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Tuesday, January 28, 2025

LUIGI SPERANZA -- GRICE ITALO A-Z L LA

 

Luigi Speranza -- Grice e Lacida: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. A Pythagorean, according to the “Vita di Pitagora” by Giamblico di Calcide.

 

Luigi Speranza -- Grice e Lacrate: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Lugi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. A Pythagorean, according to the “Vita di Pitagora” by Giamblico di Calcide.

 

Luigi Speranza -- Grice e Lacrito: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. A Pythagorean, according to the “Vita di Pitagora” by Giamblico di Calcide.

 

Luigi Speranza -- Grice e Lafeonte: la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia basilicatese – scuola di Metaponto -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. A Pythagorean, according to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”).

 

Luigi Speranza -- Grice e Lagalla: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazoinale della teoria geocentrica – la terra al centro del universo – filosofia campanese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Padula). Filosofo italiano. Padula, Salerno, Campania. Grice: “I love Lagalla: the fact that he was an Aristotelian when everybody in Florence was a Platonist!” Figlio di un alto funzionario della burocrazia vice-reale. Studia filosofia. Perdette i genitori ed e affidato alla tutela di uno zio paterno, che lo avvia agli studi di filosofia. Volle trasferirsi a Napoli per proseguire nella sua formazione. Si iscrive ai corsi di filosofia dello Studio ed ebbe come maestri Stillabota, Vivoli e Longo. Affidato dal Collegio degli archiatri a Provenzale e Caro per un periodo di tirocinio, sembra vi si fosse condotto con una tale competenza da meritare i gradi accademici nulla pecuniarum solutione. Grazie a Longo, divenne l'ufficiale sanitario di una squadra navale pontificia di stanza a Napoli, con la quale si dirigge verso le coste laziali, per giungere poi a Roma. A Roma consegue una  laurea, in seguito alla quale entra al servizio di Santori, per il cui interessamento ottenne da Clemente VIII l'incarico di lettore di filosofia presso la Sapienza. Cura per Facciottola stampa di un commento ad Aristotele, “De immortalitate animae ex sententia Aristotelis VII”,  manifestazione di un interesse verso la questione dell'anima, intorno alla quale L. si interrogò per buona parte della sua vita intellettuale e che contribuì ad attirargli sospetti di eterodossia.  Altre saggi: “La circuncisione di Cristo”. Al problema dell'anima L. dedica corsi della lettura ordinaria di filosofia, che tenne alla Sapienza. Queste lezioni sono raccolte in  “De anima commentarii”. Allo stesso argomento è dedicato un saggio dato alle stampe da L., il “De immortalitate animorum ex Aristotelis sententia libri III” (Roma). L., pur riaffermando le posizioni della tradizione d’AQUINO sulla questione dell'anima umana, secondo le quali l'anima intellettiva è “forma informans” del corpo ed è molteplice, accetta quelle di Alessandro di Afrodisia a proposito dell'animazione dei cieli, ritenendo che non abbiano l'intelligenza come forma assistente che li muove eternamente, ma piuttosto come forma informante. Morto Santori,  s’avvicina ad Aldobrandini, entrando al suo servizio. Conosce Cesi, al quale e legato da una cordiale amicizia. Se questa non da luogo a un'ascrizione all'Accademia dei Lincei, malgrado una precisa richiesta da parte di L., e solo a causa della sua marcata professione aristotelica Cesi lo presenta comunque a GALILEI quando quest'ultimo si reca a Roma per sottoporre il suo telescopio e le scoperte con esso realizzate al giudizio degli autorevoli astronomi del collegio romano, nonché di influenti membri della Curia pontificia e dello stesso Paolo V. Ne derivarono alcuni incontri, durante i quali L., incuriosito dall'occhialino galileiano, lo sperimenta ed e intrattenuto da Galilei con l'esibizione delle pietre lucifere di Bologna. Da ciò che vide, trasse spunto per due saggi, pubblicati in De phoenomenis in orbe Lunae novi telescopii usu a d. GALILEI nunc iterum suscitatis physica disputatio nec non de luce et lumine altera disputatio (Venezia).  Atteso con impazienza da Galilei, che e costantemente informato da Cesi dei progressi nella composizione, il saggio delude l'ambiente linceo.  Nel primo dei due saggi, pur difendendo la verità ottica di ciò che mostra il telescopio, cerca di spiegare l'irregolare -- la scabrosità della superficie lunare, detta perfetta da Aristotele -- come prodotto del regolare, attraverso una sorta di estensione di un principio di regolarità -- invariabilità dei cieli e dei corpi e fenomeni inclusi in essi -- cui risponde l'intera fisica celeste aristotelica. Le asperità lunari dovevano dunque consistere in parti più dense d’etere, più opache alla luce, e in parti meno dense, più chiare. Nel secondo saggio L. racconta una discussione sulla natura della luce avuta con Galilei, Cesi, Misiani e Clementi: dopo aver ribadito che la luce non è una sostanza, ma un accidente o una qualità reale, tratta delle pietre lucifere e, contro l'interpretazione di Galilei, osserva che la luminescenza delle pietre non è una proprietà del minerale non trattato, ma una conseguenza del processo di calcificazione, che rende la pietra porosa e in grado di assorbire una certa quantità di fuoco e di luce, poi lentamente rilasciata. Con ciò esclude che possa essere il prodotto della riflessione della luce solare sulla terra da parte della luna.  A proposito del primo dei due saggi, Galilei medita di fornire una risposta pubblica, sollecitata dallo stesso L., di cui le note di lettura al volume in questione, sembrano essere il lavoro preparatorio. Tale risposta non arriva, ma i rapporti tra i due divennero più stretti, forse per effetto di un lento avvicinamento delle rispettive posizioni scientifiche. In occasione dell'osservazione di una cometa, scrive il Tractatus “de metheoro quod die nona novembris anni presentisin urbe apparuit sopra collem Pincium” e poiché quest'opera pare, in alcuni punti, accogliere le posizioni di Galilei, e attaccato di scarso aristotelismo. Si convence così a chiedere a Galilei e a Cesi il sostegno per una lettura a Psa. Pur non mancando l'occasione (la morte di Papazzoni aveva reso vacante un posto), non se ne fa niente, ma anche in questo caso i rapporti tra i tre uomini rimasero saldi. Aumenta intanto la sua insofferenza verso gl’ambienti romani che lo guardavano con crescente sospetto. La sua “De coelo animato disputatio” e in Germania, per l'interessamento d’Allacci. Non rinuncia a coltivare la speranza di ottenere un adeguato incarico al di fuori della capitale pontificia, tanto da valutare con attenzione la proposta di trasferirsi alla corte di Sigismondo III. Le compromesse condizioni di salute (soffriva di una malattia urinaria, forse una ipertrofia prostatica con complicanze) e il timore che l'inclemente clima polacco potesse peggiorarle lo portarono a rifiutare.  Continua a praticare la filosofia, e segue il suo protettore Aldobrandini in diversi viaggi in vari luoghi d'Italia. Gli è stato dedicato il cratere L. sulla Luna. Altre saggi:  “De phaenomenis in orbe lunae novi telescopii usu nunc iterum suscitatis” (Venezia); “De metheoro quod die nona novembris anni presentisin urbe apparuit sopra collem Pincium”; “De luce et lumine altera disputatio”; “De immortalitate animorum ex Aristotelis Sententia”(Roma); Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat.; cfr. Kristeller; cfr. Edizione naz. delle opera, Firenze, Biblioteca, Galil., Favaro, nell'ed. naz. delle opere di Galilei, X indica una stampa apparentemente irreperibile, Roma; ma Heidelbergae. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Giano Nicio Eritreo [Gian Vittorio Rossi], Pinacotheca imaginum illustrium doctrinae vel ingenii laude virorum, I, Coloniae Agrippina, Leone Allacci, Vita, Parigi, T. Alfani, Istoria degli anni santi” (Napoli); “Dizionario istorico” (Napoli); F.  Colangelo, Storia dei filosofi e dei matematici napolitani, Napoli Stefano Gradi, Leonis Allatii vita, in Novae patrum bibliothecae, A. Mai, Romae, E. Wohlwill, V. Spampanato, “Bruno” (Messina); G. Crescenzo, Dizionario storico-biografico degli illustri e benemeriti salernitani, Salerno); “I maestri della Sapienza di Roma, E. Conte, Roma, ad ind.; M. Bucciantini, Contro Galileo, Firenze, Italo Gallo, Figure e momenti della cultura salernitana dall'umanesimo ad oggi, Salerno,  Paul Oskar Kristeller, Iter Italicum, Lettere del Lagalla, o di altri con notizie su di lui, si trovano nell'Edizione nazionale delle opere diGalilei, a cura di A. Favaro, Firenze, ad indices, è pubblicato il “De phoenomenis in orbe Lunae” con postille di Galilei); G. Gabrieli, Carteggio linceo, Roma. CoMLOL, Grice: “The more I read secondary bibliography about this one qualifying as ‘napoletano’ – la ‘filosofia napoletana’ ‘il filosofo napoletano’ – the less I’m inclined to consider him Italian!” -- Iulius Caesar Lagalla. Giulio Cesare Lagalla. “Un aristotelico che dialogava con Galilei”. Lagalla. Keywords: implicatura, the earth is flat; la terra e al centro dell’universo, la pietra di Bologna, la kryptonite, la luna, l’immortalita dell’anima, animo, spirare, peripatetici, licei, sublunary, lunary. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lagalla” – The Swimming-Pool Library.  Lagalla.

 

Luigi Speranz -- Grice e Lamisco: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone – Roma – filosofia pugliese – scuola di Taranto – filosofia tarantina – scuola tarantina -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. A Pythagorean and friend of Archita di Taranto. When Plato runs into trouble in Siracusa, Archita sent L. to rescue him – which takes him ‘two weeks and a half.’

 

