mente, la libertà, che all* uomo compete come a creatura
molto è diver/à, e diffe, rente da quella afioluta, e indipendente
propria di quell’ efier fùpremo, e increato che qui quanto noi veggiamo
confòmma providenza eterna regge pel continuo, e governa .
B 4 . D. Ma Puf end; c. i . /. J. N. et
Cic. de LL. lejje egli mai tenerlo per
quello ; comeche tutt avolta ciò non impedifchi punto, che la di fpofizione, e
P ordine de* materiali JteJJi non fi riguardi come un vero effetto del
difegno, e del libero volere de IP Architetto ; or dell ' ijtejfo
modo appunto dir pojfiamo di Dio, e prejjò poco per una fintile ragione
lìberamente offerire, eh 1 egli febbene aveffe avuto la libertà tutta di
crear, 0 non crear P Uomo, e formarlo animale razionale, e fociabile ;
per tutto ciò dove egli fi dì fpofe pur di venir a IP opera, e di
metterlo al Mondo, non potea non imporgli, ne addoffargli tutti quegli
obblighi e doveri, che dì necejfità convenivano alla co fctuzione, e alla
natura di una si fatta creatara ; il perche dicendofi, che la legge della
natura dalla divina Inflazione ne dipenda^ do ’ -Ma le di quello mai avvenifle, che ne
il - dovefie render perfuafò un Ateo, qual modo tener fi potrebbe
? M. Egli farebbe quefio di certo per Uomo una cofa a fare
molto agevole, e facile ; imperocché non bramandoli da noi per natura, fe
non ciò, che utile ci fembra, o buono, e tutto altro, che malo, o per
noi di poco vantaggio Io fi crede, eh* e* fìa, nulla prezzando,
anzi ilcanlàndolo via to- \ talmente, ed evitandolo, non polliamo
naturalmente, e per una propria nofira inclinazione non operar quelche
riputiamo mai per noi fruttuofò, e utile, e gio. vevole: e isfiiggir all’
incontro, e ifchifare che che tale non fèmbri, efièndo non che del
nofiro appetito fènfitivo, del razionale parimente proprio, ed eflenziale
rivolgerfi . vie Tempre, verfo l’utile, edaciò, che alla natura
umana pofià alquanto di con fòr thnon è da intenderli miga di una
incitazione avviti aria, come f fu quella, da cui ne prove*
** ia n j » a, ma * ìnfiituzione fondata, epojta del tutto
nella natura medefma dell * uomo, e nella fapie n za di Dio
increata, .quale vi modo alcuno mai non pub un fine prò •' porfi, o
volere 9 fenza li mezzi altresì jg* giungervi neceJJarj . v, ap
forto recare, ed alleviamento, come della iioftra averfione al rincontro
egli è l’appartarfi da tutto ciò, che mai può a diftruggerla valere, o a
nuocerle in modo alcuno ; li perche nella natura ideila dell* Uomo,
e delle colè create fi veggono mille, e mille ben differenti
ragioni", e motivi per cui a quello egli anzi vadi appreflo* e
lègua, che a quello, o a quello vie più, che a querto;ciò che per
verità, è (ufficiente, e baftevole per obbligarci, e per trarci a quello,
che mai potrebbe, o varrebbe in modo alcuno a ripolirci, e a darci
una perfezione maggiore aflài di quella, ch’or abbiamo, e tutto altro,
che contrario abbiamo mai conolciuto effèrci, e che nacevole, e di liniero
abbiamo unque potuto elperimentare, lalciar via in abbandono, ch*è quello
appunto in cui confide il dritto della Natura (c); Verità, che conolcere,
e comprender fi deve da chi, che nello Audio della Filolòfia altresì
mezzanamente venghi verlàto, giufta pur liberamente Icriffe il
Maeftro della Romana eloquenza Cicerone ; fa fi: etiim nobis, (egli dice nell*
aureo fuo libro de’ Tuoi Uffici ) (d) f modo m (e)
Gr»t. Prolef. I. B. P. $. xi. VPolf, Pbilof, Zittiva/, f. t. Hrìnre.c. i.
7. JV. $. XI 1 1. XIV, ( d) %Àb, j. ( V. l. Quante, e quali dunque
fono le diverse spe- De LL. natur. c, f. §. 17. ] fpezie d’
obligagioni, che noi abbiamo f M. Molte moltifiime ; ma due però fono
le principali : le naturali, e le divine; poiché a quelle due lòie
/pezie, come a proprj fonti e 5 par, che fi pqliòno mai dedurre 1 *
altre tutte infieme. J>. Quali: fono l’obbligagionì
naturali? M. Quel le, ch’anno pera vventura l’origire, e la
dependen^a dalla ftefia natura del i’uomo, e delle cofe create, o per meglio
dire da’ motivi nell* ifìeffà bontà, o malignità ' delle azioni
confidenti . D. E quali abbiate voi per Divine ? M.
Quelle al rincontro, che ne provengono da* motivi diverfi del tutto, e
differenti da quegli, che il più gir fogliono al di dietro delle
naturali ; come fono per efomplo li favori, e le contrarietà tutte,
che diconfi, ( ma non molto piamente, anzi con gran improprietà del linguaggio
Cattolico ) della fortuna ; imperocché io mi credo, che chiunque mai fia
ben perfàafo, e certo, come pur dalla ragione, non che dalla noftra
veneranda Religione, eh’ efpreflamente lo c* infogna, imprendiamo,
v neppur le foglia, e le chiome degli alberi, e delle piante fi fouotano
in modo alcuno, ofi muovano fonza il voler divino, dine» gar egli non
potrà per verità, che quanto 1 C di di fecondo mai, e
di defilo ci avventili al Mondo, o di traverfò e di fènidro * fi
rincontra, non che giuda la bontà, o malignità ifleflà delle nodre azioni da
noi il piu delle fiate fi fperimenta, come tutto dì la fperienza
altresì ( G ) lo ci dimodra, da quell’ idedò immenfò, ed eterna
fonte di tutte cofè non derivi,* e confèguentemente tutti li nodri
profperi, ocattivi avvenimenti guardar fi debbano come tanti diverfi
motivi, di cui accoppiati, e uniti alle nodre azioni, o inazioni, che dir
vogliamo, quell* efier fòvrano e eterno fi vaglia ben fovente, e ferva per
obbligarci di ben in meglio operare, e per trarci a quedo anzi, che a
quel genere di vivere di gran lunga vie più limile, e conforme al
fuo fànto volere ( l). T). Ma la natura delle cofe, come
altresì quella dell’ uomo provenendo da Dio, non • po (
1 ) W' o!f. FhUtf. Prati, Univerf. c. 3 * Nel notar qui noi, che
il piu delle fiate gli uomini al Cren in quefio Mondo vengano da Dio
trattati bene, o male giufia la malignità, o bontà delle proprie azionici
fi am rattenuti alla /rafie di ÀuguJìino^ì^xumcpic %
{egli potrefcbomo noi parimente con ragione
i’obbligagione naturale dir divina? M. Senza alcun fallo nondimeno
i motivi dell’ una efTendo molto differenti da quelli, e varj, che in
conflituir l’ altra concorrono, come ben voi con far alquanto di riflefiione
ne’ cafi fpeciali alli buoni, o ti idi avvenimenti, che entrano in luogo
de* motivi delle azioni noftre libere comprender potete, non dà bene ad
uomo il confonderle ; il perche molti vi fono, che sì fatte obbligagioni
naturali per difiinguerle anche totalmente dall’ eflerne, eh’ eglino
C a me ( egli dice ) ( 2f ) et malis mala eveniunt ; et bonis bona proveniunt; ma non ( femper ) tutto
il giorno ; perche ben fruente Reggiani noì % per un occulta difpofizion
divina, co* avvenghi tutto al contrario, e diverfamente, come notollo
anche Seneca ( 26 ) .non che il mede fimo ( 27 ) ; /ebbene molti /furono d'
avvifio, che nella dijìt ibuzione, che fi 'fa mai tutt ’ ora dalla
divina provvidenza de'benì, e de' mali tra gli Uomini ad ojfervar fi
venghi fempre e mantenere un ben perfetto, e vero equità .
brio; De Civìt. 1 » 10. c. t. Senec. eie provid.
t 17 ) Auguft. d. 1 . medefimi ammettono, le dicono altresì obbligagioni
interne, D. Ma fpìegatemi didimamente quali fiano quelle alti
e . 'M' Quelle che ne pofiòno mai provenire da motivi, che
non fi arredano, che nella volontà di un ente, che avendo sù di noi
tutta la podefià, e la mano, può egli, e vale a qualche cofa buona in fe
\ e one ( m) Tbo'n.if.fund.jur.Tkit.fy §.LxV'&fe£U»
brio ; nondimeno convien confijjare, che quello, che malo apparifce agli
occhi ncjìri, egli non fa veramente tale, e che quanto noi miriamo come
un difordine, e un /componimento della natura, egli Jìa in fe un ordine molto
ben injìgne, ed eccellente, non potendo mai colui, che quejìo Univerfo
regge, e governa com * Ente fommamente perfetto, cE egli è, e la
fefd fapienza, eJJ'er V orìgine, e la caufa di male alcuno ; come altresì
par che fi fife fiato di fentìmento Epiteto : S> roÒis
xapàt'ods, cioè r.eVuori, e ne’petti degli uomini, fcritto, e incifo ;
peroche non dobbiamo sù ciò dar a audienza del Grozio e del Clerico, li
quali detorcer trattarono cotali motti, e prenderli, per quanto e'
potettero in altro, e diverfò fenfò, giuda, che pria d’ogni altro rinveniamo
alla difHifà, che provato avefle il Budeo ( q ). Per la qual colà fi vede
e comprende chiaramente la milenfaggine di quegli antichi Giurifti, non
che di coloro, che negli ultimi tempi mifero ogni lor ttudio, e cura in
difènderli, o alla cieca fèguirli, lì quali divifàndo il dritto Naturale in
primario, e fecondano, e’ voleanoche peravventura del primo cosipar te (
n Row. 11 . 14» Po') Ibid. C }> ) ArK crìtit. p. 2.
feci. i. c. ir. r. in flit. Thenlog. Murai, p. 1. c. z, $
e cojìringerci di quelche al fammele all'eterno Monarca compete, in
cui in ogni tempo, e del continuo,giujìa che ben dijje V Apojìolo
agli Ateniejì (33) : vfaimm, et movemur, $ fumus ? A&. 1
7-1 v. i 5 . vero come è in effètto ; bramando or noi, ed andando
in traccia fapere qua! fia il vero principio de! Dritto Naturale, o per
mèglio dire, una verità-, o proporzióne principale, da cui trar li debba, come
da tónte pór via di giufle conlèguenze, e difcorfi tutto quello, eh
4 è giuflo, e al’a norma della Natura conforme, che giuda teffe noi
detto abbiamo, è la volontà ideila divina, non fi può, miga con molto
buon raziocinio un cotal principio dedurre né dalla convenienza,
che può mai effèrvi fra le noffre operazioni, e la làntità di Dio ;
o dall* imrinfèca bontà, e malignità, giuftizia, ed ingiultizia dell*
azioni dell* uomo; ne dal ben dubbio, e incerto coniente) delle
Nazioni, o delle Genti ; o dagli precetti, di cui ne fanno, ma con una
grande inventimi laudine, l’autore Noè, giuda gl’ebrei ; o dalle diverfe, e
varie convenziCH ni degli uomini, o per meglio dir, dal Dritto, che
può mai a cialcqno in guilà alcuna Ipettarc in tutte colè, come veggiamonoi,
che fatto egli abbia TObbelìo, ( t ) o dalle leggi dell* umana
locietà, giu- > fla al Grozio, ed altri ; ne dallo flato deli 4
innocenza, fecondo 1 * Alberti Teologo, e D -fi [ t > L:b .
de Ove et in Leviatb* v jo • Filofofo di Lipfia
; o finalmente da quell ordine naturale, che il fòmmo fattor del
tutto nel creare, e formar il Mondo lì può credere, che fi àVefiè mai
propofio, fecondo che dopo lo Sforza Pallavicini fece il Codino ( u ) .
Poiché quelli, e altri fcmif Pianti, e belli, e dotti trovati tutti par.
che difettino in ciò, che in qualunque di efTi aggraderà mai > o
piacerà ad alcuno contendere, che quello principio del Drit• - . • . : •
j . • to Dìflert. de Jur.
Mundi. Egli r- uopo con tutta /incerila e nettezza confejfamo, che vifi
rinvengano non pòchi nella focietà degli uomini, citi non debba premer
troppo lo /ìndio delle Jcienze fpec illative, e che pojjdno in buona fede kj
ciarlo ; ma non pojfamo con ragion alcuna offerirli me deiimo della
Triorale ? della Colitica j e di oucjìafeienza del Dritto della Nat in a,
effendo ogni uom tenuto fornir fene almanco Jtn a un certo fegne^dove
egli pur voglia far buon ufo di fua ragione. Il perche conforme in
quel cenere di Jcienze alcune fottigliezze molte fia°tc fon tolerabìli, e
laudevoli, purché non nano di Soverchio fantajìiche, e fuor del cornuti
ufo : così in que/ìe ultime, non fio ncn meritano, fi tordella Natura
confida, non mai egli potrà tutti li doveri dell* uomo, come fi converrebbe
veramente per far E uffizio di vero principio, ritrarne; lènza che fon
eglino ofcuri del tutto, ed incerti, ed in nulla evidenti ; il perche
lafciando in non cale (lare quanto ad uom mai intorno quello argomento
piacque dirne, o lcriverne,fenza metterci così alla cieca l’altrui orme a
legume, egli non mi pàr, che vi fii meglior mezzo per conofcerlo e
dilcoprirlo che considerar alquanto attentamente, e a fpiluzzo la natura
dell’ uomo, e tutte le lue' 'inclinazióni; perche perni fermo ciò facendonoi,
lo rinvenimmo, lènza fallo, fin dalla culla per così dire, e da’ lùoi
primi anni, in cui egli è cofa alfai lieve conofcere, e vedere
quejche gli fia naturale ( x ), e da Da - qual« CICERONE (vedasi), dt
fin. bonor. et malor.lli-.z. ( tanó da veruno ejftr approvate, e
lodate, ma Jì devono altresì oliremo do fempre mai come ben
fofpette, vituperare ; poiché avendo sì gran bìfogno e necefjìta
d'ijtruircene, come tejie noi diffmo ) debbono elleno con tutta
naturalezza trattarti, e /empiitila ; cofa che bajìa (fui notare per far
cono f cere ad ogni uno il mot ivo', qualche abito, o cofiumanza in
lui non provenghi, fi porti mai fèmpre verlò rutile, ne altro unqua vi
fii, che quello, che meriti con ragione, e da fènno per vero
principio del Dritto della Natura d’ ayerfì ; lènza che le vi piace
paflar più oltre, e dar parimente una qualche occhiata aerò, che
n’imprendiamo dalle Sagre Carti nel mentre, eh’ e’ fi rinveniva
nello fiato dell’innocenza, il limile noi -rinveniremo, e non altrimente
; avvegnaché allora, giufia che comunalmente fi vuole, avuto egli non
avefiè, come per al prefente il cuore di mille, e mille paffioni, e di
varj, e diverfi movimenti, e affetti ingombro, e ilmoflò . Quindi lo
fiefiò Dio alla prima fiata, che favellò all’uo> mo nel Paradiso
terrefire, per obbligarlo all’ ofiervanza de* luci divini comandamenti,
altro non lappiamo noi avergli propòfio, che l’ utile, che da ciò potea
egli ’ ‘, mai EpMetus ErXEIPlAlON c. ;S.. r t, .
e la ragione, che Jì ebbe in quejìa Operetta, di non feguir ninna
deir altrui oppinioni circa al princìpio del Dritta della Natura,
fenza darci la briga di piu a dijiefo rifiutarle, c con pili,
h mai trarne, e ’l danno, e difvantaggio* (2) che dal contrario
operare gii farebbe unqua avvenuto favella ufàta da lui con l’uomo
altresì in ogni, e qualunque altro ‘tempo dopo il peccato, non men per
mezzo de* faoi Profeti, che per Io fuo fig Muoio, Giesù Chriflo, com’ è ben
noto a chiChc abbia letto pur una fol fiata li làgri libri; nè fappiamo noi,
per al certo, altroché quello lòlo mezzo da Dio praticato a determinar
l’uoraògiufta alla fua divina vo- lontà ; anzi io non mi credo, che tra noi
fi rinvenghi perlòna alcuna, che dovendo altri pervadere, e* naturai
mente non penfi, che perciò altro meglior modo non v’abbi, o fi
rinvenghi al Mondo, che di propor;,V ; > D 3 f ; \. > gli ( 2
y Gene/, c* z. 1 6. 17. èc ., " 1 1 * \ * pih motti impugnarle
; rinvenendojì di già, ch'abbiano in ciò foditfatto appieno^ed
appagato ciafcuno fujjicientemente molti al dinanzi -, noi(ia)con una
fomrha e rara loda veramente^ td‘ g Puffèndof. fpecim.
controver. iv. 4. iz. Henri. Coccei. drfE de jqr. omn. in
omn.Thom.fondam.f. N» I. 6. 1
8. Jurpr. Divin. IV. 40. feq. et de fundam. defmiend. canfs. Matr. haet.
recept. infufK XVllf.S. M.de Cocceis de princ. I.N. di/T.I.q. U.$.IX.
feq. et q. III. § . VlII.Petr. Dan. Huet.q.
Alnetan. II. p. 173. &c. e eh * imperò prenda alcun il motivo
di accagionarci, avvegnaché Jì tratti: no pur per il dritto iltefiò
delia Natura, non fia miga da metterli in dubbio ; Ad ogni
modoconvien confeflarc, 1* uomo lia totalmente quafi incapace dell*
acquilo delle vere vir;ù, le quali di vero non fon da reputarti d’
altri proprie, che di Dio ; imperocché le l’uomo opera cola che
onefta, e giufta, o di decoro ella fia, lo fa lòlo, perche vien egli
tratto a farlo, e portato dal guadagno, e dall’ utile, eh’ egli mai
riconolce poter ritrarne, e non già per la bontà lòia e l’ oneflà
dell’ Azione,* colà che per i’ appunto è quello, che rende Tazion
dell’uomo imperfetta alquanto, e difettofa, perche della vera
onefià, e della vera bontà non par eh’ ella nè porti in effetto, eh’
affai picciol fegno, a tale, che più non fembri d’efia • Al contrario
Iddio operando con motivi infinita . * rnen tìdicofa mera arbitraria,
dì jlr alagli nza\ poiché lafciando pur da parte Jìare, che da malti
degli antichi (3 f ) tifato JiJoffe altresì in qucjìo modo, che noi f
t/Jìamo, non che ' da* C Jt ) Cic. lib. rie offic. ;• .
* j mete d’ affai piu alti dell* uomo, non fi lafcia così
portare, ne trar mai le non dal giufio, e dall’^onefto proprio dell’azione,
eflèndo quello giufio medelìmo, e quello anello, lo fteflò Dio . E così
confórme l’operar dell’Onnipotente, egli è come un acqua, che chiara,
lucida, e crifiallina ifcorrendo tutt’ ora da un ben terlò, e
limpido, e polito micelio, totalmente d’ ogni lòzzura, e laidezza, monda
fi mira e netta, così quello dell* nomò al rovelcio è come un acqua
torbida, e piacevole, che da una diverlà fingente deriva S
' A ’ 1 * _ ^ . t _ j ., da' Padri della Chiefa
5 rinviene comunalmente in quefio Jfènfo adoperato nelli fagri
libri, come per alcuni pajfi, che apprefio ne riferiremo agevole fa il
riconof cereali per che per dir tutto in un motto, non deve recar
maraviglia ad alcuno, che da noi non fi ammetta mai dell' utile dij cip agnato
è dif unito dalla pietóso fa nonefiendovi ne pii* certame pili vera di
quefia gran majfima dell' Epitteto ( 37 ) 0718 to' cvpyófop, **«
to’ ìw'tfft* cioè l ubi Ut!» " litas, ibi pietas. ) DeGivit.
Iib. 19. c. ai. Si &c. EFXEIPIAION C.3S. va, Cozza,
in fé tutta € fporca, non potendo egli mai, per quanto fappia, e vaglia,
non commanicarle delle lue imperfèzzioni, e laidezze j verità, che
la conobbero, e comprefèro altresì li Gentili, fcrivendo Cicerone
in parecchi luoghi delle lue opere, e confed'ando., che nell’ uomo
non s’ ileopriva altro Gerttf.c.i, v. z6. ire, . /•; t
propria, e fòia d’ un Ente lùpremo, e infinito ; poiché al certo doverebbomo
noi te• ncrci pur troppo beati, e avventuro!! al Mondo, quando ciò
ottener da noi fi potette ( M ) ; Non confittendo veramente in altro la
lèmma felicità, che per T uomo fi può in quella vita avere che in un
gran agio, e deftro, da poter del continuo in tutto il corfo del
viver luo vie meglio Tempre perfezzionarfi, e giu&here con ogni
aggevolezza, e lènza intoppo a far tutto dì progreflì maggiori in ogni
genere di virtù . Quindi il non mai abbattanza lodato ( M )
Per quanto mai tratti V uomo dì ne fiegue lènza dubbio, che dove purvo• -
gliamo noi le nolìre azioni regolare a » nolìro utile, e vantaggio, damo
obbligati altresì quell’ iftelfe determinarle a gloria di Dio,
acciò chiaramente da quello apparila di conolcerlo, e quanto mai a noi è
pennellò in quella mortai vita comprenderlo, e adorarlo ; onde I* uomo è tenuto
non folo a molti obblighi e doveri verfo di le (ledo, ma altresì verlò
Dio, luo fattore, e Creatore. E per al fine elTèndo ogni uomo
naturalmente tocco da un gran piacere, e diletto - per T altrui
perfezione, dove egli pur non vengfii da ben contrari affetti impedito ;
e T azioni libere dovendo Tempre corrifpondere, e convenir totalmente con
le na cofcienza godere, che maggiore nè decelerare, nè
bramar Jì potè [fé unque da uomo al Mondo, chi negar mai potrebbe da fenno non
effer ‘noi li piu felici, e benawenturati del Mondo, ne a morte, ne a
ccrruzzione alcuna fog . a etti ? poiché giufta il faggio, Cuftoditio
legum, confumatio incorruptionis eli, in C Sij). c.\n, naturali, abBifògna
conchiudere * eh’ ogni uno debba operar non meno per lo proprio Tuo
vantaggio, ed utile, che per l’altrui ; e ch’imperò abbia a conofcerlì V
uomo obbligato a molti doveri e uffizi altresì verfò gli altri. Il perche
effendo egli colà ben certa, ed infallibile, chedovepur ci
aggraderà con tutta la diligenza, e 1* accuratezza del Mondo gli
enti tutti, che ci danno dappreffo, o allo ihtorno confiderà re,
non iè ne rinvengano, che quefìi e tre fòli capaci d’ uffizi ; ciò è :
Iddio, noi medefimi, e gli altri uomini, a noi per natura totalmente
uguali, e fimili ; fi può con ogni ra *• g io * incorruptio autem
facit efie proximum Deo ; cofa che fa vedere, e concfcere quanto
faggio Jifrffe il di /correre, e il raggiera?' di coloro tra gli
antichi, che voleano, la vita beata fri nella virtù fi conìengki, gjujìa
Grifone, Senocrate, Speu/ìppo, e Polentone ; come quella ydf era la fola,
che un bene ben Jì abile, e fjfo, e durevole comprende a ; come eh e
Epicuro altr etì, che fcritto avea la voluttà e/fer il fine de ’ beni,
negava, che per alcuno f avejje potuto mai giocondamente vivere fe
onejìa, e /ozia mente } c con gitjìizia vivuto non gione da
per noi diftinguer T utile, e dividere in tre generi diverfi, o fpezie, eh’ elleno
fi liano molti differenti alle quali tutte e’fà meftieri,che per uomo fi
raguar> - di, dove egli brami d’ operar veramente bene, e giufia
il Dritto della Natura, imperocché fècondo.il numero degli enti, tettò
noverati, capaci di Aever da noi uffizi, altro è l’utile, e ’1 vantaggio,
che noi tragghiamo da Dio, altro quello, che abbiamo dagli uomini, e
altro finalmente quello, che provenir ne può mai dalla noftra fletta per
fona . Oliali dunque di quelli meritano il primo lu^o.
M. Ettendo ciafcun di noi, per quel chedif fimo
non Jì avejfe ; fentenza veramente grave, e degna dì un vero
Filofofante, s' egli viuji a feirive CICERONE (vedasi), riferito non
avejfe alla voluttà quejio medejìmo c neramente, favi a mente, e con
giujiizia; Ma che che però di cil> y ne fi conchiudiamo con queir
aureo detto di S, Augufino: Pax noftra propria, &hic
eft Tufcul. qu. 1 . 4”, Ds Civic. 1 . xix. c.
17. fimo al dinanzi, tenuto far tutto ciò, eh" e*
conolce ellèrgl i di vantaggio., e d’ utile, e - non eflendovi Ente
alcuno, Che maggior giovamento recar gli poffà giamai, o vaglia di Dio,
da cui dipende ogni noflro bene, ed avere, e come Ente perfettiflìmo mira
fino all’ interiora del noflro cuore ; ip ogni nofira opòrazione che che
/òpratutto fiam in obbligo guardare, egli fi è qdefto Ente fupremo,
ed eterno., cui con tutte le potenze del noflro fpirito fiam
obbligati nonché nell’ efierno, nell’interno ancora tutt’ ora
oflequiare, e in ogni momento compiacere, e venerare . In apprefiò perche
egli è affai più l’utile, che da noi medefimi poflìam ricogliere,di qualche da
altro uom mai ricogfiamo, egli è meftieri, che apprefso Dio nel noflro
operare da ciaf un di noi fi miri molto piu al proprio, che
all’altrui commodo, o per meglio dire, • alli diverfi doveri, che
dobbiamo verfo noi E ' ' ftef • • * i .* eft cum
Deo per fidem, et in asternum erit c um ilio per fpeciem; fed hìc ftve
illa communisjfive noftra propria talis eft pax, ut fòlatium mi/èriae fit
potiùs, quam beatitudi-^ nisgaudium, . Niu T v
r -A fieflì vie molto più, ch’a quel li, che
dobbiamo alla perfora altrui(N).Il perche per dir s 9 egli a fi la
finità del prrjjìmò membro traef-, come da ciò, che fin qui hò
detto, e diro vi in appreflo-potrete voi da voi medqfimo
comprendere; poiché quanto da quefto mai fè n’ inferire, ad altro infin
non fi riduce, che aquefto fòlo: ciò è : Che la perfezione dell* uomo in nuli*
altro mai porta confifier, ne fondarli, che nel temer Iddio, ed
ofièrvar a /piluzzo, e con ogni efàttezza del Mondo ( giufia
Pinfègnamen* to ( e ) del Savio ) li ìuoi divini comandamenti . Il perche
non fà miga contro noi quel che difputano il Grozio, il Purtèn -
dorfio, ed altri contro Cameade, e fuoi lèguaci, da cui fi veniva il
proprio utile ad ammettere per principio del Dritto della Natura;
pigliandoli da noi quefio vocabolo in altro, ediverfo lignificato d’afiai
più (ubi ime, ed eccellante ; anzi le non vado E 3 . . erEccl.
Omnia mihi licent,* at non omnia protent, (fcrive F Apcftolo ) omnia mihi
licent $ at non omnia aedificànt. Or appunto gìujìa queflo infegnamento
abbiam noi ere -fiuto, che nel mifurare F utile di ciafcuna delle nojìre
azioni guardar fi debba, e aver la mirali, alti nojìri doveri verfo Dio,
eh ' è il nojìro Vero Padre, e la ver a origine d'' ogni n offro
bene, poiché fecondo faggi amen te feri * ve Auguflino (47), fi
diligenter attendas nec ntilitas fit ulla viventium, qui vivunt impiè,
ficut vivit omnis, qui non tervic Deo ; l De Ciyit. 1 * i?.c. nulla più,* imperocché pochi giorni
fono, ch’intefi peravventura un giovine far gran pompa, e moftra
delfoppihione delì* Eineccio all’intorno quello particolare, e ' per dir
il vero, come eh’ egli dille molte colè delle buone ; in nulla però valle
egli a rendermi ben perlualò, e convinto. Il coftui parere non è
miga men vero, • edifettófodiquel che lo fono, quelli degli altri,
da noi poco al dinanzi cennati ; non efiendo il Itio principio di tutte
quelle qualità e condizioni ben fornito, eh’ in Un E 4
vero * r nel qual luogo Jl 'Vede il
vocabolo d' utilità prefò nel medejìmo f e nzo, e fgnijkato, che
gli dbbiam noi imputato } e gì ufi a che altrove con ben falde
pruove altresì dimojira il Santo, niuna delle nojìre azzi ó ni per giujia
e buona aver .fi pojfa mai, o debba, dove ella fatta non Jìa a lode,
e gloria di colui, eh* è il no jìro bene, e che perciò le virtù de* Gentili
Jt furono realmente anzi vizj, che vere virtìt (48); lhGh J egli
fra meflieri conjxderar in apprejfo, e ben dif aminare fe /’ azione, eh
* imprendiamo a fare pojfa mai recar qualche, ' incorna De Givit. L
ip. c. xi. et vero principio, per
qudch 9 egli medefimo c ^ confefia, fi richièggono; anzi è egli meftieri
di necefiHà ammetterne un 9 altro, da quello del tutto divello, da cui e’
ne dipenda ; imperocché efièndo egli quefio _ l’amo ìncommodo, e
dannaggio ad altri, giujta li precetti vangelici, non men che naturali, e
perciò fin d Gentili per quel, che Jì notò al dinanzi affai ben noti e
pale fi : e III. Che al dafezzo Jì debba guardare fe quejie ifteffe
conformi e' favo, 0 no alli doveri, che debbiamo a noi medejìmi ; Il
perche dove anche un Jì rinvenghi per dir così povero in canna, edagrandiffma
fame cojìretto, non deVe per niun utile, cheritorne mai potrebbe, rapir
il cibo all 1 altro uomo, anche che fìfoffe qnejti un Falere, per cosi dire, un
fc eteraco, un tirando, 0 un uóm dappoco ; e tnelenfo> giujiaf fujìn
il fent mento di CICERONE (vedasi); perche in niun modo più grata, e cara
a me deve effer la vita mia, che tale dìfpjìzìone dd animo yCÌf io
non nuoccia ad altri per proprio mio agio, 0 commodo •• ‘ * $)
Egli C 49 } V. Not. De ofl;
1. j. c.j. • • . . l’ amore; chi di api-mai- ad amar una
colà., o appeterla può da lènno afferire d* elferfi unqua portato, lenza
un qualche motivo,.o ragione quale per l’appunto fi farebbe la
bontà ifteflà della colà, o l’onefià, o 1’ utile ? Chi è colui, eh*
operando da uomo, ama, e delia, o quella, o quell’ altra colà,
lènza che prima non la jicono(ca in qualche foggia del fuo amore, e delle
lue brame ben degna ? E lè ciò egli è vero, come lo è in effetto, 1*
amore non fi può miga in modo alcuno tener per principio del noftro
operare, ma fi benetutt’ altro da cui la noftra volontà fi vegga, venghi
mai a quello determinata tèmpre, erifòfpinta. Or e amare
venne filo da Pia • Puòftro bene,• io non sò mai comprendere i
nò capire, come f obbedirlo, non che il predargli tutt’ ora omaggio a noi
non fi foffè connaturale j imperocché lalciando da parte dare, il dritto,
che a Dio compete, sudi noi, e tutto altro, che intorno ciò fi potrebbe
mai dire, confèrvandoqi egli per lo continuo, ed in ogni momento
quali che novellamente creandoci, nè moftrandotì giamai refiio, e fchifo
di beneficarci così abbondevolrnente, che per quello conferò un Pagano
medelìmo : (g ) non che provvede egli a tutte nofire bifogne,da Jui
noi, ufque in deliriti amamur ; tot ar bufi a mon uno 'modo frugifera {
foggiungc egli ) tot herbce fai ut ar et, tot varictatet ciborum, per
totum annum digejia: .ut omnti rerum naturce part tributum aliquod nobii
confert ; ancorché non avefiè Seneca de Bene f. lib.iic.ydt I.
r uomo formato, ed creato ; e in con f egri erosa per unirlo, è
ajjoeiarlo con qualche oggetto, la cui con f cerna, e 7 cui amore vai
effe a prò dargli qualche felicita, e ripofo ; echéverfo quejìo egli
tuttora portar f debba ed incarni narfi \ Il perche la prima, legge dell' uomo
y per quel domandato mai da noi olTequio, o ubidienza alcuna, pur
dove conofcelfimo e£ lèrgli cotanto tenuti, e obbligati, per •,
gratitudine almanco, doverebbono in tutte le noftre azzioni fa r in modo, che
non vi apparile nulla, eh* aver fi potefiè per legno di non temerlo,
o non adorarlo, nè compiacerlo incoia del Mondo. Ma di vantaggio:
febbene dubbitar noti polliamo, Dio niuna cola c’ im pónghi, re’
comandi, s* ella nello ftelTò mentre per » v noi non fii a noftro prò, e
utile ; non però egli lèmbra,* che come tale da lui ella ci venghi
comandata, o importa, mia lòlo perchè e’ fia alla lùa làntità, e volontà
confbr ’ ' • w . . enei eh' egli crede Jl è la pia derivazione
al • la ricerca, ed all' amor di quejt * ometto, che altro unqua
non pub ejfer, eh' Iddio,, eh' è il fola, che può, e naie fidi far lo, e
renderlo di tutto ben f atollo ; legge la quale, conforme egli ferine,
effendo di tutte l' umane obbligagioni P unica regola, e lo fpirito,e il
fondamento di tutti li precetti del Vangelo, è altresì di tutte l’umane leggi
bafe, fojiegnc, e principio ; anzi pere F ella obbliga tutt' uomini fenza
eccezzione alcuna di perfona a unirfi tra forme i e ip
confèquenza parcheconvenghi dire che il giufto Ila affai al dinanzi dell’
utile j M. Quello non è men falfp e vero j imperocché niuna cofa fi può
mai fingere al Mpndo, o imagi nar da noi, nè contra,nè oppofta alla
fantità divina, o al divin volere, che parimente ella non fia d’utile, e
di vantaggio per noi; e quefto in niun conto fi può mai dalla giuftizia
fèparare,e dividere, o quella da quefto ; perchè Dio cpme en. te
perfettififinao, e fàpientiffìmo, eh’ egli è, non tra
ejfi, e ad amarfi vicendevolmente, ne racchiude in f e fiefià un ’ altra, eh *
è la feconda; imperocché t fìtti noi pef natura al pojfefiò di un
unico, e foderano bene defiinati, e per li -, game si fretto e fido uniti
ejfendo, che giufta fi legge in S. Giovanni non comporremo, ne fot'maromo
altro mai, che una fila perfona (s i ) non pojfiatno giugner giamai a farci
degni di unità tale nel peffedimento del commun nofiro, ed unico fine fi non
col cominciate dianzi, e in quefia firada appunto, che per colà giugner e
fiam tutti tenuti battere, ad • • .. D fri.
