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Friday, January 24, 2025

LUIGI SPERANZA -- "GRICE E PAOLINO"

 

Luigi Speranza -- Grice e Paolino: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- dizionario filosofico portatile per ginnasti – la scuola di Napoli – filosofia napoletana -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “In England, we have it easy: we have Oxford and we have Oxford. In Italy, small a country as it is, they have Bologna, Bologna, Bologna, and Nappoli, Venezia, Roma, etc.” Autore di quattro trattenimenti De' principj del dritto naturale, stampati a Napoli presso Giovanni di Simone, di un supplemento al Dizionario storico portatile di Ladvocat, ma è noto soprattutto per i due volumi della sua Istoria dello studio di Napoli, uscita anch'essa dalla stamperia di Giovanni di Simone. Si tratta della prima storia compiuta dell'Napoli, nella quale l'autore dimostra con buoni argomenti (come ricorda Tiraboschi nella sua Storia della letteratura italiana), che quello studio non e veramente fondato da Federico II di Svevia, ma, prima di lui, dai Normanni, benché questi non le dessero veramente forma di università e non la onorassero dei privilegi che a tali corpi convengono, cosa che invece fu fatta da Federico, che così meritò la fama di suo vero fondatore.  Opere: Giangiuseppe Origlia, Istoria dello studio di Napoli,  Torino, Giovanni Di Simone, Girolamo Tiraboschi. Grice: “Paolino is a quasi-contractualist. His contractualist treatise is very accessible. Man is the political animal, so politics is in the essence. Polis means civil, so a man who is not civil is not a man. Paolino analyses a contract – in general, and then the social contract in particular. This sets him to analyise such duties which are addressed to the other members of the civitas. Paolino is alo the author of a dictionary of antiquities, which has the nice alphabetical touch about it, if you are into a first  thought on Julius Caesar or Cicero! He also traced the stadium tradition to the ‘gym,’ ‘nudare’ as he notes. And notes that it started in the cities where such as Athens or Rome where the athletes needed a place to get undress and practice. He mentions Plato’s Academy (after Hekademos) and Aristotle’s Lycaeum, after the statue of Apollo Liceo, reposing after extercise. It is good to call Platonists accademici and Aristotelians liceii then. The gyms were particularly popular in Italy – even before the great expansion of the Latins and Romans over other ethinicities. In the South of Italy especially, due to the weather, it is more natural for an athlete to feel the need to get undress as soon as possible, and philosophers followed.” Di tutte adunque le società del mondo non e ch'una ftetia l'origine, perchè tutte, giusta il vostro avviso, nonsìmisero inpiè, nèsi formarono, se non secondo le diverse nécessità, e bisogne degl’uomini. Anzim in tutte altre sìsi ha un istesso fine perchè non si risguardò ad altro, se non al commodo, e dutile commune de socii. Ma quali sono le società particolari, che sarebbero state mai nel Mondo inufo, semante nuta si fofle ben falda, e stabile la società Universale (A )? (A) Egli è fuor di dubbio che gl’uomini, essendo tutti in obbligo ed in dovere d'amarsi u vicenda; el'uno come non nato, per se medesimo, dovendo non che al proprio anche all’altrui commodo badare, quando ciò tutto esattamente osservavano, non venivano a comporre che una società universale in guisa che niun diefi considerarsene potea al di fuor. Quindi divero io non  M. La  271 safidica l'Eineccio, il quale tutto scaglian, dosicontro il Puffendorfio, che trattiavea, e deafai malamenge inferiti tutti gli obblighi, e gl’umani doveri della società, soggiugneto, jto ch'era uom tenuto soddisfara tuttiquegli che Uella,ch'è la più vera, e la più saggia, antichità del e la sola infallibile maestra dell'umana Ginnasio Na   II. Cosa fossero  prudenza si lasciarono in dietro di gran lunga ogni altra nazione. Quindi, giustache scrive Dion Crisostomo agl’Alessandrini sull'autorità d'Anacarside, non vi fu città della Grecia, che non avesse avuto il suo Ginnasio. Questo solo basta di presente supporre per farci sicuramente acredere, che Napoli Città oggi dall'eterna divina provvidenza maravigliosamente fornitadi quanto in una ben nobile, e doviziosa potrebbe mai l'uom brą mare; e sopra tutte l'altre ben culte città dell'Europa, e per le scienze,e per l'armi, e per lo Erano presso de Greci questi Ginnasj alcuni grandi, stati i Ginnasi e magnifici edifizii con ampii portici, e stanze d'ogni ca onde venifer opacità, luoghi coverti, e scoverti, ombre, ed altrepref così deti: eso che infinite comodità, ove la gioventù ammaestravasi qual fosse la lor forma. Oppinio non meno nell'ARTE GINNICA che nelle scienze, e nelle fa  pari celebre gran trafficodi essendo stata, come tutti fuor versia asseriscono, fondata di ogni contro l'altre da Greci, ha anch'ella come della Grecia il suo ginnasio finda' suoi cominciamenti Infatti STRABONE, che vise che a’ suoi al tempo di OTTAVIANO, scrive, giorni questa città avea ancora ti che Greche costumanze molte dell'an, come le Curie, le l'Efebeo,e altre d ital Fratrie, fatta. E con queste ha il Ginnasio. Né v'ha scrittore al tresì osi su questo muover di buon senno, che ombra di dubbio e ne di coloro che arti liberali; onde sotto uno stesso tetto venivano a c o m avuto il luogo prendersi, per così dire, due diverse accademie proprio per le, e due Scuole, ribut ta varj, e diversi generi di Scuole, cioè: quelle dell'arte ta comefavolo- bellica, e quelle delle scienze, e delle belle lettere. E niodi molti çe perchè a coloro, che applicatierano alla Ginnica, e per lebri scritori. Io gran novero loro, e per gli esercizi, che far doveano, come il corso, la lotta, il salto,il pancrazio, il di Strab. 1.s. fco,   . “γύμνοω”, det idioma, senza aggiugnimento d'altro, semplicemente O ti Ginnasj. Per la qual cosa alcuni nel progresso del tempo non badando che al semplice suono del vocabolom con cui chiamavansi, li credettero non per altro essere edificati, che per un tal mestiere: opi stati esi prima, forse il primo, Crasso presso CICERONE che porta la ne, e tra gli altri, che in questi ultimi secoli sostennero fi furono MERCURIALE, e Pier L a però avendo per certo, per quel, che ne scri sena. Noi Ginnica non e pove Galeno a Trafibolo, che l'arte sta in voga nella Grecia, che alquanto prima dell'età di Platone, e che in Grecia, come manifestamen te fi ravvisa nell'ingegnoso, ed ammirabile poema di visselungamente prima di quel cele Omero, il qualee da molti celebri scrittori, come bre filosofante avanti lo Lino, Filamone, Tamiride, e altri fioriti stesso Omero, sono vị le Scuole delle belle lettere fino da’primi tempi; stimiamo più ragionevole il credere, che s'introdussero i giuochi Ginnici, ed Atle che dopo fatto, che amtici, I Greci altro allor non avessero pliare que’ medesimi edifizj, fatti molto tempo prima non per altro fine, che per le scuole, e chiamatigli per le ragioni, che testè noi accennammo, Ginnasj:poichè Crasso steso, il quale e il primo, ed A2 inge sco, facea mestieri d'uno spazio maggiore, e asai più grande diquello,che bisogna percoloro,che istrụi vansi nell'arti liberali, e venivano per questo ad occupare buona parte di tali edifizii; sono questi dal modo, con cui in es si faceansi quegli esercizj, cioè dalla voce greca yújrow, che tanto vale quanto NUDARE nel nostro e . CICERONE De orat. Apud Anson.Vandal differt. 8. de Gymnasiarcb.  ingenuamente egli anche lo attesta, a metter in campo un sentimento a questo del tutto opposto. Parlando del suo tempo dà atutti a conoscere, che le pubbliche scuole delle scienze non era allora in costume d'aprirsi in altro luogo, che ne' Ginnasi; e che per quanto egli si studialle, non potea in niun modo fisar in cui queste erano colà state erette. Ego alio modo interpreter (dice egli) qui primum Palæstram e sedes deporticusetiam ipsos, Catulé, Grecos exercitationis, eg delectationis causa, non disputationis invenisse arbitror; et sæculis multis ante gymnasia inventa sunt, quam in his FILOSOFI garrirecæperunt; hoc ipso tem porecumomnia Gymnasia FILOSOFI teneant tamen eo rum auditores discum audire, quam Philosophum malunt etc.  Per verità non v'e ginnasio nella Grecia, in cui non vi fossero queste Scuole. Cosi leggiamo,che in Atene nel “CINOFARGO”, il quale e un Ginnasio eretto molto prima del tempo di Platone, sono vi tra l'altre Scuole, quelle della setta “cinica”, dalle quali egli anche ha il nome, e nell'ACCADEMIA e vi l'uditorio di Platone come nel LIZIO quello d'Aristotele. Anzi accolto, ovvero al di dentro d'alcuni celebri ginnasii trovavansi non meno delle scuole, che delle famose, e celebri biblioteche; come sappiamo diquello parimente in Atene, che avea dappresso la celebre BIBLIOTECA di Pisistrato, rammentata da Girolamo, e da altri, e quello in Rodi, della cui celebre Biblio Schol. Ariftoph. Pace Xenophont. In Hippar. Plutar. Symphofilo vi11. q. iv. Suid. Pauf. in Artic. Hieron.de Beat. Pompbil. martyr. ep. Ad Marcel.14. Gell. l.vi.c.17. Lucian. adverfus indo&um. Pauliin Atricis. Ifidor. orig.hiv1.3. a Р ерос Suid. Pauf. in Attic. Schol. Ariftoph. ad Nubes ec. Ammon. vit. Aristot. Plutarch. De exilio. CICERONE . q. TUSCULO] teca parla Ateneo; é per questa stessa ragione per cui sempre ai ginnasii accoppiavansi le scuole delle lettere, troviamo che molti valenti uomini, e dotti scrittori applicarono in molti luoghi delle lor opere questo vocabolo, a significar non altro, che queste, quasi per eccellenza; essendo lo studio delle scienze molto più nobile, e sublime di tutti gli esercizi ginnici. – l’archi-ginnasio di Bologna – la prima universita --. III. che h una con quello nello stesso tempo le Scuole nide le Scuole Atben. Biblioth. l.1. dipnofoph.c.1. Senec. epift.76. ut 0 1, Supposto adunque pervero, come lo è infatti, Tenimonianza che Napoli, come città greca, ha il suo ginnasio fin di Seneca, e di da' suoi primi principi, egli convien credere anchevero, tri autori Lati . di Napoli : delle belle lettere; senza le quali nella Grecia, come Scienze che vi abbiam detto, non si forma Ginnasio; e certamente s'insegnarono; di queste, di cui è solo or nostro assunto il favellare,vifiorirono. parla Senecainuna sua pistola, nella quale, come dalle parole, che poco fa da noi fi allegarono di Crasso, con lui filagna presso CICERONE di que’ giovani, che al meglio delle lor lezioni lasciavano i lor maestri nelle Scuole per correre frettoloji a veder il disco, la lotta, e gl’altri ginnici esercizi. Così egli fiduole fortemente col suo LUCILI, che nelle scuole della nostra città visto avea far cerchio ai filosofi, giovani in nove romolto pochi al paragone di quelli, che a calca tra ftullavansi nel Teatro, il quale, come egli narra, e in questa Città non guari distante dello stesso ginnasio, Pudet autem me generis humani -- scrive egli -- Quoties Scho lam intravi, prater ipfum theatrum neapolitanum  Il fcis, transeundum eft, Metro nacti spetentibus domum lud quidem farctum est: hoc ingenti studio, quis fit Pithaules bonus, judicatur. Habet tibicen quoque Græcus du præco concursum: at in i lo loco, in STAL: quo ritur, in quo vir bonus discitur, paucis simisedent; et bi plerisque videntur nibil boni negotii babere, quod agant, inepti cu inertes vocantur. i più nobili della Città non isdegnavano neppur d'inviarvi per tal fine i propri figliuoli; poichè egli scrive, che portatosi in Napoli con Giuliano, professor di rettorica udito vavea un giovinetto molto riccocum utriusque lingua magistris -- per valerci delle stesse sue parole 00 meditans, exercens ad caul'as Roma orandas eloquentia Latina facultatem. Quanto alla Filosofia, la dottrina dell’ORTO, la quale venne da'più dotti dell' antichità ricevuta con applauso, e fu universalmente se guita da tutti que'grandi uomini del tempo d'Ottaviano; e quella, che in queste medesime scuole avea MAGGIOR VOGA; come par che si conobbe da una iscrizione,che fi rinvenne in un Cimiterio fco verto nella Valle della Sanità, non guari distante da quella Chiesa sopra alcune urne, che state sono per quel che n'appare, dell’ORTO.. Poichè in alcune di quelle vedeası il nome di alcuni celebri filosofanti di questa setta, scritti con caratteri Latini leggevasi; manonbene, e oscuramente. E come apprendiamo da Gellio, che fa anche di questo ginnasio onorata memoranza vir bonusque. 3 DELLA e fiori al quanto dopo Seneca; al suo tempo in queste scuole nell'istessa guisa, che in quelle del ginnasio di Cartagine rammemorato da molti Autori, s'istruivano i giovani non meno nelle scienze che nelle lingue; e I più  Salvion. Hieron. In Catbalog. Jone Proph. Aug. conf. fc. Celan. Giorn. 3. delle notizie di Nap. STALLIVS.GAIVS.SEDES HAVRANVS.TVETVR EX EPICVREIO.GAVDI.VIGENTE CHORO Quindi tra' maestri, che in tali Scuole insegnarono le lettere umane e le lingue si conta Stazio Papinio nativo di Silta, Città dell'Epiro, che fiorì circa al tem po dell'Imperadore Domiziano; padre di Publio Stazio; il quale, come dal costui poema fi ravvisa espose in queste Scuole l'opere de'più celebri poeti Greci, come Omero, Esiodo, Teocrito, ed altri di questo genere; e tra coloro, che v'insegnarono le scienze filosofiche, deve annoverarsi senza dubbio quel Metronatte,di cui, come prima abbiam fatto vedere, fa motto Seneca; e fimorì molto giovine,che glifu contemporaneo, co me questi medesimo attestainun'altra pistola diretta al lo stesso fuo Lucilio;e febbene degli altrimaestri, e professori, che vi furono in questi, o in altri più anti chi tempi,dato non ci siaora di tesser un ben lungo,e distinto catalogo, poichè i lumi, e le memorie della Storia totalmente ci mancano ; non però egli è certo, che essi furono tutti di tanto sapere adorni,e di sì rara dottrina,che abbondando perciò laCittà digiovani let terati venne ella d’ ROMANI concordemente non con altro titolo chiamata, che di dotta, e studiofa ; e così per tralasciar degli altri,che cið fecero COLUMELLA in parlando di Napoli, non con altro epiteto nominol la>,che con questo: Doftaque Parthenope, Sebethide roscida lympha. E'l medesimo fece anche Marziale col seguente verso: bi  di 00 .1 >1 li al Papir. Star. flvar. s. epiced. inpatr. Senec. ep. Er Oras. Epod. Ad Canid. Sil. Italib. Stor. Syluar. Ovid. Metamorpb. is.  Napoli, quanto Illo VIRGILIO me tempore dulcis alebat mente cari; ond'è,che niuna altra Città più della loro Costantino. Sen.ritroviam nellaStoria, che avessero eglinofino nel cadi li, che vogliomento dellor Imperio maggiormente frequentata; equel no, aver Titali sopratuttolafrequentavano, se vogliam prestarfe in rifateleScuo-de a Strabone che impiegavano ilpiù del lor tem le,con allega re'inpruovailpo allostudio delle lettere, edelle scienze. marmo,cheog  Et quas d o &t a Neapolis creavit. Anzi Virgilio e riguardo scienze Parthenope, studiis florentem ignobilis oci. E tra perquelto conto i Napoletani, e per laGin comebenrifletteil Bembo inunasua pistola, fu mandato, e mantenuto da Augusto in questa Città a proprie spese per farvi i suoi studj. E in fat ti nella prima Egloga de' Buccolici, scrit ti anche in Napoli, egli riporta a' favori di quel Principe il suo Napoletano ozio, cioè, studio con quelle parole: Deus nobis hæc otia fecit. E confessa nella fine de'Georgici, che: che visicolei nica, la quale nel si. lor Ginnasio esercitavano anche con vavanofofefta somma diligenza e con tutta la magnificenza del Mon ta FREQUENTATA DA’ ROMANI; edo,divennero universalmente agli stesiRomani somma anche dagl'Imperadori fino a gi fi conserva Quindi LUCILIO, che fu ilprimo tra’Latini a scrive fopra la fontere delleSatire, non solo visse, ma anche morir volle tra' .An nunziata;mo:Napoletani, comeattefta Quintiliano,e Cicerone, il strato falso ; e quale v’ebbe anche un'abitazione e Virgilio, dicui di che propriamente in efoabbiam favellato, Orazio, Livio, Marziale, Silio Italico - fac cialimenzio --, Claudiano, e tutti gli altri tra gl’antichi, ne mar che mo rapportato mercè dellor saperelasciarono a'posteriillornome im in cuilafenzamortale, abitarono in Napoli perpiù tempo; anzi dubbio fi parla delle Scuole . molti Bemb. lett. 27. Strab.l.3.infin. Quintil. CICERONE ep. famil. Crinit. de Poet. Latin. Philoftr. Icon. Sil. Ital. per  9 molti,come dal Poeta Archia narra Cicerone  brama rono ben' anche di esservi ricevuti per Cittadini; cosa, che i Greci non erano molto larghi a concedere; feb bene su ciò non tuttiusassero lastesa moderazione: Ma non meno de’ privati CITTADINI ROMANI,visita rono questa nostra Città glistesiImperadori ; poichè sal vo Celare, il quale, come scrisve CICERONE inalcun tempo ebbe a sdegno i Napoletani, forse perchè infer matosi fra esi Pompeo nelprincipio della lor guerra, gli mostrarono,come scrive Plutarco,moltisegnid'af fezione, gli altri tutti fino a Costantino, lebbero per le stese ragioni anche molto cari: così che eglino molte prerogativen'ottennero. Il perchè TITO, chesuccef se a Vespasiano circa l'anno 79.. dell'era Cristiana, essendo pe'violenti tremuoti accaduti al suo tempo, a cagione di unobengrande incendio del Monte Vesuvio rovinati molti luoghi vicini ; e traquelli, come scrivonoalcuni de'noftri Storici,in Napoli anche il Ginnasio: egli pose ogni studio per farlo con pubblico danajo ristorare: e comunalmente fivuole, che di questo fatto ne faccia anche oggi giorno una chiara, e certa testimonianza quella Gre. eLatina Inscrizione, la quale tuttaviaravvisiamoin questa città in un marmo elevato nel muro della Fonta na dell'Annunziata, ch'è la seguente, riferita anche dal Grutero, non cheda tuttiinostri Istorici, li quali vogliono, che in essa fi faccia parimente una espressa memoria delle scuole, ch'esistevano nel Ginnasio. 100 Jens 1 CI, 22 > 1 00 TO са, fuz a . B  Cic. pro Archia. Ezechiel. Spanhem. Orb. Roman.  CICERONE Ad Attic.l.10. ep.11. Plutar.inPomp. V. l'Autor della Stor. Civil. Del Regn. lSueton.in Tit. cap.12.b.i. Gruter. Infcript. oper. et locor. publicor. Capacc.ift. l. 1. c.18. Bened. di Falco Antich. Di Nap.&c. TI  ΙΤΟΣ -ΚΑΙΣΑΡ ΕΣΠΑΣΙΑΝΟΣ: ΣΕΒΑΣΤΟΣ ΚΗΣ ΕΞΟΥΣΙΑΣ ΤΟΙ OE TIIATOE TO H TEIMHTHE OETHEAE·TOT: TYMNASIAPXHEAE ΥΜΠΕΣΟΝΤΑ ΑΠΟΚΑΤΕΣΤΗΣΕΝ NI ·F ·VESPASIANVS ·A V G .COS.VIII.CENSOR.P. P. IBVS .CONLAPSA ·RESTITVIT Ma senza che quì noi ci distendiamo molto nepo co in far riflettere agli abbagli, ed agli errori, che co munalmente han preso tutti nella sposizione di questo marmo ; basta, che con qualche diligenza per uom si legga, per dubitare se in esso si tratti del Ginnasio; o v ver più tosto dell'antiche Terme, come più probabil cosa essercrediamo, nel fito delle quali eglifu trovato ; ed ; il numero delpiù,il quale si vede in esso adoperato a notare gli edifizj rifatti per ordine di Tito,par che troppo chiaramente lo ci additi ; nè per qualunque ftu dio vi fi faccia, potrà mai scorgervisi parola, che colle Scuole, o cogli esercizj letterarj abbia coerenza ; onde quanto su ciò fi dice sono tutte pure,e prette immagi nazioni de'nostri; egli v'ha però un altro marmo rife rito dal Capaccio, ove espressamente leggasi: SCHOLAM. CVM. STATVIS ET IMAGINIBVS  ORNAMENTISQVE. OMNIBVS SVA: IMPENSA FECIT Capacc. Ift. tom.I.h.1.6.18. . E per   .I. 11 E perverità ebberoi Greci in costume di adornardi statue, e d'immagini ilor Ginnasj, con riporre quellede più celebri Atleti, ed icoloro, che si erano più nella Ginnica refi immortali, ne’luoghi, ove l'arte esercitasi. E quelle de’ gran FILOSOFI nelle Scuole; come del Ginnasio diTolommeo celebre in Atene narra Pausania Per la qual cosa se non a Tito, sicuramente ad Adria no, che nell'anno 117. dell'Era volgare successe nell Imperio a Trajano. Di quanto narrasi in questo marmo convien darsi il vanto. Poichè questo Imperadore, come scrive Sparziano  inomnibus pæne urbibus,com aliquid ædificavit,o ludosedidit:efucotantoamatoda'Na poletani, che volontariamente lo elessero Demarco; ch' è quanto dire Pretore della lor Repubblica. Come prug va il Reinesio  contro il Capaccio, ed altri,che cre dettero esser questo un Magistrato:Greco;avendo avuto le colonie a fomiglianza diRoma parimente un talMa giftrato. Orciðne fa chiaramente conoscere, che il Ginnasio, e le scuole in NAPOLI sono ugualmente celebri di queste Scuo non meno prima, chedopo che questa città fi: sottolefinoa Costan mise aldominio de Romani; poichè febbene i Napole tanidall'anno diRoma,come sostienetraglial triil Reinefio finoad Augufto, edanche molto tempo dopo, toltone il tributo, che pagano a’Romani, essendo stati trattati da quelli con ogni piacevolezza,ed. amore,e reputati amici anzi, che soggetti ; fossero stati dopocircail tempo di Tito,o diVespasiano,se si vuol credere al Caracciolo, ridotti in forma di Colonia, Paulin Attic. Cic. De finib. Spart.in Adrian. Reinef. var. le&t. l.3.0.13. Lo Meliovariar, bection 6.3. 6.16 20 CO) 210 eto 7h OV V. Continuazione CIT per col ied che cole :ftu. onde magi 0 rife : e refi B 2 Cih   e refi più soggetti,preso avessero a dismettere gl’antichi greci inftituti. Tutta volta seguirono pur eglino, come manifestamentedaquantoabbiam dettoappare,adeser citarsi nella Ginnica, e tener te loro Scuole ben ordi nate ; con mantenervi ottimi professori in ogni genere di scienze. Ma in quale regione della nostra città situato esse le, e del Ginna-questo Ginnasio, molto'vario è il sentimento degli Au tori. Alcuni credettero, che le Scuole state foffero ove nel corso degli anni edificosi la Chiela di S.Andrea; non però questa oppinione quanto sia folle, e vana di leggieri si mostra ; poichè o fi vuole, che queste scuole sono divise dal GINNASIO. E ciò quanto sia lungi dal Summon.  le cole che di sopra abbiam detto,bastante mente lo appalesano; o fivuol credere,che queste era no, come in fatti furono,accoppiate,ed unite, anzi in corporate con quello; e giammai si verrà a mostrare esservi in tal luogo apparse vestigia di tali edifizj. E' ben vero,che essisupposero laddove fuinappresso eret to ilCollegio de'RR.PadriGesuiti,vifossestatoun altro Teatro, diverso da quello, che di sopra divisam mo; ma questo anche quanto sia inverisimile, anzi impossibile chiaramente appare da quel che in tutti i noftri İftoricisilegge; come dire: che Napoli a tempo parimente di Ruggiero Normanno dopovarj, e diversiac crescimenti diedifizj, ediabitanti, nonera, che'una Città molto picciola, etale,chefatta da quel Remi. surare, non li rinvenne il fuo giro maggiore, che di pallil;onde ove:mai figurarvifi voglia notanti diversi Teatri, e Ginnasi di quella magnificenza,ed a m piezza, ch'era solito dagli antichi edificarsi, non po trem VI. Sito delle Scuo vero,   tremmo mai concepire; senza che in sì picciolo spazio non vi farebbe rimasto luogo per abitarvi. Seguente sillogismo. Appare eglidicono da Platone,che: il luogo proprio per li Ginnasj esser debba il mezzo della Gittà: aveano questi, secondo gli antichi, il più dappresso le Terme; e come si deduce da Stazio nel Ginnasio de’ napoletani era vi un tempio dedicato ad Ercole. Orduppo Ito, che in Napoli il Ginnasio occupasse questa regione, veniva egli ad aver tutto ciò; perchè ella quafiil mez: zo occupava dell'antica Città; avea nel suo distretto le  chi IK er qual sopra tutti ik prese a difenderla, avendo preso, a scrivere di questo GINNASIO, che per la morte sopraggiun tagli, non potè terminare; fi appoggiano del tutto sul Altri all'incontro furono di parere, che il Ginna fro occupasse propriamente quella regione della Città, la quale per le Terme, ch'erano nelsuo distretto, chiamossi Termense; e si vede anche dagl’antichi filosofi chia mata Erculense, come chiamola Gregorio nelle fue pistole perloTempio,cheiviancheera inonor di Ercole oveoggièla Cappella detta S. M. Ad Ercole e dopo fu chiamata,comeparimente or fichiama,di Forcella. Non già come vogliono alcuni,ch'è troppo follia il credere dalla scuola di Pittagora,che quivi era, la qualeavea per insegna la lettera biforcata Y ;ma si bene, giusta che fu il sentimento de'più favj, da un antico Seggio, il quale facea per avventura per sua im-. prela, quelta lettera, che finoggimiriamo scolpita in un antico marmo sopra la porta della Chiesa Parrocchia ledi S.Maria a Piazza; e diede ilnome a tutto il quartiere. Quegli,che'fifostengono inquesta oppinione, come sivede da quel dotto libro, che Pier Lalena, 1 Gregor. Terme, Terme, ed un Tempio ancora consecrato ad Ercole. Dunque, eglino conchiudono,deve credersi di necessità, che questo così fosse. Pur tutta volta, posto che Platone non parli di quel che in fatti costumavasi nella Grecia al fuo tempo, ma soltanto di quel che bramava, che si costumasse. Poichè sappiamo per certo che tutti i GINNASJ eretti erano fuora delle porte della Città, o a can to a quelle, come lungamente pruova Meursio, e tutti gli altri, che dottamente hanno le cose deGreci co'lo roscrittiillustrato;e perchèleTerme esser potevano, come realmente sono anche in altri luoghi di Napoli, e cosi pure il Tempio in onor di Ercole, il quale ove fifuppone accoppiato al Ginnafio,figurar non fideve moltoampio,e magnifico, ma per ben picciolo,e come un nostro Oratorio, o Cappella; nè creder, che questo fosse stato solo, ma con esso insieme congiunti, o dentro lo stesso ben molti altridellamedesima formaerettiinonordiMercurio,di Apollo,di Cupido, e di altro Dio di questo genere, del Teatro, e Somma piazza. E per verità quiviiveg gonfi! ancheoggienellecase, che diciamo dell'Anticaglia, e in tutta quella vicinanza, ove dopo fu eret: to il Tempio in onor de'Principi degli Apostoli S. Pie tro, e Paolo infino al vicolo della Porta piccola della Chiesa della Vergine Avvocata, volgarmente detta l'A nime del Purgatorio, infiniti pezzi d'opera laterizia, e condo costume era di farsi universalmente da Greci ne' Ginnasj; devequestosentimentoanche con tutta ragione: ributtarfi. più koNon pochi finalmente contesero, eforsecon saldo giudizio,econ maggior fondamento,che ilGinna fio, e 'l Teatro stati fossero in questa città in una stessa,verso quella contrada, che anticamente dicevasi saparte fe secolo, quella di Berito  e quella di Costantinopoli eretta teflandrini;te del pra Viil Celan. notiz. di Nap. Giorn. V.Plutar.inopusc.viramepicur. non esse beatam.Strab.l.s.& Philostr. in Po lemon.] Spartian. In Adrian, Sueton. in vit. Claud. Gronov. dissertat. de Museo. Juftinian. Conftitut. Ad Anteceffores $.7.6 Dioclet. h.n.c.quietate velprofeffione fe excufat.6 l.10.c.eod. V.l'Autor della Stor.Civile del Regnol.s.  dur NON Comunque però ciò sia, rientrando in nostro sentiero. Dopo che Costantino trasfere la sede dell’imperio dele Scuolede nellanuova sua Città, non vihadubbio, ch'egli, echedopotraj. Lita ove crediamo noi essere stato il Ginnasio, viene ad essere per avven tura fuor delle mura, ovvero accanto a quelle. Continuazione quelli, che lo seguirono, tralasciaffero perla lorlonta-dpeolrl'taItmapelraifoe de nanza, di frequentar Napoli alla guisa, che ilorante - Costantinopoli. ceffori avean fatto; e che perciò venne ella anche me- Womenerico da no da’ private cittadini romani frequentata. Ma non per tempo di NERONE questo il suo Ginnasio fcemò dipregio :erano allora in letani, eglio an di marmi Orientali di una maravigliosa bellezza,in gui fa, che in niuna altra parte di Napoli se ne rinvenga tanta copia ; e vi si discuoprono parimente le vestigia d’alcuni edifizj, che pajono non aver fervito che per leTerme. Questo sentimento vien confermato oltre modo non solo da quelche scriveSeneca a Lucilio,che come di sopra abbiam riferito,suppone in fatti ilGin nasioaccanto alTeatro;ma benanchedalcostume di già ricevuto nella Grecia, il quale come testé da noi notossi, e d'erigere questi Ginnasj fuora, o vicino le 1 porte della Città; poichè comunque tra levarie op 0 pinionide'scrittorifisupponga, che fosseilsitodell' anticaNapoli,questo luogo veramente Oriente le scienze in un molto sublime grado. Per tro-rientali, accre varsi in molti luoghi delle famose Università degli Studj,  etonelIV.eV. delle celebri Academie, di cuiquella d’Alessandria Coʻ Leterati A stimonianza dal medesimo Costantino il Grande portavano 10-fa Agostino bilito netrai Napo 3 ita qual cosamoltidiquesti, ed egli altri Orientali soprattutto in questi tempi, ne'quali trovandosi la Sede dell'Imperio in Costantinopoli; rela era la‘nostra Città a quella fu bordinata, capitando continuamente in essa; questo gran cambiamento delle cose non solo non apporta niuno im pedimento alla letteratura napoletana. Ma moffii Na poletani dall'emulazione di superar gli Orientali, che è troppo naturale tra gli uomini,egli è incredibilequarto maggiormente ella fosse venuta ad accrescerli. Ciò tanto è vero, che anche nel V. secolofiori vano perciò in queste Scuole mirabilmente le scienze; e vi fioriva soprattutto lo studio dell'eloquenza, come attesta Agostino, che allora altresì,vivea. Perchè scrivendo egli contro gli. Grice: “You can see the difference between Rome and other civilisations in that the philosophical gatherings – as Austin’s were at my St. John’s – or the Athenian dialectics’ were at the Lizio, the Accademia, and the Cinargo – the Romans preferred to meet at Scipione’s! Call it Roman gravitas!”  DE’ PRINCIPI    DEL DRITTO   NATURALE.   Filofofo,e Giureconfùlto Napoletano. NAPOLI. Predò Giovanni di Simone  CON HCSNZJ P*’ SVfS RIQKl.    AL SIGNOR   D. NICCOLO’ MARTINO %   Pubblico Profeffore di Matematica  ne’Regg j Studj di Napoli, &c.   v.   LETTERA   Dell’autore, che ferve anche cP introduzione all * Opera.  Uefta picciòla operetta, che ora ho rifo  luto di efporre al  pubblico, Stimatiffimo Signor mio, fìt  da me comporta, fono già quattro  anni, per foddisfare al defiderio di  \ina Dama, che per fu a propria   a a i itruzione con premuro!!, ed autorevoli impubi mi avea coftretto  a darle in ileritto una chiara, e  generale -contezza di tutte le parti,   della Filofofia, di cuiella fu.  preifo che la conchiufìone . La ragione più forte, per cui mi fono  mcflb a farla comparir fola, lènza, che vi liano unite Y altre opere fi lo fo fi che, delle quali fu parte, ella è la lpéranza di poter col  fùo mezzo, più, che colle altre  contribuire in qualche parte, e  per quanto fia poffibile al profitto  de’giovani, eh' è fiato fèmpre  mai, e farà’ il termine unico de'  miei ardentifiìmi defiderj: poicchè  conofeendo quanto abbondevoL  mente datanti valentuomini fiali   • «k 4 *,   travagliato a prò de’giovani, facilitando con tante lodevoli maniere tutte le più intricate q milioni  della fcienza fìlofofica, pareami,  che quella fu blimc, enobiliflìma  Tua parte della r agion Naturale,  che pur contiene non men’ una  buona parte della Morale, e della  Politica, che la vera origine di  tutte l’umane obbligagioni, mancale di un’ ordine facile, e proporzionato alla capacità de’ Scolari $  lo che pareami non eil’erfi fatto fin  ad ora in tante Opere di eccellenti  Giureconfulti, e fapientiffimi Filofoii, che tanto bene han trattata quella materia, eflèndo gli di  loro libri certamente e foltanto  adatti, e proprj per gli uomini  provetti, e molto avanzati nelle  buone cognizioni . Onde riflettendo meco fleffo a queir occulta impercettibile forza, che difpone per   a 3 mezo di tanti improvifi avveni-, e fapientiffimi Filofoii, che tanto bene han trattata quella materia, eflèndo gli di  loro libri certamente e foltanto  adatti, e proprj per gli uomini  provetti, e molto avanzati nelle  buone cognizioni . Onde riflettendo meco fleffo a queir occulta impercettibile forza, che difpone per a 3 mezzo di tanti improvifi avvenimenti di -noi, e di noftre forti, e che  firn dal momento in cui giunfi in  gualche modo a comprendere per '  quelche a coloro, che fon racchiufi  Nel tenebrofo carcere, e  nell * ombra  Del mortai velo ;  vien permelfo, qualche cola dell’ordine, e del decreto delfeterna, e  di vina prò videnza, determina varai  alf elercizio della lettura, che dopo 4   tante variazioni di mia fortuna,  ho profeflhto per otto anni} a ni un’  altra cola mi ftimai obbligalo di  porre maggior Studio, che in prò-»  vedermi d’idee le più chiare, e  nette, come quelle che fono le più  neceifarie per ben comunicar a’  giovani gli precetti di quelle  fcienze, che vogliono apprendere,   e lo e lor tutto dì s’infegnano . E perchè a ben* illuminar la mente di  coloro, ches’applicano allo Studio  > delle leggi tanto nella Città noStra  coltivato, e giustamente tenuto in *  pregio, utiliffima, e quafi neceflaria pareami la notizia di tutte le  rnaffime generali del Dritto Naturale, come quelle, che fcuoprono la. vera Sorgiva delle Società, de’  commercj, de’ contratti, de* pat( ti, ed’ una infinità dì altre cole  di tal fatta, profittevoliffime all’  intelligenza delle leggi medefime,  ed aj buon regolamento della vita  umana, -credetti, che non efiendovi ni un’ opera per quel, che io mi  fappia, che ne tratti, e tratti in  modo, che ficuràmente dar fi poffa in man de’ giovani, il profi tro  de’ quali fopratutto ho avuto   a 4 lempre a cuore, non farebbe data  fuor eli propofito la mia fatiga .  Quindi proccurai di metter ciò,  che avea penfato, e fcritto per  la divifata occafione nell’ ordine  il più naturale, e facile, 'eh è  quello de’dialoghi, come dalla  tavola de' trattenimenti, e de’ loro fommarj giunta qui da predo  lì vede, Icrivendo colla maggior  polli bil chiarezza 5 febbene per  tju cl, che riguarda lo Itile delìderato 1’avrei più puro e femplice,  di che farò compatito da Voi, c  da tutti coloro, che fanno in quali didurbi, e rancori io me ne viflì per più tempo nè men dinanzi  di badar a tale opera, che dopo,  cd in quedo ideilo tempo, che hò  imprefo di darla alla luce 5 e con  tal mia proteda gentilmente farò altresì fcufato preffo coloro, che  non fanno il tenor di mia vita.   Ma comunque ciò fi a 5 e fe nel  defideriò di giovare a tutti io l’abbia fallita, pur non farà dannevole quella mia volontà di procurare f altrui profitto, poiché colui,  che fi affàttica per il pubblico bene, ancorché non vi riefca, pus  non deve privarli del premio di  effer creduto uòmo di buona volontà . Eccovi in poche parole fvelato il mio pen fiero, e quella mia  fatica quafella fiali, sì per impul-»  fo d* oflèquio al fuo merito, sì per  ragion di debito per tanti buoni  infegnamenti datimi, sì per infiniti altri motivi ad altri non dovea prelèn tarla, che a Voi Stimatilfimo Signor mio, perchè fempre con una fomma, ed ineffabile gentilezza avete riguardato me, e  favorite le mie cofe . Tanto più,  ch’eflèndo Voi dotato d’una mente fubiimc, che T avete arricchita *  di tante cognizioni coll’ indefejflò  Studio, per cui liete giuftamente  reputato per uomo di profondo  lupere, e.di politiflìma letteratura, di che fanno chiara teftimorianza gli dottiffimi Libri delle  • Icienze Matematiche dati alla luce, potrete ben garantire queft’ope- j  retta dalle punture inevitabili delf invidia, eh’ elfendo la più abominevole tra tutti gli vizj,pur  Tempre inforge a mordere chiunque li arrifehia di fottoporre alla  pubblica cenfura le fue fatiche.  Contentatevi di ricevere in buon  grado quelT attefhto del mio rif-,  petto, c di quella profonda vene raz orazione, con cui ammiro Ja voffra virtù, perche accurato della  voffra protezione mi lulingo di  non incontrar difagio, e fac end ole riverenza mi raffermo .   i   Napoli.  «   Di V.S.    !    ^ Dhotifi. Obbligati y?. Servidore  Giangiufèppe Origlia P. Èrche il Perfonaggio, chea   fé 30 Voi conviene rapprefèntar nel  fl Mondò, egli altro al fin non   fa r$(fe non m’inganno) che di  un Giureconfalto, o Avvocato, guitta che la  voftra natura, o inclinazione, che dir vogliamo, e l’ educaziojrede* propri Genitori, non   fAoas^4 tyòxots M Òr' aJ$j  ine ’ e che non è la  ‘ qt !i aIe **’ * ^ »*   In/Ta*™ J l j mh fi nza ampiezza afille,’   M“ i« alcun dì mi mortali d temi „,/ J   9 » e»trant Jìa-,t oppojla alle fu*   .Jan  «**£•«* J/ r:> ikf'fr .ym^ A T * ^ .. 4   O) InftÙ DiVro. vi. S., i 4 ; Grot. de indul^. «$•««* '    TV V  *•;   *.i fck» 5   4r  u   ¥    . ^di più oltre pafiando fi potrebbe altresì qon  ogni naturalezza arguire, che la giustizia,  o ingiuftizia dell’ umane operazioni, in   A4 fin    fanti tà, 0 bontà, non pub a patto alcuno, dalle ojfervanze di si fatta legete in  modo veruno difobbligarci ( f ) . Il perche agevolmente quindi pojfon tutti apprender quanto diffidi cofa fa, e malagevole  il giugner per Uomo alla cognizione non men  delle leggi de 9 Romani, che più di tutte V altre barbare Nazioni al Mondo travagliarono  nello Jiadio del Dritto della Natura, che degli fiatati, e delle confuetudini, 0 leggi della propria patria, fenza effer fuperfdalmen te almanco di ciò frutto, eh' è la fola, e la  vera guida, che aÌP interpr et amento di quello  può mai condurlo, e con divilupparne il lor  Vero Jfenfo fargli conofcere, e capire quante  elle giujìef ano, 0 ingiujìe . Quindi Ulpiano .  