Luigi Speranza -- Grice e Lamanna: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del risorgimento fiorentino filosofia basilicatese – la scuola di Matera -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo italiano. Matera, Basilicata. Grice: “I like Lamanna – a very systematic philosopher especially interested in the longitudinal history of philosophy – he wrote on economics during controversial times, too!” Linceo. Fa i primi studi in seminario e poi nel Liceo classico della sua città. Si trasfere a Firenze, laureandosi con Sarlo. Insegna a Messina e Firenze. Pubblica un commento alla dottrina. Autore di un fortunato manuale di storia della filosofia. Membro dell'Accademia nazionale dei Lincei. Diresse la "Collana di Filosofia" delle Edizioni Morano di Napoli. Stabilito, per L., che la religiosità e un'esigenza naturale dello spirito umano, egli rileva le contraddizioni percepite dalla coscienza fra l'”essere” (“is”) e il dover essere (“ought”) -- fra l'esigenza di una realtà concepita come razionalità e ordine, e la percezione di una realtà che appare irrazionale e disordinata, così come fra la concezione dell'assolutezza dello spirito e la concreta limitatezza della realtà umana. Da queste contraddizioni deduce la necessità dell'esistenza di Dio. Analoga antinomia gli sembra esistere tra morale e politica che a suo avviso può essere risolta trasportando nell'attività pratica la riconosciuta razionalità dell'ordine trascendente e divino, che è di per sé bene assoluto. In questo modo l'operare umano si fa etico ossia, secondo L., realmente politico, realizzandosi concretamente nell'ordinamento giuridico e, così come nell'operare razionale si concreta la vita morale, da questa si raggiunge l'armonia in cui consiste la bellezza. Altri saggi: “Lo spirito – l’ispirante” (Firenze), Kant, Milano, “La polizia di Platone e gl’uomini”, Milano, “Filosofi italici d’eta antica” (Firenze); La filosofia, Firenze); “Il bene per il bene” (Firenze); “Il regno di fini” (Firenze); Scritti storici e pensieri sulla storia, Padova; Piovani (Torino); Piovani, Tra etica e storia, Napoli); Martano, L'esperienza speculative, in «Filosofia», Calò, Il pensiero, Napoli, Calò, Studi e testimonianze, Matera, Dizionario biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani. Grice: “Lamanna was concerned about the idea of the state, which is not an easy thing. More specifically, the concept of the ITALIAN state. In his history of philosophy for ‘i licei classici’, he rewrote his Manuale di filosofia into a ‘Sommario’. – The history goes smoothly up to Kant. The third volume is about MUSSOLINI. He is the only philosopher he cares to capitalize. He also capitalizes fascism into FASCISMO, which is odd seeing that his main source is Mussolini’s own entry for ‘fascismo’ in the Treccani which does not give it such a status. The third volume is ITALO-CENTRIC, from VICO onwards, FARLINGIERI, and notably GENTILE to end with MUSSOLINI. The idea is presented by L. as a ‘riconstruzione dello stato’ – we are talking of the ‘stato moderno’ – il stato liberale borghese is in ruins – and although he plays with the ‘socialist state’ he does not consider it within the realm of the proper history of philosophy when he talks of French illuminism. So his concern is wht the idea of the state in the liberal party – the philosophy of the laissez-faire. It provides NEGATIVE freedom. Freedom from the other. And there is competition. Also, as he notes, liberalism lies in that the ‘condizioni iniziali’ are hardly ‘equal’ for every member of society, so that liberalism only pays lip service to ‘liberale’. With the socialist state, the problem is the opposite: the state becomes a gestore – and there is this idea of an endless dialectic among the classes. So how does Mussolini reconstruct all this. He calls it ‘stato fascista’ – Had L. continued from Kant to Fichte and Hegel, the student would be more prepared! Mussolini’s idea of the state is Hegel’s – it is the NAZIONE-STATO. While Mussolini speaks of the ‘individui’ of this nazione, he means the Italians (not the Jews, etc.). SO this NAZIONE however, is MORE than the sum of its individui. Individui come and go – but the state remains. The state becomes governo. Mussolini’s prose is machist and homosocial, and Lamanna has to lower down the rhetoric, but nothing is said about Germany. It is ITALY which is seen as proposing this new or novel idea of the state (after la rivoluzione fascista) with a Kantian approach. Since L. has only read Kant seriously, he applies Kantian categories here: Mussolini’s fascist state gives each individual POSITIVE freedom – to be a slave to the CAPO or Duce who ‘knows’ how to command. L. quotes from CICERONE to the effect that it is obeying the law that makes us free. The emphasis is constantly on the azione or prassi, which is understandable since the pupils are supposed to learn about philosophy. So where is the dotttina? Mussolini is candid about this. When ‘I all started it’ I did not know where I was going. It was the ANTI-PARTY movement --. L. provides the editorial. During the ventennio, this action, which is the INSTINCTIVE FORCE OF THE SPIRIT OF THE NATION, becomes legalistic, a party is formed, and indeed a government (polizia, politeia) established. But Mussolini accepts castes in society. Even the religion, a civil religion, is subdued and one can very well be allowed to worthip the God of the Heroes. It is an ‘etica guerriera’ and it targets the male – virtu, andreia. Being commanded by one know knows is a privilege. Ths is interesting because this is conceived after the temporary successes in Africa – Mussolini romano e africano – and before the problems of the second world war. For the first time, Italians FEEL they are part of a NATION. The seeds are in the Risorgimento, but this got stuck with a liberal kind of state, which only provides negative freedom, anyway, and where the initial conditions are  unequal. Lo stato fascista does not play with parlamentarism, so Congress is closed, and the only party is the national party. Jews are excluded from PUBLIC service -- even if some wrote panegirici for fascism, like Mondolfo. The philosophical foundations are found in Hegel. If Hegel concentrated all in the Kaiser of Prussia, Mussolini does so with himself. GENTILE did not really help, although he was the official voice of fascist philosophy --. The student of philosophy then is taught the lessons of history (philosophy is IDENTIFIED with its history) and indoctrinated in the final stages into a particular IDEOLOGY. The tone is catechistic, and there is no idea of dissent. L. however emphasises that the stato fascista still recognizes the indidivuality and the personality of each member – as the stato comunista or socialista would not!” IL REALISMO PSICOLOGISTICO NELLA NUOVA FILOSOFIA ITALIANA. Sarlo, nato nel 1864 in un paesello della Basilicata (San Chirico Raparo), venne alla filosofia dalla medicina. E ve Io condusse intima vocazione, oltre, e più, che esterna vicenda di casi. Già durante gli studi universitari, a Napoli, si compiaceva di frequentare, con le lezioni della Facoltà cui era iscritto, quelle di lettere e filosofia: e fu, tra l’altro, uditore dello Spaventa negli ultimi anni del suo insegnamento. La stessa sua prima pubblicazione — un volumetto di Studi sul Darwinismo, ch’egli scrisse ancor giovanetto nel 1887 — attesta la tendenza di lui a studiare, anche nel campo delle scienze biologiche, le questioni più generali, quelle che sono poi stimolo e offrono motivi alla speculazione filosofica. Questa tendenza divenne in lui sempre più consapevole durante gli anni che passò, come medico, nel Manicomio di Reggio Emilia, dove compì ricerche psichiatriche che, mettendolo a contatto più diretto con i problemi dell’anima, determinarono il suo passaggio alla psicologia e alla filosofia. In questo campo non ebbe maestri: fu un autodidatta: dovette cercar da sè, come a tentoni, la sua strada, ed era naturale che la trovasse solo attraverso deviazioni, incertezze, ritorni. La sua educazione naturalistica e l’influenza dell’ambiente culturale del tempo, impregnato di positivismo, lo portarono dapprima a seguire questo indirizzo di pensiero: e in uno degii organi della filosofia positivistica, la Rivista dell’Angiulli, egli fece le sue prime armi. Ma non tardò ad allontanarsi dal positivismo, a mano a mano che venne ac - quistando coscienza delle deficienze di quella dottrina cosi in ordine all’interpretazione del fatto conoscitivo come in ordine alla fondazione della moralità e religiosità umana: deficienze, che illustrò poi in quelle Note sul positivismo contemporaneo in Italia, pubblicate in appendice agli « Studi sulla Filosofia contemporanea » nel 1901, una delle critiche più penetranti e conclusive che della gnoseologia positivistica siano state fatte in Italia. La sua coscienza filosofica si venne formando nel decennio 1890- 1900. Concorsero a questa formazione lo studio del Rosmini, i rapporti personali o spirituali con alcuni dei più cospicui rappresentanti italiani dello spiritualismo e del neo-criticismo, come Luigi Ferri, Filippo Masci e, in particolare, Francesco Bonatelli, e, più specialmente, lo studio diretto delle correnti più significative del pensiero filosofico e psicologico contemporaneo, segnatamente inglese e tedesco, alcune delle quali egli per primo, o tra i primi, fece conoscere in Italia. E di questa sua attività furono frutto due saggi rosminiani: La logica di A. Rosmini e i problemi della logica moderna e Le basi della psicologia e della biologia secondo A. Rosmini considerate in rapporto ai risultati della scienza moderna (Roma, 1893) — poi rifusi in altri lavori — ; due volumi di Saggi filosofici (Torino, Clau- sen, 1896) — posteriormente anch’essi rielaborati e rifusi —; studi su autori stranieri sparsi in varie riviste, alcuni dei quali furono poi, con altri di epoca posteriore, raccolti nel volume Filosofi del tempo nostro (Firenze, La « Cultura Filosofica» editrice, 1916); saggi di psicologia; il volume Metafisica, Scienza e Moralità (Roma, Balbi, 1898), e il volume già ricordato Studi sulla Filosofia contemporanea : La Filosofia scientifica (Roma, Loescher, 1901). L’esigenza che si rivela come fondamentale in questi studi del De Sarlo, è quella di mostrare le vie per le quali le scienze positive, e più particolarmente quelle naturali, sboccano, per una necessità imposta dalla logica a loro immanente, in una concezione filosofica nella quale il naturalismo è superato, cosi per il riconoscimento dei poteri originari e irriducibili dello spirito quale soggetto conoscente e quale persona morale, come per il coronamento del sapere filosofico in un’interpretazione teistica della realtà universale; mentre, dall’altro lato, la filosofia stessa, come sistemazione e critica del sapere, riceve dalle scienze particolari continuo alimento e stimolo. E la necessità di questo connubio fecondo, nella loro reciproca azione, della scienza e della filosofia, è rimasta come uno dei motivi principali del pensiero del De Sarlo, anche quando, nel periodo di piena maturità della sua attività di studioso, ha tratto i principii del suo filosofare non più dal neo-criticismo, di cui si sente l’influsso neghi scritti sinora citati, ma dallo sperimentalismo inglese — da Locke a Mill —; dall’intuizionismo della scuola scozzese — specie per il rilievo costantemente dato agli assiomi così gnoseologici come etici, costitutivi dello spirito umano, e apprensibili con evidenza immediata nell’esperienza interna e infine dal realismo dell’Her- bart e del Lotze. Conseguita nel 1894 la libera docenza in filosofia presso l'Università di Roma, insegnò questa disciplina nei licei di Benevento, di Torino, di Roma, fino al 1900, quando ottenne per concorso la cattedra di filosofia teoretica all’Istituto di Studi Superiori di Firenze, cattedra ch’egli ha tenuto e tiene ancor oggi con l’autorità e l’efficacia di un Maestro. Presso lo stesso Istituto Superiore fondò nel 1903 un Gabinetto di Psicologia Sperimentale, il primo del genere in Italia, e che è rimasto anche oggi il più ricco di apparecchi: molte e importanti ricerche vi sono state compiute sotto la sua direzione, sebbene, in questi ultimi anni, la potenzialità scientifica- mente produttiva del Gabinetto sia stata assai ridotta per le condizioni materiali veramente miserevoli nelle quali si è venuto a trovare. Dal 1907 al 1917 il De Sarlo ha diretto la Cultura Filosofica, una Rivista che ebbe un programma ben definito e, specie nei primi anni, fu vivacemente battagliera cosi contro il positivismo ormai declinante, come, e più, contro il risorgente idealismo. La sua operosità di studioso ha dispiegato con assiduità e intensità instancabile nel campo della psicologia, dell’etica, della filosofia generale, pubblicando poderosi volumi, ai quali specialmente noi ci riferiremo nella esposizione e caratterizzazione della sua filosofia (1). (1) Il valore della sua opera ha avuto riconoscimento ufficiale nel premio Reale per la filosofia, conferitogli nel 1920 dall’Accademia dei Lincei, della quale egli è, dal 1921, socio nazionale. Elenchiamo qui le opere principali del De Sarlo, escluse le prime già citate che poi sono state rifuse nelle successive: Metafisica Scienza e Moralità. Studi di Filosofia morale. Roma, Balbi, 1898, 1 voi. di circa 250 pagg. in 8: [Contiene: Il naturalismo — Il telismo — L’idealismo e la moralità — Il socialismo come concezione filosofica — Vita morale e vita sociale]. Studi sulla Filosofia contemporanea. — Prolegomeni : La « Filosofia scientifica ». — Roma, Loescher. Sarlo d’ordinario è presentato come un teista e uno spiritualista. Tale egli stesso ha sovente dichiarato esplicitamente [Contiene : Du Boys-Reymond, Helmholtz, Darwin, Il positivismo contemporaneo in Italia ]. I dati dell’esperienza psichica. Firenze, Pubblicazioni del R. Istituto di Studi Superiori, 1903, 1. voi. di pagg. 430 in-8. L’attività pratica e la coscienza morale. Firenze, Seeber, 1907, 1 voi. di pagg. 250 in-16. Principii di Scienza etica, con un’Appendice su La patologia mentale in rap- perto all’etica e al diritto. Palermo, Sandron, [1907], 2 voi. di circa pagg. 500 in-16 (in collaborazione con Q. Calò). II Pensiero Moderno. Palermo, Sandron, [1915], 1 voi. di pagg. 410 in-8. [Contiene: a) Tre studi che possiamo dire introduttivi : La formazione della coscienza filosofica odierna — Uno sguardo alla filosofia del sec. XIX — I compiti della filosofia nel momento presente. b) Altri tre studi che costituiscono come la parte centrale del volume, la più vasta per il contenuto che abbraccia e per l’estensione che ha: ! problemi gnoseologici nella filosofia contemporanea — Lo psicologismo nelle sue principali forme — / diritti della Metafisica, nel quale ultimo specialmente sono sottoposti a un rapido e vigoroso esame critico i principali indirizzi della filosofia contemporanea. c) Altri quattro studi su particolari problemi o correnti filosofiche : Il significato filosofico dell'evoluzione [Filosofia e scienza dei valori — Stillo spiritualismo odierno]. Filosofi del tempo nostro. Firenze, La «Cultura Filosofica» editrice, 1916. [Contiene studi su Paulsen, Hodgson, Ward, Bradley, Reitike, Hartmann, Zeller, Bonatelli]. Psicologia e Filosofìa. Studi e ricerche. Firenze, La « Cultura Filosofica » editrice, 1918. 2. voi. di pagg. 1000 in-8. [Contiene: a) Alcuni studi di filosofia generale, importantissimi per la comprensione della posizione del De Sarlo nel campo filosofico, e della concezione dei rapporti tra filosofia e psicologia: Vecchia e nuova Psicologia — La psicologia e le scienze normative — L’esperienza psichica — L’individuo dal punto di vita psicologico — Il soggetto — La causalità psichica — Sensazione e coscienza. b ) Due ampi studi di psicologia metafisica: Il concetto dell'anima nella psicologia contemporanea — Idee metafisiche intorno all’anima c ) Saggi contenenti la materia per un orgànico trattato sulle funzioni psichiche : La classificazione dei fatti psichici — L’attività conoscitiva — L’attività immaginativa Vita affettiva ed attività pratica, con i quali saggi è strettamente connesso un amplissimq studio intorno a Le determinazioni formali della vita psichica, e più particolarmente all'azione dell’esercizio e dell'abitudine su tutte le funzioni fisiologiche e psichiche. (Appartengono a questo gruppo altri saggi minori.- Sulla teoria somatica delle emozioni — Sullo studio dei sentimenti nella psicologia inglese contemporanea - Sulla percezione delle forme). d) Studi di psicologia fisiologica e patologica: Cervello e attività psichica — L’attività psichica incosciente — Sulla psicologia della suggestione — Le alterazioni della vita psichica — La psicologia degli animali]. di essere. E tale, certo, egli si rivela nei suoi scritti, dai più antichi ai più recenti. — Ma, è da aggiungere subito, non è data così la caratteristica più saliente della sua figura di pensatore: sfugge a quella designazione gran parte, e forse la più significativa, della sua opera filosofica; viene, comunque, lasciata cosi nell’ombra quella concezione della filosofia e del metodo di filosofare che, meglio d’ogni altro elemento, vale a individuare la sua posizione personale nel movimento filosofico italiano contemporaneo. Uno dei suoi primi lavori, anzi il primo veramente organico che l’ulteriore sviluppo del suo pensiero abbia lasciato immune da quelle rielaborazioni più o meno sostanziali cui, come abbiamo già detto, egli ha sottoposto altri suoi scritti di quel tempo, voglio dire il volume Metafìsica, Scienza e Moralità, è tutto una riaffermazione dei princìpi fondamentali della dottrina teistica cosi contro il naturalismo come contro l’idealismo assoluto. La concezione di Dio quale Ragione che si esprime continuamente ed eternamente nel mondo, e non come legge o ordinamento astratto, bensì come soggetto concreto e vivente, è in quel libro svolta e presentata come la sola concezione metafisico-religiosa, che, gravitando sulle esigenze morali più profonde della coscienza umana, sulla considerazione del valore assoluto della persona, contenga di queste esigenze il riconoscimento e la giustificazione più piena, e fornisca per ciò stesso il principio di quella sistematica unificazione di tutta la realtà, a cui la mente umana tende per sua natura, e in cui possono essere inverate le particolari connessioni di frammenti di realtà che le scienze della natura stabiliscono mediante le serie causali dei fenomeni. E tra gli scritti meno antichi, due saggi, dei più elaborati e ricchi d’idee, I diritti della Metafìsica (nel volume « Pensiero Moderno ») e Idee metafìsiche intorno all’anima (nel II voi. di « Psicologia e Filosofia »), giungono, attraverso l’analisi dei concetti di causa e di sostanza, alle medesime conclusioni teistico-spiritualistiche intorno a Dio e all’anima umana. Dio è la Causa prima, la causa che non è effetto, postulata qual condizione essenziale della comprensibilità di qualsiasi fatto particolare in quanto anello di una serie causale: causa la quale non può esser concepita, se non come analoga alla sola causa vera a noi nota, che è la nostra stessa volontà in quanto libera, in quanto costitutiva d’un cominciamento assoluto; non può quindi esser concepita se non come volere essa stessa, e quindi come causa finale. E Dio è la Sostanza Assoluta. l’Essere nel quale trova compiuto soddisfacimento l’esigenza del pensiero a cui risponde il concetto 126 E. PAOLO LAMANNA di sostanza: che è il concetto di essere che non è in altro nè per altro, ma è essere per sè, condizione e presupposto di ogni altra determinazione, principio e unità reale di ogni molteplicità. E anche per questo rispetto esso non può venir concepito se non in analogia con quella che è per noi l’espressione più immediata e genuina della sostanzialità, ossia la coscienza, che è appunto esistenza per sè, l’io che è immediatamente percepito come principio unico di una molteplicità di funzioni e di atti, in cui manifesta la sua realtà. E le sostanze finite possono anche esser considerate come pensieri di Dio, e quindi come atti di quest’Essere per sè per eccellenza, purché però l’atto e la funzione di Dio siano intesi come tali che il termine di essi abbia un essere almeno parzialmente indipendente e sia fornito della capacità di esistere per sè, di spontaneità e di libertà. Appunto queste proprietà degli esseri finiti rileva e illustra il De S. nel tentativo di determinare cosi l’origine come il destino delle anime. L’origine dell’anima la quale implica, per un lato, la produzione di qualcosa di nuovo e, per l’altro, la conformità a un ordine di leggi immutabile, può, secondo il De S., esser posta in rapporto con l’azione divina, purché questa s’intenda appunto come sostrato reale in cui ha il suo sostegno quell’ordinamento di leggi, per il quale, in date condizioni, nuovi fatti accadono o nuovi fini e valori vengono realizzati. E poiché quelPordinamento è eterno, anche delle anime può dirsi che esistono ab aeterno, come principi potenziali, i quali aspettano che i destini si maturino per poter divenire attuali. E una volta divenuti attuali, i centri reali di vita e di coscienza sono, secondo il De S-, indistruttibili, appunto in forza del pregio intrinseco che essi posseggono come sostanze: onde l'affermazione dell’immortalità di tutte le anime. * • * 3. — È innegabile, dunque, che del problema metafisico per eccellenza il De S. presenta costantemente una soluzione conforme, nei suoi principii fondamentali, al teismo e spiritualismo tradizionale. Ma bisogna subito aggiungere che nella trattazione di questo problema della realtà egli è sempre consapevole del carattere meramente congetturale di quella soluzione, quantunque questa gli sembri meno inadatta delle altre a dare dei fatti e della realtà conoscibile una certa quale interpretazione sistematica. Egli non si nasconde mai le oscurità che si oppongono alla piena intelligibilità dell’Assoluto: non dissimula le antinomie tra le quali la ragione umana si dibatte ogni volta che pretende di dare della realtà ultima una definizione esauriente. E’ troppo persuaso dello scarso valore dimostrativo che possono avere le analogie in base alle quali noi trasportiamo dal finito all’infinito o estendiamo da una ad altra sfera di realtà i nostri concetti, perchè si possa credere che egli s’illuda sulla portata effettiva di quelle ipotesi, anche se l’intimo convincimento suo della preferibilità di quelle ad altre ipotesi dia talora alla sua trattazione un tono che può parere alquanto dommatico. Le riserve prudenziali che spesso interrompono la sua trattazione di tali problemi potrebbero anzi indurre a ritenere ch’egli sia in fondo un agnostico in fatto di metafisica: ed egli non disdegnerebbe certo questo epiteto, se per agnosticismo s’intende la persuasione che il mistero dell’universo è e rimarrà ineluttabilmente un mistero per la mente umana. Agnosticismo, che ben si concilia in lui con la fede — questa, si, veramente dommatica nel senso migliore delia parola con la fede