Luigi
Speranza -- Grice e Lacida: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto,
Basilicata. A Pythagorean, according to the “Vita di Pitagora” by Giamblico di
Calcide.
Luigi
Speranza -- Grice e Lacrate: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
basilicatese -- filosofia italiana – Lugi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto,
Basilicata. A Pythagorean, according to the “Vita di Pitagora” by Giamblico di
Calcide.
Luigi
Speranza -- Grice e Lacrito: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto,
Basilicata. A Pythagorean, according to the “Vita di Pitagora” by Giamblico di
Calcide.
Luigi
Speranza -- Grice e Lafeonte: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
basilicatese – scuola di Metaponto -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano.
Metaponto, Basilicata. A Pythagorean, according to Giamblico di Calcide (“Vita
di Pitagora”).
Luigi Speranza -- Grice e Lagalla: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazoinale della teoria geocentrica – la
terra al centro del universo – filosofia campanese -- filosofia italiana -- Luigi
Speranza (Padula). Filosofo italiano. Padula, Salerno, Campania. Grice:
“I love Lagalla: the fact that he was an Aristotelian when everybody in
Florence was a Platonist!” Figlio
di un alto funzionario della burocrazia vice-reale. Studia filosofia. Perdette
i genitori ed e affidato alla tutela di uno zio paterno, che lo avvia agli
studi di filosofia. Volle trasferirsi a Napoli per proseguire nella sua
formazione. Si iscrive ai corsi di filosofia dello Studio ed ebbe come maestri
Stillabota, Vivoli e Longo. Affidato dal Collegio degli archiatri a Provenzale
e Caro per un periodo di tirocinio, sembra vi si fosse condotto con una tale
competenza da meritare i gradi accademici nulla pecuniarum solutione. Grazie a
Longo, divenne l'ufficiale sanitario di una squadra navale pontificia di stanza
a Napoli, con la quale si dirigge verso le coste laziali, per giungere poi a
Roma. A Roma consegue una laurea, in
seguito alla quale entra al servizio di Santori, per il cui interessamento ottenne
da Clemente VIII l'incarico di lettore di filosofia presso la Sapienza. Cura
per Facciottola stampa di un commento ad Aristotele, “De immortalitate animae
ex sententia Aristotelis VII”, manifestazione
di un interesse verso la questione dell'anima, intorno alla quale L. si
interrogò per buona parte della sua vita intellettuale e che contribuì ad
attirargli sospetti di eterodossia. Altre saggi: “La circuncisione di Cristo”. Al
problema dell'anima L. dedica corsi della lettura ordinaria di filosofia, che
tenne alla Sapienza. Queste lezioni sono raccolte in “De anima commentarii”. Allo stesso argomento
è dedicato un saggio dato alle stampe da L., il “De immortalitate animorum ex
Aristotelis sententia libri III” (Roma). L., pur riaffermando le posizioni
della tradizione d’AQUINO sulla questione dell'anima umana, secondo le quali
l'anima intellettiva è “forma informans” del corpo ed è molteplice, accetta
quelle di Alessandro di Afrodisia a proposito dell'animazione dei cieli,
ritenendo che non abbiano l'intelligenza come forma assistente che li muove
eternamente, ma piuttosto come forma informante. Morto Santori, s’avvicina ad Aldobrandini, entrando al suo
servizio. Conosce Cesi, al quale e legato da una cordiale amicizia. Se questa
non da luogo a un'ascrizione all'Accademia dei Lincei, malgrado una precisa
richiesta da parte di L., e solo a causa della sua marcata professione
aristotelica Cesi lo presenta comunque a GALILEI quando quest'ultimo si reca a
Roma per sottoporre il suo telescopio e le scoperte con esso realizzate al
giudizio degli autorevoli astronomi del collegio romano, nonché di influenti
membri della Curia pontificia e dello stesso Paolo V. Ne derivarono alcuni
incontri, durante i quali L., incuriosito dall'occhialino galileiano, lo
sperimenta ed e intrattenuto da Galilei con l'esibizione delle pietre lucifere
di Bologna. Da ciò che vide, trasse spunto per due saggi, pubblicati in De
phoenomenis in orbe Lunae novi telescopii usu a d. GALILEI nunc iterum
suscitatis physica disputatio nec non de luce et lumine altera disputatio (Venezia). Atteso con impazienza da Galilei, che e costantemente
informato da Cesi dei progressi nella composizione, il saggio delude l'ambiente
linceo. Nel primo dei due saggi, pur
difendendo la verità ottica di ciò che mostra il telescopio, cerca di spiegare
l'irregolare -- la scabrosità della superficie lunare, detta perfetta da
Aristotele -- come prodotto del regolare, attraverso una sorta di estensione di
un principio di regolarità -- invariabilità dei cieli e dei corpi e fenomeni
inclusi in essi -- cui risponde l'intera fisica celeste aristotelica. Le
asperità lunari dovevano dunque consistere in parti più dense d’etere, più
opache alla luce, e in parti meno dense, più chiare. Nel secondo saggio L.
racconta una discussione sulla natura della luce avuta con Galilei, Cesi, Misiani
e Clementi: dopo aver ribadito che la luce non è una sostanza, ma un accidente
o una qualità reale, tratta delle pietre lucifere e, contro l'interpretazione
di Galilei, osserva che la luminescenza delle pietre non è una proprietà del
minerale non trattato, ma una conseguenza del processo di calcificazione, che
rende la pietra porosa e in grado di assorbire una certa quantità di fuoco e di
luce, poi lentamente rilasciata. Con ciò esclude che possa essere il prodotto
della riflessione della luce solare sulla terra da parte della luna. A proposito del primo dei due saggi, Galilei
medita di fornire una risposta pubblica, sollecitata dallo stesso L., di cui le
note di lettura al volume in questione, sembrano essere il lavoro preparatorio.
Tale risposta non arriva, ma i rapporti tra i due divennero più stretti, forse
per effetto di un lento avvicinamento delle rispettive posizioni scientifiche.
In occasione dell'osservazione di una cometa, scrive il Tractatus “de metheoro
quod die nona novembris anni presentisin urbe apparuit sopra collem Pincium” e
poiché quest'opera pare, in alcuni punti, accogliere le posizioni di Galilei, e
attaccato di scarso aristotelismo. Si convence così a chiedere a Galilei e a
Cesi il sostegno per una lettura a Psa. Pur non mancando l'occasione (la morte
di Papazzoni aveva reso vacante un posto), non se ne fa niente, ma anche in
questo caso i rapporti tra i tre uomini rimasero saldi. Aumenta intanto la sua
insofferenza verso gl’ambienti romani che lo guardavano con crescente sospetto.
La sua “De coelo animato disputatio” e in Germania, per l'interessamento d’Allacci.
Non rinuncia a coltivare la speranza di ottenere un adeguato incarico al di
fuori della capitale pontificia, tanto da valutare con attenzione la proposta di
trasferirsi alla corte di Sigismondo III. Le compromesse condizioni di salute
(soffriva di una malattia urinaria, forse una ipertrofia prostatica con
complicanze) e il timore che l'inclemente clima polacco potesse peggiorarle lo
portarono a rifiutare. Continua a praticare
la filosofia, e segue il suo protettore Aldobrandini in diversi viaggi in vari
luoghi d'Italia. Gli è stato dedicato il cratere L. sulla Luna. Altre saggi: “De phaenomenis in orbe lunae novi telescopii
usu nunc iterum suscitatis” (Venezia); “De metheoro quod die nona novembris
anni presentisin urbe apparuit sopra collem Pincium”; “De luce et lumine altera
disputatio”; “De immortalitate animorum ex Aristotelis Sententia”(Roma); Biblioteca
apost. Vaticana, Barb. lat.; cfr. Kristeller; cfr. Edizione naz. delle opera, Firenze,
Biblioteca, Galil., Favaro, nell'ed. naz. delle opere di Galilei, X indica una
stampa apparentemente irreperibile, Roma; ma Heidelbergae. Dizionario biografico
degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Giano Nicio Eritreo
[Gian Vittorio Rossi], Pinacotheca imaginum illustrium doctrinae vel ingenii
laude virorum, I, Coloniae Agrippina, Leone Allacci, Vita, Parigi, T. Alfani,
Istoria degli anni santi” (Napoli); “Dizionario istorico” (Napoli); F. Colangelo, Storia dei filosofi e dei
matematici napolitani, Napoli Stefano Gradi, Leonis Allatii vita, in Novae
patrum bibliothecae, A. Mai, Romae, E. Wohlwill, V. Spampanato, “Bruno” (Messina);
G. Crescenzo, Dizionario storico-biografico degli illustri e benemeriti salernitani,
Salerno); “I maestri della Sapienza di Roma, E. Conte, Roma, ad ind.; M. Bucciantini,
Contro Galileo, Firenze, Italo Gallo, Figure e momenti della cultura
salernitana dall'umanesimo ad oggi, Salerno, Paul Oskar Kristeller, Iter Italicum, Lettere
del Lagalla, o di altri con notizie su di lui, si trovano nell'Edizione
nazionale delle opere diGalilei, a cura di A. Favaro, Firenze, ad indices, è
pubblicato il “De phoenomenis in orbe Lunae” con postille di Galilei); G.
Gabrieli, Carteggio linceo, Roma. CoMLOL, Grice: “The more I read secondary bibliography
about this one qualifying as ‘napoletano’ – la ‘filosofia napoletana’ ‘il
filosofo napoletano’ – the less I’m inclined to consider him Italian!” -- Iulius
Caesar Lagalla. Giulio Cesare Lagalla. “Un aristotelico
che dialogava con Galilei”. Lagalla. Keywords: implicatura, the earth is flat;
la terra e al centro dell’universo, la pietra di Bologna, la kryptonite, la
luna, l’immortalita dell’anima, animo, spirare, peripatetici, licei, sublunary,
lunary. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lagalla” – The Swimming-Pool Library. Lagalla.
Luigi Speranz -- Grice
e Lamisco: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone – Roma – filosofia
pugliese – scuola di Taranto – filosofia tarantina – scuola tarantina -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A Pythagorean and friend of
Archita di Taranto. When Plato runs
into trouble in Siracusa, Archita sent L. to rescue him – which takes him ‘two
weeks and a half.’
Luigi Speranza -- Grice e Lamanna: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale del risorgimento fiorentino filosofia
basilicatese – la scuola di Matera -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo italiano. Matera, Basilicata. Grice: “I like
Lamanna – a very systematic philosopher especially interested in the
longitudinal history of philosophy – he wrote on economics during controversial
times, too!” Linceo. Fa i primi studi in seminario e
poi nel Liceo classico della sua città. Si trasfere a Firenze, laureandosi con
Sarlo. Insegna a Messina e Firenze. Pubblica un commento alla dottrina. Autore
di un fortunato manuale di storia della filosofia. Membro dell'Accademia
nazionale dei Lincei. Diresse la "Collana di Filosofia" delle Edizioni
Morano di Napoli. Stabilito, per L., che la religiosità e un'esigenza naturale
dello spirito umano, egli rileva le contraddizioni percepite dalla coscienza
fra l'”essere” (“is”) e il dover essere (“ought”) -- fra l'esigenza di una
realtà concepita come razionalità e ordine, e la percezione di una realtà che
appare irrazionale e disordinata, così come fra la concezione dell'assolutezza
dello spirito e la concreta limitatezza della realtà umana. Da queste
contraddizioni deduce la necessità dell'esistenza di Dio. Analoga antinomia gli
sembra esistere tra morale e politica che a suo avviso può essere risolta
trasportando nell'attività pratica la riconosciuta razionalità dell'ordine
trascendente e divino, che è di per sé bene assoluto. In questo modo l'operare
umano si fa etico ossia, secondo L., realmente politico, realizzandosi
concretamente nell'ordinamento giuridico e, così come nell'operare razionale si
concreta la vita morale, da questa si raggiunge l'armonia in cui consiste la
bellezza. Altri saggi: “Lo spirito – l’ispirante” (Firenze), Kant, Milano, “La
polizia di Platone e gl’uomini”, Milano, “Filosofi italici d’eta antica” (Firenze);
La filosofia, Firenze); “Il bene per il bene” (Firenze); “Il regno di fini” (Firenze);
Scritti storici e pensieri sulla storia, Padova; Piovani (Torino); Piovani, Tra
etica e storia, Napoli); Martano, L'esperienza speculative, in «Filosofia», Calò,
Il pensiero, Napoli, Calò, Studi e testimonianze, Matera, Dizionario biografico
degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani. Grice: “Lamanna was concerned
about the idea of the state, which is not an easy thing. More specifically, the
concept of the ITALIAN state. In his history of philosophy for ‘i licei
classici’, he rewrote his Manuale di filosofia into a ‘Sommario’. – The history
goes smoothly up to Kant. The third volume is about MUSSOLINI. He is the only
philosopher he cares to capitalize. He also capitalizes fascism into FASCISMO,
which is odd seeing that his main source is Mussolini’s own entry for
‘fascismo’ in the Treccani which does not give it such a status. The third
volume is ITALO-CENTRIC, from VICO onwards, FARLINGIERI, and notably GENTILE to
end with MUSSOLINI. The idea is presented by L. as a ‘riconstruzione dello
stato’ – we are talking of the ‘stato moderno’ – il stato liberale borghese is
in ruins – and although he plays with the ‘socialist state’ he does not
consider it within the realm of the proper history of philosophy when he talks
of French illuminism. So his concern is wht the idea of the state in the
liberal party – the philosophy of the laissez-faire. It provides NEGATIVE
freedom. Freedom from the other. And there is competition. Also, as he notes,
liberalism lies in that the ‘condizioni iniziali’ are hardly ‘equal’ for every
member of society, so that liberalism only pays lip service to ‘liberale’. With
the socialist state, the problem is the opposite: the state becomes a gestore –
and there is this idea of an endless dialectic among the classes. So how does
Mussolini reconstruct all this. He calls it ‘stato fascista’ – Had L. continued
from Kant to Fichte and Hegel, the student would be more prepared! Mussolini’s
idea of the state is Hegel’s – it is the NAZIONE-STATO. While Mussolini speaks
of the ‘individui’ of this nazione, he means the Italians (not the Jews, etc.).
SO this NAZIONE however, is MORE than the sum of its individui. Individui come
and go – but the state remains. The state becomes governo. Mussolini’s prose is
machist and homosocial, and Lamanna has to lower down the rhetoric, but nothing
is said about Germany. It is ITALY which is seen as proposing this new or novel
idea of the state (after la rivoluzione fascista) with a Kantian approach.
Since L. has only read Kant seriously, he applies Kantian categories here:
Mussolini’s fascist state gives each individual POSITIVE freedom – to be a
slave to the CAPO or Duce who ‘knows’ how to command. L. quotes from CICERONE
to the effect that it is obeying the law that makes us free. The emphasis is
constantly on the azione or prassi, which is understandable since the pupils
are supposed to learn about philosophy. So where is the dotttina? Mussolini is
candid about this. When ‘I all started it’ I did not know where I was going. It
was the ANTI-PARTY movement --. L. provides the editorial. During the
ventennio, this action, which is the INSTINCTIVE FORCE OF THE SPIRIT OF THE
NATION, becomes legalistic, a party is formed, and indeed a government
(polizia, politeia) established. But Mussolini accepts castes in society. Even
the religion, a civil religion, is subdued and one can very well be allowed to
worthip the God of the Heroes. It is an ‘etica guerriera’ and it targets the male
– virtu, andreia. Being commanded by one know knows is a privilege. Ths is
interesting because this is conceived after the temporary successes in Africa –
Mussolini romano e africano – and before the problems of the second world war.
For the first time, Italians FEEL they are part of a NATION. The seeds are in
the Risorgimento, but this got stuck with a liberal kind of state, which only
provides negative freedom, anyway, and where the initial conditions are unequal. Lo stato fascista does not play with
parlamentarism, so Congress is closed, and the only party is the national
party. Jews are excluded from PUBLIC service -- even if some wrote panegirici
for fascism, like Mondolfo. The philosophical foundations are found in Hegel.
If Hegel concentrated all in the Kaiser of Prussia, Mussolini does so with
himself. GENTILE did not really help, although he was the official voice of
fascist philosophy --. The student of philosophy then is taught the lessons of
history (philosophy is IDENTIFIED with its history) and indoctrinated in the
final stages into a particular IDEOLOGY. The tone is catechistic, and there is
no idea of dissent. L. however emphasises that the stato fascista still
recognizes the indidivuality and the personality of each member – as the stato
comunista or socialista would not!” IL REALISMO PSICOLOGISTICO NELLA NUOVA
FILOSOFIA ITALIANA. Sarlo, nato nel 1864 in un paesello della Basilicata (San
Chirico Raparo), venne alla filosofia dalla medicina. E ve Io condusse intima
vocazione, oltre, e più, che esterna vicenda di casi. Già durante gli studi
universitari, a Napoli, si compiaceva di frequentare, con le lezioni della
Facoltà cui era iscritto, quelle di lettere e filosofia: e fu, tra l’altro,
uditore dello Spaventa negli ultimi anni del suo insegnamento. La stessa sua
prima pubblicazione — un volumetto di Studi sul Darwinismo, ch’egli scrisse
ancor giovanetto nel 1887 — attesta la tendenza di lui a studiare, anche nel
campo delle scienze biologiche, le questioni più generali, quelle che sono poi
stimolo e offrono motivi alla speculazione filosofica. Questa tendenza divenne
in lui sempre più consapevole durante gli anni che passò, come medico, nel
Manicomio di Reggio Emilia, dove compì ricerche psichiatriche che, mettendolo a
contatto più diretto con i problemi dell’anima, determinarono il suo passaggio
alla psicologia e alla filosofia. In questo campo non ebbe maestri: fu un
autodidatta: dovette cercar da sè, come a tentoni, la sua strada, ed era
naturale che la trovasse solo attraverso deviazioni, incertezze, ritorni. La
sua educazione naturalistica e l’influenza dell’ambiente culturale del tempo,
impregnato di positivismo, lo portarono dapprima a seguire questo indirizzo di
pensiero: e in uno degii organi della filosofia positivistica, la Rivista
dell’Angiulli, egli fece le sue prime armi. Ma non tardò ad allontanarsi dal
positivismo, a mano a mano che venne ac - quistando coscienza delle deficienze
di quella dottrina cosi in ordine all’interpretazione del fatto conoscitivo
come in ordine alla fondazione della moralità e religiosità umana: deficienze,
che illustrò poi in quelle Note sul positivismo contemporaneo in Italia, pubblicate
in appendice agli « Studi sulla Filosofia contemporanea » nel 1901, una delle
critiche più penetranti e conclusive che della gnoseologia positivistica siano
state fatte in Italia. La sua coscienza filosofica si venne formando nel
decennio 1890- 1900. Concorsero a questa formazione lo studio del Rosmini, i
rapporti personali o spirituali con alcuni dei più cospicui rappresentanti italiani
dello spiritualismo e del neo-criticismo, come Luigi Ferri, Filippo Masci e, in
particolare, Francesco Bonatelli, e, più specialmente, lo studio diretto delle
correnti più significative del pensiero filosofico e psicologico contemporaneo,
segnatamente inglese e tedesco, alcune delle quali egli per primo, o tra i
primi, fece conoscere in Italia. E di questa sua attività furono frutto due
saggi rosminiani: La logica di A. Rosmini e i problemi della logica moderna e
Le basi della psicologia e della biologia secondo A. Rosmini considerate in
rapporto ai risultati della scienza moderna (Roma, 1893) — poi rifusi in altri
lavori — ; due volumi di Saggi filosofici (Torino, Clau- sen, 1896) —
posteriormente anch’essi rielaborati e rifusi —; studi su autori stranieri
sparsi in varie riviste, alcuni dei quali furono poi, con altri di epoca
posteriore, raccolti nel volume Filosofi del tempo nostro (Firenze, La «
Cultura Filosofica» editrice, 1916); saggi di psicologia; il volume Metafisica,
Scienza e Moralità (Roma, Balbi, 1898), e il volume già ricordato Studi sulla
Filosofia contemporanea : La Filosofia scientifica (Roma, Loescher, 1901).
L’esigenza che si rivela come fondamentale in questi studi del De Sarlo, è
quella di mostrare le vie per le quali le scienze positive, e più
particolarmente quelle naturali, sboccano, per una necessità imposta dalla
logica a loro immanente, in una concezione filosofica nella quale il
naturalismo è superato, cosi per il riconoscimento dei poteri originari e
irriducibili dello spirito quale soggetto conoscente e quale persona morale,
come per il coronamento del sapere filosofico in un’interpretazione teistica
della realtà universale; mentre, dall’altro lato, la filosofia stessa, come
sistemazione e critica del sapere, riceve dalle scienze particolari continuo
alimento e stimolo. E la necessità di questo connubio fecondo, nella loro
reciproca azione, della scienza e della filosofia, è rimasta come uno dei
motivi principali del pensiero del De Sarlo, anche quando, nel periodo di piena
maturità della sua attività di studioso, ha tratto i principii del suo
filosofare non più dal neo-criticismo, di cui si sente l’influsso neghi scritti
sinora citati, ma dallo sperimentalismo inglese — da Locke a Mill —;
dall’intuizionismo della scuola scozzese — specie per il rilievo costantemente
dato agli assiomi così gnoseologici come etici, costitutivi dello spirito
umano, e apprensibili con evidenza immediata nell’esperienza interna e infine
dal realismo dell’Her- bart e del Lotze. Conseguita nel 1894 la libera docenza
in filosofia presso l'Università di Roma, insegnò questa disciplina nei licei
di Benevento, di Torino, di Roma, fino al 1900, quando ottenne per concorso la
cattedra di filosofia teoretica all’Istituto di Studi Superiori di Firenze,
cattedra ch’egli ha tenuto e tiene ancor oggi con l’autorità e l’efficacia di
un Maestro. Presso lo stesso Istituto Superiore fondò nel 1903 un Gabinetto di
Psicologia Sperimentale, il primo del genere in Italia, e che è rimasto anche
oggi il più ricco di apparecchi: molte e importanti ricerche vi sono state
compiute sotto la sua direzione, sebbene, in questi ultimi anni, la
potenzialità scientifica- mente produttiva del Gabinetto sia stata assai
ridotta per le condizioni materiali veramente miserevoli nelle quali si è
venuto a trovare. Dal 1907 al 1917 il De Sarlo ha diretto la Cultura
Filosofica, una Rivista che ebbe un programma ben definito e, specie nei primi
anni, fu vivacemente battagliera cosi contro il positivismo ormai declinante,
come, e più, contro il risorgente idealismo. La sua operosità di studioso ha
dispiegato con assiduità e intensità instancabile nel campo della psicologia,
dell’etica, della filosofia generale, pubblicando poderosi volumi, ai quali
specialmente noi ci riferiremo nella esposizione e caratterizzazione della sua
filosofia (1). (1) Il valore della sua opera ha avuto riconoscimento ufficiale
nel premio Reale per la filosofia, conferitogli nel 1920 dall’Accademia dei
Lincei, della quale egli è, dal 1921, socio nazionale. Elenchiamo qui le opere
principali del De Sarlo, escluse le prime già citate che poi sono state rifuse
nelle successive: Metafisica Scienza e Moralità. Studi di Filosofia morale.
Roma, Balbi, 1898, 1 voi. di circa 250 pagg. in 8: [Contiene: Il naturalismo —
Il telismo — L’idealismo e la moralità — Il socialismo come concezione
filosofica — Vita morale e vita sociale]. Studi sulla Filosofia contemporanea.
— Prolegomeni : La « Filosofia scientifica ». — Roma, Loescher. Sarlo
d’ordinario è presentato come un teista e uno spiritualista. Tale egli stesso
ha sovente dichiarato esplicitamente [Contiene : Du Boys-Reymond, Helmholtz,
Darwin, Il positivismo contemporaneo in Italia ]. I dati dell’esperienza
psichica. Firenze, Pubblicazioni del R. Istituto di Studi Superiori, 1903, 1.
voi. di pagg. 430 in-8. L’attività pratica e la coscienza morale. Firenze,
Seeber, 1907, 1 voi. di pagg. 250 in-16. Principii di Scienza etica, con
un’Appendice su La patologia mentale in rap- perto all’etica e al diritto.
Palermo, Sandron, [1907], 2 voi. di circa pagg. 500 in-16 (in collaborazione
con Q. Calò). II Pensiero Moderno. Palermo, Sandron, [1915], 1 voi. di pagg.
410 in-8. [Contiene: a) Tre studi che possiamo dire introduttivi : La
formazione della coscienza filosofica odierna — Uno sguardo alla filosofia del
sec. XIX — I compiti della filosofia nel momento presente. b) Altri tre studi
che costituiscono come la parte centrale del volume, la più vasta per il
contenuto che abbraccia e per l’estensione che ha: ! problemi gnoseologici
nella filosofia contemporanea — Lo psicologismo nelle sue principali forme — /
diritti della Metafisica, nel quale ultimo specialmente sono sottoposti a un
rapido e vigoroso esame critico i principali indirizzi della filosofia contemporanea.
c) Altri quattro studi su particolari problemi o correnti filosofiche : Il
significato filosofico dell'evoluzione [Filosofia e scienza dei valori — Stillo
spiritualismo odierno]. Filosofi del tempo nostro. Firenze, La «Cultura
Filosofica» editrice, 1916. [Contiene studi su Paulsen, Hodgson, Ward, Bradley,
Reitike, Hartmann, Zeller, Bonatelli]. Psicologia e Filosofìa. Studi e
ricerche. Firenze, La « Cultura Filosofica » editrice, 1918. 2. voi. di pagg.
1000 in-8. [Contiene: a) Alcuni studi di filosofia generale, importantissimi
per la comprensione della posizione del De Sarlo nel campo filosofico, e della
concezione dei rapporti tra filosofia e psicologia: Vecchia e nuova Psicologia
— La psicologia e le scienze normative — L’esperienza psichica — L’individuo
dal punto di vita psicologico — Il soggetto — La causalità psichica —
Sensazione e coscienza. b ) Due ampi studi di psicologia metafisica: Il
concetto dell'anima nella psicologia contemporanea — Idee metafisiche intorno
all’anima c ) Saggi contenenti la materia per un orgànico trattato sulle
funzioni psichiche : La classificazione dei fatti psichici — L’attività
conoscitiva — L’attività immaginativa Vita affettiva ed attività pratica, con i
quali saggi è strettamente connesso un amplissimq studio intorno a Le
determinazioni formali della vita psichica, e più particolarmente all'azione dell’esercizio
e dell'abitudine su tutte le funzioni fisiologiche e psichiche. (Appartengono a
questo gruppo altri saggi minori.- Sulla teoria somatica delle emozioni — Sullo
studio dei sentimenti nella psicologia inglese contemporanea - Sulla percezione
delle forme). d) Studi di psicologia fisiologica e patologica: Cervello e attività
psichica — L’attività psichica incosciente — Sulla psicologia della suggestione
— Le alterazioni della vita psichica — La psicologia degli animali]. di essere.
E tale, certo, egli si rivela nei suoi scritti, dai più antichi ai più recenti.
— Ma, è da aggiungere subito, non è data così la caratteristica più saliente
della sua figura di pensatore: sfugge a quella designazione gran parte, e forse
la più significativa, della sua opera filosofica; viene, comunque, lasciata
cosi nell’ombra quella concezione della filosofia e del metodo di filosofare
che, meglio d’ogni altro elemento, vale a individuare la sua posizione
personale nel movimento filosofico italiano contemporaneo. Uno dei suoi primi
lavori, anzi il primo veramente organico che l’ulteriore sviluppo del suo
pensiero abbia lasciato immune da quelle rielaborazioni più o meno sostanziali
cui, come abbiamo già detto, egli ha sottoposto altri suoi scritti di quel
tempo, voglio dire il volume Metafìsica, Scienza e Moralità, è tutto una
riaffermazione dei princìpi fondamentali della dottrina teistica cosi contro il
naturalismo come contro l’idealismo assoluto. La concezione di Dio quale Ragione
che si esprime continuamente ed eternamente nel mondo, e non come legge o
ordinamento astratto, bensì come soggetto concreto e vivente, è in quel libro
svolta e presentata come la sola concezione metafisico-religiosa, che,
gravitando sulle esigenze morali più profonde della coscienza umana, sulla
considerazione del valore assoluto della persona, contenga di queste esigenze
il riconoscimento e la giustificazione più piena, e fornisca per ciò stesso il
principio di quella sistematica unificazione di tutta la realtà, a cui la mente
umana tende per sua natura, e in cui possono essere inverate le particolari
connessioni di frammenti di realtà che le scienze della natura stabiliscono
mediante le serie causali dei fenomeni. E tra gli scritti meno antichi, due
saggi, dei più elaborati e ricchi d’idee, I diritti della Metafìsica (nel
volume « Pensiero Moderno ») e Idee metafìsiche intorno all’anima (nel II voi.
di « Psicologia e Filosofia »), giungono, attraverso l’analisi dei concetti di
causa e di sostanza, alle medesime conclusioni teistico-spiritualistiche intorno
a Dio e all’anima umana. Dio è la Causa prima, la causa che non è effetto,
postulata qual condizione essenziale della comprensibilità di qualsiasi fatto
particolare in quanto anello di una serie causale: causa la quale non può esser
concepita, se non come analoga alla sola causa vera a noi nota, che è la nostra
stessa volontà in quanto libera, in quanto costitutiva d’un cominciamento
assoluto; non può quindi esser concepita se non come volere essa stessa, e
quindi come causa finale. E Dio è la Sostanza Assoluta. l’Essere nel quale
trova compiuto soddisfacimento l’esigenza del pensiero a cui risponde il
concetto 126 E. PAOLO LAMANNA di sostanza: che è il concetto di essere che non
è in altro nè per altro, ma è essere per sè, condizione e presupposto di ogni altra
determinazione, principio e unità reale di ogni molteplicità. E anche per
questo rispetto esso non può venir concepito se non in analogia con quella che
è per noi l’espressione più immediata e genuina della sostanzialità, ossia la
coscienza, che è appunto esistenza per sè, l’io che è immediatamente percepito
come principio unico di una molteplicità di funzioni e di atti, in cui
manifesta la sua realtà. E le sostanze finite possono anche esser considerate
come pensieri di Dio, e quindi come atti di quest’Essere per sè per eccellenza,
purché però l’atto e la funzione di Dio siano intesi come tali che il termine
di essi abbia un essere almeno parzialmente indipendente e sia fornito della
capacità di esistere per sè, di spontaneità e di libertà. Appunto queste
proprietà degli esseri finiti rileva e illustra il De S. nel tentativo di
determinare cosi l’origine come il destino delle anime. L’origine dell’anima la
quale implica, per un lato, la produzione di qualcosa di nuovo e, per l’altro,
la conformità a un ordine di leggi immutabile, può, secondo il De S., esser
posta in rapporto con l’azione divina, purché questa s’intenda appunto come
sostrato reale in cui ha il suo sostegno quell’ordinamento di leggi, per il
quale, in date condizioni, nuovi fatti accadono o nuovi fini e valori vengono
realizzati. E poiché quelPordinamento è eterno, anche delle anime può dirsi che
esistono ab aeterno, come principi potenziali, i quali aspettano che i destini
si maturino per poter divenire attuali. E una volta divenuti attuali, i centri
reali di vita e di coscienza sono, secondo il De S-, indistruttibili, appunto
in forza del pregio intrinseco che essi posseggono come sostanze: onde
l'affermazione dell’immortalità di tutte le anime. * • * 3. — È innegabile,
dunque, che del problema metafisico per eccellenza il De S. presenta
costantemente una soluzione conforme, nei suoi principii fondamentali, al
teismo e spiritualismo tradizionale. Ma bisogna subito aggiungere che nella
trattazione di questo problema della realtà egli è sempre consapevole del
carattere meramente congetturale di quella soluzione, quantunque questa gli sembri
meno inadatta delle altre a dare dei fatti e della realtà conoscibile una certa
quale interpretazione sistematica. Egli non si nasconde mai le oscurità che si
oppongono alla piena intelligibilità dell’Assoluto: non dissimula le antinomie
tra le quali la ragione umana si dibatte ogni volta che pretende di dare della
realtà ultima una definizione esauriente. E’ troppo persuaso dello scarso valore
dimostrativo che possono avere le analogie in base alle quali noi trasportiamo
dal finito all’infinito o estendiamo da una ad altra sfera di realtà i nostri
concetti, perchè si possa credere che egli s’illuda sulla portata effettiva di
quelle ipotesi, anche se l’intimo convincimento suo della preferibilità di
quelle ad altre ipotesi dia talora alla sua trattazione un tono che può parere
alquanto dommatico. Le riserve prudenziali che spesso interrompono la sua
trattazione di tali problemi potrebbero anzi indurre a ritenere ch’egli sia in
fondo un agnostico in fatto di metafisica: ed egli non disdegnerebbe certo
questo epiteto, se per agnosticismo s’intende la persuasione che il mistero
dell’universo è e rimarrà ineluttabilmente un mistero per la mente umana.
Agnosticismo, che ben si concilia in lui con la fede — questa, si, veramente
dommatica nel senso migliore delia parola con la fede sulla validità assoluta
dei princìpi razionali, con l’affermazione che nel fondo della realtà è la
Ragione : si concilia, perchè, data appunto l’ind'pendenza relativa delle
coscienze finite dall’Essere assoluto di Dio, possono da ognuna di quelle
essere colti soltanto frammenti della razionalità in cui questo si rivela come
immanente all'universo. È uno dei caconi della maniera di filosofare del De S.
questo, che l’esigenza dell’unità, la quale è essenziale alla ragione e si
esprime nel suo grado più alto nella posizione del problema metafisico, non può
e non deve essere sodisfatta con l’eliminazione delle differenze che la realtà
presenti e la ragione stessa riconosca come irriducibili, anche se non riesca
poi facile o possibile alla mente umana stabilire come questa molteplicità
irreduttibile possa esser ricondotta o comunque messa in relazione con quel
principio reale di unità assoluta che è Dio. Cito due esempi caratteristici,
relativi al concetto fondamentale di sostanza. Della sostanza, come s’è visto,
noi abbiamo, secondo il D. S., una conoscenza immediata nell’apprensione del
nostro io, in quanto questo è un essere per sè e si manifesta nei fatti psichici
come in atti suoi, senza esaurirsi in nessuno di essi. Da ciò parrebbe lecito
dedurre che il mondo sia costituito di sostanze omogenee, ossia di esseri che
siano per sè come unità di coscienza, anche se tra le varie sostanze si debba
stabilire una differenza di grado: parrebbe cioè giustificato il monismo
spiritualistico. Invece il De S. dedica due saggi ad una critica stringente di
questa soluzione del problema metafisico, che pur parrebbe la più conforme ai
suoi supposti spiritualistici (// monismo psichico e Sullo spiritualismo
odierno, nel volume « Pensiero Moderno »). È vero, egli dice, che tutto ciò che
esiste, per il fatto che esiste, agisce in una data maniera, e noi non possiamo
rappresentarci codesta attività che facendo uso di nozioni attinte alla nostra
esperienza intima, e che quindi in ultimo siamo sempre spinti a identificare
l’esistenza con una forma, per quanto attenuata, di psichicità. Ma l’analogia
non deve far perdere di vista le profonde differenze esistenti se non altro tra
il modo di comportarsi degli obietti e fatti costituenti la natura esterna e
quello degli esseri e processi psichici. Anzi, per il De S., a rigore non
basterebbe opporre al monismo, sia esso materialistico o immaterialistico, il
dualismo : sarebbe più logico parlare di pluralismo senza aggettivi, esprimente
una pluralità di energie e di attività tanto differenti tra loro,' che a rigore
non possono essere accomunate nè sotto la rubrica spirito né sotto qualsiasi
altra rubrica. Come e perchè esista quel dato numero di principii, cornee
perchè esistano quelli e non altri, non è possibile dire: è un fatto che va
constatato, e non si può e non si deve spiegare; come vanno indagate,
constatate e descritte le varie maniere di agire e reagire reciprocamente di
questi vari esseri, ma non si può presumere di spiegare, nel vero senso della
parola, come e perchè si stabilisca la connessione reciproca di tali esseri che
sono esistenti per sè, sebbene nelle maniere speciali di agire e reagire essi
affermino e rivelino la loro esistenza. Ma vi ha di più: la sostanza vivente e,
più in particolare, la sostanza psichica esiste ed agisce in quanto si
sviluppa. Ora uno dei saggi più penetranti del De S. (Il significato filosofico
dell'evoluzione, nel volume « Il Pensiero moderno ») è dedicato all’analisi del
concetto di evoluzione, ed è uno dei più significativi per dimostrare come
nella concezione metafisica del De S. si conciliino un temperato razionalismo e
un prudente agnosticismo. Il concetto di evoluzione, lungi dall’essere — come
vuole, ad es., l’hegelismo — un principio esplicativo, e lungi dal dare
un’espressione compiuta della realtà ultima, ha bisogno esso stesso di venir
reso intelligibile. E l’analisi critica di tal concetto rivela la presenza in
esso di vere e proprie contradizioni, che non possono essere eliminate se non
considerando lo sviluppo non già come il prius della realtà, ma come qualcosa
di accessorio e di secondario. Il processo evolutivo, mentre implica
necessariamente il tempo, esige l’illusorietà del tempo; mentre vuol essere
creazione, implica già la preesistenza del termine a cui arriva; si può leggere
in esso, almeno post factum, la rispondenza a un ordine razionale, ma chi dice
razionalità, dice estra- temporaneità. Ogni evoluzione implica dunque qualcosa
di assoluto, di perfetto, di stabile, che rappresenta il principio vero
dell’evoluzione. Ecco il risultato, positivo, certo, cui conduce l’analisi del
concetto di evoluzione: ma è una certezza che fa sorgere nuovi interrogativi:
allora, ci si domanda, come e perchè i reali concreti e finiti sono cosi fatti
da dover attuare i fini solo mediante il processo evolutivo, come e perchè
l’ordine si realizza per gradi e attraverso lo sviluppo? Il che equivale a
domandarsi come e perchè esistano esseri finiti che si trovano con l’assoluto
in quegli speciali rapporti. E a questi interrogativi non è possibile
rispondere: ed ecco come, conclude il De S., l’evoluzione è un aspetto del «
my- sterium magnurn » della realtà. Il problema dell’evoluzione reale conduce
al problema del tempo, e come questo resulta dalla connessione del flusso con
la permanenza, della successione con la durata, così l’evoluzione poggia sul
rapporto del divenire o variare con ciò che è immutabile, permanente e eterno.
* * * 4. — Compito df;fa filosofia, dunque, di fronte al problema più propriamente
metafisico sembrerebbe essere, per il De S., quello di rendere chiare e in un
certo senso acuire e dimostrare insuperabili, piuttosto che superare, le
difficoltà che quel problema offre alla mente umana; di illuminare i limiti di
essa, piuttosto che additarle un varco alla conoscenza piena dell’Assoluto. Ma
non è questo, per il De S., l’unico compito della filosofia: o meglio, per
assolvere questo stesso compito, per condurre la mer*e umana appunto a queste
posizioni che sono al margine del mistero, a queste che possono dirsi frontiere
della conoscenza umana, e per dimostrare che sono frontiere invalicabili, la
filosofia deve, secondo il De S., percorrere il dominio stesso che innanzi alla
conoscenza si stende, di qua da quelle frontiere: ed è il dominio
dell’esperieza nel senso più pieno e più ampio di questa parola. Prima della «
Dialettica trascendentale » e quindi prima della Critica della Ragion pratica
con i suoi postulati, vi è e vi deve essere una « Estetica » e una «Analitica»,
per servirci della terminologia usata da Kant, a designare un atteggiamento di
pensiero analogo, per questo rispetto, a quello criticistico, anche se, come
vedremo, muova da supposti e segua un. procedimento e giunga a risultati
profondamente diversi. L’attività filosofica del De S. ha avuto sempre, sin
dalle sue prime manifestazioni, un’impronta di positività, disdegnosa di ogni
audacia speculativa, derivante così dalla tempra del suo spirito come dalla sua
educazione scientifica, oltre che dal convincimento del valore nullo di ogni
concezione che non sia un portato necessario della critica della conoscenza
positiva e non abbia quindi una larga base empirica. Ma questo convincimento,
si può dire, si è venuto in lui sempre più radicando col maturarsi del suo
pensiero, sino a divenire il motivo fondamentale sempre più insistente del suo
filosofare; sì che con questa designazione appunto di filosofia dell'esperienza
egli ama contrassegnare la sua dottrina e il suo metodo, in recisa opposizione
alla speculazione idealistica dei neo hegeliani, che si è andata sempre più
affermando in Italia. Si direbbe che il diffondersi di quell’antiempirismo
dialettico ch’egli considera un vero « contagio » delle menti, l’abbia indotto
ad accentuare sempre più la necessità di ricorrere a cautele immunizzatrici, in
un contatto sempre più stretto, e più esclusivo, della filosofia col sapere
empirico; di ricondurre la filosofia, come in rifugio sicuro, in quei confini
entro i quali essa possa mantenere il carattere di scienza, essere, ai pari
delle altre scienze, un prodotto dei processi logici comuni della mente umana,
anziché l’espressione — mistica o lirica che sia, notevole quanto si voglia per
novità e originalità, ma non suscettibile d’una dimostrazione razionale —
l’espressione, dicevo, di una coscienza e quasi d’un temperamento individuale
traverso il quale la realtà si rifranga. E inaugurando, nello scorso ottobre,
l’ultimo Congresso italiano di filosofia a Firenze, giunse alle affermazioni
estreme che le attuali condizioni della cultura filosofica in Italia esigono un
più o meno lungo periodo di astinenza dall’alta speculazione, e che non il
problema filosofico, quello metafisico intorno alla natura della realtà ultima
e assoluta, ina / problemi filosofici particolari, o meglio questi prima e con
più fiducia e anzi con più sicurezza di successo che quello, e come condizione
per la stessa impostazione non che per ogni tentativo di soluzione di quello,
meritano di essere oggetto dell’indagine filosofica. Ma con ciò, si può
osservare, non è stato sacrificato proprio quello che è il carattere distintivo
del sapere filosofico rispetto alle scienze particolari, e che è appunto la
determinazione della relazione dei distinti, il riferimento della molteplicità
delle distinzioni a un principio unitario? Il De S. risponde che la filosofia è
aspirazione alla unità dell’Essere, senza che perciò il filosofo debba
trasformarsi in un allucinato dell’unità. La varietà e la inconciliabilità dei
tentativi compiuti nella storia della filosofia per unificare i reali e-le
conoscenze e per dedurre la complessità dei fatti da un unico principio, sta a
dimostrare, secondo lui, che all’unificazione si giunge colmando con
l’immaginazione le lacune della conoscenza certa e dimostrabile. Gli si può
replicare con l’obiezione consueta, che la vanità di quei tentativi risulta
dall’aver cercato la unità nell’oggetto invece che nel soggetto, nella natura
(o in Dio, che è lo stesso) invece che nello Spirito. Ma il De S. ribatte che
anzi appunto attraverso quel riferimento degli oggetti al soggetto conoscente,
appunto attraverso quella unificazione, diremmo, metodologica e gnoseologica,
di tutto il reale nell’io — che è propria del sapere filosofico —, si rivela la
irriducibilità, diremo, ontologica degli oggetti e dei valori. Infatti, per il
De S., se da un lato la filosofia non può non scindersi in una molteplicità di
discipline, fondate su principii irriducibili (essere e valere, p. es.),
dall’altro lato queste hanno caratteri comuni, che valgano a fare di esse
appunto un unico gruppo, quello delle disciplini; filosofiche. E questi
caratteri comuni sono: I) determinazione dei concetti universali, attraverso i
quali la realtà può essere razionalizzata; 2) riferimento di tutta la realtà
allo spirito del soggetto, in cui e per cui l’esperienza in ogni sua forma si
costituisce. Due caratteri, questi, che sono per il De S. strettamente uniti e
come interdipendenti: perchè le idee universali — ossia le nozioni metafisiche
fondamentali — intanto assurgono a quel grado di fecondità per cui
rappresentano i mezzi di razionalizzazione della realtà, in quanto o sono il
risultato della giustii.jata estensione a tutta la realtà di concetti che
abbiamo direttamente appreso nella coscienza (sostanza, fine, causa), ovvero
sono il prodotto della riflessione sui modi in cui la realtà diviene intelligibile
e acquista consistenza nella mente umana. Lo spirito, in quanto termine comune
di riferimento di tutti gli elementi e fatti della realtà, viene ad occupare
una posizione centrale nel mondo, e la psicologia, come scienza dello spirito,
costituisce il terreno di incontro delle diverse discipline filosofiche. Si è
detto, la psicologia come scienza dello spirito : e di questa determinazione
v’è bisogno per non cadere nei facili equivoci cui può dar luogo la parola
psicologia o psicologismo. Già nei 1903, nel suo poderoso volume I dati
dell'esperienza psichica, il De S. insisteva sulla profonda differenza
esistente tra la psicologia come scienza empirica e la psicologia coinè scienza
filosofica. La prima, quale si è venuta costituendo negli ultimi decenni,
studia l’anima umana come un « obietto» tra gli altri obietti della natura, ha
aspetto e procedimento di una scienza naturale e non mira che alla spiegazione
causale dei fenomeni. Per essa la vita psichica è un complesso di « stati » di
coscienza: i quali, sì, implicano tutti una certa coscienza dell’io (in maniera
che per il De S. non è possibile una psicologia « senz’anima », anche se sia
psicologia empirica): ma il soggetto non è còlto, da questa, in funzione, ossia
nella sua attività tendente a determinati scopi. Si tratta di una
considerazione statico di dati, a cui il concetto di atto è necessariamente
estraneo; di una considerazione che tende a fissare i rapporti condizionali dei
vari ordini di stati psichici e a ridurre il complesso al semplice. La
psicologia empirica deve quindi limitarsi all’«analisi morfologica» della coscienza,
escludente qualunque funzionalità e quindi qualunque dinamismo. Ora « lo
spirito — dice il De Sarlo (p. 412) — non è una cosa tra le altre cose, ma è il
mezzo di rivelazione della realtà. Come tale lo spirito è universale:
universalizza sè stesso nelle sue funzioni ed universalizza per ciò stesso
l’obietto a cui è rivolta la sua attività ». Ecco perchè lo spirito può
considerarsi come in una posizione centrale rispetto a tutte le cose: e la
scienza che lo studia, ossia la psicologia come “ fisiologia „ dello spirito, è
necessariamente scienza filosofica. Nella considerazione funzionale dello
spirito s’impone il concetto di valore e quindi di fine. Le funzioni dello
spirito mercè i loro atti oggettivano i dati e stati soggettivi; perchè sono
determinazioni che qualificano, sì, il soggettò, ma lo qualificano in rapporto
all’oggetto, e danno quindi luogo a ciò che è universalmente valido, a quelli
che sono i valori oggettivi. La verità, il bene, il bello non sono dei dati o
dei fatti: sono degl’ideali, sono appunto valori, distinti da ogni altro valore
unicamente soggettivo per questo carattere, che sono forniti di una speciale
necessità che è la necessitàdi diritto ben diversa dalla necessità di fatto
degli stati psichici. Quest’ultima denota soltanto che uno stato è
inevitabilmente determinato, nella sua insorgenza, da certe condizioni, una
volta che queste siano date, cioè siano determinate da altre condizioni, e così
via; denota cioè che uno stato o un fatto psichico ha sempre la sua ragione
d’essere in altro. Ma è indifferente al valore di quello stesso stato o fatto,
se per valore s’intende ciò che ha la ragion d’essere in sè e non in altro
ossia un valore incondizionato e assoluto, ciò che deve essere anche se le
condizioni dell’essere non sussistano e quindi la realtà non sia ad esso
adeguata. La necessità psicologica abbraccia indifferentemente nella sua
spiegazione così il valore come il disvalore, così il vero, il bello, il bene,
come l’errore, il brutto, il male. Una tale distinzione di valore, come
distinzione obiettiva e universale, non si può avere se non mediante il
riferimento alle leggi costitutive delle funzioni originarie ed essenziali
dello spirito, leggi non meccaniche, superiori anzi al meccanismo psichico,
perchè essenzialmente teleologiche, indicanti cioè la maniera in cui quelle
funzioni agiscono ogni volta che raggiungono il termine che è costitutivo della
loro natura spirituale, leggi rivelanti la loro natura attraverso una forma di
evidenza che è indizio della loro necessità e universalità. Le leggi logiche e
gnoseologiche definiscono la natura del pensiero, le leggi etiche quelle della
volontà, le leggi estetiche quelle della fantasia. Sono principii o assiomi i
quali significano che il pensiero, il volere e la fantasia in tanto meritano
veramente questo nome e in tanto raggiungiamo il termine che ad esse è proprio,
in quanto si esplicano nel senso indicato da quelle leggi piuttosto che in
altro senso. La distinzione tra psicologia empirica, come scienza dell’anima —
morfologica, naturalistica e la psicologia come scienza dello spirito —
funzionale e filosofica, così nettamente affermata dal De S. nell’opera su
citata del 1903, è forse stata successivamente attenuata in altri scritti, nel
senso che, a suo giudizio, la conoscenza del meccanismo psichico risulta utile
alla determinazione dei modi in cui lo spirito si eleve al di sopra di esso r e
reciprocamente la conoscenza dei fini dello spirito è indispensabile per l’apprensione
esatta del meccanismo che serve di mezzo al raggiungimento di t'°i. Ma
l’attenuazione si riferisce ai rapporti tra le due considerazioni dell’anima e
non elimina con ciò la distinzione. E comunque il De S. non ha mai cessato di
differenziare nettamente ed energicamente il suo psicologismo da quello
naturalistico, che considera i valori dello spirito come « o applicazioni di
leggi psicologiche già operative in altre direzioni, ovvero particolari,
originarie manifestazioni dell’attività psichica, le quali però attingono il
loro significato dall’essere effetti necessari di certe cause psichiche o
risultati inevitabili di processi mentali naturali, e non già dal rispondere a
certi fini od esigenze valide anche se non mai realizzate». Si leggano
specialmente, in proposito, i saggi Lo psicologismo nelle sue principali forme
(nel voi. < Pensiero Moderno »), Vecchia e nuova psicologia, La psicologia e
le scienze normative, e La classificazione dei fatti psichici (nel I voi. di «
Psicologia e Filosofia »). Lo psicologismo di SARLO . non è dunque naturalismo,
ma non è neppure immanentismo: offre anzi a lui il mezzo per affermare e
dimostrare, contro ogni forma d’idealismo immanentistico, il suo realismo
gnoseologico. Se nella determinazione di ciò che è l’essere e, in genere, di ciò
che è oggetto di conoscenza, il De S. ritiene di dovere attenersi ai criteri
generali su esposti del suo psicologismo, non è già perchè egli ritenga che la
psiche e i processi psichici costituiscano la stessa realtà, anzi lo stesso
essere, ma è solo in considerazione delle prerogative che, in ordine alla
conoscenza, sono proprie dell’esperienza psichica di fronte ad ogni altra forma
di esperienza. E queste prerogative sono due: 1) innanzi tutto la così detta
esperienza estèrna si rivela e acquista consistenza sempre attraverso
l'interna, perchè ciò che è direttamente percepito, anche in quelli che sono
comunemente detti oggetti esterni, è sempre il contenuto d’un atto psichico;
l’esperienza interna presenta la nota dell’evidenza (evidenza di fatto)
derivante dalla coincidenza del percepire col percepito; e perciò l’esperienza
psichica rappresenta il vero fondamento per la constatazione di qualunque
esistenza reale, e quindi di ogni sapere empirico. 2) In secondo luogo,
l’esperienza psichica è il solo tramite attraverso il quale tutto ciò che è
(reale o pensabile che sia), l’essere in generale ci si può rivelare. L’io
distinguendosi da tutta la realtà traspare a sè medesimo, e insieme tutta la
realtà diviene trasparente attraverso di esso. Nulla esiste che sia
propriamente nell’io, tranne l’io stesso, e insieme, in un certo senso, nulla
di cui si può discorrere esiste al di fuori dell’io, perchè la cosa, per essere
affermata e riconosciuta, deve in qualche maniera esser presente alla
coscienza. In questo consiste ciò che si può chiamare funzione rappresentativa
della mente. Ma proprio da questo carattere essenziale alla mente il De S.
deriva la necessità di affermare la trascendenza dell’oggetto rispetto alla
mente che lo afferma e lo pone. Noi, egli dice, arriviamo, è vero, al concetto
di essere e di obietto solo mediante la riflessione sull’atto di
riconoscimento: ma questo in tanto è tale, in quanto è provocato da qualcosa di
diverso da sè. La mente, non contenendo la realtà come tale, nè identificandosi
con essa, non può giungervi se non attraverso qualcosa che rappresenti o
sostituisca la realtà medesima. Le rappresentazioni mentali forniscono i segni
in base a cui l’intelletto costituisce la realtà. La realtà, si può anche dire che
sia « percipi « e « intelligi », purché con ciò non si voglia significare che
l’essere si esaurisca nel fatto di essere percepito e inteso, ma solo che non
si ha modo di definire quest’essere prescindendo dalle sue rivelazioni nella
coscienza individuale. La conoscenza vale sempre per altro, si riferisce sempre
ad altro. Non che si tratti di una specie di corrispondenza tra l’obietto
trascendente e la rappresentazione mentale — come grossolanamente si ritiene da
molti critici di tale concezione —, quasi fosse ammissibile un’apprensione
dell’oggetto qual’è in sé al di fuori della coscienza e quindi un confronto tra
la Cosa e 1 idea- L affermazione della trascendenza è imposta dal bisogno di
dare un senso alla funzione conoscitiva qual’è còlta in atto, al fatto conoscitivo
nel suo significato e nell’intendimento che lo anima. Certo, per il De S., non
si deve con Jiò pregiudicare la soluzione del problema metafisico della
costituzioile intima della realtà ultima. La metafisica può anche giungere alla
conclusione che la realtà, divelta da qualsiasi rapporto con la coscienza, è un
non senso, che tutto ciò che esiste, esiste in quanto è connesso con una
coscienza. Ma questo rapporto metafisico non può essere identificato col rapporto
gnoseologico tra obbietto e coscienza in quanto conoscente. La coscienza nel
riferimento alla quale può farsi consistere la realtà di tutto ciò che è, non è
certo la coscienza individuale del soggetto che conosce questa realtà e la
conosce riferendola a sé come altro da sè: anche quando si sia ridotta
metafisicamente la realtà a coscienza, tale coscienza rispetto al soggetto
conoscente, a questo o quel soggetto, è sempre un reale, un oggetto, è sempre
appresa da esso come altro da sè. Il quale ultimo punto non potrebbe essere
negato se ì.'in dimostrando che la distinzione delle singole coscienze è
illusoria e che i rapporti tra gli obietti costituenti l’universo sono identici
ai rapporti tra i fatti psichici di ciascuno. Questa dimostrazione, per il De
S., non può essere data: e ne vedremo il perchè, tra poco, a proposito della
natura del soggetto come reale. E, comunque, allo stesso modo che la soluzione
del problema gnoseologico non deve accogliersi come tale da contenere o
assorbire in sè la soluzione del problema metafisico, cosi questa — che,
d’altronde, può essere solo punto d’arrivo dell’indagine filosofica, e irta,
come s’è già detto, di difficoltà e oscurità d’c^ni sorta —, non può e non deve
pregiudicare la soluzione del problema gnoseologico, sino a eliminare ciò che è
costitutivo del fatto della conoscenza, la dualità di soggetto e oggetto.
L’esperienza psichica — l’abbiamo già detto — è, per il De S., costituita di
atti : e perciò anche il pensiero è atto. Ma chi dice atto, dice qualcosa che
accade nel tempo, qualcosa che sorge e si dilegua in un determinato punto della
durata. E allora, secondo il De S., non si può sfuggire a questo quesito: se
tutta l’esperienza psichica si risolve in un complesso di atti e se in
conseguenza tutto ciò che può essere conosciuto non lo può che attraverso atti,
come é possibile arrivare al concetto di ciò che non è atto, al concetto,
poniamo, di una relazione universale e necessaria tra idee, com'è possibile
arrivare al concetto del mondo della pensabilità, che esclude qualsiasi
elemento di efficienza, di azione reale, e che non è nel tempo? Appunto per
rispondere a questo quesito, occorre negare l’immanenza o l’inclusione
dell’oggetto nell’atto psichico corrispondente. Mentre vi sono contenuti di
coscienza i quali si moltiplicano come si moltiplicano i centri di coscienza,
ve ne sono altri che, pur essendo in speciale rapporto con i primi, rimangono
unici e anzi non sono concepibili che come unici. E anche quando agli obietti
in quanto parvenze non è attribuibile nessuna consistenza reale, non è lecito
affermare che essi si identifichino con gli atti stessi, giacché anche in tali
casi è sempre necessario presupporre ddle condizioni indipendenti atte a provocare
l’esplicazione dell’attività psichica riconosciuta poi come illusoria.
L’esistenza di siffatte condizioni è un presupposto ineliminabile : o
l’attività psichica ch’esse hanno provocata è adeguata alle condizioni
medesime, e allora si è autorizzati a identificarle con obietti reali, aventi
un’esistenza indipendente; o tale esplicazione è inadeguata, e allora s’impone
la necessità di ricercare quale forma di realtà e di esistenza possa essere
attribuita a quelle condizioni. Ma come si può decidere se vi sia o no
adeguazione dell’atto all’oggetto? Qui il De S. insiste sulla distinzione tra i
due ordini di oggetti conoscibili: gli obietti concreti e individuali (con le
loro qualità) da una parte, e gli elementi ideali o intelligibili, dall’altra.
L’esistenza è fornita sempre dall’esperienza: o è dato sensoriale, o è dato
della coscienza, e non può non occupare tempo ; l’intelligibile, invece, è
sempre formulabile per mezzo di un rapporto o di un complesso di rapporti, ed è
estraneo alle vicende del tempo. E il fondamento della cognizione, in rapporto
a questi due ordini di obietti, è da un lato la percezione dei fatti psichici e
di ciò che è relativo ad essi, e dall’altro la conoscenza di certi principii e
assiomi costituenti come l’ossatura della ragione; da un lato, cioè, l’evidenza
di fatto, fornita, come si è già accennato, dalla diretta esperienza che
abbiamo di noi stessi, e, dall’altro, la necessità razionale, qual’è còlta nei
principii logici. Questa distinzipne, però, non è da intendere, secondo il De
S., nel senso che l’apprensione dell’esistente e della sua qualità possa farsi
indipendentemente dal pensiero logico. Il fatto individuale non è
caratterizzabile che mediante nozioni universali; e 1 intelligibile, se può
essere considerato per sè (astratto) solo per opera della mente, è tanto
intimamente connesso (consubstanziale) con resistente, col puro fatto, che
questo non può formare oggetto di conoscenza se non per ciò che contiene di
inttj ligibile. È il pensiero che deve in certo modo investire di sè i
dati'dell’esperienza psichica per og- gettivarli affermandoli, facendone cioè
termini di atti giudicativi, e trasformarli così in reali conosciuti. Più in
particolare, è il pensiero che fa di quella sfera dell’esperienza psichica che
è la sensibilità, il tramite di una realtà trascendente la coscienza, e fa
delle qualità sensoriali non soltanto contenuti psichici — aventi la realtà
stessa di altri contenuti psichici, come sentimenti, volizioni ecc., aventi
cioè resistenza che è propria degli stati o atti di quel prototipo di realtà individuale
che è l’io —, ma fenomeni d’una realtà trascendente. Il pensiero pone e risolve
il problema della realtà di un correlato obiettivo delle q alità sensoriali, in
quanto da un Iato queste non sono meri contenuti di coscienza o creazione del
soggetto — come dimostrano la coerenza e permanenza che presenta l’esperienza
sensibile e le variazioni a cui questa può andar soggetta indipendentemente da
qualsiasi rapporto con la coscienza individuale — ; e dall’altro lato non sono
cose in sè — come dimostra la loro relatività alle condizioni subiettive, per
cui è impossibile dire chiaramente in che cosa consistano, per sè prese. D’onde
risulta che esse hanno una forma di esistenza speciale che è appunto l’essere
proprio dei fenomeni. Ora questo correlato obiettivo delle qualità sensoriali
può essere raggiunto solo per opera del pensiero e non è determinabile nei suoi
tratti essenziali che in base ai principii razionali. Il pensiero rappresenta,
pertanto, il solo mezzo per distinguere l’apparenza dalla realtà, anzi il solo
mezzo per attribuire un significato a tale distinzione. Le parvenze sensoriali,
i puri fenomeni e le forme intuitive dello spazio e del tempo non possono non
essere constatati, e quindi come pseudo-esistenze, non possono non divenire
obietti di conoscenze immediate, nella forma di giudizi percettivi (pensiero
tetico, immediato, concreto). E quando i dati così affermati si trovino in
contrasto col sistema delle conoscenze organizzate intorno ai principii
razionali, il pensiero medesimo è chiamato a decidere in ultima istanza su ciò
che va affermato come reale e ciò che va riguardato come apparenza, è chiamato
a decidere intorno all’obbiettivo e al subbiettivo. Se già l’esistenza come
tale esige, secondo il De S., l’intervento del pensiero logico, s’intende che
anche l’essenza del reale non possa, e con più forte ragione, esser determinata
che dal pensiero. Essa consiste in relazioni, nelle quali la mente traduce ciò
che dapprima è soltanto sperimentato e vissuto (somiglianza e differenza, nesso
di dipendenza, rapporti quantitativi, rapporti di azione e passione, rapporti
spaziali e temporali atti a fornire le coordinate per l’individuazione).
L’intelligibile, distrigato dal reale per mezzo dei processi intellettivi,
finisce per assumere l’ufficio di segno rispetto a ciò che è posto come
indipendente dal soggetto e come sussistente. E il progressivo sviluppo della
conoscenza è determinato dal bisogno di fissare ciò che nella realtà vi ha di
conforme alla ragione e quindi di assimilabile da essa mediante la traduzione
della realtà stessa in rapporti razionali. La credenza che l’obietto sia sempre
risolubile in elementi intellettuali è il presupposto e anzi l’anima di
qualsiasi conoscenza. La realtà esistente, dunque, non può essere posta che dal
pensiero in quanto giudizio tetico; e non può essere conosciuta nella sua
struttura se non nella misura in cui il pensiero la traduce in un complesso di
rapporti intelligibili. Ma — e con ciò il De Sarlo riafferma il carattere
nettamente realistico del suo razionalismo — i termini di questi rapporti e il
contenuto di quelle « tesi » non sono risolvibili in pensiero.Vi è sempre
distinzione, secondo il De S., tra lo sperimentare e il pensare, nel senso che
quello non è derivabile da questo, anche se non possa divenire sperimentare
«obiettivo », e quindi conoscere, che per mezzo dell’attività del pensiero; vi
è distinzione tra il pensiero come oggetto di conoscenza, come pensabile o
pensato, e il pensiero come attività d’un soggetto, volta a raggiungere la
verità — sia questa un dato di fatto o un’idea —, come pensiero pensante. È
questa la natura dei rapporti, il cui complesso costituisce la pensabilità del
reale: da un lato essi sono il risultato di atti (riferimento) compiuti dal
soggetto, sì che, come tali, parrebbero immanenti a una mente e quindi il
prodotto di un soggetto. Ma dall’altra parte non sono posti arbitrariamente;
sono, più che suggeriti, imposti da esigenze obiettive. Nè l’inlelligibiiità
dei rapporti viene ad essere facilitata dal riferimento di essi ad una Mente
universale. Con ciò i rapporti vengono consideratifcome creazione arbitraria di
tale Mente ? E allora ogni analogia di questa con la mente umana verrebbe ad
essere cancellata, e il ricorso ad essa diverrebbe inutile allo scopo. Vengono,
invece, i rapporti considerati come espressione di una necessità intrinseca
alla natura delle cose? E allora la Mente universale non è che il nome per
esprimere la coerenza logica, l'intelligibilità nel suo aspetto obiettivo;
i»/telligibilità che può condurre la mente ad ammettere un’Intelligenz.l!
assoluta, senza che però questa sia assunta a principio esplicativo della
razionalità: la razionalità vale per sè, indipendentemente dall’essere
insidente in una mente. Quel che noi possiamo dire, conclude in proposito il De
S. t è che i rapporti, quali possono essere studiati dall’intelletto finito
individuale, suppongono obietti (termini) nella cui proprietà hanno il loro
fondamento, e che le relazioni, realizzate in questa o quella coscienza
mediante gli atti di riferimento, sono il riflesso delle relazioni obiettive. Il
problema gnoseologico, s’è visto, non può, secondo il De S., essere
convenientemente trattato se non quando si tenga presente che il soggetto a
cui, nel fatto conoscitiva, vien riferito l’oggetto, è il soggetto individuale;
e la soluzione réalistica ch’egli ha dato al problema potrebbe essere
compromessa esclusivamente nel caso che si fosse riusciti a dimostrare, in sede
metafisica, non solo che la realtà non può esser resa intelligibile che quando
sia considerata come il pensiero di una Mente Universale, ma anche che la
distinzione delle coscienze individuali tra loro e dalla Mente Universale sia
illusoria. La dimostrazione di questo secondo punto è per il De S. impossibile.
Intanto l’aver riconosciuto che l’esperienza psichica è costituita
essenzialmente di atti, non significa per il De S. affermare che il soggetto
dell’esperienza psichica si risolve in null’altro che in un complesso di atti.
È il concetto e l’esperienza stessa di atto che rinvia per necessità al
concetto di soggetto come di un reale distinto da ogni altro reale e quindi da
ogni altro soggetto. Certo, non è possibile determinare la natura del soggetto
(unità reale) senza riferirsi agli atti ch’esso compie: ma alla variabilità
degli atti non corrisponde la variabilità dell’unità del soggetto. L’individuo
non può non aver coscienza di essere in rapporto con altro da sè per mezzo di
atti da sè stesso compiuti; ma se esso non distinguesse sè (come principio
degii atti) dagli atti stessi, e questi dagli obietti a cui gli atti sono
rivolti, non potrebbe parlare di atti suoi numericamente distinti da quelli
degli altri individui. Inoltre il soggetto si fa, si crea con i suoi atti, ma
perchè possa farsi e crearsi, occorre che vi sia un principio reale, un dato
iniziale e quindi qualcosa di già fatto. La creazione non è ex nihilo; e la
stessa potenzialità o capacità è concepibile soltanto come inerente a qualcosa
di attuale, come funzione possibile di un essere. Non può, dunque, la coscienza
essere ridotta al mero complesso degli atti e fatti psichici. Ma non può
neppure, d’altra parte, — sostiene il De S., confutando in svariatissime
occasioni la tesi idealistica —, non può neppure essere ridotta a una mera
equazione di pensante e pensato, alla pura relazione formale d’identità tra
conoscente e conosciuto. L’idealismo afferma che la suicoscienza è il grado
supremo dell’evoluzione d’un principio ideale, d’una legge, d’un universale;
quello in cui la realtà, che negli stadi inferiori si presenta come scissa
dall’idea, come essere distinto dal pensiero, come oggetto opposto al soggetto,
rivela invece la sua più intima natura, che è appunto unità e identità di
soggettivo e di oggettivo, di pensante e di pensato, di essere e di pensiero.
Quest’affermazione è per il De S. risultato d’una confusione derivante dal
significato equivoco della parola coscienza. Quando si parla di coscienza e di
suicoscienza, egli dice, bisogna distinguere tra la suicoscienza vera e
propria, fondata sulla capacità che ha l’io di ripiegarsi su se stesso e di
percepire il complesso dei fatti psichici come incentrantisi in un punto; e la
coscienza, in senso largo, come espressione dello speciale rapporto che può
esistere tra l’oggetto e l’io come conoscente. Quanto alla prima, l’equazione
di pensiero e di pensato non è che l’espressione, in termini intellettuali,
d’una esperienza vissuta sui generis, di un fatto che può essere indicato ma
non definito, perchè per sè preso oltrepassa il pensiero, e non può assumere
carattere di necessità razionale. E quanto alla seconda, la identificazione dei
due termini del rapporto conoscitivo non può ottenersi se non sostituendo
all’io empirico il cosi detto io universale o coscienza in generale o io
trascendentale. Ma osserva il De S., o con ciò s’intende quello che è comune
alle menti individuali ; e allora non si vede come si possa distinguere il
soggettivo psicologico dal soggettivo gnoseologico. 0 s’intende qualcosa che
vale indipendentemente da questa o quella coscienza empirica, che esprime il
modo come lo spirito deve operare perchè sia veramente tale, le esigenze
dell’intelligibilità significanti veri e propri compiti impditi da ciò che è
indipendente dal soggetto; e allora non v’è più ragione di parlare di io, di soggetto,
quando la soggettività si è identificata/con la razionalità, con
l’intelligibilità, che è anzi l 'oggetto della conoscenza e del pensiero
pensante. Ma da tale concezione della coscienza come di categoria delle
categorie, questo solo, secondo il De S., si ricava, che la realtà in tanto può
essere conosciuta ed essere compenetrata dal pensiero, in quanto è concepita
essa tessa come implicante pensiero. Il che poi significa che la realtà è fcosì
fatta da imporre certe esigenze alla mente individuale, ossia che nell’obietto
vi è qualcosa atto a provocare il riconoscimento. Ma il passaggio dalla
intelligibilità in quanto esigenza del riconoscimento da parte del soggetto,
alla riduzione della realtà a un processo di autocoscienza, all’affermazione
che nella realtà stessa non si trovi niente di più di ciò che è in noi stessi
quando giungiamo a identificarci e a riconoscerci, non è affatto giustificato.
L’autocoscienza, piuttosto, è già nel fondo della realtà, indipendentemente da
noi: non è dunque l’autocoscienza, quale si presenta negli individui singoli,
l’espressione genuina e compiuta della realtà. Nè vale ammettere
l’autocoscienza come potenzialmente esistente ab aeterno e attuantesi poi negli
individui: si riaffaccia allora quella suprema difficoltà contro cui, come già
si è accennato, urta sempre il pensiero umano, la difficoltà d’intendereA:ome
da ciò che è puramente pensabile, ideale, estratemporaneo, uno, si passi a ciò
che è reale, attuale, temporaneo, contingente, diverso, mutevole. Non è possibile
considerare soggetti molteplici che sono nel tempo e hanno uno sviluppo e sono
direttamente impenetrabili e incomunicabili, come determinazioni,
differenziazioni o sezioni dell’Uno, sol perchè essi hanno il potere di
superarci limiti del tempo idealmente e di elevarsi al mondo della pura
razionalità. E una riprova di questo è l’esistenza dell’errore logico, etico,
estetico che dimostra, come già si è visto, la possibilità d’una discrepanza
fra le funzioni psichiche e le categorie o principii ideali, di qualunque
ordine siano, tra la necessità psicologica e quella deontologica. Questa
distinzione tra la necessità di fatto e la necessità di diritto, tra ciò che è
ed è per opera di un soggetto reale e quel che dovrebbe essere in virtù di
principii razionali, è il presupposto da cui, è naturale, muove più
particolarmente il De S., nelle sue indagini di etica (per cui v. specialmente
VAttività pratica e la coscienza morate e i Principii di scienza etica). Per
lui tutta la vita morale ha il suo fondamento in certi principii valutativi che
si rivelano alla coscienza come forniti d’evidenza immediata analoga a quella
logica: veri e propri assiomi morali, la cui azione pervade le particolari
contingenze della vita pratica. Compiti dell’Etica sono perciò questi: a)
determinare la natura del- Vevidenza pratica (necessità e universalità) e- il
contenuto di queste condizioni essenziali nella vita morale (e per il De S.
tali principii si riducono a quelli della dignità e della perfezione personale,
della giustizia e della benevolenza); — b) porre in luce lo svolgimento storico
di tali principii, in quanto, pur essendo stati sempre operativi, hanno
dispiegato variamente la loro efficacia in relazione con il variare delle
condizioni della civiltà; — c) considerare tutte le istituzioni — per qualunque
via primamente sorte — alla luce degl’ideali etici, come organi dell’attuazione
di essi. II De S., nella trattazione di questi problemi, afferma l’autonomia
dello spirito nel senso che il soggetto è tratto dalla sua stessa natura a dare
l’assentimento a principii superiori al suo io empirico. Egli quindi ammette
una forma di esperienza morale specifica e distinta da ogni altra forma di
esperienza spirituale, scientifica, estetica, religiosa ecc. La specificità di
questa esperienza è la condizione che rende possibile una scienza etica: della
quale egli insiste nel rivendicare l’autonomia e la priorità rispetto a
qualsiasi concezione propriamente metafisica. La Metafisica ha nell’etica una
delle sue basi più solide — e a tal principio è ispirato, come abbiamo visto,
tutto il volume del De Sarlo "Metafisica, Scienza e Moralità „ — ; ma
nessuna teoria morale può, secondo lui, essere costruita alla luce di una
determinata concezione generale dell’universo, piuttosto che sulla base
dell’analisi dell’esperienza morale. Come si vede, di fronte al problema etico
il De S. mantiene fermo quello stesso atteggiamento — che abbiamo più particolarmente
illustrato a proposito del problema gnoseologico — di stretta aderenza
all’esperienza, come tramite traverso il quale soltanto ci si rivela nella sua
efficienza e nella pienezza del suo contenuto ciò è che universale e
razionalmente necessario. A coloro che trovassero troppo modesto il compito
cosi assegnato alla filosofia, il De S opporrebbe volentieri le parole che Kant
scrisse all’indirizzo dei «metafisici» del suo tempo: «Il nostro disegno può
mirare a costruire una torre alta fino al cielo: ma il materiale è appena
sufficiente per una casa, spaziosa tuttavia abbastanza per le occupazioni
nostre sul piano dell’esperienza e alta a sufficienza per abbracciare questa
d’uno sguardo ». E comunque « le alte torri e i grandi metafisici simili ad
esse, intorno a cui (sia le une che gli altri) generalmente spira molto vento,
non sono fatti Der me. Il mio posto è la feconda bassura dell’esperienza, Dalla scuola del De Sarlo uscì ALIOTA (vedasi)
(n. a Palermo nel 1881, ora già da alcuni anni professore di filosofia
nell’Università di Napoli). Iniziò la sua attività di studioso con un volume,
assai apprezzato anche all’estero, su la Misura in psicologia sperimentale,
(Firenze, « Pubblicazioni del R. Istituto di Studi Superiori », 1905). Nel
campo più specificamente filosofico si affermò, oltre che con lavori minori e
con l’attivissima sua collaborazione alla «Cultura Filosofica» del De Sarlo, col
libro: La reazione idealistica contro la scienza (Palermo, 1912), che è una
bella battaglia in difesa del valore della scienza contro tutte le forme
d’intuizionismo, di prammatismo e d’idealismo assoluto, che tendono a svalutare
i concetti scientifici. Il motivo centrale di questa opera è che i concetti
della scienza non sonò un impoverimento della realtà, ma un arricchimento del
mondo dell’intuizione. Il concetto, infatti, non è nello schema convenzionale
che serve a comunicarlo praticamente, e che per se stesso non ha certamente
valore di realtà, ma nella sintesi di esperienze concrete che attraverso quello
schema si realizza e nella quale l’intuizione si eleva ad una superiore
potenza, inquadrandosi in un contesto più largo di relazioni, completandosi con
altre intuizioni che sfuggono alla veduta dell’attimo fuggitivo e ai nostri
sensi limitati. Questo modo d’intendere il concetto scientifico, come processo
d’integrazione dell’esperienza, che non sostituisce l’intuizione e non può
mettersi al suo posto, ma la completa ed arricchisce, già fin dal 1905, nelle
sue prime discussioni col Croce, — ora raccolte nel volume L’estetica del Croce
e la crisi dell’idealismo moderno, Napoli 1917 — l’Aliotta aveva contrapposto
alia teoria dello pseudoconcetto, con la quale il Croce innestava nel
ne^hegelianismo la dottrina del Mach intorno al valore puramente pratico ed
economico dei concetti- E questo motivo di rivendicazione del valore teoretico
della scienza è il nucleo che è rimasto costante nel pensiero dell’Aliotta
anche quando dal teismo delle sue prime Linee d’una concezione spiritualistica
del mondo (« La Cultura filosofica) — comparse poi come conclusioni della
traduzione inglese del suo libro La reazione idealistica contro la scienza (The
Idealistic Reaclion against Science, London, 1917) — egli è passato attraverso
la crisi della guerra mondiale a una concezione pluralistica del mondo. Questa
seconda fase del suo pensiero, che comincia col libro La guerra eterna e il
dramma dell’esistenza (Napoli) e si sviluppa e completa per la parte
gnoseologica nei saggi La teoria di Einstein e le mutevoli prospettive del
mondo (Palermo 1922), Relativismo e Idealismo (Napoli 1922), Il problema di Dio
e il nuovo pluralismo (Città di Castello, 1924), è caratterizzata da un
radicale sperimentalismo, il quale però sia per i principi! da cui muove e le
conclusioni a cui arriva, sia specialmente per gli arditi procedimenti che
segue, si allontana di parecchio dallo sperimentalismo del De Sarto, come sarà
facile scorgere dalla breve esposizione che segue. La realtà, per l’A., è
l’atto stesso di esperienza che ha due aspetti, distinti, ma sempre uniti, il soggettivo
e l’oggettivo. Non posso aver coscienza di me senza distinguermi dal mondo e
dalle altre persone: l’affermazione della mia individualità implica dunque
l’affermazione degli altri individui e del mondo, da cui mi distinguo. Non ha
senso parlare d’un soggetto in sè o d'un oggetto in sè, nè di soggetti come
monadi solitarie fuori di questa relazione. L’io e il mondo e le varie anime
non esistono che nella sintesi concreta dell’esperienza, come momenti,
distinguibili, ma inseparabili, del suo processo. Questa sintesi è, per l’A.,
l’unicovivente modello a immagine del quale possiamo costruire le altre
attività reali che non ci son date all’intuizione immediatamente. E l’atto di
esperienza col suo processo di unificazione e distinzione del soggettivo e
dell’oggettivo, come dell’individuo e delle altre persone, col suo ritmo di
concreta durata e la sua intuizione dello spazio concreto, è l’unica forma a
priori, soggettiva ed oggettiva insieme. Le forme della nostra conoscenza,
dunque, non sono pure apparenze; bensì le forme stesse della realtà che si
svolge, essendo questa appunto il concreto processo dell’esperienza. Questo
processo, per l’A., è inesauribile; non ha nè principio, nè fine. Non ha senso
domandarsi donde sia derivata la esperienza. Ed è originaria la forma della sua
distinzione nella pluralità degli individui; pluralità che non esclude, come abbiamo
già detto, la concreta unità dell’esperienza, perchè nell’atto stesso in cui si
coglie la distinzione, si coglie insieme indissolubilmente l’unità dei termini
distinti. I soggetti d’esperienza son dunque originarli e imperituri nella loro
eterna correlazione. Possono da una forma oscura di vita elevarsi a una forma
più consapevole e chiara, o dalla luce della coscienza discendere nella
penombra, ma non si estinguono mai, non cessano di essere e di agire come
spontanee energie motrici del processo della realtà. Queste attività non sono
originariamente coordinate al raggiungimento d’un fine, allo svolgimento di un
piano razionale che si at- turi nella storia del mondo. La materia corrisponde
alla fase in cui esse si urtano disordinatamente in continui conflitti,
dirigendosi a caso per la loro spontaneità in tutte le direzioni.
Statisticamente ne risultano medie costanti di azioni complessive delle masse;
onde l’apparente inerzia e uniformità della materia. La vita dalle sue forme
più semplici alle più complesse è il coordinarsi di quella attività a un fine
comune, che si raggiunge provando e riprovando attraverso secolari esperimenti
nell’evoluzione biologica e sociale. E l’armonia del mondo non è mai completa,
ma si va ancora realizzando attraverso le più alte funzioni dello spirito:
l’arte, la scienza, la religione e la filosofia, che sono tutte forme diverse
per le quali la vita dell’individuo si integra progressivamente con la vita
degli altri. E le sintesi più alte si raggiungono sempre con l’esperimento: non
c’è nessuna teoria e nessun sistema che possa pretendere una giustificazione a
priori: la dialettica è arbitraria e infeconda. Agli abusi logici dei
neo-hegeliani l’Aliotta contrappone l’assoluto sperimentalismo della sua
dottrina della verità. Il vero non è nella corrispondenza a un modello
oggettivo, sussistente in sè; ma non è neppure nel processo puramente
dialettico del pensiero. Una teoria è vera se le azioni da essa suggerite
riescono a realizzare un superiore accordo delle nostre attività umane e delle
altre innumerevoli energie operanti nel mondo. E questo criterio non vale
soltanto per le teorie scientifiche, ma anche per i sistemi religiosi e filosofici
che debbono sottoporsi anch’essi all’esperimento storico. Non vi sono categorie
immutabili e definitive, nè nel mondo della natura nè in quello dello spirito.
Tutte le forme di sistemazione sono provvisorie e relative. Non c’è una verità
assoluta, ma gradi diversi di verità e realtà, secondo che realizzano forme più
complete e integrali di vita d’esperienza. L’errore, il falso non è quindi
neppur esso tale in senso assoluto; ma è una visione parziale, frammentaria,
unilaterale rispetto a una veduta più alta e più comprensiva. Tutte le
intuizioni individuali, tutte le varie prospettive sono vere e reali, ciascuna
dal suo punto di vista; ma è più vera e reale quella che riesce a coordinarle
in una visione più completa da un punto di vista più alto. E questo non esclude
e cancella i punti di vista inferiori, ma in sè li comprende integrandoli;
dimodoché il progresso verso i più alti gradi di verità è insieme un elevarsi a
una maggiore ricchezza di vita. Nel nostro pensiero è la realtà stessa che si
tormenta nello sforzo di attingere una superiore armonia. Calò (n. a
Francavilla Fontana, in prov. di Lecce) è professore di pedagogia nell’Istituto
di Studi Superiori di Firenze. Rivolse la sua attenzione dapprima ai problemi
morali, ma con preferenza a quelli che più direttamente si connettono a
problemi filosofici d’ordine generale e metafisico. Il suo primo lavoro
importante, infatti, è quello intorno al Problema della libertà nel pensiero
contemporaneo (Palermo, Sandron), che contiene un’analisi molto penetrante e
un’ampia e sottile critica del contingentismo e del prammatismo e di altre
correnti contemporanee come il neo-criticismo renouvieriano; e giunge
all’affermazione del potere di libertà come attitudine propria dello spirito
individuale, presupposto indispensabile della libertà etica; attitudine che si
confonde con la stessa proprietà della coscienza di porsi come un io, cioè come
centro assoluto indeducibile e irreducibiie d’ordinamento della realtà psichica
e insieme d’energia produttrice di fatti. Altri lavori ha dedicato il Calò a
esaminare particolari tendenze dell’etica moderna, come quello su l’
Individualismo etico nel sec. XIX, premiato dall’Accademia Reale di Napoli, un
quadro vasto e vivace delle varie forme d’individualismo affermatesi non
soltanto nella filosofia ma anche nella letteratura del secolo scorso. Di
fronte ad esse il C., mentre afferma l’obiettività e universalità dei valori morali,
riconosce insieme che questi non hanno esistenza concreta nè azione effettiva
se non nella sintesi vivente della personalità, che è per ciò da porre come il
valore etico supremo, come la sola realtà fornita d’intrinseco valore morale.
Queste idee che, nei due citati lavori, costituiscono la conclusione o i
principii ispiratori dell’esame critico di svariati indirizzi dell’etica
contemporanea, furono poi sviluppate e sistemate, in forma di trattazione
teorica della coscienza morale, nel volume Principii di Scienza etica (Palermo,
Sandron), preparato insieme col De Sarlo e scritto dal C. In esso si illustra
la specificità e l’immediatezza dell’esperienza morale attraverso la quale si
rivelano i principii etici fondamentali, contro tutte le teorie che vogliono
ridurre la necessità ideale a necessità d’altro genere — al che il C. ha dedicato
anche altri scritti minori, tra cui notevole il saggio su L’in- terpretàzione
psicologica dei concetti etici (in « Atti del V Congresso Internazionale di
psicologia » Roma) — . Vi sono inoltre definiti nel loro contenuto gli
oggetti-fini dell’attività umana, il cui va- ìore intrinseco è connaturato
all’esperienza etica. Ed è dato infine particolare sviluppo all’evoluzione
storica dei principii morali, la quale si fa consistere dal C. — come,
l’abbiamo visto, dal De S. — nel successivo chiarirsi e purificarsi di quei
principii da elementi extramorali o paramorali; nella loro più rigorosa e
coerente esplicazione, resa possibile dallo sviluppo, oltre che della
sensibilità e della discriminazione etica, della cultura e del pensiero ; nella
successiva soluzione dei conflitti nei quali essi a volte vengono a trovarsi, e
nello sforzo sempre meglio riuscito di armonizzarli in valutazioni sintetiche;
nella estensione della loro applicazione a una sfera di realtà sempre più
larga. Pur occupandosi di problemi etici, il C. non ha mancato di portare il
suo contributo ad altri campi di discipline filosofiche (notevoli, p. es., i
suoi studi sulla dottrina del Brentano intorno al giudizio tetico e intorno
alla classificazione dei processi psichici, e parecchi saggi storici e critici
sul Boutroux, sul Bergson, sull’Allievo, sul Naville, sul Ladd, ecc.). Da
questi studi risulta che il C. è un seguace dello spiritualismo realistico, e
concorda sostanzialmente, in metafisica e gnoseologia, con le idee sopra
esposte del De Sarlo. Voltoli alla Pedagogia, il C. ha lavorato sulle medesime
basi. In questo campo i suoi principali lavori sono: La Psicologia dell'attenzione
in rapporto alla scienza educativa (Firenze, Tip. Cooperativa); Fatti e
problemi del mondo educativo (Pavia, Mattei e Speroni); Il problema della
coeducazione e altri studi pedagogici (Roma, Soc. ed. D. Alighieri);
L'educazione degli educatori. (Napoli, Perrella); Dalla guerra mondiale alla
scuola nostra (Firenze, Bemporad); per non citare i suoi scritti minori, specie
di storia della pedagogia, come quelli sul Lambruschini e sul Rousseau,
premessi ai volumi di questi autori, da lui stesso curati, nella Biblioteca
pedagogica ch’egli dirige presso l’editore Sansoni. Il valore e il carattere
dell’opera pedagogica del Calò furono E. PAOLO LAMANNA rilevati, con giudizio
non sospetto, dal Codignola, che nel 1916 affermò essere il Calò « il più serio
avversario della pedagogia idealistica in Italia » (1). Invero, il C., mentre
ammette una filosofia dell’educazione e ne riconosce la fecondità,' non crede
peraltro, come l’idealismo sostiene, che la dottrina dell’educazione si riduca
a filosofia. Vi sono metodi relativi allo sviluppo delle attività psichiche,
sia in sè stesse sia in rapporto con quelle organiche, i quali non possono non
essere ricavati direttamente dalla conoscenza della realtà psichica e delle sue
leggi, quali si offrono all’esperienza e alla sperimentazione; vi sono norme
educative che si ricavano dalla determinazione dei fini etici dell’attività
umana, considerati in rapporto al progressivo potere d’attuazione del
fanciullo; vi sono infine tipi e norme didattiche che si ricavano
dall’esperienza storica e da necessità storiche. Per il C., perciò, la
pedagogia non può trovare la sua sicura costituzione e la sua vera fecondità di
vedute e di applicazioni che in una concezione la quale, correggendo e
integrando, riprenda la posizione herbartiana e consideri le leggi psicologiche
in funzione delle finalità etiche. L’educazione è per lui pur sempre fatto
essenzialmente spirituale, che si distingue da ogni altra forma di sviluppo o
di perfezionamento in quanto vi collabora la libera attività del soggetto educando,
e porta a un sempre più pieno uso della propria libertà e all’acquisto sempre
più consapevole di valori intrinseci alla persona. Ciò che il C. nega è che
l’azione educativa si definisca per questo solo rispetto e sussista
indipendentemente da ogni forma di eteronomia: là dove i’eteronomia svanisce
ovvero si riduce a pura materia della libera determinazione del soggetto, si ha
l’attività etica strettamente intesa, non più il processo educativo. Per la
tendenza a psicologizzare il metodo, l’educazione appare al C. come un processo
di formazione nel quale le attività del soggetto e la forma valgono anche più
dei contenuto, degli oggetti, della materia del sapere o dell’operare, e gl
'interessi, nel senso her- bartiano, sono le forze che si tratta di nutrire e
di promuovere in (1) Kant nella storia della pedagogia e dell'etica, Napoli. —
Nonostante ciò o forse appunto per ciò —
il Codignola, facendo la storia della pedagogia italiana contemporanea (nel
libro Monroe Codignola, Breve corso di storia dell’educazione, voi. II,
Vallecchi, Firenze, p. 284), si è contentato di accennare al Calò ponendolo
accanto a G. M. Ferrari, come seguace di un «indirizzo spiritualistico
eclettico»; — e questo raccostamelo come questa caratterizzazione sono stati
poi echeggiati dal Saitta nel suo Disegno storico della educazione, Bologna,
Cappelli. modo da creare la personalità più viva e compiuta e armonica. Perciò
egli ha insistito sui diritti della cultura Jormale, senza peraltro porre nel
nulla il valore degli acquisti concreti (conoscenze e abilità), come vorrebbe
fare un certo formalismo e subiettivismo pedagogico superficiale. Ha mostrato
la rispettiva necessità e insostituibilità della cultura umana e storica e di
quella realistica e scientifica. Ha rivendicato l'esigenza d’un’educazione
religiosa, elementare e aconfessionale prima, storica poi nella scuola,
confessio- sionale nella famiglia. Infine dalla legge della storicità come
aspetto essenziale dell’anima umana, egli deduce l'immanenza dell’idea di
patria alla vita dello spirito e quindi alla sua educazione. Questa perciò non
può, secondo il C., non essere nazionale, non può cioè non curare che ideali di
cultura e di moralità traggano dalla tradi zione storica e dalla organizzata
esperienza del fanciullo forma e colore che ne facciano, traverso le coscienze
individuali, elemento di vita, di coesione, di prosperità della società
nazionale. E perciò, in tutto quel che abbia riflessi e importanza per questo
fine, l’istruzione, l’educazione, la scuolà non possono non costituire ufficio
e dovere dello Stato, che è coscienza suprema, organizzazione unitaria,
garanzia conservatrice della vita della nazione. Alla luce di questa concezione
il C. ha discusso — e non soltanto in sede scientifica, ma anche in Parlamento,
dove egli ha seduto per due legislature — problemi concreti, come quello dell’ordinamento
della Scuola media, della preparazione magistrale, della riforma universitaria,
dei rapporti tra scuola e famiglia, della coeducazione ecc., mostrando sempre
lucidità e prontezza di visione dei termini essenziali di ogni problema e dei
rapporti di esso con i principii dottrinari generali, calore vivace e
penetrazione nelle proposte di soluzioni. Lamanna (n. a Matera, in Basilicata,
professore di filosofia nell’Università di Messina) ha spiegato la sua attività
nel campo della filosofia della religione, dell’etica, e della filosofia del
diritto e della politica. Dopo alcuni studi minori sulle dottrine religiose
dello Schleier- macher, del Pfleiderer e delle scuole sociopsicologiche più recenti,
pubblicò un volume su La religione nella vita dello spirito, (Firenze, La
«Cultura Filosofica), nel quale, attraverso un ampio esame critico dei
principali indirizzi di filosofia religiosa del sec. XIX, da Kant a Blondel e a
James, si sforza di determinare quale è per lui l’essenza della religione,
intesa questa essenza come il sostrato spirituale di tutte le forme storiche
della religione, come il principio dinamico informante e determinante
l’evoluzione della vita religiosa attraverso i secoli. Per il L. la religiosità
è elemento essenziale e perenne della vita spirituale umana: è un’esigenza
irriducibile alla coscienza dell’ideale (conoscitivo o estetico o morale),
sebbene nella coscienza dell’ideale, o, meglio, nella coscienza
dell’universalità e necessità dei valori costitutivi degli ideali immanenti
allo spirito, essa trovi la sua radice. In ogni atto spirituale v’è la
rivelazione, fatta a un’autocoscienza individuale, di qualcosa d 'assoluto
(universalità e necessità dei prin- cipii della ragione, intesa questa nel suo
senso più ampio) e, insieme, di qualcosa di relativo (elementi naturali,
particolaristici e contingenti, nei quali l’universale e il necessario volta a
volta si determina, ma sempre inadeguatamente). La natura stessa della razionalità,
la quale o è tutto o è nulla, o è universale o è una fantasmagoria, determina
nell’uomo l’aspirazione ad attuare pienamente in sè e ad estendere a tutto
l’universo il dominio dell’Assoluto. Ma, d altra parta, la presenza del
«relativo» dimostra per un lato che l’oggetto della razionalità, il vero, il
bene, il bello è indefinito, e contingente e parziale e continuamente
minacciato ne è, per l’attività umana, il possesso; e per l’altro lato che
nella realtà v’è qualcosa che non dev essere, qualcosa di anormale, di opposto
alla razionalità. Da questa situazione tragica lo spirito si libera mercè la
credenza in Dio, come fondamento reale di quello che nell’uomo è ideale, che
spiega, per una parte, la validità delle leggi ideali costitutive della
razionalità, e garantisce, per l’altro, l’indefinita attuabilità di esse,
nonostante l’inadeguazione ad esse della realtà empirica. Dimostrare come
dall’esercizio stesso delle funzioni fondamentali dello spirito scaturisca
necessariamente l’idea di Dio, nell’affermazione che quel che dev’essere è,
quel che pér noi è soltanto un ideale, ha già la sua piena attuazione in una
sfera trascendente di realtà, questo è il termine a cui tendono le
dimostrazioni del volume del L. I problemi morali sono stati dal L. esaminati
specialmente nei due volumi II sentimento del valore e la morale criticistica
(Firenze) e II fondamento morale della politica secondo Kant (Firenze), a cui
si collegano studi minori, Il bene per il bene, L’amoralismo politico,
L'esperienza giuridica, Il diritto correlativo al dovere nell’idea di bene. In
quei due volumi si prende lo spunto dall’esame critico della dottrina Kantiana,
rilevandovi il contrasto, così tra il principio dell’autonomia e le conclusioni
rigoristiche dell’etica in generale, come tra le premesse idealistiche e
democratiche e alcune conclusioni assolutistiche e realistiche della morale
politica; e si dimostra che quel contrasto è conseguenza necessaria del
formalismo nella determinazione dell’ideale e del pessimismo nella
considerazione della realtà, inquanto, ipostatizzata la legislazione autonoma
nella volontà in sè e nella respublica noumenon, Kant vede nella realtà
individuale e sociale null’altro che inclinazioni al male e giuoco meccanico di
passioni. Da questi rilievi e dimostrazioni di carattere storico il L.. prende
occasione per affermare la necessità di un tramite che, eliminando il dualismo
tra l’ideale e il reale, renda possibile la compenetrazione di questo da parte
di quello. E siffatto tramite egli trova nella caratteristica funzione della
valutazione morale, rivelante con evidenza immediata oggetti della volontà
forniti d’intrinseco valore (beni universali e necessari), nell’amore attivo
per i quali si costituisce come valore supremo la personalità, e nella cui
indefinita attuabilità attraverso il succedersi delle generazioni è posta la
possibilità del progresso morale e della unificazione spirituale sempre più
piena della specie umana. Alla luce di questo principio il L.: 1) riconduce
nell’ambito della nozione di dovere —caratteristica dell’esperienza morale —
anche quegli elementi che in opposizione al rigorismo kantiano son posti in
rilievo nella concezione morale dell’* anima bella» (Schiller e Fics), a
proposito della quale egli fa un ampio esame dei rapporti tra la funzione etica
e quella estetica. 2) Illustra l’ordinamento giuridico come tecnica per
l’ordinamento morale: confutando i tentativi di ridurre il diritto a qualche
concetto estramorale, ne trova la radice nell’idea di bene morale e nella
correlatività al concetto di dovere, in quanto l’idea di lecito scaturisce
dalla coscienza della legittimità di respingere il limite e l’ostacolo —
postoda altri individui — all’attuazione di un bene conforme a un principio
etico riconoscibile anche da questi ultimi: onde la conclusione che se il
contrasto è occasione per l’insorgenza della coscienza del diritto, la sostanza
ideale di questo è Varmonia, Y accordo-, e da questo punto di vista sono
idealmente giustificati gli elementi empirici costitutivi della giuridicità
(potere supremo e coattività). Afferma, infine, la sovranità della morale in
politica, mostrando come, entro l’amb'to stesso di una rigorosa moralità politica,
possano essere pienamente sodisfatte quelle esigenze alle quali l’amoralismo
politico dà il massimo rilievo; e dimostra, rimettendo in valore alcuni
elementi delle concezioni giusnaturalistiche, il valore deontologico e il
concetto ideale di certe nozioni della coscienza politica moderna (come volontà
generale, contratto originario, società dei popoli ecc.). ENZO Bonaventura,
libero docente e incaricato di psicologia nell’Istituto di Studi Superiori di
Firenze e assistente del De Sarlo nel Laboratorio di psicologia sperimentale,
dopo alcuni scritti minori di psicologia e di logica, pubblicò un grosso volume
su Le qualità del mondo fisico: studi di filosofia naturale (Firenze, «
Pubblicazioni del R. Ist. di St. Sup. », 1916), in cui i dati della fisica,
della chimica, della fisiologia non dirò solo che siano largamente utilizzati,
ma costituiscono addirittura la base per la soluzione del problema, se sia o no
possibile spiegare le differenze qualitative tra le diverse energie fisiche
riducendole ad un unico tipo di energia: problema che il B. risolve in modo
negativo, dimostrando che la riduzione delle molteplicità qualitative delle
energie fisiche ad un’unica forma nel senso del meccanismo e di taluni
indirizzi energetici, è illusoria. Posteriormente egli ha volto la sua attività
più in particolare agli studi e alle ricerche di psicologia, compiuti, nel
laboratorio diretto dal De Sarlo, coi metodi rigorosi propri della psicologia
moderna; ma la ricerca psicologica sebbene abbia anche, per lui, un valore in
sè stessa, come ricerca scientifica, e un valore sociale, per le sue
applicazioni, è stata ed è sempre, nell’economia dal suo pensiero, il punto di
partenza e di appoggio per salire verso la filosofia. Tra i problemi
psicologici, oltre ad alcune questioni di metodo (come queile del valore
dell’introspezione e- delle sue illusioni, a cui è dedicato il volume
intitolato appunto Ricerche sperimentali sulle illusioni dell'introspezione,
Firenze), quello che lo ha più attratto e su cui ha più lavorato, è il problema
della percezione, concepita come elaborazione intellettuale dei dati sensoriali,
e in ispecie della percezione dello spazio e del tempo: problema che da un lato
connette la ricerca psicologica con concezioni d’importanza fondamentale per la
fisica e per la matematica, dall’altra forma il punto centrale della teoria
della conoscenza. Intorno a questo problema egli ha lavorato da vari anni, sia
sottoponendo a revisione critica tutto il lavoro sinora compiuto
sull’argomento, sia compiendo egli stesso ricerche sperimentali per chiarire
quei punti che ancora gli sembravano non abbastanza illuminati. Alcune di
queste ricerche (concernenti l’attività del pensiero nella percezione tattile
dello spazio; i mezzi coi quali si stabilisce e i limiti entro i quali si
contiene l’accordo tra dati spaziali visivi e dati spaziali tattili; le
illusioni ottico-geometriche; l’importanza dei giudizi spaziali visivi nella
psicofisica) sono state già pubblicate in Riviste di psicologia italiane e
straniere; ma la somma di tutte le ricerche e di tutti gli studi costituisce un
grosso volume — già pronto, ma ancora inedito —, in cui il problema psicologico
dello spazio e del tempo e le conseguenze filosofiche che ne scaturiscono, sono
trattati in tutti loro asp Lamanna (n. a Matera, in Basilicata, professore di
filosofia nell’Università di Messina) ha spiegato la sua attività nel campo
della filosofia della religione, dell’etica, e della filosofia del diritto e
della politica. Dopo alcuni studi minori sulle dottrine religiose dello
Schleier- macher, del Pfleiderer e delle scuole sociopsicologiche più recenti,
pubblicò nel 1914 un volume su La religione nella vita dello spirito, (Firenze,
La «Cultura Filosofica), nel quale, attraverso un ampio esame critico dei
principali indirizzi di filosofia religiosa del sec. XIX, da Kant a Blondel e a
James, si sforza di determinare quale è per lui l’essenza della religione,
intesa questa essenza come il sostrato spirituale di tutte le forme storiche
della religione, come il principio dinamico informante e determinante
l’evoluzione della vita religiosa attraverso i secoli. Per il L. la religiosità
è elemento essenziale e perenne della vita spirituale umana: è un’esigenza
irriducibile alla coscienza dell’ideale (conoscitivo o estetico o morale),
sebbene nella coscienza dell’ideale, o, meglio, nella coscienza
dell’universalità e necessità dei valori costitutivi degli ideali immanenti
allo spirito, essa trovi la sua radice. In ogni atto spirituale v’è la
rivelazione, fatta a un’autocoscienza individuale, di qualcosa d 'assoluto
(universalità e necessità dei prin- cipii della ragione, intesa questa nel suo
senso più ampio) e, insieme, di qualcosa di relativo (elementi naturali,
particolaristici e contingenti, nei quali l’universale e il necessario volta a
volta si determina, ma sempre inadeguatamente). La natura stessa della razionalità,
la quale o è tutto o è nulla, o è universale o è una fantasmagoria, determina
nell’uomo l’aspirazione ad attuare pienamente in sè e ad estendere a tutto
l’universo il dominio dell’Assoluto. Ma, d altra parta, la presenza del
«relativo» dimostra per un lato che l’oggetto della razionalità, il vero, il
bene, il bello è indefinito, e contingente e parziale e continuamente
minacciato ne è, per l’attività umana, il possesso; e per l’altro lato che
nella realtà v’è qualcosa che non dev essere, qualcosa di anormale, di opposto
alla razionalità. Da questa situazione tragica lo spirito si libera mercè la
credenza in Dio, come fondamento reale di quello che nell’uomo è ideale, che
spiega, per una parte, la validità delle leggi ideali costitutive della
razionalità, e garantisce, per l’altro, l’indefinita attuabilità di esse,
nonostante l’inadeguazione ad esse della realtà empirica. Dimostrare come
dall’esercizio stesso delle funzioni fondamentali dello spirito scaturisca
necessariamente l’idea di Dio, nell’affermazione che quel che dev’essere è,
quel che pér noi è soltanto un ideale, ha già la sua piena attuazione in una
sfera trascendente di realtà, questo è il termine a cui tendono le
dimostrazioni del volume del L. I problemi morali sono stati dal L. esaminati
specialmente nei due volumi II sentimento del valore e la morale criticistica
(Firenze) e II fondamento morale della politica secondo Kant (Firenze), a cui
si collegano studi minori, Il bene per il bene, L’amoralismo politico,
L'esperienza giuridica, Il diritto correlativo al dovere nell’idea di bene. In
quei due volumi si prende lo spunto dall’esame critico della dottrina Kantiana,
rilevandovi il contrasto, così tra il principio dell’autonomia e le conclusioni
rigoristiche dell’etica in generale, come tra le premesse idealistiche e
democratiche e alcune conclusioni assolutistiche e realistiche della morale
politica; e si dimostra che quel contrasto è conseguenza necessaria del
formalismo nella determinazione dell’ideale e del pessimismo nella
considerazione della realtà, inquanto, ipostatizzata la legislazione autonoma
nella volontà in sè e nella respublica noumenon, Kant vede nella realtà
individuale e sociale null’altro che inclinazioni al male e giuoco meccanico di
passioni. Da questi rilievi e dimostrazioni di carattere storico il L.. prende
occasione per affermare la necessità di un tramite che, eliminando il dualismo
tra l’ideale e il reale, renda possibile la compenetrazione di questo da parte
di quello. E siffatto tramite egli trova nella caratteristica funzione della
valutazione morale, rivelante con evidenza immediata oggetti della volontà
forniti d’intrinseco valore (beni universali e necessari), nell’amore attivo
per i quali si costituisce come valore supremo la personalità, e nella cui
indefinita attuabilità attraverso il succedersi delle generazioni è posta la
possibilità del progresso morale e della unificazione spirituale sempre più
piena della specie umana. Alla luce di questo principio il L.: 1) riconduce
nell’ambito della nozione di dovere —caratteristica dell’esperienza morale —
anche quegli elementi che in opposizione al rigorismo kantiano son posti in
rilievo nella concezione morale dell’anima bella» (Schiller e Fics), a
proposito della quale egli fa un ampio esame dei rapporti tra la funzione etica
e quella estetica. 2) Illustra l’ordinamento giuridico come tecnica per
l’ordinamento morale: confutando i tentativi di ridurre il diritto a qualche
concetto estramorale, ne trova la radice nell’idea di bene morale e nella
correlatività al concetto di dovere, in quanto l’idea di lecito scaturisce
dalla coscienza della legittimità di respingere il limite e l’ostacolo —
postoda altri individui — all’attuazione di un bene conforme a un principio
etico riconoscibile anche da questi ultimi: onde la conclusione che se il
contrasto è occasione per l’insorgenza della coscienza del diritto, la sostanza
ideale di questo è Varmonia, Y accordo-, e da questo punto di vista sono
idealmente giustificati gli elementi empirici costitutivi della giuridicità
(potere supremo e coattività). Afferma, infine, la sovranità della morale in
politica, mostrando come, entro l’amb'to stesso di una rigorosa moralità politica,
possano essere pienamente sodisfatte quelle esigenze alle quali l’amoralismo
politico dà il massimo rilievo; e dimostra, rimettendo in valore alcuni
elementi delle concezioni giusnaturalistiche, il valore deontologico e il
concetto ideale di certe nozioni della coscienza politica moderna (come volontà
generale, contratto originario, società dei popoli ecc.). MATHIEU STORIA DELLA FILOSOFIA, MONNIER. La filosofia italiana: idealismo, anti-idealismo,
spiritualismo, MONNIER, FIRENZE. Accettando di condurre a termine un'opera altrui,
mi sono assunto una responsabilità
assai grave. Non l'avrei fatto se
la storia della filosofia di L. non è
giunta già così innanzi da richiedere questo completamento come quasi indispensabile, e
se le carte
manoscritte, fatte trascrivere
diligentemente dalla Signora Edvige,
non mi avessero
offerto una trattazione
già perfetta di
una parte considerevole
del periodo scoperto.