quel che fopr atutto Jìimò nelle fue injìituta  tieccjTario da faperf per un Gìureconfulto,   •* b° ni » et «qui notitiam ( 6 ), lodando Celf > 9 che defnito avea al dinanzi lui il   Gius :   C r ) Idem de indulg. c. a. et Uh. 1. c. I. de jur. Bell.   et pac. Pufendorf. c. ;.T. 2. §. 4. J. N.   C 6 ) L. i.de jud. Se jur. DE’ PRINCIPJ-'  fin altro non fia, che quella conformità,  e convenienza, che pofiòn mai quelle avere, o non avere con sì fatte regole naturali  a tale, che confiderate lenza un tal ri/guardo, e di per se lòie, puramente come dall*  Uomo fatte ( come che ciò fi fofiè una mera ipotefi,ed un puro liippofto ) totalmente  meritino d’ averfi per indifferenti. CoGius : ars boni, et aequi : Cosi fecondo attefa  Seneca appellarono gli antichi Giare conflitti il Gius della Natura, il perche CICERONE (vedasi) imputa a fomtno pregio, e gloria di  Sulpizio che : ad aequitatem, facilitatemque  omnia referebat, et tollere controverfias malebat, quam conftituere, per valermi delle  parole del dottijfmo Vives. Egli ha ciafcuna delP Umane azioni  una tal qualità, e condizione, che per fua  natura, giujìa il fenlimento di Platone nel  fuo convito, non fa in guifa alcuna nè turpe,  nè cnefa ; cosi, egli dice, è quanto adejjb  noi facciamo : il bere, per ef empio, il cantare, il difputare ; nulla di si fatte azioni  racchiude in se fconcezza alcuna, 0 onefà,  I . ., ma   Apud todovic. Vives coranaent, sd lib» xtx.  c. ai. Ani?;, de Civit. DvLoco . !.. xix. ] ria dal modo filo con cui vien fatta, apprende ella il cognome, che ha, 0 di buona, 0 di  cattiva ; imperocché quanto noi facciamo faggiamente, e con rettitudine egli non è fi non  buono, e onejìo ; come quanto da per noi vizìof amente fi opera non è, che turpe, e ifconcio : T* in diverf l-oghi delle fue opere cercò Jiabilire, e mojhare il medefmo Platone,  come è molto ben noto a chi che non fa in quelle del tutto forajìiere . Il perche /ebbene azioni veramente indifferenti fano il dìfputare, il ragionare, il camiuare, e altre si  fatte, non fi deve però il medefmo dell* altre  umane azioni afferire ; imperocché di tutte  quelle dalla cui nozione, o idea fi poffa con  ogni ragione per Uom ritrarre, e dimojìr are,  che faccino, o no mai a nqfìra perfezione, e  vantaggio, o utile, eh* è quell* appunto, per  cui a ciafcuna di effe V intrinfeca bontà, o  malignità s* attribuire, e imputa, non f può  per niun ver fi mai da chiunque penfi, siffatta  bontà, o malignità recar in dubbiezza ; comecché   ' ( T ? A D 1 omen]co Bernino Iflor. dell’ Ercfie . Tom. i.  c. a. del leccio 2.   v  • C Wt } D * luogo fopra.   ( ^ Heinec. v. nel luogo di fopra.    • * f\ - v».* »•* -* 1    dijcorfiy e del ragionare insìangujii termi k  m rijtretta ad altro per lui frvir non varrebbe $ che a fomminifìrargli una certa Speditezza per cosi dire, e dejìrezza vie maggiori  di quella i che fi ojjerva, e nell' operar   de' bruti,eper aggrandir in ejjò in parte, «  accrefcer le fue forze naturali, «w non miga  ?.. ;> per indurre nelle fite assoni, è recarvi la  vera moralità, come cofa del tutto imponìbile,  fenza lo ftirito della leg0, 0 un' infinità dii: vite dinanzi, che non  incìfe in noi quella ; egli e meJHeri dall * altro. U   • lerfo, che da fernoi Jì affermi, /z Ani, che per difetto di que/fo firgget to, che ingiufo, o malignò avjfe potuto e fervi mai, o che quefa  .gi ufi zia, o malignità aveffe pur potuto ridurre in atto, non f pofi'a quefia al meri in  afratto concepir, da queìi'ijiejfo mentre ejfer *  rifiata, in cui la fantità vi fu, e la bontà f  come ccfa a quefa diametralmente, oppofìa %   e contraria ; e ciò tanto più, che non ci Jì permette in guifa alcuna dubbitare, che l idee  di tutte quejì'e cape thè qua giù noi leggiamo  4 . fiate non vi fojjero nel divino Intelletto fin  * ab eterno ; é che per . ragione in quefio medeV fimo fi ebbe altresì accoppiata 9 e unita all  - idea deir Uomo, ch\in tempo a crtàr fi aveq 9 •  come un Sacerdote proprio della natura 9  !. r idea parimente del male, xhe quefii, cerne  creatura affai imperfetta» e finita potè a, g  dove a fare . Al dinanzi però dar fine a quefio,• avvertimento, avvegnaché fii alquanto più  lungo del convenevole. y non tyalafciamo qui  avvertir di vantaggi 0 » che fèbbene, que ’ motti deir*Apofiolo,da noi al di fi òpra recati', peccatimi non cognovi, nifi per lesero &st. alcuni I interpretino per la legge Mofaica, volendo, che in noi per lo peccato la legge della  natura ottenebrata alquanto, pria della legge di Mose JìaveJJ e ciafcun portato a peccare  fienza certa, e ferma feienza, e che di quello  fiato dell Uomo favellaffe in vqrj luoghi  rApoflolo dicendo : che (\£ ) iìnejege peccata t, fine lego erat, fine lege puniebatur : non  già per al fermo perche molte delle fu e azioni dinanzi ìa legge non erano in, guifa alcuna peccaminofiè., mafoltantq perche : non im . V V,./* V ’ f. ’g'ri .,A.i A V"V P9 T '-«fr   r ( ré ) .Ad Ronwa.vv r. ad GopqtN.P*?.; v. ai.    4    •r«rr-r- « ygn»  y yr - 1 .. .*“   ' • * -& ’ - 4 » . ^ : a f| HPani-itn 1 o por meglio dire : 177.  dell’ultima edìzion' r. iG. e io.   Hiftor. verer.teftàm. diili • \  ChrifolU hic. Aug. !ib. u contra duas epift, Pe.   P ecu,n Artibrofiaft. Eli. Giop «c. recati cìaCalmet.  tield. luogo. ‘ ‘ • 1   C *0 ) .Hierorj. ep.ad Hedibaro.q.S. Paraeus gMa Caimeu d. l.> "  v '"' f *'   •v.    a    •}-*} M. Così egli è appunto j anzi da quello nd* IV. l’ ifteflà guila parimente Ilom vede molto manifedamente, che H dritto Civile,  e il dritto pubblico, non che, quello delle  Genti, o qualunque altro, vai io, e divertì) dritto j eh 9 è tra noi, altro in effetto e  non Ira, o comprenda, che quelle ideile  regole della Natura diverfamente alle bifògne, e necefiità degli Uomini applicate,  e alle lor vàrie, e diverle operazioni adattate, cpnfiderati or come membri di una  lòcietà univerfalc, or come membri di una  V - . : '*v lo  f ^ \ .credere il S. Apofioln avèffi' in quejh luogo  voluto figurarci uri tlomo'at dinanzi degli anni, in cui comincia ad ttfiar della ragioni,  dìfiinguerla j e che perciò non opera tutto, (he  indifferentemente queir ifieffo, che in appreft  fio, e per la ragione gli fiàrd imputato a peccato y e a vizio y dicendo egli di lui meàejimo  non guari dopo : ego autetn fine lege vivebamt  aliquando ( il ) * Onde fifa chiaro, che Pilomo figurato da noi dopo il Grosdo, e il Puff  fendorfio fienza alcun In**? della ^oo,” r n - on  fi debba aver miga in effetto, e tener per  V, mcraipotefi . ' /,   . '* ( zi )• V.9. è. ep.id Rotti, «bf v. Ang. Ics contri Ju liamum c. 1 1. Hicron. &t. apud Corndium'a I «pwt o.   » Vi •* . .•    ù’ a   focietà particolare, or altamente in altro  diverfo flato, e fortuna.   D. Si bene : ma come provarefte voi mai la   V. poflìbilità, e l’cflflenza di sì fatte rei  gole ?   M Egli è, vaglia il vero, colà certiflìma, e   • che non li può miga per niun verlò da Uomo, che facci di fu a ragione un buon ul&  recar mai in dubbio. Ch’ ogni un di noi nell’operare egli fia Ifw  bero totalmente, e padrone della propria  volontà: e che per una sì fatta libertà  nulla mai di vero, o di fermo unqua nell!  giudizi delle cofe, che naturalmente noi  avertiamo, o appetiamo dal canto noltro  richiedendofi ( effondo pur il noflro intelletto affai dappoco, è fievole ) egli fi polla  per buono, e pier utile, o per onerto, e per  retto, che dir vogliamo, agevolmente  eleggere da cialcuno, e avere non meu  quel che in effetto e’ fia in fe tale; m 9 altresì tutto altro, purché fi prezzi da noi, e  fi reputi come tale ( D ; .   B IL Due adunque fon le verità, che  qui da noi fi propongono, e me t tonfi al dinanzi  de nojtri leggitori come ben certe, e Mimo  fra Jìrabili;come che ne ’ nofiri trattenimenti fulla  Metaffica fio no pur fiate elleno dffuf amente  mojìrate appieno # provateci quejìe fi è la prima la libertà, eh' ha ciaf c un di noi da poter  fare#d eleggere quanto mai gli sa buono # gli  và a grado, eh' è quello per V appunto, che da'  Scolajiìci dicefi d'ordinario indifferenza cPefer*  tizio; la feconda ella è, che non da altro y falvo dalla fodere hi a, e molto gran limitazione  del noftro proprio intelletto n avvenghi il feguir noi ben furente, ed eliggere un bene falfo  del tutto, ed apparente per un ben vero reale . Ad ogni modo per quel che può mai riguardare alla libertà della nofira volontà,  non tralafciamo qui pur di notare, ch' egli  non v' abbia a noftro credere tra le majfme  pejiilenziofe, e nocivi: allo fato, e al governo di una Monarchia, o Keppubblica y ch' ella  ipeggior di quella, con cui fi vie n quejìa  a dinegare, o metterla in guifa alcuno in forfè j II perche per niun verfo mai ciò permetter fi deve da Principi, e da Regnanti, giufia  rinveniamo, che dinanzi ogni altro fi fu l' avvi fo dell’ACCADEMIA; devendofi di neceffttà,  ciò pofio per vero, riconofcer Dio altresì  per Autore, e per propagatore de' peccati, e  de ' mali degli Uomini, non che annullar total*    C ** ) De Republ. lib. ili   . j 9   talmente, e derogar ogni legge, ed umano fa-,  tuto ; Qgindi noi queir Ere/te piu di tutte  E altre offerii amo, che fatto e'aveffero maggior guerra alla Chiefa di Dio> e recato maggior /pavento alla Reppubblica di Chrijìo   in cui una sì empia affirzione Jì //enne mai,  c difefe ; imperocché non v' ha al Mondo, vaglia il vero, chi non /oppia, per tralafciar  di far motto degli altri di tal fatta \ quanto/  fu mai quel fuoco, che v' accefe nel primo fecole r empio Mago Simone, da cui la fetta  de' Simoniaci ebbe il fuo principio ; e quanto/ fu quello, recatovi da Carpocrate, nel  fecondo fecole, autore dell' abbominevol fetta de' Gno/i ci, non che gli agitamenti grandi, che ella fffetfe in quell ' ijìefo fecola  per un Cerdone, e per un Alarcene; e per un  Curbico, o Manes in appre/b nel terzo, Capo  de' Manichei (21 ); del rcjto per quelche riguarda all ’ intelletto, egli fi ha altresì altrove moftro molto alla dijlefa>e nella nojira Meta/fica ; I.Ch' in ogni, e qualunque azione  nojtra libera non men quejìo vi abbia la fua  parte, che la volontà • non potendo/ per la  volontà inguija alcuna defiar altro mai, 0 ap-\  petere, /alvo ciò che dall' Intelletto pria gli   • B * 2 . . /reIl Semino nell» Ilìor. dell ’erefie ci. Se;, ^   c. 6 . Sec. II. c. 1 ». Sec. HI. ., Ch’ a tutte le colè qua giu create, le  quali dal vero, giufto, e dritto fentiero fi partano, faccia medieri che fi reggano in  ogni tempo, e continuamente fi regolino  giuda qualche norma.   Il    Jt recò, e mofirò per bene e per utile ; ne da ella evitare, o ifchifare altro mai Jappiendofì  che quello, che per quejìo le gli vene r apprestato come malo e cattivo . 11. Che non Jt  pojfa Uom mai dar in colpa, ne accagionar di  altro, che delle azioni Tue libere, come quelle,  che fono le Jole che pojfono per leggi regol arf,  giujia da quello, che qui al di fopra fi diffe,  ciafcuno imprende ; Il perche in quefo tutto,  fenza più ci rimettiamo noi a ciò, che n abbiamo ivi favellato .   * ( E ) Chi che porrà mente mai, e vorrà  attentamente confderar le cofe del Mondo,  conofcerà, fenza dubbio, agevolmente la verità di quanto qui noi diciamo, niuna ejjendo vene in realtà per cui Dio non abbia preferitto y e formato certe, e proprie leggi, e  una qualche norma proporzionata totalmente  alla fua natura, e c^njìituzione ifiabilito ; cofa che fopr atutto miriamo in quelle di cui qui  Jt tratta, inguìfa, che non fembra fopra ciò   punir  Il perche fe pur quello egli è fi vero, e certo  come noi lo abbiamo, egli fa meftieri altresì aver come tale, che tutte 1* azioni  dell’ Uomo libere, e dipendenti da lui,  debbano qualche norma avere, e giuda quella per l’appunto efier mai fèmpre  difpofte, e ordinate: lènza che l’ Uomo fomigliantiflìmo a colui eflèndo, che   B 3 creo!  punto fia mefieri il pili dffufamente difenderci, e di vantaggio .  Per quel che ben faggiamente egli  vien notato per un autore ( 24 ) abbiam noi  due ben diverfe, é- differenti fpezìe d' lnfìtuzioni ; r una delle quali eli * è del tutta.  arbitraria, e dipendente da noi medefimi ;  r altra come nella natura della cofa ijiejfa  conffente del tutto, e fondata., altro non è }  che una fegvela ben molto neceffaria di quanto f ebbe al dinanzi penfato, dove pur coll* .  operar al r over fcio totalmente di ciò, che pria  fi abbia avuto in mente d'operare, non fi voglia fe medefimo metter in /memoratine X  e obblianza ; un Architetto per efemploavve-'  •*•«•■ .•••'*! gna •> 4 Pufendorf. fpecim cofltrov. Cf. Joan. &rW.ùÌ  fw* 1. J. N. c# ij, *v* ‘ 5 * • » V' > --‘A l creollo dapprincipio, c a colè infinitamen*  te, c da troppo più al di fopra di quelle,  che qua giù guardiamo di detonarlo fi  compiacque, e contotuirlo, egli è per al  fermo una fconvenevolezza grande oltre  mifiira figurartelo, che polla mai da te,  lènza qualche norma, o legge operare, la  cui ofièrvanza, o rifpetto dagli altri animali divitendolo, gli vaglia non men per  indurre nelle lue azioni, oltre l’ ordine, e  decoro, molto altresì di bellezza, e di    leggiadria, che per un gran argine, e ritegno alle file sfrenate pa filoni, e alli fiioi  licenziofi affètti ; cote che vie più per cer  ta, e ferma deve egli averfi, che te non  » • * D v. x   v * ho    gnache in fio arbitrio, e potefià egli abbia dì  f ridare, o non fondar e, giufia, eh' a lui vie  più aggrada un Edificio, o P alaggio, cF egli  fia> affai magnifico, ed eccellente, dopo aver  «li iifpjb, e ordinato da vero fabbricarlo  fa mejiieri metta in affetto y e in punto degli  materiali tutto altrimente, che s* egli ne vo*  leffe mai un mero, e puro difegno ordinare, e  difporre ; poiché fetiza fallo apparirebbe un  matto univerfalmente a tutti, e un melerfo y  fe fatto, e formato et? egli ri* avejfe qufi”,vo%    2*  hò delle traveggole in sù gli occhi della  mente, la libertà, che all* uomo compete  come a creatura molto è diver/à, e diffe,  rente da quella afioluta, e indipendente  propria di quell’ efier fùpremo, e increato  che qui quanto noi veggiamo confòmma  providenza eterna regge pel continuo, e  governa .   B 4 . D. Ma  Puf end; c. i . /. J. N. et Cic. de LL.    lejje egli mai tenerlo per quello ; comeche tutt avolta ciò non impedifchi punto, che la di fpofizione, e P ordine de* materiali JteJJi non  fi riguardi come un vero effetto del difegno,  e del libero volere de IP Architetto ; or dell '  ijtejfo modo appunto dir pojfiamo di Dio, e  prejjò poco per una fintile ragione lìberamente  offerire, eh 1 egli febbene aveffe avuto la libertà tutta di crear, 0 non crear P Uomo, e  formarlo animale razionale, e fociabile ; per  tutto ciò dove egli fi dì fpofe pur di venir a IP  opera, e di metterlo al Mondo, non potea non  imporgli, ne addoffargli tutti quegli obblighi  e doveri, che dì necejfità convenivano alla co fctuzione, e alla natura di una si fatta creatara ; il perche dicendofi, che la legge della  natura dalla divina Inflazione ne dipenda^   do ’ -Ma le di quello mai avvenifle, che ne il  - dovefie render perfuafò un Ateo, qual  modo tener fi potrebbe ?   M. Egli farebbe quefio di certo per Uomo  una cofa a fare molto agevole, e facile ;  imperocché non bramandoli da noi per natura, fe non ciò, che utile ci fembra, o  buono, e tutto altro, che malo, o per noi  di poco vantaggio Io fi crede, eh* e* fìa,  nulla prezzando, anzi ilcanlàndolo via to- \  talmente, ed evitandolo, non polliamo  naturalmente, e per una propria nofira  inclinazione non operar quelche riputiamo mai per noi fruttuofò, e utile, e gio. vevole: e isfiiggir all’ incontro, e ifchifare  che che tale non fèmbri, efièndo non che  del nofiro appetito fènfitivo, del razionale  parimente proprio, ed eflenziale rivolgerfi  . vie Tempre, verfo l’utile, edaciò, che  alla natura umana pofià alquanto di con fòr  thnon è da intenderli miga di una incitazione  avviti aria, come f fu quella, da cui ne prove*   ** ia n j » a, ma * ìnfiituzione fondata,   epojta del tutto nella natura medefma dell *  uomo, e nella fapie n za di Dio increata,  .quale vi modo alcuno mai non pub un fine prò •'  porfi, o volere 9 fenza li mezzi altresì jg*  giungervi neceJJarj . v, ap  forto recare, ed alleviamento, come della  iioftra averfione al rincontro egli è l’appartarfi da tutto ciò, che mai può a diftruggerla valere, o a nuocerle in modo alcuno ; li  perche nella natura ideila dell* Uomo, e  delle colè create fi veggono mille, e mille  ben differenti ragioni", e motivi per cui a  quello egli anzi vadi appreflo* e lègua, che  a quello, o a quello vie più, che a querto;ciò  che per verità, è (ufficiente, e baftevole  per obbligarci, e per trarci a quello, che  mai potrebbe, o varrebbe in modo alcuno  a ripolirci, e a darci una perfezione maggiore aflài di quella, ch’or abbiamo, e  tutto altro, che contrario abbiamo mai conolciuto effèrci, e che nacevole, e di liniero abbiamo unque potuto elperimentare,  lalciar via in abbandono, ch*è quello appunto in cui confide il dritto della Natura  (c); Verità, che conolcere, e comprender fi deve da chi, che nello Audio della  Filolòfia altresì mezzanamente venghi  verlàto, giufta pur liberamente Icriffe il  Maeftro della Romana eloquenza Cicerone ; fa fi: etiim nobis, (egli dice nell* aureo fuo libro de’ Tuoi Uffici ) (d) f modo   m   (e) Gr»t. Prolef. I. B. P. $. xi. VPolf, Pbilof, Zittiva/,  f. t. Hrìnre.c. i. 7. JV. $. XI 1 1. XIV,   ( d) %Àb, j. ( V. l. Quante, e quali dunque fono le diverse spe- De LL. natur. c, f. §. 17. ] fpezie d’ obligagioni, che noi abbiamo f  M. Molte moltifiime ; ma due però fono le  principali : le naturali, e le divine; poiché  a quelle due lòie /pezie, come a proprj  fonti e 5 par, che fi pqliòno mai dedurre  1 * altre tutte infieme.   J>. Quali: fono l’obbligagionì naturali?   M. Quel le, ch’anno pera vventura l’origire,  e la dependen^a dalla ftefia natura del i’uomo, e delle cofe create, o per meglio dire  da’ motivi nell* ifìeffà bontà, o malignità  ' delle azioni confidenti .   D. E quali abbiate voi per Divine ?   M. Quelle al rincontro, che ne provengono  da* motivi diverfi del tutto, e differenti  da quegli, che il più gir fogliono al  di dietro delle naturali ; come fono per  efomplo li favori, e le contrarietà tutte,  che diconfi, ( ma non molto piamente, anzi con gran improprietà del linguaggio Cattolico ) della fortuna ; imperocché  io mi credo, che chiunque mai fia ben perfàafo, e certo, come pur dalla ragione, non  che dalla noftra veneranda Religione, eh’  efpreflamente lo c* infogna, imprendiamo,  v neppur le foglia, e le chiome degli alberi,  e delle piante fi fouotano in modo alcuno,  ofi muovano fonza il voler divino, dine» gar egli non potrà per verità, che quanto  1 C di     di fecondo mai, e di defilo ci avventili al Mondo, o di traverfò e di fènidro  * fi rincontra, non che giuda la bontà, o malignità ifleflà delle nodre azioni da noi il  piu delle fiate fi fperimenta, come tutto  dì la fperienza altresì ( G ) lo ci dimodra,  da quell’ idedò immenfò, ed eterna fonte  di tutte cofè non derivi,* e confèguentemente tutti li nodri profperi, ocattivi avvenimenti guardar fi debbano come tanti  diverfi motivi, di cui accoppiati, e uniti  alle nodre azioni, o inazioni, che dir vogliamo, quell* efier fòvrano e eterno fi vaglia ben fovente, e ferva per obbligarci di  ben in meglio operare, e per trarci a quedo anzi, che a quel genere di vivere di gran lunga vie più limile, e conforme al  fuo fànto volere ( l).   T). Ma la natura delle cofe, come altresì  quella dell’ uomo provenendo da Dio, non   • po ( 1 ) W' o!f. FhUtf. Prati, Univerf. c. 3 *    Nel notar qui noi, che il piu delle  fiate gli uomini al Cren in quefio Mondo vengano da Dio trattati bene, o male giufia la  malignità, o bontà delle proprie azionici fi am  rattenuti alla /rafie di ÀuguJìino^ì^xumcpic %   {egli    potrefcbomo noi parimente con ragione  i’obbligagione naturale dir divina?   M. Senza alcun fallo nondimeno i motivi  dell’ una efTendo molto differenti da quelli, e varj, che in conflituir l’ altra concorrono, come ben voi con far alquanto di riflefiione ne’ cafi fpeciali alli buoni, o ti idi  avvenimenti, che entrano in luogo de*  motivi delle azioni noftre libere comprender potete, non dà bene ad uomo il confonderle ; il perche molti vi fono, che sì fatte  obbligagioni naturali per difiinguerle anche totalmente dall’ eflerne, eh’ eglino   C a me  ( egli dice ) ( 2f ) et malis mala eveniunt ; et  bonis bona proveniunt; ma non ( femper ) tutto il giorno ; perche ben fruente Reggiani noì %  per un occulta difpofizion divina, co* avvenghi tutto al contrario, e diverfamente, come  notollo anche Seneca ( 26 ) .non che il mede fimo ( 27 ) ; /ebbene molti /furono d' avvifio,  che nella dijìt ibuzione, che fi 'fa mai tutt ’ ora  dalla divina provvidenza de'benì, e de' mali  tra gli Uomini ad ojfervar fi venghi fempre e  mantenere un ben perfetto, e vero equità   . brio;   De Civìt. 1 » 10. c. t.   Senec. eie provid.   t 17 ) Auguft. d. 1 . medefimi ammettono, le dicono altresì obbligagioni interne,   D. Ma fpìegatemi didimamente quali fiano  quelle alti e .   'M' Quelle che ne pofiòno mai provenire  da motivi, che non fi arredano, che  nella volontà di un ente, che avendo  sù di noi tutta la podefià, e la mano, può  egli, e vale a qualche cofa buona in fe \ e   one ( m) Tbo'n.if.fund.jur.Tkit.fy §.LxV'&fe£U»    brio ; nondimeno convien confijjare, che quello, che malo apparifce agli occhi ncjìri, egli  non fa veramente tale, e che quanto noi miriamo come un difordine, e un /componimento della natura, egli Jìa in fe un ordine molto ben injìgne, ed eccellente, non potendo mai  colui, che quejìo Univerfo regge, e governa  com * Ente fommamente perfetto, cE egli è, e  la fefd fapienza, eJJ'er V orìgine, e la caufa  di male alcuno ; come altresì par che fi fife  fiato di fentìmento Epiteto : S>  roÒis xapàt'ods, cioè r.eVuori, e ne’petti degli  uomini, fcritto, e incifo ; peroche non dobbiamo sù ciò dar a audienza del Grozio e del Clerico, li quali detorcer  trattarono cotali motti, e prenderli, per  quanto e' potettero in altro, e diverfò  fenfò, giuda, che pria d’ogni altro rinveniamo alla difHifà, che provato avefle il  Budeo ( q ). Per la qual colà fi vede e comprende chiaramente la milenfaggine di  quegli antichi Giurifti, non che di coloro,  che negli ultimi tempi mifero ogni lor ttudio, e cura in difènderli, o alla cieca fèguirli, lì quali divifàndo il dritto Naturale in primario, e fecondano, e’ voleanoche peravventura del primo cosipar te ( n Row. 11 . 14»   Po') Ibid.   C }> ) ArK crìtit. p. 2. feci. i. c. ir. r.   in flit. Thenlog. Murai, p. 1. c. z, $   e cojìringerci di quelche al fammele all'eterno  Monarca compete, in cui in ogni tempo, e del  continuo,giujìa che ben dijje V Apojìolo agli  Ateniejì (33) : vfaimm, et movemur, $  fumus ?  A&. 1 7-1 v. i 5 .  vero come è in effètto ; bramando or noi,  ed andando in traccia fapere qua! fia il vero  principio de! Dritto Naturale, o per mèglio dire, una verità-, o proporzióne principale, da cui trar li debba, come da tónte  pór via di giufle conlèguenze, e difcorfi  tutto quello, eh 4 è giuflo, e al’a norma  della Natura conforme, che giuda teffe  noi detto abbiamo, è la volontà ideila divina, non fi può, miga con molto buon  raziocinio un cotal principio dedurre né  dalla convenienza, che può mai effèrvi fra  le noffre operazioni, e la làntità di Dio ; o  dall* imrinfèca bontà, e malignità, giuftizia, ed ingiultizia dell* azioni dell* uomo;  ne dal ben dubbio, e incerto coniente) delle  Nazioni, o delle Genti ; o dagli precetti,  di cui ne fanno, ma con una grande inventimi laudine, l’autore Noè, giuda gl’ebrei ; o dalle diverfe, e varie convenziCH  ni degli uomini, o per meglio dir, dal  Dritto, che può mai a cialcqno in guilà alcuna Ipettarc in tutte colè, come veggiamonoi, che fatto egli abbia TObbelìo,   ( t ) o dalle leggi dell* umana locietà, giu- >  fla al Grozio, ed altri ; ne dallo flato deli 4  innocenza, fecondo 1 * Alberti Teologo, e   D -fi [ t > L:b . de Ove et in Leviatb*    v    jo •  Filofofo di Lipfia ; o finalmente da quell  ordine naturale, che il fòmmo fattor del  tutto nel creare, e formar il Mondo lì può  credere, che fi àVefiè mai propofio, fecondo che dopo lo Sforza Pallavicini fece il  Codino ( u ) . Poiché quelli, e altri fcmif Pianti, e belli, e dotti trovati tutti par.  che difettino in ciò, che in qualunque  di efTi aggraderà mai > o piacerà ad alcuno  contendere, che quello principio del Drit• - . • . : • j . • to     Dìflert. de Jur. Mundi. Egli r- uopo con tutta /incerila e  nettezza confejfamo, che vifi rinvengano non  pòchi nella focietà degli uomini, citi non debba premer troppo lo /ìndio delle Jcienze fpec illative, e che pojjdno in buona fede kj ciarlo ;  ma non pojfamo con ragion alcuna offerirli  me deiimo della Triorale ? della Colitica j e di  oucjìafeienza del Dritto della Nat in a, effendo ogni uom tenuto fornir fene almanco Jtn  a un certo fegne^dove egli pur voglia far buon  ufo di fua ragione. Il perche conforme in quel  cenere di Jcienze alcune fottigliezze molte fia°tc fon tolerabìli, e laudevoli, purché non nano di Soverchio fantajìiche, e fuor del cornuti  ufo : così in que/ìe ultime, non fio ncn meritano, fi  tordella Natura confida, non mai egli potrà tutti li doveri dell* uomo, come fi converrebbe veramente per far E uffizio di  vero principio, ritrarne; lènza che fon eglino ofcuri del tutto, ed incerti, ed in nulla  evidenti ; il perche lafciando in non cale  (lare quanto ad uom mai intorno quello argomento piacque dirne, o lcriverne,fenza  metterci così alla cieca l’altrui orme a legume, egli non mi pàr, che vi fii meglior  mezzo per conofcerlo e dilcoprirlo che  considerar alquanto attentamente, e a fpiluzzo la natura dell’ uomo, e tutte le lue'  'inclinazióni; perche perni fermo ciò facendonoi, lo rinvenimmo, lènza fallo, fin  dalla culla per così dire, e da’ lùoi primi  anni, in cui egli è cofa alfai lieve conofcere,  e vedere quejche gli fia naturale ( x ), e da  Da - qual« CICERONE (vedasi), dt fin. bonor. et malor.lli-.z. (    tanó da veruno ejftr approvate, e lodate, ma  Jì devono altresì oliremo do fempre mai come  ben fofpette, vituperare ; poiché avendo sì gran  bìfogno e necefjìta d'ijtruircene, come tejie noi  diffmo ) debbono elleno con tutta naturalezza  trattarti, e /empiitila ; cofa che bajìa (fui notare per far cono f cere ad ogni uno il mot ivo',   qualche abito, o cofiumanza in lui non  provenghi, fi porti mai fèmpre verlò rutile, ne altro unqua vi fii, che quello,  che meriti con ragione, e da fènno per  vero principio del Dritto della Natura  d’ ayerfì ; lènza che le vi piace paflar più  oltre, e dar parimente una qualche occhiata aerò, che n’imprendiamo dalle  Sagre Carti nel mentre, eh’ e’ fi rinveniva  nello fiato dell’innocenza, il limile noi  -rinveniremo, e non altrimente ; avvegnaché allora, giufia che comunalmente fi  vuole, avuto egli non avefiè, come per  al prefente il cuore di mille, e mille paffioni, e di varj, e diverfi movimenti, e affetti ingombro, e ilmoflò . Quindi lo fiefiò  Dio alla prima fiata, che favellò all’uo> mo nel Paradiso terrefire, per obbligarlo  all’ ofiervanza de* luci divini comandamenti, altro non lappiamo noi avergli propòfio, che l’ utile, che da ciò potea egli  ’ ‘, mai EpMetus ErXEIPlAlON c. ;S..   r t, .    e la ragione, che Jì ebbe in quejìa Operetta, di  non feguir ninna deir altrui oppinioni circa  al princìpio del Dritta della Natura, fenza  darci la briga di piu a dijiefo rifiutarle, c con   pili, h  mai trarne, e ’l danno, e difvantaggio*  (2) che dal contrario operare gii farebbe  unqua avvenuto favella ufàta da lui con  l’uomo altresì in ogni, e qualunque altro  ‘tempo dopo il peccato, non men per mezzo de* faoi Profeti, che per Io fuo fig Muoio, Giesù Chriflo, com’ è ben noto a chiChc abbia letto pur una fol fiata li làgri libri; nè fappiamo noi, per al certo, altroché  quello lòlo mezzo da Dio praticato a determinar l’uoraògiufta alla fua divina vo- lontà ; anzi io non mi credo, che tra noi fi  rinvenghi perlòna alcuna, che dovendo altri pervadere, e* naturai mente non penfi,  che perciò altro meglior modo non v’abbi,  o fi rinvenghi al Mondo, che di propor;,V ; > D 3 f ; \. > gli   ( 2 y Gene/, c* z. 1 6. 17. èc ., " 1 1 * \ *   pih motti impugnarle ; rinvenendojì di già,   ch'abbiano in ciò foditfatto appieno^ed appagato ciafcuno fujjicientemente molti al dinanzi -,  noi(ia)con una fomrha e rara loda veramente^   td‘ g  Puffèndof. fpecim. controver. iv. 4. iz. Henri.   Coccei. drfE de jqr. omn. in omn.Thom.fondam.f. N»   I. 6. 1 8. Jurpr. Divin. IV. 40. feq. et de fundam. defmiend.  canfs. Matr. haet. recept. infufK XVllf.S. M.de Cocceis de  princ. I.N. di/T.I.q. U.$.IX. feq. et q. III. § . VlII.Petr. Dan.  Huet.q. Alnetan. II. p. 173. &c.  e eh * imperò prenda alcun il  motivo di accagionarci, avvegnaché Jì tratti:   no pur per il dritto iltefiò delia Natura,  non fia miga da metterli in dubbio ; Ad  ogni modoconvien confeflarc, 1* uomo lia  totalmente quafi incapace dell* acquilo  delle vere vir;ù, le quali di vero non  fon da reputarti d’ altri proprie, che di  Dio ; imperocché le l’uomo opera cola  che onefta, e giufta, o di decoro ella  fia, lo fa lòlo, perche vien egli tratto a  farlo, e portato dal guadagno, e dall’ utile, eh’ egli mai riconolce poter ritrarne,  e non già per la bontà lòia e l’ oneflà dell’  Azione,* colà che per i’ appunto è quello,  che rende Tazion dell’uomo imperfetta  alquanto, e difettofa, perche della vera  onefià, e della vera bontà non par eh’ ella  nè porti in effetto, eh’ affai picciol fegno,  a tale, che più non fembri d’efia • Al contrario Iddio operando con motivi infinita . * rnen  tìdicofa mera arbitraria, dì jlr alagli nza\ poiché lafciando pur da parte Jìare, che da  malti degli antichi (3 f ) tifato JiJoffe altresì  in qucjìo modo, che noi f t/Jìamo, non che   ' da*  C Jt ) Cic. lib. rie offic. ;• . * j    mete d’ affai piu alti dell* uomo, non fi  lafcia così portare, ne trar mai le non dal  giufio, e dall’^onefto proprio dell’azione, eflèndo quello giufio medelìmo, e  quello anello, lo fteflò Dio . E così confórme l’operar dell’Onnipotente, egli è  come un acqua, che chiara, lucida, e  crifiallina ifcorrendo tutt’ ora da un ben  terlò, e limpido, e polito micelio, totalmente d’ ogni lòzzura, e laidezza, monda  fi mira e netta, così quello dell* nomò al  rovelcio è come un acqua torbida, e piacevole, che da una diverlà fingente deriva   S   ' A ’ 1   * _ ^ . t _ j .,    da' Padri della Chiefa 5 rinviene  comunalmente in quefio Jfènfo adoperato nelli  fagri libri, come per alcuni pajfi, che apprefio  ne riferiremo agevole fa il riconof cereali per che per dir tutto in un motto, non deve recar  maraviglia ad alcuno, che da noi non fi ammetta mai dell' utile dij cip agnato è dif unito dalla  pietóso fa nonefiendovi ne pii* certame pili vera di quefia gran majfima dell' Epitteto ( 37 )   0718 to' cvpyófop, **« to’ ìw'tfft* cioè l ubi Ut!» "   litas, ibi pietas. ) DeGivit. Iib. 19. c. ai. Si &c. EFXEIPIAION C.3S.     va, Cozza, in fé tutta € fporca, non potendo  egli mai, per quanto fappia, e vaglia, non  commanicarle delle lue imperfèzzioni, e  laidezze j verità, che la conobbero, e  comprefèro altresì li Gentili, fcrivendo  Cicerone in parecchi luoghi delle lue  opere, e confed'ando., che nell’ uomo non  s’ ileopriva altro Gerttf.c.i, v. z6. ire, . /•; t    propria, e fòia d’ un Ente lùpremo, e infinito ; poiché al certo doverebbomo noi te• ncrci pur troppo beati, e avventuro!! al  Mondo, quando ciò ottener da noi fi potette ( M ) ; Non confittendo veramente in  altro la lèmma felicità, che per T uomo fi  può in quella vita avere che in un gran  agio, e deftro, da poter del continuo in  tutto il corfo del viver luo vie meglio  Tempre perfezzionarfi, e giu&here con ogni  aggevolezza, e lènza intoppo a far tutto  dì progreflì maggiori in ogni genere di  virtù . Quindi il non mai abbattanza lodato    ( M ) Per quanto mai tratti V uomo dì ne fiegue lènza dubbio, che dove purvo• - gliamo noi le nolìre azioni regolare a  » nolìro utile, e vantaggio, damo obbligati  altresì quell’ iftelfe determinarle a gloria  di Dio, acciò chiaramente da quello apparila di conolcerlo, e quanto mai a noi  è pennellò in quella mortai vita comprenderlo, e adorarlo ; onde I* uomo è tenuto non folo a molti obblighi e doveri  verfo di le (ledo, ma altresì verlò Dio, luo  fattore, e Creatore. E per al fine elTèndo ogni uomo naturalmente tocco da un gran piacere, e diletto  - per T altrui perfezione, dove egli pur  non vengfii da ben contrari affetti impedito ; e T azioni libere dovendo Tempre corrifpondere, e convenir totalmente con le   na  cofcienza godere, che maggiore nè decelerare,  nè bramar Jì potè [fé unque da uomo al Mondo, chi negar mai potrebbe da fenno non effer  ‘noi li piu felici, e benawenturati del Mondo, ne a morte, ne a ccrruzzione alcuna fog .  a etti ? poiché giufta il faggio, Cuftoditio legum, confumatio incorruptionis eli,   in C  Sij). c.\n,    naturali, abBifògna conchiudere * eh’ ogni  uno debba operar non meno per lo proprio  Tuo vantaggio, ed utile, che per l’altrui ; e  ch’imperò abbia a conofcerlì V uomo obbligato a molti doveri e uffizi altresì verfò gli  altri. Il perche effendo egli colà ben certa,  ed infallibile, chedovepur ci aggraderà  con tutta la diligenza, e 1* accuratezza  del Mondo gli enti tutti, che ci danno  dappreffo, o allo ihtorno confiderà re, non  iè ne rinvengano, che quefìi e tre fòli capaci d’ uffizi ; ciò è : Iddio, noi medefimi,  e gli altri uomini, a noi per natura totalmente uguali, e fimili ; fi può con ogni ra *• g io * incorruptio autem facit efie proximum Deo ;   cofa che fa vedere, e concfcere quanto faggio  Jifrffe il di /correre, e il raggiera?' di coloro  tra gli antichi, che voleano, la vita beata  fri nella virtù fi conìengki, gjujìa Grifone,  Senocrate, Speu/ìppo, e Polentone ; come quella ydf era la fola, che un bene ben Jì abile, e  fjfo, e durevole comprende a ; come eh e Epicuro altr etì, che fcritto avea la voluttà e/fer  il fine de ’ beni, negava, che per alcuno f  avejje potuto mai giocondamente vivere fe  onejìa, e /ozia mente } c con gitjìizia vivuto   non gione da per noi diftinguer T utile, e dividere in tre generi diverfi, o fpezie, eh’ elleno fi liano molti differenti alle quali  tutte e’fà meftieri,che per uomo fi raguar> - di, dove egli brami d’ operar veramente   bene, e giufia il Dritto della Natura, imperocché fècondo.il numero degli enti, tettò noverati, capaci di Aever da noi uffizi,  altro è l’utile, e ’1 vantaggio, che noi  tragghiamo da Dio, altro quello, che abbiamo dagli uomini, e altro finalmente quello, che provenir ne può mai dalla noftra  fletta per fona . Oliali dunque di quelli meritano il primo  lu^o.   M. Ettendo ciafcun di noi, per quel chedif fimo     non Jì avejfe ; fentenza veramente grave, e  degna dì un vero Filofofante, s' egli viuji a  feirive CICERONE (vedasi), riferito non avejfe alla  voluttà quejio medejìmo c neramente, favi a mente, e con giujiizia; Ma che che però di cil> y  ne fi conchiudiamo con queir aureo detto di S,  Augufino: Pax noftra propria, &hic   eft  Tufcul. qu. 1 . 4”,    Ds Civic. 1 . xix. c. 17.   fimo al dinanzi, tenuto far tutto ciò, eh" e*  conolce ellèrgl i di vantaggio., e d’ utile, e  - non eflendovi Ente alcuno, Che maggior  giovamento recar gli poffà giamai, o vaglia di Dio, da cui dipende ogni noflro bene, ed avere, e come Ente perfettiflìmo  mira fino all’ interiora del noflro cuore ; ip  ogni nofira opòrazione che che /òpratutto  fiam in obbligo guardare, egli fi è qdefto  Ente fupremo, ed eterno., cui con tutte  le potenze del noflro fpirito fiam obbligati  nonché nell’ efierno, nell’interno ancora  tutt’ ora oflequiare, e in ogni momento  compiacere, e venerare . In apprefiò perche egli è affai più l’utile, che da noi medefimi poflìam ricogliere,di qualche da altro uom mai ricogfiamo, egli è meftieri,  che apprefso Dio nel noflro operare da  ciaf un di noi fi miri molto piu al proprio,  che all’altrui commodo, o per meglio dire,  • alli diverfi doveri, che dobbiamo verfo noi   E ' ' ftef • • * i .