sulla validità assoluta dei princìpi razionali, con l’affermazione che nel fondo della realtà è la Ragione : si concilia, perchè, data appunto l’ind'pendenza relativa delle coscienze finite dall’Essere assoluto di Dio, possono da ognuna di quelle essere colti soltanto frammenti della razionalità in cui questo si rivela come immanente all'universo. È uno dei caconi della maniera di filosofare del De S. questo, che l’esigenza dell’unità, la quale è essenziale alla ragione e si esprime nel suo grado più alto nella posizione del problema metafisico, non può e non deve essere sodisfatta con l’eliminazione delle differenze che la realtà presenti e la ragione stessa riconosca come irriducibili, anche se non riesca poi facile o possibile alla mente umana stabilire come questa molteplicità irreduttibile possa esser ricondotta o comunque messa in relazione con quel principio reale di unità assoluta che è Dio. Cito due esempi caratteristici, relativi al concetto fondamentale di sostanza. Della sostanza, come s’è visto, noi abbiamo, secondo il D. S., una conoscenza immediata nell’apprensione del nostro io, in quanto questo è un essere per sè e si manifesta nei fatti psichici come in atti suoi, senza esaurirsi in nessuno di essi. Da ciò parrebbe lecito dedurre che il mondo sia costituito di sostanze omogenee, ossia di esseri che siano per sè come unità di coscienza, anche se tra le varie sostanze si debba stabilire una differenza di grado: parrebbe cioè giustificato il monismo spiritualistico. Invece il De S. dedica due saggi ad una critica stringente di questa soluzione del problema metafisico, che pur parrebbe la più conforme ai suoi supposti spiritualistici (// monismo psichico e Sullo spiritualismo odierno, nel volume « Pensiero Moderno »). È vero, egli dice, che tutto ciò che esiste, per il fatto che esiste, agisce in una data maniera, e noi non possiamo rappresentarci codesta attività che facendo uso di nozioni attinte alla nostra esperienza intima, e che quindi in ultimo siamo sempre spinti a identificare l’esistenza con una forma, per quanto attenuata, di psichicità. Ma l’analogia non deve far perdere di vista le profonde differenze esistenti se non altro tra il modo di comportarsi degli obietti e fatti costituenti la natura esterna e quello degli esseri e processi psichici. Anzi, per il De S., a rigore non basterebbe opporre al monismo, sia esso materialistico o immaterialistico, il dualismo : sarebbe più logico parlare di pluralismo senza aggettivi, esprimente una pluralità di energie e di attività tanto differenti tra loro,' che a rigore non possono essere accomunate nè sotto la rubrica spirito né sotto qualsiasi altra rubrica. Come e perchè esista quel dato numero di principii, cornee perchè esistano quelli e non altri, non è possibile dire: è un fatto che va constatato, e non si può e non si deve spiegare; come vanno indagate, constatate e descritte le varie maniere di agire e reagire reciprocamente di questi vari esseri, ma non si può presumere di spiegare, nel vero senso della parola, come e perchè si stabilisca la connessione reciproca di tali esseri che sono esistenti per sè, sebbene nelle maniere speciali di agire e reagire essi affermino e rivelino la loro esistenza. Ma vi ha di più: la sostanza vivente e, più in particolare, la sostanza psichica esiste ed agisce in quanto si sviluppa. Ora uno dei saggi più penetranti del De S. (Il significato filosofico dell'evoluzione, nel volume « Il Pensiero moderno ») è dedicato all’analisi del concetto di evoluzione, ed è uno dei più significativi per dimostrare come nella concezione metafisica del De S. si conciliino un temperato razionalismo e un prudente agnosticismo. Il concetto di evoluzione, lungi dall’essere — come vuole, ad es., l’hegelismo — un principio esplicativo, e lungi dal dare un’espressione compiuta della realtà ultima, ha bisogno esso stesso di venir reso intelligibile. E l’analisi critica di tal concetto rivela la presenza in esso di vere e proprie contradizioni, che non possono essere eliminate se non considerando lo sviluppo non già come il prius della realtà, ma come qualcosa di accessorio e di secondario. Il processo evolutivo, mentre implica necessariamente il tempo, esige l’illusorietà del tempo; mentre vuol essere creazione, implica già la preesistenza del termine a cui arriva; si può leggere in esso, almeno post factum, la rispondenza a un ordine razionale, ma chi dice razionalità, dice estra- temporaneità. Ogni evoluzione implica dunque qualcosa di assoluto, di perfetto, di stabile, che rappresenta il principio vero dell’evoluzione. Ecco il risultato, positivo, certo, cui conduce l’analisi del concetto di evoluzione: ma è una certezza che fa sorgere nuovi interrogativi: allora, ci si domanda, come e perchè i reali concreti e finiti sono cosi fatti da dover attuare i fini solo mediante il processo evolutivo, come e perchè l’ordine si realizza per gradi e attraverso lo sviluppo? Il che equivale a domandarsi come e perchè esistano esseri finiti che si trovano con l’assoluto in quegli speciali rapporti. E a questi interrogativi non è possibile rispondere: ed ecco come, conclude il De S., l’evoluzione è un aspetto del « my- sterium magnurn » della realtà. Il problema dell’evoluzione reale conduce al problema del tempo, e come questo resulta dalla connessione del flusso con la permanenza, della successione con la durata, così l’evoluzione poggia sul rapporto del divenire o variare con ciò che è immutabile, permanente e eterno. * * * 4. — Compito df;fa filosofia, dunque, di fronte al problema più propriamente metafisico sembrerebbe essere, per il De S., quello di rendere chiare e in un certo senso acuire e dimostrare insuperabili, piuttosto che superare, le difficoltà che quel problema offre alla mente umana; di illuminare i limiti di essa, piuttosto che additarle un varco alla conoscenza piena dell’Assoluto. Ma non è questo, per il De S., l’unico compito della filosofia: o meglio, per assolvere questo stesso compito, per condurre la mer*e umana appunto a queste posizioni che sono al margine del mistero, a queste che possono dirsi frontiere della conoscenza umana, e per dimostrare che sono frontiere invalicabili, la filosofia deve, secondo il De S., percorrere il dominio stesso che innanzi alla conoscenza si stende, di qua da quelle frontiere: ed è il dominio dell’esperieza nel senso più pieno e più ampio di questa parola. Prima della « Dialettica trascendentale » e quindi prima della Critica della Ragion pratica con i suoi postulati, vi è e vi deve essere una « Estetica » e una «Analitica», per servirci della terminologia usata da Kant, a designare un atteggiamento di pensiero analogo, per questo rispetto, a quello criticistico, anche se, come vedremo, muova da supposti e segua un. procedimento e giunga a risultati profondamente diversi. L’attività filosofica del De S. ha avuto sempre, sin dalle sue prime manifestazioni, un’impronta di positività, disdegnosa di ogni audacia speculativa, derivante così dalla tempra del suo spirito come dalla sua educazione scientifica, oltre che dal convincimento del valore nullo di ogni concezione che non sia un portato necessario della critica della conoscenza positiva e non abbia quindi una larga base empirica. Ma questo convincimento, si può dire, si è venuto in lui sempre più radicando col maturarsi del suo pensiero, sino a divenire il motivo fondamentale sempre più insistente del suo filosofare; sì che con questa designazione appunto di filosofia dell'esperienza egli ama contrassegnare la sua dottrina e il suo metodo, in recisa opposizione alla speculazione idealistica dei neo hegeliani, che si è andata sempre più affermando in Italia. Si direbbe che il diffondersi di quell’antiempirismo dialettico ch’egli considera un vero « contagio » delle menti, l’abbia indotto ad accentuare sempre più la necessità di ricorrere a cautele immunizzatrici, in un contatto sempre più stretto, e più esclusivo, della filosofia col sapere empirico; di ricondurre la filosofia, come in rifugio sicuro, in quei confini entro i quali essa possa mantenere il carattere di scienza, essere, ai pari delle altre scienze, un prodotto dei processi logici comuni della mente umana, anziché l’espressione — mistica o lirica che sia, notevole quanto si voglia per novità e originalità, ma non suscettibile d’una dimostrazione razionale — l’espressione, dicevo, di una coscienza e quasi d’un temperamento individuale traverso il quale la realtà si rifranga. E inaugurando, nello scorso ottobre, l’ultimo Congresso italiano di filosofia a Firenze, giunse alle affermazioni estreme che le attuali condizioni della cultura filosofica in Italia esigono un più o meno lungo periodo di astinenza dall’alta speculazione, e che non il problema filosofico, quello metafisico intorno alla natura della realtà ultima e assoluta, ina / problemi filosofici particolari, o meglio questi prima e con più fiducia e anzi con più sicurezza di successo che quello, e come condizione per la stessa impostazione non che per ogni tentativo di soluzione di quello, meritano di essere oggetto dell’indagine filosofica. Ma con ciò, si può osservare, non è stato sacrificato proprio quello che è il carattere distintivo del sapere filosofico rispetto alle scienze particolari, e che è appunto la determinazione della relazione dei distinti, il riferimento della molteplicità delle distinzioni a un principio unitario? Il De S. risponde che la filosofia è aspirazione alla unità dell’Essere, senza che perciò il filosofo debba trasformarsi in un allucinato dell’unità. La varietà e la inconciliabilità dei tentativi compiuti nella storia della filosofia per unificare i reali e-le conoscenze e per dedurre la complessità dei fatti da un unico principio, sta a dimostrare, secondo lui, che all’unificazione si giunge colmando con l’immaginazione le lacune della conoscenza certa e dimostrabile. Gli si può replicare con l’obiezione consueta, che la vanità di quei tentativi risulta dall’aver cercato la unità nell’oggetto invece che nel soggetto, nella natura (o in Dio, che è lo stesso) invece che nello Spirito. Ma il De S. ribatte che anzi appunto attraverso quel riferimento degli oggetti al soggetto conoscente, appunto attraverso quella unificazione, diremmo, metodologica e gnoseologica, di tutto il reale nell’io — che è propria del sapere filosofico —, si rivela la irriducibilità, diremo, ontologica degli oggetti e dei valori. Infatti, per il De S., se da un lato la filosofia non può non scindersi in una molteplicità di discipline, fondate su principii irriducibili (essere e valere, p. es.), dall’altro lato queste hanno caratteri comuni, che valgano a fare di esse appunto un unico gruppo, quello delle disciplini; filosofiche. E questi caratteri comuni sono: I) determinazione dei concetti universali, attraverso i quali la realtà può essere razionalizzata; 2) riferimento di tutta la realtà allo spirito del soggetto, in cui e per cui l’esperienza in ogni sua forma si costituisce. Due caratteri, questi, che sono per il De S. strettamente uniti e come interdipendenti: perchè le idee universali — ossia le nozioni metafisiche fondamentali — intanto assurgono a quel grado di fecondità per cui rappresentano i mezzi di razionalizzazione della realtà, in quanto o sono il risultato della giustii.jata estensione a tutta la realtà di concetti che abbiamo direttamente appreso nella coscienza (sostanza, fine, causa), ovvero sono il prodotto della riflessione sui modi in cui la realtà diviene intelligibile e acquista consistenza nella mente umana. Lo spirito, in quanto termine comune di riferimento di tutti gli elementi e fatti della realtà, viene ad occupare una posizione centrale nel mondo, e la psicologia, come scienza dello spirito, costituisce il terreno di incontro delle diverse discipline filosofiche. Si è detto, la psicologia come scienza dello spirito : e di questa determinazione v’è bisogno per non cadere nei facili equivoci cui può dar luogo la parola psicologia o psicologismo. Già nei 1903, nel suo poderoso volume I dati dell'esperienza psichica, il De S. insisteva sulla profonda differenza esistente tra la psicologia come scienza empirica e la psicologia coinè scienza filosofica. La prima, quale si è venuta costituendo negli ultimi decenni, studia l’anima umana come un « obietto» tra gli altri obietti della natura, ha aspetto e procedimento di una scienza naturale e non mira che alla spiegazione causale dei fenomeni. Per essa la vita psichica è un complesso di « stati » di coscienza: i quali, sì, implicano tutti una certa coscienza dell’io (in maniera che per il De S. non è possibile una psicologia « senz’anima », anche se sia psicologia empirica): ma il soggetto non è còlto, da questa, in funzione, ossia nella sua attività tendente a determinati scopi. Si tratta di una considerazione statico di dati, a cui il concetto di atto è necessariamente estraneo; di una considerazione che tende a fissare i rapporti condizionali dei vari ordini di stati psichici e a ridurre il complesso al semplice. La psicologia empirica deve quindi limitarsi all’«analisi morfologica» della coscienza, escludente qualunque funzionalità e quindi qualunque dinamismo. Ora « lo spirito — dice il De Sarlo (p. 412) — non è una cosa tra le altre cose, ma è il mezzo di rivelazione della realtà. Come tale lo spirito è universale: universalizza sè stesso nelle sue funzioni ed universalizza per ciò stesso l’obietto a cui è rivolta la sua attività ». Ecco perchè lo spirito può considerarsi come in una posizione centrale rispetto a tutte le cose: e la scienza che lo studia, ossia la psicologia come “ fisiologia „ dello spirito, è necessariamente scienza filosofica. Nella considerazione funzionale dello spirito s’impone il concetto di valore e quindi di fine. Le funzioni dello spirito mercè i loro atti oggettivano i dati e stati soggettivi; perchè sono determinazioni che qualificano, sì, il soggettò, ma lo qualificano in rapporto all’oggetto, e danno quindi luogo a ciò che è universalmente valido, a quelli che sono i valori oggettivi. La verità, il bene, il bello non sono dei dati o dei fatti: sono degl’ideali, sono appunto valori, distinti da ogni altro valore unicamente soggettivo per questo carattere, che sono forniti di una speciale necessità che è la necessitàdi diritto ben diversa dalla necessità di fatto degli stati psichici. Quest’ultima denota soltanto che uno stato è inevitabilmente determinato, nella sua insorgenza, da certe condizioni, una volta che queste siano date, cioè siano determinate da altre condizioni, e così via; denota cioè che uno stato o un fatto psichico ha sempre la sua ragione d’essere in altro. Ma è indifferente al valore di quello stesso stato o fatto, se per valore s’intende ciò che ha la ragion d’essere in sè e non in altro ossia un valore incondizionato e assoluto, ciò che deve essere anche se le condizioni dell’essere non sussistano e quindi la realtà non sia ad esso adeguata. La necessità psicologica abbraccia indifferentemente nella sua spiegazione così il valore come il disvalore, così il vero, il bello, il bene, come l’errore, il brutto, il male. Una tale distinzione di valore, come distinzione obiettiva e universale, non si può avere se non mediante il riferimento alle leggi costitutive delle funzioni originarie ed essenziali dello spirito, leggi non meccaniche, superiori anzi al meccanismo psichico, perchè essenzialmente teleologiche, indicanti cioè la maniera in cui quelle funzioni agiscono ogni volta che raggiungono il termine che è costitutivo della loro natura spirituale, leggi rivelanti la loro natura attraverso una forma di evidenza che è indizio della loro necessità e universalità. Le leggi logiche e gnoseologiche definiscono la natura del pensiero, le leggi etiche quelle della volontà, le leggi estetiche quelle della fantasia. Sono principii o assiomi i quali significano che il pensiero, il volere e la fantasia in tanto meritano veramente questo nome e in tanto raggiungiamo il termine che ad esse è proprio, in quanto si esplicano nel senso indicato da quelle leggi piuttosto che in altro senso. La distinzione tra psicologia empirica, come scienza dell’anima — morfologica, naturalistica e la psicologia come scienza dello spirito — funzionale e filosofica, così nettamente affermata dal De S. nell’opera su citata del 1903, è forse stata successivamente attenuata in altri scritti, nel senso che, a suo giudizio, la conoscenza del meccanismo psichico risulta utile alla determinazione dei modi in cui lo spirito si eleve al di sopra di esso r e reciprocamente la conoscenza dei fini dello spirito è indispensabile per l’apprensione esatta del meccanismo che serve di mezzo al raggiungimento di t'°i. Ma l’attenuazione si riferisce ai rapporti tra le due considerazioni dell’anima e non elimina con ciò la distinzione. E comunque il De S. non ha mai cessato di differenziare nettamente ed energicamente il suo psicologismo da quello naturalistico, che considera i valori dello spirito come « o applicazioni di leggi psicologiche già operative in altre direzioni, ovvero particolari, originarie manifestazioni dell’attività psichica, le quali però attingono il loro significato dall’essere effetti necessari di certe cause psichiche o risultati inevitabili di processi mentali naturali, e non già dal rispondere a certi fini od esigenze valide anche se non mai realizzate». Si leggano specialmente, in proposito, i saggi Lo psicologismo nelle sue principali forme (nel voi. < Pensiero Moderno »), Vecchia e nuova psicologia, La psicologia e le scienze normative, e La classificazione dei fatti psichici (nel I voi. di « Psicologia e Filosofia »). Lo psicologismo di SARLO . non è dunque naturalismo, ma non è neppure immanentismo: offre anzi a lui il mezzo per affermare e dimostrare, contro ogni forma d’idealismo immanentistico, il suo realismo gnoseologico. Se nella determinazione di ciò che è l’essere e, in genere, di ciò che è oggetto di conoscenza, il De S. ritiene di dovere attenersi ai criteri generali su esposti del suo psicologismo, non è già perchè egli ritenga che la psiche e i processi psichici costituiscano la stessa realtà, anzi lo stesso essere, ma è solo in considerazione delle prerogative che, in ordine alla conoscenza, sono proprie dell’esperienza psichica di fronte ad ogni altra forma di esperienza. E queste prerogative sono due: 1) innanzi tutto la così detta esperienza estèrna si rivela e acquista consistenza sempre attraverso l'interna, perchè ciò che è direttamente percepito, anche in quelli che sono comunemente detti oggetti esterni, è sempre il contenuto d’un atto psichico; l’esperienza interna presenta la nota dell’evidenza (evidenza di fatto) derivante dalla coincidenza del percepire col percepito; e perciò l’esperienza psichica rappresenta il vero fondamento per la constatazione di qualunque esistenza reale, e quindi di ogni sapere empirico. 2) In secondo luogo, l’esperienza psichica è il solo tramite attraverso il quale tutto ciò che è (reale o pensabile che sia), l’essere in generale ci si può rivelare. L’io distinguendosi da tutta la realtà traspare a sè medesimo, e insieme tutta la realtà diviene trasparente attraverso di esso. Nulla esiste che sia propriamente nell’io, tranne l’io stesso, e insieme, in un certo senso, nulla di cui si può discorrere esiste al di fuori dell’io, perchè la cosa, per essere affermata e riconosciuta, deve in qualche maniera esser presente alla coscienza. In questo consiste ciò che si può chiamare funzione rappresentativa della mente. Ma proprio da questo carattere essenziale alla mente il De S. deriva la necessità di affermare la trascendenza dell’oggetto rispetto alla mente che lo afferma e lo pone. Noi, egli dice, arriviamo, è vero, al concetto di essere e di obietto solo mediante la riflessione sull’atto di riconoscimento: ma questo in tanto è tale, in quanto è provocato da qualcosa di diverso da sè. La mente, non contenendo la realtà come tale, nè identificandosi con essa, non può giungervi se non attraverso qualcosa che rappresenti o sostituisca la realtà medesima. Le rappresentazioni mentali forniscono i segni in base a cui l’intelletto costituisce la realtà. La realtà, si può anche dire che sia « percipi « e « intelligi », purché con ciò non si voglia significare che l’essere si esaurisca nel fatto di essere percepito e inteso, ma solo che non si ha modo di definire quest’essere prescindendo dalle sue rivelazioni nella coscienza individuale. La conoscenza vale sempre per altro, si riferisce sempre ad altro. Non che si tratti di una specie di corrispondenza tra l’obietto trascendente e la rappresentazione mentale — come grossolanamente si ritiene da molti critici di tale concezione —, quasi fosse ammissibile un’apprensione dell’oggetto qual’è in sé al di fuori della coscienza e quindi un confronto tra la Cosa e 1 idea- L affermazione della trascendenza è imposta dal bisogno di dare un senso alla funzione conoscitiva qual’è còlta in atto, al fatto conoscitivo nel suo significato e nell’intendimento che lo anima. Certo, per il De S., non si deve con Jiò pregiudicare la soluzione del problema metafisico della costituzioile intima della realtà ultima. La metafisica può anche giungere alla conclusione che la realtà, divelta da qualsiasi rapporto con la coscienza, è un non senso, che tutto ciò che esiste, esiste in quanto è connesso con una coscienza. Ma questo rapporto metafisico non può essere identificato col rapporto gnoseologico tra obbietto e coscienza in quanto conoscente. La coscienza nel riferimento alla quale può farsi consistere la realtà di tutto ciò che è, non è certo la coscienza individuale del soggetto che conosce questa realtà e la conosce riferendola a sé come altro da sè: anche quando si sia ridotta metafisicamente la realtà a coscienza, tale coscienza rispetto al soggetto conoscente, a questo o quel soggetto, è sempre un reale, un oggetto, è sempre appresa da esso come altro da sè. Il quale ultimo punto non potrebbe essere negato se ì.'in dimostrando che la distinzione delle singole coscienze è illusoria e che i rapporti tra gli obietti costituenti l’universo sono identici ai rapporti tra i fatti psichici di ciascuno. Questa dimostrazione, per il De S., non può essere data: e ne vedremo il perchè, tra poco, a proposito della natura del soggetto come reale. E, comunque, allo stesso modo che la soluzione del problema gnoseologico non deve accogliersi come tale da contenere o assorbire in sè la soluzione del problema metafisico, cosi questa — che, d’altronde, può essere solo punto d’arrivo dell’indagine filosofica, e irta, come s’è già detto, di difficoltà e oscurità d’c^ni sorta —, non può e non deve pregiudicare la soluzione del problema gnoseologico, sino a eliminare ciò che è costitutivo del fatto della conoscenza, la dualità di soggetto e oggetto. L’esperienza psichica — l’abbiamo già detto — è, per il De S., costituita di atti : e perciò anche il pensiero è atto. Ma chi dice atto, dice qualcosa che accade nel tempo, qualcosa che sorge e si dilegua in un determinato punto della durata. E allora, secondo