In una storia
generale della filosofia,
composta in Italia,
lasciar fuori tutta
la filosofia italiana
del Novecento sarebbe
stata ima lacuna
grave: basti pensare
alle posizioni radicali
di un Gentile
o di un Carabellese, che
non trovano riscontro
in tutto l'arco
restante del pensiero.
Per di più
il piano del
lavoro, quale si
era andato progressivamente definendo nella
mente del Lamanna
durante una vita
dedicata in gran
parte alla ricerca
storica, si allargava
a mano a
mano che si
avvicinava a noi.
Infatti i capitoli
già pronti, sull'eredità
filosofica dell'Ottocento italiano,
erano proporzionalmente i
più, estesi di
tutta l'opera. Ciò
significava che la
parte rimasta fuori
sarebbe stata ancor più
cospicua di quanto
il paragone con
le parti già
stampate lasciasse pensare. Certo, riprendendo
il filo interrotto,
non potevo presumere
di rimediare alla
perdita che aveva
rappresentato per gli
studi la morte
di Eustachio Paolo
Lamanna, ma potevo
sperare di ridurre
in qualche misura
il danno. La
trattazione già svolta
non poteva, infatti,
uscir monca; e,
d'altro canto, sarebbe
stato colpevole verso
il pubblico lasciarla
inedita, per l'impegno che
lo storico vi
aveva posto e
per V esperienza viva e
diretta degli autori
e delle dottrine:
un'esperienza che, per
quel periodo, nessuno
più, avrebbe potuto
acquisire. Così gli
ultimi due volumi
di questa Storia
della filosofia, che,
per la loro
mole e per
il loro argomento,
possono fungere anche da
trattazione autonoma, portano
il mio nome
accanto a quello
di L. Ho
cercato, per quanto
potevo, di uniformarmi
al tono delle
parti già svolte,
che, salvo un
paio di aggiornamenti, non
ho più toccate.
Esse sono: nel
volume I, le
prime due sezioni
del capitolo XXX,
salvo i §§
6, 8, 11-13, le
prime due sezioni
del capitolo XXXI
e la prima
sezione del capitolo
su Croce; nel
volume II, il
capitolo sull'Abbagnano. Di tutto
il resto la
responsabilità è mia.
Avermela data è stata
una grande prova
di fiducia da
parte dell'editore e dei
due amici che si son
presi cura delle
Opere complete di
Lamanna presso Le
Monnier: Domenico Pesce
e Pietro Piovani,
a cui son
grato anche per
l'aiuto e i
consigli datimi. Mathieu. Nel quadro
panoramico deUe correnti
di pensiero che
si delineano in Italia
negli anni di
transizione dall'Otto al
Novecento, fa spicco il
movimento positivistico, sia
per ampiezza dell'area
di diffusione, sia
per profondità di
forza penetrativa. Questo movimento
si caratterizza non
per unità di
Unità di procontenuto dottrinale, ma
per programma di
lavoro e metodo
s^'^"^^"di
ricerca: nel continuo
contatto con l'esperienza
concreta e nel
riferimento ai fatti
accertati o accertabili,
la filosofìa ha
la sua ragione,
e il suo
alimento vitale nello
stabilire una essenziale
inscindibile connessione, con
le scienze particolari,
di cui è
matrice costante e
coronamento finale. E
cioè la filosofia:
i) da un
lato si pone
come principio La
filosofia propromotore di
quel processo di
speciale spiritualizzazione del
^1°^^^ il sapere.
sapere a cui
sono dovuti i
meravigliosi progressi deUa
moderna conoscenza deUa natura,
come graduale profilarsi
entro un indistinto
nebuloso di concetti
problematici, ognuno dei
quah, sempre più
distinguendosi dagh altri,
diventa nucleo di un
particolare organarsi di
un settore di
ricerche; 2) e,
dall'altra parte si
pone come organizzazione logica
dei risultati dei
vari settori del
sapere. Cap. XXX. Positivismo e
correnti affini Naturalismo. Soggetto
e oggetto come insiemi
di sensazioni. Per
l'uno e per
l'altro rispetto, la
filosofia positivistica italiana
rivendica la qualifica
di filosofia scientifica.
E Rivista di
filosofia scientifica s'intitola
quella che tra fu l'organo
di questo movimento,
fondato e diretto
da Enrico Morselli,
professore di psichiatria
nell'Università di Torino,
e a cui
collaborarono, accanto a
cultori di discipUne
più specificamente filosofiche,
scienziati che godevano
di alta fama,
particolarmente nei campi
della fisica, della
biologia e dell'antropologia. Tra
essi emergeva, universalmente riconosciuto
da tutti duce
e maestro, la
figura di Roberto
Ardigò. Proprio in
quegli anni egli
veniva compiendo la
costruzione di un edificio
speculativo nel quale
il positivismo italiano
trovò l'espressione più fedele
dei propri caratteri
e l'indicazione più
articolata dei propri compiti.
La sua vuol
essere una visione
della realtà rigidamente
naturalistica: non c'è
nessuna forma d'essere
che non sia
originata dalla natura
e non sussista
nella natura, intesa
semplicemente come la
totaHtà infinita dei
fatti d' esperienza. E
il fatto d'esperienza
fondamentale assolutamente originario
è la sensazione.
Questa è, sì, coscienza,
ma di
nient' altro coscienza che di sé,
non implicante, quindi, una
duahtà per cui
essa sia contrapposta
come soggettiva a
qualcos'altro che sia
l'oggetto: la sensazione come coscienza
di sé stessa
non é né
soggetto, né oggetto.
Certo la distinzione
soggetto-oggetto trova posto
nell'esperienza, ma non
è un fatto
primitivo rispetto all'atto
della sensazione, «
non anteriore e
trovata primitivamente in
sé dalla coscienza,
ma posteriore e
costruita a poco
a poco nella
medesima per via
dello stesso processo
conoscitivo », Chi
considera primitiva e
originaria quella distinzione
è portato a
trasformarla in un
duahsmo metafisico, per
cui soggetto e
oggetto implicano sostrati
eterogenei, l'uno spirituale, l'altro materiale,
e si contrappone
l'io come sostanza
spirituale alla cosa
fisica, un mondo
interiore a un
mondo esterno, ciò
che rende insolubile
il problema della
conoscenza come rapporto tra
queste due entità
eterogenee. Il fatto
originario dell'esperienza, ripetiamo,
é la sensazione:
Il positivismo ardigoiano
e la sua
crisi 5 e
questa è indifferenziata, non
è soggettiva più
che oggettiva, o
viceversa. Soggetto e
oggetto non sono
che aggruppamenti o
sintesi di sensazioni,
differenziantisi secondo la
specificazione degli organi di
senso (sensi intemi
e sensi estemi)
e secondo la
stabiHtà e costanza
o la accidentahtà
e intermittenza delle attività
sensoriali. Si ha
cosi l'auto-sintesi (io
o mondo psichico)
e l'etero-sintesi (il
non-io o mondo
fisico) : con
che, in verità,
la differenziazione che si intendeva
spiegare, è semphcemente
presupposta. Spirito e
materia non sono
opposte entità metafisiche,
ma astrazioni significanti alcuni caratteri
generali propri rispettivamente dei
fenomeni interni e
di quelli estemi.
Il che non
esclude, tuttavia, con scarsa
coerenza che si
possa parlare di
un monismo psico-fisico,
e che si
ricada anche nell'ingenuo
dogmatismo materiaUstico, che
del fenomeno psichico
pone come causa
necessaria il fatto
fisiologico della vibrazione
nervosa e giunge,
col Taine, a
considerare l'intelligenza come
una funzione dell'organismo. Il
principio ardigoiano dell'assoluta originarietà della
Non c'è un sosensazione come
fatto costitutivo dell'esperienza, ossia
della ^^.''^'° f^^ ' '
gtamenh. realtà immediatamente vissuta
nella coscienza, esprime
in termini psicologici
il principio metafisico
che riduce il
mondo a un
processo di formazione
naturale, ossia a
una continua serie
di cangiamenti, che
non presuppone alcun
sostrato permanente (antisostanziahsmo) ma
consiste nello scaturire
necessario di un
nuovo stato o
momento attuale dell'essere
dagH stati o
momenti anteriori, in
virtù di forze
insite in questi
stati antecedenti. E
la struttura di
un tal processo
universale del divenire
si offre intuitivamente nel
fatto fondamentale della sensazione:
l'esperienza nella sua
immediatezza si costituisce nel
necessario passaggio daUa
unità indifferenziata del sentire
originario nella duaUtà
soggetto oggetto. Ebbene,
il divenire della
realtà risulta appunto
come un processo
nel quale la
moltepHcità delle forme
di essere che
il pensiero apprende
come distinte emergono
continuamente da un indistinto
nel quale quel
moltepHce trova la
sua unità e
la sua condizione.
Non che in
questa inter prelazione
della « formazione
naturale » l'indistinto
venga contrapposto al
distinto in modo
assoluto: l'indistinto è
tale solo relativamente, cioè
rispetto ai distinti
che esso vale
a spiegare; ma
ognuno di questi
distinti sollecita aUa
sua volta ulteriori
distinjzioni di cui
esso figura come
l'unione sintetica, e
quindi come indistinta.
Il processo di
formazione naturale come
emergenza dei distinti
dall'indistinto, è infinito: se
i distinti sono
finiti, infinito è
l'indistinto in seno
al quale e
ad opera del
quale essi si
generano. E per
questo rispetto il
naturalismo ardigoiano s'ispira
a quello rinascimentale, rivela l'affinità
del suo concetto
d'indistinto con quello
bruniano d'infinito e
respinge ogni interpretazione trascendente
del principio generatore
e unificatore del
reale, sia del
tipo dell'inconoscibile spenceriano
[l'indistinto è semplicemente r «
ignoto », ossia
ciò che non
è ancora conosciuto, appunto perchè
ancora privo di
quelle intrinseche distinzioni
che rendono possibile
il conoscere) sia
del tipo del
noumeno kantiano (l'unità
sintetica del molteplice
fenomenico è appunto l'indistinto
immanente ai distinti
e fenomenico al
pari di questi).
Universo infiIn questa
tipica struttura di « formazione
naturale » è
concepito dall' Ardigò l'universo,
come tutto infinito,
le cui parti
non sono entità
semplici, elementi fissi,
ma sono «
ritmi » d'esperienza,
ossia forme speciaU
di regolarità nella
successione dei fatti, costantemente
ricorrenti e unificantisi
in quel ritmo
dei ritmi che
è l'ordine razionale
deUa natura. Quest'ordine
presenta caratteri che
possono apparire opposti e
anche contraddittori, ma
che nella riflessione
filosofica dell' Ardigò tendono
a conciMarsi, anche
se non sempre
il risultato risponde
pienamente al proposito.
Così, ad esempio,
l'universale ritmicità comporta
una rigida necessità
causale in tutte
le formazioni naturah,
ma questa determinazione non
esclude la casuahtà.
L'universo comporta una
infinità di ordini
possibili: il verificarsi
effettivo di uno
di essi e
il determinarsi in
seno ad esso
di essenze causali
necessarie, non ha
nulla di necessario
e predeterminato, è
il prodotto di
combinazioni la cui
fortuita rende imprevedibile
il corso nito.
Il positivismo ardigoiano
e la sua
crisi 7 degli
eventi. Analogamente, la
necessità che genera
e domina l'ordine cosmico,
è necessità rigidamente
mnemonica, sì che
ciò che di più meraviglioso
essa presenta è per Ardigò
il fatto che
« la diversità
prodigiosa delle cose
che compongono la natura
e la varietà
inesauribile delle forme
che vi si
vanno continuamente sostituendo
è il risultato
di un lavoro
semphcemente meccanico, cioè
di nuli' altro che
certi impulsi, dati
e ricevuti ».
Ma nel tempo
stesso l'ordine comporta anzi
esige una spontaneità
della forza per
la quale il
processo di distinzione
risulta un vero e proprio
processo creativo, inconcihabile
col meccanicismo puro,
che vede nel
divenire cosmico un
complesso di trasformazioni dell'essere
per sé stesso
non suscettibile di
creazione o distruzione.
E Meccanicismo questa
duplice faccia che
nel positivismo ardigoiano
pre« '^^t^deterimmsenta
l'ordine cosmico, la
faccia meccanicistica e
quella antideterministica o
contingentistica riappare nell'antitesi
tra la tendenza
a interpretare lo
sviluppo cosmico come
un semphce accrescimento
quantitativo e a
cercare il segreto
delle forme più
complesse e derivate
in strutture più
primitive e povere di
determinazioni e la
tendenza opposta a vedere
nel divenire cosmico
un processo dinamico
di ascensione dell'essere in
forme sempre più
ricche di realtà,
in sistemi ritmici
forniti di un
grado di autonomia
sempre più elevato.
Questo contrasto tra
le due istanze
appare in più
cruda luce quando
oggetto della riflessione
filosofica è l'uomo
e il mondo
umano : esso
s'inserisce nell'ordine cosmico
senza romperne l'unità
e continuità col
mondo fisico: formazione naturale è
la vita della
coscienza, quale è
indagata dalla psicologia
come scienza positiva,
come scienza di
fatti dominati dal
meccanismo psichico; formazione
naturale è la
società nella quale
gh uomini formano
sé stessi e
costruiscono la propria storia;
formazione naturale la
coscienza delle ideaHtà
superiori etiche, giuridiche,
rehgiose, estetiche,
scientifiche che regolano
e promuovono l'operare
umano. Ma queste
formazioni naturah si
presentano nel cosmo
con connotazioni speciah
che rendono esasperantemente problematica la
inseribihtà dell'umano nel
monismo naturalistico:
problematica è la
derivazione, per meccanismo
psichico, dei poteri
intellettuali dalla sensibilità
e del volere
dall'impulsività inerente alla
sensazione; problematica la
fondazione della libertà
spirituale e dell'autonomia umana
sulla necessità della
natura, come coronamento
di essa; problematica,
l'identificazione
dell'opposizione tra morale
e immorale con
quella tra socialità
antiegoistica ed egoismo,
pur essendo l'uno
e l'altro formazione
naturale. Fortuna delLa
fortuna del positivismo
ardigoiano presenta due
fasi VArdigo. distinte:
l'una, che riempie
l'ultimo trentennio dell'Otto cento ed è
compresa tra il
discorso su Pomponazzi,
che apre la
rottura col mondo
ecclesiastico in cui
aveva fin allora
militato, e la
decadenza mentale della
tarda vecchiaia :
periodo di progressiva
maturazione e articolazione
del pensiero positivo e
di crescente efficacia
rinnovatrice cosi nella
demolizione dei vecchi idoli
della filosofia tradizionale,
svuotata negh ultimi
decenni di vera
vitahtà, come nella
costruzione della nuova
Itaha uscita dal
Risorgimento, laica e democratica:
la seconda, che
si estende oltre
il primo trentennio
del nostro secolo,
in cui i
discepoli di Ardigò,
usciti dalla scuola
di Padova, accolgono
l'eredità del Maestro,
e mentre se
ne fanno apologisti
e spesso agiografi,
mentre esaltano la
fecondità del suo
positivismo inteso come
« metodo », sentono
il bisogno di
sottoporre a revisione
critica i temi
principaH della sua
« dottrina »,
sensibili alle difficoltà
e contradizioni che vi
si annidavano, messi
in sempre più
chiara luce dalla
polemica incalzante di
agguerriti avversari, militanti nelle file
del risorgente spiritualismo
e più particolarmente dell'ideahsmo d'ispirazione
hegehana, che proprio
in quel tomo
di tempo si
veniva costituendo e
grandeggiava sempre più
potente, fino a
soppiantare il positivismo
nel dominio della
cultura itaHana. Questa
seconda fase fu
detta dagh stessi
discepoli di Ardigò
fase di «
crisi ». È
questa crisi del
positivismo che si
esprime specialmente nella
dottrina del Marchesini,
del Troilo e,
con iimovazioni più
radicali in tutto
l'arco dei problemi
filosofici, del Tarozzi.
G. Marchesini 9
2. Giovanni Marchesini.
— Già nel
1898, quando Ardigò
era ancora intento
a completare il
suo edificio speculativo,
dal seno stesso
della scuola ardigoiana
usciva una denuncia
di crisi del
positivismo: La crisi
del positivismo e il
problema filosofico, di cui era
autore Giovanni Marchesini,
uno dei discepoli
più fedeli ed
entusiasta divulgatore del pensiero
del Maestro, per
lunghi anni fino
alla morte professore
di filosofia morale
e di pedagogia
nell'Università di Padova.
Nella prima fase
della sua produzione
aveva accentuato contro
Vidoiae applicato il
principio capitale del
positivismo, che non
v'è ^^ •^'*"°conoscenza la
quale non sia
fondata esclusivamente su
fatti sperimentati o
sperimentabiH. Questo principio
era da lui
affermato con tanto
piri intransigente rigore
quanto più viva
e urgente era
la lotta che
il positivismo conduceva
contro la tradizione
metafisica e rehgiosa.
Ma col graduale
ampharsi del campo
delle sue esperienze
culturaH e col
maturarsi della sua
riflessione critica, il
Marchesini si formò
la convinzione, svolta
appunto in quel
suo libro del
1898, che proprio
siffatta « idolatria del
fatto » poneva
in crisi il
positivismo. Questo deve
attenersi al fatto,
ma il fatto
vederlo alla luce della
ragione, al di
fuori della quale
non è possibile
nessuna conoscenza non
che filosofica o
scientifica, neppure comune.
E per ragione
il Marchesini intende
non solo i
poteri intellettuaU, ma
anche ambiguamente quegli
atteggiamenti dell'anima
umana che più
spesso sono quahficati
come irrazionaH o
alogici, gh «
slanci » del
sentimento e deU'immaginazione, che
Marchesini volentieri chiama
« romantici »
o « mistici
». « Dopo
Platone ed Hegel egli scrive
dopo i trionfi
delle rehgioni, delle metafisiche
e dell'arte, è
assurdo voler soffocare
e sopprimere, per
l'amore incomposto del
fatto, il senso
àeW! idealità razionale. Non
è possibile isolare
e circoscrivere il
nostro pensiero entro
una breve cerchia
di fatti minuti
e non risahre
a principii superiori
razionali » [La
crisi del positivismo). Il
positivismo è in
crisi, ogni volta
che limita il
suo orizRitmicità. zonte
mentale a fatti
accertabili nella loro
bruta oggettività, dissimulando per
giunta la presenta
e l'azione di
quei principii razionali
che costituiscono V « imperativo
» dell'esperienza e rendono
possibile la conoscenza
« scientifica »
pur di questo
ordine di fatti,
ossia la scoperta
in esso d'una
« ritmicità »,
per la quale
la scienza si
trova innanzi non a un
coacervo di dati
empirici (i «
fatti minuti »,
di cui il Marchesini
parla nel passo
or ora citato),
ma innanzi a
un mondo uno
e continuo, il
mondo della «
natura materiale »,
scandita con necessità meccanica,
nei gradi della
fisicità, della organicità
biologica e della
psichicità. Il positivismo
è in crisi
ogni volta che,
presentandosi come «
naturalismo materialistico
», ignora (e
si mostra incapace
di spiegare) la
realtà di un
« regno dello
spirito », incentrato
nell'uomo, quale essere
non riducibile a
mera realtà bio-psichica,
ma « soggetto »
di « ideaUtà
» capaci di
rompere il meccanismo
della natura materiale
e d'instaurare, pur
in seno ad
essa, un mondo
superiore, il mondo
umano della storia,
il mondo dell'
« incivihmento ».
Superiorità delNell'ordine biologico
e nell'ordine psichico,
l'uomo afVuomo. ferma
risolutamente il Marchesini
ha una superiorità
su tutti gh
esseri, della quale
è fattore essenziale
la capacità sua a trarre
appunto dal suo
fondo fisio-psichico delle
idealità, ossia principii
di condotta accompagnati
da coscienza del
dovere, capaci di
contrastare a inclinazioni
sensoriali insite nella
sua natura. L'ideale.
« L'ideale non
è un lusso,
perchè non è
un lusso la
civiltà, che dall'ideale
trasse sempre aHmento
e forza. È
un prodotto umano,
dovuto a leggi
necessarie, di cui
la ragione è
il soggetto libero e
eterno. Negare l'ideale
morale, come fatto
e come legge,
come principio fondamentale
della nostra esistenza, significa negare,
con la nostra
ragione e dignità,
la nostra stessa
natura: in una
parola, significa dimenticare
sé stessi »
{Ibidem, p. i86).
— « Il positivismo non
è dunque contrario alla Morale,
ma da esso
la Morale sorge
come scienza, spoglia
da ogni preconcetto,
forte e sicura.
Il positivista non
può arrestarsi a
scoprire nell'uomo civile
il selvaggio e
il bruto, e
trascurare quegli elementi
di civiltà vera
che sono G.
Marchesini ii come
le stratificazioni nuove,
solidissime, sovrappostesi agli
strati più antichi.
Tutta la storia
dell'uomo c'insegna che
la nostra civiltà
è la naturale
continuazione e il dinamico sviluppo
delle primitive tendenze;
ma in questa
continuità dinamica il
positivista ritrova la
legge del progresso
civile, e soprattutto
del progresso morale.
È merito del
Marchesini aver posto
al centro del
suo Positivismo positivismo
i problemi dell'uomo
e della sua
formazione nella ^^^co.
storia e nell'educazione, conforme
alla sua schietta
vocazione di morahsta e
di educatore. Secondo
lui, la via
per la quale
il positivismo poteva
superare la sua
crisi era che
esso diventasse positivismo
idealistico, capace cioè
di salvare la
specifica funzione delle
« ideahtà »
umane nella «
realtà » deUa
natura, e di
spiegare come in
un mondo di
fatti particolari e relativi
possano formarsi ed
essere operativi principii
ideali che s'impongano
alla coscienza con
la pretesa dell'universahtà e
imperatività assoluta. Egli
tentò una costruzione
sistematica di questo
suo positivismo idealistico
nell'opera che, anche
cronologicamente, occupa il
posto centrale nella
sua trentennale produzione
speculativa. La dottrina
positiva delle idealità,
del 1913. In
questo Hbro egU
convoghò anche un
nucleo di idee
già ampiamente formulate
fin dal 1903
nell'opera capitale Le
finzioni dell'anima: e
costantemente riprese e
variamente appUcate negh
anni successivi; nucleo
d'idee per cui
il positivismo ideahstico
si configura come
funzionalismo o etica
e pedagogia del
come se, o
anche prammatismo razionale,
che egli considerò
come l'apporto più
originale e significativo
da lui recato
all'esplorazione del mondo
umano, ma che
effettivamente è forse
la parte più
debole del suo
pensiero, rivelante l'ambiguità
d'impostazione e l'incertezza
o addirittura la
contraddittorietà di soluzione
del suo problema.
Il compito che
il Marchesini si
propone è quello
di mostrare L'etica
come la idoneità
e sufiicienza del
metodo positivo a
fondare una dottrina
deUe ideahtà razionah,
ossia a costituire
l'etica come scienza.
Un tal compito
imphca una critica
radicale di qualunque forma di
etica metafisica ossia
di qualunque dottrina
scienza Analisi morale.
Natura e ir,
flusso sociale. la
quale esiga riferimento
a una sfera
trascendente l'esperienza
per spiegare dati
rivelantisi nella esperienza
morale: il produrre
elementi metafìsici nello
studio della moralità
è un procedimento
non conforme a
ragione scientifica, consistendo esso nel
proiettare nel mondo
trascendentale e assoluto modi
soggettivi ed empirici
della nostra vita
spirituale. La morale
come scienza deve
eliminare dalla concezione
delle idealità siffatte
trasfigurazioni e deformazioni
del procedimento metafìsico per
fissare i dati
concreti dell'esperienza spirituale
umana. Vale per
l'Etica, non meno
che per le
altre scienze, il
principio che ogni
indagine scientifica presuppone
una realtà data,
la quale ne
costituisce l'oggetto: l'Etica
presuppone la realtà
del fatto morale,
realtà che va
non soltanto constatata empiricamente ma
determinata altresì nei
caratteri e nelle
leggi specifiche ad
essa pertinenti. Siffatta
determinazione si realizza
mediante il procedimento deìl' analisi del
fatto morale: si
tratta di decomporre
questo fatto nei
suoi elementi costitutivi
e vedere come
esso sia il
prodotto o la
sintesi di coefficienti
anche d'ordine inferiore.
Riassumendo i risultati
di questa analisi
quale il Marchesini la
conduce, vediamo che
le componenti del
fatto morale sono:
a) incUnazione naturale
propria dell'individuo come
essere biopsichico; b)
fattori della socialità
propria della vita
umana; e) ideaUtà
razionale ossia aspirazione
a modi e
forme di vita
superiori alla realtà
attuale; d) tendenza a
concepire e sentire
l'ideale etico come
la rivelazione dell'Assoluto. I
primi due ordini
di taU coefficienti
sono omogenei in
quanto esprimono i
fattori costitutivi della
struttura dell'individualità
umana come soggetto
morale. « Il
soggetto morale risulta anche
dalle attitudini originarie
dell'uomo, che si
differenziano in ogni
individuo per il
vario contributo delle
eredità biologica o
bio-psichica; e risulta
inoltre tra i
rapporti sociali stendentesi
nello spazio e
nel tempo in
cui la personalità
è compresa, e
che del pari
si differenziano negli
G. Marchesini 13
individui per il
contributo di una
determinata eredità sociale (....). Il
soggetto morale si
compie per l'integrazione di
questi due ordini
di coefficienti: né la natura
bio-psichica dell'individuo, né
l'influenza sociale bastano
isolatamente a spiegarne,
con le idealità,
la vita morale.
I due ordini
di fattori per
contrario si fondono,
e ripercotendosi negH
uni la efficienza
degli altri, si
modificano reciprocamente »
{La dottrina positiva
delle idealità, p.
55). Siffatta unità
organica di vita
bio-psichica e vita
sociale è la
base reale per
la formazione della
personahtà morale, per la quale
é necessario l'apporto
di quello che
noi abbiamo indicato
come terzo ordine
di coefficienti, cioè
le ideahtà etiche.
Queste sono caratterizzate, a
dire del Marchesini,
L'obbligazione. dalla obbligazione
ossia dalla coscienza
di una necessità
ideale a cui
si deve sottostare,
dalla coscienza che
certi modi di
condotta devono essere
preferiti a certi
altri. Ma proprio
neUa illustrazione di
questo concetto del
dover essere specifico alla vita
morale, il pensiero
del Marchesini si
presenta particolarmente oscuro.
Da una parte
sembra che egli
insista sulla essenziale
amoraUtà della vita
sociale in quanto
priva del valore
derivante daUa idealità
(vi sono forme
di società animali
affini alle associazioni
umane ma prive
di ogni carattere di
morahtà) ; dall'altra
parte tende a
identificare socialità e
morahtà. Parte dalla
giusta osservazione che
« la morahtà
non sarebbe inteUigibile
fuori dei rapporti
sociali, delle tradizioni,
del costume, delle
istituzioni varie e dell'azione
inter-individuale », e
da questa affermazione
inferisce che nel sentimento
sociale è già
l'essenza del sentimento
morale in quanto
il primo imphca
per sua natura
la coscienza dell'obbligazione di
risentire e rispettare
i vincoH compresi
nei rapporti sociali,
imphca cioè la
tendenza « a
restringere il proprio
arbitrio, e a
mantenersi in un
certo accordo con
i consociati: e
in ultima anahsi
adunque la tendenza
sociale è una
tendenza morale ».
« Noi possiamo
separare l'uno dall'altro
sentimento per astrazione,
e fissare neUe
rispettive definizioni termini
differenziah ; ma
tutto ciò è
ben lungi dal
distruggere la loro
fondamentale unità psicologica... per
ver essere. la quale
le idealità sociali
costituiscono il principio
supremo della moralità,...
e si comprende
come si possano
scambiare i due
termini morale e
sociale, in quanto
ha natura morale
tutto ciò che è sociale,
ed è sociale
ogni morale »
{ibidem, PP56-57) Questa tendenza
a unificare sul
piano psicologico le
ideaHtà morali con
le esigenze sociaU,
attuata fino in
fondo, porterebbe a
una dottrina etica
risolventesi in pura
socio// fatto e
il dologia. Il
Marchesini sembra restio
ad accettare una
posizione del genere, intuendo
più o meno
oscuramente la differenza radicale tra
l'obbligazione o normatività
sociale e l'obbhgazione
o normatività morale,
in quanto la
prima si risolve
in una pressione
che di fatto
la società, nel
costume e nella
legge esercita sulla
coscienza individuale, e
a una tale
situazione di fatto
l'individuo avrebbe sempre
il diritto di
contrapporre un altro
fatto costituito dalle
sue esigenze egoistiche;
viceversa l'ideaHtà morale
sta ad indicare
non una realtà
storica o psicologica,
bensì il diritto
all'esistenza di qualcosa
che non ha
attualmente esistenza: la
normatività morale è un
dover essere che
s'impone indipendentemente
da ogni
condizione particolare ed è in
forza di esso
che si sente
il valore imperativo
dell'idealità sociale non
solo, ma anche
la necessità ideale
di aspirare ad
una costituzione sociale
superiore, nella quale
siano superate le
deficienze della vita
sociale attuale. Ma,
ripeto, questa distinzione
è intuita dal
Marchesini solo oscuramente.
Egli descrive la
vita schiettamente morale
in questi termini
: « si
deve sentire e operare
altruisticamente superando l'esclusivismo egoistico; si
deve attenersi al
dovere, qualunque sacrificio
possano subirne i nostri
desideri; ci si
deve sottrarre alla
servitù vile delle
passioni ignobih e dei ciechi
istinti brutali, e
acquistare quella hbertà che
ha nella virtù
i propri simboli
eterni » [ibidem,
p. 61). Ma
quando si domanda
quale è il
fondamento di quel
dovere che è
l'anima della vita
morale cosi caratterizzata, si
risponde che questo
fondamento è dato
da quella che
egli chiama «
natura morale essenziale
all'uomo », ossia
dalla G. Marchesini
15 potenzialità propria
dell'uomo di costituirsi
come soggetto Potenzialità
morale. « Il
principio della naturale
umanità morale significa
*"°''^'^che esistono nell'uomo
in quanto tale
tendenze naturali potenzialmente morali, destinate
a svolgersi per
l'esperienza della vita
{....)', questa non
crea le tendenze
in cui l'umanità
consiste, ma interviene
necessariamente a svilupparsi
(....)• Le idealità
morali traducono in
se medesime la
nostra umanità morale, quale
è e quale
aspira a divenire
(....). Non esiste
uomo normale che
nella coscienza del
valore delle ideaUtà
non affermi la
coscienza del valore
umano e proprio;
che non riconosca
insomma intimamente la
necessità che il
dovere e il
diritto non l'arbitrio
e la violenza
governino la condotta
individuale della vita
sociale. Dal che
risulta che la
« umanità morale
» è illazione
tautologica daM'essere delle ideaUtà
morali al loro
poter essere e
non può quindi
offrire a queste
un fondamento che
esse non abbiano
già in sé.
La difficoltà nella
visuale del Marchesini
di distinguere Ricerca
di una chiaramente
l'obbhgazione morale da
quella sociale risulta
^°^'^■ anche nella
ricerca che egh
fa di una
norma delle valutazioni
delle idealità etiche.
Il regno dei
valori morah, egU
dice, è l'io
dell'uomo, ossia essi
sono soggettivi, creazioni
del soggetto. Ma d'altra
parte l'individuo stesso
li sente come
oggettivi in quanto la
creazione loro da
parte del soggetto
non è arbitraria
e questa oggettività
consiste nel riconoscimento che
quelli «sono valori
sociali, storici, tradizionah;
che in essi
convengono i consociati;
che hanno una
durata nel tempo,
se non anche
la perennità propria
dei valori fondamentaU
d'ogni consorzio umano;
che si fissano
perfino nello spazio
mediante varie istituzioni,
e nel costume.
L'individuo perciò ne
riconosce la sovrana
potenza, superiore infinitamente al suo
arbitrio; riconosce che
non provengono dalla
Ubertà creatrice dello
spirito suo ma
da ragioni obiettive
concrete» {ibidem, p.
86). Dunque la
validità oggettiva delle
idealità etiche si
risolve nella normatività
delle valutazioni dominanti
nella società in
una determinata epoca;
non è una
necessità del genere
di quella formulata
da Kant con l'imperativo categorico
« ma una
necessità concreta, naturale, immediata, relativa
alle condizioni specifiche
della convivenza, ossia
del modo e
grado di sviluppo
che in una
determinata epoca e
società venne raggiunto
dalla comune umanità
morale ». La
necessità delle norme
della valutazione è,
per il Marchesini,
razionale solo in
quanto è naturale
e storica «
e come tale
si scosta dalla
necessità pura immutabile concepita e
propugnata dall'idealismo kantiano
» [ibidem, pp.
89-90). La reintegrazioInfine uu
tentativo di caratterizzare nella
sua specificità "^l'obbUgazione morale
è compiuta dal
Marchesini col riferire
la formazione delle
ideahtà etiche al
processo che egli
chiama di reintegrazione, per
cui i motivi
interiori, le inchnazioni
naturali risultano gli
elementi originari che
si rifondono, persistendo, nelle formazioni
superiori dello spirito.
« Come la
sensazione persiste nell'idea,
che non avrebbe
senza di queUa
né origine né
contenuto, e tuttavia
l'idea non si
riduce alla sensazione
(poiché si pone
come un vero,
cioè in relazione
a una idealità
logica, che l'individuo
apprende per effetto
di una speciale
cultura) , così persistono
nelle ideahtà le
tendenze varie, fondamentali
della personalità, o
insomma persiste quello
che possiamo dire
il suo interesse,
ricostituendosi,
reintegrandosi in forme
nuove, a cui
si attribuisce più
propriamente il carattere di
valori » {ibidem,
p. 76) . Per
il Marchesini questo principio
della reintegrazione abbraccia
l'universa natura: questa procede
per integrazioni, disintegrazioni e reintegrazioni; equivale
cioè al principio
evolutivo del passaggio
dall'indistinto al distinto,
della continuità tra
mondo fisico, mondo
biologico e mondo
psichico. E entro
il mondo biopsichico
esso opera come
passaggio dall'istinto animale
e piii in
generale dalle inclinazioni
biopsichiche fondamentali
alle formazioni superiori
della umanità morale.
Ma nella illustrazione
di questo passaggio
il Marchesini insiste
più sul concetto
del persistere dei
coefficenti inferiori nelle
formazioni superiori, che
sul concetto dell'originalità e
novità di queste
ultime e sulla
specificità dei caratteri
specifici che le distinguono
l'una dall'altra. E
così, a proposito
lità della norma .
G. Marchesini 17
della formazione della
nostra « umanità
morale » non
si accenna neppure alla
distinzione in essa
delle idealità sociali
dalle idealità speciiìcamente etiche,
limitandosi il Marchesini ad
affermare che gli
elementi inferiori si
reintegrano « nelle
formazioni superiori dello
spirito, soprattutto per
la provocazione e
il materiale suggestivo
di elaborazione che
provengono dai rapporti
sociah ». E
ad esempio, a
proposito della ideahtà della
Giustizia, si afferma
che il processo
reintegrativo in essa
consiste nella trasformazione degl'impulsi biopsichici dell'individuo assommantisi
nella tendenza a
perseverare nel proprio
essere in un
senso di sohdarietà
e simpatia che
si traduce nelle
istituzioni giuridiche, e
sembra che in
queste si esaurisca
l'obbligazione morale, come
dipendenza dell'individuo
dalla volontà sociale.
L'idealità della Relativa
stabigiustizia al pari
delle altre idealità
etiche è legata
alla mobilità dell'esperienza storica
dell'umanità: e questa
connessione su cui il
Marchesini giustamente insiste
giustifica il principio
metodologico che è
da questa esperienza
che noi dobbiamo
ricavare i criteri
di giudizio da
appHcare ai nuovi
dati dell'esperienza stessa.
Il che significa
che l'esperienza storica
ci presenta elementi
che hanno per
noi valore normativo: e
questi elementi sono
quelli che nel
mutamento del mondo
dell'esperienza storica, risultano
i più stabili
e che, nei
contrasti della vita
sociale, raccolgono i
consensi più larghi.
Ma se questa
stabihtà e questo
consenso sono puramente elementi di
fatto, bastano essi a costituire
quella normatività o imperatività
che è essenziale
all'ideahtà etica? Lo
stesso Marchesini sembra
dubitarne: egH infatti
in un passo
importante parla non
semplicemente di stabihtà
o di consenso,
ma di diritto
alla stabihtà e
al consenso sempre
più generale [ibidem,
pp. 138-139). Ma non dice
su che cosa
si fonda e
donde deriva un
tale diritto. Nell'anahsi
del fatto morale
il Marchesini rileva
un altro coefficiente
quello da noi
designato come quarto
e cioè un
ordine d'impulsi, per
i quali l'ideale
etico è sentito
come « la
rivelazione d'un mondo
trascendente e insomma
dell'Assoluto » [ibidem, p.
75 e sgg.).
Assoluto. Per Marchesini
l'Assoluto si presenta
alla coscienza umana:
a) come la
realtà suprema da
cui ogni cosa
dipende e in cui tutte
le cose si
unificano, oggetto d'un'idea
metafisica; b) un
ideale trascendente di
perfezione, con cui
la vita degli
individui tende a
identificarsi, contenuto d'un
sentimento essenziale all'umanità
morale. Ma pel
Marchesini, la critica
razionale del pensiero
dell'Assoluto nell'una e
nell'altra forma dimostra
che esso appare
fattore costitutivo del
fatto morale non
in quanto la
trascendenza ad esso
attribuita significhi un'esistenza
esteriore in un
mondo ultraempirico, in
quanto cioè si
ponga come verità
oggettiva; bensì in
quanto sia il
simbolo di tutto
ciò che di
eccellente l'uomo sente
immanente alla propria
natura, esprima una
verità « soggettiva
» rispondente a un bisogno
essenziale della coscienza.
« La visione
dell'Assoluto nella coscienza
morale emerge dal
senso del mistero
di cui le
ideahtà si circonfondono ». «
Il sentimento dell'Assoluto
è essenzialmente mistico: e
non risulta dall'idea
metafisica, ma la
precede e la
suggerisce ». «
La esistenza esteriore
all'Assoluto è una
finzione del pensiero,
ma non è
finzione il processo
psicologico ond'esso è
sentito nella sua
spirituale potenza, e
per cui il
soggetto vince gU
impulsi accidentali ».
Analogamente, la trascendenza
metafisica dell'ideale assoluto
di perfezione uno,
universale, immutato è
una. finzione, un'immagine
puramente contemplabile ma
priva di ogni
efficacia pratica. « Un ideale
è necessario alla
vita...; fuori dell'ideale
non c'è che
meccanismo insulso: esso è
degno pertanto dell'entusiasmo onde
lo si esalta
». Ma quando
venisse posto fuori
della natura umana
e dell'esperienza, esso
si ridurrebbe a
una vuota forma
pura, a una
realtà che non
è realtà, a
un mero nome.
« Ci si
può rappresentare l'ideale
etico come uno,
immutabile, trascendente,
solo in quanto
si faccia astrazione
dalla realtà concreta,
psicologica e storica,
dai caratteri individuali
e dai modi
vari onde si
compone nei singoli
la coscienza morale;
dalle tradizioni etiche,
dal costume, dalle
leggi, daUe istituzioni
sociah e poUtiche;
cioè da tutto
ciò che dà
un contenuto concreto
e relativo all'ideale
etico; ma sarebbe
G. Marchesini 19
assurdo ritenere che
dopo ciò sussistesse
tutt'ora l'ideale stesso....
Perchè questo abbia
quella funzione teleologica
che gli è
intrinseca è necessario
che attecchisca nella
personalità, assumendone il vigore
razionale, affettivo, e
pratico, ossia che
diventi un suo
interesse; che si
fondi nella esperienza soggettiva perdendo
la purezza astratta
e nominale che
l'idealismo metafìsico gh
attribuisce; che diventi
insomma una finzione dell'umanità
morale dell'individuo,... un
bisogno interiore, un
modo fondamentale della
stessa vita Naturalismo
e soggettiva, una
legge naturale dell'esistenza. La
sua consoggettivismo. cezione
naturalistica o realistica
importa necessariamente questo
soggettivismo» {ibidem, pp.
81-82). La critica
razionale tende a ridurre
l'Assoluto al relativo,
l'idea di perfezione quale entità
oggettiva trascendente a
esigenza biopsichica della
coscienza individuale, a
fattore immanente della
soggettività umana. Così
ad esempio l'ideale
della giustizia, che
dalla metafìsica è
prospettata come trascendente la natura,
in quanto sovrasta
su tutte le
accidentahtà e imperfezioni
delle cose umane,
incontaminata e perenne
e come trascendente
la storia, in
quanto questa, nella
sua perenne mutevolezza,
lungi dal rilevare
che cosa il
Giusto sia, lo
presuppone come un
a priori, un
primum stabile ed
eterno, è per
il Marchesini una
formazione naturale e un prodotto
storico, emerge dalla
natura umana in
quanto questa è
natura morale oltre
che fìsica {ibidem,
p. 135 e
sgg). La consistenza
oggettiva chela metafìsica
attribuisce Osservazioni alle
idealità morah è
dal Marchesini interpretata
come estra'^''^^*'^^^neità ai
voti della vita
del soggetto; e
perciò insiste nel
concetto che la morahtà
non possa essere
attuata se non
nella natura, che
i principii ideali
valgono in quanto
hanno la funzione
di investire e
organizzare, non già
negare, le tendenze naturali perchè
il soggetto morale
si formi nella
sua concretezza vivente.
Ed è, questo,
un concetto giusto:
ma non è
necessariamente derivabile dalla
premessa, discutibile, che la
trascendenza sia per
sua natura esclusiva
di ogni forma
di immanenza o
interiorità al soggetto.
Questo appare evidente
nel concetto fondamentale
di dovere o obbligazione specificamente morale.
Il Marchesini riconosce
che « l'uomo
avverte nella sua
natura una necessità
cui spetta un
assoluto impero, e
vi si sente
legato pur se vi facciano
contrasto altre inchnazioni:... non
v'è coscienza, di
un valore senza
la coscienza di
un vincolo, d'una
restrizione dell'arbitrio,
d'una rinuncia» {ibidem,
p. 93 e
sgg). E giunge
perfino ad affermare
che l'azione della
società sull'individuo, onde
si distingue in
lui la coscienza
delle norme e
dei valori moraU,
è puramente provocatoria
e suggestiva: l'obbligazione sociale
è costrittiva, ossia
vincolo esteriore, mentre
l'obbligazione morale è
interiore, è correlativa al riconoscimento da
parte della coscienza
del soggetto agente
del valore inerente
al fine proposto.
Di siffatto valore,
a cui è
correlativa l'imperatività incondizionata, indipendente cioè
dalle circostanze empiriche
particolari in mezzo alle
quali l'azione si
svolge, il soggetto
ricerca il fondamento ultimo,
le ragioni «
impersonali e universaU,
assolute» {ibidem, p.
96). E crede
di trovarle, queste
ragioni, o neUa
volontà legislatrice di
Dio (morale teologica
o religiosa), o
in una sfera
di realtà oggettiva
superiore a tutti
gli impulsi del
soggetto, in un
mondo (di valori)
per sé stante
(morale ontologica), o
in una ragione
pura impersonale che, identica
in tutti gl'individui,
detta a tutti
un medesimo imperativo
categorico come forma
universale che investe
a priori i
contenuti più vari
e mutevoli della
condotta e indica
quali tra i
fini che l'esperienza
dimostra desiderati o
desiderabili, debbano essere
desiderati (etica formale) .
A priori reiaMa
pel Marchesini sono
queste concezioni inaccettabili
dal punto di
vista positivo, poiché
tutte ugualmente pongono
il fondamento dell'obbligazione propria
delle ideahtà moraU
in qualcosa di
trascendente che sfugge
all'esperienza: implicano la
proiezione delle idealità
fuori della vita
interiore del soggetto, e
pertanto le presuppongono
già formate nell'ambito
di questa, nell'atto
stesso che pretendono
essere tale formazione
dovuta all'azione estrinseca
del trascendente; e
quanto alla presunta
ragione impersonale dell'etica
iov tivo G.
Marchesini 21 male,
« essa non
è che una
forma fittizia della
ragione personale
consociata, e la
necessità a priori
del dovere è
una necessità naturale
» {ibidem, p.
104). L'identità formale
della ragione non
esprime che l'identità
psicologica dell'umanità morale
: « Nel
dovere formale si
traduce la nostra
vita morale concreta,
che ne acquista
il carattere dell'universalità o
dell'apparente incondizionaHtà. Accade
cioè che la
forma pura, assunta
come essenza del
dovere, abbia l'apparenza
e la funzione
della sintesi a
priori; ma questa
forma pura è
in realtà nient'altro
che l'indistinto degH
elementi concreti della
coscienza morale: è
una sintesi di
questi, ossia un
a priori relativo
e positivo, non
già assoluto e
metafisico. Il dovere,
per dire con
altre parole, è
un impulso originario
della nostra umanità
morale, una legge
della nostra vita,
un fondamento della
nostra esistenza come
individui sociali, e
in ciò consiste,
se si vuole,
il suo carattere
a priori. È
tale in relazione
alla nostra successiva
esperienza, rimanendo a
questa anteriore non
diversamente che la
nostra stessa natura
morale originaria, in
cui s'innesta» [ibidem,
p. 102). In
conclusione, per il
Marchesini, quelle concezioni
etiche Le concezioni
sono costruzioni fittizie,
sono finzioni, sotto
le quah la cri^^l"^^^. .
^°^^ ' j ' T«
finzioni ». tica
razionale deUa scienza
positiva non può
riconoscere altra radice
reale deUe ideahtà
che la stessa
natura umana nella
sua struttura biopsichica,
intesa come originaria
potenziahtà morale indistinta,
su cui la
comunione sociale esercita
infinite azioni stimolatrici
di quei processi
di attuazione da cui
emergono le ideahtà
stesse. E la
dottrina positiva delle ideahtà
ponendo « il
principio fondamentale dell'umanità
morale, come germe
(e indistinto) sempre
fecondabile dell'evoluzione
etica, ci lega
alla natura, ma
non alla natura
bruta, bensì aUa
natura umana, che
non nega né
asservisce lo spirito,
ma è per
sé medesima capace
di autonomia morale»
{ibidem, p. 70).
Questa soluzione del
problema del fondamento
deUe idealità, a
dir vero, potrebbe essere sospettata
di petizione di
principio: le ideahtà
morali, quali vengono
sperimentate
nell'interiorità della vita
individuale e neUo
sviluppo deUa storia,
avrebbero la 22
Cap. XXX. Positivismo
e correnti affini
loro base in
una natura, che
assume la qualifica
di « morale »,
solo in virtù
e in conseguenza
dell'esperienza di quelle
idealità che pur
si pretende siano
da essa spiegate
e giustificate. Comunque, tale
dottrina positiva delle
ideahtà escludente come irrazionale
qualunque interpretazione che
faccia appello a
un fondamento trascendente
la sfera empirica,
ha come suo
presupposto
l'interpretazione
naturalistica, della realtà,
diciamo pure una
metafisica sottostante all'empirismo, al materiahsmo
che il Marchesini
qualifica come umanistico,
in quanto riconosce
i caratteri peculiari
dell'umanità, ma sempre naturalismo:
la fede nelle
ideahtà è fede
nella natura umana,
in cui le
ideahtà germinano {ibidem,
P52). Rifiuto del
trascendente. Trasfigurazione
delle cose. Che
il naturalismo etico
delineato dal Marchesini,
in quanto corollario
del naturahsmo metafisico,
lasci fuori nel
tentativo di giustificare
e fondare le
idealità etiche -,
alcuni aspetti od
elementi del contenuto
di queste, e
che quel concetto
di « natura
umana » che
il Marchesini ha costruite
per imperniare su
di esso una
visione positiva della
vita morale, positiva
in quanto rifiuti
come irrazionale ogni
riferimento al trascendente
e assoluto, sia
così vago e indefinito
da includere in
se, contradditoriamente, proprio
quel bisogno dell'assoluto
a cui esso
avrebbe dovuto apporre
un'insormontabile barriera, è
dimostrato dalla dottrina
del finzionalismo che,
come abbiamo ripetutamente
accennato, al Marchesini sta
tanto a cuore.
Proprio nel paragrafo
conclusivo dell'opera La
dottrina positiva delle
idealità (il paragrafo
95, intitolato «
L'Arte morale »)
il Marchesini dice
che è essenziale
alla vita dello
spirito r insoddisfazione egli
dice anzi «
disgusto » -,
per la realtà
di fatto, e
che questo disgusto
provoca lo spirito
a fare ogni
sforzo per vincerlo,
svolgendo « le
sue attività costruttive,
ossia quel vigore
artistico che gU
è proprio »
{ibidem, p. 255).
Quest'arte speculativa investe
tutte le attività
dello spirito, sia
quelle del pensiero
logico riflesso, il cui prodotto
la scienza delle
cose se è
provocato ne G.
Marchesini 23 cessariamente dalle
cose, è tuttavia
una costruzione del
soggetto, trasfiguratrice delle
cose, a cui
viene attribuita oggettività
appunto in virtìi
dell'arte speculativa, sia
il sentimento e
il volere con
le mirabili sintesi
ideali in cui
si ripercuotono i
moti etici e
con i disegni
d'azione in cui
si congegnano gl'impulsi
e le inibizioni.
E le idealità
stesse sono creazioni
estetiche dello spirito
(creazioni dell'arte speculativa,
che si specifica
come « arte
morale ») , in
quanto riproducono in
immagini sublimi e
perfette, moti vaghi
e tendenze multiformi
della nostra natura
sensibile e morale....
Ma pur come
tali esse rispondono
a una necessità
naturale dello spirito,
e rappresentano inoltre
il bisogno umano
di adattamento dell'io
alle ideahtà sociali.
Nelle idealità, sentimento e
ragione si armonizzano
: « la
natura nostra, fonte
originaria del mondo
ideale, è in
pari tempo affettiva
e razionale, onde la
ragione si spiega
pure nel sentimento
e il sentimento
si modera nella
ragione ». Ora
quest'attività costruttiva o
arte speculativa, di
cui sono creazione
le idealità, è
qualificata dal Marchesini
come potere di
finzione, e le
ideahtà etiche non
hanno efficacia e
valore nella vita
morale se non
in quanto vengono
riconosciute come finzioni. E
come abbiamo già
accennato, questo concetto
è l'idea direttiva
dell'opera Le finzioni
dell'anima. Il termine
finzione è equivoco:
il Marchesini stesso
distingue in esso due
significati opposti: nel
primo finzione è
« infingimento »
e « ipocrisia
», vera e
propria menzogna per
cui, mentre si
cela agh occhi
altrui il proprio
essere e pensare, si
tenta con atti
e parole di
farlo apparire diverso
da quello che
è, e ciò
col proposito consapevole
di raggiungere con
l'inganno un qualsiasi
utile egoistico.... Nel
secondo Equivocità dei
significato, finzione è
il risultato d'un
atteggiamento della '^''"*"*^ *
f^^^^° ^ . °°
ne ». coscienza
in cui l'immaginazione ha
parte prevalente -,
per cui si
costruiscono (« fingere
», etimologicamente, è
appunto plasmare) parvenze
d'essere o tipi
ideali di condotta,
che in sé
non hanno realtà,
ma s'inseriscono nella
realtà, conformandola e
adattandola a sé.
All'inizio della sua
trat 24 Cap.
XXX. Positivismo e
correnti affini tazione,
il Marchesini precisa
la definizione della
finzione in questi
termini : «
il fatto della
finzione consiste nel
creare enti che,
mentre per sé
sono irreaU, si
assumono e si
trattano come reaU....
Esso consiste nel
prevalere d'uno stato
interno di coscienza
per cui si
dà corpo alle
ombre, proiettando nel
mondo reale un
prodotto dell'immaginazione. È
quell'artificio interiore,
per cui si
dà forma di
obiettiva verità a credenze
che sono
dovute a un
singolare disporsi dell'anima
per effetto di
intimi bisogni, di
segrete tendenze, e
che si stabiliscono
e deducono senza
che il soggetto
penetri veramente l'essere e
il modo del
proprio spirito »
[Le finzioni dell'anima, pp.
5-7). E in
questo quadro del
concetto di finzione
rientrano le massime
pratiche nelle quali
si traducono le
ideahtà etiche: cerca il
bene altrui come
il tuo stesso
bene (altruismo, come
identificazione di sé
con gh altri
nella com.une umanità)
; riponi la
tua felicità esclusivamente nella
virtìi (identificazione di virtri
e felicità) ; fa' quel
che devi esclusivamente per
dovere (identificazione della
volontà buona con
la forma del
dovere) ; senti
la responsabihtà di
tutte le tue
azioni, quali manifestazioni della
tua libertà assoluta
(identificazione del volere
con l'agire hbero)
[ibidem, p. 85
e sgg.) E
la sintesi dei valori
additati da taH
massime é simboleggiata
nelVideale etico come
modello di perfezione,
assoluto e universale, trascendente tutte
le singole personalità
e uguale per
tutti. E pertanto
il principio morale
supremo é formulabile
così: adegua la tua personalità
al modello di
perfezione assoluta,
imphcante il concetto
dell'identificazione della volontà individuale con
l'assolutezza dell'ideale etico
{ibidem, p. 67
e sgg.) Ragioni
del finOra quaU
sono le ragioni
per le quaU,
secondo il Marchesini, queste ideahtà
sulle quaU la
morale si regge,
sono finzioni? In
breve, sono queste
tre: i) esse
sono in contrasto con
la realtà: le
identificazioni che l'anahsi
discopre impHcite sono
irreah, e perciò
i concetti etici
sono « erronei
». 2) La
impossibihtà d'una concihazione
tra realtà e
ideahtà in sede
teoretica, non esclude
la possibihtà d'una
conciha ztontsmo. G.
Marchesini 25 zione
in sede pratica,
in quanto il
fatto, accettabile nell'esperienza, che la
vita etica con le sue
idealità si realizza,
pur in forme
parziali e relative,
giustifica il principio
prammatistico che comanda
di agire conformemente
a quei valori, i
cui concetti sono
riconosciuti « erronei
», come se fossero
veramente assoluti. 3)
Attraverso il prammatismo,
l'errore, riconosciuto in sede
teorica, dell'obiettività del
valore assoluto, è superato
in una superiore
verità teorica, per
cui non è
contestabile la realtà
della persona, quale
si viene costituendo nella sua
dignità attraverso l'azione
ispirantesi ai valori
assoluti: e in
tal modo è
salva l'unità della
ragione pratica e
della ragione teoretica.
i) « Lavorare
è finzione se
la si fa
consistere nel pieno
La perfezione possesso
della idealità assoluta
morale, o nella
perfezione. Ciascuno è
morale secondo la
propria natura, e
condizionatamente a questa, per
i motivi che
sono in essa,
per le inclinazioni particolari ad
essa consentanee, e nei modi
cui comportano le innumerevoli
e svariatissime combinazioni
degli elementi del
suo divenire psichico
(....). La perfezione,
se fosse un
concetto positivamente valutabile,
sarebbe in ciascuno
in quanto la
sua coscienza morale
risponde ^^'gnamente alle
condizioni da cui è emersa
e dalla quale
è determinata (....). Invece
la moraHtà di un uomo
è sempre l'esponente delle accidentahtà
del suo io; e se
un grano di
bontà morale è
possibile, questo risulta
necessariamente dalla hmitazione
inerente al modo
concreto dell'essere e
del divenire intimo, personale»
{Le finzioni, pp.
62-63). «Una conciliazione
teorica tra la
morale della realtà
e quella che
l'ideale etico assoluto
rappresenta come modello
unico, incondizionato, è
dunque impossibile» {ibidem,
p. 83). 2)
Ma a questa
inconciliabihtà teorica non
corrisponde Conciliabilità un'assoluta
inconcihabiHtà pratica. «
La personalità che
ha ^^"'^^'^'^• le sue proprie
tendenze e i
suoi propri ideah
deve essere tuttavia
dominata e diretta
dall'ideale etico impersonale, obiettivo,
assoluto; deve ricercarsi
dunque una conciliazione
tra le tendenze
relative ai bisogni
soggettivi, e l'impersonalità o
assolutezza dell'imperativo morale.
E questa conciliazione
dovrà necessariamente essere
pratica » [ibidem,
p. 128). Questa
conciliazione pratica si
attua nel principio
prammatistico del come
se: i valori
assoluti sono fittizi,
ma noi dobbiamo
agire come se
fossero realtà. «
L'esistenza subiettiva è
non meno reale
che quella obiettiva,
e se esiste
nell'anima dell'individuo una
credenza qualsiasi, fosse
pure nell'assurdo, questa
credenza, come modo
di essere dello
spirito, è una
realtà. Reale è
quindi nello spirito
l'oggetto, il contenuto
del credere, e
ha necessariamente un'azione
motrice o inibitrice, un potere
di direzione nel
concerto delle idee,
dei sentimenti e
delle azioni individuah.... L'individuo,
per l'eccitamento che
a lui proviene
dalla sua fede,
opera dunque come
se questa fosse
pienamente giustificata; come
se esistesse obiettivamente l'oggetto
della sua credenza
» [ibidem, pp.
198-199). Il processo
di moralizzazione della
vita ha due
momenti: constatarsi secondo
il proprio reale
essere individuale, con
la sua relatività,
e trasfigurarsi fingendosi
mighore: l'ind ividuo constata
in sé il
difetto di bontà,
di giustizia, di
generosità quale gli
apparisce dal sincero
confronto di sé con
le analoghe idealità,
ed opera per
queste idealità la
catarsi del proprio
io, l'incremento morale
del proprio essere
e poiché le
ideahtà sono essenzialmente sociali,
espressioni di una
volontà, la volontà
collettiva, non soggettiva ma
obiettiva, non arbitraria
ma necessaria, io
mi identifico con
questa volontà sociale
e riconosco praticamente questa norma
suprema : «
opera come se
ciò che é vero socialmente,
ed è socialmente
imposto come assoluto,
fosse vero e
assoluto anche per
te » ;
questa formula esprime
la rcLzionahtà della
condotta morale, e per il
suo valore pratico
può dirsi prammatistica
[ibidem, p. 192 e sgg).
Fecondità della 3)
« La volontà
morale è per sé stessa
feconda, e può
volontà morale, crearsi
un mondo teoretico
obiettivamente razionale. Non
è da escludere
a priori che
un mondo teoretico
razionale, obiettivo, possa costituirsi
anche come mondo
morale; non è
da escludersi che
sia conciliabile senza
finzione la ragione
pratica o volontà
morale con la
ragione teoretica o
critica, G. Marchesini
27 che possano
mantenersi integri e
rigogliosi i valori
morali seguendo la
scienza» {ibidem, p.
156). Questo è
l'edificio speculativo costruito
dal Marchesini ideale
e valore. per
la sua Morale
della finzione e del come
se. Dei tre
punti nei quali,
per amor di
chiarezza, l'abbiamo articolato,
il primo è
quello che dimostra
il grande equivoco
su cui tutto
l'edificio si regge.
È l'equivoco per
cui l'ideale etico
della perfezione, e gii altri
ideaH più speciaH
in cui esso
si determina, siano realtà
in atto, esprimano
l'esistenza per sé
stante, obiettiva di
un'Assoluto trascendente tutti
i modi di
essere relativi costituenti
l'esperienza. E messa
a raffronto con
la realtà empirica,
alla cui stregua
noi misuriamo la
verità o falsità
delle nostre conoscenze,
quell'altra realtà che
è significata dall'ideale,
risulta in netto
contrasto, rivela una
contraddizione insuperabile sul
piano teoretico: e
questa contraddizione spinge
il pensiero critico
a qualificare come
fittizia la realtà
attribuita all'ideale, a
definire come nulla
più che finzioni
le idealità stesse
e a riconoscere
erronee tutte le
credenze nell'obiettività di
esse. Il vero
si è, invece,
che ideale non
significa realtà, ma
solo possibihtà e
necessità di realizzazione, non
esistenza, ma diritto
all'esistenza per il
valore intrinseco che
essa presenta, e
quindi dovere, per
la volontà, di
proporsele come fine
della propria azione.
E tra essere
e dover essere
non è possibile
una contraddizione logica,
appunto perchè essi
non sono termini
logicamente omogenei: per
contro, l'essere, in
un soggetto di
morahtà, fa appello
al dover essere
per riceverne elevazione
e incremento, e il
dover essere fa
riferimento all'essere di
un soggetto per potersi
incarnare nella realtà.
Perciò l'idealità non
ignora la realtà
naturale ad essa
opposta, ma la
investe per impregnarla
di sé, trasfigurandola: é
trascendente e assoluta,
ma solo nel
senso che il
suo valore è
sovraordinato ad ogni
realtà; e la
sua imperatività é
incondizionata. Se l'esperienza
morale é in
questi termini, che
senso ha il
trattare l'ideahtà come finzione
? Finzione essa
é nel significato
etimologico, in quanto
é costruzione della
coscienza, in quanto
28 Cap. XXX. Positivismo e
correnti afini è
prospettiva di uno
stato da realizzare;
ma non nel
significato d' « infingimento
», di autoinganno,
implicito nel principio prammatistico del
come se, che,
problematico dal punto
di vista psicologico,
è negativo dal
punto di vista
morale, segno d'insincerità. L'ideale
di perfezione segna
una mèta, che,
posta a distanza infinita,
può anche esser
riguardata come irraggiungibile: ma non
per questo è
fittizia, perchè con
la sua imperatività
segna alla coscienza,
che aspira a
quella mèta una
direttiva, nella quale
è il criterio
oggettivo per distinguere ciò che
nella condotta è « retto
», ha valore
positivo, e ciò
che è «
deviazione », ha
valore negativo. Apoditticità
Certo, il pensiero
speculativo trova aperta
innanzi a del
dovere. g^ jg^
^/^^ metafisica, c
inclina a fare
dell'imperatività assoluta
dell'ideale etico e
della fecondità progressiva
dell'azione che ad
essa s'ispira, l'indice
di una Realtà
superiore (Perfezione
assoluta, l'Essere divino,
la sfera trascendente
dei valori). Questo
passaggio dal dover
essere all'essere si
attua in costruzioni
problematiche: ma la
problematicità delle deduzioni
metafisiche non distrugge
la certezza apodittica
dell'assoluta imperatività di
quei principii morali,
da cui la
metafisica trae le
sue conclusioni sull'Essere
assoluto. Alla morale,
sia come scienza
sia come pratica
di vita, basta
il possesso di
quella certezza. Nell'ambito
di essa, aggiungiamo,
si pone la
questione fondamentale della
specificità dei valori
morali e della
radice della loro obbligazione
assoluta. Il Marchesini,
abbiamo visto, risponde
riportando la morahtà
alla sociahtà. Contro
questa soluzione possono
essere riprese le
critiche ripetutamente mosse a
ogni interpretazione esclusivamente sociologica della moralità.
Ma non a
questo si riferiscono
i nostri rihevi
finali, bensì al
fiiizionalismo e agh
equivoci da cui
esso deriva. 3.
Erminio Troilo: dalla
posizione positivistica al
« realismo assoluto
». — DaUa
scuola di Ardigò
usci anche Erminio
Troilo, nato nel
MoKse nel 1874,
professore di filosofia
teoretica dapprima nell'Università di
Palermo e E.
Troilo: il •
che esprime la
concezione universalistica dell
etica, nella quale
il soggetto che
valuta pone sé
stesso come un
assoluto, senza tener
conto delle circostanze
particolari nelle quali
la sua coscienza
morale si è
costituita quale è,
e assume quella
coscienza come infallibile
principio di discriminazione tra
il bene e
il male). «
Il dovere, che
è l'astrazione di
un fatto psicologico
ultimo, è di
natura formale, e
comporta pertanto ogni
maniera di contenuti;
e il bene
morale non può
farsi consistere in
uno o altro
di questi contenuti,
bensì neU'atteggiarsi della
condotta coerentemente al
riconoscimento e al
sentimento dell'obbUgazione. È
assolutamente infondata
l'esigenza di stabiUre
quale è il
contenuto in se
e per sé
buono, quali sono i principii
che la coscienza
dell'individuo particolare accogherà
e riconoscerà. La psicologia
della valutazione porta
al riconoscimento di
una pluraHtà di
punti di vista,
i quah con
le loro armonie
e con le
loro antinomie le
forniscano un proprio
oggetto. Ciascuna delle
moltephci direzioni costanti
del nostro volere
vanta diritti o
accampa pretese sopra
l'uomo tutto quanto,
e in questo
é il germe
dei conflitti nei
quali si esprime
la problematica della nostra
attività pratica. S'invoca
un criterio alla
stregua del quale
siano conciliati i
contrari e superate
le contraddizioni. Poiché
ciascuno è inclinato
a pensare, qualora
abbia risolto per
proprio conto il
problema, che quella
soluzione da lui
prescelta sia anche
« la »
soluzione adeguata e
giusta, si spiega
la tendenza ad
assegnarle un valore
universale, a esigere che
universalmente venga approvata
e fatta propria
dagh altri [ibidem,
p. 513 e
sgg.). L. Limentani:
pluralismo etico 87
Questa concezione del
Limentani solleva riserve,
dubbi, gh intenti
dei obiezioni, di
cui faremo qualche
cenno tra poco.
Ma, al di
^*'"^"'««^là di tutte
le critiche anche
le più radicali
che ad essa
possano muoversi, è da
riconoscere innanzi tutto
che essa è
tutta animata e
sorretta da genuina
e fervida preoccupazione di salvare
i più elevati
valori morali. Il
concetto centrale che morahtà
non è altro
che fedeltà nella
condotta effettiva all'idea
liberamente assunta dal
soggetto come il
proprio dovere, come
direttiva che la
coscienza dell'obbhgo impone
alla propria azione,
significa affermazione del
valore supremo della
persona, quale operosa
costruzione della propria realtà spirituale
nello sforzo di
sanare il dissidio
interiore inehminabile dalla vita
individuale, con l'assicurare
l'effettiva supremazia di
ciò che è
sentito come doveroso
sulle tendenze avverse:
in quell'enunciazione dell'imperatività della
coerenza dell'atto col
sentimento del dovere,
è l'eco della
celebre affermazione kantiana
che l'unico vero
bene morale è
la volontà buona e universale,
nel suo carattere
puramente formale questo
valore della dignità
umana consistente nella fedeltà
pratica al proprio
sentimento del dovere: nessuno di
noi, certo, può
penetrare il segreto
della coscienza degli
altri individui e
dare un giudizio
sulla moralità del loro
operare, ma presumendo
in tutti la
sincera dedizione di
ciascuno all'idea da
lui sentita come
doverosa, noi sentiamo
negh altri individui,
anche se la
causa per cui
combattono con sincerità
sia diversa e
perfino antitetica alla
nostra, uno sforzo,
identico al nostro,
di costruire la propria
personalità, comprendiamo il
senso della loro
azione e questa
comprensione si trasforma
in umana simpatia,
che ci affrateUa
anche ai nostri
nemici nella partecipazione a uno stesso
regno spirituale, — E non
manca infine nel
Limentani, sebbene oscura e
incerta, l'aspirazione a
porre le basi
per interpretare il
mondo degli uomini
come una società
di spiriti che
collaborano all'opera comune
di costruzione dell'umanità
non soltanto in
ciascuno di noi
ma anche in
tutti gh altri
consoci. NobiHssime aspirazioni e
preoccupazioni, queste, che
Osservazioni pervadono la
costruzione speculativa del
Limentani dando alle sue
sottili e faticose
analisi un afflato
di schietta ed elevata
eticità. Ma gli
apparati teoretici che
egli appresta per
la soluzione dei
problemi che l'esame
della vita etica
viene via via
affrontando, sono adeguati
all'appagamento di quelle
aspirazioni e preoccupazioni? Qui
appunto la critica
solleva obiezioni così
numerose e gravi,
da giustificare o
rendere almeno plausibile la
conclusione che quella
dottrina, piuttosto che
convaUdare e fondare,
rinneghi le esigenze
etiche affermate, e porti
al dissolvimento di
ogni eticità. Cosi,
all'esame dei concetti
che pel Limentani
esprimono i vari
momenti o elementi
costitutivi dell'atto fondamentale
della costruzione del
valore della propria
personalità individuale, risulta
che la «
coscienza dell'obbligo »
ossia l'attribuzione del
carattere d'imperatività a
uno dei molteplici
e contrastanti fini
verso cui ci
spingono le tendenze
e inclinazioni costituenti
la nostra natura
di esseri fisio-psichici e
sociah, è per
il Limentani un
dato di fatto,
che potrà essere
spiegato causalmente nella
sua genesi; ma
rifiuta qualunque tentativo
di giustificazione che fondi
la preferibilità assoluta
del fine prescelto
rispetto agli altri:
io debbo agire
così; perchè così
son fatto, e,
in forza di
questa mia costituzione
di fatto, così
sento di dover
agire: la coscienza
dell'obbligatorietà non è
che sentimento, e
il sentimento è
espressione della mia
soggettività quale è di
fatto, e si
sottrae ad ogni
esigenza giustificativa. Può questa
determinazione del mio
essere quale mi
si rivela nel
sentimento già costituito
reggere il peso
della prospettiva del
mio dover essere
ossia della mia
opera morale come instaurazione
d'un essere che è da
costituire come una
realtà nuova rispetto
a quella che
sentiamo al punto
di partenza ?
D'altra parte, il
sentimento mi rivela
il mio essere
individuale quale è
costituito in questo
momento, in questo
punto attuale del
processo di formazione
della mia individualità: ma
in ulteriori momenti
questo mio essere,
sotto l'azione dei
moltepUci fattori che
concorrono a costituirlo, potrà mutare,
e il sentimento
registrerà questi mutamenti e
potrà portare all'assunzione di
fini obbligatori diversi
da quelli che
attualmente s'impongono a
me. Ora L.
Limentani: pluralismo etico
89 è lecito
domandare se la
possibilità di siffatta
mutevolezza possa conciliarsi
con la funzione
che al fine
assunto come obbligatorio
si attribuisce, di
bandiera sotto la
quale io combatto la
mia battaglia morale,
di causa alla
quale si debba
nell'azione testimoniare la
propria fedeltà; non
implica tale funzione
una costanza e
continuità, che abbraccia
anche i momenti
futuri della mia
esistenza e renda
possibile l'unità e
coerenza interiore della
mia personaUtà ?
Ma nulla giustifica,
nella dottrina del
Limentani, la pretesa
del mio fine
attuale, ad estendere
il proprio predominio
al futuro :
il cambiar bandiera, il
sostituire alla mia
causa di ieri
un'altra causa, non
altera quel rapporto
formale di coerenza
tra l'azione e
il dovere, che
è l'essenza della
moralità e il
tratto costitutivo della
personahtà. Se il
valore morale della
mia personahtà sussiste
immusì devono ritato
pur nella diversità
e antitesi dei
fini che io
posso assu^P^^^"-^ * ^
_ , ...
. programmi op mere
come obbhgati in
momenti diversi dal
mio operare, è
pressivi? chiaro che
questo concetto formale
della personalità può
essere esteso anche
agh altri individui:
ma con questa
conseguenza palesemente
contraddittoria, che, mentre
da un lato
si afferma che
ogni personahtà merita
rispetto essendo assoluto
il valore morale
di essa, dall'altro
lato deve essere
non solo compresa
ma giustificata, in
questo o queU'individuo, la
fedeltà a una
causa che implichi
il programma di
oppressione o addirittura di
soppressione violenta delle
personahtà altrui. Non
posso simpatizzare, in
nome di una
presunta comune umanità
con un altro
individuo il quale
si arroga il
diritto anzi come
dovere di farsi
persona attraverso l'osservanza
di un principio
che è negazione
di una comune
umanità, un principio
di sopraffazione deUe
personahtà altrui. Di
comune a tutti
i soggetti che
intendono essere membri
del regno dello
spirito attuantesi nel
mondo degli uomini
è il diritto
e dovere di
essere coerenti con
sé stessi: ma
è un requisito
questo che, nella
sua formahtà, nella
sua indifferenza per
il contenuto del
fine e della
norma con cui
l'individuo si sente
obbhgato ad essere
coerente, ha un'universahtà che
non ehmina ma
ribadisce la chiusura
dell'individuo in sé stesso,
in una radicale
estraneità agh altri.
go Cap. XXX. Positivismo e
correnti a fini
Il positivismo 6.
Il sociologismo di
Alessandro Levi. —
Uno svicnhco cerca
ti i^ppo autonomo
del positivismo sociale
troviamo in un
altro senso dei
fatti. scolaro
dell'Ardigò, Alessandro Levi che, dopo
aver schizzato a
vent'anni le vie
fondamentali del proprio
pensiero in Determinismo
economico e psicologia
sociale, si specializzò
poi in iìlosofìa
del diritto [Per
un programma di
filosofia del diritto,
1905) e insegnò
tale discipHna in
varie Università, da
ultimo a Firenze.
Classici sono rimasti
i suoi Contributi
ad una teoria
filosofica dell'ordine giuridico
(1914) e il
saggio su Filosofia
del diritto e
tecnicismo giuridico (1920),
nonché la Teoria
generale del diritto
(1950). Dopo la sua morte.
Guido Fassò curò
la raccolta in
due volumi degli
Scritti minori di
filosofia del diritto,
coiTedandoli di una
completa bibliografia (1957).
Politicamente Alessandro Levi
aveva simpatia per
il sociaHsmo, espressa
nei lavori su
La filosofia politica
del Mazzini (1917)
e II positivismo
politico di Cattaneo
(1928); e nell'analisi
concreta dei fatti
sociali, pur restando
fedele al modello
di quello che
egli chiamò «
positivismo critico »,
seppe fare i
conti anche con
le esigenze messe innanzi
dall'idealismo storicistico. L'accertamento dei fatti,
nella sfera dei
fenomeni sociali, non
può per lui
andare disgiunto dalla
penetrazione del senso
dei fatti medesimi,
in cui si
manifesta la coscienza
collettiva dei gruppi
sociali. Questo tradursi
della psiche umana
collettiva nei fatti
sociaU è oggetto
di uno studio
che può dirsi
di « fenomenologia positiva »,
e che rappresenta
un'interessante risposta, da
parte di un
ricercatore formatosi in
clima positivistico, al nuovo
modo storicistico e non più
naturahstico di intendere
i fatti. Al
di fuori dei
quadri della scuola
ardigoiana con i suoi sviluppi
e le sue
crisi, si delinearono
in ItaUa nei
primi decenni del
secolo e. Guastella:
il fenomenismo 91
indirizzi filosofici d'ispirazione
o orientamento più o meno
schiettamente positivistico. L'assunzione
dell'esperienza senL'esperienza sibile
interpretata in senso
naturalistico a fonte
prima *^"** * ^' dei
criteri di soluzione
dei problemi del
conoscere, della realtà,
della moralità, l'avversione
ad ogni forma
d'apriorismo o di presupposti
metafisici, un atteggiamento
decisamente polemico verso l'idealismo
assoluto che veniva
prendendo n sopravvento nella
cultura italiana, sono
tratti comuni a
taH indirizzi :
tra questi i
più rilevanti per
la natura delle
posizioni in cui
sboccano, sono il
fenomenismo del GuasteUa,
il superrealismo dell' Orestano, lo
scetticismo e relativismo
del Rensi, del
Levi e del
Tilgher. Cosmo Guastella
(1854-1922) professore di
filosofia teoretica
all'Università di Palermo
dal 1903 fino
alla morte, si
era formato nel
clima del positivismo
italiano, ma, risalendo alle fonti
lontane di esso,
e più particolarmente al
classico empirismo inglese,
era giunto a
formulare una dottrina sistematica sul
pensiero e sull'essere,
che è in
sostanza una rimeditazione
e rielaborazione delle
tesi fondamentali di
Stuart Mill, sviluppate
fino alle estreme
conseguenze. Espose le
sue idee in
opere ponderose {Saggi
sulla teoria della
conoscenza: Saggio primo:
Sui limiti e
l'oggetto della conoscenza
a priori, 1897;
Saggio secondo: Filosofia
della Metafisica in
2 voli., 1905;
Le ragioni del
Fenomenismo, in 3
voli., 1921-22). Ma
nonostante il rigore
logico della sua
trattazione e la
fermezza intransigente con
cui sostenne le
sue idee, queste
non ebbero larga
ripercussione nel pensiero
italiano, sia per
l'indole sohtaria dell'Autore,
sia per la
scarsa novità dei
motivi fondamentali, sia
per l'avanzare vittorioso
dell'ideaUsmo nella stessa
scuola (per alcuni
anni, nell'Università di Palermo,
accanto al Guastella
insegnò il Gentile).
Non è possibile
oltrepassare il mondo
dell'esperienza: impossibilità fuori
dell'esperienza non c'è
nulla e non
è pensabile nuUa.
l'esperZma"^^^ Ed esperienza
significa sensibilità: pensare
è sentire, cioè
presenza o avvertimento
immediato di determinazioni qualitative
concrete e particolari, senza
che questo implichi
92 Cap. XXX. Positivismo e
correnti afini Problema
dell'oggettività.
Nominalismo. un ente
distinto da esse
a cui esse
siano presenti o
da cui siano
avvertite: quel che
si dice soggetto
dell'esperienza o io
non è esso
stesso che un
insieme di sensazioni
anche se illanguidite
o deboh nella
forma di immagini
o rappresentazioni. E d'altra
parte quelli che
diciamo oggetti reali,
essendo un insieme
di sensazioni, sussistono
se e in
quanto essi sono
sentiti : «
esse est percipi
». Se la
conoscenza ha per
oggetto la verità
come accordo tra
pensiero e essere,
nessun'altra dottrina è,
secondo il Guastella,
in grado di
dare a quest'accordo
che è la
verità, un fondamento
altrettanto sicuro quanto la
sua, che considera
essere e pensiero
fatti della stessa
stoffa, la sensazione.
Ma su queste
basi non si
spiega la possibilità
di un conoscere oggettivo, del
sapere scientifico, le cui verità
hanno la pretesa
di valere universalmente, di
essere leggi della
realtà, soverchianti la
provvisorietà e parziahtà
e causaUtà delle
immediate esperienze soggettive.
Occon^e dunque, a
questo scopo, ammettere
principii ultrasensibiH ?
e attribuire al pensiero
il potere di
oltrepassare i limiti
dell'esperienza e di procedere
a priori alla
conquista di verità
oggettive? Il Guastella lo
nega risolutamente, e
per riaffermare il
suo radicale empirismo
sottopone a un
esame critico la
teoria del pensiero,
nella tradizionale distinzione
dei tre momenti
di esso, il
concetto, il giudizio,
il ragionamento. Per
quel che riguarda
il concetto, di
esso non può
darsi che un'interpretazione nominahstica
: esso cioè
è im'entità puramente
verbale, un nome
che, riferito alla
realtà, non designa
un contenuto nuovo
rispetto a quello
sensibile i] cosiddetto
intelligibile universale -, ma sempUcemente
una molteplicità di
sensazioni concrete e
particolari: è assurdo
attribuire realtà alle
astrazioni concettuah, perchè
queste sono immagini
generali, ed è
impossibile ammettere che
esista un reale, per
esempio un uomo,
che possegga i
caratteri comuni all'umanità senza
quei caratteri particolari
che distinguono un
uomo da un
altro nella sua
concreta particolarità. e.
Guastella: il fenomenismo
93 Quanto al
giudizio, esso è
affermazione di rapporti
tra 11 giudizio
come dati sensoriaU
e tra immagini.
Ora pel GuasteUa
i rapporti \Z^f^'ZZu^'
più generali tra
le cose sono
quelli di tempo
e di spazio,
sono sequenze o
coesistenze: e questi
non possono essere
offerti che dall'esperienza effettiva
delle cose, sono a posteriori: la presenza
al pensiero della
nozione o immagine di
ciò che in
una sequenza è
l'antecedente, perchè in
esso il pensiero
stesso vi trovi
il fondamento del
passaggio al conseguente.
Ma accanto ai
rapporti di sequenza
e coesistenza il Guastella
pone un'altra classe
di rapporti, quella
della somigHanza e
dissomigHanza ; la
cui affermazione è
il contenuto di
quei giudizi ch'egH
chiama comparativi. Ora
per questi non
è necessario il
ricorso all'esperienza delle
cose, basta la
comparazione delle nozioni
o idee di
esse : non
c'è bisogno di
percepire due gruppi
di due oggetti
ciascuno da una parte
e di un
altro gruppo di
quattro oggetti dall'altro,
ma basta la
comparazione dei concetti
(immagini) di essi, per
scorgerne l'uguaghanza (somigHanza),
come basta la
comparazione delle immagini
di verde e
di giallo per
affermarne la differenza:
e dunque la
vaHdità di questi
giudizi è a-priori,
e solo successivamente è
trasferibile nelle cose.
La matematica è,
secondo il Guastella,
costituita di giudizi
di somigHanza, e
perciò è scienza
razionale a-priori. Ma
appunto perchè i
giudizi a priori
non hanno riferimento
aUa realtà, l'ammissione
di essi, secondo
GuasteUa, non incide
menomamente sul valore
del principio che
solo l'esperienza sensibile consente
la conoscenza deUa
realtà: l'empirismo radicale non
è intaccato. Solo i giudizi
esistenziali concernono le
cose, mentre, i
rapporti di somigHanza
non sono nuUa
di oggettivo, non
fanno parte del
contenuto dei singoH
termini, ma sono
il risultato di
una sintesi mentale.
Pertanto le scienze
fisiche come queUe
storiche sono costituite di
giudizi esistenziaH e
sono scienze sperimentaH,
mentre le matematiche
sono costituite di
giudizi comparativi e riguardano
le idee. Con
ciò, non è
ancora risolto il
problema deUa possi Possibilità delia
biHtà deUa scienza
come sapere oggettivo,
come determi sctenza.
94 Cap. XXX. Positivismo e
correnti affini nazione
di leggi universali
dei fenomeni. I
rapporti di sequenza e
di coesistenza constatabili
nell'esperienza sono particolari:
il passaggio all'universale è
compito di quel
terzo momento del
pensiero che è
il ragionamento, di
cui l'unica forma
legittima per l'empirismo
è l'induzione. Il fondamento
dell'induzione è la
costanza di certi
rapporti di sequenza
e di coesistenza
constatata nell'esperienza passata.
Ma questo non
basta ancora per la trasformazione di
un certo rapporto
in legge: a
ciò si esige
che la costanza
del rapporto constatata
nell'esperienza passata sia
estesa alla esperienza
futura, esige cioè
che il futuro
sia conforme al
passato. Ma la
credenza nell'uniformità della
natura è un
postulato indipendente dall'esperienza. Qui
non soccorre più
l'empirismo. E si
profila nella conclusione
l'ombra dello scetticismo
humiano. Uiiiusione meUn
empirismo così radicale
come quello del
Guastella tafistca va
spieesclude qualunque forma
di conoscenza metafìsica.
Eppure, egU riconosce
come permanente e
irresistibile la tendenza
dello spirito umano
a oltrepassare il
mondo dell'esperienza e
ad ammettere una
realtà assoluta soprasensibile. Pertanto egh
ritiene che compito
del filosofo sia
quello di mostrare insieme con
l'illusorietà del sapere
metafìsico la genesi
psicologica del suo
necessario formarsi. La
dimostrazione della illusorietà
della conoscenza metafìsica
comprende i) la
critica condotta sul
modello dell'empirismo inglese,
da Locke a
Hume e al Mill dei
due concetti fondamentali
di causalità efficiente
e di sostanza,
intesi come arbitraria
trasformazione d'una sequenza
temporale attestata dall'esperienza in connessione
necessaria tra antecedente
e conseguente (produzione del
secondo da parte
del primo) per
quel che riguarda
la causa, e,
per quel che
riguarda la sostanza,
d'un rapporto di
coesistenza tra varie
rappresentazioni quaUtative in
un qualcosa di
distinto da esse
che ne costituisca come il
sostrato permanente; l'arbitrarietà del
procedimento psicologico da cui
si origina l'aspirazione
alla conoscenza di
una realtà ultrasensibile, ossia
della tendenza a
estendere alla totahtà
dei fenomeni a
noi non famihari
e. Guastella:
il fenomenismo 95
le spiegazioni o,
meglio le presunte
spiegazioni che dei
fenomeni a noi
più familiari si
crede di poter
dare mediante il
concetto di causazione
efficiente. In altri
termini, si ritiene
che al senso
comune e all'intelletto che
non ha fatto
ancora la critica
di sé e
delle sue nozioni,
sembra che l'esperienza
a noi più
familiare presenti due
tipi di causazione
efficente dei fenomeni,
l'azione dello spirito
sul corpo (cioè
la produzione dei movimenti
del nostro corpo
da parte dello
spirito) e l'urto di
un corpo con
un altro corpo
come causa dei
movimenti di questo.
L'evidenza di questi
due modelli di
causazione autorizza ad
estendere l'uno o
l'altro di essi
a tutti quanti
i fenomeni e
si hanno così
le due classi
di sistemi metafisici apparsi
nella storia del
pensiero, cioè i sistemi
spirituaUstici (che antropomorficamente scorgono
in tutta la
realtà l'azione causale
dello spirito) e
quelli meccanicistici che considerano
tutta la realtà
come un complesso
di urti reciproci
dei corpi. Ma
secondo il Guastella
questa tendenza psicologica
a univerzalizzare rapporti
che al più
valgono per l'esperienza
più famihare a
noi uomini non
è per nulla
giustificata, e pertanto
la « filosofia
della metafisica » è
dimostrazione deU'iUusorietà della
metafisica stessa. La
fallacia dei sistemi
metafisici, dimostrata attraverso
la critica empiristica
del concetto di
causahtà efficiente, è
confermata dalla critica
empiristica del concetto
di sostanza. Il
senso comune e
l'intelletto non critico
credono di Fallace
concetscorgere nelle esperienze
dei fenomeni esterni
a noi più fa'° materiale
o spi miUari permanenza
o identità con sé stesso
di qualcosa rituale.
che si manifesta
nel divenire, ossia
nel sorgere e
nello scomparire di qualità
sensoriaU, ma non si esaurisce
in esso, in
quanto non nasce
e non muore.
E col sohto
passaggio dal famihare
al non famihare
s'interpreta tutto il
mondo esterno come
una plurahtà di
sostanze materiali immutabih,
le cui diverse
posizioni reciproche nello
spazio determinerebbero le
variazioni quahtative costituenti
il divenire. Si
formano così 1
sistemi metafisici materiahstici
o meccanicistici, tra
cui l'atomismo. Ma
la critica scopre
l'illusorietà del concetto
8. — Lamanna.
Storia della filosofia.
VH. 96 Cap.
XXX. Positivismo e
correnti affini di
identità sostanziale delle
cose, in quanto
nell'esperienza non v'è
nulla di permanente,
e quindi nessun
fondamento oggettivo hanno
le interpretazioni metafisiche
materialistiche e
atomistiche. Analogamente è
illusoria la credenza
che l'esperienza interna
ci riveU la
permanenza e identità
di una sostanza
spirituale o anima,
perchè questa non
è altro che
una collezione di
stati di coscienza,
e quindi infondate sono tutte
le interpretazioni metafisiche
di orientamento spirituahstico. Questa
critica porta alla
conclusione che la
filosofia dell'esperienza deve
limitarsi alla constatazione
dell'esistenza di quaUtà sensoriali
e di dati
di coscienza, rifiutandosi
di ammettere sostanze
materiali o spirituali.
È soltanto un
pregiudizio del senso
comune la credenza
che il cosiddetto
mondo esterno sia
costituito da corpi
che esistono per
sé quah noi
li percepiamo ma
indipendentemente dal nostro
percepirli: che siano
percepiti o no,
è indifferente per
il loro essere.
Su questo pregiudizio
si basano tutte
le forme di
reahsmo, e da
esso derivano le
antinomie che le
concezioni reahstiche
presentano e sono
per esse insuperabiH.
Solo liberandoci da
questo pregiudizio si
ha una visione
coerente della realtà, quale
è data dal
fenomenismo : «
esse est percipi
». A questa
confutazione del realismo
e alla conseguente dimostrazione della
tesi che non
v'è altra realtà
che quella degli
stati di coscienza
ossia quella della
nostra esperienza, il
Guastella dedica la
sua opera conclusiva,
Le ragioni del
fenomenismo. 8. L'assiologia
di Sacheli. —
Uno sviluppo originale
in direzione della
filosofia dei valori
fu dato al
fenomenismo del Guastella
da Calogero Angelo
Sacheli (1890-1946), scolaro,
oltre che del
Guastella, del pedagogista Giovanni Antonio
Colozza (1857- 1943), e
professore lui stesso
di pedagogia a
Messina. Il primo
nucleo di scritti
del Sacheli si
colloca poco dopo
la fine della
prima guerra mondiale
{Assiologia, 1919; Indagini
etiche, 1920; Fenomenismo, 1926), e
mira soprattutto a
scalzare la pretesa
di L'assiologia di
C. A. Sacheli
97 una struttura
concettuale data, che
offra una volta
per tutte il
quadro necessario dell'attività
umana. In un
secondo gruppo di
scritti {Atto e
valore e Ragion
pratica), del 1938,
il Sacheli mostra
che riconoscere la
concretezza dell'immediato
non significa negare
ma, al contrario,
salvaguardare i valori
dello spirito. Il
proton pseudos, per
il Sacheli, è
cercar n valore
non è di
ricondurre il valore
all'essere: poiché allora
il valore sarà concepito come
qualcosa di già
dato, vuoi come
fatto, vuoi come
forma, e perciò
come qualcosa di
inerte, di irrilevante,
che cessa pertanto,
non solo di
essere valore, ma
anche di essere
comunque, per ridursi
al nulla. L'essere
va bensì cercato,
ma muovendo dal
dover essere, senza
mai pretendere d'averlo trovato
compiutamente: va cercato
in una tensione
continua. Per questo
il reale concreto
è sempre mobile,
imprevedibile, problematico, caratterizzato da
quella che il
Sacheli chiama axiofenomenicità: cioè
fenomenicità costituentesi nella
tensione verso un
valore. In questo
concetto dell'esistere si
può notare un
influsso, sia della
« critica del
concreto » di
CarabeUese, sia dell'idealismo di Gentile,
nel senso che
entrambi stimolano la polemica
del SacheU e
quindi, in parte,
lo condizionano. Contro
il primo, il
SacheU sostiene infatti
il vanificarsi di
un ontologismo verso cui
non ci si
muova axiofenomenicamente ;
contro il secondo,
la necessità di
ammettere una plurahtà
di soggetti, e non un
soggetto unico e
assoluto. L'esigenza dell'alterità
è, anzi, il
principio sintetico originario
dell'esperienza, ciò per cui
l'esperienza concreta si
fa nell'io, in
vista dell'unità con
l'altro io. Ciascun
io, « nella
sinteticità concreta che egli
è, è chiamato
a reaUzzare quel
pieno sé stesso
che non può
veramente essere un
me, un ego che distingue,
separa ed oppone
ma un io
che per tale
mezzo é, in
ultima analisi, quell'unicità
axiologica cui solo
siamo necessariamente,
interiormente orientati» [Ragion
pratica, p. 316).
Non senza forzature
e oscurità, il
Sacheh si sforza
così di mettere
in luce una
vocazione intimamente axiologica
nel fenomenismo della
filosofìa moderna, affacciatosi
con Hume, e
soffocato da Kant
e dai postkantiani
sotto strutture a
priori. gS Cap.
XXX. Positivismo e
correnti affini g.
Francesco Orestano :
scienza etica e
« superrealismo ».
— Orestano, nato
nel Palermitano, professore
di filosofia morale
e di storia
della filosofia dal
191 1 al 1924,
lasciò volontariamente la
cattedra, dichiarando di
voler dedicare tutta
la sua attività
all'esecuzione d'un
programma speculativo molto
ambizioso, o forse,
più propriamente, presuntuoso:
la costruzione di
un Ricerca di
sistcma, nel quale
da un lato
il problema etico
e, più in ge^ifica'^'^ ^"^"" ^^r^J-^'
dei valori umani,
dall'altro, il problema
della realtà e
della conoscenza, impostati
su basi sperimentali,
avessero una soluzione
rigorosamente scientifica, e
costituissero quindi (pur
al di fuori
dei quadri della
scuola positivistica) una
nuova filosofia positiva.
E d'altra parte
questa, a suo
giudizio, si inseriva nella
più genuina tradizione
del pensiero italiano:
si prestava quindi
ad essere strumento
e appoggio nel
campo culturale del
nuovo regime politico
instauratosi in Italia, a
difesa e incremento
dei nostri valori
nazionali. Accademico
d'Italia tra i
primissimi nominati e
quale Presidente della
Società Filosofica Italiana,
abile orchestratore di
congressi e convegni
filosofico-politici,
l'Orestano con una
campagna ferocissima di
poco edificanti polemiche
svolse un'accanita concorrenza
con l'ala gentiliana
deU'ideaUsmo da lui
boUata per le
sue origini hegeliane
come espressione deUo spirito
germanico -, in uno sforzo
tenace di soppiantarla
nella funzione di
filosofia ufficiale del regime. I
primi lavori teoretici
concernono la fondazione
di una nuova
etica: e con
essi egli carezzava
in segreto e
più tardi lo
dichiarò apertamente l'idea
di essere il
Galilei o il
Newton deUa scienza
del bene e
del male, /
valori umani, 1907,
e i Prolegomeni
alla scienza del
bene e del
male, 19 15, sono
le più importanti
tra le sue
opere. L'Orestano presenta
un programma di
innovazione nell'indagine
dell'esperienza morale, perchè
questa possa assumere carattere e
valore di una
vera e propria
scienza quale «
esperienza pura »,
analogamente alla concezione
che della scienza
dei fatti naturah
ha formulata l'Avenarius.
La scienza F.
Orestano : scienza,
etica e «
superrealismo » 99
etica non può
essere altro che
la descrizione della
vita moDescrizione di
rale da cui
risultino lepri esprimenti
relazioni funzionali ^^!'^^^°^^
/""" 00 ir
j ztonah costanti.
costanti tra fenomeni
e rappresentanti la
massima economia concettuale
rispetto alla varietà
infinita dei fenomeni
stessi, senza alcuna
pretesa normativa. Si
aggiunge che la
scienza della morale,
se vuol essere
scienza veramente positiva
e riuscire alla
descrizione più completa
e più semplice
della realtà etica,
deve rendere formali
i propri concetti,
senza dare alcuna
definizione concreta del
bene e del
male, né difendere
alcuna intuizione particolare
della vita morale,
sia egoistica o
altruistica, sia individualistica o
collettivistica, ecc., bensì applicando
indistintamente i propri
concetti a tutte le
esperienze morali, dai
gradi infimi ai supremi. E
le relazioni funzionali
costanti che si
scoprono nel/ valori.
l'esperienza morale sono i valori:
l'atto di valutazione
è quello che
la scienza morale
deve innanzitutto analizzare.