*    eft cum Deo per fidem, et in asternum erit  c um ilio per fpeciem; fed hìc ftve illa communisjfive noftra propria talis eft pax, ut fòlatium mi/èriae fit potiùs, quam beatitudi-^  nisgaudium, . Niu  T    v    r    -A    fieflì vie molto più, ch’a quel li, che dobbiamo alla perfora altrui(N).Il perche per dir    s 9 egli a fi la finità del prrjjìmò membro   traef-, come da ciò, che fin qui hò detto, e diro  vi in appreflo-potrete voi da voi medqfimo  comprendere; poiché quanto da quefto  mai fè n’ inferire, ad altro infin non fi riduce, che aquefto fòlo: ciò è : Che la perfezione dell* uomo in nuli* altro mai porta  confifier, ne fondarli, che nel temer  Iddio, ed ofièrvar a /piluzzo, e con ogni  efàttezza del Mondo ( giufia Pinfègnamen*  to ( e ) del Savio ) li ìuoi divini comandamenti . Il perche non fà miga contro noi  quel che difputano il Grozio, il Purtèn - dorfio, ed altri contro Cameade, e fuoi  lèguaci, da cui fi veniva il proprio utile ad  ammettere per principio del Dritto della  Natura; pigliandoli da noi quefio vocabolo  in altro, ediverfo lignificato d’afiai più  (ubi ime, ed eccellante ; anzi le non vado   E 3 . . erEccl. Omnia mihi licent,* at non omnia  protent, (fcrive F Apcftolo ) omnia mihi licent $ at non omnia aedificànt. Or appunto  gìujìa queflo infegnamento abbiam noi ere -fiuto, che nel mifurare F utile di ciafcuna  delle nojìre azioni guardar fi debba, e aver  la mirali, alti nojìri doveri verfo Dio, eh ' è il  nojìro Vero Padre, e la ver a origine d'' ogni  n offro bene, poiché fecondo faggi amen te feri *  ve Auguflino (47), fi diligenter attendas nec  ntilitas fit ulla viventium, qui vivunt impiè, ficut vivit omnis, qui non tervic Deo ; l  De Ciyit. 1 * i?.c.  nulla più,* imperocché pochi giorni fono,  ch’intefi peravventura un giovine far gran  pompa, e moftra delfoppihione delì* Eineccio all’intorno quello particolare, e  ' per dir il vero, come eh’ egli dille molte  colè delle buone ; in nulla però valle egli  a rendermi ben perlualò, e convinto. Il coftui parere non è miga men vero,   • edifettófodiquel che lo fono, quelli degli altri, da noi poco al dinanzi cennati ;  non efiendo il Itio principio di tutte quelle  qualità e condizioni ben fornito, eh’ in Un   E 4 vero   *   r   nel qual luogo Jl 'Vede il vocabolo d' utilità  prefò nel medejìmo f e nzo, e fgnijkato, che gli  dbbiam noi imputato } e gì ufi a che altrove con  ben falde pruove altresì dimojira il Santo,  niuna delle nojìre azzi ó ni per giujia e buona  aver .fi pojfa mai, o debba, dove ella fatta  non Jìa a lode, e gloria di colui, eh* è il no jìro bene, e che perciò le virtù de* Gentili Jt  furono realmente anzi vizj, che vere virtìt  (48); lhGh J egli fra meflieri conjxderar in  apprejfo, e ben dif aminare fe /’ azione, eh *  imprendiamo a fare pojfa mai recar qualche, ' incorna  De Givit. L ip. c. xi. et    vero principio, per qudch 9 egli medefimo  c ^ confefia, fi richièggono; anzi è egli meftieri di necefiHà ammetterne un 9 altro, da  quello del tutto divello, da cui e’ ne dipenda ; imperocché efièndo egli quefio _ l’amo  ìncommodo, e dannaggio ad altri, giujta li precetti vangelici, non men che naturali, e  perciò fin d Gentili per quel, che Jì notò al  dinanzi affai ben noti e pale fi : e III.  Che al dafezzo Jì debba guardare fe quejie  ifteffe conformi e' favo, 0 no alli doveri, che  debbiamo a noi medejìmi ; Il perche dove anche un Jì rinvenghi per dir così povero in canna, edagrandiffma fame cojìretto, non deVe per niun utile, cheritorne mai potrebbe,  rapir il cibo all 1 altro uomo, anche che fìfoffe qnejti un Falere, per cosi dire, un fc eteraco, un tirando, 0 un uóm dappoco ; e tnelenfo>  giujiaf fujìn il fent mento di CICERONE (vedasi);  perche in niun modo più grata, e cara a me  deve effer la vita mia, che tale dìfpjìzìone  dd animo yCÌf io non nuoccia ad altri per proprio mio agio, 0 commodo   •• ‘ * $) Egli   C 49 } V. Not.  De ofl; 1. j. c.j. • • . .    l’ amore; chi di api-mai- ad amar una  colà., o appeterla può da lènno afferire  d* elferfi unqua portato, lenza un qualche  motivo,.o ragione quale per l’appunto fi  farebbe la bontà ifteflà della colà, o l’onefià, o 1’ utile ? Chi è colui, eh* operando  da uomo, ama, e delia, o quella, o quell’  altra colà, lènza che prima non la jicono(ca in qualche foggia del fuo amore, e  delle lue brame ben degna ? E lè ciò egli è  vero, come lo è in effetto, 1* amore non fi  può miga in modo alcuno tener per principio del noftro operare, ma fi benetutt’  altro da cui la noftra volontà fi vegga, venghi mai a quello determinata tèmpre, erifòfpinta. Or    e amare venne filo da Pia  • Puòftro bene,• io non sò mai comprendere i nò capire, come f obbedirlo, non che il predargli tutt’ ora omaggio a noi non fi foffè connaturale j imperocché lalciando da  parte dare, il dritto, che a Dio compete, sudi noi, e tutto altro, che intorno ciò  fi potrebbe mai dire, confèrvandoqi egli  per lo continuo, ed in ogni momento quali  che novellamente creandoci, nè moftrandotì giamai refiio, e fchifo di beneficarci così abbondevolrnente, che per quello  conferò un Pagano medelìmo : (g ) non  che provvede egli a tutte nofire bifogne,da  Jui noi, ufque in deliriti amamur ; tot ar bufi a mon uno 'modo frugifera { foggiungc  egli ) tot herbce fai ut ar et, tot varictatet ciborum, per totum annum digejia: .ut omnti rerum naturce part tributum aliquod nobii confert ; ancorché non avefiè Seneca de Bene f. lib.iic.ydt I.    r uomo formato, ed creato ; e in con f egri erosa  per unirlo, è ajjoeiarlo con qualche oggetto,  la cui con f cerna, e 7 cui amore vai effe a prò dargli qualche felicita, e ripofo ; echéverfo  quejìo egli tuttora portar f debba ed incarni narfi \ Il perche la prima, legge dell' uomo y per  quel domandato mai da noi olTequio, o ubidienza alcuna, pur dove conofcelfimo e£  lèrgli cotanto tenuti, e obbligati, per •,  gratitudine almanco, doverebbono in tutte le noftre azzioni fa r in modo, che non  vi apparile nulla, eh* aver fi potefiè per  legno di non temerlo, o non adorarlo, nè  compiacerlo incoia del Mondo. Ma di vantaggio: febbene dubbitar noti  polliamo, Dio niuna cola c’ im pónghi,  re’ comandi, s* ella nello ftelTò mentre per » v  noi non fii a noftro prò, e utile ; non però  egli lèmbra,* che come tale da lui ella ci  venghi comandata, o importa, mia lòlo  perchè e’ fia alla lùa làntità, e volontà confbr ’ ' • w . .   enei eh' egli crede Jl è la pia derivazione al •  la ricerca, ed all' amor di quejt * ometto, che  altro unqua non pub ejfer, eh' Iddio,, eh' è il  fola, che può, e naie fidi far lo, e renderlo  di tutto ben f atollo ; legge la quale, conforme egli ferine, effendo di tutte l' umane obbligagioni P unica regola, e lo fpirito,e il fondamento di tutti li precetti del Vangelo, è altresì di tutte l’umane leggi bafe, fojiegnc, e  principio ; anzi pere F ella obbliga tutt' uomini fenza eccezzione alcuna di perfona a unirfi   tra   forme i e ip confèquenza parcheconvenghi dire che il giufto Ila affai al dinanzi  dell’ utile j M. Quello non è men falfp e vero j imperocché niuna cofa fi può mai fingere al Mpndo, o imagi nar da noi, nè contra,nè oppofta  alla fantità divina, o al divin volere, che  parimente ella non fia d’utile, e di vantaggio per noi; e quefto in niun conto fi  può mai dalla giuftizia fèparare,e dividere,  o quella da quefto ; perchè Dio cpme en. te perfettififinao, e fàpientiffìmo, eh’ egli   è, non    tra ejfi, e ad amarfi vicendevolmente, ne racchiude in f e fiefià un ’ altra, eh * è la feconda;  imperocché t fìtti noi pef natura al pojfefiò di  un unico, e foderano bene defiinati, e per li -, game si fretto e fido uniti ejfendo, che giufta fi legge in S. Giovanni non comporremo,  ne fot'maromo altro mai, che una fila perfona (s i ) non pojfiatno giugner giamai a farci degni di unità tale nel peffedimento del commun nofiro, ed unico fine fi non col cominciate dianzi, e in quefia firada appunto, che per  colà giugner e fiam tutti tenuti battere, ad  • •  ..    D  fri. Balli dunque quello pef oggi ; imperocché eflendolì illòle da gran pezza ritirato:  domattino per tempifiìmo, dove vi piaccia, altresì in quello ilìeflò luogo, tratta- remo più agiatamente quélche vi rimanga  intorno quello particolare Addio ., : de*   .1    • ’deffo ; non lafciano perb elleno di fujfifiere, ed  ejjer immobili ; t come tali far che tutte le  leggi per tui la focietà degli uomini Ji regola  nel prefente fiato non fiano ^ che una ben feguela di effe ; onde non guari egli, in quejlé>  Jlabìlìfce un piano di tutta T umana focietd .   Dunque avete voi con  maturezza, e diligenza le cofe, di cui jer  qui ebbomo ragionamento, tra voi me.  defimo ben di laminato ?   V. Senza dubbio, e vi dico con ifchiettezza,  eh* elleno mi ferr.brano regalmente, abbino una grande aria dolce, e maefiofà di  femplieità, e di naturalezza . Or via alle corte,* oggi tratterò a tutto  mio potere di farvene conolcere e comprendere 1* applicazione, e Tufo, non   che T agevolezza, e la f cilità, con cui li  doveri, gli obblighi, e gli ufrzj un, ani  tutti polloni] da chi che lia mai da quelle  dedurre. Ma con qual metodo, od ordine in ciò voi  procederete ?   M. Elfendo pur convenevole certamente  ch’io m’ingegni favellarvi di tutto sì aperto, e chiaramente, che niun dubbio rifletto a quello particolare d’aver mai vi  rimanghi, vi rapprelènterò 1* uomo in vari, e divel li rincontri di lùa vita, e in ben  mille, e mille differenti fùoi flati ; imperocché figurandomi io mirarlo da pria nello fiatò naturale, or tutto fòlo, e lènza  altri in compagnia, or di brigata con tutti  pii uomini, ed in una lòcietà univerfale, or con la tua moglie, e con li fùoi  figliuoli, ovver con li lùoi fervi * e con  le Tue fanti, ed or al fine con quelli tutn  ti uniti infieme ; in apprellò dilcenderò, e verrò paflò, palio a confiderarlo  tra *1 riftretto, e tra li termini di una Città, o Repubblica Ha come capo, o rettor,  di quella, fia come un membro, o inferiore ; colà che fàcendofì, le non vado errato, verrò a rìifpiegarvi molto diffùlàmente, e trattarvi alla dillefà tutto ciò, a cui  Vien ferialmente per altri quello Dritto Della Natura diftefo, cioè * l’Etica, P Economia, e la Politica per non lafciar colà alcuna da farvi su quello argomento offèrvare. Che intendete voi per Etica? Una Icienza, che non (i arreda *in altro,  che in quelle fole regole, che pofTon mai  - riguardar l’uomo confidcrato o folo, o di  brigata con gli altri Uomini nello dato  ./ della Natura.V* Co Non v’ ha piu laudevol co fa, nè  piùfruttuofa, o piu utile in una faenza, che  uom mai imprende a trattare, d? if covrir ne da pria, e fvelarne li fuoi principi, ed in  apprejfo pajfar al particolare, che di là ne rifinita . Il perchè avendo nei nel nojiro primo  trattenimento favellato de'veri principj delle  leggi naturali, difendiamo ora alle regole,  che da quegli Jfe ne pofono unqua per alcuno  inferir eycof a che varrà altresì, fenzafallo,per  facilitar li ncjìri leggitori, ed in un tempo  medefmo per un ben molto acconcio modo agevolarli a render di quelli un affai fermo, e  perfetto giudizio non effendovi per quel che  noi fappiamo, per metterli in quejio fato, altro metodo, o Jìrada miglior di quejìa . Colà è Economia ?   M. Ella fi è un altra fcienza molto diver• fa dall’antecedente, in cui'fì comprendono ’foltanto quelle regole, che apparten*  gono alla condotta dell’ Uomo nelle focietà fèmplici, non che in quelle che fi anno per men compofie. Chiamiamo noi  iòcietà fèmplici quelle, che non fi formano, che di fole, e (empiici perfone, come la paterna, ch’è tra genitori, e figli  la coniugale tra marito, e moglie, e T erile tra padrone, e forvi ; diciamo men  compofie al contrario quelle fòcietà, che  non formanfi, che delle fole fèmplici, qual  appunto fi è tra quefte la famiglia, che  non vien compofìa, che di quefie fole, di  cui qui or noi favellammo, rinvenendole. ne dell’al tre molte afiài eia quefie diverte,  e differenti, e molte vieppiù compofie,  perchè non formanfi elleno, nè fi coflituifo  cono, che delle fole compofie, come per  efemplo fi fono le contrade, o li borghi,  che compongonfi di più famiglie unite infieme in una fol fòcietà pe *1 comun lor  mantenimento, o per la confèrvazione de*  lor dritti Gentilizi, fo per avventura e’difoefcroda un folo, ed unico fiipide, come  pur fi crede, che avvenuto mai fofiè nella  prima ifiituzione di tali fòcietà; o le Città, e le Repubbliche, o i Regai, Pane de’  quali fòrmanfi di più. borghi, o contra le;  e Paltre di più Città, rette e governate da  un folo•  Difpiegatemi il termine politica? Egli appunto quello è il nome proprio di  quella facoltà, o fcienza, che infogna l’obbligo, e li doveri dell’uomo in queff ulti me locietà . Dividete voi adunque, fe non vado errato, tutto il Dritto Naturale in Etico, Economico, e Politico ; ma rinvengono  pur per'altri parimente quelli e tre voca. boli adoperati alla fletta guifà?   M* Mai sì, come che quelli fiano molti pochi ; poiché afsai più d’ordinario s’ ufano  eglino a fpecificare, ed a diftinguere tre,  e diverle parti di FILOSOFIA, in una di cui li  tratta delle virtù Morali, nell’altra del  buon governo delle colè domeniche, e famigliati, e nella terza, ed ultima di quelle di uno Stato, o Repubblica, giuda fi  leggono, che adoperati furono da’greci,  da cui travalicarono a noi ; come che con  ciò, vaglia il vero, lì venghi per poco a far  il medefimo, e lì noti lo ftefso .   JD. Or via prendendo il filo di quel che dir  dobbiamo-, figurandovi al dinanzi d’ogni  altro mirar Puorno lolo nello Stato di Natura, (piegatemi quali erano mai gli obblighi, e li doveri di coftui in quello Stato (B). j .   Egli fi riducono quefti e tutti, lènza fallo,  Iil.come U può di leggier comprender da chi  che penlà, a due (òli capi ; il.primo di cui  lo riguarda come a creatura, e opera di  • Dio ; e il fecondo come a creatura, ma ragionevole, che opera per la confervazion  di se medefimo, e delle (ùe parti .   D. Spiegatemi didimamente gli obblighi,   F 4 v e li . ^ Lo fiato d' una per fona non confjte in  altro, falvo che in alcune qualità, che rifguardandofi,ed avendo]! come proprie fue,ven gon acofiituire la differenza, e il divario,  che v' abbia infrajei, e un altra ; tali per  efemplo fi fono ì’efier di majchio, 0 di donna,  di giovine,0 di vecchio, di libero, 0 dì fervo, di figlio di famiglia, 0 dì padre, di ricco, 0 di povero, ed una infinità d'altre di  cotal fatta . Il perchè altre di quejfe ejfendo  naturali, ed in nulla da noi dipendenti, ed al tre al rincontro avventizie, e del tutto in no jìra propria balìa, ed arbitrio, altro è lo  fiato naturale,fifico, e morale di ciafcuno, altro quello, eh' è puramente civile, od avventizio .    V    e li doveri del primo capo, che tra tutti  ' gli altri, cui per natura 1* uom è tenuto,  giuda, che da voi jer apprefi, fon li primi.  Qual fia la baie, ed il fondamento di quelli, e come noi li conolciamo, le voi ben  vene rinvenite, alla diffhlà vi moflrai altresì io nel ragionamento pafiàto,* il perchè dipendendo eglino totalmente da quegli principi, che in quello per quanto  valli di ftabilir m’ ingegnai, non (limo colà  molto fuor di propofito, ed infruttuosi,  per voi, che pria di più oltre paflàre*  quanto ri fpetto a quella materia sì dille  fe pur così vi piaccia, mi ripetiate .   D. Ecco tutto in pochi motti ; fùppofto,che  fi ebbe da voi per ben certo, e fermo  I. Che l’uomo, ogni qualunque volta,  che d’ operar delia, lènza fallo, giuda la  propria natura, venghi obbligato, e tento  to di regere, e regolar se medefimo in guifà, che tutt’ora col far per quanto fappia,  e vaglia, qualunque cola per menomilfima, eh’ è ila a fuo utile, e vantaggio vie  più fempre mai ottenghi, ed acquilìi della perfezzione . II. Che le da lènno quelli portar fi voglia, e trattar in sì'fatto modo, e con aver un cotal fine al dinanzi di  se ftefio, metter e’ debba tutta la cura e  la diligenza di ragione in ordinar del continuo le proprie azioni, e regolarle sì fattamente,^che mai fèmpre e* giungano  quello Hello fine ad avere, od ottenere 4  di cui Dio, eh* è 1 * autor della Natura,  per quanto noi comprender polliamo,  fi valle mai nel regolamento delle lue  azioni puramente naturali, e non dipeni  denti dal lui.   III. Che v La Concozicne, per ef empio, e lo  fmaldimento de' cibi, eh' in noi Jì vede far  del continuo mediante il ventricolo, e f fendo '•  uri * operazione, 0 azione, che dir vogliamo f  del tutto naturale, ed imperò il farla, 0 non  farla non dipendendo da noi, altro fine giu*  fa, che dalla ragion ? imprende, non fi ere de, Dio avejfe avuto mai al dinanzi in or di’vi aria, e infìituirla in ciafcun di noi, che di  far per quefia firada, e con quefio mezzo, al  nofiro corpo ricoverare, e riacquifiare quel  che gli era mefiieri per poterfi ben fofienere, e  mantenere al Mondo, non che per la continua  tranfpir azione, e per l' inf enfiti le trapela mento delle fue parti da momento in momento egli veniva mai a perdere, e logorare . Al rincontro /’ ufo de ' cibi, e della  vivande y come cofa eh' è totalmente in nofira   ha  Che quell’ efier fovrano l’ ultimo, e il  principale fine, che fi propofe, ed ebbe  mai al dinanzi nell’ ordinanza delle noftre  azioni non naturali egli fi fofie fiata la   pro  balia, ed arbitrio, elP è ut? azione in tutto  libera, e dipendente da noi ; Or dove pur ci  Venghi in grado, ed abbiam vaghezza, o voglia alcuna d* operar a nojìra confervazione,  ■’* e di reyveref e regolar una colai ncjira azione in “ Tal fatta foggia, egli è meftieri ab • biamin ejfa quelVìfiejJb rifguardo, e quel me defimo fine che fu quello ( giujìa la nojìra  credenza ) di Dio nel creare, e nel formar  del nojiro ventricolo, cioè, la JteJJa nojìra  confervazione ; coJa> che produrrà f enza fallo ^ infra queJV azione, e quella del nojiro  ventricolo un certo concerto, ed una certa armonia tale, cui non f vide mai da uomo altra  pari ; imperocché arr.endue qnejie verranno  elleno a riguardare un medejimo fegno f ed un  JiefJb fine ad ottenere ; Il perchè non fi deve in  niun modo qui pafar fitto filenzio, che propriamente azioni diconfi da noi non men quegli movimenti, che in noi provengono da noi  ovruv, /gì ìioixiy‘itov rù oKot Koiktùf /gì S ' inaio f, v, gì (Teano v eie rivo xeimnvKX^au, '7Ò irtifaStcu ocùvo'ts, /gì «xay ir ieri vaie ytvof/ivoie, ygi  et'xi\hòéiy ix,óvmuàf imo rijs etp Irne yyeùfjuif '/y'reXvtiìvoii .   \ ale a dire. Il lòmmo, e il principale capo  deila Religione egli fi è il far opera, e proc,  curare ad ogni Ilio collo di riempier se me.  defimo di buoni opinioni intorno gli Del  immortali, (parla egli da Gentile) per poter  giugnere a vivere ben perliialò,e certo, eh’  eglino di vero efiflano; che con ogni rettitudine^ giufìizia tenghino la fignorìa dell*  Univerlò : Che fi debba loro preftar alla  cieca ubbedienza in tutto, e contentarli di  quanto eglino ci comandano, come proveniente da quegli, che lono di lunghi!!  fimo Ipaz io vieppiù fàggi e vieppiù intelligenti. di noi ; perchè così non oferai nel  corlò del viver tuo giamai accaggio nar (a) ErXEIPIAION cap.tf.  DE’ PRINCIPJ  narli di nulla, o . rr.tr mancarti in modo alcuno, che venghi da efio loro meflo  in abbandono, e negletto. Ch’ La necejftà, ha V uomo di fod disfare a queji' obbligo, o dovere, manifefiamente fi ccnofice da ciò, che com e egli f  vedrà, Je ne ritraggono per poco, fi filo,  quafi che come una confeguenza tutti gli altri  doveri, od obblighi di qnefio genere, che lo  riguardano come a creatura Quindi abbiavi gran ragione da poter con franchezza  ajjerire, che dalla negligenza, e trafcura t agì ne grande tifata da noi in quefio, egli  venghi, che fi mettano quafi, che del tutto in  non cale, e fi trofie urino tutti gli altri, come  imprendiamo altresì dair Apofiolo in uno non  molto diverfo propofito. Il perche come a  Santi Uomini la contezza grande, ch'eglino  ebbero, per quanto mai venne lor permefiò,  e pojjederono de' divini attributi, valje di  lunghijfimo fpazio nel Mondo per portarli ad  un grado di perfezzione, in cui affai dirado  uom giugne ; così la mancanza eh' è in noi di  quefia, egli è cagion fovente del noftro operar al rovefeio, e del contrario procedere,   la  Ad Rom. c. i. n.zo. Sex 3,  V fi   DEL, DRITTO NATURALE. 9 f   IL Che gli convenghi per ogni verfò,e fia in  obbligo d’ operare, e trattar gii fia al divin volere, non che fervirfi di qutfio prefc  fo che per motivo delle lue proprie azioni  efiendo cola pur troppo certa, e fuor di  dubbio, eh’ Iddio chiegga da Jui, eh’ e’ fi  regga, e governi fecondo le leggi della  Natura : Quando mai pur da te fi comprende, che sì abbiano difpofio li Dei ( dice un Gentile) sì fi facci « to'*  Stois   .Che fia tenuto di neceffità amarlo^imperocche dalla cognizione delledivinè perr, fèzioni provenendone lènza dubbio nei  cuor dell* uomo f -e derivandone un cotal  ‘ guftq, o diletto, che dir vogliamo e pia*  cimento, che non abbia chi. lo pareggi  . quindi nafee in lui certamente della benevolenza, e dell 4 amore in. verfò quefìo etfèr  . . Supremo. Che quett’amore,e quefta benevolenza, che  Lanino è in obbligo, ed m doVer’ di porta: rea Dio,convenghi,che Tuperi di ìunghiffimolpazio, ogni, e qualunque altroché a  .cofa mortale fi può da lui . portare i  ‘ r /c  G im  ZX l.fupr., • .,( F ) Quefto appunto è quetV amore, che  in ptu luoghi di J agri libri (%) ci fi accomandai  Matt.ii.D^iter.c.^.é.exo3.io.icvìt.a().&c.   f  D £’ PRINC I V J  imperocché ;1* amore, in noi provenendo  . dal pi acere, e d^l diletto, eh’ abbiamo deb   . Faiv •’> *   r  — » r f   f .., •. V  \   da, e con tuie motti del DECALOGO – H. P. Grice: “Perhaps Moses brought something else from Mt. Sinai besides the 10 commandments” --: Dillges dominum Deum tuum &c. Quindi il Vive:  erutti* dicendo: ut paucis verbi s magnus il le  Magister quemadmodum unicùique vivendum fit docet, ama quem potes tnaxime,  qui (òpra te eft, et non ajiter, qui prope te  eft, quam te, quod fi Feceris, tu fòlus leges  omnes, juraque feies, et fèrvabis,* quae alii  magnté Ihdoribus vix difeunt . . ., * Di liges, inquit, quid potefb effe dulcius dilezione, non metuere, non fugete, non horrere praeceperis, (Domirium) ut fcias illuni  effe reverentlum*, nam dominus eft ;,   (tuum) etfi multorum eft,tamen uniufcujufque *fit per cultum proprius . ., Ex toto  còrde diligere praeceperjs, utomnes cogitationeS tuas, ex tota anima, ut omnem vitami tuamyex tota mente tua, utomnepi, intelle&um tuum in jllum confèras, a quo  babes ea, quae confers . Il celebre Leibnizio  in un fu 0 trattai elio  intitolato . Tritoti-  f  Tri not.ad lih.io.de CivIt.Dci c. 4.  C,i fecft. Ep.li fi ha rei voi. 1. de Recveil de  dlverfcs P5ec;sfur la philpfophie, !a Jteligion d*c. DEL DRITTO NATURALE.   (bit peint fenfibile à nos fens exteroes, il ne*  laifie pas d- étre très-aimabile, et de donner  un tres-grand plaifir . NoUs voyons combien  les honneurs font plaifir aux Hotnmes, quoiqu’ils ne confiftent pokit dànsles qualitez des  fens extèrieurs . E non guari apprejfo i  Gn peut méme dire, que dès à prèfent T A*  mour de Dieu nous fuit jov’ir d’un avant-goiìt  de. la felicitò future .i„ CaV il nous donne lune ’  perfaite confiance dans la bontè de notre Auteur et Maitre, laquelle pro&uit ime vèr*table tranquilitè dè P efpric i . . Et  outre le plaifir prèfent, rien ne fauroit étre  plus utile pour T avefiir, car l’amour di  Dieu remplit encore nos ef^èrances, et nous  méne dans lechemin dù fopreme Bonheur  &c. ' i  IOO DE’ PRINCl P ]  le di tutte le create cofe, qualunque pur elleno .fi fiy.o, coltri, che fi bene giugne a  conolcerle, ed a comprenderle, come ad  nom conviene ; rincontrandovi egli un  piacimento ed un diletto difmilurato, e  . grande oltre mifura, e fenza comparagiòne alcuna vie più di quello, che nel conoIcimento delle perfezioni delle creature  '• può egli peravventura rincontrare, e a  quel co l’amore proporzionatamente- Tempre mai guagliar dovendolgegli fà mefiieri,  che altresì fia tale, e non men grande ; e  ; confcguentememe, che non abbi altro  “ mai al Mondo,che in modo alcuna lo lupe7 ri, o adequi . ’Ch’ogni fua follicitudirie, ed attenzione  impiegar e’ debba, e collocar tuttora in  * non far colà., che polla io gui là alcuna a  quello lòmmo, ed unico Bene dilpiàcere, o  • /gradire, l’ amor in altro veramente non  confìftendo, che in godere, e gioir,  ’ per l’altrui felicità., non che in paventar del continuo, e oltre modo di conv  - metter colà, che dilàggradi, p pefi all*  aggetto amato ; còli che per l’ appunto^  ciò che^iù ferialmente appellafi timor filiale ( timbr filiali: ) oppofio diametralmente a*quello, che dicefi lervile ( metti:  fervili:) che da gafiigo provenir luole,   o da DEL DRITTONI ATURALE, jot  *o da fùpplicio ; irqperocche* Iddio, febbenc  altresì di quefto pei: iftimular E uòmo ad  operar rettamente, e lòllecitarlo .al' ben  fare fovente fi vagii, e che dalla cofìui  gravezza (pèdo (pedo quegli atterrito, .  ed ifgomentàto ; venghi da mille, e mille  laidure e tèonvenevolezze a ritraerfi;   " tutta volta quello non hà vertm luogo, dove aiutila pur dall’uomo quel amor portato vero e reale, che naturalmente a’Genitori gli proprj figli logliono portare,  e eh’ egli dev.e,e convien che gli fi porti*   y jl. Che 1* abbia altresì a riverir, e venerar lòpra tutto ; - imperocché in grado emjnentiffimo in le contenendo, tutte le perfezioni.,- che nelle loda nze, che da lui  derivano, come effetti provenienti dalle   - caule, fi contengono» e imperò ellèndo egli * .   ‘ un Ente infinitartiente perfètto, onnipotente, giufto, e buono eftremamente, ed  amabile; di ragione deve egli preferirli   - tèmpre mai * ed anteporli a che che lia nel   "novero delle colè create, nonché aili ftek :  fa noftra perlòna .Ch’ in lui lòltanto mettere e’ debba   ' tutta la iùa fiducia, e confidenza, e col  darli pace in tutte le cote del Mondo, che  o delire, o finiftre peravventura l’avveftgono, moflrarfi tèmpre mai làido in   G 3 lui, e tutto tempo reguiarvi ; imperocché  da efiò lui gli averi, e le fortune notf re  tutte provenendo -e’ può e vale, come pur  l’esperienza loc’ infegna,che tutto dì egli  facci, dove di farlo pur gli viene aggrado, rivolgere, ^ contorcere a noftro prò,  ed utile quanto mai di malo i e di  qattivo c’ avvenne, o può unqua avvenirci . Per verità egli hà troppo di bellezza,^ di gravità, per non eflèr paflàto in  filenzio quel che fcrive Epitteto a quello  propofito . C.egli dice ) wroxac'W^ « s.aì   • &P*X ' as xòv ìmrx&nSaì ire  6ÌM, * vx usti wìnov tù '• ErXEIPlAION. c. xj.  Senza fallo ; anzi egli e quello una confeguenz'a ben cej^ta, e ferma di quanto al  dinanzi noi didimo ; comeche non fia fuor  di propofito, che voi dHà altresì ne ricogiiate, che le formole, eh’ in ciò ufiamp,  debbano efler da noi ben intefe, e capite, '  e che elleno dovendo dettar in noi degli  affetti, e dellarnemoria de’ benefici diri*   •-ni non fi debbano comporre, ne fòrmarda  altri, che da coloro, di’ anno un intera, e, .1  ben rara cognizione delle colè divine.   D. Non vi fono altri doveri, e altri obbli. ghi., che quelli dell 5 uomo comp crea? tura ? • ' Altri, che quefli Hfcn riconolciamo noi ;  con li lumi foltanto dèlia Natura ; per il di  più, come altresì per quel che fi richiede  per determinar i modi di bpn fodisfar ■a quelli iftefii, troppo più fi ricerca di lume, e di cognizione ( D {toiefi* per in?>; ; -./tera S ' s   Leibnizio in una  re     teramente fidar qu-dloculto di ficonolcenZ a dovuta peb f uomo al vero, e fhpremo edere, abbifogna pur., che confeflìaitk) con ingenuità; cheli lumi della natura, lenza 1* ajuto della rivelazione, nonfiatio in niun modo di per fé baftevoli, e lùf^cienti ; ónde fa egli intieri dériggerci,   ' in ciò, e regolarci, giufta quel che. imprendiamo da quella . : Degnatevi adunque d’udirmi, al dinanzi,   • che non fi venghi ad'altro,lè pur tutto feppi ben comprendere ; Pobblighi, e li doveri  HelP uomo, come creatura, o per meglio  dt-e, il' culto di riconolcenza, che P uom  deve a Dio * egli non confille, che nel Polo efercteio, e nelPufo di quelle aziqni,  eh’ anno pur per mira, e per motivo K di  - vini attributi . Or fe quelle azioni fono elleno.* v    ré fcrUta alla PrincipeJJif^di Gali?* nel  me/} diNo~)embre 1,7 if . mfirò fehza dubbio  arem dolore, ed un vivo fentimento di rama fico, chela Religìon Naturale fi vede a da dì  in dì in Inghilterra indebolire, e corrompere;  Si legge nti voi. i. de recueil de divttfos l’ieces far la l%flofophie;> el re fio io non dubbilo eh* alcuni aver ebbero  fior f e qui dejìderatò, che w favellando feMct  ♦ ' ddeligies naturale mi avejjè alquanto . vie pile  * difiefo, e tratto dimojirare l'armonia maràvi' \ gfiofayChe il abbia tra quejìa, e la revelata t  / Ora il Regno della Nat ur fi, e quello della  " . ì@ré&a,f£0fcjqr por mente paratamente, e  : ^fervane gcowe la natura ci vaglia per guida    - v; ‘ “ alla     i r $  adoperi non meno 1’ uno, che P altro di  quello culto, e che facendone ufo del continuo, cosi coni’ e* conviene, non gli polfa  di lunghifiìmo fpazio fèryire a renderlo  tranquillo, e lieto in tutto il corto del viver Tuo, ed ad accrefcerlo da momento in  momento, e vie più tèmpre aggrandirla   H nelle alla Grazia, e come quefia venghì quella a  ripolire, e perfezionare valendo f ne { aggevoli cofe Veramente tutte, e facili a mofirarfi  volendo ) poiché f ebbene dalla ragione imprender non fi pojjd il di piu, che dalla rivelazion  s* imprende, vai ella d? affai per renderci ben .  certi e ficuri, che le cofe fan fatte in modo,  che non giungano ad ejfer comprefe da umano  intendimento . Ma mio principal difegno egli  è di dilungarmi il men, che fa pojfbile fuor *   de ’ termini, che m ’ hu io in quefi operetta  prefijffó ; e regalmente affai ben faggio reputo  r avvifo di coloro, lì quali le cofe della  nofira veneranda, e fanta fede, come mirabile, e feci al fattura della mano di Dio guardando, mentre che quefio venghi da noi creduto Onnipotente, vogliono, che fenza metterle in ragionamento alcuno facilifimamen '*  te,e a chittfi occhi creder fi pojfano, e fi debbano    i    nelle virtù, e nell’ abborrimento de’ vizj ;  Ma or su fìendiamoci, fè così vi piace, più  oltre col difcorfo, e palliamo agli altri doveri, obblighi, o utfizj de 11* uomo lòlo  in quello Rato Naturale .   M- Quelli altri non lòno, a mio avvilo per   IV. quelche aldi'fòpra altresì fi dille, che  quegli, eh’ egli dovea, ed anche per al  prefente egli deve verlb se medefiino ; obblighi, o doveri tutti, che diftinguere fi    tio ; or.de quel gentìlijflmo Italiano Poeta ebbe  motivo dì cantare,   1 fecreti del del fol colui vede ì  Che ferragli occhi, e crede.   Non eflendovi flato vie più al Mondo flcuro,  e men in periglio di colui, che Jen vive  confrme le leggi della Vera pietà, e della  vera virtù, imperocché, giufla al dire di tre  gran uomini, come che difofpetta fede ; cioè,  dell' / reivefeovo T illot fon, di Mr. Pafcal,   . e di Mr. Arnaud ( 9 ), in queflo flato nulla  vi riman da temere di quelle tempefle, e dì  quelli malori, te muti, ed af gettati per coloro  che ne fon fuor a .   V. l.eìJjnìz.nelIe note alla lettera sOi l’ Entu Ha fT.  mo del vi ylord Shaftsbury. voi. z. de Recusil de diverfeS   jiìeces&c. . poflono, e divifare in tre divede, e differenti Ipezie ; cioè in quegli, che riguardano il filo Ipirito ; in quegli, ch’anno  attinenza alcuna al fuo corpo, e in quegli,  che riferilconfi ^finalmente ad alcune qualità accidentali del tutto, e ftiperficiali, come .  per elèmplo fi fon quelle, di ricco, di povero, di nobile,.di plebejo, ed altre sì fatte in cui il Ilio fiato efierno confifie . Per  tutto ciò efièndo pur egli obbligato^ e tenuto, come voi ben Oppiate, diriggere in  sì fatto modo le file azioni, e regolarle,  che colpivano tututte ad un medefimo legno, ed ottenghino un medefimo Icopo ; cioè, tendino al proprio vantaggio,  ed utile, e alla propria perfezione; per  giugnere a ciò far di leggieri egli fa mefiieri fi tratti al dinanzi a tutto poter acquiftar un elàtta, e perfetta contezza  di ciò, che può mai giovar a se medefimo, o no in qualunque fiato, eh’ egli  fi guardi ; cofa che imponìbile efièndo da  i .poter in guilà alcuna ottenere Lenza una  V. piena cognizione di se flefiò (H), il   H % fon- In quejto grufa gli antichi Filofqfi  Jì riduce quaji che tutta la Filofofta ; e fecondo   fondamento, e la baie di quefti doveri, o  ulBzj che 1* uom deve in verfò se medefimo, e il primole il più principale tra  tutti egli è, fenza fallo, al meglio,^che fia  pofiibile, d’ imprender un sì fatto conofcin  mento con mettere ogni Audio, ed ogni  cura in conofcer, e perfettamente fàpere  il fuo fpirito, il filo corpo, e lo flato, in  cui mai peravventura fi rinviene .  E bene ! quali fono li modi, e le vie da  giugnervi ? ‘ M. Que do S. Bernardo, ed altri Padri della Chiefa  anche la Morale Cattolica, ritingendola  eglino foltanto a due foli capi ; V un di cui ri guarda la .piena contezza di se medefmo, e  V altro quella di Dio ; ad ogni modo noi pur  confejjìamo chejìa ciò cofa per uomo molto malagevole, e difficile a metterlo in pratica j e  che quindi meffo in Greco Efìodo avejjè cantato, avvegnaché fol rifpetto al primo di quejti  capi, in verji cor ri fpon denti a quefìi :   £fi nofee te ipfìrni non quidem ampia  diétio,   Sed tanta res fòJus, quam novit juppiter;   Ed infierì) non deve recar maraviglia ad alcuno f e un obbligo, o dover di tal fatta molti  pochi fan quegli, chef veggano che lo JodisfiriOy   Quefte diftinguer.le poftìam noi ingenerali, e particolari ; le vie, e li modi  della prima fpezie eglino fi riducono a  quefti duo ; 1* un di cui egli è d’ entrar in  noi medefirni, e con la maggior accura• tezza, e diligenza del Mondo confiderar  la noftra propria perfona, e V altro di(aminar bene dell* iftefiò modo quella degli  altri, con cui peravventura ufiamo riflettendo a tutto attentamente, e bilanciando a fpiluzzio non men la diverfità delle lor getta, e la varietà delle lor azioni,  che li cambiamenti diverfi de’ lor volti,  e il divario, del lor tratto, e linguaggio,  e di tutto altro, che può mai appartenerci  con trattar di comprender chiaramente Ié  colè, e far della lor bontà, emalizigquer  giudizio, che fi deve. Ma vaglia il vero  di quefio ultimo mezzo 1* nomo foto, tale quale lo ci figuriamo nello fiato della  Natura, non potea farne ufo alcuno; Per  tutto ciò noi, eh’ abbiam or agio da poter valercene, come vogliamo, ne polimmo, lènza follo, ritrarre una infinità di  vantaggi . E quali fon quefti ?   ]M. Egli batta, che generalmente voi lappiate, che in cotal guitti da noi con una  agevolezza grande, e fuor di mifora   H 3 giugner fi polla a conolcere quanto mai vi  ila di bene, e di male in noi ftefii, e le virtù  tutte di cui abbiam fommo bifògno fornircgChe fi venghi a rifvegliare in noi, e deftare l’emulazione al bene, e rettamente ope,  rareiChe 3 dilcernere fi vaglia aliai palelèmente, e in aperto la lèmma bruttezza, e la  laidezza de’ vizj,* Che venghiamo ammaefìrati, lènza nofira pena, ed alle altrui  -a Ipelè, imperocché giufta Menandro :   ’2>hé7T(t T17T disivi/,' Ut   chè un intelletto tanto più fi deve per  perfetto, e finato reputare quanto più  è 9 1 novero delle cofe, che da lui fi comprendono, e quanto più chiare, dilìinte,  ed adequate fon 1* idee, eh* egli ha di tali  colè . Il perchè fi deve quantunque più fi  può, e fi sa riempierlo d’ ogni cognizione, e trattar che quella Ila in noi efiremamente chiara, e diUinta ; comechè effendo rilìretti di foverchio, e di natura  limitati, ed imponibile imperò riunendoci aver di tutte colè contezza appieno,   Io Audio di quelle meriti lèmpre avere il primo luogo, ed è ragionevole, e giudo,  che fi preferilchi a qualun’ altro, di cui  abbiamo nel corlò del noftro vivere un bisógno, ed una necefiità maggiore, non  che vagliono di lunghiffimo tratto per  lo dilcernimento del bene, e del male;  imperocché obbligati effóndo noi, e tenuti  vietare e sfuggir l’ ignoranza, e la groffezza, dobbiamo (òpra tutto quella i (chi fare, che rifguarda quefio particolare ;  non eflendovi ragione da poterci in ciò nò  con Dio, nè col Mondo difpolpare ; quel1’ ignoranza (òlo, e groflèzza nell’ uomo  efièndo di (cufa degna, e meritevole, che  non è miga in fùa polla di poterla Icanzare . Quindi uom vede, che il vantaggio, che fi abbia, da chi che s’invigila  su quefio dovere fia di tanto sì gran momento, che la di lui olìervanza giamai fi  potrebbe ad alcuno a luttìcienza accommandare, non potendoli in niun modo diIcerner lènza ciò ediftinguer il buono dal  malo, colà che veramente, dove anche  non vi fuflè altra ragione, per cui ciò fi  richiederebbe da noi, dovrebbe ballare  per portarci a fornir il noftro intelletto,  e riempierlo di tutte quelle virtù, che  gli competono, e che come proprie Tue  dir fi fògliono intellettuali . Quali fono quelle virtù ?   