il De S., non si può sfuggire a questo quesito: se tutta l’esperienza psichica si risolve in un complesso di atti e se in conseguenza tutto ciò che può essere conosciuto non lo può che attraverso atti, come é possibile arrivare al concetto di ciò che non è atto, al concetto, poniamo, di una relazione universale e necessaria tra idee, com'è possibile arrivare al concetto del mondo della pensabilità, che esclude qualsiasi elemento di efficienza, di azione reale, e che non è nel tempo? Appunto per rispondere a questo quesito, occorre negare l’immanenza o l’inclusione dell’oggetto nell’atto psichico corrispondente. Mentre vi sono contenuti di coscienza i quali si moltiplicano come si moltiplicano i centri di coscienza, ve ne sono altri che, pur essendo in speciale rapporto con i primi, rimangono unici e anzi non sono concepibili che come unici. E anche quando agli obietti in quanto parvenze non è attribuibile nessuna consistenza reale, non è lecito affermare che essi si identifichino con gli atti stessi, giacché anche in tali casi è sempre necessario presupporre ddle condizioni indipendenti atte a provocare l’esplicazione dell’attività psichica riconosciuta poi come illusoria. L’esistenza di siffatte condizioni è un presupposto ineliminabile : o l’attività psichica ch’esse hanno provocata è adeguata alle condizioni medesime, e allora si è autorizzati a identificarle con obietti reali, aventi un’esistenza indipendente; o tale esplicazione è inadeguata, e allora s’impone la necessità di ricercare quale forma di realtà e di esistenza possa essere attribuita a quelle condizioni. Ma come si può decidere se vi sia o no adeguazione dell’atto all’oggetto? Qui il De S. insiste sulla distinzione tra i due ordini di oggetti conoscibili: gli obietti concreti e individuali (con le loro qualità) da una parte, e gli elementi ideali o intelligibili, dall’altra. L’esistenza è fornita sempre dall’esperienza: o è dato sensoriale, o è dato della coscienza, e non può non occupare tempo ; l’intelligibile, invece, è sempre formulabile per mezzo di un rapporto o di un complesso di rapporti, ed è estraneo alle vicende del tempo. E il fondamento della cognizione, in rapporto a questi due ordini di obietti, è da un lato la percezione dei fatti psichici e di ciò che è relativo ad essi, e dall’altro la conoscenza di certi principii e assiomi costituenti come l’ossatura della ragione; da un lato, cioè, l’evidenza di fatto, fornita, come si è già accennato, dalla diretta esperienza che abbiamo di noi stessi, e, dall’altro, la necessità razionale, qual’è còlta nei principii logici. Questa distinzipne, però, non è da intendere, secondo il De S., nel senso che l’apprensione dell’esistente e della sua qualità possa farsi indipendentemente dal pensiero logico. Il fatto individuale non è caratterizzabile che mediante nozioni universali; e 1 intelligibile, se può essere considerato per sè (astratto) solo per opera della mente, è tanto intimamente connesso (consubstanziale) con resistente, col puro fatto, che questo non può formare oggetto di conoscenza se non per ciò che contiene di inttj ligibile. È il pensiero che deve in certo modo investire di sè i dati'dell’esperienza psichica per og- gettivarli affermandoli, facendone cioè termini di atti giudicativi, e trasformarli così in reali conosciuti. Più in particolare, è il pensiero che fa di quella sfera dell’esperienza psichica che è la sensibilità, il tramite di una realtà trascendente la coscienza, e fa delle qualità sensoriali non soltanto contenuti psichici — aventi la realtà stessa di altri contenuti psichici, come sentimenti, volizioni ecc., aventi cioè resistenza che è propria degli stati o atti di quel prototipo di realtà individuale che è l’io —, ma fenomeni d’una realtà trascendente. Il pensiero pone e risolve il problema della realtà di un correlato obiettivo delle q alità sensoriali, in quanto da un Iato queste non sono meri contenuti di coscienza o creazione del soggetto — come dimostrano la coerenza e permanenza che presenta l’esperienza sensibile e le variazioni a cui questa può andar soggetta indipendentemente da qualsiasi rapporto con la coscienza individuale — ; e dall’altro lato non sono cose in sè — come dimostra la loro relatività alle condizioni subiettive, per cui è impossibile dire chiaramente in che cosa consistano, per sè prese. D’onde risulta che esse hanno una forma di esistenza speciale che è appunto l’essere proprio dei fenomeni. Ora questo correlato obiettivo delle qualità sensoriali può essere raggiunto solo per opera del pensiero e non è determinabile nei suoi tratti essenziali che in base ai principii razionali. Il pensiero rappresenta, pertanto, il solo mezzo per distinguere l’apparenza dalla realtà, anzi il solo mezzo per attribuire un significato a tale distinzione. Le parvenze sensoriali, i puri fenomeni e le forme intuitive dello spazio e del tempo non possono non essere constatati, e quindi come pseudo-esistenze, non possono non divenire obietti di conoscenze immediate, nella forma di giudizi percettivi (pensiero tetico, immediato, concreto). E quando i dati così affermati si trovino in contrasto col sistema delle conoscenze organizzate intorno ai principii razionali, il pensiero medesimo è chiamato a decidere in ultima istanza su ciò che va affermato come reale e ciò che va riguardato come apparenza, è chiamato a decidere intorno all’obbiettivo e al subbiettivo. Se già l’esistenza come tale esige, secondo il De S., l’intervento del pensiero logico, s’intende che anche l’essenza del reale non possa, e con più forte ragione, esser determinata che dal pensiero. Essa consiste in relazioni, nelle quali la mente traduce ciò che dapprima è soltanto sperimentato e vissuto (somiglianza e differenza, nesso di dipendenza, rapporti quantitativi, rapporti di azione e passione, rapporti spaziali e temporali atti a fornire le coordinate per l’individuazione). L’intelligibile, distrigato dal reale per mezzo dei processi intellettivi, finisce per assumere l’ufficio di segno rispetto a ciò che è posto come indipendente dal soggetto e come sussistente. E il progressivo sviluppo della conoscenza è determinato dal bisogno di fissare ciò che nella realtà vi ha di conforme alla ragione e quindi di assimilabile da essa mediante la traduzione della realtà stessa in rapporti razionali. La credenza che l’obietto sia sempre risolubile in elementi intellettuali è il presupposto e anzi l’anima di qualsiasi conoscenza. La realtà esistente, dunque, non può essere posta che dal pensiero in quanto giudizio tetico; e non può essere conosciuta nella sua struttura se non nella misura in cui il pensiero la traduce in un complesso di rapporti intelligibili. Ma — e con ciò il De Sarlo riafferma il carattere nettamente realistico del suo razionalismo — i termini di questi rapporti e il contenuto di quelle « tesi » non sono risolvibili in pensiero.Vi è sempre distinzione, secondo il De S., tra lo sperimentare e il pensare, nel senso che quello non è derivabile da questo, anche se non possa divenire sperimentare «obiettivo », e quindi conoscere, che per mezzo dell’attività del pensiero; vi è distinzione tra il pensiero come oggetto di conoscenza, come pensabile o pensato, e il pensiero come attività d’un soggetto, volta a raggiungere la verità — sia questa un dato di fatto o un’idea —, come pensiero pensante. È questa la natura dei rapporti, il cui complesso costituisce la pensabilità del reale: da un lato essi sono il risultato di atti (riferimento) compiuti dal soggetto, sì che, come tali, parrebbero immanenti a una mente e quindi il prodotto di un soggetto. Ma dall’altra parte non sono posti arbitrariamente; sono, più che suggeriti, imposti da esigenze obiettive. Nè l’inlelligibiiità dei rapporti viene ad essere facilitata dal riferimento di essi ad una Mente universale. Con ciò i rapporti vengono consideratifcome creazione arbitraria di tale Mente ? E allora ogni analogia di questa con la mente umana verrebbe ad essere cancellata, e il ricorso ad essa diverrebbe inutile allo scopo. Vengono, invece, i rapporti considerati come espressione di una necessità intrinseca alla natura delle cose? E allora la Mente universale non è che il nome per esprimere la coerenza logica, l'intelligibilità nel suo aspetto obiettivo; i»/telligibilità che può condurre la mente ad ammettere un’Intelligenz.l! assoluta, senza che però questa sia assunta a principio esplicativo della razionalità: la razionalità vale per sè, indipendentemente dall’essere insidente in una mente. Quel che noi possiamo dire, conclude in proposito il De S. t è che i rapporti, quali possono essere studiati dall’intelletto finito individuale, suppongono obietti (termini) nella cui proprietà hanno il loro fondamento, e che le relazioni, realizzate in questa o quella coscienza mediante gli atti di riferimento, sono il riflesso delle relazioni obiettive. Il problema gnoseologico, s’è visto, non può, secondo il De S., essere convenientemente trattato se non quando si tenga presente che il soggetto a cui, nel fatto conoscitiva, vien riferito l’oggetto, è il soggetto individuale; e la soluzione réalistica ch’egli ha dato al problema potrebbe essere compromessa esclusivamente nel caso che si fosse riusciti a dimostrare, in sede metafisica, non solo che la realtà non può esser resa intelligibile che quando sia considerata come il pensiero di una Mente Universale, ma anche che la distinzione delle coscienze individuali tra loro e dalla Mente Universale sia illusoria. La dimostrazione di questo secondo punto è per il De S. impossibile. Intanto l’aver riconosciuto che l’esperienza psichica è costituita essenzialmente di atti, non significa per il De S. affermare che il soggetto dell’esperienza psichica si risolve in null’altro che in un complesso di atti. È il concetto e l’esperienza stessa di atto che rinvia per necessità al concetto di soggetto come di un reale distinto da ogni altro reale e quindi da ogni altro soggetto. Certo, non è possibile determinare la natura del soggetto (unità reale) senza riferirsi agli atti ch’esso compie: ma alla variabilità degli atti non corrisponde la variabilità dell’unità del soggetto. L’individuo non può non aver coscienza di essere in rapporto con altro da sè per mezzo di atti da sè stesso compiuti; ma se esso non distinguesse sè (come principio degii atti) dagli atti stessi, e questi dagli obietti a cui gli atti sono rivolti, non potrebbe parlare di atti suoi numericamente distinti da quelli degli altri individui. Inoltre il soggetto si fa, si crea con i suoi atti, ma perchè possa farsi e crearsi, occorre che vi sia un principio reale, un dato iniziale e quindi qualcosa di già fatto. La creazione non è ex nihilo; e la stessa potenzialità o capacità è concepibile soltanto come inerente a qualcosa di attuale, come funzione possibile di un essere. Non può, dunque, la coscienza essere ridotta al mero complesso degli atti e fatti psichici. Ma non può neppure, d’altra parte, — sostiene il De S., confutando in svariatissime occasioni la tesi idealistica —, non può neppure essere ridotta a una mera equazione di pensante e pensato, alla pura relazione formale d’identità tra conoscente e conosciuto. L’idealismo afferma che la suicoscienza è il grado supremo dell’evoluzione d’un principio ideale, d’una legge, d’un universale; quello in cui la realtà, che negli stadi inferiori si presenta come scissa dall’idea, come essere distinto dal pensiero, come oggetto opposto al soggetto, rivela invece la sua più intima natura, che è appunto unità e identità di soggettivo e di oggettivo, di pensante e di pensato, di essere e di pensiero. Quest’affermazione è per il De S. risultato d’una confusione derivante dal significato equivoco della parola coscienza. Quando si parla di coscienza e di suicoscienza, egli dice, bisogna distinguere tra la suicoscienza vera e propria, fondata sulla capacità che ha l’io di ripiegarsi su se stesso e di percepire il complesso dei fatti psichici come incentrantisi in un punto; e la coscienza, in senso largo, come espressione dello speciale rapporto che può esistere tra l’oggetto e l’io come conoscente. Quanto alla prima, l’equazione di pensiero e di pensato non è che l’espressione, in termini intellettuali, d’una esperienza vissuta sui generis, di un fatto che può essere indicato ma non definito, perchè per sè preso oltrepassa il pensiero, e non può assumere carattere di necessità razionale. E quanto alla seconda, la identificazione dei due termini del rapporto conoscitivo non può ottenersi se non sostituendo all’io empirico il cosi detto io universale o coscienza in generale o io trascendentale. Ma osserva il De S., o con ciò s’intende quello che è comune alle menti individuali ; e allora non si vede come si possa distinguere il soggettivo psicologico dal soggettivo gnoseologico. 0 s’intende qualcosa che vale indipendentemente da questa o quella coscienza empirica, che esprime il modo come lo spirito deve operare perchè sia veramente tale, le esigenze dell’intelligibilità significanti veri e propri compiti impditi da ciò che è indipendente dal soggetto; e allora non v’è più ragione di parlare di io, di soggetto, quando la soggettività si è identificata/con la razionalità, con l’intelligibilità, che è anzi l 'oggetto della conoscenza e del pensiero pensante. Ma da tale concezione della coscienza come di categoria delle categorie, questo solo, secondo il De S., si ricava, che la realtà in tanto può essere conosciuta ed essere compenetrata dal pensiero, in quanto è concepita essa tessa come implicante pensiero. Il che poi significa che la realtà è fcosì fatta da imporre certe esigenze alla mente individuale, ossia che nell’obietto vi è qualcosa atto a provocare il riconoscimento. Ma il passaggio dalla intelligibilità in quanto esigenza del riconoscimento da parte del soggetto, alla riduzione della realtà a un processo di autocoscienza, all’affermazione che nella realtà stessa non si trovi niente di più di ciò che è in noi stessi quando giungiamo a identificarci e a riconoscerci, non è affatto giustificato. L’autocoscienza, piuttosto, è già nel fondo della realtà, indipendentemente da noi: non è dunque l’autocoscienza, quale si presenta negli individui singoli, l’espressione genuina e compiuta della realtà. Nè vale ammettere l’autocoscienza come potenzialmente esistente ab aeterno e attuantesi poi negli individui: si riaffaccia allora quella suprema difficoltà contro cui, come già si è accennato, urta sempre il pensiero umano, la difficoltà d’intendereA:ome da ciò che è puramente pensabile, ideale, estratemporaneo, uno, si passi a ciò che è reale, attuale, temporaneo, contingente, diverso, mutevole. Non è possibile considerare soggetti molteplici che sono nel tempo e hanno uno sviluppo e sono direttamente impenetrabili e incomunicabili, come determinazioni, differenziazioni o sezioni dell’Uno, sol perchè essi hanno il potere di superarci limiti del tempo idealmente e di elevarsi al mondo della pura razionalità. E una riprova di questo è l’esistenza dell’errore logico, etico, estetico che dimostra, come già si è visto, la possibilità d’una discrepanza fra le funzioni psichiche e le categorie o principii ideali, di qualunque ordine siano, tra la necessità psicologica e quella deontologica. Questa distinzione tra la necessità di fatto e la necessità di diritto, tra ciò che è ed è per opera di un soggetto reale e quel che dovrebbe essere in virtù di principii razionali, è il presupposto da cui, è naturale, muove più particolarmente il De S., nelle sue indagini di etica (per cui v. specialmente VAttività pratica e la coscienza morate e i Principii di scienza etica). Per lui tutta la vita morale ha il suo fondamento in certi principii valutativi che si rivelano alla coscienza come forniti d’evidenza immediata analoga a quella logica: veri e propri assiomi morali, la cui azione pervade le particolari contingenze della vita pratica. Compiti dell’Etica sono perciò questi: a) determinare la natura del- Vevidenza pratica (necessità e universalità) e- il contenuto di queste condizioni essenziali nella vita morale (e per il De S. tali principii si riducono a quelli della dignità e della perfezione personale, della giustizia e della benevolenza); — b) porre in luce lo svolgimento storico di tali principii, in quanto, pur essendo stati sempre operativi, hanno dispiegato variamente la loro efficacia in relazione con il variare delle condizioni della civiltà; — c) considerare tutte le istituzioni — per qualunque via primamente sorte — alla luce degl’ideali etici, come organi dell’attuazione di essi. II De S., nella trattazione di questi problemi, afferma l’autonomia dello spirito nel senso che il soggetto è tratto dalla sua stessa natura a dare l’assentimento a principii superiori al suo io empirico. Egli quindi ammette una forma di esperienza morale specifica e distinta da ogni altra forma di esperienza spirituale, scientifica, estetica, religiosa ecc. La specificità di questa esperienza è la condizione che rende possibile una scienza etica: della quale egli insiste nel rivendicare l’autonomia e la priorità rispetto a qualsiasi concezione propriamente metafisica. La Metafisica ha nell’etica una delle sue basi più solide — e a tal principio è ispirato, come abbiamo visto, tutto il volume del De Sarlo "Metafisica, Scienza e Moralità „ — ; ma nessuna teoria morale può, secondo lui, essere costruita alla luce di una determinata concezione generale dell’universo, piuttosto che sulla base dell’analisi dell’esperienza morale. Come si vede, di fronte al problema etico il De S. mantiene fermo quello stesso atteggiamento — che abbiamo più particolarmente illustrato a proposito del problema gnoseologico — di stretta aderenza all’esperienza, come tramite traverso il quale soltanto ci si rivela nella sua efficienza e nella pienezza del suo contenuto ciò è che universale e razionalmente necessario. A coloro che trovassero troppo modesto il compito cosi assegnato alla filosofia, il De S opporrebbe volentieri le parole che Kant scrisse all’indirizzo dei «metafisici» del suo tempo: «Il nostro disegno può mirare a costruire una torre alta fino al cielo: ma il materiale è appena sufficiente per una casa, spaziosa tuttavia abbastanza per le occupazioni nostre sul piano dell’esperienza e alta a sufficienza per abbracciare questa d’uno sguardo ». E comunque « le alte torri e i grandi metafisici simili ad esse, intorno a cui (sia le une che gli altri) generalmente spira molto vento, non sono fatti Der me. Il mio posto è la feconda bassura dell’esperienza,  Dalla scuola del De Sarlo uscì ALIOTA (vedasi) (n. a Palermo nel 1881, ora già da alcuni anni professore di filosofia nell’Università di Napoli). Iniziò la sua attività di studioso con un volume, assai apprezzato anche all’estero, su la Misura in psicologia sperimentale, (Firenze, « Pubblicazioni del R. Istituto di Studi Superiori », 1905). Nel campo più specificamente filosofico si affermò, oltre che con lavori minori e con l’attivissima sua collaborazione alla «Cultura Filosofica» del De Sarlo, col libro: La reazione idealistica contro la scienza (Palermo, 1912), che è una bella battaglia in difesa del valore della scienza contro tutte le forme d’intuizionismo, di prammatismo e d’idealismo assoluto, che tendono a svalutare i concetti scientifici. Il motivo centrale di questa opera è che i concetti della scienza non sonò un impoverimento della realtà, ma un arricchimento del mondo dell’intuizione. Il concetto, infatti, non è nello schema convenzionale che serve a comunicarlo praticamente, e che per se stesso non ha certamente valore di realtà, ma nella sintesi di esperienze concrete che attraverso quello schema si realizza e nella quale l’intuizione si eleva ad una superiore potenza, inquadrandosi in un contesto più largo di relazioni, completandosi con altre intuizioni che sfuggono alla veduta dell’attimo fuggitivo e ai nostri sensi limitati. Questo modo d’intendere il concetto scientifico, come processo d’integrazione dell’esperienza, che non sostituisce l’intuizione e non può mettersi al suo posto, ma la completa ed arricchisce, già fin dal 1905, nelle sue prime discussioni col Croce, — ora raccolte nel volume L’estetica del Croce e la crisi dell’idealismo moderno, Napoli 1917 — l’Aliotta aveva contrapposto alia teoria dello pseudoconcetto, con la quale il Croce innestava nel ne^hegelianismo la dottrina del Mach intorno al valore puramente pratico ed economico dei concetti- E questo motivo di rivendicazione del valore teoretico della scienza è il nucleo che è rimasto costante nel pensiero dell’Aliotta anche quando dal teismo delle sue prime Linee d’una concezione spiritualistica del mondo (« La Cultura filosofica) — comparse poi come conclusioni della traduzione inglese del suo libro La reazione idealistica contro la scienza (The Idealistic Reaclion against Science, London, 1917) — egli è passato attraverso la crisi della guerra mondiale a una concezione pluralistica del mondo. Questa seconda fase del suo pensiero, che comincia col libro La guerra eterna e il dramma dell’esistenza (Napoli) e si sviluppa e completa per la parte gnoseologica nei saggi La teoria di Einstein e le mutevoli prospettive del mondo (Palermo 1922), Relativismo e Idealismo (Napoli 1922), Il problema di Dio e il nuovo pluralismo (Città di Castello, 1924), è caratterizzata da un radicale sperimentalismo, il quale però sia per i principi! da cui muove e le conclusioni a cui arriva, sia specialmente per gli arditi procedimenti che segue, si allontana di parecchio dallo sperimentalismo del De Sarto, come sarà facile scorgere dalla breve esposizione che segue. La realtà, per l’A., è l’atto stesso di esperienza che ha due aspetti, distinti, ma sempre uniti, il soggettivo e l’oggettivo. Non posso aver coscienza di me senza distinguermi dal mondo e dalle altre persone: l’affermazione della mia individualità implica dunque l’affermazione degli altri individui e del mondo, da cui mi distinguo. Non ha senso parlare d’un soggetto in sè o d'un oggetto in sè, nè di soggetti come monadi solitarie fuori di questa relazione. L’io e il mondo e le varie anime non esistono che nella sintesi concreta dell’esperienza, come momenti, distinguibili, ma inseparabili, del suo processo. Questa sintesi è, per l’A., l’unicovivente modello a immagine del quale possiamo costruire le altre attività reali che non ci son date all’intuizione immediatamente. E l’atto di esperienza col suo processo di unificazione e distinzione del soggettivo e dell’oggettivo, come dell’individuo e delle altre persone, col suo ritmo di concreta durata e la sua intuizione dello spazio concreto, è l’unica forma a priori, soggettiva ed oggettiva insieme. Le forme della nostra conoscenza, dunque, non sono pure apparenze; bensì le forme stesse della realtà che si svolge, essendo questa appunto il concreto processo dell’esperienza. Questo processo, per l’A., è inesauribile; non ha nè principio, nè fine. Non ha senso domandarsi donde sia derivata la esperienza. Ed è originaria la forma della sua distinzione nella pluralità degli