Ogni valutazione è
reazione di un
oggetto alla soggettività:
ma a proposito
della natura di
tale reazione, il
pensiero dell'Orestano presenta
oscillazioni e incertezze
tra la persuasione che essa
sia un atto
di coscienza (reazione
psicologica) e l'altra che
essa comprenda elementi
extra psicologici, inconsci e
subconsci. La soggettività,
che reagisce nella
valutazione, è per l'
Orestano un «
sistema di vita
», che presenta
una composizione multipla
e pluricentrica :
sotto l'aspetto psicologico
è polipsichica nel
senso che nello
stesso individuo si
trovano più centri
di attività, fonte
di processi sconnessi
e discontinui; sotto
l'aspetto organico è
polizoico cioè costituito
da una moltephcità
di vite, e
sotto l'aspetto sociale
policoinotico. Questo sistema
di vita di
cui la coscienza non
sarebbe che una
piccola porzione accanto
a quelle dell'inconscio e
del subconscio è
la fonte onde
promanano tutte le determinazioni dei
valori umani. Ulteriore
chiarificazione della natura
dell'atto valutativo sembra
all'Orestano la riduzione
del valore a
uno stato di
interesse, inteso non
nel senso intellettualistico di
curiosità, ma in
senso bio-psichico, come
reazione della personalità
nella sua 100
Cap. XXX. Positivismo
e correnti affini
totalità bio-psichica, riferita
al suo oggetto
determinato e indeterminato
(il che, come
si vede, non
è certo una
chiariII subconscio, ficazione).
Ma per quanta
importanza possa avere
neUa vita della
personalità il subconscio
e l'inconscio e
per quanta verità
sia contenuta neUe
lunghe anahsi che
l'Orestano fa di
queste zone, rimane
indubitato che gli
elementi inconsci e
subconsci, intanto possono
essere riguardati come
fattori della mia
personahtà, in quanto
presentano un qualche
rapporto e hanno
una qualche ripercussione
nella coscienza, e
propriamente in quel
centro di essa
che costituisce l'unità
di tutte le
sue più diverse
manifestazioni, e che
appunto chiamiamo io.
Un valore è
valore solo in
quanto vien sentito
come tale dalla
coscienza, qualunque siano
le indicazioni che da questa
esperienza cosciente possano
trarsi in ordine
aUa realtà extra-psichica, qualunque
possano essere le condizioni
obiettive di essa,
tra le quali
appunto rientrano i
fattori subcoscienti e
incoscienti. E questo
è in ultima
anahsi riconosciuto dallo
stesso Orestano sia
quando definisce la
valutazione « coscienza
riflessa di uno
stato di interesse
», sia quando
risolutamente afferma che « la
coscienza è la
vera, l'unica sede
della vita morale
» e quindi
della attività valutativa
in essa imphcita.
Ma allora noi
ci domandiamo, perchè
dichiarare vano il
tentativo di spiegare
psicologicamente il fatto
della valutazione e respingere
la teoria deUa
funzione valutatrice come
specifica e irriducibile
ad altro, quando
la sua equazione
« valore-interesse »
è espressione diversa
di questa stessa
tesi e non
denota elementi più
semphci ai quali
la nozione di
valore sia riducibile
? La soggettività
NeU'equivoco e nel
vago noi restiamo
quando l'Orestano, loi
possa immaginare. La
vita è im
complesso di funzioni
e di attività,
le quali si
svolgono nelle direzioni
più varie: è vita quella
dell'idiota, come è vita quella
di Socrate o
di Gesù: a
quale delle due
debbono venir ragguagliati
i diversi valori,
perchè se ne
possa stabilire una
serie graduale ?
La vita è
il campo in cui l'attività
pratica si svolge,
diciamo meglio è
la materia che
questa attività tende
ad elaborare, a
sistemare, a unificare; è
chiaro che questa
sistemazione ed unificazione non potrà
esser fatta, se non alla
stregua di criteri
e principii di
valutazione che non
possono esser fatti
dalla vita stessa
ut sic. La
vita può anche
essere considerata, come
vuole l'Orestano, il
quantum d'energia qualunque
questa sia di
cui in ogni
istante disponiamo per
l'attuazione di questo
o di quel
fine; ma è chiaro che
è la graduazione
dei fini e
dei valori, presupposta
come già compiuta,
quella che determina
la misurazione del
quantìim di energia
da mettere al
servizio di questo
o quel fine,
e non viceversa.
E comunque può
richiedersi tanta forza
fisica, tanta intelhgenza,
tanta energia vohtiva,
tanto coraggio, ecc.,
per perpetrare un
dehtto, quanta per
compiere un atto
di salvataggio. Nessun lume
ci viene in
proposito dal ricorso
a una o
altra delle metafore
tratte dalla matematica,
che per l'Orestano
rappresentano come lo
specimen del metodo
di misurazione che
nello studio dell'esperienza etica
deve essere introdotto
perchè questo studio
sia veramente scientifico:
{scire est mensurare).
Nessun lume, dicevo,
ci viene dalla
possibihtà, affermata dall' Orestano, di
rappresentare i diversi valori come
tante frazioni con
numeratore vario e
con comune denominatore
la vita -,
quando a questo
denominatore, espresso si con
un unico simbolo,
si dà volta
a volta un
valore e un
contenuto diverso. In
questa teoria della
valutazione in generale
l'Orestano Teoria delia
vainquadra il problema
del carattere differenziale
che contro^«^«^^o^^distingue la
valutazione morale dalle
altre forme d'interesse.
E ravvisa questo
tratto caratteristico nel
riferimento di un
oggetto ad un
concetto unitario della
vita nella totalità
dei 102 Cap.
XXX. Positivismo e
correnti afini suoi
scopi: il fatto
morale è impiego
effettivo, cosciente e
volontario della vita
in funzione di
un concetto di
essa, considerata nella totalità
dei suoi aspetti
e delle sue
relazioni; l'esperienza morale
è « la
vita che pensa
e vuole sé
stessa ». Nei
giudizi morali è
tutta la vita
in questione, non
la vita puramente
vissuta, ma la
vita secondo un
concetto o ideale
che noi ci
formiamo di essa
e dei suoi
scopi. Questo concetto
o ideale è
il vero fondamento
di tutti i
giudizi etici: fondamento relativo, perchè
soggetto a mutazioni
storiche e individuah;
ma una volta
fissato, agisce come
principio assoluto nella
determinazione dei valori
dipendenti, e non
c'è momento particolare
della vita, che
non si possa
valutare sotto l'aspetto
morale. Il centro
di riferimento delle
valutazioni morali è
non necessariamente la
vita neUe sue
attuali modalità biologiche, ma il
concetto di vita
nella totalità dei
suoi scopi, sia
che questi scopi
confermino o sia
che tendano a modificare
in qualsiasi modo
la realtà biologica
nel piìi largo
senso di questa
espressione. u ideale. Nella
valutazione morale dunque,
la nozione di
vita che costituisce
per l'Orestano il
fulcro della dottrina
dei valori umani,
si comphca con
l'introduzione di un
nuovo elemento, il
concetto o ideale
di vita: e
questo presenta nuove
difficoltà e incertezze.
Come si forma
questo « concetto
unitario » della
vita, a cui
devono essere riferiti
tutti i valori,
perchè assumano carattere
morale ? Se
s'è detto che
la vita è
l'unità di misura
di ogni valore
e quindi anche
del valore dell'ideale,
come si può
poi affermare che
è l'ideale l'unità
di misura? L'Orestano
afferma che l'ideale
impone la propria
legge alla vita,
e parla di
« coscienza di
dovere », immanente
in date valutazioni
e determinazioni; parla,
altresì, di un
soggetto che ha
capacità e «
diritto » di promulgare ideaH
di vita. Ma
invano noi cerchiamo
nella dottrina dell'Orestano
un'analisi approfondita
della nozione di
dovere. Per lui
la norma morale
non è che
lo schema astratto
e costante di
un'esperienza o di un
gruppo di esperienze
che tendono a
stabiLLzzarsi nella ripetizione,
e importa la
proclamazione di volere
e la coscienza
di volere persistere
in tutti i
casi analoghi F.
Orestano : scienza,
etica e «
superrealismo nelle medesime disposizioni
valutative e nell'attività
corrispondente. Quando poi la
norma è concepita
e proclamata in
termini universali non
soltanto per un
dato soggetto, ma
per una moltitudine
di soggetti appartenenti
ad una data
società (e tendenzialmente per la totalità
dei soggetti possibili),
quella norma si
chiama legge; e
le leggi morali
sono norme e
sistemi di norme
che dispongono della
vita umana nella
totalità delle sue
relazioni. Queste sono
le conclusioni a
cui l'OreStano giunge
nella Morale econodescrizione della
vita morale, e
significano la pura
e semplice ^If^^^^^
mora e constatazione
del fatto che
esistano date valutazioni
piìi o meno
durevoli, piii o
meno intense, più
o meno costanti.
Ma quando è
proposta la questione
della legittimità della
coscienza, dell'obbligatorietà e
della almeno potenziale
universalità delle norme e
leggi morali che
è poi la
questione centrale dell'etica
l' Orestano fa una
distinzione importantissima,
che minaccia di
fallimento il programma
stesso della fondazione
di un'etica scientifica.
E la distinzione
è tra due
morali, caratterizzate dall' Orestano come
morale economica e
morale elettiva o
morale dell'ideale. La
prima è un
insieme di norme
e leggi che
hanno una funzione
protettiva della vita,
di comandi proibitivi
di tutto ciò
che può nuocere
alla vita, e
costituiscono l'ordine etico
giuridico avente per
principio fondamentale il valore
assoluto della vita
biologicamente intesa (vita
tanto di un
individuo quanto di
una specie). Questa
morale fondata sulla
economia della vita
tende al mantenimento
di un ordine
sociale che tuteli
ogni vita individuale contro qualunque
fattore volontario di
distruzione e assicuri
a tutti il
libero svolgimento della
personalità. Alle leggi
e norme della
morale economica è
riconosciuta come essenziale
l'obbhgatorietà e universaHtà
ma questa si
risolve nel consenso
sociale, ha la
sua fonte nella
autorità dello Stato.
— La seconda
morale invece si
fonda non sul
valore assoluto della vita
ma sul valore
assoluto dell'ideale, ossia
del concetto di
bene come costituente
il contenuto spirituale
positivo della vita. Questo
problema comporta soluzioni
varie sempre più
libere per ciascuna
personaUtà (e perciò
è detta morale elettiva).
Appunto perchè la
personalità è, come
s'è visto, una
collettività pluricentrica e
i vari centri
di funzioni sono
relativamente autonomi, ad
un stesso individuo
quel problema presenta
conflitti incomponibili e
ineliminabili antinomie.
L'ideale di vita
è assoluto m.a
in rapporto all'individuo
che lo formula
e che vi
si sottomette, anzi
al momento di
vita che egli
attraversa. I contrasti
alle antinomie fra
i vari ideali
di vita potrebbero
portare ad uno
scetticismo etico, potrebbero
portare a credere
che la vita
si svolge a
caso senza né
ordine né legge.
Ma l'Orestano arretra
innanzi a questa
conclusione negativa e
si hmita a
dubitare che l'esperienza morale e
forse tutta l'esperienza
umana non rivela
al pensiero la
totaUtà delle sue
condizioni; che l'empiria
esiga l'integrazione di
un qualche elemento
metempirico che è
forse l'elemento essenziale,
ma inafferrabile per
la scienza, avvolto
nel mistero. Mentre
si voleva fondare
sull'esperienza pura l'etica come
fondazione scientifica e
la distinzione fra
bene e male,
alla fine sembra
inevitabile il ricorso
alla metafisica come
tentativo di svelamento
del mistero. L'Orestano
scrive esphcitamente, alla
fine dei Prolegomeni:
«non tutta la
realtà è nell'esperienza. Questo
ci dice l'esame
scientifico piiì accurato,
esaurite le sue
più rigorose indagini
fra crescenti oscurità
e contraddizioni, alla
presenza di residui
che ci sfuggono.
Altra volta la
scienza era invocata
a far piena
luce in tutto:
oggi essa non fa che
adunare prove intorno
all'esistenza di un
mistero inviolabile ». V
antinomia del Tra
le antinomie scaturite
dall'anafisi dell'etica impersacrtficto. niata
nel concetto di
vita, è rilevata
dall' Orestano in parti colare quella relativa
al dovere che
l'etica elettiva impone
del sacrificio assoluto
dell'individuo per la
causa ideale trascelta.
È quello che
l'Orestano chiama il
paradosso della guerra:
per l'economia della
vita si distrugge
la vita: l'ideale,
funzione della vita,
può pretendere di
attuarsi a prezzo
della vita. La
vita è per
il soggetto la
sola vera misura
che il soggetto possiede, della
realtà e del
valore: come può
una funzione dipendente di
essa, cioè l'ideale,
inghiottire la variabile
indipendente, cioè la
vita? Questo paradosso
non si risolve
F. Orestano: scienza,
etica e «
superrealismo col
determinarne un certo
rapporto di quantità:
la vita è
un valore assoluto
che non può
sottoporsi a misura
quantitativa; le vite distrutte
nella guerra non
valgono meno, sol
perchè meno numerose,
delle vite protette:
forse erano anzi
le piìi valide,
le più nobili,
le piìi degne
di vivere. La
guerra è un
« tragico esperimento
» : il
paradosso della guerra
è com.prensibile solo
se si oltrepassa
l'individuo mettendo un
legame intrinseco tra
esso e il
tutto. Se l'individuo
fosse veramente individuo,
il suo sacrifìcio
per la sua
collettività sarebbe assurdo.
Se egli s'immola
all'idea del tutto,
vuol dire, che
questa vive in
lui con una
forza e un
valore che trascendono
ogni considerazione individuale.
Quanto più anzi
l'idea del tutto
vive nei singoli
ed è capace
di assorbire e
disciplinare tutte le
altre valutazioni, tanto
più il sacrifìcio individuale diviene
facile e pronto.
E quando si
dice idea del
tutto s'intende non
la totalità della
vita individuale, ma
la totahtà dell'Essere.
Siamo in piena
metafìsica: alla via
discendente della riflessione
verso lo sviluppo
formativo della scienza
del bene e
del male, qui
l'Orestano sostituisce la via ascendente,
per la quale
il problema morale
scientificamente trattato
diventa tutto il
problema umano :
problema della verità
e dell'errore, della
certezza del dubbio,
del pensabile e dell'impensabile, il
problema della coscienza
riflessa, del destino
umano universale. Il
passaggio è determinato
La crisi delia
dallo spettacolo tragico
della guerra. Fu
questo dichiara §"'^''''^l'Orestano nella
prefazione all'opera Nuovi
principii ciò che
lo indusse a
una riforma del
pensiero, per renderlo
idoneo a quella
più integrale comprensione
della realtà e
del divenire naturale e
umano che egH
chiama nuovo realismo
o iperrealismo; al
quale egli dedica,
oltre l'opera ora
ricordata dei Nuovi
principii (1925) parecchi
altri scritti successivi,
tra cui il
più importante è
Verità dimostrate (1934).
(Alla fine cfr.
il volume di
raccolta di saggi,
del 1939, intitolato
// nuovo realismo).
Per l'Orestano il
problema dei problemi
della filosofia La
realtà obietodierna è
quello della realtà:
si tratta di
vedere, contro l'immanentismo prima
dominante, se si
possa ammettere l'esistenza e
determinare la struttura
d'una realtà obiettiva
per sé stante,
indipendente dal soggetto,
Antimmanen È Sorprendente che,
nel procedere alla
dimostrazione tismo. della
sua tesi realistica
in sensoanti-immanentistico, l'Ore stano
muova da premesse
che sembra significhino
l'accettazione in pieno deUa
posizione immanentistica: oggi,
egli dice, non
è più lecito
dubitare né deUa
soggettività deUe esperienze, né della
impossibilità di un
sapere che pretenda
uscir fuori dall'esperienza. Da
un lato l'esperienza
è necessariamente relativa alla
struttura psico-fisica e
logico-categoriale del
soggetto dell'esperienza stessa;
e, dall'altro lato,
l'esperienza è invalicabile.
Ma per l'Orestano
questo duplice riconoscimento non
basta a negare
una realtà indipendente
dal soggetto, ma
anzi la postula
a vera necessaria
integrazione. Significa
andare oltre quella
premessa, dedurne che
l'esperienza sia nulla
più che indice
d'una realtà soltanto
soggettiva. Negare in
nome dell'esperienza una
realtà trascendente è già
oltrepassare l'esperienza, e fare dell'ontologia: posizione
arbitraria, questa, che
contraddice le premesse.
E questo va
detto non solo
delle esperienze particolari
nelle loro concrete
presentazioni, ma anche
delle stesse forme
a priori, che
Kant proclamò soggettive
e soltanto soggettive,
mentre niente autorizza
ad escludere che
esse, oltre che
forme a priori
nel soggetto, siano
anche schemi oggettivi
dell'accadere, o abbiano quanto
meno un analogo
oggettivo. La subiettività,
una volta stabihta,
vieta di affermare,
ma vieta anche
di negare ogni
e qualsiasi corrispondenza tra
le nostre esperienze
e una, sia
pure ipotetica realtà
transubbiettiva : chi lo nega
viola il principio
della subiettività quanto
chi l'afferma. Pertanto,
se ne desume
come unica conseguenza
legittima, non la
soppressione di qualunque
riferimento trascendentale della
nostra esperienza a
una realtà in
sé, ma l'affermazione della
problematicità della realtà
in sé. Ogni
esperienza nasce e
si fissa con
un suo riferimento
ontologico, cioè con un
senso vettoriale verso
una sia pure
ipotetica realtà in sé,
assunta come il
sustrato, lo sfondo,
ragione F. Or
estano: scienza, etica
e « superrealismo
» 107 e
misura della stessa
esperienza. Ma la
problematicità di questi
riferimenti ne esige
una continua verificazione, escludendone l'accettazione passiva
e totale. La
soluzione del problema
della realtà in
sé deve per
l'Orestano essere in
qualche modo positiva,
ancorché parziale, approssimata,
provvisoria, pena la
vita; perchè noi
viviamo effettivamente non
mai tra soU
fenomeni, ma tra
noumeni, noumeni noi
stessi. Come presupposto
di tutta la
trattazione del problema
La «dimensioontoloedco, l'Orestano ammette
quella che egh
chiama "^ trascenden ^
^ ^ °
tale» dell'espe dimensione trascendentale dell'esperienza, come
componente Henza. costante
e insopprimibile di
tutta l'esperienza nel
suo complesso e di
ciascuna esperienza particolarmente presa,
che ne addita
i riferimenti a
una realtà in
sé, a un
ipotetico sfondo noumenico,
trascendente tutti i
dati componenti l'esperienza
stessa. E un
tale riferimento si
manifesta in due
direzioni: l'una verso
un non-io (cose
esteme, soggetti altri
da noi, ecc.),
e l'altra verso
il nostro stesso
io, come entità
tanto nascosta e
misteriosa e inaccessibile
quanto ogni oggetto
o non-io a
noi estraneo. E
in questa dupUce
direzione, le rivelazioni
della cosa in
sé che riusciamo
a coghere sono
egofanie, se riferibili
al nostro io
trascendente, eterofanie se
riferibih a un
mondo in sé, a un
non-io. Sulla dimensione
trascendentale si fonda quella
che l'Orestano chiama
metafisica del fatto
empirico. La dimensione
trascendentale propone per
ciascuna esperienza un'ipotesi
di ordine ontologico
e non soltanto
fenomenico; ipotesi suscettibile
di verificazioni sperimentaU
soltanto parziaU e
provvisorie, di correzioni,
integrazioni, abbandoni e
riprese. La dimensione
trascendentale costituisce
l'asse non solo
di tutto il
nostro pensare e
conoscere, ma di
tutto il nostro
agire, in quanto
ad essa noi
ci appoggiamo nel
trattare i fenomeni
sia sul piano
teoretico, sia sul
piano tecnico e
pratico. La questione
fondamentale dell'ontologia, secondo
l'Orestano, consiste
nell'esaminare se è
possibile uscire dalla
problematicità ontologica delle
esperienze, rimanendo con
le esperienze e
nella esperienza. Questo
problema comporta una soluzione
positiva solo a
condizione che ammettiamo
a priori di
poter distinguere con
criterii interni esperienze
da esperienze, confr ontare
cioè le esperienze
ontologicamente certe con le dubbie
e con le
ingannevoli, le obiettivamente condizionate
dalle incondizionate, ecc.
La scala ontoioCon
questo intento e
questo procedimento l'Orestano
^'^'^"'crede di poter
ordinare i valori
ontologici del nuovo
realismo in una
scala ontologica graduata
in modo che
i gradi superiori implichino tutti
gli inferiori, ma li oltrepassino
aggiungendo ai precedenti indici
di accrescimento di
potere e di
valore umano. Questa scala
è così costituita:
i) ricerca e
verificazione di costanti
delle esperienze implicante
la ripetizione delle
esperienze, sia la
ripetizione indipendente dalla
nostra volontà (osservazione) sia
ripetizione a volontà (esperimento)
: la scienza
è tutta un'ansiosa
ricerca di tali
costanti; 2) verifica
delle costanti teoriche
scientificamente accertate,
negazione integralmente considerata:
l'uomo, per la
soddisfazione dei suoi
bisogni, svolge un'azione
la quale è
come un interrogatorio a
una realtà in
sé, proposto con
le nostre previsioni:
i risultati dell'azione
sono altrettante risposte;
che danno sempre
un valore positivo
e negativo alle
nostre incognite e
costituiscono l'unico controllo
che possediamo, sebbene
e soltanto approssimativo e
provvisorio, delle nostre verità
e dei nostri
errori in un
piano non soltanto
fenomenico ma ontologico;
3) gli atti
di valutazione, con
cui si trasfigura
in senso umano
la realtà obiettivamente data e vi
si inseriscono realtà
umane che la
stessa natura ignora;
4) funzione creatrice
di realtà tutte
e soltanto umane,
Creazione di la
Creazione del mondo
dei valori umani:
creazione che ha
luogo non soltanto
nella sfera circoscritta
di una personalità
ma nelle costruzioni
storico-collettive le quali
danno indicazioni pregnanti e
provanti il realismo,
nel grado massimo
consentito. — Questa
ontologia non è
più confinata ai
rilievi realtà umane.
F. Orestano: scienza,
etica e «
superrealismo » 109
di date costanti,
pur utilizzandole tutte;
essa va oltre
tutto ciò che
è già acquisito
all'esperienza, non solo,
ma che possa
esservi empiricamente dato.
Non è un'ontologia
passiva e contemplativa, ma
essenzialmente attiva, guerriera,
in cui funzioni
creatrici e rivelazioni
trascendentali (egofanie ed
eterofanie) si compenetrano
oltre tutti i
hmiti. Per essa
il mondo non
è più una
quantità data ;
ma il soggetto
si immette in
un mondo di
possibilità sconosciute e
sconfinate e marcia
alla conquista di
posizioni assolute. Nel
mondo dei valori
umani, edificato storicamente
da intere collettività
umane, i valori
spiegano tanta piii
potenza realizzatrice propria,
quanto meno sono
obiettivamente condizionati. Perciò
si graduano essi
pure in una
scala dai più
ai meno condizionati,
e inversamente dai
meno ai più
elettivamente costituiti: valori
economici, giuridici, politici,
morali, poetici, religiosi.
In questa gradazione
interna del mondo
dei valori umani
si va da
queUi che segnano
un massimo di
dipendenza o condizionalità obiettiva
(i valori economici)
a quelH (i
valori rehgiosi) che
segnano il massimo
d'indipendenza o incondizionalità empirica
e fondano realtà
umane storicamente resistenti
e universalmente dominanti.
I valori rehgiosi
trasformano l'asse ontologico
di tutti i
valori umani in
un sistema metempirico:
la categoria dell'Assoluto
opera in tutta
la sua estensione:
la trascendenza involge
e domina tutta
l'immanenza e questa
si potenzia e
subhma nella trascendenza. Alle egofanie
ed alle eterofanie
sono congiunte le
teofanie. Tutti i
gradi di questa
ontologia dalla prima
ricerca delle costanti
dell'esperienza al più
alto ed efficiente
sforzo costruttivo di
un mondo umano
in funzione del
SoprannaAnelito ai soturale,
sono pervasi dall'anelito
a una realtà
non illusoria. P''^'^^^^^''^^^Questo slancio
di continuo superamento
riesce a fondare
sistemi di realtà
spirituale trasumananti, a
cui nessuna realtà
fisica e naturale
è confrontabile per
potenza ordinatrice e per fecondità
creativa. Era un
errore di prospettiva della
vecchia ontologia dare
per veramente reale
il regno della
natura, e per
reale no Cap.
XXX. Positivismo e
correnti affini il
regno dell'uomo solo
in quanto assimilato
al primo. Per
rOrestano è vero
il contrario: non
c'è nulla di
cosi labile come
il fenomeno fisico,
e nulla di più resistente
e fecondo di
realtà del mondo
dei valori umani,
che la stessa
natura è incapace
di porre in
essere e che
l'uomo crea e
propaga all'infuori di
ogni dipendenza da
modelli fisici e
naturali. La scala
ontologica, per essere
umana, non è mai soltanto
soggettiva, e per
essere frutto di
pensieri, sentimenti e volizioni
dell'uomo non per
questo presenta caratteri
di realtà meno
imponenti, anzi più,
di qualsiasi più
potente processo cosmico.
E, poiché ciascun
grado superiore non
solo implica e
convahda ma anche
supera tutti i
gradi inferiori, l'Orestano
quahfica il suo
reahsmo costruttivo come
superrealismo. Secondo questo
realismo costruttivo il
processo della conoscenza
non è mai
sempHce adeguazione passiva
a una realtà
data, ma si
alimenta di un
attivismo, che concorre
col fatto proprio
a stabilire la
consistenza e misura
della realtà da
noi conosciuta e
vissuta. Le nostre
categorie contro quel
che pensava Kant non hanno
impiego e significato,
se non sono
riferite alla realtà
in sé. Esse
sono gli schemi
relativamente stabih, benché
sempre ipotetici, alla
cui stregua noi tentiamo
di congetturare e
organizzare l'accordo deUa
nostra mente con
una vera e
non illusoria realtà.
La loro funzione
è quella di
ipotesi trascendentale e più precisamente di ipotesi
di lavoro. Le
configurazioni che l'esperienza
assume in esse
e per esse
sono certo simboliche,
ma le risposte
che noi otteniamo
alla nostra inchiesta
logico-categorica della realtà
hanno sempre un
significato. Le categorie,
come ipotesi di
lavoro, sono da
conservare finché utili
e da abbandonare, se sostituibiH
con altre più
feconde. // «superreaiiNel supcrrealismo
dell' Orestano confluiscono: i) motivi
del positivismo (invalicabilità dell'esperienza nella determinazione
del reale, valore
della scienza come
attività formulatrice di
costanti relazionali e
funzionali dell'esperienza, rifiuto
dell' a-priorità e fissità
delle strutture categoriali
del pensiero, da
considerare invece come
risultato provvisorio d'un
processo di formazione
sempre aperto, concezione
dell'io smo ».
F. Orestano: scienza,
etica e «
superrealismo i> ili
non come realtà
originaria e centro
e sostegno dell'esperienza ma come una
costruzione mentale) ; 2) motivi
prammatistici {['azione come
supremo criterio di
verifica e di
discriminazione tra vero e
falso) ; 3)
motivi spiritualistici (la
spiritualità umana come potenza
trasfiguratrice di tutta
quanta la realtà
alla luce e
in forza di
valori costitutivi dell'essenza
stessa della spiritualità,
e come potenza
creatrice d'un mondo
umano, grado supremo
della realtà medesima,
culminante nell'Assoluto divino).
Questi motivi di
cosi diversa provenienza e
così eterogenei sono,
nel « nuovo
realismo » delrOrestano,
piuttosto accostati e
giustapposti che non
fusi organicamente in una visione
veramente unitaria, e gli sviluppi
di essi lasciano
tante oscurità e
ambiguità, che essi
spesso appaiono asserzioni
gratuite piuttosto che,
come l'Orestano pretende,
« verità dimostrate
». Lo stesso
concetto di « dimensione
trascendentale » dell'esperienza, che
è presentato dall' Orestano come
l'asse della sua
ontologia, non è
sorretto da ragioni
che valgano a
dissipare l'impressione che esso
non si distingua
sostanzialmente dall'esigenza,
puramente psicologica, che
è alla radice
di ogni realismo ingenuo. L'ontologia
del « nuovo
reaUsmo » si
presenta come la
trascrizione in chiave
trascendentlstica di quella
rete di rapporti
che l'immanentismo pone
come prodotta dall'io
e insidente nell'io.
IO. Lo SCETTICISMO E
IL MATERIALISMO FENOMENISTICO DI
Giuseppe Rensi. —
Giuseppe Rensi (1871-1941)
dopo avere esercitato,
per molti anni
a Verona, sua
città natale, e
nel Canton Ticino,
suo rifugio di
profugo, l'avventura e
n giornalismo pohtico,
fu professore di
filosofia nell'Istituto Superiore
di Magistero a
Firenze e poi
nelle Università di
Messina e di
Genova, fino al
1934, anno in
cui, avendo rifiutato il
giuramento di fedeltà
al fascismo, fu
privato della cattedra.
Dalla fine della
prima guerra mondiale
in poi egh,
con una abbondante
produzione filosofica, si
fece banditore d'un radicale
scetticismo, denunciando l'impotenza
della ragione a
stabihre principii che,
oltre le moltepUci
e 9. Lamanna.
storia della filosofia.
VII. 112 Cap.
XXX. Positivismo e
correnti affini contrastanti
opinioni, permettano un
qualsiasi accordo fra
gli uomini nella
ricerca del vero,
nella pratica del
bene, nella contemplazione del
bello, nello sforzo
di costruzione d'un
ordine sociale e
politico, nell'aspirazione al
divino Scrittore popòcome
fonte di fiducia
e di speranza.
E si conquistò
una larga ^"■^^cerchia di
lettori, anche al di fuori
del mondo dei
filosofi di professione.
Questa quasi-popolarità fu
favorita dalle innegabiU
doti di scrittore
vivace e immaginoso;
dallo spirito polemico, pronto
agli attacchi piìi
violenti contro gl'idoli
del giorno, a
cui magari egli
stesso aveva il
giorno avanti bruciato
qualche grano d'incenso
(e il neo-idealismo
di Croce e
Gentile fu l'oggetto
dei colpi più
duri), pronto, altresì,
alla difesa della
causa dei vinti,
all'abilità dialettica, spesso
contaminata se non soverchiata
da capziosità sofìstica,
nel raccattare alle
fonti piìi eterogenee
e lontane e
accozzare insieme argomenti
a sostegno delle
proprie tesi, con
scarso senso della
prospettiva storica, più
per estrinseca giustapposizione che per
intima rigorosa connessione
logica; infine, dalla
consonanza dei motivi
fondamentali del suo
speculare con lo
stato di disorientamento e
di angoscia dominante
in un'Europa turbata
e sconvolta dalla
catastrofe della guerra
mondiale, della rivoluzione
russa, dal croUo
di vecchi mondi,
dalle convulsioni violente
di lotte tra
partiti e nazioni.
Nella lunga prefazione
al volume che
può considerarsi come
il Manifesto del
suo scetticismo. Lineamenti
di filosofia scettica
(1919), il Rensi
insiste nel tentativo
di dimostrare la
continuità del suo
pensiero, quale è
formulato in quest'opera,
con le idee
direttive di scritti
antecedenti : e
rileva, in particolare, i titoH
significativi dei due
hbri, Le antinomie
dello Spirito, 1910,
e Sic et
non, 1911, oltre
che l'orientamento Le
antinomie generale dell'altro
volume, La trascendenza,
1904, per modeiia
ragione, strare chc
in tutte e
tre queste raccolte
di saggi è
chiaro l'intento di
mettere in luce
l'insuperabile e reciproco
contrasto tra le
posizioni che la
ragione prende di
fronte ai problemi
fondamentah della morale
e della rehgione
[Lineamenti, pp. vii-viii) .
Ma è da
notare che qui
si tratta di un atteggiamento che è
soltanto antidogmatico e
critico, non ancora
G. Rensi: scetticismo
e materialismo fenomenistico 113
propriamente scettico: la
negazione non è
definitiva, solo si
esclude la possibilità
di giungere attraverso
l'esame comparativo di ipotesi
anche opposte a
una ricostruzione sintetica: positiva. È
l'atteggiamento che esplicitamente viene
affermato dal Rensi
stesso nel dehneare,
nel 1906, il
programma della rivista «Coenobium»
(di cui fu
per parecchi anni
« magna pars
») , a cui
pure fa riferimento
la prefazione citata :
« Qualche millennio
di svariate ipotesi
metafisiche e un
secolo di educazione
strettamente scientifica hanno
tolto al pensiero
contemporaneo ogni rigidità
dogmatica. Noi possiamo comprendere, e,
quasi diremmo, accoghere
nel più intimo
del nostro spirito
le ipotesi, le
tendenze, le soluzioni
più opposte.... tutte
noi le comprendiamo
ed amiamo, perchè
di tutte scorge
le ragioni profonde
la nostra anima
multipla » {ibidem, pp.
vi-vii). Comunque, è
fuori dubbio che,
in quel primo
periodo della sua
attività di pensiero,
il Rensi ebbe
fede sincera oltre
che nel sociahsmo,
quale aspirazione a una
più alta giustizia
nell'idealismo, o almeno
in un certo
ideahsmo, al cui
incremento, diede opera
con la traduzione
delle opere del
Royce e di
uno studio di
Hibben sulla logica
di Hegel. Egli
dà, dell'idealismo hegeUano,
un'interpretazione trascendentlstica,
quale era richiesta
da quella «
vena rehgioso-mistica » che, come
egli stesso dichiarò
più tardi nella
sua Autobiografia intellettuale, si
mescolava in lui,
in questa prima
fase, con la
vena scettica o
antidogmatica. Contro la
tendenza prevalente nel
neo-ideahsmo itahano Contro
l'immacontemporaneo, il Rensi
afferma che 1
immanenza non e
^^ lo stadio
più alto del
pensiero ideaUstico, ma
è solo lo
stadio intermedio tra
una concezione meccanica
del mondo e
la concezione della
divinità personale, immanente
e trascendente a
un tempo. Successivamente dichiara
il Rensi nella
citata AutoPassaggio a
un biografia intellettuale -,
quella vena reUgioso-idealisticomistica che
prima era commista
con quella scettica,
si estinse in
lui e lasciò
il posto a
una visione della
realtà e della
vita decisamente scettico-pessimistica. Tra
le ragioni di
questa pessimismo ateistico.
114 Cap. XXX. Positivismo e
correnti afini scelta
il Rensi pone,
in particolare, la
guerra. « La
guerra ci pone
impetuosamente sotto gli
occhi la terribile
e vissuta grandiosa
messa in scena
dell'inesistenza
d'un'universalità e comunità
di ragione.... Non mi limito
semplicemente a dire:
qui non c'è
verità perchè gli
uomini la pensano
diversamente e si contraddicono
tra loro (contraddizioni esterne);
ma dimostro anche:
qui non c'è
verità, perchè questo
pensiero logicamente non si
sorregge, non può
condursi avanti senz'urti,
erompono in esso
invincibili contraddizioni interne.... Se un
concetto è interiormente
e in sé
stesso contraddittorio cioè contiene
aspetti insolubilmente inconcOiabiU,
non si ha
che da riflettere
che ciascuno di
questi aspetti viene
incorporato e fatto
proprio dalla mente
di un uomo
o di un
popolo, per scorgere
come la contraddizione interna
si traduca e
rispecchi nella contraddizione estema
del dissenso e
della guerra» [Lineamenti,
pp. xv-xvii). La
guerra. La guerra
è un fatto
pohtico, in cui
si affida alla
irra zionalità della forza la
decisione delle controversie
tra le opposte
« ragioni »
dei contendenti. E
le lotte interne
tra i partiti
non sono di
natura diversa: la
democrazia e il
liberalismo ahmentano la fiducia
che la Ubera
discussione porti a
un accordo suUe
questioni controverse, ma i fatti
dimostrano che l'urto
tra le idee
diventa sempre più
irriducibile; la ragione
continua inesauribilmente a
fornir ragioni a
tutte le tesi.
Un parere vale
l'altro: e non
c'è che una
via per uscire
dal contrasto, lasciare
la decisione aUa
forza, all'irrazionalità deUa
violenza camuffata di
legahtà: il principio
degl'autorità costituisce l'unico
fondamento della poUtica.
Il volume La
filosofia dell'autorità fu
pubblicato dal Rensi
nel 1920, con
largo successo di
pubbUco, e forniva
argomenti di propaganda al
regime autoritario che
si veniva preparando
in ItaHa, e
che pure il
Rensi combattè tenacemente e
sinceramente, dando si
direbbe una conferma
personale alla teoria
scettica della vanità
della ragione. La
guerra è la
molla della storia
umana, e appunto
per questo la
storia è senza
senso, è un
vagare cieco verso
un fine che
non esiste, offre
il quadro sconsolante
del passaggio G.
Rensi: scetticismo e
materialismo fenomenistico 115
continuo da un'assurdità
e sofferenza ad
un'altra assurdità e
sofferenza: lo scetticismo
si fonde col
pessimismo. Il presente è
insopportabile, si vuole
evaderne, si aspira
a un futuro che
sia altro dall'assurdità e dal male
che è il
presente: all'essere si
contrappone un dover
essere. E così
si crea il tempo :
nel presente che
è, si sogna
un futuro che
deve essere :
e quando il
dover essere si
fa essere, cade
in quella stessa
assurdità e male
che è il
presente. Il processo
storico è avanzamento da errore
a errore, da
male a male:
se si fosse
nel bene e
nel vero, non
vi sarebbe ragione
di uscire da
esso, di far
seguire z\ì! adesso un
poi: ci sarebbe
permanenza, non processo
[Interiora rerum, 1924).
In conclusione, il
principio deU'ideahsmo hegeUano
è n reale
è irrada, rovesciare: ciò
che è reale,
è irrazionale; ciò
che è raz^o*^'^^^zionale è
irreale. La razionalità
è sogno, è
fantasia che tenta
di mascherare l'assurdità
del reale, fìngendo
un universale che
invano tenta di
sovrapporsi alla moltephcità
incomponibile dell'individuale:
non c'è una
ragione una, vi
sono tante ragioni
quanti sono gH
individui, anzi, i
momenti delle vite
individuah. La ragione
sorge nell'uomo quando
questi contrappone all'essere
un dover essere,
che gli permetta
di farsi giudice
del reale, distinguendo
il vero dal
falso, il bene
dal male, il
bello dal brutto.
La critica scettica
dimostra che il
reale si ribella
a questa pretesa
deUa ragione, affermandosi costantemente come
posto al di là del
vero e del
falso, al di
là del bene
e del male,
al di là del bello
e del brutto
(e, accanto ai
Lineamenti di filosofia
scettica in generale,
il Rensi illustra
La scepsi estetica,
1920 e La
scepsi etica, 1921).
La critica scettica
dimostra, da una
parte, che quella
pretesa della ragione è
una chimera, e,
dall'altra, che nell'uomo
il perseguimento di
questa chimera è
la radice deU'infehcità. Quale
lo sbocco di
questo scetticismo pessimistico?
Il più ovvio
sembra sia la
rinuncia alla ragione
a questo che
è, insieme, privilegio
e maledizione dell'uomo
-; rinuncia al
suo chimerico dover
essere e accettazione
rassegnata e inerte
del reale quale
è di fatto.
Ed è la
via che il
Rensi imbocca risolutamente, specialmente
nelle opere dai
titoli ii6 Cap.
XXX. Positivismo e
correnti affini significativi Realismo
(1925), Materialismo critico
(1927) e Apologia
dell'ateismo, (1923). Ma v'è anche
un'altra via, opposta
alla prima: ed
è quella di
riconoscere un valore
positivo all'esperienza del
male, nel senso
che, nel cruccio
pel trionfo del
male, nella sofferenza
per la sconfitta
che il reale
infligge alla nostra
coscienza del dover
essere, si attua
l'elemento piri nobile
del nostro spirito,
si ravviva l'aspirazione mistica al
divino: e anche
questa via percorre
il Rensi neUe
sue ultime opere,
quali Testamento filosofico
e Lettere spiritiiali,
del 1938. Scetticismo
reaRcaUsmo è la
posizione nella quale
sfocia lo scetticismo
hstico. ^Qj^ 1^
g^g^ negazione radicale
della ragione. Se
col sorgere della
ragione nasce nell'uomo
la pretesa di
giudicare la realtà,
nell'illusione di possedere
un saldo criterio
per la valutazione
dei fatti, di
approvazione e disapprovazione, il
ripudio della ragione
significa rifiuto di
attribuire alla realtà
quelle qualifiche di
irrazionale, assurdo, male
che essa per
sé non possiede,
ma risultano da
discriminazione operata in
nome di un
principio per cui
qualcosa è ma non dovrebbe
essere. Realismo significa
constatare la realtà
quale è di
fatto, accettare quel
che ci consta.
E ciò che
consta, sottratto ad ogni
dubbio, è il
mondo dei sensi,
il mondo del
positivismo ridotto al
più rigoroso empirismo.
Le sensazioni sono,
non il tramite
dell'apparire della realtà
a una coscienza,
bensì gli elementi
che costituiscono senza
residuo la realtà
stessa. Le cose
come Le cose
souo aggregati di
quahtà sensoriaH secondo
aggregati di rapporti
Spaziali e temporali
e categoriah: le
cose sono ciò
che si palpa,
si vede, si
ode e così
via. E lo stesso io
non è altro
che un fascio
d'impressioni sensoriali. Il
linguaggio comune chiama
materia ciò che
nella sua concretezza
è oggetto del
sentire, senza complicazioni
di significati metafisici: in questo
senso, pel Rensi,
il reahsmo è
materialismo. E questo
materialismo egli qualifica
come fenomenistico o
critico. Dando del
criticismo kantiano un'interpretazione opposta
a quella prevalsa
nell'idealismo, egli afferma
che la correlatività
del reale al
pensiero, che costituisce
il prin G.
Rensi: scetticismo e
materialismo fenomenistico 117
cipio fondamentale del
criticismo, non può
non essere raccolta
dal realismo (il
quale, appunto per
questo, è qualificabile
come realismo critico),
ma va intesa
nel senso che
il Pensiero a
cui il reale
in sé (noumeno)
deve essere riferito
perchè sia soggetto
conoscibile (fenomeno), non
è un soggetto
analogo all'io empirico, una
Coscienza originaria a
cui siano essenziaU
le forme sensibili-intellettuali, (spazio,
tempo, categorie), che vengano
immesse nell'oggetto, ma è l'insieme
di queste stesse
forme come inerenti
al mondo dei
fenomeni, purificate da
ogni elemento psicologico
della soggettività, constituenti
la pensahilità del
fenomeno. Il fenomeno
è indipendente da
ogni soggettività, e
s'identifica quindi con
la cosa in
sé : ma
cosa in sé
categorizzata, e quindi
conoscibile. Il realismo non
è che fenomenismo,
materialismo fenomenistico. E
questo, in rehgione,
é ateismo. Se
nulla è reale
all'infuori di ciò
che può essere
percepito come fenomeno
sensoriale, attribuire
realtà a un
essere che si
sottrae ad ogni
percezione, quale sarebbe
Dio, é pel
Rensi pura pazzia.
Ma la negazione
di Dio non
significa irreligiosità: l'ateismo
é anzi, per
Rensi, « la
più alta e pura delle
rehgioni ». Insegnandoci a guardare
alla realtà come
sovranamente indifferente,
esso bandisce dalla
nostra \dta ogni
egoismo: é la
Uberazione dall'egoismo, la
stoica fermezza di
fronte alle vicende
tormentose del mondo,
é religiosità. Ma
quest'atteggiamento non é
permanente: in alcuni
Ritorno di fede.
degli scritti più
tardi Rensi riafferma
l'antico bisogno di
credere: riscopre, al
di là del
mondo degli atomi
e del vuoto,
« il divino
in me »
; il regno
di Dio riluce
come un regno
di valori atti
a salvare il
nostro spirito dal
naufragio nel prevalere del
male. La genuina
rehgiosità consiste, per
lui, nel non
adagiarsi, sia nella
pace della negazione,
sia in quella
dell'affermazione: il problema
ci sta dinanzi
come un problema che
continua ad eccitarci
e ad angosciarci.
Tutta la produzione
del Rensi, dalle
prime opere a
quelle della vecchiaia,
é un perenne
intrecciarsi e susseguirsi
di motivi contrastanti: inflessioni d'una
sensibihtà estrema ii8
Cap. XXX. Positivismo
e correnti affini
mente mobile e
acuta, piuttosto che
articolazioni di un
pensiero vigile e
rigoroso: lirica, piuttosto
che filosofia. II.
Lo SCETTICISMO SOLIPSISTICO DI
ADOLFO LeVI. —
Diversissimo, fuorché nel
nome, da quello
del Rensi lo
scetticismo di Adolfo Levi
(1878-1941), elaborato attraverso
un'indagine storica, intelligente
e minuziosa, di
tutte le posizioni filosofiche fondamentali.
Nato a Modena
da una famigha
di Reggio Emilia
il Levi, precocemente
incline agli studi
ma ostacolato da
una malferma salute,
si licenziò al
Liceo Spallanzani di
Reggio, e, quando
si iscrisse all'Università di Pisa,
aveva già in
cantiere la pubbhcazione
di alcuni codici.
Proseguì poi gli
studi a Firenze,
con Tocco e
De Sarlo, e
a Roma, dove
si laureò con
Giacomo Barzellotti. La
tesi, su L' indeterminismo nella
filosofia francese contemporanea (1904), fu
lodata da Bergson.
Nel 1904 il
Levi entrò nell'insegnamento secondario,
che professò con
grande scrupolo ed efficacia,
ad Arezzo e a Torino.
Nel 191 1 ottenne
la libera docenza,
e undici anni
più tardi la
cattedra di storia
della filosofia nell'Università di
Pavia. La sua
produzione storica, ripetutamente
premiata dai Lincei
e dall'Accademia delle
Scienze di Torino,
comprendeva ormai numerosi
titoli, soprattutto di
filosofia antica: da
Le origini della
scienza greca (1904)
a Platone [Sulle
interpretazioni
immanentistiche della filosofia
di Platone, 1920,
Il concetto del
tempo nei suoi
rapporti con i
problemi del divenire
e dell'essere nella
filosofia di Platone,
1920, che riprende
l'identico tema trattato
sulla / sofisti.
« Rivista di
filosofia neoscolastica »
per il periodo
anteriore a Platone).
Più tardi il
Levi affrontò i
sofisti, sceverando gli
autentici dagli pseudosofisti, difendendoU
dall'accusa di aver
corrotto i costumi,
e insistendo sul
contenuto etico del
loro insegnamento. I
pregi filologici di
questi studi (ripresi
nella postuma Storia
della sofistica, a
cura di D.
Pesce, 1966) dimostrano
come il Levi
avesse messo a
frutto l'insegnan problema
delmento di Girolamo
Vitelli. Seguì una
serie di articoli
su Verrore. ji
p^^oblema dell'errore, dai
presocratici al Windelband
(in varie riviste),
e una serie
di saggi su
pensatori inglesi moderni
A. Levi: scetticismo
solipsistico 119 [Bacone,
1925, Hobbes, 1929,
Berkeley, 1922, Hume),
messi a raffronto
con Descartes e
con Leibniz, allo
scopo di sfatare
la leggenda di una contrapposizione rigida
tra empirismo e
razionalismo da Cartesio
a Kant. L'interesse
teoretico che spingeva
il Levi a
queste ricerche non
ne falsava, tuttavia,
la prospettiva storica.
Duro fu per
il Levi abbandonare
l'insegnamento, nel 1938,
a causa delle
leggi razziali. Si
ritirò a Todi,
nelle terre di
famigha della moghe,
poi a Roma,
dove potè continuare
a studiare nelle
biblioteche pontifice. Alla
fine della guerra
fu reintegrato ma,
sempre più debole
di salute, non
riprese a insegnare
: continuò fino
all'ultimo l'attività di
ricerca preparando, in particolare,
una Storia della
filosofia romana (1949).
Il frutto speculativo
che il Levi
trasse dalle sue
ricerche L'estetica. storiche
lo troviamo anzitutto
nel volume La
fantasia estetica (1913), la
cui conclusione, tutta
problematica, è che
« l'opera d'arte
nasce dal mistero,
ha caratteri non
determinabili completamente
ed esaurientemente, e
suscita, in chi
la contempla, uno
stato particolarissimo, irriducibile
e non del
tutto definibile »
(p. 262) ;
e lo troviamo
soprattutto, in Sceptica,
del 1921 (ristampato
da Adolfo Ravà
con aggiunte inedite nel
1949). Questo hbro
ebbe una risonanza
notevole, in Itaha
e fuori. Fu
largamente letto. Ne
parlarono il Losacco
e il Varisco
(1928), dopo che
Annibale Pastore aveva
dedicato un intero
volume alla sua
confutazione {Il solipsismo,
Torino, 1924). Che il Hbro
fosse notato anche
in Inghilterra («
Mind », 1921,
pp. 470-472) non
meraviglia: il suo
andamento aporetico ricorda
quello di Apparenza
e realtà del
Bradley. Tra noi,
esso urtava inevitabilmente l'ortodossia
gentihana, perchè accusava
la teoria deUo
spirito come atto puro
di essere un
« soHpsismo trascendentale » che avrebbe
trovato la propria
coerenza solo diventando
soHpsismo empirico. Comprensibile, quindi,
la reazione di
Armando Carlini [Studi
contemporanei di filosofia,
in «AnnaH deU'istruzione media»,
1929, pp. 429-437),
a cui il
Levi rispose con il
breve scritto Come
si ricostruisce la
storia (« Rivista
Pedagogica», 1930, pp.
58-60). Il solipsismo.
La tesi del
Levi trovò per
contro, buone accoglienze
presso la scuola
del Varisco. Il
Castelli, dopo averla
ripresa in Idealismo
e solipsismo (Roma,
1933), dedicherà a
II solipsismo, un intero
volume del suo « Archivio
di filosofia »
(1950) che già,
nel '31, aveva
pubblicato Scetticismo e
solipsismo del Levi medesimo
(pp. 26-35). Anche
Giuho Allenej giudicava
con benevolenza la
filosofia di Adolfo
Levi sulr «Archivio
di storia delia
filosofia » (1935,
4). Muovendo da
altro punto di
vista, P. Piovani
pubbHcava nel «
Giornale critico della
filosofia italiana » del 1949
un articolo. La conclusione
del solipsismo, in
cui dichiarava «
fondamentale » il
contributo del Levi
allo studio del
sohpsismo, « proprio
perchè esperto dell'esperienza dell'idealismo tedesco
e italiano »
(p. 156) :
pur osservando che
« la soluzione
raggiunta risulta assai
fragile » (p.
171), nella sua
pretesa di formulare
un imperativo della coscienza
senza sapere (« Fa ciò
che devi, avvenga ciò
che può »).
Infatti l'imperativo implica
già, quanto meno
un agire sapendo
quale sia il
dovere da farsi.
Tale incertezza deriva dal
fatto che la
posizione del Levi
non è attivistica,
« ma ancora
legata, per taluni
aspetti, allo scetticismo tradizionale »,
mentre il sohpsismo,
secondo il Piovani,
non può essere,
da ultimo, che
attivistico. Non si sa se
Lo Scetticismo del
Levi non afferma
che sia impossibile
sapere: afferma però
che è impossibile
sapere se si
sappia o no.
È come il
fuoco, che consuma
le altre cose,
ma anche sé
stesso. Esso sfugge,
così, all'accusa di
interna contraddizione che colpisce
lo scetticismo dogmatico
[Sceptica, 2^ ed.
a cura di A. Ravà,
Firenze, 1959, p.
13). E a
una tal conclusione
giunge muovendo da
un'impostazione « gnoseologistica »,
secondo cui tutto
ciò che si
dice dell'oggetto è
condizionato dal pensiero,
che pensa l'oggetto.
La domanda è
allora, anzitutto, se
il pensiero sia
« uno strumento
in sé stesso
adatto al suo
ufficio, o non
includa qualche vizio
di costruzione ».
Solo in seco nda
istanza, posto che
il pensiero sia
uno strumento adatto,
potremo domandarci «
quale interpretazione debba
darsi dell'oggetto pensato»
{Op. cit., P3)
si sa. A.
Levi: scetticismo solipsistico
121 « Un
motivo fortissimo di
diffidenza è dato
dall'errore » (p.
5) : da
quel problema, cioè,
che, appunto perciò,
il Levi andava
studiando sotto un
profilo storico. L'esperienza
d'aver sbagliato una
volta mi fa
sospettare che sia
possibile sbaghare sempre,
e lo scetticismo
nasce da questo
sospetto. Acutamente il
Levi vede che,
a questo problema,
sfugge l'ideaHsmo attuale
gentiliano, quando contrappone
all'errore, come « pensato
», l'atto del
pensare che, in
quanto è attuale,
non può non
essere nel vero.
EgU vede però
anche che questo
vantaggio è illusorio:
ciò da cui
si avrebbe interesse a
tener lontano l'errore
è, appunto, il
pensato. Infatti che
l'atto, in quanto
« atto puro
», sia infaUibile,
non mi dice
nulla circa la
validità di ciò
che penso. Per
poter fruire di
un contenuto, occorre
affidarsi all'evidenza del
pensato: ma si
può sempre temere
di scambiare per
« evidenza »
una sempHce impressione
soggettiva (p. io).
Sollevato il dubbio
sulla capacità di
mediazione del Critica
a reaiipensiero, il
Levi passa a
domandarsi se, ciò
posto, vi sia
^^^^id^'^^^^'^« una metafisica
plausibile, se non
certa » dell'oggetto
pensato: e attacca, nell'ordine,
il reaUsmo espHcito,
il monismo, la
filosofia dell'esperienza, il
monadologismo, l'ideaHsmo attuale.
Egli osserva che
il reahsmo ingenuo,
che identifica il
reale con ciò
che appare, è
messo in crisi
dall'esigenza di discernere
che cosa vi
sia di oggettivo
in questo apparire;
ma che, d'altra
parte, il tentativo
di rintracciare la
realtà oggettiva in
un insieme di
elementi materiali, dotati
di mere qualità
primarie (secondo i
canoni del meccanicismo), fallisce, perchè non
spiega quell'effettivo «
divenire sensibile »
(p. 24) del
mondo, colorato, sonoro,
ecc., che è,
appunto, il concreto.
Il meccanicismo altro
non è se
un tentativo di
eHminare quell'offesa al
principio di identità
che è rappresentato dal divenire
(p. 20) : la realtà
vera, afferma infatti
il meccanicismo, rimane
immutata. Ma (e
qui si sente,
nell'argomentare del Levi,
l'influsso del Bergson
e del Meyerson)
esso non può
giustificare come mai
questa immutabihtà sostanziale
appaia, al soggetto,
come un mutamento
qualitativo : > (p.
184). « Come
determinazioni dell'essere, il
quale non esiste
che in esse
determinazioni, le singole
coscienze si distinguono
in quanto coscienze,
s'accordano quanto al
contenuto; ciascuna è un variare
per conto suo,
e insieme, per
la stessa ragione,
il variare di
ciascuna si compie,
ciascuna si svolge
o si inviluppa,
secondo le medesime
leggi universah »
(p. 188). L'assoluto,
pertanto, viene a
coincidere con l'universo.
L'Essere come «
Nell'unità della sua
forma, che imphca
la necessità, ma,
insieme, neUa moltepHcità
deUa sua materia
e delle sue
forme secondarie :
moltepHcità che impHca
la accidentahtà ».
L' « essere indeterminatissimo »,
di cui il
Varisco parla richiamandosi al Rosmini
(p. 204, n. i) è,
per un verso,
l'orizzonte in cui
ogni soggetto «
pensa impHcitamente l'universo
» {ivi) ;
ma « non
è qualcosa che
sussista indipendentemente dai fenomeni
e da
quelle loro unità
secondarie che sono
i soggetti »
(p. 205). Ciò
spiega, più esaurientemente di
quanto non facessero /
fnassimi problemi, perchè
il Varisco non
si senta in
grado, in questa
fase del suo
pensiero, di giustificare
la trascendenza dell'assoluto
a cui, pure,
l'esigenza del permanere dei
valori lo porterebbe
a credere. 7.
Il soggetto dei
soggetti. — Dopo
Conosci te stesso
11 soggetto diil
Varisco lavorò per
altri vent'anni al
suo problema fonda^^^°mentale, che
rimase il problema
del principio unitario,
il problema di
Dio. Qualche altro
cauto passo è
mosso verso il
riconoscimento della trascendenza
divina, e porta,
da ultimo, a
una concezione che
al Varisco appare
concihabile con una
religione positiva quale
il cristianesimo. Nelle
Linee di filosofia
critica, del 1925
(un hbretto di
introduzione teorico-storica alla
filosofia, esposto in
forma piana e
colloquiale, e che
fu raccolto per
iscritto dal Castelli)
la parte conclusiva,
più interessante, verte
appunto su Dio,
e prospetta la necessità
di risalire a Dio muovendo
dal problema della
subcoscienza. Il soggetto
è fatto in
gran parte di subcoscienza:
basti pensare ai
ricordi che tornano
di quando in
quando, e in
minima parte, alla
mente. E ciò
suscita il problema: come può
il non conscio
(o non più
conscio) divenire conscio
? La subcoscienza
rende evidente che
il soggetto che
conosciamo è finito, cioè
che ha qualcosa,
per qualche aspetto,
fuori di sé.
Ma, d'altro canto,
« una realtà
non riducentesi a
pensiero pensato è
un controsenso »
(p. 153). «
Per superare le
difficoltà rilevate, non
c'è che un
modo: riconoscerle relative
soltanto al singolo;
ammettendo, al di
sopra d'ogni singolo,
il soggetto universale
». Il pensiero
di questo soggetto universale dovrà
essere: «in primo
luogo, tutto consapevole; in secondo
luogo, creatore d'ogni
realtà» (p. 154).
Allora si potrà
capire che, ciò
che è subconscio
nel singolo sussiste
tuttavia come pienamente
conscio nel soggetto
universale, e che
la realtà, irriducibile
al pensiero del
singolo, consiste tuttavia
in un «
pensiero del soggetto
universale » {ivi) .
La creazione. Quella
chc generalmente si
dice « creazione
» si può,
allora, concepire così:
il soggetto universale
fa, di certi
suoi pensieri, un
«gruppo connesso» (p.
156), e li
dota di una
coscienza e di
una iniziativa autonome,
di cui neppure
il soggetto universale
conosce in anticipo
gli sviluppi (p.
157). Ciò peraltro
non limita il
soggetto universale, se non nella
misura in cui
lui stesso vtwle
questo « indeterminismo »
(p. 158), mantenuto
all'interno di un
controllo costante e
consapevole. // teismo.
Il Varisco formula,
così, un «
teismo » (p.
158) in cui
Dio è, in
certo modo, esterno
ai singoh, ma
non viceversa: perchè
« il soggetto
singolo, essendo, anche
in ordine alla
propria iniziativa, interno
al soggetto universale,
nella coscienza del
singolo non ci
può essere nulla
che non sia,
ipso facto, anche
nella coscienza del
soggetto universale» (p.
157). // soggetto
dei soggetti 245 È quello
che il volume
Dall'uomo a Dio,
chiamerà « immanentismo relativo »,
o (identicamente) «
trascendentahsmo relativo »,
in contrapposto a
trascendentahsmo e immanentismo « assoluti
» (p. 92) : non
senza citare San
Paolo, negU Atti
degli Apostoli, secondo
cui « gli
uomini (in generale,
i soggetti) vivono,
si muovono ed
esistono in Dio
» {Dall'uomo a
Dio, p. 91).
Frattanto il Varisco
aveva pubblicato in
« Logos »
(1929, i) un
articolo su La
prova ontologica, affermando
che l'argomento di Anselmo
non compie un
salto ingiustificato dall'ordine del pensiero
a quello dell'esistenza, perchè,
quando si pensa
un oggetto, non
lo si pensa
isolatamente, ma sempre
in un sistema
di relazioni ;
quindi, quando si
pensa « id
quo maius cogitari
nequit », si
pensa qualcosa che
effettivamente non si trova
nella sola mente
umana. Ma significa
anche, ciò, che
questo essere sia
« tutt'uno col
Dio del cristianesimo ? »
Cosi si chiede
Dall'uomo a Dio
(p 15) ; e risponde: si
tratta, senza dubbio
d'un pensiero (anzi
di un pensare),
senza, però, che
se ne possa
concludere nulla «rispetto ad
altri attributi »,
pur necessari al
concetto cristiano di
Dio. Dall'uomo a
Dio rappresenta, per
certi aspetti, un perDifficoltà. fezionamento
del monadologismo varischiano,
ma non toglie
tutte le difficoltà.
Non soddisfa l'esigenza,
sentita dal Varisco
fin dal periodo
positivistico, di ascendere
al concetto di
Dio attraverso una
riflessione ben fondata,
compatibile con quella
della religione positiva.
E, questo, perchè
il Dio di
Varisco è pur
sempre un concetto
gnoseologico-metafisico. Pili che
di quel rapporto
lo-Tu, in cui
l'uomo rehgioso si
sente rispetto a
Dio, si tratta,
insomma, del rapporto
tra una monade
infinita, leibnizianamente priva
di rappresentazioni oscure e
confuse, e, quindi,
di materia e
le innumerevoh monadi
finite, che essa
costituisce in sé,
come espressione (non
già parziale, ma
prospettica) di particolari
punti di vista.
« Tutto ciò
che l'uomo presentemente
pensa è, in
ogni caso, pensiero
divino presente: l'uomo
non è staccabile dalla coscienza
divina di cui è una
formazione. « L'uomo
è tutto immanente
in Dio, invece
Dio non è
tutto immanente in
alcun uomo; essendoci
necessariamente nel pensiero
divino qualcosa che
nessun singolo, né
tutta insieme la
moltitudine dei singoli,
pensa con determinazione» {ivi).
Del resto, nonostante
gli sforzi meritori
della figlia Giulia,
e poi, dopo
la sua morte
(1934), di Enrico
Castelli coadiuvato dal
nipote del Varisco,
Giulio Alliney, per
riordinare i manoscritti inediti «
seguendo alcune sommarie
indicazioni rinvenute in
un libro di
appunti» (p. i).
Dall'uomo a Dio
risente della mancanza
di una revisione
definitiva da parte
dell'autore, e le
sue conclusioni rimangono,
in parte, sospese
(cfr, p. 281).
Interesse pra La
filosofia del Varisco,
pur nel suo
'^'^^mai abbandonato teoreticismo
cioè nel suo
intendere il problema
della realtà essenzialmente come
un problema di
teoria della conoscenza
è assai sensibile
al problema morale,
quando questo sia
inteso nel suo
senso piìi universale
e profondo. Il pensiero
infatti, che della
realtà è il
fondamento, consiste essenzialmente in
un'attività, in un
fare (sia pure
non riducibile al
fare poetico di
chi plasma una
materia preesistente) ;
e il bene
consiste neU'espandersi di
questa attività, protesa
su tutto l'universo.
La sezione introduttiva
del capitolo su
« I valori
», nei Massimi
problemi, affermava appunto
: « Il
soggetto, per sua
natura, ossia in
virtù di quella
legge a cui
deve l'essere, tende
insieme a intensificare
sé stesso e ad espandersi,
ad includere in sé l'universo:
la soddisfazione o l'insoddisfazione di
queste due tendenze
(che, in sostanza,
ne fanno una
sola) sono essenzialmente, per
il soggetto, un
bene o un
male» (p. 107).
Questo espandersi mostra
il suo vero
valore solo quando
non riguardi «
l'animale associato all'io »,
bensì l'io medesimo
(p. 138) ;
e « io
vuol dire autocoscienza, ossia
cognizione » (p.
139) . // conoscere
è Di Conseguenza,
« conoscere o
non conoscere, o,
peggio, errare, sono
un bene e,
rispettivamente, un male
(....): do\Temmo anzi
dire, il bene,
il male »
{ivi). Ma questo,
aggiunge il Varisco,
non vuol dire
che bene e
male si riducano
a « mo
identico al bene.
// valore 247
menti di coscienza
teoretica », perchè
« coscienza teoretica,
attività e sentimento
(....) non sono
tre cose (....),
sono tre aspetti,
o tre forme,
d'mia stessa cosa»
(p. 138). Ciò
implica una particolare
unità della coscienza
in senso pratico
con la coscienza
in senso teoretico,
in virtù di
un « originario
principio di organizzazione (universale
necessario) (....) indicato
comunemente col termine
di a priori
» e che
« si riduce
all'essenziale connessione
della coscienza umana
con la divina
» {Dall'uomo a
Dio, p. 131).
In questo senso
il Varisco può
affermare che «
la coscienza, una,
saldamente organizzata, essendo
la radice dei
valori, è il
massimo valore» (p.
132). Questo particolare
carattere attivo, e
non soltanto contemplativo, del coscienziahsmo varischiano
spiega l'interesse del Varisco
per i problemi
dello stato: di
uno stato che
« deve essere
fortissimamente organizzato :
cosi organizzato come
un uomo robusto,
intelligente e di
carattere che s'afferma, s'apre una
via, sviluppa l'attività
propria d'accordo con
gh altri, se
gli riesce »:
ma anche, se
non gU riesce,
contro « chiunque
gli impedisca di
realizzare il suo
diritto, che è
la sua forza,
ma che sta un poco
anche nella sua
forza ». Questo
l'ideale che accomuna
gh scritti di
La scuola per
la vita (1922)
con i Discorsi
politici (1926), da
cui la citazione
è tratta (pp.
111-112). Codesti discorsi
cominciano nel 1911,
e si concludono
nel 1926 con lo scritto
introduttivo su L'idea
dello stato, che
indica « la
vera funzione »
deUo stato nel
« realizzare la prosperità,
così del popolo
in quanto moltitudine
ordinata, come dello
stato, cioè ancora
del popolo, in
quanto unità viva
e spirituale (....).
A uno stato
che la compia,
non si può
domandare altro se
non che seguiti
a compierla, sviluppandola. Uno stato
che non la
compia non fa
che disorganizzare sé stesso
e il popolo»
(p. 37). 9.
Neoclassicismo filosofico. —
In una età
di ritorni romantici
in filosofìa, la
dottrina del Varisco
rappresentò un esempio
di filosofìa «
neoclassica », che
dal romanticismo, tuttavia,
è condizionata. Condizionata
per la sua
impostazione, costituendosi
come una «
riflessione di secondo
grado » 248
Cap. XXXIV. Monadismo
teistico di B.
Varisco sull'attività del
soggetto, attraverso la
quale si perviene
a una conoscenza
dell'oggetto, cioè della
realtà unitaria, costituita dall'interferire di
infiniti centri soggettivi.
E condizionata nel suo
esito: perchè tale
conoscenza dell'oggetto a
differenza che nei
grandi classici della
filosofia moderna, a cui il
Varisco si ispira
non riesce più
a svilupparsi in
una forma schiUerianamente «
ingenua », ma
solo in una forma «
sentimentale ». E,
infatti, la cautela
scientifica, che, pur
trasformandosi, rimane il
canone metodologico del
Varisco, dà luogo,
non già a
una vera e
propria inibizione speculativa
perchè il Varisco
non esita a
proporre un suo
sistema ma, certo,
a una speculazion e
fatta più per
discutere che per
Eredità più di
costruirc. Ciò che
il Varisco trasmise
a una parte
non trastimoh che
di scurabile della
filosofia italiana fu,
quindi, un'eredità fatta
contenuti. . .
più di stimoli
che di contenuti.
All'estero, il suo
pensiero ebbe qualche
risonanza in Francia,
e meglio che
altrove fu capito
in Inghilterra, grazie
all'attenzione che gli
dedicò A. E.
Taylor. In effetti,
se la forma
mentis del Varisco
ha qualcosa in
comune con quella
del Bradley, il
suo monadologismo si
lascia facilmente avvicinare
a quello degli
idealisti inglesi non monisti,
e del McTaggart
in particolare. La
cosa può colpire,
considerando che il
Varisco ha fonti
al di fuori
delle italiane (Rosmini)
soprattutto tedesche e
francesi; ma, in
realtà, si spiega
facilmente: l'idealismo inglese
non monistico e
l'idealismo varischiano risalgono
a una stessa
radice comune, non
sempre scoperta, ma
assolutamente fondamentale:
il pensiero del
Lotze. Di qui
il Varisco trasse,
oltre che i
materiali più importanti
della sua costruzione coscienzialistica, l'impulso
(di origine lontanamente
leibniziana) che gU
permise di uscire
dalla prospettiva del
positivismo: il riconoscere,
cioè, alla scienza
la possibilità di
afferrare l'intero reale,
però sotto un
suo aspetto soltanto.
Ciò rende inevitabile,
per giustificare l'oggetto
stesso della scienza,
il non rimanere
chiusi nella sua
prospettiva soltanto, bensì
l'uscirne, pur con
tutte le necessarie
cautele metodologiche, verso una
prospettiva specificamente filosofica. La formazione
di CaraBELLESE ben
corrisponde aUa difficoltà
di collocare il
suo pensiero in
uno sviluppo organico
della filosofia italiana.
Dopo aver frequentato
le scuole secondarie
presso il Seminario di
Molfetta (dove era
nato nel 1877),
si iscrisse in
Giurisprudenza a Napoli,
e si laureò
(1900) con una
tesi, poi stampata,
dal titolo Sulla
vetta ierocratica del
Papato (1910), che
rivela abbastanza scoperte
ambizioni letterarie. Solo
nel 1905 si
laureò in filosofia
a Roma, dove
avvenne l'incontro col
Varisco sotto il
segno di un
comune interesse per il Rosmini.
La teoria della
percezione intellettiva in A
. Rosmini fu l'argomento
della tesi, pubblicata
nel 1907, e recensita
dallo stesso Varisco
sulla « Rivista
di filosofia »
del 1909. Anche
quando, dopo aver
insegnato a lungo
nelle scuole secondarie,
il CarabeUese salì
in cattedra a
Palermo (1923), forte
ormai di una
concezione tutta sua,
egli rimase devoto
al Varisco come
al massimo rappresentante di un ideahsmo
non storicistico. E
grazie al Varisco,
che premeva su Giovanni
Gentile, il CarabeUese,
nel '30, fu
chiamato a Roma,
di dove ebbe
modo di esercitare
una influenza quantitativamente meno vasta
di quella del
Gentile, ma assai
profonda. Quando il
CarabeUese mori (il
19 settembre 1948,
a Genova) la
sua attività speculativa,
cominciata assai tardi,
era an 250
Cap. XXXV. L'Ontologismo
di P. Carahellese
Soluzione originale di un problema
comune. L'uovo di
Colombo. Cora in
pieno corso, sul
binario su cui,
da 25 anni,
egli l'aveva avviata.
Ma l'essenziale del
suo pensiero, probabilmente, era
ormai stato detto:
difficilmente le applicazioni
che egli andava
definendo soprattutto attraverso
una preparazione meditatissima
dei suoi corsi
di teoretica avrebbero
dato un indirizzo
nuovo alla sua
riflessione, che aveva
proposto, ormai, una
sua soluzione personaUssima
a una problematica
tutta inserita nell'ambiente
italiano di quegli
anni. Se, infatti,
la soluzione di
Carabellese non è
avvicinabile a nessun'altra,
i problemi che
egU affronta non
sono sollevati da lui
: gU sono
posti, piuttosto, dalla
filosofia di Gentile,
e dalla interpretazione che il Gentile
aveva dato dell'Ottocento italiano e
tedesco, in relazione
alla filosofia moderna.
Gentile rappresentava, come
si vedrà, il
punto d'arrivo di
un processo storico
lunghissimo, cominciato con
Platone, giunto al
suo punto di
rottura con Hegel,
e portato da Gentile
a un
estremo che rovesciava
i termini stessi
del problema; del problema
di determinare il
contenuto dell'idea. Con
la teoria dell'atto
puro, il Gentile
era giunto a
un radicale « ideahsmo
senza le idee
». Il Varisco,
per contro, affondava
le sue radici
in un passato
piìi recente: da
Leibniz in poi;
e proponeva in
Italia (parallelamente a
quanto aveva fatto
l'idealismo personahstico in
Inghilterra) temi dello
spirituaUsmo tedesco non
hegehano dell'Ottocento: in particolare,
il tema
del rapporto indispensabile, ma
cosi difficile da configurare
tra soggetto e
oggetto del conoscere.
Con un tratto
di genio («
uovo di Colombo
», lo chiama
la Critica del
concreto, 1921 ;
1940^, p. 86),
il Carabellese si
accorge che è
possibile soddisfare alle
esigenze del Gentile
e del Varisco
insieme, h'idea può
essere considerata in
una forma non
assolutamente plurahzzabile, e
tuttavia non come
un atto come
atto soggettivo bensì
come oggetto puro.
Il compito di
attuare tale idea
andrà invece affidato
a soggetti plurimi,
mai unificabili nel
varischiano « soggetto
assoluto ». Così
i punti d'arrivo
delle due distinte
evoluzioni dell'idealismo
assoluto e dell'idealismo personalistico vengono
a coincidere in
un punto solo,
grazie a un
riassestamento Il problema
251 nel significato
di certi termini
tradizionali, che li
rende compatibili in una
forma nuova. Per
certi aspetti, questo
riassestamento è bensì un
rovesciamento di Gentile,
come sostiene l'Abbagnano
sulla scorta di
una osservazione dello
stesso Carabellese {op.
cit., p. 53):
ma non certo
un rovesciamento meccanico.
Occorreva un pensiero
originale per arrivarci,
sebbene, poi, i
concetti così riassestati
assumano tutta l'aria
di essere appunto
qualcosa che le
due Hnee idealistiche
precedenti avrebbero voluto
pensare, senza riuscirci.
2. Ripensamento della
filosofia moderna. — Tratinteresse storitandosi,
dunque, di riprendere
originalmente problemi altrui,
^o-teorehco. si spiega
che la filosofia
del CarabeUese nasca
da una continua
discussione storico-critica dei
sistemi che formavano
la base della
cultura filosofica del
tempo: essenzialmente, da
una reinterpretazione della
filosofia moderna Da
Cartesio a Rosmini,
che, come dice
il sottotitolo di
questo volume, stampato dal
Carabellese nel 1946,
rappresenta la «
fondazione [storica] dell'ontologismo critico
» carabellesiano. D'altro
canto la pretesa,
che il CarabeUese
manifesta, di trovare,
in questo medesimo
materiale storico (e
in particolare neUa
tappa pili importante
rappresentata da Kant),
un significato speculativo tutto
diverso da quello
che si era
comunemente abituati a riconoscervi
spiega perchè il
Carabellese, pur nel
suo filosofare tutto
appoggiato a una
critica storica, assuma
un atteggiamento che
potremmo dire «
profetico » :
non nel senso
di predire il
futuro, s'intende, bensì
di parlare in
nome di altro,
essendo questo «
altro » una
Verità con cui
gU uomini erano
già prima a
contatto, ma senza
essere capaci di riconoscerla:
come i dormienti
di EracUto, che
non si accorgono
di quel logos
con cui massimamente
hanno a che
fare (framm. 72).
Atteggiamento profetico, al
punto che il
CarabeUese giunse a
pensare che fosse
necessaria la sua
sparizione come persona
fisica perchè la
verità da lui
proclamata trionfasse.
Questo presentarsi come
uno che dice
: « Ora
vi spiego io
ciò che cercavate
di pensare, senza
riuscirci » dava
inevilabilmente fastidio a
molti ; e
l'espressione piìi «
fuor dei denti
» di questo
fastidio si trova
probabilmente in un
articolo di Carmelo Ottaviano:
Pontifex Maximus locutus
est (in «Sophia»,
1937, 3, pp.
345-353)Ma, in fondo,
il Carabellese non
ne poteva nulla
se il suo
filosofare era un
ripensare creativo, e
se il suo
ripensamento dei problemi
era una trasposizione, che dava
un senso nuovo
a un materiale
già apparentemente sfruttato fino
in fondo. Interpretazione In
che cosa consiste
qucsta trasposizione, che
trasforma del termine
i^ogjj problema quasi
con un colpo
di bacchetta magica?
Consiste in una interpretazione del
termine « oggetto
», che per
un verso rovescia
ciò che con
quella parola si
è sohti pensare,
ma per un
altro porta in
piena luce una
esigenza che, pure,
aveva guidato i
filosofi nel parlare
di « oggettività
». « Oggetto »
è, comunemente, il
determinato che «
sta contro »
alla facoltà di
rappresentazione cosciente: il
Gegen-stand, rispetto a
cui una coscienza,
in sé potenziale,
si determina in
guise particolari. Oggetto
è il calamaio,
la penna, il
libro senza i
quali la mia
coscieriza sarebbe una
« tabula rasa
», priva di
segni che la
determinino. Rasa non è detto
che significhi «
inattiva » :
anzi, la mia facoltà rappresentativa non
sarebbe tale se
non fosse attività;
ma, certo, questa
attività rimarrebbe priva di
contenuto, se non
si riferisse a
certi dati esterni
particolari, che sarebbero
« gh oggetti
». Questa impostazione
realistica del problema
dell'oggetto è, per
il Carabellese, il
proton pseiidos della
filosofia : il
primo falso, e,
in fondo, anche
l'ultimo, perchè questo
falso radicale ritorna,
rovesciato, anche in
quella dottrina che
tradizionalmente si oppone al
« realismo empiristico
», l'idealismo. L'idealismo
si era sforzato,
con Platone, di
porre oggetti (in
questo caso sarebbe
meglio dire: principii
di determinazione)
sovratemporaH, le «
idee », distinti
dagli oggetti empirici. Molto più
tardi, con Berkeley,
aveva cercato di
riportare all'attività di uno
Spirito il principio
di determinazione particolare
delle coscienze, che
le cose materiali,
inattive, non potevano
fornire. In seguito
Fichte aveva cercato
in una «
egoità pura »
quell'unità delle coscienze
che, prima. Ripensamento della
filosofia moderna 253
si era soliti
attribuire al fatto
che le coscienze,
per determinarsi, si riferirebbero
ai medesimi «
oggetti ». Infine,
con Gentile, l'idealismo
si era scrollato
di dosso tutta
questa problematica. Aveva
interpretato quella moltepHcità
di determinazioni, in cui
si è soKti
cercare il concreto,
come un mèro
salto in basso:
come una caduta
dall'atto puro, nell'astratto. Di fronte
al soggetto, sempre
identico a sé,
la molteplicità delle determinazioni non
è piri che
l'astratto, sebbene, dialetticamente, sia
contenuta nel soggetto
medesimo. A questo
punto era divenuto
inutile fondare l'ideahsmo
su un mondo
di « idee
», vuoi eterne,
vuoi prodotte volta
per volta da
uno Spirito divino.
L'ideahsmo poteva liberarsi
dal problema delle
idee, al plurale,
la pluralità non
essendo altro che
caduta nell'astratto, da
cui l'ideahtà deve,
appunto, riscattarci. Sembrava
così, al momento
in cui Carabellese
cercava la sua
via, che il
problema di una
pluralità ideale fosse
stato risolto definitivamente, cancellandone
il concetto. 3.
Unicità dell'oggetto. —
Una linea diversa,
di ideaNon u
soggetto hsmo pluralistico,
opponeva tuttavia al
monismo l'irriduci^^^.J'°^^^"'' bihtà
dei soggetti plurimi,
eppure concreti. Una
esigenza che era
giusto far valere;
ma essa aveva
il torto di
farla valere attraverso
una contrapposizione estrinseca
all'idealismo trascendentale:
quindi di non
poter spiegare a
quest'ultimo, dall'interno, perchè,
impostando il problema
in quel modo,
l'ideahsmo si rovesciasse,
paradossalmente, in un
idealismo senza le
idee. Per contro,
osserva il Carabellese,
basta chiarire una cosa
semplicissima:
quell'esigenza di unità
e unicità a
cui l'ideahsmo gentiliano
cercava di rispondere
con il concetto
di un soggetto
unico come «
atto puro » è invece
precisamente l'esigenza espressa
dal termine oggetto.
Non è appunto
l'oggetto ciò in
cui tutti i
soggetti s'incontrano, convengono,
riconoscono un'unità? È
dunque l'aspetto oggettivo
quello che non
si lascia plurahzzare,
l'unico per tutti,
e non l'aspetto
soggettivo dell'esperienza. Converrà,
dunque, cessare di
parlare di «
oggetti », al
plurale : sarebbe
uno scambiare 1'
« oggetto »
con la «
cosa ». unico.
lato. E, dal
momento che le
cose non sono
l'oggetto (sebbene abbiano,
certamente, un'oggettività), non
occorrerà piìi, come
faceva l'ideaHsmo tradizionale,
andare in cerca
di oggetti superiori
alle cose, le
idee, per superare
l'empiricità. L'oggetto è
inconfondibile con l'empiricità,
per ciò stesso
che è unico.
In questo modo
l'idealismo riesce a
scalzare veramente il
reahsmo, senza lasciarsene
soggiogare. Per contro
gli oggetti superiori
alle cose, presi
al plurale, come
« idee »,
sono in realtà
concepiti ancora al
modo di cose.
E appunto per
sfuggire a tale
incongruenza l'ideaHsmo si
era visto costretto,
da ultimo, a
rifugiarsi in una
« egoità pura
», e poi
in un «
atto puro »,
di cui tutte
le determinazioni particolari
non sono che
una caduta. Realismo
deheiAppena si csclude
dall'oggetto, in quanto
oggetto, ogni pluralità,
il realismo è
debellato, perchè il
modello empirico delle
cose non vale
piìi. Non per
questo i soggetti
saran costretti ad
attribuire aUa mèra
empiria (seguendo Gentile)
il loro reciproco
distinguersi l'uno dall'altro.
Anzi, liberati dall'obbligo
di fornire il
principio di unificazione,
i soggetti molteplici
potranno, e dovranno,
rivendicare come irriducibile la propria
plurahtà, ben piìi
fondatamente che nell'ideaKsmo
personaHstico varischiano. Quest'ultimo,
per spiegare l'incontro dei
soggetti che costituisce
una stessa esperienza «
oggettiva », doveva
ricorrere a un
Soggetto assoluto supremo,
che « tollererebbe
» in sé
i punti di
vista Umitati dei
soggetti particolari. NeUa
nuova situazione, invece,
il concetto di
un oggetto, assolutamente
unico, come idea,
non solo tollera,
ma esige di
essere intrinseco, nella
coscienza, a una
pluralità di punti
di vista soggettivi.
4. Intrinsecità di
soggetto e oggetto.
— Occorre dunque
cessare di concepire
l'oggetto come qualcosa
che ci sta
contro, secondo una
relazione che, per
ciò stesso, risulterà esterna. Ciò
che ci « sta contro
» non è
l'oggetto come idea luogo d'incontro
di tutti i
soggetti bensì l'altro
da me; cioè
sempre l'edtro soggetto.
Le cose, è
vero, ci stanno
contro: ma solo
perchè nascono daU'interferire dei
vari Intrinsecità di
soggetto e oggetto
255 soggetti, non
perchè siano «
oggetto », o
oggetti al plurale,
a cui ci
riferiamo. In altri
termini, il rapporto,
su cui tanto
avevano insil« concretezza
stito i vari
idealismi spiritualistici dell'Ottocento, non
nei rapporto tra
,, ., ,
i soggetti e l'og
mtercorre tra 1
soggetti e 1
oggetto: il rapporto,
legando getto. altro
ad altro, è
sempre tra i
diversi soggetti; e aver concepito
V intrinsecità di soggetto
e oggetto come
un « rapporto
» (in conseguenza
di un uso
troppo generico, e
perciò equivoco, delle
parole « rapporto
» e «
relazione ») ha
fatto fallire gli
innumerevoh tentativi (conosciuti
anche in Italia,
soprattutto dal Martinetti in
poi), di costruire
la concretezza dell'esperienza attraverso il
« rapporto tra
soggetto e oggetto
». Che il
concreto non si
trovi, né nell'oggetto
per conto suo,
né nel soggetto
per conto suo,
ma solo nel
loro « rapporto »,
era stato ripetuto
in mille maniere
da spiritualisti, psicologi,
monisti, idealisti, neokantiani,
ecc. : ciascuno
cercando di utilizzare
a modo suo
il trascendentalismo di
Kant. Ma nessuno
aveva saputo liberarsi
da quell'elemento falsificatore
attraverso cui, malauguratamente, il
trascendentahsmo kantiano era
filtrato : la
« teoria della
rappresentazione » di Reinhold.
Dire che il
concreto non si
trova né nel
soggetto per conto
suo, né nell'oggetto
per conto suo, é vero,
ma non implica
che si trovi
in un loro
rapporto; e neppure
nel semphce rapporto
dei soggetti tra
loro, come per
il Varisco. Il
concreto si trova
neU'intrinsecità dei soggetti
con l'oggetto, che
non può dirsi
rapporto perché non
é un riferimento
ad altro. Il
CarabeUese chiama questa
intrinsecità compattezza interpretando
in questo modo
il problema che
l'Ottocento tedesco aveva
ereditato da Kant,
e poi trasmesso, irrisolto, al
secolo successivo: l'inseparabilità del
soggettivo e dell'oggettivo. Kant,
osserva la Critica
del concreto (edizione cit.,
pp. 85-86), «ha
dimostrato, con evidenza
che finora nessuno
é riuscito di
oscurare, che quei
due mondi formano
una concreta compattezza
» (Nella terza
edizione, del 1948,
il testo sarà
variato: «che quei
due mondi necessariamente formano o
richiedono un mondo
solo, che non
é piìi mondo,
ma é essere
concreto deUa coscienza»:
p. 89). 18. Lamanna. storia
della filosofia. VH. L'aggancio
a Questo Oggetto
che è unità
(non Rosmini, Gio-Qi^^dMìk di
cose o di
idee a immagine
e somiglianza delle
berti e Gentile. cose)
è l'essere; l'essere
in quanto oggettività
pura: dunque, se
si vuole, 1'
« essere oggettivo
» di Rosmini.
Ciò spiega a
sufficienza l'attenzione di
Carabellese verso la
dottrina del roveretano
che attraverso il
Bonatelli e per
ragioni tutte diverse
era stata già
una fonte anche
del Varisco. In
che modo, però,
si potesse adoperare
il Rosmini per
ovviare davvero (come
Rosmini avrebbe voluto)
all' « errore
gnoseologistico » della
filosofia moderna, non
poteva risultare chiaro
al CarabeUese ai
tempi della laurea:
occorreva, in verità,
che il Gentile
portasse alle sue
ultime conseguenze quell'errore. Questa
è la ragione
sostanziale per cui
Carabellese, come filosofo,
matura tardi. Dopo
che Gentile ebbe
pubblicato, nel 1913, la
sua Riforma della
dialettica hegeliana, il
pensiero del CarabeUese
comincia a dehnearsi.
Nel volume su L'
essere e
il problema religioso.
A proposito del « Conosci
te stesso »
di Bernardino Varisco
(1914) si configura
il tema di
quello che sarà
il suo ontologismo;
e nel saggio
su La coscienza
morale (1915), stampato
a qualche settimana
di distanza dal
precedente, è già
« quasi esplicita
» (cfr. Critica
del concreto, p.
11) « la
scoperta della concretezza
dell'essere », Venne,
però, la guerra
e la meditazione
del Carabellese dovette
interrompersi per cinque
anni. Quando riprese
(Gentile, frattanto, aveva
pubbhcato le sue
opere principali, tra
il '16 e
il '17), le
linee maestre del
suo pensiero mostrano,
ormai, queUo che
sarà i] loro
assetto definitivo, l'assetto
della Critica del
concreto (scritta nel
1920). Rosmini è
rimasto, ma l'essere
oggettivo e indeterminato
che, con la
sua presenza alle menti,
permette loro di
pensare, non è
più la mèra « idea
» dell'essere, è
l'essere. L'ontologismo di
Gioberti, con la
sua critica al
mèro « essere
ideale », è
ripreso, ma con
un intento diverso
e ben piti
radicale: perchè l'essere
non è più
r « ente » e
neppure è il
« concreto »
; è la
pura ontologicità degh
enti: pura idea,
inseparabile dalla loro
pluralizzazione soggettiva. In
altri termini, l'essere
è pensabile, ormai,
solo L'Ontologismo 257
in una assoluta
immanenza: quell'immanenza che
Gentile e, ancor
più, i gentiliani
andavano spasmodicamente cercando, e
che, paradossalmente, veniva
trovata in un
rovesciamento della
posizione di Gentile.
6. Unità di
conoscere e fare,
nel « concreto
». — Il
testo fondamentale per
penetrare nell'ontologismo del
La Critica dei
Carabellese è, dunque,
la Critica del
concreto, che, uscita
'^°°a Pistoia nel
192 1, fu dall'Autore
rimaneggiata abbastanza profondamente
per la seconda
edizione romana del
1940, e meno
profondamente per la
terza, che usci
a Firenze nel
1948, in vista
di una opera
omnia poi non
condotta alla fine.
La Critica del
concreto è lo
strumento costante di
meditazione e di
espressione del Carabellese;
e, nonostante che
nella prefazione alla
terza edizione egli
insista molto sulla
provvisorietà di questo «
sillabario concettuale delle
successive ricerche »
(p. xxviii), rimane
il testo fondamentale.
Del resto le
« successive ricerche
», per il
Carabellese del 1947,
erano più quelle
che rimanevano da
svolgere che quelle
svolte dal 1927
in poi: e,
quindi, noi non
possiamo sapere quali
sarebbero state. Anche
le opere storiche,
per quel che
si è detto,
vanno capite muovendo
da quella intuizione
fondamentale, che a
tratti illumina, senza
dubbio, gU autori
considerati, ma che
essenzialmene si chiarisce
attraverso di essi.
Dopo gli scritti
del 1927-29 su
Kant e su
La filosofia da
Kant a Fichte,
queste opere storiche
si concretarono soprattutto
nel primo periodo
romano, in cui
il Carabellese occupò
una cattedra di
Storia della filosofìa
(1930-1943), prima di
passare sulla cattedra,
a lui più
congeniale, di teoretica.
Esse erano infatti,
in origine, corsi
universitari usciti in
dispense, e poi
ristampati nei tre volumi
delle Obiezioni al
cartesianesimo (1946-47) e
nel volume La
fdosofia dell'esistenza in
Kant (Bari, 1969).
Del resto, non
fu solo un
interesse archeologico quello
storiografia che spinse
il Carabellese a
ritornare per due
volte sulla Crispeculativa, tica,
Hbro del 1920,
bensì la coscienza
che di lì
si sviluppava tutta
la sua filosofìa.
Seguiremo dunque la
Critica del concreto
nella sua edizione
definitiva (1948), che
differisce dalla originaria
su punti non
trascurabili (il termine
« esperienza »,
ad esempio, a
partire dalla seconda
edizione è spesso
sostituito dal termine varischiano
di « coscienza
») . Teoria e praIl CarabcUese
comincia col distinguere,
nell'attività ttca non
corneiu^^ana, i duc
aspetti della teoria
e della pratica
che si rifiuta
dono con cono
... ... scema
e azione, di
assimilare, comc si
fa di solito,
a « conoscenza
» e «
azione ». La teoria è
l'aspetto universale di
ogni attività, e
la pratica ne
è l'attuazione moltepUce:
indispensabile anche quando
si tratti di
attività conoscitive. Del
pari il Carabellese
mostra falsa l'identificazione del
binomio pratico-teoretico col binomio
astratto-concreto : «
Sia la teoria
che la pratica,
se prese ciascuna
per sé, sono
astratte » ;
sono entrambe aspetti
separati dell'attività spirituale,
e quindi entrambe
affette da una
astrazione per cui
« dimezziamo l'atto,
per fermarci a
una parte di
esso » (p.
12). Concreta è
solo un'attività che
attui, in forme
particolari, « una
idea unica e
universale », senza
la quale idea
non sarebbe presente
nel nostro volere
un « dover
fare » (che
non è dovere
etico soltanto), e
quindi si cadrebbe
in una «
inconsistente vanità delle
azioni nella loro
singolarità plurima ».
Per contro «
è evidente nel
concreto volere la presenza
della qualità universale
di esso [l'idea],
quanto evidente nel
concreto conoscere la
presenza dei molti
fatti conosciuti »
(p. 18). L'individuazio7 QuestO
ne deiv unico
nei rifiuto di
chiamare «teoretico» il
conoscitivo soltanto vuol
singoli. essere una
contestazione dei «
distinti » crociani,
ed evitare, al
tempo stesso, il
monismo gentiUano. Ma
esso serve anche
a ben piìi
: a dirigere
« le menti
verso la vera
sintesi a priori
dell'essere, e cioè
l'individuazione dell'unico nei
singoli » (p.
22 ; o,
come diceva la
seconda edizione, «
verso la concretezza e
cioè la compattezza
dei singoH nell'unico»:
p. 21). La
teoria è, dunque,
l'orizzonte impersonale in
cui i singoH
si attuano personalmente. Essa
serve, inoltre, a
fondare « ontologicamente »
la struttura dell'agire
sulla struttura dell'essere. La
temporalità dell'essere e
il male 259
Il Croce aveva
fornito, dell'attività umana,
una sistemazione che aveva
avuto un successo
perfino superiore aUe
sue intenzioni. Ma
il Carabellese, prima
ancora che comparisse sull'orizzonte uno
Heidegger, fornisce un
sistema delle «
forme di coscienza
» (la prima
edizione diceva :
« esperienza »)
fondato ontologicamente sui
« momenti dell'essere
», cioè sulla
intrinseca temporalità deW essere
come essere presente
nella coscienza. «
Noi conosciamo ciò
che fu, sentiamo
ciò che è,
vogliamo ciò che
sarà» (p. 26).
La conoscenza, è,
infatti, una particolare
forma di coscienza, che si
rivolge al passato;
l'intuizione è un
sentire come coscienza,
del presente; l'azione
è coscienza dell'essere
che sarà, «coscienza
del futuro» {ivi).
((Momenti del tempo,
che sono gh
stessi momenti dell'essere»
(p. 27, nota),
in corrispondenza dei
quali troviamo, rispettivamente, nell'oggetto il vero,
il hello, il
buono. Il concreto
importa, così, una
« valutazione ontologica
// tempo. del
tempo » che,
affacciatasi già in
L'essere e il
problema religioso (1914),
starà alla base
del modo antistoricistico di
concepire e salvare
La storia, prospettato
nel saggio con
questo titolo uscito
in Scritti in
onore di Bernardino
Varisco (1926). Nasce
qui il concreto
come «compattezza» o,
come il Carabellese
preferirà dire piìi tardi, intrinsecità
di oggetto e
soggetto : «
Oggetto e soggetto,
in quanto separati,
sono astrazioni »
(p. 30) le
stesse che si
chiamano, rispettivamente, « teoria
» e «
pratica » mentre
« in concreto
la coscienza è pratica
dell'essere (....) come
l'essere è teoria
della coscienza ».
Una appHcazione importante
è fatta dal
Carabellese al L'errore
di vaproblema dell'
« errore di
volontà », o
male, in cui il Croce,
'''"''^' distinguendo Tattività
pratica in due
gradi, e rendendo
Ìl primo indipendente
dal secondo, era
rimasto invischiato. Nella
moralità come tale,
dice il Carabellese
(rovesciando, si può
osservare, quello che
per il Croce
valeva dell'economia) non c'è
errore : la
coscienza morale, come
« teoria della
volontà », è
infallibile. Ma, di
per sé, la
moralità non è
ancora concreta: è
solo la teoria
del concreto volere,
e di questa un
mio atto (o
io stesso tutto
intero addirittura?) potrà
essere un errore
» (p. 38).
Vi è, insomma,
un'oggettività morale (e
una estetica), e
non soltanto un'oggettività conoscitiva.
A tale oggettività,
i soggetti tendono
con un volere
che « non
è pura facoltà
del soggetto, ma è attività
concreta, e perciò
unità di teoria
e di pratica,
di oggettività e
soggettività insieme. L'oggettività, in
tutte le sue
forme, è intrinseca
ai soggetti, ma
non certo identica
ad essi: essa
è infatti l'unità,
di cui i
soggetti sono il
molteplice. I soggetti
sentono, dunque, l'oggettività
come una esigenza,
come un bisogno;
e ciò fa
della filosofìa del
Carabellese una tipica
filosofìa del finito
e della tensione
del finito verso
l'infinito. Filosofìa dinamica,
ma non prassistica,
essendo la prassi
tesa verso la
teoria, e la teoria
accessibile solo attraverso
la prassi. Idealismo
assoE poichè l'cssere
è l'oggetto, presente
nei soggetti, la
luto non soggetfilosofìa di
Carabcllese si presenta
come un «
idealismo asso tivtsttco. ^
luto », non
però soggettivistico :
perchè nell'idealismo soggettivistico l'oggetto è
concepito ancora al
modo del realismo, come un
particolare, mentre per
Carabellese l'oggetto ha
da essere l'universale,
il «valere per
tutti» (p. 57).
La cosa particolare
a cui mi
riferisco in un
mio atto (conoscitivo,
intuitivo o pratico),
ad esempio un
ulivo che vedo
dalla finestra, non
è un oggetto
in quanto sia
un mèro particolare:
è, tutto al
contrario, « qualità
o atto soggettivo
» (p. 61).
Quello che esso
ha di oggettivo
è l'essere ulivo
non solo per
me, ma per
tutti : cioè
il rappresentare sia
pure individuata in
un atto particolare
l'unicità dei soggetti
(pp. 61, 64).
Se, allora, si
conserva astrattamente questa
unicità da sola,
si ottiene 1'
« oggettività dei
soggetti », che
non è però l'oggettività dell'ulivo:
cioè la particolarità, in
quanto, tale si
perde. « L'ulivo
in quanto universale
vuol dire l'unicità
(per quanto parziale,
perchè si tratta
soltanto di un
ulivo) dei soggetti.
E se l'universalità costituisce
l'oggettività, questa unicità
dei soggetti costituisce
l'oggettività loro. Quell'ulivo,
in fondo, costituisce
una parte della
oggettività naturale dei
soggetti uomini »
(p. 62) . Nel
realismo, o nel
La temporalità dell'essere
e il male
261 l'idealismo soggettivistico che
lo ricalca, i
soggetti e gH
oggetti si presentano,
invece, come membri
di una stessa
comunità (in relazione
tra loro) :
hanno un analogo
modo d'essere, che
impedisce a questi
due aspetti del
concreto di assumere
la loro vera
funzione. Questo è
l'errore. L'essere, come
puro oggetto, non
è un insieme
di cose: è
piuttosto quella «coscienza normale »
kantiana su cui
tanto avevano insistito
invano le fonti
tedesche, tra Ottocento
e Novecento; quella
« normalità »
della coscienza, con
cui CarabeUese giungerà
presto a identificare
il concetto kantiano
di cosa in
se. I soggetti,
per contro, sono
molteplici / soggetti
come per definizione.
Non enti-io, da
porre accanto agU
enti-cose: ^^^'^^soiaredtco
. , scienza ».
in quest'ultimo caso
non si avrebbe
modo di risolvere
la vertenza tra il
« realismo ingenuo
», che fa
dei primi i soggetti passivi
di una attività
dei secondi, e
l'idealismo parimenti ingenuo,
che inverte semplicemicnte la
relazione, ma non
muta la natura
dei suoi termini.
I soggetti non
sono neppure coscienza,
in concreto, bensì
« il singolare
di coscienza »,
così come l'oggetto
è « l'universale
di coscienza; sono
« individuazione dell'essere
», « termini
singolari della sua
individuazione.Parlare di un
soggetto unico è,
dunque, il massimo
dei Rifiuto dei
sognon sensi: il
soggettivizzarsi della coscienza
è identico al
^^"° suo
pluralizzarsi. Codesto pluralizzarsi
non chiude, tuttavia,
i soggetti in
sé stessi: perchè
l'io, che è
il soggetto concreto,
non è aw^ocoscienza
(p. 138), non
è un riflettersi
su sé stesso
che porterebbe diritti
al solipsismo (p.