M. Quegli abiti di cui 1* intelletto è atto e  Capace di far acquifio, e gli giovano direttamente fenza dubbio per giugnere al  conolcimento del vero, e làperlo dillinguere da ciò, che punto non Ila tale .   Dinumeratemi didimamente cotali abiti.   M. Grande, ed incomparabile attenzione alle colè, acutezza, profondità, intelligenza, Icienza, laidezza, invenzione, ingegno, lapienza, prudenza, e arte.   Z>. Che cftfa intendete per attenzione ?   M \ Quella facoltà o potenza della noftra  anima, mediante cui far polliamo, che  alcune idee, o alcune parti di effe fiano  in noi vie più chiare, e diffinte dell’altre . Per efemplo ; fe io miro un uomo egli è in mia libertà, ed in propria balia trattar  eh’ abbia un idea molto più chiàra, e, diftinta del fùo vifò, o degli luoi occhi, che  dell’altre parti del fuo corpo ; e fimilmente fe per avventura molti oggetti a difeoprir fi giungono, ovver più perlòne fi odono che favellano, egli regalmente poffò  oflervar più gl* uni, che gli altri di quegli, o udir di quelli, chi più m’ aggrada, e piace udire ; /ebbene non fi pofià da  uom altrimente a quello giugnere, fe nor*  con 1* efèrcizio, c con 1* ufo.  Qual cola voi chiamate acutezza d’ intelletto ?' Quella polfibiltà, o potenza ch’ egli può  acquiltare di poter diltinguere nello fteflò  mentre più colè in un medefimo oggetto ;  poicchè non potendoli miga metter in dub. bio, o temere, ch’ella con lungo efèrcizio non polla ridurli in noi, e travolgerli  . in abito, deve lenza fallo metterli alno*  vero delle virtù intellettuali ; come che  per quelche mi làppia niun fi rinvenghi,  che fatto 1* abbia al dinanzi del WolfRo . Ma qual diligenza deve mai ufarfi per  acquetarla ?   M Primo egli proccurar fi deve a tutto coito .fin dalla puerizia, per così dire, di  - non avere lè non idee affai ben nette, e  a difiinte delle colè, e mettendo ogni Itudio  in attentamente ponderarle, làperle sì fattamente comparare, che comprender fi  polfa la conneflìone, e la dependenza, di  efiè . In apprefio lo Audio della Geometria, e quello dell* Aritmetica vie più di  qualunque altra cola del Mondo può per  verità agevolarci in quello, ed elìerci d’un  eftremo giovamento; Vero è però quel  che Ipezialmente fi deve su quello particolare commendare, e lodar oltre milura   a 9   egli fia, il far acquifto d’ idee chiare, e dii ' firnfinte del bene e del male ; imperocché  ciò eflendo per 1* uomo una delle più necèdane cognizioni, e delle più utili, e importanti, giuda, che non una fiata fi è  detto, può fèrvirgli altresì a formar un  buon giudizio delle proprie azioni,. e confequentemente valergli non meno per la  quiete, e per la tranquillità della fùa cofcienza, che di quella degli altri ; non effèndovi altra cofà inquedavita, che va*  glia maggiormente un uomo a rendere  graziato, e infelice delle riprenfioni, e  rimprocci che lui medefimo fa a lui fìefib Quindi molto a nofiro propofito  fcrifle Seneca, che : Prima, et maxima  peccantium ejì peena peccojje, nec ulìum  fcelin, licet illud fortuna exornet, muneribtn fuis, licet tueatur, ac 'yindicet,  impunilum ejt, quoniam fcelerii in federe fupplicium ejì . Difpiegatemi il vocabolo intelligenza Quefta, che giuda 1’oppinion commune  de’Filofòfi, e la prima delle virtù intellettuali, la fi rienvien definita per un abi*  to confidente del tutto in conofcere, affai  bene, è didinguer le cole per via de* lor  principi, e col darei agio da poter fin all’interno di effe penetrare, difvelarne, e ifeo]  piHrne altresì il modo con cui 1’une per l’altre vengano comprefè . Ad ogni modo  le definizioni, e K giudizi intuitivi elfèndo il fondamento, e la baie delle noftre  cognizioni, colui fòltanto merita veramente da riputarli fornito di una tal facoltà,  che giunto fi vede già a tal legno che fappia tutto ciò molto ben fare, e con prontezza,* Il perchè perriufcir in quello egli  è necefiario, che s’ acquifti al dinanzi T acutezza d’intelletto; perchè le definizioni altro non eflendo in, effètto, che nozioni difiinte complete, per ben formarle abbifogna che fi difiingua nelle cofè, e fi vegga quanto di diverfò, e di vario vi fia, Che colà è fcienza? Un abito da fàper ben dimofirare, e provare quanto mai da noi fi afferma, o fi nie- Quindi egli Ji mira, che F idee,  chiare delle cofe agguardarf debbano come  tanti princip] di quejta facoltà ; poiché fonerete quefìe fbben confufe alquanto, e inordinate y potendo effer /efficienti, e bafevoli a  difinguer una cofa da un ’ altra, e denominarla nel modo, che conviene, e col proprio  vocabolo jonver tir f veggono in noi in idee difinte, edefèrci di gran giovamento agli giudi/ intuitivi, che di quelle formiamo . ga ; onde di niun altro! alferir fi può meri- tevofmente, che abbi la le ienza di qualche cofa, lè non.di colui, eh* in molli aria  sa, e può far ufo di pruove, e di fillogifl  mi, od argomenti concatenati, ? ed uniti  infieme gli uni con gli altri in guilà, che  venghino tutti a terminare, ed iftiorfi in  fempli ci prem effe non fondate, che inde-,  finizioni, ed in efperienze certe totalmente, cd evidenti, od in afliomi, e proporzioni identiche . Quindi ne viene : I. Che  per l’acquifio di cotal facoltà fia mefìieri  al dinanzi fornirli d* intelligenza per ottener la notizia delle definizioni, e degli  altri principi d’ aliai manifefii, ed indubitati, che lòno il fondamento, e la baie  delle dimollrazioni . Ch’ ella fia necefiària, ed appartenente a tutti lènza rilèrva, od eccezzion di perfona, rinvenendofiogni un in obbligo, ed in dovere di aver  un diftinto, e perfètto conolcimento del  bene, e del male * che non fi può in altro  diverlò modo da quello conièqui re. III.C he  polla di lunghillimo Ipazio giovarci per  f appagamento interno di noi medefimi,  e per la quiete della cofcienza ; imperocché l’uom privo peravventura totalmente,  e sfornito di feienza, per non poter in guilà  alcuna quel eh’ afferma, 0 niega dimolìrare, andando al didietro delle maffimeì,  e degli lèntimenti altrui,, il più delle  fiate è in illato di poter travedere, od  errare; è perchè nulla opera (è non còti  > una cofcienza molto dubbia, ed erronea,  quella che nelle lue azioni rampognalo di  neghitto/o, ed imprudente, vai per po' co in tutto ilcorfò delibo vivere, come  V efperienz.a lo c* infegna,a renderlo difgraziato, e infelice ; IV. Che finalmente  quella facoltà per elìer un abito egli fi acquifii v alla guila di tutti gli altri, mediante feièrcizio; febbene, vaglia il vero,  quello agevolar fi polla oltremodo, e facilitare con la lettura de’ libri Icritti con un  e buono, ed ottimo metodo dimofirativo ;  .trattando di Iciorre tutte le dimofirazioni  in (empiici fillogifmi per conolcerne la dipendenza, ed appieno la lor unione, ed il  lor concatenamento comprenderne, non  che per attentamente (guardare, e badar  lòttilmente alla conformità, ed adórniglianza che v’ abbia infra cotali dimolìra\ zioni, e il metodo, od ordine, che dir  vogliamo, il quale naturalmente dalla noftra mente, fi vede lèguito nel peniate ; fèn.za, che può efsercj altresì in ciò giovevole, e di gran frutto il proccurare di renderci per quanto fia pofiìbile, famigliari, e pronti li precetti di una Loica, quanto  t meno fi può, didìmili, e diverfi dalla Naturale   A Ma fe pur egli è così, come voi dite, che  la fcienza fi fofiè un abito, come fi può  ella tra le virtù dell* intelletto, di cui abbifogna, eh’ uom venghi decorato annoverare ? credete voi forfè, che fi polfa dagli  Uomini idioti > e groflòlani, così come  dagli altri altresì molto di Ieggier confeguire?   M I» fatti quello abito agguasdar fi luole  comunalmente come proprio de* Matematici, e della gente da lettere, e di fpiritoj ma pur un tal fornimento è lènza  fallo d ? afiai lungi dal verone falfifiìmo^  imperocché, lalciando noi dare di quanto  gran ufo egli fia nella Morale, e quanto  . neceflàrio in quella, e quanta importante  da più dotti tra Filofoli venghi reputato ;  la Icienza, di cui, come voi ben làpete,  tutti debbano cercarne un intera contezza,  e ftudiar per quanto; vaglionod* iltruirfone;  non deve a niuno recar maraviglia, o ammirazione alcuna, giuda, che lo c’ infogna la fperienza, fo fia mai fin da Uomini, per altro volgari, e groflì acquiftato;  imperocché il metodo di ben dimodrare   | ' ^on t Hy V- Corife. Pufendorf. Locb. Vytlf. èc? convenendo del tutto, e uniformandoli col  penfar noftro naturale;può di vero avveninire, che da quelli in ciò fi veggano avanzar di gran lunga,’ e lùperare gli eruditi  medefimj ; avvegnaché dicendo io, che  di quello abito fornir fi debba ad ogni collo, ed adornar ciafcuno, intenda ciò foltanto ’ per quel che rilguarda la cognizione  del bene, e del male ; e non già delle  Icienze indifiintamente ; come colà, che  è fenza dubbio, difficile, e per poco imponìbile da ottenerli per uomo; lènza, che  come in tutte le virtù fi concepì (cono da  noi alcuni gradi, alli quali non vien permeilo a tutti ugualmente, e dejlo Hello  modo il poter giugnere ; così d’ ordina*  rio parimente fi ofierva, eh* avvenghi  ed accada nelle Icienze; comechè fi debba pur con feda re, che vi fiano ; reali  mente alcuni obblighi, fiano ufficj, o doveri  umani dalla cui obbligagione molti» non  avendo dalla natura que’ pregi, o quella  doti, ottenuto, che gli altri ottennero, e  che per ben fòdi§farli fi richieggono, te-;   * nerlè ne debbano totalmente immuni, q  lontani, non oliarne, che generalmente par«  landò e’ lèmbrano tutti obbligar, lènza ec-»  cezzione alcuna V   V., Spiegatemi qual cofa dite voi folidIStà, o laidezza dell’ intelletto .   /V/. Un abito da discorrere, e ragionar con  diflinzione delle cotte, ed jn mòdo che fi  vegga per ogni vertto, e fi disopra jl concatenamento, e r unione, che v’ abbia  ne npttri dittcorfi, o ragionamenti,- quindi e che per quefio fi venghi un certo  grado di virtù a cofiituire alto, ttublime, eccel/ò o perfetto vieppiù di quello,, f P er 3 ^,enza non fi cottjtuifce comechevi fi giungaperpoco alla fletta guitta,  e per la medefima ftrada j colui folo aver  dovendoli veramente per più adorno, e  maggiormente fornito di un tal abito, che  apprettar fi vegga nelle pruove delle tee  premette a gli primi principi, e alle pri- /   me nozioni fi avvicini • il perchè vero  e pur troppo, che non picciol contrai'  legno egli fia, anzi una gran moflra di  lolidità, o laidezza d’intelletto d’ un’uom .° ’ c " e P ro ppfizioni ammette dagli altri lenza pruove e’ vaglia a confermare, e  mediante li primi principi moflrare ; o fé  checché altri con efperimenti, edocula-, .  tamente afferma, e’ con ragioni, dimóflra  c per via de primi principi, febben fi deba di maggior pregio lèmpre reputar colui, ed efiremamente lodare, ch’abbia  fonquiflato un abito di ben accoppiar, ed   J 3 unir tra se molte verità, awegnàcchè  diverfè, e diffìmili, o di poterle da’ prìn-.  cipj molto lontani, e remoti con un non  interrotto fri di raziocini, o fillogifmi,  dedurre ; efiendo pur queflo, veramente  un grado di perfezione del nofìro intelletto s in cui affai di rado uom giugne, cola che forfè fi fu il motivo per cui nè per  Arifiotele, nè per coloro, che gli andarono  dietro, o al dinanzi del "W’olfio ne fcrifièro,  confuto avendolo con la fcienza non ne fètono verun motto, ne’l diflinfèro da quella,  Z>. Qual cola chiamate voi invenzione .   'Un arte, o abito, eh’ e’ fia da poter inferir dalle verità di già divvolgate, epale-i  fi dell* altre punto non note, nè conofciute,  t>. Ma quali vantaggi fi pofiòn ritrar mai da  . queflo ?   JM. Queflo abito non fèto all’ intelletto aggiugne perfezion maggiore degli altri,  di cui fin ad ora abbiam noi favellato,  tn’ altresì può lènza dubbio nella vita e£  lèrci di un gran ufò,* fòvente volte avenendo fpezialmente nelli maneggi della Repubblica, che facci mefliere nello fleflo  mentre non meno formar buon giudizio  delle colè, che rinvenir li mezzi più co*  modi, ed opportuni per aflèguirle, e mandarle ad effetto $ oltreché tutte le fcierfzq   le più utili, e profittevoli, o vantaggiolè  del Mondo, che fi trattano comunalmente, e s’ infognano, non eflendo che un  fàggio, o rifiretto, che dir vogliamo di  quello, per quel che mottrò un valente uomo, egli fi può di fermo aderire, di  colui, eh 5 abbia peravventura cotal per.  fèzione acquittato, che contenga in se con  quefta ìnfieme, ed unitamente le migliori feienze, o facoltà, eh’ abbiamo, o che  . di leggieri lènza foccorfo e fenza ajuto  . d altri e' polla volendo conleguirie; comechè di quell’ abito, vaglia il vero, affermar noi polliamo ilmedefimo, che tettò  fi ditte pur favellando della fèienza, cioè,’  che. febbene tutti, generalmente parlando, fiano in obbligo, ed ih dovere di farne  l’acquifio, fi debban lèmpre tenerne dènti ed eccettuar coloro, che norv ebbero  dalla natura forze baftevoli * e fiifHcienti  da farlo,   X), Bene; ma avendo noi due dì ver lì modi *  e vie da poter rinvenire, e difeoprir il  vero, non fi potrebbe forfè quelVabito per  quello motivo divìdere ih due differenti  fpecie, l’una di cui non confitta, che in, far degli buoni dperìmenti > e delle buo I 3 ne' T* Scbirnb4t^Jen% ^£ in cui fi trattano d’ invenzioni, e di novelli trovati, li quali almanco fi devono tratèorrere .Colà intèndete Voi per fàpienza ?   Un abito confidente del tuttò'in benacconciamente prefcrivere, ed afiegnar .alle  fìie azioni del li giudi,, e convenevoli fini,  non che in far una buona, ed un ottima  fcelta dell! mezzi, che vi lì richieggono  per mandarle addetto, ed efèguirle, con  coftituire li fini particolari, e fubordinarli in tal fatta guifà gli uni dagli altri  vicendevolmente dipendenti, che mediante li più profiìmi, e vicini giugner fi vaglia all! più remoti, e lontani j II perchè  efièndo.ella di un utile cotanto grande,  ed impareggiabile per la direzione, e per  lo regolamento delle noftre azioni, giuda  le leggi della natura, che al dir di Leibnizio  (w) è la vera fcienza della felicità Umana,  non fi può per niun verfò recar in quedione, che tutti non debbano proccurarne il  filo acquifto * Ma bilògna però ofièrvare,  come altresì quindi mani fefia mente s’imprende, efier dimedteri; I. Che non fòlo il fine dell* azione d’ un uom faggio fia  giudo, e buono, ma eh* altresì li mezzi  fiano tali. Il.Che quedo fine fia tèmpre mar  fiibordinato, e codituito dipendente dal  principale, eh’ è la propria perfezzione .  E III»   m ) V. La futi prefazione al codice diplomatico del Dr^to delle Genti. Che li mezzi, li quali colà condur ci  debbano e portare ; vi ci conduchino, e  portino per la piùbrieve * e corta ftrada  del Mondo. Ma come pòfliam far noi quello acquifio ?   M» Conviene per giugnervi provederci di  molte, moltiflìme colè $ poicchè primieramente noi fornir ci dobbiamo di fcienza,  non potendoli in altro modo format buon  giudizio delle azioni noftre particolari, e ' '  della vicendevole fobordinazione ^ e di- *  pendenza de* fini infra di loro * e delti  mezzi, che vi ci conducono ; In fecondo  luogo fi richiede* che fi abbia un* erètta  contezza* e Un intero conofcimento non  meno della malizia.* e della bontà dell*  umane azioni, che del li negozj li più necefiarj, e ùtili, od importanti alla vita ;  con trattar di aver un’abito darèperben  provar tali colè * imperocché quel che  peravventura otteniamo dalla Matematica, o dalle altre fetenze egli è d* un afiai  picciol ufo, e prefiò poco di niun momen- to pel corfo del noftro vivere tutta volta,   • che fiam totalmente sforniti, e poveri di  quelle materie imcui poggiar fi dovrebbero * e fermare li nofiri aifcorfi ; In terzo  luogo v* ha mefiiéri, che fi fii profittato  nell’invenzionejcome Che giovi fòprà tutto,   che fi fàppj quelche in quella materia può  • mai riguardare al buono, e fàvio modo da  vivere . In ultimo abbilognà perciò aver  anche dell’ ingegno e dell* acume per gitigner sì fattamente ad ifpecular 1* altrui  azioni, e meditarle, die fi comprenda il fine, che fi ebbe in eflè, e li mezzi, che per  .mandarle ad effettto fi prelèro, non che gl*  impedimenti, che intanto vi fi framefchìa*  rono, anzi tutto ciò, che vi fi operò mai di  foverchio, e lènza che la bifogna 1* avelie  richiedo ; comechè, vaglia il vero, non fi  pofià giammai formar un buon giudizio  della Capienza d’ alcuno dal lolo evenimento delle colè; poiché. lòvente avviene, che  per gl* impedimenti, e per gl* intoppi *  che non lèmpre fi poflòno al dinanzi molto  ben antivedere, nò pronofìicare, avvegnaché fi fia operato con ogni maturezza, non abbiano avuto quel buon /uccello  che fi affettava .   D. Qual colà intendete voi per prudenza ?  2\d, Quell’abito, o fia difpofizione, del nostro intelletto, per cui fi mette in opera »  e fi elègtiifce quanto al dinanzi da fenno,  e faviamente fi fu fiabilito. Vaglia il vero, lènza quello, la lapienza è di un molto poco ulò per i’ uomo, e  quali che di ni un pregio .   E quello è il motivo per cui da lui fi de-*  ve a tutto cofio trattarne 1* acquifio .   D. Ma perchè in noi la prudenza, e diverfà,  e differente dalla fàviezza .   M» Egli è ciò un effetto della limitaziorìe del  noftro intelletto; Quindi, fenza fallo avviene, che deliberando noi delli mezzi, che ci  / conducono ad un fine, fòltanto badiamo  a ciò, che rifguarda per all 1 . ora 1’affare,  talché per la gran moltitudine, e per la  gran varietà de’ contingenti * che del continuo avvengono, abbattendoci per avvefh  tura ad alcune cofe, e ad alcune particolari circoftanze, cui non così di leggieri fi  potea al dinanzi da noi guardare, e quelle  rendendoci fòmmamente perpleflì, e dubbiofì, fe mai sforniti totalmente fiam di  prudenza, non lappiamo a qual partito renderci ; Il perchè la umana pfuderza in  altro non confitte, che in fàper da se dilungare, ed allontanar gl* impedimenti x  e gl’ intoppi tutti, che fi offerifcono al dinanzi delle noftre imprefè, e ne fiurbano  l’effetto (K) J e per quella ragion da’  > PeeQuindi è; che r’ if copra fidente  Una cofa bene, e vìujlafrentefatta, ma non  riga con prudenza $ e che in Dio non oblia   mun   *•   Poeti, i quali per inoltrarci, eh’ ella derivi in noi dalla mente, eh’ è quali che  divina, mediante cui confiderando, e badando a tutto, abbiam gli occhi rivolti  per' tutto favoleggiarono eh’ ella nata!]  ìbflè dal capo di Giove, ch’eglino chiamarono Minerva, (1 ebbe per (ignora, e  donna della fortuna, e come la lòia, che  contrariar poteflè, ed opporli a’ fuoi diségni ; e di Bione dir li lùole, che avea in  eofìume di lòyente ridire, che quella in  tanto maggior preggio era d’ averfì, e flit  marfi (òpra tutte l’ altre virtù, quanto  più cari devono tenerli gli occhi, e re/putarfi più degli altri lenii, comecché tra’  Greci furono pur di quelli, che la confusero del tutto con la Sapienza ; ed imperò  Afranio dèlcjivendola con luoi ver fi non  ebbe dubbio di metterle in bocca .   La memoria mi t fe % ma generata  > DalP ufo ; i Greci vegli on, che fofia,  Afa fapie n za noi, eh' io Jìa chiamata »  V. Ma perchè quefia virtù la sì crede propria degli attempati, e de’ vecchi ?   M Per   n*. rfon le proprie parole di cottili ) (q)^   ÒSI iroKo yvfivu^iStax, ÒSI tto\Ù ÌSj'ihv, J Si to\Ò irivay, CSi  tto\ù iffira.TÒiv-p'x&jav-, mùcu. f/sy zm Tjmpyp 'iroix.'riw,   . Dinegatemi tutto qliefio più chiaramente con gli efempli.   . Af. Volete voi Spegnere in un uomo una  gran gioja, o allegrezza? Quefto affetto  provenendo in noi dall* oppinione d* un  ben pre lènte ; bafta pur per aver il voftro  intendimento ; che a coftui gli facciate  comprendere, che quello, eh’ egli crede  bene nell’ oggetto, che cotanto lo fcuote,  non fia in effetto tale, ovver c’ abbia foltan  t * 1, ** X   if4   tanto un ben lùperficiale, ed apparente, e  quell* idea, eh* e’ crede convenirgli aliai  poco, o nulla gli convenga . AI rincontro  volete torlo da qualche trittezza, o dolore ? batta che pur voi vi portiate diverlàmente ; poiché ciò provenendo dall’ oppinione di un mal prelènte, altro non è meftieri che fi facci, che dargli a conoscere,  quello, eh’ egli crede malo non Io fia,  ovvero’ abbia fol 1* apparenza, e non le  ne debba miga far quell’ idea, eh’ e’ ne  forma . Allo tteflò modo 1’ amor verlò gli  altri nafeendo in un uomo dal dilcoprirvi  egli in quegli peravventura, e rinvenirvi  qualche colà di lùo gufto, e piacimento,  per convincerlo ed ammorzar in lui queito affetto non gli fi deve provar altro,  che quello da cui e’ riabbia quel piacere,  e diletto, non fi rinvenghi nell’ oggetto  amato ; ower eh’ egli Ila tale, che dopo  quello picciol piacere e diletto apporti  . del tedio, e del rincrelcimento in eftremo;  comeche potendo fovente avvenire, che  non fi conolchi punto l? ragione del filo  amore, in quello calò per togliernelo al di  fiiora fi potrebbe altresì trattar di dettar  in lui dell’ odio, non già verlò la perfono,  ower l’oggetto amato, ma si bene in verfo le laidezze, o li vizj di quella . L’odio   ali*    . lsf  all* incontro verfò qualche oggetto derivando in noi totalmente dall* increlcenza,  è dalla moleftia, che n’abbiamo, bramando vói torlo d’ akuno, non conviene, che  adoperarvi di renderlo perfùafò e convinto, che ciò che quefto produce non ila  realmente nella perfòna odiata, e fpiacevole, ower eh’ e’ fia in fè ingiufto, e irragionevole ; (ebbene per efler quefto un affetto, vaglia il vero, di natura pravo, e  cattivo; e imperò potendo fèrvir di grande  incitamento a molte azioni prave parimente, e cattive, fi pofla di vantaggio fargli badare a tutto quello, che fi abbia per  virtuofò, e buona in altri, ed in effètto  non lo fia, o che fi reputa malo, e non fia  tale ; Or quefto fteffò modo e quefto medefimo metodo dobbiate tenere,* e ofierVare rifguardo tutti gli altri affetti ; perche fèdi tutti favellar ne doveffì partitaménte, non ne verrei giammai a capo, e  diverrei forfè a voi fteffò non che a me  nojolo, e rincrefcevole ; tutta volta non  deve lafciarfi in filenzio, che fè pur avvenghi, come può di leggieri avvenire;  uno per confùetudine, o per coftume, ovver per natura fi vegga più verfò un affètto, che verfò un’ altro pieghevole, dove  fi voglia quefto ritrarre alle noftre voglie   fia ir re DE‘ principi   fia meftieri deftar in lui anzi quell’ affetto  in cui fi fcopre proclive, che un’ altro  molto diverto, e vario da quello ; Verbigrazia infingali pur, che Titio fia molto  timido, e vile, e che ci venghi a grado  di ritrarlo dal male, ovver ad un’ azione  buona, e virtuofà ifiimularlo,* egli non  v' ha fenza dubbio, altro miglior mezzo  per riulcirvi, che fporgli al dinanzi tutti  quei mali, e quei perigli in cui peravventura potrebbe egli incorrere operando a  filo capriccio, e contro il noftro confèglio;  anzi come colà degna di fomma ofiervaggione è altresì da notarfi, degli affetti generalmente parlando, ch’eglino tra li lor giudi, e lecitimi termini riftretti fiano per noi  d’ un utile impareggiabile e raro in modo,  che fè pur non f'ofTè così difficultofo, come egli è, di sfornircene nel Mondo, verrebbemo con efiì a perdere parimente un  infinità di agi e di co m modi, che n’abbiamo . Annoveratemi le virtù proprie della volontà. Quelle fono: Temperanza, cifra di fè  medefimo, ovver della propria perfona,  cafiità, liberalità, modefiia, diligenza,  pazienza, fortezza, amor inverto gli altri, manfuetudine, amicizia, verità, e  gùiftizia. Co   .1, ir?   Cominciando dalla temperanza, ditemi  che colà fia ? Ella fi è un abito, o per meglio dir una  virtù morale, che confìtte in ben determinar il noflro appetito rifguardo al mangiare, e al bere giuda le leggi della natura ; imperocché dovendo noi ne’ cibi, e  nelle bevande, così come nell* altre cole  aver la mira tèmpre all* utile, e alla notìra  falute, ed imperò vedendoci tenuti badar  romeno alla lor qualità, che alla quantità,  l’ obbligo, il dovere, 1* uificio d* un’uomo  temperante rifpetto a quefì’ ultimo, egli è  di non appeterne tè non quanto quello fine  domanda ; vai a dire, tèi quella quantità,  che per la falute, e per la contèrvazione  di fe medefimo la fi richiede,* e riguardo  al primo, cioè, alla qualità, egli è me(fieri, che fi porti da medico con lui defilò, e ponga mente per lo continuo a tutto  ciò che li può mai giovare, o nuocere ;  quel cibo tèltanto generalmente parlando,  tener dovendoli per molto buono, e làno,  che fi lente di leggier ilmaldito nel noflro  ventricolo, e che vaglia a promuovere il  trapelamento delle parti ; imperocché non  abbiamo sù ciò delle regole filtè, e flabili  ad oflervare, ne poflìam troppo trattenerci, e di tèverchio a contègli de* Medici,  non men per non eiTèr tutte le colè comunalmente a tutti utili, e profittevoli,  che per la poca evidenza, e certezza di  quelli precetti, eh’ eglino n’ imprendono  dalli libri della lor arte, come sforniti totalmente^ privi di quelle ofièrvaggioni da  cui fi ritolfero . Non credete voi $ che polla egli llabilirli  .qual quantità di cibi fi richiegga per un  uom temperato, e ben ordinato? No,* poicchè per la diverfità del corpo  fè nc richiede in uno più che in un* altro,  come che per alcuni legni fi polTa lènza  dubbio daciafcun conofcer, e comprendere quando giufla ella fi fòlfe per lui, e  convenevole, e quando fi abbia ufcitodi  cotali termini, Ditemi quali lon quelli incominciando  da quelli della lòbrietà . Li principali di quella fono la leggerezza, e l’agilità delle membra dopo il no(Iro pranzo, o la cena, ed il dormir con  tranquillità, e lènza, alcun interrompU  mento . E quali dimortrano il troppo riempìmento? Gli opporti a quelli, cioè, la lafle2za  delle membra dopo tavola, e la gravezza,  o fiacchezza del capo, per là mutua, ed   ilcam* ; jf 9  itèambievole corri fpondenza, che v’ è tra  quello, e T noflro ventricolo,* (ebbene il  ioverchio cibo ha tèmpre di meno fàrtidio  per verità, e pregiudizio per la teda di  quel che lo fono gli eccelli del bere .   Z>. Ma come mai per uom fi conotèe (è il mal  provenghi dalla qualità, ovver dalla quantità de* cibi ?   In più modi ; porto però che fiam ben (àni, p liberi di quelle pafiìoni, che fòvente  fi veggono difordinarci, ed efièr di un grart  impedimento alle funzioni, o azioni noflrc  animali ; imperocché per ciò (àpere, non  tèlo paragonar noi polliamo, e far comparagione.della quantità de’ cibi dell’ultima cena con quella dell’ antecedente, e  dello flato del noftro corpo in altri tempi,  in cui peravventura ci rimembriamo aver  fatto utè> delli medefimi con il pretènte, m’  altresì dall’ incommodità, che (èntir fi fogliono tanto in tempo della digeftione, eome i rutti, gli ardori interni del ventricolo, i dolori di tetta, ed altre di tal fatta, quanto dopo, e (pezialmente nell’òre  mattutine, come le languidezze, o Iaflazioni, che dir vogliamo delle membra, dsendo  tutte, e tali colè, ed altre fimill tègni certi ed evidenti della mala qualità de’ cibi ;  fcnza nulla dir delle feerie, e dell’ orine, che    ito   che fògliono non che di una buona digeflione, di ciò parimente renderci ficuri,   D. Sup»  Ecco qui un faggio .di quelle regole  portate per regolamento della propria fallite,  in quella parte della Medicina, che comunalmente la lì dinomina Igieine, o Dieta maggior chiarezza de ’ nojìri leggitori ridotte olii  feguenti capi,    Dell' elezzione del P ària •   Un aria dolce, ed amena, e temperata la il  erede la miglior del Mondo, e la più falubre  perdei vita ; comecché Ji loda pure, e Jì abbia  in qualche pregio quella de ’ luoghi campejìri,  o alti, e fventolatì in modo, che agevolmente  if gravar Jì pojfa, e fcaricarjì de’ fu oi effuvj ;  V altre tutte differenti da quejlejtan calde,  o- fredde, fan umide, o fecche, ofan denfe  di foverebio f anno come molto nocive agli  ammali e dannofe ; imperocché primieramente il troppo calore dell'aria ifeiogliendo altre sì troppo il nofro f àngue, e con rilafciar li  pori della nojìra pelle più del convenevole fa cenD. Supporti quelli principi dunque 1 * intemperanza che fi reputa comunalmente, e fi  hà, come un vizio contrario interamente  ed opporto alla temperanza, non confìfte,  eh’ in dirigere, e determinar l’appetito  quanto alii cibi, ed alle bevande in un mo L ' do    cendone ifeorger al di fuor a J, udori eccejfivi  non vai chea debilitarci oltre mifura;e al rincontro il fuo freddo eforbitante refringendo a  maggior Jegno quejìi bocherattoli, ofian pori 9  e con ciò fervendo a ojì acolo, e di impedimento  alla rejpir azione e ’ può si fattamente ifpejfir  gli vomori, e tonde n far li, eh' e' vengano a  recarci addoffo infiniti morbi^ciòè tutti quelli,  di cui la fp effe zza fuol ejfer cagione ; avvegnaché F eccejfo del freddo veramente fa di  molto minor dannaggio per il nojiro corpo,  che non è F eccejfo del calore . In oltre la fiover chi a umidità rila fida, e fieude in eccejfo  le fibre del corpo, e con ifpigner gli umori a  gran violenza, e forza inverfo le parti efferiori fa che di legjgri vi f accolghino, e fifa gnino, e con ciò venendo del tutto a cor rom*  perfi, e viziare, fono F origine in noi e la  caufa dì varj, e diverfi affetti catarrali ; e  ffl rovefeio laficcifapiu del tfi&ert cpl dijfec*   ‘ care,     do tutto al roverlcio di quel che fi richiede  per la noftra fàlute ; e poiché la volontà in  noi vien tèmpre niofTà da qualche motivo,   4 c per contèquente imperò deve eflervene  alcuno per cui uom brami un cibo, o una  bevanda di qualità, o di quantità anzi contraria, che confacevole a lui medefimo;  altro per (corta, o guida non avendo colui,   che   • ! \    w   care, e rafcìugar incomparabilmente il cor*  po facendogli perdere V agilità, e la dejìezzQ  delle parti lo rende inabile, per poco e netto  al moto ; (ebbene l' aria calda, e umida fa  affai più peggiore, e pregiudiziale alla folate di quefle, come quella, che piu d' ogni altra vaglia a frodar negli animali degli fi ruccheVoli, e cont 'aggicf vomori ; e finalmente  dove abbia Joverchia ifpijjezza, e denfìtà, e  con quefia una fopr abbondanza d* ejfiuvj come  quella de* luoghi fotter radei, e fenza ufcita y  ifpeJfendofiH umori,e cond enfiandoli li di [pone  ad una infinità- dj rifiagn(fowtti,e di differenti  malori con effer ben foverite''altresì la cagione  de Ili Affogamenti degli animali ; quindi è, che  le càfe>e l* abitazioni nonfi figliono lungamente tener iibanvCe, è Quelle fatte di ritenta  v  • non    ‘""  che dalle leggi della natura lì diparte, che  li proprj lenii ; egli deve crederli, giuda  eh* io m’ avvilo, non per altro 1* intemperante ufi li cibi, e le bevande in qualità,  o in quantità più del convenevole, e del  giudo fé non per il gufto, e per il piacere,  che vi rincontra.   M- Quello è ve ri (Timo ; e vaglia il vero per  muoverci ad evitar quello vizio, ed averlo in.abbominazione e in odio, ballar dovrebbe T aver a cuore la nodra vita, e la  propria falute, rendendoci certi appieno,  e peiTuafi del nocumento, e pregiudizio  grande, che ne pofiìam mai ritogliere; im L a . pe  non fi abbitano fe pria non Jiano ben diffeccate,  e riafeiufte, o per via de fuoghi, e de' f uff umigj purgate, - m 2 . * %   Pelli Cibi e delle bevande,   Egli fi hh quafi che per una regola genera*  fe ffavellandfi de ’ Cibi fodi, e non flùidi,  che li migliori, e lo piu f ani Jian quelli, che  fi veggono meno fogge t ti a corromperji, e a  futrefarjì ; e -che quanti più f obietti vengano^   ' e Jem   ?..    i*4   perocché dall’ amore, e dall* affetto, eh*  abbiamo alla noftra confèrvazione non miga disjunger potendoli e fèparare il gufto il  piacere, quanto è vie più quello e maggior  di quello, che dalli cibi, e dalle bevande raccogliefi, tanto più e, prevaler faprà in noi,  C dominare portandoci ad abbonir, come  conviene, e renderci alieni da ogni, e qua-,  lunque fòrta d’ intemperanza, e ifregolatezza ; e comeche a ciò niuno giunger vaglia che pria non (àppia quello cibo, o quella bevanda per la fca cattiva qualità, o  troppe quantità li rechi danno, aliai pochi  non però fi veggono di quegli che badano   que  e femplicemente al gufto preparati, cotanto   piu giovino . Quindi ne Jiegue ; 1. Che V erbe f ano migliori eftremamente pii* delle carni, comeche  quelle che rin ferrano in fe maggior copia, e  abbondanza d' acqua deir altre, fi tengono in  minor pregio, e per meno falubri ^ li. Che  delle carni quelle che fon d' una tejfttura non  guari ne dura, ne fr agile jorne quelle di va. Del Moto, Oltre tabu O'sa elezzione dell* aria, e de*  cibi per la J alate, egli Jì richiede altresì un  moto moderato della per fona, e fatto a tem.   fOy    . 1 7 r  Per la qual cola infra gli uffizj, che l’ uom  deve al fuo corpo, eflendo la contervazion  della propria vita, la fanità del corpo, il  fàperli ben guardare, e munire centra ritigiurie delle ltagioni, 1* integrità delle  membra * e ’1 trattar d’ acquiftar tutti gli  abiti Convenevoli al fuo (lato, e acquiftategli, efercitarli, e mette rliin opera ; da  'chi che brama aver di fé quella cura che  aver deve fà meflieri,che ogni fio Audio, e  tutto l’ intendimento rivolghi a cotali co* fe ; poiché in ordine alla (ita vita * uopo è,  che fi rifletta quanto mai reputar fi debba  la (ua perdita con ragioni prete dal fuo  proprio flato, come a dire col por mente  a Ipiluzzo a tutti li beni, eh’ egli da quella    po, cioè, non miga dopo pranzo ; eh è potrebbe ejfer dP un gran impedimento alla concozion  de' cibi, e in luoghi debiti, come fon per efem pio gli aperti * 0 li campejìri, che fono li migliori . Vaglia il vero venghìamo da tutti affé urati e ref certi, che come quejìo ufato in  quella guifa, che voi abbiam detto, giovi a  confervar in moto il fangue, e mantenerli il  calore, non che per . la robujìezza, per la gagliardi, e per V agilità delle parti, e per al-tri    iere, e alla fùa famiglia*  e agli altri recare; niuno nafcendo per fe  me~defimo,ma foltanto per Dio, e per gli altronde è che ad uomo competer non pof.  fa giamai dritto alcuno, ne poteftà (òpra  la propria vita ; e per nitina ragione al  Mondo debba affrettar la fua morte, effendo ciò lo (letfò che rubellarfi, e fòllevarfi  contea Dio, giuda fi moftraron di fèntimento li migliori infra gli antichi Filofòfi;  ( r) come che gli Stoici foli avellerò tutto  diverfàmente fentito, in guifà che i Romani avendo la maggior parte da Giureconfulti avuti da cotal fetta, non filo niuna  pena iftabilirono contro coloro, che volontari a (r) Cic.inCit.è de Rep. I. Vi. p. io?. Ateneo i. 4*  p. itj. Caujabm.p. 1S4. PUt.in Pbadon. Piotivi. \X.En~  nead. 1. Senec.ep . 70. p.    tri si fatti commodi, ed agì : potendo fedirci  di vantaggio fpszialmente per un gran preferì  vativo e argomento a poterci da morbi Cro «  nici liberare, non che dall’ippocondria ; e  dall' etica f opra tutto con quello del cavalca re : cosi al rincontro la f 'ua mancanza, e la  foverchia q f àe*e venendo il nofìro corpo pref.  fa poco ad ifnervare, ed qffiebolire lo renda   ina - tariamone trattato avefièro ufcir di vita,  ma altresì come Validi li tefiamenti ne fofiennero,e l’ultime volontà ( s ). Anzi alcuni  non foto infognarono, ma ne diedero fin nella  propria perfòna della lor dottrina l’efèmplo;  come di Caronda, di Cleanto, di Crifippo,  di Zenone, di Empedocle, di Democrito,  e di pochi altri dicefi ( / ),• che nell 1 ultimi  lecoli altresì ebber di quelli, che ne prefèro le parti, e contra ogni ragion li fèguirono;ed il medefimo fi può dire riguardo alla propria fàlute, efiendo ogn’un  tenuto por mente alli commodi, e agli  agi, che da eflà fi poflòn mai avere, e agli  jncommcdi, e difàgi, che portan (èco i, mor ( f ) i {Ip'utn. D, /. ^8. Paul. I. 39.   ( c ) frodar. 1 . 1 a. p.Si .Lattant . de /alfa fapientìa . /.   