Balli dunque quello pef oggi ; imperocché eflendolì illòle da gran pezza
ritirato: domattino per tempifiìmo, dove vi piaccia, altresì in quello
ilìeflò luogo, tratta- remo più agiatamente quélche vi rimanga intorno
quello particolare Addio ., : de* .1 • ’deffo ; non
lafciano perb elleno di fujfifiere, ed ejjer immobili ; t come tali far
che tutte le leggi per tui la focietà degli uomini Ji regola nel
prefente fiato non fiano ^ che una ben feguela di effe ; onde non guari egli,
in quejlé> Jlabìlìfce un piano di tutta T umana focietd .
Dunque avete voi con maturezza, e diligenza le cofe, di cui
jer qui ebbomo ragionamento, tra voi me. defimo ben di laminato
? V. Senza dubbio, e vi dico con ifchiettezza, eh* elleno mi
ferr.brano regalmente, abbino una grande aria dolce, e maefiofà di
femplieità, e di naturalezza . Or via alle corte,* oggi tratterò a
tutto mio potere di farvene conolcere e comprendere 1* applicazione, e
Tufo, non che T agevolezza, e la f cilità, con cui li doveri,
gli obblighi, e gli ufrzj un, ani tutti polloni] da chi che lia mai da
quelle dedurre. Ma con qual metodo, od ordine in ciò voi
procederete ? M. Elfendo pur convenevole certamente ch’io
m’ingegni favellarvi di tutto sì aperto, e chiaramente, che niun dubbio rifletto
a quello particolare d’aver mai vi rimanghi, vi rapprelènterò 1* uomo in
vari, e divel li rincontri di lùa vita, e in ben mille, e mille
differenti fùoi flati ; imperocché figurandomi io mirarlo da pria nello fiatò
naturale, or tutto fòlo, e lènza altri in compagnia, or di brigata con
tutti pii uomini, ed in una lòcietà univerfale, or con la tua moglie, e
con li fùoi figliuoli, ovver con li lùoi fervi * e con le Tue fanti,
ed or al fine con quelli tutn ti uniti infieme ; in apprellò dilcenderò,
e verrò paflò, palio a confiderarlo tra *1 riftretto, e tra li termini di
una Città, o Repubblica Ha come capo, o rettor, di quella, fia come un
membro, o inferiore ; colà che fàcendofì, le non vado errato, verrò a
rìifpiegarvi molto diffùlàmente, e trattarvi alla dillefà tutto ciò, a
cui Vien ferialmente per altri quello Dritto Della Natura diftefo, cioè *
l’Etica, P Economia, e la Politica per non lafciar colà alcuna da farvi su
quello argomento offèrvare. Che intendete voi per Etica? Una Icienza,
che non (i arreda *in altro, che in quelle fole regole, che pofTon
mai - riguardar l’uomo confidcrato o folo, o di brigata con gli
altri Uomini nello dato ./ della Natura.V* Co Non v’ ha piu laudevol
co fa, nè piùfruttuofa, o piu utile in una faenza, che uom mai
imprende a trattare, d? if covrir ne da pria, e fvelarne li fuoi principi, ed
in apprejfo pajfar al particolare, che di là ne rifinita . Il perchè
avendo nei nel nojiro primo trattenimento favellato de'veri principj
delle leggi naturali, difendiamo ora alle regole, che da quegli Jfe
ne pofono unqua per alcuno inferir eycof a che varrà altresì,
fenzafallo,per facilitar li ncjìri leggitori, ed in un tempo
medefmo per un ben molto acconcio modo agevolarli a render di quelli un affai
fermo, e perfetto giudizio non effendovi per quel che noi fappiamo,
per metterli in quejio fato, altro metodo, o Jìrada miglior di quejìa . Colà è
Economia ? M. Ella fi è un altra fcienza molto diver• fa
dall’antecedente, in cui'fì comprendono ’foltanto quelle regole, che
apparten* gono alla condotta dell’ Uomo nelle focietà fèmplici, non che
in quelle che fi anno per men compofie. Chiamiamo noi iòcietà fèmplici
quelle, che non fi formano, che di fole, e (empiici perfone, come la paterna,
ch’è tra genitori, e figli la coniugale tra marito, e moglie, e T erile
tra padrone, e forvi ; diciamo men compofie al contrario quelle fòcietà,
che non formanfi, che delle fole fèmplici, qual appunto fi è tra
quefte la famiglia, che non vien compofìa, che di quefie fole, di
cui qui or noi favellammo, rinvenendole. ne dell’al tre molte afiài eia quefie
diverte, e differenti, e molte vieppiù compofie, perchè non
formanfi elleno, nè fi coflituifo cono, che delle fole compofie, come
per efemplo fi fono le contrade, o li borghi, che compongonfi di
più famiglie unite infieme in una fol fòcietà pe *1 comun lor
mantenimento, o per la confèrvazione de* lor dritti Gentilizi, fo per
avventura e’difoefcroda un folo, ed unico fiipide, come pur fi crede, che
avvenuto mai fofiè nella prima ifiituzione di tali fòcietà; o le Città, e
le Repubbliche, o i Regai, Pane de’ quali fòrmanfi di più. borghi, o
contra le; e Paltre di più Città, rette e governate da un
folo• Difpiegatemi il termine politica? Egli appunto quello è il
nome proprio di quella facoltà, o fcienza, che infogna l’obbligo, e li
doveri dell’uomo in queff ulti me locietà . Dividete voi adunque, fe non
vado errato, tutto il Dritto Naturale in Etico, Economico, e Politico ; ma
rinvengono pur per'altri parimente quelli e tre voca. boli adoperati alla
fletta guifà? M* Mai sì, come che quelli fiano molti pochi ; poiché
afsai più d’ordinario s’ ufano eglino a fpecificare, ed a diftinguere tre,
e diverle parti di FILOSOFIA, in una di cui li tratta delle virtù Morali,
nell’altra del buon governo delle colè domeniche, e famigliati, e nella
terza, ed ultima di quelle di uno Stato, o Repubblica, giuda fi leggono,
che adoperati furono da’greci, da cui travalicarono a noi ; come che
con ciò, vaglia il vero, lì venghi per poco a far il medefimo, e lì
noti lo ftefso . JD. Or via prendendo il filo di quel che dir
dobbiamo-, figurandovi al dinanzi d’ogni altro mirar Puorno lolo nello
Stato di Natura, (piegatemi quali erano mai gli obblighi, e li doveri di coftui
in quello Stato (B). j . Egli fi riducono quefti e tutti, lènza
fallo, Iil.come U può di leggier comprender da chi che penlà, a due
(òli capi ; il.primo di cui lo riguarda come a creatura, e opera di
• Dio ; e il fecondo come a creatura, ma ragionevole, che opera per la
confervazion di se medefimo, e delle (ùe parti . D.
Spiegatemi didimamente gli obblighi, F 4 v e li . ^ Lo fiato
d' una per fona non confjte in altro, falvo che in alcune qualità, che
rifguardandofi,ed avendo]! come proprie fue,ven gon acofiituire la differenza,
e il divario, che v' abbia infrajei, e un altra ; tali per efemplo
fi fono ì’efier di majchio, 0 di donna, di giovine,0 di vecchio, di
libero, 0 dì fervo, di figlio di famiglia, 0 dì padre, di ricco, 0 di povero,
ed una infinità d'altre di cotal fatta . Il perchè altre di quejfe
ejfendo naturali, ed in nulla da noi dipendenti, ed al tre al rincontro
avventizie, e del tutto in no jìra propria balìa, ed arbitrio, altro è lo
fiato naturale,fifico, e morale di ciafcuno, altro quello, eh' è puramente
civile, od avventizio . V e li doveri del primo capo,
che tra tutti ' gli altri, cui per natura 1* uom è tenuto, giuda,
che da voi jer apprefi, fon li primi. Qual fia la baie, ed il fondamento
di quelli, e come noi li conolciamo, le voi ben vene rinvenite, alla
diffhlà vi moflrai altresì io nel ragionamento pafiàto,* il perchè dipendendo
eglino totalmente da quegli principi, che in quello per quanto valli di
ftabilir m’ ingegnai, non (limo colà molto fuor di propofito, ed
infruttuosi, per voi, che pria di più oltre paflàre* quanto ri
fpetto a quella materia sì dille fe pur così vi piaccia, mi ripetiate
. D. Ecco tutto in pochi motti ; fùppofto,che fi ebbe da voi
per ben certo, e fermo I. Che l’uomo, ogni qualunque volta, che d’
operar delia, lènza fallo, giuda la propria natura, venghi obbligato, e
tento to di regere, e regolar se medefimo in guifà, che tutt’ora col far
per quanto fappia, e vaglia, qualunque cola per menomilfima, eh’ è ila a
fuo utile, e vantaggio vie più fempre mai ottenghi, ed acquilìi della
perfezzione . II. Che le da lènno quelli portar fi voglia, e trattar in
sì'fatto modo, e con aver un cotal fine al dinanzi di se ftefio, metter
e’ debba tutta la cura e la diligenza di ragione in ordinar del continuo
le proprie azioni, e regolarle sì fattamente,^che mai fèmpre e* giungano
quello Hello fine ad avere, od ottenere 4 di cui Dio, eh* è 1 * autor
della Natura, per quanto noi comprender polliamo, fi valle mai nel
regolamento delle lue azioni puramente naturali, e non dipeni denti
dal lui. III. Che v La Concozicne, per ef empio, e lo
fmaldimento de' cibi, eh' in noi Jì vede far del continuo mediante il
ventricolo, e f fendo '• uri * operazione, 0 azione, che dir vogliamo
f del tutto naturale, ed imperò il farla, 0 non farla non
dipendendo da noi, altro fine giu* fa, che dalla ragion ? imprende, non
fi ere de, Dio avejfe avuto mai al dinanzi in or di’vi aria, e infìituirla in
ciafcun di noi, che di far per quefia firada, e con quefio mezzo,
al nofiro corpo ricoverare, e riacquifiare quel che gli era
mefiieri per poterfi ben fofienere, e mantenere al Mondo, non che per la
continua tranfpir azione, e per l' inf enfiti le trapela mento delle fue
parti da momento in momento egli veniva mai a perdere, e logorare . Al
rincontro /’ ufo de ' cibi, e della vivande y come cofa eh' è totalmente
in nofira ha Che quell’ efier fovrano l’ ultimo, e il
principale fine, che fi propofe, ed ebbe mai al dinanzi nell’ ordinanza
delle noftre azioni non naturali egli fi fofie fiata la pro
balia, ed arbitrio, elP è ut? azione in tutto libera, e dipendente da noi
; Or dove pur ci Venghi in grado, ed abbiam vaghezza, o voglia alcuna d*
operar a nojìra confervazione, ■’* e di reyveref e regolar una colai
ncjira azione in “ Tal fatta foggia, egli è meftieri ab • biamin ejfa
quelVìfiejJb rifguardo, e quel me defimo fine che fu quello ( giujìa la
nojìra credenza ) di Dio nel creare, e nel formar del nojiro
ventricolo, cioè, la JteJJa nojìra confervazione ; coJa> che produrrà
f enza fallo ^ infra queJV azione, e quella del nojiro ventricolo un
certo concerto, ed una certa armonia tale, cui non f vide mai da uomo
altra pari ; imperocché arr.endue qnejie verranno elleno a
riguardare un medejimo fegno f ed un JiefJb fine ad ottenere ; Il perchè
non fi deve in niun modo qui pafar fitto filenzio, che propriamente
azioni diconfi da noi non men quegli movimenti, che in noi provengono da
noi ovruv, /gì ìioixiy‘itov rù oKot Koiktùf /gì S ' inaio f, v, gì (Teano
v eie rivo xeimnvKX^au, '7Ò irtifaStcu ocùvo'ts, /gì «xay ir ieri vaie
ytvof/ivoie, ygi et'xi\hòéiy ix,óvmuàf imo rijs etp Irne yyeùfjuif
'/y'reXvtiìvoii . \ ale a dire. Il lòmmo, e il principale
capo deila Religione egli fi è il far opera, e proc, curare ad ogni
Ilio collo di riempier se me. defimo di buoni opinioni intorno gli
Del immortali, (parla egli da Gentile) per poter giugnere a vivere
ben perliialò,e certo, eh’ eglino di vero efiflano; che con ogni rettitudine^
giufìizia tenghino la fignorìa dell* Univerlò : Che fi debba loro preftar
alla cieca ubbedienza in tutto, e contentarli di quanto eglino ci
comandano, come proveniente da quegli, che lono di lunghi!! fimo Ipaz io
vieppiù fàggi e vieppiù intelligenti. di noi ; perchè così non oferai nel
corlò del viver tuo giamai accaggio nar (a) ErXEIPIAION cap.tf.
DE’ PRINCIPJ narli di nulla, o . rr.tr mancarti in modo alcuno, che
venghi da efio loro meflo in abbandono, e negletto. Ch’ La
necejftà, ha V uomo di fod disfare a queji' obbligo, o dovere, manifefiamente
fi ccnofice da ciò, che com e egli f vedrà, Je ne ritraggono per poco, fi
filo, quafi che come una confeguenza tutti gli altri doveri, od
obblighi di qnefio genere, che lo riguardano come a creatura Quindi abbiavi
gran ragione da poter con franchezza ajjerire, che dalla negligenza, e
trafcura t agì ne grande tifata da noi in quefio, egli venghi, che fi
mettano quafi, che del tutto in non cale, e fi trofie urino tutti gli
altri, come imprendiamo altresì dair Apofiolo in uno non molto
diverfo propofito. Il perche come a Santi Uomini la contezza grande,
ch'eglino ebbero, per quanto mai venne lor permefiò, e pojjederono
de' divini attributi, valje di lunghijfimo fpazio nel Mondo per portarli
ad un grado di perfezzione, in cui affai dirado uom giugne ; così
la mancanza eh' è in noi di quefia, egli è cagion fovente del noftro operar
al rovefeio, e del contrario procedere, la Ad Rom. c. i.
n.zo. Sex 3, V fi DEL, DRITTO NATURALE. 9 f IL
Che gli convenghi per ogni verfò,e fia in obbligo d’ operare, e trattar
gii fia al divin volere, non che fervirfi di qutfio prefc fo che per
motivo delle lue proprie azioni efiendo cola pur troppo certa, e fuor
di dubbio, eh’ Iddio chiegga da Jui, eh’ e’ fi regga, e governi
fecondo le leggi della Natura : Quando mai pur da te fi comprende, che sì
abbiano difpofio li Dei ( dice un Gentile) sì fi facci « to'*
Stois .Che fia tenuto di neceffità
amarlo^imperocche dalla cognizione delledivinè perr, fèzioni provenendone lènza
dubbio nei cuor dell* uomo f -e derivandone un cotal ‘ guftq, o
diletto, che dir vogliamo e pia* cimento, che non abbia chi. lo
pareggi . quindi nafee in lui certamente della benevolenza, e dell 4
amore in. verfò quefìo etfèr . . Supremo. Che quett’amore,e quefta
benevolenza, che Lanino è in obbligo, ed m doVer’ di porta: rea
Dio,convenghi,che Tuperi di ìunghiffimolpazio, ogni, e qualunque altroché
a .cofa mortale fi può da lui . portare i ‘ r /c G im ZX l.fupr., • .,( F ) Quefto
appunto è quetV amore, che in ptu luoghi di J agri libri (%) ci fi
accomandai Matt.ii.D^iter.c.^.é.exo3.io.icvìt.a().&c.
f D £’ PRINC I V J imperocché ;1* amore, in noi provenendo .
dal pi acere, e d^l diletto, eh’ abbiamo deb . Faiv •’> *
r — » r f f .., •. V \ da, e con tuie motti del DECALOGO
– H. P. Grice: “Perhaps Moses brought something else from Mt. Sinai besides the
10 commandments” --: Dillges dominum Deum tuum &c. Quindi il Vive:
erutti* dicendo: ut paucis verbi s magnus il le Magister quemadmodum
unicùique vivendum fit docet, ama quem potes tnaxime, qui (òpra te eft,
et non ajiter, qui prope te eft, quam te, quod fi Feceris, tu fòlus
leges omnes, juraque feies, et fèrvabis,* quae alii magnté
Ihdoribus vix difeunt . . ., * Di liges, inquit, quid potefb effe dulcius
dilezione, non metuere, non fugete, non horrere praeceperis, (Domirium) ut
fcias illuni effe reverentlum*, nam dominus eft ;, (tuum)
etfi multorum eft,tamen uniufcujufque *fit per cultum proprius . ., Ex
toto còrde diligere praeceperjs, utomnes cogitationeS tuas, ex tota anima,
ut omnem vitami tuamyex tota mente tua, utomnepi, intelle&um tuum in jllum
confèras, a quo babes ea, quae confers . Il celebre Leibnizio in un
fu 0 trattai elio intitolato . Tritoti- f Tri not.ad lih.io.de CivIt.Dci c. 4.
C,i fecft. Ep.li fi ha rei voi. 1. de Recveil de dlverfcs P5ec;sfur la
philpfophie, !a Jteligion d*c. DEL DRITTO NATURALE. (bit peint fenfibile à nos fens exteroes, il ne*
laifie pas d- étre très-aimabile, et de donner un tres-grand plaifir .
NoUs voyons combien les honneurs font plaifir aux Hotnmes, quoiqu’ils ne confiftent
pokit dànsles qualitez des fens extèrieurs . E non guari apprejfo i
Gn peut méme dire, que dès à prèfent T A* mour de Dieu nous fuit jov’ir
d’un avant-goiìt de. la felicitò future .i„ CaV il nous donne lune
’ perfaite confiance dans la bontè de notre Auteur et Maitre, laquelle
pro&uit ime vèr*table tranquilitè dè P efpric i . . Et
outre le plaifir prèfent, rien ne fauroit étre plus utile pour T avefiir,
car l’amour di Dieu remplit encore nos ef^èrances, et nous méne
dans lechemin dù fopreme Bonheur &c. ' i IOO DE’ PRINCl P
] le di tutte le create cofe, qualunque pur elleno .fi fiy.o, coltri, che
fi bene giugne a conolcerle, ed a comprenderle, come ad nom
conviene ; rincontrandovi egli un piacimento ed un diletto difmilurato,
e . grande oltre mifura, e fenza comparagiòne alcuna vie più di quello,
che nel conoIcimento delle perfezioni delle creature '• può egli
peravventura rincontrare, e a quel co l’amore proporzionatamente- Tempre
mai guagliar dovendolgegli fà mefiieri, che altresì fia tale, e non men
grande ; e ; confcguentememe, che non abbi altro “ mai al Mondo,che
in modo alcuna lo lupe7 ri, o adequi . ’Ch’ogni fua follicitudirie, ed
attenzione impiegar e’ debba, e collocar tuttora in * non far
colà., che polla io gui là alcuna a quello lòmmo, ed unico Bene
dilpiàcere, o • /gradire, l’ amor in altro veramente non
confìftendo, che in godere, e gioir, ’ per l’altrui felicità., non che in
paventar del continuo, e oltre modo di conv - metter colà, che dilàggradi,
p pefi all* aggetto amato ; còli che per l’ appunto^ ciò che^iù
ferialmente appellafi timor filiale ( timbr filiali: ) oppofio diametralmente
a*quello, che dicefi lervile ( metti: fervili:) che da gafiigo provenir
luole, o da DEL DRITTONI ATURALE, jot *o da fùpplicio ;
irqperocche* Iddio, febbenc altresì di quefto pei: iftimular E uòmo
ad operar rettamente, e lòllecitarlo .al' ben fare fovente fi vagii,
e che dalla cofìui gravezza (pèdo (pedo quegli atterrito, . ed
ifgomentàto ; venghi da mille, e mille laidure e tèonvenevolezze a
ritraerfi; " tutta volta quello non hà vertm luogo, dove
aiutila pur dall’uomo quel amor portato vero e reale, che naturalmente a’Genitori
gli proprj figli logliono portare, e eh’ egli dev.e,e convien che gli fi
porti* y jl. Che 1* abbia altresì a riverir, e venerar lòpra tutto
; - imperocché in grado emjnentiffimo in le contenendo, tutte
le perfezioni.,- che nelle loda nze, che da lui derivano, come
effetti provenienti dalle - caule, fi contengono» e imperò ellèndo
egli * . ‘ un Ente infinitartiente perfètto, onnipotente, giufto, e
buono eftremamente, ed amabile; di ragione deve egli preferirli
- tèmpre mai * ed anteporli a che che lia nel "novero
delle colè create, nonché aili ftek : fa noftra perlòna .Ch’ in lui
lòltanto mettere e’ debba ' tutta la iùa fiducia, e confidenza, e
col darli pace in tutte le cote del Mondo, che o delire, o finiftre
peravventura l’avveftgono, moflrarfi tèmpre mai làido in G 3 lui, e
tutto tempo reguiarvi ; imperocché da efiò lui gli averi, e le fortune
notf re tutte provenendo -e’ può e vale, come pur l’esperienza loc’
infegna,che tutto dì egli facci, dove di farlo pur gli viene aggrado,
rivolgere, ^ contorcere a noftro prò, ed utile quanto mai di malo i e
di qattivo c’ avvenne, o può unqua avvenirci . Per verità egli hà troppo
di bellezza,^ di gravità, per non eflèr paflàto in filenzio quel che
fcrive Epitteto a quello propofito . C.egli dice ) wroxac'W^ « s.aì
• &P*X ' as xòv ìmrx&nSaì ire 6ÌM, * vx usti wìnov tù '•
ErXEIPlAION. c. xj. Senza fallo ; anzi egli e quello una confeguenz'a ben
cej^ta, e ferma di quanto al dinanzi noi didimo ; comeche non fia
fuor di propofito, che voi dHà altresì ne ricogiiate, che le formole, eh’
in ciò ufiamp, debbano efler da noi ben intefe, e capite, ' e che
elleno dovendo dettar in noi degli affetti, e dellarnemoria de’ benefici
diri* •-ni non fi debbano comporre, ne fòrmarda altri, che da
coloro, di’ anno un intera, e, .1 ben rara cognizione delle colè
divine. D. Non vi fono altri doveri, e altri obbli. ghi., che
quelli dell 5 uomo comp crea? tura ? • ' Altri, che quefli Hfcn
riconolciamo noi ; con li lumi foltanto dèlia Natura ; per il di
più, come altresì per quel che fi richiede per determinar i modi di bpn
fodisfar ■a quelli iftefii, troppo più fi ricerca di lume, e di cognizione ( D
{toiefi* per in?>; ; -./tera S ' s Leibnizio in una re
teramente fidar qu-dloculto di ficonolcenZ a dovuta peb f uomo al vero, e fhpremo
edere, abbifogna pur., che confeflìaitk) con ingenuità; cheli lumi della natura,
lenza 1* ajuto della rivelazione, nonfiatio in niun modo di per fé baftevoli, e
lùf^cienti ; ónde fa egli intieri dériggerci, ' in ciò, e regolarci,
giufta quel che. imprendiamo da quella . : Degnatevi adunque d’udirmi, al
dinanzi, • che non fi venghi ad'altro,lè pur tutto feppi ben
comprendere ; Pobblighi, e li doveri HelP uomo, come creatura, o per
meglio dt-e, il' culto di riconolcenza, che P uom deve a Dio * egli
non confille, che nel Polo efercteio, e nelPufo di quelle aziqni, eh’
anno pur per mira, e per motivo K di - vini attributi . Or fe quelle
azioni fono elleno.* v ré fcrUta alla PrincipeJJif^di Gali?*
nel me/} diNo~)embre 1,7 if . mfirò fehza dubbio arem dolore, ed un
vivo fentimento di rama fico, chela Religìon Naturale fi vede a da dì in
dì in Inghilterra indebolire, e corrompere; Si legge nti voi. i. de
recueil de divttfos l’ieces far la l%flofophie;> el re fio io non dubbilo
eh* alcuni aver ebbero fior f e qui dejìderatò, che w favellando
feMct ♦ ' ddeligies naturale mi avejjè alquanto . vie pile *
difiefo, e tratto dimojirare l'armonia maràvi' \ gfiofayChe il abbia tra quejìa,
e la revelata t / Ora il Regno della Nat ur fi, e quello della
" . ì@ré&a,f£0fcjqr por mente paratamente, e : ^fervane gcowe la
natura ci vaglia per guida - v; ‘ “ alla i r $ adoperi non meno 1’ uno, che P
altro di quello culto, e che facendone ufo del continuo, cosi coni’ e*
conviene, non gli polfa di lunghifiìmo fpazio fèryire a renderlo
tranquillo, e lieto in tutto il corto del viver Tuo, ed ad accrefcerlo da
momento in momento, e vie più tèmpre aggrandirla H
nelle alla Grazia, e come quefia venghì quella a ripolire, e
perfezionare valendo f ne { aggevoli cofe Veramente tutte, e facili a
mofirarfi volendo ) poiché f ebbene dalla ragione imprender non fi pojjd
il di piu, che dalla rivelazion s* imprende, vai ella d? affai per
renderci ben . certi e ficuri, che le cofe fan fatte in modo, che
non giungano ad ejfer comprefe da umano intendimento . Ma mio principal
difegno egli è di dilungarmi il men, che fa pojfbile fuor *
de ’ termini, che m ’ hu io in quefi operetta prefijffó ; e
regalmente affai ben faggio reputo r avvifo di coloro, lì quali le cofe
della nofira veneranda, e fanta fede, come mirabile, e feci al fattura
della mano di Dio guardando, mentre che quefio venghi da noi creduto
Onnipotente, vogliono, che fenza metterle in ragionamento alcuno facilifimamen
'* te,e a chittfi occhi creder fi pojfano, e fi debbano
i nelle virtù, e nell’ abborrimento de’ vizj ; Ma or su
fìendiamoci, fè così vi piace, più oltre col difcorfo, e palliamo agli
altri doveri, obblighi, o utfizj de 11* uomo lòlo in quello Rato Naturale
. M- Quelli altri non lòno, a mio avvilo per IV.
quelche aldi'fòpra altresì fi dille, che quegli, eh’ egli dovea, ed anche
per al prefente egli deve verlb se medefiino ; obblighi, o doveri tutti,
che diftinguere fi tio ; or.de quel gentìlijflmo Italiano Poeta
ebbe motivo dì cantare, 1 fecreti del del fol colui vede
ì Che ferragli occhi, e crede. Non eflendovi flato vie più al
Mondo flcuro, e men in periglio di colui, che Jen vive confrme le
leggi della Vera pietà, e della vera virtù, imperocché, giufla al dire di
tre gran uomini, come che difofpetta fede ; cioè, dell' /
reivefeovo T illot fon, di Mr. Pafcal, . e di Mr. Arnaud ( 9 ), in
queflo flato nulla vi riman da temere di quelle tempefle, e dì
quelli malori, te muti, ed af gettati per coloro che ne fon fuor a
. V. l.eìJjnìz.nelIe note alla
lettera sOi l’ Entu Ha fT. mo del vi ylord Shaftsbury. voi. z. de Recusil
de diverfeS jiìeces&c. . poflono, e divifare in tre divede, e
differenti Ipezie ; cioè in quegli, che riguardano il filo Ipirito ; in quegli,
ch’anno attinenza alcuna al fuo corpo, e in quegli, che
riferilconfi ^finalmente ad alcune qualità accidentali del tutto, e
ftiperficiali, come . per elèmplo fi fon quelle, di ricco, di povero, di
nobile,.di plebejo, ed altre sì fatte in cui il Ilio fiato efierno confifie .
Per tutto ciò efièndo pur egli obbligato^ e tenuto, come voi ben Oppiate,
diriggere in sì fatto modo le file azioni, e regolarle, che
colpivano tututte ad un medefimo legno, ed ottenghino un medefimo Icopo ; cioè,
tendino al proprio vantaggio, ed utile, e alla propria perfezione;
per giugnere a ciò far di leggieri egli fa mefiieri fi tratti al dinanzi
a tutto poter acquiftar un elàtta, e perfetta contezza di ciò, che può
mai giovar a se medefimo, o no in qualunque fiato, eh’ egli fi guardi ;
cofa che imponìbile efièndo da i .poter in guilà alcuna ottenere Lenza
una V. piena cognizione di se flefiò (H), il H % fon- In
quejto grufa gli antichi Filofqfi Jì riduce quaji che tutta la Filofofta
; e fecondo fondamento, e la baie di quefti doveri, o ulBzj
che 1* uom deve in verfò se medefimo, e il primole il più principale tra
tutti egli è, fenza fallo, al meglio,^che fia pofiibile, d’ imprender un
sì fatto conofcin mento con mettere ogni Audio, ed ogni cura in
conofcer, e perfettamente fàpere il fuo fpirito, il filo corpo, e lo
flato, in cui mai peravventura fi rinviene . E bene ! quali fono li
modi, e le vie da giugnervi ? ‘ M. Que do S. Bernardo, ed altri
Padri della Chiefa anche la Morale Cattolica, ritingendola eglino
foltanto a due foli capi ; V un di cui ri guarda la .piena contezza di se
medefmo, e V altro quella di Dio ; ad ogni modo noi pur confejjìamo
chejìa ciò cofa per uomo molto malagevole, e difficile a metterlo in pratica j
e che quindi meffo in Greco Efìodo avejjè cantato, avvegnaché fol
rifpetto al primo di quejti capi, in verji cor ri fpon denti a quefìi
: £fi nofee te ipfìrni non quidem ampia diétio,
Sed tanta res fòJus, quam novit juppiter; Ed infierì) non
deve recar maraviglia ad alcuno f e un obbligo, o dover di tal fatta
molti pochi fan quegli, chef veggano che lo JodisfiriOy
Quefte diftinguer.le poftìam noi ingenerali, e particolari ; le vie, e li
modi della prima fpezie eglino fi riducono a quefti duo ; 1* un di
cui egli è d’ entrar in noi medefirni, e con la maggior accura• tezza, e
diligenza del Mondo confiderar la noftra propria perfona, e V altro di(aminar
bene dell* iftefiò modo quella degli altri, con cui peravventura ufiamo
riflettendo a tutto attentamente, e bilanciando a fpiluzzio non men la
diverfità delle lor getta, e la varietà delle lor azioni, che li
cambiamenti diverfi de’ lor volti, e il divario, del lor tratto, e
linguaggio, e di tutto altro, che può mai appartenerci con trattar
di comprender chiaramente Ié colè, e far della lor bontà,
emalizigquer giudizio, che fi deve. Ma vaglia il vero di quefio
ultimo mezzo 1* nomo foto, tale quale lo ci figuriamo nello fiato della
Natura, non potea farne ufo alcuno; Per tutto ciò noi, eh’ abbiam or agio
da poter valercene, come vogliamo, ne polimmo, lènza follo, ritrarre una
infinità di vantaggi . E quali fon quefti ? ]M. Egli batta,
che generalmente voi lappiate, che in cotal guitti da noi con una
agevolezza grande, e fuor di mifora H 3 giugner fi polla a
conolcere quanto mai vi ila di bene, e di male in noi ftefii, e le
virtù tutte di cui abbiam fommo bifògno fornircgChe fi venghi a
rifvegliare in noi, e deftare l’emulazione al bene, e rettamente ope,
rareiChe 3 dilcernere fi vaglia aliai palelèmente, e in aperto la lèmma
bruttezza, e la laidezza de’ vizj,* Che venghiamo ammaefìrati, lènza
nofira pena, ed alle altrui -a Ipelè, imperocché giufta Menandro :
’2>hé7T(t T17T disivi/,' Ut chè un intelletto tanto più fi
deve per perfetto, e finato reputare quanto più è 9 1 novero delle
cofe, che da lui fi comprendono, e quanto più chiare, dilìinte, ed
adequate fon 1* idee, eh* egli ha di tali colè . Il perchè fi deve
quantunque più fi può, e fi sa riempierlo d’ ogni cognizione, e trattar
che quella Ila in noi efiremamente chiara, e diUinta ; comechè effendo
rilìretti di foverchio, e di natura limitati, ed imponibile imperò riunendoci
aver di tutte colè contezza appieno, Io Audio di quelle meriti
lèmpre avere il primo luogo, ed è ragionevole, e giudo, che fi
preferilchi a qualun’ altro, di cui abbiamo nel corlò del noftro vivere
un bisógno, ed una necefiità maggiore, non che vagliono di lunghiffimo
tratto per lo dilcernimento del bene, e del male; imperocché
obbligati effóndo noi, e tenuti vietare e sfuggir l’ ignoranza, e la groffezza,
dobbiamo (òpra tutto quella i (chi fare, che rifguarda quefio particolare
; non eflendovi ragione da poterci in ciò nò con Dio, nè col Mondo
difpolpare ; quel1’ ignoranza (òlo, e groflèzza nell’ uomo efièndo di
(cufa degna, e meritevole, che non è miga in fùa polla di poterla Icanzare
. Quindi uom vede, che il vantaggio, che fi abbia, da chi che s’invigila
su quefio dovere fia di tanto sì gran momento, che la di lui olìervanza giamai
fi potrebbe ad alcuno a luttìcienza accommandare, non potendoli in niun
modo diIcerner lènza ciò ediftinguer il buono dal malo, colà che
veramente, dove anche non vi fuflè altra ragione, per cui ciò fi
richiederebbe da noi, dovrebbe ballare per portarci a fornir il noftro
intelletto, e riempierlo di tutte quelle virtù, che gli competono,
e che come proprie Tue dir fi fògliono intellettuali . Quali fono
quelle virtù ? M. Quegli abiti di cui 1* intelletto è atto e
Capace di far acquifio, e gli giovano direttamente fenza dubbio per giugnere
al conolcimento del vero, e làperlo dillinguere da ciò, che punto non Ila
tale . Dinumeratemi didimamente cotali abiti. M. Grande,
ed incomparabile attenzione alle colè, acutezza, profondità, intelligenza,
Icienza, laidezza, invenzione, ingegno, lapienza, prudenza, e arte.