81) -, è l'
aprirsi sull'unica oggettività
dell'essere. Sicché, mentre
le monadi varischiane
si aprivano l'una
al guardare dell'altra,
e producevano l'oggettività con
il loro reciproco
interferire, i soggetti
carabeUesiani si aprono
per l'immanere in
essi di un
identico oggetto, in
cui si è
rovesciata la concezione
gentihana dell'unico soggetto.
Del « Soggetto
universale » di
Varisco non c'è,
dunque, pili bisogno,
anzi esso non
è neppur concepibile.
Se io penso
Dio come un
principio soggettivo, non
ottengo altro che «il personale
Dio pagano, tutt'altro
che unico»; mentre
se lo affermo
come soggetto unico
ne faccio un
« di là
» che, non
dovendo constare per
nulla nel di
qua, non ha piìi per
noi alcun significato:
«Affermare, dunque, la
personalità di Dio
è non affermare
Dio; è negarlo»
(p. 156). 9.
La trascendenza. —
Ciò non toglie
che si possa
e si debba
dare un significato
alla trascendenza. Trascendenza,
diceva l'edizione del
1940, significa che
« il concreto
è sempre inadeguato
alle sue condizioni
trascendentali » che,
«nella loro purezza,
superano la coscienza
concreta, non vengono
da questa raggiunte
interamente » (pp.
175-176). Anziché di
« condizioni trascendentah
», l'edizione definitiva
parla di «
distinti », che
la coscienza non
attua interamente :
probabilmente perchè la dizione
« condizioni trascendentah
» sembrava imphcare
un' antecedenza sul
concreto, sia pure
logica e non cronologica.
Trascendenza La stessa
Struttura del concreto
porta quindi il
Cararehgiosa e traj^gjjgse
ad ammettere le
due forme tradizionah
di trascen scendenza gnoseologica, denza: la
trascendenza religiosa, per
la quale si
afferma l'esistenza separata
e irrelativa dell'ente
spirituale assoluto, e
la trascendenza gnoseologica,
« più grossolana
e primitiva »,
che afferma l'indipendenza e
assolutezza dell'essere in
sé. Ma egli
riconduce entrambe queste
forme alla «
inadeguabilità
dell'intrinseco », cioè
dell'essere oggettivo puro
(p. 192 corsivo
nel testo), che
non è qualcosa
di esterno, bensì
qualcosa d'intrinseco,
appunto, ai soggetti
che trascende. Del
resto il Carabellese
riconosce alla trascendenza
religiosa il merito di
rilevare, sia pure
in modo imphcito
soltanto, il valore
della coscienza, e così di
porsi veramente sul
terreno dell'essere concreto (p.
195). Infatti, anche
se ad essa
accade di insistere
sull'eternità di Dio,
« si deve
tener presente che l'assolutezza
divina ha sempre
avuta una propria
rappresentanza nell'essere concreto,
almeno in coloro
che l'affermavano» (p.
198). ,.tT..J7JAt^,l Riformulate
così le due
forme di trascendenza
tradizionale, concreta». il
Carabellese non le
accetta, tuttavia, tali
quali: sostituisce La
trascendenza 263 ad
esse «due forme
di trascendenza concreta»
(p. 200), la
trascendenza relativa, cioè
« l'alterità reciproca
di coscienza »
tra un soggetto
e l'altro (p.
205), e la
trascendenza « dell'unico
assoluto di fronte
ai singoli soggetti
». Quest'ultima non
è, al contrario
della prima, «
relativa », perchè
tra l'essere assoluto e
i soggetti, come
abbiamo visto, non
intercorre una «
relazione ». La
trascendenza assoluta, in
altre parole, non
è simmetrica, perchè,
mentre noi non
riusciamo ad adeguare l'oggetto, questo
non è mai
trasceso da noi
: « Il
principio non si trascende
». Così, «
mentre la trascendenza
gnoseologica, che si credeva
trascendenza dell'assoluto oggetto
alla coscienza, si
riconosce come irriducibihtà
relativa di un
soggetto concreto singolare
all'altro, la trascendenza
religiosa, che pareva
soltanto soggettiva, manifesta
veramente la sua
assolutezza in quanto
inadeguabihtà dell'oggetto puro,
immanente neUa coscienza
dei soggetti (p.
210). «La trascendenza
è dunque nella
coscienza, e perciò
non è il
reaUstico di là
da questa. L'esigenza
della trascendenza è,
invece, l'esigenza che
il concreto ha
di un principio,
esigenza che è
soddisfatta relativamente dalla
reciprocità condizionata dei
soggetti, e assolutamente dalla
unicità universale dell'oggetto
» [ivi) . A questo
punto si in
Il sacrificio del nesta
la più sorprendente
conclusione della Critica
del concreto. ^'^
coscienza. Abbiamo visto
che, isolando le
condizioni del concreto,
si cade nell'astratto
: ma allora
perchè la coscienza
« cerca di
cogliere detti distinti
nel loro isolamento,
perchè cerca di
dissolvere la propria
individua concretezza nell'uno
o nell'altro suo distinto?
» (p. 211.
In luogo di
«distinto» l'edizione
precedente diceva :
« estremo ») .
Il CarabeUese avvicina questo «
sacrificio » che la coscienza
fa della propria
concretezza al dramma
di Gesìi, che
prega : «
Transeat a me
caUx iste »,
pur sapendo che
il sacrificio a
cui va incontro
è necessario alla
redenzione. « Il
transire della ricerca
del distinto come
tale non può
avvenire senza l'annullamento 264
Cap. XXXV. L'Ontologismo
di P. Carahellese
della stessa concretezza,
come non poteva
avvenire quello di
Gesìi senza l'annullamento della
redenzione. In altri
termini, alla concretezza
è necessaria anche
la distinzione delle
sue condizioni intrinseche
(oggettiva e soggettiva) :
non già per
una necessità di
tipo dialettico, che
faccia risultare il
concreto dalle antitesi
(pp. 92 e
138), bensì per
una necessità immediata
: « Il
credente muove dal
bisogno di sapere
la sua stessa
essenza singolare, di
sentirla distinta »
(p. 212). D'altra
parte, di fronte
al credente, la
coscienza rappresenta uno
sforzo continuo che
non giunge mai
al termine «
per risolversi nel
suo principio universale,
e perciò essa è sempre
inesausta e inesauribile
problematicità » e,
quindi, filosofìa. Le
attività traNel concrcto
pcrciò, a cagione
della sua «
polarità » come
scendentah: re^ chiamata,
ad escmpio, in
L'idealismo italiano (Napoli,
hgione e filosofia.
1938, P294) -,
si costituiscono due « attività
trascendentali, rehgione e
filosofìa » (p.
210) che « sono l'intrinseca
trascendentahtà del concreto,
non la concretezza
stessa. Esse dovran
tornare, dice il
Carabellese, « dopo
tutte le scaltrezze (....), alla
loro esigenza ingenua.
La concreta coscienza
umana non segue,
certo, solo la
misteriosa fede del
credente o la
superba ansia dimostrativa
del filosofo, ma
nella sua attività
è proprio sforzo
che richiede riposo,
riposo che prepara lo
sforzo» (p. 214).
In che misura
il credente possa
sentirsi soddisfatto dell' «
esigenza ingenua »
della religione, quale
il Carabellese ghela
presenta, è dubbio
: il credente
ha generalmente bisogno
di un Dio
a cui rivolgersi
come a un
Tu, e non
soltanto di «
genuflettersi dinnanzi all'universale mistero
che lo trascende »
(p. 206). Ma
il filosofo può
essere più soddisfatto.
Egli può trovare
nella trascendenza carabellesiana la
ragione della prohlematicitcì della
sua ricerca, che
una mèra considerazione dell'oggettività come
tale non avrebbe
fatto supporre. In un
immanentismo di tipo
hegehano, in cui
la filosofia è il
prendere coscienza dell'Assoluto, la
problematicità si risolve
interamente nello sviluppo
storico; in un
immanentismo gentihano, in cui
l'atto coincide eternamente
con I due
poli del concreto
265 sé stesso,
la problematicità scade
nell'indifferenza verso la
singolarità dei fatti.
Per contro nell'immanentismo carabellesiano, in
cui l'oggettività è una idea
pura, universale e
di per sé
astratta, l'esigenza di una tale
oggettività riesce invece,
inevitabilmente,
problematica e pluralisticamente attuata.
Per questo l'analisi
del concreto nelle
sue condizioni, o
nei suoi distinti
di per sé
astratti, é necessaria
alla redenzione. Una redenzione
che riscatta anche
quello che abbiamo
chiamato il «
profetismo » di
Carabellese. La profezia
in nome dell'assoluto
apre, infatti, e
non chiude la
ricerca. Rimane, senza
dubbio, un problema
gravissimo: con Quai
è u crUequal
criterio misurare se
questa esigenza di
oggettività sia ''^o
deii'oggethpiù o meno
soddisfatta? Il criterio
non può essere
dato, é chiaro,
da una formula;
l'oggettività carabellesiana non
sarebbe tale se
vi fosse una
formula capace di
definirla. Ciò rende
difficile quasi altrettanto
nella posizione di
Carabellese quanto in quella
di Gentile passare
dalla sistemazione del
valore in generale
a una valutazione
specifica, dei prodotti
portatori di valore.
Ma ciò dà
altresì al problema
della filosofìa una apertura
che le posizioni
di dialettiche, di
stampo hegeliano, per
contro gli negavano.
II. Possibilità di
un pluralismo filosofico.
— L'anno stesso
della Critica del
concreto, 192 1, il
Carabellese pubbHca infatti,
sulla « Rivista
di filosofìa »
un articolo fondamentale
Che cos'è la
filosofia? in cui
riconosce « la
difficoltà della conciliazione
dell'assoluta universalità della
filosofia con la
sua determinata concretezza
» (edizione in
volume, con altri
saggi, 1942, p.
91) ; e non esita,
dovendo scegliere, a
lasciar cadere pittosto
la concretezza, per
conservare l'universafità. Ma,
se si tien
conto della «
attuazione e pratica
della filosofia »,
ci si accorge
che, rispetto a
quella universahtà, «
il filosofo è
esso il problema
dell'individuazione ». L'universaHtà
ha bisogno di
essere individuata per
esistere, e quindi
« l'esplicazione
dell'imphcito », che
è il problema
filosofico fondamentale,
quando si consideri
la filosofia nella
sua attuahtà diviene
il problema dell'individuazione dell'universale. « Si parte dall'affermazione dell'essere
nella sua universalità,
e si arriva
a una assoluta
affermazione della individualità, che
può parere dogmatica,
intollerante, tirannica ed
arbitraria solo a chi
nulla sente di
filosofia, e perciò
scambi l'arbitrio del
singolo, che deve
farsi valere pur
quando debba affermare
non il suo
proprio arbitrio, ma
l'assoluto universale, con l'universale
idea animatrice da
quel singolo, toccata
in un potente
sforzo di sublimazione
» (p. 112).
In questo senso
è riconquistato il
« concetto ingenuo
della filosofia, che
non è possesso
ma (....) sforzo»
(p. 113). Il
saggio del '21
sul concetto della
filosofia fu ristampato
nel '42, come
secondo volume dei
Primi Saggi: ma
le postille e
l'ultimo saggio, aggiunto
nel '42, fanno
in realtà, di
questo volume l'espressione
di una maturazione
ulteriore del Carahellese, che presuppone
tutto il lavoro
di insegnamento universitario e di
polemica. Dopo il
1921, infatti, il
Carabellese si dedicò
a « verificare
» la propria
concezione sulla storia
della filosofia, soprattutto
kantiana: su quello
strano destino, cioè che
aveva portato l'annunzio
kantiano (mal formulato) della pura
oggettività a rovesciarsi
nella soggettività assoluta
di Fichte. //
problema della filosofia.
Da Kant a
Fichte (1929) è
il «problema interno»
della filosofia: quel
problema che la
filosofia soUeva a
sé stessa quando
si interroga suUa propria
possibiUtà, e che va distinto
accuratamente dal «
problema oggettivo che
la filosofia vuol
risolvere » (p.
v), che il
CarabeUese chiama «
problema teologico ».
Kant (e questo
è il punto
in cui l'esegesi
del Carabellese si
mostra più aderente
ai problemi testuah)
non chiarì mai
in modo soddisfacente
il rapporto tra
critica (propedeutica) Il
problema teoe metafisica
(filosofìa). Ciò portò
i suoi successori
a confonogtco. ^gj.g
^ problema interno
della filosofia col
problema oggettivo, e
a pretendere di
risolverh in un
sol colpo, col
concetto di autocoscienza. È
la tesi che
il Carabellese espone
nella prima parte
di La filosofia
di Kant. L'idea
teologica (1927; parte
non più seguita
dalla seconda e
dalla terza, che
avrebbero dovuto riguardare,
rispettivamente, 1' « idea psicologica
» e r
« idea cosmologica»). Il
Carabellese contesta la
legittimità Possibilità
di un pluralismo
filosofico 267 di
presentare come filosofia
di Kant il
criticismo, che voleva
essere soltanto la
via per arrivarci;
ma non perchè
segua l'indicazione espressa
di Kant, secondo
cui il contenuto
effettivo deUa filosofia
andrebbe cercato in una «
metafisica della natura
» e «
dei costumi », contenente l'insieme
delle condizioni a
priori rispettivamente della
scienza deUa natura
in generale e
della moralità. Carabellese
cerca, al contrario
di « determinare,
attraverso la dottrina
metafisica che Kant
tacitamente o esplicitamente professa,
quella che la
critica gli impone
di professare »
(p. xv). In
che cosa consiste
questa dottrina? Essa
è la dottrina
dell'idea come oggettività
pura; dell' « idea
Dio» (come il
Carabellese amava dire,
e LUidea dìo».
non idea di
Dio: secondo una
precisazione che risale,
effettivamente, al Kant àeWOpus
poshimum, sebbene il
Carabellese conoscesse
l'Opus postumum solo
indirettamente). Carabellese riconosce
che « Kant
non fu consapevole
della scoperta che
egh faceva quando,
di fronte al
problema dell'esistenza di Dio,
rispondeva che Dio è idea,
e trasformava così
l'argomento ontologico» [La
filosofia di Kant,
p. 392). Riconosce,
cioè, che la
verità che egli
attribuisce a Kant
è, in fondo,
la stessa verità
scoperta da lui,
Carabellese. Con tutto
ciò il suo
hbro, come tutto
il resto delle
sue ricerche storiche, pur
nel carattere molto
personale delle sue vedute,
contiene spesso intuizioni
illuminanti. 12. Il
problema teologico. —
Dopo questi saggi,
non esaurienti ma
condotti in profondità,
su Kant e
su Fichte, il
Carabellese poteva raccoghere
la somma del
proprio pensiero intorno al
« problema oggettivo
» (e non
piìi « interno
» soltanto) della
filosofia, nel volume
II problema teologico
come filosofia (1931),
che, pur avendo
una origine alquanto
composita, costituisce una sintesi
molto coerente. La
filosofia trascendentale sbagHa
quando fa della
critica La critica
non è la
scienza assoluta (p.
6) : ma
non per questo
ha ragione ^^
scienza suHegel (che
critica tale assunto)
di cercare la
verità nel dialettismo (p. II).
L'errore di Kant è di
muovere dalla critica
della conoscenza soltanto
(p. 12), anziché
della coscienza: che, allora,
si scoprirebbe in
essa « l'immanenza
dell'essere in sé,
come puro oggetto
» (p. i6),
cioè come idea.
La metafisica critica può,
dunque, essere definita
come « l'attività
teorica della trascendenza
nella immanenza dell'assoluto
» (p. 15).
Ma poiché la
trascendenza é «sforzo
verso l'assoluto» (e non
l'assoluto medesimo), la
filosofia si personalizza; e non
«capitalizza», come la
religione, un patrimonio
di fede, «ma
si consuma in
sempre nuovo sforzo»
(p. 18). Con
ciò il Carabellese
rende esphcito e
risoluto il suo
schierarsi per una filosofia
critica contro ogni
filosofia normativa. «
La filosofia rinunzia
ad essere, con
le proprie norme,
la guidatrice di
ogni concreta attività
spirituale » (p.
19), avendo «natura
di sforzo, e
non di scienza»
{ivi). «La filosofia deve dunque
abbandonare la scientificità, per
salvare, insieme con
la propria oggettività,
quella stessa dell'essere
» (p. 117).
Dio come assoGiustificate COSÌ
le tesi della
Critica del concreto
e quelle luto
oggetto ^j £j^^
^Q^'^ i^ filosofia?,
la nuova analisi
del Carabellese viene
puro. a trovarsi
direttamente di fronte
al problema di
Dio. Dio, «
come assoluto oggetto
puro », é
ancora il problema
del lontano volume
del 1914, L'essere
e il problema
religioso, filtrato, tuttavia,
attraverso tutta l'esperienza
storiografica e speculativa
di quegli anni.
Al volume giovanile
era stato obiettato
che l'essere, che
è il piìi
astratto dei concetti,
non può illuminare
il problema religioso,
che é tra
i piìi concreti;
e la meditazione
carabellesiana di quegli
anni era stata
la risposta a
tale obiezione: l'inserzione
dell'essere nel concreto.
Perciò il Carabellese
torna a dire
che la filosofia,
non solo non
può evitare, ma
ha per suo
compito oggettivo specifico il
parlare di Dio,
e il correggerne
la rappresentazione realistica
che ne dà
generalmente la religione;
nonché il liberare
Dio dai due
« presupposti »,
della esistenza e
della soggettività, senza
peraltro aver punto
la pretesa di contestare
l'atteggiamento dell'adorazione religiosa:
anzi, offrendole il suo
vero oggetto. Dio è, non
esiDÌO, afferma Carabellese,
è, non esiste.
Era stato detto
^^^già da molti
altri, in particolare
dal Vico, al
termine della //
problema teologico 269
Prima risposta al
Giornale dei letterati:
« Impropriamente esplica
la sua pietà
» chi (come
Cartesio) inferisce dalla
propria esistenza la esistenza
di Dio, perchè
« Dio non
esiste, ma è
» (e ancora:
« Iddio non
c'è, ma è
»). Il senso,
tuttavia, in cui il CarabeUese
riprende questa formula
è originale: «
Se, infatti, Dio
è essere in
sé, e l'esistere
invece è essere
in relazione, dire
che Dio come
tale esiste, comunque
si intenda l'esistere,
è pronunciare verbalmente
soltanto una contraddizione, ma
non dire nulla:
affermare l'esistenza di
Dio è negare
Dio» (p. 169).
«Affermare l'esistenza di
Dio è negare
Dio rendendo impossibile
uno spirito che
lo affermi »
(p. 171). Anche
l'argomento ontologico, che
il CarabeUese come
L'argomento quasi tutti
gh idealisti riprende
e accogUe originalmente, ^^^°^°s^^°adattandolo al
proprio tipo di
idealismo, è bensì
inadatto egH dice a dimostrare
l'esistenza di Dio,
ma serve ad
attestarne la «
pura inseità »
(p. 177) :
la quale è
solo di Dio,
dato che «
tutto ciò che
esiste non è
in sé, perchè
l'esistenza sta proprio
nella reciprocità, che
è alterità, e
non inseità »
(p. 180). «L'essenza
dell'argomento ontologico sta
proprio nella negazione
della singolarità e
rappresentatività di Dio
(negazione della quale
l'inconoscibilità kantiana non
è lontana) » (p.
179). Pensare, e non pensare
Dio, è davvero
impossibile, come osservava Anselmo:
perché Dio è
l'oggettività di ogni atto
di pensiero. 13.
La manifestazione dell'essere.
— Tuttavia questo
essere come puro
oggetto del pensiero,
pur essendo stato
immesso nel concreto,
rischia facilmente di
apparire troppo povero
di determinazioni per
costituire il «
problema oggettivo » della
filosofia. E negH
anni dell'insegnamento di
teoretica a Roma
il CarabeUese si
sforza di quaUficarlo
maggiormente, servendosi
deUe determinazioni del
tempo, secondo la
hnea già indicata
daUa Critica del
concreto. Queste meditazioni deU'ultimo CarabeUese
furono raccolte in
cinque volumi di
dispense, preparate da
lui prima dei
rispettivi corsi, tra
il 1944 e
il 1948. I
titoli sono: L'essere
e la sua manifestazione. Parte
I: La dialettica
delle forme (1944-46);
L'essere. Parte II:
Io (1947); L'attività
spirituale umana. Prime
linee di una
logica dell'essere (1948).
Uessere quali «
L'essere qualitativo egli
spiega nel primo
di questi tahvo.
volumi proprio perchè
è il diverso,
presenta la sua
attività, che è
attività prima e
principio di ogni
attività, sotto tre
aspetti, che finora
hanno costituito tre
ordini di problemi
separati gli uni
dagli altri, e
che, quindi, sono
stati risolti indipendentemente e
incoerentemente: dico i
problemi dei valori
delle categorie e degU atti
dell'attività spirituale » (p. 86).
Anche se l'essere
è una pura
potenziahtà eterna, gli
atti si diversificano: il
passato, inserendosi nel
presente, vi costituisce
il fatto e
il futuro vi
costituisce il fine
: « Il
fine, come già
il fatto, è
un diverso atto
in sé »
(II, p. 160),
e ha anch'esso
una sua oggettività
pura, perchè « il sommo
fine in sé
non può essere
uno dei tanti
che sentono il
fine, ma dev'essere,
invece, proprio quel
tale unico sentimento
del bene che
tutti noi abbiamo
quando ci proponiamo
dei fini» (p.
196). La bellezza.
Auchc la bellezza
ritorna, nell'esame dell'ultimo
Cara bellese, come « realtà
in sé »
del « sentimento
fondamentale », e,
quindi, non come
prodotto dell'arte (crocianamente), bensì
all'inverso come suo
presupposto : «
Dio come bellezza
è l'ineliminabile presupposto
dell'arte e degli
artisti » (p,
257). Coerentemente con
tutto il resto
della sua posizione,
il Carabellese considera un
grave errore il « presupporre
l'artista al bello,
cioè il singolare
all'universale» (III, p.
325). Nella seconda
parte dell'opera, intitolata
L'io, il Carabellese ribadisce la
sua concezione della
coscienza concreta: «
Il consapere è
il sapere che
io, compatta unità
plurima, ho di
Dio, l'unico universale»
(p. 162). Maggiori
novità si trovano
nella parte su
L'attività spirituale umana,
che obbedisce a
questo canone generale
: « L'attività
spirituale umana attui
l'essere » (p.
32) : canone
specificantesi poi nell'imperativo di
attuare l'essere in
quanto bene (p.
42) e in
quanto necessità (p.
46). Su quest'ultimo
punto si fonda
la logica, come
legge dell'attività umana
consapevole, dato La
manifestazione dell'essere 271
che « il
logo si rivela
come lo stesso
essere in quanto
presente nell'attiva
coscienza umana» (p.
89). Sotto questa
rubrica il Carabellese
estende ora la
sua riLa società.
cerca a un
campo che poteva
sembrare marginale, rispetto
ai suoi interessi,
la società: poiché
la logica, come
legge dell'attività umana,
sotto il suo
aspetto sentimentale, è
« logica della
famigha », oltre
che della poesia
e dell'arte, e
sotto il suo
aspetto intellettivo è
« logica della
nazione », «
della scuola »
e « della
storia ». Infine,
sotto il suo
aspetto vohtivo, è
« logica del
popolo », «
dello Stato »,
« del costume
». Per quanto
affiancate, però, da
un volumetto pubbhcato
nel 1946, L'idea
politica d'Italia, queste
riflessioni ultime del
Carabellese sui temi
della società appaiono
prive di sufficiente elaborazione. Del
resto, questo non è un
caso: risponde al rifiuto
del Carabellese di
sacrificare alla concretezza della filosofia
la sua universalità.
Abbiamo già incontrato questo rifiuto
nell'articolo del '21, e nel
Problema teologico; e lo troviamo
ribadito negli scritti
Che cos'è la
filosofia? (1942). Esso
non è altro
che un corollario
del rifiuto di
« accettare l'idealistica
riduzione dell'essere alla
coscienza », la
quale impedirebbe alla
filosofia di continuare
ad essere filosofia
dell'essere, e quindi,
in ultima analisi,
annullerebbe la possibilità
della filosofia medesima.
Capire ciò osserva
una postilla del
'42 al saggio
del '21 irriducibilità «
deve essere ben
difficile, se i
miei giovani amici,
certo di '^^''^
filosofia. pronto ingegno,
come lo Spirito
prima e il
Calogero dopo, non
hanno visto che,
con la loro
aperta professione di
riduzione della filosofia alle
determinate scienze (Spirito),
o a filosofia
della prassi (Calogero)
non hanno fatto
altro che dotarmi
di spirito profetico,
in quanto avevo
prearmunziato il necessario
finire della filosofia
neohegehana in genere,
e attuahstica in
specie, nell'uno o
nell'altro dei detti
estremi » {Che
cos'è la filosofia?,
1942, p. 71).
La stessa soluzione
che il Carabellese
aveva proposta nel
'21, peraltro, \'iene
da lui criticata,
perchè in essa
il « problema interno »
della possibihtà del
filosofare non era
visto nella sua
« connessione con
la soluzione ontologica
del problema oggettivo»
(p. 87). Là si parlava
ancora, infatti, di una «
trascendenza » della
filosofia, mentre la
filosofia come la
religione non è
trascendente essa stessa,
bensì « ricerca
del trascendente, trascendentalità ».
Entrambe, filosofia e
religione, se rivendicassero il
concreto, « dovrebbero
perire insieme nel
contendersi tutta l'attività
spirituale concreta, o
una determinata forma
di questa ».
Ma « che
periscano è impossibile:
bisogna dunque che
rinunzino entrambe alla
concretezza, per salvarsi
entrambe, ciascuna col
suo proprio valore
» (p. 120).
Eppure questa rinunzia
è ancora soltanto
una condizione negativa. Dopo
di essa bisogna
chiedersi, come fa
il saggio conclusivo
del volume: È
possibile filosofare ?
». Kant aveva
dimostrato (secondo il
CarabeUese) che una
filosofia come specifico
« sapere dell'
essere » è
indispensabile. Ma i
post-kantiani « annullarono
» la dimostrazione
kantiana, e con
ciò la stessa
filosofia, ridotta all'attività
spirituale in genere.
Solo la «
riflessione pura della
coscienza ontologica »
ristabilisce la possibilità
della filosofia, evitando
di identificarla, sia col
sapere concreto (delle
scienze), sia con
lo stesso principio
trascendente (verso il
quale è sforzo) .
Allora « problema interno e
problema oggettivo del
filosofare si stringono saldamente tra
loro, pur senza
confondersi: perchè sia
possibile filosofare devesi
ammettere l'essere in
sé, del quale
la filosofia sia
riflessione; perchè si
ammetta l'essere in
sé, bisogna che
sia possibile la
filosofia come speciale
sapere o meglio,
se si vuole,
come quello speciale
atteggiamento di coscienza
che ricerca il
trascendente assoluto, che
é l'essere in
sé» (pp. 269-270).
La filosofia e
I4. . —
DcttO CÌÒ, tuttavia,
l'oggethvtia. ^^^ gj
vcdc aucora da
che cosa il
filosofo possa desumere
ciò che ha
da dire. «
Il filosofo non
deve professare la
filosofia che a lui
personalmente piaccia, ma
quella a cui
l'oggettiva coscienza lo induca
» {Che cos'è
la filosofia?, cit.,
p. vili) :
ma quale è
quella filosofia a
cui « l'oggettiva
coscienza lo induce
»? A questa
domanda il Carabellese
non può ri
co. Sovranità della
filosofia 273 spendere,
se non con
una «perenne problematicità» (p.
262), che corrisponde,
in qualche modo,
a quella problematicità che
Ugo Spirito trarrà
dall' attuaUsmo. Egli dice
che « la
problematicità del filosofo
non parte affatto
dal nulla, né
dalla negazione :
parte dalla coscienza
concreta » (pp.
263-264) : ma
con ciò non
fa altro che
reinserirsi, in sostanza,
nella tradizione
socratico-platonica (il Carabellese
ne cita come
rappresentanti «Aristotele e
Agostino, qui d'accordo»),
secondo cui «
sapere è sempre
sapere in modo
piìi espUcito ciò
che già si
sapeva» (p. 361).
Questo appello a
un implicito da esphcitare
si giustifica, tuttavia,
forse meno nell'ontologismo critico che
nelle filosofie tradizionali,
platoniche e cristiane.
Queste riserve non
tolgono che Carabellese,
con il suo
spirito profetivolume del
'42 sulla possibilità
della filosofia scritto
che può considerarsi
come il suo
testamento spirituale ponga
il tema principale
del dibattito filosofico
in Italia per
almeno un decennio:
il tema della
«morte della metafisica».
Anche se non
tutti coloro che
conducevano quel dibattito
si ricordarono di lui,
anche se i più tra
quelli che pronunziarono
una sentenza di
morte per la
metafisica non si
accorsero della loro
ignoratio elenchi rispetto
alle tesi del
Carabellese, noi non
possiamo non riconoscere
ancora una volta
in Carabellese una sorta
di spirito profetico
e, questa volta,
anche rispetto al
futuro. Con lucidità
impressionante, infatti, nel
1942 egli respinge,
insieme col «
pregiudizio della normatività della filosofia
», l'identificazione tra
filosofia e politica
pura, tra filosofia
e pohtica determinata,
tra filosofia e
storia della filosofia
(nel senso che
sarà sostenuto poi,
tra gh altri,
dal Garin) e,
infine, tra filosofia
e fede (oltre
che, come già
si è visto,
tra filosofia e
scienza e tra
filosofia e prassi).
La capacità di
prevedere e prevenire
i nemici, in
Carabellese, non aveva
l'eguale. Il vedere
neUa « non
hegeliana identificazione di filosofia
e politica pura » la
« esasperazione della
hegehana eticità dello
Stato » ;
il riconoscere «
l'inutihtà del filosofare
nelle determinate esigenze
poUtiche », contro
il « sogno
platonico dei filosofi
reggitori di Stato
» ; il
sostenere «l'inutilità
del filosofare per la vita»
(p. 274), come
«segno deUa sovranità
della filosofia »,
sono una battaglia
combattuta in anticipo contro
nemici non ancora
tutti schierati. E,
se si dovesse
guardare al suo
esito pragmaticamente e
storicisticamente, si dovrebbe
anche dire: una
battaglia perduta. Ma
il senso del
testamento spirituale di
Pantaleo Carabellese è
appunto il rifiuto
di una considerazione pragmatica e
storicistica della filosofia.
Questo rimane, anche
se la tendenza
a sacrificare il
concreto all'universalità toghe,
a quel rifiuto,
molte opportunità di
proporsi come più positivamente
costruttivo. CrOCE giunse assai
tardi alla Tardivo
appro fìlosofia. Benché la
sua attività di
studioso fosse precocis^^
'^^^"' fi^^^'^fi'^sima (prima
dei vent'anni egli
aveva già pubblicato
alcuni lavori) e
si esplicasse fin
dall'inizio con rara
intensità, tuttavia essa non
offrì stimoli efficaci
al manifestarsi della
sua vocazione filosofica,
essendo dominata da
una curiosità di
erudito e di
letterato che trovava
il suo pascolo
nella ricerca d'archivio
e di biblioteca,
in collaborazione con
« altra onesta
e buona e
mite gente, uomini....
che non avevano
l'abito del troppo
pensare» {Etica e
Politica, Bari, 1956*,
p. 388), come
si esprime il
Croce stesso ;
ne taU stimoU
al « pensare
» venivano offerti
al giovane Croce
dai casi della
vita e dalle
influenze dei vari
ambienti in cui
tah casi si
verificavano sotto forma
di problemi spirituali
d'indole etico-rehgiosa, o
pratico-sociale, e simili
(e son preziose
per questo rispetto
le confessioni del
Croce medesimo nel
suo Contributo alla
critica di me
stesso del 1915,
ripubbhcato in appendice
al volume Etica
e Politica). Nato
nel 1866 a
Pescasseroh, paese montano
degH Abruzzi, Vamhiente.
da una ricca
famiglia di proprietari
terrieri, trovò in
questa esempi di
severe virtii domestiche,
austera laboriosità del
padre nell'amministrazione del
suo patrimonio, cura
attenta e amorosa
della casa da
parte della madre,
la quale serbava
altresì amore per
i libri e
soprattutto per la
letteratura romantica di costume
medievale oltre che
per l'arte e
per gli antichi
monumenti, amore che
trasmise vivissimo fin
dai primi anni
d'infanzia al figlio,
il quale come
scrive si trovò
ad avere in
tutta la sua
fanciullezza « come
un cuore nel
cuore », e
questo cuore «
era la letteratura
o piuttosto la
storia» [ivi, p.
380). Ma mancava
in quell'ambiente familiare qualunque risonanza
di vita pubblica
e politica: il
persistente segreto attaccamento
ai Borboni, la
sorda diffidenza per le
idee e il
costume del nuovo
Stato « piemontese
», vietavano ogni
partecipazione attiva al
moto del Risorgimento e all'opera
di costruzione del
nuovo Stato nazionale.
E le relazioni
della famigha con
i due fratelli
Spaventa, cugini del padre,
si erano rotte:
l'ex-prete Bertrando, allora
professore di filosofia
all'Università di Roma,
era oggetto di
scandalo per la
sua apostasia; e
Silvio, esponente autorevole del liberalismo
trionfante, era sentito
come l'incarnazione di quel
mondo a cui i Croce
erano intimamente estranei
o avversi. Eguale
sordità alle esigenze
della nuova politica
e del nuovo
pensiero, il giovane
Croce trovò nel
collegio tenuto da
ecclesiastici a Napoli,
dove egli entrò
a circa io
anni e dove
compì i suoi
studi secondari, che
alimentarono le sue
inclinazioni
letterario-erudite,
specialmente sotto l'influenza
del De Sanctis
e del Carducci,
da lui letti
e riletti sui
banchi del liceo,
senza che tuttavia
riuscisse a sentire,
se non in
modo superficiale l'alta
ispirazione morale della
loro opera critica.
E si compì
in quegli anni
quella ch'egli chiama
« crisi rehgiosa
», determinata non
da profondo travaglio
o inquietudine interiore, ma
dal graduale spontaneo
spegnersi dell'adesione a credenze
da lui fino
allora passivamente accolte
e dall'abbandono delle
pratiche esteriori. Gli
studi. Al termine
degli studi secondari,
la sua vita
fu sconvolta da
una gravissima sciagura
familiare, la perdita
di entrambi /
casi della vita
277 i genitori
e dell'unica sorella
nel terremoto di
Casamicciola (nell'isola d'Ischia,
dove la famiglia
era a villeggiare),
ed egli stesso
rimase per molte
ore seppellito sotto
le macerie, uscendone
con le ossa
fracassate. Guarito daUe
ferite, avendo lo
zio Silvio Spaventa
assunto la tutela
dei due orfani
sopravvissuti, egli si trasferi
a Roma, in
casa del tutore,
e ci rimase
tre anni. In
questo periodo fece
due esperienze nuove,
che lasciarono tracce
durevoli nel suo
spirito: casa Spaventa
era frequentata da
gran numero di
parlamentari e giornalisti
ed esponenti deUa
cultura universitaria, tra
i quali si
accendevano vivacissime
discussioni sui fatti
del giorno e
sugh avvenimenti della
vita politica, discussioni
dominate da passioni e
contrasti così importanti
e violenti da
turbare l'animo del
giovanetto che vi
assisteva, trasformando l'indifferenza per
la politica, propria
degli ambienti in
cui fino allora
era vissuto, in
vera e propria
avversione. D'altra parte,
iscritto alla Facoltà
di Giurisprudenza, per
essere avviato alla
diplomazia, non trovò in
quegU studi nulla
che lo interessasse
e valesse a
placare le sue
ansie per la
vita avvenire, a
sollevare il suo spirito
dalla nera depressione
nella quale la
sciagura famihare lo aveva
lasciato (fu pessimo
scolaro, e non
giunse mai alla
laurea). Ma nella
Facoltà di Lettere
insegnava allora Filosofia Morale
un uomo di
grande ingegno e
di forti entusiasmi,
Antonio Labriola, ch'egU
aveva conosciuto e preso
ad ammirare nelle
conversazioni serali di
casa Spaventa. Il
giovane Croce si
diede a frequentare
le lezioni universitarie
del Labriola, e
ne fu preso.
« .... Quelle
lezioni scrive il
Croce nel suo
Contributo Labriola, [ivi,
p. 387) vennero
incontro inaspettatamente al
mio angoscioso bisogno
di rifarmi in
forma razionale una
fede sulla vita
e i suoi
fini e doveri,
avendo perso la
guida della dottrina
rehgiosa e sentendomi
nel tempo stesso
insidiato da teorie
materialistiche, sensistiche e
associazionistiche, circa le
quah non mi
facevo illusioni, scorgendovi
chiaramente la sostanziale
negazione della moraUtà
stessa, risoluta in
egoismo piìi o
meno larvato. L'etica
herbartiana del Labriola
valse a restaurare
nel mio animo
la maestà dell'ideale,
del 278 Cap.
XXXVI. L'idealismo storicistico
di B. Croce
dover essere contrapposto
all'essere, e misterioso
in quel suo
contrapporsi, ma perciò
stesso assoluto e
intransigente ». L'herbartismo del
Labriola suscitava in
Croce reverenza per
forme ideali eterne,
platonicamente scisse dal
reale e collocate
nell'empireo, fornenti nella
loro assolutezza un
solido fondamento alla
morale, e andava
incontro alla sua
istintiva avversione al
naturalism.o positivistico, che
sommergeva nell'esperienza e abbassava
a superstizione ogni
culto dell'ideale. Piiì
tardi il Croce
tornerà sull'herbartismo, e
porrà ogni suo
sforzo nell'intento di
colmare quell'abisso tra
ideale e reale,
attribuendo alle idee calate dall'empireo
nel mondo dell'esperienza il
valore di principii
direttivi o «
forme » dell'operare
umano, e riconoscendo
le esigenze più
profonde dell'aborrito positivismo.
Ma per il
momento l'herbartismo suscitava
in lui un
fermentare d'idee sul
rapporto tra dovere e
piacere, sulla distinzione
tra azioni ispirate
al rispetto della
pura idea morale
e quelle scaturite
da impulsi passionali.
Indagini eruTomato a
NapoH, dopo tre
anni di soggiorno
a Roma, «
lasciata la pohticante
società romana acre
di passioni »,
entrò « in
una società tutta
composta di bibliotecari,
archivisti, eruditi, curiosi »
[ivi, p. 388)
e a quella
società egli si
adeguò pienamente e
dall'86 al '92
fu com'egli dice « tutto
versato nell'esterno, cioè
nelle ricerche di
erudizione » {ivi,
p. 390). L'intensità
e la foga
di questo lavoro
d'indagini nei campi
angusti degli aneddoti
e curiosità, finì
col produrre in
lui « sazietà
» e «
disgusto » per
quelle « esercitazioni
esterne ». E
da questo scontento
credette di poter
uscire allargando l'orizzonte
delle sue ricerche
dall'ambito di vicende locali a
quello della vita
morale delle nazioni
nei loro reciproci
rapporti (ad esempio
i rapporti italo-spagnoH
nel Rinascimento). Ma di quello
scontento egli intuì
la più vera
e profonda ragione
nel fatto che,
mentre da tanti
anni faceva o credeva
di fare storia,
non sapeva che
cosa fosse la
storia, quale ne
fosse la natura:
e meditando su
questo problema, con
ampie letture (prendendo,
tra l'altro, un
primo contatto con
La scienza nuova
del Vico) s'accorse
che la dite
/ casi della
vita 279 soluzione
di esso impKcava
un radicale cangiamento
di prospettiva, uno spostamento
d'interesse da quello
che è l'oggetto del
conoscere storico, dai
fatti costituenti il
passato che s'intende
ricostruire, alla mente
dello storico che
è il soggetto
di quell'opera di
ricostruzione, per ricercare
in essa, nella
coscienza dell'uomo, i
tratti specifici di
quella forma di
conoscenza che è
la conoscenza storica
nelle sue connessioni
con le altre
forme di sapere
di cui l'uomo
è capace e
con l'operare pratico
costitutivo della vita
dell'uomo. Era, //
problema quello, un
problema di logica
della storia, concernente
cioè '^^"^ ^^'"'*^il concetto
della storia, era
dunque un problema
di filosofia, di
filosofia sulla storia.
Da queste meditazioni
nacque il saggio
del 1893, La
storia ridotta sotto
il concetto generale
dell'arte, « che
fu come dice
il Croce come
una rivelazione di
me a me
stesso,... come cosa
che mi stava
a cuore e mi usciva
dal cuore, e
non come una
più o meno
frivola e indifferente
scrittura di erudizione
». Quel saggio
suscitò un gran
fervore di polemiche
che tennero impegnato
il Croce per
vari mesi, e
lo indussero a
chiarire e sviluppare
il suo pensiero
in vari scritti,
raccolti poi nel
volume Primi saggi.
Ma quando, gettata
luce filosofica sul
lavoro storico, egH
credeva di poter
tornare a questo
riprendendo le sue
ricerche sui rapporti
tra ItaUa e
Spagna, una nuova
spinta improvvisa e irresistibile
lo ricacciò con
rinnovato fervore nelle
riflessioni sul problema
della storia e
fu un secondo
incontro col suo
vecchio maestro e
amico Antonio Labriola,
che, passato
dall'herbartismo al marxismo,
mise il suo
giovane amico a
parte dell'opera, a
cui egli si
era accinto, di
teorizzamento del socialismo
e della dottrina
del materiahsmo storico
che ne costituiva
l'ideologia. Il contatto
col marxismo ingenerò
nel Croce anche
un 11 marxismo.
appassionamento politico, la
fede sociaHstica nella
pahngenesi del genere
umano redento dal
lavoro, e nel
lavoro: ma fu
un appassionamento politico
passeggero, che quella
fede fu corrosa
dalla critica ch'egU
venne facendo dei
concetti del marxismo, in
una serie di
saggi, da lui
scritti tra il
1895 e il
1900, raccolti poi
nel volume del
'900 che porta
il titolo Materialismo
storico ed economia
marxistica. Ma «
del tumulto di
quegli anni mi
rimase come buon
frutto l'accresciuta esperienza dei problemi
umani e il
rinvigorito spirito filosofico
» {Primi Saggi,
Bari, 1951^, p.
396). Il Croce
si sente ormai
maturo per dare
una organica sistemazione
alle idee sulla
storia, scaturite primamente
dalle riflessioni sulla
connessione della storia con
l'arte e ampliatesi
poi e approfonditesi nell'esperienza marxistica.
Quest'organica sistemazione costituirà quella che
Croce chiamerà «
Filosofia dello Spirito
», che si
apre con l'Estetica
e si conclude
con la Teoria
e storia della
storiografia, occupando il
quindicennio che precede
la guerra mondiale.
Politica attiva. Dopo
la fine della
guerra Croce, senatore
dal 1910, entrò
a far parte
del gabinetto Giolitti
come ministro dell'Istruzione, e
progettò una riforma
scolastica che, tuttavia, non
ebbe il tempo
di far approvare
dalle Camere, per la caduta
del Ministero. Con
l'avvento del fascismo
non volle pili
accettare incarichi di
governo, ma lui
stesso indicò in
Gentile l'uomo che
avrebbe potuto portare
a termine la
riforma. Già in
questo momento, tuttavia,
i rapporti tra
i due filosofi
si andavano raffreddando
: sia per
ragioni teoriche (come
vedremo), accentuate ancora
dalle polemiche tra
i rispettivi discepoli,
sia per ragioni
politiche. Dopo il
delitto Matteotti, Croce,
che aveva in
un primo tempo
accettato il fascismo
come minor male,
mutò il suo
voto favorevole, «
prudente e patriottico
», in una
decisa opposizione. Cessò
quasi del tutto
di frequentare il
Senato, e pronunziò,
e mise per
scritto, severe condanne
del fascismo. Salvo,
tuttavia, un'invasione della
sua casa napoletana
da parte di
esagitati, che la
moglie Adele contribuì
a fermare, fu sempre
lasciato tranquillo, e alla rivista
che il Croce
aveva fondato nel
1903, « La
critica », fu
lasciata una libertà,
per quei tempi,
eccezionale. Questa voce d'opposizione, per
un verso, serviva
da aUbi culturale
al regime, ma
per un altro
servì a raccogliere
intorno al crocianesimo tutto
l'antifascismo rimasto nei
/ casi della
vita 281 confini
italiani. Caduto il
fascismo, tuttavia, non
riuscì al Croce
di trattenere se
non in minima
parte tale antifascismo nel quadro
e nello spirito
del ricostituito partito
liberale, di cui
Croce fu presidente.
Membro della Costituente
e ministro, Croce
concluse definitivamente la
sua vita politica nel
1948, per proseguire
senza soste i
suoi studi, fino
alla morte, avvenuta
il 20 novembre
1952. Lasciò parte
del suo palazzo
napoletano e la
ricchissima biblioteca all'Istituto
per gli studi
storici, da lui
fondato nel 1947,
con lo scopo
soprattutto di indirizzare
i giovani verso
quelle ricerche che
più aveva amate.
2. La storia
come arte e come scienza.
— Avendo l'occhio
alla futura costruzione
del sistema della
« Filosofia dello
Spirito », delineeremo
brevemente come preparazione
di essa le
idee principah contenute
così nella memoria
su La storia
ridotta sotto il
concetto generale dell'arte
e negh scritti
ad essa collegati,
come nella raccolta
dei saggi sul
Materialismo stanco.
Nell'attività intellettuale del
giovane Croce, la
ricerca La storia
tra storico-erudita e
quella storico-letteraria o
critica della poesia
erano costantemente affiancate
e spesso (come
ad esempio nell'esame
della poesia popolare
e delle leggende
locali) s'intrecciavano tra loro,
guidate, se non
dal concetto, dall'intravvedimento d'un'affinità
spirituale e d'una
comune radice spirituale
della storia e
dell'arte. Si capisce
quindi che, quando
nel 1893, nella
« Memoria »
con cui Croce
inizia la sua
attività filosofica, prese ad
esaminare di proposito
nei suoi termini
più generali il
problema della natura
della storia, egH
avesse presente quel
ravvicinamento della storia
all'arte, da lui
sperimentato negh anni
precedenti. E partendo
dal presupposto comunemente
accettato, anche se
non criticamente fondato che
vi siano due e non
più di due forme di
conoscenza, quella sopraccennata
dell'arte e quella
della scienza, il
problema deUa natura
della conoscenza storica assumeva la
forma del problema
se la storia
rientrasse nell'ambito dell'arte
o in quello
della scienza, e
si risolveva arte
e scienza. con la
tesi che la
storia non si
identificasse senz'altro con
l'arte, ma fosse
riducibile sotto il
concetto generale dell'arte,
come suona il
titolo della «
Memoria ». Occorre
dunque innanzi tutto
precisare i caratteri
che differenziano l'arte
dalla scienza. E
in questa precisazione
si conclude che
la scienza è
elaborazione della realtà
in forma concettuale,
per cui il
particolare è inteso
in quanto riportato all'universale; l'arte
invece è elaborazione
della realtà in
forma rappresentativa, è
conoscenza immediata o
intuitiva dell'individuale. Vero
è che il
Croce, all'inizio della
sua «Memoria», esaminando le
varie definizioni dell'arte
date dagli studiosi,
ritiene come sola
definizione accettabile quella
che gH storici
dell'Estetica attribuiscono ad
Hegel, secondo la
quale l'arte è
manifestazione sensibile o
espressione di qualcosa
che per Hegel
è l'idea. Sembra
che con ciò
il Croce enunci
un concetto dell'arte,
nuovo rispetto a
quello dell'arte come
conoscenza dell'individuale. Ma
in effetti il
Croce non dà
al concetto di
espressione alcun rilievo
particolare in questo
senso, e in
ogni caso non sarebbe pertinente
al problema ch'egH
discute, concernente la
natura artistica della
storia: per questo
problema il concetto di
arte-espressione è irrilevante,
mentre si accentua
a questo scopo
il concetto di
arte come conoscenza
rappresentativa, non concettuale.
La storia come
Da quauto SÌ
è detto sui
caratteri differenziali tra
scienza e arte,
risulta che la
storia non è
scienza, appunto perchè
non elabora concetti,
ma espone fatti
nella loro concretezza
individuale. Vero è
che da varie
parti si è
tentato di considerare la storia
come elaborazione di
concetti. Da parte
del positivismo la
storia è presentata
come scienza dello
svolgimento degli uomini nella
loro attività di
esseri sociali, identificandola con la sociologia,
che « convertiva
l'idea della vita
storica nella monotona
ripetizione di alcuni
schemi poHtici, sociali
e variamente istituzionah,
e nell'azione di
alcune leggi generali
», e con
tale conversione si
menava vanto d' innalzare
1' « ingenua
' storia degli
storici ' »
a «scienza positiva
e naturale» {ivi,
p. x). E
d'altra parte, arte
La storia come
arte e come
scienza 283 nel
tempo stesso il
positivismo abbassava l'arte
a « piacere
dei sensi, piacere
di associazioni psichiche,
piacere di abitudini e
disposizioni ereditarie non
diverso da quello
dell'utile » e «
non mancavano coloro
che la riportavano
addirittura all'istinto
sessuale o alla
preistoria animalesca e
la descrivevano come
una sorta di
Hbidine affinata e
svaporata » {ivi,
p. ix). Contro
tali deformazioni del
concetto di storia,
miranti Polemiche canai caratterizzare la
storia come scienza
o elaborazione con^^0
le pseudostorte. cettuale,
il Croce assume
un atteggiamento risolutamente polemico.
Per quel che
riguarda il positivismo,
come contro il
sensismo che considera
l'arte torbida e
oscura vibrazione del
piacere e dell'utile,
il Croce riaffermava
che l'arte è conoscenza,
così contro il
sociologismo affermava che
la storia non
è conoscenza di
ritmi generali della
vita sociale, ma
è, al pari
dell'arte, conoscenza di
fatti individuah; e agli evoluzionisti osservava che
la storia non è scienza
dello svolgimento, non determina
che cosa lo
svolgimento è (compito,
questo, della filosofia
indagatrice dei concetti
che sono i
principii dell'essere) ; la storia
espone i fatti
dello svolgimento umano
{ivi, pp. 17-18).
E con argomenti
analoghi criticava la
filosofia della storia.
Che la realtà
storica sia attingibile
all'esperienza e sia
specificamente realtà umana,
è concetto che
si collega a
un ordine di
considerazioni con cui
il Croce fa
un nuovo passo
avanti sulla questione
della natura della
storia. Si, la
storia s'è visto è riducibile
sotto il concetto
generale dell'arte, in
quanto questa è
conoscenza rappresentativa della
realtà, intuizione immediata
e irriflessa dell'individuale nella
sua concretezza. Ma
non per questo
la storia s'identifica
con l'arte: entro
l'ambito della produzione
estetica la storia
occupa un suo
posto speciale che
si tratta di
definire. « La
storia, rispetto alle
altre produzioni dell'arte,
si occupa (....)
non di ciò
ch'è possibile, ma
di ciò ch'è
realmente accaduto. E sta
al complesso della
produzione dell'arte come la
parte al tutto;
. Ora, nel
senso corrente della parola,
si chiama arte
solo quell'attività, ch'è
diretta a rappresentare
il possibile (piìi
propriamente l'arte in
senso stretto è
indifferente alla distinzione
tra possibile e
reale). (....) In
fondo, anche la
rappresentazione del realmente
accaduto la storia è
processo essenzialmente artistico
ed offre interesse
simile a quello
dell'arte. Costruire la
Prima Condizione per
avere una storia
vera (e insieme
narrazione. opera d'arte)
è secondo il
Croce che sia
possibile « costruire
una narrazione »,
cioè appurare la
materia da esporre
con lavori preparatore
di ricerca critica
e interpretazione dei
documenti, i quali
tuttavia solo di
rado consentono una
« narrazione »
completa, ostacolata dal
sorgere continuo di
dubbi e riserve
e discussioni [ivi,
p. 38). Ma a questo
punto il problema
della natura della
storia cambia radicalmente
d'aspetto e presenta
gravi difficoltà: è
conciliabile l'antico concetto
di storia-arte col
nuovo di storia-narrazione? Si può ancora
mantenere la tesi
che la storia
sia rappresentazione immediata
e irriflessa e
intuitiva, escludente qualsiasi
elaborazione concettuale, quando
si afferma che la
storia-narrazione ha il
compito di ridurre
i fatti alle
loro cause, e
questo compito implica
un complesso e
faticoso lavoro di
preparazione che, per
giunta, solo di
rado porta allo
scopo? Non occorre
forse rinunziare a
quella che era
la tesi fondamentale
della « Memoria
», che la
storia dovendo essere
ricondotta sotto il
concetto dell'arte, resta
esclusa dall'ambito della
Scienza? Questi interrogativi
si fanno sempre
piìi assillanti, via
via che procediamo
nell'esame di considerazioni espHcative
che il Croce
fa negli scrittarelli
da lui pubblicati
nei due anni
successivi, e particolarmente in
quelli su La
filosofia della storia
e in quelli
Sulla classificazione dello
scibile: considerazioni le quali,
pur con oscillazioni
derivanti dall'attaccamento
alla vecchia tesi
della storia-arte, accentuano
il carattere scientifico
del nuovo concetto
di storia-narrazione. Distinzione
tra Del resto è Opportuno
sottolineare il Croce
stesso possibile e
reale. ^Iq^^ìì anni
dopo, quando aveva
già percorso un
lungo itinerario speculativo fino
al punto di
giungere alla sua
tesi La storia
come arte e
come scienza 285
fondamentale della identità
della storia con
la filosofia quale
scienza dei concetti
puri, raccogliendo nel
volume Primi saggi
gli scritti giovanili
sopra esaminati (la
prima edizione della
raccolta è del
1919), scrive nella
prefazione ad esso,
che quando componeva
quegli scritti, «non
scorgeva (....) il
nuovo problema che
la concezione della
storia come rappresentazione estetica del
reale, gli poneva
innanzi: ossia, che
una rappresentazione, nella
quale il reale
è dialetticamente distinto
dal possibile, è più che
semplice rappresentazione ed
estetica intuizione, e
si attua proprio
per virtù del
concetto » {ivi, p. xi)
, filosoficamente inteso
come unità di universale e
individuale. 3. Il
problema della storia
negli studi marxistici.
— Dal travaglio
di pensiero che
si esprimeva negli
scritti crociani apparsi tra
il 1893 e il '95,
afiìorava sempre più
chiaro il convincimento
che la storia,
pur rimanendo saldata
all'arte nelle sue
radici, in quanto
conoscenza rappresentativa, a-concettuale
del reale nella
sua concreta individualità, implichi altresì in
quanto « narrazione
» di fatti
realmente accaduti un'elaborazione dei
dati per la
quale i fatti
siano ricondotti alle
loro cause, in
una concezione generale
della natura dell'uomo
autore della storia
tanto come individuo quanto come
essere sociale: e in questa
elaborazione la storia
si accosta alla
scienza. Siffatto convincimento, che
negli scritti sopra
accennati volti alla
dimostrazione della riducibilità
della storia sotto
il concetto generale
dell'arte appare vacillante
e marginale, si
consoUda e si
pone al centro
della riflessione speculativa
del Croce, quando,
attraverso i suoi
rapporti col Labriola,
gli si venne
scoprendo un mondo
nuovo, a lui
fino allora del
tutto ignoto, raffigurato
nella dottrina marxistica
del materiaUsmo storico,
di cui il
Labriola si era
rivelato autorevolissimo
interprete in saggi
pubblicati a cura
dello stesso Croce.
« Intanto io scrisse il
Croce molti anni
più tardi -,
Lo studio di
infiammato dalla lettura
deUe pagine del
Labriola, preso dal
sentimento di una
rivelazione che si
apriva al mio
spirito Marx. ansioso, ....
mi cacciai tutto
nello studio del
Marx e degli
economisti e dei
comunisti moderni e
antichi, studio che
dovevo proseguire intensamente,
per oltre due
anni » [Materialismo storico ed
economia marxistica, Bari,
1961^", Appendice, p. 282).
Frutto di questo
studio fu una
serie di saggi
usciti tra il
1896, e il
'900, raccolti in
quest'ultimo anno nel
volume dal titolo
Materialismo storico ed
economia marxistica. Ed
è opportuno sottolineare
subito il punto
di vista dal
quale per esplicita
dichiarazione egli si
proponeva di esaminare
la dottrina marxistica:
questa gli importava
soprattutto « al
fine di quel
che se ne
potesse o no
trarre per concepire
in modo piti
vivo e pieno
la filosofia e
intendere meglio la
storia » [ivi,
Appendice, p. 302)
; il che
significava che, nell'interpretazione del marxismo,
nello sforzo di
liberarne il «
nocciolo sano »
dalle sovrapposizioni accidentali
introdottevi dallo stesso autore
e dalle incaute
deduzioni della scuola,
erano presenti al
Croce gli stessi
problemi attorno a
cui egli si
travagliava fin dal
periodo precedente, e
cioè la natura
gnoseologica della storia
e la determinazione del
posto che essa
occupa nel quadro
generale della vita
spirituale, che è compito
della filosofia delineare.
Era un allargamento d'orizzonte e
un arricchimento di
materiale idoneo all'avviamento a
soluzione, ma in
una continuità di problematica. Il
materialismo storico presenta
due aspetti, che
il Croce nettamente
distingue pur riconoscendo
che nella dottrina
sono strettamente connessi.
// materialismo Per
un lato, esso
vuol essere una
teoria scientifica, che
storico. mette in
luce la struttura
del divenire storico.
Sostrato della storia
è l'economia, cioè
quel sistema nei
rapporti tra l'uomo
e le cose
della natura e
tra l'uomo e
l'uomo, che si
concreta nel lavoro,
produttivo per un
lato di beni
materiali, il cui
valore, s'identifica e
si commisura con
la quantità di
lavoro necessario a
produrli, e per
l'altro lato di
socialità e divisione
di classi in
un giuoco d'interessi
contrastanti. Di questa
Il problema della
storia negli studi
marxistici 287 struttura
reale della storia
sono eco o
riflesso (sovrastrutture)
quelle manifestazioni della
vita umana che
si chiamano moralità
e rehgione, diritto
e politica, arte
e scienza o filosofia,
sistemi d'idee (ideologie)
attraverso i quaU
l'uomo acquista coscienza
del suo proprio
essere economico e del divenire
di esso nella
storia. Per l'altro
lato, il materialismo
storico è un
programma // programma
pratico-politico, che, appoggiandosi
sulla previsione dell'avP^^'^'^^o'^^^arx. venire
umano resa possibile
dalla teoria, assegna
all'azione degli uomini
una direttiva rivoluzionaria, tendente
cioè non più
a comprendere ma
a cangiare la
realtà storica, verso
uno sbocco finale
nel quale il
dram.ma della storia
abbia il suo
scioglimento (rivoluzione comunista).
La necessità immanente al
divenire storico ha
portato, nell'età moderna,
alla strutturazione della
società sulla base
dell'economia capitalistica, caratterizzata dalla
formazione di due
classi in reciproca
lotta radicale: l'una
è quella dei
detentori di tutti
gli strumenti di
produzione, minoranza privilegiata
sempre pili ristretta,
classe dominante; l'altra
è la massa
di coloro, che,
per vivere, dispongono
soltanto del lavoro
delle proprie braccia
che, in regime
di sfrenata concorrenza,
essi sono costretti
a vendere ai
dominatori a condizioni
sempre più esose.
La ripartizione della
ricchezza prodotta si
traduce in un
sistema di implacabile
sfruttamento dei lavoratori
da parte dei
datori di lavoro.
Quando lo sfruttamento
avrà raggiunto il
suo culmine, non
potrà non determinarsi
l'insorgere degli sfruttati contro
gli sfruttatori, non
potrà non determinarsi
l'urto violento fra
le due classi,
la rivoluzione che
spezzerà l'involucro capitalistico
e porterà all'espropriazione degli espropriatori. I
capitalisti abbandoneranno allora
alle masse gli
strumenti di produzione
di cui si
sono impossessati. Lo
Stato diventerà così
l'unico imprenditore e
datore di lavoro.
E con l'abolizione
della proprietà privata
cesserà anche la
divisione della società
in classi. A
conclusione delle lunghe
ricerche e meditazioni su
questo mondo di
pensiero rivelatogli dal
Labriola, Croce 20.
— Lamanna. storia
della filosofia. VH.
ima espresse sul materialismo
storico il suo
giudizio che ulteriormente sarà sviluppato
e articolato, ma non mutato
nella sua sostanza
in due saggi,
uno del 1896,
intitolato Sulla forma
scientifica del materialismo
storico, e l'altro
del 1897, intitolato
Per la interpretazione e
la critica di
alcuni concetti del
marxismo (nel voi.
cit. Materialismo storico
a pp. 1-2 1
e 57-114 rispettivamente). Critica
del conE innanzitutto
affronta la tesi
che è al
centro della dot!!!■?
'^^ ^'^"Motrina, secondo
la quale sostrato
o struttura sottostante
della Storia, sorreggente
tutto il resto
e principio di
spiegazione, è l'Economia. In
questa tesi egli
rileva un'ambiguità fondamentale.
Per un verso
l'Economia è presentata
come una entità
trascendente la storia,
materia, in quanto
negazione della spiritualità o
coscienza umana, «
dea ascosa »
della storia, quella
che tira i
fili dei personaggi
e delle loro
azioni, con un
disegno preordinato, implicante
uno stadio terminale
e apocahttico, che
segna il passaggio
fatale dalla servitù
al regno della
libertà; forma o
nome nuovo dell'antico Dio dei
teologi o dell'Assoluto
e dell'Idea dei
metafisici. Ne deriva la
conseguenza deUa tendenza
metodologica a costruire
la storia secondo
leggi a priori,
mettendo a tacere la
voce genuina dei
fatti; ne deriva
altresì una scissione, nella vita
storica, tra realtà
e apparenza, noumeno
e fenomeno, tra
essere originario (materiale)
non determinato dalla
coscienza e coscienza
determinata dell'essere, tra
struttura (economica) e soprastrutture (ideologiche). Per
l'altro verso: il
materialismo storico è
una prospettiva di
umanizzazione dell'economia,
in quanto questa
non è che
un momento o aspetto
dell'operosità umana, unica
autrice della storia
-, inserita quindi
in un processo
(immanente a un
processo) di vita
cosciente o spirituale,
che la salda
a tutte le
altre manifestazioni egualmente
originarie, della coscienza.
La dialettica dell'economia
non è l'astratta
dialettica dell'Idea, ma la
dialettica dei bisogni
ossia dell'effettiva operosità umana, quale
si concreta e si svolge
non in forme
meccanicamente preordinate e
prevedibili a priori,
ma in fatti
empiricamente accertabili; la
storia è concepita
come // problema
della storia negli
studi marxistici 289
un unico tutto,
in cui è
indistinguibile il «
nocciolo » dalla
« corteccia »
; lo spirito,
creatore della propria
storia, non è
lo spirito economico,
cioè in una
forma particolare e
astratta, ma è
lo spirito nella
sua reale unità
e totalità; si
scioglie quindi il
nesso arbitrario fra
storia e problema
socialista e in
genere economico, e
si annoda quello
tra storia e
vita, concependosi la
vita nella totalità
delle sue forme,
a ogni momento
nuova, e perciò
anche come economia,
ma non solo
come economia. Questi
due ordini di
motivi sono frammisti
e confusi. Filosofia
delia cosi nell'esposizione dei
due fondatori della
dottrina (Marx ^smrcHHcoT^'
e Engels) come
nei seguaci della
scuola. Per Croce
si tratta di
due orientamenti opposti,
termini d'un'alternativa che
impone una scelta
: o la
via vecchia delle
filosofìe della storia,
teologiche o metafìsiche
che siano, o la via
nuova d'un umanismo critico e
« realistico ».
Abbiamo veduto che
il Croce, anche
prima di prender
contatto col marxismo,
aveva preso un
atteggiamento di netta
opposizione ad ogni
forma di filosofìa
della storia; si
comprende quindi come,
di fronte al
materialismo storico, egli
ribadisca il concetto
che la reazione filosofica dello
spirito critico ha
colpito a morte
e gettato a teiTa
quelle costruzioni della
storia, fantasiose e
arbitrarie e anche
tendenziose; e affermi
risolutamente, per far
valere quegli elementi
in esso contenuti
che costituiscono un
contributo positivo e
fecondo al rinnovamento
della storiografìa e della
filosofìa, che il
materialismo storico «
non è una
filosofìa della storia
» {Materialismo storico,
p. 9 ;
e cfr., per
la distinzione dei
due opposti orientamenti
del materialismo, l'opera di
Croce, Storia della
storiografia italiana nel
secolo XIX, Bari,
Laterza, 1964*, voi.
II, p. 123
e sgg.). Per
quali ragioni il
materialismo storico non ha validità
come filosofìa della
storia? E per
quali ragioni gli
autori e gli
interpreti di esso
gli hanno dato
questo orientamento fallace?
Alla prima domanda
il Croce risponde:
la possibilità d'una
filosofìa della storia
presuppone la possibilità
di una risoluzione
concettuale del corso
della storia, ossia,
di ritrovare il concetto
al quale si
riducono i complessi
fatti storici, di scoprire
in una parola
la legge della
storia. Ora mentre
è possibile ridurre
concettualmente gli elementi
di realtà che
appaiono nella storia
(moralità, diritto, economia,
arte, scienza) e
anche le loro
relazioni reciproche, «
non è possibile
elaborare concettualmente il
complesso individuato di
questi elementi, ossia
il fatto concreto,
che è il
corso storico » {Materialismo
storico, p. 3).
«La società è
un dato scrive
il Labriola, e
il Croce vi
aderisce -, e
la storia non
è che storia
della società ».
Il materialismo storico
non è una
teoria rigorosa. Li
conclusione, per il
Croce nel materialismo
storico non bisogna
cercare una teoria
da prendere in
senso rigoroso e anzi
esso non è
punto quel che
si dice propriamente
una teoria. Il
che non significa
disconoscimento del valore
delle feconde scoperte
che sono dovute
al materialismo storico
per intendere la
vita e la
storia, l'affermazione della
reciproca dipendenza di
tutte le parti
della vita, e
della genesi di esse
dal sottosuolo economico:
sicché è accettabile
l'affermazione dell'Engels che
le condizioni economiche
« formano il filo
rosso che attraversa
tutta la storia
e ne guida
l'intendimento» {ivi, p.
14). Rispetto alla
storiografia, «il materialismo
storico si risolve....
in un ammonimento
a tener presenti
le osservazioni fatte
da esso come
nuovo sussidio a
intendere la storia»
{ivi, p. 15),
fornisce allo storico
un buon paio
di occhiali, che
permette al miope
di vedere ben
altrimenti e di
dare contorni precisi
a tante ombre
incerte; ma sono
formule non assolute,
che sottintendono sempre
un « presso
a poco »
e un «
all'incirca ». Esso
sorge dal bisogno
di rendersi conto
di una determinata
configurazione sociale, quella
scaturita dalla Rivoluzione
francese, non già
dal proposito di
ricercare i fattori
della vita storica
in generale, «
e si formò
nella testa di
politici e di
rivoluzionari e non
già di freddi
e compassati scienziati
di biblioteca »
{ivi, p. 13).
Pel Croce, Marx era personalità
di uomo pratico
e rivoluzionario, impaziente di
ricerche schiettamente storiche,
preoccupato soprattutto di
cercare nelle anahsi
della società ti
co. Il problema
della storia negli
studi marxistici attuale (capitalistica) le
premesse per una
società futura (comunistica)
da realizzare con
un'azione rivoluzionaria, a cui una
teleologia storica, determinata
a priori, assicurasse
con una infallibile
previsione dell'avvenire il
pieno successo. Per
lui tra la
comprensione della realtà
storica e l'azione
Prevalere deivolta, a
cangiare questa realtà
v'è connessione, ma
non ^'^«'^'•'^sse pf^nel
senso che l'una
costituisca il prius
che condiziona l'altra,
bensì nel senso
che sia l'azione
a crearsi quella
forma di comprensione
che si presti
a fungere da
strumento per lo
scopo che essa
persegue. Un tal
predominio dell'interesse pratico-politico su
quello teorico-scientifico il
Croce rileva anche
nel Labriola, che
pure, nella sua
interpretazione del marxismo,
aveva dato un
riUevo all'aspetto umanistico
di esso, tale
che alla sua posizione si
era inizialmente appoggiato il
Croce nella sua
critica del marxismo
quale filosofìa della
storia. Egli, che
pure ha così
alto il rispetto
della storia ed
è così cauto
di fronte ai
fatti concreti, rimane
impigliato nelle formule
teoriche del materialismo
storico, non riesce
a liberarsi del
tutto dal fardello
delle teorie metafìsiche.
In lui, che
pure era uomo
di scienza, predominava
la fede nell'immancabile avvento
del comunismo, e
questa fede era
sostenuta e illuminata
dalla « Weltanschauung »
metafìsica del materialismo
storico, « ultima
e definitiva filosofìa
della storia ».
Sicché per lui
la posizione del
Croce che, preso
da tenace passione
scientifica, accettava, sia
pure con limitazioni e
riserve, 1' «
economismo » marxistico,
ma rifiutava recisamente il «
socialismo » significava
rinuncia ad intendere
sia l'uno che
l'altro dei due
termini; era posizione
d' «intellettuale » indifferente
alle lotte della
vita, di «
epicureo contemplante » amatore
solo dei dibattiti
delle idee nei
Hbri {ivi, p.
300 e sgg.).
Contro una tale
connessione o anzi
identificazione, operata dal
Labriola, tra interpretazione materialistica della
storia e sociaHsmo,
il Croce scrive
: « Spogliato
il materialismo storico di
ogni sopravvivenza di
finalità e di
disegni provvidenziali, esso non
può dare appoggio
né al socialismo
né a qualsiasi
altro indirizzo pratico
della vita. Solamente
nelle sue determinazioni storiche
particolari, nella osservazione
che per mezzo
di esso sarà
possibile fare, si
potrà eventualmente trovare un
legame tra materiahsmo
storico e socialismo. L'osservazione sarà,
per esempio, la
seguente: la società
è ora così
conformata che la
più adatta soluzione,
che contiene in
sé, è il
socialismo. Osservazione la
quale, per altro,
non potrà diventare
azione e fatto
senza una serie
di complementi, che
sono motivi di
interesse economico non
meno che etici
e sentimentali, giudizi
morali ed entusiasmi
di fede. Per
sé stessa, è
fredda e impotente....
» {ivi, p.
17). Il rapporto
tra È qui
adombrato il problema
del rapporto tra
conoscere conoscere e agi^^ agire,
che sarà d'ora
innanzi costantemente presente
alla speculazione crociana
e avrà la
sua più articolata
e ragionata formulazione
nell'opera della tarda
maturità che porta
appunto il titolo
di La storia
come pensiero e
come azione. La
critica crociana del
materialismo storico quale
teoria dell'interpretazione della
storia ha mirato
finora a liberare
quella dottrina da
ogni concetto aprioristico
sia che si
trattasse di eredità hegeliana,
sia che si
trattasse di contagio
di « volgare
evoluzionismo », sia
che fosse richiesto
dalla preoccupazione di
dare fondamento saldo
alle previsioni dell'avvenire
contenute nel programma
d'azione praticopolitico proprio
del socialismo. Compiuta
quest'opera negativa, si ripropone
la questione da cui essa
ha preso le
mosse: si salva
dalla critica qualcosa
per cui il
materialismo storico possa
essere utilizzato dalla
storiografia? Che cosa
può farsi di
esso per un
compiuto intendimento della
storia? E si
risponde: il materiahsmo
storico è accettabile
solo come canone
d'interpretazione storica, che « consiglia
di rivolgere l'attenzione
al cosiddetto sostrato
economico delle società,
per intendere meglio
le loro configurazioni e
vicende » :
canone che « non importa
nessuna anticipazione di
risultati, ma solamente
un aiuto a
cercarli, e che
é di uso
affatto em.pirico »
[ivi, pp. 80-81).
Il materialismo storico
non può essere
che questo: «una
somma di nuovi
dati, di nuove
esperienze, che entrano
nella coscienza dello
storico » [ivi,
p. io). Il
problema della storia
negli studi marxistici
In questa formula
crociana perchè se
ne intenda il significato
e la
portata è da
sottolineare il rilievo
che in essa
è dato al carattere d'interiorità, alla
coscienza dello storico,
del nuovo canone
d'interpretazione. Non si
tratta di accrescimento
quantitativo del materiale
elaborato dallo storico,
di aggiunta di
fatti nuovi a
quelli già considerati
dall'antica storiografia nella
loro esteriorità, e
presunta oggettività ;
si tratta invece
di dare alla
coscienza storiografica una
dimensione nuova, di
arricchire con nuovi
elementi l'interesse vivo
dello storico, per
penetrare nel passato,
e comprenderlo in
una sempre più
articolata connessione dei
fatti; opera quindi
della mente dello
storico. Ecco in
che senso il
Croce ha utihzzato
il materialismo 11
posto dei penstorico
ai fini della
soluzione dei problemi
su cui la
sua spe^'^^^o logico
nei \ la storiografia. culazione
si travagliava anche
prima di entrare
a contatto con
la nuova dottrina.
Ricordiamo che questi
problemi si accentravano
nello sforzo di
determinare la natura
della storia e
la sua riducibilità
sotto il concetto
dell'arte. In questo
sforzo si affermava
sempre più chiara
l'esigenza d'integrare e
conciliare, nella storia,
con l'elaborazione intuitiva
dei fatti per
la quale s'identificava con
l'arte, un'elaborazione concettuale
che la ravvicinava
alla scienza. Ora
l'esame critico del
materialismo storico, che
scopriva nell'economismo della
vita sociale un
nuovo canone d'interpretazione storica, rafforzava
la convinzione della
necessità di avvicinare la
storia aUa scienza.
Il nuovo canone
d'interpretazione, per un
lato, apre un
campo di nuove
esperienze, « che
sono interne alla
coscienza dello storico
», e quindi
non hanno consistenza
che nell'attività spirituale
esercitata dallo storico
sui dati grezzi,
attività per la
quale dalla materialità
dei frammenti di
realtà storica offerta
dai documenti nascono
a poco a
poco intuizioni di
persone e situazioni
e avvenimenti sempre
meglio definite, affini
alle forme create
dalla fantasia dell'
artista ; ma,
per l' altro verso,
impone una connessione
mentale dei fatti,
costituita dai rapporti
concettuali che la
scienza economica fissa
nella valore. realtà storica.
E il socialismo
marxistico ha la
pretesa di essere
socialismo scientifico appunto
perchè fondato sulle
leggi dell'economia quale
scienza rigorosa. Valore
e plusMa era
veramente giustificata la
pretesa dell'economia marxistica
di essere assunta
alla dignità di
scienza autonoma? Ed erano
validi i concetti
di valore e
plus-valore, posti al
centro dell'economia marxistica,
come pernio della
teoria cosi del
materialismo storico come
della ideologia socialistica?
È questo il
nuovo campo nel
quale si esercitò
largamente la critica
crociana della dottrina
di Marx. La
critica del materialismo
storico come teoria
(paneconomica) della storia
si concludeva con
l'affermazione che essa
non è affatto
teoria, ma in
sostanza corollario d'un
programma pratico-politico (il
programma del socialismo),
e ai fini
della storiografia non
poteva essere utilizzato
che come un
nuovo canone d'interpretazione dei
fatti storici. Analogamente,
l'economia marxistica, che
pretende essere la
trattazione eminentemente scientifica
dei fatti economici e
della nozione di
valore inerente ai
beni prodotti da
una società, non
è affatto scienza
economica, perchè non
abbraccia tutta la
regione dell'attività economica
quale si svolge
in qualunque forma
reale o possibile
di convivenza sociale
né si eleva
a un concetto
di valore applicabile
a tutti i
beni comunque prodotti.
Essa costruisce astrattamente
una società ipotetica,
che assume come
società tipo, alla
quale devono essere
conguagliate altre forme
di società per
coglierne i fattori
anomali, in quanto
divergenti dalla prima:
e questa società
tipica è quella
costituita esclusivamente di lavoratori,
è questa società
proletaria, che rappresenta il termine
ideale del programma
politico del socialismo.
È l'intrusione di
queste preoccupazioni sociali-pohtiche nel
campo economico ciò
che vizia i
concetti fondamentali di
esso valore e
sopravalore -, e
impone di contrapporre
all'economia marxistica un'economia
pura, ossia un'economia come scienza
generale [ivi, p. 57 e
sgg.). La tesi
centrale dell'economia marxistica
è l'eguaglianza del
valore dei beni
che si producono
alla quantità del
lavoro // problema
della storia negli
studi marxistici 295
necessario per produrli
: ma essa
ha il suo fondamento appunto
nell'ipotesi di una
società fatta esclusivamente di
lavoratori e nell'assunzione di
questa società a
società tipica (e
quindi del valore-lavoro
come misura di
ogni valore). Ma
nella realtà (ad
es., nell'attuale società
capitalistica) i lavoratori
rappresentano solo una
frazione della società
produttiva che agisce
tra altre categorie
economiche, quelle appunto
che apportano alla
produzione non il
lavoro ma il capitale. Da
queste considerazioni, tuttavia,
non risulta, secondo
n valore-lavoro. il
Croce, che la
concezione marxistica manchi
affatto di rispondenza ai fatti:
la determinazione del
valore-lavoro avrà una
certa rispondenza nei
fatti, sempre che
esisterà una società
che produca beni
per mezzo del
lavoro. E la
storia ci mostra
finora soltanto società
di tal fatta,
e quindi l'eguaglianza affermata dal
Marx del valore
col lavoro è
un fatto: ma,
sottolinea il Croce,
« è un
fatto, che vive
tra altri fatti,
ossia un fatto
che empiricamente ci
appare contrastato, sminuito,
svisato da altri
fatti, quasi una
forza tra le
forze, la quale
dia risultante diversa
da quella che
darebbe se le
altre forze cessassero
di operare. Non è un
fatto dominante assoluto,
ma non è
nemmeno un fatto
inesistente e semplicemente immaginario» {ivi,
pp. 68-69). La
critica del Croce
all'economia marxistica si
riassume in queste
due proposizioni, che
essa non è
la scienza economica generale, e
che il valore-lavoro
non è il
concetto generale di
valore. Onde la
conclusione che, «
accanto alla ricerca
marxistica può, anzi
deve vivere e
prosperare una scienza
economica generale »,
una economJa pura,
che deduca il
concetto di valore
« da principii
affatto diversi e più comprensivi di quelli
particolari del Marx » (ivi,
p. 73). E
ritiene che questa
esigenza sia soddisfatta
dalla scuola edonistica
(o austriaca), allora
fiorente, la quale,
muovendo dalla natura economica dell'uomo,
ne deduce il
concetto di utilità
(«ofelimità» del Pareto),
«e man mano
tutte le (....)
leggi secondo le
quali si governa
l'uomo in quanto
astratto homo oeconomicus
» {ivi, p.
78). r «
homo oeco nomicus
». Critiche all'ecoSembra dunque
che l'obiettivo cui
mira il Croce
nella nomia pura.
g^g^ critica dell'economia
marxistica sia la
difesa della scienza
economica pura quale
la scuola edonistica
la veniva costruendo. Ma in
essa era operante
un motivo profondo,
che nel corso
dei suoi studi
marxistici emerge sempre
più chiaro e
netto, essenziale al
pensiero crociano, e
valido in esso
anche al di
là dell'obiettivo della
costruzione della scienza
economica. Questo motivo viene
esplicitamente enunciato in
uno scritto del
1899 in cui
la sua adesione
all'economia pura è
limitata e corretta
con qualche riserva
e cautela. « .... Io
credo egli scrive
che ci sia
ancora da elaborare
filosoficamente il concetto di
valore, e che
bisogni percorrere fino
al fondo quella
strada, che gli
economisti puri hanno
percorso solo fino a
un certo punto
». L'attività delElaborazione filosofica
del concetto di
valore economico, ecco
la nuova istanza
posta dal Croce;
che significa esaminare quell'umana attività
che tende al
conseguimento col minimo
mezzo e il
massimo risultato di
scopi individuali, non
pili astratta considerazione àeW'homo
oeconomicus , ma come
inserita nella concreta
totalità della vita
dell'uomo, con un
suo posto specifico
e una sua
funzione ben definita
rispetto alle altre
attività dell'uomo, con
un suo principio
autonomo, che potesse
essere assunto come
fondamento e premessa
della scienza economica
pura. Risalire dalla
scienza alla filosofia
per ridiscendere deduttivamente dalle
conclusioni di questa
a una rinnovata
e piìi salda
costruzione di quella,
significava poiTe in
questione e problematizzare quelle
che per gli
economisti erano le
premesse o i
postulati dei loro
procedimenti. Quali erano
queste premesse che
gli economisti accoglievano come pacifiche,
e che invece
a un ulteriore
esame (elaborazione
filosofica) risultavano ambigue
o false ?
Il Croce, che
vedeva in Vilfredo
Pareto un rappresentante tipico
dell'economia pura, gli
prospetta in due
lettere del 1900
la questione, sforzandosi
di convincerlo della
necessità del passaggio
dalla pura scienza
alla filosofia del
principio economico [ivi, pp.
229-251). Tre sono
le erronee premesse
del // problema
della storia negli
studi marxistici l'economia pura,
ch'egli critica: quelle
che riguardano il
fatto economico o
come meccanico, o
come edonistico, o
come egoistico. Per
Croce, il principio
economico non può
avere natura meccanica:
il fatto meccanico
è un fatto
bruto: il fatto
economico è un
fatto di valutazione,
è una scelta
suscettibile di approvazione
o disapprovazione, a
seconda che la
scelta cada o
no su ciò
che è realmente
conveniente a chi
la compie. Quanto
alla concezione edonistica,
è fuori dubbio
che ogni atto
di scelta economica
ha come suo
concomitante un fatto di
sentimento piacevole se
la scelta è
economicamente ben condotta:
l'utile è, insieme,
piacevole. Ma non
è vera la reciproca: il
piacevole non è
l'utile (che è
la tesi dell'edonismo). Il
piacere può apparire
scompagnato dall'attività umana
o accompagnarsi a
una forma di
umana attività che
non sia l'economica.
Infine la concezione
egoistica del fatto economico
è inficiata da
questo errore :
mentre pretende distinguere,
nell'ambito dell'attività pratica
umana, l'economico dal
morale (che sarebbe
qualificato come altruismo), in realtà
assorbe il primo
nel secondo, perchè
la qualifica di egoistico
attribuita a un
atto è una
qualifica di valutazione
morale, quahfica negativa,
immoralità, pervertimento
della stessa attività
morale. Il fatto
economico non sta
col fatto morale
in antitesi, bensì
è nel rapporto
pacifico di condizione
a condizionato; come
cioè la condizione generale che
rende possibile il
sorgere dell'attività etica.
Tanto il morale
quanto l'immorale sono
azioni economiche: il che
vuol dire che
l'azione economica, per
sé presa, non
è né morale
né immorale: è
amorale o premorale.
E in conclusione,
il Croce dà
del fatto economico
questa L'economìa indefinizione: esso
è «l'attività pratica
dell'uomo in quanto
'l'fZm'^ie ^'^^' si
consideri per sé,
indipendentemente da ogni
determinazione morale o immorale.
E pertanto il concetto
di utile
o di valore
o di ofelimo
non è altro
se non l'azione
economica stessa in
quanto ben condotta,
cioè in quanto
è veramente economica.
« Riallacciare a
queste proposizioni generali le
varie questioni che si dicono
di scienza economica
» è compito
degli economisti. Quella
definizione filosofica del
fatto economico, dice
il Croce, «
a me piacerebbe
vederla a capo
dei trattati di
economia ». Ma
il Croce non
doveva tardare ad
accorgersi che la sua era
un'illusione. Già egli
stesso non scorgeva
e non mostrava
per quali vie
potessero essere derivate
da quel concetto
filosofico le operazioni
di comparazione e
calcolo delle diverse
scelte economiche e
quali nuovi vantaggi
ne derivassero alla
scienza. Ed era
naturale che gli
economisti non accogliessero l'invito di
Croce a riallacciare
le questioni di
cui essi si
occupavano alle proposizioni
generali alle quali
egli era pervenuto
: alla scienza
non interessava la
determinazione della natura
filosofica del fatto
economico: suo compito
esclusivo era quello
di trattare i
fatti dell'attività umana
come fenomeni in
nulla differenti da
quelli fisici, sottoporli cioè a
comparazione e astrazione,
per stabilirne e calcolarne
le uniformità e
le divergenze. La
scienza economica era
e intendeva rimanere
per poter progredire
una scienza naturahstico-matematica, rinserrandosi
nei fenomeni e volgendo
le spalle all'indagine
filosofica dell'atto economico.
E qualche anno
più tardi, nel
1906, il Pareto
doveva illustrare e attuare
questo proposito nel
suo Mamiale di
economia politica. D'altra
parte, il Croce
stesso, affrontando nel
frattempo il problema logico,
giungeva alla conclusione
della radicale eterogeneità
tra conoscenza (o
pseudo-conoscenza)
scientifica e la
conoscenza filosofica: poteva
quindi abbandonare la scienza
al suo destino,
che la condannava
al procedimento empirico e
astratto del naturalismo
matematico, e volgere
la propria riflessione
alla filosofia dell'economia
come indagine sull'atto
economico, nelle sue
relazioni con gli
altri atti spirituali,
inserita in una
generale « filosofia
dello spirito ».
Uutiie. Alla fine
dei suoi studi
economici, chiariti gli
equivoci che erano
al fondo del
suo dibattito con
gli economisti puri,
rimane fermo nel
pensiero del Croce
il risultato di
cui nel 1901
giustamente menava vanto:
l'ufficio essenziale, nella
// problema della
storia negli studi
marxistici vita dello spirito,
dell'utilità o della
economicità, « messe
in luce come
non era stato
fatto da altri
». « L'utile
è stato reputato
iìnora dai filosofi
o un atto
secondario e misto,
o un semplice
caso di deviazione
dalla morale (egoismo).
Esso è invece,
a mio parere,
un momento distinto
e autonomo della
vita dello spirito:
il momento in
cui la volontà
è volontà, senza
essersi ancora determinata
e dialettizzata in
morale e immorale.
La critica deve
consistere nel dimostrare
che, affermandosi essere
ogni azione dell'uomo
dominata dal criterio
dell'utile, si afferma
cosa ir\dubitabile ;
ma che ciò
non toglie punto
che essa debba
essere, e sia
insieme, determinata anche
dal criterio del dovere,
il quale
è sempre (e
come potrebbe non
essere?) dovere-utile. Di
questa, che è
stata detta «
scoperta crociana dell'utile »,
il Croce si
sente in gran
parte debitore al
marxismo, che vede
nell'economia il sostrato
e la molla
della storia. E
se il Croce
incentra la definizione
dell'utile nel rapporto
di questo con
la morale, anche
di questa impostazione
egli cerca traccia
in Marx. Questi
dichiarò che la
questione sociale non
è questione morale
», e criticò
acerbamente quelle ideologie
morali che ipocritamente
mascheravano interessi di
classe. Ma intendeva
con questo sostenere
che la questione
sociale non si
risolve coi «
sermoni » di
un astratto moralismo,
che s'illude di
poter sanare i
mali di cui
una società soffre,
senza tener conto
delle particolari situazioni
storiche nelle quali
è la radice
di quei mah,
e alle quah
devono essere commisurati i
programmi d'azione morale
perchè questa possa
avere efficacia risanatrice.
In questo senso
la morale è corrispettiva
alle condizioni sociali
e in ultima
anahsi alle condizioni economiche. Ma
con ciò, « la questione
del pregio intrinseco
e assoluto dell'ideale
morale, della sua
riducibihtà o irriducibilità alla
verità intellettuale o
al bisogno utihtario,
rimane intatta »
per il marxismo,
il quale anzi,
di fatto, considera
l'ideale morale come
un presupposto necessario, come dimostra
la costruzione del
concetto di sopravalore, che
in pura economia
non ha senso,
ma è ispirato da
un interesse schiettamente
morale. Vanità pratica
Le asserzioni marxistiche
che paiono negazione
della modeiie condanne,
j-g^jg^ hanno per
Croce ben altro
significato. Quella che
Marx chiama impotenza
della morale sta
a significare la
vanità pratica delle
condanne o delle
commiserazioni per uomini,
che, dominatori o
dominati, sono gli
uni e gh
altri schiavi di
situazioni storiche necessarie
per il momento,
e « non
potrebbero essere diversi
da quel che
sono, né potrebbero
compiere se non
l'ufficio ad essi
assegnato dalla natura
stessa delle cose.
Ma le situazioni
che la storia
ha creato, possono
anzi debbono dalla
storia essere disfatte.
Per queste considerazioni, a
giudizio del Croce,
Marx, pur con
le sue proposizioni
approssimative e paradossali,
insegna a penetrare
in ciò che
la società è
nella sua realtà
effettuale, e potrebbe
esser chiamato, a
titolo d'onore, il
Machiavelli del proletariato. In
questa sua fase
di studi marxistici,
il Croce ampliò
via via e
variò il significato
dell'utile o economico,
la cui scoperta
egU riconduceva alla
potente suggestione del
Marx (non appare
ancora nei suoi
scritti quella definizione
dell'utile come « volizione
dell'individuale » con
cui poi caratterizzerà il grado
economico della forma
pratica dell'attività spirituale).
Che l'economicità o
utilità fosse intesa
come una categoria
autonoma da aggiungere
a quelle costituenti
la triade tradizionale
di bello, vero,
buono, sì che
la triade si
allarghi in una
tetrade; o che
essa fosse intesa
come ciò che vi è
di primario in
ogni attività umana,
come la base
comune di tutte
le attività, il
primum della vita,
non nel senso
di primo della
serie delle quattro
forme, ma appunto
di primordiale indifferenziato che
emerge nelle forme
e le connette
tra loro, sì
che l'economia finisca
con l'identificarsi umazione
pucon 1' « azione
pura», principio di
qualsiasi atto spirituale
e la forza,
yuoto di Ogni
contenuto determinato ;
o che, infine,
l'economico o utile fosse
identificato con la
« forza »
o vigore del
volere, come abilità
calcolatrice e lucida
tensione verso il
fine, per affermarsi
nella « lotta
» contro altre
volontà. ra » Il problema della
storia negli studi
marxistici e che è
la dura legge
della vita «
politica » d'onde
l'allacciamento, caro al Croce,
del marxismo «
alle migliori tradizioni della scienza
politica italiana »
(machiavellismo), e l'esaltazione
della politica di
potenza contro i
sermoni dei profeti
disarmati {Materialismo storico,
prefazione all'edizione del 1917,
pp. xii-xiv; e cfr. rav\àcinamento di
Marx a Machiavelli,
ivi, pp. 106-107,
nota) sempre, pur
in questa varietà
di accezioni, l'utile
era per Croce
il punto d'appoggio
pili solido e
indispensabile per l'esplicazione dell'operosità umana
nella costruzione della
storia, nel senso
immanentistico e « mondano
» proprio dello
spirito moderno. Il
progresso è lotta
continua e ha
per motore l'uomo,
l'uomo come passionalità naturale resa
lucida dalla disciplina
intellettuale per andar
dietro alla «
verità effettuale »
delle cose; l'uomo
come forma primordiale,
nella quale anche
le idealità più
alte debbono tradursi
e incarnarsi, per
poter affermarsi efficacemente in questo
mondo che è la palestra
della nostra operosità.
Nell'utile, rivelatogli dal
marxismo, il Croce
scorgeva la chiave per
svincolare l'operare umano
da qualsiasi piano
storico trascendente reUgioso
o metafìsico che
fosse -, e
risolvere « positivamente
» i problemi
che di continuo
scaturiscono dal divenire storico. L'anno stesso
che racLa scienza
deicoglieva in volume
gli studi sul
materialismo storico il
Croce ^P''dava alla
luce una memoria
accademica intitolata: Tesi
fondamentali d'un' Estetica come
scienza dell'espressione e
linguistica generale (1900;
ripubblicata da A.
Attisani in La
prima forma dell'estetica
e della logica,
Messina). Queste tesi
furono riesposte, ampliate
e inquadrate in
una concezione generale
della filosofia, neW! Estetica
del 1902 che,
originariamente concepita come
opera a se,
rimase lo scritto
meritatamente pii!i famoso
del Croce. In
seguito essa sarà ripubblicata come
primo dei quattro
volumi di cui
si compone la
crociana Filosofia dello
spirito. Il sistema.
La sistcmazionc che
quest'opera dà del
sapere filosofico è
semplice. La realtà
è un prodotto
dell'attività spirituale, la
quale si specifica,
secondo una classica
distinzione, in attività «
teoretica » e
attività « pratica
». Ciascuna di
queste due specificazioni ha
due gradi, a
seconda che lo
spirito si rivolga
al particolare o
all'universale. L'attività teoretica
rivolta al particolare
è l'arte (o
pensiero intuitivo), e
la scienza filosofica
che la studia
è l'estetica; l'attività
teoretica rivolta all'universale è il pensiero
discorsivo, oggetto della
logica; l'attività pratica
rivolta al particolare
è l'economia, oggetto dell'economica; e
l'attività pratica rivolta
all'universale è la
morale, oggetto dell'etica.
L'universale, in ciascuno
dei due campi,
presuppone il particolare.
Il concetto, infatti, presuppone
l'immagine prodotta dall'arte,
senza la quale
non potrebbe esprimersi;
e l'operare morale
implica un agire
indirizzato all'utile, perchè
non si potrebbe
« fare il
bene » senza
giovare, in qualche
modo, a qualcuno.
Almeno in questa
prima sistemazione, al
contrario, il particolare non esige
l'universale (p. 30) : l'utile
si può perseguire prescindendo del
tutto da una
moralità oggettiva; e
l'immagine artistica prodotto
aurorale deUo spirito
può presentarsi indipendentemente da
ogni intenzione concettuale. Ciò non
toglie, ovviamente, che
l'attività concreta dello
spirito sia un
continuo intrecciarsi e
collaborare di queste
quattro forme, ciascuna
delle quali, presa
per se, apparirebbe
astratta. Tutte le
altre attività spirituali
devono potersi ridurre
in qualche modo
a queste quattro
(cap. Vili). Così,
ad esempio, il
diritto e la
pohtica rientreranno integralmente
nell'attività economica; la
scienza, nella misura
in cui sia
autenticamente conoscitiva (ciò
che significa, per
il Croce, filosofica)
rientra nell'attività logica.
La religione non
rientra propriamente da nessuna
parte; ma, in
quanto abbia pretesa
di conoscere il trascendente,
è una forma,
piìi o meno
genuina, di filosofia;
in quanto si
ponga come atteggiamento
morale, o Estetica:
primo schizzo del
sistema 303 espressione
di ideali pratici
(p. 70), trova
la sua collocazione
nel quarto grado
dello spirito; e,
infine, in quanto
mèra espressione di
sentimenti può considerarsi
sotto la rubrica
dell'economia, che, nel
sistema crociano, assume
la funzione di
cestino in cui
va a finire
tutto ciò che
non trova collocazione altrove (cap.
X). All'efficacia sistematoria
della sua filosofia,
per un verso.
Le categorie il
Croce non dava
troppa importanza, convinto
che il concreto
^P ^conoscere non possa
se non portarsi
sulla attività spirituale
nella sua interezza
(p. 86, p.
103 e passim)
; ma, per un altro
verso, egli non
si riconobbe mai
disposto a lasciarla
cadere, cioè ad
assegnare un carattere
semplicemente « empirico
» alla quadruplicità
delle forme. Al
contrario, essa ebbe
sempre per lui un
carattere categoriale. Le
quattro forme dell'attività spirituale sono
tutte e sole
le « categorie
» che si
possano, e si
debbano, ammettere come
tali. Ciò significa
che vi è
una radicale irriducibilità di una forma
all'altra, trascurare la
quale significherebbe confondere
e mescolare ciò
che va tenuto
filosoficamente distinto :
la concreta « dialettica
», che
si instaura tra
questi « distinti
», in tanto
ha valore filosofico
in quanto essi
conservino questa loro
irriducibihtà. Tale principio,
strenuamente difeso dal
Croce, in particolare
contro i gentiliani,
suscita molte difficoltà
e, appunto perciò,
anche molti spunti
positivi. Peraltro, nella
comune cultura italiana,
in cui il
crocianesimo fu largamente
accolto nel periodo
tra le due
guerre, l' efficacia classificatoria delle
quattro forme prevalse
nettamente sulla loro
funzione categoriale. L'uomo
mediamente colto in
fatto di filosofia,
che aveva abbracciato
il sistema crociano,
si sentiva spiritualmente sorretto dalla
possibiUtà, poniamo, di
dichiarare che una
opera d'arte mal
riuscita era un
« atto pratico
», che il
prodotto di una
ricerca psicologica era
« uno pseudoconcetto », ecc.
: daUa possibilità,
insomma, di assegnare
ogni manifestazione della
vita alla sua
giusta casella. 5.
Definizione dell'arte per
via negativa. —
Quando tracciò lo
schizzo sistematico con
cui si apre
l'Estetica del 1902,
21, L.. storia
della filosofia. VII.
dell'attività artistica. il Croce
non pensava, probabilmente, che
esso avrebbe avuto
tanta importanza nella
ricezione del suo
pensiero. Il suo
scopo era solo
di sistemare nel
modo migliore l'attività
spirituale in genere, per
passare poi a
considerarla in quella
forma che, al
momento, gli interessava:
la forma artistica.
Questa comprendeva in
questa fase della
speculazione crociana anche
l'istorica, dato che,
come conoscenza dell'individuale, « la
storia si riduce
sotto il concetto
generale dell'arte» (p.
31). La distinzione
La sistemazionc, tuttavia,
aveva anche una
diretta efficacia sull'oggetto
specifico della trattazione,
l'arte. Infatti la
specificità e l'autonomia
del valore estetico
si definiscono attraverso
una serie di
negazioni, che lo
distinguono dagli altri
valori spirituali : « Dimmi
da che cosa
ti distingui e
ti dirò chi
sei » è
il motto, implicito,
dell'estetica crociana, fino
al Breviario. In
questo senso l'identificazione dell'arte,
vista nella sua
specificità, dipende dalla
struttura sistematica dei
distinti. L'arte non
è concetto, perchè
le sue rappresentazioni non
intendono l'universale :
e con ciò
cade l'intellettualismo estetico
(cap. IV). L'arte
non è rivolta
dovutile (sentito, in
ultima analisi, dal
soggetto come piacere) :
e con ciò
cade l'edonismo estetico.
L'arte non persegue
il bene perchè,
non si sviluppa
come obbedienza all'universale dovere:
e con ciò
cade il moralismo
estetico (cap. VI).
Le altre negazioni,
attraverso cui il
Croce delimita e,
quindi, definisce il
valore dell'arte, dipendono
da queste: l'arte
non ha uno
scopo didascahco (p.
94) ; non
si propone di
offrire il vero
« condito in
molU versi » ; non
mira a fini
di edificazione, né
a scopi pragmatici,
ecc. Che potesse
far pili che
tanto, e dire,
anche positivamente, in
che cosa l'arte
consista, il Croce,
in certo senso,
escluse sempre; e
questo non è
strano : perchè
un genere sommo
come la «
categoria » è
(per parlare in
termini di filosofia
classica) un «
predicato » da
cui ogni definizione
muove, quindi non
può essere il risultato
di definizioni antecedenti.
Nel 1912, perciò,
il Breviario di
estetica si inizierà
con questa affermazione: che
Estetica: definizione dell'arte
per via negativa 305
«l'arte è ciò
che tutti sanno
che cosa sia»;
e riprenderà poi
la determinazione per
via negativa, che
già era stata
propria noi giudichiamo
ora buoni ora
cattivi, ora importanti
ora insignificanti, trovano
un posto. «
Tutti i fatti
sono fatti storici
» aveva detto
la Logica (p.
212), e ripete
la Teoria della
storiografia. E poiché
la storia, nel
pensiero crociano, è ciò che
comunemente si chiama
Dio, codesta frase
viene a costituire
l'esatto equivalente storicistico dell'affermazione che
l'Ardigò aveva enunciata
in chiave naturalistica: «Tutti
i fatti sono
divini)}. La UOvità più
importante 11 sentimento
del Breviario di
estetica, scritto nel
1912 per l'inaugurazione del Rice
Institute di Houston,
nel Texas, è
(come è noto)
l'introduzione di un
nuovo « sinonimo
» del termine
« intuizione»: il sentimento.