individui; pluralità che non esclude, come abbiamo già detto, la concreta unità dell’esperienza, perchè nell’atto stesso in cui si coglie la distinzione, si coglie insieme indissolubilmente l’unità dei termini distinti. I soggetti d’esperienza son dunque originarli e imperituri nella loro eterna correlazione. Possono da una forma oscura di vita elevarsi a una forma più consapevole e chiara, o dalla luce della coscienza discendere nella penombra, ma non si estinguono mai, non cessano di essere e di agire come spontanee energie motrici del processo della realtà. Queste attività non sono originariamente coordinate al raggiungimento d’un fine, allo svolgimento di un piano razionale che si at- turi nella storia del mondo. La materia corrisponde alla fase in cui esse si urtano disordinatamente in continui conflitti, dirigendosi a caso per la loro spontaneità in tutte le direzioni. Statisticamente ne risultano medie costanti di azioni complessive delle masse; onde l’apparente inerzia e uniformità della materia. La vita dalle sue forme più semplici alle più complesse è il coordinarsi di quella attività a un fine comune, che si raggiunge provando e riprovando attraverso secolari esperimenti nell’evoluzione biologica e sociale. E l’armonia del mondo non è mai completa, ma si va ancora realizzando attraverso le più alte funzioni dello spirito: l’arte, la scienza, la religione e la filosofia, che sono tutte forme diverse per le quali la vita dell’individuo si integra progressivamente con la vita degli altri. E le sintesi più alte si raggiungono sempre con l’esperimento: non c’è nessuna teoria e nessun sistema che possa pretendere una giustificazione a priori: la dialettica è arbitraria e infeconda. Agli abusi logici dei neo-hegeliani l’Aliotta contrappone l’assoluto sperimentalismo della sua dottrina della verità. Il vero non è nella corrispondenza a un modello oggettivo, sussistente in sè; ma non è neppure nel processo puramente dialettico del pensiero. Una teoria è vera se le azioni da essa suggerite riescono a realizzare un superiore accordo delle nostre attività umane e delle altre innumerevoli energie operanti nel mondo. E questo criterio non vale soltanto per le teorie scientifiche, ma anche per i sistemi religiosi e filosofici che debbono sottoporsi anch’essi all’esperimento storico. Non vi sono categorie immutabili e definitive, nè nel mondo della natura nè in quello dello spirito. Tutte le forme di sistemazione sono provvisorie e relative. Non c’è una verità assoluta, ma gradi diversi di verità e realtà, secondo che realizzano forme più complete e integrali di vita d’esperienza. L’errore, il falso non è quindi neppur esso tale in senso assoluto; ma è una visione parziale, frammentaria, unilaterale rispetto a una veduta più alta e più comprensiva. Tutte le intuizioni individuali, tutte le varie prospettive sono vere e reali, ciascuna dal suo punto di vista; ma è più vera e reale quella che riesce a coordinarle in una visione più completa da un punto di vista più alto. E questo non esclude e cancella i punti di vista inferiori, ma in sè li comprende integrandoli; dimodoché il progresso verso i più alti gradi di verità è insieme un elevarsi a una maggiore ricchezza di vita. Nel nostro pensiero è la realtà stessa che si tormenta nello sforzo di attingere una superiore armonia. Calò (n. a Francavilla Fontana, in prov. di Lecce) è professore di pedagogia nell’Istituto di Studi Superiori di Firenze. Rivolse la sua attenzione dapprima ai problemi morali, ma con preferenza a quelli che più direttamente si connettono a problemi filosofici d’ordine generale e metafisico. Il suo primo lavoro importante, infatti, è quello intorno al Problema della libertà nel pensiero contemporaneo (Palermo, Sandron), che contiene un’analisi molto penetrante e un’ampia e sottile critica del contingentismo e del prammatismo e di altre correnti contemporanee come il neo-criticismo renouvieriano; e giunge all’affermazione del potere di libertà come attitudine propria dello spirito individuale, presupposto indispensabile della libertà etica; attitudine che si confonde con la stessa proprietà della coscienza di porsi come un io, cioè come centro assoluto indeducibile e irreducibiie d’ordinamento della realtà psichica e insieme d’energia produttrice di fatti. Altri lavori ha dedicato il Calò a esaminare particolari tendenze dell’etica moderna, come quello su l’ Individualismo etico nel sec. XIX, premiato dall’Accademia Reale di Napoli, un quadro vasto e vivace delle varie forme d’individualismo affermatesi non soltanto nella filosofia ma anche nella letteratura del secolo scorso. Di fronte ad esse il C., mentre afferma l’obiettività e universalità dei valori morali, riconosce insieme che questi non hanno esistenza concreta nè azione effettiva se non nella sintesi vivente della personalità, che è per ciò da porre come il valore etico supremo, come la sola realtà fornita d’intrinseco valore morale. Queste idee che, nei due citati lavori, costituiscono la conclusione o i principii ispiratori dell’esame critico di svariati indirizzi dell’etica contemporanea, furono poi sviluppate e sistemate, in forma di trattazione teorica della coscienza morale, nel volume Principii di Scienza etica (Palermo, Sandron), preparato insieme col De Sarlo e scritto dal C. In esso si illustra la specificità e l’immediatezza dell’esperienza morale attraverso la quale si rivelano i principii etici fondamentali, contro tutte le teorie che vogliono ridurre la necessità ideale a necessità d’altro genere — al che il C. ha dedicato anche altri scritti minori, tra cui notevole il saggio su L’in- terpretàzione psicologica dei concetti etici (in « Atti del V Congresso Internazionale di psicologia » Roma) — . Vi sono inoltre definiti nel loro contenuto gli oggetti-fini dell’attività umana, il cui va- ìore intrinseco è connaturato all’esperienza etica. Ed è dato infine particolare sviluppo all’evoluzione storica dei principii morali, la quale si fa consistere dal C. — come, l’abbiamo visto, dal De S. — nel successivo chiarirsi e purificarsi di quei principii da elementi extramorali o paramorali; nella loro più rigorosa e coerente esplicazione, resa possibile dallo sviluppo, oltre che della sensibilità e della discriminazione etica, della cultura e del pensiero ; nella successiva soluzione dei conflitti nei quali essi a volte vengono a trovarsi, e nello sforzo sempre meglio riuscito di armonizzarli in valutazioni sintetiche; nella estensione della loro applicazione a una sfera di realtà sempre più larga. Pur occupandosi di problemi etici, il C. non ha mancato di portare il suo contributo ad altri campi di discipline filosofiche (notevoli, p. es., i suoi studi sulla dottrina del Brentano intorno al giudizio tetico e intorno alla classificazione dei processi psichici, e parecchi saggi storici e critici sul Boutroux, sul Bergson, sull’Allievo, sul Naville, sul Ladd, ecc.). Da questi studi risulta che il C. è un seguace dello spiritualismo realistico, e concorda sostanzialmente, in metafisica e gnoseologia, con le idee sopra esposte del De Sarlo. Voltoli alla Pedagogia, il C. ha lavorato sulle medesime basi. In questo campo i suoi principali lavori sono: La Psicologia dell'attenzione in rapporto alla scienza educativa (Firenze, Tip. Cooperativa); Fatti e problemi del mondo educativo (Pavia, Mattei e Speroni); Il problema della coeducazione e altri studi pedagogici (Roma, Soc. ed. D. Alighieri); L'educazione degli educatori. (Napoli, Perrella); Dalla guerra mondiale alla scuola nostra (Firenze, Bemporad); per non citare i suoi scritti minori, specie di storia della pedagogia, come quelli sul Lambruschini e sul Rousseau, premessi ai volumi di questi autori, da lui stesso curati, nella Biblioteca pedagogica ch’egli dirige presso l’editore Sansoni. Il valore e il carattere dell’opera pedagogica del Calò furono E. PAOLO LAMANNA rilevati, con giudizio non sospetto, dal Codignola, che nel 1916 affermò essere il Calò « il più serio avversario della pedagogia idealistica in Italia » (1). Invero, il C., mentre ammette una filosofia dell’educazione e ne riconosce la fecondità,' non crede peraltro, come l’idealismo sostiene, che la dottrina dell’educazione si riduca a filosofia. Vi sono metodi relativi allo sviluppo delle attività psichiche, sia in sè stesse sia in rapporto con quelle organiche, i quali non possono non essere ricavati direttamente dalla conoscenza della realtà psichica e delle sue leggi, quali si offrono all’esperienza e alla sperimentazione; vi sono norme educative che si ricavano dalla determinazione dei fini etici dell’attività umana, considerati in rapporto al progressivo potere d’attuazione del fanciullo; vi sono infine tipi e norme didattiche che si ricavano dall’esperienza storica e da necessità storiche. Per il C., perciò, la pedagogia non può trovare la sua sicura costituzione e la sua vera fecondità di vedute e di applicazioni che in una concezione la quale, correggendo e integrando, riprenda la posizione herbartiana e consideri le leggi psicologiche in funzione delle finalità etiche. L’educazione è per lui pur sempre fatto essenzialmente spirituale, che si distingue da ogni altra forma di sviluppo o di perfezionamento in quanto vi collabora la libera attività del soggetto educando, e porta a un sempre più pieno uso della propria libertà e all’acquisto sempre più consapevole di valori intrinseci alla persona. Ciò che il C. nega è che l’azione educativa si definisca per questo solo rispetto e sussista indipendentemente da ogni forma di eteronomia: là dove i’eteronomia svanisce ovvero si riduce a pura materia della libera determinazione del soggetto, si ha l’attività etica strettamente intesa, non più il processo educativo. Per la tendenza a psicologizzare il metodo, l’educazione appare al C. come un processo di formazione nel quale le attività del soggetto e la forma valgono anche più dei contenuto, degli oggetti, della materia del sapere o dell’operare, e gl 'interessi, nel senso her- bartiano, sono le forze che si tratta di nutrire e di promuovere in (1) Kant nella storia della pedagogia e dell'etica, Napoli. — Nonostante ciò  o forse appunto per ciò — il Codignola, facendo la storia della pedagogia italiana contemporanea (nel libro Monroe Codignola, Breve corso di storia dell’educazione, voi. II, Vallecchi, Firenze, p. 284), si è contentato di accennare al Calò ponendolo accanto a G. M. Ferrari, come seguace di un «indirizzo spiritualistico eclettico»; — e questo raccostamelo come questa caratterizzazione sono stati poi echeggiati dal Saitta nel suo Disegno storico della educazione, Bologna, Cappelli. modo da creare la personalità più viva e compiuta e armonica. Perciò egli ha insistito sui diritti della cultura Jormale, senza peraltro porre nel nulla il valore degli acquisti concreti (conoscenze e abilità), come vorrebbe fare un certo formalismo e subiettivismo pedagogico superficiale. Ha mostrato la rispettiva necessità e insostituibilità della cultura umana e storica e di quella realistica e scientifica. Ha rivendicato l'esigenza d’un’educazione religiosa, elementare e aconfessionale prima, storica poi nella scuola, confessio- sionale nella famiglia. Infine dalla legge della storicità come aspetto essenziale dell’anima umana, egli deduce l'immanenza dell’idea di patria alla vita dello spirito e quindi alla sua educazione. Questa perciò non può, secondo il C., non essere nazionale, non può cioè non curare che ideali di cultura e di moralità traggano dalla tradi zione storica e dalla organizzata esperienza del fanciullo forma e colore che ne facciano, traverso le coscienze individuali, elemento di vita, di coesione, di prosperità della società nazionale. E perciò, in tutto quel che abbia riflessi e importanza per questo fine, l’istruzione, l’educazione, la scuolà non possono non costituire ufficio e dovere dello Stato, che è coscienza suprema, organizzazione unitaria, garanzia conservatrice della vita della nazione. Alla luce di questa concezione il C. ha discusso — e non soltanto in sede scientifica, ma anche in Parlamento, dove egli ha seduto per due legislature — problemi concreti, come quello dell’ordinamento della Scuola media, della preparazione magistrale, della riforma universitaria, dei rapporti tra scuola e famiglia, della coeducazione ecc., mostrando sempre lucidità e prontezza di visione dei termini essenziali di ogni problema e dei rapporti di esso con i principii dottrinari generali, calore vivace e penetrazione nelle proposte di soluzioni. Lamanna (n. a Matera, in Basilicata, professore di filosofia nell’Università di Messina) ha spiegato la sua attività nel campo della filosofia della religione, dell’etica, e della filosofia del diritto e della politica. Dopo alcuni studi minori sulle dottrine religiose dello Schleier- macher, del Pfleiderer e delle scuole sociopsicologiche più recenti, pubblicò un volume su La religione nella vita dello spirito, (Firenze, La «Cultura Filosofica), nel quale, attraverso un ampio esame critico dei principali indirizzi di filosofia religiosa del sec. XIX, da Kant a Blondel e a James, si sforza di determinare quale è per lui l’essenza della religione, intesa questa essenza come il sostrato spirituale di tutte le forme storiche della religione, come il principio dinamico informante e determinante l’evoluzione della vita religiosa attraverso i secoli. Per il L. la religiosità è elemento essenziale e perenne della vita spirituale umana: è un’esigenza irriducibile alla coscienza dell’ideale (conoscitivo o estetico o morale), sebbene nella coscienza dell’ideale, o, meglio, nella coscienza dell’universalità e necessità dei valori costitutivi degli ideali immanenti allo spirito, essa trovi la sua radice. In ogni atto spirituale v’è la rivelazione, fatta a un’autocoscienza individuale, di qualcosa d 'assoluto (universalità e necessità dei prin- cipii della ragione, intesa questa nel suo senso più ampio) e, insieme, di qualcosa di relativo (elementi naturali, particolaristici e contingenti, nei quali l’universale e il necessario volta a volta si determina, ma sempre inadeguatamente). La natura stessa della razionalità, la quale o è tutto o è nulla, o è universale o è una fantasmagoria, determina nell’uomo l’aspirazione ad attuare pienamente in sè e ad estendere a tutto l’universo il dominio dell’Assoluto. Ma, d altra parta, la presenza del «relativo» dimostra per un lato che l’oggetto della razionalità, il vero, il bene, il bello è indefinito, e contingente e parziale e continuamente minacciato ne è, per l’attività umana, il possesso; e per l’altro lato che nella realtà v’è qualcosa che non dev essere, qualcosa di anormale, di opposto alla razionalità. Da questa situazione tragica lo spirito si libera mercè la credenza in Dio, come fondamento reale di quello che nell’uomo è ideale, che spiega, per una parte, la validità delle leggi ideali costitutive della razionalità, e garantisce, per l’altro, l’indefinita attuabilità di esse, nonostante l’inadeguazione ad esse della realtà empirica. Dimostrare come dall’esercizio stesso delle funzioni fondamentali dello spirito scaturisca necessariamente l’idea di Dio, nell’affermazione che quel che dev’essere è, quel che pér noi è soltanto un ideale, ha già la sua piena attuazione in una sfera trascendente di realtà, questo è il termine a cui tendono le dimostrazioni del volume del L. I problemi morali sono stati dal L. esaminati specialmente nei due volumi II sentimento del valore e la morale criticistica (Firenze) e II fondamento morale della politica secondo Kant (Firenze), a cui si collegano studi minori, Il bene per il bene, L’amoralismo politico, L'esperienza giuridica, Il diritto correlativo al dovere nell’idea di bene. In quei due volumi si prende lo spunto dall’esame critico della dottrina Kantiana, rilevandovi il contrasto, così tra il principio dell’autonomia e le conclusioni rigoristiche dell’etica in generale, come tra le premesse idealistiche e democratiche e alcune conclusioni assolutistiche e realistiche della morale politica; e si dimostra che quel contrasto è conseguenza necessaria del formalismo nella determinazione dell’ideale e del pessimismo nella considerazione della realtà, inquanto, ipostatizzata la legislazione autonoma nella volontà in sè e nella respublica noumenon, Kant vede nella realtà individuale e sociale null’altro che inclinazioni al male e giuoco meccanico di passioni. Da questi rilievi e dimostrazioni di carattere storico il L.. prende occasione per affermare la necessità di un tramite che, eliminando il dualismo tra l’ideale e il reale, renda possibile la compenetrazione di questo da parte di quello. E siffatto tramite egli trova nella caratteristica funzione della valutazione morale, rivelante con evidenza immediata oggetti della volontà forniti d’intrinseco valore (beni universali e necessari), nell’amore attivo per i quali si costituisce come valore supremo la personalità, e nella cui indefinita attuabilità attraverso il succedersi delle generazioni è posta la possibilità del progresso morale e della unificazione spirituale sempre più piena della specie umana. Alla luce di questo principio il L.: 1) riconduce nell’ambito della nozione di dovere —caratteristica dell’esperienza morale — anche quegli elementi che in opposizione al rigorismo kantiano son posti in rilievo nella concezione morale dell’* anima bella» (Schiller e Fics), a proposito della quale egli fa un ampio esame dei rapporti tra la funzione etica e quella estetica. 2) Illustra l’ordinamento giuridico come tecnica per l’ordinamento morale: confutando i tentativi di ridurre il diritto a qualche concetto estramorale, ne trova la radice nell’idea di bene morale e nella correlatività al concetto di dovere, in quanto l’idea di lecito scaturisce dalla coscienza della legittimità di respingere il limite e l’ostacolo — postoda altri individui — all’attuazione di un bene conforme a un principio etico riconoscibile anche da questi ultimi: onde la conclusione che se il contrasto è occasione per l’insorgenza della coscienza del diritto, la sostanza ideale di questo è Varmonia, Y accordo-, e da questo punto di vista sono idealmente giustificati gli elementi empirici costitutivi della giuridicità (potere supremo e coattività). Afferma, infine, la sovranità della morale in politica, mostrando come, entro l’amb'to stesso di una rigorosa moralità politica, possano essere pienamente sodisfatte quelle esigenze alle quali l’amoralismo politico dà il massimo rilievo; e dimostra, rimettendo in valore alcuni elementi delle concezioni giusnaturalistiche, il valore deontologico e il concetto ideale di certe nozioni della coscienza politica moderna (come volontà generale, contratto originario, società dei popoli ecc.). ENZO Bonaventura, libero docente e incaricato di psicologia nell’Istituto di Studi Superiori di Firenze e assistente del De Sarlo nel Laboratorio di psicologia sperimentale, dopo alcuni scritti minori di psicologia e di logica, pubblicò un grosso volume su Le qualità del mondo fisico: studi di filosofia naturale (Firenze, « Pubblicazioni del R. Ist. di St. Sup. », 1916), in cui i dati della fisica, della chimica, della fisiologia non dirò solo che siano largamente utilizzati, ma costituiscono addirittura la base per la soluzione del problema, se sia o no possibile spiegare le differenze qualitative tra le diverse energie fisiche riducendole ad un unico tipo di energia: problema che il B. risolve in modo negativo, dimostrando che la riduzione delle molteplicità qualitative delle energie fisiche ad un’unica forma nel senso del meccanismo e di taluni indirizzi energetici, è illusoria. Posteriormente egli ha volto la sua attività più in particolare agli studi e alle ricerche di psicologia, compiuti, nel laboratorio diretto dal De Sarlo, coi metodi rigorosi propri della psicologia moderna; ma la ricerca psicologica sebbene abbia anche, per lui, un valore in sè stessa, come ricerca scientifica, e un valore sociale, per le sue applicazioni, è stata ed è sempre, nell’economia dal suo pensiero, il punto di partenza e di appoggio per salire verso la filosofia. Tra i problemi psicologici, oltre ad alcune questioni di metodo (come queile del valore dell’introspezione e- delle sue illusioni, a cui è dedicato il volume intitolato appunto Ricerche sperimentali sulle illusioni dell'introspezione, Firenze), quello che lo ha più attratto e su cui ha più lavorato, è il problema della percezione, concepita come elaborazione intellettuale dei dati sensoriali, e in ispecie della percezione dello spazio e del tempo: problema che da un lato connette la ricerca psicologica con concezioni d’importanza fondamentale per la fisica e per la matematica, dall’altra forma il punto centrale della teoria della conoscenza. Intorno a questo problema egli ha lavorato da vari anni, sia sottoponendo a revisione critica tutto il lavoro sinora compiuto sull’argomento, sia compiendo egli stesso ricerche sperimentali per chiarire quei punti che ancora gli sembravano non abbastanza illuminati. Alcune di queste ricerche (concernenti l’attività del pensiero nella percezione tattile dello spazio; i mezzi coi quali si stabilisce e i limiti entro i quali si contiene l’accordo tra dati spaziali visivi e dati spaziali tattili; le illusioni ottico-geometriche; l’importanza dei giudizi spaziali visivi nella psicofisica) sono state già pubblicate in Riviste di psicologia italiane e straniere; ma la somma di tutte le ricerche e di tutti gli studi costituisce un grosso volume — già pronto, ma ancora inedito —, in cui il problema psicologico dello spazio e del tempo e le conseguenze filosofiche che ne scaturiscono, sono trattati in tutti loro asp Lamanna (n. a Matera, in Basilicata, professore di filosofia nell’Università di Messina) ha spiegato la sua attività nel campo della filosofia della religione, dell’etica, e della filosofia del diritto e della politica. Dopo alcuni studi minori sulle dottrine religiose dello Schleier- macher, del Pfleiderer e delle scuole sociopsicologiche più recenti, pubblicò nel 1914 un volume su La religione nella vita dello spirito, (Firenze, La «Cultura Filosofica), nel quale, attraverso un ampio esame critico dei principali indirizzi di filosofia religiosa del sec. XIX, da Kant a Blondel e a James, si sforza di determinare quale è per lui l’essenza della religione, intesa questa essenza come il sostrato spirituale di tutte le forme storiche della religione, come il principio dinamico informante e determinante l’evoluzione della vita religiosa attraverso i secoli. Per il L. la religiosità è elemento essenziale e perenne della vita spirituale umana: è un’esigenza irriducibile alla coscienza dell’ideale (conoscitivo o estetico o morale), sebbene nella coscienza dell’ideale, o, meglio, nella coscienza dell’universalità e necessità dei valori costitutivi degli ideali immanenti allo spirito, essa trovi la sua radice. In ogni atto spirituale v’è la rivelazione, fatta a un’autocoscienza individuale, di qualcosa d 'assoluto (universalità e necessità dei prin- cipii della ragione, intesa questa