Z>. Che cftfa intendete per attenzione ? M \ Quella
facoltà o potenza della noftra anima, mediante cui far polliamo,
che alcune idee, o alcune parti di effe fiano in noi vie più chiare,
e diffinte dell’altre . Per efemplo ; fe io miro un uomo egli è in mia
libertà, ed in propria balia trattar eh’ abbia un idea molto più chiàra,
e, diftinta del fùo vifò, o degli luoi occhi, che dell’altre parti del
fuo corpo ; e fimilmente fe per avventura molti oggetti a difeoprir fi
giungono, ovver più perlòne fi odono che favellano, egli regalmente poffò
oflervar più gl* uni, che gli altri di quegli, o udir di quelli, chi più m’
aggrada, e piace udire ; /ebbene non fi pofià da uom altrimente a quello
giugnere, fe nor* con 1* efèrcizio, c con 1* ufo. Qual cola voi
chiamate acutezza d’ intelletto ?' Quella polfibiltà, o potenza ch’ egli
può acquiltare di poter diltinguere nello fteflò mentre più colè in
un medefimo oggetto ; poicchè non potendoli miga metter in dub. bio, o
temere, ch’ella con lungo efèrcizio non polla ridurli in noi, e
travolgerli . in abito, deve lenza fallo metterli alno* vero delle
virtù intellettuali ; come che per quelche mi làppia niun fi rinvenghi,
che fatto 1* abbia al dinanzi del WolfRo . Ma qual diligenza deve mai
ufarfi per acquetarla ? M Primo egli proccurar fi deve a
tutto coito .fin dalla puerizia, per così dire, di - non avere lè non
idee affai ben nette, e a difiinte delle colè, e mettendo ogni
Itudio in attentamente ponderarle, làperle sì fattamente comparare, che
comprender fi polfa la conneflìone, e la dependenza, di efiè . In
apprefio lo Audio della Geometria, e quello dell* Aritmetica vie più di
qualunque altra cola del Mondo può per verità agevolarci in quello, ed
elìerci d’un eftremo giovamento; Vero è però quel che Ipezialmente
fi deve su quello particolare commendare, e lodar oltre milura a
9 egli fia, il far acquifto d’ idee chiare, e dii ' firnfinte
del bene e del male ; imperocché ciò eflendo per 1* uomo una delle più necèdane
cognizioni, e delle più utili, e importanti, giuda, che non una fiata fi
è detto, può fèrvirgli altresì a formar un buon giudizio delle
proprie azioni,. e confequentemente valergli non meno per la quiete, e
per la tranquillità della fùa cofcienza, che di quella degli altri ; non effèndovi
altra cofà inquedavita, che va* glia maggiormente un uomo a rendere
graziato, e infelice delle riprenfioni, e rimprocci che lui medefimo fa a
lui fìefib Quindi molto a nofiro propofito fcrifle Seneca, che :
Prima, et maxima peccantium ejì peena peccojje, nec ulìum fcelin,
licet illud fortuna exornet, muneribtn fuis, licet tueatur, ac 'yindicet,
impunilum ejt, quoniam fcelerii in federe fupplicium ejì . Difpiegatemi il
vocabolo intelligenza Quefta, che giuda 1’oppinion commune de’Filofòfi, e
la prima delle virtù intellettuali, la fi rienvien definita per un abi*
to confidente del tutto in conofcere, affai bene, è didinguer le cole per
via de* lor principi, e col darei agio da poter fin all’interno di effe
penetrare, difvelarne, e ifeo] piHrne altresì il modo con cui 1’une
per l’altre vengano comprefè . Ad ogni modo le definizioni, e K
giudizi intuitivi elfèndo il fondamento, e la baie delle noftre
cognizioni, colui fòltanto merita veramente da riputarli fornito di una tal
facoltà, che giunto fi vede già a tal legno che fappia tutto ciò molto
ben fare, e con prontezza,* Il perchè perriufcir in quello egli è
necefiario, che s’ acquifti al dinanzi T acutezza d’intelletto; perchè le
definizioni altro non eflendo in, effètto, che nozioni difiinte complete, per
ben formarle abbifogna che fi difiingua nelle cofè, e fi vegga quanto di
diverfò, e di vario vi fia, Che colà è fcienza? Un abito da fàper ben
dimofirare, e provare quanto mai da noi fi afferma, o fi nie- Quindi egli
Ji mira, che F idee, chiare delle cofe agguardarf debbano come
tanti princip] di quejta facoltà ; poiché fonerete quefìe fbben confufe
alquanto, e inordinate y potendo effer /efficienti, e bafevoli a
difinguer una cofa da un ’ altra, e denominarla nel modo, che conviene, e col
proprio vocabolo jonver tir f veggono in noi in idee difinte, edefèrci di
gran giovamento agli giudi/ intuitivi, che di quelle formiamo . ga ; onde
di niun altro! alferir fi può meri- tevofmente, che abbi la le ienza di qualche
cofa, lè non.di colui, eh* in molli aria sa, e può far ufo di pruove, e
di fillogifl mi, od argomenti concatenati, ? ed uniti infieme gli
uni con gli altri in guilà, che venghino tutti a terminare, ed iftiorfi
in fempli ci prem effe non fondate, che inde-, finizioni, ed in
efperienze certe totalmente, cd evidenti, od in afliomi, e proporzioni
identiche . Quindi ne viene : I. Che per l’acquifio di cotal facoltà fia
mefìieri al dinanzi fornirli d* intelligenza per ottener la notizia delle
definizioni, e degli altri principi d’ aliai manifefii, ed indubitati,
che lòno il fondamento, e la baie delle dimollrazioni . Ch’ ella fia necefiària,
ed appartenente a tutti lènza rilèrva, od eccezzion di perfona, rinvenendofiogni
un in obbligo, ed in dovere di aver un diftinto, e perfètto conolcimento
del bene, e del male * che non fi può in altro diverlò modo da
quello conièqui re. III.C he polla di lunghillimo Ipazio giovarci
per f appagamento interno di noi medefimi, e per la quiete della
cofcienza ; imperocché l’uom privo peravventura totalmente, e sfornito di
feienza, per non poter in guilà alcuna quel eh’ afferma, 0 niega
dimolìrare, andando al didietro delle maffimeì, e degli lèntimenti altrui,,
il più delle fiate è in illato di poter travedere, od errare; è
perchè nulla opera (è non còti > una cofcienza molto dubbia, ed
erronea, quella che nelle lue azioni rampognalo di neghitto/o, ed
imprudente, vai per po' co in tutto ilcorfò delibo vivere, come V
efperienz.a lo c* infegna,a renderlo difgraziato, e infelice ; IV. Che
finalmente quella facoltà per elìer un abito egli fi acquifii v alla
guila di tutti gli altri, mediante feièrcizio; febbene, vaglia il vero,
quello agevolar fi polla oltremodo, e facilitare con la lettura de’ libri
Icritti con un e buono, ed ottimo metodo dimofirativo ; .trattando
di Iciorre tutte le dimofirazioni in (empiici fillogifmi per conolcerne
la dipendenza, ed appieno la lor unione, ed il lor concatenamento
comprenderne, non che per attentamente (guardare, e badar
lòttilmente alla conformità, ed adórniglianza che v’ abbia infra cotali
dimolìra\ zioni, e il metodo, od ordine, che dir vogliamo, il quale
naturalmente dalla noftra mente, fi vede lèguito nel peniate ; fèn.za, che può
efsercj altresì in ciò giovevole, e di gran frutto il proccurare di renderci
per quanto fia pofiìbile, famigliari, e pronti li precetti di una Loica,
quanto t meno fi può, didìmili, e diverfi dalla Naturale A Ma
fe pur egli è così, come voi dite, che la fcienza fi fofiè un abito, come
fi può ella tra le virtù dell* intelletto, di cui abbifogna, eh’ uom
venghi decorato annoverare ? credete voi forfè, che fi polfa dagli Uomini
idioti > e groflòlani, così come dagli altri altresì molto di Ieggier
confeguire? M I» fatti quello abito agguasdar fi luole
comunalmente come proprio de* Matematici, e della gente da lettere, e di
fpiritoj ma pur un tal fornimento è lènza fallo d ? afiai lungi dal
verone falfifiìmo^ imperocché, lalciando noi dare di quanto gran
ufo egli fia nella Morale, e quanto . neceflàrio in quella, e quanta
importante da più dotti tra Filofoli venghi reputato ; la Icienza,
di cui, come voi ben làpete, tutti debbano cercarne un intera contezza,
e ftudiar per quanto; vaglionod* iltruirfone; non deve a niuno recar
maraviglia, o ammirazione alcuna, giuda, che lo c’ infogna la fperienza, fo fia
mai fin da Uomini, per altro volgari, e groflì acquiftato; imperocché il
metodo di ben dimodrare | ' ^on t Hy V- Corife. Pufendorf.
Locb. Vytlf. èc? convenendo del tutto, e uniformandoli col penfar
noftro naturale;può di vero avveninire, che da quelli in ciò fi veggano avanzar
di gran lunga,’ e lùperare gli eruditi medefimj ; avvegnaché dicendo io,
che di quello abito fornir fi debba ad ogni collo, ed adornar ciafcuno,
intenda ciò foltanto ’ per quel che rilguarda la cognizione del bene, e
del male ; e non già delle Icienze indifiintamente ; come colà, che
è fenza dubbio, difficile, e per poco imponìbile da ottenerli per uomo; lènza,
che come in tutte le virtù fi concepì (cono da noi alcuni gradi,
alli quali non vien permeilo a tutti ugualmente, e dejlo Hello modo il
poter giugnere ; così d’ ordina* rio parimente fi ofierva, eh*
avvenghi ed accada nelle Icienze; comechè fi debba pur con feda re, che
vi fiano ; reali mente alcuni obblighi, fiano ufficj, o doveri
umani dalla cui obbligagione molti» non avendo dalla natura que’ pregi, o
quella doti, ottenuto, che gli altri ottennero, e che per ben
fòdi§farli fi richieggono, te-; * nerlè ne debbano totalmente
immuni, q lontani, non oliarne, che generalmente par« landò e’
lèmbrano tutti obbligar, lènza ec-» cezzione alcuna V V.,
Spiegatemi qual cofa dite voi folidIStà, o laidezza dell’ intelletto .
/V/. Un abito da discorrere, e ragionar con diflinzione delle cotte,
ed jn mòdo che fi vegga per ogni vertto, e fi disopra jl concatenamento,
e r unione, che v’ abbia ne npttri dittcorfi, o ragionamenti,- quindi e
che per quefio fi venghi un certo grado di virtù a cofiituire alto,
ttublime, eccel/ò o perfetto vieppiù di quello,, f P er 3 ^,enza non fi
cottjtuifce comechevi fi giungaperpoco alla fletta guitta, e per la
medefima ftrada j colui folo aver dovendoli veramente per più adorno,
e maggiormente fornito di un tal abito, che apprettar fi vegga
nelle pruove delle tee premette a gli primi principi, e alle pri- /
me nozioni fi avvicini • il perchè vero e pur troppo, che non
picciol contrai' legno egli fia, anzi una gran moflra di lolidità,
o laidezza d’intelletto d’ un’uom .° ’ c " e P ro ppfizioni ammette dagli
altri lenza pruove e’ vaglia a confermare, e mediante li primi principi
moflrare ; o fé checché altri con efperimenti, edocula-, . tamente
afferma, e’ con ragioni, dimóflra c per via de primi principi, febben fi
deba di maggior pregio lèmpre reputar colui, ed efiremamente lodare,
ch’abbia fonquiflato un abito di ben accoppiar, ed J 3
unir tra se molte verità, awegnàcchè diverfè, e diffìmili, o di
poterle da’ prìn-. cipj molto lontani, e remoti con un non
interrotto fri di raziocini, o fillogifmi, dedurre ; efiendo pur queflo,
veramente un grado di perfezione del nofìro intelletto s in cui affai di
rado uom giugne, cola che forfè fi fu il motivo per cui nè per Arifiotele,
nè per coloro, che gli andarono dietro, o al dinanzi del "W’olfio ne
fcrifièro, confuto avendolo con la fcienza non ne fètono verun motto,
ne’l diflinfèro da quella, Z>. Qual cola chiamate voi invenzione
. 'Un arte, o abito, eh’ e’ fia da poter inferir dalle verità di
già divvolgate, epale-i fi dell* altre punto non note, nè conofciute,
t>. Ma quali vantaggi fi pofiòn ritrar mai da . queflo ?
JM. Queflo abito non fèto all’ intelletto aggiugne perfezion maggiore
degli altri, di cui fin ad ora abbiam noi favellato, tn’ altresì
può lènza dubbio nella vita e£ lèrci di un gran ufò,* fòvente volte
avenendo fpezialmente nelli maneggi della Repubblica, che facci mefliere nello
fleflo mentre non meno formar buon giudizio delle colè, che
rinvenir li mezzi più co* modi, ed opportuni per aflèguirle, e mandarle
ad effetto $ oltreché tutte le fcierfzq le più utili, e
profittevoli, o vantaggiolè del Mondo, che fi trattano comunalmente, e s’
infognano, non eflendo che un fàggio, o rifiretto, che dir vogliamo
di quello, per quel che mottrò un valente uomo, egli fi può di fermo
aderire, di colui, eh 5 abbia peravventura cotal per. fèzione
acquittato, che contenga in se con quefta ìnfieme, ed unitamente le
migliori feienze, o facoltà, eh’ abbiamo, o che . di leggieri lènza
foccorfo e fenza ajuto . d altri e' polla volendo conleguirie; comechè di
quell’ abito, vaglia il vero, affermar noi polliamo ilmedefimo, che tettò
fi ditte pur favellando della fèienza, cioè,’ che. febbene tutti,
generalmente parlando, fiano in obbligo, ed ih dovere di farne l’acquifio,
fi debban lèmpre tenerne dènti ed eccettuar coloro, che norv ebbero dalla
natura forze baftevoli * e fiifHcienti da farlo, X), Bene; ma
avendo noi due dì ver lì modi * e vie da poter rinvenire, e difeoprir
il vero, non fi potrebbe forfè quelVabito per quello motivo
divìdere ih due differenti fpecie, l’una di cui non confitta, che in, far
degli buoni dperìmenti > e delle buo I 3 ne' T* Scbirnb4t^Jen% ^£ in
cui fi trattano d’ invenzioni, e di novelli trovati, li quali almanco fi devono
tratèorrere .Colà intèndete Voi per fàpienza ? Un abito confidente
del tuttò'in benacconciamente prefcrivere, ed afiegnar .alle fìie azioni
del li giudi,, e convenevoli fini, non che in far una buona, ed un
ottima fcelta dell! mezzi, che vi lì richieggono per mandarle
addetto, ed efèguirle, con coftituire li fini particolari, e fubordinarli
in tal fatta guifà gli uni dagli altri vicendevolmente dipendenti, che
mediante li più profiìmi, e vicini giugner fi vaglia all! più remoti, e lontani
j II perchè efièndo.ella di un utile cotanto grande, ed
impareggiabile per la direzione, e per lo regolamento delle noftre azioni,
giuda le leggi della natura, che al dir di Leibnizio (w) è la vera
fcienza della felicità Umana, non fi può per niun verfò recar in quedione,
che tutti non debbano proccurarne il filo acquifto * Ma bilògna però
ofièrvare, come altresì quindi mani fefia mente s’imprende, efier
dimedteri; I. Che non fòlo il fine dell* azione d’ un uom faggio fia
giudo, e buono, ma eh* altresì li mezzi fiano tali. Il.Che quedo fine fia
tèmpre mar fiibordinato, e codituito dipendente dal principale, eh’
è la propria perfezzione . E III» m ) V. La futi
prefazione al codice diplomatico del Dr^to delle Genti. Che li mezzi,
li quali colà condur ci debbano e portare ; vi ci conduchino, e
portino per la piùbrieve * e corta ftrada del Mondo. Ma come pòfliam far
noi quello acquifio ? M» Conviene per giugnervi provederci di
molte, moltiflìme colè $ poicchè primieramente noi fornir ci dobbiamo di
fcienza, non potendoli in altro modo format buon giudizio delle
azioni noftre particolari, e ' ' della vicendevole fobordinazione ^ e di-
* pendenza de* fini infra di loro * e delti mezzi, che vi ci
conducono ; In fecondo luogo fi richiede* che fi abbia un* erètta
contezza* e Un intero conofcimento non meno della malizia.* e della bontà
dell* umane azioni, che del li negozj li più necefiarj, e ùtili, od
importanti alla vita ; con trattar di aver un’abito darèperben
provar tali colè * imperocché quel che peravventura otteniamo dalla
Matematica, o dalle altre fetenze egli è d* un afiai picciol ufo, e
prefiò poco di niun momen- to pel corfo del noftro vivere tutta volta,
• che fiam totalmente sforniti, e poveri di quelle materie imcui
poggiar fi dovrebbero * e fermare li nofiri aifcorfi ; In terzo luogo v*
ha mefiiéri, che fi fii profittato nell’invenzionejcome Che giovi fòprà
tutto, che fi fàppj quelche in quella materia può • mai
riguardare al buono, e fàvio modo da vivere . In ultimo abbilognà perciò
aver anche dell’ ingegno e dell* acume per gitigner sì fattamente ad
ifpecular 1* altrui azioni, e meditarle, die fi comprenda il fine, che fi
ebbe in eflè, e li mezzi, che per .mandarle ad effettto fi prelèro, non
che gl* impedimenti, che intanto vi fi framefchìa* rono, anzi tutto
ciò, che vi fi operò mai di foverchio, e lènza che la bifogna 1*
avelie richiedo ; comechè, vaglia il vero, non fi pofià giammai
formar un buon giudizio della Capienza d’ alcuno dal lolo evenimento
delle colè; poiché. lòvente avviene, che per gl* impedimenti, e per gl*
intoppi * che non lèmpre fi poflòno al dinanzi molto ben antivedere,
nò pronofìicare, avvegnaché fi fia operato con ogni maturezza, non abbiano
avuto quel buon /uccello che fi affettava . D. Qual colà
intendete voi per prudenza ? 2\d, Quell’abito, o fia difpofizione, del nostro
intelletto, per cui fi mette in opera » e fi elègtiifce quanto al dinanzi
da fenno, e faviamente fi fu fiabilito. Vaglia il vero, lènza
quello, la lapienza è di un molto poco ulò per i’ uomo, e quali che di ni
un pregio . E quello è il motivo per cui da lui fi de-* ve a
tutto cofio trattarne 1* acquifio . D. Ma perchè in noi la prudenza,
e diverfà, e differente dalla fàviezza . M» Egli è ciò un
effetto della limitaziorìe del noftro intelletto; Quindi, fenza fallo
avviene, che deliberando noi delli mezzi, che ci / conducono ad un fine,
fòltanto badiamo a ciò, che rifguarda per all 1 . ora 1’affare,
talché per la gran moltitudine, e per la gran varietà de’ contingenti *
che del continuo avvengono, abbattendoci per avvefh tura ad alcune cofe,
e ad alcune particolari circoftanze, cui non così di leggieri fi potea al
dinanzi da noi guardare, e quelle rendendoci fòmmamente perpleflì, e dubbiofì,
fe mai sforniti totalmente fiam di prudenza, non lappiamo a qual partito
renderci ; Il perchè la umana pfuderza in altro non confitte, che in
fàper da se dilungare, ed allontanar gl* impedimenti x e gl’ intoppi
tutti, che fi offerifcono al dinanzi delle noftre imprefè, e ne fiurbano
l’effetto (K) J e per quella ragion da’ > PeeQuindi è; che r’ if copra
fidente Una cofa bene, e vìujlafrentefatta, ma non riga con
prudenza $ e che in Dio non oblia mun *•
Poeti, i quali per inoltrarci, eh’ ella derivi in noi dalla mente, eh’ è
quali che divina, mediante cui confiderando, e badando a tutto, abbiam
gli occhi rivolti per' tutto favoleggiarono eh’ ella nata!] ìbflè
dal capo di Giove, ch’eglino chiamarono Minerva, (1 ebbe per (ignora, e
donna della fortuna, e come la lòia, che contrariar poteflè, ed opporli
a’ fuoi diségni ; e di Bione dir li lùole, che avea in eofìume di lòyente
ridire, che quella in tanto maggior preggio era d’ averfì, e flit
marfi (òpra tutte l’ altre virtù, quanto più cari devono tenerli gli
occhi, e re/putarfi più degli altri lenii, comecché tra’ Greci furono pur
di quelli, che la confusero del tutto con la Sapienza ; ed imperò Afranio
dèlcjivendola con luoi ver fi non ebbe dubbio di metterle in bocca
. La memoria mi t fe % ma generata > DalP ufo ; i Greci
vegli on, che fofia, Afa fapie n za noi, eh' io Jìa chiamata » V.
Ma perchè quefia virtù la sì crede propria degli attempati, e de’ vecchi
? M Per n*. rfon le proprie parole di cottili )
(q)^ ÒSI iroKo yvfivu^iStax, ÒSI tto\Ù ÌSj'ihv, J Si to\Ò irivay,
CSi tto\ù iffira.TÒiv-p'x&jav-, mùcu. f/sy zm Tjmpyp 'iroix.'riw,
. Dinegatemi tutto qliefio più chiaramente con gli efempli. .
Af. Volete voi Spegnere in un uomo una gran gioja, o allegrezza? Quefto
affetto provenendo in noi dall* oppinione d* un ben pre lènte ;
bafta pur per aver il voftro intendimento ; che a coftui gli
facciate comprendere, che quello, eh’ egli crede bene nell’ oggetto,
che cotanto lo fcuote, non fia in effetto tale, ovver c’ abbia foltan
t * 1, ** X if4 tanto un ben lùperficiale, ed apparente,
e quell* idea, eh* e’ crede convenirgli aliai poco, o nulla gli
convenga . AI rincontro volete torlo da qualche trittezza, o dolore ?
batta che pur voi vi portiate diverlàmente ; poiché ciò provenendo dall’ oppinione
di un mal prelènte, altro non è meftieri che fi facci, che dargli a conoscere,
quello, eh’ egli crede malo non Io fia, ovvero’ abbia fol 1* apparenza, e
non le ne debba miga far quell’ idea, eh’ e’ ne forma . Allo tteflò
modo 1’ amor verlò gli altri nafeendo in un uomo dal dilcoprirvi
egli in quegli peravventura, e rinvenirvi qualche colà di lùo gufto, e
piacimento, per convincerlo ed ammorzar in lui queito affetto non gli fi
deve provar altro, che quello da cui e’ riabbia quel piacere, e
diletto, non fi rinvenghi nell’ oggetto amato ; ower eh’ egli Ila tale,
che dopo quello picciol piacere e diletto apporti . del tedio, e
del rincrelcimento in eftremo; comeche potendo fovente avvenire,
che non fi conolchi punto l? ragione del filo amore, in quello calò
per togliernelo al di fiiora fi potrebbe altresì trattar di dettar
in lui dell’ odio, non già verlò la perfono, ower l’oggetto amato, ma si
bene in verfo le laidezze, o li vizj di quella . L’odio ali*
. lsf all* incontro verfò qualche oggetto derivando in noi
totalmente dall* increlcenza, è dalla moleftia, che n’abbiamo, bramando
vói torlo d’ akuno, non conviene, che adoperarvi di renderlo perfùafò e
convinto, che ciò che quefto produce non ila realmente nella perfòna
odiata, e fpiacevole, ower eh’ e’ fia in fè ingiufto, e irragionevole ; (ebbene
per efler quefto un affetto, vaglia il vero, di natura pravo, e cattivo;
e imperò potendo fèrvir di grande incitamento a molte azioni prave parimente,
e cattive, fi pofla di vantaggio fargli badare a tutto quello, che fi abbia
per virtuofò, e buona in altri, ed in effètto non lo fia, o che fi
reputa malo, e non fia tale ; Or quefto fteffò modo e quefto medefimo
metodo dobbiate tenere,* e ofierVare rifguardo tutti gli altri affetti ; perche
fèdi tutti favellar ne doveffì partitaménte, non ne verrei giammai a capo,
e diverrei forfè a voi fteffò non che a me nojolo, e rincrefcevole
; tutta volta non deve lafciarfi in filenzio, che fè pur avvenghi, come
può di leggieri avvenire; uno per confùetudine, o per coftume, ovver per
natura fi vegga più verfò un affètto, che verfò un’ altro pieghevole,
dove fi voglia quefto ritrarre alle noftre voglie fia ir
re DE‘ principi fia meftieri deftar in lui anzi quell’
affetto in cui fi fcopre proclive, che un’ altro molto diverto, e
vario da quello ; Verbigrazia infingali pur, che Titio fia molto timido,
e vile, e che ci venghi a grado di ritrarlo dal male, ovver ad un’
azione buona, e virtuofà ifiimularlo,* egli non v' ha fenza dubbio,
altro miglior mezzo per riulcirvi, che fporgli al dinanzi tutti
quei mali, e quei perigli in cui peravventura potrebbe egli incorrere operando
a filo capriccio, e contro il noftro confèglio; anzi come colà
degna di fomma ofiervaggione è altresì da notarfi, degli affetti generalmente
parlando, ch’eglino tra li lor giudi, e lecitimi termini riftretti fiano per
noi d’ un utile impareggiabile e raro in modo, che fè pur non
f'ofTè così difficultofo, come egli è, di sfornircene nel Mondo, verrebbemo con
efiì a perdere parimente un infinità di agi e di co m modi, che n’abbiamo
. Annoveratemi le virtù proprie della volontà. Quelle fono:
Temperanza, cifra di fè medefimo, ovver della propria perfona,
cafiità, liberalità, modefiia, diligenza, pazienza, fortezza, amor
inverto gli altri, manfuetudine, amicizia, verità, e gùiftizia. Co
.1, ir? Cominciando dalla temperanza, ditemi che colà
fia ? Ella fi è un abito, o per meglio dir una virtù morale, che
confìtte in ben determinar il noflro appetito rifguardo al mangiare, e al bere
giuda le leggi della natura ; imperocché dovendo noi ne’ cibi, e nelle
bevande, così come nell* altre cole aver la mira tèmpre all* utile, e
alla notìra falute, ed imperò vedendoci tenuti badar romeno alla
lor qualità, che alla quantità, l’ obbligo, il dovere, 1* uificio d*
un’uomo temperante rifpetto a quefì’ ultimo, egli è di non
appeterne tè non quanto quello fine domanda ; vai a dire, tèi quella
quantità, che per la falute, e per la contèrvazione di fe medefimo
la fi richiede,* e riguardo al primo, cioè, alla qualità, egli è me(fieri,
che fi porti da medico con lui defilò, e ponga mente per lo continuo a
tutto ciò che li può mai giovare, o nuocere ; quel cibo tèltanto
generalmente parlando, tener dovendoli per molto buono, e làno, che
fi lente di leggier ilmaldito nel noflro ventricolo, e che vaglia a
promuovere il trapelamento delle parti ; imperocché non abbiamo sù
ciò delle regole filtè, e flabili ad oflervare, ne poflìam troppo
trattenerci, e di tèverchio a contègli de* Medici, non men per non eiTèr
tutte le colè comunalmente a tutti utili, e profittevoli, che per la poca
evidenza, e certezza di quelli precetti, eh’ eglino n’ imprendono
dalli libri della lor arte, come sforniti totalmente^ privi di quelle
ofièrvaggioni da cui fi ritolfero . Non credete voi $ che polla egli
llabilirli .qual quantità di cibi fi richiegga per un uom temperato,
e ben ordinato? No,* poicchè per la diverfità del corpo fè nc
richiede in uno più che in un* altro, come che per alcuni legni fi polTa
lènza dubbio daciafcun conofcer, e comprendere quando giufla ella fi
fòlfe per lui, e convenevole, e quando fi abbia ufcitodi cotali
termini, Ditemi quali lon quelli incominciando da quelli della lòbrietà .
Li principali di quella fono la leggerezza, e l’agilità delle membra dopo il no(Iro
pranzo, o la cena, ed il dormir con tranquillità, e lènza, alcun
interrompU mento . E quali dimortrano il troppo riempìmento? Gli
opporti a quelli, cioè, la lafle2za delle membra dopo tavola, e la
gravezza, o fiacchezza del capo, per là mutua, ed
ilcam* ; jf 9 itèambievole corri fpondenza, che v’ è tra
quello, e T noflro ventricolo,* (ebbene il ioverchio cibo ha tèmpre di
meno fàrtidio per verità, e pregiudizio per la teda di quel che lo
fono gli eccelli del bere . Z>. Ma come mai per uom fi conotèe
(è il mal provenghi dalla qualità, ovver dalla quantità de* cibi ?