8.C.1S.   ( u ) V. Alla erudlt.nd ann.iyoi. menf Maj.,    inabile del tutto al travaglio, e alla fatica,  e con fargli vmori foverchìo grojfolani divenire, e che le digejìioni az/venghino fuor di  tempo, infermiccio, anche e mal fano ; ma  egli è uopo avvertirebbe dopo un moto violento, e forzato non f debba tutto di rimbalzo  come egli dicono, darjì alla quiete, e al riposo, ma pajfo pajfo * acciò mediante V infenfì bile    morbi, di cui, vaglia il vero, farebbe lènza  fallo, di gran nofro giovamento, che a  quefto effetto fè ne cercaffero,e fe ne ilifcoprillerò le caule . In ordine poi all* integrità delle membra in tutto il corfo del nofro vivere, e in ogni moto, e fito del nofro corpo, uopo è badare attentamente alli  danni, che comunalmente fi veggono alli  incauti avvenire ; e veggendofi per efperienza, che li fènfi in noi per l’ eccefiìvo,  e fìrabocchevole ufo, che ne facciamo, ven; ghino la lor virtù a perdere, ed a (minuir  di forza, cioè, che P applicar gli occhi per  efemplo alle cofe minime, e piccioliflìme,  o troppo difcofie, e lontane, o vicine, d’afc  fa i fracchi la vifta, e la difminuifca;   J’-oreebile trapelamento delle parti agiatamente  fatto, fi dileguino le particelle faline e fulfu •  ree del j angue .     *   Pel fonno, e della vegghia.    Ma ninna cofa vogliono, che vagli vieppiù  il nojiro corpo a fcemar di forze e debilitarlo  quanto il troppo Jìar defio, e la lunga vegghia.  ' eh' . i?f  * T orecchie a rumori troppo violenti, e  grandi, ovvero a filoni foverchi vehementi efpofii perdano l’ udito ; e ’1 medefìmo  egli lìa trattandoli degli altri /enfi ; non  abbifogna miga ufarvi negligenza, e tra£  curagine, In ultimo rifpetto all’ abito, e  al domicilio, di cui fiam in dovere forbirci  per poterci munire, e difendere dalle fiagionijè mefiierj, che fi oflervi non meno il  decoro s e far che I* azioni libere fian  Tempre mai in concerto, che aver fa  mira agli averi, allo fiato, ed alla  propria dignità, eperfonaj come che dicendo io di. efièr in obbligo provvederci   d’ ab  K * "2   eh' impero il fonno Ji abbia per la nojlra confermazione a reputar £ ima ejirema necejfitày  e bifogna ; come che fi richiegga ufato pur con  moderazione, e regola % y effendovi meramente  alcuni, che ne fiano piu degli altri bifogno Jì, come quegli che fono in una continua meditazione, cioè di un temperamento molto  umidofopra tutto però Jì avverta a far buona  elezzione de' luoghi per dormire, ejjcndovi alcuni come i foverchi caldi per efetnplo, che  fono meno comendabili e f aiutati de' freddi,  stemperati,   V. Dal,     4’ abitazioni, e di vedimenti per liberarci, e (campar dall’ ingiure delle ftaggioni,  non intendo miga aderire non efièrvi altro  motivo per cui alPuom convenghi ciò fare ; imperocché in ordine agli abiti, li noftri (enfi venendo modi (avente, e rifvegliati dagli oggetti, e per mezzo di effi  ponendofi (pedo in moto l’appetito, egli  ogni ragion vorrebbe, che facedìmo nel  noftro corpo ufo di quegli per coprirne,   • e nalconderne quelle parti, di cui pur troppo i( tacer è bello, altresì dove non vi avek    V,   Della fup effluiti, e degli efcrementù   Molte fon le regole altresì che ci vengono  preferite a queflo riguardo ; ma noi non ne  riferiremo, che le principali, le quali ridar  fpojfono a quejie, cioè . Che le f ape fluiti e  gli efcrement\ tutti generalmente parlando,  lungamente rattenuti fano di un gran difea*  pito alla falute .Che quelli che fono fcarrichi di foverchio,  q fciolti di ventre debbano di gran lunga evi «  tar il freddo del corpo, e fpezialmente quella   àe', fe alcun timore degli incommocji de’ Tempi j è rifpetto alle calè, e abitazioni, converrebbe parimente averle per cuftodir il  noflrO 1, e per attener pio agiatamente  àlle noflrebifoghe; e preparar il necelfano al noflro foftemamento, non che le  ftanche membra rìftorar col tonno . Quindi  uom vede quanto profittevole, e giovevole e’fia per ciafcuno trattar di 1 far un  abito da poter riflettere, e badar anche  alle cote piccioliflìme, e di niun rilievo  per non la/ciar nulla a dietro nelle colè  . grandi, e di maggior momento. ' ‘   D. Che colà è diligenza? ‘;   fri. E una virtù confìflente in ben determinar la fatiga, e’1 travaglio, non che  tutti li noftri efercizj giufia ìe leggi della  natura ; imperocché efiendo colà pur cer• M • >, tiiTì,   . ' .  ^,  de piedi . Che lìfudorì volontari gfovwo fuor  di mi fura a quelli che fon cT un temperamene  to umorofo . Che la fa Uva ef'endo d* un gran  u » e ffZ\ a . dwjjìove j e per la def rezza, e  l agiltta delle fbr e non Jì déhba Jempre cacciar via ^ e rigettar al di fuor a ; ed in ultimo eh iUoifo Venghi adoperato molto di rado ) e moderatamente, ejfendoyi alcuni tempi   come   tilTìma che 1* uomo ingegnai* fi debba in  tutti modi di aver tutto ciò, che può mai  abbifognargli nella vjta per fodisfar, Com’  e* conviene al li lùoi obblighi, o ulfitj, non  puòdalènno dubbitarli, che non debba  efTer afiiduo nella fatiga, e nel travaglio,  e non lalciar occafione alcuna àddietro eh*  efier gli polla di frutto, o di guadagno all*  accrelcimento de’lùoi averi,* ogni volta  eh* egli polla farlo a gloria, e loda dell’  Onnipotente, e lènza 1* altrui danno, o  difeapito ; potendo egli avvenire, come il  più .avviene d* ordinario, che per vecchiezza, o per indilpofizione, o per altra  contrarietà della fortuna, in apprellò non  polla s ne abbia cotàl agio, e commodo ;   co Il-l I    v ' ’   Vegli effetti 3 e delle paffonì.   ' >  ' ’ r ’  r • •   I ^ '   Ter quel che riguarda quejìo particolare  fionji ha nìunacofa di rilievo dalla medicina j  onde tra per quejìo, e perche fe ne favella   /# . cofa che fa cono (cere, e comprendere ì  quanto giutfo, e’ fia, e convenevole badar  per 1* avvenire * e non confumare, di bot. to 1’acquieto ; Li vantaggi, che mai lì  ritraggono dall’ elèrcizio Coverebbero bacare a non renderci neghittofi, e pigri,  m’ amanti, e vaghi dell’ abito, o Ila virtù  di cui di prefente favelliamo,• come che il  noftro travaglio, e la noftra fatiga deve  regolarfi lèmpre in modo, che nulla mai   M a di   " !  1 !» 1 . ! * » x  sufficientemente /opra, non /limiamo ne ce far io  difenderci di vantaggio. Velie regole proprie per la falute di  ciafcunoy o per V età, o per lo fijfo,  o per lo mejìiere o per lo tem per amerito. Oltre quefie regole generali vi fono di  quelle che non rif guardano, che lo /pedale ;  ed alcune perfine particolari, o per f Jtà,o  per lo fife, o per lo temperamento o per lo pro~  prio mejìiere . Incominciando a trattar delle  prime, e di quelle riguardano tonfati feto al   dinan di fatata giuda teftè detto abbiamo, veru  ga a perderli, o il decoro, e la giocondità  della Vita a /cerna re ; poiché non v’ è colà  lènza fallo, che fia cotanto commendabile, e lodevole, quanto d* un uomo eh’ in  tutto d’ offervar proccuri y e tenere una  via di mezzo, eflèndo per poco tutti gli  eftremi vizioff.   V. Che cofa è Pazienza?   M, E una virtù, che ferve a diriggere, ed   ' • v fri- •:   (i io ) Libo la* c. io ; . ; ftieri fòffrir pazientemente, e patire quelf che non fi può in guife alcuna fra fto mare*  e rimetterci in tutto ài fuo divino * e fanto  volere ; e ciò tanto più, che fecondo dàlia fperienzà s’ imprende l’ impazienza ad  altro mai non ferve, che a fard 1* avverfi•; tà, e 1* infortuni vie più maggiori divenire, e intolerabili ; Avvegnaché (òpra modo giovar ci polTà per quanto fia poffibile  ' il prevenirli anticipatamente, e nelle  cofe feconde, e profpere avervi mai fempre la mira, o con applicarci a più, e più  cofe trattar in effe di diftraerci nel miglior   modo    primo anno da far far loro akufo de ’ cibi * e  delle bevande per non renderli infermicci in  mille modi, t cagionevoli 5 anzi è bene anche  /appiano il f onere hio cullare, che fi ha in co*  fiume comunalmente di far per tirar lì ragazzi al fonnó, fovénte rechi loro un dif capilo, e  un danno notabile ; vero è però che il fonno  nelli primi mefi, quanto egli è pih grande Jane  to vie pitt avér fi deVe, per meglior fegno *> e  per marca di fialute, come al rincontro la vegghia oltre P ufato è fempre fegno y e indizio  di qualche morbo . Rifguardo all'aere il temperato è il più comendabile e lodevole per ejji t   e un modo del Mondo ; di vero la vita dell’ uomo ( dice un attore Terenziano ( x ) egli è  come il giocar a dadi, in cui tè quel putito  - non ayviene, che tu appetti, abbilògna  che l’ arte corriga la fortuna ; onde, giuda  ’ Epitteto, ( j ) perciò non v’ ha meglio, che  . guardarfi di non applicare la propria avverdone, e il proprio appetito in colè, eh*  . in nuila da noi dipendono, e rifpettòa  quelle ( z ) che fon il (oggetto del nodro  - amore, o del nodro piacere, o che pur vagliono per qualche noftra bifàgna è medieri che fi difàmini attentamente la lor natura, incominciando da quello che meno vaglia ; imperocché fe mai un Vetro, oun   pen ( X ) Adtlph. atf. IV. fc. VI ri   ( y ) irXEIFIAIOR f.7.   (;z ) li il. c. s. è 9. 10. 11. n. 15.14. i?. #ei    I,    e an refpir, amento al meglio che fa pojfibile  libero ; quindi li bagni lor Jt credono altresì  pojTono ejiremùmente giovare ; comeche tutta  la diligenza e cura deve ejfer mejja in mantenerli di ventre liberi quanto f può, e fciol-i  tip giunti jbe fi Veggono a tempo in cui toglier  Jt debbano dal latte,abbifojjia, che lungamen*  . te (ì facci no ajìener non men dalle carni, cb*  eglino miga vagliono ancora allor a diggeri*   M 4 re    Digitized by Google    .184 DE' PRINCIPJpentolino, per efempló, avvien, che ci  piaccia', e diletta, perfiiafò vivendo noi  quanto e’ fia di natura corrottibile, e fra- gilè, dove per avventura mai e* venghi  ; a frangerfi, o fiaccarli non verremo per' ciò miga in difturbo, e perturbagione,   Ei p' ìxcés-is 4- v X ee y a> y* l ' !my i fi ir pittai viw, 5   yO(iiva>v, (lìfiJHro unKtyuv, ómìór tri v, cip 9 " O’fMKpi'itt'Wr  upX'óptivos . ai xvrpav ripypi-, ont xórpcat rtpyas.Kctntttyti*  c»s yàp mùnti, « . a» * iraxhor axjrts Kcentttpr   X>ji, H yuttcùx-oc, om ausSabnrov] ’x.x.nu'piKàs «p5uuóvno   M. Un abito, o virtù che ferve a difporre,   • e diriggere 1* azioni dell’ uomo nell» pericoli    che fi ave zzinole  éójUtmino far tutto Ordinatamente, e con decoro, non che li lor travagli, e li lorfiudj,  cui per avventura in un età giujìa, e convenevole fi danno, avvertendo dì vantaggio,  che quefii vengano ammifurati in gnifa, che .  il lor ingegno efiremamente non fi infievolii  chi, e debiliti, ' \ \   r In oltre pafiando ad altro ; egli fi ac cornane  da a vecchi figuir tuttoccib,che fono cofiuma   1 ceflìtà, eflèndo ciò contrario del tutto  . j reai mente, ed oppofto alle leggi della Natura, e quell’ eccedo appunto, o vizio,  * a cui comunalmente diam nome di audacia,  o tracotanza rOr finalmente quefti erano  gli uffici, gli obblighi, e li doveri dell*  uomo fòlo nello fiato Naturale e non altri.  D. Ma perche voi favellando peravventura  di quelli, che non riguardano che lo fpirito, abbiate altresì tratto di quelli, che  aveano attenenza al corpo, e allo fiato  -efierno ?   M, Per   . aggevole d’afiai e facile, dove pur cosi .  v* aggradi, ridurli sù quelli tre capi di cui  vi feci motto fin dapprincipio; imperoc* che qual malagevolezza-, o difficultà mai  r. potrete voi rincontrare in conofcere ; Che  quanto da noi fi diflè della volontà, e del. » rieeffer una feguela dell' applicazione e del ripofo ; .come eh e V ufo del cioccolati o di tempo in  tèmpo poffa firvir molto per fortificar loro la  JìomaCo, e rimetter lì f piriti nell'applicazione  efauJtiyWn che per corrigere gli acidi del fan*   gite. Al rincontro, a quelli, che fon peravveng  tura Deputati, e desinati a travagli ^ e fattolo e pili dure i e gravo fe y fi concede feur amen*  te U bere y e il mangiare in più gran copia, ed  abbondanza di quejii ultimi, ma fono avvertiti d' effer cauti, ed avveduti di evitar del,  tutto ribaldati, eh' e' pano le bevande fredda  ingenerale, potendo lor ìquefle apportar feco  ricchezze, agli abiti, ed altre così di tal  fatta non abbi attenenza, che al noftro  • flato efterno ? Onde ecco pur tutto con un  motto rimeflo in quello afiertOjeordinanza  che voi lo defiderate,*ed egli è cofa t in realtà  di gran rimarco oflervare,come tutto interamente quali che da fonte, o forgente trat*  to s abbia da non altro, che da quella, noflra maflima generale: cioè, che l’uomo  debba far quantunque più può, e sà a foo  vantaggio e utile, fempre. mai che far lo   polfa - ‘    'delle diarree,foccorrenze, cacajuole ed altri  malorifmili .   In ultimo venendo a quel che rifguarda la  diverjtia de' temperamenti, primieramente  per quegli, che di f over chiofopr abbondano  di fangue ì egli vien fommamente lodato un a e* •  re molto, temperato, un vitto affai naturale,  e fempliciffmo, un cibo di groffa corffjìenza,  e una gran moderatezza nel vino, e nel fon120, non che negli affetti interni de ir animo •  Secondo per li colerici, e li biloffji approva,  oltre un * aere altreiì temperato^un cibo liquido ^ un vino acquofo, e il ripofo, e il forino „,   anzi,  '  m    continuo e regolar fi, • poiché quell’ azioni,  che fi riftringono per efèmplo fòtto la, temperanza vengono da quelle ifteflè leggi,  dirette, e regolate, da cui fon rette, e  ordinate quelle, che fi comprendono Cotto  la giuftizia, o la fortezza, egli v’hà ogni  ragione d’ affèrire, eh* in effetto per parlar con maggior proprietà, non fia eh’ una  fòla la virtù umana, e quefta altro non fia,  che il viver conforme le leggi della natura,  comeche gli uomini comunalmente o per  non rinvenirti niuno infra efii,che ne fia iru  teramete ben fornito, veggendofì altri eflèr   fòi * » • l ^ r    ni avvenendo dinanzi il convenevole tempo, li ;*  cibi aromatici, e difeccativi Vagliano ad emendare, e corriere fe non del tutto ; almanco 1 *  in parte quefio difetto ; e come colripofifi  Verrebbe ad acc re fiere, ed aumentare in efft '  il torpor delle fibre' r coi ì al r ove [ciò, median - 4  te il travaglio fi vengono quefie a render vie >'  piu ferme, e fide ;e il [angue, che a produrr  re delli mocci in abbondanza è ben acconcio,  con quefio fciogliendqfi conferva tutt ’ ora il  moto . Quindi per ejfi [ervir pofiòno e valer  parimente d* un ottimo, e buon rimedio li ne gozj, e P occupazioni le piti ferie, e fafiidiofi   del      ì 9 i   Ibi tanto faggio, altri lòl tanto prudente, e  niuno aver in fe congiunte, e unite tutte quelle virtù particolari, over per formarlène  un adequata idea fecondo la diVerfà, e varia applicazione, eh’ eglino a Ior divelli e  varj doveri ne fanno, le diedero vari, e  diverfinomi, o vocaboli, di giufìizia, di  temperanza, e di altri sì fatti, nella guifà  appunto, eh* a quelle medefime leggi,  per quella ilìelTà diverlìtà d* applicazione,  or Civili, or delle Genti, or Pubbliche,   ‘ r or in altro, e diverfo modo le appellino.   • ì M. Si    del Mondo . Quarto f crede commendabile  fopra modo, # lodevole per li Malinconici fpe zialmente un aerfrefeo, che vaglia, e pojja  molto frvire per accufcere il trapelamelo,  t V refpiro della lor pelle, non che Per agran*  dire le particelle del J angue, li cibi / alzi, e  d* Una fece a conjjjtenza, una gran moderateti  ta, e temperanza nel vitto, e negli affetti, •  in cui eglino fogliano per natura difettare ;  e tutte le ccfe ifcioglienti > che vogliono  piai epojfcn in ejf promuover delli e frementi, blighi 1 e li doveri dell’ uomo confederato  di brigata con gli altri rìfèrbarolli per materia d’ un’altro ragionamento. temperamenti mijìi ci fi ammonifce, che frati  tandofi di ejfi,fi abbia fempre mai rif guarda  a quel eh ’ in noi predomina, e fignoreggia, Or. \  quejio è quafi il principale di quel che da Me»  dici vien preferito per coloro, eh' efiendo in  una buona fai ut e y o difpofizione amano mante - *  fiervifi ; il di pii *, volendo, fi pub come cofa  poco appartenente al [oggetto di cui fi tratta*  4 a ejfi ftejfi imprender di leggieri .   trattenimento U alunque volta per verità da me fi pon men«  te, e fi bada al diletto  il quale hò io quelli dì  fèntito in udirvi difcorrere delle leggi naturali, e confiderò quanto  egli fia profittevole, e vantaggiofo all’uomo 1* averne contezza ; vera pur troppo ^  e certa mi credo, che fia l’ oppinion degli  Antichi (a ) circa all* aver per indegni, e  immeritevoli del tutto dell’onore, e dei  nome di Filofofi coloro, che non n’ aveano  nel li lor ammaefiramenti divilàto a lcuna  colà, e mediante le proprie meditazioni  cerco ilchiarirle, e renderne ammaeftra- ti gli altri ; niuna parte realmente della  nofira vita rinvenendoli, giuda che per  E appunto quegli confefiavano nè nelle colè pubbliche, ne delle private, nè nelle fo*  renfi, nè nelle domeniche, nè le con noi  ftefli alcuna cola facciamo, nè lè con altri,   • chiunque egli fi fofiè contraghiamo, in  .cui elleno non debbano aver luogo, come quelle nella cui ottervanza ogni ornamento, e fregio e porto della vita, e ogni umana virtù confifte, e nel cui difpreggio, per  quanto jer pur da voi imprefi, ogni vizio,  ogni laidezza, e ogni noftra bruttezza fi  arrefta; Per la qual co là in apprertò in  me cederà ogni, e qualunche maraviglia,  cd ammirazione in veder buona parte degli  miei uguali, per non dir tutti, o per propria negligenza, o defii loro genitori 3 o di  altri alla cui cura vengono peravventura  commetti, o per un comunal pregiudizio,  ed afiai popolare reputando uno cotal fiudio  per etti poco vantaggio^), e utile, e nulla  imperò applicandovi, sì difordinatamente  Vengono l’ altre fcienze ad imprendere, e  direggere li lor efèrcizj, che dove credono poter col tempo giovar, come devono,  a (è, ed alla propria famiglia, ed alla Patria,  fi rinvengono all* ingrorto aver errato, e  totalmente ingannati . Ma cotali cofè, eh’  a noi nulla, o molto poco appartengono,  falciando per al prelènte per lèg uir il difeorfo di quello, ch^jer fi rimale a trattare, dopo aver confederato P uomo lòlo NELLO STATO NATURALE, infingendo ora mirarlo di  brigata con gli altri, e in una focietà univerfàle, vorrei lènza interrumpimento udirvi favellare degli uffizj, e doveri, ch’egli  dovea in quefto Rato fòdisfare.   M. Quefti tutti inferir lì poflòno, fènza alcun  li. dubbio, da quefta propofizion generale :  cioè, che 1’ uomo naturalmente in fe fèntendo un infinito piacimento, e diletto  dell’ altrui perfezione, 0 utile, o vantaggio, che dir vogliamo, nulla inferiore a  quello, eh* egli hà dalla perfèzzion di fè  Redo, dove dalle padroni non venghi travolto in contrario, dirigger e’ debba, e regolar le fue azioni in guifà, che tendano  non meno a utile, e vantaggio proprio, eh*  a quello degli altri,* imperocché da ciò  che reputar fi deve, e mirare per lo primo, e per lo principale di tutti gli obblighi, o uffizi umani fcambievoli, o per  meglio dir di quefto genere di cui or trattiamo, come tanti corollari, Porifmati, e  vantaggi, che dir vogliate, ne fegue,* I.  che non abbi fogni far ad altrui quel che  non fi vorrebbe per fe medefimo . II. Che  fia meftieri corrifponderci tempre mai con  un ifeambievoie, e reciproco amore, imperocché dovendo noi goder dell’ altrui  iene, e i'elicità, come della propria, e  averne del piacere, e della gioja, quefta  non può in modo alcuno disjungerfi, o  feompagnarfì dall’amore. Cile dobbiamo in ogni- tempo operar in modo, che   N 3 niuno t abbia a grado la noftra infelicità, o  miferia, e giudo motivo di appeterla, o  bramarla, purché far lo polliamo lènza  muoverci un jota contro alle leggi della  Natura, la cui obbligagione è fempre  mai la ftefla, ed immutabile, eh* è quanto  dire, renderci per quanto fia pofiìbile a  tutti cari, e amabili. Che non v* abbia ragion alcuna da renderci fùmofi, e altieri, o al di fopra degli altri, ma che tutti  fènza rifèrva, o eccezzion alcuna di perfora dobbiamo infra noi tenerci per pari, ed  uguali con darne con parole, e con fatti  della venerazione, e del contp in cui l’uno  fia predò dell’altro fpreflò legno al di fuora. Che non dobbiamo in niun modo metter in palefè, ed alla (coperta 1’ altrui magagne, o difetti ; ma prender tutto quanto da altri fi fa mai, o fi dice in buona  parte, difendendo in tutto tempo, e avvocando 1* altrui dima, e onore ; colà che fi  dee far fopra tutto trattandoli de* calunniati, e gravati a torto, non efiendovi altro meglior modo, o mezzo di quello per  renderci al Mondo ingraziati, ed amabili .  Che non fi debba niuno mai offendere, nè dannificare per niun verfo, altro  non effondo in fatti, quello tutto, che  operar ad altrui dilvantaggio, e difeapito;   il perche l’ off è fa, e ’I danno, che peravventura ad altri facciamo fiam in obbligo  in ogni tempo, ed in dovere rifàrcire a  ogni nofiro colto, e quello che da altri mai  a noi li reca,fcanfàr a tutto poter, ed evi. tare ; eflendo per una cotal ragione, e per  quella pio pofizion altresì principale, ch’ai  di lòpracennammo, cioè, che L’ uomo far  polla Tempre quantunque più làppia, e  vaglia a fuo prò, giuda e lecita in quello  calò di cui fi tratta la difefa . Che     Egli è certo, ed indubbitabile, che tutti noi fiam obbligati, e tenuti operar in guifa, che P azioni naturali corrifpondino in  tutto, e concordino fèmpre con le libere  con aver un medelìmo fine ; II perche Pappetito al coito efièndoci fiato dato dalla  natura, e concedo per la propagazione, e  confèrvazione delia fiefià fpezie, ed imperò efièndo un azione del tutto naturale,  egli è mefiieri, che per quanto dipende da  noi, non lì adoperi giamai, ne s* impieghi  d i ve rfa mente, o per altro fine.   D. Egli conviene adunque, che colui veramente, che fia vago d’ effer netto, e catto sfugga, e vita a tutto potere ogni forte  di congiungimento illecito, e contro le  leggi, che non abbi altro per fcopo, o per  fine j che il mero piacere e la voluttà, come li ftupri, le fornicazioni, gli adulteri,  ed altre sì fatte fòzzure, e bruttezze, con  trattar parimente di dilungarli da tutto  ciò, che vaglia mai ad iftimolarlo, e portarlo a quello, e vietar tutte le parole, le  gefia, e P azioni lafcive, per cui ne pofia  rifultare quel gufio, e quella compiacenza,  che il piu delle volte porta (èco al di dietro.quegli movimenti critici, li quali con  dedar in noi di fovverchio r e rifvegliar li  fenfi, fanno, che la ragione totalmente fi,  addormenti •   M Li, aof  AI. Li motivi per cui fpigner ci dobbiamo  edilporci alfacquilìo di una cotal virtù  fono quegli fteflì per cui devono eflerci in  abborrirhento, ed in odio li piaceri ; onde  di quelli avendone parlato (òpra alla diflfufa i non fa meflieri qui ripeterli al di nuova; Comeche convenghi oltre a. quelli,  che fi badi altresì alle pene, ed agli gaflighi  che in ogni ottima, e ben regolata Reppubblica vengono dalle leggi inabiliti per  - li fìupri, adulteri, e altri si fatti delitti ;   ' ed avvezzarli di buon ora a sfuggire, e vietar Ogni occalìone, che pofTà fervi rei di  motivo per portarci a qualche azione libidinosi, e cattiva.   D. Come definite voi la modeflia ?   M. Per un abito della noflra volontà, o per  meglio dire, per una virtù di ben determinare, edifporre fazioni appartenenti  ' all’ onore, fecondo le leggi della natura;  Quindi il modello, fèbbene operi in modo, v  che Ila degno d 9 onore, e di flima, non però egli la brama, o 1* appetifeé; ed in ciò  differilce dalf ambiziolò, il quale al rin' contro brama gli onori e gli appetilce, ed  andandovi al dì dietro più del convenevole pecca nell 9 ecceffò ; e fi diftingue altresì  da colui ch’éfièndo d’ un animo vile fòverchioj ed abbietto pecca nel difetto ; imperocche avendo noi della compiacenza, e  del piacere del conto, o (lima in cui fiamo  prefio altri, ed imperò venendo tratti dalla  gloria delle noflre iflefie perfezioni, può  quefla,fenza fallo,fervircidi un gran (limolo a condurci Tempre mai e portarci per lo  dritto fenderò a grandi, ed eroiche imprefè ; II perche fi viene a conofcere in un  ifleflo mentre l* error di coloro, che confondono non meno 1* amor proprio, che   • nafce dalla virtù di fè ftefiò, con quello,  che non nafce che dal vizio, efiendo 1* uno  molto vario, e diverfò dall* altro, e il pri . mo non così come il fecondo da riprenderci, e biafimare ; che la modeflia con quella battezza e yiltà d' animo, in guifà, che   • ; per torre alcuno d* ambizione fi fludiano a  tutto potere d’ ifpignerlo jn quella, eh’ è   { un vizio per verità miga inferiore a quella,  facendo che la perfòna molto poco fi caglia  delle virtù morali, e delle morali non ne  fègua altro, che 1* ombra . Di Come adunque fi può mai far un ambiziofò ufeir di fua ambizione ? E di fbmmo meflieri ; I. Che capifea  qual fia il vero onore, e come quello non  dipenda miga dalla perfòna onorata, ma  fòltanto da colui, che onora, il quale abbi fogna anche che fàppia formar buon giudizio. Ch’ intendete per amicizia?   M. Un amor vicendevole infra due o più  perlòne, palelàto, e dato a conolcere altresì con uffizj vicendevoli, giufta le leggi  della Natura ; non ettèndo ad un amico,  inverfo l’altro lecito giamai, ne permetto  far co fa per menoma, eh’ e’lia contro quelle. Quindi acciò tta ferma realmente, e  Itabile, e collante un amicizia, e non ft  (ciolghi cosi di leggieri egli impiegar fi deve tutta la diligenza, e la cura del Mondo  nella (celta degli amici ; comechs ettèndo in vero co fa molto malagevole, e difficile  che fi rinvenghi un amico del tutto intero,  e buono, come fi vorrebbe, e potendo di  leggieri avvenire che fi fia errato nella  lecita, e che 1* amicizia contratta fi  fciolghi, o perche l’amico voglia da noi  qualche cofa non ben giufta, e buona, o  per altra cofa sì fatta ; il più ficuro modo,  che fi può tenere nel praticare, e converfar con 1* amico, egli è quello, che dir Iblea Biante, celebre tra* Greci Filofòfanti,  cioè, di enervi si fattamente circofpetto e  avveduto, come con colui, che col tempo  può per avventura divenirci contrario,  e nemico,* del retto quefta è una virtù, ed  un abito, che fi acquitta e ottiene, come  tutte P altre noftre virtù, e gli altri noftri  abiti, per via di molti atti ; come a dire :  con P amare da vero l’amico per le Tue virtuofe, ed eroiche qualità ; col praticarlo,  e fìar con etto lui, e col godere in ogni momento del bene di lui, come del proprio;  A ogni modo non mi fèmbra neceflàrio arredarmi qui in farvi vedere la neceflìtà,  che abbiamo di far un cotal acquiftojbafìa  dire, che doppo la virtù, l’amicizia pofla  e vaglia a formare la nottra felicità, e che  abbracci tutti gli flati, tutte le condizioni,'  e tutte le differenti noflre età ; ella giova   a ricchi, e a potenti per far ufo della lor  fortuna ; a poveri, e fventurati per aver  qualche folìegno, e lòllìevo; a giovani,  per aver chi lor confogli, e dirigga ; a vecchi perche può forvir loro d’ appoggio ; e  a quegli che fono nell’ età virile,* per fornirli di favori, e di affluenze ; e lafoiando  ilare, che la natura ftefia ci porti a quella  virtù, avendo altresì ne’ bruti, e negli  animali inferito certe inclinazioni, per cui  quelli della medefima Ipezie fi portano tra  elfi ad accoppiàrfi,ed a unire ; nelle Città  e nelle Repubbliche la concordia, e l’amicizia de’ Cittadini fi riguarda come una  parte principale, ed effènziaìe del{a felicità  pubblica .   D. Ma ditemi un poco; egli dubbitar non  potendofi, che il vocabolo amicizia fia  detto, e dirivi dall’ amore, e non amandofi da noi ugualmente ogni colà, quali fono  quelle cole, che fono veramente amabili?   M. Di quelle n* abbiamo tre Ipezie ; altre   colè effondo amabili, perche fono buone,  o per fe llefiè, come le virtù, o relativamente, e per qualche circoftanza, come li  cibi per rilguardo della noftra làlute, o le  medicine per le malattie ; altre, per arrecarci del piacere, e della giocondità, per cui altresì diconfi buone ; ed altre per efièr  utili (blamente, e di qualche emolumento,  che le fa parimente aver per buone; Quindi ne rifùltano tre fòrti d* amicizie $ 1* una   - di cui, come fondata sù il vero bene, ed  utile ( dico utile, prendendo, quefto vocabolo giuda al noftrofignificato ) è vera,  e perfetta ; e l’altre, non riguardando, che  o il bene apparente, o la giocondità, o  T utiltà volgare ; non fono che imperfette, e fecondane, ed improprie ; come che  altri v* aggiungano pur una terza, che la  defini fcono per una reciproca inclinazione  e propenzione d’ animo tra uomo, e donna, fènza alcun moto fènfibile, e la chiamano comunemente Platonica ; ma tra  perche quella dalle più delle Genti, fi hà  per una amicizia attratta, e miracolo^,  negardo elleno quegli principi Platonici,  mediante a cui fi (oppongono nelle mentì  create, fènza alcun opera de’ (enfi, e ifcolpite, e imprette le forme del bello, e del  buono, ed avendo per certo, che quetto: impeto, o inclinazione come proveniente  da (enfi, in etti purtt mantenghi con tutto  rigore, e forza, giuda alle naturali leggi,  a mifura, che ne fian capaci ; e perche ne   * defideriamo favellarne con p'ù agio a più   - convenevof tempo, non ne facciamo neppur  motto per al prelènte .   D . Perche avete voi per imperfette quelle  amicizie, che riluttano dalla giocondità,  e dall’utile volgare ? .  M. Sì perche una con quella fperanza cefc  fando l* amore, cotali amicizie non fono  di lunga e gran durata, sì perche la vera,  e perfètta amicizia, non condite in altro,  le non in voler bene all’ amico, per Pam ir  co. /  Quella pratica, che fecondo voi, fìa di  meltieri in tutte 1* amicizie, hà ella luogo  nelle amicizie tra fuperiore, ed inferiore ?  il/. Senza fallo; a ogni modo deve efler aliai  rara ; li fiiperiori di leggieri annoiandoli  degli inferiori, in modo, che farebbe meRieri alle volte, che fi dim enticalfero del  lor Rato, fe folle potàbile . Ma con quali modi lì può mai conolcer  bene e comprendere una perlòna, che li  confiderà per amica ?   M. Con praticarla qualche tempo con indifferenza, ed ofiervar elèttamente quanto  ella facci, e quanto operi; come penlà, per  elèmplo, come parla, come ama, come  odia, e come fi duole ; quindi giovarebbe  molto a far tali olièrvagioni particolari  dove blfognarebbe, conolcer universimente li coftumi degli uomini, e le diverfe loro inclinazioni nelle loro diverte età,  e nelli lor Itati differenti, con fàper  per efèmplo I. Riguardo all* età ; che li*  Giovani eflèndo di gran lunga dominati  dalle paffioni, e principalmente da quelle  del fenfò, venghino da quefte di leggieri  trafportati, e vinti, come che fèmpre variano per fazietà, e leggerezza, e Ciano in  oltre di fdegnofi, ambiziofi nelle gare, in  nulla attaccati al danajo, liberali, /empiici, aperti per la poca fperienza, anzi imperò anche creduli ; lieti, fperanzofi per  lo gran favore del lor (àngue, vergogno!]  per non creder altro lecito, fuor di quello,  che apprefero dalle leggi, e dall’ educazione ; magnanimi, vaghi più dell’onefto  e della lode, che dell’utile ; e perciò amici di compagnie, e di convenzioni, e di  tutte le fòrti di amicizie gioconde ; nemiciflimi della mediocrità nelli lor affetti,  peccando mai fempre nell’ eccedo, e nel  difètto, o che amino, oche odino, o faccino altro ; e come facendo ingiuria ad  alcuno, non la faccino miga per malizia,  o per recar a colui danno nella perfòna e  nella roba, ma fòltanto nella dignità, e  nell’ onore ; e ultimamente compafhonevoli, e pietofi, avendo ogni uno per megliore di quelch* egli fìa in effetto ; che li vecchi tutto al Popputo, non eflèndo nel  fervore, e nell’ aumento de* /piriti, non  fìanò d* ordinario /oggetti, ne* /ottopodi a  trafporti, ed operino mai /èmpre con lentezza ; e geneiaimente /ìano malizio/!, diffidenti' per la lunga /perienza, dubbj, timidi, queruli, fàfìidiofi per T anguftia, e povertà del lor /pinco ; avari per non riguardare, che il commodo, e 1 * utile proprio;  di gran memoria, ed imperò garruli, facili a /degnar/!, comeche non duri il lor  {degno per il freddo dell’ età, morti nella  concupi/cenza, e volti del tutto al guadagno ; e dove avvien che faccino mai dell’  ingiurie, e delle /convenevolezze, le faccino veramente per malizia; Infine e’ fiano  mi/èricordiofi come li giovani, febben  quefii per umanità, e quegli per imbecillità ; malinconici, proverbiofi, e di un animo molto badò, e rifiretto ; e che quegli,  che (ono in un età virile, e di mezzo fiano  di cofiumi temperati, come a dire eglino  non fiano ne troppo audaci, ne troppo timidi, non credano, ne difcredano ; e il  mede/imo fia dell* altre pa/Tìoni ; li. con  cono/cer rifpetto allo fiato, che li Nobili  per e/emplo fiano ambiziofi, fumo/!, morbidi, tenaci de’ proprj tituli, e che vadi. no apprettò più ali' apparenza, che alla lòtta n-iìanza ; che li ricchi, per 1* abbondanza  fiano ingiurio!], fuperbi, vaghi di Juflò,  e di delicatezza, arroganti, ed alle volte  anco incontinenti, fe mai divenirono ricchi di frelco ; e che li potenti abbiano coltomi pretto, che limili a quelli, come  che lor moderi in parte la gloria, e li tenghi al dovere; e così degli altri, che fi  giungono di leggieri da quelli fieflì a comprendere . Ch’ è quello, che ci rende amica una  perlòna? •  M. Il farle bene, V ettèr amico de’ lùoi, il  corri pattlonar la, 1* ettèr verlò lei liberale,  modello, temperante-, gentile, trattabile,  faceto ; e in una parola la virtù, ci può  rendere cari a tutti, ed amabili, giufta che  potette apprendere, dà quel, che al dinanzi notato abbiamo, parlando delle colè amabili . Come dunque ai consèrva l’amicizia?   [cf. Grice, the apory of friendship in the LIZIO. Col mezzo della BENEVOLENZA (other-love – conversational benevolence), o del volerli bene Icambievolmente, non che con  la concordia, o con la fede vicendevole  nelle co fe agibili ; e con la beneficenza, o  liberalità.   Cont. L’ amicizia perfetta ammette ella moltitudine ?   Fil. Mai nò, tra perche in ella fi ricerca un   amor   del dritto naturale. 2 i 14.   C g ) Dei ih 9. 1 . 1.  . /. . f. de pani s Grot. in fior,  fpitrf. PbUoJìr. de vii. Apoll. nurn. 5?. Dsuter. . P/trullp.     ^ I J ?2C    *16 d e* p'R in c i p j -r   ' grandi Grettézze, e bifogne, {botanti motivi,  che mover ci doverebbero ad effei ne veramente amanti, e farne un continuo ufo,  oltre lepromefie, che a veri li moli ni eri  nelli Sagri libri della noftra Santa, e Veneranda Religion rivelata fatte fi rinvengono. Che intendete per verità ?.   JM. Un Abito di ben diriggere lenoflre azioni conforme le leggi della Natura nel com - municàre, e ridir ad altri li noftri fonti - menti: imperocché colui, eh’ è veramente amante, e vago del vero, non men fogge, ed ha in abbon imento il falfo, che la   \ fìmolazione, e la bugia.   D. Difpiegatemi quelli ultimi vocaboli: fimulazione, e bugia .   M. Col primo intendo quel difeorfo, che  vien fatto tutto al rovefeio di quello, che  in noi fentiamo, ma fenza alcun danno altrui, o noflro proprio ; e col fecondo  quello medefimo, ma accoppiato, ed unito  col pregiudizio proprio, o degli al• tri . Qujndi è, che il dir il falfo, e la fimolazioné fia fogno propriamente d’ uom  fonza cofcienza, come colui, che proferi> foe delle parole contra quello, che in se  'fonte; comecché la bugia fia una còfa affai  ; più deteftabile, e biafìmevQle della fimolazione, aniuno ettendo permetto offènder  se medefimo, e gli altri ; anzi quella ogni  volta che fi vegga effèr 1* unico mezzo per  giovar a noi, ed a gli altri, può fenza fallo  divenir lecita, e permetterli, non ottante  che per legge Naturale rechidendofi, che  vadino fèmpre mai in accordo le azioni in. terne con 1* etterne, fèmbra fèmpre per se  mala, eù illecita . II perchè fi vede altresì,  che non fi debba giamai far ufo del noflro  difeorfò, e della nottra favella, fè non  cattando per mezzo di elio nulla fi venghi a  notti i uffìzj, o doveri a mancare, eh’ è  quello in cui confitte il filenzio : virtù che,  fi potrebbe a gran ragion ditti ni re, per un  abito di non proferir cos’ alcuna contraria  a nottri doveri . E vaglia il vero, ella non  -è men comendabile di tutte P altre virtù,  potendo fervi rei di gran lunga a vietare  mille, e mille inimicizie, che potrebbono  forfè dal contrario operare, provenire, e per  molte earriche nella Repubblica, che conferir non fi fògliono a chi ne fia sfornito, e  privo ; oltre una infinita d’ altri vantaggi .  