Una novità già
annunciata, del resto,
dalla conferenza tenuta
nel 1908 al
Congresso di filosofia
di Heidelberg, su
L'intuizione pura e
il carattere lirico
dell'arte (in Problemi di
estetica, 1910, 3^
ed., 1940, p.
33) da cui
forma e contenuto,
nell'opera d'arte riuscita,
vengono identificati.
Notando come ogni
grande opera d'arte
sia « classica
» e «
romantica » insieme,
il Breviario fa
risalire ciò alla
necessaria fusione,
nell'opera d'arte riuscita,
del momento lirico
col momento immaginativo.
Lo scopo dichiarato
di tale dottrina
è dare un
fondamento alla distinzione
(indispensabile per il critico)
tra opera d'arte
riuscita e non
riuscita: L'idealismo
storicistico di B.
Croce e, quindi,
ancora di far
posto al disvalore
che, come abbiamo
visto, stenta a
trovare una giustificazione nella
filosofia crociana. La
coerenza. Come nella
pratica così nell'estetica, il
valore è inteso
come coerenza: ma,
mentre nella pratica
il segno di
codesta coerenza era piuttosto
il successo di una certa
attività, nell'estetica il suo
indizio si presenta
come uno stato
d'animo che, fino
allora, il Croce
aveva considerato sotto
una luce piuttosto negativa, come
espressione di passività
: il «
sentire ». In realtà, il
sentire utilizzato dal
Breviario di estetica
è molto diverso
dal sentire come
stato d'animo passivo
« materia »
non informata, o
non perfettamente formata,
dall'attività spirituale che
aveva dato luogo,
nella Filosofia della
pratica, alla «
negazione della forma
spirituale del sentimento.
Là, l'intenzione era
di contestare l'esistenza di una
terza forma di
attività, accanto alla
teoretica e alla
pratica (p. io)
; qui è
di riconoscere, nel
sentimento, il modo
d'essere incoativo in cui si
presenta la stessa
attività spirituale che,
nella sua esistenza
piena, si sviluppa
come immagine : «
L'intuizione è veramente
tale perchè rappresenta
un sentimento, e
solo da esso
e sopra di
esso può sorgere
» (Nuovi saggi
d'estetica, 1919; 2*
ed., 1926, p.
27). Grazie alla
sua globalità, alla
sua indivisibilità essenziale,
il sentimento offre
al Croce quel
fondamento di unità
che egli va
ormai cercando: «Ciò
che dà coerenza
e unità all'intuizione è il
sentimento» [ivi). «L'intuizione
è veramente artistica, veramente intuizione
», quando sia, « non
caotico ammasso d'immagini »,
ma « solo
quando ha un
principio vitale che
l'animi, facendo tutt'uno
con lei» (p.
25). E questo
principio è il sentimento,
che permette, cosi,
di distinguere tra
l'intuizione-immagine, « che
è sempre nesso
d'immagini, non esistendo
immagini atomi »
(p. 29) e
« quella falsa
intuizione che è coacervo
d'immagini » [ivi)
: falsa e
imperfetta per «
il contrasto non
unificato di piìi
e diversi stati
d'animo, la loro
stratificazione o il
loro miscuglio, o
il loro procedere
traballante, che riceve
una unità apparente
dall'arbitrio dell'autore» (p.
27). Allo stesso
modo la Filosofia
della pra riuscita.
L' « intuizione
lirica » 329
tica aveva distinto
tra esistenza unitariamente
raccolta e esistenza
« dissoluta »,
lacerata dalla contraddizione. La
distanza dall'Estetica del
1902, dove si
consideravano L'opera d'arte
come opere d'arte
alcune espressioni «
assai complicate e
diffìcili », è
evidente. Per un
verso, si tratta
di una ripresa
del motivo estetico,
molto tradizionale, dell'opera
d'arte come organismo
vivente, individuato da
un « principio
vitale » (p.
25). Infatti, «ciò
che ammiriamo nelle
genuine opere d'arte
è la perfetta
forma fantastica che
riassume uno stato
d'animo, e codesto
chiamiamo vita, unità,
compattezza, pienezza dell'opera
d'arte » (p.
27). Ma, nel
sistema crociano, questa
distinzione e fusione
tra un principio
globale d'unità e
una forma articolata
che l'esprime rappresenta
una novità: essa
non aveva mai
avuto una espressione
cosi esplicita, neppure nella
teoria della coerenza
pratica propria del
volume del 1908.
La Filosofia della
pratica conteneva, peraltro,
uno spunto importante
di questo sviluppo:
nel capitolo stesso
in cui negava l'autonomia del
sentimento. Qui infatti
il Croce, mentre
contesta che al
sentimento si possa
assegnare un posto
a sé, dà
tuttavia una interpretazione eccezionalmente acuta
delle teorie del
sentimeno che, soprattutto
dal Settecento in
poi, erano fiorite
nella storia della
filosofìa. Il sentimento,
egli dice, è
comparso nella storia
della filosofìa, con
la funzione di una
escogitazione provvisoria, « ogni qualvolta
ci si è
trovati innanzi a
una forma o
sottoforma dell'attività spirituale
che non si
riusciva né a
eliminare né ad
assorbire nelle forme
già conosciute »
[Pratica). Sicché il
vedere una qualsiasi
attività spirituale specifica
come « sentimento è
la prima forma
che assume la
rivendicazione della sua
autonomia. Così, infatti,
era accaduto. L'estetica
del sentimento del
Settecento, nelle sue
forme piìi disparate,
da Vico a
Rousseau, da Shaftesbury
ad Alison, dalla
Scientia cognitionis sensitivae
del Baumgarten alle
Osservazioni sul sentimento
del hello e
del sublime di
Kant, è, effettivamente, una
rivendicazione
dell'autonomia dell'arte rispetto
alla conoscenza L'
idealismo storicistico di
B. Croce concettuale:
perfino quando (come
nel Baumgarten) sembri
« intellettualistica ». Ma anche
l'etica del poi
i^ Filosofia perenne
e personalità filosofiche,
Padova, Guzzo, Vita
e scritti di
E. Juvalta, «
Giorn. crit. d.
filos. It. SoLiNAS, L'autassia
dei valori e le indagini
etiche di Juvalta,
Torino, Basciani, e. Juvalta
e l'etica della
giustizia, Roma,VlDARI Opere
Problemi generali di
etica, Milano, Elementi di
etica, Milano, Doveri sociali
dell'età presente, Milano, L'individualismo nelle
dottrine morali del
sec. XIX, Milano,
Elementi di pedagogia, Milano, Torino, Per l'educazione
nazionale. Saggi e
discorsi, Torino, Educazione
nazionale, Torino, La cultura
dello spirito come
ideale pedagogico, Torino, Etica e
pedagogia, Firenze, Il pensiero
pedagogico italiano nel
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Delineazione sommaria, Torino, L'educazione dell'uomo.
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e l'educazione estetica,
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dall'Umanesimo al Risorgimento, Roma, Le
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legge della persona,
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cultura e l'insegnamento, Genova, L'esistenza e
l'immortalità dell'anima. Lecce, Letteratura. E.
Tozzi, Profili di
educatori viventi, Firenze, Ambrosio, R.
Resta precursore della
riforma Bottai, Napoli, Calogero, R.
Resta e la
pedagogia della cultura,
Catania, Autori vari, Gli
aspetti essenziali di
una vita e
di un pensiero.
Studi in onore
di R. Resta,
Bari, Maresca Opere.
Di due opposti
atteggiamenti della filosofia
moderna rispetto alla
religione, Napoli, Fatto etico
e fatto pedagogico,
Lucca, Le antinomie dell'educazione, Torino,
Saggi sul concetto
della pedagogia come
filosofia applicata, Roma, Il problema
della scienza e
l'educazione, Roma, Il problema
della religione nella
filosofia conte^nporanea, Roma, Introduzione generale
alla pedagogia, Roma, Moralità e
conoscenza. Critica del
razionalismo morale, Roma, Aquino e
la « Scolastica
», Milano, Letteratura. Cappiello, Il pensiero
filosofico-pedagogico di M.
Maresca, Milano, Nobile Opere.
L'indagine causale e
l'autonomia morale. Saggio
pedagogico, Napoli Saggi vari
intorno ad alcuni
problemi di filosofia
e pedagogia, Napoli, Brevi
saggi di logica,
Napoli, Dualismo e religione,
Roma, Boehme e
il suo dualismo
essenziale, Roma, Il dualismo
nella filosofia. Sua
ragione eterna e
sue storiche vicissitudini, Napoli,
I limiti del misticismo
di Jakob Boehme,
Napoli, Presupposti
filosofici per una
storia delle religioni,
Napoli, La morale
e le altre
forme dello spirito,
Roma, Napoli, La legge morale
alla luce del
dualismo filosofico, Napoli, Panteismo e
dualismo nel pensiero
di Schelling, Napoli,
s. a., ma La pace
come ideale della
ragione, Napoli, L'idea dell'immortalità dell'
anima e la
sua efficacia sulla
civiltà e suW
educazione, Napoli, Panteismo
e dualità nel
pensiero di Schelling
e dei suoi
oppugnatori, Napoli, Della
Valle Opere. La
psicogenesi della coscienza.
Saggio di una
teoria generale dell'evoluzione, Milano, Le
leggi del lavoro
mentale, Torino, La pedagogia
realistica, Napoli, Teoria generale
e formale del
valore come fondamento
di una pedagogia
filosofica. I: Le
premesse dell' axiologia pura,
Torino, Lucrezo Caro e
l'epicureismo campano, Napoli, Il concetto filosofico
della pedagogia, Torino, La
pedagogia realistica come
teoria dell'efficienza, Milano, Letteratura. G.
Gentile, Le leggi
del lavoro mentale
di G. Della
Valle, in Educazione
e scuola laica,
Firenze, Oraziani, La scienza
pedagogica nell'opera di
G. Della Valle, Probi,
d. pedag. L'ETÀ DELL'IDEALISMO Opere generali
U. Spirito, L'idealismo italiano
e i suoi
critici, Firenze, Carabellese, L'idealismo
italiano, Napoli, Roma, Guzzo, Cinquant' anni di
esperienza idealistica in
Italia, Padova, Martinetti Opere.
Introduzione alla metafisica. Teoria della
conoscenza, Torino, Milano, Sul
formalismo della morale
kantiana, Milano, Breviario spirituale
(anonimo), Milano, Saggi e
discorsi, Torino, La libertà,
Milano, Torino, Gesìi
Cristo e il
Cristianesimo, Milano, Torino, Schopenhauer (con
antologia), Milano, Ragione
e fede. Saggi
religiosi, Torino, Hegel,
Milano, Kant, Milano, Letteratura. G.
Gentile, La teoria
della conoscenza del
Martinetti, in Saggi
critici. Lanciano, Savinelli, La
religione nel pensiero
di P. Martinetti,
Firenze, Sciacca,
Martinetti, Brescia, Poggi, P.
Martinetti, Vicenza, Alessio,
L'idealismo religioso di
P. Martinetti, Brescia, Goretti, Il
pensiero filosofico di P. Martinetti,
Bologna, Pellegrino,
Religione ed educazione
nell'idealismo trascendente di
P. Martinetti, Brescia, Romano, //
pensiero filosofico di P. Martinetti,
Padova, Autori vari. Giornata
martinettiana, « Filosofia Mariani, Esperienza
e intuizione, Saggio
sul pensiero di
P. Martinetti, Roma,
Terzi, Martinetti: la
vita e il
pensiero originale, Bergamo,
Varisco Opere. La
necessità logica, Napoli,
Scienza e opinioni,
Roma, Appunti critici di
filosofia naturale, Bergamo,
Le mie opinioni,
Pavia, Introduzione alla filosofia
naturale, Milano, Studi
di filosofia naturale,
Milano, Corpo e anima,
Pavia, Appunti sulla conoscenza,
Pavia, Forza ed energia,
Pavia, Su alcune questioni
di gnoseologia e
di filosofia morale,
Pavia, Dottrine e fatti,
Pavia, Paralipomeni alla conoscenza,
Pavia, 1905. Scienza
e filosofia, Trani, Modernismo e
modernità, Treviso, Massimi problemi,
Milano, Lo spirito della
filosofia, Ortona, Conosci te stesso,
Milano, Firenze, La Patria. Idealità e
interessi, Roma, La scuola
e l'esperienza, Palermo, La
scuola per la
vita. Scritti pedagogici,
Milano, Firenze, Linee di
filosofia critica, Roma, Discorsi politici,
Roma, Dall'uomo a Dio
(a cura di
E. Castelli e
G. AUiney), Padova,
II pensiero vissuto
(cur. Castelli-ZUBIENA), Roma, Letteratura. P.
Carabellese, L'essere e il problema
religioso (a proposito
del Conosci te stesso), Bari, Negri, La
metafisica di B.
Varisco, Firenze, Chiappetta,
La teodicea di
B. Varisco, Napoli, Moretti Costanzi,
Il problema dell'uno
e dei molti
nel pensiero di Varisco,
Napoli, Librizzi, Il pensiero
di B. Varisco,
Padova, Alliney, Varisco, Milano,
Drago, La filosofia
di B. Varisco,
Firenze, Calogero, La filosofia
di B. Varisco,
Messina, Morra, Il
pensiero teologico di B. Varisco,
Il Saggiatore, Volpati, Il
concetto della persona.
Colloqui con B.
Varisco, Albenga, DoLLO,
L'assoluto come soggetto
in B. Varisco,
in Momenti e
problemi dello spiritualismo, Padova, Lamanna. storia
della, filosofia, Carabellese Opere.
La teoria della
percezione intellettiva di
Antonio Rosmini, Bari, Sulla vetta
ierocratica del papato,
Palermo, L'essere ed il
problema religioso. A
proposito del «
Conosci te stesso
», di Bernardino
Varisco, Bari, La
coscienza morale. La
Spezia, Critica del
concreto, Pistoia, Roma, La filosofia
di Kant: l'idea
teologica, Firenze, Il concetto
della filosofia da
Kant ai nostri
giorni. Kant, Palermo, Il problema della
filosofia da Kant a Fichte,
Palermo, Il problema teologico
come filosofia, Roma, L'idealismo italiano,
Napoli, Roma, Il problema
della filosofia in
Kant. Guida allo
studio dei Prolegomeni, cur. Damonte, Verona, Il
problema dell'esistenza in
Kant, Lezioni, Roma, Che cos'è
la filosofia?, con
postille e altri
saggi, Roma, L'essere e
la sua manifestazione. I:
L'essere nella dialettica
delle forme, Lezioni.
Roma, La dialettica, Roma, Disegno
storico della filosofia
come oggettiva riflessione
pura. Lezioni, Roma, La
realtà e l'attività
spirituale umana, Lezioni,
Roma, Da Cartesio a
Rosmini. Fondazione storica
dell'ontologismo critico, Firenze, L'idea politica
d'Italia, Roma, Le obiezioni
al cartesianismo, Messina, La spiritualità
dell'essere. Filosofia del
Cristianesimo. Lezioni, Roma, L'essere, Io.
Lezioni, Roma, L'attività spirituale
umana. Prime linee
di una logica
dell'essere. Lezioni, Roma, La
filosofia dell'esistenza in
Kant, a cura
di G. Semerari,
Bari, Letteratura. G. E.
Bariè, Soggettività e
oggettività nella filosofia
del Carabellese, «
Rendiconti del R. Istituto
Lombardo, Maresca, Il problema
della religione nella
filosofia contemporanea, Roma, Fano, La
metafisica ontologica di P. Carabellese,
« Giorn. crit.
d. fil. it. Verrua,
Il pensiero filosofico
di P. Carabellese,
Bobbio, Lombardi, P. Carabellese
(serie di articoli
su « Civ.
Catt. Lombardi, La posizione
di P. Carabellese
nella filosofia contemporanea, Urbino, Mattai, Il
pensiero filosofico di
Carabellese, Chieri, Padalina, La
critica del concreto
di P. Carabellese, Palermo,
Moretti Costanzi, L'asceta
moderno : Carabellese,
« Giorn. crit.
d. fil. it. Ventura,
Filosofia e religione
in un metafisico
laico: P. Carabellese, Milano, Vicarelli, Il
pensiero di Carabellese, Roma, Autori
vari, Storia e
storicismo. Studi sul
problema della storia
nella filosofia di Carabellese,
Trani, Montone, La critica
di fronte all'ontologismo, Castrovillari, Tebaldeschi, Il problema
della natura nel
pensiero di Carabellese,
Roma, Tozzi, Pantaleo Carabellese, Torino, Semerari, Storicismo
e ontologismo critico,
Bari, Forni, Il
problema dell'esistenza in
Kant nell'interpretazione di
P. Carabellese, Kantstudien
», Giornate di studio
carabellesiane, con scritti
di autori vari,
Genova, Croce Opere. Salvo
le Pagine sparse,
e pochi altri
scritti, le opere
complete sono state
raccolte dall'editore
Laterza di Bari.
La storia ridotta
sotto il concetto
generale dell'arte, Napoli, La
critica letteraria, Roma, Primi
saggi, Materialismo storico
ed economia marxista,
Palermo, Bari, Tesi
fondamentali di un' estetica
come scienza dell'espressione e
linguistica generale, Napoli, Estetica come
scienza dell'espressione e
linguistica generale, Palermo,
Logica come scienza
del concetto puro,
Napoli, Bari, Ciò
che è vivo
e ciò che
è morto della
filosofia di Hegel,
Bari, Letteratura e critica
della letteratura contemporanea
in Italia, Bari, Filosofia della
pratica. Economica ed
Etica, Bari, Problemi d'estetica
e contributi alla
storia dell'estetica italiana,
Bari, La filosofia
di Giambattista Vico,
Bari, Saggi sulla letteratura
italiana del Seicento,
Bari, La rivoluzione napoletana,
Bari, Breviario di Estetica.
Quattro lezioni, Bari, Cultura
e vita morale.
Intermezzi polemici, Bari.
La letteratura della
nuova Italia, Bari, La
Spagna nella vita
italiana durante la
Rinascenza, Bari, Aneddoti e
profili settecenteschi, Palermo, I
teatri di Napoli,
Bari, Teoria e storia
della storiografia, Bari, Contributo alla
critica di me
stesso, Napoli, Conversazioni critiche, Bari, Storie e
leggende napoletane, Bari, Curiosità storiche,
Napoli, Pagine sparse, Napoli, Goethe. Con
una scelta delle
liriche nuovamente tradotte,
Bari, Primi saggi, Bari,
Nuovi saggi di
estetica, Bari, Ariosto, Shakespeare,
Corneille, Bari, Storia della
storiografia italiana nel
sec. XIX, Bari, La
poesia di Dante,
Bari, Poesia e non
poesia. Nota sulla
letteratura europea, Bari, Uomini e
cose della vecchia
Italia, Bari, Poeti e scrittori
d'Italia, Bari, Bari, Storia d'Italia
dal i8yi al Bari, Storia dell'età
barocca in Italia.
Pensiero, poesia e
letteratura. Vita morale,
Bari, Aesthetica in nuce,
Napoli, Manzoni. Saggi e
discussioni, Bari, Nuovi saggi
sulla letteratura italiana
del Seicento, Bari,
Etica e politica,
Bari, Storia d'Europa,
Bari, Poesia popolare e
poesia d'arte. Studi
sulla poesia italiana
dal Tre al
Cinquecento, Bari, Orientamenti.
Piccoli saggi di
filosofia politica, Milano, Nuovi
saggi sul Goethe,
Bari, La critica
e la storia
delle arti figurative,
Bari, Sanctis. Pagine sparse
(in collaborazione con
E. Clone e
C. Mu- scetta),
Bari, Ultimi saggi, Bari, La
poesia. Introduzione alla
critica e storia
della poesia e
della letteratura, Bari, La
storia come pensiero
e come azione,
Bari, II carattere della
filosofia moderna, Bari,
Poesia antica e
moderna. Interpretazioni, Bari, Storia
dell'estetica per saggi,
Bari, Pagine sparse, Napoli, Discorsi di
varia filosofia, 2
voli., Bari, Pagine politiche, Bari, Poeti e
scrittori del pieno
e del tardo
Rinascimento, Bari, Pensiero politico
e politica attuale.
Scritti e discorsi, Bari, Bibliografia vichiana
(accresciuta e rielaborata
da F. Nicolini),
Napoli, Quando l'Italia era
tagliata in due.
Estratto di un
diario, Bari,Due anni
di vita politica
italiana {ig46-ig4y), Bari, Filosofia e
storiografia, Bari, Nuove pagine
sparse, Napoli, La
letteratura italiana del
Settecento, Bari, Ariosto, Bari, Indagini su
Hegel e schiarimenti
filosofici, Bari, Intorno alla
dialettica. Discussioni, Bari, Letteratura. Bibliografie
: L'opera filosofica
storica e letteraria
di Croce, a cura
di vari autori,
Bari, CiONE, Bibliografia crociana,
Milano, Borsari, L'opera di
B. Croce, Napoli,
Studi Chiocchetti, La
filosofia di B.
Croce, Firenze, VoLPiCELLi e
U. Spirito, B. Croce, Roma, Fraenkel, Die
Philosophie Benedetto Croces
und das Problem
der Naturerkenntnis, Tiibingen, trad. it., Bari, Lameere, L'esthétique
de Croce, Parigi, Carbonara, Sviluppo
e problemi dell'estetica
crociana, Napoli, Caracciolo, L'estetica
di B. Croce
nel suo svolgimento
e nei suoi
limiti, Torino, Faucci, Storicismo
e metafisica nel
pensiero crociano, Firenze, Sfrigge, Croce,
Man and Thinker,
Cambridge; trad. it.,
Milano, Guzzo, Croce e
Gentile, Lugano, Sainati, L'estetica
di B. Croce.
Dall'intuizione visiva all'intuizione catar-
tica, Firenze, Olgiati, Croce
e lo storicismo,
Milano, Mautino, La formazione
della filosofia politica
di Croce, Bari, Antoni, Commento
a Croce, Venezia, Caponigri, History
and Liberty. The
Historical Writings of
B. Croce,
Chicago, Raggiunti, La conoscenza
storica. Analisi della
logica crociana, Firenze, Abbate, La
filosofia di B.
Croce e la
crisi della società
italiana, Torino, Vinciguerra, Croce,
Napoli, Caracciolo,
L'estetica e la
religione di B. Croce, Arona, Seerveld, Croce' s
Earlier Aesthetic Theories
and Literary Criticism,
Kampen, MossiNi, La categoria
dell'utilità nel pensiero
di Croce, Milano, Gennaro, The
Philosophy of B. Croce, New
York, Grandi, Croce e
il Seicento, Milano, Agazzi, Il
giovane Croce e il marxismo,
Torino, NicoLiNi, B. Croce
(biografia), Torino, CiONE, B.
Croce e il
pensiero contemporaneo, Milano, Franchini, Croce
interprete di Hegel,
Napoli, Puppo, //
metodo e la
critica di B.
Croce, Milano, Capanna, La
religione in B.
Croce, Bari, Bausola,
Filosofia e storia
nel pensiero crociano,
Milano, Bausola, Etica e
politica nel pensiero
di B. Croce,
Milano, RoGGERONE, Croce e
la formazione del
concetto di libertà,
Milano, L., Introduzione
alla lettura di
Croce, cur. Pesce, Firenze, Gentile Opere.
La raccolta delle
Opere complete ed epistolario, Sansoni
di Firenze, a
cura della Fondazione
Gentile per gli
studi filosofici. Rosmini
e Gioberti, Pisa, Firenze, La filosofia
di Marx. Studi
critici, Pisa, Dal Genovesi
al Galluppi. Ricerche
storiche, Napoli, Storia
della filosofia italiana
dal Genovesi al
Galluppi, Milano, Studi sullo
stoicismo romano nel I secolo
dopo Cristo, Trani, Bruno
nella storia della
cultura, Palermo, Il modernismo
e i rapporti
tra la religione
e la filosofia,
Bari, Telesio, Bari, Per il
riordinamento
dell'istruzione superiore. Studi
e proposte, Palermo, I problemi della
scolastica e il
pensiero italiano, Bari, La
riforma della dialettica
hegeliana ed altri
scritti, Messina, Sommario di
pedagogia come scienza
filosofica. I :
Pedagogia generale. II
: Didattica, Bari, Studi vichiani,
Messina, Firenze, Teoria
generale dello spirito
come atto puro,
Pisa, Bari, Sistema di logica
come teoria del
conoscere, Pisa, Bari, Le
origini della filosofia
contemporanea in Italia.
I: I platonici. II:
/ positivisti. Ili: I
kantiani e gli
hegeliani, Messina, Il
tramonto della cultura
siciliana, Bologna, Il problema
scolastico del dopoguerra,
Napoli, Guerra e fede.
Frammenti politici, Napoli, Roma, Discorsi di
religione, Firenze, Bruno e
il pensiero del
Rinascimento, Firenze, La riforma
dell'educazione. Discorsi ai
maestri di Trieste,
Bari, Dopo la vittoria.
Nuovi frammenti politici,
Roma, Saggi critici, Napoli,
Firenze, Frammenti di estetica
e di letteratura,
Lanciano, Educazione e
scuola laica, Firenze, Capponi e
la cultura toscana
del sec. XIX,
Firenze, I fondamenti della
filosofia del diritto,
Roma, Firenze, Dante e Manzoni.
Con un saggio
su arte e
religione, Firenze, Albori
della nuova Italia, Lanciano, Studi sul
Rinascimento, Firenze, I profeti del
Risorgimento italiano, Firenze,
Difesa della filosofia.
Lanciano, Preliminari allo studio
del fanciullo, Roma, Firenze, Bertrando
Spaventa, Firenze, La
riforma della scuola,
Bari, Il fascismo al governo
della scuola. Discorsi
e interviste, Palermo, La
nuova scuola media,
Firenze, Che cosa è
il fascismo, Firenze, L'eredità di
Vittorio Alfieri, Venezia, Frammenti di
storia della filosofia,
i^ serie, Lanciano,
Cuoco. Studi e
appunti, Venezia, Manzoni e
Leopardi. Saggi critici,
Milano, Fascismo e
cultura, Milano, Origini e
dottrina del fascismo,
Roma, La filosofia dell'arte,
Milano, Der aktuale Idealismus.
Zwei Vortràge, Tiibingen, La
riforma della scuola
in Italia, Milano, Introduzione alla
filosofia, Milano, La
profezia di Dante,
Roma, La filosofia dell'arte
in compendio, Firenze, Memorie italiane
e problemi della
filosofia e della
vita, Firenze, Dottrina politica
del fascismo, Padova, Poesia e
filosofia di Giacomo
Leopardi, Firenze, Il pensiero italiano
del Rinascimento, Firenze, Il pensiero di
Leonardo, Firenze, La filosofia
italiana contemporanea. Due
scritti, Firenze, Genesi
e struttura della
società. Saggio di
filosofia pratica, Firenze,
Letteratura. Un vasto
insieme di studi
sulla filosofia del
Gentile è rappresentato
dalla raccolta, di
vari autori, Giovanni
Gentile: La vita
e il pensiero,
Firenze. Cfr. inoltre: E.
Chiocchetti, La filosofia
di G. Gentile,
Milano, La Via, L'idealismo
attuale di G.
Gentile, Trani, Sarlo,
Gentile e Croce,
Firenze, D'Amato, G.
Gentile, Milano, Spirito, L'idealismo
italiano e i suoi critici,
Firenze, Thompson, The Educational
Philosophy of G. Gentile, Los
Angeles, Hessen, Die Pàdagogik
von G. Gentile,
«Die Erziehung. trad.
it., Roma, Baur,
Gentiles Philosophie und
Pàdagogik, Langensalza, Holmes,
The Idealism of
G. Gentile,
New York, RoMANELL,
The Philosophy of
G. Gentile, New
York, Collctti, Il
problema religioso dal
punto di vista
dell'idealismo attuale, Messina, Bontadini, Dall'attualismo al
problematicismo, Brescia, Guzzo,
Croce e Gentile,
Lugano, Scarpelli, La
filosofia di G.
Gentile e le
critiche di G.
Solari, Torino, Spirito,
Note sul pensiero
di G. Gentile,
Firenze, Bellezza, L' esistenzialismo positivo
di G. Gentile,
Firenze, Carlini, Studi
gentiliani, Firenze, Harris,
The Social Philosophy
of G. Gentile,
Urbana, SciACCA, Dall'attualismo allo
spiritualismo, Milano, Bellezza, La
problematica attualistica della
storia, Firenze. Eustachio Paolo
Lamanna. E[ustachio] P. Lamanna. E. Paolo Lamanna. E. P. Lamanna. Lamanna.
Keywords: il risorgimento fiorentino, Mussolini nella storia della filosofia. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Lamanna” – The Swimming-Pool Library. Lamanna.
Luigi Speranza -- Grice e Lami: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della ragione dei antichi romani
– la tradizione della polizia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “I like Lami; he has written
interesting approaches to Plato and Aristotle.” Si laurea e insegna a Roma. Altri saggi: "La
ragione degli antichi” (Giuffrè, Roma); "La politica di Platone” (Rubettino,
Cosenza); "Tra utopia e utopismo" (Cerchio, Rimini) "Qui ed ora
-- per una filosofia dell'eterno presente" (Cerchio, Rimini); "Il
libro Manifesto – in difesa dell’oggettività" (Heliopolis, Pesaro); G. Sessa,
"Voegelin -- Ordine e Storia” (Angeli, Roma, Filosofia politica Filosofia
della storia nuova destra. Letteratura e Tradizione//miro renzaglia.org letteratura-tradizione-il-resoconto/
Scuola Romana di Filosofia Politica//centro studi la runa Fondazione Julius Evola.
E’ davvero difficile per me, ricordare L. In questi giorni, ho dovuto farlo più
volte, intervenendo a pubbliche commemorazioni della Sua memoria, a cominciare
da domenica quando, in un gelido pomeriggio invernale, improvvisa e
sorprendente, ci è giunta la notizia della Sua dipartita, durante la
presentazione di un libro, alla quale avrebbe dovuto essere presente, come
relatore, anche lui. Immediatamente, il pensiero è corso al nostro primo
incontro, quando io, giovane studente di filosofia, lo conobbi in qualità di
assistente di Noce. Fin da allora, non si trattò di un semplice rapporto
professionale, in quanto Lami seppe trasmettere a noi giovani che lo
frequentavamo, l’amore per il sapere autentico, quello che si tramuta in
testimonianza, in vita. Mi coinvolse immediatamente in un progetto ambizioso:
quello di introdurre in un paese dominato culturalmente dalla Sinistra, il
filosofo della storia Voegelin, allora praticamente sconosciuto. Il risultato
di questa ricerca, alla quale ebbi l’onore e il piacere di partecipare in prima
persona, assieme a Borghi e pochi altri, si concretizzò nella pubblicazione di
una serie di antologie voegeliniane (qui è bene rinviare a Voegelin: un
interprete del totalitarismo, Astra), che fecero ampiamente discutere. Il
merito maggiore, conseguito da Lami, in questo ambito di studi, fu di
individuare nel filosofo austro-americano, un diagnosta della crisi della
modernità. In particolare, attraverso l’analisi e la traduzione di Ordine e storia,
opera monumentale, Egli presentò l’esperienza classica della ragione, quale
unica terapia possibile delle devianze neo-gnostiche contemporanee (si veda,
prefazione a VOEGELIN, Israele e rivelazione, Aracne, ma anche L., Introduzione
a Voegelin, Giuffré). Fece propria, in modo critico e originale,
l’eredità di Noce, secondo modalità più profonde rispetto a chi, tra i suoi
presunti discepoli, scelse, come il Maestro, una via di fede. La cosa, è
facilmente deducibile dalla lettura dell’organica monografia che egli dedicò al
filosofo cattolico (Introduzione a Augusto Del Noce, Pellicani), da cui si
evincono tanto la gratitudine per il discepolato e per gli insegnamenti
ricevuti, sostanziati da un metodo rigoroso d’analisi quanto le differenze
speculative essenziali, dovute alla valorizzazione filosofica, propria di Lami,
delle qualità virtuose dei singoli, nell’ambito pratico-politico. A questa
scelta, che peraltro individua, nello specifico, il campo d’indagine della scuola
romana di filosofia politica, che a Lui faceva e fa, tuttora, riferimento,
hanno fortemente contribuito gli interessi per gli autori dimenticati del
novecento. Tra essi, TILGHER e EVOLA. Al primo dedica un volume significativo (TILGHER,
un pensatore liberale, Seam), nel quale evidenzia il tema della pluralità delle
morali, come caratterizzante il pensatore napoletano. Ciò, secondo L., lo
avvicinava al filosofo tradizionalista, poiché il suo pensiero, individua effettive
vie realizzative in grado di determinare le tipologie umane dell’eroe, del
santo, dell’asceta, del saggio e del dotto. Sul secondo da alle stampe la prima
monografia filosofica: Introduzione a Evola. Un passo per la vita e un passo
per il pensiero, Volpe. Inoltre, quale collaboratore della Fondazione Evola, cura
diversi volumi della “Biblioteca evoliana” nei quali, come pochi, è riuscito a
contestualizzare storicamente l’opera del filosofo romano e a coglierne il
valore, in un lavoro esegetico sempre aperto alla comparazione. E’
proprio Evola, l’autore attorno al quale si sono dipanate, nel corso degli
anni, le nostre discussioni. Mi pare, infatti, che Egli leggesse EVOLA,
tentando, almeno su certi aspetti, di andare, con gli strumenti della
tradizione platonico-aristotelica, oltre le posizioni consuete a quest’ultimo,
interpretando, al medesimo tempo, la consolidata lettura di matrice cristiana
del pensiero classico, alla luce dell’esegesi evoliana. Stigmatizza sempre
negativamente l’abbandono, dovuto all’irruzione della visione del mondo
ebraico-cristiana, della dimensione civico-virtuosa, sulla quale la civiltà
romana tanto insiste. La cosa, è particolarmente chiara nello studio dedicato a
questo specifico tema (Socrate Platone Aristotele, Rubbettino), nel quale tenta
di presentare il simbolo epocale del mondo antico, la “vita contemplativa”,
come realizzantesi pienamente nella dimensione della Città, a testimoniare
della contrapposizione tra tensione utopica tradizionale, e scacco utopistico,
tipicamente moderno. Tema questo, attorno al quale spese le sue energie
intellettuali nel recente volume Tra utopia e utopismo (Il Cerchio).
Corrispondere a quella che è stata la via da lui indicata, ad un tempo ideale
ed esistenziale, a quella che egli definiva una filosofia dei pochi, del divino
e dell’ordine, è compito complesso e gravoso, al quale comunque, chi come me,
gli è stato vicino, non può permettersi il lusso di sottrarsi. Sarà la memoria
della Sua luce interiore, che accendeva anche negli studenti della “Sapienza”,
o in chi lo ascoltava nelle innumerevoli occasioni culturali per le quali tanto
lavorava, dai Convegni alle presentazioni librarie, a sostenerci nella Sua
assenza. Ma, più in particolare, l’idea di una tradizione sempre viva e
presente, che si realizza, addirittura nella comunanza dei vivi e dei morti,
come Roma (ma non solo) ci ha insegnato, e che rappresenta il suo testamento
spirituale più prezioso (al riguardo si veda, Qui e ora. Per una filosofia
dell’eterno presente, Il Cerchio. L’università di Roma, con Lui ha perso una
delle ultime personalità carismatiche, in grado di fare Scuola. Personalmente,
non posso che ringraziarlo per avermi onorato, in questo mondo, della Sua
amicizia, rara e preziosa: quella di un Signore. Tratto da Area. Grice: “Lami
touches some crucial points. For one, he criticizes Jowett for mistranslating
Plato. What Plato wrote is fair and simple, ‘Police’ – Politeia --. Lami as a
Roman hates the Pope – who does he think he is? The Papal dynasty is take in
that they cannot reproduce. So we must go to the civil-political organization
of the Romans, as seen from the the heroic ‘eta’ of Romolo. La citta. La Civilta. La tradizione. La tradizione
una. Espressione varie e tradizione una.
With the birth of
Christ, Roman words acquired new implicatures, for bad. Pagan started to mean
‘heathen’, and ‘ethnicus’ (ennico) more or less the same. Of course the old
Romans were anything but PAGAN or heathen – they did almost EVERYTHING for
Marzio, to whom they dedicated the downtown gym! (Campo Marzio). Lami knows all
this – and more --. Gian Franco Lami. Lami.
Keywords: la ragione degl’antichi, Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Lami” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Lampria: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
pugliese – scuola di Taranto – scuola tarantina – filosofia tarantina -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Taranto).
Filosofo italiano.
Taranto, Puglia. Tutor of Aristosseno di Taranto, although he seems to have
taught him music rather than philosophy.
Luigi Speranza -- Grice e Landi: la ragione
conversazionale e la semiotica economica – prinzipio di economia dello sforzo
razionale – filosofia lombarda – scuola milanese – scuola di Milano -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “I would call Landi a Griceian; but
he’d call me a Landian!” Studioso della dottrina del ‘segno,’ vis-à-vis- scienze
umane e antropologia, apportato un notevole contributo agli sviluppi alla
semantica (senso) e la pragmatica (prassi, pratica – ragione pratica) -- crt,
cercando di unificare la dialettica romana e fiorentina con quella oxoniense. Diplomato al Regio
Liceo Ginnasio Alessandro Manzoni, si laurea a Milano. Studia a Pavia. Insegna
a Padova, Lecce. Riceve, e Trieste. La sua opera si può suddividere in tre
fasi. La prima riguarda studi su la prassi (ragione pratica), nonché l'analisi
dei processi di “segno.” La seconda fase propone una teoria della “produzione”
del segno intendendola come teoria del lavoro cui fondamento è l'omologia tra
la teoria del segno e so-miscalled aeco-nomia. (cf. Grice, P. E. R. E.). La
terza fase studia l'intricato rapporto tra il segno e la ideologia e teorizza l'”alienazione”
dell’usuario del segno (ego/alter/alien). Opere: Pratica communicativa (Bocca,
Milano); “Segno” (Manni, Lecce); “Significato, comunicazione e parlare comune,”
– cfr. Grice, “SignificARE, communicARE, impiegare, implicARE, -- ‘common’ is
Landi for Grice’s ‘ordinary’ as opposed to extra-ordinario. Marsilio, Padova. La
semiotica e “Segnare” come lavoro e mercato,
-- cf. Grice against an utilitarian and pro a Kantian account of the rational
effort – but remarks in the “Retrospective Epilogue” about his concern with
‘rationality’ as being co-operative. And Grice’s remarks about the independence
of the two thesis: semiosis as rational and semiosis as cooperatively rational.
Bompiani, Milano, Segno ed ideologia
(Bompiani, Milano), “Segnare” (Bompiani, Milano); “Ideologia” (Mondadori,
Milano); “Metodica filosofica e semiotica -- scienza dei segni, o teoria? – cf.
Grice on philosophical psychology,’ folk science of psychology – ceteris
paribus – ‘law’ of the science of psychology --. The laws of psychology – “That’s why we call them
‘psycho-logical’ concepts, or theoretical terms, -- psychological theory --. Theory Th. (Bompiani,
Milano). Cf. Grice on the boundaries of ‘mean,’ and the idea of ‘consequence,’
y is a consequence of x, x means y. Il corpo del testo tra riproduzione sociale
ed eccedenza, Scritti su G. Ryle e la filosofia analitica” (il Poligrafo,
Padova); “Semiotica Filosofia del linguaggio
su ferrucciorossilandi.c om. Grice: “Landi takes economics seriously, as did
Aristotle – unfortunately, those researching onto Landi hardly quote from
Aristotle!” “While the Italians think that Landi is being very Original, we at
Oxford don’t! Game theory, strategy theory, and efficiency theory are all basic
to ‘oeconomica’ in most pragmatic models of efficient communication – “Information
is like money!” – Cf. la teoria del valore e le formulae dell’egoismo,
l’altruismo o non-egoismo, Meinong. Teoria
formale del valore. I valori egoistici risultano espressi con le lettere T e e
te1 Hay Ja, Un Un,, Tv Uy. Gli valori altruistici sono espresso con le lettere:
i. I valori neutrali sono espresso colle lettere : Ym. Siccome non si propone
di dare una teoria compiuta dei fatti concomitanti di questo o quello valore,
ma solo di ANALIZZARE tal unicasi va
speciali, così, quando adopera i simboli senza l'indice soscritto,
intende significare il valore egoistico – con la lettere ‘e’ sottoittesa.
Questi simboli possono esprimere questo o quello BENE, ma anche questa o quella
volizione a questo o quello BENE riferentisi. Per indicare una volizione, si
adopera il stesso segno *fra parentesi quadratti*. Infine, si suppone, di
regola ceteris paribus,che la circostanza concomitante sia sempre una sola, la
quale, insieme alla volizione, formi ciò che chiamamo il “bi-nomio” della
volizione. Se le circostanze sono più, allora si forma un “poli-nomio” della
volizione. La precedenza di una lettera in un binomio o un polimonioindica il
valore principale, sia desiderato o sia attuato. In che modo i fatti
concomitanti del valore sono connessi collo scopo della volizione? Siccome ogni
scopo di volizione è anche un oggetto di valutazione, la domanda può formularsi
così. Come i valori possono entrare in connessione tra loro? Si noti però che
la connessione deve stabilirsi prima del cominciamento della volizione, giacchè
questa volizione deve tenerne conto. Le co-esistenze casuali restano
naturalmente escluse. Tra lo scopo dellla volizione e l'oggetto della
valutazione concomitante possono correre varie relazioni. C’e una relazione
d’identità. Ciò che il artista o un
politico come Mussolini crea non soddisfa lui SOL tanto, apparirà sempre in
qualche modo come un BENEFICATORE di tutta una sfera di uomini – la nazione
italiana. C’e una relazione di CO-ESISTENZA di più qualità di una stessa cosa,
o anche di più cose. Per esempio, un tale VUOL comprare un piano che ha (+) un
bel tono. Ma il piano ha anche (-) una cattiva meccanica. O un cane da guardia
molto vigile (+), il quale però morde (-). O una macchina automobile che lavora
bene (+), ma che fa rumore e fumo (-),ecc. C’e un nesso causale, nelle sue due
forme: a) lo scopo è CAUSA di conseguenze valutabili. Il politico chi, per
esempio, promuove il movimento e l' industria dei forestieri, mira ad
arricchire la sua nazione (+), ma anche la de-moralizz (-). b) lo scopo non si
può raggiungere che come EFFETO di dati valori morali. Per esempio: un
fabbricante per . Ora torniamo alla domanda principale. In che modo il
valore morale di una valutazione dipende dai valori concomitanti, e,in caso di
un simple bi-nomio della volunta, dal valore concomitante? Abbiamo distinto
quattro categorie di valori, “g”, “T”, “u”, e “u”, le quali si applicano anche
ai fatti concomitanti. Però il caso u si può omettere, perchè non accadrà mai,
CHE SI VOGLIA UN PROPRIO NON-VALORE PER sè stesso. Rimangono così tre
possibilità, le quali, liberamente combinate, dànno *dodici* casi che costituiscono
la tavola dei valori. Per l'esame di questi casi bisogna pensare che ad un
oggetto di volizione si aggiungano gli altri come fatti concomitanti, e
osservare le variazioni di valore che questo intervento produce. La VOLIZIONE
‘POSITIVAMENTE ALTRUISTICA’ (benevolenza e beneficenza) è data da una formula.
Il momento più importante è qui l'associazione della circostanza concomitante
u, IL PROPRIO DANNO. È evidente che l'aggiunta di questo secondo momento
accresce il valore di (i) e di tanto, quanto più grande sarà il sacrificio
proprio. Indicando il valore con “W”,si avrà dunque: W(ru) > WV. Se invece
si aggiunge “u”, IL DANNO ALTRUI, sia dello stesso beneficato (quando il
beneficio produce pure un MALE al beneficato), sia di persone estranee al
rapporto (quando per beneficare uno si danneggia altri), allora il valore della
volizione con questa circostanza concomitante diventerà minore. E la formula
sarà: W(ru) < W(r). Se la circostanza concomitante è pure in favore del
beneficato, allora la formula sarà indubbiamente: guadagnare di più deve
migliorare la condizione materiale dei suoi operai. W (rr)> Wr.
glianze. Invece L’AGGIUNTA DEL VANTAGGIO PROPRIO AL BENE ALTRUI nè
diminuisce, nè aumenta il valore. La volizione egoistica è espressa dalla
formula, la modificazione più grave qui si ha, quando al caso si aggiunge la
circostanza del MALE ALTRUI. Allora si
avrà: W(gu)<W(9). Se la circostanza concomitante è invece “r”, il valore
della volizione egoistica si eleva: W(gr) > W(g). Che poi alla volizione
egoistica si aggiunga la circostanza secon aria di un ALTRO PROPRIO VANTAGGIO
(plusvalia) o anche di un proprio danno, non modifica il valore di (g). Si
avranno quindi le due egua W (99)= W (g)= 0 W(gu)= W(9)=0. Così pure si aumenta
il non-valore, se oltre al danno principale si aggiungono altri danni. Epperò:
W (UU)< W (U). Per quanto il caso sia inusitato, si può prevedere anche, che
al male altrui si associ una qualche conseguenza buona, indiretta, W
(rg)= Wr. La volizione altruistica negativa o anti-altruistica è espressa con
una formula. Se per attuare il danno altrui, si fa anche il danno proprio u,
questa circostanza aggrava il male e aumenta il non-valore: W (uu) < W
(u). W(UY) > W(u). Il fatto concomitante della propria utilità non
aggiunge nè toglie al valore della volizione principale anti-altruistica. Si
avrà quindi l'eguaglianza: W (ug)= W u. La somma dei risultati ottenuti si può
disporre in un Quadro. W(rr) > W(v)? W(gr )> W(g)? W(ur)> W (U)?
W(yg)=W(r) W(99)=W(g)=0 W(ug)=W(U) W(ru)<W(Y) W(gu)<W(g) W(UU)<WU)
W(ru)>W(V) W(gu)=W(g)=0 W(uu)<W(U). Da questo quadro si rileva che le
circostanze concomitanti con segno negativo non sono più feconde di effetti di
quelle con segno positivo. Di queste ultime, “g” non modifica nulla, e “r” non
dà risultati sicuri, come indica il punto interrogativo. L'influenza dei fatti
concomitanti si può dunque riassumere così. Agisce aumentando debolmente il
valore. ‘g’ non modifica nulla. ‘u’ diminuisce grandemente il valore. ‘u’ opera
secondo lo scopo della volizione -- ora aumentando, ora diminuendo e ora
non-modificando il valore. Si è già detto che sarebbe uni-laterale il voler
giudicare del valore morale di una volizione dallo scopo ;che però, in quanto
lo scopo prende parte alla determinazione del valore, l'altruismo positivo è
buono, L’EGOISMO è INDIFFERENTE. L’altruismo NEGATIVO (malevolenza e
maleficenza) è cattivo. Ora è importante constatare, che il senso in cui i tre
momenti valutativi operano sui fatti concomitanti è completamente lo stesso La
validità della tavola dei valori, dianzi tracciata, ma pure prevista.
Allora il non-valore si ridurrà, nel modo indicato dalla in-eguaglianza:
subisce variazioni, se cambia la qualità della volizione? Itendendo per qualità
la differenza tra appetizione e repulsione, che però non deve equipararsi a una
contra-posizione logica tra affermazione e negazione, i cui termini si
escludano a vicenda, ma considerarsi come una doppia possibilità psicologica,
di cui l'una abbia altret tanta realtà indipendente, quanto l'altra. Un'analisi
della NOLIZIONE mostra, che esse si comportano egualmente come la volizione,
solo che si applicano di regola ai valori “T”, “u” ed “u”, RITTENENDOSI ASSURDO
(IRRAZIONALE) IL NON VOLVERE IL PROPRIO VANTAGGIO ‘g’. Indicando le nolizioni
con (T) (ū) (T) = (non- T) = (U) (U = (non-- U) = ( ) (ū)=(non u) = (g). Lo
stato subbiettivo di rappresentazioni ed i predisposizioni anteriore alla
volizione è indicato con il concetto di “Progetto”. E siccome in questo stato
abbiamo supposta anche la cognizione delle circostanze concomitanti valutabili,
così al binomio della volizione o al polinomio della volizione corrisponde un
binomio o un polinomio del progetto. Per indicare questi stati si adopera gli
stessi simboli *senza la parentesi quadratti*. Osservando le volizioni in
rapporto agli stati predisposizionali, l'analisi delle valutazioni dei fatti
concomitanti può rendersi più esatta. (ū) si possono fare le seguenti
sostituzioni, che aiutano a trovare il corrispondente valore nella tavola
relativa alle volizioni. Si ponga, per esempio, un bi-nomio iniziale della
volizione “uu”, che esprima il mio desiderio di far male, al momento opportuno,
a una persona, ma che non mi sia possible evitare, ciò facendo, conseguenze
dannose pe rme,u. Se ildesiderio di non danneggiarmi prevale, allora non si
avrà più il binomio (uu), ma l'altro (ūr), il quale dice che la volizione è
risultata nel senso di non volere il male proprio, pur ammettendo che questa
volizione abbia per circostanza concomitante y, cioè il bene altrui. In forma
positiva la volizione finale sarà (gr). E così da una situazione iniziale
negativa “vu” si riesce nella opposta gr (1). Questi sono i co-ordinati fra
loro due bi-nomi di progetti, dai quali procedano due volizioni formalmente
concordanti. Anche i due bi-nomi di queste volizioni saranno coordinati fra
loro. Essaminemo la coppia dei due binomi yu-gu, dei binomi, cioè, che hanno la
maggiore importanza pratica. Il primo bi-nomio esprime l'altrui bene col
proprio danno. Il secondo bi-nomio esprime il bene proprio col danno altrui.
Nel primo rientrano, nel senso o grado *massimale*, tutte le occasioni in cui
si può affermare la grandezza morale di un uomo (magnanimita). Nel senso o
grado minimale, i casi della più comune fedeltà al proprio dovere (to do one’s
duty). La sezione di linea dei valori morali che comprende il MERITORIO e IL
CORRETTO è tutta espressa da questo bi-nomio del Progetto. Laddove la sezione
che va dal punto d'INDIFFERENZA al TOLLERABILE e al RIPROVEVOLE corrisponde
alla negazione di questo binomio del progretto. Nel binomio “gu” sono espressi
tutti i casi che vanno dal più SANO EGOISMO alle negazioni più delittuose
dell'altruismo. Reciprocamente, la rinunzia a siffatte volizioni va dal
semplicemente dove ROSO ALL’EROICO. Le volizioni che procedono da questi due
bi-nomi comprendono adunque tutte le quattro classi di valori, caratterizzati
in principio. I due bi-nomi anzidetti suppongono un CONFLITTO (non
coooperazione) fra l'interesse proprio e l'interesse altrui. È evidente che
dalla grandezza di questi interessi, dalla portata di “g” e di “Y”, dipende il
valore morale della valutazione. I momenti “u” e “u” s'intendono compresi nella
negazione di “g” e “y”. Intanto è certo che il VALORE EGOISTICO in cui “g” è
congiunto con “u”, “W(gu)”, si trova sempre al di sotto del zero della scala,
ed ha segno negativo. Mentre il valore altruistico in cui è congiunto con “u”,
“W(ru)”, si trova al di sopra del zero ed ha segno positivo. Ciò posto, la
funzione valutativa tra i termini dei due binomi dei pogretti si può scoprire
agevolmente con una semplice osservazione. Sacrificare un piccolo interesse
proprio a un grande interesse altrui ha un VALORE POSITIVO MINORE che il
sacrificare a un piccolo interesse altrui un grande interesse proprio. D'altra
parte chi non pospone a un grande interesse altrui un piccolo interesse proprio
produce un non-valore morale più basso, che non colui il quale per una utilità
propria rilevante non tien conto di utilità altrui tras curabili. Questo
abbozzo di una LEGGE del valore si può esprimere nelle formule, nelle quali “C”
e “C'” indicano le costanti proporzionali sconosciute, condizionate dalla
qualità delle due unità “g” e “r”. Nell'applicazione di queste due formule
all'esperienza si rendono necessarie talune modificazioni. Se poniamo I valori
“r” o “g” eguali ai limiti 0 e 0,allora i calcoli diventano molto esatti. Per g
per g. L’ESPERIENZA NON è però SEMPRE D’ACCORDO CON QUESTE FORMULE. Ognuno
ammetterà che l'adoperarsi nell'interesse altrui si accosti l punto morale
d’INDIFFERENZA, quanto più grande è quest'inteesse; e che il trascurarlo
divenga nella stessa misura RIPROVEVOLE, “u” pposto costante e limitato
l'interesse proprio da sacrificare. È F, 1 W(ru) = Cg -0 Y Y g W (gu) = -
C per r = 00 per r = 0 lim W (ru) = 0, lim W(ru)= 0, lim W (ru)= 0 limW(ru)= 0,
lim W (gu) = - 0 0 limW (gu)= 0 lim W (gu)= 0 lim W (gu)= – 00. pure evidente,
che la trascuranza di un interesse altrui diviene tanto più INDIFFERENTE quanto
più IRRILEVANTE è questo interesse. Epperò non si ammetterà da tutti, che il
valore dell'altruismo di venga allora infinito, come nella seconda formula.
Osservando però bene, questi casi non rientrano nel campo della morale. Si
contrasterà pure che il valore del sacrificio di un bene proprio per l'altrui,
cresca colla grandezza del bene sacrificato (formula terza). Ma l'esperienza
prova che l'esitazione al sacrificio si fa maggiore quanto più grande è il bene
cui si sta per rinunziare. Invece è da riconoscersi che non è esatta la quarta
formula. Non si può negare ogni valore al bene che si fa ad altri, solo perchè
NON si determina un CONFLITTO con un bene proprio. Le formule anzidette si
debbono mitigare nella loro assolutezza, perchè si accostino di più alla
realtà. Per far ciò, basta attenuare il valore di “g”, il che si può ottenere
aggiungendo a “g” ogni volta una costante “c” o “c '”. Queste formule non modificano i limiti
funzionali dianzi ottenuti, ponendo r = 00, T = 0 0 g = 00. Cambia bensì la
formula del quarto limite. Se g= 0: lim W (ru) = C, lim W(gu) = - ' Sin qui
abbiamo considerato l'una variabile IN-DIPENDENTE dall'altra. Che avverrà però,
se le variazioni si compiranno in entrambe le variabili congiuntamente,
supponendo che “r” e “g” rimangano uguali fra loro per grandezza di valore?
Sostituendo a “g” il simbolo “r”, le formule diverranno altri. Si avranno così
le formule. Tr W (ru) = 0 9 + c g +di e
Y W(gu)= W(gu)=-C' ito Y W(ru)= C y- to' . Da questo risulta che il non-valore
deve crescere e diminuire nello stesso senso o grado limite di “r” e “g”, e il
valore in senso o grado di limite contrario. Consultando l'esperienza, si può
riscontrare agevolmente che un oggetto, per esempio un dono, abbia lo stesso
valore per chi lo dà e per chi lo riceve. Ora si domanda, regalare di più avrà
un valore più alto o più basso del regalare di meno? Senza dubbio più alto. E
se si contrapponga vita a vita, CHI SACRIFICHI LA PROPRIA VITA per conservare
quella di un altro, suscita di fatto grande ammirazione. QUESTO è però IL
CONTRARIO DI ciò che quelle formule esprimono. O “c” corre adunque correggere
le formule e per far ciò introducemo un esponente di “g”, più grande
dell'unità, e lo indicamo colle lettere “k” e “k'”. Le due formule diverranno
così, rimettendo “y” al posto di “r”. Sicchè si avranno i seguenti limiti. A
questo punto, il concetto di limite non hanno più bisogno di alcun'altra
correzione. Per semplicità di espressione ponendo C= 1ek =2, la formula del
binomio divienne W(gu)= T. È questa una formula a discuttere. . g2+1 ghto Y
gkilt o W(gu)= W (ru)= C per r= 9 perr= g= 0 T g2+1 W (ru)= e Y e limW(ru)=00
lim W(gu) = 0 limW(ru)=0 limW(gv)=0. Preliminarmente non si ne ricava alcune
conseguenze. Ogni pr getto offre a colui, che dovrà reagire con una volizione,l
a doppia possibilità di fare o di tralasciare. Le due volizioni staranno,
secondo la formula principale or ora ricavata, in un rapporto di
RECIPROCITà negativa, per ciò che ri guarda il loro valore morale. In secondo
luogo, siccome una volizione di grande valore (positivo o negativo) o e MERITORIA
O RIPROVEVOLE. Quella volizione di piccolo valore o e CORRETTA o TOLLERABILE,
così potrà dirsi in generale che quanto PIù DISTANTI sono il NUMERATORE E IL
DE-NOMINATORE della formula in una scala ordinale (1, 2, 3, … n), tanto più il
valore della volizione e indicato dalle parti estreme superiore o inferiore
della linea dei valori. Quanto più vicini o meno distanti sono invece quei
numeri, tanto più l'indice del valore cadde verso il punto di mezzo di detta
linea. La formula si applica inoltre anche ai casi di una volizione I cui scopo
non siano accompagnati da circostanze concomitanti. Basta ridurla. W(9)=0(1).
UU. Mentre la prima coppia esprime il caso di CONFLITTO D’INTERESSI, la
caratteristica della seconda formula è la CONCOORDANZA O INTERSEZZIONE O COOPERAZIONE
O CONDIVIZIONE gl'interessi propri con gli altrui, positive, o, come nella
guerra o il duello, negativi. Se il
progetto offre l'occasione di congiungere con la mia utilità l'altrui, o se mi
rappresenta un pericolo altrui nel quale scorgo un pericolo mio, la volizione
corrispondente e espressa con (gr). V'è però anche la rappresentazione del
desiderio di un male altrui, cui si associa anche la previsione di un danno
proprio. La corrispondente volizione e espressa con “(uu)”. Il conflitto qui
non esiste fra “g” e “y”, ma fra “g” e”v”, cio è fra “g” e -Y Questa
riflessione ci fa subito applicare al caso attuale la formula principale del
primo binomio. Così, go+1 Y. W(uu)= W (Y)= >. Passamo ora ad esaminare un'altra coppia di
binomi: gr g+1 1 T (go+ 1)r.
Mantenendo anche in questo caso il principio della RECIPROCITà negativa dei due
binomi di progetto, l'altro binomio diverrà epperò la seconda formula
principale così ottenuta e (1): W(uu)= -(g2+ 1)r. Le costanze rilevate in
queste formule dimostrano sufficientemente che il valore morale è in relazione
tanto con lo scopo principale della volizione quanto con i fatti valutabili
concomitanti, com’era di sperare! Ferruccio Rossi-Landi. Landi. Keywords:
implicature. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Landi,” The Swimming-Pool Library,
Villa SPeranza, Luigi Speranza, “Grice e Rossi-Landi a Oxford.” Luigi Speranza, “Grice’s
principle of economy of rational effort and Rossi-Landi’s economical
semiotics.” Luigi Speranza, “Grice and Rossi-Landi: over-informativeness and excess:
the implicature” – The Swimming-Pool Library. Landi.
Luigi Speranza -- Grice e Landino: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della sforziade degl’italiani –
filosofia toscana – filosofia fiorentina – scuola di Firenze – scuola
fiorentina -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Grice: “I love
the way a philosopher can be judged by his fellow citizens and by furriners:
Landino’s “De Anima” fascinates the Germans, for example! While his poetry
fascinates the Americans, as I Tatti testifies!” Nacque da una famiglia originaria di Pratovecchio,
nel Casentino, e compì gli studi in materie letterarie e giuridiche a Volterra.
Gli venne affidata presso lo Studio fiorentino la cattedra di oratoria e
poetica che era stata del suo maestro Marsuppini: L., sostenuto dai Medici, e
stato avversato da non pochi personaggi in vista, come Rinuccini e Acciaiuoli.
Tra i suoi allievi ci furono Poliziano e FICINO (si veda). In quel periodo
ricopre anche incarichi pubblici, facendo parte della segreteria di Parte
guelfa e della prima Cancelleria. Tra i suoi viaggi, spicca quello a Roma.
La sua Xandra e una raccolta di componimenti dedicata inizialmente ad Alberti e
de' Medici. In campo filosofico scrisse III dialoghi: il De anima, le
Disputationes Camaldulenses e il De vera
nobilitate. La maggiore fama nei secoli di L. e però legata alla sua attività
di commentatore dei classici. Diede alle stampe il Comento sopra la Comedia di ALIGHIERI,
su ORAZIO e su VIRGILIO. Traduttore dal latino in fiorentino della Storia
natural di PLINIO e la Sforziade di Simonetta Il volgarizzamento pliniano e un
vero e proprio evento. Per la prima volta la plebe puo leggere la più
importante e vasta enciclopedia del mondo romano -- tra i suoi lettori Pulci,
Colombo e Vinci. Per i meriti acquisiti, la signoria fiorentina gli assegna una
torre nel Casentino e una pensione. Venne ritratto tra illustri
fiorentini a lui contemporanei da Ghirlandaio nella Cappella Tornabuoni di
Santa Maria Novella. Altri saggi: “Orazione alla Signoria fiorentina incipit
della Historia naturale tradocta di lingua latina in fiorentina”; Xandra, “De
anima”; “Disputationes Camaldulenses; “De vera nobilitated”; “Comento sopra la
Comedia di Dante”; “Commento a Orazio”; “Commento all’epopea eroica di Virgilio”;
“Historia naturale di Caio Plinio Secondo tradocta di lingua latina in
fiorentina al serenissimo Ferdinando re
di Napoli”; “Orazione alla Signoria fiorentina quando presenta il suo Commento
di Dante, Firenze, Niccolò di Lorenzo, Formulario di epistole, Firenze,
Bartolomeo de' Libri. Il testo si può leggere in edizione critica. Carmina
omnia ex codicibus manuscriptis primum edidit A. Perosa (Firenze); “Disputationes
Camaldulenses” Lohe (Firenze, Sansoni); C “De vera nobilitate, M. T. Liaci, (Firenze,
Olschki); R. Cardini, La critica del Landino” (Firenze, Sansoni). Dallo stesso
studioso è stata allestita la raccolta: C. Landino, Scritti critici e teorici,
Cardini, Roma, Bulzoni, Comento sopra la Comedia, I-IVProcaccioli, Roma,
Salerno editrice, Questo commento è stato solo parzialmente edito (la sezione
relativa all'Ars poetica): Cristoforo Landino, In Quinti Horatii Flacci Artem
poeticam ad Pisones interpretationes, G. Bugada, Firenze, Sismel, R. Fubini,
Quattrocento fiorentino. Politica, diplomazia, cultura, Pisa, R. M. Comanducci,
Nota sulla versione landiniana della Sforziade di Giovanni Simonetta, «Interpres»
Uno studio complessivo, sia filologico sia storico-culturale, dell'opera in A.
Antonazzo, Il volgarizzamento pliniano” (Messina, Centro di Studi Umanistici). Questo
testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza
in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di
Firenze, Orazio, “Artem poeticam ad Pisones interpretationes. G. Bugada,
Firenze, Sismel-Società internazionale per lo studio del Medioevo latino, Galluzzo,
Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, Dizionario
Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, A. Antonazzo,
Il volgarizzamento pliniano Messina, di
Studi Umanistici, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Lee Sorensen. ALCUIN, Ratisbona. Liba secundus u
aut Eandetn otionanft in anibus denrchedas. Ars enim natnratn quoad ua
Itt feropq imitatur. Sed nefeio quo pado cum de eqmalo quod iti vita
Kiriorio iMispa natura nucttigadum nobis propofuannus:iam fecundo in
naturam rela« bor.lta^ bacomifla ad illud tademrueamusipcimunique omnibus PHILOSOPHIS
omnibmi cbtifiianis audoribus non in eo quod ab ad ione proueninfcdin fo»
h ratione coUocemus. Non enim quid fadum iinfed qua mente fadum animad
uettunt. Quapropter quatuor ueluti principia ponunt. Cum enim fe nobis
ilu quid offert: mouctuc ea te fic oblata uis quzdam animorum nofttorums ut
illam cognoscat: tandem p decernit aliud bonum efTc aliud contra maium. Quapto ptrrcumiam
feferes obtuleritrcum iam fecundo loco (it de ea iudicium fadumt adtamr
tertio loco uoluntast ut hoc quidem fequamur. Illud vero fugiamus. Qua
quidem uoluntate ita iubente motus poftremo in corpora infurgut : ut id
tncmbræzc quantur quod noiunusancea de creuerit.Ncffi igitur a duobus
illis ptimisprindpiisnetp ab boc poftremo uitiumfpedatur:led a voluntate
qua in ordine tertiam pofuimust. Non enim eo Verres pcccauit quod tabulz
ftgnac ac reliqua ftculorum preriofilTima fupeliez illi fefe of Ferreti Non
rurfus quia iudica ret forefibi ex ufu huiufccmodi ornatu abundaretfcd
quia rapere uoluit cu uf«p adeocz fola uoluntate res pendat: ut etiam ft
non rapuerit :tamen quia rapere uo luerit fitelus commifllim fitx Non
enim interfecerit ne an non interfecerit: fed uo lueiitne interficere in
culpa eft:Defueruntuires. P.CIodio quominus Annium Milonem oeddere pof Tetx.
Qua quidem in re fi naturz uitium quzras t pcccauit ea uis:quzmentis
propofitum non implcuit:fi uero ad morem teconuertas non aduscorpord
motus fed uoluntatis adus crimen concipit: Dicetur iure homi dda Clodius
quia Milonem uoluit ocddere: Fac autem ocddifte cum minime ta men
uoluerit exddere ftarim crimine abfoluetur. Qui enim non ex uoluntate:
fed uel ex infirmitate uirium quas modo pofiii vel ex insdiia rem quampiam
c6 mittunnii non modo culpa carent: uCTum etiam cdmiseratione fzpistime
digni putanmr. Quis enim cum illud de Cephalo in procrin legit etiam fi
fabulosum putetmon iolum illum crimine liberat: Sed fumma
infupercomifetatione profe quituRcum animadvertat hominem ex infdria dum
feram uulnerarc putat: ca tifiimam fibi coniugem percu Eiffeteuius morte in summum
moerorem acludu paulo postcafuruseifett Vides igitur auolutatisadu ueluti
a fua origine uitium in monbus flum: Verum cum iam conftet imbedllitatem
adionis prouenire ex infirmitate primi agentis rem hanc planius
exponendam cenfeo: Videamus ita in quo defidatuoluntas ante commifllim
fadnus. Qui quidem defedusfibi a natura non erinfemperenimadbzrct/ femp pcccaret:ne
rurfus eftcafu bc for luna:eflet enim extra nos. Est igitur
uOluurius.S'ed ut uideasundeifit error boc ædpe. Visdus rd quz agit ab eo
agente perficittu quod fupra fe eft: Donec enim id quod fecundo loco agit
perfeuerat in ordine primi agentis munus fuum abfo lute
peragit:Sinautemao illo declinet nullum iam remedium eflqn aut fiatim aut
paulo poftdefidattin gyrum uertitutdrculus qui manu humana torquef. Hic idem fi
nunu dedinet a mom ceflabit. Ergo igitur ut ad rem redeam nupa dicebam
duo cflic pdndpiarquæ uoluntatcm aateire ntt Res quz fefe nobis oSu a :
k [ t Oerumniobonp nttitt K uii gucdam ilfas oblatu
fufdpiatt At cum qiiicgd bnhi!!»ttb£ A Ut moueri poffifaliguidhabeat
proprium a quo moucaturmoo omnis pcrap et di uis omnem appetitum mouebit.
Nim quz fmlibilia percipit cum dutaiatape petitum qui a renfibus e(i
mouere ualai Ratio autem proprie uoluntatem mouc biti Rurfuscum latio varia
bonorum genera percipere poiritcuiuilibetautcm et proprius finist Etit uoluntatis quoque pprius
nnis k primum quo moueatiu n5 bonum quodlibetifed certum aliquod ac
pncfizum.Siigit" mensnofira acuolo tas perceptione eius
rati6ismoueac7quz tedum bonorum malotu iudiciui B teneat reda indeadio
exorictur. Sinautem ab iis ezorit" quz falfo fenfuum iudb do bona
efle deæta Tunticum minime flnt bona Ibtim peccat in uiu 6tmorib9
uoluntas. Peiueriio igit" ordinis qui est ad rationem et ad proprium finem
gignit peccatum in adione. Ad rationem quidem cum ad fubium fec fiis
perceptionem voluntas fertunin id quod fi rede pcrfpidas bonum non efiifcd
quia fuis ilicee brisrcnrusdemulfitia Dillis bonum iudicatat. Efirurrus cum
ratio ipfa minime decepta id bonum efle decemittquod uere bonum dici
potcft.Hcx tamen tepore aut hocmodo bonum efie negatur. Voluntas tamen in id
fertur nu llam ordinis tanonem babens.huiufccmodi igitut ordinis per uerfio
uoluntaria eih pptc reaqi uitio non carets Loquacior fortalTc fum q par cfi in
natura mali. Addam tamen ex iis argumentationibus quibus demonftracum efimalum
nullam efienda am eflesati ob eam tem per fe fubfifierenon polle: facile
animaduerti id aliquo in bono feroper efle oportere: Verum idem hac quoip
ratione probatur. Cum malum dicimus priuationem dicimus:hoc enim iam
conuicnPnuatio autem ipla K foima qua res priuatut in eodem funt.ld autem
quod formz fubiidtur huiuTce modi cil ut fua natius facultate formam
fufeipere ualeat. Hoc autem quis bona negabit cum eodem in genere et ipsa
sive facultas sive potentia Scadus qui inde cll omnino confilhnt. Prxterea
malum ta folum ratione malum didiT quia nev cct. At non ncKct malo. ElTc
enim bonum fi malo pemitirm afiFcrrct. Nocet igitur bono. Nonautefi de
rei forma loquamur noceret nifi in eoelTet. Quzenimcz citas polyphcmo
nocebitinifi fit in polyphemo excitas. Verum cum uulum boa no opponatur quo
pado utn idem erit fubiedum.oppofiro 9 t enim altc/alte tum pellinhoc fi
dicas ita tibi refpondebo.Quicquid ens did poteft idem 8C boa num
dicitunNon autem abfurdum cll ut non ens in ente fit:quzlibct enim ptia
uatio in aliqua elTentia c(l:quz cll ens tamen non efi in ente fibi oppofito.
Si enim czeitatem dico hoc non eos comune quide minime eft ut uifum ubi^
tola lat:Ergo non ell in uifu uelud in fuo fubicdo fcd in animaote. Q_ux quide
om nia eo teduntiut non pofliit iu fummum malum inueniri:ut inuenitur
fummn bonum.Quod enim fummum malum fututum fit id fine alicuius boni
cofora tio elTc oportet. At nullum malum a bono omnino feparatu efle
inuehies. C^ua doquidem ut paulo ante ofiendimus fuas in bono radices
malu egit: et in eo luu ut Ita loquar fundamentum iedt:Ptztctea fi mihi
dabis aliquid fummum malis fututum effe id ita fua eflentia malum futurum
erit/ut fua eflenda fummum bo num clfc uidemus. At malum eflentiam nullam
babæ iam demonfiratu efi. Ita quod ptiouUD pdndpiii eft eus cflcpo^too
cogn ellet pti IaP.Vitg«M.AIl^o.Liba tettius cipranificflct caura iitidepcadcrettt
Dafiautcaurambotiucfre dirimus. A 4 de et boc^uTa enim qux per fe caufa
diatunfcmpcr prior eft illa quz per accidens caula dicitur. At malum non
efi caufa niri per accidens.Non igitur inuenimr (u Inum malum.Hatc funt
quæ de plurimis longecp «ccllenrioribus quz Leo Baptista memoriter diluride ac
copiose in tantorum uirotum confriTu difputauit t mcminil Te ualui.ln
quibus cum abunde Laurentio fatilTadum efletxfol^ ia me*
ridiemalccndi(ret:nos omnes ita adbottante Mariotto hofpite libeta Mimo
to» Kzimusiillumf fecuti ad tefidenda corpora difi:ellimus. L.
CAMALDVLENSLVM DISPVTATIONVM AD ILLVSTREM FEDERICVM VRBINATVM PRINCIPEM IN P. VIRGILIO
MARONIS ALLEGORIAS. Um Satuissem cum fermonem illustrissime Federice
litteris mandate quem Leo BAPTISTA Albertus no sine summa oiumquia et
erunt admirarione: at(^ftu porede iis Homeris
habuiflct inqbus. VIRGILIO j fundiflimam illam fcietiam i occultatcqua
fummu bois bonum diuinitus defcribit et quU uia ad id Hcircamur mirificc
exprimit: uercbar ne in nonui 1 holum reprehcnlionem incidcrem:qui cunria
ex fui ingenii imbecillitate tnericntcs et Maronem ipfum nihil przter
fabellas:quibus ociofas auditoru au icsdcledaret cdmctum ræ credant et
nos pro arbitrio nodro quz dicimus ottu uia finxilTe exifiimcnt. Qui
quidetn fi quid poctz fint: fi quam eorum origo ue tufia appareat fecum
teputentifi q magna/q uaria dodrina plurimi in eo artifii< rioflorucrint confidcTcnncogoofccnt
profedoid quod grauil Timorum PHILOSOPHORUM iudido comprobatum uidemus nullum
efie feriptorum genus : qui autmagnitudine cloquentiz.aut divinitate
iapictiz poetis pates fuerintr Qua quidem ce ARISTOTELE virum excellenti
ingenio et doctrina pofi PLATONE om nino singulari motum crediderimrut
eofdem prifds temporibus theologos poe tafi} fuine a£btmet;Et profedo fi
poesis ipsa quid sit diligentius inturamur: fad k erit nofle non cfle
illam unam ex iis artibusrquas noflri maiores quoniam reli quis
excellentiores funt libctales appcllarunnin quarum una altera ue fiqui 0 o lucrunttin
maximo funt femper pretio habiti:fed cfi res quzdam diuiniortquz universas
illas compledcns certis quibufdam nu meris aftridatcerris quibufdam
pedibus ptogrcdienstuariifi luminibus ac floribus diftinda quzcutp
homines qjotnt quæcn norint: quzeu contemplati fuerint: ea miris figmetis
exoractr atip in alias quasdam spedes traducattut cum aliud quippii multo
inferiusimul (09 humilius narrare uideantur:aut cum metas fabellas ad
ceflantium aures ob kftmdas ludere credantur:tum maxime cxcclla quzdatfic
in ipfo diuinitaris fbn tctecondita pTonunt: Quo quidem gratilTimo errore
tandem animaduerfo au ditoc non Colum in fummam rerum cognitionem
deucniat: fed mira eriam uolu ptatccz figmento pctfundatuc. Quam quidem
temdiuinam potius s humani f iii fn. cfle cu! potius f
Platoni credidcrimnilr rnim in lonr dicit pot ffm non arte yana tradi;f<d divino
furore npftras tnentesirrepne.ln co aurem qui phxdrua infcnbitur/cum tria
alia diuini furoris genera expliraflet/quaitum furoretn quc poeticum elfe
uult/huiurcemodi([ni fallor^fentcntia exprimir. Rcfeit enim da
ibcxleftibusredibusucr farcntur animi no(lri/ et cius harmonix
quxinxtema dei mente confiftitiK eius quxcxlorum motibus conficitur/illos
participes fuit fe. Verum cum deinde monalium rerum cupiditate degrauati propterca
ad ia feriora iam deuoluti corporibus incluti tint:tunc terrenis artubus
ac monbodia membris impeditos uix eos concentus qui humano artiHno
comparantur auribus padperc poflerqui et Ii a cxledi harmonia longe
abfintinihilominus quoni om ucluti fimulacra quxdam ac imagines illius
funt nos in tacitam quadam ex Icftium recordationem
inducuntiacardcntiifiroa cupiditate ad antiquam patrw am reuolandi
inflammanciut ueram ipfam muficam/cuius hxc adumbrata ima go lit pnofcamus.interim
uero quo ad pemiolcdilT mum corporis carcerem noa bis licet/bac noftra
illam imitari cdtedimus non uocum modulationibus ueluti uulgares quidi et
leviores mulici cofucueruntrquos aunu frufus demulcete posse no negauerimtquicq
aut prxterea prxihre posse no cocedor Sed grauiori quo« dam iudicio
diuinam harmonia imitati/ pfundos inrimof mentis fenfus elega ti arminc
exprimutsat divino furore concitati res frpe adeo mirabilesiadcoq fupra
humanas uires cofticutas gradi spiritu proferunt: ut cum paulo poft furoc
ille iam refedetitifeipfosadmirentVat obllupercant. Quapropter non folum
auribus adulant ifed fuaui nedarc et diuina ambrolia mentes demulcet hi
igic diuini uates funt/& faai mufarum facerdotesihi iure optimo
fandti ab Ennio ap E elbnt": his folum diuiniiuscocefl'umeft/ut
carmine modo iocude fuauiteripla entitmodo grauiter alteq; furgetitmodo
uchemeti impetu ruerirmodo in leda ti amnis morem fluetiinonunq copiofe
exundantiinonunq breuiicr atqt copref fef gredicnti quocui uelint
auditorem rapiat.quiobrcm quonia diuimor uche metior^ in iilis spiritus infurgitiab
huiufmodi ueheroeria uates appcllant. Grxa dautipfos poetasdixeruntteo
quod apud illos facere figniriut. At dices fonafle none 8C reliqui feriptores
fuo libto poetx id eft effedores iuie dici poiTunt ( poflunt illi quide.
Veru quoniam hi foii et dicedo limul et intelligedo ni reliquos oes longe
fuperant/nomen id quod oibus feriptoribus comune etie opottuitsucluti
fuum ac pprium fibi uedicauerunt. Et piedo quicuqi uates boc noie digni
fueriitiii fupra humanamuim aliqd pofle uili funticuius rei teftimoe DIO
elTe poflunt prifei illi uiri:quos poetas fuifliecoflatinam apud hebrxos
Moy fes uir bello inuidus:qui 6C xgyptios ab xthiopibus SC ab xg 3 tptiis
hebrxos lib^; rauitmdne cius ucrlibusiuerlibus enim uolume cofalplitiocm
diuinitate cofai plitiocm diuinitate coplexus cft.uir adeo prifeus/u t
cum odoginta iam natus an nos iudxos e leruitute educeretrCecrops athrnis
r aret. Nam qux ea fint qux Idumxus lob fuiscanninibus madauit:ormine ex
iis chriflianis qui paulo dudi ores babet latere puto. At hic ut ex libro
fuo coiedari licet tertia xtate poli iftæl tutPcftincc nuc {>fcqr
quata qliaue fint qux catminib^^Oauid regis:q d^iiJii Si Jonumis i qux
dcutctonomiuquc Ibix catico codnent" tEgregiu dno inudu cotitinuab
dekiceps ferie r<rfiiper rctetitum: ut iion modo poete: verum exteri 9uo(^
rcriptorcs quicutK remaliguam maiorem litteris mandarent: eam ua tiis Hgmentis/uariisfigurarum
integumentis obfcurarent: putabant enim fo teii negodumdifibcilius
ccdderent: ut fi: gux rciip(i{rent: maiorcmeflent dignitatem audoritatemc^
habitura: 8C 9U1 percepiffent: guoniam non fine la^ borc at(^ induftria
id afreguerenturtea pluris elTe faduros.maiorem inde uoluptatem
percepturos fi guz ipfi tenerent minime fibi cum indodis commu
ciaclfent.Hac igitur ratione a fandis facrifi^ rebus profanos arcebant
non inuidiamoti sed ut aliquod inter follertem at mentem diferimen
appareret: cum non idem ociofusguod studiosus affeguetetur: sic enim dC
premia guz dodis debentur folis illis proponebantur exteri ut iifdem
artibus quando leKguis noD prohccrent niterentur fummopere accendebantur.
Difficultate enim inopia rei mortalium ingenia acuuntur: uindt onmia la
bor impro bus: et du ris um ens in rebus egeftas 2 Quam guiiguam
feribendi ratione grxid guoi^lccutimntfguortim et Orpheum thracem:&
atheniefem museum et thebanum Linum antiguiflimos fuiffe accepimus: Verum
Lini Mufei^ uiz uciligia eztant: Orphd autem poemata in quibus multa deui
diuinainecpau ca dererumnatura continentur 2 ad eam quam diaimus formam
confcnptitaf fe/fadle efl cognofeere 2 de reliquis uero qui deinceps
doruerunt/nihil dicam: Fabularum enim figtUenta quibus aut deorum/aut
rerum naturam /aut ea gu» ad uitam et mores pertinent obfcuriusquidem sed
maxima cum dignitate exprimunt: rem manifeffam reddunt. Qua propter cui mirum
uideatur: fi otnnisxtas:omnesnationes. Omnesguialigua
ufguamdodrinacxcelluerint: poc tasfemper maximi fecerint.Nam ut reliquos
adprzfens omittamq multos q maximos in philofophia locos Aristotele tanms
uir poetarum tcflimonio cot roboranquibus quidem nifi tatu tribuifletmunqua
netpde poetis duosme^ de arte poetica tres libros accuratiffime
confaipfiflet. Quanti autem hoc bomi num genus PLATONE fadat: ipfe in
libro de re.p.fadle offendit: q uoniam n ihil uei jbementius mentis
intima penetrare/qua poefim affirma. At dicet aliquis no ne in libro de
legibus idem PLATONE poefim reiidendam ccnfctmufquam ille hoc. Sed eam
rdidenda dmonet: qux more tragico pturbatos animos imitatur;qux uee to
laudes canit deoru:patria inffituta defcribitimores edocet: probosuiros
extol ]it:iroprobos deprimit/ædpiendam iubet. Deni nonullis in lods
aliquod poe tarum genus uitupetari ab hoc philofopho inuenias. Poesim
autem ipfam qua donout diuina mex tollit quas quidem res cum diligentius
fecu reputauerint qui confilium noftrum damnantifentetiam illos fuam
immutaturos exiffimo: qui tamen si nos carpere uoluerint: potius
temeritatis arguantiquoniam ea qux fupranoftrasuires funt/aggreffi
fuerimus: qua aliquid quod Maro non uidc tit 2 nos uidif Te putent 2 Ego
autem quauis non tantum mihi arrogem: ut hu ius poetx diuinitatem fatis
pro dignitate explicare pofIim:non tamen inutile fii turum putauirH noff
ra indufiria quantulacunc ea fit/dodiores uicos ad tnaioif ra de ENEIDE
demonftranda exdtar 02 qui cum nos non omnia potuiffeintelli indigo oiK
no otn&mq ioiufta aduerfus nos induti utbca ca coi nim lutun erga
Iiuiurcemodi dodris» cupidos adtadiS errata Uoftra conS gant i ii qua
detint addant t Qua quide in re non modo emendari me xquo animo fctam: r<d
ultro iam nunc omnes qui hoc polTunt ut id faciant uebemc ter oro. dam m
maxi me propriu m hominis p utem» 8t quod jpfe. uiderit U> ter aliis
oftendet er et qu od ne^t fiudipie adijj^ercum in hoc fibi Ipii in il lo
reliquis profuturus iitu o 6c uitam inftitui s ut fic quicquid in me efi
iiberalif fime effundamtfl Canullo mortalium quz mihi delint/fumere
dedigner:ad que autem nofha hrc potius qualiacun<p imt fcribamiquam ad
te iUui^ime Fcde tice:qui et Maronis pra; terca KeTos et udiofiirimusrem perfuetist
et cum reliqui iulue principes in eo omnem indufiriam ponannut quamaximos
fibi tbc£uitos comparent i auri^ at^ argenti aceruus magis magifi^ indies
æfcatitu maxu mam tuarum opum partem in mularum et eorum qui mulas colunt
omsmen ta liberalissime effuns: ut iam quemadmodum Homericus ille
Agamenon coniidebat/fi decem aliifibi Nefimesadeircntiforeut breui Troiam
apturus eflett fienospro comperto habeamus fi Itali populi non diam decem
ut iliet fcd duos przteta Federicos haberent t brevi futurum ut universa ITALIA
alterz Athenz futun fitr feddeczteris alio locoi Non enim in hunc
fermonem hoc tempore uemmus t ut quequam arpamus t fcd ut te fic dc litteratis
hominibus meritum quamaiimispof Tumus laudibus profequamuri qui
quauisfolus ex omnibus qui in imperio confiituti funt has parta tuearis :
amen iu late patet tua in oes litteratos liberalitas. Ut non pauciora ez
a fiC poetæ BC ontorat et om niuffl rerum feriptora prouenturi fintsqua
ii fuerint t quos olim Nicolaus lUe quintus pontifex mazimus:quem omnes
uidimus fuis pulcherrimis muneris bus/ac maximis pretniisprouoauittqui
quidem tuo beneficioad ftudia czdta ti:8t fibi gloriam fua dodrina fua eloquentia
ucndiabunt.6: te ulem roufape E atronu etiam tuc cum multorum
principum qui et nuc uiuunt/& olim regna« ut fama fepulta iacebit in
xtema femper^ recenti memoria uiuum retinebut. Veru hæc quoniam omni luce
clariora fu Dt; longiusprofequenda non cenfeot Præfertim cu ipfa iam ra
postuletaut diuinum dodimmi uiti Baptiftz Termone ego quantum memoria
repetere poteto Tuo ordine referam.Ille enim cum bci> ne mane ad
confuctum locum ueniflemus : 8i min audiendi cupiditate inflam mati ab
eius ore Tummo cum filentio penderemus huiufccmodi principio dil/
putationem exorfus cfi|£)um eius poctz mentem tibi Laurenti aperiri cupias
r qui uel ex omnibus re^onibusaquarum babiatorcshifioriacognofant
suci cxotnnibus lzculis squkadnofhamur memoriam acriptorum beneficio per
uenerintsfi non primus primo tamen par æqualif (^ exifiatsno poflfum meo
oea tionbingreflu tantzrei magnitudine non penitus pctturbaii. Ncmo
modome diocri fit dodrina imbutus hunc uirn ui ac copia dicendi ipfnn ut
ita loquar eloquentia fuperare unquam dubitauit.Nam cumtraindidionefiue figuræ
rrnt sive charaderasin quotum uno fiquis excelluerit maximam fit glot L
- am adeptus. Quis non uidetnon folum in lingulis fuis uoluminibus
fiivmlos adimplet Verum paucis liepe uctfibtis ita omnacofudific æpennL:
fcuific/ut miro quodam temperamento u clotifidiucifcuoc Bcoocctu Mluaf^ t«a Z iotl dk\ M aia uFdi £ IIBD mu
DCMI mat vtik lia cnlK lioilfl olis a tpai KSoa 10
ik lOa B oulip icbui> nft» none flbfr
qSiQ 011 ipiB’ bSlfimu cottfiaabt incredibilefli auribus voluptate
pariat. Ex quatuor aut riie& di generibus ita opus contcxitiut ne ocio
copiame negocio brevitas defit. Vi dcbis quxdarua sic dtatc at<j
ariditate placerctquzdamuetoueluri flofculis ib lufhau at diftint Sa
deledare.Sunt deni^ eunda eo attifido confirudaiut un# deoiaadoe
elocutionis genus exempla potius qbincrumas/fcriptum DulIum invenias. Adde
ad hæc cognitionem hifioriatai Adde quadili gentissimus and» quitaristt
oonmodonofliaturctuifed &grzcaru &omm nationu inuelliga#
torcxriterittqptil conjmuaborumobretuatiinmus fueritiq elegata quxdain
Boua ex fe fotmaucritiqua f pric omniu uim tenuerit. Prxterco ius duile:
omit loiuspontiridu nihil dicodeiurcauguratqus; oiaita tenuitaitnonab
aliis accepilTeifed ipfc conftituiOie uideatue. Hzc igitur et cotum limilia fi
a me tibi ex« pheanda pctæstac ut fifiguk» in eo poeta locos diligeorius
apetiiem contende tes: 8C operofum fimul et difiidle mihi negociu
imponetes. Quis enim illa pub chetrima cxcdlentiiliinaf/ac fummo artifido
tccondita non ludicct: fed funt ta nicri a multis iifdcm^ dodisuitis
patefada. Quod aute petis id et multo diviiuuscftt Kmagisinobrcuro UtetiKanullo
quod ego quide rdam/badenus fua ferie patcfadum.quod ne gtimaricus nc
tbetot nouerit.fed fi ex intimis FILOSOFI arcanis eruendum. Vis enim
nolTe quid per fua illa enigmata de Æ ncæctrotibusidc dus hominis in
italia profei^one fibi Maro uoluerit.Q^ua qua (untnonulli/qui di ea quæ
paulo ante dicebam promaximb admirentutt at^ in ipfis fuma abfolutam^
poetx laudem contineri putent: nihil maius in eo uate fuicent. Quos tamen
fi roges quid fibi in ea te VIRGILIO perficere uolue riti Hometumimitandu
fibi propofum eafibtmabut: Addent^ ne^ ingeniu ne dodrinamtquo minus id
pilare pofTet fibi defuifreiQ^uod nobis cu dederint fuccubat penitus
necefle efl. Habemus enim ^ut gramaiicope iiinita pene tutba omitta multoseofde
grauifTimos PHILOSOPHOS tqu i Homerii ocm zgypriopi dodrina haufilTctca^
more illote uariis hgmetis adubraffe cotcdat. Qua in fen tcnria nili ARISTOTELE
fuiiret nunqua homeriaru ambiguitatii libros fex scripfif fet. Na quid
Balilius Bi dodrinz magnitudie/K mo^ fanditate magnus coo minatus de
homine fentianfacileefi iudicare:qui tota Homeri pocfim laude/ uittutis
continete dixit /fccutus ut puto Anaxagoram Claxomeniiitqui quidem idem
de hoc poeta a Sirmauit t Arcbefiias ucto mediz academiz inudor tra OMERO
tribuitiut nunqua fe iniedu tecepcritiquin prius aliquid ex eo legerit:
Sed et inlucem le ad amauum ite dicebatiquo hin dus legendi maior copia
daretur, yctum quid reliquos nunc colligamtcum unius PLATONE testimonio
nihil fit, quod probari non polTitlls igitur in eo uolumine quod de summo
bono scripsit omnes artes huc diuinz fiue humanz illz fint in unum Homeri poema
uciuti r in proprium receptaculum confluxifle afHrmat. Quamobrem
animaduettens Mato dodrinam huius hominis ex egyptiorum sacerdotum
fontibus bauftam fimillimamcum Platonicist quorum Qud iofifTimus fuit rauonem
babere eam uTadeo admiratus dl:ut idem in fuo ENEA efficere uolucrit :
quod ille antea in Vlyxc finxerat^ Q_uaproptet pulcherrimis poeticif:^
figmentis eum nobis unw i^oiinai qui pluri, a^ aux^nis u itiis pauwim
expiatusue dckeps 'ir»v I f •*/ .«MI inr ;
iRft. mitis uiituHbiu Illuftratus id quod fummahotmnibdliæStquoiI^
tufi et pl ip6t/ tatnnlal^ equnec^ VcTdcu illud mrera
diuinanunfpcca msnullusafTequii latione conlidcre a PLATONE
didioirctylimul SC illud didicit co antbt minime perueniripofle/q animi
nofhiuirtutibns illissquz deuiu K moribus funtex piati penitus reddantur.
Cum SOCRATE i pfe puru impuioiittiogetc fas c$/cfle neget. Quapropcet non
folumflnes bonoru nobis miririceezpreiritt Verum etiam qua uia qua ue
ratione eo cuadere tandem homini liceat demonftrauitt Ne qua pars eius
philofophia; qui gtxd ethicen/nos de vita et moribus nomp namus: prxtermitteretur:in
ea enim nos nihil aliud quammus nili primum bo notum malorum^
iincstdeindeof Scia quibusueluti uia quadam ad eosdem ducamur. Laboriofum
omnino negodum/at^ omni difficultate plcnum: divinum tamen et quo uno foelix
limul atip fapiens homo effidaturtdeo^ iungaf Soli enim fapienti fas eft
ufi adeo deo c6iungi:ut nihil quod feparcr/intercink ce poflit. Deus enim
ueritas eft .Q^uis aut nefdat qui uerum mente non pettin gat/eum
lapientem efle minime poiTet^os autem cum quatuor lint qu 2 in feru
ptoris mente aperienda inue(tigemus in rem nolfram futurum puto: ut
certos ia terminos drcufaibamus: quos in poeta interpretando egredi non
liceat. ES igitur cum id quod geffum Iit quxrimus: quam
hilforiamappelbnt/ut cum le gimus apud Matonem haud ptocul inde dtx Meda
indiue^ qoadrigxdiSa lerant.C^uxrimus itidem non quid geSum litifed qua
ratione geSum nt:ut eS illud At tu didis albanemanetes. Nam eoloco
dcmonfhat propter eadifcerptu a quadrigis elTcalbanorum regem /quoniam
illein fide non manlilTet.hic gta&« dethimologiam dictuit. Quxrimus
et tertio in loco an ea qux dicantur pu^ gnantia inter fe lintr Alibi
enim didt ChriSus patrem fe maiorem efle:alibi ego &pater Idem fumus.
Quapropter cum ita interpteumur/ bxc ut minime intec fediiridereo ()endamus.
Analogiam sequimur. Interpretamur postremo aliquod per allegoriam quod
tunc sit cum non qux uaba SIGNIFICANT INTELLIGIMUS sed quiddam ALIUD SUB
FIGURA OBSCURATUM. Scribunt poetx Amphionis lyra motos m lapides ut fua
fponte in thebanorum moenium flruduram coirettper quod figmentu quid
aliud intelligimus:nili fapientillimi viri eloquentia esse dum eifer ut BOEZIO
populi qui hadenus ad omne rone ueluti lapides Supidi: K aduetfus oem
humanitate durilfimi czi(ferent:e fyluis ac luflris in duitatem
uenirentrac poSremo legibus qux ad comunem ufum latx cfTennultro fefe
rubiicerct. Nos igitur reliqua tria genera hoc tempore omittemus:at(^ in
ipfa fola allegoria uet fabimur:ut quid per Troia(n: quidpCTxneam:quid
per ITALIA reliqua^ huiu& modifibiuelituideamus. froixigit"
oritur ENEA rperquautberedeut puo to prima bois asutem intelligemus.in
qua cu ro adhuc ois cofopita (lufolus fen fusregnat: At ipli
mottales/quia ea xtate fapientia ne furpicaot' quide ea fola fibi
proponut qux philofophi prima naturx appellat. Ni cu oe aial (ibi a
natura comendatu (it:in primis feipfum diligit:deinde o^s corporis partes
ita integras: ualidafip hne cupit ut ufui (imul fit pulchritudini fibi
(int: maxime autem uohi ptatibus demulcetur flc quauis animum fefimul
corpur^efTe intelligattat Utru faluum
efb cupiautamen in iis qux in animo apetenda funt/ quoniam BOO dbm plane ilhcog Oolat minus
laboratsea autem quz corpori corporeilm uoiuptanBus conducunt/anxie
expetit. Sunt enimflbi abipfoortu iamnotissima. QuaptopteiT cum in hac
zutcnaturxui potius trahamur/g nofharum adionum domini efTeualeamusmel
minimum uc omnino nullum uirtuduw do^ locum relinguamus:cum que agimus
eanccuoiuntariaflnt: neccum de ledu aliquo fiant. Ita in puero virtutem
e(1'e nemo dicet. Verum ubi iam pro gtcflu ztatis rationis lumine aliquo
illufirari indpit mens noftra s tum demum tanm in nobis conlilii
apparet:uta prauisreda difcerncrcualeamus. Eft enim iam ad illud PITAGORICA
litterxbiuium pcrucntum/fic iatnuitzne Tciuseiton utcil apud P um. Deduxit
trepidas ramofa in compita mentes. Vnde cum di fceflciimus nccefle efitut
uel reda pergamus : uel in finifira deiledamus. Nam quz deinceps
agimus/quoniam ceru quadi ratione agimus/fi reda fuerint uit tutitfin
contra uitioadlcribuntur. Troiz igitur 8t Æneas limul fit Parisa/un tur.
Verum alter quoniam Venerem Paladi ideft uirtuti f uoluptatem ante« poni
neceife efitut una cum Troia pereat. Alter autem ducematie Venere fe ab
omni incendio explicat. Quod quid aliud intelligamus/nifi cos/ qui magno amore
inflammati ad uen cognitionem impclluntur omnia facile confer qui pofle.
Qua propter Venerem diuinum amorem rede interpretabimur. Sed tu LAVRENTl
ncfdo quid iam diu uclle dicere uiderisiCupio quidem inquit LAVRENTIVS t
Ni uerear perpetuum tux disputationis filum intec nimpæ.lmmo potius iflo
modo inquit BAPTISTA: Nam cum uniuerfus hiefermo non ad oflentandum
ingenium neq; ad gloriam comparandam a nobis infticutus fit : fed ut
honeflifiimx- uoluntati tux obtemperem: fit fi quid in me dodrinx efi/id
libenter cfiFundam : interroga : inter peilaiobiice: confuta pro arbitrio
tuo.Hac enim uia id quod quxrimus verum dilucidius apparebit. Vtar quod mihi
permittis arbitrio inquit LAVRENTIVS utrum id non tui confutandi sed mei
erudiendi caula. Miror igitur cur tu Venerem amorem interpreteris eum prafertim
amorem : qui non modo cadus verum etiam divinus fit. Ego enim Venerem non folum
apud poetas : fed etiam apud reliquos feriptoresita fumptam uideo: ut per
eam nonnifi maris foeminz^ coniundionem fignificarc uelinr.hinc illud
Terentianum, e Cerere fit Bac chouenæmfrigefceretEt ipfc in bucolicis:
Parta mez uenerifunt munera. Quapropter fi uenerem pro huiufce modi'coniundioneponas:quxbadenua
dixidi/ea omnia inter fe pugnate uidebuntur. Sed eft fit aliud qu^ nifi tu
mi< ili petfpicuum reddas ego minime explicare ualeam. Qui enim fit ut
cum duo fintuiri Æneas at^ Paris: Alter quoniam Palladi Venerem
prxponattnecefle fit ut una cum Troia pereat : Alter ueto quoniam
prxeipienti Veneri obtempe reriomne periculum incolumis cuadat. Ego enim
non uideo cur fi bona fit Ve nus Paridi noccat:fi mala prqfit ENEA. Qux
quidem dum cogito/in eorum potius Icntenciam labor:qui rem omnem ad eam
flellam qux hoc nomine ap pellet'':flt ad ipfam bidoria referut: Putat
enim qd* te no fugit/qua hora a Troia ITALIA versus jificifcerct Æneas:librz
fignu qd* domiciliu ucnetis 6ad nfm hoc hcaifpcpu afiacdifli^lpfam Y^ete
in medio czlo loui fuide roniundam. Quibus oibus poftendebat"
foelidtas illi tegtia^ per muliere peruentufoioJo' uem enim regnU ptzeflc
non ra odo OMERO SIGNIFICAT qui reges ; id enim eS a loue nutritos
rcribit. Sed et mathematici ide ditant. Salutareenini omnino Itduse Qsquonia
inter Saturni frigus K Marcis ardorem colloatu opti moeemperamento Iit:
8i propterea eundis euentibus profpcrum. Nam cum ui tam noftram praxipue
sol et luna gubernet: iccirco lupitet omnium nobis fa luberrimus eihquia
foli per omnes numeros/iunzautem per plurimos coniuo dus eft. Refecunr
etiam in initio mundanzfabricziouem in ariete dotniciiio tuncafcendcnte
fui/Te. Volunt illum inducere leges/caliicatem/mirericordiam in egenos K
calamitate opprelTos. Veridicos homines fadt/& vere amicos fine
fraude fine dolo: Saturni fzuitiam frangit fiCquzcun^ ille mala
infert:hicaut tollit aut minuit. Quapropterfcite Petii us Satutnumip
grauem nolito loue frihgimu s una: Oeni^ fi in alicuius ortu fe bene
habeaticum ille hominem for tunatumreddit.bfinimehzc dilpliccnt inquit
BAPTISTA. Sunt enim ex 15 ma dodtina eruta: 8C hifioriz uehementer
accommodata. Verum cum omnis nofira difputatio nullam hilloriz ratione
habeat i Sed eam qui totiens gtzco uabo allegoriam nomino/exprimete
conetut/non uideo cur ea qua adhibui in terpretatio iure amitti non
pofiit : Si enim iis omilTis quz de ENEA deqj cztctis troianis prifei
faiptores tradidere/pro arbitrio licuifiet poetz non modo finge te:fed SL
peruertere et addere et fubtrahere.Si deni^ nulla hifioriz ratione liabi
ta id folum tentaret quo pado per ENEA cum nobis uirum informaret: qui ta
dem fapiens beatufqj citet futurus/nonueneremfortafiefed cupidinem aliud
ue numen pofuiflet. Sed cum ita poeticum figmentum profequi inSituifiet:
ut tamen ab hilloria non difccderet:cum Ænez matrem fuilTe et exilii
ducem naviganti filio fc przQitilTe Vennem Icgil Tenfuit cx iis quz aderant res
perficiedat non autem nomina fingenda. Hoc enim plus negocii poetz cll
qua reliquis qui alio figmento rem obfcurateuolunc. Illi enim ab omni
hiftoria foluti pro arbitrio ea cominifcuntunquz magis rei fuzjpromendz
quadrent. Quodut ! )lanius teneas/unum de multis excmplicaula proponendum
cenfeo. Placuitil I primo huius fabulz audori ollendcrc quz in tempore ex
materia gignuntur: ea omnia in interitum cadæ quatuor dutaxat clementis
exceptis: quz principia (unt oibus rebus generadis Duos igitut comentus
ell deos Saturnii at Opima et illum temporis fjmbolu obtinere uoluittquod
gtzcu nomen indicat. Chronos enim qui Saturnus ell ab eo fubtrada harpitatioe
deducifrquem ipfi chro non appellant. At quis ntfdat tempus grzce chronon
dici. Per Saturnum igitut teropus: per Opim fiuerhcamterram intelligit.