In più modi ; porto però che fiam ben (àni, p liberi di quelle pafiìoni,
che fòvente fi veggono difordinarci, ed efièr di un grart
impedimento alle funzioni, o azioni noflrc animali ; imperocché per ciò
(àpere, non tèlo paragonar noi polliamo, e far comparagione.della
quantità de’ cibi dell’ultima cena con quella dell’ antecedente, e dello
flato del noftro corpo in altri tempi, in cui peravventura ci rimembriamo
aver fatto utè> delli medefimi con il pretènte, m’ altresì dall’
incommodità, che (èntir fi fogliono tanto in tempo della digeftione, eome i
rutti, gli ardori interni del ventricolo, i dolori di tetta, ed altre di tal
fatta, quanto dopo, e (pezialmente nell’òre mattutine, come le
languidezze, o Iaflazioni, che dir vogliamo delle membra, dsendo tutte, e
tali colè, ed altre fimill tègni certi ed evidenti della mala qualità de’ cibi
; fcnza nulla dir delle feerie, e dell’ orine, che ito
che fògliono non che di una buona digeflione, di ciò parimente renderci
ficuri, D. Sup» Ecco qui un faggio .di quelle regole
portate per regolamento della propria fallite, in quella parte della
Medicina, che comunalmente la lì dinomina Igieine, o Dieta maggior chiarezza de
’ nojìri leggitori ridotte olii feguenti capi, Dell'
elezzione del P ària • Un aria dolce, ed amena, e temperata la
il erede la miglior del Mondo, e la più falubre perdei vita ;
comecché Ji loda pure, e Jì abbia in qualche pregio quella de ’ luoghi
campejìri, o alti, e fventolatì in modo, che agevolmente if gravar
Jì pojfa, e fcaricarjì de’ fu oi effuvj ; V altre tutte differenti da
quejlejtan calde, o- fredde, fan umide, o fecche, ofan denfe di
foverebio f anno come molto nocive agli ammali e dannofe ; imperocché
primieramente il troppo calore dell'aria ifeiogliendo altre sì troppo il nofro
f àngue, e con rilafciar li pori della nojìra pelle più del convenevole
fa cenD. Supporti quelli principi dunque 1 * intemperanza che fi reputa
comunalmente, e fi hà, come un vizio contrario interamente ed
opporto alla temperanza, non confìfte, eh’ in dirigere, e determinar
l’appetito quanto alii cibi, ed alle bevande in un mo L ' do
cendone ifeorger al di fuor a J, udori eccejfivi non vai chea
debilitarci oltre mifura;e al rincontro il fuo freddo eforbitante refringendo
a maggior Jegno quejìi bocherattoli, ofian pori 9 e con ciò
fervendo a ojì acolo, e di impedimento alla rejpir azione e ’ può si
fattamente ifpejfir gli vomori, e tonde n far li, eh' e' vengano a
recarci addoffo infiniti morbi^ciòè tutti quelli, di cui la fp effe zza
fuol ejfer cagione ; avvegnaché F eccejfo del freddo veramente fa di
molto minor dannaggio per il nojiro corpo, che non è F eccejfo del calore
. In oltre la fiover chi a umidità rila fida, e fieude in eccejfo le
fibre del corpo, e con ifpigner gli umori a gran violenza, e forza
inverfo le parti efferiori fa che di legjgri vi f accolghino, e fifa gnino, e
con ciò venendo del tutto a cor rom* perfi, e viziare, fono F origine in
noi e la caufa dì varj, e diverfi affetti catarrali ; e ffl
rovefeio laficcifapiu del tfi&ert cpl dijfec* ‘ care,
do tutto al roverlcio di quel che fi richiede per la noftra
fàlute ; e poiché la volontà in noi vien tèmpre niofTà da qualche
motivo, 4 c per contèquente imperò deve eflervene alcuno per
cui uom brami un cibo, o una bevanda di qualità, o di quantità anzi contraria,
che confacevole a lui medefimo; altro per (corta, o guida non avendo
colui, che • ! \ w care, e
rafcìugar incomparabilmente il cor* po facendogli perdere V agilità, e la
dejìezzQ delle parti lo rende inabile, per poco e netto al moto ;
(ebbene l' aria calda, e umida fa affai più peggiore, e pregiudiziale
alla folate di quefle, come quella, che piu d' ogni altra vaglia a frodar negli
animali degli fi ruccheVoli, e cont 'aggicf vomori ; e finalmente dove
abbia Joverchia ifpijjezza, e denfìtà, e con quefia una fopr abbondanza
d* ejfiuvj come quella de* luoghi fotter radei, e fenza ufcita y
ifpeJfendofiH umori,e cond enfiandoli li di [pone ad una infinità- dj
rifiagn(fowtti,e di differenti malori con effer ben foverite''altresì la
cagione de Ili Affogamenti degli animali ; quindi è, che le
càfe>e l* abitazioni nonfi figliono lungamente tener iibanvCe, è Quelle
fatte di ritenta v • non
‘"" che dalle leggi della natura lì diparte, che
li proprj lenii ; egli deve crederli, giuda eh* io m’ avvilo, non per
altro 1* intemperante ufi li cibi, e le bevande in qualità, o in quantità
più del convenevole, e del giudo fé non per il gufto, e per il
piacere, che vi rincontra. M- Quello è ve ri (Timo ; e vaglia
il vero per muoverci ad evitar quello vizio, ed averlo in.abbominazione e
in odio, ballar dovrebbe T aver a cuore la nodra vita, e la propria
falute, rendendoci certi appieno, e peiTuafi del nocumento, e
pregiudizio grande, che ne pofiìam mai ritogliere; im L a . pe
non fi abbitano fe pria non Jiano ben diffeccate, e riafeiufte, o
per via de fuoghi, e de' f uff umigj purgate, - m 2 . * % Pelli
Cibi e delle bevande, Egli fi hh quafi che per una regola
genera* fe ffavellandfi de ’ Cibi fodi, e non flùidi, che li
migliori, e lo piu f ani Jian quelli, che fi veggono meno fogge t ti a
corromperji, e a futrefarjì ; e -che quanti più f obietti vengano^
' e Jem ?.. i*4 perocché dall’ amore, e
dall* affetto, eh* abbiamo alla noftra confèrvazione non miga disjunger
potendoli e fèparare il gufto il piacere, quanto è vie più quello e
maggior di quello, che dalli cibi, e dalle bevande raccogliefi, tanto più
e, prevaler faprà in noi, C dominare portandoci ad abbonir, come
conviene, e renderci alieni da ogni, e qua-, lunque fòrta d’ intemperanza,
e ifregolatezza ; e comeche a ciò niuno giunger vaglia che pria non (àppia
quello cibo, o quella bevanda per la fca cattiva qualità, o troppe
quantità li rechi danno, aliai pochi non però fi veggono di quegli che
badano que e femplicemente al gufto preparati, cotanto
piu giovino . Quindi ne Jiegue ; 1. Che V erbe f ano migliori
eftremamente pii* delle carni, comeche quelle che rin ferrano in fe
maggior copia, e abbondanza d' acqua deir altre, fi tengono in
minor pregio, e per meno falubri ^ li. Che delle carni quelle che fon d'
una tejfttura non guari ne dura, ne fr agile jorne quelle di va. Del
Moto, Oltre tabu O'sa elezzione dell* aria, e de* cibi per la J
alate, egli Jì richiede altresì un moto moderato della per fona, e fatto
a tem. fOy . 1 7 r Per la qual cola infra gli
uffizj, che l’ uom deve al fuo corpo, eflendo la contervazion della
propria vita, la fanità del corpo, il fàperli ben guardare, e munire
centra ritigiurie delle ltagioni, 1* integrità delle membra * e ’1
trattar d’ acquiftar tutti gli abiti Convenevoli al fuo (lato, e acquiftategli,
efercitarli, e mette rliin opera ; da 'chi che brama aver di fé quella
cura che aver deve fà meflieri,che ogni fio Audio, e tutto l’
intendimento rivolghi a cotali co* fe ; poiché in ordine alla (ita vita * uopo
è, che fi rifletta quanto mai reputar fi debba la (ua perdita con
ragioni prete dal fuo proprio flato, come a dire col por mente a
Ipiluzzo a tutti li beni, eh’ egli da quella po, cioè, non miga
dopo pranzo ; eh è potrebbe ejfer dP un gran impedimento alla concozion
de' cibi, e in luoghi debiti, come fon per efem pio gli aperti * 0 li campejìri,
che fono li migliori . Vaglia il vero venghìamo da tutti affé urati e ref certi,
che come quejìo ufato in quella guifa, che voi abbiam detto, giovi
a confervar in moto il fangue, e mantenerli il calore, non che per
. la robujìezza, per la gagliardi, e per V agilità delle parti, e per al-tri
iere, e alla fùa famiglia* e agli altri recare; niuno nafcendo per
fe me~defimo,ma foltanto per Dio, e per gli altronde è che ad uomo
competer non pof. fa giamai dritto alcuno, ne poteftà (òpra la
propria vita ; e per nitina ragione al Mondo debba affrettar la fua
morte, effendo ciò lo (letfò che rubellarfi, e fòllevarfi contea Dio,
giuda fi moftraron di fèntimento li migliori infra gli antichi Filofòfi;
( r) come che gli Stoici foli avellerò tutto diverfàmente fentito, in
guifà che i Romani avendo la maggior parte da Giureconfulti avuti da cotal
fetta, non filo niuna pena iftabilirono contro coloro, che volontari a (r)
Cic.inCit.è de Rep. I. Vi. p. io?. Ateneo i. 4* p. itj. Caujabm.p. 1S4.
PUt.in Pbadon. Piotivi. \X.En~ nead. 1. Senec.ep . 70. p.
tri si fatti commodi, ed agì : potendo fedirci di vantaggio fpszialmente
per un gran preferì vativo e argomento a poterci da morbi Cro «
nici liberare, non che dall’ippocondria ; e dall' etica f opra tutto con
quello del cavalca re : cosi al rincontro la f 'ua mancanza, e la
foverchia q f àe*e venendo il nofìro corpo pref. fa poco ad ifnervare, ed
qffiebolire lo renda ina - tariamone trattato avefièro ufcir
di vita, ma altresì come Validi li tefiamenti ne fofiennero,e l’ultime
volontà ( s ). Anzi alcuni non foto infognarono, ma ne diedero fin
nella propria perfòna della lor dottrina l’efèmplo; come di
Caronda, di Cleanto, di Crifippo, di Zenone, di Empedocle, di
Democrito, e di pochi altri dicefi ( / ),• che nell 1 ultimi lecoli
altresì ebber di quelli, che ne prefèro le parti, e contra ogni ragion li
fèguirono;ed il medefimo fi può dire riguardo alla propria fàlute, efiendo
ogn’un tenuto por mente alli commodi, e agli agi, che da eflà fi
poflòn mai avere, e agli jncommcdi, e difàgi, che portan (èco i, mor (
f ) i {Ip'utn. D, /. ^8. Paul. I. 39. ( c ) frodar. 1 . 1 a. p.Si
.Lattant . de /alfa fapientìa . /. 8.C.1S. ( u ) V.
Alla erudlt.nd ann.iyoi. menf Maj., inabile del tutto al travaglio,
e alla fatica, e con fargli vmori foverchìo grojfolani divenire, e che le
digejìioni az/venghino fuor di tempo, infermiccio, anche e mal fano ;
ma egli è uopo avvertirebbe dopo un moto violento, e forzato non f debba
tutto di rimbalzo come egli dicono, darjì alla quiete, e al riposo, ma
pajfo pajfo * acciò mediante V infenfì bile morbi, di cui,
vaglia il vero, farebbe lènza fallo, di gran nofro giovamento, che
a quefto effetto fè ne cercaffero,e fe ne ilifcoprillerò le caule . In
ordine poi all* integrità delle membra in tutto il corfo del nofro vivere, e in
ogni moto, e fito del nofro corpo, uopo è badare attentamente alli danni,
che comunalmente fi veggono alli incauti avvenire ; e veggendofi per efperienza,
che li fènfi in noi per l’ eccefiìvo, e fìrabocchevole ufo, che ne
facciamo, ven; ghino la lor virtù a perdere, ed a (minuir di forza, cioè,
che P applicar gli occhi per efemplo alle cofe minime, e
piccioliflìme, o troppo difcofie, e lontane, o vicine, d’afc fa i
fracchi la vifta, e la difminuifca; J’-oreebile trapelamento delle
parti agiatamente fatto, fi dileguino le particelle faline e fulfu
• ree del j angue . * Pel fonno, e della
vegghia. Ma ninna cofa vogliono, che vagli vieppiù il nojiro
corpo a fcemar di forze e debilitarlo quanto il troppo Jìar defio, e la lunga
vegghia. ' eh' . i?f * T orecchie a rumori troppo violenti,
e grandi, ovvero a filoni foverchi vehementi efpofii perdano l’ udito ; e
’1 medefìmo egli lìa trattandoli degli altri /enfi ; non abbifogna
miga ufarvi negligenza, e tra£ curagine, In ultimo rifpetto all’ abito,
e al domicilio, di cui fiam in dovere forbirci per poterci munire,
e difendere dalle fiagionijè mefiierj, che fi oflervi non meno il decoro
s e far che I* azioni libere fian Tempre mai in concerto, che aver
fa mira agli averi, allo fiato, ed alla propria dignità, eperfonaj
come che dicendo io di. efièr in obbligo provvederci d’ ab K
* "2 eh' impero il fonno Ji abbia per la nojlra confermazione
a reputar £ ima ejirema necejfitày e bifogna ; come che fi richiegga
ufato pur con moderazione, e regola % y effendovi meramente alcuni,
che ne fiano piu degli altri bifogno Jì, come quegli che fono in una continua
meditazione, cioè di un temperamento molto umidofopra tutto però Jì
avverta a far buona elezzione de' luoghi per dormire, ejjcndovi alcuni
come i foverchi caldi per efetnplo, che fono meno comendabili e f aiutati
de' freddi, stemperati, V. Dal, 4’
abitazioni, e di vedimenti per liberarci, e (campar dall’ ingiure delle
ftaggioni, non intendo miga aderire non efièrvi altro motivo per
cui alPuom convenghi ciò fare ; imperocché in ordine agli abiti, li noftri
(enfi venendo modi (avente, e rifvegliati dagli oggetti, e per mezzo di
effi ponendofi (pedo in moto l’appetito, egli ogni ragion vorrebbe,
che facedìmo nel noftro corpo ufo di quegli per coprirne, • e
nalconderne quelle parti, di cui pur troppo i( tacer è bello, altresì dove non
vi avek V, Della fup effluiti, e degli
efcrementù Molte fon le regole altresì che ci vengono
preferite a queflo riguardo ; ma noi non ne riferiremo, che le principali,
le quali ridar fpojfono a quejie, cioè . Che le f ape fluiti e gli
efcrement\ tutti generalmente parlando, lungamente rattenuti fano di un
gran difea* pito alla falute .Che quelli che fono fcarrichi di foverchio,
q fciolti di ventre debbano di gran lunga evi « tar il freddo del corpo,
e fpezialmente quella àe', fe alcun timore degli incommocji de’ Tempi
j è rifpetto alle calè, e abitazioni, converrebbe parimente averle per cuftodir
il noflrO 1, e per attener pio agiatamente àlle noflrebifoghe; e
preparar il necelfano al noflro foftemamento, non che le ftanche membra
rìftorar col tonno . Quindi uom vede quanto profittevole, e giovevole
e’fia per ciafcuno trattar di 1 far un abito da poter riflettere, e badar
anche alle cote piccioliflìme, e di niun rilievo per non la/ciar
nulla a dietro nelle colè . grandi, e di maggior momento. ' ‘
D. Che colà è diligenza? ‘; fri. E una virtù confìflente in
ben determinar la fatiga, e’1 travaglio, non che tutti li noftri efercizj
giufia ìe leggi della natura ; imperocché efiendo colà pur cer• M • >,
tiiTì, . ' . ^, de
piedi . Che lìfudorì volontari gfovwo fuor di mi fura a quelli che fon cT
un temperamene to umorofo . Che la fa Uva ef'endo d* un gran u » e
ffZ\ a . dwjjìove j e per la def rezza, e l agiltta delle fbr e non Jì
déhba Jempre cacciar via ^ e rigettar al di fuor a ; ed in ultimo eh iUoifo
Venghi adoperato molto di rado ) e moderatamente, ejfendoyi alcuni tempi
come tilTìma che 1* uomo ingegnai* fi debba in tutti modi di
aver tutto ciò, che può mai abbifognargli nella vjta per fodisfar,
Com’ e* conviene al li lùoi obblighi, o ulfitj, non puòdalènno
dubbitarli, che non debba efTer afiiduo nella fatiga, e nel
travaglio, e non lalciar occafione alcuna àddietro eh* efier gli
polla di frutto, o di guadagno all* accrelcimento de’lùoi averi,* ogni
volta eh* egli polla farlo a gloria, e loda dell’ Onnipotente, e lènza
1* altrui danno, o difeapito ; potendo egli avvenire, come il più
.avviene d* ordinario, che per vecchiezza, o per indilpofizione, o per
altra contrarietà della fortuna, in apprellò non polla s ne abbia
cotàl agio, e commodo ; co Il-l I v ' ’ Vegli effetti 3 e delle paffonì.
' > ' ’ r ’ r • • I ^ ' Ter quel
che riguarda quejìo particolare fionji ha nìunacofa di rilievo dalla
medicina j onde tra per quejìo, e perche fe ne favella /# .
cofa che fa cono (cere, e comprendere ì quanto giutfo, e’ fia, e
convenevole badar per 1* avvenire * e non confumare, di bot. to 1’acquieto
; Li vantaggi, che mai lì ritraggono dall’ elèrcizio Coverebbero bacare a
non renderci neghittofi, e pigri, m’ amanti, e vaghi dell’ abito, o Ila
virtù di cui di prefente favelliamo,• come che il noftro travaglio,
e la noftra fatiga deve regolarfi lèmpre in modo, che nulla mai
M a di " ! 1 !» 1
. ! * » x sufficientemente /opra, non /limiamo ne ce far io
difenderci di vantaggio. Velie regole proprie per la falute di ciafcunoy
o per V età, o per lo fijfo, o per lo mejìiere o per lo tem per amerito. Oltre
quefie regole generali vi fono di quelle che non rif guardano, che lo
/pedale ; ed alcune perfine particolari, o per f Jtà,o per lo fife,
o per lo temperamento o per lo pro~ prio mejìiere . Incominciando a
trattar delle prime, e di quelle riguardano tonfati feto al
dinan di fatata giuda teftè detto abbiamo, veru ga a perderli, o il
decoro, e la giocondità della Vita a /cerna re ; poiché non v’ è
colà lènza fallo, che fia cotanto commendabile, e lodevole, quanto d* un
uomo eh’ in tutto d’ offervar proccuri y e tenere una via di mezzo,
eflèndo per poco tutti gli eftremi vizioff. V. Che cofa è
Pazienza? M, E una virtù, che ferve a diriggere, ed ' •
v fri- •: (i io ) Libo la* c. io ; . ; ftieri fòffrir
pazientemente, e patire quelf che non fi può in guife alcuna fra fto
mare* e rimetterci in tutto ài fuo divino * e fanto volere ; e ciò
tanto più, che fecondo dàlia fperienzà s’ imprende l’ impazienza ad altro
mai non ferve, che a fard 1* avverfi•; tà, e 1* infortuni vie più maggiori
divenire, e intolerabili ; Avvegnaché (òpra modo giovar ci polTà per quanto fia
poffibile ' il prevenirli anticipatamente, e nelle cofe feconde, e
profpere avervi mai fempre la mira, o con applicarci a più, e più cofe
trattar in effe di diftraerci nel miglior modo primo
anno da far far loro akufo de ’ cibi * e delle bevande per non renderli
infermicci in mille modi, t cagionevoli 5 anzi è bene anche
/appiano il f onere hio cullare, che fi ha in co* fiume comunalmente di
far per tirar lì ragazzi al fonnó, fovénte rechi loro un dif capilo, e un
danno notabile ; vero è però che il fonno nelli primi mefi, quanto egli è
pih grande Jane to vie pitt avér fi deVe, per meglior fegno *> e
per marca di fialute, come al rincontro la vegghia oltre P ufato è fempre fegno
y e indizio di qualche morbo . Rifguardo all'aere il temperato è il più
comendabile e lodevole per ejji t e un modo del Mondo ; di
vero la vita dell’ uomo ( dice un attore Terenziano ( x ) egli è come il
giocar a dadi, in cui tè quel putito - non ayviene, che tu appetti,
abbilògna che l’ arte corriga la fortuna ; onde, giuda ’ Epitteto,
( j ) perciò non v’ ha meglio, che . guardarfi di non applicare la
propria avverdone, e il proprio appetito in colè, eh* . in nuila da noi
dipendono, e rifpettòa quelle ( z ) che fon il (oggetto del nodro -
amore, o del nodro piacere, o che pur vagliono per qualche noftra bifàgna è
medieri che fi difàmini attentamente la lor natura, incominciando da quello che
meno vaglia ; imperocché fe mai un Vetro, oun pen ( X )
Adtlph. atf. IV. fc. VI ri ( y ) irXEIFIAIOR f.7. (;z )
li il. c. s. è 9. 10. 11. n. 15.14. i?. #ei I, e an
refpir, amento al meglio che fa pojfibile libero ; quindi li bagni lor Jt
credono altresì pojTono ejiremùmente giovare ; comeche tutta la
diligenza e cura deve ejfer mejja in mantenerli di ventre liberi quanto f può,
e fciol-i tip giunti jbe fi Veggono a tempo in cui toglier Jt
debbano dal latte,abbifojjia, che lungamen* . te (ì facci no ajìener non
men dalle carni, cb* eglino miga vagliono ancora allor a diggeri*
M 4 re Digitized by Google .184 DE' PRINCIPJpentolino,
per efempló, avvien, che ci piaccia', e diletta, perfiiafò vivendo
noi quanto e’ fia di natura corrottibile, e fra- gilè, dove per avventura
mai e* venghi ; a frangerfi, o fiaccarli non verremo per' ciò miga in
difturbo, e perturbagione, Ei p' ìxcés-is 4- v X ee y a> y* l '
!my i fi ir pittai viw, 5 yO(iiva>v, (lìfiJHro unKtyuv, ómìór
tri v, cip 9 " O’fMKpi'itt'Wr upX'óptivos . ai xvrpav ripypi-, ont
xórpcat rtpyas.Kctntttyti* c»s yàp mùnti, « . a» * iraxhor axjrts
Kcentttpr X>ji, H yuttcùx-oc, om ausSabnrov] ’x.x.nu'piKàs
«p5uuóvno M. Un abito, o virtù che ferve a difporre, •
e diriggere 1* azioni dell’ uomo nell» pericoli che fi ave
zzinole éójUtmino far tutto Ordinatamente, e con decoro, non che li lor
travagli, e li lorfiudj, cui per avventura in un età giujìa, e convenevole
fi danno, avvertendo dì vantaggio, che quefii vengano ammifurati in gnifa,
che . il lor ingegno efiremamente non fi infievolii chi, e debiliti,
' \ \ r In oltre pafiando ad altro ; egli fi ac cornane da a
vecchi figuir tuttoccib,che fono cofiuma 1 ceflìtà, eflèndo ciò
contrario del tutto . j reai mente, ed oppofto alle leggi della Natura, e
quell’ eccedo appunto, o vizio, * a cui comunalmente diam nome di
audacia, o tracotanza rOr finalmente quefti erano gli uffici, gli
obblighi, e li doveri dell* uomo fòlo nello fiato Naturale e non
altri. D. Ma perche voi favellando peravventura di quelli, che non
riguardano che lo fpirito, abbiate altresì tratto di quelli, che aveano
attenenza al corpo, e allo fiato -efierno ? M, Per
. aggevole d’afiai e facile, dove pur cosi . v* aggradi, ridurli sù
quelli tre capi di cui vi feci motto fin dapprincipio; imperoc* che qual
malagevolezza-, o difficultà mai r. potrete voi rincontrare in conofcere
; Che quanto da noi fi diflè della volontà, e del. » rieeffer una feguela
dell' applicazione e del ripofo ; .come eh e V ufo del cioccolati o di tempo
in tèmpo poffa firvir molto per fortificar loro la JìomaCo, e
rimetter lì f piriti nell'applicazione efauJtiyWn che per corrigere gli
acidi del fan* gite. Al rincontro, a quelli, che fon
peravveng tura Deputati, e desinati a travagli ^ e fattolo e pili dure i
e gravo fe y fi concede feur amen* te U bere y e il mangiare in più gran
copia, ed abbondanza di quejii ultimi, ma fono avvertiti d' effer cauti,
ed avveduti di evitar del, tutto ribaldati, eh' e' pano le bevande
fredda ingenerale, potendo lor ìquefle apportar feco ricchezze,
agli abiti, ed altre così di tal fatta non abbi attenenza, che al
noftro • flato efterno ? Onde ecco pur tutto con un motto rimeflo
in quello afiertOjeordinanza che voi lo defiderate,*ed egli è cofa t in
realtà di gran rimarco oflervare,come tutto interamente quali che da
fonte, o forgente trat* to s abbia da non altro, che da quella, noflra
maflima generale: cioè, che l’uomo debba far quantunque più può, e sà a
foo vantaggio e utile, fempre. mai che far lo polfa - ‘
'delle diarree,foccorrenze, cacajuole ed altri malorifmili .
In ultimo venendo a quel che rifguarda la diverjtia de'
temperamenti, primieramente per quegli, che di f over chiofopr
abbondano di fangue ì egli vien fommamente lodato un a e* • re
molto, temperato, un vitto affai naturale, e fempliciffmo, un cibo di
groffa corffjìenza, e una gran moderatezza nel vino, e nel fon120, non
che negli affetti interni de ir animo • Secondo per li colerici, e li
biloffji approva, oltre un * aere altreiì temperato^un cibo liquido ^ un
vino acquofo, e il ripofo, e il forino „, anzi, ' m continuo e regolar fi, •
poiché quell’ azioni, che fi riftringono per efèmplo fòtto la, temperanza
vengono da quelle ifteflè leggi, dirette, e regolate, da cui fon rette,
e ordinate quelle, che fi comprendono Cotto la giuftizia, o la
fortezza, egli v’hà ogni ragione d’ affèrire, eh* in effetto per parlar
con maggior proprietà, non fia eh’ una fòla la virtù umana, e quefta
altro non fia, che il viver conforme le leggi della natura, comeche
gli uomini comunalmente o per non rinvenirti niuno infra efii,che ne fia
iru teramete ben fornito, veggendofì altri eflèr fòi * » • l
^ r ni avvenendo dinanzi il convenevole tempo, li ;* cibi
aromatici, e difeccativi Vagliano ad emendare, e corriere fe non del tutto ;
almanco 1 * in parte quefio difetto ; e come colripofifi Verrebbe
ad acc re fiere, ed aumentare in efft ' il torpor delle fibre' r coi ì al
r ove [ciò, median - 4 te il travaglio fi vengono quefie a render vie
>' piu ferme, e fide ;e il [angue, che a produrr re delli mocci
in abbondanza è ben acconcio, con quefio fciogliendqfi conferva tutt ’
ora il moto . Quindi per ejfi [ervir pofiòno e valer parimente d*
un ottimo, e buon rimedio li ne gozj, e P occupazioni le piti ferie, e
fafiidiofi del ì 9 i Ibi tanto faggio,
altri lòl tanto prudente, e niuno aver in fe congiunte, e unite tutte quelle
virtù particolari, over per formarlène un adequata idea fecondo la
diVerfà, e varia applicazione, eh’ eglino a Ior divelli e varj doveri ne
fanno, le diedero vari, e diverfinomi, o vocaboli, di giufìizia, di
temperanza, e di altri sì fatti, nella guifà appunto, eh* a quelle
medefime leggi, per quella ilìelTà diverlìtà d* applicazione, or
Civili, or delle Genti, or Pubbliche, ‘ r or in altro, e diverfo
modo le appellino. • ì M. Si del Mondo . Quarto f
crede commendabile fopra modo, # lodevole per li Malinconici fpe zialmente
un aerfrefeo, che vaglia, e pojja molto frvire per accufcere il
trapelamelo, t V refpiro della lor pelle, non che Per agran* dire
le particelle del J angue, li cibi / alzi, e d* Una fece a conjjjtenza,
una gran moderateti ta, e temperanza nel vitto, e negli affetti, •
in cui eglino fogliano per natura difettare ; e tutte le ccfe
ifcioglienti > che vogliono piai epojfcn in ejf promuover delli e
frementi, blighi 1 e li doveri dell’ uomo confederato di brigata con gli
altri rìfèrbarolli per materia d’ un’altro ragionamento. temperamenti
mijìi ci fi ammonifce, che frati tandofi di ejfi,fi abbia fempre mai rif
guarda a quel eh ’ in noi predomina, e fignoreggia, Or. \ quejio è
quafi il principale di quel che da Me» dici vien preferito per coloro,
eh' efiendo in una buona fai ut e y o difpofizione amano mante - *
fiervifi ; il di pii *, volendo, fi pub come cofa poco appartenente al
[oggetto di cui fi tratta* 4 a ejfi ftejfi imprender di leggieri .
trattenimento U alunque volta per verità da me fi pon men« te, e fi
bada al diletto il quale hò io quelli dì fèntito in udirvi difcorrere
delle leggi naturali, e confiderò quanto egli fia profittevole, e
vantaggiofo all’uomo 1* averne contezza ; vera pur troppo ^ e certa mi
credo, che fia l’ oppinion degli Antichi (a ) circa all* aver per indegni,
e immeritevoli del tutto dell’onore, e dei nome di Filofofi coloro,
che non n’ aveano nel li lor ammaefiramenti divilàto a lcuna colà,
e mediante le proprie meditazioni cerco ilchiarirle, e renderne
ammaeftra- ti gli altri ; niuna parte realmente della nofira vita
rinvenendoli, giuda che per E appunto quegli confefiavano nè nelle colè
pubbliche, ne delle private, nè nelle fo* renfi, nè nelle domeniche, nè
le con noi ftefli alcuna cola facciamo, nè lè con altri, •
chiunque egli fi fofiè contraghiamo, in .cui elleno non debbano aver
luogo, come quelle nella cui ottervanza ogni ornamento, e fregio e porto
della vita, e ogni umana virtù confifte, e nel cui difpreggio, per quanto
jer pur da voi imprefi, ogni vizio, ogni laidezza, e ogni noftra
bruttezza fi arrefta; Per la qual co là in apprertò in me cederà
ogni, e qualunche maraviglia, cd ammirazione in veder buona parte
degli miei uguali, per non dir tutti, o per propria negligenza, o defii
loro genitori 3 o di altri alla cui cura vengono peravventura
commetti, o per un comunal pregiudizio, ed afiai popolare reputando uno
cotal fiudio per etti poco vantaggio^), e utile, e nulla imperò
applicandovi, sì difordinatamente Vengono l’ altre fcienze ad imprendere,
e direggere li lor efèrcizj, che dove credono poter col tempo giovar,
come devono, a (è, ed alla propria famiglia, ed alla Patria, fi
rinvengono all* ingrorto aver errato, e totalmente ingannati . Ma cotali
cofè, eh’ a noi nulla, o molto poco appartengono, falciando per al
prelènte per lèg uir il difeorfo di quello, ch^jer fi rimale a trattare, dopo
aver confederato P uomo lòlo NELLO STATO NATURALE, infingendo ora mirarlo
di brigata con gli altri, e in una focietà univerfàle, vorrei lènza
interrumpimento udirvi favellare degli uffizj, e doveri, ch’egli dovea in
quefto Rato fòdisfare. M. Quefti tutti inferir lì poflòno, fènza
alcun li. dubbio, da quefta propofizion generale : cioè, che 1’
uomo naturalmente in fe fèntendo un infinito piacimento, e diletto dell’
altrui perfezione, 0 utile, o vantaggio, che dir vogliamo, nulla inferiore
a quello, eh* egli hà dalla perfèzzion di fè Redo, dove dalle
padroni non venghi travolto in contrario, dirigger e’ debba, e regolar le fue
azioni in guifà, che tendano non meno a utile, e vantaggio proprio,
eh* a quello degli altri,* imperocché da ciò che reputar fi deve, e
mirare per lo primo, e per lo principale di tutti gli obblighi, o uffizi umani
fcambievoli, o per meglio dir di quefto genere di cui or trattiamo, come
tanti corollari, Porifmati, e vantaggi, che dir vogliate, ne fegue,*
I. che non abbi fogni far ad altrui quel che non fi vorrebbe per fe
medefimo . II. Che fia meftieri corrifponderci tempre mai con un
ifeambievoie, e reciproco amore, imperocché dovendo noi goder dell’
altrui iene, e i'elicità, come della propria, e averne del piacere,
e della gioja, quefta non può in modo alcuno disjungerfi, o
feompagnarfì dall’amore. Cile dobbiamo in ogni- tempo operar in modo, che
N 3 niuno t abbia a grado la noftra infelicità, o miferia, e giudo
motivo di appeterla, o bramarla, purché far lo polliamo lènza
muoverci un jota contro alle leggi della Natura, la cui obbligagione è
fempre mai la ftefla, ed immutabile, eh* è quanto dire, renderci
per quanto fia pofiìbile a tutti cari, e amabili. Che non v* abbia ragion
alcuna da renderci fùmofi, e altieri, o al di fopra degli altri, ma che
tutti fènza rifèrva, o eccezzion alcuna di perfora dobbiamo infra noi
tenerci per pari, ed uguali con darne con parole, e con fatti della
venerazione, e del contp in cui l’uno fia predò dell’altro fpreflò legno
al di fuora. Che non dobbiamo in niun modo metter in palefè, ed alla
(coperta 1’ altrui magagne, o difetti ; ma prender tutto quanto da altri fi fa
mai, o fi dice in buona parte, difendendo in tutto tempo, e avvocando 1*
altrui dima, e onore ; colà che fi dee far fopra tutto trattandoli de*
calunniati, e gravati a torto, non efiendovi altro meglior modo, o mezzo di
quello per renderci al Mondo ingraziati, ed amabili . Che non fi
debba niuno mai offendere, nè dannificare per niun verfo, altro non
effondo in fatti, quello tutto, che operar ad altrui dilvantaggio, e
difeapito; il perche l’ off è fa, e ’I danno, che peravventura ad
altri facciamo fiam in obbligo in ogni tempo, ed in dovere rifàrcire
a ogni nofiro colto, e quello che da altri mai a noi li
reca,fcanfàr a tutto poter, ed evi. tare ; eflendo per una cotal ragione, e
per quella pio pofizion altresì principale, ch’ai di lòpracennammo,
cioè, che L’ uomo far polla Tempre quantunque più làppia, e vaglia
a fuo prò, giuda e lecita in quello calò di cui fi tratta la difefa . Che
Egli è certo, ed indubbitabile, che tutti noi fiam
obbligati, e tenuti operar in guifa, che P azioni naturali corrifpondino
in tutto, e concordino fèmpre con le libere con aver un medelìmo
fine ; II perche Pappetito al coito efièndoci fiato dato dalla natura, e
concedo per la propagazione, e confèrvazione delia fiefià fpezie, ed imperò
efièndo un azione del tutto naturale, egli è mefiieri, che per quanto
dipende da noi, non lì adoperi giamai, ne s* impieghi d i ve rfa
mente, o per altro fine. D. Egli conviene adunque, che colui veramente,
che fia vago d’ effer netto, e catto sfugga, e vita a tutto potere ogni
forte di congiungimento illecito, e contro le leggi, che non abbi
altro per fcopo, o per fine j che il mero piacere e la voluttà, come li
ftupri, le fornicazioni, gli adulteri, ed altre sì fatte fòzzure, e
bruttezze, con trattar parimente di dilungarli da tutto ciò, che
vaglia mai ad iftimolarlo, e portarlo a quello, e vietar tutte le parole,
le gefia, e P azioni lafcive, per cui ne pofia rifultare quel
gufio, e quella compiacenza, che il piu delle volte porta (èco al di dietro.quegli
movimenti critici, li quali con dedar in noi di fovverchio r e rifvegliar
li fenfi, fanno, che la ragione totalmente fi, addormenti •
M Li, aof AI. Li motivi per cui fpigner ci dobbiamo edilporci
alfacquilìo di una cotal virtù fono quegli fteflì per cui devono eflerci
in abborrirhento, ed in odio li piaceri ; onde di quelli avendone
parlato (òpra alla diflfufa i non fa meflieri qui ripeterli al di nuova;
Comeche convenghi oltre a. quelli, che fi badi altresì alle pene, ed agli
gaflighi che in ogni ottima, e ben regolata Reppubblica vengono dalle
leggi inabiliti per - li fìupri, adulteri, e altri si fatti delitti
; ' ed avvezzarli di buon ora a sfuggire, e vietar Ogni occalìone,
che pofTà fervi rei di motivo per portarci a qualche azione libidinosi, e
cattiva. D. Come definite voi la modeflia ? M. Per un
abito della noflra volontà, o per meglio dire, per una virtù di ben determinare,
edifporre fazioni appartenenti ' all’ onore, fecondo le leggi della
natura; Quindi il modello, fèbbene operi in modo, v che Ila degno d
9 onore, e di flima, non però egli la brama, o 1* appetifeé; ed in ciò
differilce dalf ambiziolò, il quale al rin' contro brama gli onori e gli
appetilce, ed andandovi al dì dietro più del convenevole pecca nell 9
ecceffò ; e fi diftingue altresì da colui ch’éfièndo d’ un animo vile
fòverchioj ed abbietto pecca nel difetto ; imperocche avendo noi della
compiacenza, e del piacere del conto, o (lima in cui fiamo prefio
altri, ed imperò venendo tratti dalla gloria delle noflre iflefie
perfezioni, può quefla,fenza fallo,fervircidi un gran (limolo a condurci
Tempre mai e portarci per lo dritto fenderò a grandi, ed eroiche imprefè
; II perche fi viene a conofcere in un ifleflo mentre l* error di coloro,
che confondono non meno 1* amor proprio, che • nafce dalla virtù di
fè ftefiò, con quello, che non nafce che dal vizio, efiendo 1* uno
molto vario, e diverfò dall* altro, e il pri . mo non così come il fecondo
da riprenderci, e biafimare ; che la modeflia con quella battezza e yiltà d'
animo, in guifà, che • ; per torre alcuno d* ambizione fi fludiano
a tutto potere d’ ifpignerlo jn quella, eh’ è { un vizio per
verità miga inferiore a quella, facendo che la perfòna molto poco fi
caglia delle virtù morali, e delle morali non ne fègua altro, che
1* ombra . Di Come adunque fi può mai far un ambiziofò ufeir di fua
ambizione ? E di fbmmo meflieri ; I. Che capifea qual fia il vero
onore, e come quello non dipenda miga dalla perfòna onorata, ma
fòltanto da colui, che onora, il quale abbi fogna anche che fàppia formar buon
giudizio. Ch’ intendete per amicizia? M. Un amor vicendevole infra
due o più perlòne, palelàto, e dato a conolcere altresì con uffizj
vicendevoli, giufta le leggi della Natura ; non ettèndo ad un amico,
inverfo l’altro lecito giamai, ne permetto far co fa per menoma, eh’
e’lia contro quelle. Quindi acciò tta ferma realmente, e Itabile, e
collante un amicizia, e non ft (ciolghi cosi di leggieri egli impiegar fi
deve tutta la diligenza, e la cura del Mondo nella (celta degli amici ;
comechs ettèndo in vero co fa molto malagevole, e difficile che fi
rinvenghi un amico del tutto intero, e buono, come fi vorrebbe, e potendo
di leggieri avvenire che fi fia errato nella lecita, e che 1*
amicizia contratta fi fciolghi, o perche l’amico voglia da noi
qualche cofa non ben giufta, e buona, o per altra cofa sì fatta ; il più
ficuro modo, che fi può tenere nel praticare, e converfar con 1* amico,
egli è quello, che dir Iblea Biante, celebre tra* Greci Filofòfanti,
cioè, di enervi si fattamente circofpetto e avveduto, come con colui, che
col tempo può per avventura divenirci contrario, e nemico,* del
retto quefta è una virtù, ed un abito, che fi acquitta e ottiene,
come tutte P altre noftre virtù, e gli altri noftri abiti, per via
di molti atti ; come a dire : con P amare da vero l’amico per le Tue virtuofe,
ed eroiche qualità ; col praticarlo, e fìar con etto lui, e col godere in
ogni momento del bene di lui, come del proprio; A ogni modo non mi fèmbra
neceflàrio arredarmi qui in farvi vedere la neceflìtà, che abbiamo di far
un cotal acquiftojbafìa dire, che doppo la virtù, l’amicizia pofla
e vaglia a formare la nottra felicità, e che abbracci tutti gli flati,
tutte le condizioni,' e tutte le differenti noflre età ; ella giova
a ricchi, e a potenti per far ufo della lor fortuna ; a poveri, e
fventurati per aver qualche folìegno, e lòllìevo; a giovani, per
aver chi lor confogli, e dirigga ; a vecchi perche può forvir loro d’ appoggio
; e a quegli che fono nell’ età virile,* per fornirli di favori, e di
affluenze ; e lafoiando ilare, che la natura ftefia ci porti a
quella virtù, avendo altresì ne’ bruti, e negli animali inferito
certe inclinazioni, per cui quelli della medefima Ipezie fi portano
tra elfi ad accoppiàrfi,ed a unire ; nelle Città e nelle
Repubbliche la concordia, e l’amicizia de’ Cittadini fi riguarda come una
parte principale, ed effènziaìe del{a felicità pubblica . D.