Ma diam propriamente noi nome di  conteftazionì alle parole, che fi prò feri feono in fegno, ed in tettimonio della fin*  cerità, e fchiettezza del nottro animo : avvegnaché fu mettieri notarli, che non .dovendofi nulla fare, fènza la ragion /ufficiente, dove non fi dubbiti di noi, nè fi metta in forfè quei che noi diciamo, ma fol  quando per efler creduti, abbifogna, e  conviene . Per tutto ciò quelle, che infra  quefte meritano più dell’ altre la nofira  ' attenzione, e rifl^flìone fono li giuramenti ; imperocché quefti effendo un* invocazione, che per noi vien fatta di Dio in  vendetta del falfo, che diciamo, credendolo autore d’ogni noflro bene, e vendicator del male, che commettiamo pe'r Io  rifpetto, che dobbiamo alla Maeftà divina, non fi devono per niun verfb proferire  fe non in colè di gran momento, effèndo i  cofà fòmmamente fàg rilega, ed ingiufia invocarlo in cofè leggieri, e di affai picciol  preggio. Q/iid ejijurare (dice S. Augurino nifi j us reddere Deo, quando per  Deum j i/ras ; jut filili tui: reddere, quando per filios tuo: jura : . Quod autem ju:  debentù : falliti nofira, filiis nofiris, Deo  riofìro ; nifi charitatis, feritati :, è" non  falfitati: ? eum dicit quifque per meam  falutem, falutem fuam Deo obigat :  quando dicit per fillio: fuo:, oppignorar  t)eo fillio: fuo :, ut hoc vcniat in caput ipfo  rum i ' /pud Groi.'m fparfjioribi rum, quod erit de ore ipfiui ; fiverum,, Z'trum, fi falfum, falfum,* cum ergo fi /iosjuoty Vd caput Juum, S'f/ falutem  fuam quifque in Muramento nominata  quicquid nominat obligat Deo . Oltrecchò  Epiteto ancora ( n ) con ii foli lumi della  Natura, vieta (dice) a tutto tuo potere, totalmente 1 è mai può eder il giuramento,  o fe ciò non puoi avvenire, tratta ufarlo quantunque piq di rado fia poUTbile .   Ipxov vtpiÙTnat, « {iti tuorrt, ài St che Venga  con   A Jd ua h   nói) fummo noi medefimi gli autori del no*  Uro inganno: o non fi fian tali, che fciorre non fi pofiono inguifà alcuna lènza il  » dannose il pregiudizio dell’ altro • III. Che qualche ejlerno fegno dichiarato, o che queflo  conffla in parole, o in fatti ; avvegnacchè n n  fa fuor di propofto far qui avvertire, che per  Dritto Naturale non f conofca quel divario  o quella diverftà, che le leggi Romane ammettano infra Jìipulq, e patto femplice, e infra V obbligatimi, che fciolgonf per Inr di- »  fpofzione ( ipfò jure ) fòlutione, in fòlutum,  datione, acceptilatione, o con altri sì fatti  modi : e quelle, che terminane per Infoia •  equità, o eccezzione . Li mezzi più femtilici,  e piti acconci a torci d* impaccio dogni obbli •  gagione, giujìa il Dritto Naturale, o che provenga da què' patti, che la producon pfltanto  da un lato detti, o di anelli, che   la producono da ambo de * lati, detti «T iirwpx, o  f tratta di quegli in cui fe ne viene a / tabi lire  una nuova, fa da una Parte fola, fa da tutte  le parti, che li Dottori nominano, pacìa obbligatoria, o d'vquelli in cui quella, che dinanzi ffl abili f toglie via, e diconf pacta liberatoria, o nafca ella da altri patti sì fatti, clafcun promettendo con condizione, che  ^li fia dall’altra parte ofièrvata la promefifa, fe vi, fia mai qualche motivo da dubitarne, di ragione coftringer la polfa, ed obbli  egli non fono, che quefiì ; cioè ; la fola zio ne,   10 sborfo, il pagamento di quello, chi è do •  vitto al creditore, il rilafcì amento volontario  gratuitamente fatto al debitore dal medejìmo  creditore, il mutuo con f enfi de ’ contraenti,  che concorre, e fi unifce a fciorre un obhligagio ne che fia dell 9 uno, e deir altro lato, il ri-compenfamento, che mai fi pub far di debbilo,  con debbi to, /’ inejìfienza della condizione,  con cui fi è fatta rébbi igagicne;La morte di alcuno de ’ contraenti, dove /’ obbligagione fi fu  contratta colla fola mira a lui, ed alle fue  qualità per fonali, /* efiinguimento della cofa  per cui fu fatto il contratto, la novazione, eh’ è  quando fi rilafcia a uno, e gli fi rimette quel  che egli dee, ed in luogo di quello fi riceve  nuova obbligagione, e fifa nuovo contratto \   • ed infine altresì la delegazione, eh ' ' è quando   11 debitore conviene col creditore e fi concorda di cojiituir in fua Vece chi, ebe a cofiui più*  aggrada, e piace ; egli fembra ragionevole  r attener ci in quefie femplicit à, finza affollar. ]binarla a ciò fare al dinanzi, che non fi  complica da lui, o almanco indurla a dar  ficurtà, e cautela di (òdisfarla . IV. Che  li patti fatti non potendofi in apprefio da  uom fciorre lènza il conièniò dell’ altro,  eflendo ogni un* in obbligo, ed in dovere  allontanar da se il danno, che gli può di  altri intra venire, ed incogliere, egli fia mefiieri, che pria ben fi confideri, e fi ponteri quel che uòm promette, o faccia. V. Che  adempiutefi da ciafcuji delle parti le promefle, s’intenda altresì adempiuto il patto,  e ceffi l* uno d* efler all’altro obbligato, e  tenuto ; anzi fe mai avvenghi 1* uno li  mofiri contento, che l’ altro non adempia la fila prometta, merita d’ averfi altresi  per fòdisfatta, e la fiia obbligagione per  fpirata, ed efiinta. VI. Che nell’interpretazione de* patti le parole, e li vocaboli pigliar fi debbono giuda, che fono comunalmente in ulò, non efièndovi ragion  alcuna in contrario ; e dove le parole fiano   d’un   • • \   1   di faverchio le nojìr e oj/ervazioni, che pojjbno  contro delnojiro intendimento feivir anzi d’imparaccio y e di confusone per li principianti 9  thè per /chiarirli CQme conviene . DEL DRITTO NATURALE.  d’ UN SIGNIFICATO AMBIGUO, O DUBBIO, INTERPRETARSI DEBBANO in guisa che non vengano in se niuna RIPUGNANZA O CONTRADIZIONE AD AVERE e CONCORDINO mai tèmpre  col fine, che giuda ogni credenza, ebbero  i loro autori, non potendoli già mai uom  cotanto tèiocco, o tèimonito rinvenire, c*  abbia voglia contradire, e ripugnar a se  fiefiò con azioni con tra rie, ed oppofte al foo  fine ; Comechè per difiinguer cotali obbligagli, che non ne provengono, che dà  quelle di cui fin ad ora abbiam fatto parola, par che cpn ogni ragione dir fi potrebbero quelle condizionali, e ippotetiche, e  quelle a dolute.   Af. Checché fiane di ciò, vaglia il vero egli  è un grolfo errore, ed un abbaccinamento  di coloro, che andando alla cieca dietro  alGrozio, e al Puffendorfio, e patti, e  contratti, e dominj confondendo, cd aflfafiellando infieme in uno, trattano a lor potere renderci perfoafi, e cèrti, che tali cotè punto non diflferilcano, ne variano, e  tutti ebbero una medefimaiorigine, cioè, derivarono dall’efièr ellinto infra gli uomini  quel fervore di carità, e di amore, con cui  fi amarono fin dapprincipio ; ed avendo li  Romani Giureconfulti il nome di contratti  propriamente a quelle convenzioni dato *   che far, fi fogliono circa quelle colò, che  fono in commercio, e paflàr pofiòno ? o  debbono nell’altrui dominio ; e patti' a 1, rincontro chiamate quelle, che fi fanno in  colè di una natura totalmente differente  dalle prime, e che fon fuori d’ ogni commercio ; fi credettero cotal differenza efièr  propria del Dritto Romano, e ignota al  Dritto. Naturale; penfàndo, che fè gli vomini fi avefièro mai corri fpofto con quel  • reciproco affetto, ed amore giuffa che fon  in dovere corrifponderfi, li patti farebbero fiati infra effì di niun.ufo;imperocchè,gli  uomini in quefìo fiato, avvegnaché por' tati fi folfero, come eglino dicono, ^volontariamente a far quell’ iftefiò, che op  Icambievolmente fi obbligano fòdisfàr con  quelli, da quefto però non v’ha miga ragion di conchiudere, che fiati fi fòffèro  all’ ora invalidi, ed inutili ; fenza che giu. ffa ben fovente detto abbiamo, eflendovi  . molti uffizi >* che naturalmente fiam tenu'/ ti fodisfàre inverfo tutti' gli uomini, e nort  . verfò quefti,«o quell’ altro in fpezialtà r rifguardato in quefto, o quello fiato, egli  fi potea altresì nello flato naturale dpve  gli uomini .fi fodero amati con un Santo ., e  .. caffo amore ritrarre dalli patti, e dalle  t xpromeflè quefto vantaggiosi determinare,   e ye e relìfingere quelli generi d* uffizj generali inveriti quella, o quell* altra perlòna in  particolare. Che intendete voi per contratti?  Quelli patti, che vengon peravventura  V. a» tarli per lo trasferimento de* dominj  delle cole .   V. Come s’ introduttero mai quelli dominj, nel Mondo?   M. Ellinto tra gli uomini quello Ipirito, e  quel fervore di carità, e di amore con cui dapprincipio corrifpondeanfi,e lì manteneano lungi da ognidittènzione e difcordia,  la communione delle colè, che era tra ellì,  divenuta un occalìon continua di ride, e   . di piati, e da dì in dì rendendofi vieppiù  Tempre moietta, e difficile, fi pensò aliatine  venire ad una divisone in modo, che ciafcuv  no contentato fi fotte del Ilio, e n’ avelie  potuto dilporre a lùo arbitrio, non difcoprendo altro miglior mezzo per provedere  alla commun làìute, ed al commodo genneral di tutti, e far, che a niuno mancato  a vette il bilògnevole per fòdisfare a’ propri  doveri; Imperocché per lo dominio di Egli è fuor di dubbio, che dap •   prifj   di una colà altro d’ intender non bramiamo, che un dritto, ed un potere da poterli  di quella lèrvire in guilà, che ad altri non  fìapermeflò farne quel medefimo ufo, che  noi ne facciamo .   D. Aduti  principio giujìa che comunalmente, da tutti  Jì confeffa, o dalla maggior parte de ' dotti egli  è almanco offerito, le coffe tutte del Mondo Jt  furono in una communione negativa, cioè del  tutto communi a ciaffcuno, e fuor di qualunr  quejìgnor aggio, e dominio ; imperocché effendo al ffommo, Onnipotente, Eterno Monarca piaciuto trear gli uomini, egli non miga  potea loro negar F affò di quello, ffenza cui il  dono della vita ad effìconceffa sfarebbe fiata  drittamente piu toffo di gran imbar azzo jh e di  qualche preggio, e valore, e che dopo F amore, e la carità infra efft, eh' era il ffojìegno  di una \ì fatta communione, intiepidita alquanto, e diminuita,refela dà affai malageJ vole, e difficile, e di mille, e mille incom modi, e diffagi abbondante y Jì foffe paffuto ad  una certa tale quale imperfetta dìgijìonc ; 9  per meglio dire nella communion pofftiva, facendo, che qualunque delle create cof e fata  Jì J offe foltanto commune a piti perfine, e noi ?   già    - X?.Adunqu®-fi può con tutta ragione da queflo  conchiudere, I. Che tutte quelle cofèda  cui provvenir non ne pofTòno quegli inconvenienti, e difòrdini per riparamento de’  quali, a voftro avvifò, s’introduflero al •  Mondo i dominj, come fon per pfempi :>   • 1’acquaci! aria, ed altrd$òfe si fatte, non   . . CL' fia  gìà di tutte * fecondo ch 'era al dinanzi, e ih  co tal guija il Gènere Umano con fa vatofi fcf   fe, e mantenuto,Jlnc9e\ finalmente fpettta totalmente la carità tra ejìó, e non apparendoci più alcuna J cincillà dì qftelV' amor primiero, ma piatì, riffe, odj, e nemijià continue,  fu meJUeri per provvedere al beri, commune, ed  alla fai ut s lìniverfale venir alla totale, e  perfetta divisione delle cnfe, e fiabìlìrne i dominj ; imperocché con forme al colpo delle virtù giammai uomjì porta di ordinario tutto di  ttnfubbìto, ma paffo paffo,/? da grado, in  grado ) cosi parimente egli procede ne ’ vizj ', e  nel male fecondo V ejperierrza lo d infogna ; comechè quelle cofe quali erano b ajì ovoli, e fo- ‘ #  vrabondanti a tutti, e per cui rtafcer non ne  poteano delle controverfe, o  con ì’ altrui danno, quefti abbia poterti  .’•*  e  dimoftro, che quejìa podefà, e quefio dominio,  c* ha ciaf uno del fuo, non f dfebba impiegar  mai in danno d* altri, e che ciò, che non f  defdera, che f faccia a noi, non f debba neppure ad altri fare, non jfembra, che pojìì  per veri tali principi * e c oncejf debba averjt, ragione di approvarla ; ejfendo ella del tutto  come ogni un sa malefa^e noe cedole a'debbitori ;  * « il perchè poco giova il foggfugnere in contrario, che ne* primi tempi della Repubblica   . • - Dcjur.nat.&gent.lib.i.cap.i3.f.j73.Hert.a4Ptt ^ fcntfor.V.io. 14 ^ ( 1 \   : dall’efperienza s ? im prende, ben rovente taccia meftieri il dominio di’ una cotà da uno  paflar in un’ altro. Che non potendo  niuno da altri richieder mai, nè dimandare  quel.che ridonda al coftui utile, e vantaggio, niuno fia in obbligo, e in dovere di  sfornirti, o itpogliurfi del dominio di ama   co.   H" 11. ^  ; ' '   ca Romana fi ne fojfi fatto in quella del con - _  finito ufi, non potendojì per niuno unqua a fi  ferire, che i cofiumi de * Romani, 0 d' alcuna altra Nazione del Móndo, 0 viujli, 0  ingiuJH, che fi furono, fi debbano aver per  norma delle nojire azionile mirar come tale\eà  imperò noi vediamo, che gli ultimi Impera dori  del tuttofa riprovarono, e tra le antiche leggi Romane, per cui Veniva permefid ì non f erono, che di ella vi fojje rimafio neppur un orma ( 4 ) 0 vejiigio > : e dello fiejjò modo fi mai  fi corifìdera il Dritto Antitetico, egli fi rinvenir à, che dove fia fatto a tempo, fia egli  ben giuflo, ed equo, ma non già fi egli fia in  perpetuo, e continuo . Che non fi richieggo molto per comprendere,     der I’aggevolezza, e la facilità con cui voi  favellate di tali colè,• ad.ogni modo egli è  colà di formilo rimarco notare, che Ebbene dove la lòcietà degli uomini folle Hata tra pochi, la permutazioné farebbe Hata  baftevole, e fufficiente per Io trasferimento det dominio, avendoli potuto di  leggier con ella non men ragguagliar il  prezzo delle colè, che fcanzar ogni inganno .    r » ^ 1  gliam dire, o il Dritto di poterla dopo morto,  adir e, non potendofi negare, e recar in quifiione, che ciafcano non pojjà il dominio delle co fe fue dt prefente, o in futuro, tra ferirlo in  uf? altro, ofide he viene, 1. Che le fuccejfio ni per Dritto Naturate regolandrfi mediante^ i  pattile din quejti richiedendoli il confenfo dell'  una, e dell* altra parte, non riconofcain modo  alcuno un colai Dritto gli Eredi necejjar j, di  sui favellano te leggi Romane IL Che non.  offa miga ne repugna difporre in parte a.  tutto, dell * eredità ? giufiq il fentimento de*  Romani Qìureconfultì . III. Che V erede, dato 'eh* egli abili a il confenfo, non  pojfq in modo alcuno ripudiare*, e rifiutar  1* eredità . E 11C Che fe il teflatore fi ha riferiate il dritte di rivocare, ed annullare,  T 1, afr  no, ed ogni frode, che vi poteatqai incorrere,* poiché r uno avendo deir altro  bifògno, molto aggevolmente rinveniva  a permutar quelch’e* voleii ; non però nej  progrefTò del tempo aumentato che fu di  . gran lunga 1’ Uman Genera, e crefciuto  cotanto, qual, voi di prefènte lo vedete, s  avendo la fperienza fatto conofcere a’ mor’ » tali   • r • . '—- 11 ;   1 1 ' '   la fua di fp opzione, pojja e vaglia molto ben  a farlo (7 ) ; Il perde uom vede manifepa mente, thè da quejio dritto non pano inniun  modo lodati, o approvati i tejiamenti, fendo per verità fomma ripugnanza, e contradizziòne, che un uomo voglia in tempo che non  può nulla volere, e che traferìfca il dominio di una cofa, quando non ne fa piu padrone, e f gnor £ ; e poco gli giova fe V abbia, o  quejìi, o quelV altrp ; fenza che il pii* delle  volte in quel punto ejìremo della vita, rinvenendoli ciafcuno in un Oceano di p afoni, e  turbamenti interni \p fanno delle difpojìzioni,  che dove veniJJ'e mai permejjò peravvetotura  r arretrarf, ed ejfere in buon JennOyf ave rebbe del pentimento, ejt vorrebbefertza fai  io..   •,  •   più affai degli altri projjìmi, /’ eredità pajft   di mano in mano dagli uni agli altri, cioè,  pria in quegli in cui V affetto del morto fi ere de che fiato foJJ'e affai grande, e maggiore, e  dopo in mancanza di quefii negli altri, ver fio  cui quello fi crede chefia fiato minore, e cosi  di grado in grado, efiempre verifimile il credere, che in tal guifia gli uomini ri/petto a  ciò fi convennero, ed accordarono dal momento,  in cui introdufi'ero i dominj, vedendofi utt  tal modo di fiuccedere in ufio apprefib le più  antiche Nazioni del Mondo, quali fiotto gli  Ebrei ed altri di tal fiatta (io). Comecché  rii petto afigli egU vifia un'altro motivo, oltre  ìl di già qui recato, per cuìfiano da anteporfi '   . ; . 1 ; ‘ ‘ . . nel . ' Num.i 7 . 5 . feq. Genéf.if.j.j.tf. et 4S.; i.Deut.ij;   1 6. 1 7. 1 .Reg. 1 .jf,Xenoph.Gycrop, 8.7.Taci t.de mor-Germ.  cap.zo ' v 1 ' . s     J  tutto ciò, che gli può mai efièr di meftieri  per le neceflità, e bifògne della Tua vita  Ma per ritornar col dilcorlo cola J donde ci  dirpartimmo, e favellarvi di nuòvo de’  contratti, eglino non efiendo, che meri  patti, in elfi vien richièdo Hconfenló delle parti dell* iftcfl'o modo, che li domanda  in quelli, e fono invalidi, e di niun vigo- '  re per le medelìme ragioni, come perelem pio', fe vengon mai fatti per timore,  per inganno, o fistio in altra forma contrarj al Dritto della Natura . Quello però,  che tra quelli reputali per Io continuo ulò,  ‘che gli uomini ne fanno il più celebre egli  è ilcontratto di vendita, e di compra,,  con cui per una determinata quantità di  danajo fi trasferire in altri il dominio di  cma qualche colà ; Quindi è fi. Chetraf* :  ferendoli il dominio del noftro in un altro  • . v t •  con     nelle fuccefftOni de* loro padri a ogni, e qualanche altro, cioè V ordine divino \ e h legx *  ere del Signore Iddio, per cui venne Jìabihlo, ed % ordinato, che quegli ottengano > e abbiano per mezzo di quejìi la vita, e in confequenzu altreù li beni, fenza cui quella non potrebbe ejjèr a lor riguardo d alcun ujo »   . a/ 9  con patto, e condizione, che quelli ci paghi una certa fomma, non li debba mai  conlègnar la cofa per cui fi è fatto il contratto al dinanzi, che quella non lì abbia . Che doveper lo dilatamento del pagamento provenghi danno al venditore, que-?. ‘  fto aver polla il contratto per invalido, e '  nullo, e farlo con chi più gli fia a grado . Che dove il compratore lòdisfa, '  e paga il prezzo della cofa, giufta la convenzione al dinanzi fatta, il venditore fia  in obbligo, c in dovere confegnargliela,  perdendo con ciò il dominio, che pria vi  avea ; IV. Che le fi abbia mai convenuto  di pagare dopo un certo tempo, richieder  non fi polla il prezzo, o domandare, pria  che quello non giunga V. Che venuto il  tempo in cui fi convenne pagare j ilcomperatore fia tenuto, ed obbligato farlo, altamente debba per la dilazione, il danno,  che peravventura ne proviene al vendito• re, rifarcire . VI. Che tutte le condizioni  unite, ed accoppiate a quello contratto dicompra,*e di .vendita fia di mefiieri lòdisfarle ogni volta, che fian giufie, eque, e *  conformi al Dritto Naturale . VII. Che  rilàrcir lì debba aduom^tutto il danno,  che per quello contratto gli fi reca . Vili.   Che fe la colà venduta venga calvalmente   R a danneggiata molto ^emp° prima, che fia  . confegnata al comperatore, come che fi  fia il contratto di già ben fermato, fi debba  il Hanno rifornire, e rifar da colai, da cui  fimanc£; e fè la di (azione^ nacque da ambe le parti, ambe altresrfon in obbligo di  rifornirlo.; anzi quindi fè n’ inferire, che  ]’ uomo efiendo tenuto di far ad altri qyell*  ifiefiò, eh’ è obbligato far a se medefimo,  debba l’ ufo del lùo, purché non abbia bifognb e necellità ad altri, che ne fia mai  bifògnofo, concedere ;avvegnacchè in quello cafo dandoli ad un altro il Co Io ufo della,     Gli non è fuor di propofito il credere, che gii  uomini tutti per natura  Obbligati di vicendevolmente gli uni promuovere, ed accrelcere il ben  degli altri * ed in ogni,  c qualijnque cofa badar non meno al pi oprio, che al. pubblico »commodo, e TéiW  za difparità di Volere, o diverfità di confcnfo,o co^ volger vieppiù ad uno che ad un  altro lo (guardo, amarli, fé a quello  obbligagione mai, come lor conveniva, (lu' disto avedèro (odisfare, ed imperò, mantenuti fi fodero (èmpi e in una una (òcietà  universe, ed in quella, che dicono com»  rnunion negativa delle colè (.b\ > non fi  /farebbero Vidi miga bifògnofì portagli a  coftituir delle (òcietà particolari, d ’ alcune  poche in fìiora, npn volendo noi con quello  vocabolo di (òcietà altro intendere, eh’ un  •patto da due, o più perlone fatto per qukl’/ che fine, o per meglio dire, per poter  con le forze dell’ uno, unite ^ e congiunte  a quelle dell* altro, procacciarli qualche  commune utile, ò vantaggio ; irpperócchò  dal momento, ch’ulàrono eglino, ed ardirono di mancar a quedo, quella primfera communion delle cole tra edì, e’quella  (òcietà dilciolta, per non poter nell’ edèr  Uro più aver (ùdìftenza alcuna, fi (labili  in (ho luogo la communion pofitiva^ e non  guari dopo queda altresì, per aver la fpeliienza datala parimente a conolcere abbon- .  dante di mille, e mille incommodi, e di ‘ ' . fa V. tratt. u i i . V, tratt. 3 f.  .  fagi difmefia, e lateia da parte dare, s’introdufiero, come voi ben fàpete i domici. E in apprefiò per riparare fé non  in tutto in parte almanco alle brfogne v e  alle necefiìtà, in cui ciafcuno, per quel  primiero difòrdine, e per quella poca carità, che l’uno all* altro portava, quali  in profondo, e tempeftofò mare nuotar fi  vidde, non 'che immerfo, conforme lì ordinarono de' commerci, e de’ contratti, così parimente mille, e mille fòcietà diverte,  e varie giuda I* umane bifògne metter in  piè fi viddero, ed apparire ; Il perchè dopo aver noi rifguardato p uomo belli partati jioftri trattenimenti, pria telo nello dato  Naturale, e dopo di brigata con gli altri  in una fòcietà univerfaJe, veniamo or finalmente a veder i fòoi obblighi, e doveri  In quelle ultime, con confiderar al dinanzi  la natura della fòcietà in generale, ed in ap • prertò difcendendo al particolare trattar a  fpiluzzo di quelle, che tra tutte tengono   * il primato, come infra le templici la con-*  jugafce, la paterna, e quella eh' è di padrone e tervo comporta ; ed infra le meno  comporte le famiglie, come ‘infra le più  cómpoftede Città fono e le Reppubbliche . V- tratt.i.n.f.  ì  . *?f  D, Di tutte adunque le' fodera del Mondo  non lu eh’ una lìdia l’origine, perchè tutte, giuda il voftro avvilo, non sìmifero  . in piè, nè fi formarono, (è non fecondo le  diverfe neceffità, e bifogne degltuomini ;  anzi in tutte altresì fi ebbe uniitefiò fine,  perchè non fi rifgtiardò ad altro, fe non al  commodo, ed utile commune de’ feci. Ma  quali feno le fecietà particolari, che farebbero fiate mai nel Mondo in ufo, fe mantenuta fi fofiè ben falda, e fiabile la fòdetà  Univerfale? Egli è fuor di dubbio, che gli uo^  mini, ejjendo tutti in obbligo, ed in dovere  d ì amorfi a vicenda ; e /’ urto come noti nato  per se medefmo, dovendo non che approprio,  anche all ’ altrui commodo badare,. quando  cib tutto efat tornente ojfervavano, non venivano a comporre che una focietà univerfale jj     fa f dica V Eineccio, il quale tutto /cagliando}! contro il Puffendorfo, che tratti avea, e  d* affai malamente inferiti tutti gli obblighi,  egli umani dover ide Ila focieta/f oggi tigne tofo ch\ era ucm tenuto foddisfar a tutti quegli  che Là coniugale, e la paterna, fe pur efièr  non Vogliate del fèntimento de’ ftoici, che,  come racconta Lattanzio, che fi credevano,^  gli uomini vitti fi foderò dapprincipio  . fpuntar fuor della terra, 4 come or veggiaino nafcere li funghi ; onde per aver un  v idea ben chiara, e netta delle focieta, diftinguer fi debbono alla ftefià guifa, che  fatto abbiamo de* patti, in quelle che provennero dalla mancanza di fcambievole affetto, ed amor infra gli uomini, ed in quelle, che furono in ulò per al dinanzi, come  da ciò, che apprefiò ne diremo aggevole  fia il comprendere . Or    che riguardavano la giufiizia, V umanità  e la benevoglienza anche fe Jtato foffe pior di  cotal focieta ; imperocché fecondo la definizione della focieta, che qui fopra abbiam noi recato, e eh ’ egli non mette in dubbio, fi gli  uomini ciò fatto avefièro,come conveniva, fenza difeordar punto tra efii lorojhe altro eglino venivano a comporre, fe non una focieta ?  anzi da quel che noijquì fopra dello fiato Naturale abbiamo mojiro, fi viene parimente a  conofeere la mel'enf aggine di colobo, chef credettero gli uomini in quello fiato vivuto avef f>'°  * 7 *   £>. Or per verità ne’voftri principi rinvengo, .jj  li. lènza alcuna pena, la natura della focietà in  generale ; imperocché ogni focietà non efi  - fendo, eh’ un patto fatto da più fedone  unite infieme perpcocacciarfi tutti cori un  concorde volere qualche ben commune, o - 4   utile, fi può cop tutta ragion conchiùdere . I. Che la felicità della focietà in altro non confitta, che in non rinvenire ottacolo alcuno, o intoppo in far quell* acqui S tto,*   - fero • allo 9 uifa delle fiere, e degli animali  Jelvagai ; e che •   Nec commune bonum poterant (pelare, necullis • ^   Moribus inter fe feiebant, nec legibus  uti.   Comecché quanto ne feriva il Puffepdorfio y  ( a ) ed Obbes ( 3 ), non fa dì minor fojle gno : perche molti malori, come la povertà,  la fame, ed altri sì fatti, di cui eglino dico no, che fopr abbondati fojjero quegli, che vif  fero in quella età primiera f veggeno altresì  Jòvente nelle focietà civili, in cuborS è divi fi   1   (0 Lucret. I. 4 . v.jr?.,De oft‘. hom. et civis II. 1. 9.   (Ó DeCiv. dt in Leyiath. Js ‘,  ito, per cui fu Inabilita . II. Che fi debba da’ fòcj metter ogni cura, e ftudio in  far tutto ciò ; che può mai efiér per la lor  fociem di qualche utile, o vantaggio con  anteporre mai Tempre il bene proprio al  ben commune . III. Che non, fi polla (cior  i ih niun modo d’ alcuny di quegli,• che vi  ; « tòno al di dentro^fenza il contento degli altri, purch’ egli non vi fia fiato introdotto  o per forza, o per inganno, o per timore, o  non fia élla contro ildritto, e l’equità Naturale, ovver da'ciò a’ compagni non avvenga alcun danno . IV. Ch 9 ogni focietà fi  finifcha, ottenuto che fi ebbe il fine,per.cui  fu fatta", come .ogni patto eh 9 è fia, vien    che un  uomo è obbligato inverfo !’ altro uomo;  e che conforme due, o piu perfone aflocciar fi pofiòno, ed unir tra dì. loro per comporre una focietà, così due, o pm focietà  unite per un medeCmo fine ne poflon far un’altra. Ma pollo per vero tutto ciò, eh   a ogni focietà appartiene, venendo a quella di cui voi vi fietc propofio tenerne meco un particolar fermane, come detemte  di grazia la focietà coniugale ?  per una lòcietà molto femphee,   ni. ta da un mafchjó, ed una donna a fin eli  poter procreare, e generar della prole, ea   affai ben edurcarla. Vaglia il vero per favellare fecondo li  vroftri principi fazioni noftre Naturali facendo meflitr, che convengano fempre, e  concordino, con quelle che fono in noftra  balia, e arbitrio (/) e il coito degli ammali, o fia la congiunzione tra rnafemo,  e femina, efTendo fiata dalla Natura indi tuita, ed ordinata per la propagazione, e consèrvazione della fpezie (g ), e per ciò  adoperar dovendoli dall’uomo, per quel  che da lui dipende, per quefta ifiefià ragione, quella lòcietà, dove non f»a formata  che per quello riguardo, non v’ha dubbio  Tt’AttfX.n^  Traf    /  chV fia lina delle fòcietà conforme del tutto a’principi della Natura; ma effondo ciafcun in dovere, ed in obbligo d* amar 1* altro non meno di lui medefimo ( h ), ed imperò convenendo, che di quelli, che fi  veggono di recente u/cir ( alla luce del  Mondo, e che non fanno se medefimi educare fi abbia tutta la cura, e la diligenza  pofiibile ; cui quella fpetta di ragione ? .AUi medefimi loro genitori, poicchè effondo quelli in vita, non v* ha ragione alcuna perchè una cotal briga addolfar fi debba  ad altri;onde la procreazione di nuova prò. • *  le, non potendo in modo alcuno, fopararfi  dalla di lei educazione, in quefta fòcietà  coniugale aver fi deve nonmen 1* una che  T altra ( B ) per fine ; avvegnacchè come  da quello ifiefiò, che detto abbiamo altresì  ben fi comprende, quegli foli fiano tenuti  li padri educare, clje nafcono da congiun- /  zioni befl certe, e leggitime, e di cui vivon   S $ fi» (h) Tratt.i.Hsi.    (B) Quindi •viene, che fiano inabili, a  formar una tal focietà tutti, coloro, che non  fono atti non meri per la propagazione de? fi gli che per la lo* educazione .   •V r,   / DE* pRI*r C I*P J '  ficuri eh’ eglino fteftj fi furono, gli autori .  V. Credete voi, che per un uotno pofla ba” fiar una donna c per una donna un uomo?  M. • Efiendo il fine di un? tal fòcietà la procreazione, quello egli non è miga da met • terfi in dubbio, pqtendofi in cotal guilà   • lènza alcuna malaggevolezza ottener un   cotal fine. Ma vi è modo da /ciotte sì fatta lòcietà ?  M. Nò ; imperocché ogni fòcietà difeiorfi  • non potendo pria, che fi abbia ottenuto il  fine per cui fu inabilita', comeabbiam noidetto al dinanzi, ed in quella efiendo me1 {lieti non folo 'procrear della prole j m* al' tresì adoperarli di ben educarla-, e perciò  fare, e ridurla in un fiato, che non abbia  neceflìtà alcuna de’ genitori, abbifognandoviilcorfò di più, e più anni continuo,  e’ convien che fi mantenga da’ lòcj lunga-• mente, anzi fi conferva fin- alla Ior morte,   > e lalcino quella erede de’ proprj averi, Co-me Una lèquela della vita, che per mezzo  di efiì ottenne .  Dunque quefia lòcietà naturalmente è in(òlubile ? •   M. Infòlubilifiìma • non efièndovi altro, che’l’adulterio commefiò da un de’ coniugati,  che render pofià giufto in qualche modo,  e ragionevole il luo fcioglknento ; cioè, le   la   t la donna, o l’ uomo, venga mai a concek ' dcr ad altri, che ne fia al di fuora Tufo del  filo coi^o, e della fiia carne ; imperocché  in quello calò lòlo da un di quelli venendoli .contro' il patto fatto nella foci età ad  operare, e .ogni patto intendendofi fatto  • con condizione di adempierlo, dove F altro, con cui vien fatto non manca dal filo canto altresì far il medefimo, quello (la la  donna, lià 1* uomo, cui non fi oflerva la  fede non è in dovere neppur dalla fua par- te di olfervàrJa ( C ) ; in guilà che fe ciò  non avviene, egli s’intende la lòcietà di nuovo contratta, ed inabilita .   D. Of il di più, che mai appartiene alla natura di quella focietà io ritrovo, lènza durar fatiga', negli flelfi volìri principi imperocché da quegli vengo naturalmente a  comprendere . I. Ogni focietà altro in  realtà non effendo, eh’ un patto,* e nelli  ... S 4 pat*»  Qui favelliamo foltanto fecondo li  lumi della Natura ; imperocché la nojìra J^e~  ne randa, e Santa Religione neppur in quejìa  cafo permette un vero e perfetto fcioglimento l  ma foltanto una femplite fepar azione di marito, e moglie, quo ad thorum . ]   patti richiedendofi di neceffìtà il confènlò  di coloro, da cui fon fatti, non fi pofià quella lòcietà coniugale cofiituire in modo alcuno fenza il conlènfò di coloro, che la  contragono; o che qualunque volta quello fi fu dato Iciorre non fi debba in anprefi. fo da una delle parti, fenza il conlènio dell’  altra; ed al rincontro dove quello manca  o vien dato forfè per inganno, o per timore, o per altra sì fatta guilà,’fia invalida,   • e di niun valore, come ogni patto fatto in  . quello forma ( i ) . IL Ch’ efiendo ogni  uno, eh’ è nella focietà obbligato promuo- .  Vere il vantaggio e l’utile di quella inficine con l’ altro, ed impiegarvifi dal canto  Ilio, quanto più vaglia, debbano il marito, e la moglie operar dheoneerto fèmpre  a lor prò commune, e de’ lor proprj figli  con trattar del continuo, lènza mai celiare  di augumentare, ed accrefcere quelche  può efier mai necellàrio per li bifogni,e per  • gli aggi non meno proprj, che di quegli,  pur che far lo pollano lènza mancar in nulla agli obblighi,e doveri, cui naturalmen*  te e’ fon tenuti lòcjisfare . III. Che per  quella médefima ragion per cui conviene  ch’ i focj operino concordemente tutt* ora   . per Tratt.i liutai  . i8r  per il bene della lòcietà, 1* uno rimetter dovendoli al confèglio, ed al parer dell’ altro,  ogni volta che quefto fi conofcd più vanta ggielo, e profittevole del luo per quella,  faccia mefticri che la donna nella lòcietà  coniugale per torre, e levar di mezzo ogni  materiali rifie, e di piati lègua il coniglio dell* uomo, e l’ ubbedilca in tutto,  efièndo quefto il* più delle volte di lunghi^  fimo Ipazio vie più di lei di buoni conigli  abbondante, e d' ottimi efpedienti fecóndo, come che non fia cola miga fuor di  propofito, quando bilògna, eh’ ella altresì ammoniltha il marito, purché far lo.làppia a luo tempa, e luogo, lènza moftra  alcuna d’ autorità, o d’ impero IV. Che  non potendofi aver per perfètta, e compiuta l’educazione, lè non dopo, che i.  figli aver poflòno un’ intera cura di se me*  defimi, fiano tutti li Genitori obbligati di  locare, e maritar lé figlie con una dote  congrua, e proporzionata al proprio flato .  V. Ch’ ogni lòdo efièndo mai lèmpre il'  padrone di quelche del luo abbia nella lòcietà portato, e non perdendone egli quel  dominio, eh’ al dinanzi n* avea, nè di quello all* altro lòdo competer potendo mai  nell* altro, làlvo che 1* ulq frutto, non pofià  il marito nella, lòcietà coniugale de’ beni    t  Noft. Att.] :.  obbligo di far in modo, che P azioni de*  proprj figli fiano regolate, e rette giufta  al dritto della Natura, egli è meftieri da  buon ora P avezzino e P accoftumino in  guifa che non manchino mai di foddisfare  . a tutti gli uffizi, obblighi, e doveri che  devono inverfo.Dio, inverfò se ftefiì, ed in  vetfò gli altri, ed acquietino in.ciò col tempo P abito ; apzi per far che non abbiano  tuttora bifogno di loro, e badar pofifano eoi tempo a tutte le bifogne, e le necef  . principio imbuta paternis fèminis concretiotie, ex matris etiam corpore, et animo recentem indolem configurat ; Neque   in hominibus id fòlum, fèd in pecudibus  quoque animndverfum, nam fi ovium laéte  haedi, aut caprarum agni alerentur, conftat  fcrme«in his lanam duriorem, inillis capilium gigni tèneriorem . In arboribus etiam,   et frugibus major plerumque vis, et poteftas  eft,ad eorum indolem, vel detreèfandam,  vel augendam, aquarum, atque terfarum  quae alunt, quam ipfius, quod jacitur fèminis . Che empietà £ qi/efìa egli figgi ugne ì  che modo dì madre imperfetta ? peperifie, ac  flatim ab fefè abjeciffe ? aluifie in utero fàn gui * r » #   v •# i»  tut •* » •  Jw   \ proprio arbitrio efièndo fiato dato a’padri  per non faper quefii da se fiefli ben reggere   i*   J • ‘ ..* tutti, e come cofa che richiede molto dipendenza, molto malagevole afarf. Egli vie n 1  riferito da Xenofonte, fecondo che fcrive Cicerone (14), Hercole tantofo, che principiò a fare la prima barba, tempo, che fu a  cìafcuno dalla natura dato proprio per, elegger f qual fato di vii a f debba tenere, efer  gito in un certo luogo f alitar io., ed ivi.pff  *a federe, aver molto tra te, e lungamente,  dnbbitato in qual delle due frade, che egli  avea dinanzi, dove a muovere il piede, e fe  per quella del piacere, 0 della virtù j   dato, eh' una tal podefià tratto avejjì /* orichè quelli, che per quanto intefi comunalmente, fi nominano tutori, Succedendo  realmente in luogo di quelli, è meftieri,  eh’ abbiano di necefiìtà quell* ifiefiò penfiero, e quella fiefla cura delle perfòne, le  quali vengono lor commeflè > o per meglio dir de’ pupilli, che n’aveano quegli vivendo, e ne amminiftrino gli avveri lafcia* ti loro; ed al rincontro egli è colà d’ affai  convenevole, che i pupilli inverfò i tutori   fi    gì ne dal dritto delle Gentile ''me che non fia miriore quello del Obbejio^e del Vuff'endor fio grattala quejìì dalla focietà, e quegli dalla oc c libagione ; vagliti il vero è di gran lunga vieppiù -ragionevole V oppinion di coloro, chevo* gliono ^ cF ella provenga totalmente da Dio ;  ^perchè quefìi volendo che i figliuoli fi conservino in vita, e ciò non effendo co fa che poffa  in alcun- m r do avvenire fenza V educazione  de * loro padri, egli fi crede, che Dio voglia,   alt r eiì che li padri badino attentamente a  quefìo, ed in conjeggienza abbino tutta quella  pode/tà che naturalmente a ciò Jì richiede, non  effe n dovi alcuno, che voglia un fine, fenza  thè 9. elio Jìeffo mentre non voglia parimente  i mezzi, che a giu gner vi, e\ reputa nedffarj .  . 2 9r  •* fi portino in quello ifiefià guifà, eh* e* fi  portavano inverfò i proprj padri ; quindi  conforme i contratti de’ figli di famiglia  fènza il confènfo paterno fon nulli, ed invalidi, così altresì quelli de’ pupilli, fènza  1’ efprefiò, e tacito voler de’ tutori ; e  come per li benefizi, che i figli dalla buona, e ottima educazion de’ padri ritraggono, devono efièr in verfò quegli fèmpre.  