nel suo senso più ampio) e, insieme, di qualcosa di relativo (elementi naturali, particolaristici e contingenti, nei quali l’universale e il necessario volta a volta si determina, ma sempre inadeguatamente). La natura stessa della razionalità, la quale o è tutto o è nulla, o è universale o è una fantasmagoria, determina nell’uomo l’aspirazione ad attuare pienamente in sè e ad estendere a tutto l’universo il dominio dell’Assoluto. Ma, d altra parta, la presenza del «relativo» dimostra per un lato che l’oggetto della razionalità, il vero, il bene, il bello è indefinito, e contingente e parziale e continuamente minacciato ne è, per l’attività umana, il possesso; e per l’altro lato che nella realtà v’è qualcosa che non dev essere, qualcosa di anormale, di opposto alla razionalità. Da questa situazione tragica lo spirito si libera mercè la credenza in Dio, come fondamento reale di quello che nell’uomo è ideale, che spiega, per una parte, la validità delle leggi ideali costitutive della razionalità, e garantisce, per l’altro, l’indefinita attuabilità di esse, nonostante l’inadeguazione ad esse della realtà empirica. Dimostrare come dall’esercizio stesso delle funzioni fondamentali dello spirito scaturisca necessariamente l’idea di Dio, nell’affermazione che quel che dev’essere è, quel che pér noi è soltanto un ideale, ha già la sua piena attuazione in una sfera trascendente di realtà, questo è il termine a cui tendono le dimostrazioni del volume del L. I problemi morali sono stati dal L. esaminati specialmente nei due volumi II sentimento del valore e la morale criticistica (Firenze) e II fondamento morale della politica secondo Kant (Firenze), a cui si collegano studi minori, Il bene per il bene, L’amoralismo politico, L'esperienza giuridica, Il diritto correlativo al dovere nell’idea di bene. In quei due volumi si prende lo spunto dall’esame critico della dottrina Kantiana, rilevandovi il contrasto, così tra il principio dell’autonomia e le conclusioni rigoristiche dell’etica in generale, come tra le premesse idealistiche e democratiche e alcune conclusioni assolutistiche e realistiche della morale politica; e si dimostra che quel contrasto è conseguenza necessaria del formalismo nella determinazione dell’ideale e del pessimismo nella considerazione della realtà, inquanto, ipostatizzata la legislazione autonoma nella volontà in sè e nella respublica noumenon, Kant vede nella realtà individuale e sociale null’altro che inclinazioni al male e giuoco meccanico di passioni. Da questi rilievi e dimostrazioni di carattere storico il L.. prende occasione per affermare la necessità di un tramite che, eliminando il dualismo tra l’ideale e il reale, renda possibile la compenetrazione di questo da parte di quello. E siffatto tramite egli trova nella caratteristica funzione della valutazione morale, rivelante con evidenza immediata oggetti della volontà forniti d’intrinseco valore (beni universali e necessari), nell’amore attivo per i quali si costituisce come valore supremo la personalità, e nella cui indefinita attuabilità attraverso il succedersi delle generazioni è posta la possibilità del progresso morale e della unificazione spirituale sempre più piena della specie umana. Alla luce di questo principio il L.: 1) riconduce nell’ambito della nozione di dovere —caratteristica dell’esperienza morale — anche quegli elementi che in opposizione al rigorismo kantiano son posti in rilievo nella concezione morale dell’anima bella» (Schiller e Fics), a proposito della quale egli fa un ampio esame dei rapporti tra la funzione etica e quella estetica. 2) Illustra l’ordinamento giuridico come tecnica per l’ordinamento morale: confutando i tentativi di ridurre il diritto a qualche concetto estramorale, ne trova la radice nell’idea di bene morale e nella correlatività al concetto di dovere, in quanto l’idea di lecito scaturisce dalla coscienza della legittimità di respingere il limite e l’ostacolo — postoda altri individui — all’attuazione di un bene conforme a un principio etico riconoscibile anche da questi ultimi: onde la conclusione che se il contrasto è occasione per l’insorgenza della coscienza del diritto, la sostanza ideale di questo è Varmonia, Y accordo-, e da questo punto di vista sono idealmente giustificati gli elementi empirici costitutivi della giuridicità (potere supremo e coattività). Afferma, infine, la sovranità della morale in politica, mostrando come, entro l’amb'to stesso di una rigorosa moralità politica, possano essere pienamente sodisfatte quelle esigenze alle quali l’amoralismo politico dà il massimo rilievo; e dimostra, rimettendo in valore alcuni elementi delle concezioni giusnaturalistiche, il valore deontologico e il concetto ideale di certe nozioni della coscienza politica moderna (come volontà generale, contratto originario, società dei popoli ecc.). MATHIEU STORIA DELLA FILOSOFIA, MONNIER. La  filosofia italiana: idealismo, anti-idealismo, spiritualismo, MONNIER, FIRENZE. Accettando di condurre a termine un'opera altrui, mi sono assunto una responsabilità  assai  grave. Non l'avrei fatto se la storia della  filosofia di L. non è giunta già così innanzi da richiedere questo completamento come quasi  indispensabile,  e  se  le  carte  manoscritte,  fatte  trascrivere  diligentemente dalla  Signora  Edvige,  non  mi  avessero  offerto  una  trattazione  già  perfetta  di  una  parte  considerevole  del  periodo  scoperto.  In  una  storia  generale  della  filosofia,  composta  in  Italia,  lasciar  fuori  tutta  la  filosofia  italiana  del  Novecento  sarebbe  stata  ima  lacuna  grave:  basti  pensare  alle  posizioni  radicali  di  un  Gentile  o  di  un  Carabellese,  che  non  trovano  riscontro  in  tutto  l'arco  restante  del  pensiero.   Per  di  più  il  piano  del  lavoro,  quale  si  era  andato  progressivamente definendo  nella  mente  del  Lamanna  durante  una  vita  dedicata  in  gran  parte  alla  ricerca  storica,  si  allargava  a  mano  a  mano  che  si  avvicinava  a  noi.  Infatti  i  capitoli  già  pronti,  sull'eredità  filosofica  dell'Ottocento  italiano,  erano  proporzionalmente  i  più,  estesi  di  tutta  l'opera.  Ciò  significava  che  la  parte  rimasta  fuori  sarebbe  stata  ancor più  cospicua  di  quanto  il  paragone  con  le  parti  già  stampate  lasciasse  pensare. Certo,  riprendendo  il  filo  interrotto,  non  potevo  presumere  di  rimediare  alla  perdita  che  aveva  rappresentato  per  gli  studi  la  morte  di  Eustachio  Paolo  Lamanna,  ma  potevo  sperare  di  ridurre  in  qualche  misura  il  danno.  La  trattazione  già  svolta  non  poteva,  infatti,  uscir  monca;  e,  d'altro  canto,  sarebbe  stato  colpevole  verso  il  pubblico  lasciarla  inedita,  per  l'impegno che  lo  storico  vi  aveva  posto  e  per  V esperienza  viva  e diretta  degli  autori  e  delle  dottrine:  un'esperienza  che,  per  quel  periodo,  nessuno  più,  avrebbe  potuto  acquisire.  Così  gli  ultimi  due  volumi  di  questa  Storia  della  filosofia,  che,  per  la  loro  mole  e  per  il  loro  argomento,  possono  fungere  anche da  trattazione  autonoma,  portano  il  mio  nome  accanto  a  quello  di  L.   Ho  cercato,  per  quanto  potevo,  di  uniformarmi  al  tono  delle  parti  già  svolte,  che,  salvo  un  paio  di  aggiornamenti,  non  ho  più  toccate.  Esse  sono:  nel  volume  I,  le  prime  due  sezioni  del  capitolo  XXX,  salvo  i  §§  6,  8, 11-13,  le  prime  due  sezioni  del  capitolo  XXXI  e  la  prima  sezione  del  capitolo  su  Croce;  nel  volume  II,  il  capitolo  sull'Abbagnano. Di  tutto  il  resto  la  responsabilità  è  mia.  Avermela data  è  stata  una  grande  prova  di  fiducia  da  parte  dell'editore e  dei  due  amici  che  si  son  presi  cura  delle  Opere  complete  di  Lamanna  presso  Le  Monnier:  Domenico  Pesce  e  Pietro  Piovani,  a  cui  son  grato  anche  per  l'aiuto  e  i  consigli  datimi. Mathieu. Nel  quadro  panoramico  deUe  correnti  di  pensiero  che  si  delineano in  Italia  negli  anni  di  transizione  dall'Otto  al  Novecento, fa  spicco  il  movimento  positivistico,  sia  per  ampiezza  dell'area  di  diffusione,  sia  per  profondità  di  forza  penetrativa. Questo  movimento  si  caratterizza  non  per  unità  di  Unità  di  procontenuto dottrinale,  ma  per  programma  di  lavoro  e  metodo  s^'^"^^"di  ricerca:  nel  continuo  contatto  con  l'esperienza  concreta  e  nel  riferimento  ai  fatti  accertati  o  accertabili,  la  filosofìa  ha  la  sua  ragione,  e  il  suo  alimento  vitale  nello  stabilire  una  essenziale  inscindibile  connessione,  con  le  scienze  particolari,  di  cui  è  matrice  costante  e  coronamento  finale.   E  cioè  la  filosofia:  i)  da  un  lato  si  pone  come  principio  La  filosofia  propromotore  di  quel  processo  di  speciale  spiritualizzazione  del  ^1°^^^  il  sapere.  sapere  a  cui  sono  dovuti  i  meravigliosi  progressi  deUa  moderna conoscenza  deUa  natura,  come  graduale  profilarsi  entro  un  indistinto  nebuloso  di  concetti  problematici,  ognuno  dei  quah,  sempre  più  distinguendosi  dagh  altri,  diventa nucleo  di  un  particolare  organarsi  di  un  settore  di  ricerche;  2)  e,  dall'altra  parte  si  pone  come  organizzazione  logica  dei  risultati  dei  vari  settori  del  sapere.    Cap.  XXX.  Positivismo  e  correnti  affini    Naturalismo.    Soggetto  e  oggetto come  insiemi  di  sensazioni.    Per  l'uno  e  per  l'altro  rispetto,  la  filosofia  positivistica  italiana  rivendica  la  qualifica  di  filosofia  scientifica.  E  Rivista  di  filosofia  scientifica  s'intitola  quella  che  tra  fu  l'organo  di  questo  movimento,  fondato  e  diretto  da  Enrico  Morselli,  professore  di  psichiatria  nell'Università  di  Torino,  e  a  cui  collaborarono,  accanto  a  cultori  di  discipUne  più  specificamente  filosofiche,  scienziati  che  godevano  di  alta  fama,  particolarmente  nei  campi  della  fisica,  della  biologia  e  dell'antropologia.   Tra  essi  emergeva,  universalmente  riconosciuto  da  tutti  duce  e  maestro,  la  figura  di  Roberto  Ardigò.  Proprio  in  quegli  anni  egli  veniva  compiendo  la  costruzione  di  un  edificio speculativo  nel  quale  il  positivismo  italiano  trovò  l'espressione più  fedele  dei  propri  caratteri  e  l'indicazione  più  articolata dei  propri  compiti.  La  sua  vuol  essere  una  visione  della  realtà  rigidamente  naturalistica:  non  c'è  nessuna  forma  d'essere  che  non  sia  originata  dalla  natura  e  non  sussista  nella  natura,  intesa  semplicemente  come  la  totaHtà  infinita  dei  fatti  d' esperienza.  E  il  fatto  d'esperienza  fondamentale  assolutamente  originario  è  la  sensazione.  Questa  è,  sì,  coscienza, ma  di  nient' altro  coscienza  che  di  sé,  non  implicante, quindi,  una  duahtà  per  cui  essa  sia  contrapposta  come  soggettiva  a  qualcos'altro  che  sia  l'oggetto:  la  sensazione come  coscienza  di    stessa  non  é    soggetto,    oggetto.  Certo  la  distinzione  soggetto-oggetto  trova  posto  nell'esperienza,  ma  non  è  un  fatto  primitivo  rispetto  all'atto  della  sensazione,  «  non  anteriore  e  trovata  primitivamente  in    dalla  coscienza,  ma  posteriore  e  costruita  a  poco  a  poco  nella  medesima  per  via  dello  stesso  processo  conoscitivo  »,  Chi  considera  primitiva  e  originaria  quella  distinzione  è  portato  a  trasformarla  in  un  duahsmo  metafisico,  per  cui  soggetto  e  oggetto  implicano  sostrati  eterogenei,  l'uno  spirituale, l'altro  materiale,  e  si  contrappone  l'io  come  sostanza  spirituale  alla  cosa  fisica,  un  mondo  interiore  a  un  mondo  esterno,  ciò  che  rende  insolubile  il  problema  della  conoscenza come  rapporto  tra  queste  due  entità  eterogenee.  Il  fatto  originario  dell'esperienza,  ripetiamo,  é  la  sensazione:    Il  positivismo  ardigoiano  e  la  sua  crisi  5   e  questa  è  indifferenziata,  non  è  soggettiva  più  che  oggettiva,  o  viceversa.  Soggetto  e  oggetto  non  sono  che  aggruppamenti  o  sintesi  di  sensazioni,  differenziantisi  secondo  la  specificazione degli  organi  di  senso  (sensi  intemi  e  sensi  estemi)  e  secondo  la  stabiHtà  e  costanza  o  la  accidentahtà  e  intermittenza delle  attività  sensoriali.  Si  ha  cosi  l'auto-sintesi  (io  o  mondo  psichico)  e  l'etero-sintesi  (il  non-io  o  mondo  fisico)  :  con  che,  in  verità,  la  differenziazione  che  si  intendeva  spiegare,  è  semphcemente  presupposta.  Spirito  e  materia  non  sono  opposte  entità  metafisiche,  ma  astrazioni  significanti alcuni  caratteri  generali  propri  rispettivamente  dei  fenomeni  interni  e  di  quelli  estemi.  Il  che  non  esclude,  tuttavia, con  scarsa  coerenza  che  si  possa  parlare  di  un  monismo  psico-fisico,  e  che  si  ricada  anche  nell'ingenuo  dogmatismo  materiaUstico,  che  del  fenomeno  psichico  pone  come  causa  necessaria  il  fatto  fisiologico  della  vibrazione  nervosa  e  giunge,  col  Taine,  a  considerare  l'intelligenza  come  una  funzione  dell'organismo.   Il    principio    ardigoiano    dell'assoluta    originarietà    della  Non  c'è  un  sosensazione  come  fatto  costitutivo  dell'esperienza,  ossia  della  ^^.''^'°  f^^  '  '  gtamenh.   realtà  immediatamente  vissuta  nella  coscienza,  esprime  in  termini  psicologici  il  principio  metafisico  che  riduce  il  mondo  a  un  processo  di  formazione  naturale,  ossia  a  una  continua  serie  di  cangiamenti,  che  non  presuppone  alcun  sostrato  permanente  (antisostanziahsmo)  ma  consiste  nello  scaturire  necessario  di  un  nuovo  stato  o  momento  attuale  dell'essere  dagH  stati  o  momenti  anteriori,  in  virtù  di  forze  insite  in  questi  stati  antecedenti.  E  la  struttura  di  un  tal  processo  universale  del  divenire  si  offre  intuitivamente  nel  fatto  fondamentale della  sensazione:  l'esperienza  nella  sua  immediatezza si  costituisce  nel  necessario  passaggio  daUa  unità  indifferenziata del  sentire  originario  nella  duaUtà  soggetto  oggetto.  Ebbene,  il  divenire  della  realtà  risulta  appunto  come  un  processo  nel  quale  la  moltepHcità  delle  forme  di  essere  che  il  pensiero  apprende  come  distinte  emergono  continuamente da  un  indistinto  nel  quale  quel  moltepHce  trova  la  sua  unità  e  la  sua  condizione.  Non  che  in  questa  inter    prelazione  della  «  formazione  naturale  »  l'indistinto  venga  contrapposto  al  distinto  in  modo  assoluto:  l'indistinto  è  tale  solo  relativamente,  cioè  rispetto  ai  distinti  che  esso  vale  a  spiegare;  ma  ognuno  di  questi  distinti  sollecita  aUa  sua  volta  ulteriori  distinjzioni  di  cui  esso  figura  come  l'unione  sintetica,  e  quindi  come  indistinta.  Il  processo  di  formazione  naturale  come  emergenza  dei  distinti  dall'indistinto,  è  infinito: se  i  distinti  sono  finiti,  infinito  è  l'indistinto  in  seno  al  quale  e  ad  opera  del  quale  essi  si  generano.  E  per  questo  rispetto  il  naturalismo  ardigoiano  s'ispira  a  quello  rinascimentale, rivela  l'affinità  del  suo  concetto  d'indistinto  con  quello  bruniano  d'infinito  e  respinge  ogni  interpretazione  trascendente  del  principio  generatore  e  unificatore  del  reale,  sia  del  tipo  dell'inconoscibile  spenceriano  [l'indistinto  è  semplicemente r  «  ignoto  »,  ossia  ciò  che  non  è  ancora  conosciuto, appunto  perchè  ancora  privo  di  quelle  intrinseche  distinzioni  che  rendono  possibile  il  conoscere)  sia  del  tipo  del  noumeno  kantiano  (l'unità  sintetica  del  molteplice  fenomenico è  appunto  l'indistinto  immanente  ai  distinti  e  fenomenico  al  pari  di  questi).  Universo  infiIn  questa  tipica  struttura  di  «  formazione  naturale  »  è  concepito  dall' Ardigò  l'universo,  come  tutto  infinito,  le  cui  parti  non  sono  entità  semplici,  elementi  fissi,  ma  sono  «  ritmi  »  d'esperienza,  ossia  forme  speciaU  di  regolarità  nella  successione dei  fatti,  costantemente  ricorrenti  e  unificantisi  in  quel  ritmo  dei  ritmi  che  è  l'ordine  razionale  deUa  natura.  Quest'ordine  presenta  caratteri  che  possono  apparire  opposti e  anche  contraddittori,  ma  che  nella  riflessione  filosofica  dell' Ardigò  tendono  a  conciMarsi,  anche  se  non  sempre  il  risultato  risponde  pienamente  al  proposito.  Così,  ad  esempio,  l'universale  ritmicità  comporta  una  rigida  necessità  causale  in  tutte  le  formazioni  naturah,  ma  questa  determinazione  non  esclude  la  casuahtà.  L'universo  comporta  una  infinità  di  ordini  possibili:  il  verificarsi  effettivo  di  uno  di  essi  e  il  determinarsi  in  seno  ad  esso  di  essenze  causali  necessarie,  non  ha  nulla  di  necessario  e  predeterminato,  è  il  prodotto  di  combinazioni  la  cui  fortuita  rende  imprevedibile  il  corso    nito.    Il  positivismo  ardigoiano  e  la  sua  crisi  7   degli  eventi.  Analogamente,  la  necessità  che  genera  e  domina l'ordine  cosmico,  è  necessità  rigidamente  mnemonica,    che  ciò  che  di  più  meraviglioso  essa  presenta  è  per  Ardigò  il  fatto  che  «  la  diversità  prodigiosa  delle  cose  che  compongono la  natura  e  la  varietà  inesauribile  delle  forme  che  vi  si  vanno  continuamente  sostituendo  è  il  risultato  di  un  lavoro  semphcemente  meccanico,  cioè  di  nuli' altro  che  certi  impulsi,  dati  e  ricevuti  ».  Ma  nel  tempo  stesso  l'ordine  comporta anzi  esige  una  spontaneità  della  forza  per  la  quale  il  processo  di  distinzione  risulta  un  vero  e  proprio  processo  creativo,  inconcihabile  col  meccanicismo  puro,  che  vede  nel  divenire  cosmico  un  complesso  di  trasformazioni  dell'essere  per    stesso  non  suscettibile  di  creazione  o  distruzione.  E  Meccanicismo  questa  duplice  faccia  che  nel  positivismo  ardigoiano  pre« '^^t^deterimmsenta  l'ordine  cosmico,  la  faccia  meccanicistica  e  quella  antideterministica  o  contingentistica  riappare  nell'antitesi  tra  la  tendenza  a  interpretare  lo  sviluppo  cosmico  come  un  semphce  accrescimento  quantitativo  e  a  cercare  il  segreto  delle  forme  più  complesse  e  derivate  in  strutture  più  primitive e  povere  di  determinazioni  e  la  tendenza  opposta  a  vedere nel  divenire  cosmico  un  processo  dinamico  di  ascensione dell'essere  in  forme  sempre  più  ricche  di  realtà,  in  sistemi  ritmici  forniti  di  un  grado  di  autonomia  sempre  più  elevato.  Questo  contrasto  tra  le  due  istanze  appare  in  più  cruda  luce  quando  oggetto  della  riflessione  filosofica  è  l'uomo  e  il  mondo  umano  :  esso  s'inserisce  nell'ordine  cosmico  senza  romperne  l'unità  e  continuità  col  mondo  fisico:  formazione naturale  è  la  vita  della  coscienza,  quale  è  indagata  dalla  psicologia  come  scienza  positiva,  come  scienza  di  fatti  dominati  dal  meccanismo  psichico;  formazione  naturale  è  la  società  nella  quale  gh  uomini  formano    stessi  e  costruiscono la  propria  storia;  formazione  naturale  la  coscienza  delle  ideaHtà  superiori  etiche,  giuridiche,  rehgiose,  estetiche, scientifiche  che  regolano  e  promuovono  l'operare  umano.  Ma  queste  formazioni  naturah  si  presentano  nel  cosmo  con  connotazioni  speciah  che  rendono  esasperantemente problematica  la  inseribihtà  dell'umano  nel  monismo naturalistico:  problematica  è  la  derivazione,  per  meccanismo  psichico,  dei  poteri  intellettuali  dalla  sensibilità  e  del  volere  dall'impulsività  inerente  alla  sensazione;  problematica  la  fondazione  della  libertà  spirituale  e  dell'autonomia  umana  sulla  necessità  della  natura,  come  coronamento  di  essa;  problematica,  l'identificazione  dell'opposizione  tra  morale  e  immorale  con  quella  tra  socialità  antiegoistica  ed  egoismo,  pur  essendo  l'uno  e  l'altro  formazione  naturale.  Fortuna  delLa  fortuna  del  positivismo  ardigoiano  presenta  due  fasi  VArdigo.  distinte:   l'una,   che   riempie   l'ultimo   trentennio   dell'Otto cento ed  è  compresa  tra  il  discorso  su  Pomponazzi,  che  apre  la  rottura  col  mondo  ecclesiastico  in  cui  aveva  fin  allora  militato,  e  la  decadenza  mentale  della  tarda  vecchiaia  :  periodo  di  progressiva  maturazione  e  articolazione  del  pensiero  positivo e  di  crescente  efficacia  rinnovatrice  cosi  nella  demolizione dei  vecchi  idoli  della  filosofia  tradizionale,  svuotata  negh  ultimi  decenni  di  vera  vitahtà,  come  nella  costruzione  della  nuova  Itaha  uscita  dal  Risorgimento,  laica  e  democratica: la  seconda,  che  si  estende  oltre  il  primo  trentennio  del  nostro  secolo,  in  cui  i  discepoli  di  Ardigò,  usciti  dalla  scuola  di  Padova,  accolgono  l'eredità  del  Maestro,  e  mentre  se  ne  fanno  apologisti  e  spesso  agiografi,  mentre  esaltano  la  fecondità  del  suo  positivismo  inteso  come  «  metodo  »,  sentono il  bisogno  di  sottoporre  a  revisione  critica  i  temi  principaH  della  sua  «  dottrina  »,  sensibili  alle  difficoltà  e  contradizioni che  vi  si  annidavano,  messi  in  sempre  più  chiara  luce  dalla  polemica  incalzante  di  agguerriti  avversari,  militanti nelle  file  del  risorgente  spiritualismo  e  più  particolarmente dell'ideahsmo  d'ispirazione  hegehana,  che  proprio  in  quel  tomo  di  tempo  si  veniva  costituendo  e  grandeggiava  sempre  più  potente,  fino  a  soppiantare  il  positivismo  nel  dominio  della  cultura  itaHana.  Questa  seconda  fase  fu  detta  dagh  stessi  discepoli  di  Ardigò  fase  di  «  crisi  ».  È  questa  crisi  del  positivismo  che  si  esprime  specialmente  nella  dottrina  del  Marchesini,  del  Troilo  e,  con  iimovazioni  più  radicali  in  tutto  l'arco  dei  problemi  filosofici,  del  Tarozzi.    G.  Marchesini  9   2.  Giovanni  Marchesini.    Già  nel  1898,  quando  Ardigò  era  ancora  intento  a  completare  il  suo  edificio  speculativo,  dal  seno  stesso  della  scuola  ardigoiana  usciva  una  denuncia  di  crisi  del  positivismo:  La  crisi  del  positivismo e  il  problema  filosofico,  di  cui  era  autore  Giovanni  Marchesini,  uno  dei  discepoli  più  fedeli  ed  entusiasta divulgatore  del  pensiero  del  Maestro,  per  lunghi  anni  fino  alla  morte  professore  di  filosofia  morale  e  di  pedagogia  nell'Università  di  Padova.   Nella  prima  fase  della  sua  produzione  aveva  accentuato  contro  Vidoiae  applicato  il  principio  capitale  del  positivismo,  che  non  v'è  ^^  •^'*"°conoscenza  la  quale  non  sia  fondata  esclusivamente  su  fatti  sperimentati  o  sperimentabiH.  Questo  principio  era  da  lui  affermato  con  tanto  piri  intransigente  rigore  quanto  più  viva  e  urgente  era  la  lotta  che  il  positivismo  conduceva  contro  la  tradizione  metafisica  e  rehgiosa.  