Ma ditemi un poco; egli dubbitar non potendofi, che il vocabolo amicizia
fia detto, e dirivi dall’ amore, e non amandofi da noi ugualmente ogni
colà, quali fono quelle cole, che fono veramente amabili? M.
Di quelle n* abbiamo tre Ipezie ; altre
colè effondo amabili, perche fono buone, o per fe llefiè, come le
virtù, o relativamente, e per qualche circoftanza, come li cibi per
rilguardo della noftra làlute, o le medicine per le malattie ; altre, per
arrecarci del piacere, e della giocondità, per cui altresì diconfi buone ;
ed altre per efièr utili (blamente, e di qualche emolumento, che le
fa parimente aver per buone; Quindi ne rifùltano tre fòrti d* amicizie $ 1*
una - di cui, come fondata sù il vero bene, ed utile ( dico
utile, prendendo, quefto vocabolo giuda al noftrofignificato ) è vera, e
perfetta ; e l’altre, non riguardando, che o il bene apparente, o la
giocondità, o T utiltà volgare ; non fono che imperfette, e fecondane, ed
improprie ; come che altri v* aggiungano pur una terza, che la
defini fcono per una reciproca inclinazione e propenzione d’ animo tra
uomo, e donna, fènza alcun moto fènfibile, e la chiamano comunemente Platonica
; ma tra perche quella dalle più delle Genti, fi hà per una
amicizia attratta, e miracolo^, negardo elleno quegli principi
Platonici, mediante a cui fi (oppongono nelle mentì create, fènza
alcun opera de’ (enfi, e ifcolpite, e imprette le forme del bello, e del
buono, ed avendo per certo, che quetto: impeto, o inclinazione come
proveniente da (enfi, in etti purtt mantenghi con tutto rigore, e
forza, giuda alle naturali leggi, a mifura, che ne fian capaci ; e perche
ne * defideriamo favellarne con p'ù agio a più -
convenevof tempo, non ne facciamo neppur motto per al prelènte .
D . Perche avete voi per imperfette quelle amicizie, che riluttano
dalla giocondità, e dall’utile volgare ? . M. Sì perche una con
quella fperanza cefc fando l* amore, cotali amicizie non fono di
lunga e gran durata, sì perche la vera, e perfètta amicizia, non condite
in altro, le non in voler bene all’ amico, per Pam ir co. /
Quella pratica, che fecondo voi, fìa di meltieri in tutte 1* amicizie, hà
ella luogo nelle amicizie tra fuperiore, ed inferiore ? il/. Senza
fallo; a ogni modo deve efler aliai rara ; li fiiperiori di leggieri
annoiandoli degli inferiori, in modo, che farebbe meRieri alle volte, che
fi dim enticalfero del lor Rato, fe folle potàbile . Ma con quali
modi lì può mai conolcer bene e comprendere una perlòna, che li
confiderà per amica ? M. Con praticarla qualche tempo con indifferenza,
ed ofiervar elèttamente quanto ella facci, e quanto operi; come penlà,
per elèmplo, come parla, come ama, come odia, e come fi duole ;
quindi giovarebbe molto a far tali olièrvagioni particolari dove
blfognarebbe, conolcer universimente li coftumi degli uomini, e le diverfe loro
inclinazioni nelle loro diverte età, e nelli lor Itati differenti, con
fàper per efèmplo I. Riguardo all* età ; che li* Giovani eflèndo di
gran lunga dominati dalle paffioni, e principalmente da quelle del
fenfò, venghino da quefte di leggieri trafportati, e vinti, come che
fèmpre variano per fazietà, e leggerezza, e Ciano in oltre di fdegnofi,
ambiziofi nelle gare, in nulla attaccati al danajo, liberali, /empiici,
aperti per la poca fperienza, anzi imperò anche creduli ; lieti, fperanzofi
per lo gran favore del lor (àngue, vergogno!] per non creder altro
lecito, fuor di quello, che apprefero dalle leggi, e dall’ educazione ;
magnanimi, vaghi più dell’onefto e della lode, che dell’utile ; e perciò
amici di compagnie, e di convenzioni, e di tutte le fòrti di amicizie
gioconde ; nemiciflimi della mediocrità nelli lor affetti, peccando mai
fempre nell’ eccedo, e nel difètto, o che amino, oche odino, o faccino
altro ; e come facendo ingiuria ad alcuno, non la faccino miga per
malizia, o per recar a colui danno nella perfòna e nella roba, ma
fòltanto nella dignità, e nell’ onore ; e ultimamente compafhonevoli, e
pietofi, avendo ogni uno per megliore di quelch* egli fìa in effetto ; che
li vecchi tutto al Popputo, non eflèndo nel fervore, e nell’ aumento
de* /piriti, non fìanò d* ordinario /oggetti, ne* /ottopodi a
trafporti, ed operino mai /èmpre con lentezza ; e geneiaimente /ìano malizio/!,
diffidenti' per la lunga /perienza, dubbj, timidi, queruli, fàfìidiofi per T
anguftia, e povertà del lor /pinco ; avari per non riguardare, che il commodo,
e 1 * utile proprio; di gran memoria, ed imperò garruli, facili a
/degnar/!, comeche non duri il lor {degno per il freddo dell’ età, morti
nella concupi/cenza, e volti del tutto al guadagno ; e dove avvien che
faccino mai dell’ ingiurie, e delle /convenevolezze, le faccino veramente
per malizia; Infine e’ fiano mi/èricordiofi come li giovani, febben
quefii per umanità, e quegli per imbecillità ; malinconici, proverbiofi, e di
un animo molto badò, e rifiretto ; e che quegli, che (ono in un età
virile, e di mezzo fiano di cofiumi temperati, come a dire eglino
non fiano ne troppo audaci, ne troppo timidi, non credano, ne difcredano ; e
il mede/imo fia dell* altre pa/Tìoni ; li. con cono/cer rifpetto
allo fiato, che li Nobili per e/emplo fiano ambiziofi, fumo/!, morbidi,
tenaci de’ proprj tituli, e che vadi. no apprettò più ali' apparenza, che alla
lòtta n-iìanza ; che li ricchi, per 1* abbondanza fiano ingiurio!],
fuperbi, vaghi di Juflò, e di delicatezza, arroganti, ed alle volte
anco incontinenti, fe mai divenirono ricchi di frelco ; e che li potenti
abbiano coltomi pretto, che limili a quelli, come che lor moderi in parte
la gloria, e li tenghi al dovere; e così degli altri, che fi giungono di
leggieri da quelli fieflì a comprendere . Ch’ è quello, che ci rende amica
una perlòna? • M. Il farle bene, V ettèr amico de’ lùoi, il
corri pattlonar la, 1* ettèr verlò lei liberale, modello, temperante-,
gentile, trattabile, faceto ; e in una parola la virtù, ci può
rendere cari a tutti, ed amabili, giufta che potette apprendere, dà quel,
che al dinanzi notato abbiamo, parlando delle colè amabili . Come dunque ai
consèrva l’amicizia? [cf. Grice, the apory of friendship in the
LIZIO. Col mezzo della BENEVOLENZA (other-love – conversational benevolence), o
del volerli bene Icambievolmente, non che con la concordia, o con la fede
vicendevole nelle co fe agibili ; e con la beneficenza, o
liberalità. Cont. L’ amicizia perfetta ammette ella moltitudine
? Fil. Mai nò, tra perche in ella fi ricerca un
amor del dritto naturale. 2 i 14. C g ) Dei ih 9.
1 . 1. . /. . f. de pani s Grot. in fior, fpitrf. PbUoJìr. de vii.
Apoll. nurn. 5?. Dsuter. . P/trullp. ^ I J ?2C
*16 d e* p'R in c i p j -r ' grandi Grettézze, e bifogne, {botanti
motivi, che mover ci doverebbero ad effei ne veramente amanti, e farne un
continuo ufo, oltre lepromefie, che a veri li moli ni eri nelli
Sagri libri della noftra Santa, e Veneranda Religion rivelata fatte fi rinvengono.
Che intendete per verità ?. JM. Un Abito di ben diriggere lenoflre
azioni conforme le leggi della Natura nel com - municàre, e ridir ad altri
li noftri fonti - menti: imperocché colui, eh’ è veramente amante, e vago
del vero, non men fogge, ed ha in abbon imento il falfo, che la \
fìmolazione, e la bugia. D. Difpiegatemi quelli ultimi vocaboli: fimulazione,
e bugia . M. Col primo intendo quel difeorfo, che vien fatto
tutto al rovefeio di quello, che in noi fentiamo, ma fenza alcun danno altrui,
o noflro proprio ; e col fecondo quello medefimo, ma accoppiato, ed
unito col pregiudizio proprio, o degli al• tri . Qujndi è, che il dir il
falfo, e la fimolazioné fia fogno propriamente d’ uom fonza cofcienza,
come colui, che proferi> foe delle parole contra quello, che in se
'fonte; comecché la bugia fia una còfa affai ; più deteftabile, e
biafìmevQle della fimolazione, aniuno ettendo permetto offènder se
medefimo, e gli altri ; anzi quella ogni volta che fi vegga effèr 1*
unico mezzo per giovar a noi, ed a gli altri, può fenza fallo
divenir lecita, e permetterli, non ottante che per legge Naturale
rechidendofi, che vadino fèmpre mai in accordo le azioni in. terne con 1*
etterne, fèmbra fèmpre per se mala, eù illecita . II perchè fi vede
altresì, che non fi debba giamai far ufo del noflro difeorfò, e
della nottra favella, fè non cattando per mezzo di elio nulla fi venghi
a notti i uffìzj, o doveri a mancare, eh’ è quello in cui confitte
il filenzio : virtù che, fi potrebbe a gran ragion ditti ni re, per
un abito di non proferir cos’ alcuna contraria a nottri doveri . E
vaglia il vero, ella non -è men comendabile di tutte P altre virtù,
potendo fervi rei di gran lunga a vietare mille, e mille inimicizie, che
potrebbono forfè dal contrario operare, provenire, e per molte
earriche nella Repubblica, che conferir non fi fògliono a chi ne fia sfornito,
e privo ; oltre una infinita d’ altri vantaggi . Ma diam
propriamente noi nome di conteftazionì alle parole, che fi prò feri feono
in fegno, ed in tettimonio della fin* cerità, e fchiettezza del nottro
animo : avvegnaché fu mettieri notarli, che non .dovendofi nulla fare, fènza la
ragion /ufficiente, dove non fi dubbiti di noi, nè fi metta in forfè quei che
noi diciamo, ma fol quando per efler creduti, abbifogna, e conviene
. Per tutto ciò quelle, che infra quefte meritano più dell’ altre la
nofira ' attenzione, e rifl^flìone fono li giuramenti ; imperocché quefti
effendo un* invocazione, che per noi vien fatta di Dio in vendetta del
falfo, che diciamo, credendolo autore d’ogni noflro bene, e vendicator del male,
che commettiamo pe'r Io rifpetto, che dobbiamo alla Maeftà divina, non fi
devono per niun verfb proferire fe non in colè di gran momento, effèndo
i cofà fòmmamente fàg rilega, ed ingiufia invocarlo in cofè leggieri, e
di affai picciol preggio. Q/iid ejijurare (dice S. Augurino nifi j us
reddere Deo, quando per Deum j i/ras ; jut filili tui: reddere, quando
per filios tuo: jura : . Quod autem ju: debentù : falliti nofira, filiis
nofiris, Deo riofìro ; nifi charitatis, feritati :, è" non
falfitati: ? eum dicit quifque per meam falutem, falutem fuam Deo obigat
: quando dicit per fillio: fuo:, oppignorar t)eo fillio: fuo :, ut
hoc vcniat in caput ipfo rum i ' /pud Groi.'m fparfjioribi rum, quod
erit de ore ipfiui ; fiverum,, Z'trum, fi falfum, falfum,* cum ergo fi /iosjuoty
Vd caput Juum, S'f/ falutem fuam quifque in Muramento nominata
quicquid nominat obligat Deo . Oltrecchò Epiteto ancora ( n ) con ii foli
lumi della Natura, vieta (dice) a tutto tuo potere, totalmente 1 è mai
può eder il giuramento, o fe ciò non puoi avvenire, tratta ufarlo
quantunque piq di rado fia poUTbile . Ipxov vtpiÙTnat, « {iti
tuorrt, ài St che Venga con
A Jd ua h nói) fummo noi
medefimi gli autori del no* Uro inganno: o non fi fian tali, che fciorre
non fi pofiono inguifà alcuna lènza il » dannose il pregiudizio dell’
altro • III. Che qualche ejlerno fegno dichiarato, o che queflo
conffla in parole, o in fatti ; avvegnacchè n n fa fuor di propofto far
qui avvertire, che per Dritto Naturale non f conofca quel divario o
quella diverftà, che le leggi Romane ammettano infra Jìipulq, e patto femplice,
e infra V obbligatimi, che fciolgonf per Inr di- » fpofzione ( ipfò jure
) fòlutione, in fòlutum, datione, acceptilatione, o con altri sì
fatti modi : e quelle, che terminane per Infoia • equità, o
eccezzione . Li mezzi più femtilici, e piti acconci a torci d* impaccio
dogni obbli • gagione, giujìa il Dritto Naturale, o che provenga da què'
patti, che la producon pfltanto da un lato detti, o di anelli, che
la producono da ambo de * lati, detti «T iirwpx, o f tratta di
quegli in cui fe ne viene a / tabi lire una nuova, fa da una Parte fola,
fa da tutte le parti, che li Dottori nominano, pacìa obbligatoria, o
d'vquelli in cui quella, che dinanzi ffl abili f toglie via, e diconf pacta liberatoria,
o nafca ella da altri patti sì fatti, clafcun promettendo con condizione,
che ^li fia dall’altra parte ofièrvata la promefifa, fe vi, fia mai
qualche motivo da dubitarne, di ragione coftringer la polfa, ed obbli
egli non fono, che quefiì ; cioè ; la fola zio ne, 10 sborfo, il
pagamento di quello, chi è do • vitto al creditore, il rilafcì amento
volontario gratuitamente fatto al debitore dal medejìmo creditore,
il mutuo con f enfi de ’ contraenti, che concorre, e fi unifce a fciorre
un obhligagio ne che fia dell 9 uno, e deir altro lato, il ri-compenfamento,
che mai fi pub far di debbilo, con debbi to, /’ inejìfienza della
condizione, con cui fi è fatta rébbi igagicne;La morte di alcuno de ’
contraenti, dove /’ obbligagione fi fu contratta colla fola mira a lui,
ed alle fue qualità per fonali, /* efiinguimento della cofa per cui
fu fatto il contratto, la novazione, eh’ è quando fi rilafcia a uno, e
gli fi rimette quel che egli dee, ed in luogo di quello fi riceve
nuova obbligagione, e fifa nuovo contratto \ • ed infine altresì la
delegazione, eh ' ' è quando 11 debitore conviene col creditore e
fi concorda di cojiituir in fua Vece chi, ebe a cofiui più* aggrada, e
piace ; egli fembra ragionevole r attener ci in quefie femplicit à, finza
affollar. ]binarla a ciò fare al dinanzi, che non fi complica da lui,
o almanco indurla a dar ficurtà, e cautela di (òdisfarla . IV. Che
li patti fatti non potendofi in apprefio da uom fciorre lènza il conièniò
dell’ altro, eflendo ogni un* in obbligo, ed in dovere allontanar
da se il danno, che gli può di altri intra venire, ed incogliere, egli
fia mefiieri, che pria ben fi confideri, e fi ponteri quel che uòm promette, o
faccia. V. Che adempiutefi da ciafcuji delle parti le promefle, s’intenda
altresì adempiuto il patto, e ceffi l* uno d* efler all’altro obbligato,
e tenuto ; anzi fe mai avvenghi 1* uno li mofiri contento, che l’
altro non adempia la fila prometta, merita d’ averfi altresi per
fòdisfatta, e la fiia obbligagione per fpirata, ed efiinta. VI. Che
nell’interpretazione de* patti le parole, e li vocaboli pigliar fi debbono
giuda, che fono comunalmente in ulò, non efièndovi ragion alcuna in
contrario ; e dove le parole fiano d’un • •
\ 1 di faverchio le
nojìr e oj/ervazioni, che pojjbno contro delnojiro intendimento feivir
anzi d’imparaccio y e di confusone per li principianti 9 thè per
/chiarirli CQme conviene . DEL DRITTO NATURALE. d’ UN SIGNIFICATO
AMBIGUO, O DUBBIO, INTERPRETARSI DEBBANO in guisa che non vengano in se niuna RIPUGNANZA
O CONTRADIZIONE AD AVERE e CONCORDINO mai tèmpre col fine, che giuda ogni
credenza, ebbero i loro autori, non potendoli già mai uom cotanto
tèiocco, o tèimonito rinvenire, c* abbia voglia contradire, e ripugnar a
se fiefiò con azioni con tra rie, ed oppofte al foo fine ; Comechè
per difiinguer cotali obbligagli, che non ne provengono, che dà quelle di
cui fin ad ora abbiam fatto parola, par che cpn ogni ragione dir fi potrebbero
quelle condizionali, e ippotetiche, e quelle a dolute. Af.
Checché fiane di ciò, vaglia il vero egli è un grolfo errore, ed un
abbaccinamento di coloro, che andando alla cieca dietro alGrozio, e
al Puffendorfio, e patti, e contratti, e dominj confondendo, cd aflfafiellando
infieme in uno, trattano a lor potere renderci perfoafi, e cèrti, che tali cotè
punto non diflferilcano, ne variano, e tutti ebbero una medefimaiorigine,
cioè, derivarono dall’efièr ellinto infra gli uomini quel fervore di
carità, e di amore, con cui fi amarono fin dapprincipio ; ed avendo
li Romani Giureconfulti il nome di contratti propriamente a quelle
convenzioni dato * che far, fi fogliono circa quelle colò,
che fono in commercio, e paflàr pofiòno ? o debbono nell’altrui
dominio ; e patti' a 1, rincontro chiamate quelle, che fi fanno in colè
di una natura totalmente differente dalle prime, e che fon fuori d’ ogni
commercio ; fi credettero cotal differenza efièr propria del Dritto
Romano, e ignota al Dritto. Naturale; penfàndo, che fè gli vomini fi
avefièro mai corri fpofto con quel • reciproco affetto, ed amore giuffa
che fon in dovere corrifponderfi, li patti farebbero fiati infra effì di
niun.ufo;imperocchè,gli uomini in quefìo fiato, avvegnaché por' tati fi
folfero, come eglino dicono, ^volontariamente a far quell’ iftefiò, che
op Icambievolmente fi obbligano fòdisfàr con quelli, da quefto però
non v’ha miga ragion di conchiudere, che fiati fi fòffèro all’ ora
invalidi, ed inutili ; fenza che giu. ffa ben fovente detto abbiamo,
eflendovi . molti uffizi >* che naturalmente fiam tenu'/ ti fodisfàre
inverfo tutti' gli uomini, e nort . verfò quefti,«o quell’ altro in
fpezialtà r rifguardato in quefto, o quello fiato, egli fi potea altresì
nello flato naturale dpve gli uomini .fi fodero amati con un Santo .,
e .. caffo amore ritrarre dalli patti, e dalle t xpromeflè quefto
vantaggiosi determinare, e ye e relìfingere quelli generi d*
uffizj generali inveriti quella, o quell* altra perlòna in particolare. Che
intendete voi per contratti? Quelli patti, che vengon peravventura
V. a» tarli per lo trasferimento de* dominj delle cole . V.
Come s’ introduttero mai quelli dominj, nel Mondo? M. Ellinto tra
gli uomini quello Ipirito, e quel fervore di carità, e di amore con cui dapprincipio
corrifpondeanfi,e lì manteneano lungi da ognidittènzione e difcordia, la
communione delle colè, che era tra ellì, divenuta un occalìon continua di
ride, e . di piati, e da dì in dì
rendendofi vieppiù Tempre moietta, e difficile, fi pensò aliatine
venire ad una divisone in modo, che ciafcuv no contentato fi fotte del
Ilio, e n’ avelie potuto dilporre a lùo arbitrio, non difcoprendo altro
miglior mezzo per provedere alla commun làìute, ed al commodo genneral di
tutti, e far, che a niuno mancato a vette il bilògnevole per fòdisfare a’
propri doveri; Imperocché per lo dominio di Egli è fuor di
dubbio, che dap • prifj di una colà altro d’ intender
non bramiamo, che un dritto, ed un potere da poterli di quella lèrvire in
guilà, che ad altri non fìapermeflò farne quel medefimo ufo, che
noi ne facciamo . D. Aduti principio giujìa che comunalmente,
da tutti Jì confeffa, o dalla maggior parte de ' dotti egli è
almanco offerito, le coffe tutte del Mondo Jt furono in una communione
negativa, cioè del tutto communi a ciaffcuno, e fuor di qualunr
quejìgnor aggio, e dominio ; imperocché effendo al ffommo, Onnipotente, Eterno
Monarca piaciuto trear gli uomini, egli non miga potea loro negar F affò
di quello, ffenza cui il dono della vita ad effìconceffa sfarebbe
fiata drittamente piu toffo di gran imbar azzo jh e di qualche
preggio, e valore, e che dopo F amore, e la carità infra efft, eh' era il
ffojìegno di una \ì fatta communione, intiepidita alquanto, e diminuita,refela
dà affai malageJ vole, e difficile, e di mille, e mille incom modi, e diffagi
abbondante y Jì foffe paffuto ad una certa tale quale imperfetta
dìgijìonc ; 9 per meglio dire nella communion pofftiva, facendo, che
qualunque delle create cof e fata Jì J offe foltanto commune a piti
perfine, e noi ? già - X?.Adunqu®-fi può con tutta
ragione da queflo conchiudere, I. Che tutte quelle cofèda cui
provvenir non ne pofTòno quegli inconvenienti, e difòrdini per riparamento
de’ quali, a voftro avvifò, s’introduflero al • Mondo i dominj,
come fon per pfempi :> • 1’acquaci! aria, ed altrd$òfe si fatte,
non . . CL' fia gìà di tutte * fecondo ch 'era al dinanzi, e
ih co tal guija il Gènere Umano con fa vatofi fcf fe, e mantenuto,Jlnc9e\
finalmente fpettta totalmente la carità tra ejìó, e non apparendoci più alcuna
J cincillà dì qftelV' amor primiero, ma piatì, riffe, odj, e nemijià continue,
fu meJUeri per provvedere al beri, commune, ed alla fai ut s lìniverfale
venir alla totale, e perfetta divisione delle cnfe, e fiabìlìrne i dominj
; imperocché con forme al colpo delle virtù giammai uomjì porta di ordinario
tutto di ttnfubbìto, ma paffo paffo,/? da grado, in grado ) cosi
parimente egli procede ne ’ vizj ', e nel male fecondo V ejperierrza lo d
infogna ; comechè quelle cofe quali erano b ajì ovoli, e fo- ‘ #
vrabondanti a tutti, e per cui rtafcer non ne poteano delle controverfe,
o con ì’ altrui danno, quefti abbia poterti .’•* e
dimoftro, che quejìa podefà, e quefio dominio, c* ha ciaf uno del fuo,
non f dfebba impiegar mai in danno d* altri, e che ciò, che non f
defdera, che f faccia a noi, non f debba neppure ad altri fare, non jfembra,
che pojìì per veri tali principi * e c oncejf debba averjt, ragione di
approvarla ; ejfendo ella del tutto come ogni un sa malefa^e noe cedole
a'debbitori ; * « il perchè poco giova il foggfugnere in contrario, che
ne* primi tempi della Repubblica . • -
Dcjur.nat.&gent.lib.i.cap.i3.f.j73.Hert.a4Ptt ^ fcntfor.V.io. 14 ^ ( 1
\ : dall’efperienza s ? im prende,
ben rovente taccia meftieri il dominio di’ una cotà da uno paflar in un’
altro. Che non potendo niuno da altri richieder mai, nè dimandare
quel.che ridonda al coftui utile, e vantaggio, niuno fia in obbligo, e in
dovere di sfornirti, o itpogliurfi del dominio di ama
co. H" 11. ^ ; ' ' ca Romana fi ne fojfi fatto
in quella del con - _ finito ufi, non potendojì per niuno unqua a
fi ferire, che i cofiumi de * Romani, 0 d' alcuna altra Nazione del Móndo,
0 viujli, 0 ingiuJH, che fi furono, fi debbano aver per norma delle
nojire azionile mirar come tale\eà imperò noi vediamo, che gli ultimi
Impera dori del tuttofa riprovarono, e tra le antiche leggi Romane, per
cui Veniva permefid ì non f erono, che di ella vi fojje rimafio neppur un orma
( 4 ) 0 vejiigio > : e dello fiejjò modo fi mai fi corifìdera il
Dritto Antitetico, egli fi rinvenir à, che dove fia fatto a tempo, fia
egli ben giuflo, ed equo, ma non già fi egli fia in perpetuo, e
continuo . Che non fi richieggo molto per comprendere, der
I’aggevolezza, e la facilità con cui voi favellate di tali colè,• ad.ogni
modo egli è colà di formilo rimarco notare, che Ebbene dove la lòcietà
degli uomini folle Hata tra pochi, la permutazioné farebbe Hata baftevole,
e fufficiente per Io trasferimento det dominio, avendoli potuto di
leggier con ella non men ragguagliar il prezzo delle colè, che fcanzar
ogni inganno . r » ^ 1 gliam dire, o il Dritto di poterla
dopo morto, adir e, non potendofi negare, e recar in quifiione, che
ciafcano non pojjà il dominio delle co fe fue dt prefente, o in futuro, tra
ferirlo in uf? altro, ofide he viene, 1. Che le fuccejfio ni per Dritto
Naturate regolandrfi mediante^ i pattile din quejti richiedendoli il
confenfo dell' una, e dell* altra parte, non riconofcain modo
alcuno un colai Dritto gli Eredi necejjar j, di sui favellano te leggi
Romane IL Che non. offa miga ne repugna difporre in parte a. tutto,
dell * eredità ? giufiq il fentimento de* Romani Qìureconfultì . III. Che
V erede, dato 'eh* egli abili a il confenfo, non pojfq in modo alcuno
ripudiare*, e rifiutar 1* eredità . E 11C Che fe il teflatore fi ha riferiate
il dritte di rivocare, ed annullare, T 1, afr no, ed ogni
frode, che vi poteatqai incorrere,* poiché r uno avendo deir altro
bifògno, molto aggevolmente rinveniva a permutar quelch’e* voleii ; non
però nej progrefTò del tempo aumentato che fu di . gran lunga 1’
Uman Genera, e crefciuto cotanto, qual, voi di prefènte lo vedete,
s avendo la fperienza fatto conofcere a’ mor’ » tali • r • .
'—- 11 ; 1 1 ' ' la fua di
fp opzione, pojja e vaglia molto ben a farlo (7 ) ; Il perde uom vede
manifepa mente, thè da quejio dritto non pano inniun modo lodati, o
approvati i tejiamenti, fendo per verità fomma ripugnanza, e contradizziòne,
che un uomo voglia in tempo che non può nulla volere, e che traferìfca il
dominio di una cofa, quando non ne fa piu padrone, e f gnor £ ; e poco gli
giova fe V abbia, o quejìi, o quelV altrp ; fenza che il pii* delle
volte in quel punto ejìremo della vita, rinvenendoli ciafcuno in un Oceano di p
afoni, e turbamenti interni \p fanno delle difpojìzioni, che dove
veniJJ'e mai permejjò peravvetotura r arretrarf, ed ejfere in buon
JennOyf ave rebbe del pentimento, ejt vorrebbefertza fai io..
•, • più affai degli
altri projjìmi, /’ eredità pajft di mano in mano dagli uni agli
altri, cioè, pria in quegli in cui V affetto del morto fi ere de che
fiato foJJ'e affai grande, e maggiore, e dopo in mancanza di quefii negli
altri, ver fio cui quello fi crede chefia fiato minore, e cosi di
grado in grado, efiempre verifimile il credere, che in tal guifia gli uomini
ri/petto a ciò fi convennero, ed accordarono dal momento, in cui
introdufi'ero i dominj, vedendofi utt tal modo di fiuccedere in ufio
apprefib le più antiche Nazioni del Mondo, quali fiotto gli Ebrei
ed altri di tal fiatta (io). Comecché rii petto afigli egU vifia un'altro
motivo, oltre ìl di già qui recato, per cuìfiano da anteporfi '
. ; . 1 ; ‘ ‘ . . nel . ' Num.i 7 . 5 . feq. Genéf.if.j.j.tf. et 4S.;
i.Deut.ij; 1 6. 1 7. 1 .Reg. 1 .jf,Xenoph.Gycrop, 8.7.Taci t.de
mor-Germ. cap.zo ' v 1 ' . s
J tutto ciò, che gli può mai efièr di meftieri per le
neceflità, e bifògne della Tua vita Ma per ritornar col dilcorlo cola J
donde ci dirpartimmo, e favellarvi di nuòvo de’ contratti, eglino
non efiendo, che meri patti, in elfi vien richièdo Hconfenló delle parti
dell* iftcfl'o modo, che li domanda in quelli, e fono invalidi, e di niun
vigo- ' re per le medelìme ragioni, come perelem pio', fe vengon mai
fatti per timore, per inganno, o fistio in altra forma contrarj al Dritto
della Natura . Quello però, che tra quelli reputali per Io continuo ulò,
‘che gli uomini ne fanno il più celebre egli è ilcontratto di vendita, e
di compra,, con cui per una determinata quantità di danajo fi
trasferire in altri il dominio di cma qualche colà ; Quindi è fi.
Chetraf* : ferendoli il dominio del noftro in un altro • . v t • con nelle fuccefftOni de*
loro padri a ogni, e qualanche altro, cioè V ordine divino \ e h legx *
ere del Signore Iddio, per cui venne Jìabihlo, ed % ordinato, che quegli
ottengano > e abbiano per mezzo di quejìi la vita, e in confequenzu altreù
li beni, fenza cui quella non potrebbe ejjèr a lor riguardo d alcun ujo »
. a/ 9 con patto, e condizione, che quelli ci paghi una certa fomma,
non li debba mai conlègnar la cofa per cui fi è fatto il contratto al
dinanzi, che quella non lì abbia . Che doveper lo dilatamento del pagamento
provenghi danno al venditore, que-?. ‘ fto aver polla il contratto per
invalido, e ' nullo, e farlo con chi più gli fia a grado . Che dove il
compratore lòdisfa, ' e paga il prezzo della cofa, giufta la convenzione
al dinanzi fatta, il venditore fia in obbligo, c in dovere
confegnargliela, perdendo con ciò il dominio, che pria vi avea ;
IV. Che le fi abbia mai convenuto di pagare dopo un certo tempo,
richieder non fi polla il prezzo, o domandare, pria che quello non
giunga V. Che venuto il tempo in cui fi convenne pagare j ilcomperatore
fia tenuto, ed obbligato farlo, altamente debba per la dilazione, il danno,
che peravventura ne proviene al vendito• re, rifarcire . VI. Che tutte le
condizioni unite, ed accoppiate a quello contratto dicompra,*e di
.vendita fia di mefiieri lòdisfarle ogni volta, che fian giufie, eque, e
* conformi al Dritto Naturale . VII. Che rilàrcir lì debba
aduom^tutto il danno, che per quello contratto gli fi reca . Vili.