mai riconofcenti, e grati, così li pupilli  per la medefima ragione ogni fòrte di gratitudine devono inverfo i tutori ufare, ed  ‘ amarli, e temerli, edubbedirli, come a  quegli appunto faceano; (ebbene non competendo a’ tutori de’ beni de* lor pupilli al-,   * tro, che 1* amminiftragione, e la podefià  v di confumar de’ frutti, quanto può efièr  mai necefiàrio, ed utile alla lor buona educazione, alienar non pofibno degl’ immobili nuli’ altro, (alvo quello, che perciò  fi richiede, e che non alienato, 0. (mal?  dito, farebbe fènza fallo per quelli di un  gran nocumento, e difeapito; colà che,  ‘mi crederei, nello fiato della Natura pria  non fi facefiè, che refi non fè ne fofièro  fidenti, e confàpevoli gli agnati, e gli parenti ; ed in difetto di coftoro quegli della  medefima contrada, o vicinato,. o gli amici del trapalato per dilungar da se, e tor T 4 re   re ogni qualunque cattivo „ e finiftrotò/petto, che altri mai formar nè potefiè;  poiché in realtà al Mondo non bada miga  che fi operano da noi, e fi facciano delle colè  ben giufie,ed eque,* m’abbifògna altresì, che  tutti 1* abbiano per tali ; H perchè non è del  tutto fuor di propofito per 1* iftefia ragione  creder parimente, che in quello ifiefiò fiato  i tutori portati fi folfero a render un ben  efatto conto, e ragione della lor amminiftragione in un tempo fiabile, e certo,* come  a dire, compita, che fi avea la tutela a  quefti ifieffi, che al dinanzi cennammo ;  c che non fiando bene danneggiar veruno,  ed imperò dove avveniva, che li tutori rendeano qualche danno a’pupilli, effondo tenuti di ri fa rio, quando di ciò fi avea qualche  fofpetto, niuno lènza il contentò di quegli  conveniva prefo avelie una sì fatta amminiftragione.Tuttavolta non elfondovi alcuno  in obbligo gratuitamente, e lènza mercè alcuna d’impiegarfi per un’altro, dove peravventura avviene, che li pupilli, per una  buona, e foggia condotta de’ tutori vengono^ farli vieppiù ricchi,ed abbienti, egli  fembra, che debbano in ogni modo, abbordando delli flutti dj quelli beni, che  quegli amminifirano, compenforli in qualJ che parte al manco, te non in tutto della I05, àft   efatta diligenza ; avvegnaché in fatti do  • ve quefti frutti*, o beni che fiano, non baftano per la buona educazione, egli è di  vero una colà molto ingiufta, ed iniqua, il  j ciò pretendere . Finalmente comunque ciò  fia,da quefti medefimi voftri principi fi ritrae, giunti, che quefti fi veggono a fàper  ben diriggere, e regolar se medefimi, Fin»  compenza de’ tutori termina, e viene a  fine, come nello fletto mentre a terminar  verrebbe, e finire la podeftà de’ padri, il  luogo di cui eglino, come noi abbiam tefiè detto, occuparono . Ma (è per avventura al figlio nello flato Naturale il padre  lafciato non avette tutore alcuno, chi credete voi che ne dovea imprender la cura? Gli agnati, e li più profiìmi, ed in mancanza di coftoro gli amici del morto, o gli  più vicini, cui fecondo che voi fàggiamente detto abbiate, da* tutori dar fi dovea conto della lor amminiftragione, fèndo ogni uno in obbligo, ed in dovere per  quelche v* hò più fiate moftro, far per gli  altri, quelch* e’ vorrebbe, che quefti fàceflèro per lui,* anzi quindi ne fiegueparimente, che dopo il total dipartimento  delle colè, coftoro altresì fiano in obbligo  ed in dovere di fomminifttar a* pupilli  il Accettano per la lor educazione, e   » •>    t r   •i iòfientamemp fé gli averi de’ Ior genitori, non fian perciò rhrga' (ufficienti, e bafievoli, o di quelli affatto nulla fe ne rinveniffe. Spiegatemi 1* origine della lèrvitù, ed in  Vl.che confida la lòcietà, che fi forma di padrone, e fervo. v   M. Molte moltilfime fiate abbiam di già noi  detto, che introdotte le fignorie, e li domini delle colè, gli uomini per meglio poter (occorrere, e (ovenir alle lo r gravi neceflìtà, e bifogne, portati fi fodero ad inftituire, e rinvenire una infinità di ben differentrcommercj per permutar a vicenda  tra di lóro non Che quelle cofe, con quelle,  una fpezie altresì/) un genere di travaglio  con un’altra (pezie,o genere molto divel la;  Or tuttociò foppofto per vero, egli e verifimile, che facendo quello, rinvenuti fi forièro pur infra di elfi di quegli, che fi convennero in modo, gli uni agli altri fonami-.  niftrato aveffero, e dato il vitto, 1* abito,'  ed ogni altra colà dsl Mondo necedaria al  proprio foftentamento, ovver qualche giu»  Ha mercede, e quefti per quegli intanto  impiegati fi fodero con tutta l’ induftria e  la diligenza podìbile in colè lecite totalmente, ed onefte,* e che così paffj padò  - introdotta fi foffe tra il Genere Umane)   quella sì fatta -focietà, che fi forma di  padrone, e fervo ; poiché con ciò in fin noi  altro intender non vogliamo *, che un patto in tal guilà, e con quello fine, da due,  o più perfòne fatto y fervi propriamente  giuda la commune favella coloro nominandofi, o ferve, che per altri impiegano il  Ior travaglio, e padroni, e (ignori al rincontro quegli in utile, ed in vantaggio di cui  lo s’ impiega, e che fon in obbligo ed in dovere di fomminifirare a quegli quanto allor  foftentamento fi richiede; comecché oltre  quello genere de’ forvi refi tali dalla natura (leda, che foggetta mai Tempre il peggiore al migliore, egli ve n’ abbia un’altro diverfo, eh’ è di quelli, che divennero  - tali per legge, come per 1* appunto fon  tutti li (chiavi di guerra, che fervono lènza aver fatto al dinanzi col padrone patto  alcuno. * v' .   D* Li doveri dunque, ‘e gli obblighi de’ forvi, e de’ padroni, riduconfi tutti a quello*  cioè, che formando eglino una focietà,  la quale non confitte in altro in fin, che in  un patto, e li patti tutti conforme al dritto  della natura dovendofi ottèrvare, debbano i forvi efoguire tutto ciò,ch’ è lor impo1 Ilo, ed ordinato da’ padróni; e non è nè alle leggi, nè al patto fatto con etti opp; fio   o contrario; ed quelli fiano in obbligo al  rincontro, e in dovere di fomminiftrar loro tuttociò, che può lèrvire in qualche  modo per le lor perlòne, giuda la lor prometta ; in un motto il bene di un lòcio in  ogni lòcietà preferir dovendoli, ed anteporfi a quello d’un* altro, che n’ è al di fuo.  ra, devono i fervi per li padroni, e quelli  per quelli far tutt’ ora quantunque più  poflòno, e vagliono con preferirli e anteporli a qualunque altro del Mondo ; e per  che non v' è patto che fcior li pofia d’alcuno lènza il confenfò dell’altro tra cui intervenne, non può in niun modo nè F uno  lalciar 1* altro al dinanzi del tempo (labi*  lito, e fidò, nè l* altro I* uno ; Ma come   • volete voi che i fervi impieghino in tal   • guifa la lor induftria peri padroni, che  del tutto non badino al proprio ?   M. Senza difbbio quando fono in ozio, e  lenza occupazione alcuna di rimarco de*  lor padroni, pottòno far quelehe vogliono. non potendo ciò per quelli ettèr d’ alcun  nocumento ; ma ettendo occupati, ed in  negozj gravi diltraer non lì pottòno in nulla, fenza aver il lor conlènlò.   D. Perquelche rilguarda gli Schiavi, fon  eglino al tri/ come li fervi tenuti di dar elocuzione agli ordini, ed alti comandi de’ padroni ; purché quegli fian giufti, ed onefti,  ed abbiano eglino forzg bafievoii, e luffi1 denti -per efeguirli ; differilcono però molto quelti da fervi in ciò, ch$ a* padroni in  elfi competendo quell’ ifteflo dominio, che  anno nell’ altre colè loro, eglino vagliano  ad alienarli e venderli altresì, come quelle; comecché un cotal dominio efiendo  molto limitato e riflretto dal dritto Naturale, e non convendo in modo alcuno appartarli da quello, non venga mi ga lor  permeilo, come di tutte l’altre colè, Rabbuiartene; quindi è che proveder li devono  di tutto quello, che al lor follencamento  fi richiede, e rattenerfi da impor foro delle cole luperiori, e al di lòpra delle lor  forze, o che ridondino in qualche modo  in dilcapito della lor fallite ; Il perche altresì dove quelli peravventura fi molìrafièro redi, e ripugnanti a’ commandamenti  de’ padroni, lèbbene ufàr fi pofiono contro,  loro tutti li mezzi poffibili del Mondo pgr  ritraerli all* ubbedienza, ed all* ofièquio a  quelli dovuto, non però mi credo, che metter fi debba in obblio,ch’eglino fiano uomini come a noi, e per conlèquenza mancar  all’ amore, eh’ agli altri fi deve .  Ma vaglia il vero promuover dovendo  ogni uno la felicità, ed il commodo altrui   non meno eh’ il proprio ; perche lo flato  d’ una fefvitù perpetua, ed illimitata porta feco molti, moftillìmi jncommodi, poi. che è di leggieri converter fi può e palìàr  in abbuiò, non fi deve permetter molto volentieri, 0 sì indifiintamente, che vi fi lafci>no marcir coloro, che liberi potrebbero di  lunghiflìmo fpazio giovar a le ed agli altri.  D. Reputate voi del tutto inutili li /chiavi  rer una Reppublica, o per una Nazione? Nìa;( H ) anzi ne potrebbe ella dedurre  molto utile e vantaggio, con ritraerne una  infinità d’abbitati per le colonie,e farne altri buoni ufi; ma farebbe egli meftieri, che  da legislatori fi raddolcifiè in qualche modo lalor {chiaviti!, e fi trattali renderne  la idea, alquanto più dilettevole ; con pro # veder perefcmplo alla durezza de’ lor padroni, con afficurarli del notrimento in tempo di vecchiezza, o infermità, con fa. vorir'li lor matrimoni, e con altri sì fatti   . modi, per non incorre in quegli inconvenienti, eh’ incorlèro rilpetto a quefto particolare I ROMANI. Vedrebbe • altresì per alcuni la fobiavitùfervir d’un gran mezzo per dilungarli  dal male. Veniamo ora a trattar della famiglia.   M. Quella come noi dicemmo, è un corpo, o   VII. una fòcietà comporta di quefie fòcietà per  l’appunto, di cui abbiamo fin adora favellato;comecche porta fòrmarfi ella di tut1 te, e tre quelle unite in uno, o di due fòltanto ; e nel primo calò T abbiamoci realmente per aliai ben intera, e perfetta, nel  fecondo per imperfatta. A cui credete voi ; che appartenga di ragione il governo di una sì fatta focietà ?   ÌM. Al padre, e alla madre di famiglia, che  fono quegli rteflì, che nella fòcietà coniugale portano il nome di marito, e moglie,  nella paterna di madre, e padre, e nella  fòcietà,-che fi compone di fervo, e padrone, eglino fi nominano padrone, e padrona. Riguardo al padre di famiglia io ben mi  perfùado, che convenga egli fia il capo  della famiglia, per la rtefia ragione, che  Vuole il marito fia il capo della fòcietà coniugale, il padre della paterna, r ed  il padrone in quella che fi compone di lui  e fervo ; ma per quelche s’ appartiene alla  madre, io non comprendo, perche vogliate altresì, che fia fatta ella partefice  di quella fòvranità?   flf, Dubbitar non potendoci, che alla madre   non competa naturalmente parte della podefià, e dell’ autorità, eh’ al padre com. pete ne’ figli, e come padrona parte di  quella, che ha il padrone ne’ fervi, e nelle  ferve ; e che poflà ella altresì quando convenga ben configliare, e ammonire il tuo  marito, egli è certo che debba altresì di  ragione efler fatta partefice del comando,  eh* hà il padtedi famiglia, o per efpreflò,  o per tacito confenfò di coftui. Quali sono li doveri e gl’ obblighi di un  padre di famiglia? Ogni focietà avendo un certo fine proprio, per cui fù inftituita, ed ordinata, e  dovendofi in effa attentamente Tempre mai  a quefto badare, ed aver l’occhio, dove far  fi può lènza contrariar in nulla alle leggi  naturali j in ogni famiglia tutta la diligenza, e tutto lo Audio impiegar fi deve  in far, che 1* azioni di ciafeuno ficrno in tal  fatto modo regolate, ^ rette, che il fine  d’una focietà s’ ottenga fen za edere di  danno alcuno, o pregiudizio all’ altra j e  confequentemente il dovere, e l’obbligo  d’ nn padre, o d’una madre di famiglia, che  camanda in nome di quello, cui sì fi deve  tutta la poteflà, confifter deve in fare, che  tutte l’ azioni de’ Tuoi domeftici colpifca_ no concordemente, e con ordine un mede mo  moline; cioè rifguardino univerfàlmente  all* utile, e al commodo di tutti fenza riferva, o eccezzion alcuna di perfòna; quindi dove abbia peravventura una fol fiata  quelche far fi debba a ciafcuno importo, e  ordinato, e non deve a patto alcuno impunemente lafciare, e fenza galligo quelche  fi opera, è fi fa in contrario; e perche  ogni fòcietà fi rifguarda come una fòla  perlòna, e il commodo, e 1* utile di ciafcun de 9 focj merita pofporfi a quello di tutta la focietà,egli fi deve nella famiglia tanto dal padre, quanto dalla madre di famiglia anteporre fèmpre la fàlute di tutti ir»  . generale a quella d 9 alcuno in particolare ;  come che trattandoli d 9 eflranei preferir fi  debbano a quelli ed anteporre tutto tempo  quegli, che non fian tali.   D . Quali fono gli obblighi, e li doveri de*  domeftici ?   M- Per dir tutto in un fòi motto, eglino ingegnar fi devono di non lafciar occafione alcuna addietro fènza non promuovere il  commodo, e l 9 utile cominunedi tutti della famiglia, e di ciafcuno in particolare.   V. Or in fine palliamo alla fòcietà civile, e  VlII.procurate in ogni modo, eh 9 io n’ abbia  una idea d 9 aliai ben chiara, e netta.  jW. Qjicfla nonè a eh 9 una sòcietà comporta C V di X   f - di più famiglie congiunte, ed unite tutte in   uno a poter inlìeme vie meglio promuovere, e portar avanti il lor ben comune, e  per mettelli in iftato da poter con magior  aggevolezza difenderfi, e liberarli dagli  inibiti, ed aflalti de 9 proprj nemici ; imperocché edinto, che li viride infra gli uomini quel cado, e fànto amore, e quella carità  fraterna, e lènza elèmpIo,che giuda più, e  più fiate dicemmo, l'uno all’altro dapprincipio vicendevolmente portava, prefo avendo ogni uno di gir a lèconda delle lue proprie voglie, e delle fue isregolatezze, con  aver in odio, ed in abbonimento il compagno, l 9 amico, e fian anche il più a lui  congiunto di languc, o di patentato, e  perche 1* obbligagione di quelle fante leggi  che indentro a fe portavano, e nel proprio  feno ilcolpitc,ed imprefie,non badavano in  modo alcuno a rattenerli, ne a reprimerli,  e per efièr tutti uguali di natura e pari, ne  Giudicp, ne Magidrato rinvenivafi dinanzi cui metter termine fi potelTe, o dar  fine alle lor contefe, da per ogni parte,  non ufandofi altro, che forza, e furore, e  fovente imperò venendo P innocenza opprefia,eogni giudizia sbandita e lafciata  jn un cantone; rare volte, o non mai rinvenendoli una famiglia in idato da poter opporsi  e far farsa alle violenze, che da*  fuoi contrai] fin nel fa 0 proprio, e nazitf  albergo l’ erano a tutto poter commefie,  molte moltiflìme famiglie in cui allora veniva devi fa il Mondo, per torfi da tanti, e  sì gravi rifchi e perigli li unirono, e fi obbligarono di difenderli ; e rilèrvandofi la  libertà di poter dire il lor fantimento nelle  rilòluzioni delle cofe di magior rilievo, che  fi prendevano jn nome di tutta la communità, diedero per lor maggior pace, e quiete, il governo della lor facietà, e P amminifi ragione a uno, o più per fanne, d’ affai più prudenza, e coraggio degli altri. Vi è farle noto quando cominciarono quelle focietà al Mondo?   fll- Nò comeche abbiam ogni ragion di  credere che per un lungo tratto di  tempo, non vi fòdero fiati delle Monarchie, e degli Principati di gran valliti, ed  eftenzione ; imperocché quanto più in dietro fi mira, e fi pon mente alla ftoria de  / V a priCosi appunto rifurono le Reppubbliche de%li Oriti, e dì molti altri apprejjo U,  Diluvio, come j * -imprende dalla Storia del  vecchio tejlamento.] primi tempi, tanto più fi rinvengono degli fiaùmolto, piccioli, e in gran novero,  che non erano guarì gli uni dagli altri dittanti, e che non aveano molto pena ad  unirfi quando bilògnava, e facea lor mettièri di tener conlèglio de’communi intereffi, ovvero ilcampievolmente (correrli  ' contro le violenze de’ lor nemici . Egli è  il vero, che comunalmente 1* Impero degli Attiri fi abbia per la prima Monarchia  del Mondo ; ma non per quello fi può egli  aderir di fermo, che quella fi fù la prima  focietà compolla di più, e più famiglie,  non potendoli da lenno per alcun dubbiare, che ella ringraridir non fi vidde, ne  gingner a quello fiato pria di non afiòrbir  in le, e divorare per così dire, un infinito  numero di picciole lòcietà, o Principati,  pome la Storia lo c’infegna .  Spiegatemi diftintamente, e fenza alcuu  IX. interrumpimento quelche appartiene al  buon regolamento di quella focietà .  yVf, Ragionando fecondo li flefiì nollri principj, egli è certo; Che avendo quella per fine il ben comune, e la ficurczza di tutti quegli, che  la compongono, ottèrvar vi fi debba come  legge fondamentale di non far colà alcuna  contraria, od oppofla alla làlute, ed alla tranquillità pubblica; quindi formar  dovendoti giudizio dell’ azioni de* particolari Soltanto riguardo a tutta la (òcietà,  ed a quello fine ; molte moltiffime cote avvegnaché giufte, e permeile dal Dritto  Naturale, (ovente efler pofiono in efià ingiufie, e irragionevoli . II. Ch’ogni una di  quelle (òcietà Civili, (ècondo che noi dicemmo favellando della (òcietà in generale, non confiderandofi nello (lato Naturale, che come una perfona, E uffizi dell*  una inverfò 1 T altra fian realmente pii (ledi  di quegli d’ un uom inverfò 1* altro uomo. Che acciò non v ’ abbia in quelle (òcietà chi diflurba, o inquieta in modo alcuno il ben pubblico, ne venga niuno impedito, o diftolto, anzi fian tutti aggevolati  a foddisfare a lor obblighi,' doveri, g uffizi ed òttenghino elleno (ledè il lor fine,  ‘ abbilògna che di tutto ciò fè ne commetta   V 3 la Per quejìo ir ogni Città, 0 Rep pubblica in tutti modi gajtigar si devono, e punir  coloro, che operano in contrariamoti ufar tutti mezzi pofìbili in far che le lor arti non siano di difcapito, 0 di nocumento alcuno al pubblico la cura a certe perfone, e fi obblighino gir  altri a far dal conto loro quanto a tale effetto venga mai da coftoro ordinato, e  ^abilito; ed in fatti ogni fiato, Regno, o  Reppubblica par che fiiftìfta per un cotal  patto, fia efprefib, o tacito infra coloro,  che la reggono, come capri, e n’anno il  comando, fiano Principi, Magifirati, o altri, ed infra quegli, che ubbedifcono, e vi  fono in luogo de* luciditi, o di tanti membri, IV. che tutti li patti conforme al dritto Maturale dovendofi offervare, quefti altresì, che efprefiì, o taciti fi fanno, infra  fòdditi, e Regnanti dar fi debbano ad effetto . V. Ch’ a tutti i Regnanti appartenendo la cura di tutto ciò, che mai riguarda la pubblica tranquillità, e fàlvezza e’non,  meno aver debbano una piena contezza de*  mezzi necefiàrj per poter a ciò pervenire,  che un voler fermo, ed affai ben coftante di  non comandare ne far altro, che quello,  che può unqua per quefto valere ; e perch’ egli è impoffibile che a quefto giungano lènza una efàtta ofiervanza delle leggi  Maturali, fono in obbligo ed in dovere altresì d’ inviggilare su quefto, e far che niuno de’ lor fudditi manchi sù quefto* parti- .  colare ; onde nello fteflo mentre veniamo  a conofcere che tutta la noftra felicità in quello Mondo ottener non potendoli in altro diverto modo diverto da quello (/)  fi debba da Regnanti a tutto potete in tutte colè aver la mira a non altro, che alla fé  licita di tatti coloro che reggono, e governano . VI. Efièndo quelli tenuti, come  dicemmo di fare che niuno Ila impedito di  fòddisfàr a’iùoi doveri, e tocco ire re, ed abitar ciatouno a farlo ben più volentieri,  con cofiringere e gaftigare, chi che ricula \  di farlo, egli abbisogna che faccino quanto polla non meno torvi r di mezzo a ciaficuno per compir qvelch 1 egli deve, m’ altresì facilitarne l 5 efecuzione, e l’effetto. Poiché il fine d’ogni tocietà non è che  di promuovere il ben commune, e difenderli dagli infiliti de’lùoi nemici fia  uopo fare, eh* il numero de’ludrìiti in una  Città, o Reppubblica, non fia minor di  quello, che perciò fi richiede, affinché non  Vi manca il bitognevole, ed il neceffario  per la vita, o altra cola avvenga contraria in qualche modo alla tranquillità pubblica . Vili. Ogni Città, o Reppubblica  in fin non effendo ch’una tocietà, ed a nino  lòdo convenendo partirli di quella tocietà,  in cui peravventura fi rinviene con danno  altrui, oon fi deve unqua (offrire, eh’ al V 4 ' cimo Tratt. x. riuvn.xi i. ] cuno Ce nè parta, e vada ad abbitare in altro luogo con un gran di lei difcapito ; e  conforme un fòcio, che danneggia un’altro fòcio è in obbligo, ed in dovere rifàrcirglielo, così altresì riconofcer fi deve quefti  per ben obbligato di rifar quello, che mediante la fùa lontananza ha la Città, o  Reppubblica ricevuto, IX. Gli avveri, e  le ricchezze efiendo di un fòmmo medi eri  per lo foftentamento, per Io decoro, e per  la giocondità della vita dell’ uomo, devono  coìprche Regnano proccurar in ogni mo * do, che i lor fudditi ne fian tfen forniti ;  X- La fpcrienza dandoci tutto dìaconoicere, e vedere, quanti vizj, e malori ne  provengono dall* ozio, ed imperò abbifognando, che ogni uom fatichi e travaghi  per ricchi filmo eh’ e* Cia; in ogni fòcietà Civile è meftieri dar in vegghia per far che  non manchi giammai il travaglio a coloro  che lo chiedono * e che ^abilito fi abbia  perciò un commodo, e giudo prezzo, non  (ì fofferifea, eh’ alcuno fi confuma, e totalmente fi perda nell’ozio . XI. nonrinvenofi al Mondo alcuno, che che non fia  in ohbligo, ed in dovere fòddisfar a molti  obblighi, doveri, o uffizj in verfo la Maefià Divina, inverfo Ce medefimo* ed inveì* •  lò gli altri, in ogni, e qualunque Città, o  Reppubblica metter fi deve ogni Audio » ®  ogni cura per riempier l’animi di tutti di  quelche e’ devono foddisfàre ; e perche  non tutti di tali, e d’ altre sì fatte cognizioni fon abbili renderne gli altri ammaeftrati, quegli eh’ anno un ingegno vie più  degli altri elevato, ed eminente, e che a  farlo fi conofcono eflèr naturalmente più  acconci, in tutti modi poflìbili ajutar fi devono, e foccorrere, affinché da fe far pollano ben volentieri tutti progredii, e avanzamenti del Mondo nell’ arti, e nelle  fcìenze, e proccurar eh’ i padri con ogni  agevolezza educhino i lor proprj figliuoli,  e s’ingegnino di far lor ottener quella perfezzione, che ad uom abbi fogna, acciò loItener poflono col tempo e rappretentare  con fomma lor loda e riputazione nel mondo, e nella propria padria, quel persònaggio, eh’ il sopremo architetto delle  cole hà riabilito, ch’e’rapprefèntino. Non efiendo miga colà convenevole che  un uomo danneggi un’ altro uomo, e quel  danno eh’ egli peravventura gli da, effondo •  tenuto di rifàrcirlo; in quelle ifiefiè focieti civili fi deve proccurar altresì, che niuno.  venga offofo, o danneggiato in colà alcuna, e eh’ in ogni forte di contratti fi olforvi a minuto, ed elettamente ogni giustizia, ed equità ed lì rifacci ad altri quel danno, che gli fi reca. Dovendoli da  tutti noi vietare ogni e qualunche periglio  della vita, e conlèrvar la noftra fàlute, e  E integrità delle membra con adoperarci  mai Tempre di non cadere in morbo alcuno,  e dove peravventura vi fi cada riftabiHrci ( m ), egli è di dovere, e di obbligo in una Reppubblica, o Città, metter  ogni diligenza in far che niuno fi elponga a pericolo alcuno, o venga a far perdita della fua làlute, o delintegrità dellefue membra, con vitare, e sfuggire tutto ciò che mai ne può efiere la cagione,  come per elèmplo farebbe l’ebbriezza, eci  altri vizj di tal fatta ; e che abbia in pronto tutti li mezzi proporzionati alla fuga  de’ morbi, ed alla cura di quegli, che ilgra.;ziatamente v’incorrono, ne (òfifrir mai  che uno dea la morte a fè medefimo, o ad  altri XIII. Non dovendoli nelle fpefe necelfarie a farfi, permettere cofa per ni mimiche fi fòlle contraria ed oppofta a’ luoi  doveri, e 1’ acquifiato dovendoli tutto  tempo conlér vare per le neceflità e le bilògne, che pofion mai avenirci, egli è uopo  che nelle focietà Civili fi provegga anche  con diligenza sù quello, con non permea   . ' ter   ** a   Trcti . i l.vu n» J* i . 3 1 r  ter neppur la foverehia fòntuofità dell’ abitazioni ; come che dall’altra parte la mediocrità ufàta nella di loro venufià e bellezza Ila oltre modo commendabile, potendoci recar molto di piacere, e di diletto ;  e con ciò fèrvir non meno per un gran aumento della nofira fàlute, e per accrefcere di gran lunga la nofira autorità fpezialmente appreflò il vuolgo, che altro il più  delle volte non ha per guida, che li proprj  fènfi, che rendere pompofa e magnifica e  fuperba la Città, e dare una gran oppimene de’ Tuoi agli ftrani . XIV. ogni uno e£  fèndo in obbligo prezzare, ed onorare  chiunque e* fra di preggio,e di lode degno,  e non potendoli ciò da altri fare, che da  quegli, che può fender giudizio, e ragion  ne delle azzioni altrui, ‘.affinché tutti fiano tali in ogni Città, o Reppublica bifògna badar di rinvenire, o iitabilire certi  titoli, certi legni d’ onore, e certe prerogative, per darle a quegli, che fè ne rendono meritevoli, XV. Per mantener ben  fèmpre fiabile e in piè la pubblica quiete,  e tranquillità, ed evitare a tutto potere  gp incommodi, e li difàgi che mai deriva- >  no dalle private Vendette, far fi deve,  che gli offèfi fi r imanchino pur contenti delle pubbliche, e che colui, eh’ egli è punito   c gadigato non abbia ardire, ne o(ì privatamente di nuovo vendicai^. In dove  in una.Reppubblica, o Città, è lì vede, che  non bada 1* obbligagion naturale a; rattener ciafcuno tra li fuoi obblighi, o doveri,  a quelle leggi naturali, la cui inoflervanza  può in qualche modo, e vale a difturbar  la pubblica quiete, abbilògna, che vi (I  accoppia una nuova obbligagione, cioè che  fi propongano a quelli, .che le trasgredirono delie pene, ed a quelli, che l’oflervano degli premi, eh* è quello che condituilce l* obbligagione, che noi perdidinguerla dalla naturale diciam per l’appunto Civile, e nominar altresì fi potrebbe  umana ; e per la della ragione le le leggi  naturali- lòn troppo generali, ovvero fòverchi© indeterminate, e di doppio /ènlò  per torre ogni letiggio, e ogni piato di  mezzo, che quindi ne potrebbe mai rifbrger è d* uopo-ch* in quede medefime società fi determinano, e fi redringano in tutti  modi, con decidere che che fi debba tener  in ofièrvanza • e non potendoli realmente  da Regnanti ogni colà antivedere, dove  quelche una fiata credettero per li lor lùdditi utile, e giovevole ftabilire, la Iperienza lor da a cònofiere efler inutile, e poco  per quelli profittevole, lafciar non lo devono in modo alcuno di corrigerlo, ed emendarlo. Non mai uom potendo la  lue azioni conformar alle leggi di cui egli  non ha contezza alcuna, quanto fi ordina,  e fi ftabilifce in una Reppublica da que’  che governano in tutti que’ cali da noi tede cennati non può aver forza, ne vigor  alcuno pria, che non ha promulgato .  E (Tèndo giuda quelli noftri principi  proprio de’ Regnanti il far leggi, l’obbligar i fudditi, e far ed ordinare tutto ciò  che può mai (èrvire per la pubblica làlvez- *  za, e tranquillità, ed in qnefto appunto  confluendo ciò, che nominiam noi podellà  0 fuprema, aderir poflìam con ogni ragione  che quella fia propria di effi loro, ne unqua polla ad altri appartenere, comecché  non potendo eglino in niun modo obbligar  i fiidditi ad azioni contrarie al dritto naturale ed a que’ patti, che fecondo noi dicemmo, fifoppone, eh’ intervennero tra Regnanti, e ludditi, fia ella in Un certo modo molto limitata, e riftretta. Ogni   e qua  > (L ) 'Quindi si comprende in guai casi sia  mejìieri, eh* in una Reppublica sijaccino delle t  nuove faggi, e delli nuovi regolamenti c. qualunque Regnante, avendo una cotal  podeftà d’obbligar i (uddjti,egli hà altresì  quella di ftabilir delle pene contro a’ pre«  variatori, ed a trafgrefiòri delle leggi 9  delle pene, dico, intendendo anche delle capitali, dove 1’ altre non badino, e fjan  infufficienti alla quiete, e tranquillità pubblica, cui eglino (òn tenuti tutt’ ora di  badare, e per cui anno ottenuta una tal  podeftà. Eftendo le fpefè a’ Regnanti (òmmamente neceflarie per la pubblica quiete, ed imperò dovendofi elle da*  (udditi fomminidrare egli ha anche facoltà  d* impor a codoro degli tributi, e delle collette, o gabelle, ed altre (òrti di contribuì  zioni ; Ma metter non potendod in  efecuzione quelche bilògna per lo ben pubblico, lènza che non da abbia della potenza*  cioè una certa poflìbilità, o agilità, per  così dire a poter tutto ciò fare, quefta è  parimente perciò da rifguardirfi lènza fallo  come propria di coloro che governano,  C confcguentemente appartiene a’ Regnanti al- •  Ecco qui la ragione per cui a * Regnanti compete il giu: di morte, e di vita ih  de lor fu àditi,  3 tf  ti altresì il dritto di poter codringere*  ed obbligar gli proprj ValTàlli a fòmminiftrare, e dar tutto ciò, che fi richiede per  quelche fi deve fare,* il dritto di codituire,  e rimuovere i Magifirati . necefiarj per efèguire le leggi Civili, e giudicare e indurre ogni uno a lafciar all* altro quelche gli  fi deve, non potendo tali cofe giugnere a  far da fè medefimi ; il dritto di conferire, «  i pubblici pefi, e le carriche, e le dignità  Civili ; il dritto di far leva, feelta, o rollo de* fòldati, che alla quiete tanto interna, quanto edema della Città fon necefiàrj,• e mille altri dritti di tal fatta, lènza cui  li lor ordini non fi poflono dare ad effetto ;  e perche quella podefià, e quella potenza  che di necellìtà fi richiede, giuda che fi è  modro, ne* Regnanti e quella in cui confine per f appunto la lor Maefià,* in qualunque Città, o Reppubblica gadigar fi deve  feveramente chiunque ardilce in modo alcuno d* offenderla, ed aggravarla ; come  che potendo ella eflèr varia e diverfàmente oltraggiata, varj, e diverfi altresì intorno  ciò fian le pene, e i gadighi, che fi ftabiJilcano . In ultimo per dir tutto in un motto l* utfizio, l’ obbligo, e,il dove de* Regnanti elfendo, come più volte abbiam  detto, e ridetto promuover in tutto la pubblica quiete, e tranquillità, e difender i lor fudditi dall' ingiurie de’ nemici lì  sìdomeftici, che pubblici, eglino devono  tutta la lor attenzione impiegare in badar  minutamente a tutto quello, che a quefto  può mai pi (guardare, con corriggere, e rattener ne’ lor principi fin le picciole novità,  non lòflrir le inimicizie private, e le gare,  che infòrger poflòno ifpezialmente tra  Grandi, e qualunche difprezzo, che venga fatto mai della lor perfòna ; impedir  ogni ingrandimento flraordiuario de* particolari ; rinovar di tratto in tratto ordini,  e leggi ; e ridurre tutte le colè alla finceri tà, e ilchittezza de’ lor principi : venendoci col corlò del tempo a formar ne’ corpi  Civili, alla fteflà guilà, che ne’ naturali,  tèmpre mai qualche aggregato d’umori  cattivi, ch’hà bilògno di purga • e perche  non dico egli ha malagevole, ma quafiche  imponibile, che fappiano da le foli, o faccino tutto, egli è di gran lunga giovevole  che fi fervano fòvente dell’ altrui faviezza,  e prudenza, o coniglio, per non far cofa  per menoma eh’ e’, ha contraria, ed oppofta  al ben pubblico, efTendo molto irragionevole, e come contro ogni ragione del tutto mal fondato, ciocche ne Icrivono l’Obbegio, e il Macchiavello, che non dubbitarono fin le cofòienze de* fòdditi, e la Religione fteflà fottoipettere a’ Regnanti. Del  refio ri/petto a i lor (ùdditi quefti elsendo  cornei padri fono rifguardo a i figli, con  tutta agevolezza tutti gli obblighi, gli  uffizi,e i doveri de’Genitori inverfo i lor fijgli,e quegli di un padre di famiglia in verlò i Tuoi domefiici, generalmente parlando,  applicar fi pofiòno alla lor perfora, come  que’ de figli inverfo i lor padri, e de domefìici inverfo de’ padri de famiglia, a lor . *  fudditi .   jp. Per verità y’hò intefo fin ad ora con pia X. cere, fenza ardir d’ interrompervi ; ma  pria, che palliate ad altro, dinegatemi alcune co fe più paratamente, e incominciando, ditemi quante forte di Reppubbliche, e di governi divertì vi abbiano?  Perche fecondo noi abbiam detto 1* amminiftragione delle cofe può elfer data o  ad una perfona fòla, o a più, o od una intera moltitudine, fi rinvengono tre fòrti  di Reppubbliche regolari, l’una di cui si nomina Monarchia, Regno, o Principiato; la seconda Aristocrazia; e la terza Democrazia; le quali di leggieri cambiar fi  pofiòno, e tramutare in altre e tre vizìofè, r  ed irregolari ; imperocché il governo di  una Reppubblica o fi rinvenga in man di   X uno, odi piu, o di tutti, ciò non faccndofi, fecondoche noi dicemmo, fè non  col confenfò medefimo de 1 Concittadini,  e per la podefià / che da quegli s*òti tende ; èd- imperò ingiuftamente coloro tutti comandando, cui gli altri miga  non fi fòmmifèro, o egli fia quefto un  f uom folo, che regni in cotal forma, e il   fuo governo ncm è più Monarchia, ma  Tirannico,o tòno foltanto pochi nobili, e  non tutti,' e verranno eglino a coftituire  non già una Arifiocrazia, ma un Oligarchia ; ovvero in vece di tutto il Popolo regna, e governa la plebaglia, e la feccia del Popolaccio, che quanto fà e’ rifòlve a capriccio e quefta noi diciam propriamentè Olhocrazia. Egli vi mette qualche divario nella perfona di un Monarca, confiderato rifletto a ’ un altro monarcati Titolo di Re, Imperadore, o Principe ? No. Qualunche di quefii titoli egli abbia  è tèmpre il medefimo; non offendo egli  rifguardo ad un altro Monarca, che uguale,  e nello fiato Naturale, lènza fuperiore alcuno ; comecché ogni prudenza voglia, che  » * nè coftringere, nè obbligar potendofi l’altre Reppnbbliche, e gli altri Principi a  onorario con quel titolo, eh 9 egli brama,   pria, che Io s’ imputa convenghi con effi  loro sù quello .   D. Volete, che fia necefiario regalmente per  un Monarca udir ilconfeglio altrui?   M. CertifllmÒx; imperocché febben polla  egli operar tutto a Ìlio arbitrio, non potendo colà alcuna far contraria, od oppo.  fta al fine della focietà, eh’ hà in governo;  tutto al roverlcio del Tiranno, che non  riguarda, che 1* utile, e la làlvezza propria non può egli da fé conofcer tutto-Non  efiendo in ifiato di operar tutto in un ifiefi  lo modo, e penfar da voi ( dicea molto  faggiamente, e con prudenza a’ fiioì Miniftri per quel che s’inarra un Soldano) non  tralafcate giamai dar orecchie, nè ributtate per qualche gelofia, o (lima,che poffiate mai aver di voi medefimi quelch’ altri penfano, con averlo per goffagini, e  fpropofiti, non per altro, che per non efier  fiato dinanzi da voi antiveduto,, poiché lòvente fiate avviene, che fi ritolga del profitto, e fi rabbia del utile dall’ operazioni  le più chimeriche, ed iftravaganti del  Mondo ; e per verità è aliai più lodevol colà, e di maggior momento fàper di‘ ftinguere il buono, ed elèguirlo, che prima penlàrloda (è medefimo ; lòvente volte egli avviene, che ad un Monarca convemga far paragone delle diverte aderenze,  e circoftanze de* tempi; o conolcer la for> za degli abufi, e difàminar attentamente  le leggi antiche,* ffabi lire, e far degli regolamenti, e degli ftatuti per li Collegi,  e per Partefeci ed altre sì fatte cote,le quali egli è predo che imponìbile, che far 11  pollano da un telo .Nell’Ariftocrazia e nella Democrazia  per prender gli efpedienti neceflàrj alla pace, ed alla tranquillità pubblica, qual colà  credete, che far fi debba ?   