Addit deinde Saturnu pmnes quos de thearufccpilTct filios uoralTe prztcr
loue lunonc Neptunnu Plutonem. Qua fabula exprimit omnia quz ex materia funt
prartctipla quatuoc elementa tempore conteri: at in interitum deduci.
Quorfum igitur hzc ne reliquum fabulz profequar : nempe utintelligas
licuilTe huic homini pro arbitrio quzeum^ uolebat fingere: ut quod de
rerum procreatione sentiebat: commode exprimeret : cum nihil aliud prztcr
phyfices particulam fibi propofuiflc. Maroni autcih longe alia rado cfi:
qui cum ENEA res io laudem' I II Litxr tertius AngulH ezoritatidas t
ft librum iprum omnibus poeddsluminibasitluftrandum fibi fumpfiflet t non
iis qux ipfe uio ingenio digeret t (ed iis quz hiftoria porrigit banc
fuprcmam ingemi fui laudem comparat. Mirus profedo uir qui non ex op tads
fed ex datis ha opus intexat : ut cum hiftonam minime deferat :pet eam
rame illædibili integumento humanam fcelicitatem exprimatiHabcs^ut
opinor^qua ratione uenæm pro diuino amore ponæ coadus iit. Quod ita tamen
rede pro cedit < ut ni£ ab iniquis reprehendi non poiTit. Videmus enim
Platonem in eo fa mone quem phatdtum nominat : Aphr^iten/quaic nos uenæm
nuncupamus: oqn lafouololum sed et diuino amori ptaxiTci Verum quam
uenerem piatonie cua poeta Ænez matrem eife uoluerit : faale intelligemus
ii quzdam paulo altu uscx ipso PLATONE repetamus. PauCmiasigiturin
fympofio duas ueneres comme morat/aketam czlcfiem vulgarem alraam. prinum
autem czio natam refert: cui nulla mater iit. Quod cum lingit eam
intelligentiam iignihcat/quz in angeli me te poiita amore ingenito ad dei
pulchntudinem intelligendam rapirur/quam quo numprocula bomnifflaterizcon
fortiolitiinc matre prodiidam dicit. Secudam uao uenæm mundi animz
tribuitiita ut patre loue : matre uero Dione eam na» tam feribat. Manat
enim ab ea ui quz in anima mundi eft : et uim creat quz infe« hora bzc
omnia gignat et mundi fyluam fubeat: Vtra igitur fibi ingenito amo ce
rapitur czlefiia ilU ad dei pulchritudinem intuendam : hzc uao ut eandem
pul chritudinem e fylua conforma. Sed hzc parum ad rem. Animus autem
noda cum&ip Ge similes quafdamuires habeat inteliigendi at y gignendi
duas itidem ueiiera habædicitur/quas gemini comitentur cupidines. Cum
enim corporea puichnmdo oculis nodtis obiicitucrmcns noftra^quz piima
uenus eft}eam non quia corporea litillcd quia limulaaum divini decori
admiratunar diligitiea quz ueluu uia quadam ad czlos effenur: Gignendi
aurem uis: quz fecunda uenus ell formam gignæ huic limilem concupifcir uapropter
uterqi amor iure dicitur utaltcr contemplandz altergignendz pulchficudinis
defidcrium fit. Nemo igU tur nifi totius rationis expas fit duos iflos
amores damnare audebit t cum uta qj humanz naturz neceflariusfit: Nerp
enim diu efremortalium genus finefo bolis propagatione t neij ruifus
beneefte fmcueri inuefligatione potait. Prza ttantiuri igimr illa ucnæ
duce in italiam perucnire potuit zneasi Ac dices cui hzc fecunda fi
bonacfl paridi nocuit: quia illa male ufuscfl. Vir enimgignen di autdior
quam reda ratio didatfitin ea re plus quam oportet occupatus /in Ibiis
corporas uoluputibus meretur. Quo fit ut 6i primam quz ad fummutn bonum
dudt omninn deferat : et fecunda pcffime abutatur : proptæarp in om nes
animi petturbanones incidat: ueritater^ defpctata mifaq^ efifedusin omne
indignitatem dcfccndat Efi ut dixi diuious amor fi Platoni credimus
dcfideti« um redeundi a corporea pulchritudine ad diuinam contemplandam:
Non ta uencum diuinam defidetamus eam quz oculis
pcrcipitur/contemnimus.Nam qui aliquid appetit hunc illius quom rei :
quam appetit imagine delcdari ne« ceffe cfi. Verum funt quidam ita hebeti
ingenio: ut mentem a fcnfibus nullo modo feuocate poffint: hi ueiam
pulchritudinem non norunt. Huiufccmodi igitui amot adultctinus cfl / et a
uao degenoans: quem lafduia ac pcocadtas frtnpff cotnit3tnr:quem
diffiniunt cupidinem eius uoluptatist que e cotpdo rea Forma percipitur
rrede qux dicunt cum ardorem animi in fuo cotporetnot tui in alieno
uiuenns i quod fecums poeta quidam dixit J, I Plato ucio ait illum
natum ab humanis morbis follicitudineqi plenum. At quis non uideat
illum nerp confilium in fe nc modum ullum habere. InefTci^ in
coiniurias/furpi# dones/ ac reliquas illas omnes peftes : quas fidelis
Feruus Terentiano phzdtix prudenter oftcndit. Habes(urputn^dupliccm
amorem verum illum fidiuino: de quo paulo ante dicebam /& hunc falfum
et adulterinum: et qui uetoamo ri talis fit qualem aut amico adulatorem:
aut medico coquum efifeuidemus: cui quidem cum fe totum dedidiffet Paris
uiia cum Troia periit. ENEA autem cz lelii illo duce paulatim ex troiano
incendio ideftex corporearum uoluputum ardore fe expediens li non reda
nauigatione id enim humanz condidoni : aut nunquam aut raro conceditur:
ut eodem rempore licfiulcitiam exuat. &rapiens efficiatur: tamen poft
multos errores in luliamad ueram fapieutiam pcrucnit. Quam quidem
nauigationem cumfudorislabonfi^ plcniliima fit/nemouna quam nili
fummoillius amore inccnfus difficultatem omnem perferre paratus fit
penitus perficiet. Amor enim uerus/ut apud eundem Platonem offendit
Eriximachi oratio omnium naturalium rerum creator effat feruator : eo emn
fimilia omnia ad eaquz fibi fimilia funt perhenni concordia
ttahuntur.Effitt dem omnium maximorum artium magiffer. Nemo enim aut
artem inuenitiaut ab alio inurntam addifcit : nili inueftigationis
obiedatio/K difeendi cupido ia dtet uam quidem rem fi non apette offendit
: obfcudus tamen ut poeta rummos efl SIGNIFICAT noffer VIRGILIO. Cum enim
in georgicis fe uen cognidonem reliquis rebus prxponere dicat difficultatem
ipfamfumma amoris ui fu peraturum his ueibis demonffrat. Me uero pnmum
dulces ante omnia mulas Quarum sacra fero ingenti pnculfus amore
Accipiant. Ingenti ergoamotela« boies fummos:quiin factis mufarum/ id eff
in rerum cognitione fubeuodi funt fe laturum affirmat |0 uinus enim
amor/nii aliud meditatur: nil molicurmui Ia alia in re laborat t nihil
tentat: nihil nititur /nili utiam corporex pulcbritudinis afpedu concitus
addiuinam nos pulchritudinem rapiat. Dum enim cor/ porcis tenebris
demetfi funt animi noffti diuin i non recognofeunt : nifi umbris et simulacris
quibuf damtqux fefenoffris lentibus obiidunt. Q^uam quidem rem non folum
exprefferunt prifei ex grzcia pbilofophi : in quibus Pythagoram EMPEDOCLE DI
GIRGENTI Heraclitum sed longe ante alios Platonem enumerare poC fiim tSed
Bi chrifhani ab eadem fententia minime difcedunt: Nam et Paulus et qui
Pauli auditor fuit Dionysius areopagita cxleffuac diuina : qux in fetu
fus non cadunt/pet ea qux fenfibus percipiuntur /cerni uolunt. Inxc eff
igu tur illa uera uenus: qux mentem noffram ad diuina erigit: qua matre
quisoc Idat natum xneam nomen abeo quod effxneos id eff a laude dedudum. Vb
rum enim ad omnia magna dCexccIfa natum: quis non fummis laudibus proe
fequaturf Verum &ipfea uolunrate delinitusdrca Troiz defenfionem
laborat Xioiamco impdiuatuturztin quibus, voluptates corpotex plurimum
uigent/ Liba totius intoprctari licet : prima enim
>tate’cum ipfa ratio non dum fe exdtare : ft fuas ui CCS EXPLICARE poflit
/ etiam qui magni at^ admirandi uiri futuri funt uoluptate de mulcentur:
prima naturas ueluri fumma admirantur: di quoniam diuina qux fint nem
nouaunt : beatiflimam eam uitam putant: per quam uoluptate frui lice at *
Hi igitur quid fummurn bemum rit: nondum compei tum habent: Veni cum
illius acquirendi fummo ardore inflammentunpaulatim bxc omnia qux dixi
pri ma tiaturx aduca momentaneai efle animaduertunt. Habet enim hanc irim
ue tus amor : ut paulo ante dixi
ut mentem ucbementn exacuat : magifterep illi re cum inuenieodarum
paulatim fit t ut nibil eam latæ poflit. Qua propta egre ei llud qi £Ulete
poifit atuanton : Deinde cum nihil dfficik puta / modo re amata potiatur
: omnes labores tolaat: omnes difficultates fupetat. Hxc eff uenus illa non
uulgaris ; qux materix admixta utm haba gnendi/fed illa cxicflis ab omtii
materia remota : qux a mente noflra eft : ipfamq; mentem excitat;&
Iu* cem illi liiam nobis badenus incognita in node id enim efl in nofita
infritia oflen dit t fc^ deam &taurfeenim indicans fua diuinitatem
demonftrat: admonet non peme feruari Troiam id eft originem corporis qux
necefle eft ut pneat. Hxc eadem oftendit uoluptates cotporeas non Tolum
ab ipa lacena id eft a feipfts/ut in beftema difputatione diximus
cotrumpi: sed ab lunone a Pallade at a exteris di is: Nam deos Troiam
populati quis ignoret f Divina enim omnia uoluptatibus aduafantuc. Sed in
primis Pallas. Hxc enim sapientix symbolum obtinet. Sapientia autem non folum
uoluptates contemnit: verum eriam (fummopæ exhore ret. eft quod de lunone
quifquam dubita : qux quamuis regnomm dea ha be Oiiriproptaca in hxc
caduca ac mottalia magis ptopenfa uideatur: tamen cumlidmmes imperandi
aipiditate nullum labotem pafetre recufent t omnibus uoluptatibus bellum
indiaint: modo eo perueniant unde poflint reliquis impe* ritare: Deos autem
minime uida ENEA dum pronoluptate pugnat. Nubium cni Biteilebtis cnnnis
ei ptorpedus eripitur. Sunt enim animi noftri ita a deo æa diutfuapte
natura facile omnem utritatem confequantur. Sed a materia corpo* ea quam
philofopfaifyluam appellant: omnia nobis mala proueniunt.llla enim tardat
heb^t at^ pemirbat mentes noftras:: at tenebris obfcutat. Sioiim ex in
fritia omnia uitia ptoueniunt: Quaproptcr et Chty lippus et reliqui ftoici
perturintiones omnes a fallis opinionibus oriri dicunt :(^uodtamai longe
ante feoferat MERCURIO ille: quem grxciob ingenii diuinitatem
Trimaxinnimappeihnt. Siigitur omnia uitia ex infritia ptoueniunt. Infrit ia
autem ex corpotea calu ginecft/ut PLATONE putat /erunt omnia uitia a
corpore. Quam caufam prxeipu* am fuH&idixerini / ut is quem paulo
ante nominaui Meteutius fyluam malignita temappella: fedderylua commodiordifputandi
locuspaulopoft dabitur. Pugnat igitur xneas pro uita uoluptuofa: illat demerfus
deos uidæ nequit. Verum cuminhuiufcemodi miferia non delit amor neri
inueftigandi valet ipfe amot mentem excitare: ut feco Uigens tenebras
difaitiat:flt uideat quibus numinibus Trcria cuertatur. Ducetp eodem
amore pa medias flammas at^ hoftes ita tutum anipit. Et profedo uolenti
ad tes arduas profleifri / hinc mira quxdam'uoluptatum : qux defoendx funt
cupiditas ucluti flamma quxdam illinc laborum difiS* cultatutntp terror / qui
aduerfus honeftatem afliduo pugnet fefe opponfit. Quz omnia ducente
Venere Aræx cedunt. Nam niii amor abfit : netp ram blandas oo
luptatescontcmnere>ne<^ tam duras difficultates fuperare pofTemus. Venit igu tur domum ut
familiam omnem componat : at^ inde ex urbe proficifatur. Ridit enim in fe ipfum
animus t omnef^ fuas uires : at<p uirtutcs gux uariz funnad
profcAionem / id enim eif ad ueri cognitionem quam Troix nunquam afTeque^
retur: fuo ordine componit omnia^ (ibi ex uoto fuccederent: (1 pater filium
fe qui uelit.Verum negat ANCHISE fe ex Troia difcefTurum» Hoc ueroquid
(ibi ue lit : (i me roges ego (ic puto. ENEA huiufcemodi parentibus natus
efi: ut Venus dea: ANCHISE mortalis (it : homo enim ex animo qui
immortalis diuinufip eftiK ex corporemortali Kcito in interitum
cafuroconftactMmsigitur originem fuam femperfufpicit: ad eamcp redire
cupiens Troiam auidiflime dcferit. Senfus au« tcm qui a corpore funt
corporea incorporeis pratponunt. Hinc igitur alTiduum atrox<^ certamen
illud exoritur rpiritusaduerfus carnem ut noftti dicunt t cum mens totum
hominem ad diuina trahæ conetur t BC fenfus in potefiatem tedige« re 8 C
fibi obtemperantes reddere cupiat. Contra uao fenfus feculcnto elementa
rum potu ebrii / 8 C lahea obliuione grauati nihil nili caducum et tenenum
cupi» unr ANCHISE igitur id efi tenenus pata i 8 i ea qux a chrilHanis
uabo parum tri» tofcnfualitas appellatur 2 Troiam fedeferturum negat
.Mauult enim perire fen» fus / quam uoluptate priuari. Mox tamen cum
filium omnemq; domum t id eft totum hominem periturum audiat 2 cump
cxleftibus monihis meliora moneatur 2 mutat fententiam/ab ENEA^ fublatus
exportatur : molliltitna enim bxc at« ^ eneruata animi pars ad fummum
bonum nunquam fat t fed i pfa potius inficr» tur. Hxc de ancbife j ENEA
autem cum iam incendii 2 armorumcp pericula eua» ftlVct ; atep incolumis
urbem e(Tct egrelTus : ingentem comitum afduxilfc nouo# rum inuenit ad miransnumaumtqui
quidem undi^ conuenerant animis opi» buf^ parati in quafcunt^ uriit
pelago deducere tereas.t et rede quidem. Nani ca tandcmcferuitio incendioi
uoluptatum fumus liberatit e(f<^ iam animus redi
uaiqtinueniendiauidus/tum plunmx animorum uires 2 quxhadenus ignauia
torprbant :ucbementa excitantur2 8 C bene in(fitutammentcra quocunt uocæ
uerit / fequuntur. Quo quidem tempore ne a redo itinere omnino aberraret
xneas / Iam iugis fummx Turgebat luciret idx t Ducebattp diem. Eff enim
ludBtr uenerisfydust quodurfolem lunamip omittam 2 omnium quinque
fteliarum quas nolfri aratiles grxei planctas uocitantt
lucidiflimumlitizodiacum autem odo ac quadraginta diebus fupra trecentos
perficit / nunquam a fole longius fex et quadraginta unius (igni partibus
difcedens. Verum/quoniam modo pcxcedit/ modo TubTequitur 2 folem non
eandem (lellam fed duas eife prifei crcdidcrunttpti mum autem Pytbagoram
extitiffe ferunt :qui in eo apud grxeos unum depreben derit .Cum igitur
folem prxuenit lucifer dicitur : uefperus autem cum fubfequi» tur. Rede
autem lucifer prxuius foli eff. Stella enim uennis/is enim amor efi ue ri
inueniendi / ei exoritur 2 qui iam uiram uoluptari obnoxiam deferir 2 dudt^
di em 2 nam rationem excitat talis amor / cuius luce illuSrati uetum
noffe ualeamus. Apparet autem a
idamonu id eft a pulchritudine.Idos eoimapudgntos formam figaificat. Amor
autem apud Platonem pulchittudioisdefideri um diffii S, Quapropter
in ipfo pudor nos a turpibus auoc^: cupiditas ucro czcellen quztj boneiia
rapit. Fertur igitur ENEA duce m are exui in alt
um incertus quo fata ferant ubi iiftæ detur. Quz omnia non fine fumma
fapientia a poeta ponuntur: facile enim cognofeit Troiam relinquendam :
et fummi boni princi' panun uoluptati minime esse tradendum. In qua autem
re fummum bonum coii tiatnondum cognofcit.lureigitur exui appellatur. Nam
ab eoquod habuit cie dus eft : ne^ dum id quod ucluti proprium poflideat
inuenit. Mari autem fermt quia animi nofiri quocun^ moucantw nulla alia
re niii appetitu mouentur : qui quam fimilis mari iit paulo poft aperiam
ii pauca prius de appetitu dixeto^ft igi^ tur fenfus et uis quzdam in
animis nofiris t quam cogitandi nominant : cui bono tum malorum iudicium
a natura demandatum efi, Non nunquam autem ita iudicat buiufcemodi uis :
ut nihil prarter fenfus refpiciens : 8L ueluti illorum illc« cebris
attrada et uoiuptatis oblato ptzmio corrupta quod pecudis bonum eft i{v
fa hominis bonum decernat. Si autem eadem cogitandi uis falutari rationis
lumi ne illuftretur et eius norma dirigatur : non id bonum eife iudicat /
quo fenfus de mulcentur ; fed quod reda didat ratio: quod uemm (implexi^
bonum cui iit ne« ^interire ne^ corrumpi pofiit. Cum igitur huiufcemodi
uis bcx bonum illud ucro malum elfedeacuerit excitatur in nobis alia
quzdam uis quz ad bonum afei Icendum / malum^ declinandum infurgat. Huncautem
appetitum omnes ap« pellant. Sed &, eum duplicem efle oportetialtrtum
qui ab eo iudicio quod folus fenlus fcdt femper pendeat : nibil^ cum
ratione expetat: alterum qui nihil omni no sequitur t niii quod ratio
prius pra^epent : primum illum libidinem : hunc fe eundum uoluptatem
nuncupamus. uaptopter erit appetitus quo animi honii num ad bonum
afdicendum maium declinandum moucantur redus
quU demiiaratione/contraii a fenfu.Quaptopter pulcherrimo enygmate
diuinus Elato cum animum noibum ueluti cunum pofuilTet : aurigam ilii
duofep equos adiungit. Nam ueluti equis currus trahitur : iic animus ab appetitu duatur.
Fe.< mnt autem equi non suo arbitrio: fed
imperio aurigz a quo reguntur eodem pa do appetitus nihil ex fe agendum
decernit. Sed quod iam ab aii a ui deætu m eli fequitur. Quarc autem
equorum alterum album pulchettimum^ i at^ hono« tis cupidum : Bi qui non
minis ui<^ / sed cohortatione ratione regatur. Alterum nigrum
inglorium et contumacem hnzerit ex iis quz paulo ante a me de duplici
appetitu dicebantur perfpicuum eft. ExprefVit enim per bonum rationalem :
per B^um ucro irrationalem appetitum quo animus fertur: at<^ hzc de
appetitu : quem quidem mari limillimumelTe quis negaueritr Videmus enim
mareftnuL» lis uentis uetbcretur fedatum tranquiliumtp perdurare. Sin
autem diuerfistun datur uentis: in geauiflimas turbulentiflimaftp
tcmpeftates infurgir : Sed hzc eadem in appetitu dcprzhendastFac illum
uacarc a pcttutbationibust nihil ni fi rede appetet : Fac rurfus iliis
uehementer uezari : quos iam ftudus quasuc procellas intuebere:
Quapropter illud elegannflime u^tio^ irarum 6)s d^t (ftu. Illud autem
tibi fortalTc occurren/ quod non bene iis quz diximus cohzrere uideatur :
Nam fi radonali appethufertur zneas : fi iam uitam uoluptu g
iiofatn damnault t unde nunc illud quod patnx liHota
lachrimajupotfutnij^KliQ quit. Q_uod enim odifle iatn coeperimus: id non
lachrimantes: fed Izti fugcR fo letnus t Sed uoluic Virgilius primum a
uolupcatc ad uirtutem difcelTum demoo' I firare. In quo cum temperati non
dum fed continentes fimus : agimus illud qui> I dem t fed cum diu
uoluptati aifueti illius illecebris demulceamur t non nili zgte, ab ea
diuellimur : imitemur^ fenes tioianos: qui cum ELENA ut grxconun tro>
ianorumtp certamen fpedarct mcenia confcendilTet admirabatur cum
(hiporemu lieris pulchritudinem t ea uehementer deledabantur : uetum
tantorum maltv rum illam caufam eflie animiduertentcs : abeat dicebant
potius Helena: quamp pter illam pereat Troia. Quod ut plaiuus intelligas.
Qucmadmodnm tordnk do uirtus eft qua dura omnis ar^ afpera inuido animo
ferimus: lic tempcran» tia aduerfus uoluptates armamur : in qua quoniam
iam habitum contraximus li ne ulla difficultate aut moleffia negocium
conficimus. Quod li habitus nem dum contratSus Iit: Si tamen illud idem
efficere tentamus t tandem^ effiamusfi nitimum quoddam 6C uiriuti
proximum nancifeimur ut nondum temperantes effedi tamen abftineamus quamuis
xgre et non line luda: Quz contmenna di citur in qua li diu exerceamur :
paulatim temperantiam acquirimus: htij uirtus id quod hadenus uirtus non
erat: fed ingrelfus ad virtutem. Hoc igitut intcrcft intcttempcrantiamfii
contincntiam. Namquam uisutrai^ idem przdet:continens tamen eo detenor eft quia
cum dolore ablhnetmec ctt fatis Armus aduerfus uoluptates Tempuans uero
bene uolens Iztufk^ abffinet. quod li itidem de ineo Anente intemperantem
inuelliges: facile ell uidere quanto a temperantia condoe da fuperatur i
tanto incontinmte ipfum intemperantem pemitioliorem elfe: I na continens
enim quia non dum in uitii habitu ell rationem difeemit: prindpiui Knct:pugnatm
aduerfus malum: fed tadem magnitudine cupiditatis et fui animi
imbecillitate uidusucluticmtiuus in feruitutem rapitur. Vetum uc qua;
uctbts adumbro ea exemplo exprediora reddantur t dicimus continenum a
pruicipiofii ilTc DIDONE quz quamuis Acnez amore teneretur: tamen adeo
lunliter repuagnat utmori malit:q pudorem uiolare. Incontinens autem paulo polf
redditui cum fororis oratione uida pudorem foluit. Prius enim fortiufcula
adhuc ita puagnabat: ut uidrix cuaderet. Deinde eneruats omnino pugnando
fuccumbit.pua gnatenim incontinens/ fedfupaatur. Intemperans autem in
habitu uitiiconftitutus omnem rationem amiDti ne pugnat aduerfuscupiditates:
quin illis uo» lens gaudmfqi obtemperat:
quippe in quo adeo deprauamm Iit iudidumtut qdf
tnalum fit bonum rlTe dicat. Sed ut iam ad inffitutum redeamus: non dum
tem' perantia munitus erat zneas: nuper
enim ea ratio in homine uluxcrat: ut uolupts tum fordes intueri poffet: nei^
rurfus tempeians : aut incontinensinon enim io de fe expedilTet. Sed cum
hincilleccbrx uoluptatum traherent: illinc honefti uui pulchritudo ad omnia
excclfa cum erigeret/demuiccbatur quidem a uoluptate cam feolibusfuauilTtmam
iudicabat: non potccatip non zgte ab ea diuelli.51i da enim adulatrix voluptas efi.uehementcr
fenlibus applaudit: ut etiam gcQ’tolioiit animi qui funt illa capiantur .lu
cnim fuauiter nos irrepit aut totos pau lanm occupctt Smgjt igitm comn ucac ft
guis lachiimaiu taincta littcin tioiaiu ti s h P U Ii 9 si Q lu ia K a» 10 k
liu tic adi li] tu »1I» bi » m inii tta ip DOi tUU) aoi pqai V» 'Z tiO*iJuti
idtai am i&:l» oap jiua riKil apoi at(p
tdib ;iup» ib 0f Libettmiiu Klinquittquonii c6tines. Quod H unam
tcpnitii adcptua fuifTn no lacbrimSs fcd
lema reliquidet : po<ta enim non ipfum a principio sapientem fingit:£C una uircure ornatum t (icd cum qui a
perturbationibus animum uendica» K
cupiens fe paulatim a uitiis redimat t k poft uarios errores in italiam id eft aducram fapicatiam pnumiat» Nam quznos de
continentia dc^ incontinen eia diximusan
quibus fenfus pugnat U ratioiuidiTim^ uincuntacuincunmr. eadem de
reliquis uitiis ac uirtunbusintelligas mtn quas mediæ funtaffcdio nes
nullo adhuc habitu latis Hrmxifcdquz modo ad has modo ad illaimpel lantiquisfortadeinuiu
ciuiiiin qua quz ad bonum tendunt incohau potius quam pctfcda lepenas non
nulli uittutes nominarent. Sed profici fcatur iam no &r Acncastuerum
quo tandem exui pn altum feretur: Nempe in thraciamre^ gionem patrue
fininmam/fiC terram Matd confcaatamnnquanupn Polynco ftoc holpitem fuum POLIDORO
ut auro potiretur interemerati Erit autem aua titia; fjtnbolum thtada.Nam
ipfe paulo poft: Fuge littus auarum. Vnum cum duplex auaritix genus fit.
Eft enim auarus 8C iis qui inde rapit unde minime con ucnitideis qui cui
dandum eft ei minime dat.primum illud genus perthraciam cxpdmimroi enim
in illa Mars colitur -quisncldt habendi cupi ditate plurima a mortalibus
bella geri. Sed ne Polyneftor borpitisintcrfedots6( Tuorum bo» Domm
raptor quicquam expreftius quam auaritiam rapinaft^ denoubit Cur igi tur
prima inthraciam ENEA nauigatioeftrQ^uiacuma uolupute difceftimus at<j
non dum ueræ uirtutis habitum contraximus facile ex ilia in aliam
cupidita« tcminadimusiinfurgitip habendi libidoibeatilTimam enim uitam
multi feade< ptos putantifi opibus maximifip diuitiis reliquos
mortales fupecet:Qua cupidi tace inflammati non dubitant non modo
nefaria: uerum etiam laboribus pericu lil^ refcitiftima bella fuTciper e.
Ingens profedo ftultitia:6i ab coanimo profeda: qui et fi uoluptates
contempferitcnihil adhuc altum furapete poiTit.Habet enim auaritia
pccuniz ftudiumiquam nemo unquam fapiens optauit. Nihil enim illa
mobiliusinihil quod magis fottunz temeritati fubiiciatar. Quapropter rede
Sa luftius auahtiam ita malis uenenis imbutam dixittut animum cotpufij
uirilc cf< foemineuquando quidem Si ad omnem humilitatem infimaTqi
fordes dcTcende tccogic:& inomnem crudelita temproreuili(Iimainfurgete.lpra
enim perfidia am pctiuriumip edocet:cot fraudibus: linguam
mendaciis:manum uenenis/fer.» to in aliorum pemitiem inftruit. Apud eam
quid fandum efle poteft: cum ho.*tes quoip qu Polydori exemplo docet poeta
minime incolumes fint. Nemi nem tamen mirari oportet fi Ancas fapientiz
quidem cupidus minime tamen ad buc fapiens in huiurcemodiuitiumprolapTus
fit. plurima enim inuiu humana Uidemusiquzquauis caduca momcntaneaip
finntamen morulcs pro maximis admirantur: quz quidem omnia cum ucnalia
efteuideantipecuniz prz czte^ ris ftudent.Q_uotus enim quifi^ repetitur:
qui non putet quod genus ficfoc mm regina pecunia donat t quis non totus
commouetur : cum auditi Si b^ ne numatum decorat fuadela Venus. Verum qui
duce Venere fertur Si tna gnarum rerum amore incenius cfi/pauladm errorem
recognoliit. uitiumip abominans Xfaradz auariflimutn lictas fugit, At^
cum iam fecundo deceptus i deinceps turpi Timum mirerrimumep iudicet
Apollinem: cuius oracula ue riiTima e(Te audient confulendum iudicac:
Retur enim (i ex illius dei ptxut pris uitam inftituat futurum. ut mifet
ciTe non pofTit. Qua proptei naviga donem in delum fumit: per Apollinem autem
qui fol cft: quid aliud quam lapientiam intelligemusf^Nam ut id omittam
quod ut fole eunda qux in lien fum cadunt illuftrantur:(ic lapientia
illuftiatus animus eunda profpicete ua. leat uideamus reliquam eius plancta: naturam. Sed
illud in primis. Nam cum Heraclitus fontem cælefiis luds appellat. CICERONE
ueto ducem carterorum lu« minum ea ratione dixit: quoniam fui luminis
maiellate præcedit: dixh itidem ptindpem dixit moderatorem: Nam SC ita
eminet/ ut ptopterea quod buiut> modi folus appareat fol uodtetur :
curfus reliquorum recurfuf^ipre mode ramr. Nam certa fptii
diffinitio eS ad quod cum quaim erratica ftdia recc' deos a fole
peruenerit tanquam ultedus accedere prohioeatur agitur retro. Rurfus
autem cum certam partem recedendo attigerit : ad diredi curfuscon fueta
reuocatur.Q^uapropter non iniuria et mens mundi cor czliapri« fcisdidus
ell:Quz omnianon ne fapientiz quadrant Non ne fapien^ tia reliquas animi
uires przcedit : non ne illis moderatur C Quin etiam li uim huius fyderis
diligentius aduertas iurc datur fapientiz dicetur: Nam ut a Saturno
ratiodnandi a loue agendi uim : ut a Marte animorum uehe« mentiam at^
calorem ædpimus; uta Venere deliderii motum fumimus: et quod loquimur atqi intcrptztamur a Mercurio
cft: ut deni^ a luna quod grz ci phyticon idcll gignendi augendic^ uim
habemus; (ic ipfe fol quod friamus: quod^ opinemur nobis prxllat : Sed
hzc de Apolline. Deli autem nomen S ipfumnon nihil ad rem affert, grzce
enim manifeflum flgnificat. Loca enim quibus fapientia przfidet : clara
femper manifefta^ fuat.Q_uod autem tot»> us infulz Anius imperet: qui
et rex hominuni et deorum facerdos iittnonca ret ratione : Sapientia enim
humanarum rerum cognitionem continet. Qua ptopternihilnouum fapienti
accidere poteft: quippe qui omnia iam percepo> rit : quam quidem rem
nomen regis oftendit. Anius enim didtut quali id elf (inc nouo. Hic
igitur hofpitio Æneam fufdpit: SC pio* fedoipfa fapientia animi nolfti
aluntur. Veneratur autem templa : at^ ea retn pia quz faxo uetullo
conftuida fint.Nam quid obfecro te: aut flabilius im* mobiliufi^ : aut
antiquius ipfa fapientia deprehenditur : quam fapientiflimus ille omnium
bebrzorum S^omon ab initio Si ante fzcula creatam fxcula æa ta effe
uerilfime didt.Sed tu quid me o LAVRENTI fubridens fpedas.Non polfum
inquit LAVRENTIVS dodillimorum uirotum ingenia non admirati lztuf(|:quz a
principio de hifioiia decp allegoria dixilli mecu repeto :Q_^uis enim non
obfiupefcat huius poetz confilium .Q_uicum apud Cioatiumueri
umlegilTetinDelo aram elfc Apollinis genitoris: in qua nullum animal
facrifi atur: quam Pythagoram ueluti inuiolatam adorauiffe fetunt :
legiffct eti^ am Sc apud Epaphum : Delon ne antea nem pofiea tettz motu
uexatam: femper eodem manere luo legiifet: et apud Thucydidem non mirum esse
fi przlidio tebgionis tuta infula femper fit : cum teucreruia locotumfibi
acccficrit Liber tertius coBtltiuafax Ieiurdetn firmitate: Cum igitur
bacc legilTet itafcnblt/ ut eodem tempore ex antiquitate hifioriam
eruatiponit enim Æneam Tolis przcibui deum uenerari:K templa antiquo Taxo
confirudæfTe/ficbxc cum ponit fimul ea affert quz PER ALLEGORIAM Tapientiz
conueniant. Dices quid in cacteris : hoc idem. Sed nefdoquo pado hic me
locus in quo hifioria non minus qua allegoria latet:mul to magis mouinSed
perge obTcaomolo enim mea interpellatione mihi ipfi audi endi cupidiffimo
moleftiam ex mora afferre. Datur igitur ab Apolline oraculu inquit
BAPTISTA z Dardanidx duri quz uos a fiirpe parentumzPrima tulit tel^ Ius
eadem uos ubere Izto Accipiet reduces:antiquam exquirite matremz Hic do#
mus znez eundis dominabitur oris:Et nati natorum 8C qui nafeentur ab
illis. Q_uo quidem oraculo quid diuinius excogitari poffit non
reperio:Q^uid enim faomini salutarius: quid conducibiliusefi: qu3
originem Tuam noffexin quam cu redire potuerit /tum demum fit futurus
beatiffimus: Dixit igitur pluribus/ne a poeta difcederet Maroxquod grzci
duobus tm uerbis expediutx qui omnium ora# culorum quz Apollini
tribuuntur maximum effeuolunt i«r</7>> V nofceteipfumx Verum
ut haxea nobis planius explicenturx Omnesquicuh^un# quam de fummo bono
ferip Terunt philofophi in eo fi non uerbis re Taltem con Ira Teruntxutbenebeate^
uiuere fit apte conuenienterq; naturz uiuere t Verum ubicoiamdeuenturn
efl/ut fit hominis natura diffinienda : tunc innumerabi# les
pemitiofilTimi^ errores emanant: cum animorum nofirorum ui ignorata
plufquampar efi corpori attribuatur. Nam cum ex animo corpore^ conflare
bomo dicatur. et alterum brutum/caducumt^ at(^ facile in interitum
pronuma Alter mcorrufmbiiis immortalis diuinuft fitxpaud omnino ita
mentem a fcnfi# busfeuocat: ut feanimi nobilitate imniortales cogoofcant:
corpufcp in nulla pene parte habendum cenTeant.prædpitur ergo Troianis ut
eo reuertantur de originem ducunt. Duplex autem illis origo efi.Nam
Teucer Scamandri cu# iufdam filius profedus ex creta infula in Phrygiam
uenit; 62 una cum Dardano Kgnau:t ; Dardanus autem prius SCipfe in
Phrygiam ueneratatnon ex creta: ut ille fed ex italia: nec mortali patre
natusxfed ex deo loue. Veniunt igitur am# bo in Phrygiam id efl in uitam:
et pnmam ztatem quam perTroiam fignificari di ximusxfed hic a czlo ille a
mortali. Ad huius enim animantis quem hominem dicimus compofitionem
animus a cziefii corpus a mortali patre prouenit.Qua propter cum primam nofiram
onginem inquirere nos Apollo iubeticuius ora# culum efl Nqfce te ip Tum :
non quid corpus fitxquid ue illi conducat inuefiiga# re iubct.Sed quid
animus fit 8C quo pado fecundum animi natutam uiuere fodi ces
effepoflimus inquirendum mandatxQ^uam quidem rem ut ezpreflius fignifi
caietannquam didtxEfi enim animus fi non tempore/ut Platonid uolunt digni
tate Tua at(^ excellentia prior: Optimum igitur oraculum: Sed quid
prodeft fi illud male interpretatur ANCHISE. Hic mortalis Ænez parens
omnia ad lenfns referens ibi (edes collocandas cenfet ubi prima corporis
origo fit. quafl prima naturz non animi fed corporis fpedanda fint t
Quaraobrem non ia Italiam fed in Cretam enauigandum proponit: qua in
infula multa mala Tubi# bui fint Ttoiani. Nam cum (ummum bonum non iis quæ
animum: fed quaa In.P,Vtrg. M.AlIego. corpus fpcdcnt natura
noftra ignorata reponimus necefle eft/guoniaft illa pati> io
po(Hnpe(lem/ac demum in interitum cafuraiint/ut non bearirredmiferi fiu
turi (imus:TuIerunt ergo prxrium ob ftuitiriam Troiani:gui in italiam
nauiga» te iulTi actam ptticrint. Si enim in italiam.i.in originem animi
redeant Troiam percipiunt cognitionem rerum diuinarum in qua fola
flabiles et manfuras feda inueniuBt ; Hic enim domus Ænea; eundis
dominabitur oris:Et nati rutorum et qui nafeantur ab illis. In æta enim
nullum e(l Ænex imperium. Na corpus ne^ fe nerp aliud mouet:fed iners
brutum: 8C line fenfu iacetrnec quicquara Ii ne animi auxilio ualet.ln
italia uero imperium latepatet.Corports enim domina tor et redor eft
animusrin nullam^ nin uolens fauitutem cadit. Cunda autem fue cognitioni
rabiiciu Se enim pafe uideticum autem deum cognofccie tem/ ptat fuz
menris acie ad fuperiora erigimr. Colidaado oia fpedat: Rimatut
occulta. Videt abfeiitia:breuicp temporis momento uniuerTas mundi oras
anv bit:Defcendit ad interiora: Afcendit cxlum. Adxret deo: in quo efl
patria fua:Et ? uoniam imorulis eft hxc femper facit : Quapropta
eius imperiu eft æterna: ixcaprincipioqua uisdiuiniscflentmomtiprxcepris
cognoicere no potuerat Troiani: Nunc uao calamitates eipaticognofamt. Epimetheo
quidem ferius: Sed uidete quxfo quam admirabili ingenio reliqua
profequaturt. Cum pefie labo rarent Troiani danmatfuam oraculi interpretationem
Anchifes.Nam poftqui diutius debaccliatus eft homo dum fenfibus
obtemperans omnem fpem in rebus caducis reponit/tandem ufu Si experientia
dodior redditus animadueftit no fua« fifle acta Apollincm.i.nunqua
pofleefte homines beatos ex iis qux mortalia fntt Cenfaigimr alibi
quxrendamfoelicitatenuVenmi non dum tanta metiris arie ualenut qua inrcconliftat
discernerc poiritr Na humiproftratusanimus/St fieri gi nitatur tamen
corpote'obrutus qu x in/cxcclfo collocata funt non nili poft mui tum
tempus difeemit: At dii penates eadem dicent qux didurus efliet ApolIotPu
tabantenim antiqui deos penates elfe ex animisiuotummatoTumtqui clari
ilhi^ ftref(^ multis egregtiftp uirtutibus fuilTent quali deos
domcfticos: Ergo Si hos animoru noftro excellentiores uires
intapretabimur:quales funt ratio intelle# dus atqr intelligentia. Qux
hadenus furentibus fenlibust Si omnia tumultu co plentibus nihil
fanuiudicare poterat: Nunc autcpoftquamfuograui damnoeu pertus eft homo
fenfuu iudicium falfum elfe illos a tribunali quod tumultuo &oc
cupaucrant deiicit:& luris dicundi potcftatem iisjuiribus quas paulo ante
nomii> nauipermittinillx autem cum iam fcnlibus parentioribus ut atuc:quippequipu
dorc confufi nihil amplius audeant/K cum eorum iudicium diuturnus iam
ufus at^ experientia confutauerinparaciam non amplius prxeipne deæucrintrfc
a tumulm colligunt:at (pfeipfascxdtant:fumma ( contentioeruftitix nebulis
fua luce fugatis mentem ab iniquiffimo fenfuum iudido prouocauit ita a ætenfi
domicilio abfoluunt : ut tamen italicam profedionem fuo dcacto 'edicant, ii
dunt^ proptnea fux fententix ftandum: quoniam eadem iubeant quxipfe Apollo a
quo mittuntur didurus fit: Et profcdomcns nostra multatum rerum usu iam
dodior reddita multa, ex fe cognofdt: qux fapientia ptxdpere con sueuitt Nec
ucto quempiam moveatli deorum pcnatii oratione pct fu ad catut
Andrifas I t ( II P nudfi D B B< P> h Jrj-B
SNitn ubi ndo pneualerc iitn crprrit : appetitus Hli rubiicitun MuItS iatn
profeoe nintdii pcnatess quiquz obfcunus Apollo SIGNIFICAT prrfpicue
enodaruntt docent«piniuIuadrcrum diuinarum cognitionem enauigandum rfle:
Beatus profedo ENEA (i decretis ftarett (i quod bonum efTe cognouit:id
ita mordicus arriperet ut nulla re inde po(Tet auclli:Non enim totiens a
redo curfu deiicere^ s Veru non is adhuc uir eft qui conftanti habitu in
hisobdurauerit:& per (uma t& perantiam a rerum moruliu
cupiditatibus sit penitus purgatustfed inter contine tia; at(^
incontinentiz uarios frudus uacillans fzpe cum ad aliquod Tparium fuo
uento procelTerit: nauisfubito a redo curfu deiicitur. Non enim is
gubernator clauum tenet qui fummo nauigandi artiBdo arperrimam etiam
tempeftatetn fupcrarcualeattfed Palinurus t qui poftquam ceruleus fupra
caputaftiiit imber nodem hyememt^fercns.poftquam inhorruit unda tenebris
: poftquam conti» nuouenti uoluiit maretmagna^ rurguntzquora:& quz
fequuntur.ipfe diem nodemt^ negat difcernereczios nec ræminifTeuiz:
Diximus a ptindpio foloap petitu moueri aniraumtdiximus itidem duplicem
e(Te appetitum alterum qui a fblis feniibus ex dtetutitationi^
aduerfeturidicatnttp libidotalterum qui ratione pareat:uoluntaf(^iure
nuncupetur. Qui quidem sinauiprzfuifTetiporerat ea am aduafantibus uentis
iter redum tenere, oed przFuit Palinurustis enim eft qui folisfeniibasob temperatiuirefij
aduerfus uentosinterprxtari poteft enimgrzce retro uentis didtur quali qui
in contrarium refetat. Hic igitur infurgcntibus pertutbationibus/uehementioriburi^
cupiditatibus uelutitcncbiis animuminuoluetibuscum ipfenulla rationis
luce illuRracus (it dicsano dibus ideft ucrumafairodifcerncrenrgat. Magna
profedo hominum ioldtiatmazima^ fenruum perturbatio qui ita rationi
aduerfanturi ut quauisil la fzpe infarg.it t ut animum ab illorum nefaria
tyrannide feruituteq; eripiattipfa uclutiiulbirima regina ueramuelit
inducere libertatemitamen cum nondum uiresfuasrecupetaueritm Dpercp a
diuturno exilio reuerfa a paucis fuorum ciuin cognofeatur fzpe antea qua
dus regni quod (ibi iure dcbctur polfeinonem recu» peret ab lilis
repellitunquippe qui multos iam annos tyrannidum tenentes omni
largitionum genere appetitum corruperint : illum cp adeo demulfcrinttur
malit io feruitute uolaptuofc degere qua honorifice in libertate laborare.
uamob» temcum acbrainterillos przliac6mittantur:difcedic fzpeuida ratio,
lllicnim parere rccuCiDS Palinurus nihil sanum fentit : Eiufcp
ilultitiaatcptrmeiitate cd» mittirurtuc dedituto curfu t quem penates dii
prasceperantin (Itophadas infu» lasdeclinetur. Hunc autem locum nos ni
fallor auaritizuitium redeinterprzta bimur/non illud tamen quo inde rapimus
tunde minime conuenitiid enim nobis Thrada ddignauit. Verum aliud quod
tunc patratur: cum ex iis qux iam peperimus minime illis (ubuenimus :
quibus tus naturacp ac humanz fo detatis uinculum fubueniendum poftulat. Oodus
enim'iam Fragilitate rerum buroanarum Æneas ad diuina ratione id
efflagitante ferebatur. Sed appetitus aduerfus illam adhuc contumax ftaredeætis
non potuit. Verum ad ea quæ uulgus admiratur rurfus conuerfus diuitias
cupit. At quoniam multum de pti* fiuufcritateitniautufuctaUndui nc rapiaisilJafibicompatatecoBteodit:
fcd In.P.Vitg.M.AIIego. per (oBUS fordes plus qustn
psr eft parto pacens nullo libmlitatis munere fiigiei DC(p (ibi nc(^ Tuis
beneficus eft.Q_ux quidem cum facit fe parcum non auarutn
prsdicatiprzfert enim fpeciem boni uiri cum peflfimus Ar. Q_uaproptcrnon
io« iuna harpyz ipfz uirginea facie Angunturdimulanc enim
pudorcmimodtfHaou robrietatem^iomneri^ uirtutesprzfe ferunt. At earu
ucntris ptoluuies fcedifli< tna eft.Q_uisenim
po(TetauaritizfordesexpIicare:quis qui turpis hominis di uitis eiufdemtp
tenacis uita fdt latis referrer Cum furor bau d dubius s cum ftene As
manifefta At egenus uiuereiut diues moriaris. Quid miru igitur A earum fu
des palidafcmperc fame et macilenta AtiNarahuiulizmodi homines iure tanta •
locomparamussqui inter aquas.interi^ uaria poma confbtutus Ati tamen at^
fameconAdturiNam ut cumulus diuitiarum acrcatiprcinterim ruum/utillete«. centianus Gcta defraudans genium partis
abfbnct ac timet uti: Quod autem ua ds Angantur manibus ratione non
aretiNihil enim remittunt quod femel ctpe> nntauarii Q_uinfunt
adeoperaino A auarinxundiut hominem ad dtuma qua dam natum ab alnlTimis
curis ad hzcinfenoratrahantifiC uelutide czioin terras K e lucidis
fjderibus in profudilTima tartara trudant. Auertit enim nos at^ feuo« cat
habendi cupiditas a cognitione carum reru quibus folis Axiiz animus ciTe
po( At. Sapienter igitur adiugit.TrilHus baudillis mdiltunec fzuior ulla
peAisidtjia deum ftygiis fefe extulit undis: Non autc Aulta rado poetas
impulittut ex Thau« inante patre: matre Helcdraoceani Alia natas harpyas
fabulentur.Thauroan« tem tede admiratione dicemus grzci enim admiran
dicunt. Cu cnimobfumma fiultitiam diuicias maxima bona putemus cum
aut bona non Antaut minima bonaiproptcreaq^ illas adrairamut:cuenit:utcx
ca admiratione cupiditas habendi nosinflamct.Ncmo enim cupit caquz
negligit:at(j contenv nit.Suntautem ex eamatrequzAt Oceani Aiia:Nam
liquis maieriam diuinarn diligentius conAderct:omnia mari Amillima in ea
uidebit.Vt enim mare in afli' duo motu cAicundac^ inco facilem ifcentunat^
pcnurbanturaAc diuitiis ai<jf opibus nihil Auxibilius inuenias:multiq)
tumultus ac fzui Aima bella inde ezota tur. Hz igitur c£.'n paflim
armenta gtegcfij pafcant : nihil inde Abi ad ncccAiu tem fumunt. nihil
aliis rumerepermittunqvcrumfiC ab hocquoq^ regenereaua tinz quando^
explicat uir fummi boni acquiredi cupidus. Relin querat olim uo
luptates.indderat in rapinasiquibusquo^ damnatis otacuium confuliti A quo
accipitnofceteipfum:in quo errat Ancbifcscum ea ad corpus refcrctrquz de
ani tno przcipiebanturicauturqi ruo damno fadus errorem cognofat: con Alium
inutat:rclida(^ creta tendit in lauum. Verum rurfus perturbationibus
uexatus animus ad diuicias rutfus refluit: non tamen ad eas quas rapinis
ut hadeoust fed quas nimis fordida pat Amonia comparet: Sed et boc
quo<^ uinum effc cognofccns / proptetea^ damnans < ad Helenum per
hoftcsproAafatui. bes igitur quare in harpyarum infulam delatum mixcrit Æneam
y?^uod ue^ IO ab ip As uefd prohiberetur iam parariscpulis inde efliqnia
eam uim habet auarina/ ut qui etiam dinflimi Antfame penrequamuci minimam
acerui par« Aculam imminuæ malint JAcmis tamen eas pepulerunt Troiani:
Nam di aua AAacxifflbcdllitateat^ builitate animi tuliaf':qiiz ci
cAiut&fctia et tnulict«' i-% « % % t ik tltl I- 1 II- 1-
i j mii oa* iff Liber toriiu <aIcgux'tninori
animo runtauarioresTemp^e pncbeact/tunc Fadle pellitur fi foitemgcn ercfum^
fumamus animum ^6Ilcedit e fitopbadibus a;neas t fed non prius quam cnfle
a ccleno oraculum ædpiat < mendax omnino uates Bc in E s fubdola
} et quz uctborum firepitu honorem inde incutere uelit unde ni timendum :
bed profedo hoc morbo laborant auari i Nam fi quando ho« ncOa quzdam SC
una ratio lilos ad divina exploranda erigat < propterea^ huma na
bzcfiC mortalia negligendafuadeatrihtiminfuigit ex auaritia metus si rem
noftram familiarem negiigentius curemus fore ut (i fame pereundum x Sed
ne« fiauot fiuItilTimt homines quam paucis natura contenta (it i quam
facile t quam minimo fumptu eius diuitiz comparentur: Efi autem fames iis
timenda qui in anesqui infinitas cupiditates et quz ne^ neceifariz
ne<^ naturales lint fibi exple das propofuaint quorum uotago um lata
tam profunda efi : ut nulla auri ui t nullo gemmatum iapillorumtp cumulo
repleri queat. Qui autem ita uitam ia* fiituerunt > ut fola fe uirtute
bntos putent : animum^ non corpus ditandum ^ ponant : his omnia femper
abunde adaunt t Q_uam quidem rcm:quo tibi pia* nius exprimam : at^ adeo
potius oculis fubiiaam.ptopone tibi duos diuetlifii^ mz quidem
fottunz/fedeiufdem pene ztatis utros Alexadrum macedonumte gem/&
Cynicum Liogenem utrum ditiorem iuch'cabis:uide quid dicas. Maximi
Alexandro thc Ciuri erant plurimi tobu Riflimi^ exerdtus (ibi militabant :
Imperium latilTimum poflidebat. Innumerz pene nationes acpopuli ex Europa
A(ia* ^uedigales huic erant.Diogene autem quid potcftangu (liusexcogitari:
qui prz tet rimofum illud uas e figulo acceptum : quo l'e recipetet ut e
frigore calorctp tuf tuselletnetuguriolum quidem haberet : quem eodem
panno in utroi^ folftirio obfitum confpiccrcs : cuius auda olera etiam
nullo file alperfa beati (limorum re gum dapes fuperarent. Vttum igitur
horum ditiorem Laurenti iudicabisr Ego q dem inquit LAVRENTlVS h a
deptauatilTima confuetudine : quz altera pene in nobis natura cfl
dirce{l'eto/& rem totam fenfiiu iudicio exclufo rationi cogno»
lixndam tradam beablfimum Diogenem:miferrimum Alexandrum proferre no
dubitabo. Vehementer enim iis aifentior : qui in diuitiis penfiiandis non
quam tum tuii^ adiit : fed quam abunde id quod adeft fibi futurum (it
animaduerien» dum cenfent.Si emm is diues eft cuius cupiditanbus adeo
fatis fupercp fadum (it ut nihil pczterea defidcret quis Diogene ditior
:qui cum (lue pafiurem (iue arato rem quendam cauis manibus aquam e fonte
ad potum haurientem uidiifet : po culum quod ad eundem ufum hdile gerebat
ueluti fuperuacaneum abnædum putiuu. Q^uis rutfus Alexandro pauperior :
qui podquam a Democrito ut p\i to PHILOSOPHO plureselfe mundos audiuaat :
lamentari non crilauit tanquam nulla ratione diues effici poffet nili
illos prius imperio fuo adiecilfcif Rede o Lau tenti de utro^fentis
inquit BAPTISTA. Q^uamobtem cum idem rex motus animi tranquilliute quam
in Cynico cognouerat ita pronuciaiTcticupcrem Diogenes e(Te nifi cifem
Alexander : magna ex parte fiultitiam fuam indicauit : cum in fummis
opibus zgere : quam in fumma inopia ditefeæ mallet. Quamobte difeant
homines quam paucis natura contenta fic s quod cum didicennttoracu# ium a
Cclcno zditum &cile tldcbunt:quamuis ipla ut otadoni liiz fidem
faciat diat fe ca pronunciare guz Phabo pater otnnipoteos flbi Pbccbus Apollo pn« dixit. Natn rempn auari
qui funt : uiriutn quo laborant fallis uirtutum limula» cbtis tegere
conantur. NatnquzmoEraauaritia eftream patlimoniatn uocants et aut deorum
t aut maximorum uirorum audoritate famem timendam pctfua» dete conantur. Oolofa profedo cupiditas et quz
cos etiam quos prudendotes putamus fzpe decipiat. Aduerfus cuius fraudes
illud unicum remedium cft nof fe ea quz hominum ftultilfima cupido ad
uitam degendam neceffaria putabnoa modo nihil peodelTc i fed omnium
noftrorum malorum caulam exiiiæ. Deferens igitur Harpyarum infulam Æneas
ad Helenum enauigatrEll au» tem Helenus 8C uates K conduis«|Q_uapropccr
rede ilium dicemus ingeni» tam nobis rationem et ueri lumen quod natura
in nobis refulget,: quod nos fallis bonis decepti confulhnus ut in redam
uiam ab erroribus reducat» Ipfe autem uates uera przdicere poteft : fed
ditfidle eft ad illum petuenitei cum Iit itet pn medios hoftes tenendum :
Nam 8i fenfus omnes 8i apped» tus fenlibus obtempetans uolentibus nobis
in uetum iudidum delcendcrc (em» per aduerfantur:,At(p adeo nobis
confultantibus obfirepunt: ut uix radonem adire et uera bona a fallis
fecetnerc poflimus. Verum cum ad Helenum perucne rimus iuuat cualilfe tot
urbes argolicas medios fu^m ten uilfe pa hgges : Supe» rads emm
perturbationibus iratiquilla'quTdai^ r^nquitut mens: in qua lecxd tans
lux radonis nobis ucrum oftendit : Q^uo dodior fada mens agnofeit itali»
am t quam propinquam elfe putabat uia inuia longe diuidi: multum^ matis
ef fedreueundumi et ad inferos defeendendum antea quam quietas in Italia
fedu collocet : uz quidem omnia quanta ratione dicantur ; faulius cS
mente coo pledi quam uerbis exprimeret poliquam enim animus non dico
profligatis /fed magna ex parte repreitis uitiis per medios / ut diximus
hoftes in lumen luz luca defeeudit Itum demum aduertitfummum bonum: quod
in propinquo coUo« catum habemus putabat poculabclleioporterei^ nos amplo
dreuitu Mariamo ftris obfelfa peraauigare : Nam inter ipfam
contemplationem: hanc quam ui uimus uiuminteriacet is quem iam totiens
appetitum nomino uelutiturbulcn liifimum mare: quod fcyllacharibdifcp
pernitiofiirima monlha infeftum red» dant: Si tamen eft pei hzc loca
enauigandum li IN ITALIAM VENIRE nolumus : Oi» ximus enim a principio (i
rede memini nulla alia ui nilT appetitu animum motuti .Sed quoniam de duobus
iis monftris dicitur a poeta : facile eft ex ipfis fabulis quid fibi
uelit coniedari. Nam cum eas foeminas rapaci fhmas fuilfe memorizf
proditum Iit : non ne per eas commode exprimi animi nimias cupiditates
dice» mus : quarum prindpes luxuriem at^ auaritiam eife nemo dubitat. Scjlla
e^o s glauco adamata ucneteasuoluptates exprimet: quz maxime rebus
nofttis fio» rcndbus uigent: Nam quod eius uniunia pubes m canes
latrantes conuerlafu/? uantum ad negodum faciat : fadle eft cognofccre.
Chanbdim ueroipli quof Icrculiboucs quondam fubripereaufam quis non
intelligat limulai tum nobis auandz refene : 8I qnoniam ab ca non ita in rebus
fxliatei fuccedenubus ut gemur quemadmodum a libidine. Sed tunc potius
cumnimi sanguftiis diuida nun terminis incluli uidemur: ac ob eam oufam
minime nobis noUxa placent
ii •p. a MI ia Bi itk iw “!f
lab ipoK imi». okib! abii
l{DKd biW uocA \^2Dli
.qmX (uitbi SUID* jniisi^uin®^ iCID# aajb crlb<
jola* OUfl^ 1^1^' amba* mfia eKccT^ eflcopinaiaut t
iccirco dextrum a fcylla : Icuum a cbarybdi latus obfi dcri Mato dixit
(quoniam altera in rebus quas aduetfas putamus t altaa in iis quibus
uebcmenter dele Aamur : nimis nos urget. Quz cum Baptifta dixiflct : at^ refumendi
fpiritus caufa aliquantulum obdcuiflet. Admiror inquit Laurendus tam magnx tam^
reconditx dodrinz diuinitatem. Verum quanto me iffa tnagis deleant /
tanto magis cupio : ne minima quidc m in tota re mibi dubita» donem
relinqui. (tai^ utar ea quam mihi conceiTi^ libertate uel licentia
potius: At^ ut iamioulligas quid illud (it (quod nili tibi aliter
uideamr/ planius heri cupio. Odenderas a principio ea ratione politum
ellc a Marone Troiam zneam cekquifle t quoniam lam uir ille corporeas
uoluptates contempriflet t per thraci» amuero at^ dropbadas utrun^
auaridx genus exprelTum cfTe uoluidi : Cur igi» tur (i buiufccmodi iam
uitia exuerat Æneas ( rurfusnunc ut illa uitet ab Heleno monetur C
Dcle&at me tua interrogado o Laurend inquit BAPTISTA t Oden» dit
cnimmaion quodam iudicio quam idbxc xtas gerere foleat te ea qux dixi c6
fideralTe: Veium quo omnia tibi plane pateant: memineris non eum uinim a
Virglio [VIRGILIO] produci ÆNEAM Æneam: in quo uirtutum habitus conoboratus
fit. fcdqui pro uirtuteaduetfus uida ita pugnet tut non (inemulta
difficultate per continen dam uincat : nonnunquam etiam uelud
incondnensuincatur.Q^ui ueroin Ita liam id enim ed ad diurnarum retum
inueibgarionem uentuius ed/ huic non fa dsed : ut continens fit. Nam
quamuis condnentia a cupiditatibus arceatitamen S uoniam in affiduo
certamine uerfatur:non przdat eam animis nodris tranquil
tatcm/quaadrestamexcclfascognofccndas opus ed Quimobrcm egenus ipfa
temperantia uirrute undi^abfoluta: et in ipfo pene cerdo uirtutum ordine
corroborata qua qui inlbudi fuirt/nonfolumonuies cupiditates Tupc Tantiue»
lum edam illatum penitus obiiuiftuntut. H oc autem habitu nemo mortalium
fe corroboratum in confidat : nili plurimis afliduif^ adionibus prius ad eum
co fequendum fe exercuerit : Q_^ux res line longioris temporis interuallo
effici nem poted. Huiufcemodi igitur temporis moram VIRGILIUS poetice
quidem fed opd me tamc exprelTic : cum dixit : Prxdat trinaaii moeras
ludrare pachtnni. Ceffan tem longos/ Sedteunfledere curfus. Quod autem
moneat ut eo quem dixi ha» bieurn fe con firmet xneas uerfus unus indicio
elTe pet^d. Adiungit enim quam fcmel informem uadouidilfefub antro
rcy1lam. Quamobrem icdiflime uni» uerfum locum concludemus neminem
poffeipram dminitatem attingere : nili perlongum prius intefuallumeuih:
quem dixi habitum ita contraxerit: ut non modo non rapiatur a fcjlla :
fed ne femel quidem ipfam uideat. uod quid ali nd fibi nuit : nili
ita obiiuifeatut cupiditatum omnlumtut nunquam illx in con ipedum
fuxmentisredeantrperpulchrc per^ commode omnia ida inquit LAVRENTIVS. Verum
quid tibi paulo ante explicare libuerit: triplici illo ordine oir tutnm
non plane intclIigo.Res inquit BAPTISTA huiufcemodi ed : qux &: Iz pe
alias maximo tibi ufui et prxfcnti fermoni apprime neceffaria futura
linOiui» nus enim Plato cum uirtutes de uita Sl motibus eafdem quas
exteri pofuilTet:ita sd podremum illas diueilis Gue ordinibus Gue
generibus didinguit :.ut alia qua dam ratione ab iis illas coli odendat :
qui ccetus ac duitates adamant t alia ab iia h ii i I
qui omnan mortalitatem dedifcnc cupimtes/ft humanatum rerum odio taoii •d
fula diurna rognofccnda eriguntur : alia poftrcmo ab iis qui ab omni
iamc6« tagionc expiati in folis diuinis ueriinturtprimas igitur ciuiles
dixir/fecundas pw gatorias/ac tertias animi iam puigati.Eft enim triplex
hominum rcÆ et ex ratitv oe uiuenbum ordo.Horum trium inferior eft eoru
qui io fudali acciuili uita dt gentes rerum publicarum adminiftrationem
fufcipiut.His {iximi fed m ercdioti gradu confiituti ii funtiqui a
publicis adionibus ueluti tepcftuoflsiac procellolis Kin qbus fortuna;
temeritas oino dominet'' :fe in portum tranqllitatis trafferuot et a
turba io odum fe tecipietes/ quirta uitam degutinon ita tn ut no aliqd
adhne tefictaduerfus quod Iudadumlit. Supremo autIocoeoscerncsqui penitusa
re« rum humanatu concurfitionerac tumultu remoti nihil cuius panitcdum sit
/c& mittut.Eft autem oibus his ordinibus hoc c6munr/ut uirtute dure
ciida ad boni redi^ normam dirigati Verum qa in uita duili
cupiditaribusiac pturbationibus omnia tumultuant hifip non oiu xgre
refifti^ rdicunt in ea hoium genere uiitm tesi Dcohataspotiusqabfolutast
Quaproptetidinill bptadcntiac6tendit/utm bil agatuticuius non
polTit ratio (^tem probabilis reddi i Fortitudo uero animd fupra omne
piculum at<p moetum affett : et nihil nifi turpia timenda admonet.
Tcm{watia autem oftedit fola honefta appeicdainulla in re moderationis
legnn excellcdamioea cupiditates iugo ronisrubiidendasiluftitta; poftre moptesfuni:
ut unicuimruumredd»’' iutx quoiureoesuiuant .lnrccudoautilioh>iumgene
tctqui ea it ronea negodo in odum uendicat/ut liberius poflit rerum
diuinaium conicplationi incubcrcifunget munetefuoprudciiafifpretis oibus
mortalibus rebus &cxleflium collatione pro nihilo habitis omni cura
omnim cogitatione ad diuina copuertat". Temperitia autem cum ea
folum nobis cdce(Utit/bne qui busferuari uita non polTiticaitera omnia
fcueriffimoiudidocontenendarf^upeii datp pronuciabit. Sed necaberit
fortiiudo qu* afliduo pridpiatiut nullum meo moduminullumlaboreminullu
periculum horrefeamus/quo minus redo 8£w petuo^uti**' - j 1 n- ». tuo^ut
ita loquar)curfu ad cxlcftia et ad origine fuam icdat animus.Diccs q d
luIhtia.Hoc jifcdo minus libi imponctiut reliquarum uinutu cofenfum in hu iulcemodi
ppoAtum firdatilfti quo^utrupiarcsaduafuspturbationcspugnit fcd fadiius
fupcratsfei^ paulatim expi .tos reddunt. Quapropter uirtutes ipCrin illis
purgatoriz appellantur. Verum audi iam tertium illud eorum genus/quota
animi ab omni uitiorumlabe ^cul ab Ant. Hi igit' in eo prudentiam
exered/non ut deledu quodam habito diuma terrenb prxferantifed iit illa
fola nofcantifuU J ueluti nibil aliud At intueantur. Adhibent autem
temperantura non ut cupitates coberceatifed lilas penitus ignorent.Eadem ratio
erit fortitudinis.llla eni pernitbariones non uincicifed ignorati Quin
opubic dura at^ horreuda Abi of ferrirnon ut uidoriamaiTequacurired ut in
eorum obliuione perpetua riimiuts 'ifidiligentetinfpides/ fadiecognofcesidabhelenoadmo
petduret. Quxomniaf ^ neri xneam
non pofle illum fedes in Italia qetas ftabi colloare/niA priiis ad
boc tertium uirtutum genus peruenerit : (^uid ergo hadenus: nonne
Troiam deftrueiatjacthradam ftrophadefipteliquerat. Defenieiatquidemjred
nondum $mca uitia fugiflct illa dcdilutc poterat Jiunc autem non ut
Moliirnt^iP Liber tettiai «Birittaib^ deponatt^od tam
feceratered ita de tnte deleat: ita perpetue obK tuooi roaadntut nunquam
eorum memoria illum rubeat:Cu autem prz omni bus rcbua iterum at(p iterum
1 unonem pbcandam moneatsqua quidem adua •imte Italiam nunqua podturua
(itmdnc nobis documentum eftroaximum nui Ium ex innumeris uahif^ uitus
eflieta quo etiam ii qui ad quzip ezceifa eriguiu lur t scgriiu liberetur
quam ab bonorum imperii^ cupiditate.Fadle eft enim cd temnere uoluptatesa
qui iam maiora mente conccpit.Diuittasuero &li fpecie maximorum
bonorum a principio nobis oftendantipoftrcmo tamen ab excelle tianimo
negiiguotur.Atucrohooorcsmagiftratus& imperia quoniam exedi' lens
quodda et eminens in fe cotinere uidetuunfpecie decori at<p magnifici
ztu* mum etiam excclfum deripiuntiNamcum cupiat ille fefe qua proximii
deo red deretanimaduertac autem nulla alia te nos magis deo fimiles efle
qua dandis bc ncficiisiNt^ hzc przftari ab hominibus pofle nifi in fumma
reru poteftate coo flinitifintiaocenduuruebcmenti quadam cupnditate ut
reliquos antecedat: Eft enim natura nobis iditu/utfcnm (upiores in rebus
oibus euadere cupiamusi Ce dcrcauteautfuccumbeieturpimmumputemus.Q_uz
quidem naturalis cupv» ditas nifi reda ronc temperer in ambitione ac
pofttcmo in tyrannide nos rapit: in qua muka aduerius humanitatem audelia
tetra nefariaip comitthnus : cu natura ipla nifi deprauata fuerit
ad magnanimitatem erigat nos ad fupetbiam ft dominatum omnia rapimus.Hinc
fraudes:hinc czdes : hinc reliqua imania
fiagitiainfurgunt.Q^uibustcbusipfam humanitatem exuri in truculcntilTima
monfiu conueitimur.Non igitur fine fiimma lapinia ad Cyclopum littora ht Dti
dedudt diuinus poctatut ofiendat qui magna quzdam et cxccifa petuntten
nulla certaratio anima reganfefe falli et pro animi magnitudine in
imanitaicla bi.Scd hzcquocp loca miferia ad fc fugientis uiri admonitus
qua primu cifugit ENEA. Quid enim aliud nobis cxprciTius
cfiFmgerc:at^ipfis(^ucica loquar oculis fubuccrc potcfi ambitio larofiC fumma
efferitate deteflandam 1)^300103 uitam quam cyciops Polipbemu$:qui procul
ab omni hominum confortio hu manis carnibus paicatur^^ inter luflra
feraru fola uita agat. Nonne enim iure Andropophagos tfic enim eos
appellant grzci qui humanis arnibus uefeun' nmilloscl Te dicemus: non qui
carentia iam anima corpora id enim multo ma gnto Uerandumefiiinfuas
epulas conucTruntifed qui uiuentes omnibus ctu» oatibuscrudelil Timc
exeduntiqui ut aut tytannidem|fibi comparentiaut iam cd paratamtut cnturioptimum
queipuirum et iufhzqui ac libertatis amatoicm lzuifiiimemteTficiuat. Qui
utfcelerariirimi uori compotcsc £ Ficiantut:aonmo do fingulos homines
ttuddanttfed totam urbem:ne^ folum totam urbemifed integras nationes
ferroigni fameij populantuncun^ libidini militari fubiid imtt. Qui nc^
agris cultoribus fpoliaietne hominum pecudum^ przdas abi gete uomturiqui
pueros tcncraf uirgines ex parentum complexu aut ad mor tcmautad libidinemrapiunnqui
caftarum mationara pudicitiam expugnat: qui publica acpriuata faaa
ptofanacpzdificia funditus cuertunt:S qui modo in florcnrifiinu re
publica ampIifTimum dignitatis gradum fumma cu gloria ob tincbantitot
nunc oibux foituius lpoliatos mmiraritni feruttutc abducunu V'
I.4 In.P .Virg-M.AIIego. uos igitur cydo^quos leftrigonas cum iftorum
imani fcttida cofErcnaif Quimobrtm uir iummi boni cupidus qui antea non
bene infttcuta animi (oi magnitudine quacun^ uia ad honores imperia^
nitebaturmunc demum tam nefariam crudelitatem quam primum eam nouit
deteftatunnouit autem a ma dlenta rqualenci<| achemenide forma per
quii lapiens poeU omnes calatnittla quz ex tyrannide generi humano
perueniunt s latenter (ignilicauiticum dues paulo ante omnibus
ampiifhmotum honorum gradibus honefiati/ ad rern ino piam cxtremai^
famem cdpellunturicum illudiis mortis moetu latere ct^un^t Rclida
enim ariffmu patna ignobililfimis obfcurilbmirip lods exulant: Qua: quidem
miferia edam li in graium hominem et Ænex hodem cadatitame non poted
ipfequi uit bonusauc fu aut elTe dudat ad fummul tyrannidis odium
no impelli. Qudigitur Maronis fapiendam noniureadmiretun qui uirumm
ita liamuentutum maria at^adiaceda littora tam horrendis mondris obfefla
ita caute dreuire iubetiut illis omnibus euitads in Siciliam incolumis
perueniat un de breuidiffius curfus in italia dc.Fadle enim ed homni qui
fe ab omni ii auari» dxfpcde cxpediucntomnemip iniuditiaatipei Fentate exuedtiadreru
magnis rum cognitionem edgi iprxfctdm fi iam in Sidliam uenerit. Ed aut
Sidlia nue in(u Ia olim uero italix coiumdai Bt condnends parstfed uenit
medio in pontus K undis hefpenum (iculo latus abfddittarua^ Si utbes
littore didudas angudo interluit zdu.lta enim abimortali deoapnndpioæatæd
diuinitas animoti nodrorumiut una cademi^ dt pars infedot rdniside qua
paulo pod ent didin dius difputandum di parte rupertori.Scd quoniaipfa,in
agendis rebua uerfaf drea ea quz loco 6i tempore citcdfcnpta adiduam
mutadonem redpiunt euenit ut interucnientibus Uanis pettutbadonibusi quibus
prudenda decepta (xpe pto bonis mala cligitiratio ipfa inferior illis
uelun uehemcdlTimit fludibus alfiduO percu(riabitaliatandem diuellacur:6 (aruperiodradonead
appedtum defid> at Quz omnia quauis ita fint unde tamen breuiot
ciufusad italiam.i.ad eo» teplatiunciquz m ipfa ratione fupedod polita
ediquaa ratione inferiod quz per Siciliam lignidcatur nihil repedes
przferdm humato patenteique nos mol bticm quanda eneruata homini a
fenfibus prouenienteinterprætati fumus.NS quam enim ad ueram
contemplationem deuenicmusinifi pdus ipafut ebddia notum uerbo
utar)fenfualitasnon modo earinda uerii eria penitus fepulta in nobis
fuerit. Q_uapropterli rede animaduerds de Anchife mocte meminit poeta de
fepultura non meminittno enim in iuliam ed uenturus.ln quinto ueto libto
celebratur funusiut demu fepuito Anchife in italiam cotenderc
lice Apparatis itai^ rebus oibus Æneas ex dciliafoluens paulo pod italix
pot/ tus fubite fperat.Ne(p fuilfet a fua fpe deceptus (i lunonem
aduerdiTimam . bi dea ex Heleni przcepto antea placauiffct.Odendimus paulo
ante lunonoa honopi impcriiij cupiditate expnmeredn qua quidc « fi Æneas
ita fe geiatiut nihil iniude/nihil audeliter in reru adminidtadone aduius
fit.faocenima Po lyphemo fuga indicauit nihilominus cum in confpedu
Italix iam fiti& in li nunc pene fpeculandi conditurus: Animadueitat^
non poife in rerum diuiu nuncognidonedcucnidsnifi humana hæc omnia
cotenat/nidtut ille quidf Liber tettiiu rem perficere. Std appetitus
qui nou dum ratione fubiedus fit omnino ro> pugaat: faKU 9
argumentationibus perfuadet noncireaurneg]igendoihono« tes/autimpia
relinquenda .Percomodeo tnqiUate inquit LAVRENTfVS tC ad rem uehementer
appofitx.Sed unum efl de quo SC fi fortafTe confentanea fu fpicer >
tamen fentendam tuam uehementer cupiam.Na quid fibi obfecro uult
^fficilis ilia et apprime moiofa dea luno. Si enim manentibus
TroixTtoianis iiafcebaturscur deinceps iifdem illis in italiam
enauigatibus adeo boftili animo aductlatunan fortaiTequiautracp
uiuambltiofoK imperii cupido aduerfa Et. ifibne ipfum inquit BAPTISTA.
Atnbitiois enim dea olim Ænex irafeebatun quiuoluptatibus dclinitui nihil
honorificum quacreretmunc autem rurfus ira fdtnncum uideat illum ad
altiora quxdam eredum ea qux exteri mortales in admiratione
habentsotnnino contemnere. Omittens enim illa que primum gradum in uita
duili tenent non motulia amplius ifed immortalia quxrin mi rifice ictura
poeta.Vix e confpedu SicuIx telluris in altum Veb dabant Ixd j K fpumas
falis xre ruebant. Cum luno xtemum feruaru fub pedore uulnus: quæ
deinceps fequuntur: Ratio enim uiuendiiqux honoribus inferuit cum
animadueitatfc ab Ænea deferiia quo olimquo cu ille uoluptatemtociu
amaret negleda fuaatyuehementadolet.Cognofcit enim fi ROMANUM IMPERIUM ed fhtuutur
foreiut fua Carthago ruituta Et: Quisenimnon intelligat E ad
c6tcplationem:qui ptxftanti ingenio funt uiti accefferint/ illos ciuiles
actio.* nes ccdercrturos. Oolet igitur St pfeotiiniutia admonita
pteiitotutcminifdt. Manet enim alta mente repoEum ludicium
paridisfpretx^ iniuria formx. Et genus inuifum et RATTO GANIMEDE ONORE. Qux
quidem fabulx E diligentius conEderentur nihil aliud nobis prader de*
ditauoluptanbusuitam referct: Nam Paridis ludicium in quo lunonl Venus
prxferturiquid aliud cefeasniEuitx honorum cupide molle enetuata^ 8 (uo
luptatibusaddidam prxponi: Genus autc inuifum.i.louis Eledtxt^ adulteri'
um:acpoSremo RATTO GANIMEDE nemo modo mediocriter eruditus Et alia
traduccuHisigituraccenla luno naufragio Troianos perdere tentat. Verunx
ne noseaquxfubhuiufcemodi tempeftatis Egmento recondita funt ulla ex
pattelateant: neuequidluno: quidxolusiquid neptunnus Ebi uelit incogni'
tum relinquatur:pauca de animorum noEroruui at<^ natura repetenda
funt. Illud tamen pmonebo cuenireiut eadem ad multos locos enodandos
adhiben da Ent t Q_u« E fcmel a’me expteEa exteris deiceps in locis
ueluti ia cognita file tioptacanc luideo me qd* fumopete cupio breuitati
inferulturu.Sed rurfus cu eodieteprKc/E Ecagamus/duplextibionusipo Eturus
Emieritenim eode tpe 8C memoria qd alibi didum Et repetendum: K quod
interim perpetuo orationis filo contexif' : Ene ulla inteccapedine:percipiendum
malo loquacior etk/q oomittere ne ingeniu eodem mometuo in plura
diEradum:ucl minima difpu lationis paidcula incogmta ptaucrmlttcre
cogaturiCum igitur ad id quod pro Ia.P. VIRGILIO M^IIfgo* tPrn/f
<«•’<*• 'v'»^ prium noSnim^ tft:quod(^ a noftrz onginls
diuimtate traximus t id eSsdt» tiocinandum/ad concemplandum/ad
intelligendum mgitDut:eam animi pai> tcmadhibcmus:quamgrzci nos mentem
nuncupamus. Verum hæ mutiifed przcipuc Platonici chriffiani FILOSOFI
duplicem elTe uolueruntt 4 alteracu inrctiorem quam rationem
appcllant:diuiniorem alteram et fuperioro TIfct. qu- i
4eIIedumnuncupant.QU3propterfapienter Auicena animos noftroi ur t alterum
lanu duplici ore inllgnitos e(Te dizitiut hoc furfum uerTum ptia r .na
altilTima per (apientiam rufpiciamus.lllo uero res mortales et adioneshua
manas per prudentiam adminifhemus. Diuiditur igitur mens in duo rurfum in
tapientiara/deorfum in prudendamrquz Ht reda rerum agendarum ratio qua
iiinuirumfiC mulieremrutuirrupcnor iit ®at:Mulier inferior 8l
regatUR Quapropteregregiei!lud:^lioieiliniquitas uiriiqui mulier
bencfadensrnd enim przponitur iniquitas uiriliszquitari muliebri: Sed commode
exprimitut I 'tedius eum agereiquideiideriorerumczieftium raptus plurima
corporis &fo cialis uitz commoda negligat: quz res uideturiniquatquam
eum : qui ut nuW Ium uitæ ciuilis officium deferat:czlcftium rerum curam
omittit : (^uz cura ita (intiuideamus quz a Marone dicuntur: Nrmpe zoium
lunonis przdbus uentostquoslouis iulTu regere debet/in mare cmififTeiqua
tempeflate obrui poterant Troiani nili illis aNeptunno rubuentumfuilTct. Quo
in loco fi ui tz ciuilis cupiditas (it luno commode zoium inferiorem:
neptunum uerofu« periorem hominis rationem interprztabimur. Non igitur
mirum liabhono» rumæ imperii ardentilTima cupiditate ratio illa inferior
(lediturrattp de fuo gradu deiieiiur. Referunt fabulz zoium
uentisprzpolitum aloueefleiut iuC> TuAioillos BC intra carcerem
cohiberet&indeemmcreceru quadam lege ualc4 at. Quamobrem celfa fedet
znius arce Seeprta unfDS mpHit^ apimos: K teinperatiras:_8£,iilud N i
faciat maria ac terra stcilumq: profundum. Quippc fei^tfec^ rapidi :
uertantep per auras. Et profrd Ot&infiituti funt animi noflri ^etum
omnium fumnioatcfiitcdotut cum Iit in nobis ea pars quz ad tes
afeifeendas fugiendaf^ inlurgit: przponatur libi ea rationis particula :
quz infenor cum(it:adres omnes agendas rede appetitum moueat. Ratio auum
- Iplis mortalibus indita non a corpore efttfcd aloue.Hzciguurdumfuo
co ditori obtemperat celfa arce fedet:quia nihil humile cogitat: fed
quztp aigre^ gia: attp excelfa meditatur : teneti^ fceptra.Nam totius
uitzadminifttatianein habet: mollit^ animos /& temperat itas: cum
nimiis cupidiutibui appetii tum cohercet : at^ inna modelliz fines
continet : Sin autem ita lunonis blan>' ditiis demulceaturiut fuz
naturz propriz^ originis immemot rerum rettena rum cupiditatibus
irretiatur/ totum lilife przbet : eiult^ iuffu non autem lo uisuentos/hi
enim penuibationcsrunt/emittit.llli uao mare quem apped<> tum cflic
diximus paulo ante tranquillum ex diuafispartibus ferientes bor« tendas
tempeflatcs excitant: hebetant enim tadonis adem honorum cupidi tatesrquz
uelud nubibus obdudauerum bonum a falfo non difccrnitiip fumcp appedmm :
qui a fenfibus originem dudt: non modo non refhnguit ardæmractum ultro
inflamat: &gcntemiunonisinimicaseaautcft mens no / » Liba totius
Itlbullu Qanitn rnunicotit^tm:diuinatuin autftn cupida/mratiis
perturbati poibusobtuæ nititur.Scd rcæo ad lunonemillla enim cum
tecencitiiuriaanti / MUm (H)i uulnus refrkafictiira plena in zoiiatn
tendit. Kimbofum in patriam loca fceta furentibus auibis.
Cidlidaomnino dea guz regionem ad ea quzcupiebatpaHcienda fibi
deligat nott'ignotauic:Cum enim raum humanarum amor nos ad diuinarum
cogniti onem abfttabæ nititurrin zoiiam patriam uento^rad enim eft in
appeti tum p tuibationibus expofitum ueniat necefle efi. Verum iouis
iuflli hoc regnum zoio commiffum cds Nam ri deo obtempæmus rationi fempa
obtemperabit appeti tU&Redifljme enim Platonicum illud bpnp uiro
legem deum ellr : malo autem bbidincm: Quaobrem huiulcemodi
rarionemdeprauare aggreditur Iuno:& ue iuriti qui caufz (iiz
diflFiduntrfit fallis rationibus perfuadæ/& largitionibus cor tumpæ
iudices patanttita ipla zolum adoriturteonaturep oftendere zquum elTc
4tillc gentem fibi INIMICAM ITALIAM attingne prohibeat. Perfuade zolustfe^
cn da M iulTu lunonis fadurum redpit:Q_uin quicqd imperii habet/id omne a
iu BoUe tecognofcit.Nam nili inflametur appetitus cupiditate rerum
terrenaruiatrp illp uduti mare ucntls turbet rminime uideretur indigere
uita nofira impio ratio tus.Hocigi^ padotromnia lunoni debere ratio
fatetur ueluriquz(^nifi pturba lioæsaflint^aibil habeat in quo fuum
impium exerceatrac decepta cupiditate ea tum raum quas magnas putatmentis
habenas remittit/ac mare perturbattquoni •tUturbulemimis cupiditatibus
appetitum codut.Quibuszneasqui ad cxle^ Bium rerum contcplarioncm
tedit/adeo labo paiculorut^ magnitudine infrio giturtuta
jppolitodciiciat" :Et ^fedo cum appetitus quo folo animus moueturr
ftquonosad fummum bonum duci oportet/aKonosrapiat/infurgit atrorilTima
iUa tempeftasrin qua eripiunt fubito nubes czlui^ diemt^ teucroru ex oculis. Na
qui paulo ante tranqllo appetitu adrpeculationemfæbant"tinfurgentibuspaturi
Mtionibus adeo illis oixzcant" :ut quicqd luminis a
rdnepueniebat/peniti» tollat tVnde fit ut nox atra ponto incubet.
Appetitus enim qui hadenus luce rationis illul habac nuc illa amilTa in
tenebris uetfatur. Adeot^ zfi uat hoc maretuc lii aqlone fetuntur/hzc enim
elatio quzdam elliquz a rebus fecundis profluit. Alii in fummo fludu pendentmam fupra fuas uires
difficilia ardua^ aggrediens tes amdi foliciti perpaua expedatione
pendet. Alii terram inter fludus tangens tcsabipfa fortuna dnedi
mifetiarum cumulo obruuntur.Sunt deniip qui in fas
alatcntiacontorqurantur. Nam multi cum impetu perturbationum ad huiuf^
cemodi cupiditates explendas ternæ ferunturiin uariatp pericula fibi
improuifa inddunt. Sunt poftremo quos auaricia ueluri in fyrtes
ttahat.Nam quis non uis dæfle aiam quorum nauis demergatur. Vnde utre
omnino apparent rari nan tes in gurgite uaftoiNam ex inumera mortalium
turbaiquos perturbationum p cclh]dcmagit: paud emagæ ualentiFado enim
habitu pauci ad portum enare pofluntiprzfertim cum ipfe gubernator a
temone tcuulfus imo in przceptls deie dus in profundum ruitiCum enim ea
animi pars quz uitz regedz przpolita eft fuaiicde deiidtur/adum iam de
uniuafa te cite quis non putarHzc autem otns Iliacum lunonis zoli^ culpa
acddiftenttinterim Neptunnus commotus graui* i In. P. VIRGILIO
M. AIlego. tate t<tnpcfta^sf>Ia'd(]uin caput ex fumma unda cxtuIk. N(ptaliutn
mum macia deum cfTe finxerunt: Dico aut fummumiguia alia quo^smaf^o» mina
extann&ptofcdo plutea uires appetitui prxfantimouet' enimilfe iudit»
fcnfuumrmouct" tonis inferionsifummum tamen impium fupioii
ronirefenu tur. hæc igif r^tio quam nuc neptrai nomine (ignifiat poeta
cum oibuspturba« tionibus rapi uexariip uideat:caput e fumma unda ueiuti
ex fpecula rifetttVnde ipfius appetitus fludus jicellafip animaduertes
aium illius furore in pram pinum rapi cognofcitinei^ folum
tcpe(htemfmtit:fed etiam ipfam lunonisdolisexdta tam intucc :Nouit enim
reda ratio aium ita afFedum:,ppterea in hasmiferiasitw ddiffeiquonia
falfa bonop: fpe decepta inferior ratio urntos no modo non cohi buerit: fed
ultro emiferinC^uamobre utfubitn tato malo remedi uni affecat cuje
zephyrui^iac reliquos uctos ad feconuocas grauirer increpariqui impio
titanum fanguineorti/deo^i regnum infeftareaudeanReferut enim fabuix
uctos Aftrd filios fuilTei Aftreum aut unum ex iis titanibus
eifedicunquiimani impietate ad« uerfus deos imortales temeratiu bellum
fumere lint aufi.Hxcigi^ in fabulis rcr periesi Non aut CICERONEM reliquofip
dodiflimos uirosaudiamusiquidoa ali ud cum diis bellum gerere
qnaturxnolhx repugnare interptabimur;Q_ua qui dem re quid magis temeratiu
rflepolTit non rcperio:nam queadmodutn cosUi demum fapietes Bi dicimus Sc
frntimus:qui naturam optimam ducem fequund ita illos (hiltos temerariofep
putabimus:qui ab ea oino dcfcifcut.lure igic' uentM c titanibus ortos
iinxeruuquonia ptuibjtioncs a temerario fempi&nalurc repu gnante
iudicio pueniunt. Audax igitur facinus comittunt perturbationes i qux
flultitia 6i temeritate humana gente appetitum diuinitatis nolhx id eft tonis
itm perio fubiedum turbare audeant.Quaraobrcm iufte a neptuno
obiurganifues ti:fu(lcc^ impium pelagi fibi uedicat ncptunus/cum in bene
inftituto animo hw iufcrmodi illud e(fc oporteat ut folo mentis iudicio
moueatur. Ad huiufccmodi igitur fentemiam commode polfe ttanffcrri
xolum/at^ neptunum putaui. Qod (1 qua in parte fatis tibi fadum non
e(l:aut li quid in mentem urnitiquod aptius IcKo quadret:promas illud
licet: Nihil enim c(l quod uereatis:aut pudore impe< diaris:Nam
neminem ex omnibus qui uiuuntiuucnics/qui aut xquiori animo refutari
patiatur:q ego fero/aut auidiusqucxlnefcicntaddifcat: Necp eft etiam quod
dicas huiufccmodi fenem ego adolefcens. Vidi enim multos ex iis qui et ha
bentur et funt dodiflimi nonnunq admonitu etiam indodilTimi hominis in at
rum rerum cognitionem ueni(Te:in quam fuo ingenio tam diuturno nunquatD
tempore hadenus uenerant.Ego inquit Laurentius quid aliis euenerit
ncfaoiiiu hi tamen nunq tantum arrogabo. Verum quia accidere in tanta
rerum copia at^ uirictatc dodilTimis quibufc^ folet/ut cum plurima eodem
tempore fefe med of ferant: nonnulla fint:qux fic fi non explicent"
:facile umen Sc reliquorum fimilitudine percipi pofiint.Sint etiam et alia qux
quamuis enucleate planecp ediflicræ turihcbetiori tamen ingenio qui funt
illa minime confequant":utar ea quam mi hi pamittis licentia:&
quoniam de confugio xoIi:at(^ deiopex nihil a te didum cftipetam nifi id
omnino inutile ducas:ut fi quid ea in fabella fitiquod ad rcno< fisata
confciat/nobis explices. At dices n unquid tibi m mentem uenit i ac
edam Liber tertiuf nthinu Horib^tne(!erat!ges« Vcnicqdetn. Kamaiffi
nKo adiuiDis ad humana abducenda cftinullum pene maius przmium proponi
pote(l:g pulchrum cafiu m coniugium:inde enim cupiditas ilia naturalis:quz
eft coniundionis maris SC fttminæezpIetur. Lndefoboliseft |> pagatio:quxquidem
non fotum uoluptatiii tuul ac ufui nobis cd;uetuffl etiam pofteritati
confulit/ut etia morrui aliquo mo do ih illis uiuamus.Ulbucipfum inquit
BAPTI5TA nec modo |>po(itx quxlH oni rationem habcas quicq eft
prxterea defiderandum.Nam id hoc in loco aperi amiquod alio paulo pofi
foret aperiedum*Prifci igit" illi qui de deoni natura
fcii» pferunritria ibeologiz genera pofuerutiunum fabulofum/quod grzci
mithicon nomtnant:quo quidem populum ociofum in theatro oblec rent:
Alterum nata rale/idenimeft phy ficonrper quod comode
uimnaturxexprimuntiut cum per iatumumhlios omnes przter illos
quatuoruorantem tempus nebis denotant: itodii quatuor elementa
ezcipias:omniafua edacitate confumit.Tertium uero iccirco
ciuiJeappcllant:quia inde ad benebeareqj uiuendum przcepta promatur
Coofueuerc igitur poetx quibus nihil dodius reperias/hzc omnia ita
confundere:at<p m unum comifcereiut optimo quodam temperameto eodem tempore
et aures fummauoluptacedemulceant:&
mentem recondita dodrina alantiac nos adredum at^ honeftum et ad ipfum
fummum bonum deducant: Nos aur quo ciam A hzc omnia exadius in Marone ^fequi
uoIuiiremus:nimis operofum ne godum |poni uidebat" duobus primis
generibus obmiiTis intra ciuilis generis ca cellos difputationem noAram
mcluAmus.Q_uapropter illud paululumtqd mo* do de fabula
decerpferas/noftro operi conducet: Nam reliqua phy Acen fpedanr. Dicunt
enim Pbccbi Aurorzi^ Alias.xiiii.fuiiTe eafcp lunoni nymphas attributas
exiliorum enim intcrptatione luno ær cA* Æri autem feptem quzdam
attributa fuiit.Septem itidem in ære ignum''. Quz omnia ipAus folis tunc
maxime cum in noftro hcmifpcrio ueriat :opera proucniunt.Sed ut de primis
priori loco dica tur eft æris ut leuisAt:ut mobilis:utcalidus:ut humidus:
utferenus: uttacitum P Utlpirabilisxbasigic ueluti feptem nymphas
finxerunt poctz:earutn autem quz in ære gignunt pi imam ponunt quz Ins
appellac'':Cui etiam attnbuut tres ueiu li minittras pluuiam grandinem
niuem.ln his enim contingit ut nubes fuli oppo Dat :fcd eft id^ut ita
loquar^nubiu corpus ut alia fui parte denfum/ut alia denii^ us/alu den Aflunum
At.Q_^uapropter a prima fubrubeus/a fecuda ccruleus/a ter<« tia niger
color perucnitx Contra ucro partes quz in ca purz funt croceumiquz ue ro
puriores uindemxquz poftremo puriftimz album colorem remittuntibzc igi
tur piima ex alus feptem nympha eftxquam deinde fex fequutur phy thon
come.* ta fulmen ronitruumxcxhalatio ac tcrremotustdeqbusfuo ordine
difpacarc no grauereniuriniii ex tnbus illis quz dixi generibus ciuile
folum profequi conftitu il Temus: Vaum cum uoies bzc probe et quid qua
ratione gignantur: faci* ]ccognofccs.Sunteniminiisquzmeteora appellanturab
Ariftotele quidem pr acute:ab Aiberto uero cui magno cognomen eft etiam
aperte petferipta. Quod autem dciopeam omnium pulcherrimam fe daturam
pollicetur luno ratione no carenEft enim ca in ære facies quz ferenitas
didtur.(^uz res autein magis io cu pidiutem tcruin humanarum trahere
zolumpotetauqDamfctena czii facies. Perplacent ifiainquic LAVRENTlVSs at ita
perplacentuit nihil in iis prxt» rea deiideretn:perplacent quo^ quz tu de
ratione appetitu^ diziftitfed uide at pugnantia
Ioquaris.Natn(ire^tnemini/tu paulo ante xoluminferioiemratu
netnelTcuoIuiditnuncncptunum fuperiorem ponis:redeutru^:Verumcn hic
impetiutn fibi non autrtn illi datum dicattnon uideo cur zolo quotp non
conoe datur:ut mare uel io mittendis uel coheteendis uentis:aut extollat
aut fcdett No co inficias inquit Baptifta pertinere ad hanc inferiorem
rationrmiut cum deage dis rebus iudicium habeat/ipfa appetitum et ad
raquz afeifeenda funtimpellati et ab iis quzfunt fugienda auocet.Vcrum
quemadmodum in bene inlhtutare publica fupremus quidam
magifiratuscreaturicuiusatbitrio £d ii omnia getan^t alii tamen aifunt
minores magiQratusiquibus fingulis fmgula committantunili totius uitz imperium
in mente confi(ht:ita tamen ut infenor ratio appetitui ea Ic ge propolita
(itsut nihil niii rede iudicet.Q_^uod ii illecebris rerum humanatum
decepta non rede fentiat:fcd iint eius iudteta falfa/adeft fupremus ille
magifha* tus ad quem prouocare liceat:Q_uapropter rede faipcura eil zoium
no niii clau fo carcere regnare: quoniam in uita hac communi ac ciuili
potius cohibetur appe titus ui quadam rationistquam quietus tranquilluf^
tcddatur:non enim in bo nas affcdionesconucrtuntur:red potius moderatione
cohercenturjRatio autm fuperior cum caput ex undis exculittemiiTamt^ a
lunonc hiemem cognouitteun da in tranquillitatem redigit. Emittit enim
raput ex undis cum fe a corporea mo letqua hadenus obruta opprimebatur
ucndicans ipfa fe excitaUat^afeniibus fe uocattquo tempore non folum
cognofeit qua hieme opprimatur zneasne in Ita liam tendat:uerum etiam
tantorum malorum caufam lunonem id eft rerum bu manarum cupiditatem
ei1'einteliigit;(^uamobrem uentos qprimumanutire mouet : Nam
uacuuspertutbationibus appetitus rationi obtemperantior reddi tut lllofq)
ut deterreat maiores poenas fibi daturos minitatur: quam illi ab Ænea
acceperint: nec iniuria. Nam appetitus a perturbationibus inuafusad
tempus uexatur « Intelligentia autem illa fuprrma fi imperium fibi uendicæ
tit/ quoniam fummo lumine animus illufiratus nunquam deinceps nec ded
pitut:nec labitur : neccfle eft ut perturbationes: quarum genitrix falfa
opinio fuerat in nobis penitus fepultz reddantur. Quapropter non fimili
pasnaco milTa uenti Neptuno luent. Sed undz quz fequantur. Remotis uentis
ou bes dirperfas in unum colligit Neptunnus: at«^ colledas fugat: Efi
enimboc intelligcntiz:ut a principio fingulas falfas opiniones
profequatur : in unum congerat : atq demum confutet: quibus confutatis
tum demum folis lUe ce: ea enim efi ueri cognitio eunda iiluftrantur. Q^uio
81 dmothoe et totos naues a fcopulis abducunt. Cimothoe per undas currens
fi gtzcum uerbum aduertas faale interpretatur. Triton autem neptunni
tubicen babetur. Iftaigi tur duo numina afcopulis cupiditatum naues reducuntr
quia cum tedum DOuerimus/uana relinquimus. Scientiam autem autnofiro ingenio al
Tequimun cum id fua uclodtatc pet eunda difeunat t aut dodtina aliunde
accepta pd«' IIs I a :v t Ii* :lil i i M d nit ai fli iib idi &bi m Ml ItM
IS it alti nbi lii» IStl' uti
«m 110 0» 1» ufl «I (i ‘i? iit tf tnumilludd
motlioesuelodtasciprimir hoc autem tnton signifiat. Mam ut Cubidæs fuo
przconio mandata prindpis manifcfti Qtidc dodrina quid ucriras
4ieIitaperit: quod autem prorpcrocurfu per pacatum mare utatur neptunus
fadleprobatur.Nam cum pacatus eftab omnibus perturbationibus appetitus
ita per eum labitur ratioiut nufquam ofFendat.Diximus de tempeftate.Nuc
ad reliqua pergamus: Neptuni beneficio ex tam manifefto peri culo erepti
Troiani cum fefu fradi(p Italiam utpote longinquam terram contingere
pofTe defperatent:extemporaneo ac^ minime przmeditato confiiio ad propinquum
carebam ginenfium littus uela dirigunt: puto uosmeminifTeitaliam
fpecu!ationis:cartha ginem adionis figuram habere. Quapropter id nunc
exprimit poeta quod in humana uita fxpe ufu ucnire uidemus sSunt enim
multi:qui cum ne in uoi luptatcne^ in diuitiisnet^ poftremo in honoribus
fummum bonum inueni^ ant ad ueri cognitionem fefe conferant; Verum cum fe
humana omnia Facile poircconcemncrci& reorfum ab hominum coctu
contemplationi incumbere cxiftimenniamtp rem aggrediantur uix illam
reliquerunt cum tantum relidam tum rerum defiderium infurgitiadeo ex
recordatione tantarum illecebrarum cffeminanrur: utrurfusin fumma spcrruibationes
incidant : qux quauts tan« dem fumma ratione fedentur:adeo tamen defefTi
defacigatit^ relinquuntur ant mi nodriteum non fine difficultate tam
horrendam tcmpdiatem euaferintiut latis fupert^egiffe putent fi
focietatem humanam incolentes qux immania 8i humano generi pernitiofa
funtuitia effugiant. Virtutes autem fi non exadas; ati^perfcdas/incohatas
tamen retineantifi: cum difficultate dus uitzqux in ucnfpeculatione pofitæfideccrreantut:animaduettantqux
hutufccmodi ui^ tz genus humanam pene imbecillitatem excedere cum
Arifioteles maius aliV quid quam hominem effe qui hzec poffir affirmet
fecum fic ratiocinantur.Non- parum erit uoluptatum incendia euafiffe :
Thracenfium rapinas euicaffe : hac harpyarum fordes et Cyclopum
immanitatem refugiffe. Nunc ucro fi id non. pofiumus: quod diuinitatis
potiusiquam humanitatis effe uidetunillud quis reprehendet ut in hominum
locierate ad quam colend >m tucndamiaugendam ^ nati fumustuerfati
prudenter iufte fortiter deniqi ac temperate uiuamus/ pa rati pro pania
ac parentibus nullum laboreminullum periculum deuicemus.. In omnes qui
nobis fangumeconiundifunt pietatem obferuemus: Ciuibus nofiris aut egenis
liberaliterfubucniamus: aut errantibus redam uiam demo- firemusiaut
iniuriaoppreffos confiiio opera gratia audontate noffra fub«'
leuemus.Speculationem ucro magnarum rerum in maturiorem zratem anp
inipfam fenedutem: quz a multis perturbationibus i quibus huiufcemodf
uita maxime impeditur liberior effefolcC reiiciamusiquamquidem fententt
am iis quz de Hyfach magni Abraz filio dicuntur : tueri fe poffe
confidunt: Nam quod de patriarcha lilo legitur egreffum effe ad
meditandum in agrum inclinata iam die ita interpretantur exiffc illum a
corporeis fenfibus adme ditandum in agrum quafi feorfum ab humana frequentia
inclinata iam die/ id enim efi circa fenedutem iam femore fanguinis
ceffante.Conanr prztereii Cuamcaufam grauiffimotu uiioium teffimonio
corroborareiqui ufutn potius lQ. P.Virg.M.AIIcgo< triqaam
aufamunde bonum (it confidcrantesadionem contemplationi aiw teponunt.