Ma  col  graduale  ampharsi  del  campo  delle  sue  esperienze  culturaH  e  col  maturarsi  della  sua  riflessione  critica,  il  Marchesini  si  formò  la  convinzione,  svolta  appunto  in  quel  suo  libro  del  1898,  che  proprio  siffatta «  idolatria  del  fatto  »  poneva  in  crisi  il  positivismo.  Questo  deve  attenersi  al  fatto,  ma  il  fatto  vederlo alla  luce  della  ragione,  al  di  fuori  della  quale  non  è  possibile  nessuna  conoscenza  non  che  filosofica  o  scientifica,  neppure  comune.  E  per  ragione  il  Marchesini  intende  non  solo  i  poteri  intellettuaU,  ma  anche  ambiguamente  quegli  atteggiamenti  dell'anima umana  che  più  spesso  sono  quahficati  come  irrazionaH  o  alogici,  gh  «  slanci  »  del  sentimento  e  deU'immaginazione,  che  Marchesini  volentieri  chiama  «  romantici  »  o  «  mistici  ».  «  Dopo  Platone  ed  Hegel  egli  scrive  dopo  i  trionfi  delle  rehgioni, delle  metafisiche  e  dell'arte,  è  assurdo  voler  soffocare  e  sopprimere,  per  l'amore  incomposto  del  fatto,  il  senso  àeW! idealità  razionale.  Non  è  possibile  isolare  e  circoscrivere  il  nostro  pensiero  entro  una  breve  cerchia  di  fatti  minuti  e  non  risahre  a  principii  superiori  razionali  »  [La  crisi  del  positivismo).   Il  positivismo  è  in  crisi,  ogni  volta  che  limita  il  suo  orizRitmicità.  zonte  mentale  a  fatti  accertabili  nella  loro  bruta  oggettività, dissimulando  per  giunta  la  presenta  e  l'azione  di  quei  principii  razionali  che  costituiscono  V  «  imperativo  »  dell'esperienza e  rendono  possibile  la  conoscenza  «  scientifica  »  pur  di  questo  ordine  di  fatti,  ossia  la  scoperta  in  esso  d'una  «  ritmicità  »,  per  la  quale  la  scienza  si  trova  innanzi  non  a  un  coacervo  di  dati  empirici  (i  «  fatti  minuti  »,  di  cui  il  Marchesini parla  nel  passo  or  ora  citato),  ma  innanzi  a  un  mondo  uno  e  continuo,  il  mondo  della  «  natura  materiale  »,  scandita con  necessità  meccanica,  nei  gradi  della  fisicità,  della  organicità  biologica  e  della  psichicità.  Il  positivismo  è  in  crisi  ogni  volta  che,  presentandosi  come  «  naturalismo  materialistico »,  ignora  (e  si  mostra  incapace  di  spiegare)  la  realtà  di  un  «  regno  dello  spirito  »,  incentrato  nell'uomo,  quale  essere  non  riducibile  a  mera  realtà  bio-psichica,  ma  «  soggetto »  di  «  ideaUtà  »  capaci  di  rompere  il  meccanismo  della  natura  materiale  e  d'instaurare,  pur  in  seno  ad  essa,  un  mondo  superiore,  il  mondo  umano  della  storia,  il  mondo  dell'  «  incivihmento  ».  Superiorità  delNell'ordine  biologico  e  nell'ordine  psichico,  l'uomo  afVuomo.  ferma  risolutamente  il  Marchesini  ha  una  superiorità  su   tutti  gh  esseri,  della  quale  è  fattore  essenziale  la  capacità  sua  a  trarre  appunto  dal  suo  fondo  fisio-psichico  delle  idealità,  ossia  principii  di  condotta  accompagnati  da  coscienza  del  dovere,  capaci  di  contrastare  a  inclinazioni  sensoriali  insite  nella  sua  natura.  L'ideale.  «  L'ideale  non  è  un  lusso,  perchè  non  è  un  lusso  la  civiltà,   che  dall'ideale  trasse  sempre  aHmento  e  forza.  È  un  prodotto  umano,  dovuto  a  leggi  necessarie,  di  cui  la  ragione  è    il  soggetto libero  e  eterno.  Negare  l'ideale  morale,  come  fatto  e  come  legge,  come  principio  fondamentale  della  nostra  esistenza, significa  negare,  con  la  nostra  ragione  e  dignità,  la  nostra  stessa  natura:  in  una  parola,  significa  dimenticare    stessi  »  {Ibidem,  p.  i86).    «  Il  positivismo  non  è  dunque  contrario alla  Morale,  ma  da  esso  la  Morale  sorge  come  scienza,  spoglia  da  ogni  preconcetto,  forte  e  sicura.  Il  positivista  non  può  arrestarsi  a  scoprire  nell'uomo  civile  il  selvaggio  e  il  bruto,  e  trascurare  quegli  elementi  di  civiltà  vera  che  sono    G.  Marchesini  ii   come  le  stratificazioni  nuove,  solidissime,  sovrappostesi  agli  strati  più  antichi.  Tutta  la  storia  dell'uomo  c'insegna  che  la  nostra  civiltà  è  la  naturale  continuazione  e  il  dinamico  sviluppo  delle  primitive  tendenze;  ma  in  questa  continuità  dinamica  il  positivista  ritrova  la  legge  del  progresso  civile,  e  soprattutto  del  progresso  morale.   È  merito  del  Marchesini  aver  posto  al  centro  del  suo  Positivismo  positivismo  i  problemi  dell'uomo  e  della  sua  formazione  nella  ^^^co.  storia  e  nell'educazione,  conforme  alla  sua  schietta  vocazione di  morahsta  e  di  educatore.  Secondo  lui,  la  via  per  la  quale  il  positivismo  poteva  superare  la  sua  crisi  era  che  esso  diventasse  positivismo  idealistico,  capace  cioè  di  salvare  la  specifica  funzione  delle  «  ideahtà  »  umane  nella  «  realtà  »  deUa  natura,  e  di  spiegare  come  in  un  mondo  di  fatti  particolari e  relativi  possano  formarsi  ed  essere  operativi  principii  ideali  che  s'impongano  alla  coscienza  con  la  pretesa  dell'universahtà  e  imperatività  assoluta.  Egli  tentò  una  costruzione  sistematica  di  questo  suo  positivismo  idealistico  nell'opera  che,  anche  cronologicamente,  occupa  il  posto  centrale  nella  sua  trentennale  produzione  speculativa.  La  dottrina  positiva  delle  idealità,  del  1913.  In  questo  Hbro  egU  convoghò  anche  un  nucleo  di  idee  già  ampiamente  formulate  fin  dal  1903  nell'opera  capitale  Le  finzioni  dell'anima:  e  costantemente  riprese  e  variamente  appUcate  negh  anni  successivi;  nucleo  d'idee  per  cui  il  positivismo  ideahstico  si  configura  come  funzionalismo  o  etica  e  pedagogia  del  come  se,  o  anche  prammatismo  razionale,  che  egli  considerò  come  l'apporto  più  originale  e  significativo  da  lui  recato  all'esplorazione  del  mondo  umano,  ma  che  effettivamente  è  forse  la  parte  più  debole  del  suo  pensiero,  rivelante  l'ambiguità  d'impostazione  e  l'incertezza  o  addirittura  la  contraddittorietà  di  soluzione  del  suo  problema.   Il  compito  che  il  Marchesini  si  propone  è  quello  di  mostrare  L'etica   come  la  idoneità  e  sufiicienza  del  metodo  positivo  a  fondare  una  dottrina  deUe  ideahtà  razionah,  ossia  a  costituire  l'etica  come  scienza.  Un  tal  compito  imphca  una  critica  radicale  di  qualunque forma  di  etica  metafisica  ossia  di  qualunque  dottrina    scienza  Analisi    morale.    Natura    e    ir,  flusso  sociale.    la  quale  esiga  riferimento  a  una  sfera  trascendente  l'esperienza per  spiegare  dati  rivelantisi  nella  esperienza  morale:  il  produrre  elementi  metafìsici  nello  studio  della  moralità  è  un  procedimento  non  conforme  a  ragione  scientifica,  consistendo esso  nel  proiettare  nel  mondo  trascendentale  e  assoluto modi  soggettivi  ed  empirici  della  nostra  vita  spirituale.  La  morale  come  scienza  deve  eliminare  dalla  concezione  delle  idealità  siffatte  trasfigurazioni  e  deformazioni  del  procedimento metafìsico  per  fissare  i  dati  concreti  dell'esperienza  spirituale  umana.   Vale  per  l'Etica,  non  meno  che  per  le  altre  scienze,  il  principio  che  ogni  indagine  scientifica  presuppone  una  realtà  data,  la  quale  ne  costituisce  l'oggetto:  l'Etica  presuppone  la  realtà  del  fatto  morale,  realtà  che  va  non  soltanto  constatata empiricamente  ma  determinata  altresì  nei  caratteri  e  nelle  leggi  specifiche  ad  essa  pertinenti.   Siffatta  determinazione  si  realizza  mediante  il  procedimento deìl' analisi  del  fatto  morale:  si  tratta  di  decomporre  questo  fatto  nei  suoi  elementi  costitutivi  e  vedere  come  esso  sia  il  prodotto  o  la  sintesi  di  coefficienti  anche  d'ordine  inferiore.   Riassumendo  i  risultati  di  questa  analisi  quale  il  Marchesini la  conduce,  vediamo  che  le  componenti  del  fatto  morale  sono:  a)  incUnazione  naturale  propria  dell'individuo  come  essere  biopsichico;  b)  fattori  della  socialità  propria  della  vita  umana;  e)  ideaUtà  razionale  ossia  aspirazione  a  modi  e  forme  di  vita  superiori  alla  realtà  attuale;  d)  tendenza a  concepire  e  sentire  l'ideale  etico  come  la  rivelazione  dell'Assoluto.   I  primi  due  ordini  di  taU  coefficienti  sono  omogenei  in  quanto  esprimono  i  fattori  costitutivi  della  struttura  dell'individualità umana  come  soggetto  morale.  «  Il  soggetto  morale risulta  anche  dalle  attitudini  originarie  dell'uomo,  che  si  differenziano  in  ogni  individuo  per  il  vario  contributo  delle  eredità  biologica  o  bio-psichica;  e  risulta  inoltre  tra  i  rapporti  sociali  stendentesi  nello  spazio  e  nel  tempo  in  cui  la  personalità  è  compresa,  e  che  del  pari  si  differenziano  negli    G.  Marchesini  13   individui  per  il  contributo  di  una  determinata  eredità  sociale (....).  Il  soggetto  morale  si  compie  per  l'integrazione  di  questi  due  ordini  di  coefficienti:    la  natura  bio-psichica  dell'individuo,    l'influenza  sociale  bastano  isolatamente  a  spiegarne,  con  le  idealità,  la  vita  morale.  I  due  ordini  di  fattori  per  contrario  si  fondono,  e  ripercotendosi  negH  uni  la  efficienza  degli  altri,  si  modificano  reciprocamente  »  {La  dottrina  positiva  delle  idealità,  p.  55).   Siffatta  unità  organica  di  vita  bio-psichica  e  vita  sociale  è  la  base  reale  per  la  formazione  della  personahtà  morale,  per  la  quale  é  necessario  l'apporto  di  quello  che  noi  abbiamo  indicato  come  terzo  ordine  di  coefficienti,  cioè  le  ideahtà  etiche.  Queste  sono  caratterizzate,  a  dire  del  Marchesini,  L'obbligazione.  dalla  obbligazione  ossia  dalla  coscienza  di  una  necessità  ideale  a  cui  si  deve  sottostare,  dalla  coscienza  che  certi  modi  di  condotta  devono  essere  preferiti  a  certi  altri.  Ma  proprio  neUa  illustrazione  di  questo  concetto  del  dover  essere  specifico alla  vita  morale,  il  pensiero  del  Marchesini  si  presenta  particolarmente  oscuro.  Da  una  parte  sembra  che  egli  insista  sulla  essenziale  amoraUtà  della  vita  sociale  in  quanto  priva  del  valore  derivante  daUa  idealità  (vi  sono  forme  di  società  animali  affini  alle  associazioni  umane  ma  prive  di  ogni  carattere di  morahtà)  ;  dall'altra  parte  tende  a  identificare  socialità  e  morahtà.  Parte  dalla  giusta  osservazione  che  «  la  morahtà  non  sarebbe  inteUigibile  fuori  dei  rapporti  sociali,  delle  tradizioni,  del  costume,  delle  istituzioni  varie  e  dell'azione inter-individuale  »,  e  da  questa  affermazione  inferisce che  nel  sentimento  sociale  è  già  l'essenza  del  sentimento  morale  in  quanto  il  primo  imphca  per  sua  natura  la  coscienza  dell'obbligazione  di  risentire  e  rispettare  i  vincoH  compresi  nei  rapporti  sociali,  imphca  cioè  la  tendenza  «  a  restringere  il  proprio  arbitrio,  e  a  mantenersi  in  un  certo  accordo  con  i  consociati:  e  in  ultima  anahsi  adunque  la  tendenza  sociale  è  una  tendenza  morale  ».  «  Noi  possiamo  separare  l'uno  dall'altro  sentimento  per  astrazione,  e  fissare  neUe  rispettive  definizioni  termini  differenziah  ;  ma  tutto  ciò  è  ben  lungi  dal  distruggere  la  loro  fondamentale  unità  psicologica...  per    ver  essere. la  quale  le  idealità  sociali  costituiscono  il  principio  supremo  della  moralità,...  e  si  comprende  come  si  possano  scambiare  i  due  termini  morale  e  sociale,  in  quanto  ha  natura  morale  tutto  ciò  che  è  sociale,  ed  è  sociale  ogni  morale  »  {ibidem,   PP56-57) Questa   tendenza    a   unificare    sul   piano   psicologico    le   ideaHtà  morali  con  le  esigenze  sociaU,  attuata  fino  in  fondo,  porterebbe  a  una  dottrina  etica  risolventesi  in  pura  socio//  fatto  e  il  dologia.  Il  Marchesini  sembra  restio  ad  accettare  una  posizione del  genere,  intuendo  più  o  meno  oscuramente  la  differenza radicale  tra  l'obbligazione  o  normatività  sociale  e  l'obbhgazione  o  normatività  morale,  in  quanto  la  prima  si  risolve  in  una  pressione  che  di  fatto  la  società,  nel  costume  e  nella  legge  esercita  sulla  coscienza  individuale,  e  a  una  tale  situazione  di  fatto  l'individuo  avrebbe  sempre  il  diritto  di  contrapporre  un  altro  fatto  costituito  dalle  sue  esigenze  egoistiche;  viceversa  l'ideaHtà  morale  sta  ad  indicare  non  una  realtà  storica  o  psicologica,  bensì  il  diritto  all'esistenza  di  qualcosa  che  non  ha  attualmente  esistenza:  la  normatività morale  è  un  dover  essere  che  s'impone  indipendentemente da  ogni  condizione  particolare  ed  è  in  forza  di  esso  che  si  sente  il  valore  imperativo  dell'idealità  sociale  non  solo,  ma  anche  la  necessità  ideale  di  aspirare  ad  una  costituzione  sociale  superiore,  nella  quale  siano  superate  le  deficienze  della  vita  sociale  attuale.  Ma,  ripeto,  questa  distinzione  è  intuita  dal  Marchesini  solo  oscuramente.  Egli  descrive  la  vita  schiettamente  morale  in  questi  termini  :  «  si  deve  sentire e  operare  altruisticamente  superando  l'esclusivismo  egoistico; si  deve  attenersi  al  dovere,  qualunque  sacrificio  possano subirne  i  nostri  desideri;  ci  si  deve  sottrarre  alla  servitù  vile  delle  passioni  ignobih  e  dei  ciechi  istinti  brutali,  e  acquistare quella  hbertà  che  ha  nella  virtù  i  propri  simboli  eterni  »  [ibidem,   p.   61).   Ma  quando  si  domanda  quale  è  il  fondamento  di  quel  dovere  che  è  l'anima  della  vita  morale  cosi  caratterizzata,  si  risponde  che  questo  fondamento  è  dato  da  quella  che  egli  chiama  «  natura  morale  essenziale  all'uomo  »,  ossia  dalla    G.  Marchesini  15   potenzialità  propria  dell'uomo  di  costituirsi  come  soggetto  Potenzialità  morale.  «  Il  principio  della  naturale  umanità  morale  significa  *"°''^'^che  esistono  nell'uomo  in  quanto  tale  tendenze  naturali  potenzialmente morali,  destinate  a  svolgersi  per  l'esperienza  della  vita  {....)',  questa  non  crea  le  tendenze  in  cui  l'umanità  consiste,  ma  interviene  necessariamente  a  svilupparsi  (....)•  Le  idealità  morali  traducono  in  se  medesime  la  nostra  umanità morale,  quale  è  e  quale  aspira  a  divenire  (....).  Non  esiste  uomo  normale  che  nella  coscienza  del  valore  delle  ideaUtà  non  affermi  la  coscienza  del  valore  umano  e  proprio;  che  non  riconosca  insomma  intimamente  la  necessità  che  il  dovere  e  il  diritto  non  l'arbitrio  e  la  violenza  governino  la  condotta  individuale  della  vita  sociale.   Dal  che  risulta  che  la  «  umanità  morale  »  è  illazione  tautologica daM'essere  delle  ideaUtà  morali  al  loro  poter  essere  e  non  può  quindi  offrire  a  queste  un  fondamento  che  esse  non  abbiano  già  in  sé.   La  difficoltà  nella  visuale  del  Marchesini  di  distinguere  Ricerca  di  una  chiaramente  l'obbhgazione  morale  da  quella  sociale  risulta  ^°^'^■  anche  nella  ricerca  che  egh  fa  di  una  norma  delle  valutazioni  delle  idealità  etiche.  Il  regno  dei  valori  morah,  egU  dice,  è  l'io  dell'uomo,  ossia  essi  sono  soggettivi,  creazioni  del  soggetto. Ma  d'altra  parte  l'individuo  stesso  li  sente  come  oggettivi in  quanto  la  creazione  loro  da  parte  del  soggetto  non  è  arbitraria  e  questa  oggettività  consiste  nel  riconoscimento  che  quelli  «sono  valori  sociali,  storici,  tradizionah;  che  in  essi  convengono  i  consociati;  che  hanno  una  durata  nel  tempo,  se  non  anche  la  perennità  propria  dei  valori  fondamentaU  d'ogni  consorzio  umano;  che  si  fissano  perfino  nello  spazio  mediante  varie  istituzioni,  e  nel  costume.  L'individuo  perciò  ne  riconosce  la  sovrana  potenza,  superiore  infinitamente al  suo  arbitrio;  riconosce  che  non  provengono  dalla  Ubertà  creatrice  dello  spirito  suo  ma  da  ragioni  obiettive  concrete»  {ibidem,  p.  86).  Dunque  la  validità  oggettiva  delle  idealità  etiche  si  risolve  nella  normatività  delle  valutazioni  dominanti  nella  società  in  una  determinata  epoca;  non  è  una  necessità  del  genere  di  quella  formulata  da  Kant  con l'imperativo  categorico  «  ma  una  necessità  concreta,  naturale, immediata,  relativa  alle  condizioni  specifiche  della  convivenza,  ossia  del  modo  e  grado  di  sviluppo  che  in  una  determinata  epoca  e  società  venne  raggiunto  dalla  comune  umanità  morale  ».  La  necessità  delle  norme  della  valutazione  è,  per  il  Marchesini,  razionale  solo  in  quanto  è  naturale  e  storica  «  e  come  tale  si  scosta  dalla  necessità  pura  immutabile concepita  e  propugnata  dall'idealismo  kantiano  »  [ibidem,  pp.  89-90).  La  reintegrazioInfine  uu  tentativo  di  caratterizzare  nella  sua  specificità  "^l'obbUgazione  morale  è  compiuta  dal  Marchesini  col  riferire   la  formazione  delle  ideahtà  etiche  al  processo  che  egli  chiama  di  reintegrazione,  per  cui  i  motivi  interiori,  le  inchnazioni  naturali  risultano  gli  elementi  originari  che  si  rifondono,  persistendo, nelle  formazioni  superiori  dello  spirito.  «  Come  la  sensazione  persiste  nell'idea,  che  non  avrebbe  senza  di  queUa    origine    contenuto,  e  tuttavia  l'idea  non  si  riduce  alla  sensazione  (poiché  si  pone  come  un  vero,  cioè  in  relazione  a  una  idealità  logica,  che  l'individuo  apprende  per  effetto  di  una  speciale  cultura) ,  così  persistono  nelle  ideahtà  le  tendenze  varie,  fondamentali  della  personalità,  o  insomma  persiste  quello  che  possiamo  dire  il  suo  interesse,  ricostituendosi,  reintegrandosi  in  forme  nuove,  a  cui  si  attribuisce  più  propriamente il  carattere  di  valori  »  {ibidem,  p.  76) .  Per  il  Marchesini questo  principio  della  reintegrazione  abbraccia  l'universa natura:  questa  procede  per  integrazioni,  disintegrazioni e  reintegrazioni;  equivale  cioè  al  principio  evolutivo  del  passaggio  dall'indistinto  al  distinto,  della  continuità  tra  mondo  fisico,  mondo  biologico  e  mondo  psichico.  E  entro  il  mondo  biopsichico  esso  opera  come  passaggio  dall'istinto  animale  e  piii  in  generale  dalle  inclinazioni  biopsichiche  fondamentali alle  formazioni  superiori  della  umanità  morale.  Ma  nella  illustrazione  di  questo  passaggio  il  Marchesini  insiste  più  sul  concetto  del  persistere  dei  coefficenti  inferiori  nelle  formazioni  superiori,  che  sul  concetto  dell'originalità  e  novità  di  queste  ultime  e  sulla  specificità  dei  caratteri  specifici che  le  distinguono  l'una  dall'altra.  E  così,  a  proposito    lità  della  norma .    G.  Marchesini  17   della  formazione  della  nostra  «  umanità  morale  »  non  si  accenna neppure  alla  distinzione  in  essa  delle  idealità  sociali  dalle  idealità  speciiìcamente  etiche,  limitandosi  il  Marchesini ad  affermare  che  gli  elementi  inferiori  si  reintegrano  «  nelle  formazioni  superiori  dello  spirito,  soprattutto  per  la  provocazione  e  il  materiale  suggestivo  di  elaborazione  che  provengono  dai  rapporti  sociah  ».  E  ad  esempio,  a  proposito della  ideahtà  della  Giustizia,  si  afferma  che  il  processo  reintegrativo  in  essa  consiste  nella  trasformazione  degl'impulsi biopsichici  dell'individuo  assommantisi  nella  tendenza  a  perseverare  nel  proprio  essere  in  un  senso  di  sohdarietà  e  simpatia  che  si  traduce  nelle  istituzioni  giuridiche,  e  sembra  che  in  queste  si  esaurisca  l'obbligazione  morale,  come  dipendenza dell'individuo  dalla  volontà  sociale.  L'idealità  della  Relativa  stabigiustizia  al  pari  delle  altre  idealità  etiche  è  legata  alla  mobilità  dell'esperienza  storica  dell'umanità:  e  questa  connessione su  cui  il  Marchesini  giustamente  insiste  giustifica  il  principio  metodologico  che  è  da  questa  esperienza  che  noi  dobbiamo  ricavare  i  criteri  di  giudizio  da  appHcare  ai  nuovi  dati  dell'esperienza  stessa.  Il  che  significa  che  l'esperienza  storica  ci  presenta  elementi  che  hanno  per  noi  valore  normativo: e  questi  elementi  sono  quelli  che  nel  mutamento  del  mondo  dell'esperienza  storica,  risultano  i  più  stabili  e  che,  nei  contrasti  della  vita  sociale,  raccolgono  i  consensi  più  larghi.  Ma  se  questa  stabihtà  e  questo  consenso  sono  puramente elementi  di  fatto,  bastano  essi  a  costituire  quella  normatività o  imperatività  che  è  essenziale  all'ideahtà  etica?  Lo  stesso  Marchesini  sembra  dubitarne:  egH  infatti  in  un  passo  importante  parla  non  semplicemente  di  stabihtà  o  di  consenso,  ma  di  diritto  alla  stabihtà  e  al  consenso  sempre  più  generale  [ibidem,  pp.  138-139).  Ma  non  dice  su  che  cosa  si  fonda  e  donde  deriva  un  tale  diritto.   Nell'anahsi  del  fatto  morale  il  Marchesini  rileva  un  altro  coefficiente  quello  da  noi  designato  come  quarto  e  cioè  un  ordine  d'impulsi,  per  i  quali  l'ideale  etico  è  sentito  come  «  la  rivelazione  d'un  mondo  trascendente  e  insomma  dell'Assoluto »  [ibidem,  p.  75  e  sgg.).  Assoluto.  Per  Marchesini  l'Assoluto  si  presenta  alla  coscienza  umana:   a)  come  la  realtà  suprema  da  cui  ogni  cosa  dipende  e  in  cui  tutte  le  cose  si  unificano,  oggetto  d'un'idea  metafisica;   b)  un  ideale  trascendente  di  perfezione,  con  cui  la  vita  degli  individui  tende  a  identificarsi,  contenuto  d'un  sentimento  essenziale  all'umanità  morale.  Ma  pel  Marchesini,  la  critica  razionale  del  pensiero  dell'Assoluto  nell'una  e  nell'altra  forma  dimostra  che  esso  appare  fattore  costitutivo  del  fatto  morale  non  in  quanto  la  trascendenza  ad  esso  attribuita  significhi  un'esistenza  esteriore  in  un  mondo  ultraempirico,  in  quanto  cioè  si  ponga  come  verità  oggettiva;  bensì  in  quanto  sia  il  simbolo  di  tutto  ciò  che  di  eccellente  l'uomo  sente  immanente  alla  propria  natura,  esprima  una  verità  «  soggettiva  »  rispondente  a  un  bisogno  essenziale  della  coscienza.  «  La  visione  dell'Assoluto  nella  coscienza  morale  emerge  dal  senso  del  mistero  di  cui  le  ideahtà  si  circonfondono ».  «  Il  sentimento  dell'Assoluto  è  essenzialmente  mistico: e  non  risulta  dall'idea  metafisica,  ma  la  precede  e  la  suggerisce  ».  «  La  esistenza  esteriore  all'Assoluto  è  una  finzione  del  pensiero,  ma  non  è  finzione  il  processo  psicologico  ond'esso  è  sentito  nella  sua  spirituale  potenza,  e  per  cui  il  soggetto  vince  gU  impulsi  accidentali  ».  