Che fe la colà venduta venga calvalmente R a danneggiata
molto ^emp° prima, che fia . confegnata al comperatore, come che fi
fia il contratto di già ben fermato, fi debba il Hanno rifornire, e rifar
da colai, da cui fimanc£; e fè la di (azione^ nacque da ambe le parti,
ambe altresrfon in obbligo di rifornirlo.; anzi quindi fè n’ inferire,
che ]’ uomo efiendo tenuto di far ad altri qyell* ifiefiò, eh’ è
obbligato far a se medefimo, debba l’ ufo del lùo, purché non abbia bifognb
e necellità ad altri, che ne fia mai bifògnofo, concedere ;avvegnacchè in
quello cafo dandoli ad un altro il Co Io ufo della, Gli non
è fuor di propofito il credere, che gii uomini tutti per natura
Obbligati di vicendevolmente gli uni promuovere, ed accrelcere il ben
degli altri * ed in ogni, c qualijnque cofa badar non meno al pi oprio,
che al. pubblico »commodo, e TéiW za difparità di Volere, o diverfità di
confcnfo,o co^ volger vieppiù ad uno che ad un altro lo (guardo, amarli,
fé a quello obbligagione mai, come lor conveniva, (lu' disto avedèro
(odisfare, ed imperò, mantenuti fi fodero (èmpi e in una una (òcietà
universe, ed in quella, che dicono com» rnunion negativa delle colè (.b\
> non fi /farebbero Vidi miga bifògnofì portagli a coftituir
delle (òcietà particolari, d ’ alcune poche in fìiora, npn volendo noi
con quello vocabolo di (òcietà altro intendere, eh’ un •patto da
due, o più perlone fatto per qukl’/ che fine, o per meglio dire, per
poter con le forze dell’ uno, unite ^ e congiunte a quelle dell*
altro, procacciarli qualche commune utile, ò vantaggio ;
irpperócchò dal momento, ch’ulàrono eglino, ed ardirono di mancar a quedo,
quella primfera communion delle cole tra edì, e’quella (òcietà dilciolta,
per non poter nell’ edèr Uro più aver (ùdìftenza alcuna, fi (labili
in (ho luogo la communion pofitiva^ e non guari dopo queda altresì, per
aver la fpeliienza datala parimente a conolcere abbon- . dante di mille,
e mille incommodi, e di ‘ ' . fa V. tratt. u i i . V, tratt. 3
f. . fagi difmefia, e lateia da parte dare, s’introdufiero, come
voi ben fàpete i domici. E in apprefiò per riparare fé non in tutto in
parte almanco alle brfogne v e alle necefiìtà, in cui ciafcuno, per
quel primiero difòrdine, e per quella poca carità, che l’uno all* altro
portava, quali in profondo, e tempeftofò mare nuotar fi vidde, non
'che immerfo, conforme lì ordinarono de' commerci, e de’ contratti, così
parimente mille, e mille fòcietà diverte, e varie giuda I* umane bifògne
metter in piè fi viddero, ed apparire ; Il perchè dopo aver noi
rifguardato p uomo belli partati jioftri trattenimenti, pria telo nello
dato Naturale, e dopo di brigata con gli altri in una fòcietà
univerfaJe, veniamo or finalmente a veder i fòoi obblighi, e doveri In
quelle ultime, con confiderar al dinanzi la natura della fòcietà in
generale, ed in ap • prertò difcendendo al particolare trattar a
fpiluzzo di quelle, che tra tutte tengono * il primato, come infra
le templici la con-* jugafce, la paterna, e quella eh' è di padrone e
tervo comporta ; ed infra le meno comporte le famiglie, come ‘infra le
più cómpoftede Città fono e le Reppubbliche . V- tratt.i.n.f. ì . *?f D, Di tutte adunque le'
fodera del Mondo non lu eh’ una lìdia l’origine, perchè tutte, giuda il
voftro avvilo, non sìmifero . in piè, nè fi formarono, (è non fecondo
le diverfe neceffità, e bifogne degltuomini ; anzi in tutte altresì
fi ebbe uniitefiò fine, perchè non fi rifgtiardò ad altro, fe non
al commodo, ed utile commune de’ feci. Ma quali feno le fecietà
particolari, che farebbero fiate mai nel Mondo in ufo, fe mantenuta fi fofiè
ben falda, e fiabile la fòdetà Univerfale? Egli è fuor di dubbio,
che gli uo^ mini, ejjendo tutti in obbligo, ed in dovere d ì amorfi
a vicenda ; e /’ urto come noti nato per se medefmo, dovendo non che
approprio, anche all ’ altrui commodo badare,. quando cib tutto
efat tornente ojfervavano, non venivano a comporre che una focietà univerfale
jj fa f dica V Eineccio, il quale tutto /cagliando}! contro
il Puffendorfo, che tratti avea, e d* affai malamente inferiti tutti gli
obblighi, egli umani dover ide Ila focieta/f oggi tigne tofo ch\ era ucm
tenuto foddisfar a tutti quegli che Là coniugale, e la paterna, fe
pur efièr non Vogliate del fèntimento de’ ftoici, che, come
racconta Lattanzio, che fi credevano,^ gli uomini vitti fi foderò
dapprincipio . fpuntar fuor della terra, 4 come or veggiaino nafcere li
funghi ; onde per aver un v idea ben chiara, e netta delle focieta, diftinguer
fi debbono alla ftefià guifa, che fatto abbiamo de* patti, in quelle che
provennero dalla mancanza di fcambievole affetto, ed amor infra gli uomini, ed
in quelle, che furono in ulò per al dinanzi, come da ciò, che apprefiò ne
diremo aggevole fia il comprendere . Or che riguardavano la
giufiizia, V umanità e la benevoglienza anche fe Jtato foffe pior
di cotal focieta ; imperocché fecondo la definizione della focieta, che
qui fopra abbiam noi recato, e eh ’ egli non mette in dubbio, fi gli
uomini ciò fatto avefièro,come conveniva, fenza difeordar punto tra efii
lorojhe altro eglino venivano a comporre, fe non una focieta ? anzi da
quel che noijquì fopra dello fiato Naturale abbiamo mojiro, fi viene parimente
a conofeere la mel'enf aggine di colobo, chef credettero gli uomini in
quello fiato vivuto avef f>'° * 7 * £>. Or per
verità ne’voftri principi rinvengo, .jj li. lènza alcuna pena, la natura
della focietà in generale ; imperocché ogni focietà non efi - fendo,
eh’ un patto fatto da più fedone unite infieme perpcocacciarfi tutti cori
un concorde volere qualche ben commune, o - 4 utile, fi può
cop tutta ragion conchiùdere . I. Che la felicità della focietà in altro non
confitta, che in non rinvenire ottacolo alcuno, o intoppo in far quell* acqui S
tto,* - fero • allo 9 uifa delle fiere, e degli animali
Jelvagai ; e che • Nec commune bonum poterant (pelare, necullis •
^ Moribus inter fe feiebant, nec legibus uti.
Comecché quanto ne feriva il Puffepdorfio y ( a ) ed Obbes ( 3 ),
non fa dì minor fojle gno : perche molti malori, come la povertà, la fame,
ed altri sì fatti, di cui eglino dico no, che fopr abbondati fojjero quegli,
che vif fero in quella età primiera f veggeno altresì Jòvente nelle
focietà civili, in cuborS è divi fi 1 (0 Lucret.
I. 4 . v.jr?.,De oft‘. hom. et civis II. 1. 9. (Ó DeCiv. dt in
Leyiath. Js ‘, ito, per cui fu Inabilita . II. Che fi debba da’ fòcj
metter ogni cura, e ftudio in far tutto ciò ; che può mai efiér per la
lor fociem di qualche utile, o vantaggio con anteporre mai Tempre
il bene proprio al ben commune . III. Che non, fi polla (cior i ih
niun modo d’ alcuny di quegli,• che vi ; « tòno al di dentro^fenza il
contento degli altri, purch’ egli non vi fia fiato introdotto o per forza,
o per inganno, o per timore, o non fia élla contro ildritto, e l’equità
Naturale, ovver da'ciò a’ compagni non avvenga alcun danno . IV. Ch 9 ogni
focietà fi finifcha, ottenuto che fi ebbe il fine,per.cui fu
fatta", come .ogni patto eh 9 è fia, vien che un uomo è
obbligato inverfo !’ altro uomo; e che conforme due, o piu perfone aflocciar
fi pofiòno, ed unir tra dì. loro per comporre una focietà, così due, o pm
focietà unite per un medeCmo fine ne poflon far un’altra. Ma pollo per
vero tutto ciò, eh a ogni focietà appartiene, venendo a quella di
cui voi vi fietc propofio tenerne meco un particolar fermane, come
detemte di grazia la focietà coniugale ? per una lòcietà molto
femphee, ni. ta da un mafchjó, ed una donna a fin eli poter
procreare, e generar della prole, ea affai ben edurcarla. Vaglia il
vero per favellare fecondo li vroftri principi fazioni noftre Naturali facendo
meflitr, che convengano fempre, e concordino, con quelle che fono in
noftra balia, e arbitrio (/) e il coito degli ammali, o fia la
congiunzione tra rnafemo, e femina, efTendo fiata dalla Natura indi
tuita, ed ordinata per la propagazione, e consèrvazione della fpezie (g ),
e per ciò adoperar dovendoli dall’uomo, per quel che da lui
dipende, per quefta ifiefià ragione, quella lòcietà, dove non f»a formata
che per quello riguardo, non v’ha dubbio Tt’AttfX.n^ Traf
/ chV fia lina delle fòcietà conforme del tutto a’principi della
Natura; ma effondo ciafcun in dovere, ed in obbligo d* amar 1* altro non meno
di lui medefimo ( h ), ed imperò convenendo, che di quelli, che fi
veggono di recente u/cir ( alla luce del Mondo, e che non fanno se
medefimi educare fi abbia tutta la cura, e la diligenza pofiibile ; cui
quella fpetta di ragione ? .AUi medefimi loro genitori, poicchè effondo quelli
in vita, non v* ha ragione alcuna perchè una cotal briga addolfar fi
debba ad altri;onde la procreazione di nuova prò. • * le, non
potendo in modo alcuno, fopararfi dalla di lei educazione, in quefta
fòcietà coniugale aver fi deve nonmen 1* una che T altra ( B ) per
fine ; avvegnacchè come da quello ifiefiò, che detto abbiamo
altresì ben fi comprende, quegli foli fiano tenuti li padri educare,
clje nafcono da congiun- / zioni befl certe, e leggitime, e di cui
vivon S $ fi» (h) Tratt.i.Hsi. (B) Quindi •viene,
che fiano inabili, a formar una tal focietà tutti, coloro, che non
fono atti non meri per la propagazione de? fi gli che per la lo* educazione
. •V r, / DE* pRI*r C I*P J ' ficuri eh’ eglino
fteftj fi furono, gli autori . V. Credete voi, che per un uotno pofla ba”
fiar una donna c per una donna un uomo? M. • Efiendo il fine di un? tal
fòcietà la procreazione, quello egli non è miga da met • terfi in dubbio,
pqtendofi in cotal guilà • lènza alcuna malaggevolezza ottener
un cotal fine. Ma vi è modo da /ciotte sì fatta lòcietà ? M.
Nò ; imperocché ogni fòcietà difeiorfi • non potendo pria, che fi abbia
ottenuto il fine per cui fu inabilita', comeabbiam noidetto al dinanzi,
ed in quella efiendo me1 {lieti non folo 'procrear della prole j m* al' tresì
adoperarli di ben educarla-, e perciò fare, e ridurla in un fiato, che
non abbia neceflìtà alcuna de’ genitori, abbifognandoviilcorfò di più, e
più anni continuo, e’ convien che fi mantenga da’ lòcj lunga-• mente,
anzi fi conferva fin- alla Ior morte, > e lalcino quella erede
de’ proprj averi, Co-me Una lèquela della vita, che per mezzo di efiì
ottenne . Dunque quefia lòcietà naturalmente è in(òlubile ? •
M. Infòlubilifiìma • non efièndovi altro, che’l’adulterio commefiò da un
de’ coniugati, che render pofià giufto in qualche modo, e
ragionevole il luo fcioglknento ; cioè, le la t la
donna, o l’ uomo, venga mai a concek ' dcr ad altri, che ne fia al di fuora
Tufo del filo coi^o, e della fiia carne ; imperocché in quello calò
lòlo da un di quelli venendoli .contro' il patto fatto nella foci età ad
operare, e .ogni patto intendendofi fatto • con condizione di adempierlo,
dove F altro, con cui vien fatto non manca dal filo canto altresì far il
medefimo, quello (la la donna, lià 1* uomo, cui non fi oflerva la
fede non è in dovere neppur dalla fua par- te di olfervàrJa ( C ) ; in guilà
che fe ciò non avviene, egli s’intende la lòcietà di nuovo contratta, ed
inabilita . D. Of il di più, che mai appartiene alla natura di
quella focietà io ritrovo, lènza durar fatiga', negli flelfi volìri principi
imperocché da quegli vengo naturalmente a comprendere . I. Ogni focietà
altro in realtà non effendo, eh’ un patto,* e nelli ... S 4
pat*» Qui favelliamo foltanto fecondo li lumi della Natura ;
imperocché la nojìra J^e~ ne randa, e Santa Religione neppur in
quejìa cafo permette un vero e perfetto fcioglimento l ma foltanto
una femplite fepar azione di marito, e moglie, quo ad thorum . ]
patti richiedendofi di neceffìtà il confènlò di coloro, da cui fon
fatti, non fi pofià quella lòcietà coniugale cofiituire in modo alcuno fenza il
conlènfò di coloro, che la contragono; o che qualunque volta quello fi fu
dato Iciorre non fi debba in anprefi. fo da una delle parti, fenza il conlènio
dell’ altra; ed al rincontro dove quello manca o vien dato forfè
per inganno, o per timore, o per altra sì fatta guilà,’fia invalida,
• e di niun valore, come ogni patto fatto in . quello forma ( i ) .
IL Ch’ efiendo ogni uno, eh’ è nella focietà obbligato promuo- .
Vere il vantaggio e l’utile di quella inficine con l’ altro, ed impiegarvifi
dal canto Ilio, quanto più vaglia, debbano il marito, e la moglie operar
dheoneerto fèmpre a lor prò commune, e de’ lor proprj figli con
trattar del continuo, lènza mai celiare di augumentare, ed accrefcere
quelche può efier mai necellàrio per li bifogni,e per • gli aggi
non meno proprj, che di quegli, pur che far lo pollano lènza mancar in
nulla agli obblighi,e doveri, cui naturalmen* te e’ fon tenuti lòcjisfare
. III. Che per quella médefima ragion per cui conviene ch’ i focj
operino concordemente tutt* ora . per Tratt.i liutai .
i8r per il bene della lòcietà, 1* uno rimetter dovendoli al confèglio, ed
al parer dell’ altro, ogni volta che quefto fi conofcd più vanta ggielo,
e profittevole del luo per quella, faccia mefticri che la donna nella
lòcietà coniugale per torre, e levar di mezzo ogni materiali rifie,
e di piati lègua il coniglio dell* uomo, e l’ ubbedilca in tutto, efièndo
quefto il* più delle volte di lunghi^ fimo Ipazio vie più di lei di buoni
conigli abbondante, e d' ottimi efpedienti fecóndo, come che non fia cola
miga fuor di propofito, quando bilògna, eh’ ella altresì ammoniltha il
marito, purché far lo.làppia a luo tempa, e luogo, lènza moftra alcuna d’
autorità, o d’ impero IV. Che non potendofi aver per perfètta, e compiuta
l’educazione, lè non dopo, che i. figli aver poflòno un’ intera cura di
se me* defimi, fiano tutti li Genitori obbligati di locare, e
maritar lé figlie con una dote congrua, e proporzionata al proprio flato
. V. Ch’ ogni lòdo efièndo mai lèmpre il' padrone di quelche del
luo abbia nella lòcietà portato, e non perdendone egli quel dominio, eh’
al dinanzi n* avea, nè di quello all* altro lòdo competer potendo mai
nell* altro, làlvo che 1* ulq frutto, non pofià il marito nella, lòcietà
coniugale de’ beni t Noft. Att.] :. obbligo di far in
modo, che P azioni de* proprj figli fiano regolate, e rette giufta
al dritto della Natura, egli è meftieri da buon ora P avezzino e P
accoftumino in guifa che non manchino mai di foddisfare . a tutti
gli uffizi, obblighi, e doveri che devono inverfo.Dio, inverfò se ftefiì,
ed in vetfò gli altri, ed acquietino in.ciò col tempo P abito ; apzi per
far che non abbiano tuttora bifogno di loro, e badar pofifano eoi tempo a
tutte le bifogne, e le necef . principio imbuta paternis fèminis
concretiotie, ex matris etiam corpore, et animo recentem indolem configurat ;
Neque in hominibus id fòlum, fèd in pecudibus quoque
animndverfum, nam fi ovium laéte haedi, aut caprarum agni alerentur,
conftat fcrme«in his lanam duriorem, inillis capilium gigni tèneriorem .
In arboribus etiam, et frugibus
major plerumque vis, et poteftas eft,ad eorum indolem, vel detreèfandam,
vel augendam, aquarum, atque terfarum quae alunt, quam ipfius, quod
jacitur fèminis . Che empietà £ qi/efìa egli figgi ugne ì che modo dì
madre imperfetta ? peperifie, ac flatim ab fefè abjeciffe ? aluifie in
utero fàn gui * r » # v •# i» tut •* »
• Jw \ proprio arbitrio
efièndo fiato dato a’padri per non faper quefii da se fiefli ben reggere
i* J • ‘ ..* tutti, e come cofa che richiede molto dipendenza,
molto malagevole afarf. Egli vie n 1 riferito da Xenofonte, fecondo che
fcrive Cicerone (14), Hercole tantofo, che principiò a fare la prima barba,
tempo, che fu a cìafcuno dalla natura dato proprio per, elegger f qual
fato di vii a f debba tenere, efer gito in un certo luogo f alitar io.,
ed ivi.pff *a federe, aver molto tra te, e lungamente, dnbbitato in
qual delle due frade, che egli avea dinanzi, dove a muovere il piede, e
fe per quella del piacere, 0 della virtù j dato, eh' una tal
podefià tratto avejjì /* orichè quelli, che per quanto intefi comunalmente, fi
nominano tutori, Succedendo realmente in luogo di quelli, è meftieri,
eh’ abbiano di necefiìtà quell* ifiefiò penfiero, e quella fiefla cura delle
perfòne, le quali vengono lor commeflè > o per meglio dir de’ pupilli,
che n’aveano quegli vivendo, e ne amminiftrino gli avveri lafcia* ti loro; ed
al rincontro egli è colà d’ affai convenevole, che i pupilli inverfò i
tutori fi gì ne dal dritto delle Gentile ''me che non
fia miriore quello del Obbejio^e del Vuff'endor fio grattala quejìì dalla
focietà, e quegli dalla oc c libagione ; vagliti il vero è di gran lunga vieppiù
-ragionevole V oppinion di coloro, chevo* gliono ^ cF ella provenga totalmente
da Dio ; ^perchè quefìi volendo che i figliuoli fi conservino in vita, e
ciò non effendo co fa che poffa in alcun- m r do avvenire fenza V
educazione de * loro padri, egli fi crede, che Dio voglia, alt r eiì che li padri badino attentamente
a quefìo, ed in conjeggienza abbino tutta quella pode/tà che
naturalmente a ciò Jì richiede, non effe n dovi alcuno, che voglia un
fine, fenza thè 9. elio Jìeffo mentre non voglia parimente i mezzi,
che a giu gner vi, e\ reputa nedffarj . . 2 9r •* fi portino in
quello ifiefià guifà, eh* e* fi portavano inverfò i proprj padri ;
quindi conforme i contratti de’ figli di famiglia fènza il confènfo
paterno fon nulli, ed invalidi, così altresì quelli de’ pupilli, fènza 1’
efprefiò, e tacito voler de’ tutori ; e come per li benefizi, che i figli
dalla buona, e ottima educazion de’ padri ritraggono, devono efièr in verfò
quegli fèmpre. mai riconofcenti, e grati, così li pupilli per la
medefima ragione ogni fòrte di gratitudine devono inverfo i tutori ufare,
ed ‘ amarli, e temerli, edubbedirli, come a quegli appunto faceano;
(ebbene non competendo a’ tutori de’ beni de* lor pupilli al-, *
tro, che 1* amminiftragione, e la podefià v di confumar de’ frutti,
quanto può efièr mai necefiàrio, ed utile alla lor buona educazione,
alienar non pofibno degl’ immobili nuli’ altro, (alvo quello, che perciò
fi richiede, e che non alienato, 0. (mal? dito, farebbe fènza fallo per
quelli di un gran nocumento, e difeapito; colà che, ‘mi crederei,
nello fiato della Natura pria non fi facefiè, che refi non fè ne
fofièro fidenti, e confàpevoli gli agnati, e gli parenti ; ed in difetto
di coftoro quegli della medefima contrada, o vicinato,. o gli amici del
trapalato per dilungar da se, e tor T 4 re re ogni qualunque
cattivo „ e finiftrotò/petto, che altri mai formar nè potefiè; poiché in
realtà al Mondo non bada miga che fi operano da noi, e fi facciano delle
colè ben giufie,ed eque,* m’abbifògna altresì, che tutti 1* abbiano
per tali ; H perchè non è del tutto fuor di propofito per 1* iftefia
ragione creder parimente, che in quello ifiefiò fiato i tutori
portati fi folfero a render un ben efatto conto, e ragione della lor
amminiftragione in un tempo fiabile, e certo,* come a dire, compita, che
fi avea la tutela a quefti ifieffi, che al dinanzi cennammo ; c che
non fiando bene danneggiar veruno, ed imperò dove avveniva, che li tutori
rendeano qualche danno a’pupilli, effondo tenuti di ri fa rio, quando di ciò fi
avea qualche fofpetto, niuno lènza il contentò di quegli conveniva
prefo avelie una sì fatta amminiftragione.Tuttavolta non elfondovi alcuno
in obbligo gratuitamente, e lènza mercè alcuna d’impiegarfi per un’altro, dove
peravventura avviene, che li pupilli, per una buona, e foggia condotta
de’ tutori vengono^ farli vieppiù ricchi,ed abbienti, egli fembra, che
debbano in ogni modo, abbordando delli flutti dj quelli beni, che quegli
amminifirano, compenforli in qualJ che parte al manco, te non in tutto della
I05, àft efatta diligenza ; avvegnaché in fatti do • ve
quefti frutti*, o beni che fiano, non baftano per la buona educazione, egli è
di vero una colà molto ingiufta, ed iniqua, il j ciò pretendere .
Finalmente comunque ciò fia,da quefti medefimi voftri principi fi ritrae,
giunti, che quefti fi veggono a fàper ben diriggere, e regolar se
medefimi, Fin» compenza de’ tutori termina, e viene a fine, come
nello fletto mentre a terminar verrebbe, e finire la podeftà de’ padri,
il luogo di cui eglino, come noi abbiam tefiè detto, occuparono . Ma (è
per avventura al figlio nello flato Naturale il padre lafciato non avette
tutore alcuno, chi credete voi che ne dovea imprender la cura? Gli agnati,
e li più profiìmi, ed in mancanza di coftoro gli amici del morto, o gli
più vicini, cui fecondo che voi fàggiamente detto abbiate, da* tutori dar fi
dovea conto della lor amminiftragione, fèndo ogni uno in obbligo, ed in dovere
per quelche v* hò più fiate moftro, far per gli altri, quelch* e’
vorrebbe, che quefti fàceflèro per lui,* anzi quindi ne fiegueparimente, che
dopo il total dipartimento delle colè, coftoro altresì fiano in
obbligo ed in dovere di fomminifttar a* pupilli il Accettano per la
lor educazione, e » •> t r
•i iòfientamemp fé gli averi de’ Ior genitori, non fian perciò
rhrga' (ufficienti, e bafievoli, o di quelli affatto nulla fe ne rinveniffe. Spiegatemi
1* origine della lèrvitù, ed in Vl.che confida la lòcietà, che fi forma
di padrone, e fervo. v M. Molte moltilfime fiate abbiam di già
noi detto, che introdotte le fignorie, e li domini delle colè, gli uomini
per meglio poter (occorrere, e (ovenir alle lo r gravi neceflìtà, e bifogne,
portati fi fodero ad inftituire, e rinvenire una infinità di ben differentrcommercj
per permutar a vicenda tra di lóro non Che quelle cofe, con quelle,
una fpezie altresì/) un genere di travaglio con un’altra (pezie,o genere
molto divel la; Or tuttociò foppofto per vero, egli e verifimile, che
facendo quello, rinvenuti fi forièro pur infra di elfi di quegli, che fi convennero
in modo, gli uni agli altri fonami-. niftrato aveffero, e dato il vitto,
1* abito,' ed ogni altra colà dsl Mondo necedaria al proprio
foftentamento, ovver qualche giu» Ha mercede, e quefti per quegli
intanto impiegati fi fodero con tutta l’ induftria e la diligenza
podìbile in colè lecite totalmente, ed onefte,* e che così paffj padò -
introdotta fi foffe tra il Genere Umane) quella sì fatta -focietà,
che fi forma di padrone, e fervo ; poiché con ciò in fin noi altro
intender non vogliamo *, che un patto in tal guilà, e con quello fine, da
due, o più perfòne fatto y fervi propriamente giuda la commune
favella coloro nominandofi, o ferve, che per altri impiegano il Ior
travaglio, e padroni, e (ignori al rincontro quegli in utile, ed in vantaggio
di cui lo s’ impiega, e che fon in obbligo ed in dovere di fomminifirare
a quegli quanto allor foftentamento fi richiede; comecché oltre
quello genere de’ forvi refi tali dalla natura (leda, che foggetta mai Tempre
il peggiore al migliore, egli ve n’ abbia un’altro diverfo, eh’ è di quelli,
che divennero - tali per legge, come per 1* appunto fon tutti li
(chiavi di guerra, che fervono lènza aver fatto al dinanzi col padrone
patto alcuno. * v' . D* Li doveri dunque, ‘e gli obblighi de’
forvi, e de’ padroni, riduconfi tutti a quello* cioè, che formando eglino
una focietà, la quale non confitte in altro in fin, che in un
patto, e li patti tutti conforme al dritto della natura dovendofi
ottèrvare, debbano i forvi efoguire tutto ciò,ch’ è lor impo1 Ilo, ed ordinato
da’ padróni; e non è nè alle leggi, nè al patto fatto con etti opp; fio
o contrario; ed quelli fiano in obbligo al rincontro, e in dovere
di fomminiftrar loro tuttociò, che può lèrvire in qualche modo per le lor
perlòne, giuda la lor prometta ; in un motto il bene di un lòcio in ogni
lòcietà preferir dovendoli, ed anteporfi a quello d’un* altro, che n’ è al di
fuo. ra, devono i fervi per li padroni, e quelli per quelli far
tutt’ ora quantunque più poflòno, e vagliono con preferirli e anteporli a
qualunque altro del Mondo ; e per che non v' è patto che fcior li pofia
d’alcuno lènza il confenfò dell’altro tra cui intervenne, non può in niun modo
nè F uno lalciar 1* altro al dinanzi del tempo (labi* lito, e fidò,
nè l* altro I* uno ; Ma come • volete voi che i fervi impieghino in
tal • guifa la lor induftria peri padroni, che del tutto non
badino al proprio ? M. Senza difbbio quando fono in ozio, e
lenza occupazione alcuna di rimarco de* lor padroni, pottòno far quelehe
vogliono. non potendo ciò per quelli ettèr d’ alcun nocumento ; ma
ettendo occupati, ed in negozj gravi diltraer non lì pottòno in nulla,
fenza aver il lor conlènlò. D. Perquelche rilguarda gli Schiavi,
fon eglino al tri/ come li fervi tenuti di dar elocuzione agli ordini, ed
alti comandi de’ padroni ; purché quegli fian giufti, ed onefti, ed
abbiano eglino forzg bafievoii, e luffi1 denti -per efeguirli ; differilcono
però molto quelti da fervi in ciò, ch$ a* padroni in elfi competendo
quell’ ifteflo dominio, che anno nell’ altre colè loro, eglino
vagliano ad alienarli e venderli altresì, come quelle; comecché un cotal
dominio efiendo molto limitato e riflretto dal dritto Naturale, e non
convendo in modo alcuno appartarli da quello, non venga mi ga lor
permeilo, come di tutte l’altre colè, Rabbuiartene; quindi è che proveder li
devono di tutto quello, che al lor follencamento fi richiede, e
rattenerfi da impor foro delle cole luperiori, e al di lòpra delle lor
forze, o che ridondino in qualche modo in dilcapito della lor fallite ;
Il perche altresì dove quelli peravventura fi molìrafièro redi, e ripugnanti a’
commandamenti de’ padroni, lèbbene ufàr fi pofiono contro, loro
tutti li mezzi poffibili del Mondo pgr ritraerli all* ubbedienza, ed all*
ofièquio a quelli dovuto, non però mi credo, che metter fi debba in
obblio,ch’eglino fiano uomini come a noi, e per conlèquenza mancar all’
amore, eh’ agli altri fi deve . Ma vaglia il vero promuover dovendo
ogni uno la felicità, ed il commodo altrui non meno eh’ il
proprio ; perche lo flato d’ una fefvitù perpetua, ed illimitata porta
feco molti, moftillìmi jncommodi, poi. che è di leggieri converter fi può e
palìàr in abbuiò, non fi deve permetter molto volentieri, 0 sì
indifiintamente, che vi fi lafci>no marcir coloro, che liberi potrebbero
di lunghiflìmo fpazio giovar a le ed agli altri. D. Reputate voi
del tutto inutili li /chiavi rer una Reppublica, o per una
Nazione? Nìa;( H ) anzi ne potrebbe ella dedurre molto utile e
vantaggio, con ritraerne una infinità d’abbitati per le colonie,e farne
altri buoni ufi; ma farebbe egli meftieri, che da legislatori fi
raddolcifiè in qualche modo lalor {chiaviti!, e fi trattali renderne la
idea, alquanto più dilettevole ; con pro # veder perefcmplo alla durezza
de’ lor padroni, con afficurarli del notrimento in tempo di vecchiezza, o
infermità, con fa. vorir'li lor matrimoni, e con altri sì fatti .