Pcxfcrtim in uiridiori ætate: in qua philofophum agere, dicere rem
publicam adminiftrare militare at^ imperare iubemtoftenduntip Platon ip
tum uakdioribus annis K nauigationes io (Iciliam : et (iudia in Dione
exerciM retSencfccotem autem in academia circa ueri inqai(itione
quieuilTe: Xen ophi» tem quorp adolefccntem in rebus agendis fummopere
laudant:Srn:m ueto in fpcculatione admirantur: et beatum propter odum
putant: Q_ui n etiam mub tos ut fapiendorex fierent plurimos populos
paagrafle oftedunt : Q^iuproptct K Homerus Vlyxem fapientem propterea
dicit:quod multorum hominum ut bes ac mores nouerit:Huiurcemodi igitur ac
plura alia in unum collig^es/qux tu fummo artificio ac prudentia nudius
tertius cum hoc genus uiucdi laudibus efferes enumerabas fpeculandi
propofimm in feriorem ztatem rdiciunt i at^ ad res ciuilcs agendas
interim fe conuertunt:Q_uod quidem uitx genus qui ui tuperabit/is profedo
iuflam ut ab om nibus uituperetur caufam prxbebit.Sunt enim fua (ibi
qutxp muneraiSt plutima quidem at^ przclaraiquibus (i rede fu
gaturi&czteris utilitatem ficfibi gloriam tranquillitaremip quoad
imbedllitai bumana patitur (ine controuer(ia pariet:Q_uapropter non (ine
fumma ratione tutus tranquillnfip portus in caithaginen(i littore
defcribituricuius formam li< tum^quzfo diligentius infpidte.Eftenim in
fece(fu longo locus:quem infula portum ef&datiMortalium enim uita
continentem: ea enim terra eft quz marU nis fludibus minus e(f expolita
nufquam hibct.lnfulam autem habet zfiuinti busafliduofurentibafip undis
undu^perculVam.Sed quz tamen ita fua mole beteat: ut aduerfus omnem
uentorum undarumip impetu immobilis fimpcr obduret : Nam cum hzc quz
momentanea funt: et tamen (f ultitia humana bo na putantur fortunz
temeritad fubieda (inticut^ amore fui mentes humanas in Cendant
conficerent profedo nos nili infula in medio mari (imus : quz quauis
unditp mari mndaturitamen uirtutibus (fabilita non mergitur.Eif autem in
16 gofccefTuiNam animus uirtutibus aduerfus fortunz impetus munitus
procul a perturbationibus feiunduscft.lllz enim obiedu laterum
repelluntur. Cu hin: fortitudo contra res aducrfasihinc temperantia
aduerfus res fecundas opponar i rede^ uafte rupes appellantur. Virtus
enim in diffidli luco polita etf.Aode qtf ita medium tenet:ut quocunt^ te
inde araoueas:ad extrema peiuemi ndutn liu unde tanquie piti rupe labatis
gemini^ minamurinczlum fcopuli. Nam non folum noUra prudentia freti res
magnas aggredimur. Vei um multo magu
diuinoconfilioconfili.NcctemetedidumeQfubrcopulorumuettice zquota tuta
li(ere. Nam appetitus duplid lumine illuftratus ab omni feniper pemiiba
tione liba cfi.C^uod autem defupafczna corrufeis filuis6t atrum nemus
horrenti umbra imminettnon caret rationeiNullo enim in homine prudenti'
am inueniasiqut earum rerum quas fua temeritate fortuna uafat cuentus pem
tus przuideaticum tortam^ diuerfis caiibus cxponamuriut pcrfzpe Si quz
nocitura (int fummis uotis expaamusi6C ea quzfieuenircnt falutiufui ef
fcntiueluti noxia omni indufltna fugiamus tOeni^ in aduafa fronteaquz
dulces depizbcnduntur.Nam cum procul a uatiaium cupiditatum
fludilMis Liber totius botiSftifflunezur^ buiufcctnodi uita:quz (ioo
beata omntæ e quieta tamen 'tcanquiUa^ (it.H uiufcemodi igitur pottum
Tubcunt: qui fuprema diu fedati ac poRrrmo difficultate deteriti fe in
uitam focialc contccucnin qua ciuilibus uirtutibua exculticuinuerrentuc
laudem non medioæm reportanti longe ta« en ab ea diuinitate qua quairimus
abfunt. Quod aute feptem nauibus huc iubicritiquodi^ reliquos c (copulo
profpiciens requirerenquod detnu focioru inopiam raritu uinoij
rublenaunic buc pertinent ut intclligamus eu qui rc pu«
bJicamadminiflrandam fumat oes labores omnia incdmodafubire oportera ut
illoru quz fuz fidei cdmifTi funt falutem incolumitatcmi^ conrcruet. Qua riptopter
fit Acate$(^ea enim principis cura efl^ igneexcitabit/ id eft dcfides ad
tes agendasaccendetiutquz ad uidumncceffana funt minime defintifit
fcopulos Buendens abrentes requiretiquos (i tutari non poterit iis qui
afTunt confulitiillo tnm^ inopiam cu fublcuauerit etiam oratione
confolabituc:optimif(^ pcepds ita in^oet/ut admoneat non effe huiufcemodi
hoc uitz genus ut m eo fedes et gere
uelimusiSed effe omnes labores ac difFiculutes fuperandas /ut in italia
per ucniamusiubi demum fedes quietas muenietiubi etiam Troia reforgetiNam
cu uitauoluptuofaibiquzreretur eaaderat uoluptas iquza fenfibusprofeda
cor porca edet fit caduca: fit qua (latim poenitentia fequebatur.In
italia autem uolua ptasfuma prouenictadiuinaturaum fpeculatione.quz uera
fimplexcp fituo luptas quz perpetuaiquæ ztema qua nullus moeror
fubfequac. Hzc enim opti tni principis adminidratio eft:na cu u ideat
ciuile adione humanz indigencizt non aute ei quz io nobis efl diuinicati
inferuiteiita in illa uerfabic :utcu quz ad mottaliu inopiineceflaria
funt uidetinfuotutame animos ad diuina etigatt iubebit^ eos
aduerfusfortunzcafus durare: fit fe rebus fecundisquas in latio inucniet
feruare.O diuinum ingeaiu.O uitu inter ratidimos uitos omnino ex
cellencemifit poetz nomine.uere dignumiqui non chridianus omnia tamc chri
dianopr ueridimz dodrinz fimi liima proKrat.lege apodolu Paulu. libet
enim unum hinc ex omnibus ucluti nodrz religionis caput nominareiqui
uitam hu manam ad huiufcemodi notmam dirigitiut ne corporis necedatia
fubtrahen da:flt uero inuedigando femper uacandu cenfeat.Q_uid enim ille
fufe late de Cmbinquod hic poeticis an gudiis non coardetiMiraprofedo
restut fingula pe ne uerba longidimas e platonicaiaridotelicac^ re
publica:fentetias ampledi ua IcantiSed nolo quod quidem hadenusnur quainfeci:itæxade
hunc IcKum profequi:ut reliqua deinceps aut omittenda:aut ea celeritate
przteruolanda fintiut idem nobis eueniatiquod longam piduram in
citatiiTimo curfu per« (piciennbus euenire folet.Ii enim in puado
teraporisicum id etiam magnope tecontendanticolorcs notare uix
poffuntiliniamenta autemifit corporu fimu Iæra fit quam grzci fjmettiam
nominant ne uix quidem. Q_uapropter relu quaadtnaiusocium
differantun^Oratio autem Venerisad iouemrurfuftp lo« uisad Venerem meram
textus (criem continere placet.lnferuiut enim omnia poetico f)gmento:ita
tamen:ut non nihil de mathematicis decerpat Maro: fit unde luboyt
familiam in primis autem AGUSTUM (OTTAVIANO) Augudu laudet.Nam quz ad
allegori am tcfcitc uoluffius iude folu accetfenda cefeo unde duc^.fiu
fpote fcquanf In. P. Virg.M. AIItgo. Sin 3utc ui ingenii inuitamuntur/twtu
de grauitateruaamittunttatridtada pene reddaqtuttluc^ omittamus anxias
interprxtationes:ea(p folumaflim» tnus/quz non modo in abdico non
latentsfed ultro Tefe quxrehtibus offerant. Quod autem paulo ante ad
mathematica pertinere dixi pauds quidem fcd,uc temporu anguSiz ferebat no
oino obfcurz in principio expolitu clTe puto.Ita^ teuertor ad Acnea^lc
enim per node plurima mete repeti ftatuit ut prima illa ccfceret loco^t
natura diUgctius exploraretSt hoics ne an ferz teneit inucdigarc. Q_uibus untibus qualem
oporteat eife rei publicz adminiftratorem egregie, a {timit. At^ in primis
illud bomericd approbat. Q_uis enim cui tot mortalium cura c6mi£Qi
Iit uu' uerfam nodem fomno impendet. Id aurem fumma (apientia didum omnes
fatebuntunEft cnim’optimi principis uel præcipuum munus cum loca inculta
uideaciut homines ne an ferz inhabitent iibi exquirendum proponat. Na qui uitam ciuilem diligenter intueturmaria
hominum ingenia;uaria fiudia uario^ q motes inueniet. Sunt enim qui redo
honefto^ r(mperincubant:ciuili con cordiz faueancsLibertatem (aluam
eflecupiantmeroinc plufqua leges intepui blia ualete uelint.Iniuria
oppreflbs fubleuent. Superbiam fcditiolorumciuid deiedam cupiant.
Maieftatem publicam pro uiribus augeant.Religionem de« ni^iac iufticia
omnibus rebus przferat.Hi igitur iure hoics appellari polTunt: quoniam
humanz naturz officia non deferunt.Contra autem plurimos repeti as/quotum
pctulantifTima libido nihil fandum/nihil pudicum relinquat: pluri mos qui
fuma auaritia acccli/omnia uenalia habeat:& aut ueluti uulpeculz do
lisiinftdiif^p incautos decipiat:auc uiribus fuperiores cum iTnt opibus quo
fit honoribus eos anteite uelint:quibus fapientia ac uirtute longe
fintintetioress buiufccmodi igitur uitiis deprauati homines quauis
effigiem mebra:^ humana retineant/tamen quoniam mores ferinos
induerunt/no amplius hominesifed immaniffimz ferz putandi
funt.Q^uapropter in humanis coetibus longe plura funt illa;quz uitiorum
uepretis at<^ fenticetis unq inculu hortent: quam ea quz ingenuis
artibus prxclarifd^ uirtutibus exculta nitefeant: progreditur igif Æneas
ut fingula diligenter exploretinon temere tamen:fed Acacem tidiffima
comitem fecum ducit:8( armis inffrudusincedit:Nam quis unquam rede re
publicam admini(lrauit:cuius animus aut cura ac diligentia uacuus fit:aut
for tiCudinecareat. Iliis enim quz agenda funt multo antea przuidemus.bac
au tem nequid ex iis quz magna ac przclara puidimus ob moetu infedu
relinqua turtcfiffimusiCum igitur rciedo in aliud tempus contemplationis
propoiito adeiuilem uitam digrediatur Æneas:Sit^& in ea multum
elaboridd/opus eft ut et duce matre ad illam perueniat.Nifi enim amote
catum reru quz age dz funt calefcat animus aduerfustantos:tam^uarios
labores obtorpeatnc.> ceffe eft.Fit ergo illi obuiam mater no tamen
cofeffa dea/qualif(^ uideri czlieo lis et quanta foletiEam enim fe tuc
offendit cu filium a uoluptate eo cdtilio ab ducebat/ut ad fumu
tenderct:Q_uo tempore oportebat ed inflamari amote di uinaru rerutqui et ipfe
diuinus ab omni materia 8C corpore jicul abfit. Hic adt catum reru amote
incendit" : quz corpotez Bi magna ex parte mataiademafz Liber lotiui
li io “!• lA ab ife «pg bb aS sua tsb mt
s'4U. utii at». ia? r i*f a O liii ga< 'fb fihhQuapro{iter
non deam confcf Taafed humana fotma di RiffluTata
fefe filio offcit:ftin (yiuaotueiiatriziIIi appartt. Quem quidem locu
planius uobis nf primamati pauca omnino necniu ea qux nrcriTaria funt
prius de fylua rxpofur^io. Omnium tetum qux funt redum quendam ordinem eiiflere
: Trifmegiftus Homerus ac PLATONE oftenderunt: Atm ut quot fentirent
dilucidius exprimeret au ream cathenama naturx fonte ad innmam ufep Fecem
demitti finxeruntiqua fa> is gradibus eunda connedanturteuius origo
cifentia dei cum (it eo ordiue proce ditut ut fecundo in loco
potentiaztertio fap'entia:at<p quarto uoluntas collocet t bxc fequitur
fatum attp illud anima munditdeinceps funt cxieltes demonest (iit
xtbnriifunt æreisfunt bumedeitfunt deni^ terreni. VItima autem omnium by
le^quam nos fyluamdidmus^in infimo refideti Poifem fingula non fine
fum< mo ufu atip voluptate oratione mea profequi. Sed quoniam
difputatidi noftrx neceflarianon funt brcuitaticonfuIam. Quamobrem
exteris obmiffis deu prin apium lyluam extremum in catbena ponemus.Nihil
igitur deo fuperius. Nihil fjlua interius.nibil hocprxftantius.nihil illa
uilius. Media uero inferiora fupe« nntta fupetioribusuincuntur. Eft
igitur deus et fyluathxc autem niatetia efttex qua omnia corpora funt. Vt
enim lignarius faber materiam ex qua eunda fadat luam habet. Continet enim
illa rude adhuc lignum s K informe: Sed quo tamen innata fibi facultate formas
omnes redpere ualeatifaber autem in quafcun^ uult formas illud tradudt
tcadem ratione ad deum materia eft.Deus enim for masomncsabxtcmitate complexuseft.
Materia uero fi illius naturam infpicias formam nullam certam expreffam habet.
Verum innata fibi recipiendi faculta te t et ut ita loquar confufe omnes
continere uidetur. Materiam uero quia matet fit didtur. Ceus autem pater:
forma uero prole$.Deus enim dat.fylua redpit. *fotma nafeitur. Q^uapropter rede
Trifmegifhis patrem matremtp xtemos: pro lem uero mortalem didt. Mater
cfi materia quia finum prxfiat. Deus gignit : 8C oeat : ac fua quidem ui.
fila autem ex alterius immiztione condpit .Condpit au teminfufione
fpiritus diuinitquam animam mundi nominat Tnfmegiffus t Q_ux res eum
mouet: ut deo ofiidum patris tribuat : quoniam infundit: SyU ux uero
mattis t quia a deo condpiat: Animam denicp mundi uim feminis hsb>
bere dicit : quia a deo ipfa infpiretur in fylux gremium. Prxtereo plurima
nomi aatquibus uariasfyluxproprietatesexprimit:Illænim nihil ad hxcqux
agi« mus: Sxpe umen totam materiam appellat malignitatem :ne«
iniuria.lpfa eni Iblacau Qefitutresmintentumcadant. Namquod a materia
feparatum efit id nunquam interit: Nunquam enim quod fibi contrarium fit
capiti fed illud fu« gitat femper at^ declinat: Quod vero fylux gremio
continetur: iccirco in la^ teritumiabitur: quoniam fylua/cum ad omnes quas
qualitates appellant xque lebabeatcuenittutuelutialtera Helenaintra teda
uocet Menelaum:ac limina pandat. Num dum foimas illis quas hadenus
receperat contrarias admittit: fc« cile fit ut cxtemx irrumpentes domefticasextinguant.Q^uapropter
quis illam malignam non dixerit t qux familiares fotmas prodatiignotas
admittat: K uelu ti fufiepri iam in fuam fide m clientis caufam deferens
: aduerfariiqi fufcipies per timtnam perfidiam p eaoiaticeruf i Tardat
etiam et perturbat noftras mctesfyb k rn.P.Virg. M.AIIego «
Ui t omæ ab ea uiHum nunat. Viaa enim mfcitia igaotatioa [«St
At ignorationem ipfam cz craflitudine caligine^ corporis prouenire et Plato
S plæri^ cz iis qui grauiflimi habetur philofophi audorcs
funt.Huiurcemedi igi tur rationcmotus diuinus Maro cum rerum
humaiurum:8;qua; corpore no a rent:proptrrca^ in uariis erroribus
uerrenmr:amore inflametui is qui in re pu> blica princeps effe
cupittuenerem Tub mortali forma inducit Sc in tpia lylua:guo niam eunda
quz agimus in materia demerla funt illam ponit.Nec temere umv tricis
habitu ezomat : Eas enim feras de quibus paulo ante dizimus fibi infedai
das proponiuquifuis cibus rcdcconrulturuseO.Acneas tamen non nihil diuir
nitatisin ea etiam iic diiTimulante cognofcit.nam Si (i populorum
temperatocai circa humanas adiones uerfenturuamen quoniam honelhim redum^
tuentor eodem illo amoroquo hzc caduca appetimus originem nollram diuinam
eflie fcntimus.cum enim reIigioncm:cum luditiam: cum animi magnitudinem
atb amamus : uerfantur hzc profedo circa adiones .Sed tamen quis non
uideat illa a diuinitate proiteifei C Eft tamen oratio uenetis non ut dcz
: fcd ut hominb: K tamen nefeio quam diuinitatem redolens : Nam cum
Carthaginem proficiid lii adeat:argumentationibusab humana prudentia
profedis utitur: Nam K quz de hilioria Didonis eruit : ea omnia falutis
fpem afferunt : Si cum aliquid funp rum przdicitmon ut deaifcd ut augut
ex cygnorum uolatu przdicit. Illud aute fumma fapientia czcogitauit poeta
: ut in orationis fine fe deam manifeftatet Ve nus : Nam cum in uita
ciuili quz reda Si honefta funt diu coluerimus ez illotn pulchritudine ad
diuina quotum hzc ueluti (imulaaa funt erigimur.His igitur rationibus a
matre perfuafus Carthaginem tendit oblitus tamen tenebris : ne illi us
conatus aliquis impediret. Et profedo fic fe res habet. Nam qui magna
pru< dentia przditi funt uiri cztnam multitudinem quam adminiftrandam
fufeipi unt ita ad redum honefl um^ trahunt : ut fua conlilia fzpilTime
tegant:quz q dem fi palam facerent autzmulor uminuidia: aut dulcorum infcicia
impediti illa ad ezitum minime perducerent: Vtenim prudentes medici
zgrotos(^qucv tum libido nihil falubre ezpetit])perrzpe fallunt : Sic
optimi prinapes fimutan^ do aut dilTimulando fua conlilia occulcant. Nam
ut cztera obmittam nonne qui leges tuleruntiquo maior ei audoritas
inelfet/fua conlilia alicui deo actnbu^ erunt fCunda enim ez Egerie
nymphz przceptis Numa Pompilius facere finiu labatilusciuile Spatthanorumez
Apollinis fententia faiplifife iinzit Licurgust Quicquid Zautrades apud
Atimafpos conltituitid a bono numine accepilTedi cwt.Zamolzis autem
quzcuis Scythis tradiditiin Vedam reculitxNam q mul ta q difBdlia inter
tumultus militares rede ad ninidrauit.Q_. Sertorius cum fe ii la a Diana
per ceruam accepilfe diditarct tSed nimis multa dere przfertim ta tna
nifeda: Carthaginem ueto e loco fuperiore cernunt: quoniam ut nudius
quo^ tertius difputatum ed nuquam optimis indituris Si legibus temperata erit res pub.nili
qui illi przfunt eunda qu aut przcipiunt aut prohibent ad eotu qax per
rerum magnatum speculation emuideritu regulam ac normam sapiennllb tne diligant.
Cum autem Carthaginen lium operam indudriam circa urbem difiandam
dclaibit/nonnc pauciflimis ueifibug onuiia colligit: quæ^iia9 c*\Ili «f m ii m ta ai l
U U Kl ii M ib gia \tt\ th ‘S ipn iii^ F! jpb (f ob 09 0* xb s 3 ib <1 Liber'tertiui edam
(apfari( Cine de re pub. latprerut)t:noa ni/i pluribus libris exprimuntur tamum enim ea
parant ibiis aduarus ho(tiles impetus tuti (t nt: uibus V^^fe contra
czliiniurias priuatisx difidisfedefenduntiHzcenim duoprx^ fiant ut duitas
efle pofiit.Poft bzc uero ad iura et magilhatus fe conuertunt : ut
nonmodoe/Te fed quod proprium hominis e/l i cede bonefte^ e/Teualeant:
Quoniam autem ad magnificentiam et ad liberaliutem &ad uim propulfan^dam
publicz opes in primis utiles funtipottus optimi/efiiciundi ratio habetur
t Poftrcmo autem (icznz ac theatri cura non negligitunubi et corpora ad
ualitudi nem &robur exetceri:& animi publicis priuatifi^ negodis
defatigatiihonefii/Ti* mis ludis relaxati pofiint: Qua autem mente et quo
confilio illos apibus com« paraucrit : quzfo diligentius animaduertite t
Si enim huius inferti naturam con fideretis nihil illo aut induflria ac
folertiaacuriusraut a/Tiduo labore indefe/Tius (eperietis Ouccm in primis
habent quem fequanturt cuius impenum nuquam contemnannlabores inter
fefumma zquitatediftribuuntiSummaconcordia 8C opera fua fadunt et boftes
arcent. Quicquid quzrituriid omne in comune qux iituri Quz quidem omnia
fi in rem pu.aliquam tranfferasiplatonicam ciuitate cxmfiitues. Erat
autem in media urbe templum lunoni facrumiut ofiendatur ni bil oportere
in re pub.antiquius religione eife • Et quoniam primx in uita cluili
przces funt/utimperium non folum conferueturifcd etiam augeaturmo fuit ab
re templum ipfum lunoniiqux imperiorum dea habeturiomni cultu confcaare
longior fim:at<p etiam minutior/q tantz rei conueniat fi fingula quz in
templo depida erantiquz a regina adminiftrabantur : quz ab opificibus
efiiciebanf idU fiindiusrefetamiMultactiara in Ilionei at Didonis
orationecontinentur:plu« ra in congtefTu zneziplurima in conuiuio Si in
coiimdione hofpitalitacis deprz hendasiquibus uita fiatufi^ ciuilis
expnmituriQ^uoniam uero nouerat fapictif fimus uatrs primordia rerum
pub.& imperiorum uirtutibus niti: Veriiep effe Sa« lufiianum illud fi
imperia iifdem artibus retineientur/quibus acquirunturind ef fe tot
mutationes habituras res humanastiedreo primum regis reginzq; congref fum
ateligione/a bberalitate/St abomni genere uirtutum profidfci uult.Srd ita
paulatim in deterius labantur/ut quz pudidflima fuerat mulier/K in re
pub.ad« minifiranda uigiIantiiTima:turpi amore uida in odum lafciuiamip labat
ui« bus omnibus oftenditur q fadle rebus fecundis humanz mentis a
labore in libi« dinem declinent.Quotiiam autem uirtutes tn uiu fodali
potius inchoatz q ab Iblutz funtiHic autem ita de uita duili agituriut
uelit exprimere quod paulo an te dicebam fundameta rerum.p.qux ex paruis æfeunt/habere
meliora initia / q exitus; iccirco reginam a prindpio in omni re
temperatam pofuit:paulo uero po fiea amote infutgente paulatim ex
temperantia in continentiam labitur: pofire» mouida amore incontinens iu
redditur:ut demum in fummam intemperaiui» aminddat, Moueturautemaprindpio
Dido/ut znramamet/non solum uittute quam urum in uita cotemplationi dedita
intuemur:Sed iis qux humanis cm tibus non folum bona uerum etiam fumma
bona babentunC^uis enim in ge« neris nobiliutemiquis formx dignitatemiat^
excellentiamrquis deni^ multo ornatu infignetn orationem inter fumma non
enumætiCurn in foro/cum in fe t lo P. Virg.M. Allego oituhzc
BOB fapieBtum ftatcmfed populari trutina pondereBtarfX^uofliia utro ta
uica comuni pmulti hitcreii quibus cofulroribus utaris. Muiti cnitn aut
tnalo exrinplo motiiaut rorum quos caros habrnt non res fuationibus impui
n ad praua raoum^ snon fuit abfonum ut Didonrm fororis hortatu impudici
fadam inducat. Mifere enim amis mulier plurimu iam de eo animi robore rt*
mittens: quod inteperata hadenus apparueratcontinctem in primis uabis qux
ad fotorem facit fefe oftedit;Nam quis amore urgeaiT /atgre quidem fed
tameilli reftftitiSororis autem oratio ex uita comuni uniuerCi fumif i Non
enim ex philo fophia fumptis argumctationibusifrd aut uoluptate
ppoiitasaut ihcetu earu te* rum quxtantopeietimendxnon funtiniedoiaut fpc
nec firma necfolidapror pofita in fuam fentctiam adducere conaftut deniip
fpem det dubiz meri: foluat qi pudorem. Qua quidem re acciditi ut uidam
in incotinentiam probbertt:ln ea uero cum uerfaretunpaulatim impudica
confuetudine eo redada eftsut nulla amplius obflantr pudore furriuum
amorem minime mediteturifed impudenUi ma tffeda turpem libidinem honefto
nomine appellet: In qbus omnibus quid aliud teneat/quid conat' diuinius
poeta/nill ut Didonem grauifTimum nobis ex cmplar ^ponat/quatum
detrimetum iis qui fub imperio luiit j>ueniat/cum prin cipum mentes
pro induftria ac labore luxuria at<pignauiairrepai:lila enim qua:
paulo ante extetnos at<j peregrinos non nili breuiter ac demilTo uultu
alloqueba tut:Cuius religio fumma in deos/liberalitas in
hofpites/cofilium in urbis ex *dv ficmone/iuftitia in fuos ad czlum
ferebat ;qu* in publico nili aut diuiu* aut pu blicz rei caufa cofpici
nefariu facinus putabat. Cuius aius pudore munitus aboi pturbatione liber
pfcuerabatmuc eo furore agitat ut tota urbe ames uaget :aut li domi fine
amato fecorineat ucluti li fola fit/ar^ aboibusdeferta fummomaro*
letabefcat. Publica aut opa ita negligat/ut qu badenus fua curatfuifip
fupnbust quz fuoyt ciuium labore ac (ludio fumma cum celeritate erigebant
iniicimperfe da interruptatp pendeat; Æneas aut cuius cdfilium italiam
fibi propofuerat/ue* tum difficultate rerum defatigatus Canhaginem no ut
illic fcdes ponereufed ut claffem reficeret digtefliis fuerat illecebris
Didonis illedus fipofuum ^fiafcmdi abiiat:Nec deefl I uno.Qu ne res
tomanz oriantur/ Ænez Didonifi^ coniugi um Carthagine facicdum curet.
Verum cum id fine uenais opera pfia nonpop (et: Venus aut filium non
Carthagine uerfari:(ed in Italiam enauigare cupetihac deam dolis aggtedif
lunoiut quz Catthaginen fiom caula faceret: eaoia Ænez beneficio fieri
uiderent. Quz cum dicit Maro diuina pene lapientia uitam foa alrmdepingitiinquacumita
quidam excelfoanimoucrfenfiut humana cotem nentes ex hoc primo uirtutum
genere paulo pofl in eas uenturi fmtiquas purgatorias appellatiat^ inde ad
illas tandem quz funt animi purgati puenire conten dantitn illecebris
rerum terrenaru ita molliunt" lutczlefhum quas fibi folasppo
fuetant/peneobliuifcanf. Libido enim imperadi ENEA Didoni coniugete: id
aut eft uiru excellete regno przficere cupit:Sed rem pficere non ualct nifi
alfeotv atur eius amor: Amor autem aiaduertit huiuiccmodi coniudione no Ænez/ftd
Didoni cofuli /no enim animis hotum ad maiota natistfed ipfi impio
condodt» ptzfiat Dobisad uctam fapicmiatn ^ ficild/quam in adioni^
uciDwfcd cetum sdtnitiiftratioa (apientibusii deferatur adum iit de rebus
hutnatirs opor trtifta quauis falia e(recogoofcat:quæ libido regnandi
perfuadet tjmen ailin titur; iiuc iam illa inetitusllt ifiueeorum quibus
confulendum cft mifaicordia motus sCcldiratur autem huiufcemodi
matamonium in venatione: de qua quid femiremptulo ante latis ut opinor
uobisdiludde explicaui: Quodaute in fpelunca loco fubtercaneo
conuenerint:quidnam aliud indicare crediderim/ nifi cos qui honores/qui
opes/qui imperia quzrunt intra corporeas caducafc^
tesanimuminclufumgerererCuicdnubio prarter tellurem &lunonem;prxtet
nemorum bibitarrices nymphas uides numen nullum afiFuilTe: Q^uz omnia iis
quz de fpelunca diceba apte quadrare uideotunirrentus igitur Didonis amo
K Æneas abeundi propolitum abiidt:& hieme quam longa eft in fummo
lu<» zu conterere non pudet.Hoc uero quid libi aliud uult nili
egregios quo<^ uiros interdum a redo curfu ambitione aduerti:&
honorum imperii^ uoluptate de« linitos hiemis afperitatem& enauigandi
in italiam dilhculcatcm exhoirefcerc» Q^uapropter nili diuinitusfubuentum
Iit excellentilfimzatc^ immortales bo^ mmumuirtutes tam pemiriofapefte
pereunt; Id ingenii at<^ beneiiciiin Circe fuilTe fcruntxut Vlyxis
fodos in uana monllra tranlFormaret: Illam tamen ica in luam potclhtem
ttaduxifle Vlyxem audimusiut Forma priftina fociis fit relhtu*'
ta.Neccgoid admiratus fuerim.Excello enim animo qui funt corporeas
Iibidi^ ties fadle contcnunt; Quin et cos qui illis dediti funt rede
monendo a tanra fer uitute in libertatem uendicant. At lu Donemfuperare
ranOimi mortales potuco tunt:Nam qui imperandi cupiditate non
tangiturxeum omnem iam humanitas tem ruperalfe &ad dioinitatem
proxime accemfTe crediderim:Q_^uapropter ena quos in fumma admiratione habemus:
cos ita frangi huiufcemodi cupiditate ui
demusxutrelidauerauictuteinligniaulrtutisueJuti umbram fedentut: Fadle
enim ell Sardanapalli aut Heliogabali molliflimas delitiasacluxum
cotenere: At^ adeo odilTctCum uero nobisaut Alexandrum
macedonemtautlulmcz larem proponimus eorum res geftas:in quibus utrum a
uero cedo^ difcedcre fzpe uidemustra glonz cupiditate admiramur:ut illud
ex Euryde impium oma nmo& dignum eo rege a quo profertur interdum
approbare non dubitemus; putem uf^ homini conducere li regnandi caufa iu$
uiolet: Quz quide res una mouit poctas/ut Herculem quem fapiente
ferunt:&; rebus a fe przclanl Time ge ftisczlumafile daircuoluntpriusomniamonllradomaire/
qua lunouis fzuitu amfuperal Telingeceac.Illa enim non mater fed
iniuftilTima nouerca magnord uiioium rede dicitur. Non enim mortaliuroCut
plzriq^ credunt } fed czleftiu rerum cupiditas eas uirtutes parit quibus
ad fummum bonum peruenire licet: (^uor^uide nili placata prius iunone id
autem intelligjmus aid fedara ambi dooeallcqui no potuit HercuIes. Quis igitur
hoc Ænz non condonaueritxac potius quis illius no comifercanli Dondu in
italiæxillensxtis eoimeft fumaru uirtutu habitus.fcd in ipfo curriculo ut
illhuc^Edfcai:’' adhuc coftitutusiu luno nis dolis apiat"' :uc
matnmoniu cu Didone initu fedibus libi a fatis cocel&s ppch»
nat;& colilio abeudi abiedo arces Carchag^s fudaretac teda nouare iftituac
t pur^ puea^ SC ento lapillis aon^umtquasqu impetti Uignia funt gelbrc gaudeat: In. P.Virg.M.AlIego
Non eft o LAVRENTI non inqui eft hutnan* itnbedllitatls.red
cmol damfacul»ti «qua tamen condmo
no Ora arduum-.tatntp «xcelfum tetum culmen ‘U»**®* BAPTl ST Ai K
(imul fuo ordine de reliqui* difpuututui uidætut Mani^ hofpes nofter
fiuuilTimus tum ex diei fpatio in iis qu* hai^u* dida effcni civ
fum^oitum ex multitudine eorum qux adhuc dicenda quum lucis effet in ea
di fputatione abfuroptum in colligens non pertmtam in 3uitruauifl'. miuiri:utcontrac6modumual.
tudinem<jno (bam^qu.b^^?uidiuapudmeeriris: mibiomnid.ligentu«nfuJ endi^!^ difputatio
longius ptoducaturi Atquiegoitidm. nqmtLAVK£NW^ idem cenfebaraifed
ne tanti uiti oratione moleftii« intapell«em/pudore i^ diebar prxfenim cu
te o Manotte tuas partes fuo tepore equide mquit MariottusiK fimul fua
lolita feftiuitate BAPTISTAM manuap prehendem/nos ad cellulas ubi menfx
paratx erant reduxu. R URISrOPHORI L. FLORENTINI CAMALDVLENSIa vM
niivTASvM laVSTREMFEDERlCVM
VRBINA- jKSrJbER ^IaRIVS 1N.P. VIRGILIO
MARONIS allegorias incipit feliciter, S Eruenerat iam
fuperior libet Inclyte ac Inuii Si^me Fedence in quotundaro hominum
manus 1 qui cum dofli linti dry aiffimi quocp et haberi 8£ dici uolunti Qui
quidem quauis 'de Maronis Æneide antehac longe aliter dC fenfiffent/8:
pri* 'dicahenticouiai tamen ut puto iis argumentanonibus : qux I
nobis in probamio illius libri expofitx fuerantimulta in eo F li
rnnfcrinta elTe necate non audentiSed ea huiufcemodi el fe
Jowmduntiut non ad ethicen ut nos longa oratione difputauimus s fed a J
IhvSferendafint:ptoferunt 5 ad id qued defendere cupiunt probandum
fcriptoresqui paulo antenoararoxtatcm fueiut minime illiiteratosiqui non J L/indel
Mos« acute et doæinmpretati naturam tetum il is exponi conttn los
inde locos K ac „fpondendum ctnfemus/ut multa in eam qua diA SmriorisquoJdieifermonenosdixifl-ememiniyirgilm
nlura deorum genera inueniffet s confulto ita fcnpfifle fl£ A Fmmffeuteademilla
et aduitammottfip: 8 Caduimnaturas:Kad wriuruoluputtm f
eferantur.Verum cum confilium mettmij
tcstotafufceftacftnoircuolumusiidcenfco femper ipfo
hn«qu3nf.bie.ration. fcriptotpropomt: ^um fipttahuj omnuiniiri ludingttut»
ipfcqcquid narrat iqcqd tctninv 1 1 Ir £ I- 8- r K P B-t.-«. Libet
ii iuiatnr referat. Hoc oun ita fit quis non uideat ea quæ ille
ttadiutamdegett» M damt& ad fununum bonum acquirendum (^dantia
fcripfit no iccirco fcripfiC' B Cuquo naturz uim ezprimeret.Sed contra
cum iugi:perpctua^ oratione ea pro (eqiutut m quibus et uitia
damnet<& uirtutis pulchritudinem eztoIlat.& ad ue I»
riinuefligationem perducat/ nonnullaadiunxifTe&omandi et deledandi
cao Ia b qua: fint ab ipfa phyfice repedta s Q_uz omnia cum non propter
fe t fed eoru li quæ dixi caula confaipfetit equis non uidet id
fulcepti operis primum efle feu ^ malis ultimum dicere > quod nos
hefiemo fermone perpetuo quodam filo ita ia intezuimusrut
nibilineointerruptumquzn poiTis. Nam ad idquodaptinci Sh pio przpofituffi
cfl omnia deducuntur Si fcquentia iis quz antecmerunt/uebe menta
cobzTcnt:Q_uapropta quz ab iis quorum audoiitate nituntur/ad pby
fictnrclata funtminime damno. Nam quauisca ne multa fmtine^intafc haaliud
cz alio pendat > ut non potius membra quzdam diuulfæquam integrn
corpus uideantur t tamen non incommode traducuntur : ne<j fententiz
nofoz ccpognantiScd fac repugnare an plus apud me reda rado qua iliorum
audori^ tas ualebitrprzferdmcumfi audoriute certandum fit eos proferte
poifimus/ quorum fplendoteiiti uclud folis luce noduz hebetentur : Nam ut
omicta eos quos diligendilimus omnium grammadeorum Seruius fingulos
libros in fiogu los huius poctz locos commemorat: ut taceam quzaMacrobio
exceliend inta platonicos phiiofophotut nihil diam de iisquz&adiuo Hieronymo
et a di. uo Augufiino in hanc fententiam apud Maronem interpretantur :
nonne e noftris Oantbcm uirum omni dodnna excultum grauilTimum audorem
faabe« mus: qui eius idneris quo mundum omnem ab imis tartaris ad
fuprzmum ufi^ czhimpcragcatiine olibiillum ducem fingit/in quofummum
hominis bona paquitens/miro quodam ingenio uniam Æneida imitandam
proponiciut cu paua omnino inde excerpæ uideatur: nunquam tamen (i
diligentius infpicie . mus ab a difcedat : Nam nonne fiatim a principio ea
quz de medio ztatis tem ) 3ore:quz de fyluatquz de tribus ferisrquz
de montis fublimiiam folis radiis il uftntoconfa ipfit:binc omnia funt.
Mitto cætera: quz ita abdita in Oantfais poemate funt:ut non nili a
paucis iifdem^ dodiffimis dcptzhendi
pofiint. przponit igitur libi ducem Maronem in u re quz ad fummum
bonum.non au tcmadpbyiiccrpedetifeduideo me nimis cunofum in eo fuilfe :
quod paruo omnino nodo confutari poterat. Quapropter ego inilitutum
repetam. Tu autem indyte atip inuidilTime Fedence ut cztera fuperiora fic
Si ilh quz in ultima quaru diei duputationc continentur/diligentillime
leges. Multa enim illic inuenies propta quz te cum dTc : qui Si nunc es
Si fempet fuifti fummo» pæ lactahacict^norcef^ ex deo confilium tuum
fuilfe : quos a primis annia bpientiz amore flagrans ita te bonarum
artium fludiisaddiafti: ut quanto ta dic tua ztas grauior fitttanto
ardentius illis incumbastnam quod reliqui prin» dpes apprime regium
ducunt:ut aut multo odo uanifip ludis mircelcit:aut au cupiis
ucnarionibuf^ oe tempus tcrant:tu ne libero quide homine nili relaxan
dimtaduai aula dignu efle duxiflitred oportac eum qui aliis imperaturus
fit nWB omni dodrina excultu itddaaquq no fibi folatfed et iis qui fuz
fidei co} In. P.Virg.M.AIIegflu mifll rantjK dum «fit agit
«emplo: «dum fapienter inontt pncepto maplo limum prodifft po(Tit. Qui
rigis munus clTe ducat non alieno labore ueluri fu cus inter apes
alisfed pro aliorum falute laborare uiinnoaio sabiniuriupro
hibtrr/fceleftorura<j petulantiam compnmeretoibuafe «quum prxbere
curcts Hrc autem sola philofophia nobis pracftat. A FILOSOFIA enim
habrmuatui pie uiuamus tui pietatem ocmabhominemuft« ab omni
fcelereabibneaniust b uapropter uere iliud ufurpabat Ariftoteles fe id a FILOSOFIA
afleculum efle/ Ut ea beneuolens/ cumuolupute
ficerettquzmaliuinlegumatufaccrectv I gunrurtbonis enimCut piato ait)lex
deus eatmalis autsm libido.huiufcctnodi Igitur fludia teita
exculturo/ita omni ex parte expolitum reddiderunt/ut cum a inultis quod
crimen fortunx eft imperiis finibus fupereristiis tamen uirtutibiisi
finequibus nemoun quam iedeimperauit/ omnesexcedas. Sed cartera omoa
quibus ex mortali humuculo te immotulem ducem reddidifli ad prxfw omit
to> Ptxcipuam autem in mnfaium ac philofophix cultores benignitate
tacinii prxterire nullo modo polTumtium animaduertam te ea in reiure
omnibus prx ferri poffe.Scimus in tata admiratione apud antiquos fuifle
Ptolomxu philadel phum ut ptxclariffimorum faiptorum laudibus etiam poft
tot fiecula florentit fima fama celebretur.Et profedo fingulatis fuit in
eo rege iuftina mitabilifip cie mentia.In te autem militarimec uirtus
illi/nec fortuna unquam drfuinSed nb bil in fuis omnibus
aaionibusmagisextolliturtqua quod regnum fuM libera liffimu oibus
litteratis hofpitiu efle uoluerit. Tantu autem iis qui aliquid fcripfif
(ent debere putauittut Demetrio phalereo no folum philofopbo
grauiflimotfed oratori copiofilTimo negocium dcdentsut fibi ad quin^
faltem milia librorum in fuam bibliothecam congerenda curaret. Q_ua
quidem io re quos furoptus fe cetitttunc optime conieiSati poterimustcum
uidetimus quantu in fola mofaya lege elaboraueriti ut illam interpretadam
ac in grxeam linguam conuenendam abhebrxisinterprctatetur. Primo
enimoesiudzos quifuperionbusbelliscapti in fuo regno fetuirent diligmter
inudligandosiat tingulos uicrnis drachmu redimendos/& in patriam
incolumes diraittedosmandauit: quorum numerus adeo ingens fuinut foluta
fint a rege fexcenta ulenu fupta fexaginta milia. Dtf inde legatos ad
Eleazatum iudxorum pontificem uitos sumx audori tatis mifit Arifteaside
quo paulo ante dixi et Andtea prxfcdumfuuiMifitptxterea men< hm
auteam/craterefej ac phialas donaria in hierofolymitano templo ponendi.
Mateiia uero hoium uaforum fuit auri quinquagintatargenti uetofeptuaginta
ulenuigemmatum autem atqj lapillotum quibus uafa omab dilUnctatp funt/ ad
quinm milia adhibuit/qui omnes mira elfentmagnitudine. Q_ux liberalit« adeo
accepta gratacp Eleazaro fuittut duos ac feptuaginu ftatim ad regem mi'
fent i non plxbeos illos quidem/fed ex principibus dodiflimis ita elrdos/ut
ex fingulis tribus fenos fumeret s qui legem dei in grxeam linguam
Ptolotnxo conuerterent. Q^uorfum igitur hxef Nempe ut intelligant qui
diligennus rem confiderauennt Magnificentiam tuam erga dodrinas noOra
tempelb' tt non minorem efle / quam oLm Ptolomxi fuerit s Hoc enim folis
luce cla/ liua apparebit ; Si Imperium Imperio 1 Si Sumptus
Sumptibus conferantur. Libtt guattui nfeaumnonfdl amutiiuerrz xgyptiopulentiitiimum
regnum poHidebat/un^ dcaurt argenti^ inædibilisuis proue Diretired Tyriz
quo^ ac phcnictz tnaxi^ mam partem ucdigalem babcbat.Tuos autem bnes nemo
ignorat. Adde quod quo tempore Ptolomeus regnauit/plurimos A(ia at Europa
prineipes habuit • qui poetas t qui pbilofophos/qui oratores/qui hiftoricos
benore opibufi^ bone rent:ut et li fuo ingenito (hidio illa faceret magna
tamen cx parte emulatione quadam excitari uidereturme quos opibus
uinccoatxabiifdem huiufcemodi glo tix genere fuperaretur.Tua uero
benignitas in ea tempora ineidir/ur nili ardeUi* tilbmafittfacile czterorumprincipum
auaritia extinguaturxQ^uaproptcr nulla omnino eorum munerum quz in mulas
con fers/gratia noftro fzculo eft bahim' daxinquo neminem reperias ex iis
qui nunc imperat:cu*us exemplo excitari pof» lis.Sed quicqd estes autemres
omnino przcIarifTima/id omnetuo ingenio;'U3 innata humanitate cs.Nam ab aliorum
moribus procul dircedens/unieum te exemplar ofiFersrquem et ad fummam
liberaliutem czteraf<^ omnes redas adid æs/&ad ueri
inueftigarionem reliqui fcquantur.lta enim uirtuiem adamas: ut illam non
glona dudus/fed eius amore alledus ampledaris.Euenit rame ut qud admodum
umbra corpus (emper fequitur: etiam li id corpus non quzrarxHc < ua
pie iuHe/clementeti^/ac fortiter fada non adumbrata quzdam et inanisiTed
foli da cxprclTa^ gloria fcquatutx Scd res polhilatxutiam ad noftriim
heroa rrutrra^ murxin cuius adionibus tu mores tuos ac uitx inlliiutum
facile recognofces. Co ucneramus igitur eodem in loco bene mane quarta
huius difputationis dic. AN ^ cum miro deliderio BaptiHz fermonem
expetere uultu gcftucp fignificarcm^ illexurquz explicaturus eilet iis
quziamdida fuerant commodius annedrrrt: buiuiinodi difputatiotii fux
prindpium adhibuit. Vidimus badenus dodilTimi uiri qua piudmiia ac animi
magnitudine omnibus iis fotdibusxqux a corpore^ ueniunt fc explicauerit
zneasxNamne troiz periret: 8C corporeis uoluptanbus pe nitusobruerctucmon
dubitauit exui in altum ferri quis incertus quo fata ferret: pod hzc
thracenfes rapinas uc eas primum cognouit mira celeritate effugit. Ar«
mox in rebus dubiis a fapicnria conlilium coepir : deceptufi]^ Anchife
interprz tatione.Namquz a corpore funt facile corporea fequunuir.uitam
duilem in Oeta fibi propofuit * Sed nec piguit errore cognito uela uentis
iam tertio dare .Delatu!^ mlhropbadasaducrfusharpyarumauaritiam inuidus
pugnauit. Nec per medios hoftes ad Helenum enauigare foimidauit:
Prztereoqua prudentia qua animi przdantia iam ab hcleno dodior reddirus
immanitatem cyciopu de<< ciinauem : qua indudria ac celeritate
fcyllz charibdif^ mondra euirauenr : quo fiudio atramentis ardore defundo
iam in licilta parente nauigationem in lra.< liam rufeeperit. Verum cum
lunonis dolis :zoli<^ ac uentorumuiribus parcis fc non pollet:
celTicilIequidim conlilio ad ueri inucdigationemin aliud trm
pusreicdoinaphricam eo animo diuertit: ut quam primum per tnaris id
edap> petitus tempellarem liceret : in Italiam tenderet Verum in
ditione aduerlilTimz dezconditutus : et amore Didonis delinitus/Vide quid
pTolfit ambitio: quantu ad mentes maximorum etiam uirorum euertendas ual
eat / regnandi i nquam cupiditate dclmitus is qui reliquos iam
perturbationes ac uirufupctauerant di<« In.P. Virg.M.Allego. uinil
Tifflumcoafiliatnio Italiam enauigandiomiiTtttotum^rein eo dednatt ut
regnum carthaginmfium coSabiliret : perrcueraflctcp in errore ni(i
acczpifb a Mercurio non placere loui ur pulchram urbem uxorius extruat. Regni
autem et rerum Tuarum obliuifcatur : Prxcipitur enim homini a fumrno deo
ut ad fu« am originem rcuertiuelitrQ^ux præcepta nobis dodrina quam
litteratilTmKv rum uirorum uel Termonibus uel libris accipimus i facile
tradit. Rede igitur ar« guitur arncM/quod uxods urbis t ea enim eft uita
in adione polita adminifbatio nem TuTcepeiit. Suiautem regni 8c totius
contemplationis qua Tola mentes hu> manz regnant Iit oblitus : Maximei^
hoc urgetur/ut Ii tantarum rerum gloria ip fum non mouet i Afcanio Taltem
tuerediTuccefloricp Tuo conTulat < cui regnum lulia; t ac romana
tellus debetur: quo in loco quidnam aliud ATcanium intelligcmus nili futuram
ztemami^ uitam: qua: huic breui Atmomentanea; Tuccedit. Nam li dum intra
bzccorpu Tculauer Tanturanimino lhitantisrerum terrenarii illecebris
demulcenturiut carleflium contemplationem de Terant/ memineriot 11 in
futuram uitam uitiotum labe inquinati et nulla dodrina exculti migraærint foce
ut nulla unquam ueritatis luce illuftren tur: Q uapropter regnabit
Aiani< us:nuIIuT<^Tuoimpecioiiniseritnilieoapatre dmaudecur i futura
enim uita ab hac quam uiuimus ea rationeiquam oftendi iure gigni dicitur
: ab eadem^ li focdida 6i uitiis tenebriTcj inuoluta Iit: tanto bono
denaudatur. Sin contra manebit fcelix at^ a:tcma : Nam Hic
domus xnez totis dominabitur oris. Et nati natorum et qui nafcentur
ab illo: Q_uzquidem mandata cum acczpilTetzneas: quid mirum li
uehementercom< motus Iit : Erat enim in eo animus qui excclTa Temper
TuTpiceret. Ita^ Te tandem
excitas cupit qptimum abire: et terras quamuis dulces relinquere.
Alluetusenim poteftatibus at^ imperio uirfi£ dulcedine captus non line
dificultate diTcedit. Sed cum ucrum bonum ab eo quod falTa opinione bonum
putat" diTcetneteptv tueritiillud tamen anteponit: Cum uero poli
diuturnam conTuItationem inla« lutata inTcia^ Didone diTcederedecemat. Nouerat
enim no efle pal Turam illum diTcedete fi IdlTct/egregie admonet cum ab
huiuTcemodi rebus animum abduce re uolumus non efle molliores animi
partes confulendas: Ted clam illis uela in Ita Itam facienda: Talia enim
bzc Tunttut quanto blandius ea appellemus : quato familiarius Talutemus/tanto
maiori contumacia aduerTcntur. Sentit tamen d(v los regina :&iniquo
animo fert uita ciuilis a uiro excellenti deTeritpradcrtitn li non fit
alius Tapiens/qui Icxro illius Tuccedat.binc illz quzrelz nulla libizx
znca robolcmfuperciTe. Quamobrem ratio inferior quam mulierem appellari
diximus huiuTcemodi argumentationibus uirum egregium in uita ciuili
retinereitt a speculandi propofito auertete nititur i Primum enim ita
urget ut quzrat quo modo eam deiicrete Tublbncatia qua tam ardenter
ametur. Amat enim ucbementer virum excellentem vita duilis. lllius enim
cunfiliis imperia non modo paran tur/& parta con Teruanfuriuetum
etiam augentur. Sed nec illud retinet non Tet' uate illumlidcm quam
dederat. Suavitare enim imperandi iam totum Te adminiHtarioni dederat zneasi Quio
di Te moritiuam Tidc Teipture docet; Nccinub 1i I I I t t t P u 9 0 9 u n I» P“ ca nii da ttico: iKg da dd od R.! dia b&' ht loj on IBU' «nI 1« tii AV u tua 8“ liii Ml LlOfi Odi ns
ilii ntoi iU IIlBl' lO* loli
niii jA«< Dlli
tffll*' yb BD^ a<? J»!*Libo gimttu to alito
eucf UKloIcb Namdcflituta a uimite agendi facultas pereat necefle
cft: Dctcnetezdif&cukate hiemalis navigationis. (^uare (Tgnifiantut
labores ma^ jdmi t quos (i in Italiam uenite uolumus fubituri fumus.pofiremo
in hoc uche>< mentet mlifiit/li reuotetetur ad Ttinam Bl ad uitam
uoluptuol^ t non tamen illi efle concedendum: ut honores relinqueret t
multo autem minus cum loca fi bi incognita petat t nondum enim nouerat
Ipeculandi uitam. Dcmum ad
c6mi< fetarionemconuer{alachriinaseffundit.connubium, incoeptum ad
memoriam reducit. Q^uicquid fuaue oUm a fe acczpiflict exprobat:& ne
domum labent em dcioatobuftatur. Pofluntenim uchementercommoueri mitiora
ingcniaicuia parcntes/cum liberi aattiif (anguine coniundi/cum amici/cum
patM ne dcfci' ratrogantrne incoeptam fcxictatem relinquat przfertim cum
uer^umfitineim perium a bonis uiris defiitutum/aut Pigmaleonis
auaritiaiaut larbc tyram*de in« uadaf .Q^uodtunemagu ucnoemur cum alius
(apies qui (ibi fucceclat no telin quaf sQuz quidem omnia cum rerum
agedatum rado animis noSris obiidatr non pollumus non uebemeto
comoueriiSuccurnt enim platonicum illud quo quttum generi humano debramus
/grauifiimeadmonetiut humanitate eruere uideamur/fi humani
focietatedeferamusiucru cum aladuettatmagnus uir men tem fola eficiqua
boies fumus; ea no agendo fed cognoiicedo pcrhdrid^ louis
pcaneptucfieimotusmanetiat obnixus curas fub corde prraut.habet aut
quo|> pofitu opnme tueri poiTittNon enim inficiaf bene ^meriti ciTe
reginam. Quis enim no uideat magna humanx hnbecillitad adiumeta ab hcK
uitx genere fue* nirc:(^um BC polliceffe illius recordaturu dum fpintus
hos reget attus: Nam eu derua abfoludflimu appellabimus:qui iu in
fpecmadone dum uiuit uetfef : ut uicifliW cum ccs poftulat agat.Etgo no
fugit a uita agedi < fed inde recedit: qa cu ea no cotraxerat
matriffioniu.Non enim nati fumus ut drea mortalia uerfemur: illif{^
coniugamur.Sed neceiCtatis caufa efi illis in(iftcdum:ut tanta opere impd
damus:quantnad fodctatcconfcruandam fat fit:quaptopter (i Dido Carthagine
deledac :hoc autem efifi in adione inferior rado libenter uerfaf liceat: fit
fuperi^ ori Italia dclcdan poflem mulca ciufdcm otadonis ad eadem
fentendam trilTa^ ce. Sed fit aliquid ex mera hiftoda didumiRcIiqua ueto
qux ad plurimos uerfus dicunmt:eam uhn babet/ut libidinofum K corruptum
amorem detefienf :at^ tantxfceminx grauifiimocxcmplo nosadmooeat:ut tam
mrpem/tam pctnitio.« (am pefie fugiamus:comode aut eunda qux a PauEmia in
platonis fympofio de tutpi amore dida funtiad bde locum ttan(Feremus:ex
quibus pauca qux a nobis cum de Paride uerba fcdmus dida funt : memoria
(i repeteris intelligeris umSu mum effe Ptoperrianum illudi Durius in
terris nihil efi quod uiuat amate .Q^d* autem magno pedore curas
pcrCmfcrit xneas: fit tamen mens immota man ferit/ oftendic uirum qui
deorum prxeepris parete deacuerittiam ab inconrinenria in quam Didonis
illecebris ptol^fus fuerat/ad continendam redi(rc:tt quis amore
urgetetuntamen hone&umuoIuptariprxpofui(re.Oidonis ueto interitus
nobis pcrfpicue oflendit perire ncceffe c& eas res publicas qux a
fapientibua deferanf. Non tamen aberrabimus fi amandum at^ amentium
furorem cxtrcmainij de f^aarionem huiulcemodi exde oilendi putemus. Æneas
igitur deorum admi}« 1 ti In. P.Virg M. Allego» nitu
in Italiam enaiugat. Verum infurgente uentopt u! palinurus nauis gubertia
tor negat ea tcpeftate Italiam pe Q poiTc.anenticur zneasiut in Sidliam in qua
in fula extindus parens nondum debitis exequi is oraatusiacebat/dcfledat.
^uo in loco quid fibi palinurusuelitline ncgocioex iisquz de illo paulo
fupra expt’ fi cogDolcerepotcttsicum enim huiufcemodi appetitus facile
pturbationib^ob tuar' inon modo a tedo cuifu auertic' :fed znea( hæc aut
excelleris uiri mens eft} pctixpc infuam femetiam trahiteut ad patre»
hanc autem imbecillitatem quama corpore cotrahit aius iam ciTe
diximustbeet intelligere ad patrem inq/quis iam de fundum redeat»(i uero
ad memoriam ea teuocaueris qua: de ficilia lam diximux non ab re
cftipfistroianisiut in eam infulam redeaaundebreuifiima (it in lulia
nauigatio»Poeta tamen cuius cofiliumefi no folii ut grauiffimas res
j>ferat:fedil Iaauatiaiocudiutciuafpergat:uttcdiumtrifiitia« pfundarum
rerum comites penitus amoueat/uaria ludopt genera interponit.Hzc igit' iu
adminiriobantut abznea ut paulo poft oibus ablolutisin Italiam elfct
foluturus.luno uerocui^in troianos o^um/nec ulla calamitas/ncc tpis
diuturnitas explere poterat : qa quo illosltaliz
j>pinquiorcscerneret:eomagisaccenderet' oblatam occafionem non 5
rztermittit:Cum enim feorfum a uiris imbecille mulierum genus deliderio
ta< em quiefcedi mcedius cofpicare^ pa irim illis ut naucs incedat
pfuaden Quz qdem (ic accipiteirerum terrenarum cupiditas no uiros/nam
pars fupior rationis non facile his rebus frangit':fed ipfam inferiotenr
tonem a fupiori dUluudam p fuadetiut rerum magnatum ^poficotcicdo tedium
longioris nauigationisrefii giaud^ubieficonfidcaCiMuUetcsigit quibus
inglorium odumlongccarius (iu q honelius labor prijtiio ambiguz
miferuminter amorem pizfenris tertz fatifq| uocatia regni malignis mare
oculis ifpiciut.Namcum ratio tnfmocquzafupe* tiocipfuaU illam ad quxqj
xgregij Tequit' nuceaabfente paularimfenfuumiiiei cebris cncruac' idoncc
tadtm uidi fc iliupi potefiati pmittat.Naucs igi^ mulieres inwcn dioafrumei
caduriunt. Hoccumdicicportauolutatcquz ad res magnas, ferebatur
incendiocupidiutum perire o(lcdit:pen(rrtauttoticlanisnifi Eumci Ius
piculum (fatim ad zn eam reiuliffeciErat enim Eumelus uir ad mulierum cu
fiodiam telidusiNam huic parti inferioti metis acerrimus qdam cofeietiz
remoc fus/cui bonaceda^ cuiz fimp funt ftmp adcfiiHzcgtzce fynderelis
didturuis (.nobis ingenita qua animus Sc ad bonefta crigiturtK a turpibus
tefugit»Hacau lem nomen ipfum uii i ajpertc demondrat; enim boni cura
facir leinterptabimr»Hicigit^Iapfaiam in facinus muKere
temaduitutefcrt: Quo nuncio percepto primus Afeanius ad iiaues eripiendas
aduolat: ASCANIO autem celer robuduli^ magno animo prxditus Æn»iiliuscft:quemiuceiatetptc
tari licet uigotem quendam ex ip(j mente natum: Hic autem nullo tenore
pto liibemr qum contra pericula pnmus feratur: Sequuntur reliqui t fed io
primis zncas: At mulieres uiris cogitis incoepti poenicet t A uiro enim
feiunda muli* er aduerfus appetitum minime repugnat <Q_uod (i tutfus
uiro coniungattirt iam robufbor fada/ SC ueluti e tenebris erepta tum
demum acata iam cetatt/Sl a lunonedcIuCam e(fe dolet pudet^: Non tamen
incendium facile tolli^a Nam optusalunoæappeunuiacop^cueut ut
uoluntatcmsquæ, nobis ad (uo»; tti «di r S 5 1? S B jr 3 .te
e Liber quarttu inutn bonum euehit/omnino perdat: fir^ mifera
in bomine diftradio t eu atio ratio dutat:aIio appetitus rapiat i Q^uo in
loco cum mms noRra fe tanto cer« tamini imparem cognofcattnititur illa
quidem fuis uinbus/fed limul etiam di uinum auxilium implorat id autem
impetrare meretur. Nam qui ita deu præ atur/utiaterimipfe quoad ualeat
libi non delinis adeo minime derenc. Nam
quodaSaluRiofcribiturnecprzcibusnec fuppliciis mulieribus auxilia deo«
cum pararitrededidumell. Non
enim inerti ac delidi/ K qui in fummam rr^ tum defperationem prolapfus
nihil contra pericula parat auxiliatur deus. At qui magno aduetfus
difih^ltatea animo infurgit:qui nihil inaufum: nihil in«
tentatumrelinquitiquincc periculis terreturmec laboribus torpelattis profodo fe
dignum f^tcuius S dii d homines commirereantur. Quapropter fapi« enter Æneas
ciun nec uires beroumtnec aquarum uis infufa prodelTrt: ad prx*
cesconucrtiturtauxilio impetratotcum iam quatuor naufsai Tumpræeirentt
teliquz ab incendio feruantun Cum autem naurs ad totam turbam tranfuehen
dam deeflimt terat fenis nautz conliliumutimbeallior turba in Sicilia
reiin' quctctursutbfm illis habitanda conderctur:hoc confilium oraculum
paternum louis enim iulfu locutus cR patens/ex ancipiti ratum hrmumt^
rcddidit:Q_ue iocum nili uos aliter cenrcatis/itaintcrpreubimoi. Ad
diuinarum rerum fpecuo lationem fola mens omni uirtutum robore iam
fuffulta acceditiReliquzenim animi uires quz imbecilliores funt
naues/illz enim fune uoluntas/quibus illuc ucbantur incendio amifcrc: Q_uaproptcrreuocanda
cR mens a frafibusihocau tem confilium ab. eo uiroprohcifciturtcuimagi Rra
Pallas fueritteR enim a fapi entu dodus: Approbatur autem ab Anchife fed
iam fcpulto; Nam qui a ra« bonetamfubadiruntfcnrus/facilein eius dicionem
conccdunr/ przfemm lo> ue iu iubencct conuertutur^ in rationem hoc
ordinc/ut ratio ipfa etiam fupeno remlocumarcendensaf Ficiacurintellcdus:
llleautem£(iprein altiorem gradu cuadens intclligcntia redditur. AR
intelligentia in deum comutatur. Hmuic&> modi igitur cofilio at^
oraculo utimrÆnas.Non tamen prius e lidlia foluict qua lacta pie tite faaatinorat
enim qua laboriofitquiip periculis plena lic h\u iuCccmodi nauigaboiNoueratquancz
molis erat romanam condere gentetSed nec Venus quicqui interea
remittitiquinuehementer pro faluce hlii anxia oia drcufpiciat.ln primis
autem Neptunum rogattac mare tranquillum reddauNa amor quo ad fummum
bonum rapimur fupiemam in bomine rationem horta tur/ut appetitum m fua
poteRate cemtineat: N epcun us om nia benign illima pol bcctuciNihii enim
denegat ipfa mens amori ad redum eam excitanti : Neqi ell ptocula
ratione/quod oRendat Venerema fuo regnoottamtlTetEReaim Ne« ptuncu regnum
marciquod quidem ducn ab illo regitur/ctanquillu eR. In hoc czii uitilia
lada dum agitanturifpumam gignunt ex qua oritur Venus. Supte« ma ergo
ratio appetitum intra fe continens in quem uiriliaczliiiccirco decide»,
re didmus/quia in appetit um a ratione adminiihatum uls quzdam cziitus ca
dittquz in eo agitata diuinarum rerum amorem proæat t uod autem oes prztcr
unum Pahnuru incol umes in italiam peruenturos promittit i no ne cz
oxtdia^ut aiunt gtaxi^philofopbia erutu cR: Nam clalli in Italiam
tendenti In. P.Vtrg.M.AIl(go. flurimeaductbtut appetitus /qiii a folofenAi
profedustulul altum (iifpic^ Quapropter rquadiu claiG prxfuitinunquam
ttaliam tangere potuerunt Tnv unuSedundema Tomno opptcfTus mari
cztinguitur.Nam poftquam rado acarime ad contemplationem
conuettitur:& caducorum curam reliquit: Nt< hil ex iis qux fenTum petmuicere
pofltnt/appetiturt Vnde uniuetfus Uleappcdi» tuspaulatimiapituctac
fopmisezdnguitur: Cial Csautcmcnamline fuoguber tutore tuta fcrtuc
Neptuni promiiTis donec ad fyrenum fcopuJos deueniretrlbi autem fluitate
ciuncarpiiTet Æneas temonem capiens nauem in undis noAur« nistezitiNam
animus nofler cum iam fibiitaliam propofucrit fccurus fertur/ donec in
uoluptatumfcopulos incidattTuncetum temonem capiat oportet ap pedtus
tationalis Tquiaduerfantibus uoluptatibuscaiitra obflfism Eztmdoigw cur
Palinuro Æneas tandem poli diuturnos enores euboids allabitur oris
.In iuliam enim ucntumcll ad quam gubernatore Palinuro nunquam
perueiuflet 1 ingrefli funt Jn quo non idem curnit quod in
cartbagine Æneasslam portum ingrefli funt :In quo non idem curnit
quod in cartbagine a portu euenifleoflcndit poeta. Ulic enimnaues'ficli
procul a rabiat fluduum in tranquillo efle uideremurmulla tamc nant
anchora alligatx. Quapropter qua quam non omnino ucxabantuRin aliquo
tamen erant motu.1^ autem anebo ra fundabat naucs: quo oflenditur eas
ueluti fundamento nhex lint flabiles hx« rcrcoportere.Summum enim illud
bonum:quod in negociola et duiliuita a philoiophis ponitur: 8t
flinbuiufcemodireceflupofltumflt/utprocuia fotttu nx procellis uirtutum
benefido abflc:non tamen ita conflabilitum cfltquin la« bcfadan
poflit:Q_ui autem oi.'':} vum rerum libi contemplationem finem lU timum
propofuit/bic iu in tuto ac folido rationes fuascollocauit:ut nulla ui di
tnouere poirit.Nam aduentusin italiam oflendit habitum uirtutum um contradumiu:
utaptopoiitauita non fit difcefliirus Æneas/non tame earum uit
tutumtquxfuntanimiiampurgatit Namnihil fibi diffidle iam proponeretur/
fed earum quas dicunt purgatorias. Quod quidem propolitum iam conflabis
litum fortitudo fit animi robur non deferitinec ipfe ardor rd
aggrediendx. Q^uam quidem rem tunc ezpnmit cum ait luuenum manus emicat
ardens Lic tus in befpcrium: Manus enim indicat omnes animi uires
cocurreretqux e me« dio iam fublato Palinuro fefe menti ultro
fubieceranti quod autem ardens fit concurfus uehemcntiamindicatiNe^ ab te
efl quod fit manus iuucnum.Ofle dit enim animi bene affedi uires nnllo
fenio in quo tedium torpor^ ficigna«. uia efle (olet unquam aflid: Quapropter
non lento palTu rem agit/fed emican Verum quia dum in corpore ezulat
animus:quauis fe totum fpecuiatioai dc^ dati non potefl tamen non curare
neceflariat ea’ enumerat poeta quxnonuo luptatem fenfus: fed
incolumitatem uitx rcfpiciant. Nam quxnt parsfemi nafiamis ObfttuIainuenisfilicupatsdela
feratu Teda rapit filuasinucta^ flu mina moftratiinferiorcs igitur animi
uires bxcagut. ENEA aut quo nobis m& exprimit" i Arces quibus
altus Apollo prxfidctsHotridxip procul feæta fybil» kc: Antru imane
petitt(^uod cu fadtad rea diutnas cdtcpladas erigit t Na qui aliquid figurarum
inuolucris fcribuntibuiufce modi rpeculatioes per excelfu loca aprimBt. yadc
illud e p(almoi(^uis afccdct ia mdee duif A et illud = b Sj K n n i»
la Ap OL ttl d bt ttn
lut % dt.QURI bii iO ni£ fid «w
Ots sed| iæ N «I K Liber quartus Nam cum in ui^tum
in contemplatione pofitarum finis uerum fit/ quo fapi^ Clite
efficimurtreiSe omnino folem huic rpeculationi mopolicumeflediiitNa ut
nox tenebrz infcitiam arguunt :ita lucis dator fol ueriratcm fignificat: Cuius
exemplum fecutus ciuis noder Damhes cum ab ignorarione rerum ad ue- ri
cognitionem progrefiiim ponit fe ez node filua<]^egreflum montem cuius
iu ga foleilluilrata fint/afcendere reflatur. Addit pratterea antrum ibi
efle Sybii« be magnam cui mentem animum^ Delius infpitac uates aperitrp
futura. (^u£ quidem locum ut diluddius-ezpritnamus pauca prius de Sybilla
percurr^mt mox ad rem de qua agitur redibo. Conflat igimt Sybillasapud
grzcoseas mu» iieres urxitati folitas t qtiz furore diuinb afflatz futura
prædicerent t Eft autem Sybilla quafi id enim efl dei fentennatquoniam
dei conlilium fitn tuitura et enim æoles deum dicunt : quem reliqui
græci nomnantt Quanquam (iimtquiuelint fatidicam muiiæm apud Ociphos
bocno mine appellatamta qua demdereliquz futurorum confcia: cognommatz
linn faas exuariis regionibus' decem fuifle colligit. M. Vano :Q_uas ego
omnes fi quid ad rem pertinacatbitearertfuo ordine proiequi non
grauarenSed ut ui> ^.nihil ad hoc de quo nunc agitur iQ^uamobccm fatis
fuerit uidifle Sybil lam facile rerum diuinarumdoi^inam interprztari.hzc
autem nobis ca qux Apollini nota fumifine mendacio przdicitt Nam
fapientiam uericatcmtp ape» m.quodueto antium ponitiexprimic ucritatem m obfcuto
latete. Nrtpreme» tetriuiz lucos Apollini templo adiungit: luna enim
corpulenta uebementei cflifiC reliquis lyderibus inferior. Q_uapropca
rerum humanarum quz diuinis longe inferiores funt/figuram iutc habdne : 1
lia enim lucis przpouitur: res au» tcmhumanzin fylua obrutzfunt: non enim
corpore carent:& utiuna afoie lumen recipit t ita Si ipfz quiequid
habent a diuinis habent. Collige ergo cu lapientia non modo
diuiturumterum/fcd etiam humanarum fæntialit re» de Apollinis templo
Dianz lucum adiungi. Templum dtumatum rerum lo»cus efl. fylua
macenanotat.Templum laoius zdiheium deo (aaumiin quo res
fdlasdiuinasagimustab reliquis abftinemus t quoniam cum illud mgrcdi»
muria negoaisceflamustfiC foli contemplationi incumbimus.Trmplum aute a
Ozdalo conditum ponit t Q^uid igitui aliud efl zdilicare templum Apollini
nifi reddere fe idoneum ad fapientiam capiendam.Q_uod quidem tunc dcnii^
fadmusicum ab omni corporea labe purum animum ad contemplanda diuina
tranfferimus.hocautem Ozdalusuiromnibus optimisaitibusinflrudus fa»
cuepotefliin quo tantum ingenium fucriciut Si DzdaIaCitce& tellus
dzdala a poetis tunc maxime dicatuticum maximum ingenium
oflendercuolunt.Ve» tutantem non mariinontetrainec ad meridiem infimam
nobis mudi panemt fcd per fublimem acrem ad reptetrionemiNibil enim
humileinihil terrenum fit in camente/quz ad fpecuUtionem fertur I fed ad
fublimia czlefliai]p engaturt Efl autem primus fpeculandi ingteiTus a
uitiis. primam enim cogniuonem efie oportet circa mali naturam /ut
ualcamus ab eo abAinere. Nam nifi expiati a uitiis fuerimus i nunquam diuina
attingemus t Vt enim idem fiepu ut icfctam/ negat Dauid
quenquamalcendctepoflc in montem domini/nifi Ia.P. Virg-M.AlIfgo. cum
qui fit innoces ihanibus 8C mudo corde:(^uapp in foribus per qmt etat in
templum aditus homicidiu Androgei: Adulterium Pafipbzs& Icari faftus
i|>onic .Hzc ergo a principio fpeculatur Æneas.In uitiorutn autem
cognitione 'non cft diutius imoradu.Nam Si (latim ea noile oportet: et ftatim
a noris dilco dere.Rede igitur^ fjrbillaquaiamprarmilTus
Acatesacceriieratadmonef Acne asine in tali fpedaculo Idgius tepus
cdterat:Nam excellentiores quoep uiri uad is uoluptatu illecebris alledi
labercnt :hi(i.eoru cura BC Ihidio eam elTent adrpd dodrinamtqua monemur
ut paululu illud uitæ ac temporis:quod humanz ra dcoDccfrum eft non nili
magnis et excellis rebus conterendii ducamus.Hocau tem inter egregiu uiru
ac ftuliumintere&.Nam alter li femel labatur/non facile furiet Altet
liquonia corpore uac animuspauluquandotpeuia deflexerit/ flattm adeft ab
Achate accerlita fjbillatquzad redudeducattledmira profedo poetz
ingeniu:qui fapientiamipGm Tua fapientia nos edocettprima ita<^ dodri
na ea efl ut purgati mundicp templum ingrediamur : Deinde oflenditquiuis
mens nollra quzdam Tua SC a fummo deo fibi indiU ui cognofeere
poflit:eogai tionem tamen diuinarum retum huiufcemodi eflexut nili diuino
lumine extu .tusillulVremur:illamcondperenonpoirimus:Hoccum fit/quis non
uidetprz cibus et ficrificus rem efle a deo petendam: Elegit autem feptem
hoftiastquonii Teptenarium numerum multi pnilofophorum perfediflimum
putauenmttpro ptereatp fapientiz attribuitur:8t uirgo ac pallas
appellatur: Sacrificat igitur fepte qmrapientiioptat: Ne(p temere didum
efl quo late ducut aditus cctu:hoftiace tum:per aditas enim multiplicem
uariamt^ dodrinam expim!t:quaad fapien riam ducamuriHoQiiueroquz quidem
uenientibus:refe opponunt non pat uam in re difficultatem
oflenduntiHateautem non ante patebut : quam id prz dbus ab imo pedore
fufls impetrauerimus.Sumo enim animi ardore et mente illi penitus deuota
fapientia acquiritur: Vt aute Gpientiam aflequamuri promit tit le templu
Pbcebo et Dianz fadurum:fed de templo paulo fupra dixi:huc ue to quare
illud de folido mamiote Fadurum fe pollicetur / breuibus expediam: marmor
res dura ell:ac mirus in eo 6i candor et fplrndor apparet: Vnde ab eo
quod gratei fplendere dicunt nomen fumpflt: C^uz omnia in ea
mente/quz ad Ipcculationem erigitur infint nrcefle eft:Brit cn m folida
ut quemadmodum inunis fludibus fua duririz ita obfllHt feopu^ lusutipfe
integer maneat/illi ucto illidantur:difruprir<^/rclidant:ltcmens nui
lis perturbation bus frangaturifed illas frangat: dicimus przterea aliquid ez
fo lido marmore clTe.cumnon marmoreis cruftis externe exornatum fit ; fed
tota cx tnaimore conftet.O uapropter 8i buiurcemodi mentem efle
oportetiut no figna quzdam quibumpientiam exoptet przfeTat:rcd tota
exardefcensilli fetn per incumbanErit itidem fummo candore nitens: ut
nulla fit corporea labe polluta.Q_uo enim padofplendore carere poflit ea
meos cum fapimtiam na qua perceptura fit:nifi prius multis dodrinis
illuflrec%Teplu uero Pbcebo Dia nzip ponir:qa^ut mo diceba ^ et diuinayt
et buanape reru cognitio cft rapictia Dies aut fcftosfoli Apollini
illituit:qauenis cultus foKs diuinis debctur.polfi ctt et S jbilJz
penetndia: in qbus fuz fortes 8C arcana codanf : Na nifi alta totte I^bct
giMrtus. rcpofita maneant ea qax per dodnnam acquirimus 'ueluti rianai puelfa;
alHduo labonbimus:ne<p unquam pcrforarum uas adimplere
uaI(bimus:Q_uapr(v pter 6C uiri ledi fortibus przponendi funt t Nam
excellentes funt uires animi ad bbendx : quibusiqux didicerimus optime
mandentur : Curadum autem in pri Inis ne refponla frondibus (dipta
tradantur: Sed ore pronuntient ur:Non enim JibcUisfiCcommcnUrioIi SCT edmdafuntquzaddircimus:
fed menti: Ne^ ruro (iuleuium flultilium^ rerum eQ quærenda dodrina ueluti
qui in dialedicorum fuperfluis apdunculis/ac uanis
amphibologiis/autlnanibus fabellis omne pen e tempusterunt: Vereautem
illud didumeftfybillam circa principiuih nondum pbcebi padentem eflie :
Ea enim principium nondum pheebi patientem effe: Ea enim quz cognitu
difficillima funt/fuidpete non ualent noftra ingeniola donec Apollonis
enim eff neritas nos componat : ea enim inffrudis omnia Facilia redo
•duntut : Sed audi quid dicat Ijbilla. O tandem magnis pelagi defunde
periclis: Sed toris grauiora manent : Nihil grauius nihil uerius: Qui
enim omiffa ciuili uitaad eam peruenitiquz in contemplandis rebuspolitæffiille
relido pelago^ io contipentem fefe recepit : Vita enim quz in adionibus
uerfatur: fluduati ma ti fimiliima eff : Videmus enim omnia quz in ea
aguntur : fottunz procellis ezo polita effe: Contemplatio autem cum ad ea
uertatup : quz eodem femper fe mo do habent: ne^ in intoitum cadunt in
folido hzret: Magnis itacp pelagi pericuo lisiadatus eft zneas prius quam
longis erroribus circumadus diuerfa horrendao ^ maris monffra uitare
potuerit: Diffeile enim fuit ut troianum incendium ino columis ruaderet :
laborioTum ut audelitate atep auaritia deterritus e tbracia abi ret : In commodum
ut ambiguitate oraculi deceptus in trinacenfem pedem incio deret. Q_uisautem
barpyarum foedam illuuiem non abhomineturr Q_uamuis iter ad Helenum per
medios hofies non formidet. Q_uh cyclopum immanitao
tenonconffematurrMariaautemlicula ita caute obire: utneue Ttyllam neue
•baiybdim conrpidati^^ tempeftati a lunone zolo^ ezeitatz ita refidere:ne
nau &agium faciat non hominis fed herois eff. prztereo quz in fodis
in africano Kt« tore paffus eff : quas ilh fraudes luno parauerit : quo
amoris uinculo Dido illiga •erit : prztereo quz in Sidlia ex incendio
nauium damna acczperit: uz om« nia gtauia ac tunc periculis plena cum
perpeffus fuerit: quo nammodoin Italia duriora paffurus eff : Non tamen
procul a uero aberat fybilla : Cum enim a com muniuitaac hominum coetu te
in folitudinem ucndicaueris : tunc acriores quaf dam uduti faces carum
rcrum/quas rcliquiffi memoria admouet : et illarum de Gdepo acenimi
infurgunt morius : At^ cum obliuioni iam eam mandaffe puta tnus : tum
maxime illuum ingeminant curz : rurfufip refurgens fzuit amor':ut nili firmiffimaancbotaiuuesfundauerit/uideatur
in Afncamrenaaigaturuve Non enim 6C li firmum fit propofitum minime inde
difccderc: tamen ceffat ccr« tamen cum aliud illecebrzolimadzuitz aliud
przfens confiliumfuadeat. Ve» tutin Italiam Æneas:uenim eo
uimitumgcnerequipurgatoriz appellantur a quibus antea quam penitus expiau
fit mens necefle eff ut acerrimum beliu quc« adsetidum nofftt aiunt
fpiritus aduerfus carnem gerat : Nam quanto magis hzc l^ta humanam
imbedllitatem funt: tantnniainri pcriculoaggtcdimUC.Hu<i
tn la. P.Virg. M^Ahcg Of inaHani enim rodctitemcum
deferimus/aut in ferinam lutam per tninian U atram bilem degeneramuc/aut
heroico robore fupra hominem erigiimjt. Qua propter intenogatus quidam qui
in littore folusuagabaturquicum loquerctot rcrpondi(Tet<p mecuni
loquor* Atqui uide inquit ille ut cum bono homine 1» quaris/& rede
quidem t Non enhn facile SCIPIONE inueniaaqui nunquam mi nus folua elTet
quam cum folui • propter huiufccraodi igitur difficultates ah Sj>
bilJa fore/ut cum in Italiam uenerint dardanida;/ii enim uiri tegregii funt /
nolA uenilTc. Inuenientenimaliumin latio Achillem.inuenientK
lunonemaquV bus non mediocriter uezandi Hnt i Ambitio enim quz ut in
lunone ita ia bello cofo uiro etprimitur quemadmodum troia; et uoluptati
aduerfabatui i fic et fpc culationi quam fibi przfcrri egre patitur
aduerfabitur : Eft autem ex dea natui achillcs / quia diuiiu qux damgenerolitas
in animis noftnsiolita eft t qiuenctni ni parere i omnibus autem imperare
uclit > Hzc ft reda ratione excolatur/ueram fortitudinem parit i lin
autem contra rationem elata omnia in fuam libidinem coouertere
tenet/ambitionein creat t et regnandi cupiditatem t Q^uaproptet tt ft
uehementer degenerer a dea tamen id eft adiuina animi ui origiuem
du.itsNd autem eatolum t quz ucnturanntptzdicitSfbilla : uerum ftcaufain
tantorum malorum profert: Ait cnimuttroiamcuertuntnuptiz mulieris eatdnz:
lic ft in Italia lauinz coniugium bellum acerrimum concitabit t
coniungitur cztemz mulieri animus nofter cum omilla uirtute rebus caducis
deledatur. Q^uapio* pter uoluptas paridis troiam euertit. In Italia uero
cum nondum cupidiutem tc rum humanarum deponere ualeat animus bella
excitantur afpcta illa quidem / fed non in quibus ueluti apud troiam
ruocumbatt fed unde uidor triumphafiy parto regno redeat. Accommodate ut
mihi uidentur omnia hzc inquitAt illud quare didum fit : fed npn ueniiTc ualcnt
non intelligo.NI (i eum qui iam ad fpeculationem peruencrit firmo iam
propolito ce oportet cur illum peenitentia fequatur non uideo t Non enim
infiaot uirum etiam grauem in huiufermodi ftabili propoliro acri fzpe
morfu affici : non tamen ita magnoaf fici puto ut ad pmnitentiam
redigatur i nifi fortalTe hoc didum fu : ut multa per quandam hipctbolcm
t (icenim grzci rupcriationcin appellant / dici confueuere ut ex iis
unbis quibus peenitentia (ignificatur non peenitentiam fed fumma diC>
ficultatemoftcndcreti Ifthuc ipfum inquit BAPTi&TA : uerum uidramus
qd rerpondeat zneas : nempe id quod qui uera dodrina imbuti fuot femper
obfer^ uant : Ait enim fe ita ptzmeditaium uenifle : ut antea fecum animo
omnia euoi uerit. uz enim ante a nobis ptouifa funt ea id fpatium
przbenr/ut antea qui ucniant uel cuitari poflint uel faltem ne
tantum Izdant prouideri : Cum animus ipfefuasuires colligens
tobuftioraduerfus difficuitates reddatur: Nam queme admodum ii boftes
incautos ac nihil tale metuentes inuadamus quamuis 81 Itv co et numero auperiores
flnt facile illos fuperamus. Contra uero uel exiguz eo* piz ii fpatium ad
ea paranda affit: quz prziio conducant lulidii Timo ezcrcitiB pares fzpe inueniunturific
et nos finobifcum cogitauerimus/ quamuis multa per corporis cogitationem
accidere pofTint/ animos tamen czleM femine oetoa atfi focotdi» ignauixy
Ide dederint: aullis laboribus t nullis
difticultatibiill ul iJi M Stl eu P ffli «I IV.N a id ni ifi m M k d Pf Liber
quartus nuDa foitunz iniutia modo uelintimpediri pofle quo minus in
originem fuam redeant inui<3i ab omni perturbationum prxiio euademus. Ha»;
fecum cu iam diumcditatus effetarneasnonpetitnuncdemumiila doceri. Verum
in limine contemplandarum rerum poAtus ad inferos deduci orat. Quo in
loco quid G* bi ueiit amez ad infaos dcfcenfus conabor paucis abfoluere i
Si pnus quid infer bus fit : Si quot modis ad eum deficendatur breuiter
demonfhaueto : Infemiim igitur plurimis ante chriQianum nomen fzculis no
folumhebrziuerum etiam cgyptii pofuerunt. Q_uz autem poft chtiftum natu
noftra religio fine ulla dubitatione de inferis de^ peenis t quas apud inferos
nocentutn animz luunt / af> firmat ea omnia ab hebrzis ni fallor
accaqrimus.Q^uz uero zgyptiorum monu mentis mandata funt ea primus ad
grzcos tranftulit Orpheus. Hzc deinde fu« is figmentis auxerut plaui^ ez
grzcorum poetis / quorum principes Homerum H^odumtEurypidem t
Arifiophanemm e(Tc uidemus. Q_uos deinde fecuti e nofirisfuntptzter
Maronem / Ouidius mlmonenfis/ biex bifpania Statius Pa» piniusacLucanus :
&quem plzri^ florenrinum fuilfe putant Claudianus: At ii omnes inferomm
ledes fubterraneas elTe et ad cctrum ufip : qui locus in fpe ta infimus
efi portendi ædidetunt: Q_uapropter fpeluncas quafdam ac terrx hiatus
przfemm fi ignem fumum ue euomant ingrmum ad inferos n5 line mu
liercularum ac rotius uulgi fummo afTenfu fabulati funt. Nam et in laconica
re< gionc Tenanis mons eft circa finem malei promontorii / e cuius
profundiifimo antro quoniam fpiritu id agente fhepitus auditur: facile
fuit uulgo petfuadere inde ad inferos defcendi.Acberufia autem palus in
epiro no procul ab beraclea abargiuo ut fauntHerculedidafpccum habet per
quam cerberum tricipitem Plutonis canem ab Hercule edudum crediderit
antiquitas : Nam de auemo lz> cu nihil efi quod referam: uulgatænimresefi&a
pizrifi^ decantata. Ac de poe tishadmus. Plato uero eadem difciplina :
qua et Orpheus imbutus ita fingula ptofequicur/ut nihil aliud inferorum
locum animis noflris efle ueiit quam cor» pus ipfiim quo ueluti carcere
includuntur. Ipfe em'm animos a fummo deo æ* atos ponit : Q^ui quidem
fuapte natura dudi In deum parentem fuum conuer tuntur. Nec mirum. Nihil
enim eft quod in originem luam cum pollit non re uetutur. Videmus
enim(^ut loco exepli hoc ponam}ignem huc^ut ita loquar^ tenenum/quia
fuperiotis ui ac femine genitus efl fuz naturz impulfu ad fuperi ora
erigi. Conuerfi autem in deum animi eius radiis ita illuflrantur ut ubi
hade nus eorum efientia per fe ueluti informis fuerat : nunc ilb fulgore
conformet' : fit 9 miro quodam modo ut intra animi eifentiam receptus
fulgor no ueluti ez^ terna quzclam Si aduentitia res in ea refideat : fed
ad illius capacitatem tradus ob foinor quidem reddatur : 8C a fe ipfe
degeneret : mend autem proprius ac nattis talis efiiciatur.Q^uaptopter
hoc duce in fui ipfius at^ omnium quz infra fe ezi ftunt: ea enim corpora
funt: cognitionem animus uenit: Deum uero Si aav> ra quz fupra fe
apparent: hoc lumine non cernit. Qui enim fi iamconnamra« le fibi fadum
efl ea quz fupra naturam fuam funt/illo continget : I d tamen men ti
noftrz przfiat : Nam per primam hanc ueluti fcintillam deo propinquior
fz> da aliud accipit lumen et clarius quidem/quo iam czlefiiumquo^ Si
fuperna* m ii ~ f l Ia. P. Virg.M. Allego.
nim remm cognitionem accipiat. Sed hxc te LAVRENTI latere mmitne
puto: Sunt enim non folum dode ac diftinde/fcd omnino dilucide a Marfilio
noftro in iis dialogis explicata : quos ille in Platonis rympolium
confaiptos fub tuo no mine zdidit : Quos quidem cum quia ad te funt t tum
maxime quoniam pluri mis acfeledilTimis rebus abundant
familiariflimosribi elTe cupio t Sunt illi quidem inquit Verum przcipue locus
ifte menti noftrzhzretsin quo geminum in nobis lumen elucere demofttat :
naturale unum et ingenitum ut dicebas : diuinum alterum et infufum/quibus
limul iundis animi noftri uelu ti geminis fulFulti alis/totum hunc
ruperiorem mundum pcruoLue poiTunt: Ad dit^li diuino illo femper utantur
fore t ut frmpet diuinis bxreant. Infimus autem hic tctrz locus animante in quo ratio
fit canturus uideatur. Quod nefiat
efrediuinainflitutumprouidentiatutanimusfui omnino potens flt:ualeat<p
pro fiio arbitrio uel utro<p fimul lumine cum libuerit uti : uel altero
(bIo:propte rea<^ fieri ut natura duce ad natiuum lumen conuerfus fe s
uirefi^ fuas : quz ad fabricandum corpus fpedant/diuino lumine ad
przfensomiflblolum confide.' tet : illafcp in corpore conflruendo
exercere cupiat. Rede ac memoriter tenes inquit Baptifla s confifHt igitur in
czio ut Platoni quem poeta fequitur/placere ui.< demus animus noder
ipfius diuinz naturz contemplatione pcifiuens : Verum il la quam dicebas
cupiditate infedus et ipQi cogitationis mole degrauatus in infe» ra
defeendere indpit .Verum quoniam cum de inferni finibus ex fententia
Plato nisquzritur non fimpicx apud eius philofophi fedatores opinio
cdtnoscam boc tempote fequemur :quam et animorum rationi magis congruam
putamust et dodiotibus magis placere cernimus. Hi igitur bipartitum
mundum ponunt. Nam fupremum czium quod Aplanes uocitatur dellis^ut cd
apud poeta^ardetibus aptum fuperorum regionem ede uolu erunt :eofq) campos
elyfios ac beato Tum infulas nominarunt : Saturni uero fpera ac fex
reliquz quz fub illa funtrrut fufep quicquid fpatii inter lunam
terramc^interiacetripfami^ tenam inferis at^ tribuerunt : Altiffima
igitur pars illa qua uel fubdentatur diuina uel condant/ne dar uocatur i
di deorum potus ede ctedimr. Inferiorem uero Icthzum/ac horni num pomm
dicunt r in hunc enim cum a fupetiori czIo per cancrum ea enim ho minum
porta diciturrprolapfa fuerit anima in ipfius hyles quz elcmctorum ma^
terta ed tumultum incidit: quo in loco noui potus ebrietate degrauata&
ueluri temulenta effedadiuinorum obliuifcitur : terrenatum^ rerum
cupiditate ilie« da ita per fubiedas fperas dclabitur : ut ex lingulis
czlotum ordinibus aliquem cotum motuumtquibusufuradeincepsfitin
corporibus acquirat:Nam ab ea quam faturniamdellam nominant
ratioanandi& intelligendia loue agendi a marte audendi uim abducit :
fol uero ut fciat ut etiam opinetur illi cocedittMox a Venere excepta
defiderii motum mutuatur : Inde per mercurii ac lunz czlos de fcendens ab
illo pronunciandi interpretandii^ ab hac plantandi et augendi uires
acquirit : Ac podremo ad terram ueluti ad centrumtquo gtauia omnia
feruntur delata:6C corpus quafi carcerem uel potius fepulchmm ingreda
iurc apud inferos relegata didtur: Moritur enim in corpore anima uelut in
fepulchto demerfar non ita tamen t ut fauiufccmodi morte extinguatur :
licd ut ad tempus obtusturt Liber quartus quabdo quidem illius
diuinitarem noxia corpora tardatititertenishcbetaat artus moribunda^
metnbra.-habes^fed breuiter^quid Platonidinf^um pu tcnt:& quem
animatum ad ipfum defcenfum ponant» Nam^ de tartaris fabii^ lanturpoetzea
omnia animam in corpore pati manifeftum eft. In materiam enim protrada
nouam fyluz ebrietatem haurit cum illam ueluti flumine dema gaturtFIumen
autem ipfum non line exadarationeinquatuor flumina ac flj giam paludem
deducunt. Lethzu achaonta ftygem cocytum ac phegechotu> tenitMateriz
enim admixta anima eunda quz in czlis uidaat obliuifcitur. Quaproptaiure
lethzum nomen ab eo quod elt. ficenimobbuifei grzd dicunt potare
finxerunt. Ex hoc autem Achaon ma« nat: quzrcs gaudii priuationem
denotat: quafi Nam quod in dd contemplatione purus exiflens animus
gaudium ædpiebattidom ne ex obliuione amitdttquo quidem amiflbt flyx
quamfadletriflitiam intere pretaberis exonaturneccite
efttftygisdemumpoflrema zfluaria coitum e£fi.< dunb Quis enim ex
triftitia in ludum non cadat: te autem non fugit id grz cos dicere: quod
latini lugæ interpretantur. Ex diu tumo autem ludu in furoris infaniz^
ardorem inddere roIemustquemphe. gethontem nominant. Ex hyle igitur unico
flumine mala hzcomnja eueniV unt: Quapropternon fine fummadodrina ex
letham reliqua fluenta deriua ci finxeruntrfed hzc in Phzdone a Soaate
latius explicantur : N obis autem de multis puea ad bunclocumtranffnenda
fuerunt :at(^ ea fola quibus defeen fus ad inferos ex Platonis fententia
perfpicuus redderetur: Noflri autem qui ita a deo animas æari redifljme
fentiunt: ut eodem momento et creentur fi; fuis corporibus
infundanturrnon eas in hoc inferiori mundo uerfari uoluerut: ut commifla
purgarent: Quid enim fi ante corpus non fuerant : extra corpus peccare potuaunnfedutfuisrcdis
adionibus: quas omnino liberas habent cz« Io aliquando frui mererentur. Conceflit
enim nobis deus : ut noflro arbitrio Ii' bere utæmur:non ut per nequitiam
delinqueremus: fed ut per religionem fi; iuflitiam nobis fummum bonum
acquireremus: Verum cum perfummam fiultiriam illud negligcntes corporeis
tetrife^ uoluptatibus dciiniti maximis ua nilc fceleribus coinquinemur
oportuit efle locum ubi a corpore digreflx buiuf cemodi animz
fuorumfadnorumdebitiflimasposnaspcrderet.Himcautc lo cum arca terrz
centru maxime eflie uoluerut:Na cu fi; propheta eripuit deus ani ma mea
de iofernoinferiori dixerit fi; ipfc humani generis faluatorfe triduo in
corde terrxfuturuadmouerit facile couincitur centru eflctNihilenim
eflcctro infcrius:quin fi; ita in medio terrz confiflittut in medio
animante cor efle uide musiQ_ua in parte fi; tenebras exteriores/quonia a
luce remotiflimz fint:fi; de tiu flridorc quonia nulla folis uis illuc
defeendat efle nemo negauerit.Erit igitur in terrz cerro infernus:fed ita
erit ut etia ex iis quz fapietiflime a Gregorio colli gunc ad ære uflp
huc ex terrz fi; aquz caligine cralTioreptcdat^.Acrp deiferno hadenus ad
illu aut aias defcedere oe fere hominu genus dixit. Sed tn aliud alii
fentiut.Na przdpitatio illaaioru afuptcmoczloin hzc corpora ad inferos de
fccofuscdea Platone acdicuit Cbriflianiuaofczleflo^ animasc
fuiscoipotL In. P. Vtrg. M. Allego. busad inferos trahi admonent.
Dicimus itidem uiuentes homines cuminid tialabuntur/ad inferos rueret
Sunt quoc^ qui credant magicis artibus 6: cat minibus fieri uelutidefcenfus
quidam/ut inde euocarianimx poflint. Verum præter bos
quatuordefccfusqnrus quicftnonuideir omittendus: Na £( ad in« feros
tendimus/cum lumen rationis noftrx ac induihiam in mali ac omnium
oitiorum naturam fpeculandamdeiidmus. Ego igitur libenter de te
feifeitoro Laurenti cum hæc omnia perceperis quid putes hoc Ænezdetcenfu
Virgilu um exprimere uoIuifleTlamdudum quid agas uideo o Baprifta inquit
Laurcntius/ac pro eo maximas tibi gratias habeo: Quis enim non uideatuni.
Uetfamhanc difpuutionem nonfolum meisptzabusdatam/uerum etiam a me
fratremij meum erudiendum elaboratam : 'Nam fiCli cæteri t qui afTunt
omnes mirifice tua otatione deledcnturt tamen eft eorum ztas ac dodrina
huiufcemodi t ut etiam fine duceipfi per fe hzc omnia cognofeere ualeant.