eltendo nella prima il governo in man  de’nobili,e nella teconda in poter del Popolo, egli determinar non fi può nell’ una,cofa  alcuna, lènza il contente de* nobili, e nelP  altra, lènza quello di tutti ; e come nell*  Ariftocrazia v’ abbitegna un luogo, dove  i nobili fòvente fi convengano, e prendano  gli efpedienti necefiarj per quella, non che  un certo tepo (labile, e fiftò in cui fi raguni  il Senato ; (alvo che nelle colè improvilè,  e gravi, nelle quali èmeftieri, che fi raduni fuor d’ordine ; così nella Democrazia di necedìtà egli vi fi richiede un luogo  per li comizi, ea un tempo certo, e fidò  da poterli convocare ; con aver per fermo, e ftabile Ila in quella, fia in quella,  quelche venga dalla maggior parte determinato ; ma vaglia il vero,quefte e tre fòrti di Reppubbliche irregolari, perche di  leggieri, come da noi fi difie, pofiòn cambiar natura, e divenir difettofe, e mofìruofè, molto ben di rado fi veggono, avendo la maggior parte unite o tutte, e tre  quelle fórme in uno, o almanco due in  guifa, che Puna vaglia per rattener l’altra in uffizio, ed imperò fi dicono vuolgarmente mille ; (ebbene vi fiano per  al prelènte alcune altre (òcietà compone o di molti Regni dipendenti da un capo, o di molte Città confederate, che  componendo un certo fiftema, dir fi poffòno con gran ragione, fòcietà fiflematiclie ; avvegnacche di queffi Regni,  che fian retti daunlòlo, altri lèguendo,  ciò non o (tante pur ad oflervar le leggi fondamentali, come egli è or 1’ Ungaria, e  la Boemia, e non avendo altro di conamune, che la fòla perlòna del Principe, aver  . non fi debbano al novero di tali fòcietà ; altri effondo in tal modo uniti, che quelli,  che fi furono (òggiocati, non guardandoli  che come Provincie, l’uno neppur coll’ altro viene acoftituire (Ulema alcuno, come  fi fu un tempo ia Macedonia, la Siria, c   X, 3 l’Egitto lòtto Y IMPERO ROMANO, ed altri  finalmente fon in tal guifacon le fòrze uniti ed accoppiati per difènderli, che non vengono, che fòltanto una fòl fòcietà a cortituire ; e quelli di vero formano un firtema, e quello di cui or trattiamo . Ma  la piu parte de’Regni fi cambiano col tempo, giufia dalla Storia s’ imprende, di forma, e di figura j quindi quella dell’ Impero di Germania, hà sì fattamente travaT gliato i Scrittori tutti, del dritto pubblico, che quanti eglino più fono, cotanto è   • diverfo il numero dell’ oppinioni, e delle  ^ (èntenze, che intorno quefìo particolare abbiamo ( n); imperocché alcuni rifguar; dando foltanto alti titoli, all* onore, e al • l’infegne di Monarca, che dar fi fogliono   • all’ Imperadore, fi credono quello Impero   • del tutto Monarchico ( po crefciuta appoco, appoco l’autorità degli Stati, e fpezialmente dal Regno d’ OTTONE (si veda) in poi, e dalla morte di Frederico  II. quella oltremodo aggrandita, mirata  non fi fofie giammai in appreffò la podeftà  imperiale in quel fplendore e in quel  4 gola- .   ( q ) Jlufwlin. ad A. B. diJJ’ert. i.$. 1i.pag.y6. Buecìer. notit. Imptr. lib. zz. c. 3. p. zSS. ( r ) Limnxus ad J.C. lib. j. c. io. Arnifav. lib. x,   f* 6 .Conriag. decapitai» C». Brumem. in estam. jur. pubi. e\ i.f.f.   3 a*  di cui fi tratta alle leggi, e giudicarne » >   lènza che pria ben non fi difitminano, egli  r . è meftieri che deano udienza a tutti indi' fintamente, e li Tentano ben volentieri e  con ogni placidezza III. ogni uomo e (fendo in obbligo di amar l’altro,febbene odiar  e’ debbono, ed aver a male il cattivo procedere de’ delinguenti e malefattori, devono amar (èmpre però quelli ed averli cari ; IV. per non aggravare li poveri, e miseri litiganti di (peé, e di tedio, ingegnar fi  devono con ogni Audio di (pedir predamele tutti i Giudizj, tanto civili, quanto criminali^ V. finalmente abbifogna che pr occura no di confervar in tutto la autorità propria, e de’Regnanti che rapprdèntano con  rederfi agli occhi di tutti perirreprenfibili,  e lènza macchia. Per tutto ciò efièndo egli  colà certa, ed indubitata, che qualunche  occupazione, o aff’ar di fiato e* fia guidar  fi polfa, e condurre afiài bene, giuda un fifiema particolare, e proprio, farebbe fenza dubbio di un efìremo giovamento per  tutto il Minifìero, fi fòrmaflè un fiftema  generale di tutte le parti del governo sù  mallìme fondamentali fofienute da una  ben lunga elperienza, e da profonde meditazioni di tali colè ; divifoe (iiddivilò in  modo, che ciafcun minifiro vaglia da (è solo a formartene uno, che fervir gli potere per una gran guida alla Tua incottipenza, e per condurlo ficuramente, giuda  certi principi al luo oggetto principale,  come che molte parti della legislazione  fian cotante dubbie, che niun può in modo  alcuno viverne ficuro, non ottante gli gran  lumi, eh’ egli n’abbia dalle teienze, come  quelle, che dipendono aflài poco dall’umana prudenza .   D. Qual cola volete voi, che fi fàccia da’  Regnanti per far che quelli non fi abufino  delia lor autorità ?   M. Eglino devono ingegnarli di non eligger  per quello le non perlòne ben degne, e, meritevoli ; avvegnaché alcuni Politici sì  per confervar in tutto 1’ uguaglianza, e sì  per temperar in parte, ed impedire lo ttrabocchevole impeto, e l’ impazienza, che, quali necettà riamente accompagna i gran  talenti, credono necettàrio melcolar con  quelli alle volte lì meno abili ; e far che li  Magiftrati non fiano fòverchio lucro!! Ipeziaimente ne’ Sgoverni, che fi partecipa  dell’ Oligarchia ; poiché in tal fatto modo  i poveri per una tterile ambizione punto  non curerando d’ abbandonare li lor privati interefli, e li ricchi averanno del pia• cere dominare giufta la lor paffione, e lì  s. terranno occupate più, e più perfòne a di*  *erfione dell 5 ozio ; a ogni modo nelle materie gravi, e di/gran momento, giulta  ' T oppinion d* Arinotele, non (la bene,  che quegli che confìgliano, altresì deliberano, potendo avvenir, che quelli di leggieri regolino li lor conlègli con fini, ed  affetti privati ; Quindi in Atene il colleglegio de 5 privati avea soltanto la consultiva, e al Senato, e al Popolo si lasciava la  deliberativa ;   D. Ma in che crede finalmente voi che con XII. fidano i veri vantaggi d’una Reppubblica, o di un Stato? Nel commercio .  Ch 5 intendete per quello ;   Ai. Una facoltà di permutare il fùperfluo  per il necefiario che non abbiamo, e trafportarlo da un luogo in un altro .   X>. Come confiderate voi quello commercio.   M. In interiore, ed elìeriore, o maritimo.   D. Quale di quelli abbiate per lo più nèceffario ?   M. V interiore, come quello che cofiituifce  il ben attuale di un R egno, - o di un stato. In che egli confilìe ?   M, Nell’agricoltura, nell 5 indulìria de’proprj terreni, e nella diverfa utilità de travagli  A Come dunque credete, che mantener fi poflà in fiore un cotal commercio ?  M. Con la protezzione, con la libertà, e  con la buona fède. Quali persone meritano la protezzione? Egli abbifogna pria che si proteggano  gl’agricoltori e li lavoratori della terra;  in apprefiò gli Artidi, e dopo gli altri,* con  raddolcire il travaglio d* ogni uno, e far  . che P induftria de* Cittadini tutt' ora s’aumenti, cd aggrefea, non lafciando a, patto alcuno impunità la pigrizia, e l’ozio,   - eh’ è la (ùrgente di tutti vizj,* imperocché  l’ immaginazione umana avendo continuo  bifogno di notritura, ogni volta che le  mancano degli oggetti ben veri, e (labili,  ella formandofene di quelli, che non fono,  che larve, e chimere, deriggerfi lafoia totalmente dal piacere, e dall’ utile momentaneo ; quindi la Monarchia la più foggia,  e meglio regolata del Mondo rincontra*  rebbè tutta la pena pofiìbile in fòftenerfi,    (è parte di quelli, eh* abbitano nella Capitale, altro non dico, marcifiero unqua  nell ? ozio ; fenza che qual cofa è mai altro  in effetto il cercar da vivere lènza travaglio, e fatiga, che un furto, o latroneccio, ‘che dir vogliamo fatto per lo continuo alla Nazione ? e confequenteraente un delitto che merita la sua pena.   D. Mà’impiegate, ch’abbia un Regnante  gli uomini neceflarj alla cultura, alla guerra, e all 5 arti, come voi dite, del redo che  volete, eh’ e’ ne faccia ?   M. Egli fi deve occupare in opere di ludo,  anzi, che lalciarlo in una vita tiepida, e  neghi ttòlà. Non farebbe colà megliore, e più commendabile mandar tutti quelli a popular  nuovi Paefi, ed a ftabilir un nuovo Dominio fùbordinato totalmente, e fòttopodo a  quello, che lor fornì di un sì fatto afilo,  efsedo a mio avvilo quello il più bel modo  del Mondo da far conquide lènza perdita  di dati, e de* Cittadini, e lènza efporfi a  molti perigli militari, e alla gelofìa de’ vicini e alli folletti di una lòverchia edenzion di dominio, o di qualche oltraggio,  od onda, che potrebbero mai eflì ritorne?   Mai nò; poiché lèmpre mai fi è elperimentato per più vantaggiolò, e di maggior 'profitto per un dato redringere per  quanto vieppiù fia polfibile li Cittadini al 1  luogo della lor propria dominazione in cui  realmente rinvenir fi devono le forze di  una Nazione, che inviarli fuora, ed in  lontani paefi ; ne di un cotal elpediente a*  Regnanti cpnvien l’ulò, (alvo chejn ultima necefiìtà e bifogno, e quando di Vero  il lor Popolo veggono eftremamente ag-grandito ; imperocché una Nazione, che lì difpopola per gir ben lungi a Itabilirli delle nuove abitazioni per ricca che ella ha,  e poflènte divien ben tolto debole, e Ipofc  fata, da per tutto, ed in illato di perdere una  con quelle 1* antiche, come dalla Storia  s’imprende.   D. Ma qual colà voi intendete per ludo ?  M. Tutto quello che può mai lèrvirci per  un maggior commodo della vita, c che  non confitte, che in drappi lini, tele, ed altre colè di tal fatta ; imperocché non è in  mio intendimento perfùavervi per lodevo-, le e commendabile l’ufo de’diamanti, delle  pietre preziolè, ed altre colè tali, che non  Valendo che per aggravar una tetta, e per  tener imbarazzate, ed impedite le dita,  non già per ifparambiarci di travaglio alcuno, o per liipplire ad altra cofa necefc  faria al noftrofoftentamento,fi doverebbero  con ogni ragione in ogni ben’regolata Reppubblica vietare, e vero però è ch s alcuni  confondendo quello diverfo genere di lufc  io con il primo, anno lenza diftinzione alcuna l’uno e l’altro riprovato, ma fenza  molto gran lènno ; imperocché non baciando per dilungar gli uomini da vizj nè  la purità delle malfìme della noltra veneranda Religione nè. il dovere, e Tobbliga. gione propria lènza le leggi ;e tutti lènza  riferva d 1 alcuno veggendofi portati dalle  \ paflloni, e dagli affetti, il faggio legisla-, tore non può, nè conviene,' eh altro fàccia,  che maneggiar cotafi paflìoni, ed affètti, che fon la caula della cattiva condotta de’  fìioi, in modo, che ridondano a utile j e  vantaggio della fòcietà, che compongono;  così per ragion d’efèmplo vedendo egli,   > che Tambizione renda l’uom militare d’af  ' fai valorofo, e prode ; la cupidigia in * duca il negoziante al travaglio, e tutti Cite tadini generalmente vi fi portino per lo   luffe e per la fperanza di un maggior/.com- modo, che altro vài egli a fare, che metter ogni ffudio, e ogni cura in trovar modo, come quelli affetti giovar mai potrebbero alla focietà di cui egli è capo ? L 5 autorità grande, e la rigidezza de 5 Lacedemoni non fu di maggior conquito la caggione, di quelle che agli Ateniefì recarono le. delizie, e i maggior commodi della  vita, nè il governo degli uni fù-per quello ' molto differente modo di vivere un punto: megli ore di quello degli altri ; o quegli ebbero degli uomini illufìri, ed eccellenti  - v «ffai più di quelli ; imperocché al novero di coloro di cui favella Plutarco eglino  non vi fi veggono, che quattro Lacedemoni^ fette Ateniefi, lènza un minimo motto  di Socrate, e di Platone peravventura lanciati in obblio ; e lo ftedf giudizio far  conviene delle leggi contrarie di Licurgo,  non effondo elleno^ miga degne di maggior  attenzione di quella, che lo fono 1* altre  lue leggi, con cui cercò egli d’ opprimere,  e tor vìa totalmente da’ Tuoi il rofibre ; imperocché come potea darfi mai a fperare, che la dia comunità, che non affettava ricompenfà alcuna eterna, confervato  avefle lo fpirito d’ ambizione di far delle  conquide, efpoda a un' infinita di fatiche,  adenti, e perigli fenza aver picciola fperanza da poter accrefoere i fùoi averi, o diminuire, e foemar in parte il fuo travaglio, dove fi mirò la gloria fenza tali vantaggi,chevalfe per dimoio della moltitudine ? fenzacche egli è certo, e fuor di dubbio che quello, che fembrò ludo a nodri  avi, non lo fia per al prefènte, e quelche  or lo è per noi, non lo farà forfè per quegli, che ci fègui ranno ; e che l' ignoranza  de* maggiori commodi lo refe a molti Popoli per nojofo, e (piacevole ; quindi le  oodre leggi fontuarie foemarono di numero, e predo che andarono in difùfo, sècondo la noftra Politica fi andò da dì in dì vieppiù perfezzìonando,anzi molte non ebbero neppur una fiata 1* elocuzione ; imperocché al dinanzi che fi foffe una fòggia  tralafciata udendone un’ altra di maggior  lufiò della prima, e facendo, che quella  di Ieggier fi obliafle, elleno non aveanoin  che Ìuflìftere ; e come fi può da chi fia di  Ieggier oflervare, non altro che il iùfiò ha  quali che dalle Città tolto 1* ubriachezza, e portatala nelle campagne. Perche volete voi, che gli agricoltori,  fiano li primi da proteggerti ?  àd. L’agricoltura, e l’induftria de’ terreni  effendo le baie fondamentale di quello  commercio, lafciar non fi può in un Reame,  lènza una dilmilùrata perdenza ; imperocché non valendo il terreno da le a produrre colà alcuna lenza una buona, e perfetta coltura, nella fcarfezza, e penuria di  quello, eh è d’ una neceflità afioluta per  la vita dell’ uomo, qual appunto è quella  . delle biade, prò veder non fi può, nè remediare ad accidente, o inconvenienza veruna, con quella medefima facilità, e aggevolezza eh* s* incontra, trattandoli dell*  altre colè ; quindi egli fi hà per una massima fòmmamente vera, ed incontrafiabile,  - che le forze d’ un Regno allor fiano superiori'. 9 e maggiori a quelle d’ un’ altro  quando maggior quantità egli abbia di  quel che è d’ una neceffità realmente afiòluta per la vita,e per lo lòftentamento de  Cittadini ; effendo colà, feoza fallo d’afv fai lungi dal vero il credere * c he i paefi  ricchi in Miniere fiano li piu graffi 9 e ab• bondevoli del Mondo, tutto dì facendoci  . la fperienza conolcere, che in quelle li richiegganoun numero aliai gradedi perlòne, che occupato, in altro farebbero al padrone di maggior vantaggio, e utile, Ma come vorrefle che s* incoraggifchino  mai quelli camperecci, o forefi applicati alla coltura»   ù Per veriità non vorrei già che lori! pro- ponellèro perciò al dinanzi quanti Confusi * e Senatori, e Dittatori Romani, quanti Re fi tratterò dall’ aratro, e dalla vanca, o lor fi mottrafle quanto quello medierò fi fù feriale a tutti e comunale  Quand' era ciba il latte  Del pargoletto Mondo, e culla il bofeoi  imperocché con la filza di quelle, e altre  sì fatte ciancie di cui compongonfi da Rettorici le lor itlampite, non fi verrebbe di  vero altro a fare, che cantar a porri ; ed il  più delle fiate lor diverrebbomo ilpiacevoli, e nojoli ; ma il miglior modo, che lì   può  in quefto da uom tenetegli nonè-amio  credere, che prometterli, e ridurli in speranza d’una buona raccolta 9 e foccorregli,  ed aiutarli quando abbi fogna. Venendo al fecondo mezzo, eh 'abbiamo per  i (labi 1 ir quefto commercio interiore, ch’è la  libertà, (piegatemi quefta in che confitta.   M. Quefta, che è aftai più neceftària della  medefima protezione, potendo la fola forza del commercio efler in luogo di quella,  non confitte che in una certa facoltà data a’  Cittadini da poter cambiare e permutar  il foperfluo per quel che lor abbi fogna ? e trafportarlo da un luogo in un altro, onde  ella per verità accoppiar fi deve sempre  mai congiungere con la facilità, ed agevolezza degli tralporti, e de 5 viaggi, dipendenti del tutto dalle vie, dalli canali, e dalle  riviere; comecché con quefto vocabolo di  libertà, che malamente prefo hà mille, e  mille fconcerEi recato nella Religione, e  • nello Stato, non intendo, che operar fi  debba a capriccio e contro il comun  vantaggio della focietà,• ed imperniò reftringer fi devefoltanto a quel che riguarda il trafporto di quello, che avanza non  men al padrone, che al luogo, da cui quefto vien fatto.   D» Senza dir nnl la della fedeltà, richieda in quefto commercio, avendone a fiufficienza favellato al dinanzi, palliate al commercio efteriore, o maritimo .   M. Inquerto oltre quelle colè, che fi richiedono per lo ftabilimento del commerciointeriore ad avvilo d’unlnglefè, fèguito dal Signor Mellon, da cui imprefi quanto or vi dico intorno quello particolare  egli è neceflàrio; I. L’aumento, o aggrandimento del novero degli abitanti y  II. La moltiplicazione de’ fondi del Commercio. III. Il render queflo commercio  agevole, e neceflario, IV. L’ ingegnarli  che fia dell’ interefTè delle Nazioni negoziar con noi ; Nel terzo egli reflringe non  meno il tra (porto de’ debiti, e de’ dritti  de’ Mercadanti, che le fpefè necefiàrie  ' * perii Doganieri, e i buoni regolamenti  intorno a’ cambj, e Tafficuranze maridme,che porte in ufo dagli Olandefi, 1 * an no oggi gl’ Inglesì diftefe fin alle per/òne  flefie, che vanno con le merci; e nel quarto e’ comprende tutti i tratatti di commercio con le Nazioni. ZhPofto per vero,che l’aumento degli abitanti fia cotanto neceflario e utile quanto voi  dite per un Stato, e per una Reppubblica,  colà credete che far fi debba per querto?   JM, I. Egli è necertàrio, che fi proteggano i  maritaggi con privi leggi, e foflìdj con ceffi a genitori di una numerofa prole, e con là  diligenza ufàta irr ben educare, ed allevar  gli orfanelli, ed i putti efjxjfii alla vétura IL  Convien (palleggiar i poveri iti guifà, che  non fi confumino nell’ozio, e nelle miferie,  e fìan perciò coftretti d’ abbandonar il lor  \ Paefe . III. Egli fi deve con tutta aggevolezza ammetter i Ara ni eri IV. Abbi fogna  che s’ abbia ogni cura de’Camporecci, e  di quelli che firn muojono nelle Campagne per le foverchie mitene . V. Egli ò  medieri proccurar di aggrandire quanto  fia poffibile f indufìria, e perfezzionar farti, e i meftieri, poiché con ciò venendofi a  tenervi minor quantità di perfòne occupa*  . te, il di più fi guadagna . VL fi doverebbe  altresì trattare di non tenervi in quefio più  di quelli che vi fi richiegono ; comecché  non fiuebbe (bordi propofit© con una legge torre la facoltà a oiafcuno di difporre  ideila foa libertà al dinanzi, che non abbia  quella da poter difporre de’ (boi beni.   V. In molte oceafioni dunque fia per fàper  quelli che per travagliar fian buoni, fia  ; per lo fiabiiimento., o leva di nuove impone, fia per conoteere li differenti progreffi della moltiplicazione degli uomini, fia  per altra co fa sì fatta fon neceflàrie in un  Regno le numerazioni degli abitanti.   *M. Certifiìmo anzi alcuni ti fon ingegnati  fino di calcolare quanto un agricoltore, o  un artifla fi£ d’ utile allo flato,- vaglia il  w vero la colà ha molto del malagevole, e  . del difficile,* a ogni modo non vi difgraderà un modo in ciò ufàto dal Cavalier Peti   ; t.ti t, cheto ci propone Mellon,• comex che fèftfpr&'fia mólto più fpecolativo, che  o pratico ^imperocché fòppoflo, ch’egli ha   - per vero ; f. Che nella Scozia, è nell* Ini» gh interra .non v’ abbiano che fèi milioni  c à? ahbitariti . If. Ch’ogni uno di quefti   fpenda 7; lfre fterline, che nel corfo d’un  fi anno 1 vengono a far 4*. milioni di Ipe/è ; e  xlfl, Che l’entrate de’territori non fia altro che otto tflilioni, e quelle delle Carri multiplicando li  milioni d-* utile per li 20. in cui fi ri»   • ftringe tùtta la vita dell’ uomo ; e vedendo:che con ciòd venga a far la fommadi  480. milioni, la quale divifà per li lèi milioni d’abitanti, per quotienfte fi rinvetica che abbia 80. lire (ieri ine, egli vuole  -- eflèr appunto quella la valuta di ciafeun di quegli 2 }  $). Ma risguardo al trafporto delle merci  . maritime, porto che quelle fiano 1* avanzo  -di quel che abbi fogna iti un stato, volete  che permetter fì debba indiftintamente,  r e lènza dirtinzione?   M. Per altro giufta la libertà generale del Commercio permetter fidoverebbe qualunche reciproco tralporto ; imperocché in una cotal guilà quelche in una merce li  perderebbe da una Nazione, fi guadagnarcele nell’altra,* ma uòpo làrebbe ch’in ciò   f concorrere, e girte dj concerto tutta l’Euro,  pa ; colà che per li grandi, e lèmmi pregiudizi di cui ella abbonda è preflo che imponìbile, non che malagevole; quindi li vede, che molte nazioni per particolari interelfì v’abbian una infinità di termini,  e di rellrizioni intramelfe. Ma non làrebbe egli un un maggior vantaggio j e utile per noi, che gl’altri veniffero da noi anzi, che noi ne gifiìmo ad ef - - ? . Ditèoveritimi il voftro fèntimento intorXlir. no la guerra ?* 2kf. Così noi domandiamo quello Stato di  una Reppubblica mediante cui, ella obbliga un’ altra a lòmminilìrarle quanto  'brama .  R* ella per dritto Naturale permeila ? Senza fai lo -imperocché le Reppubbliche,  conforme noi dicemmo efiendo alla guilà  di tante perlòne nello fiato della NATURA;  v e dovendo ogni uomo a tutto poter icànzàr che che di male gli può mai per colpa  altrui intraveni re, con adoperare in ciò tutti mezzi poffibih del Mondo, egli è di  ragióne, che l’una badi al rifàreimento  del danno, ricevuto dall* altra, e tratti  con mezzi conyenieriti r ed anche con la  • forza, dove tutto manca, ripararvi. Che cosà è pace? Egli è quello flato di uno Reppubblica i  ' eh’ è ben ficuro, e libero dalla violenza, e dalla forza de stranieri. A noftro avvilo dunque nello flato Naturale, in cui fi conliderano le Reppubbliche, eflendo peravventura permeilo d’ufar  la forza, o violenza contro la forza, o  violenza, fòltanto dove non vi fiano degli altri rimedj, la guerra reputar non  fi deve, che come uno eflremo remedio,  a cui non bifogna venir giammai, fé non in   *;• calò dilperato, e dopo aver tentato tutti gli altri i II perchè ebbe tutta la ragione  Livio di aderire che : jujìum bellum, qui- *  bui necejjarium, # pia arma, quibui nulla, nijiin armi 1 relwquitur fpei .   M. Per verità da Iperienza maeftra di tutte  le colè, da tutto di adimprendere, comecchè lènza alcun profitto de’ Regnanti, che  fia lèmpre vieppiù il danno * ed il dilèapi*  toy che recanò le guerre, che l’utile. Quindi quelli metter dovendo, tutto lo   - Audio, e la cura in promuovere in quahmque modo la falvezza, e il bene della Reppubblica, egli conviene, che in un  fido, calò fi portino a guerreggiare; cioè,  quando lùpera di Iunghifllmo spazio, e   . lènza comparagione eccede la speranza del guadagno il timor del danno, per valermi del detto d’OTTAVIANO e dopo adoperati tutti gli altri mezzi pofiibili ; come  a dire dopo, che perii Legati fi è di già   - ammonita la parte contraria ± e nemica a  lafciar 1* offefà, ed a rifar il danno, parte  con la dolcezza, e parte con l’afprezza; ovvero dopo averle recato qualche danno  uguale al di già (offerto, ed ufàto delle  fcorrerie, o finalmente dopo proccurato  terminar le controverfie mediante gl’arbitri,' o altra colà di tal fatto ; il perchè  da quefto fi comprende quelche ad uom  mai vien permeffo di far nella guerra, rioè  tutto quello lènza cui il nemico coftringer  non fi varrebbe, e obbligare in modo alcuno a quelche fi vuole, nè polliamo unque per l’avvenire viver ficuri, ch’egli  le ne rattenga ; poicchè nello fiato Naturale, come a voi è ben noto fèrvir ci polliamo di tutti li mezzi, che fi poflono mai  avere per riparar al male, che è per avvenirci, e frenar colui, che n’è l’autore, fìcchè non damo certi, che non ci danneggi in avvenire ; e perchè le guerre, q  fon offensive, o difenfive; diciam noi guerre offertfive, quelle che fi fanno per riparar il danno, che fi può mai avere ; e difensive, al rincontro nomeniam quelle, che mai fi fanno per eflèr rifatti di quel  danno, che fi è di già avuto, o per Schifar quello, che altri tratta d* apportarci;  non meno nell* une, che nell’ altre dove fi vengono a terminare, fi deve totalmente alla parte offèlà rifarete tutto il  danno, eh’ ella ha /offerto, e darle malievaria, e ficurtà di non danneggiarla mai  più inappreffò, con fòmminiftrarle parimente tutte le fpelè, che nella guerra ella  ha fatto, pur che egli fia colà ageyole a noi  e non imponìbile a farlo; del refto, eh*  ogni Regnante nello fiato della Natura  fia tenuto dar fòccorfò, ed ajuto all’ altro  invaiò ingiuftamente, ed affali to, e che  non fi rinviene in fiato di poter difenderli,  egli non lèmbrerà affatto Arano a chi che è  ben perfuafo dell’ obbligagione, e del dover degl’uomini di lòccorrerfi a vicenda.  Quanti e quali fono li modi propri per acquistar un Impero?  Due: l’elezzione, e la successìone, giuda dalli medesimi nostri principi si deduce ;  non potendofi da niuno aver in altro modo  il governo nelle mani, le non mediante il  confenlò ffeffo di coloro, che governa, e  ciò che quelli anno una volta flabilito; comecché per verità fi poffà altresì ottenere con l’armi, e per conquida ma di  quello ultimo modo non abbiamo colà di   ririmarco da dinotare per aJ prefente; fé non  che cotali Regni dipendano del tutto dal  capriccio, e dalla volontà di colui, che li conquida. Che intendete per elezzione?   M \ Un certo particolare, e lòlendo atto,  mediante il quale, o tutto il popolo, o  foltanto una parte, cui quello concede il  dritto, e la podeftà di eleggere, conferì  fce il governo di una Reppubblica a chi  più gli piace. Quando l’mpero è successivo? Ogni volta che li conferì perawentura  a una famiglia, con patto e condizione,  che si elegga sèmpre mai qualch’unodi  quella per lo fuo governo. Il perchè egli  può in quello cafo avvenire, che lì fii di già  {labbilito, e determinato altresì chi fi debba di quella all’altro anteporre ; cioè per  esemplo, cheli primogeniti fiano preferiti fèmpre mai V secondi, e quelli alle femine, o che in altro modo venghi la succeflìon determinata; ovvero eh’ e concedo  fi fu con facoltà di difporne a lùa voglia in  ' teflamer.to, e fuora ; comecché vi fìa risguardo a quello nella Germania altresì  r ufo de’ patti fòccefiorj tra alcune famiglie de’principi, e Signori; come adif- ilefò oflèrvar polliate da voi, dove vi  piaccia negli Scrittori del gius pubblico y, (x) (ebbene per quelche,(èmbra non (è ne  rinvenca etemplo dinanzi all* Imperador  Ridolfo. Egli è il vero, che non meno  quelli, che entrano nel Regno per fuccef(ìone, che quegli che 1* ottengono mediante l’elezzione cofiumano di ferii coronare ; ma ciò non effondo in fatti, che  una congerie di più atti (blenni- per v cui  non già fi accrefce, in qualche modo, o  fi aumenta la. podeftà de 9 Regnanti, ma fi  viene foltanto a rifiabilire, e confermar quella, che di già anno, ed a render la   lor perfona nota a tutti, e palefo come quello, che non è fondato, che in  un’usanza, non merita la noftra attenzione. Avendo i Regnanti una (bmrna  obbligagione di riempiere gli animi de  loro fodditi delle vere mafiime di Religione ; il governo del loro Stato rifguardo a queflo particolare credete voi che in  effetto appartenga ad efii? L’ obbligagione de’ Regnanti rifpettoa  ciò non è altro, che trattar d 9 introdurre e proteggere a tutto potere nel lor stato  -n la vera religione, con dar a coloro, cui   lpetta largo campo da poterla efercitarej  e delle sue fonte ma/iime riempierne gli  animi de’ lor fodditi ; appunto come per  far che quelli foddisfino al dover, che la  natura lo rimpone di confervar la lor folute,  e trattar, dove avviene, che peravventura  incorrono in qualche malore di riffabilirfi,  non fon miga tenuti farla da’medicanti, ma  far foltanto che nel lor Regno vi fieno degli ben efperti, e pratici in quello meftiere, o quandoabbifogniano non manchino;  imperocché lo Ipii ito della Religione, e la  politica temporale d’un stato eiìendo infra  se cofe molto diverte, e differenti ; trattando il primo di ftabilire, e mantener tra  gli uomini un ordine perfetto, e una pace solida e ben ferma, ch’e’fia effètto  d’ una unione de’cuori e di un vero amore dell’unico e soverano bene eh’ e’dio, mediante un gran difprezzo, e diftaccamento dall’amore de’ beni temporali, di  cui non nè permette, che un ufo d’ affai  fòbrio, e parco, e il fecondo non ri /guardando altro, che l’efleriore degl’uomini  a fin di mantener la pace e la tranquillità pubblica ; ed imperò fòddisfar non potendofi da una fleflà pedona, inùnffeffò  tempo agli ebbi jghi, o doveri, o uffizi d’un principe spirituale e temporale, egli eoo viene di neceflìtà,che si dividino a due differenti persone, e fi cofiituifohìno, e formino due diverse potenze, comecché quelle amenrìue tenute effondo totalmente di congiungere, ed unir  gl’uomini nel culto del divino, e nell’osservanza di tutti gli obblighi e doveri, che  insegna lor la religione, e riguardando perciò quaficchè un medefinio fine, non  poflòn effor tra se giammai di vifo, e l’una contraria in modo alcuno all’altra, salvo che per la disunione e discordia di coloro che l’eforcitano e bramano dar all’una un’eftenfione su dell’altra che in  guisà alcuna non può competerle. Quindi conforme quegli che sono proposti al  Ministiero spirituale, sono in obbligo d’ispirar a tutti gl’uomini ed infognar loro il  dover dell’ubbedienza alle potenze temporali, e l’osservanza delle leggi e degl’ordini de lor regnanti; così altresì  coloro, cui Dio ha fidato e commesso il  governo temporale d’un fiato, fon tenuti  d’ ordinar a tutti lor fodditi l’ ubbedienza alle potenze spirituali e coftringergli  agli obblighi, e doveri, che porta foco  una tal ubbedienza in tutto quelch’e può  mai dipendere dall’ufo della propria potenza j ciò che comprende il dritto di proteggere, difendere, e far mettere elocuzione alle leggi della chiefa; punir e  castigar chi che opera in contrario, e cerca  iturbar l’ordine efieriore, con far altresì  delle leggi per quello effetto, quando  mai v’abbifògnano. Vivon tutti ben persùasi e certi di quella verità? Venendoci ella altresì nel vangelo fpre£  famer.te infegnata  non fi legge giamai  da’ cattolici messa in questione. A ogni  modo i filosofi del dritto pubblico infetti il più ed ammorbati di Refia, e ripieni di falle mafiìme, oppofle, e contrarie  non meno alla rtoftra santa religione, che  alla buona ragione  trattano comunalmente a tutto potere di pervaderci il contrario. Ma su quali pruove, e ragioni fondano il lor discorso?  Secondo dicono con farli altrimente egli fi viene a sostener una divisione ed  unfcifhla continuo nello stato e nel regno, essendo molto malagevole e difficile che due potenze diverse operino concordemente in tutto, e l’una non s’ingelofifca punto dell’altra e venga a diffidenza. Nello fiato NATURALE tutto ciò  effondo fiato proprio de’ padri di famiglia,  instituite che furono le sòcietà civili, passa  a’ capi di quelle, cioè a 9 regnanti. Ili,   rr  Essendo il principal dover di quelli proccurar in tutto di mantenere la pubblica  quiete della società e niuna cosà valendo cotanto qùefta a disminuire quanto le controversie, eh avvengono intorno la religione, egli si deve per questo tutto ciò che  rilguarda questo punt, confìderar altresì  come proprio di elfi loro. Ma di quelli  e d’altri sì fatti folleggiamenti, non si deve da chi che pensa far conto alcuno. Imperocché per rispondervi con confonanza. Dove a ognuna di quelle potenza gli lì  dà quell’eftenzione che gli conviene PER NATURA, e viene in quel modo che noi  detto abbiamo esèrcitata, non v’ha niun  feifma da temerli in un stato o regno. Sebben egli fia vero, che ne’ primi  tempi 1’elercizj della religione, non si faceano che da capi di famiglia, perché quefio fàcevasi per una pura necelfità, non efièndovi allor altro da cui efèrcitar si potefiero, non ne possiam noi, che siamo in un altro stato inferirne niuna cosà di buono,  in guisa che quantunque e’ Aggiungano  di vantaggio che da quelli pafiàti fodero nell’ instituzione delle società civili a’ regnanti, ciò come colà che non è da altro  sostenuta che da conghietture non deve far in noi niuna impresone. Imperocché  dalla lezzione della storia egli s’imprende al contrario che tutte le nazioni del mondo, e tutti i popoli della terra salvo  alcuni pochi che non fi vaifero della religione, che per frenar la plebe e per teziar la lor ambizione, ebbero due potenze diverte, l’una per lo buon regolamento di quelle cose, che a questa apparteneano, e l’altra per lo buon governo di quelle che riguardavano teltanto l’ellerior  della lor tecietà. E III. Finalmente avvegnaché i diflui bi, e le rivolte molte in  alcun regno tetto pretefio di religione  siano fiate le più perniciofe del Mondo ; a  ogni modo, come la fipria lo c’integna,  la caute, e il motivo principale di quelle,  non fu, che l’ambizione, e le pafiìoni de’cittadini; Chi averebbe mai teguito nella Germania, per parlar de’tempi a noi  più profiìmi, l’anfanie di LUTERO e la sua  malvaggia ‘dottrina’, se pur ella è meritevole di un cotal nome, te buona parte della plebaglia dal guadagno e dal buttino ed alcuni principi dall’odio eh’ e portavno alla casa d’Austria, non vi fofier tratti,  ovvero dalla libertà di coteienza e dalla  lascivia rifpinti? Ma egli mi tembra aver  di già trateorte te non tutto, almanco il più  importante di quel, che ci propofòmo da  trattare, il perchè non essendo più ora da  favellarne, riterbaremo il tettante ad un’altra più agiata opportunità. EMINENTISSIMO SIGNORE.  f   G T ?^^TV M TP a ? re in ^ tede.   nfìima Citta, fupplicando efpone a Voftra Eminenza, come dentiera lampare un libro eh’ ha n* r titolo: De principj J e l Dritto ^aiutale di Giano.’uleppe Origlia, P. j e perciò fupplica cornar  terne la nvdione, e l’averà a grazia, ut Deus &c  Reverendiis Dominiti D.Januarius Verelius e ri'  C.thfaUs Vicari, C.ra,T“lcfrt  refirT{ COea,t EX ‘,m ‘" a ‘ ar Siedali, rcvidear, £   7 ... Dat x l ; m, Napoli J DepZ. NlCO aUS 7 ° rntts E W C - ^chadiopof: Canon. EMINENTISSIME PRINCEPS.  0 P xr ’ qU ? d inCcrlb ^ur, Trinchi del Dritta   di quod^fideì^ ’ at f ente ..! e §i > nihijque in eo expenq od ndei, vel moribus adverletur Ano a  typis volgari polTe cenfeo . a£IVerIetUr • de re   £ J^tum Napoli fe c£iZ" m &££.   Napoli Deput. 1 TornttS fy’fc- drchadiopol. Canon. S.R.M. Sa Ra Ma Giovanni di Simone Stampatore supplicando umilmente efpone a V. M», come defidera (lampare un libro intitolato: De * Principi ilei Dritto Naturate, Trattenimenti JV. di Giangiufeppe Origlia,  Panlino; Ricorre per tanto da V.M. e la (applica degnarli concedergliene la licenza, e Pavera a grazia,  ut Deus etc.  Vtriufque Jurìs DoBnr Jofephus Cyrillo in hac Regia Sttùlorum Vniverfìta/e rrofejjor revide at 9 é*.  jn fcriptis referat. Napoli C. GALIANUS ARCHIEP. THESSAL. ILLUSTRISSIMO SIGNORE. NeI saggio di D Giangiufeppe Origlia De’prìncipi del Dritto NATURALE; non è cosa, che offenda i  diritti del Rs,o’l buono e cìvil coftume: anzi riluce  in esso la pietà non meno che l’ingegno del dotto autore; onde stimo che si possa pubblicar colle  stampe se altrimenti non istima V. S. 111 e Rever  e le bacio col debito ofl’equio le mani . Di Casali Degnifis. ed Obbhgatifs. Servidore Giuseppe Pasquale Cirillo, Napoli. Viso regali refcripto fub die ?o. proximi elapfi  menfì ac approbatione fatta ordine  S.R^M.de commijjìone Reverendi Re gii Cappellani Afa joris a magnìfico V.J. D. D.JoJepho Pafcbali Cyrillo.   Pepali! Camera Santta Clara providet, decerni t,  ntque mandat, qund imprimatur cum infertafor ma prafentis fupplicis libelli, ópou,   V. not. not. N.   e per via e’ per, ETXEIPIATÒR, * 4 p. ETXEIPIAION   Non che imaginano non è che,   ìfcorger, pag. 161. ricorrer,   e. netto, pag. 162. inetto, li pefi li pefci e doloro ibid. elfo loro azzioni azioni metter liin metterli in;   da Giureconfulti de dal del cónvengha convenga,   didelfo diftefo,   delle morali, pao. della buona morale,  fia fia,  obbligo obbligo,  dimenticàffero dimenticaflsro fi  fi,   quel che noi diciamo ma fol quando nói   tex: ur ° a, ™ n °   Deo Dio obìgat, ilici, oblìgAt, quid erìt de exit de,   Confifterla confifter la prima, t   ed un altro ad un piantai giammai. fi (labili fi flabill .   di altri da imparaccio Imbarazzo foprabondanti foprabbondanti, oltre modo altro modo flato d’ occafione è flato, paragonandole quelle  a quelle venga  venga in una in una focietà in una focietà Lattanzio che fi Lattanzio fi ammonifcha, ammonifea in nulla ad offender,nulla offendere Qualiier mulìer mulier liiber mulier liberi   dos dicit di ci tur,   leggi contrarie fontuarie per veruta verità. Tempre mai congiungere e congiungere „  avende avendo, dilcoprj difeopri Non abbiam notato qui, che gli errori li pit\ essenziall e Cll m aooìrkr rim *% a 1. come  doppi   punti etc. non polli dove lì doveano, lì fpera che  ilmrttfe leggitore non averi difficultà di plrdo- [AVVISO  DELLO STAMPATORE al lettore.  l’autore oltre molte altre varie, e diverse opere, eh’ ha intendimento di dar al  pubblico di vario, e diverte genere di letteratura, e tra l’ altre una, eh’ ha per titolo: Jurii Canonici ac civilis praleBiones criticai  in duóbtti voluminibus congejìa; incorni ncerà ora l’edizione d’un altra intitolata: Varti, e mejlieri deferitti, con ogni efattezM  tofpbile, e ridotti a lor veri e proprj  principi. Opera utilissìma  per coloro che bramano coltivare la teienza dell’ arti ed averne di tutte una qualche  cognizione. il collo diciateun Tomo, che conterrà de’ Rami, per l’afiociati farà di carlini  7 e per gl’ altri di. Giovanni Giuseppe Origilia Paolino. A. Paolino. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Paolino” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Paolino.

 

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