modi, per non incorre in quegli inconvenienti, eh’ incorlèro rilpetto a quefto
particolare I ROMANI. Vedrebbe • altresì per alcuni la fobiavitùfervir d’un
gran mezzo per dilungarli dal male. Veniamo ora a trattar della
famiglia. M. Quella come noi dicemmo, è un corpo, o
VII. una fòcietà comporta di quefie fòcietà per l’appunto, di cui
abbiamo fin adora favellato;comecche porta fòrmarfi ella di tut1 te, e tre
quelle unite in uno, o di due fòltanto ; e nel primo calò T abbiamoci realmente
per aliai ben intera, e perfetta, nel fecondo per imperfatta. A cui
credete voi ; che appartenga di ragione il governo di una sì fatta focietà
? ÌM. Al padre, e alla madre di famiglia, che fono quegli
rteflì, che nella fòcietà coniugale portano il nome di marito, e moglie,
nella paterna di madre, e padre, e nella fòcietà,-che fi compone di fervo,
e padrone, eglino fi nominano padrone, e padrona. Riguardo al padre di famiglia
io ben mi perfùado, che convenga egli fia il capo della famiglia,
per la rtefia ragione, che Vuole il marito fia il capo della fòcietà
coniugale, il padre della paterna, r ed il padrone in quella che fi
compone di lui e fervo ; ma per quelche s’ appartiene alla madre,
io non comprendo, perche vogliate altresì, che fia fatta ella partefice
di quella fòvranità? flf, Dubbitar non potendoci, che alla
madre non competa naturalmente parte della podefià, e dell’
autorità, eh’ al padre com. pete ne’ figli, e come padrona parte di
quella, che ha il padrone ne’ fervi, e nelle ferve ; e che poflà ella
altresì quando convenga ben configliare, e ammonire il tuo marito, egli è
certo che debba altresì di ragione efler fatta partefice del comando,
eh* hà il padtedi famiglia, o per efpreflò, o per tacito confenfò di
coftui. Quali sono li doveri e gl’ obblighi di un padre di
famiglia? Ogni focietà avendo un certo fine proprio, per cui fù inftituita,
ed ordinata, e dovendofi in effa attentamente Tempre mai a quefto
badare, ed aver l’occhio, dove far fi può lènza contrariar in nulla alle
leggi naturali j in ogni famiglia tutta la diligenza, e tutto lo Audio
impiegar fi deve in far, che 1* azioni di ciafeuno ficrno in tal
fatto modo regolate, ^ rette, che il fine d’una focietà s’ ottenga fen za
edere di danno alcuno, o pregiudizio all’ altra j e
confequentemente il dovere, e l’obbligo d’ nn padre, o d’una madre di
famiglia, che camanda in nome di quello, cui sì fi deve tutta la
poteflà, confifter deve in fare, che tutte l’ azioni de’ Tuoi domeftici
colpifca_ no concordemente, e con ordine un mede mo moline; cioè
rifguardino univerfàlmente all* utile, e al commodo di tutti fenza riferva,
o eccezzion alcuna di perfòna; quindi dove abbia peravventura una fol
fiata quelche far fi debba a ciafcuno importo, e ordinato, e non
deve a patto alcuno impunemente lafciare, e fenza galligo quelche fi
opera, è fi fa in contrario; e perche ogni fòcietà fi rifguarda come una
fòla perlòna, e il commodo, e 1* utile di ciafcun de 9 focj merita
pofporfi a quello di tutta la focietà,egli fi deve nella famiglia tanto dal
padre, quanto dalla madre di famiglia anteporre fèmpre la fàlute di tutti
ir» . generale a quella d 9 alcuno in particolare ; come che
trattandoli d 9 eflranei preferir fi debbano a quelli ed anteporre tutto
tempo quegli, che non fian tali. D . Quali fono gli obblighi,
e li doveri de* domeftici ? M- Per dir tutto in un fòi motto,
eglino ingegnar fi devono di non lafciar occafione alcuna addietro fènza non
promuovere il commodo, e l 9 utile cominunedi tutti della famiglia, e di
ciafcuno in particolare. V. Or in fine palliamo alla fòcietà civile,
e VlII.procurate in ogni modo, eh 9 io n’ abbia una idea d 9 aliai
ben chiara, e netta. jW. Qjicfla nonè a eh 9 una sòcietà comporta C
V di X f - di più famiglie congiunte, ed unite tutte in
uno a poter inlìeme vie meglio promuovere, e portar avanti il lor ben
comune, e per mettelli in iftato da poter con magior aggevolezza
difenderfi, e liberarli dagli inibiti, ed aflalti de 9 proprj nemici ;
imperocché edinto, che li viride infra gli uomini quel cado, e fànto amore, e
quella carità fraterna, e lènza elèmpIo,che giuda più, e più fiate
dicemmo, l'uno all’altro dapprincipio vicendevolmente portava, prefo avendo
ogni uno di gir a lèconda delle lue proprie voglie, e delle fue isregolatezze,
con aver in odio, ed in abbonimento il compagno, l 9 amico, e fian anche
il più a lui congiunto di languc, o di patentato, e perche 1*
obbligagione di quelle fante leggi che indentro a fe portavano, e nel
proprio feno ilcolpitc,ed imprefie,non badavano in modo alcuno a
rattenerli, ne a reprimerli, e per efièr tutti uguali di natura e pari,
ne Giudicp, ne Magidrato rinvenivafi dinanzi cui metter termine fi
potelTe, o dar fine alle lor contefe, da per ogni parte, non
ufandofi altro, che forza, e furore, e fovente imperò venendo P innocenza
opprefia,eogni giudizia sbandita e lafciata jn un cantone; rare volte, o
non mai rinvenendoli una famiglia in idato da poter opporsi e far farsa alle violenze, che da* fuoi
contrai] fin nel fa 0 proprio, e nazitf albergo l’ erano a tutto poter
commefie, molte moltiflìme famiglie in cui allora veniva devi fa il
Mondo, per torfi da tanti, e sì gravi rifchi e perigli li unirono, e fi
obbligarono di difenderli ; e rilèrvandofi la libertà di poter dire il
lor fantimento nelle rilòluzioni delle cofe di magior rilievo, che
fi prendevano jn nome di tutta la communità, diedero per lor maggior pace, e
quiete, il governo della lor facietà, e P amminifi ragione a uno, o più per
fanne, d’ affai più prudenza, e coraggio degli altri. Vi è farle noto quando
cominciarono quelle focietà al Mondo? fll- Nò comeche abbiam ogni
ragion di credere che per un lungo tratto di tempo, non vi fòdero
fiati delle Monarchie, e degli Principati di gran valliti, ed eftenzione
; imperocché quanto più in dietro fi mira, e fi pon mente alla ftoria de
/ V a priCosi appunto rifurono le Reppubbliche de%li Oriti, e dì molti altri
apprejjo U, Diluvio, come j * -imprende dalla Storia del vecchio
tejlamento.] primi tempi, tanto più fi rinvengono degli fiaùmolto, piccioli, e
in gran novero, che non erano guarì gli uni dagli altri dittanti, e che
non aveano molto pena ad unirfi quando bilògnava, e facea lor mettièri di
tener conlèglio de’communi intereffi, ovvero ilcampievolmente (correrli '
contro le violenze de’ lor nemici . Egli è il vero, che comunalmente 1*
Impero degli Attiri fi abbia per la prima Monarchia del Mondo ; ma non
per quello fi può egli aderir di fermo, che quella fi fù la prima
focietà compolla di più, e più famiglie, non potendoli da lenno per alcun
dubbiare, che ella ringraridir non fi vidde, ne gingner a quello fiato
pria di non afiòrbir in le, e divorare per così dire, un infinito
numero di picciole lòcietà, o Principati, pome la Storia lo c’infegna
. Spiegatemi diftintamente, e fenza alcuu IX. interrumpimento
quelche appartiene al buon regolamento di quella focietà . yVf,
Ragionando fecondo li flefiì nollri principj, egli è certo; Che avendo quella
per fine il ben comune, e la ficurczza di tutti quegli, che la compongono,
ottèrvar vi fi debba come legge fondamentale di non far colà alcuna
contraria, od oppofla alla làlute, ed alla tranquillità pubblica; quindi
formar dovendoti giudizio dell’ azioni de* particolari Soltanto riguardo
a tutta la (òcietà, ed a quello fine ; molte moltiffime cote avvegnaché
giufte, e permeile dal Dritto Naturale, (ovente efler pofiono in efià ingiufie,
e irragionevoli . II. Ch’ogni una di quelle (òcietà Civili, (ècondo che
noi dicemmo favellando della (òcietà in generale, non confiderandofi nello
(lato Naturale, che come una perfona, E uffizi dell* una inverfò 1 T
altra fian realmente pii (ledi di quegli d’ un uom inverfò 1* altro
uomo. Che acciò non v ’ abbia in quelle (òcietà chi diflurba, o inquieta
in modo alcuno il ben pubblico, ne venga niuno impedito, o diftolto, anzi fian
tutti aggevolati a foddisfare a lor obblighi,' doveri, g uffizi ed
òttenghino elleno (ledè il lor fine, ‘ abbilògna che di tutto ciò fè ne
commetta V 3 la Per quejìo ir ogni Città, 0 Rep pubblica in
tutti modi gajtigar si devono, e punir coloro, che operano in
contrariamoti ufar tutti mezzi pofìbili in far che le lor arti non siano di
difcapito, 0 di nocumento alcuno al pubblico la cura a certe perfone, e fi
obblighino gir altri a far dal conto loro quanto a tale effetto venga mai
da coftoro ordinato, e ^abilito; ed in fatti ogni fiato, Regno, o
Reppubblica par che fiiftìfta per un cotal patto, fia efprefib, o tacito
infra coloro, che la reggono, come capri, e n’anno il comando,
fiano Principi, Magifirati, o altri, ed infra quegli, che ubbedifcono, e
vi fono in luogo de* luciditi, o di tanti membri, IV. che tutti li patti
conforme al dritto Maturale dovendofi offervare, quefti altresì, che efprefiì,
o taciti fi fanno, infra fòdditi, e Regnanti dar fi debbano ad effetto .
V. Ch’ a tutti i Regnanti appartenendo la cura di tutto ciò, che mai riguarda
la pubblica tranquillità, e fàlvezza e’non, meno aver debbano una piena
contezza de* mezzi necefiàrj per poter a ciò pervenire, che un
voler fermo, ed affai ben coftante di non comandare ne far altro, che
quello, che può unqua per quefto valere ; e perch’ egli è impoffibile che
a quefto giungano lènza una efàtta ofiervanza delle leggi Maturali, fono
in obbligo ed in dovere altresì d’ inviggilare su quefto, e far che niuno de’
lor fudditi manchi sù quefto* parti- . colare ; onde nello fteflo mentre
veniamo a conofcere che tutta la noftra felicità in quello Mondo
ottener non potendoli in altro diverto modo diverto da quello (/) fi
debba da Regnanti a tutto potete in tutte colè aver la mira a non altro, che
alla fé licita di tatti coloro che reggono, e governano . VI. Efièndo
quelli tenuti, come dicemmo di fare che niuno Ila impedito di
fòddisfàr a’iùoi doveri, e tocco ire re, ed abitar ciatouno a farlo ben più
volentieri, con cofiringere e gaftigare, chi che ricula \ di farlo,
egli abbisogna che faccino quanto polla non meno torvi r di mezzo a ciaficuno
per compir qvelch 1 egli deve, m’ altresì facilitarne l 5 efecuzione, e
l’effetto. Poiché il fine d’ogni tocietà non è che di promuovere il ben
commune, e difenderli dagli infiliti de’lùoi nemici fia uopo fare, eh* il
numero de’ludrìiti in una Città, o Reppubblica, non fia minor di
quello, che perciò fi richiede, affinché non Vi manca il bitognevole, ed
il neceffario per la vita, o altra cola avvenga contraria in qualche modo
alla tranquillità pubblica . Vili. Ogni Città, o Reppubblica in fin non
effendo ch’una tocietà, ed a nino lòdo convenendo partirli di quella
tocietà, in cui peravventura fi rinviene con danno altrui, oon fi
deve unqua (offrire, eh’ al V 4 ' cimo Tratt. x. riuvn.xi i. ] cuno
Ce nè parta, e vada ad abbitare in altro luogo con un gran di lei difcapito ;
e conforme un fòcio, che danneggia un’altro fòcio è in obbligo, ed in
dovere rifàrcirglielo, così altresì riconofcer fi deve quefti per ben
obbligato di rifar quello, che mediante la fùa lontananza ha la Città, o
Reppubblica ricevuto, IX. Gli avveri, e le ricchezze efiendo di un fòmmo
medi eri per lo foftentamento, per Io decoro, e per la giocondità
della vita dell’ uomo, devono coìprche Regnano proccurar in ogni mo *
do, che i lor fudditi ne fian tfen forniti ; X- La fpcrienza dandoci
tutto dìaconoicere, e vedere, quanti vizj, e malori ne provengono dall*
ozio, ed imperò abbifognando, che ogni uom fatichi e travaghi per ricchi
filmo eh’ e* Cia; in ogni fòcietà Civile è meftieri dar in vegghia per far
che non manchi giammai il travaglio a coloro che lo chiedono * e
che ^abilito fi abbia perciò un commodo, e giudo prezzo, non (ì
fofferifea, eh’ alcuno fi confuma, e totalmente fi perda nell’ozio . XI. nonrinvenofi
al Mondo alcuno, che che non fia in ohbligo, ed in dovere fòddisfar a
molti obblighi, doveri, o uffizj in verfo la Maefià Divina, inverfo Ce
medefimo* ed inveì* • lò gli altri, in ogni, e qualunque Città, o
Reppubblica metter fi deve ogni Audio » ® ogni cura per riempier l’animi
di tutti di quelche e’ devono foddisfàre ; e perche non tutti di
tali, e d’ altre sì fatte cognizioni fon abbili renderne gli altri ammaeftrati,
quegli eh’ anno un ingegno vie più degli altri elevato, ed eminente, e
che a farlo fi conofcono eflèr naturalmente più acconci, in tutti
modi poflìbili ajutar fi devono, e foccorrere, affinché da fe far pollano ben
volentieri tutti progredii, e avanzamenti del Mondo nell’ arti, e nelle
fcìenze, e proccurar eh’ i padri con ogni agevolezza educhino i lor
proprj figliuoli, e s’ingegnino di far lor ottener quella perfezzione,
che ad uom abbi fogna, acciò loItener poflono col tempo e rappretentare
con fomma lor loda e riputazione nel mondo, e nella propria padria, quel
persònaggio, eh’ il sopremo architetto delle cole hà riabilito,
ch’e’rapprefèntino. Non efiendo miga colà convenevole che un uomo
danneggi un’ altro uomo, e quel danno eh’ egli peravventura gli da,
effondo • tenuto di rifàrcirlo; in quelle ifiefiè focieti civili fi deve
proccurar altresì, che niuno. venga offofo, o danneggiato in colà alcuna,
e eh’ in ogni forte di contratti fi olforvi a minuto, ed elettamente ogni giustizia,
ed equità ed lì rifacci ad altri quel danno, che gli fi reca. Dovendoli
da tutti noi vietare ogni e qualunche periglio della vita, e
conlèrvar la noftra fàlute, e E integrità delle membra con
adoperarci mai Tempre di non cadere in morbo alcuno, e dove
peravventura vi fi cada riftabiHrci ( m ), egli è di dovere, e di obbligo in
una Reppubblica, o Città, metter ogni diligenza in far che niuno fi
elponga a pericolo alcuno, o venga a far perdita della fua làlute, o
delintegrità dellefue membra, con vitare, e sfuggire tutto ciò che mai ne può
efiere la cagione, come per elèmplo farebbe l’ebbriezza, eci altri
vizj di tal fatta ; e che abbia in pronto tutti li mezzi proporzionati alla
fuga de’ morbi, ed alla cura di quegli, che ilgra.;ziatamente v’incorrono,
ne (òfifrir mai che uno dea la morte a fè medefimo, o ad altri
XIII. Non dovendoli nelle fpefe necelfarie a farfi, permettere cofa per ni
mimiche fi fòlle contraria ed oppofta a’ luoi doveri, e 1’ acquifiato
dovendoli tutto tempo conlér vare per le neceflità e le bilògne, che
pofion mai avenirci, egli è uopo che nelle focietà Civili fi provegga
anche con diligenza sù quello, con non permea . ' ter
** a Trcti . i l.vu n» J*
i . 3 1 r ter neppur la foverehia fòntuofità dell’ abitazioni ; come
che dall’altra parte la mediocrità ufàta nella di loro venufià e bellezza Ila
oltre modo commendabile, potendoci recar molto di piacere, e di diletto ;
e con ciò fèrvir non meno per un gran aumento della nofira fàlute, e per
accrefcere di gran lunga la nofira autorità fpezialmente appreflò il vuolgo,
che altro il più delle volte non ha per guida, che li proprj fènfi,
che rendere pompofa e magnifica e fuperba la Città, e dare una gran
oppimene de’ Tuoi agli ftrani . XIV. ogni uno e£ fèndo in obbligo
prezzare, ed onorare chiunque e* fra di preggio,e di lode degno, e
non potendoli ciò da altri fare, che da quegli, che può fender giudizio,
e ragion ne delle azzioni altrui, ‘.affinché tutti fiano tali in ogni
Città, o Reppublica bifògna badar di rinvenire, o iitabilire certi titoli,
certi legni d’ onore, e certe prerogative, per darle a quegli, che fè ne rendono
meritevoli, XV. Per mantener ben fèmpre fiabile e in piè la pubblica
quiete, e tranquillità, ed evitare a tutto potere gp incommodi, e
li difàgi che mai deriva- > no dalle private Vendette, far fi
deve, che gli offèfi fi r imanchino pur contenti delle pubbliche, e che
colui, eh’ egli è punito c gadigato non abbia ardire, ne o(ì privatamente
di nuovo vendicai^. In dove in una.Reppubblica, o Città, è lì vede,
che non bada 1* obbligagion naturale a; rattener ciafcuno tra li fuoi
obblighi, o doveri, a quelle leggi naturali, la cui inoflervanza
può in qualche modo, e vale a difturbar la pubblica quiete, abbilògna,
che vi (I accoppia una nuova obbligagione, cioè che fi propongano a
quelli, .che le trasgredirono delie pene, ed a quelli, che l’oflervano degli
premi, eh* è quello che condituilce l* obbligagione, che noi perdidinguerla
dalla naturale diciam per l’appunto Civile, e nominar altresì fi potrebbe
umana ; e per la della ragione le le leggi naturali- lòn troppo generali,
ovvero fòverchi© indeterminate, e di doppio /ènlò per torre ogni letiggio,
e ogni piato di mezzo, che quindi ne potrebbe mai rifbrger è d* uopo-ch*
in quede medefime società fi determinano, e fi redringano in tutti modi,
con decidere che che fi debba tener in ofièrvanza • e non potendoli
realmente da Regnanti ogni colà antivedere, dove quelche una fiata
credettero per li lor lùdditi utile, e giovevole ftabilire, la Iperienza lor da
a cònofiere efler inutile, e poco per quelli profittevole, lafciar non lo
devono in modo alcuno di corrigerlo, ed emendarlo. Non mai uom potendo la
lue azioni conformar alle leggi di cui egli non ha contezza alcuna,
quanto fi ordina, e fi ftabilifce in una Reppublica da que’ che
governano in tutti que’ cali da noi tede cennati non può aver forza, ne
vigor alcuno pria, che non ha promulgato . E (Tèndo giuda quelli
noftri principi proprio de’ Regnanti il far leggi, l’obbligar i fudditi,
e far ed ordinare tutto ciò che può mai (èrvire per la pubblica làlvez-
* za, e tranquillità, ed in qnefto appunto confluendo ciò, che
nominiam noi podellà 0 fuprema, aderir poflìam con ogni ragione che
quella fia propria di effi loro, ne unqua polla ad altri appartenere,
comecché non potendo eglino in niun modo obbligar i fiidditi ad
azioni contrarie al dritto naturale ed a que’ patti, che fecondo noi dicemmo,
fifoppone, eh’ intervennero tra Regnanti, e ludditi, fia ella in Un certo modo
molto limitata, e riftretta. Ogni e qua > (L ) 'Quindi si
comprende in guai casi sia mejìieri, eh* in una Reppublica sijaccino
delle t nuove faggi, e delli nuovi regolamenti c. qualunque Regnante,
avendo una cotal podeftà d’obbligar i (uddjti,egli hà altresì
quella di ftabilir delle pene contro a’ pre« variatori, ed a trafgrefiòri
delle leggi 9 delle pene, dico, intendendo anche delle capitali, dove 1’
altre non badino, e fjan infufficienti alla quiete, e tranquillità pubblica,
cui eglino (òn tenuti tutt’ ora di badare, e per cui anno ottenuta una
tal podeftà. Eftendo le fpefè a’ Regnanti (òmmamente neceflarie per la
pubblica quiete, ed imperò dovendofi elle da* (udditi fomminidrare egli
ha anche facoltà d* impor a codoro degli tributi, e delle collette, o
gabelle, ed altre (òrti di contribuì zioni ; Ma metter non potendod
in efecuzione quelche bilògna per lo ben pubblico, lènza che non da abbia
della potenza* cioè una certa poflìbilità, o agilità, per così dire
a poter tutto ciò fare, quefta è parimente perciò da rifguardirfi lènza
fallo come propria di coloro che governano, C confcguentemente
appartiene a’ Regnanti al- • Ecco qui la ragione per cui a * Regnanti
compete il giu: di morte, e di vita ih de lor fu àditi, 3 tf
ti altresì il dritto di poter codringere* ed obbligar gli proprj ValTàlli
a fòmminiftrare, e dar tutto ciò, che fi richiede per quelche fi deve
fare,* il dritto di codituire, e rimuovere i Magifirati . necefiarj per
efèguire le leggi Civili, e giudicare e indurre ogni uno a lafciar all* altro
quelche gli fi deve, non potendo tali cofe giugnere a far da fè
medefimi ; il dritto di conferire, « i pubblici pefi, e le carriche, e le
dignità Civili ; il dritto di far leva, feelta, o rollo de* fòldati, che
alla quiete tanto interna, quanto edema della Città fon necefiàrj,• e mille
altri dritti di tal fatta, lènza cui li lor ordini non fi poflono dare ad
effetto ; e perche quella podefià, e quella potenza che di
necellìtà fi richiede, giuda che fi è modro, ne* Regnanti e quella in cui
confine per f appunto la lor Maefià,* in qualunque Città, o Reppubblica gadigar
fi deve feveramente chiunque ardilce in modo alcuno d* offenderla, ed
aggravarla ; come che potendo ella eflèr varia e diverfàmente
oltraggiata, varj, e diverfi altresì intorno ciò fian le pene, e i
gadighi, che fi ftabiJilcano . In ultimo per dir tutto in un motto l* utfizio,
l’ obbligo, e,il dove de* Regnanti elfendo, come più volte abbiam detto,
e ridetto promuover in tutto la pubblica quiete, e tranquillità, e difender
i lor fudditi dall' ingiurie de’ nemici lì sìdomeftici, che pubblici,
eglino devono tutta la lor attenzione impiegare in badar
minutamente a tutto quello, che a quefto può mai pi (guardare, con
corriggere, e rattener ne’ lor principi fin le picciole novità, non
lòflrir le inimicizie private, e le gare, che infòrger poflòno
ifpezialmente tra Grandi, e qualunche difprezzo, che venga fatto mai
della lor perfòna ; impedir ogni ingrandimento flraordiuario de* particolari
; rinovar di tratto in tratto ordini, e leggi ; e ridurre tutte le colè
alla finceri tà, e ilchittezza de’ lor principi : venendoci col corlò del tempo
a formar ne’ corpi Civili, alla fteflà guilà, che ne’ naturali,
tèmpre mai qualche aggregato d’umori cattivi, ch’hà bilògno di purga • e
perche non dico egli ha malagevole, ma quafiche imponibile, che
fappiano da le foli, o faccino tutto, egli è di gran lunga giovevole che
fi fervano fòvente dell’ altrui faviezza, e prudenza, o coniglio, per non
far cofa per menoma eh’ e’, ha contraria, ed oppofta al ben
pubblico, efTendo molto irragionevole, e come contro ogni ragione del tutto mal
fondato, ciocche ne Icrivono l’Obbegio, e il Macchiavello, che non dubbitarono
fin le cofòienze de* fòdditi, e la Religione fteflà fottoipettere a’ Regnanti.
Del refio ri/petto a i lor (ùdditi quefti elsendo cornei padri fono
rifguardo a i figli, con tutta agevolezza tutti gli obblighi, gli
uffizi,e i doveri de’Genitori inverfo i lor fijgli,e quegli di un padre di
famiglia in verlò i Tuoi domefiici, generalmente parlando, applicar fi
pofiòno alla lor perfora, come que’ de figli inverfo i lor padri, e de
domefìici inverfo de’ padri de famiglia, a lor . * fudditi .
jp. Per verità y’hò intefo fin ad ora con pia X. cere, fenza ardir
d’ interrompervi ; ma pria, che palliate ad altro, dinegatemi alcune co
fe più paratamente, e incominciando, ditemi quante forte di Reppubbliche, e di
governi divertì vi abbiano? Perche fecondo noi abbiam detto 1* amminiftragione
delle cofe può elfer data o ad una perfona fòla, o a più, o od una intera
moltitudine, fi rinvengono tre fòrti di Reppubbliche regolari, l’una di
cui si nomina Monarchia, Regno, o Principiato; la seconda Aristocrazia; e
la terza Democrazia; le quali di leggieri cambiar fi pofiòno, e tramutare
in altre e tre vizìofè, r ed irregolari ; imperocché il governo di
una Reppubblica o fi rinvenga in man di X uno, odi piu, o di tutti,
ciò non faccndofi, fecondoche noi dicemmo, fè non col confenfò medefimo
de 1 Concittadini, e per la podefià / che da quegli s*òti tende ; èd-
imperò ingiuftamente coloro tutti comandando, cui gli altri miga non fi
fòmmifèro, o egli fia quefto un f uom folo, che regni in cotal forma, e
il fuo governo ncm è più Monarchia, ma Tirannico,o tòno
foltanto pochi nobili, e non tutti,' e verranno eglino a coftituire
non già una Arifiocrazia, ma un Oligarchia ; ovvero in vece di tutto il Popolo
regna, e governa la plebaglia, e la feccia del Popolaccio, che quanto fà
e’ rifòlve a capriccio e quefta noi diciam propriamentè Olhocrazia. Egli vi
mette qualche divario nella perfona di un Monarca, confiderato rifletto a
’ un altro monarcati Titolo di Re, Imperadore, o Principe ? No. Qualunche
di quefii titoli egli abbia è tèmpre il medefimo; non offendo egli
rifguardo ad un altro Monarca, che uguale, e nello fiato Naturale, lènza
fuperiore alcuno ; comecché ogni prudenza voglia, che » * nè coftringere,
nè obbligar potendofi l’altre Reppnbbliche, e gli altri Principi a
onorario con quel titolo, eh 9 egli brama, pria, che Io s’ imputa
convenghi con effi loro sù quello . D. Volete, che fia
necefiario regalmente per un Monarca udir ilconfeglio altrui?
M. CertifllmÒx; imperocché febben polla egli operar tutto a Ìlio
arbitrio, non potendo colà alcuna far contraria, od oppo. fta al fine
della focietà, eh’ hà in governo; tutto al roverlcio del Tiranno, che
non riguarda, che 1* utile, e la làlvezza propria non può egli da fé
conofcer tutto-Non efiendo in ifiato di operar tutto in un ifiefi
lo modo, e penfar da voi ( dicea molto faggiamente, e con prudenza a’
fiioì Miniftri per quel che s’inarra un Soldano) non tralafcate giamai
dar orecchie, nè ributtate per qualche gelofia, o (lima,che poffiate mai aver
di voi medefimi quelch’ altri penfano, con averlo per goffagini, e
fpropofiti, non per altro, che per non efier fiato dinanzi da voi
antiveduto,, poiché lòvente fiate avviene, che fi ritolga del profitto, e fi
rabbia del utile dall’ operazioni le più chimeriche, ed iftravaganti
del Mondo ; e per verità è aliai più lodevol colà, e di maggior momento
fàper di‘ ftinguere il buono, ed elèguirlo, che prima penlàrloda (è medefimo ;
lòvente volte egli avviene, che ad un Monarca convemga far paragone delle
diverte aderenze, e circoftanze de* tempi; o conolcer la for> za degli
abufi, e difàminar attentamente le leggi antiche,* ffabi lire, e far
degli regolamenti, e degli ftatuti per li Collegi, e per Partefeci ed
altre sì fatte cote,le quali egli è predo che imponìbile, che far 11
pollano da un telo .Nell’Ariftocrazia e nella Democrazia per prender gli
efpedienti neceflàrj alla pace, ed alla tranquillità pubblica, qual colà
credete, che far fi debba ? eltendo nella prima il governo in
man de’nobili,e nella teconda in poter del Popolo, egli determinar non fi
può nell’ una,cofa alcuna, lènza il contente de* nobili, e nelP
altra, lènza quello di tutti ; e come nell* Ariftocrazia v’ abbitegna un
luogo, dove i nobili fòvente fi convengano, e prendano gli
efpedienti necefiarj per quella, non che un certo tepo (labile, e fiftò
in cui fi raguni il Senato ; (alvo che nelle colè improvilè, e
gravi, nelle quali èmeftieri, che fi raduni fuor d’ordine ; così nella Democrazia
di necedìtà egli vi fi richiede un luogo per li comizi, ea un tempo
certo, e fidò da poterli convocare ; con aver per fermo, e ftabile Ila in
quella, fia in quella, quelche venga dalla maggior parte determinato ; ma
vaglia il vero,quefte e tre fòrti di Reppubbliche irregolari, perche di
leggieri, come da noi fi difie, pofiòn cambiar natura, e divenir difettofe, e
mofìruofè, molto ben di rado fi veggono, avendo la maggior parte unite o tutte,
e tre quelle fórme in uno, o almanco due in guifa, che Puna vaglia
per rattener l’altra in uffizio, ed imperò fi dicono vuolgarmente mille ;
(ebbene vi fiano per al prelènte alcune altre (òcietà compone o di molti
Regni dipendenti da un capo, o di molte Città confederate, che componendo
un certo fiftema, dir fi poffòno con gran ragione, fòcietà fiflematiclie ;
avvegnacche di queffi Regni, che fian retti daunlòlo, altri
lèguendo, ciò non o (tante pur ad oflervar le leggi fondamentali, come
egli è or 1’ Ungaria, e la Boemia, e non avendo altro di conamune, che la
fòla perlòna del Principe, aver . non fi debbano al novero di tali
fòcietà ; altri effondo in tal modo uniti, che quelli, che fi furono
(òggiocati, non guardandoli che come Provincie, l’uno neppur coll’ altro
viene acoftituire (Ulema alcuno, come fi fu un tempo ia Macedonia, la
Siria, c X, 3 l’Egitto lòtto Y IMPERO ROMANO, ed altri
finalmente fon in tal guifacon le fòrze uniti ed accoppiati per difènderli, che
non vengono, che fòltanto una fòl fòcietà a cortituire ; e quelli di vero
formano un firtema, e quello di cui or trattiamo . Ma la piu parte
de’Regni fi cambiano col tempo, giufia dalla Storia s’ imprende, di forma, e di
figura j quindi quella dell’ Impero di Germania, hà sì fattamente travaT gliato
i Scrittori tutti, del dritto pubblico, che quanti eglino più fono,
cotanto è • diverfo il numero dell’ oppinioni, e delle ^
(èntenze, che intorno quefìo particolare abbiamo ( n); imperocché alcuni
rifguar; dando foltanto alti titoli, all* onore, e al • l’infegne di
Monarca, che dar fi fogliono • all’ Imperadore, fi credono quello
Impero • del tutto Monarchico ( po crefciuta appoco, appoco
l’autorità degli Stati, e fpezialmente dal Regno d’ OTTONE (si veda) in poi, e
dalla morte di Frederico II. quella oltremodo aggrandita, mirata
non fi fofie giammai in appreffò la podeftà imperiale in quel fplendore e
in quel 4 gola- . ( q )
Jlufwlin. ad A. B. diJJ’ert. i.$. 1i.pag.y6. Buecìer. notit. Imptr. lib. zz. c.
3. p. zSS. ( r ) Limnxus ad J.C. lib. j. c. io. Arnifav. lib. x,
f* 6 .Conriag. decapitai» C». Brumem. in estam. jur. pubi.
e\ i.f.f. 3 a* di cui fi tratta alle leggi, e giudicarne »
> lènza che pria ben non fi difitminano, egli r . è
meftieri che deano udienza a tutti indi' fintamente, e li Tentano ben
volentieri e con ogni placidezza III. ogni uomo e (fendo in obbligo di
amar l’altro,febbene odiar e’ debbono, ed aver a male il cattivo procedere
de’ delinguenti e malefattori, devono amar (èmpre però quelli ed averli cari ;
IV. per non aggravare li poveri, e miseri litiganti di (peé, e di tedio,
ingegnar fi devono con ogni Audio di (pedir predamele tutti i Giudizj,
tanto civili, quanto criminali^ V. finalmente abbifogna che pr occura no di
confervar in tutto la autorità propria, e de’Regnanti che rapprdèntano
con rederfi agli occhi di tutti perirreprenfibili, e lènza macchia.
Per tutto ciò efièndo egli colà certa, ed indubitata, che qualunche
occupazione, o aff’ar di fiato e* fia guidar fi polfa, e condurre afiài
bene, giuda un fifiema particolare, e proprio, farebbe fenza dubbio di un
efìremo giovamento per tutto il Minifìero, fi fòrmaflè un fiftema
generale di tutte le parti del governo sù mallìme fondamentali fofienute
da una ben lunga elperienza, e da profonde meditazioni di tali colè ;
divifoe (iiddivilò in modo, che ciafcun minifiro vaglia da (è solo a
formartene uno, che fervir gli potere per una gran guida alla Tua incottipenza,
e per condurlo ficuramente, giuda certi principi al luo oggetto
principale, come che molte parti della legislazione fian cotante
dubbie, che niun può in modo alcuno viverne ficuro, non ottante gli
gran lumi, eh’ egli n’abbia dalle teienze, come quelle, che
dipendono aflài poco dall’umana prudenza . D. Qual cola volete voi,
che fi fàccia da’ Regnanti per far che quelli non fi abufino delia
lor autorità ? M. Eglino devono ingegnarli di non eligger per
quello le non perlòne ben degne, e, meritevoli ; avvegnaché alcuni Politici
sì per confervar in tutto 1’ uguaglianza, e sì per temperar in
parte, ed impedire lo ttrabocchevole impeto, e l’ impazienza, che, quali
necettà riamente accompagna i gran talenti, credono necettàrio melcolar
con quelli alle volte lì meno abili ; e far che li Magiftrati non
fiano fòverchio lucro!! Ipeziaimente ne’ Sgoverni, che fi partecipa dell’
Oligarchia ; poiché in tal fatto modo i poveri per una tterile ambizione
punto non curerando d’ abbandonare li lor privati interefli, e li ricchi
averanno del pia• cere dominare giufta la lor paffione, e lì s. terranno
occupate più, e più perfòne a di* *erfione dell 5 ozio ; a ogni modo
nelle materie gravi, e di/gran momento, giulta ' T oppinion d* Arinotele,
non (la bene, che quegli che confìgliano, altresì deliberano, potendo
avvenir, che quelli di leggieri regolino li lor conlègli con fini, ed
affetti privati ; Quindi in Atene il colleglegio de 5 privati avea soltanto la
consultiva, e al Senato, e al Popolo si lasciava la deliberativa ;
D. Ma in che crede finalmente voi che con XII. fidano i veri
vantaggi d’una Reppubblica, o di un Stato? Nel commercio . Ch 5 intendete
per quello ; Ai. Una facoltà di permutare il fùperfluo per il
necefiario che non abbiamo, e trafportarlo da un luogo in un altro .
X>. Come confiderate voi quello commercio. M. In interiore,
ed elìeriore, o maritimo. D. Quale di quelli abbiate per lo più
nèceffario ? M. V interiore, come quello che cofiituifce il
ben attuale di un R egno, - o di un stato. In che egli confilìe ?
M, Nell’agricoltura, nell 5 indulìria de’proprj terreni, e nella diverfa
utilità de travagli A Come dunque credete, che mantener fi poflà in fiore
un cotal commercio ? M. Con la protezzione, con la libertà, e con
la buona fède. Quali persone meritano la protezzione? Egli abbifogna
pria che si proteggano gl’agricoltori e li lavoratori della terra;
in apprefiò gli Artidi, e dopo gli altri,* con raddolcire il travaglio d*
ogni uno, e far . che P induftria de* Cittadini tutt' ora s’aumenti, cd
aggrefea, non lafciando a, patto alcuno impunità la pigrizia, e l’ozio,
- eh’ è la (ùrgente di tutti vizj,* imperocché l’ immaginazione
umana avendo continuo bifogno di notritura, ogni volta che le
mancano degli oggetti ben veri, e (labili, ella formandofene di quelli,
che non fono, che larve, e chimere, deriggerfi lafoia totalmente dal
piacere, e dall’ utile momentaneo ; quindi la Monarchia la più foggia, e
meglio regolata del Mondo rincontra* rebbè tutta la pena pofiìbile in
fòftenerfi, (è parte di quelli, eh* abbitano nella Capitale, altro
non dico, marcifiero unqua nell ? ozio ; fenza che qual cofa è mai
altro in effetto il cercar da vivere lènza travaglio, e fatiga, che un
furto, o latroneccio, ‘che dir vogliamo fatto per lo continuo alla Nazione ? e
confequenteraente un delitto che merita la sua pena. D.