Hos igitur duos erudiendos cum fuiceperis : propterea^ rede netan fecus
quz hadenus difputafii teneamus / nofie cupias fine ulla
cundationequaxd. rogaueris / cerpondebo: fic enim et errata facile
emendare poteris : 8i fiqd rede teneo id tuoiudicio confirmatum firmius
hzrebit. Petit igitur afybilla quam tu iam dodrinam interprztatus es/ut
ad inferos K ad parentem dedo.> cat: Q_uod cum petit oftendit mentem
przmonfitante ipfa dodtina in fem fualitatem defcendece. Vult enim nitia
quz ab ea funt penitus cognofeere: fed uide quantum tibi ex hac
difputatione debeam : nam non folum effeciftt ut hzc a Marone
diuinitusdida tenerem: fed fimilitudine rerum admonitus ia quidfibi
nofierquoi^ Oanthesuoluerit facile coniedor. fed de hoc alias: Tu ueto fi
placet ad reliqua perge: Rede tu quidem inquit Baptifiainterprztaris; Me
autem tuum ifiud ingenium ac iudicium fummopere deledant: Verum
audiquidilli auaterefpondeatut.ln primis enim defcenfum ad infetosnul'.
lius negocii eiTc demon(lrat:cum nodes diefc^ datis ianua pateat : Q^uod
pro fedo nimis etiam q utilem uerum efi: Naracum procliues ut fenexquo<^Te
rentianus conquzritur a labore ad libidinem fimus / facile in uitium
labimur. RcdilTime^ illud ab Hefiodo Redifiime
quo^ 6i illud uel claufis oculis illuc defeendi: Nam fiue
delinquendo in uitia labimur ? [uoniam id per llultitiam fit:
llultitia autem rariflimi carent; quid obfccrote acilius inuenies :
fiue:fed t^iquos defcenfus nunc mifibs facio : quorum pro cliuitas
pcrfpicue apparet : Id autem de quo nunc agitur : quis non uidet. Mentem ipfam ac rationem facile in cognitionem
fcnfuum dcfcendcre.Ma ximum autem fit periculum ne dum cicca lingulas
corporis uoluptates uer.> famur / ita illarum illecebris demulceamur /
ut irretiti hzreamus : Facile igi.> tur fenfus defeendit mens / non
autem facile a fenfibus rcuocatur.Id enim eftab inferis redite: pauci
enim quos zquus amauit lupiter: aut ardens euexitad ztheca uirtus diis
geniti pomere : Tria ut uides hominum gene<a ra ponit quibus liceat ad
fuperos reuerti: Sed nos prius de duobus pofirei> mis dicemus : cenfet
Plato quod paulo fupta explicatiur demonfirauimus animos nofitos rerum
terrenarum cupiditate degrauatos incorpora dcfixt> Liber
giiaituf Jcre : (Quapropter qui prius imbroda nedare<p
ueTccbantunid enim eft deo 'fiuebantur t atqi inde mirum gaudium Tumebat
t nunc letheum rpoti in re» lum omnium obliuione mnli Tunt.CQuod (i intra
corpus conftitutus ani^ musillius cogitatione ac fordibus
inquineturttamdeoiis tenebris obducitur/ utnulla deinceps fpes (it ad
Tuperiorem lucem redeundi: Sin autem TcipTuni infccoIKgms integre cafte^
degat: 6ecorporis quoad potedeonfotrium declinet ipauladmcz illa obliuione qua
ueluti crapubuino(p opprtlTus obdor» tniTccbat Teexatansualet libi
geminas illas quas iam totiens nomino alascom patate. Illis autem
fuffultus facile ex inferis reiilit: &ad Tuperos rediens iii re
gionemfuam reuolattper duas igitur alas totidem uittutum genera intclligi
mus /& eas quz uitx adiones emendant: quas uno nomine iuftitiam nun»
cupatt&eas quibus in ueri cognitionem ducimur: quas iure optimo
religio» nem nominat. Illud igitur pauci quos ardens cuexit ad æthera
uinus:alam primam exprimit : et uittutes qux de uita et motibus Tunt
intelligit: cumde indeaddit diis geniti potuere SIGNIFICAT alam secundam
:at<pipfam rrligionem quamexuirtutious iisquxad uerum ducunt conftare
uul: Placo : Hxc itaip auntopbilofopho mutuatur Maro cuius quidem dodrinx
non nihil ex ma» thematicorum fcntentia ita addidit : ut nei^ ius Tuum ac
libertatem animis adi merctmeip cxleftia corpora fuaui priuaret:Nam li
animis nolitis uimnecef» Utatcmqi f/dera afferre dicamus/non modo id in
religione noflra impium eiitr fed 6t a Tummorum FILOSOFI dodrina
abhorrens : Verum ut intelli» gas ntip hoc a Platonico dogmate alienum elfe
/ refert ille in Thimxo ratio» naiis animi effedionem nulli nili
deotribuendamiquoniam ipfe eiTentiam ac ^ rationem animorum
noftrorumcreat.Corpus autem ac exteras animi par» tcstuteæffqux
concupifeit flC qux irafdCur nos ab animo mundi mutuarie Q_uapco{ær St li
mens ipTa nolha nullo fyderum imperio fubieda Iit : tamen quia nullam
adionrm ex iis unde uirtutes uitiam manant nili per fenTus ac ap» petitum
exercet: Illis autem quoniam a corpore funt uacias aut ad uirtutes affe»
dionesiauc in uitfa prcKliuitates inferunt fydera /permulti interelTe uidet ur
quo fydere nati fimus:Nr<^ solum ad bxcqux ad uicam et mores pertinere
diximusr ucrum d ad ea qux fpeculationem K ueri cognition cm refpiciunn
Nam li on» nes omnium animi eadem natura funtiunde nili a corpore
eritrquod alii inge» nioiudicio ac memoria excellentilTimir xillanttln
aliis hxcnulla appareanc: cu autem omnis nofira cognitio ab iis qux
efficiuntur ad cfficientiatn:& ab iis qux loco 8C tempore nrcufcribu Dtur
ad infinira initium fumatrmulta obiicinir dif» licultas animis noftristut
intelligentiamut feientiam ut fapientiam alTequanturt cumuircsillx:qux
paulo ante dicebama membrotum : quibus ueluti inftru» mentis utuntur
deprauatione bebercant : nei^ fe explicare poflint: cura igi» lurapud Platonem
ruumlegilfet Maro nili geminas illas alas recuperemus ad Superos redite
non poffe : Cum itidem illarum recuperationem a fyderibus caquam oilendi
ratione impediri aniroaduerterctiut a loue xquoamarrmur opus ciTe
ofiendit. Hoc autem nihil aliud eft / nili ut benignitate fydaun»ffcdionca ad
icdaa adiooa acdpctcmt^Natacum plancutum uuia uiafit,1 In.P. Virg- M.
Allego. Videmus iouis natura hulufcemodt elTc: ut quos ille in fuo
ortu benigfle a(^e dt illi ad iuftitiam ac religionem proni reddinturrita
ut ad eas quas diximus alas recuperandas impelbtr colligamusigiturnetnincmabinferis
rcmeate/nili al^s recuperet : id autem non clTe fadlc nili iis qui
benignitateiiderum adfupera eti guntur. Sed quid tu.L.Marfilium intuens
clanculum rubmurmuraftit Nempe id Tolum refpondit.L.quod paucis ante
diebus cum T imxum Platonis in maoi bus babetet:mibi de anima mundi
dixerat Marlilius > Cautius inquit.B. mihi progrediendum elTe uideorcum
res nobis non modo cum dodo : V erum etiam cum mcmoriolo litifed quod de
mundi anima dicis/id 6L uerum huic lo> co apprime quadrat :
cenfet enim PLATONE rationis fementem a deo fadamianitnof ^ nodros ab
ipfo æatos/ac deinde mundi animz ueltiendos corpore traditos: ut £2
corpore uedircntur:& eius pedilTequis uiribus informarentur: Æquum
enim fuit:ut quoniam concupiTcibilis irafcibilifi^ appetitus (alutis corporis
gra na func:ii ab eodem nobis darenturtqui nos corporibus inclulilfct:
Vetumquia faz partes lubricz funtipat fuit: ut qui nobis illasin deterius
facile labeutcs dedif fet idem ipfe aliqua ex parte aberrotibustueretur: labenter<jfubdetatct.Q_u3'
propter iuflit illi fummus pater/ut quando ipfetccirco animis nodris
caufaffl obiiuionisptzditiir<t: quoniam luteo corpore circundederit
hominibus fulgo, rcmueriutis infunderet. Huiufcemodi ita^ przccpbs
obtemperans mundi animus eos omnes quibus zquus ell/aut fomniis oraculis
et portentis autio. terao quodam motu Si ad futuri prouirionrm:6t ad
diuinz legis cognido. nem perducit : ut eo duce alas
recupctcmus.Huncautemmundianimumue tetes theologia qui illos fccuti funt
Platoiuci fzpe louem appellant. Hinc pbcus lupitet inquit pnmogenitus
eft: Iupiter nouiflimus; lupiter capui:Iupb ter mediu.Vniuctfa autem e
loue nata funtihinchinc illud lupitet eft quodeo. uides quodeun^ moueris i
Q_uin Si ipfe Maro A ioue principium mufz io. uis omnia plena. Sunt enim
omnia plena animo munducum ijle ita totus in to to mundo fl£ in qualibet
parte totus : ubi uigeantutnoftrianimiin fuison. pufculis : Hic deniip
czlumueluti citharam continens harmoniam cfificit ex di uerforum czlorum
fanis: quas cum mufas appcllentiute louisiiliz dicuntur eiremufz:Q_uantam
igitur dodrinamMato tribus uerfibusincluferit/ facili, tis mente concipio
: quamuerbis exprimam. Rede igitur pauci quos zquus amauitlupiter: aut
ardens euexit adzthera uictus. RedefiC illud tenent nia liluz: Ab hyle
enim(^ ut fupra dcmolhauimus ) eS omnis nodra duldtia et omnibus ahimisconugio:
quibus impediantur ne ad fuperos redeant. Ve tum de remeandi
difficultatibus badenus: Deinceps nero eas exponit rationa quibus ita
tuto defeendamus ut pateat reditus: Aures autem lamusfapientiam nobis
indicat dne quanonedfpcculado eligendarum agendarum^ rerum iu dex. Ne
mireris aurum fapientiz fymbolum apud hunc poetam obtinere cum plzii^
idem faiptotes fecerint: Vndeillud bpiens aurum et multitudo gfmmarum Si
uas pretiofum labia fdentiz: Aunim enim eft fapientiz uigor at(j fulgor. Ndium
cx metallis auro pretiofius eft. Nibl in rebus entia pluris facieadum. Fulget
maxime aunim. Nihil (apimciacll endi^ i (i 01 ik IXI BS XD u m uv mt Bd: od Nx m HC pn ioqi iHgg imcttdi di
dux BOC (jB) da. Bidi BUi liuBi
Btit imt « D! feuii Uni
OlC Wl D« Lib«r guartui £iu. Nulla eni^oe exeditur aurum:
Nulla rea imminuit fapietitiam t Nullis lordibu saurum coinquinatur t
Nullis maculis Tapicntia deturpatur t Sed latet arbore opaca: mulus cnim
ac uariisinfeitiz tenebris ita obruitur uerumft luco ca cnimcorpons^uc
ita ioquar^bebetudo eft ita tegitur t ut difficile omnino (it illud erueretScite
enim Si a Ocmocrito ufurpabatur natur^n in profundo ueri^ tatem
demer(i(fe : Non tamen prius in hanc contemplationem defeendere uaW mus :
quam aureum ramum deccrpfciimus. Proferpina enim ad fe ire quempi^ am
(ine huiuCcemodi munere uetat. Efi enim profeipina ipfa animi pars quz ni
bil przter lenfus contina : ad quam (i (ine fapientia accederemus nullum
przte» rearemediumdarcturiquomuiusdenobisadum ei Tet.llla enim irretiti
nulla unquam effet fpes redeundi. Rede Si illud piimo^ auulfo non deficit
alter au« reus I fe ip(a enim alitur (apientu : at<p cuenit
inueffigando/ut aliud uerum ali< ud aperiat: nec quicquam percipiatur:
quod ubi perceptum (it ad aliud percipi* endum non diKat : Illud autem
quis non uideat de uero uenifime didum elTe. Nam alte inuefliganduse(l.diuina enim
&czleffia(^(i ueru inuenire uolumus^ non infima hzc at^ aduca
infpicienda funt : omnis enim dodrina a frientia ex iis efi: quz nullis
terminis circunictipta funt&in interitum non cadunt:lubet ptzterea
iam repertum rite a nobis carpi : et iure quidem ita iubet. Nam nili cer*
so quodam otdine pergamus/nibil unquam proficiemus; Addit enim poffremu
illum facile te fecututum i (i a fatis uoceris : fin autem non uoceris : nec
uiribus tunc nec duro ferro polfeconuelli.Virtutibus enim quz mores corrigunt
Si quz tedum zquumij relpiciunt ualct omnes ira animum a fordibus
purgareiut mu di e corporis migrent : Ad fupremam autem illam rerum
cognitione uenire pau ds ommno datur : at^ iis (blis qui a facis uocantur.
(Quapropter rede (i te fata uocant : Q^uod tamen ut planius exprimam
/uolunt Platonici deum poft fe ip* fum cognolcere. Deinde omnes reliquas
res : Tertio autem loco ea eunda effice lequz cognouit : Poftrema ergo
hzea fecunda : Secunda rurfus a prima dependet. Namomnes res ptodudt quia illas
nouit : Nouit autem nulla alia ratione : nili quia fe iplum in quo omnia
funt contemplatur. Huiufcemodi itaip ordine rria illa in deo ponunt iu ut
pdmam fapientiam: Secundam prouidentia: Tertium fatum nominent. Chnffiam autem
cum hæc eadem (nt fallor^fentiant:Fa ti tamen nomen uiz ponere audent:
non quia Platoni irafcanturifed cum uidif fent clfe quafdam in
pbilofophia familias : quz eam fato necelTitatem imponat: ut nullam io
adionibus nobis decernendi libertatem relinquant fati nome odif fe
uidentur. At nos eum quem paulo ante dixi philofophum fecuti dicamus deum retum
caufas id cft fe ipfum confiderare: Ddnde ortum ordinem : ac deni
gubematiunem rerum quas compleditur intueri t (Quz ddneeps ita omnia
excquitut ut nullo mexio ualeat impediri i (Quam quidem rem fatum dicunt:
Quod fi ita eff uon abeiiant qui dicunt rationem ac ordinem rerum : quam
ita mente dd prouidentiam dicunt in rebus mobilibus ac loco Si tempore
dteuioi* pds fatum did.Te itaip fi f^ta concelTcriiu camus aureus uolens
fadiifcp feque c Datur igitur pauos Si id diuino quodam extra fortem
munere ab ipfa dei proui dendatcuiusconfilium ferutati nefas bomini
efirReduscoim dotdnus et reda Jn.P. Virg. M.AIIfgO*
confiliacius t fed qux mortali ingenio cotnprzhendi non poirint.Quis
rniffl adeo temerarius: ut noiTe contendat cur loanni: cur Pauioapoftolu
caapcruc« rit dominus : quz multis fandifrimisuirts& multa dodrina
illuftratis detegere coluerit : Quod exemplum late patet et ad omnes qui
in aliquo dodrinz gene te laborauerint ttanffetri poteft t ut cum multa
eodem (ludio dagrauerint t eatu dem^ operam ac laborem impenderint alii
fummum in eaatte attigerint: aliis autem uix in poftiemis confidere
licuerit. Habes quid aureus ramus meo iudb cio fibi uelit : Quod autrm ad
miferi funus pertinet (ic accipe. Mileri odiufa Ia us rede interpietatur.
Q^u ipropter erit eadem inanis quzdam gloria-Snt enim fummo odio digm qui
uiitutrm negligunt : unde folida exprrflai]^ manat glo> tia. Honores
ueto ac reliqua uirtutisiDfigniaredantur:Qu 'm qui in uita ct» Ulli res
egregias adoriuntur in primis captare cunfueueiunt. Hi cn<m non redi
honedii^ amote : fed gloriz cupiditate laborant: quam dum aSequi cupitmuS
rem publicam fzpc perdunt x&infummumouium odium incidunt: Egregie
igitur luuenalis. Tanto maior famz (itis ed quam uirtutts.
Huiurccmodiigb' tur uiri animi excellentiam (iue a natura fibi in
litam/(iue indudna/atcp exetaca Cone comparatam penitus corrumpunt. Non
enim uirtutera ammt.^cd uita tutis infignia i qua; fzpius malis quam
bonis exhibentur. inanis igitur atip ad» umbrata gloria in rerum
publicarum adminidrationc exceliintioribus ferop ada hatret. Quaproptet
Hedoris quotj comitem mifernum fuille tingit. bi enim caritate patriz
magis quam cupidine gloriz moucretur huiufctmodi uiri beatifa (Ima;
omnino ciTent ciuitates : quibus illi przcfTcnti Qut igitur ad uitiorum
fpe culationrm ea gratia tendit: ut fe ab illis explicet: cum in primts
hu.ufcimodi gloriam abiiccre necciTe ed :Quaproptcr rede eo tempore
roifcrnus extinguitut quo zneas a fybilla prxeepta accipit. I nitium enim
ueri inuedigandi a onlctni m tcritu optime funiitiir : Ncc tamen fatis
fuerat illum extingui :nift etiam fepelu tur : ut nufq jam urdigium
illius appareat : nec unquam reuiuifcat: Quud au tem illum tubicine
fuiiVc dicit : optime quadrat. Ed cnira huiufccmudi hutni« num : ut rrs a
fe gedas quam latilVimc diuulgmt : Si fuo przconio ommbus ofle dant : Ed
prztcrea zoii uentorum regis filius:Nam nibil uentoltus ed illi qui ne
gleda uirtute tc folida et cxprelfa adumbratam quandam et penitus inanem
glo riam aucupentur: unde et tumidi et inflati Si uentoli dicuntur. Rede
Si nlud quo non przdanrior alter ære ciere uiros martemtp accendere
cantu.Quid eni aut Ninum aut Cyrum aut Xerfem ut hos folos de innumeris
aflaticis regibus te feram : quid qua;fo aliud impulit : ut non contenti
patriis Enibus multis popu/ lis ac nationibus beilum inferrent; Q_ uid
apud grzcos fpartanos aut athenieo' fescxcitauit ut magnam Aftx partem
ruoimpetioadiungerent: QuidHvnni' bali ruafit ut bifpaousgalliift^
fubadisromam orbis caput peteret: i^uidapud njod(os.L. Syllam prius ac. C.Marium:
Deinde luIiuro Czfartm.CD.^PompC'' ium ac podrcmo Odauium K.M. Antonium
eo furore accendit ut ciuiltfaogui occunt^ replerentur nili infanz quzdam
famz cupiditas. Cum gloriam miis rebus quzrerent: quz dolidil Timum
uulgus dupefeere quidem cogant i fapicn Us autem ad iuihfumam
indignaiioncm fummum^ odium concuent t at Q C*1 Gi d DCt
BIB I» '1 ip» a» K*», tUH cnu
cpi)iii 100 ad siil itd
id* ^1 afi \0 «? |lP< <« Liber
guartui mo tnodo ipfe malus non Ct huiufnmodi uiros bonos dixerit. Sed
quid (i o{v dtni que^ m hominum Ibcictatc uiti : ac pro re publica emoti
ptomptiilimi prz ter id quod patriz caritate in manifedifTimam mortem
ruebant igloriz quoq; cu piditate extremum cafum zquiore animo ferebant :
uis enim ftbi perfuadeat aut Thcmifiocicm athenicnrcm in nauali
prziio apud Salamina gcflu t aut Epa« minundamin ea uidoria qua de
Lacedzmoniis potitus efiraut Spartanum Leo eidam in tbctmopylisuirilitcr
pugnantem nihil de gloria cogitaffe. Ego enim oet^ Brutum lingulari
certamine aduerfus regis exulis filium concurrentem : ne a Sczuolam tanti
animi confiantia dexteram exurentem: ne Decios illos in co jf^ifimos
hoftes iiruentes : ne^ innumerabiles alios qui patnz libertatem fuz nitz
prztulerunt famam quam de fe pofieritati teliduri elTent nihil unquam fe*
dlTe arbitror. Sed nos in re omnibus manifefla nimium fortaffe moramur.
Ita« redeo ad mifemum qui cum tritonem deum prouocare audeat : iute
demens appellari pofTittQ^uid enim fiultius quam (i inanis hzc gloria a
caducis ac cito perituris tebus ptofeda audeat fe illi : quz uera eft et a
diuinis rebus proficifeitur E fumtnam temeritatem
zquiperare.Q^uapropter facile ab ea obruitur. Sed cad rem noftiamtReliqua
autem quz circa funusdeferibuntur hidoriz attp aurium uoluptati
concedantur. Geminas autem
columbas geminas illas alas qs d o fupra diximus intellige. Illas
enim ducibus ad contemplandas res tendit : t autem uoluæs ucnetis: quia
oportet illas elTe ab ardenti amore : Nec iniu tia matrem inuocat : Nam
tantam difficultatem nili rapiat amor facile fugiut ho mines < Illz
autem non femel aut uno impetu/fed paulatim uolando ad locu du eunt : Non
enim hominis ell omnia momento uidete : fed ratiocinando gtada«
timacognitisad incognita uenire:Seduidcquidfequatur:inde ubiuenere ad
fauces graue olentis aueroi. Tollunt fe celeres liquidum^ per æra
lapfz: Sedibus oputis geminz fuper arbore fidunt: Nam
quz ad cantarum raum cognitionem duces fe przbent/eas rerum terrena^ tum
contagionem id enim ell auerni teter odor celerrimo uolatu effugere opor«
tet. Duplex igitur uirtutum genus nos ad ueritatem ducit: quam fine mora
ra.> pit zneas / ut eius luce ea quz per infernum obrcutiffima funt
cernere pofTit.De ioiprio ucro auerni naturalem lod litu demonftrat. Ne
efl quod faaa ab znea petada in feriem noflrz fentenriz digerere
laboremus. Inferuiens enim fuo ar.> gumento poeta eorum lacrorum quz
ad ncaomantiam adhibeant ueteres expli cat. Q_^um autem zneas nudo enfe
Iter aifumere lubeat 6C fi hoc in Ilfdem facris obferuare confucuerint :
tamen admonetur ipfe ut robuflo animo rem arduam acediatur. Æneas ita^
ducem haud timidis uadentem pafltbus zquat.Nam quis non uideat : quod
dodrina aliqua nobis oftendit id quam celerrime quam oiligentillime effe
arripiendum. Erat autem iter per obfcura : uel quia ut dixi ue ritatem in
obfcuto ab&rufit natura : uel quia uitiorum fedes procul a luce funt:
Q_ui enim rationis lumine illuflratut : is et uerum cognofeit /dc rede agit:
illam autem qui amiferint fua natura ignorata in ultia Incidunt •
Appellat przterea do plutonis uacuas et inania regna. Q^uo quid ucrius dici poteftfEfi enim u
ii 1 1 I!’,! i;l I * i'i In. P.Vir g.M,
Allego. nudiuftertius manifeiHs rationibus ronuidum mala uitiatp
nihil omnino ef fe; quando quidem nihil afFcrant/fcd bonum pellant. Hoc
cum prudens ue hemenf^ uates Perfius intelligeTctrgrauilTime in eam
exclamationem proru/ pit/O curas hominum /O quantum eft in rebus inane
:Vt autem quale eflet ad uin'a initium expreflius poneret oftendit in
tantis tenebris non nihil tamen lucis apparuilTe.Nam 6C Amentis carcitate
in uitium labamur a tamen circa principia non omne penitus lumen
tollitur: Prius enim incontinentes cAicif mur quam intemperantiam
cadamns.Miro autem iudidoquz fequunturin inferorum ingreAii ponit: Si
enim exfententia eius quem fequitur Platonis deicenfum animorum in fua
corpora defaibit / manifcAum eA animum qui badenus omnium horum malorum
expers fuerat in ea nunc omnia corporis contagione incidere : Omnes enim
perturbationes inde fentit: Luduenimea riA^ angitur. Impendentia timet
imotbos laboreAp experitur : fame anp ege^ ftate urgetur : omnibus denitp
quas ille enumerat calamitatibus prxmitur : quas a corpore liber expertus
unquam fuerat. Sin autem prolapfum animor rum in uitia huiufcemodi
defcenfu interpretari uolumus non multum diuer fa ratio erit : Q_ua; enim
res tanta ucloatate commilTum facinus confequb tur quam fadi pernitentia.
Q_u.r autem pernitet is Ane ludu effe non po# teA. Adde quod confeientix
Aim ulis affiduo purgatur neceÆ eA : Vrgent enim illum a Aidux curx : qux
ueluti ultrices furix poenas Aagiriorum feueriAune extinguunt: uod quam
dode quam eleganter quam expteÆ pofuetit lu' urnalis quxfo recordamini. Exemplo
enim inquit ille quocunip malo cotn* mittitur ipA difplicct autori prima
hxc eA ultio: quod feiudicenemo nocens abfoluitur. Ac paulo poA; Nam
fcoclus intra fc quicun^ cogitat ullum fadt crimen habet. cedo A conata
peregi perpetua anxietas nec menfx tempore cef fat. lure igitur ultrices
curx funt in ucAibulo poAtx : Nec mirabimur A paU lentes habitent morbi
oim Aoicorum acutiflimas argumentationes intelli^^ mus. Aiunt enim
quemadmodum temperantia fedeat appetitiones: &cmcit ut illx redx
rationi pareant iconfcruat^ conAderata iudida mentis : Ac huic inimicam
intemperantiam eiTcieamcp omnem animi Aatum inflammare cd turbare ac
incitare : eoq; pado omnes ex ea perturbationes gigni. Nam ue» luti cum
fanguis in corpore corruptus eA: aut pituitabilis uere redundat morbi
xgrotationcr(p nafeuntur: Ac prauarum perturbationum diAotunta animum
fanitate fpoliat : uehementerep petturbat : ex perturbationibus ue» ro morbi
conAciuntur qux illi uocant : deinde xgrotationes qux appellantur. Quapropter
perturbatio quia inconAanter turbide^ fe iadant opiniones in motu femper
cA. Verum cum iam huiufcemodi furor ac mentis concitatio inueterauerit :
&tan quam in uenis medullif^ infederit : tum exiAit motbus at^
xgrotatio.Na cum ex falfa quadam opinione qux plus tribuat diuitiis quam
tribuendum At pecuniarum cupiditate inflammemur : nec adhibeatur continuo
Socrati» a quxdam medicina : qux cupiditatem extinguat manat illa in
uenas efficit» ^ cum morbum at^ atgrotationem quam auaritiam nuncupamus.
Rede to Liber quartus ^detn demorbis ut mibi uideris inquit
Laurentius &|ad locum eiplicandum appoiitet Non enim philofophi folum / ut
tu probe demondraui: Sed et oratores BC poetx non corporis folum fed et animi
fcpiflime morbos di« eunt. Ergo ut morbos inquit Baptifta ad animum ita
SC fene Autem reÆ refe ternus. Nam cum ipfe adcmrobur<p mentis ueluti
iuuentutem admireritt& ignauia ac torpore quodam ueluti fenio
tabefeit/ facile in uitia: ha;c autem motsanimotum eS/ eum adere uidemus.
Mala autem fuada fames quidnam aliud quaauaritiadefignat: qua homines ad
omne facinus impelluntur.' Q_ua; nam enim res alia nobis fuadet aut
iniuftilfimts bellis innoxios populos iacef (iere I aut caidesiK rapinas
exercere: aut inlatroaniis grafTati:aut uenena pa« rate: aut fidem
fallne: aut patriam at^ dues prodete:ni(i auri facta famesf Quod quidem
fi ita cft eodem quo<^ in loco erit ponenda turpis zgefias.Cii cnim
homines paupertatem: quam nemo fapiens turpem exifiimauit turpilTk mam
putent :eam^ ueluti fummum malum exhorreant /nihil repugnat: nui Ius
pudor obftat quin quo illam fugiant/ omnia uenalia habeant /nec abfunt
tembile suifuformzletum^ labof^: Namquialuccexulcsinhistcncbrisuer fiintur: nihil
præter defidio fumooum quærunt: Nec meminerunt homines adagendum ati^
fpeculandum natos nullum laborem/qui quidem honefta^ dadiunAusfitelfe
fugiendum: De lato ucto fic accipe. Philosophi qui dt« ca prudentis
acquifitioncmuerfanturanimaduettunt corpus fi fociumad rem agendam
afiumatut maximo fibi eflie impedimento: Sensus cnim qui a.cor< pore
funt nihil in feueritatis: nihil fincen/utrcÆ dc his rebus iudiute uale«
ant in fe continent ; Ex quo fit ut animus fi illis ad inueftigandum
utatnrtfzpe dedpiatur:& illorum illecebris ebrius nihil ptofpiciat. Quapropter
mentem quam maxime pofliint a fenfibus: BC a corpore feuocant. Aic cnim
in eo qui phe don inferibitut Plato nos tum denii^ beatos futuros fi a
corporeis abfirahamur: ac deo fimiles reddamur. Hoc autem quid aliud qua
mori effe dicemusrQ^ua propter fijhuiufcemodi uiri dum uiuunt mori
medicantur: uenientem nemor tem illos trepidaturos cenftbis.''Stulti
autem qui nihil przter corpus nouerut: iniquifiimo animo illud difiblui
patientur.ReÆ igitur is quem totiens nomi no Plato [PLATONE] ut illos
philosophos sic istos philosomatos appellat. Quz omnia ca probe nofiet
Maro non illas terribiles formas elfeifed uideri terribiles dixit.Re
fiquaueroquz enumerantur &fopor& mala mentis gaudia ac poftremo
bcU luni/funz BC difeordia ad eandem rationem quicun^ uel mediocri ingenio
uir fuenc facile referet. Nam qui in uitio eft is tanquun fomnolentus ad
omnem honefiam rationem obtorpefeitrNe^ ullam uoluptatem nifide rebus
turpi.» bus capit. bellum autem ac difeordiam non modo cum aliis : fed
fecum geritt cum aliud libido aliud auatitia fibi uelit.Oefidia illum ad
odum: ambitio uero ad labores aduocet.Q_ua animi difira Aide ueluti
furiis exagitatur.in ultimi au tem deferiptione idem quod BC paulo fupra
ofienderac pulcherrimo nuc ac om nino poetico figmeco depigit. Ipfa enim
in medio polita magnu fpariu occupat: fhiAaautnulluprzbctifedfola umbra
nosdeleAattfic turpe facinus ea no« bisonditiquz nihil folidi
habcatifiCquzcu magna uideant /nihil finttut phip
Ia.P.Virg.M.Mlego. gii zfopi ncmplo telido corpore umbram fedemur
> Q^uod eo quo^ ezprcC> fius notat ciun addat in Hngulis frondibus
(Togula inlidere fomnia: at^ ea quidem uana: Nihil leuius/nihil
mutabilius eft frondibus: Ea autem in quibus fummum bonum reponunt ftulti:&
quorum gratia rapinas fraudesmul taipalia flagitia patrant: ut honores
diuitias ac reliqua alTequantur: in qua fot tunastemeriute pofTta
Ht/SCqua facile mutentur at^ defluant: nemo eft qui ignoret: Q_uz
etiamuanisfomniis uerilTime comparantur. Sunt eodem in loco plurima
monflra non temere polita: Nam (i ca monflra dicimus qux przternaturx
legem eueniunt/ eunda flagitia ueio nomine monflra appellax buntur / cum
pmer rationis legem qua lola homines fumus exoriantur.Me fito autem
Ixionis filii putantur centauri : nam ille contempta iuftitia abm« pto^
humanitatis uinculo populos libetos iugo tyrannidis oppre(Tu:Qua^ propter
eius cogitationes apnneipio aliquid humanitatis przferentes inim«
manitatemat^ eficriutemquandam tandem degenerant: Non infdte igitur
Plutarchus dimonflrat / huiufcemodi homines tanquam fimulachro uirtu» tis
adhzrentes/ nihil ITncerum/nihil tedum/fed mixta omnia at<p nota facere: Cum
fuam quif^ uoluptatem fequatur/fummis petturbationibus ad fu* os impetus
delatus: Prolixior limqua rerum multitudo poflulat: 11 utran^ fcyllam
profequar:in iift^ nimias cupiditates exprimi oftendam: nam Hy* dra ad
dolos fraudefi^ referti facile potcft.Fuit enim Hydra Platone tcllefo*
phiflaalidillimus: nam cuueri inuelligandi duplex modus fitpetuetas alter
alter pa fophiftiasrationeshydracauillofasatq} deceptricesargumentationes
ponimus: Cuius uno capite czfo plura renafeantur. Nam una confutata ratione
ille fuis argutiis plurimos fubiungit. Hanc autem Hercules igne idefl
ingenii feruore extinguit.Nei^ eft quod et hoc inter monftra enumerandum
negesi Namut uera dialedica ab omnibus dodiflimisfummoperefemperap
probata eft t lic hanc captiofam grauilTimi femper uiti abhominati fuot : Chi
meram aut ad iracundiam iGorgones ad uoluptatum illecebras/ quibus ftul*
d in faxum conuati iccirco dicuntur / quia nimis illas
obftupefcunt.Prudca tes uero et Palladis zgide 8i Mercurii gladio facile
interimunt refetn quis no uideat : Briarei autem ac reliquorum qui
aduetfus deos bella gelferunt / fabu lamrcdilfime interpretatur CICERONE
(vedasi) /cum id nihil aliud lic qua bene monenti naturz repugnate:
Gerion uero 11 grzcum nomen interpreteris / terrz litem exprimet. Lis
autem zterna eft terrz id eft corporis aduerfus fpiritum.Ecitita ^ Gerion
pars elfccminatior animi a fenfibus ptofeda : quz in homine uitio fo
uniuerfz animz imperat. Q_uaproptet quoniam funt ttes animz par** tes /
tribus illum infulis impcralfe fabulantur : cuius canis iccirco biceps
cfit quia cupidiute llmul et timore laborat. His igitur monftris
pettenefa* dus ENEA uim parabat. At Sybilla hominem cotnmouefadens ea
omnia fimulachrauanacfleoftendit: llIa^ non ui fupcranda/fed radone
cognolizn da: cognita^ fugienda iubet. Poft huiufcemodi monftra ad
Acherontem Si cocytum deuenitunde quibus fluminibus Si 11 paulo fupta
didum llt:ea tame alia quadi tone ptofequamut.A cdcupilcentia nfa uelud a
fonte manat aqua: que ttygnu palude cffidt.Ne a concupifeentia primu
j>uenit cogrtatio/drnide adioquapeccamus: Achcronpo(lhzccoDatatiorfluuiusc(l:nain
per cum tt* ptimirur motusad dagitiarhic autem poft cogitationem
excitatunNrqt prerer rationem cft quod illum ingenti tumultu ferri Seneca
dicat: Non entm poteft animus Itnefirepitu reludantis confeientiz in
facinus ferti:Q^uoniam autem fauiufccmodi peccandi deliberatione uoluntas
in uitium traniitsiccirco in hoc flumine nauiculamnautamipponunt.Poftuero
buiufcemodi tranlltum id au tem cft poli peccatum/fequitur mceror/quem
refert ipfa flyx.pollrrmo maior ludus qui eft cocytus. Vt igitur ponatur
ante oculos illa ut ita loquar} gradatioi primo loco eliconfcientiz
motustfecundo deliberatio fu fapiendi flagitiit poft hanc mæror ac demum
maior ludus:primum ita^ ac tertium (lyx fignifi» cat/f ecundum
Acherontquattum cocytus. Sumopere me hzc deled.<nc inquit LAVRENTlVS. nerpme
offendit quod eofdem fluuios nonaduna/fed ad piares rationes ttanfFeras.
Videmus enim et grauiflimosin nollra theologia lo
cosuariismodisadodilTimisuiris intcrprctari. Habes igiturdrfluminibus in
quit BAPTlSTA:Nunc quid libi Charon uelit/confiderandu cenfeorNara
portitor has horrendas aquas: et flumina feruat terribili fqualote
charonicui plunma mento Canicies inculta iacet.uerum ut res fuo ordine
progrediatur/ non nautam folum: fed £Cniuem limul intcrprerabimurtSit
igitur nauis uolu> tas:licnautalibeteuoluntatisaibitriuni: Nauis
lurfus cocoinfuum cu fumdi ngitur.Hiceledionrm exprimittipra enim
eiedionc libetum aibitrium uolun tatem dirigit t Qoin U per uela eziefles
incliuadones non erit abfurdum incel Iigere: Nam quo czii inclinant/id
libenter eligimusmili illis fefe ratio opponat: cuius tanta uisell/ut
etiam fyderibusdominetur.Pergrata hzc funt quz dicis inquit LAVREntius.
Video enim te chrillianorum dogma retinere: ut tamen mathematicos oinonoirrideasiScdfequereobrecrotSenex
cll chaio inquit bA PTlSTA tqmaiali no tepore ut Platonici:quosfequic
poeta/uolut dignitate faltem et origine prior cil corpore. Adde
qdzternacfl:zcemitate aut nthil ana tiquius:Q_uaproptcr Si, arbitnu
libetu in illis zternu:Sed auda deo uiridili^ fc
ncdustqanuquamdeficit.Ellaut terribili fqualore &ex humeris
fordidustili amidusdepcndet.Q_uz omnia ad corpus tediflime ni fallor
referuncut : cor« pus enim ucluti ueltimemum ellanimz: quod alfiduo
mutatur ueterafeit: actz dem tabefcit.Addit duplicem oculis flimmam:quia
liberi cll arbitrii ad utmta ucliiflcdi/dC ad rationis fulgotem/8t ad
cupiditatum ardorem.non temere au tcmncc tine exadilTima quadam ratione
herebi nodifip flliusell Charon: Ce£ Iffcnim nox in nobis quz nihil aliud
ell nili ipiz ten(brz/quz abinfeinapro iieniut/nulla erit cofultatioe
opus:mens enim fumu bonu perfpicue nofccrcta &in illud line ulla
dubitatione ferret .nuquam enim eligimus nccelTatia/ac fub lata
dubitatide ois confultatio celTat :Quapropter qui iam in tertio uirtutu
gea &erefunt:quas purgati animi appellani/ii prudentia in repe deledu
no utunc' t led przter ea quz lut uera bona nihil nouetutiea^ fola mtuent.
Herebus igi tur.quud uerbu grzce ab obfcuritate originem ducit:ita lefc
rationi opponit Utopuslit cofuitatioci (^uoniauao Cutmdd Keba}acmodeacccllarii&cota la
.P.Virg.M.AIlego» fuUc:opottuit bancuim ea libertate donatam
clTerut aut de plutibua unum/aut de uno <tt ne agendum pro fuo
arbitrio deccrtut. Hoc (i itæfta gratia didtuc Charon«Nibil enim iibaius
cft gratia cum fua fponteproueniattnon autem a cuiufquam merito
debcatur.Q_uaproptei cogi nullo pado uultsat(^ ea de au« fa cum Æneam pet
tacitum nemus ucnite uidetific prior alIoquitur:Q_uiiiquit cs armatus qui
noiha ad iimina tcdis/Fare age quid uenias idbinc et comprime
grclTum>Nam cum etiam rationem ad (c ucnire uideat liberum arbitri ums Non
ante illam admiære uult-quam difcutiat diligentius quid fibi agendu
fit.Qua» ptopter addiuNcc uero aladcm me Tum lætatus euntem accepilte
lacu > quu ne ad uirtutem quidem trahi uult liberum arbitrium. Verum
antea confultat i Et pofi confultarionem deledum adhibet. Quam quidem rem
animaduettensff billa; (Luimrubiicin Nuilxbci Dndiznccuimtelaferunt;&:
ut appareat illum con cogi/fcd per confuitatiomm peifuaderi aureum ramum
oftcndittllleaute ad uifam fapientiam libenter conuetticur: fiC de natura
hadenus.Nauis uero a czruleo colore confiatilile autem ex albo nigrocp
conEcitur.Conteplator enim inter iofeitiam at^ cognitionem uerfatur.Non
enim mouetur quifpiam ad in» ueftigandum luli aliquid uideat: Rurfus cum
omnia in ea re uidcrit definit fpe culari. Eadem fere ranone futilis
hngitunperceptis enim percipienda adneditt Si autem futilis &,
timofa.Nam antea quam habeatur perfeda rerum cognitio/ non ctit ita
perpetua rerum fenes/ ut nullum intermedium relinquat: Animas uao quas ut
Æneam recipiat e naui pellit:omnes animorum affedus qui ratio ni
aduerlantur interpretandas opinor. Sed uos fortafie nimis cutiofam
nimir(^ ineptam huiurccmodi interpretationem exifiimabitisicum ita minute
etiam tni nmiaptofcquar. An tute cutiofum aut ifia minuta appellas inquit
LAVRENTlVS: quxetiamli nimis ingeniofe elicienda el Tentidigna tamen funt io
qui» buscJaboresi Nuncuerocum fe ultro offerant/quis ea repudietr Q^uin
igitur ptofequetetfiC qyz difputationi noftrx quadrant ne przteri. At^ in
pnmis quid libi Cerberus uclit/nobis apeiiiNam &quod cymba
gemuetitifiC quo drimofa inultam paludem acceperit : ego nifi tu aliter
fentias fic accipio/ut in altero fpeca lationis diificultatemiin altero
terrenarum uolupratum illecebras : qux furtim dum uitia fpeculamut interfluunt/exprimere
uolueritiPromptum pa immortalem deum ingenium/^ ad omnia uerfanle in te elTe
uideo LA VTENTi in» quit bAPTlSTAtnei^ commodius ifia meintapretari
potuiflie fateor: Ad cer betu autem de quo audire cupis /paulo
poftucniam:Interim pauca qux omi(< fafunt/percutramus: Ad nautam omnes
confluunt animxtomant^ pnmx tranl Huuiumpottariitelt dunt^ manus tipz
ulterioris amore: Hic iguur con» curfushocut puto fignificatomnes natura
fdre. cupimus: natura autem non omnes admittit: quia liberum menns
arbitrium non omnes ad.fpcculatiooe adtmttit : nam quod in humatorum
animx cenmm annos uagentutt de zgf* ptiorumconfuctudinc tradum: 6c Seruius
et Seneca affirmant i Q^uam rem deinde Orpheus^ad inferos tranfiulit:
Vehementer uero quadrat Palinurum a fybilla feuere calbgari: nefas enim
efi cum appetitum ad ueriinuefligatio» bem ttaduccre/qui aducHiis
rationem contumax fit r Sed redeo ad Ænca;^ at at 0
jlU, DI ii a a » 0 3 i i Liboguartuf
tat) jcm charon ad ahetam lipam iocolumetn traducit.Ipfd «tiim poft
diutumu catamen rationis Kappetttus in fpeculationtm tradudtur.Q_uo in
loroaio^ uutn adunfus fc bellum cxdtari Tentit, Cerberus enim ha;c ingens
latratu regna tnfaud petfoiutaduerforecubans immanis in antro.Scd
animaduerte qua par» 1)0 negodo omnia a Sybilla pacata reddanturrOffam
enim latranri cani porngit Qua uorata ille in fomnum inndit.Q_uaptoptet
occupat zneas aditum cufto« de (iepultotCerberum igitur ea fortalTe
ratione tridpitem poetæ tradideruttguo* biam illum terram gux trifanam
diuiditur /interpretantur. dicuntcp grzce quali Omnia enim corpora
uoratterra:quado quidem io ea omnia reddunt.Si i^‘tut terra eft cerberus :
quis non uideat porta noflrum per cciberi latratus noftri corporis
indigentiam exprimere uoIuifTe. Cu enim ad rerum magnarum cognitionem
eriginiunhoc profedo agimustut men tem quoad dus fieri potefi a fenfibus
reucKemusremoritp dircamustnon tamen ex buiulcemodi mortis comentarione
intereat corpus neerfle putestred cft illius ratio babenda.Reclamat enim
ne fibi neceflaria fubnahastlnmrgit^ trifaud lar ttam.Tribus enim rebus
indiget dbo potu ac fomnotin quibus nifi fatis illi a no bis fiat adeo
obflrepct/ut nihil egregium meditari (inat. Cuamobrem nullo par
donegligenda e(l cura corporisrlimplicitcr tamen modelle ac omnino
fobrie/re fidendumtut cum laboribus ruperetTepoflit: nimio tamen luxu
contumax adr uerfus animum non reddaturtpaucis enim natura contenta eft :
at<p ea huiufcer modi funt/ut fine labore: fine fumptu facile comparentur.
Nam ne fortafte ad ea re me te reuocare ardas quibus Ginicus
cotctuscfti^oflincuicmdumolusnul 10 etiam lalecoditum fuauilTimas epulas
prxbere pofnttaudi ea quibus uolupta* tum patronus Epicurus acquiefdt
:Num ipfe minus uiliflimo panno:quam aut purpurea aut ccKdna ucfte a
frigore defendi rxiftimat.nu fitim nifi chio aut æte 11
uinoatinguitnum famem nifi exquiritiflimisregiin^ dapibus fedari pofte pu
tat: Epicurus inquam qui in corporis uoluptatefummum bonum ponit nullu
aliud pulmentum in coenaptzta famem ac fitim quzfiuit : quem etiam legimP
ad panem raro quicquam prztn cafeum addere folitum.Ficedulas autem ac par
Uoncsreliqua(| ilb flagitia quz et Maaobius in pontificalibus Tuorum
tempope ccenisdeteiiaturt&nosno ftratempeftatein romanorum przfulum
dipibus fir nefumma indignatione ac gemitu meminifte non poflumus ueluti
pemitiofilTi mamonftra exhorrebat: Qua quidem in te ego terni LAVRENTI
ficut inc zr teris temperantiz partibus iumma laude dignum puto;Nam przter
id quod plu timos iamannos utiunfiurarum articulorum dolores efFugias:uinum
non bi bis nonne pro miraculo haberi poteft/ut tu in tanta mum omnium
affluentia: in tanto urbis noftrz luxutin frequentibus
lautiflimir^proptaalTiduashofpita liutcs BC æbra fodalitia tuz domus
conuiuiis nihil intuum uidum nifi fimplex ac populare fumas: Q_uzdum
cogito redeunt mihi ad memoriam ea quo quzdeFederico Vrbinatumprindpcnon
folum audiui:fed etiam propter antir quumhofpitiumfl Cueteremamidtia
fzpiflimeuidi:Inquoduce et fiplurimz aliz^ ea magnitudine uirtutes elucefcant/ut
ueluti folis radiis minora fydera Oiancfcunt t ita hzc illatum fplendote
obruatuntamen quis non obftupefcat ta Id.P. Virg.M.AlIego;
tiu Meorinaum acrobrirtitf modicamincaftrisubiuJrtrolrt Wtn
f*t« inopia nullu inter fumtnfi duce ac extremos lyxas et alones d.(c^«,
elTe patn tfed domi quocj ac in aulatin qua cu ota ornamenta pana fefe
offerantmec uiq aut liberalitas/autmagnificeoa defideret s tamc
difcubent* illo nulli aut palalaSo aut nometano/fed Bi philofopho et oraton
ocw relin^ tur.lpfe enim a primis annis uini prciflT.mus fuiticuius ufum
paulatim inteitendo eo progtelTus eft/ut iam diu illud omiferit/nemo eQ qm
communioni epulis/nerao qui fimplidoribus uefcatur/quibus dum
corpons U.TO r fiaui(rimisinterimd Wu«o™“‘l'fP»°"J'l?“perfipefii dum
lingulis annis ualitudinis oaanduj raufa romanos aumnmos Sfugiensadillum diuertor:uidearmihia
Sardanapall.c«rn.sm AIano.conu.- uium inddiffe/K ad aliquem
foaaticum hofpitem deueniftim quo pnfc* con. tinentix ueftigia tam
uehementer me deledat/quamm notoojir hominum qui rubris nigrifqj
galeris:ac niueis riciniis totius fanditatis doannam phtent luxm
lafciuiam exaritat.Pudet enim pudet mi Uurenti pigetip noftroju «orumm m
totius rei publicx chriftianx curiam in qua integra religione maximaij
dodnia nonnullos optimos patres K tanto fenatu dignos elTe non
negaueom/iis homu nibus aditum quotidie patere uideamiquos ego tunc demum
fenatorium ordi. nem romx iure obtinere cenferem/li Heliogabalus ib
inferis redudus rurfusim peraret. Verum cu hxcme alio in loco deploralTe
meminenm agamus quod iltat. AtcB naturam noftram minimis cotetam effe
intelligamus.Q_uod cu expnmere cupet Maro Sybillam quxueradodhinæft
inducit offam in qua et andu 8Cb^ mefcens fimul alimetum
fit/Cerbero porrigetem/qua faale et fihm? I*' det:& in fomnu
inddat.Aureu pfedo prxceptu.Nam qui aut Uutiflimis epulis corpori
indulgetiaut uaria uina exqrit ipfa crapula at(j ebrietate « c^us contu
max fibi reddit/8J animi aciem ita hcbetat/ut nihil altu fufpicere poflit. Upt^
quidem funt ifta qux dids inqt LAVRENTlVS. Verum de Cerberonon idem
TOCtas omnes fentire uideoiMaro enim eum canem ita latratem inducit/ut
non egredi fed ingredi cupientibus aduerfet":cuius qdem rei rationem
optime a te ex Mfitam effe intelligo. Nam huiufcemodi corporis indigentia
non iis allatrat qui corpus curadum redeutifed iis qui illo negUao ad
ueri cognitione £0“«“^ ItacK ut dixi ego qd Maro fibiuelit plane tenere
uideot; Veru cum apud Heli» dum poetam ut te non fugit nobiliflimum
legerim Cerberum uenieti busauda auribufm blandiriiExire ucro nemine
patiiln infidiis enim delitefcesjqucmcua extra ianuam offendatiftatim
morfu laniat s no intelligo quo nam modo hxcoi no inter fe diuctfa non
fint nifi fortaffe alium ad inferos defccfum um Maro exprimere
uoluerit.Ingeniofe tu quidem inquit ® dit enim ad infaos xneasiqa in
uitiopr cognitione tcdit:Q_uod fi ita eu ingit™ enti aduerfabic
Cerberusrodit enim hxc corpusiFac aut aliu no ut imU nan^ cognofcat
inferos petereifed in ipfa uitia labi auribus 8i cauda bladiet Cnbe^ qppe
qui illu ingredi cupiatiNam qd aliud moliunt' iquid aliud conant perd»
boies nifi ut tridpitisbelluac non folii indigeti* fatiffadatifed oes
uoluptates plcanuQ^uod fi ide ifti nonunq pdita uita reliqua «id enim eft
infaos egteoi* - >4^».Liba guam» tcnctit tuc latrat tunr
mordtt canis.Rrde igtt'’ addubitaftt.Rrdt us aut dubitatio orm
fuluifii.brd ut ad Maronis cci bttutn rrdcam facile ille (imp KnlTtnis
rpuHs arquieuits Acneasautnn celer ripam cuaditsNon enim lente K cum
fegritie bacc adtunda funcfcd omni contentione at<]t ardore
captiTcnda. Qucniam autor do in rebus huiufccmodi cft ut primo uitia cognolcanf.
Cognita deinde effuga» lunut pofirtmo illis purgati rerum diuinatum in
quibus fummumbrnum con fidit idonei contemplatores eifiriamur/erat illi
totius bumanz uitz curfus mrn< te repetendus/ut peripicuc intelligeret
no folum quato fe fcelere adnngit qui no biliore fui parte neglcda in uno
corpore:& in iis qux a corpore fum uoluptatib? fpem omnem reponunt.
Veium etiam quata miferia opptimanf. Earo enim uir tutum armis quibus
folis uidenes euadne potuilTi nt penitus exuti nudelilTimis fortunzidibus
nudos fefe obticiunt/& ut ca»era aduerfa/qux innumera quoti« die æddunt
omittam /mortem ipfara qux lingulis borarum momentis impedet uelub lummum
omnium maloium rxlKHret.Q_ui quidem matus enam Ii nui la alia ptutbanone
adiaans ipfe unus nos nunq refpirare linit.Quaprnpter hac
iirpeipfosmfantesin pnmo uitz limine petere oftedit.Hac et in fontibus p
uim mferri edocet. Hac et libi iplis eos afferre demonfiratiqui adeo
imbecillo animo fimt/ut grauilTimis quibufdam ptutbationibus fe pares
gerere nequeat. Qux q dem omnia diUgenter intuens xneas decernit tadem hoc in
primis fapienti prx« fiandum elTe ut culpa uacet/mortem autem ipfam inter
naturx munera eoumc ret/cum cz ea no folum nihil mali nobis id eft animis
noftris eueni» / fed contra fummum bonum/quonia a tam tetro carcercfoluti
in noftram nanira rcdeam5. Qua qdem ratione faceti cogemur amice at<^
indulgentet cu illis efle adum qui antea ad buUifcemodi miferiis erepti
Itnt/quam in casinciderint diuind omni nomunus illudincIcobim/ttbito Dcalunonecollatumtquipfofuma
in ipfam deam arqi in matrem pietate moetemcofecuti fint/Cxtenlt^ omnibus
natienb bus ac populis fapietiotescl Te traufosputabimus/ii enim populi
in thracia funt qui fuorum onum multis lachrimis ac lamentationibus
excipiunttquot mala il« hsin uica cucnmra line enumerares. Obitum uero
omni genere lattitix fcquua tur.Cogitant enim quot erunisq uariisgrauibufip
fortunx cafibus morte libera ti fint.Huiufcetoodi igitur rationibus
paulanm xneas moetum mortis deponit: Quin fi aur fe aut quempiam bonum
uiium fupplicio morte ue per fummaiiv iuiiam peti uidcbit non duliilHme
ur Xanthippe illa de (bcrate falrc merenti hoc cucnitetdicet.Scd quod
uetumefferapientes norunt Ihilti uero negant a nrmi ne nifi a fe ipfo quenq
Izdi polTc affirmabitmetp quicq quod turpitudine careac in malis
cuumerabiti^uin Kfoaatica argumentatione couincctquicuipiniue
fiecrudeliterip in aiiuiu «gerit non illum fed fcipfum iniuria alficere.Eos
autem omni odio infcdandosducct/qui animum immortalem fiuptr natura itaro
bulium/ut humana omnia contencre polTit adeo fua ftulttria
enenuuerittadeo £ taua confuetudinc imbecillum reddittut famineo amore
incefus in eum pau» tim furorem ptolapfus fittut fibi ipfc manus
atruleritiK morte q fummum tC> fetnalum putabatiid quo urgebatur malum
effugere tentauerit. Qua quidem in te pnmum ignauiam ai<f incttiam
cotum damnat:quia fua culp in eum Lbt o ii
In.P.V;rg.MtAIkgo. dinofum atnortin inciderint quem Plato ab humani»
morbis natum affirmat: quoniam illi eofoli afficiant qui uentri ac fomno
dediti: et diuinitate fua quam aroris denlis tenebris obrui pemuferut
penitus obliti nihil præter caduca : et aut morbo aut ætate cito
perituram corporis fortnaih reTpidunn Quamobrem bis pcccant. Nam 8C a
principio Tuo deiidioro ocio ac libidinofa lafduia effedum e(l ut in rem
follidtudine plenam inciderint. Deinde cum morbum fua culpa cotn dum
diutius pati ncqueant:fumma fc impietate afttingunt qui a fummo deo in
coipus ueluti in cuftodiam mifii in iuflu ipiius illud deferunt.Specula^ poii
bax extremam eorum hominum inlaniam/qui cum perfummam iuffitiam
intrati/ quillo fccuro^ odo degere poflient/per fummara tame inturiam ac
impietate pa cem pcrturbare/ac omnia mifcere maluerut. Nam aut nulb
iniuria affedi ipfi ul tto auatitia ambitione ueimpulfi ferto igni fraude
nihil tale merentes laceiletut/ aut ipii lacelTiti nihil de iure quod
hominis pprium eft difeeptantes ad uim qux faamm ed fe contulerunt: Hinc
genus humanum cui pa edeordiam in fummo odo uiuere licuaat affiduo
mifccri uidcmusiHinc multarum regionum popula dones fiC infinito;:
mortalium catdes oriri aiaduertimusmt cum undi quzeu^ nobis calamitates
eueniut colligerimus:nulla homini q homo acerbior pedis in.> ueniat :
Vides igit q exada lapietia hasc oia poeticis ligmetis exponantur. quidem quoniam huiufccmodi clVe
animaduertit/ut et cum fcelæ dant/ fit po£ fint etiam uido carere/placuit ut
una ac limplid cdmunit^ uia irecur.Cum autea Deipheebo iam difccirum
fuerit/quonia eam iam fefc contcplanda offerut / quz aut penitus
flagitiofa (int/aut pcul ab omni fcelæ folam uittutem continet du plicem
iam efle uiam oportetrut altera in itnidram ad ui tia defledaturcAltera
uf to indutt^tnaduirmtesdcueniat^Hociglt inquit LAVRENTIVS fitPytba
goram illum exprimac uoluiife acdiderimtqui littaam yadinuenit. Quod no
latuit Perfiuspoeta/cuius cdillud.Et uitz nefeiusenor C5eduxit trepidas
ramola incompita mentes» Ifrhuc ipfum inquit BAPTlSTA.Sed uideamus
quzfequa/tur. Æneas fub rupe (inidra mcenia iata uidet triplid circudata muto,
fetifica p/ fcdu tartarotum defcriptio.Locus enim exprimendus iam edin
quo uarialole/ ta puniantut. Hzc grzci tartara ab eo quod ed tarattiiid
enim cd pettutbatetex p turbationibus enim uitia oriunc .‘cademi^
paturbatam femper peccatoris meo» tem tencntilnduduntur autem triplici
muroiquia non una ac fimplid uia fcd tri plia peccamus.ptimo enim quodam
folo animi motu ab deprauata uoldtatc fce Ius condpimus.Secundo deinceps
loco accedit adus.Qui podtetno iteeum at/ iterum muItoticnf(^ repetitus
habitum obdudt.Q^uamobrcmhzctria in tat taris iure expreflit poaa quz
procul a uiro beato edic tedatur laaoruffl cartniiid uates.Ille enim
fiatim a principio dc ordif. Beatus uir/qui non abiit in condlio i
piotum.Videsiammotum primumanimi adrcclus.Ocindc fit in uia pacatora non
dctit. Quid enim aliud uia cd nid ipfa adioreitquz depius repaita nd am
piius in motu ed:fed iam fedcmdbi ponit fit redda in habitu iam
coadabilito. Rcde igit fit in cathedra pedilentiz non fcdit.Quod autem
flammifluo phlege thontbis flumine tartara ambiant" :minimc abfurde dixit.
Odendit enim aidp/ cem itacundiz: fit arumotum zdus quibus id hominum
genus alGduo torretuta Tantum fnim tH uittoruu odium/ut et qui illis
delcdati lutif tandftn pcraitoi tiamdcdudi
uitaniprattcTitan]datnncnt:urhcinrntn(^ oderim i fibi uno ipfia ætnime
iraiiantur. Nam tu donum cblTes tranfifTc dies luretn palufttttn: Ca
ptiui tamen unico habitus dnnui inuiti trahuntur at(^ ira furore^
exeduntur. Quapfciptcr tapidus flammis ambit torrentibus omnis t Tartareus
phlegethon. Nulla cnun fomax/nulb fabrorum oflirina magis exxfluat quam
feeleratorum mens Nam Taxa a flumine contorta oflendunt quam graues quam
molefli flnt buiufccmodi motus ati^ «agitationes. Addit ad ba;c portam
munitifilma fit foli do adamante columnas: quibus locum ita munitum
redditiut net^uirorumne czluolarum ui efitingi poflit. Quid ergo flbi uult
dodiffimus uir: Nempe hoc ut puto uiros flagitiofos ac permtos cum in
tartara deuenerint. Id autem est cutn longo habitu fcclaum mancipia cfFcdi
fint/nullis uirorum monitisi nullis diuinis ptxccptiss nulla deniipfyderum
clemmtiainde eripi pofleiQ^uaprcs' pter iute tales homines fit larini
perditos it grxd afotos appellant.Erit igitur in quit LAVRENTlVS amifliim
in illis liberum mentis arbitrium ut fit fl uelint aduirtutem redire
nequeant. Video fit in hoc ingenii tui acumen inquit BAPTi bTA. Nam breui
interrogatiuncula illa omniaconcitafli: quz a grauiflimis phr lofophis de
uoluntario dem inuoluntario quzri folent. ua quidem in re no solum
ingenium laudo/ redconfilium quotp uehrmenter approbo .Nam cum multa
liefe tibi offerant tquzfloc cuiufquam auxilio ipfe tibi foluere
polTis/ea tamen ab alio dici mauis/ut fit raodeftizquod nihil tibi
arroges: fit igmiiquod prudenter interroges flmul laudem feras. Verum
facile ita huic loco occurretur li dicemus non uoluiife poetam
ineuitabilem neceflitatrm/red eam difficultate quz impoflibilitati proxima
(it demonflrare.Sed fac etiam(^(T placet)omnrtn ex cidendi facultatem
adimere. Non tamen dicemus flagitia quz committunt in^
uoluntariacffe.quando illorum principium uoluntaiium ruit. Nouitenimin#
continens peccate curo adulterium committit: potefl^abflinerefi uult.
Peccat igitur uolcDS donecafliduishuiufcemodi deprauatis adionibiTs eo
perueniat/ut contrada iam intemperantia etiam fi uelit abfhnerc non
poffit/non tamen inui.' tus dicetur peccaffe/quamuis tunc nolit quoniam
licuerat a principio/modo uo luiffet in firmum illum intemperantiz
habitum non deuenireK^ uaproprer no magis inuituspeccaffe dicetur/q qui
fua fponte in quempiam lapidem iaciat de^ inde pOEnitcntiadudusteuocatetfipoffet
lapidem : qui per ærem fertur quoni amnoUer hominem ferire. Ferit igitur
fi! bene uolens : quoniam initium a fua uoluntatc fuit. Sed hzclatiusapud
Ariflotelem in libro de moribus difputata inuenies. Itatp redeo ad zneam
: qui ut uides urbem ipfam non ihgredit. Nam qui uitiafpeculanmrnon
uniantur interuitia .lllorumuerouimat^ naturam a S)rbilla(^nam eunda
edocet dodrina^penitus intelligit. Procul tamen in limi ne Tyfiphonem
uidet.ponit igitur furias in limine tartari/de quib^plzra<]p quz a
poetis finguntur uelutinotiffima omittam. Plane aurem conflat placuiffe
pri (as foiptonbus quicuni^ maiori flagidofeobflrinxetint a furiis uexari
t ut in Horcfhs Alcmconifi^ matricidio uidemus. Quo in loco quidnam aliud
expri tount furiz : nifi inquietudinem æpotius uexationem quandam
turbulentif In.P.Virg.M.AUego. Narorima hxttd uluo quod fe ludia
neroonoanaabfolmtur. VtminU cts/ut mdida/ ut d«d<cus/ ut infamiam
effugias ; nemo uident : nemo a^ienfc Q
uitcftisdtaripolTitadcfttamen Sp& confciennaiquxu “*8«* Sicium rapit. |au.ff.mum
tcftimonium dior i comnncjt ^am «jb cod,; U^uenaled.fc ilU flacellai
hi fcrpentum moifus quibus fun* nos «agitant. Habes de tun t S aurem
Ufcelera. at, V «auilf.ma«iftunt a principio enumexat. Impietatem in
S in homincs.Nam et tianiam prolem flurni naulo ante dicebam / confæntix
cruciatum dodioreinterpretantu^ ?e enm ueluti Ceuiffmus fcelcrum
uindearqux flagitio obnoxujU^ i^ na affiduo nmarur: et dum commilli in
mentem dia corrodit /curafm afliduo excitat /nec eefpirandi fpanum
ueroK fxioncm tyrannidis exemplar effe uuir/quo Upfura cadenti imminet
affimiUs: Nunquam enim fine pe^ione uiuunt. (^uod et Dionyfius ille iyracufanus
Uamodi tamilun L illum beanffimum putanti probe oftendit / cum illam ita
int« ^s epulas ac pretiofa unguenta coliocaflct /ur umen metu
fupta caput equina feta pendentis nulla poffet uoluptate a la. mSlto rnelius\ofcunt h^ines quam detur
modo impeni acquirendi fa tasttuitate fciant.Ncc ueto diffiale eft intelligne
quid ftbi te ora paratx regifico luxu; cur furiatum maxima
luxta ptohil^t contmgæ menfas ; Neq, emm uerius neq,
«prelf.us Le potuittqux in eam homines dementiam protrabit/ut
cumpluniM^ geffeS/tum maxime fame per, re malint quam
congefta fe et pulchre Orarius Tantalo illos comptat / qui apud in
miiima aquarum pomotumtp copia fm fame^ torqueatur. Pulchre em am^
illud tCongefiis undiq, Ciccis indormis inhians et tanq^uain SI
coceti* j pidi» unquam gaudete ubellis. Magna ptofedo nutn da qw non
norunt harum rerum poffelTioncm non propter fe ntef illatum ufum.6
uapropttrbonailia nontede/uuliaautemtecteappmus. Sed nimis mulu quando multis
iamin locis de auanua diximus /i deliqua uidcamu* : Saxum enim ingens ii
uoluum i. Quotum uiu per Itm mam mftriamin eo uerfaturiutCcmpcr ea
prtantitamohn “ir ««/qux aut nativam aut fortunam suam confbtuu efficere
nequeant i o^el^ eoii« conatus irtiti mefficacefij fint.Rourum uao udus
dettndi pendere nmw‘ Kdicuntur.quinibilranonefiiconfilM) ptzuidcnteiinihil
P‘“^, deo fe fortunx conimittilnt/ut eius cafibusuelun inter eutyp
fludibus ucw affiduo totentur. ne« uittutem ullam habent in quatn ueluu
in tutum ttanq him potturo W^tteapoepofli Bu Huiufcemodiigitutu Ut tactchqnaquxpItt r- Liber
guaitiu rimi uaria^ fuot edocet Æneam Sybilla / dodum^ flattci ut feiUis
«pii> ct admonet: ut punis campos clyfios ingredi poflit. ms igitur
Matontm a Platonis dogmate difcedcrc diat. lllc enim cumfummum bonum in
di' uinarumtetum cognitione pofuiiretiproptetea^ ccnittctomniuuiuium
gr^ nete excellere cum opottæ : qui cum Iit futurus beatus / tamen ab iis
in< dpiendum cITc oftcndit qua: Ant in uiu et moribus poliiz. Cum enim
dv uioa / quæ puriflima 6i ab omni labe corporea impolluta lunt impurus
nr-< mo attingere ualeatt pcrhuiufccmodi uirtutes expiemur neccire cU/
illis ctjita tL uitia cogDolicimust SC cognita abhominamunat puiilliau
ndiu i.xlo^ fiia ac immortalia egredi poAumusiHac igitur ratione
iinpuilus Maio cum ad tummum bonum perducæ honunem uelitt ira Acnram
iiiflicuendum curati ut primo uitia omnia edoceat/ deinde illis cum
opiaium ad campos clyAos perducat. Cognita enim uitiorum turpitudine
totum odium Boa inepuiquz quidem prima omnino lapientia cft. Audirus cnim
ad il« km/cA,ut fiulritia careamus. Sed tu nefcioquid mirabundus tecum
animo ooluisiifibuc ipfnm inquit LAVRENT1VS. Stduide.quantum tibi
extua diTputationc debeam. Dum cnim mihi planum icddeie Maronem
ttnusi id^ efficis eodem tempore in noAri duis diuinum poema induds.
Nunc enim demum pcrfpido quid Abi uclit Oanihcs qui piimum ad inferos descendattat^
inde emergens, nullam aliam uiamniA pcrpurgato iialocaadca; Ium inucniat
: Made uiitutis adolcfccns inquit liAPTlSTAi qui non ea ib lumquz dicam
Si A diffidlia Ant facile acapias. Seu quadam Aaulitudiueou dusinde ad
alia accedas/ut cum ilk maximam laudem ex diiigcntiilin<a quadam ingenii
atrihd^ plena imitatione alVccutus At : tu quoqi uuuciedio acm laudem
mcrcaris.qui bzc omnia/quanquam uebemcutcr dilliuiuJata lint in illo
poeta rccognofcas. Ego uero inquit.L. quantum cx huc merear ipfciu«
dicabis tqtianquam ueriorne nimio in me amureiaplus noAiutnlioc ingcnk um
longe pluru facias/ qua oportet.iliud tamen Si A alicnuni a ptopolito
fcf<t mone uideatur/non omittam .Tu autem quod dicam ea laiiunc amc
dida ædas ueliin / non ut meum ueluti decretum in tanta icponam / fed ut
iudtci' iitntuum quod ego onmium reliquorum ludicioaotcponomcu uerbis
elici am • Ego a prima pene puetma cx uiaufqi patentis m Aituio adeo
famibate uni uctfum opusAorentim poecz mihi reddidi / ut pauci omnino Ant
in eu lod quos ego Aquando illi huiufecmudi oblcdamcntt gciius
rcquitcter.t/ non fa« cilc ad uubum exprimerem. Sed quid poteram puer ex
um dtumo uacc ptet maa uerba pcteipcre.Nunc autem cum uniuetfum rci
argurocniu mciice peu curro tumma admirauone cius uiii ingenium
ptofequor.Na oi lu upexe fuo te xendo pauca onuiino Ala de uirgiliaiu
teia mutuari uideac ttameii mde oia pe ne Ant.l uiobtcmnuncnd demum
inteiligo/quod nos cx Cict-roms peepto Izpenufflcco Lidinus admonete
folct cc in aliquo imitadu diligctcm oino u* dooe adhibcnda.Nci^ enim id
agendum uri idem funus qui fuut miquos imi tamut.Scd cotum ita iimilcs :
ut ipla Amilitudo uix illa quidem neq oiA a do dia iatcUigauit.Sed tu A
uidetut ad inceptum tedi. Cum igitut inquit. et la.P .Virg. M. Allcgo. omnibus
iam uidis expiatum Æneam ad eamm rerum cognitionem Mato deduAurus
elTettqua; in casiis funt noncxlum fed elyfios ampos nominat. Miro profedo
ingenio u3tes/& qui eodem tempore et figmento fu o Kuerita
tiin(eruiat:Nam& (i apud inferos poetarum more heroas relcgalTct i
tamen nt hzc omnia de czio ilium fentire animaduertamus largiorem ztherem
: ac fuum folem fua^ fydera illis tribuit / ut cum a figmento nufquam
difcedat philofophizumen ucritatem profequatur. Nos autem (i quos
uirosilleincz ios reponat diligentius confiderabimusiea omnia quz primo
difputationis die de utroi^uitz genere a nobis erporiiafunt acubflime
ilium elTe complexum animaduertemus / ut K qui in rerum cognitione
reIigiofe/8; qui in adionu bus ac uitaduiliiufte uafati Hnt digni omnino
exiftant: qui in czlumuelu« ti in originem fuam redeant i Q_uapropter BC
Orpheum Si Mufeum ac reliquos qui cafti fuerunt facerdotes : qui phoebo digna
locuti uerum reliquis ape rite potueruntsqui uaharum aitiu
inuentioneuitam cxcultiorem reddiderunt tanquam fpeculatores cotnmemorat.
Nei^ tamen eosobmittit qui aut piisar< mis aut confilio opera
induftriaat audoritate rem publicam dcfendcruntiK in duiliacfocialiuita
ueifati funt.Huiufcemodi ita animos ab omni corporea contagione expiatos cum
fimplidlfimz 8C omnino incorporez naturas fint: SC maximarum rerum
capaces exiftant mullis locorum anguftiis arcuferi ptos nullis regionum
terminis inclufos eum animaduettac sed liberrime per omnes mundi oras
uagareuideat: ita Mufeum loquentem indudt: ut often. dat nulli e(fe certam
domum Quin et cum ita fenoit quz gratia cunumiarmo rum^uiuis fuit quz
cura nitentes pafcere equus eadem fequitur tellure repo flos, demonfkat
non clTe fcimroemoremeotu quz et divinus Plato t placo, nicus CICERONE de
animis noftrisfentit.Cenfent emm adminift ratores terum.p. cum in czium
recepti fuerint regendorum hominum curam non deponere. Net^folumii
quiiuflepieqt uixerunt eodem audore iifdcm (ludiis detinen. tur corpore
exuti t quibus dum uita manebat deledabantur: Verum llagttio. forum quotp
animi quoniam multum ex fordibus quibus intta corpora fe fadauerunt/
fecum inde trahunt a prilhnis curis difcederc nequeunt. Vidt« ftis ni
fallor longum quidem iter ac difficultatibus erroribufi^ plenum: fed quo
tandem uir uirtutis amator finem diu concupitum attigent. Per uari. 05
enimcafus pertot diferimina rerum initaliam tendam s OC in quietas
f&. des deuenit Æneas. Quem quidem fi imitabimur nos corporeis
pedibus liberati / SC nitido uirtutum fonte irrigari eodem uitz genere SC
dum intra hzc corpora uerfabuntur animi nofiri gaudebimus /& cum inde
uoiucrint innoftram originem reuerfi zterno zuo fruemur. Q uz cum ita a
BAPTi.STA dida fuilTcnt : ut difputationi finem impofuiffe uideretur/nihil
polfutn inquit LAVRENTIVS in ram longo fetmone defiderare.Nam a principio
ad hunc uf^ locum ita perpetuo tenore difputatio perduda edtut nihil aut
inter* niptu/aut diuulfum/aut ptzcipicatu t in quu inter mediu aliquod
rclidn omif fum ue fit qri poffu.Sut eni oia mirabili fetie
colligata/& eo ordiecotextaiut ni hil inde demi pofTintiquin quz
tcliquutur manca fmt futuraiK nihil addi qrf J M M S IJ i J i-S rg.§S l-l
1 t-i t 1 1^4"S fi-lltt quidem 6 ab/it /multopere requlreudu uideat.
Ignoscens tamen nimiz cupidi tari no(trz/ri td nunc rcquiram:quod cu
uehementer mihi planum reddi cupii idne^badcnusateez porituintclligisnc locuinquo
deinceps exponi poflit teKdu uidei:Ezpefiabam enim non modo fufpenfo
uerum etiam anxio animo quid tu de iis fenrircsrquz furpiciens Anchifes
fuo ordine pandit. T u ueto dum rcbqua inter dirputandum fuis quz^ lods
difiribuis/illa no ueluti familiaria io iufteeiedarfcdtanqua aliena rine
ulla iniuria czclufa procul a tua difputatione amouifti. Qua propter
incertus fum quid agam:Nam ne audeo te longa ora rione defatigatum
quicquaprztercarogareme is quz fcire cupio zquo aiu^ mopoilu carere. Hic
arridens BAPTISTA meminiife inquit te oportet o Lau miri nos huiufcemodi
terminis aniuetram quzfiionem drcurcripiifre : ut quz ambagibus
quibufdam/atip allegoriz figmentis obfcurata effent aperienda pro
poncremusim autem ea tequins quz fuis uerbis fine ullo figmento
enarramr. Ego tamen non ita exada ratione tecum agam/utquodexpado
debetur/id fo Ium enumerem t Sed prauerid gratis aliquid in ea
hbcraliiatc accedere uolo : Id igitur quod Maro ut Principio czlum ac
tenasicampofcp liquentes. Lucentenv ^globum lanzritania^a(ha:Spiritus
intus alit : huiufcemodi eri utftoicora de diis opinionem refetat:Longum
effe fi nunc omnium antiquorum philosophorum de diis immortalibus sententias
referam. Q^uz quidem tam diuetfx ta^ inter fe aduerfz funt/ut totidem
pene reperiantur/quot funt eorum qui feri pfciuntcapita: Nonenimfingulzfolumfamilizfingulas
fmccrias excogitari. Sed fzpe inter fe eiufdem fedz uiri uehementer de re ipfa
diffentiunt. Verum ut reliqua ad przfcnsmiffa faciam et ad ea quz
przfenti inquifitioni confentanca funt deucniam:plzri^ ffoicotum:fed
przfertim eorum princeps Zeno universum mundi globum mentem et ratione & fummafapientiaprzdita
habere æ« didaunt /eam esse ignem quendam purissimum ac tenuimmu. At
ueluti ani mi noftri per fui corporis particulas oes diffunduntur/ita
illu per oia mundi me bta ueluti geniule femen unde eunda procreantur penetrarciquippe
qoi uigot fcmeni^ fit omniu procreandorum. Virgilius igitur qua uis ui
reliquis a Platone fuo nunqua difcedat tamc cum uidiffet Chiylippu in eo
quem de natura deope limpfic libro Orphei mufd Hefiodi at^ Homeri fabellas
ita interpretari ut ide prifcosolim poetas fenliffeconeturoftendereiquod
multis pofiea annis (loici fenferuntifbtuithacinreneab iis poetis quorum
fimilis effe cupiebat diftiml> Iis putaretur ipse PORTICUM fulcire ac
floicis adhauere.Na Platonis longe alia fententia eff. Ponit enim deu
penitus incorporeum:at^ extia omnem materia omnem mundum inipfoczlidorfo exiflentem.
Qua propteeillu hypcrcof mlon appellatiquoniam eifentia sua supra cxli
uerricem mancaticum tamen ui ac providentia nufquam abfit.fed omnia
circufpiciens etiam minima curet.In phzdro enim ait. Magnus in czio
lupiter citans alatum curtum inccditJ^mua exoinanscunda.Eodem in libro
demonftrat locum illum neminem adhuc laudaiTe poetaiummec unquam pro
dignitate laudaturum.Q^uaroobrem cum Platonici deum eztta mundum
ponantiquibus etiam Ariflotelici alfentiuntutt Stoici aut illu per omne ut
dixi mundum diffundat, qs no uiderit Virgilium /i in. P. VIRGILIO
(vedasi) W. AII fgo. cutn dcutn quctn in potticu uiderat dcfcriplii Tcnnimorip
noftros illius partica bs elfe a Chrjiippo acccpilTe.Cu autem
prouidcntiam dci multis in loas prafe quatutinufquara a Phtune difcedit. Non
enim idem omnes rendum.Quzras fottaUe quid de mundo sentiat PLATO
[PLATONE]. Ccufet quidem animam eu babcrc/a qua reliquorum animantium
animz (int. bominum autem animos abeo deo que paulo ante dixi creah:££
ratione exornari uultiCorpus autem atip cacterasoes vires quas praner ratione
mia bi seiTefamus bomiiaiabanimo mundi elTe (ai bit.EQ enim lile dei
uicatiusicuirjlua uniuetla ueluti fua prouinda denudata Imltai illi uita
moturai prxbet/non fuaui autfacultate ledquicquidagitid uelun dei
in(humentuagit.Oeclinat igitur paululum de uia Matotat a Pia/ tonefuo discedit.
Cum autem dei prouidentiaplunmis locis profcquicuri illi totus
adbzret.Non enim idem omnesfentiunt.Sunten:minfortunz qui calt bus omnia
ponantiK nullo credat mundum rectore moueti.Q^ua in sententia Leucippum
abdaitem/eiufe conduc Oemoctimm: Protagoram quo^S Theodorum ac L’ORTO
repenasi^unt itidem qui Andotelem fecuti non ita odofum deu ponauut nibil
omnino curare dicant. Illius tamen prouidentia Iu nz orbem dclcenderenoæduntiSunt
deni^K tettiiqui fitliuniucifumper tingere illam uelint maxima tamen dutaxat
curatr/mininu ucro omnino negli gere opinent. At Piato ut eunda a deo
fada putat/ ftc eunda illum curare exifti mau Atipbzcdedeo.Otbeucto quo
uiallim animos nodtos ab inferis ad coc pustat inde rurfus ad inferos
tranfirefaibit ab academia cftc non negamus: Verum si latius de re
buiufccmodi dilTcrendum propofuilTcmusiextant multo diuiniota quz a tato
philosopho de aiope corpore difcclTu pferre poiTimustSed difficile oino
eff um breui tempore res arduas longa diligende otadone explicandas
bisanguftiis includere ltaij quod roluminffat idagamus lnuenies igitur
apud Platonicos cu mille annos apud inferos fuciint animi bominn ad
corpora illosredireiatijinde uidffim ad inferos remeate.ldi^ totiens facere
do nec duodedm anno^ milia tranliednt. Hunc enim orbe perfedu
extChmat.Na eo fpado penitus purgari aios CTcduti^ptcrea^ poffe illos tu
demu purgatos/in fuam origine et adezicifes fedes reduc: Q_uod iiquis
fuerit qui pbilofophiz fe dcdacibuic ta fadiis purgado obumit:ut aceat ei
poft tria annopt milia ad fupe ros euolate: Adduc ena fiqs teligiofc oino
uixeritieu ante mille annos H purga/ ti/S purgatu (fatim in fua origine
redire: Eff prztcrea quemagnu annu appcl/ ]at:quc cuc finiri aedunt cum
fol una cu luna ac quin^ reliquis enatilibusffel lis ad eade zodiaci
parte rcdieiint. Exado igitur boc tpis circmtu:quc et si vatta sit dodoru
de illo uiro ru sententia rex tamen ac triginta millibus annoruconfi ci
plzrii^ acdidere.ccafec Plotinus omniu bominu animas ad eunde uitz babi
tu rcditutas.Hzcigif'& qualia (int/& quid facicnda/fadleexco libro
perapi cs/que nodu expolitu in manibus hic noffet Matfilius habet: nec
adhuc edidit. Vciu ego cum apud ipfum inbgbinenffdiueniffcm/cafuin cu
incides aperui locof quofdam fuma cum
uoluptate percurri. Res omnino magna eff LA V/ tcd/fl( magnis
ingcniuinbus ttadata Sprotfus digna in qua labores. Poterit nitn no tolum
maxima ac pulcherrima et homini fe ipfum noffc cupiend per quartus
aeeelTariatedocercrcdmrummatn quo admirationem rapere. Scnbit enim
non phyticcCut plxri solent sed metaphyiicc de animoru noftroru immorta
litate/utplane poffit de ea re omnem dubitationem amouere. Quem librum cu
Icges/&ha;c quz deMaronereqiuris:&plzra^ alia quz nos paulo
antediuinif fima cfle non rumusmentiti/facilec^nofces. Qux quidem res
facit ut in iis quzpo (hilafiibre uiorquelles /forta(»fuerim.l^hil tamen
eft quod breuitad ^cenfeas. Nam cum ea requireres/quz nullis eius
difputationis quam pepige camus cancellis includerentur/poteram illa meo
iurefilentio przterire. Itacpid facile fi forte obiidatur diluam. Apud vos
vero dodif Timi viri quomodome purgem non invenio.Video enim dum
pofiulanti LAVRENTIO nihil d&> ncgo/duplids errati culpam
inddifle.Nam quid me aut loquadus fingi poteft/ qui quarto iam die ea
eruditifiimis aunbus uefiris inculcare non delinam: quæ quadodrina
efiis/uobisqua mihi notiora fint: aut aud adusex cogitari quiim
praemeditatus ad differendum de iis rebus accelferim quzado dilfiinis iifdci
diuprz meditads uids uix faris eleganter pro sua dignitate explicari folcant. Im
mo quid humanius/quid tua fadiitate dignius refpondit Alamanus effid potu
Itqua meanobisodofis dilferere quz tamen magnis vehementer cp urgentia bus
occupationibus przponere non dubitaremus.Nos autem inquit Petrus ac
daiolus uolo enim et pro fratre meo refpondecc ne optare quidem id aulielfe tnuss
quod ultro nobis arridens fortuna attulitiut tu tali przditusfapientia at ELOQUENTIA
VIR ea deduplid quzftione primis duobus diebus breuiter per. Ipicueiabfoluteip
in unum congereresrquz non nili per fummum laborem: (i> mam
indufiriamex multis ac uariis fcnptoribus cruipolfunt. Nam Maro nis
diligentifiima at^ multiplid dodrina referta interpretatio in qua tertio
ac quarto iam die uetfarisitum quia pulcherrima tum quia inaudita accidit
no mi nori Ihiporetqua deledationc nos alfecit. Non polfut fatis pro fua
dignitate lau dariquzatedidafunt inquit Antonius: Sed utinam Baptifia
quoniam reli quamztatem Romzcon fumpfilb hanc tandem fenedutem patriz uel
optao ticodonare uei illa tanquaafuociue exigenti corpore uelisutfzpius te
de magnis rebus difputantem audientes ciues tui dodiores indies meliorefc
reddantur. Verum has ego huius Marci partes ee ducoiTe enim pro ea quz illi
tecu intercedit nec clfitudine modo nitat facile in sua sententia tradudurum
confido. Quin ifihuc ia diu ago inquit Marcusinec prius defina qua aut
ronibus impc' travero aut praecibus ezotnaueto aut defatigando extorfero. Sed
ut confido muItum meineateiuuabit LAVRENTll acluliani ingeniu acftudiu. NI
cu inultu iam in litteris uter pfeccrit: fitr multatu tetu addifceda^
ardentiffima cupiditasrcu cztera illis et a natura 8C a fortuna adiumeta
ad re perficiendam abunde aifintind pariet'' ille diu adolescentibus quos
cariflimos habet operam sua desiderari. At q liceat md iqt BAPTIfta ego
talib5’adolescentibus ounq deerot Sed furgamus ii/SC qm primo mane uobis
e in urbe redeudu.intellexifti cni pau lo an uurcriu publicis Ifis
accctfiri quod reliquu diei eft ualimdini ipedamus. Quzftionu Canuldulefiu
Cbrifiophori Landini [LANDINO] florentini QuaitifiC ultimi libri Finis.
Cum Priuilegio. -Z.sisqfc "Moibc scof. Questo lavoro porta nuovi
elementi allo studio delle complesse vicende inerenti i RERVM GESTARVM
FRANCISCI SPHORTIAE commentarii di Giovanni Simonetta e il relativo
volgarizzamento, la sforziada di L. Nel saggio introduttivo si indagano gli
aspetti biografici, storici e filologici riguardanti le due opere, partendo
proprio da SIMONETTA, attivo nella cancelleria di SFORZA assieme al piú noto
fratello Cicco Simonetta, e ricostruendo la storia testuale dei Commentarii
dalle loro origini agli emendamenti eseguiti dall’umanista POZZO in vista
dell’editio princeps, senza trascurare le vicende editoriali e le prime
reazioni all’opera. Punto di forza dell’analisi è l’aver ritrovato e studiato
nel dettaglio il manoscritto originale, nonché esemplare di dedica, dei
Commentarii, già noto a SORANZO il secolo scorso quale codice Castelbarco.
L’attenzione si sposta quindi da Milano a Firenze, entrando nell’officina
testuale di L. per sondare la sforziada dal punto di vista metodologico e
contenutistico, con un conseguente particolare riguardo per le vicende
successive all’invio del manoscritto di dedica (copiato da Baldinotti) a
Milano, dove il testo viene sottoposto dal Simonetta a numerosi interventi
visibili ancora oggi. Chiude la parte introduttiva un capitolo che vuole
delineare la storia dello sviluppo dei commentarii come genere nel quadro
storiografico dalle origini alla fine del Quattrocento. A seguire il lettore
troverà l’edizione critica della sforziada in veste integrale, corredata di un
approfondito apparato comprensivo degli interventi che ne testimoniano la
ricezione a Milano. Grice: “Perhaps
more interesting than the fact that he loved the Achilleid, and commented on
the Eneide, is that he sold the sforzeide – sull’eroe Milanese, l’invitto
Francesco Sforza! Howell in I Medici. Cristoforo Landino. Cristoforo Landino. Grice:
“I love Landino; for one he wrote the first Italian philosophical dialogue,
“Disputationes” – for another, I love
the setting!” Landino. Keywords: dialettica fiorentina
– implicatura fiorentina – la Sforziada di Simonetta. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Landino” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Landucci: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- i misteri del delitto
Gentile e le bestie senza stato di Vespucci – la scuola di Sarzana -- filosofia
ligure -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sarzana). Filosofo italiano. Sarzana, La Spezia,
Liguria. Grice: “If I had in Hardie a
wonderful mentor to Aristotle, I missed Landucci’s mentoring me into Kant!” – Si
laurea a Pisa con Luporini. Insegna a Firenze. Altri saggi: “Cultura e ideologia
in Sanctis” (Milano, Feltrinelli); “I filosofi e i selvaggi” (Bari, Laterza);
“L’origine della scienza sociale” (Firenze, Sansoni); “La co-scienza e la
storia” (Firenze, Nuova Italia); “La contraddizione” (Firenze, Nuova Italia); “Teodicea”
(Napoli, Bibliopolis); “La Critica della ragion pratica” (Roma, NIS), Sull'etica di Kant, Milano, Guerini, La mente
in Cartesio, Milano, F. Angeli, I
filosofi e Dio, Roma-Bari, Laterza, La doppia verità: conflitti di ragione e
fede tra Medioevo e prima modernità, Milano, Feltrinelli, A. Gnoli, Intervista,
"Repubblica", Scheda biografica su Einaudi. Sergio Landucci. Grice:
“Basically, Landucci covers all the topics of my interests, including that of
the alleged ambiguity in Kant’s idea of a ‘reason’!” UCCI, UCCI SENTO ODOR DI L. – I MISTERI DEL DELITTO
GENTILE, IL LEGAME CON LUPORINI, IL '68 IN CATTEDRA ("FUMMO INVASI DAGLI
ANALFABETI") IL GRANDE FILOSOFO SI RACCONTA: “MI PIACEREBBE SCRIVERE UN saggio
SULLA DEMENZA SENILE CHE STA ATTANAGLIANDO L' OCCIDENTE. RICORDO UNA FRASE CHE
DICE: "GRANDEZZA È CIÒ CHE NOI NON SIAMO". HO LA SENSAZIONE CHE
L'ABBIAMO DIMENTICATA…” Gnoli per Robinson-la Repubblica landucci
LANDUCCI Per molto tempo il suo nome è rimasto associato a un grande
libro che quando apparve nei primi anni Settanta fu come una meteora, tanto
sembrò strano nel panorama delle cose che allora si pubblicavano. Sto parlando
de I filosofi e i selvaggi (uscì allora per l' editore Laterza ed è stato ripubblicato,
e aggiornato, qualche mese fa da Einaudi). La sua lettura mi colpì allora
e mi rimanda all' oggi con i "selvaggi", sempre meno variopinti ed
esotici, spinti dalla disperazione ad abbandonare le loro terre martoriate. Il
paragone turba L.. Seduto nello studiolo mi guarda con la sua faccia triste.
Sono venuto a Firenze per incontrarlo. Si stupisce e quasi si scusa per il
fastidio che mi avrebbe arrecato: è un uomo timido, deluso, gentile ma altresì
con un retrogusto di indefinita rabbia. Landucci è stato allievo di Luporini,
ha insegnato all' università di Firenze, subendone, dice, tutti i contraccolpi
politici: «Divenni ordinario. Quasi immediatamente percepii un generale clima
di ostilità e rassegnazione. Con una rapidità incredibile la facoltà di
filosofia adottò una selezione alla rovescia: vennero avanti a passo di carica
gli analfabeti, i carichi didattici furono alleggeriti, i ruoli stravolti. Ho
vissuto tremendamente male gli anni dell' insegnamento e decisi per la pensione
anticipate. È stato così frustrante il lavoro universitario? «Lo è stato
certamente per uno come me. Mi consideravo, come si diceva allora, un
"cane sciolto". Mi stupì constatare che la facoltà si era ridotta a
una grande cellula del Pci, su cui si incistò dopo il '68 la contestazione
studentesca». I punti di riferimento furono però due grandi personalità
di sinistra: Garin e Luporini. «Maestri indiscussi. Mi chiedo
tuttavia quanto sia stata acuta la loro vista politica. Garin fu il grande
interprete di una filosofia come sapere storico, il suo storicismo era
totalmente in sintonia con le posizioni culturali del Pci. Quanto a Luporini c'
era un inquietudine ben maggiore che lo portò a misurarsi e a simpatizzare con
le ragioni degli studenti. Non stigmatizzo il loro magistero, cui peraltro devo
moltissimo, sostengo semplicemente che furono anni in cui la politica prese il
sopravvento. Era lo spirito del tempo. Ne facevo parte anch' io, ma senza
tessere o bandiere. Del resto non sono mai stato iscritto a nulla. Giunsi all' Università
di Firenze nel 1960, come libero assistente, chiamato da Luporini. Quali
erano i vostri rapporti? E mio professore a Pisa e con lui mi laureai. Mi
affascinava quest' uomo che andò in Germania a occuparsi di esistenzialismo e
seguì i corsi di Heidegger». Credo sia stato uno dei pochi italiani a
frequentarne i seminari. C' è un episodio rivelatore del rapporto con HEIDEGGER
Quando il filosofo tedesco pronuncial il famigerato discorso con cui si
insediava da Rettore a Friburgo, Luporini restò sconcertato da quell' adesione
al regime. Qualche giorno dopo incontrandolo gli comunicò che lascia Friburgo
per Berlino. Heidegger gli chiese perché. Lui rispose che era interessato ai
corsi di Hartmann. Il maestro lo liquida con un ironico "tanti
auguri"».A proposito di filosofi si è spesso detto che il vecchio lupo,
così era soprannominato Luporini, fosse rimasto l' ultimo a sapere i dettagli
dell' omicidio Gentile. Lei è a conoscenza di qualche particolare? « C' è
innanzitutto da ribadire il legame che Luporini ebbe con Gentile, il quale lo
chiamò come lettore di tedesco a Pisa, in sostituzione di Oscar Kristeller,
ebreo che dovette riparare negli Stati Uniti dopo le leggi razziali. GENTILE aiuta
Kristeller, come pure tanti antifascisti che si rifugiarono alla Treccani e
all' Università, fornendogli soldi e assistenza. Poi chiama Luporini alle due
di notte dicendogli di decidere in fretta perché altrimenti sarebbe venuto
qualcuno dalla Germania, quasi certamente un insegnante di fede nazista».Questo
è lo sfondo. Poi cosa accadde? Quando la situazione precipita. Luporini va
a casa di Gentile e lo scongiura di non entrare nella Repubblica Sociale. Gli
dice. Professore c' è gente che non aspetta altro per ucciderla. GENTILE
aderisce alla Rsi e viene ucciso in un attentato. Si è detto che Luporini conosce
i mandanti e gl’esecutori dell' omicidio. Credo che il vecchio lupo non sa
nulla, o almeno nulla di diretto. Ci e una sua dichiarazione radiofonica in tal
senso, ma credo e il frutto di un fraintendimento. La frase di L. e
questa: Cose che forse non si possono ancora dire. Cosa le fa supporre che e
frutto di equivoco? Il fatto che accreditasse la versione offerta da
Mattei, che sull' argomento cambia più volte opinione. Fino a sostenere che
dietro quell' omicidio ci e BANDINELLI. Mai uno straccio di prova. Credo si sia
perfino inventata che fu lei a indicare al commando gappista la figura di GENTILE,
che non ha mai conosciuto. Poi c' è la testimonianza della moglie di LUPORINI
Maria Bianca Gallinaro, la quale mi disse sconsolata che la storia che Luporini
sapesse era solo una leggenda, del tutto infondata». Possibile che non ci
fosse un grano di verità? « La sola cosa che riesco a pensare è che LUPORINI
e emotivamente coinvolto. Dopo l' attentato, GENTILE e trasportato moribondo
all' ospedale. Il fratello della signora, medico al Careggi, chiama LUPORINI dicendogli
se vuole vedere per l' ultima volta GENTILE. E lui anda e vede il filosofo in
fin di vita. Non credo sia stato un bello spettacolo. Questo è tutto. Dopo
quella dichiarazione radiofonica mi permisi di consigliare Luporini a non
pronunciare più quella frase».E lui? « Non so se fu una mia impressione
ma gli lessi negli occhi un certo imbarazzo». Negli anni di Pisa chi
frequentava? «Tra le persone che hanno avuto un peso: CANTIMORI e TIMPANARO.
Di quest' ultimo divenni grande amico». So che Cantimori incuteva una
certa paura per il modo di fare lezione e interrogare. «A me, che non
sono stato suo scolaro, suscitava tenerezza». Cosa pensa della sua vita
ideologica piuttosto travagliata? « Se allude al passaggio dal fascismo
al comunismo non saprei cosa pensare. Come ad altri intellettuali gli è mancato
il pensiero liberale. Era dominato dai fatti e dall' idea che la storia sia
guidata dal potere. Usce dal Pci. Non solo per i noti episodi di Ungheria ma
perché non ne poteva più del partito. Era un sopravvissuto a se stesso. Cosa
intende? Deluso. Era convinto che io fossi una specie di longa manus del
Pci, non gli ho mai dato la soddisfazione di smentirlo. A volte con ironia
diceva: "Landucci, è vero che non basta dire viva la bandiera rossa per
essere intelligenti?". Gli ultimi anni della sua vita li passò a insegnare
a Firenze, in un ambiente che non lo amava. Prima di morire andò a Princeton
per un ciclo di lezioni e quando tornò gli dissi: "Le ha fatto bene stare
lontano da Firenze". Sì, rispose, ho evitato la noia». Poi c' è TIMPANARO.
«Era stato allievo di PASQUALI, ma invece di inseguire la carriera
universitaria, divenne un outsider della cultura. Motiva la sua scelta con una
certa difficoltà a parlare in pubblico. Ma io so che aveva orrore della
professione accademica. Ebbe rapporti difficili con il mondo e bellissimi con
le persone che amava. Per lungo tempo mi considerò tra queste. Solo negli
ultimi anni scese tra noi il silenzio. Non digerì, non accettò o forse non
seppe accogliere il fatto che mi fossi separato da mia moglie. Ma la vita va
dove deve andare e a volte non ci possiamo fare niente. Da lui ho appreso il
rigore filologico. Fu grandissimo nelle questioni leopardiane e in tutta la
riflessione sul materialismo. Ma anche sorprendentemente originale nella
lettura di Freud. È strano, ma ogni volta che penso alla vita di chiunque, mi
chiedo quanta parte vi avrà avuta il caso. Le coincidenze prese o mancate, per
lo più senza rendersene conto». Per lei il caso è stato così
incisivo? Direi che il caso domina fin dalla famiglia di origine: un
ambiente che non scegliamo, e nel quale ci troviamo gettati». La sua
famiglia com' era? « Papà avvocato, ma frustrato perché ricopriva un
impiego modesto. Mia madre maestra. Vivevamo a Sarzana. Ricordo un padre
anziano e la mamma che gli proibì di venire a prenderci a scuola, me e mio
fratello, per paura che lo scambiassero per il nonno. Lo vivevo come un uomo di
altri tempi. Anche nel lessico ricordava la belle époque. Invece di autista
dice chauffeur, vis à vis a posto di specchio e quando chiedeva l'asciugamano
dice passami il Amava il melodramma italiano. Invece, melodrammatica di suo e
mia madre. Risultato: ho sempre detestato la musica lirica! Forse perfino più
di quanto non abbia detestato che mi chiamassero Sergio». ROUSSEAU
Dà l' impressione di un uomo provato dalla vita. Sono molto amareggiato
dalla mia vita professionale e privata. Non ho né la forza né la voglia di
entrare nei dettagli, ma ho l' impressione di essere stato irriso e torturato
dalla vita. Il lavoro nelle biblioteche di mezza Europa e negli archivi è stata
la mia droga, la mia unica grazia. Non ho avuto nessun successo ma almeno mi ha
consentito di vivere». Non è vero, il suo libro sui "
Filosofi e i selvaggi" è un grande libro. «Non diciamo sciocchezze,
troppo carico di note, di troppe citazioni in originale e, in fondo, di inutile
erudizione. La sola cosa che ricordo è una stroncatura di Diaz. Scriverlo, fu
un' idea casuale. Un libro nato senza nessun presupposto. Diciamo che mi
appassionava Montaigne». È il primo ad accorgersi della figura del
selvaggio e a prenderne le difese. « Non è il primo, ma in qualche modo
rovescia la posizione di Amerigo Vespucci che presenta i selvaggi simili alle
bestie. Diversamente da Colombo che sposa la tesi antica del mito del buon
selvaggio. Montaigne dice che il selvaggio non ha Stato, non ha costrizioni,
non ha religione, non ha falsità, è privo cioè di tutti quei caratteri che
soffocano la civiltà occidentale».È la scena che prevarrà? «È solo una
tesi che a Montaigne serve per screditare la chiesa e gli stati. Gli eccidi, la
violenza, il terrore che scuotono l' Europa delle guerre di religione e che
culminano nella notte di San Bartolomeo, sono messi in contrapposizione con la
mitezza del selvaggio ». È una tesi che riprenderà Rousseau. «Fino a
un certo punto, anche perché il suo selvaggio è un uomo felice ma violento. Non
conosce la corruzione né è posseduto dalla brama di potere, ma è
sostanzialmente un individuo aggressivo. Chi porterà alle estreme conseguenze
questa impostazione è Hobbes che rovescia la costruzione di
Montaigne Hobbes parla di uno "stato di natura".
firenze FIRENZE Dove tutti si fanno la
guerra e dove la vita delle persone è permanentemente in pericolo. L' immagine
di questa condizione brutale Hobbes la ricava dalle descrizioni che vengono
fatte dei selvaggi di America. Si può dire che l' Occidente fin dall' antichità
si sia servito di questo mito con le peggiori intenzioni? « È passata l'
idea, con qualche eccezione, che fossero troppo diversi da noi per ogni
ipotetica assimilazione». Al punto che ancora oggi questa diversità è
vissuta come una minaccia di contagio e sostituzione? Qualcuno, come lei sa, ha
perfino parlato di "uomo bianco" in pericolo di estinzione.
«Nelle fasi di grave fibrillazione sociale, quando il discredito si abbatte su
ogni aspetto della vita politica, il delirio - come strumento patologico -
rischia di trionfare. Mi pare di poter dire che è quanto sta accadendo e che
contribuisce ahimè ai miei stati depressivi. Sono convinto che non ci sia
nessuna giustificazione al male né all' imbecillità. Ho scritto un libro contro
la teodicea, mi piacerebbe scriverne uno sulla demenza senile che sta
attanagliando l' Occidente. Ma non credo di averne più la forza. Mi
resta questa infelicità che è come un che sovrasta le mie parole che non so più
maneggiare con delicatezza. Ricordo una frase che Luporini aveva ripreso dal
vecchio Burckhardt, è bellissima. Dice: "Grandezza è ciò che noi non
siamo". Ho la sensazione che l' abbiamo troppo spesso ignorata o, peggio
ancora, dimenticata». Grice: “Landucci has aptly explored the concept of the ‘barbarian’. It
all starts with Montaigne, an anarchist – he assumes a fake philosophical
position just to justify his anarchisms: savages are fun, happy, and they have
no state! Vespucci moe or less thought the same, but for different reasons.
Just like an ape doesn’t have a state, Vespucci says, so a savage!” -- Landucci.
Keywords: i misteri del delitto Gentile.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Landucci” – The Swimming-Pool Library.
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