Mà’impiegate, ch’abbia un Regnante gli uomini neceflarj alla cultura,
alla guerra, e all 5 arti, come voi dite, del redo che volete, eh’ e’ ne
faccia ? M. Egli fi deve occupare in opere di ludo, anzi, che
lalciarlo in una vita tiepida, e neghi ttòlà. Non farebbe colà
megliore, e più commendabile mandar tutti quelli a popular nuovi Paefi,
ed a ftabilir un nuovo Dominio fùbordinato totalmente, e fòttopodo a
quello, che lor fornì di un sì fatto afilo, efsedo a mio avvilo quello il
più bel modo del Mondo da far conquide lènza perdita di dati, e de*
Cittadini, e lènza efporfi a molti perigli militari, e alla gelofìa de’
vicini e alli folletti di una lòverchia edenzion di dominio, o di qualche
oltraggio, od onda, che potrebbero mai eflì ritorne? Mai nò;
poiché lèmpre mai fi è elperimentato per più vantaggiolò, e di maggior
'profitto per un dato redringere per quanto vieppiù fia polfibile li
Cittadini al 1 luogo della lor propria dominazione in cui realmente
rinvenir fi devono le forze di una Nazione, che inviarli fuora, ed
in lontani paefi ; ne di un cotal elpediente a* Regnanti cpnvien
l’ulò, (alvo chejn ultima necefiìtà e bifogno, e quando di Vero il lor
Popolo veggono eftremamente ag-grandito ; imperocché una Nazione, che
lì difpopola per gir ben lungi a Itabilirli delle nuove abitazioni per
ricca che ella ha, e poflènte divien ben tolto debole, e Ipofc
fata, da per tutto, ed in illato di perdere una con quelle 1* antiche,
come dalla Storia s’imprende. D. Ma qual colà voi intendete
per ludo ? M. Tutto quello che può mai lèrvirci per un maggior
commodo della vita, c che non confitte, che in drappi lini, tele, ed altre
colè di tal fatta ; imperocché non è in mio intendimento perfùavervi per
lodevo-, le e commendabile l’ufo de’diamanti, delle pietre preziolè, ed
altre colè tali, che non Valendo che per aggravar una tetta, e per
tener imbarazzate, ed impedite le dita, non già per ifparambiarci di
travaglio alcuno, o per liipplire ad altra cofa necefc faria al
noftrofoftentamento,fi doverebbero con ogni ragione in ogni ben’regolata
Reppubblica vietare, e vero però è ch s alcuni confondendo quello diverfo
genere di lufc io con il primo, anno lenza diftinzione alcuna l’uno e l’altro
riprovato, ma fenza molto gran lènno ; imperocché non baciando per
dilungar gli uomini da vizj nè la purità delle malfìme della noltra veneranda
Religione nè. il dovere, e Tobbliga. gione propria lènza le leggi ;e tutti
lènza riferva d 1 alcuno veggendofi portati dalle \ paflloni, e
dagli affetti, il faggio legisla-, tore non può, nè conviene,' eh altro
fàccia, che maneggiar cotafi paflìoni, ed affètti, che fon la caula
della cattiva condotta de’ fìioi, in modo, che ridondano a utile j
e vantaggio della fòcietà, che compongono; così per ragion
d’efèmplo vedendo egli, > che Tambizione renda l’uom militare
d’af ' fai valorofo, e prode ; la cupidigia in * duca il negoziante
al travaglio, e tutti Cite tadini generalmente vi fi portino per lo
luffe e per la fperanza di un maggior/.com- modo, che altro vài egli a
fare, che metter ogni ffudio, e ogni cura in trovar modo, come quelli affetti
giovar mai potrebbero alla focietà di cui egli è capo ? L 5 autorità grande, e
la rigidezza de 5 Lacedemoni non fu di maggior conquito la caggione, di quelle
che agli Ateniefì recarono le. delizie, e i maggior commodi della vita,
nè il governo degli uni fù-per quello ' molto differente modo di vivere un
punto: megli ore di quello degli altri ; o quegli ebbero degli uomini
illufìri, ed eccellenti - v «ffai più di quelli ; imperocché al
novero di coloro di cui favella Plutarco eglino non vi fi
veggono, che quattro Lacedemoni^ fette Ateniefi, lènza un minimo motto di
Socrate, e di Platone peravventura lanciati in obblio ; e lo ftedf giudizio
far conviene delle leggi contrarie di Licurgo, non effondo elleno^
miga degne di maggior attenzione di quella, che lo fono 1* altre
lue leggi, con cui cercò egli d’ opprimere, e tor vìa totalmente da’ Tuoi
il rofibre ; imperocché come potea darfi mai a fperare, che la dia comunità,
che non affettava ricompenfà alcuna eterna, confervato avefle lo fpirito
d’ ambizione di far delle conquide, efpoda a un' infinita di fatiche,
adenti, e perigli fenza aver picciola fperanza da poter accrefoere i fùoi
averi, o diminuire, e foemar in parte il fuo travaglio, dove fi mirò la gloria
fenza tali vantaggi,chevalfe per dimoio della moltitudine ? fenzacche egli è
certo, e fuor di dubbio che quello, che fembrò ludo a nodri avi, non lo
fia per al prefènte, e quelche or lo è per noi, non lo farà forfè per quegli,
che ci fègui ranno ; e che l' ignoranza de* maggiori commodi lo refe a
molti Popoli per nojofo, e (piacevole ; quindi le oodre leggi fontuarie
foemarono di numero, e predo che andarono in difùfo, sècondo la noftra Politica
fi andò da dì in dì vieppiù perfezzìonando,anzi molte non ebbero neppur una
fiata 1* elocuzione ; imperocché al dinanzi che fi foffe una fòggia
tralafciata udendone un’ altra di maggior lufiò della prima, e facendo,
che quella di Ieggier fi obliafle, elleno non aveanoin che
Ìuflìftere ; e come fi può da chi fia di Ieggier oflervare, non altro che
il iùfiò ha quali che dalle Città tolto 1* ubriachezza, e portatala nelle
campagne. Perche volete voi, che gli agricoltori, fiano li primi da
proteggerti ? àd. L’agricoltura, e l’induftria de’ terreni effendo
le baie fondamentale di quello commercio, lafciar non fi può in un
Reame, lènza una dilmilùrata perdenza ; imperocché non valendo il terreno
da le a produrre colà alcuna lenza una buona, e perfetta coltura, nella
fcarfezza, e penuria di quello, eh è d’ una neceflità afioluta per
la vita dell’ uomo, qual appunto è quella . delle biade, prò veder non fi
può, nè remediare ad accidente, o inconvenienza veruna, con quella medefima
facilità, e aggevolezza eh* s* incontra, trattandoli dell* altre colè ;
quindi egli fi hà per una massima fòmmamente vera, ed incontrafiabile, -
che le forze d’ un Regno allor fiano superiori'. 9 e maggiori a quelle d’ un’
altro quando maggior quantità egli abbia di quel che è d’ una
neceffità realmente afiòluta per la vita,e per lo lòftentamento de
Cittadini ; effendo colà, feoza fallo d’afv fai lungi dal vero il credere * c
he i paefi ricchi in Miniere fiano li piu graffi 9 e ab• bondevoli del
Mondo, tutto dì facendoci . la fperienza conolcere, che in quelle li richiegganoun
numero aliai gradedi perlòne, che occupato, in altro farebbero al padrone di
maggior vantaggio, e utile, Ma come vorrefle che s* incoraggifchino mai
quelli camperecci, o forefi applicati alla coltura» ù Per
veriità non vorrei già che lori! pro- ponellèro perciò al dinanzi quanti Confusi
* e Senatori, e Dittatori Romani, quanti Re fi tratterò dall’ aratro, e dalla
vanca, o lor fi mottrafle quanto quello medierò fi fù feriale a tutti e
comunale Quand' era ciba il latte Del pargoletto Mondo, e culla il
bofeoi imperocché con la filza di quelle, e altre sì fatte ciancie
di cui compongonfi da Rettorici le lor itlampite, non fi verrebbe di vero
altro a fare, che cantar a porri ; ed il più delle fiate lor diverrebbomo
ilpiacevoli, e nojoli ; ma il miglior modo, che lì può in
quefto da uom tenetegli nonè-amio credere, che prometterli, e ridurli in speranza
d’una buona raccolta 9 e foccorregli, ed aiutarli quando abbi
fogna. Venendo al fecondo mezzo, eh 'abbiamo per i (labi 1 ir quefto
commercio interiore, ch’è la libertà, (piegatemi quefta in che
confitta. M. Quefta, che è aftai più neceftària della
medefima protezione, potendo la fola forza del commercio efler in luogo di
quella, non confitte che in una certa facoltà data a’ Cittadini da
poter cambiare e permutar il foperfluo per quel che lor abbi fogna ? e trafportarlo
da un luogo in un altro, onde ella per verità accoppiar fi deve
sempre mai congiungere con la facilità, ed agevolezza degli tralporti, e
de 5 viaggi, dipendenti del tutto dalle vie, dalli canali, e dalle
riviere; comecché con quefto vocabolo di libertà, che malamente prefo hà
mille, e mille fconcerEi recato nella Religione, e • nello Stato,
non intendo, che operar fi debba a capriccio e contro il comun
vantaggio della focietà,• ed imperniò reftringer fi devefoltanto a quel che
riguarda il trafporto di quello, che avanza non men al padrone, che al
luogo, da cui quefto vien fatto. D» Senza dir nnl la della fedeltà,
richieda in quefto commercio, avendone a fiufficienza favellato al
dinanzi, palliate al commercio efteriore, o maritimo . M. Inquerto
oltre quelle colè, che fi richiedono per lo ftabilimento del commerciointeriore
ad avvilo d’unlnglefè, fèguito dal Signor Mellon, da cui imprefi quanto or vi
dico intorno quello particolare egli è neceflàrio; I. L’aumento, o
aggrandimento del novero degli abitanti y II. La moltiplicazione de’
fondi del Commercio. III. Il render queflo commercio agevole, e
neceflario, IV. L’ ingegnarli che fia dell’ interefTè delle Nazioni negoziar
con noi ; Nel terzo egli reflringe non meno il tra (porto de’ debiti, e
de’ dritti de’ Mercadanti, che le fpefè necefiàrie ' * perii
Doganieri, e i buoni regolamenti intorno a’ cambj, e Tafficuranze maridme,che
porte in ufo dagli Olandefi, 1 * an no oggi gl’ Inglesì diftefe fin alle
per/òne flefie, che vanno con le merci; e nel quarto e’ comprende tutti i
tratatti di commercio con le Nazioni. ZhPofto per vero,che l’aumento degli
abitanti fia cotanto neceflario e utile quanto voi dite per un Stato, e
per una Reppubblica, colà credete che far fi debba per querto?
JM, I. Egli è necertàrio, che fi proteggano i maritaggi con privi
leggi, e foflìdj con ceffi a genitori di una numerofa prole, e con là
diligenza ufàta irr ben educare, ed allevar gli orfanelli, ed i putti
efjxjfii alla vétura IL Convien (palleggiar i poveri iti guifà, che
non fi confumino nell’ozio, e nelle miferie, e fìan perciò coftretti d’
abbandonar il lor \ Paefe . III. Egli fi deve con tutta aggevolezza
ammetter i Ara ni eri IV. Abbi fogna che s’ abbia ogni cura de’Camporecci,
e di quelli che firn muojono nelle Campagne per le foverchie mitene . V.
Egli ò medieri proccurar di aggrandire quanto fia poffibile f
indufìria, e perfezzionar farti, e i meftieri, poiché con ciò venendofi a
tenervi minor quantità di perfòne occupa* . te, il di più fi guadagna .
VL fi doverebbe altresì trattare di non tenervi in quefio più di
quelli che vi fi richiegono ; comecché non fiuebbe (bordi propofit© con
una legge torre la facoltà a oiafcuno di difporre ideila foa libertà al
dinanzi, che non abbia quella da poter difporre de’ (boi beni.
V. In molte oceafioni dunque fia per fàper quelli che per
travagliar fian buoni, fia ; per lo fiabiiimento., o leva di nuove impone,
fia per conoteere li differenti progreffi della moltiplicazione degli uomini,
fia per altra co fa sì fatta fon neceflàrie in un Regno le
numerazioni degli abitanti. *M. Certifiìmo anzi alcuni ti fon
ingegnati fino di calcolare quanto un agricoltore, o un artifla fi£
d’ utile allo flato,- vaglia il w vero la colà ha molto del malagevole,
e . del difficile,* a ogni modo non vi difgraderà un modo in ciò ufàto
dal Cavalier Peti ; t.ti t, cheto ci propone Mellon,• comex che
fèftfpr&'fia mólto più fpecolativo, che o pratico ^imperocché
fòppoflo, ch’egli ha - per vero ; f. Che nella Scozia, è nell* Ini»
gh interra .non v’ abbiano che fèi milioni c à? ahbitariti . If. Ch’ogni
uno di quefti fpenda 7; lfre fterline, che nel corfo d’un fi
anno 1 vengono a far 4*. milioni di Ipe/è ; e xlfl, Che l’entrate de’territori
non fia altro che otto tflilioni, e quelle delle Carri multiplicando
li milioni d-* utile per li 20. in cui fi ri» • ftringe tùtta
la vita dell’ uomo ; e vedendo:che con ciòd venga a far la fommadi 480.
milioni, la quale divifà per li lèi milioni d’abitanti, per quotienfte fi
rinvetica che abbia 80. lire (ieri ine, egli vuole -- eflèr appunto
quella la valuta di ciafeun di quegli 2 } $). Ma risguardo al
trafporto delle merci . maritime, porto che quelle fiano 1* avanzo
-di quel che abbi fogna iti un stato, volete che permetter fì debba
indiftintamente, r e lènza dirtinzione? M. Per altro giufta
la libertà generale del Commercio permetter fidoverebbe qualunche
reciproco tralporto ; imperocché in una cotal guilà quelche in una merce
li perderebbe da una Nazione, fi guadagnarcele nell’altra,* ma uòpo
làrebbe ch’in ciò f concorrere, e girte dj concerto tutta
l’Euro, pa ; colà che per li grandi, e lèmmi pregiudizi di cui ella
abbonda è preflo che imponìbile, non che malagevole; quindi li vede, che
molte nazioni per particolari interelfì v’abbian una infinità di termini,
e di rellrizioni intramelfe. Ma non làrebbe egli un un maggior vantaggio j
e utile per noi, che gl’altri veniffero da noi anzi, che noi ne gifiìmo ad ef -
- ? . Ditèoveritimi il voftro fèntimento intorXlir. no la guerra ?* 2kf.
Così noi domandiamo quello Stato di una Reppubblica mediante cui, ella obbliga
un’ altra a lòmminilìrarle quanto 'brama . R* ella per dritto Naturale permeila
? Senza fai lo -imperocché le Reppubbliche, conforme noi dicemmo
efiendo alla guilà di tante perlòne nello fiato della NATURA; v e
dovendo ogni uomo a tutto poter icànzàr che che di male gli può mai per
colpa altrui intraveni re, con adoperare in ciò tutti mezzi poffibih del
Mondo, egli è di ragióne, che l’una badi al rifàreimento del danno,
ricevuto dall* altra, e tratti con mezzi conyenieriti r ed anche con
la • forza, dove tutto manca, ripararvi. Che cosà è pace? Egli è quello
flato di uno Reppubblica i ' eh’ è ben ficuro, e libero dalla
violenza, e dalla forza de stranieri. A noftro avvilo dunque nello
flato Naturale, in cui fi conliderano le Reppubbliche, eflendo peravventura
permeilo d’ufar la forza, o violenza contro la forza, o violenza,
fòltanto dove non vi fiano degli altri rimedj, la guerra reputar non fi
deve, che come uno eflremo remedio, a cui non bifogna venir giammai, fé
non in *;• calò dilperato, e dopo aver tentato tutti gli altri i II
perchè ebbe tutta la ragione Livio di aderire che : jujìum bellum, qui-
* bui necejjarium, # pia arma, quibui nulla, nijiin armi 1 relwquitur
fpei . M. Per verità da Iperienza maeftra di tutte le colè,
da tutto di adimprendere, comecchè lènza alcun profitto de’ Regnanti, che
fia lèmpre vieppiù il danno * ed il dilèapi* toy che recanò le guerre,
che l’utile. Quindi quelli metter dovendo, tutto lo - Audio, e la
cura in promuovere in quahmque modo la falvezza, e il bene
della Reppubblica, egli conviene, che in un fido, calò fi portino a
guerreggiare; cioè, quando lùpera di Iunghifllmo spazio, e .
lènza comparagione eccede la speranza del guadagno il timor del danno, per
valermi del detto d’OTTAVIANO e dopo adoperati tutti gli altri mezzi pofiibili
; come a dire dopo, che perii Legati fi è di già - ammonita
la parte contraria ± e nemica a lafciar 1* offefà, ed a rifar il danno,
parte con la dolcezza, e parte con l’afprezza; ovvero dopo averle
recato qualche danno uguale al di già (offerto, ed ufàto delle
fcorrerie, o finalmente dopo proccurato terminar le controverfie mediante
gl’arbitri,' o altra colà di tal fatto ; il perchè da quefto fi comprende
quelche ad uom mai vien permeffo di far nella guerra, rioè tutto
quello lènza cui il nemico coftringer non fi varrebbe, e obbligare in
modo alcuno a quelche fi vuole, nè polliamo unque per l’avvenire viver ficuri,
ch’egli le ne rattenga ; poicchè nello fiato Naturale, come a voi è ben
noto fèrvir ci polliamo di tutti li mezzi, che fi poflono mai avere per
riparar al male, che è per avvenirci, e frenar colui, che n’è l’autore, fìcchè
non damo certi, che non ci danneggi in avvenire ; e perchè le guerre, q
fon offensive, o difenfive; diciam noi guerre offertfive, quelle che fi fanno
per riparar il danno, che fi può mai avere ; e difensive, al rincontro nomeniam
quelle, che mai fi fanno per eflèr rifatti di quel danno, che fi è
di già avuto, o per Schifar quello, che altri tratta d* apportarci; non
meno nell* une, che nell’ altre dove fi vengono a terminare, fi deve totalmente
alla parte offèlà rifarete tutto il danno, eh’ ella ha /offerto, e darle
malievaria, e ficurtà di non danneggiarla mai più inappreffò, con
fòmminiftrarle parimente tutte le fpelè, che nella guerra ella ha fatto,
pur che egli fia colà ageyole a noi e non imponìbile a farlo; del refto,
eh* ogni Regnante nello fiato della Natura fia tenuto dar fòccorfò,
ed ajuto all’ altro invaiò ingiuftamente, ed affali to, e che non
fi rinviene in fiato di poter difenderli, egli non lèmbrerà affatto Arano
a chi che è ben perfuafo dell’ obbligagione, e del dover degl’uomini di
lòccorrerfi a vicenda. Quanti e quali fono li modi propri per acquistar
un Impero? Due: l’elezzione, e la successìone, giuda dalli medesimi nostri
principi si deduce ; non potendofi da niuno aver in altro modo il
governo nelle mani, le non mediante il confenlò ffeffo di coloro, che
governa, e ciò che quelli anno una volta flabilito; comecché per
verità fi poffà altresì ottenere con l’armi, e per conquida ma di quello
ultimo modo non abbiamo colà di ririmarco da dinotare per aJ
prefente; fé non che cotali Regni dipendano del tutto dal
capriccio, e dalla volontà di colui, che li conquida. Che intendete per
elezzione? M \ Un certo particolare, e lòlendo atto, mediante
il quale, o tutto il popolo, o foltanto una parte, cui quello concede
il dritto, e la podeftà di eleggere, conferì fce il governo di una
Reppubblica a chi più gli piace. Quando l’mpero è successivo? Ogni
volta che li conferì perawentura a una famiglia, con patto e
condizione, che si elegga sèmpre mai qualch’unodi quella per lo fuo
governo. Il perchè egli può in quello cafo avvenire, che lì fii di
già {labbilito, e determinato altresì chi fi debba di quella all’altro
anteporre ; cioè per esemplo, cheli primogeniti fiano preferiti fèmpre
mai V secondi, e quelli alle femine, o che in altro modo venghi la succeflìon
determinata; ovvero eh’ e concedo fi fu con facoltà di difporne a lùa
voglia in ' teflamer.to, e fuora ; comecché vi fìa risguardo a quello
nella Germania altresì r ufo de’ patti fòccefiorj tra alcune famiglie de’principi,
e Signori; come adif- ilefò oflèrvar polliate da voi, dove vi piaccia
negli Scrittori del gius pubblico y, (x) (ebbene per quelche,(èmbra non (è
ne rinvenca etemplo dinanzi all* Imperador Ridolfo. Egli è il vero,
che non meno quelli, che entrano nel Regno per fuccef(ìone, che quegli
che 1* ottengono mediante l’elezzione cofiumano di ferii coronare ; ma ciò non
effondo in fatti, che una congerie di più atti (blenni- per v cui
non già fi accrefce, in qualche modo, o fi aumenta la. podeftà de 9
Regnanti, ma fi viene foltanto a rifiabilire, e confermar quella,
che di già anno, ed a render la lor perfona nota a tutti, e palefo
come quello, che non è fondato, che in un’usanza, non merita la noftra
attenzione. Avendo i Regnanti una (bmrna obbligagione di riempiere gli
animi de loro fodditi delle vere mafiime di Religione ; il governo del
loro Stato rifguardo a queflo particolare credete voi che in effetto
appartenga ad efii? L’ obbligagione de’ Regnanti rifpettoa ciò non è
altro, che trattar d 9 introdurre e proteggere a tutto potere nel lor stato
-n la vera religione, con dar a coloro, cui lpetta largo campo da
poterla efercitarej e delle sue fonte ma/iime riempierne gli animi
de’ lor fodditi ; appunto come per far che quelli foddisfino al dover,
che la natura lo rimpone di confervar la lor folute, e trattar,
dove avviene, che peravventura incorrono in qualche malore di
riffabilirfi, non fon miga tenuti farla da’medicanti, ma far
foltanto che nel lor Regno vi fieno degli ben efperti, e pratici in quello
meftiere, o quandoabbifogniano non manchino; imperocché lo Ipii ito della
Religione, e la politica temporale d’un stato eiìendo infra se cofe
molto diverte, e differenti ; trattando il primo di ftabilire, e mantener
tra gli uomini un ordine perfetto, e una pace solida e ben ferma,
ch’e’fia effètto d’ una unione de’cuori e di un vero amore dell’unico e soverano
bene eh’ e’dio, mediante un gran difprezzo, e diftaccamento dall’amore de’
beni temporali, di cui non nè permette, che un ufo d’ affai fòbrio,
e parco, e il fecondo non ri /guardando altro, che l’efleriore degl’uomini
a fin di mantener la pace e la tranquillità pubblica ; ed imperò fòddisfar non
potendofi da una fleflà pedona, inùnffeffò tempo agli ebbi jghi, o
doveri, o uffizi d’un principe spirituale e temporale, egli eoo viene di
neceflìtà,che si dividino a due differenti persone, e fi cofiituifohìno, e
formino due diverse potenze, comecché quelle amenrìue tenute effondo totalmente
di congiungere, ed unir gl’uomini nel culto del divino, e nell’osservanza
di tutti gli obblighi e doveri, che insegna lor la religione, e
riguardando perciò quaficchè un medefinio fine, non poflòn effor tra
se giammai di vifo, e l’una contraria in modo alcuno all’altra, salvo che
per la disunione e discordia di coloro che l’eforcitano e bramano dar all’una
un’eftenfione su dell’altra che in guisà alcuna non può competerle. Quindi
conforme quegli che sono proposti al Ministiero spirituale, sono in
obbligo d’ispirar a tutti gl’uomini ed infognar loro il dover
dell’ubbedienza alle potenze temporali, e l’osservanza delle leggi e degl’ordini
de lor regnanti; così altresì coloro, cui Dio ha fidato e commesso
il governo temporale d’un fiato, fon tenuti d’ ordinar a tutti lor
fodditi l’ ubbedienza alle potenze spirituali e coftringergli agli
obblighi, e doveri, che porta foco una tal ubbedienza in tutto quelch’e
può mai dipendere dall’ufo della propria potenza j ciò che comprende il
dritto di proteggere, difendere, e far mettere elocuzione alle leggi della chiefa;
punir e castigar chi che opera in contrario, e cerca iturbar l’ordine
efieriore, con far altresì delle leggi per quello effetto, quando
mai v’abbifògnano. Vivon tutti ben persùasi e certi di quella verità? Venendoci
ella altresì nel vangelo fpre£ famer.te infegnata non fi legge giamai da’ cattolici messa
in questione. A ogni modo i filosofi del dritto pubblico infetti il più
ed ammorbati di Refia, e ripieni di falle mafiìme, oppofle, e contrarie
non meno alla rtoftra santa religione, che alla buona ragione trattano comunalmente a tutto potere di
pervaderci il contrario. Ma su quali pruove, e ragioni fondano il lor discorso?
Secondo dicono con farli altrimente egli fi viene a sostener una divisione
ed unfcifhla continuo nello stato e nel regno, essendo molto malagevole e
difficile che due potenze diverse operino concordemente in tutto, e l’una
non s’ingelofifca punto dell’altra e venga a diffidenza. Nello fiato NATURALE
tutto ciò effondo fiato proprio de’ padri di famiglia, instituite
che furono le sòcietà civili, passa a’ capi di quelle, cioè a 9 regnanti.
Ili, rr Essendo il principal
dover di quelli proccurar in tutto di mantenere la pubblica quiete della società
e niuna cosà valendo cotanto qùefta a disminuire quanto le controversie,
eh avvengono intorno la religione, egli si deve per questo tutto ciò che
rilguarda questo punt, confìderar altresì come proprio di elfi loro. Ma
di quelli e d’altri sì fatti
folleggiamenti, non si deve da chi che pensa far conto alcuno. Imperocché per
rispondervi con confonanza. Dove a ognuna di quelle potenza gli lì dà
quell’eftenzione che gli conviene PER NATURA, e viene in quel modo che
noi detto abbiamo esèrcitata, non v’ha niun feifma da temerli in un
stato o regno. Sebben egli fia vero, che ne’ primi tempi 1’elercizj
della religione, non si faceano che da capi di famiglia, perché quefio fàcevasi
per una pura necelfità, non efièndovi allor altro da cui efèrcitar si
potefiero, non ne possiam noi, che siamo in un altro stato inferirne niuna cosà
di buono, in guisa che quantunque e’ Aggiungano di vantaggio che da
quelli pafiàti fodero nell’ instituzione delle società civili a’ regnanti,
ciò come colà che non è da altro sostenuta che da conghietture non
deve far in noi niuna impresone. Imperocché dalla lezzione della storia
egli s’imprende al contrario che tutte le nazioni del mondo, e tutti
i popoli della terra salvo alcuni pochi che non fi vaifero della religione,
che per frenar la plebe e per teziar la lor ambizione, ebbero due potenze
diverte, l’una per lo buon regolamento di quelle cose, che a questa
apparteneano, e l’altra per lo buon governo di quelle che riguardavano teltanto
l’ellerior della lor tecietà. E III. Finalmente avvegnaché i diflui bi, e
le rivolte molte in alcun regno tetto pretefio di religione siano
fiate le più perniciofe del Mondo ; a ogni modo, come la fipria lo c’integna,
la caute, e il motivo principale di quelle, non fu, che l’ambizione, e le
pafiìoni de’cittadini; Chi averebbe mai teguito nella Germania, per parlar de’tempi
a noi più profiìmi, l’anfanie di LUTERO e la sua malvaggia ‘dottrina’,
se pur ella è meritevole di un cotal nome, te buona parte della plebaglia dal
guadagno e dal buttino ed alcuni principi dall’odio eh’ e portavno alla casa
d’Austria, non vi fofier tratti, ovvero dalla libertà di coteienza e
dalla lascivia rifpinti? Ma egli mi tembra aver di già trateorte te
non tutto, almanco il più importante di quel, che ci propofòmo da
trattare, il perchè non essendo più ora da favellarne, riterbaremo il
tettante ad un’altra più agiata opportunità. EMINENTISSIMO SIGNORE.
f G T ?^^TV M TP a ? re in ^ tede. nfìima Citta,
fupplicando efpone a Voftra Eminenza, come dentiera lampare un libro eh’ ha n*
r titolo: De principj J e l Dritto ^aiutale di Giano.’uleppe Origlia, P. j e
perciò fupplica cornar terne la nvdione, e l’averà a grazia, ut Deus
&c Reverendiis Dominiti D.Januarius Verelius e ri' C.thfaUs
Vicari, C.ra,T“lcfrt refirT{ COea,t EX ‘,m ‘" a ‘ ar Siedali,
rcvidear, £ 7 ... Dat x l ; m, Napoli J DepZ. NlCO aUS 7 ° rntts E
W C - ^chadiopof: Canon. EMINENTISSIME PRINCEPS. 0 P xr ’ qU ?
d inCcrlb ^ur, Trinchi del Dritta di quod^fideì^ ’ at f ente ..! e
§i > nihijque in eo expenq od ndei, vel moribus adverletur Ano a typis
volgari polTe cenfeo . a£IVerIetUr • de re £ J^tum Napoli fe
c£iZ" m &££. Napoli Deput. 1 TornttS fy’fc-
drchadiopol. Canon. S.R.M. Sa Ra Ma Giovanni di Simone
Stampatore supplicando umilmente efpone a V. M», come defidera (lampare un
libro intitolato: De * Principi ilei Dritto Naturate, Trattenimenti JV. di
Giangiufeppe Origlia, Panlino; Ricorre per tanto da V.M. e la (applica degnarli
concedergliene la licenza, e Pavera a grazia, ut Deus etc.
Vtriufque Jurìs DoBnr Jofephus Cyrillo in hac Regia Sttùlorum
Vniverfìta/e rrofejjor revide at 9 é*. jn fcriptis referat. Napoli C.
GALIANUS ARCHIEP. THESSAL. ILLUSTRISSIMO SIGNORE. NeI saggio di D Giangiufeppe
Origlia De’prìncipi del Dritto NATURALE; non è cosa, che offenda i
diritti del Rs,o’l buono e cìvil coftume: anzi riluce in esso la pietà
non meno che l’ingegno del dotto autore; onde stimo che si possa pubblicar
colle stampe se altrimenti non istima V. S. 111 e Rever e le bacio
col debito ofl’equio le mani . Di Casali Degnifis. ed Obbhgatifs.
Servidore Giuseppe Pasquale Cirillo, Napoli. Viso regali refcripto fub die ?o.
proximi elapfi menfì ac approbatione fatta ordine S.R^M.de
commijjìone Reverendi Re gii Cappellani Afa joris a magnìfico V.J. D. D.JoJepho
Pafcbali Cyrillo. Pepali! Camera Santta Clara providet, decerni t,
ntque mandat, qund imprimatur cum infertafor ma prafentis fupplicis libelli,
ópou, V. not. not. N. e per via e’ per, ETXEIPIATÒR, *
4 p. ETXEIPIAION Non che imaginano non è che, ìfcorger,
pag. 161. ricorrer, e. netto, pag. 162. inetto, li pefi li
pefci e doloro ibid. elfo loro azzioni azioni metter liin metterli
in; da Giureconfulti de dal del cónvengha convenga,
didelfo diftefo, delle morali, pao. della buona morale,
fia fia, obbligo obbligo, dimenticàffero dimenticaflsro fi fi, quel che noi diciamo ma fol
quando nói tex: ur ° a, ™ n ° Deo Dio obìgat,
ilici, oblìgAt, quid erìt de exit de, Confifterla confifter la
prima, t ed un altro ad un piantai giammai. fi (labili fi
flabill . di altri da imparaccio Imbarazzo foprabondanti
foprabbondanti, oltre modo altro modo flato d’ occafione è
flato, paragonandole quelle a
quelle venga venga in una in una focietà
in una focietà Lattanzio che fi Lattanzio fi ammonifcha, ammonifea in nulla ad
offender,nulla offendere Qualiier mulìer mulier liiber mulier liberi
dos dicit di ci tur, leggi contrarie fontuarie per veruta
verità. Tempre mai congiungere e congiungere „ avende avendo,
dilcoprj difeopri Non abbiam notato qui, che gli errori li pit\ essenziall e
Cll m aooìrkr rim *% a 1. come doppi punti etc. non polli
dove lì doveano, lì fpera che ilmrttfe leggitore non averi difficultà di
plrdo- [AVVISO DELLO STAMPATORE al lettore. l’autore
oltre molte altre varie, e diverse opere, eh’ ha intendimento di dar al
pubblico di vario, e diverte genere di letteratura, e tra l’ altre una, eh’ ha
per titolo: Jurii Canonici ac civilis praleBiones criticai in
duóbtti voluminibus congejìa; incorni ncerà ora l’edizione d’un altra
intitolata: Varti, e mejlieri deferitti, con ogni efattezM tofpbile, e
ridotti a lor veri e proprj principi. Opera utilissìma per coloro che
bramano coltivare la teienza dell’ arti ed averne di tutte una qualche
cognizione. il collo diciateun Tomo, che conterrà de’ Rami, per l’afiociati
farà di carlini 7 e per gl’ altri di. Giovanni Giuseppe
Origilia Paolino. A. Paolino. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Paolino” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Paolino.
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