Analogamente,  la  trascendenza  metafisica  dell'ideale  assoluto  di  perfezione  uno,  universale,  immutato  è  una.  finzione,  un'immagine  puramente  contemplabile  ma  priva  di  ogni  efficacia  pratica.  «  Un  ideale  è  necessario  alla  vita...;  fuori  dell'ideale  non  c'è  che  meccanismo insulso:  esso  è  degno  pertanto  dell'entusiasmo  onde  lo  si  esalta  ».  Ma  quando  venisse  posto  fuori  della  natura  umana  e  dell'esperienza,  esso  si  ridurrebbe  a  una  vuota  forma  pura,  a  una  realtà  che  non  è  realtà,  a  un  mero  nome.  «  Ci  si  può  rappresentare  l'ideale  etico  come  uno,  immutabile, trascendente,  solo  in  quanto  si  faccia  astrazione  dalla  realtà  concreta,  psicologica  e  storica,  dai  caratteri  individuali  e  dai  modi  vari  onde  si  compone  nei  singoli  la  coscienza  morale;  dalle  tradizioni  etiche,  dal  costume,  dalle  leggi,  daUe  istituzioni  sociah  e  poUtiche;  cioè  da  tutto  ciò  che    un  contenuto  concreto  e  relativo  all'ideale  etico;  ma  sarebbe    G.  Marchesini  19   assurdo  ritenere  che  dopo  ciò  sussistesse  tutt'ora  l'ideale  stesso....  Perchè  questo  abbia  quella  funzione  teleologica  che  gli  è  intrinseca  è  necessario  che  attecchisca  nella  personalità, assumendone  il  vigore  razionale,  affettivo,  e  pratico,  ossia  che  diventi  un  suo  interesse;  che  si  fondi  nella  esperienza soggettiva  perdendo  la  purezza  astratta  e  nominale  che  l'idealismo  metafìsico  gh  attribuisce;  che  diventi  insomma una  finzione  dell'umanità  morale  dell'individuo,...  un  bisogno  interiore,  un  modo  fondamentale  della  stessa  vita  Naturalismo  e  soggettiva,  una  legge  naturale  dell'esistenza.  La  sua  consoggettivismo.  cezione  naturalistica  o  realistica  importa  necessariamente  questo  soggettivismo»  {ibidem,  pp.  81-82).  La  critica  razionale tende  a  ridurre  l'Assoluto  al  relativo,  l'idea  di  perfezione quale  entità  oggettiva  trascendente  a  esigenza  biopsichica  della  coscienza  individuale,  a  fattore  immanente  della  soggettività  umana.  Così  ad  esempio  l'ideale  della  giustizia,  che  dalla  metafìsica  è  prospettata  come  trascendente la  natura,  in  quanto  sovrasta  su  tutte  le  accidentahtà  e  imperfezioni  delle  cose  umane,  incontaminata  e  perenne  e  come  trascendente  la  storia,  in  quanto  questa,  nella  sua  perenne  mutevolezza,  lungi  dal  rilevare  che  cosa  il  Giusto  sia,  lo  presuppone  come  un  a  priori,  un  primum  stabile  ed  eterno,  è  per  il  Marchesini  una  formazione  naturale  e  un  prodotto  storico,  emerge  dalla  natura  umana  in  quanto  questa  è  natura  morale  oltre  che  fìsica  {ibidem,  p.  135  e  sgg).   La  consistenza  oggettiva  chela  metafìsica  attribuisce  Osservazioni  alle  idealità  morah  è  dal  Marchesini  interpretata  come  estra'^''^^*'^^^neità  ai  voti  della  vita  del  soggetto;  e  perciò  insiste  nel  concetto che  la  morahtà  non  possa  essere  attuata  se  non  nella  natura,  che  i  principii  ideali  valgono  in  quanto  hanno  la  funzione  di  investire  e  organizzare,  non  già  negare,  le  tendenze naturali  perchè  il  soggetto  morale  si  formi  nella  sua  concretezza  vivente.  Ed  è,  questo,  un  concetto  giusto:  ma  non  è  necessariamente  derivabile  dalla  premessa,  discutibile, che  la  trascendenza  sia  per  sua  natura  esclusiva  di  ogni  forma  di  immanenza  o  interiorità  al  soggetto.  Questo  appare  evidente  nel  concetto  fondamentale  di  dovere  o  obbligazione  specificamente  morale.  Il  Marchesini  riconosce  che  «  l'uomo  avverte  nella  sua  natura  una  necessità  cui  spetta  un  assoluto  impero,  e  vi  si  sente  legato  pur  se  vi  facciano  contrasto  altre  inchnazioni:...  non  v'è  coscienza,  di  un  valore  senza  la  coscienza  di  un  vincolo,  d'una  restrizione dell'arbitrio,  d'una  rinuncia»  {ibidem,  p.  93  e  sgg).  E  giunge  perfino  ad  affermare  che  l'azione  della  società  sull'individuo,  onde  si  distingue  in  lui  la  coscienza  delle  norme  e  dei  valori  moraU,  è  puramente  provocatoria  e  suggestiva: l'obbligazione  sociale  è  costrittiva,  ossia  vincolo  esteriore,  mentre  l'obbligazione  morale  è  interiore,  è  correlativa al  riconoscimento  da  parte  della  coscienza  del  soggetto  agente  del  valore  inerente  al  fine  proposto.  Di  siffatto  valore,  a  cui  è  correlativa  l'imperatività  incondizionata, indipendente  cioè  dalle  circostanze  empiriche  particolari in  mezzo  alle  quali  l'azione  si  svolge,  il  soggetto  ricerca il  fondamento  ultimo,  le  ragioni  «  impersonali  e  universaU,  assolute»  {ibidem,  p.  96).  E  crede  di  trovarle,  queste  ragioni,  o  neUa  volontà  legislatrice  di  Dio  (morale  teologica  o  religiosa),  o  in  una  sfera  di  realtà  oggettiva  superiore  a  tutti  gli  impulsi  del  soggetto,  in  un  mondo  (di  valori)  per    stante  (morale  ontologica),  o  in  una  ragione  pura  impersonale che,  identica  in  tutti  gl'individui,  detta  a  tutti  un  medesimo  imperativo  categorico  come  forma  universale  che  investe  a  priori  i  contenuti  più  vari  e  mutevoli  della  condotta  e  indica  quali  tra  i  fini  che  l'esperienza  dimostra  desiderati  o  desiderabili,  debbano  essere  desiderati  (etica  formale) .   A  priori  reiaMa  pel  Marchesini  sono  queste  concezioni  inaccettabili  dal  punto  di  vista  positivo,  poiché  tutte  ugualmente  pongono  il  fondamento  dell'obbligazione  propria  delle  ideahtà  moraU  in  qualcosa  di  trascendente  che  sfugge  all'esperienza:  implicano  la  proiezione  delle  idealità  fuori  della  vita  interiore del  soggetto,  e  pertanto  le  presuppongono  già  formate  nell'ambito  di  questa,  nell'atto  stesso  che  pretendono  essere  tale  formazione  dovuta  all'azione  estrinseca  del  trascendente;  e  quanto  alla  presunta  ragione  impersonale  dell'etica  iov  tivo    G.  Marchesini  21   male,  «  essa  non  è  che  una  forma  fittizia  della  ragione  personale consociata,  e  la  necessità  a  priori  del  dovere  è  una  necessità  naturale  »  {ibidem,  p.  104).  L'identità  formale  della  ragione  non  esprime  che  l'identità  psicologica  dell'umanità  morale  :  «  Nel  dovere  formale  si  traduce  la  nostra  vita  morale  concreta,  che  ne  acquista  il  carattere  dell'universalità  o  dell'apparente  incondizionaHtà.  Accade  cioè  che  la  forma  pura,  assunta  come  essenza  del  dovere,  abbia  l'apparenza  e  la  funzione  della  sintesi  a  priori;  ma  questa  forma  pura  è  in  realtà  nient'altro  che  l'indistinto  degH  elementi  concreti  della  coscienza  morale:  è  una  sintesi  di  questi,  ossia  un  a  priori  relativo  e  positivo,  non  già  assoluto  e  metafisico.  Il  dovere,  per  dire  con  altre  parole,  è  un  impulso  originario  della  nostra  umanità  morale,  una  legge  della  nostra  vita,  un  fondamento  della  nostra  esistenza  come  individui  sociali,  e  in  ciò  consiste,  se  si  vuole,  il  suo  carattere  a  priori.  È  tale  in  relazione  alla  nostra  successiva  esperienza,  rimanendo  a  questa  anteriore  non  diversamente  che  la  nostra  stessa  natura  morale  originaria,  in  cui  s'innesta»  [ibidem,  p.  102).   In  conclusione,  per  il  Marchesini,  quelle  concezioni  etiche  Le    concezioni  sono  costruzioni  fittizie,  sono  finzioni,  sotto  le  quah  la  cri^^l"^^^.    .  ^°^^   '  j  '    finzioni  ».   tica  razionale  deUa  scienza  positiva  non  può  riconoscere  altra  radice  reale  deUe  ideahtà  che  la  stessa  natura  umana  nella  sua  struttura  biopsichica,  intesa  come  originaria  potenziahtà  morale  indistinta,  su  cui  la  comunione  sociale  esercita  infinite  azioni  stimolatrici  di  quei  processi  di  attuazione da  cui  emergono  le  ideahtà  stesse.  E  la  dottrina  positiva delle  ideahtà  ponendo  «  il  principio  fondamentale  dell'umanità  morale,  come  germe  (e  indistinto)  sempre  fecondabile dell'evoluzione  etica,  ci  lega  alla  natura,  ma  non  alla  natura  bruta,  bensì  aUa  natura  umana,  che  non  nega    asservisce  lo  spirito,  ma  è  per    medesima  capace  di  autonomia  morale»  {ibidem,  p.  70).  Questa  soluzione  del  problema  del  fondamento  deUe  idealità,  a  dir  vero,  potrebbe essere  sospettata  di  petizione  di  principio:  le  ideahtà  morali,  quali  vengono  sperimentate  nell'interiorità  della  vita  individuale  e  neUo  sviluppo  deUa  storia,  avrebbero  la    22    Cap.  XXX.  Positivismo  e  correnti  affini    loro  base  in  una  natura,  che  assume  la  qualifica  di  «  morale »,  solo  in  virtù  e  in  conseguenza  dell'esperienza  di  quelle  idealità  che  pur  si  pretende  siano  da  essa  spiegate  e  giustificate. Comunque,  tale  dottrina  positiva  delle  ideahtà  escludente come  irrazionale  qualunque  interpretazione  che  faccia  appello  a  un  fondamento  trascendente  la  sfera  empirica,  ha  come  suo  presupposto  l'interpretazione  naturalistica,  della  realtà,  diciamo  pure  una  metafisica  sottostante  all'empirismo, al  materiahsmo  che  il  Marchesini  qualifica  come  umanistico,  in  quanto  riconosce  i  caratteri  peculiari  dell'umanità, ma  sempre  naturalismo:  la  fede  nelle  ideahtà  è  fede  nella  natura  umana,  in  cui  le  ideahtà  germinano  {ibidem,  P52).    Rifiuto  del  trascendente.    Trasfigurazione delle  cose.    Che  il  naturalismo  etico  delineato  dal  Marchesini,  in  quanto  corollario  del  naturahsmo  metafisico,  lasci  fuori  nel  tentativo  di  giustificare  e  fondare  le  idealità  etiche  -,  alcuni  aspetti  od  elementi  del  contenuto  di  queste,  e  che  quel  concetto  di  «  natura  umana  »  che  il  Marchesini  ha  costruite per  imperniare  su  di  esso  una  visione  positiva  della  vita  morale,  positiva  in  quanto  rifiuti  come  irrazionale  ogni  riferimento  al  trascendente  e  assoluto,  sia  così  vago  e  indefinito da  includere  in  se,  contradditoriamente,  proprio  quel  bisogno  dell'assoluto  a  cui  esso  avrebbe  dovuto  apporre  un'insormontabile  barriera,  è  dimostrato  dalla  dottrina  del  finzionalismo  che,  come  abbiamo  ripetutamente  accennato, al  Marchesini  sta  tanto  a  cuore.   Proprio  nel  paragrafo  conclusivo  dell'opera  La  dottrina  positiva  delle  idealità  (il  paragrafo  95,  intitolato  «  L'Arte  morale  »)  il  Marchesini  dice  che  è  essenziale  alla  vita  dello  spirito  r  insoddisfazione  egli  dice  anzi  «  disgusto  »  -,  per  la  realtà  di  fatto,  e  che  questo  disgusto  provoca  lo  spirito  a  fare  ogni  sforzo  per  vincerlo,  svolgendo  «  le  sue  attività  costruttive,  ossia  quel  vigore  artistico  che  gU  è  proprio  »  {ibidem,  p.  255).  Quest'arte  speculativa  investe  tutte  le  attività  dello  spirito,  sia  quelle  del  pensiero  logico  riflesso,  il  cui  prodotto  la  scienza  delle  cose  se  è  provocato  ne  G.  Marchesini  23   cessariamente  dalle  cose,  è  tuttavia  una  costruzione  del  soggetto,  trasfiguratrice  delle  cose,  a  cui  viene  attribuita  oggettività  appunto  in  virtìi  dell'arte  speculativa,  sia  il  sentimento  e  il  volere  con  le  mirabili  sintesi  ideali  in  cui  si  ripercuotono  i  moti  etici  e  con  i  disegni  d'azione  in  cui  si  congegnano  gl'impulsi  e  le  inibizioni.  E  le  idealità  stesse  sono  creazioni  estetiche  dello  spirito  (creazioni  dell'arte  speculativa,  che  si  specifica  come  «  arte  morale  ») ,  in  quanto  riproducono  in  immagini  sublimi  e  perfette,  moti  vaghi  e  tendenze  multiformi  della  nostra  natura  sensibile  e  morale....  Ma  pur  come  tali  esse  rispondono  a  una  necessità  naturale  dello  spirito,  e  rappresentano  inoltre  il  bisogno  umano  di  adattamento  dell'io  alle  ideahtà  sociali.  Nelle  idealità,  sentimento e  ragione  si  armonizzano  :  «  la  natura  nostra,  fonte  originaria  del  mondo  ideale,  è  in  pari  tempo  affettiva  e  razionale, onde  la  ragione  si  spiega  pure  nel  sentimento  e  il  sentimento  si  modera  nella  ragione  ».   Ora  quest'attività  costruttiva  o  arte  speculativa,  di  cui  sono  creazione  le  idealità,  è  qualificata  dal  Marchesini  come  potere  di  finzione,  e  le  ideahtà  etiche  non  hanno  efficacia  e  valore  nella  vita  morale  se  non  in  quanto  vengono  riconosciute come  finzioni.  E  come  abbiamo  già  accennato,  questo  concetto  è  l'idea  direttiva  dell'opera  Le  finzioni  dell'anima.   Il  termine  finzione  è  equivoco:  il  Marchesini  stesso  distingue in  esso  due  significati  opposti:  nel  primo  finzione  è  «  infingimento  »  e  «  ipocrisia  »,  vera  e  propria  menzogna  per  cui,  mentre  si  cela  agh  occhi  altrui  il  proprio  essere  e  pensare, si  tenta  con  atti  e  parole  di  farlo  apparire  diverso  da  quello  che  è,  e  ciò  col  proposito  consapevole  di  raggiungere  con  l'inganno  un  qualsiasi  utile  egoistico....  Nel  secondo  Equivocità  dei  significato,  finzione  è  il  risultato  d'un  atteggiamento  della  '^''"*"*^  *  f^^^^° ^    .  °°  ne  ».   coscienza  in  cui  l'immaginazione  ha  parte  prevalente  -,  per  cui  si  costruiscono    fingere  »,  etimologicamente,  è  appunto  plasmare)  parvenze  d'essere  o  tipi  ideali  di  condotta,  che  in    non  hanno  realtà,  ma  s'inseriscono  nella  realtà,  conformandola  e  adattandola  a  sé.  All'inizio  della  sua  trat  24  Cap.  XXX.  Positivismo  e  correnti  affini   tazione,  il  Marchesini  precisa  la  definizione  della  finzione  in  questi  termini  :  «  il  fatto  della  finzione  consiste  nel  creare  enti  che,  mentre  per    sono  irreaU,  si  assumono  e  si  trattano  come  reaU....  Esso  consiste  nel  prevalere  d'uno  stato  interno  di  coscienza  per  cui  si    corpo  alle  ombre,  proiettando  nel  mondo  reale  un  prodotto  dell'immaginazione.  È  quell'artificio interiore,  per  cui  si    forma  di  obiettiva  verità  a  credenze che  sono  dovute  a  un  singolare  disporsi  dell'anima  per  effetto  di  intimi  bisogni,  di  segrete  tendenze,  e  che  si  stabiliscono  e  deducono  senza  che  il  soggetto  penetri  veramente l'essere  e  il  modo  del  proprio  spirito  »  [Le  finzioni dell'anima,   pp.    5-7).   E  in  questo  quadro  del  concetto  di  finzione  rientrano  le  massime  pratiche  nelle  quali  si  traducono  le  ideahtà  etiche: cerca  il  bene  altrui  come  il  tuo  stesso  bene  (altruismo,  come  identificazione  di    con  gh  altri  nella  com.une  umanità)  ;  riponi  la  tua  felicità  esclusivamente  nella  virtìi  (identificazione di  virtri   e  felicità)  ;  fa'  quel  che  devi  esclusivamente  per  dovere  (identificazione  della  volontà  buona  con  la  forma  del  dovere)  ;  senti  la  responsabihtà  di  tutte  le  tue  azioni,  quali  manifestazioni  della  tua  libertà  assoluta  (identificazione  del  volere  con  l'agire  hbero)  [ibidem,  p.  85  e  sgg.)  E  la  sintesi dei  valori  additati  da  taH  massime  é  simboleggiata  nelVideale  etico  come  modello  di  perfezione,  assoluto  e  universale, trascendente  tutte  le  singole  personalità  e  uguale  per  tutti.  E  pertanto  il  principio  morale  supremo  é  formulabile  così:  adegua  la  tua  personalità  al  modello  di  perfezione  assoluta, imphcante  il  concetto  dell'identificazione  della  volontà individuale  con  l'assolutezza  dell'ideale  etico  {ibidem,  p.  67  e  sgg.)  Ragioni  del  finOra  quaU  sono  le  ragioni  per  le  quaU,  secondo  il  Marchesini, queste  ideahtà  sulle  quaU  la  morale  si  regge,  sono  finzioni?  In  breve,  sono  queste  tre:  i)  esse  sono  in  contrasto con  la  realtà:  le  identificazioni  che  l'anahsi  discopre  impHcite  sono  irreah,  e   perciò  i  concetti  etici  sono  «  erronei  ».  2)  La  impossibihtà  d'una  concihazione  tra  realtà  e  ideahtà  in  sede  teoretica,  non  esclude  la  possibihtà  d'una  conciha  ztontsmo.    G.  Marchesini  25   zione  in  sede  pratica,  in  quanto  il  fatto,  accettabile  nell'esperienza, che  la  vita  etica  con  le  sue  idealità  si  realizza,  pur  in  forme  parziali  e  relative,  giustifica  il  principio  prammatistico  che  comanda  di  agire  conformemente  a  quei  valori, i  cui  concetti  sono  riconosciuti  «  erronei  »,  come  se  fossero veramente  assoluti.  3)  Attraverso  il  prammatismo,  l'errore, riconosciuto  in  sede  teorica,  dell'obiettività  del  valore  assoluto, è  superato  in  una  superiore  verità  teorica,  per  cui  non  è  contestabile  la  realtà  della  persona,  quale  si  viene  costituendo nella  sua  dignità  attraverso  l'azione  ispirantesi  ai  valori  assoluti:  e  in  tal  modo  è  salva  l'unità  della  ragione  pratica  e  della  ragione  teoretica.   i)  «  Lavorare  è  finzione  se  la  si  fa  consistere  nel  pieno  La  perfezione  possesso  della  idealità  assoluta  morale,  o  nella  perfezione.  Ciascuno  è  morale  secondo  la  propria  natura,  e  condizionatamente a  questa,  per  i  motivi  che  sono  in  essa,  per  le  inclinazioni particolari  ad  essa  consentanee,  e  nei  modi  cui  comportano le  innumerevoli  e  svariatissime  combinazioni  degli  elementi  del  suo  divenire  psichico  (....).  La  perfezione,  se  fosse  un  concetto  positivamente  valutabile,  sarebbe  in  ciascuno  in  quanto  la  sua  coscienza  morale  risponde  ^^'gnamente  alle  condizioni  da  cui  è  emersa  e  dalla  quale  è  determinata (....).  Invece  la  moraHtà  di  un  uomo  è  sempre  l'esponente delle  accidentahtà  del  suo  io;  e  se  un  grano  di  bontà  morale  è  possibile,  questo  risulta  necessariamente  dalla  hmitazione  inerente  al  modo  concreto  dell'essere  e  del  divenire intimo,  personale»  {Le  finzioni,  pp.  62-63).  «Una  conciliazione  teorica  tra  la  morale  della  realtà  e  quella  che  l'ideale  etico  assoluto  rappresenta  come  modello  unico,  incondizionato,  è  dunque  impossibile»  {ibidem,  p.  83).   2)  Ma  a  questa  inconciliabihtà  teorica  non  corrisponde   Conciliabilità  un'assoluta  inconcihabiHtà  pratica.  «  La  personalità  che  ha  ^^"'^^'^'^•  le  sue  proprie  tendenze  e  i  suoi  propri  ideah  deve  essere  tuttavia   dominata    e    diretta    dall'ideale    etico    impersonale,  obiettivo,  assoluto;  deve  ricercarsi  dunque  una  conciliazione  tra  le  tendenze  relative  ai  bisogni  soggettivi,  e  l'impersonalità  o  assolutezza  dell'imperativo  morale.  E  questa  conciliazione  dovrà  necessariamente  essere  pratica  »  [ibidem,  p.  128).  Questa  conciliazione  pratica  si  attua  nel  principio  prammatistico  del  come  se:  i  valori  assoluti  sono  fittizi,  ma  noi  dobbiamo  agire  come  se  fossero  realtà.  «  L'esistenza  subiettiva  è  non  meno  reale  che  quella  obiettiva,  e  se  esiste  nell'anima  dell'individuo  una  credenza  qualsiasi,  fosse  pure  nell'assurdo,  questa  credenza,  come  modo  di  essere  dello  spirito,  è  una  realtà.  Reale  è  quindi  nello  spirito  l'oggetto,  il  contenuto  del  credere,  e  ha  necessariamente  un'azione  motrice  o  inibitrice, un  potere  di  direzione  nel  concerto  delle  idee,  dei  sentimenti  e  delle  azioni  individuah....  L'individuo,  per  l'eccitamento  che  a  lui  proviene  dalla  sua  fede,  opera  dunque  come  se  questa  fosse  pienamente  giustificata;  come  se  esistesse obiettivamente  l'oggetto  della  sua  credenza  »  [ibidem,  pp.  198-199).  Il  processo  di  moralizzazione  della  vita  ha  due  momenti:  constatarsi  secondo  il  proprio  reale  essere  individuale,  con  la  sua  relatività,  e  trasfigurarsi  fingendosi  mighore:  l'ind ividuo  constata  in    il  difetto  di  bontà,  di  giustizia,  di  generosità  quale  gli  apparisce  dal  sincero  confronto di    con  le  analoghe  idealità,  ed  opera  per  queste  idealità  la  catarsi  del  proprio  io,  l'incremento  morale  del  proprio  essere  e  poiché  le  ideahtà  sono  essenzialmente  sociali,  espressioni  di  una  volontà,  la  volontà  collettiva,  non  soggettiva ma  obiettiva,  non  arbitraria  ma  necessaria,  io  mi  identifico  con  questa  volontà  sociale  e  riconosco  praticamente questa  norma  suprema  :  «  opera  come  se  ciò  che  é  vero  socialmente,  ed  è  socialmente  imposto  come  assoluto,  fosse  vero  e  assoluto  anche  per  te  »  ;  questa  formula  esprime  la  rcLzionahtà  della  condotta  morale,  e  per  il  suo  valore  pratico  può  dirsi  prammatistica  [ibidem,  p.  192  e  sgg).  Fecondità  della  3)  «  La  volontà  morale  è  per    stessa  feconda,  e  può  volontà  morale,  crearsi  un  mondo  teoretico  obiettivamente  razionale.  Non  è  da  escludere  a  priori  che  un  mondo  teoretico  razionale,  obiettivo, possa  costituirsi  anche  come  mondo  morale;  non  è  da  escludersi  che  sia  conciliabile  senza  finzione  la  ragione  pratica  o  volontà  morale  con  la  ragione  teoretica  o  critica,    G.  Marchesini  27   che  possano  mantenersi  integri  e  rigogliosi  i  valori  morali  seguendo  la  scienza»  {ibidem,  p.  156).   Questo  è  l'edificio  speculativo  costruito  dal  Marchesini  ideale  e  valore.  per  la  sua  Morale  della  finzione  e  del  come  se.  Dei  tre  punti  nei  quali,  per  amor  di  chiarezza,  l'abbiamo  articolato,  il  primo  è  quello  che  dimostra  il  grande  equivoco  su  cui  tutto  l'edificio  si  regge.  È  l'equivoco  per  cui  l'ideale  etico  della  perfezione,  e  gii  altri  ideaH  più  speciaH  in  cui  esso  si  determina, siano  realtà  in  atto,  esprimano  l'esistenza  per    stante,  obiettiva  di  un'Assoluto  trascendente  tutti  i  modi  di  essere  relativi  costituenti  l'esperienza.  E  messa  a  raffronto  con  la  realtà  empirica,  alla  cui  stregua  noi  misuriamo  la  verità  o  falsità  delle  nostre  conoscenze,  quell'altra  realtà  che  è  significata  dall'ideale,  risulta  in  netto  contrasto,  rivela  una  contraddizione  insuperabile  sul  piano  teoretico:  e  questa  contraddizione  spinge  il  pensiero  critico  a  qualificare  come  fittizia  la  realtà  attribuita  all'ideale,  a  definire  come  nulla  più  che  finzioni  le  idealità  stesse  e  a  riconoscere  erronee  tutte  le  credenze  nell'obiettività  di  esse.  Il  vero  si  è,  invece,  che  ideale  non  significa  realtà,  ma  solo  possibihtà  e  necessità di  realizzazione,  non  esistenza,  ma  diritto  all'esistenza  per  il  valore  intrinseco  che  essa  presenta,  e  quindi  dovere,  per  la  volontà,  di  proporsele  come  fine  della  propria  azione.  E  tra  essere  e  dover  essere  non  è  possibile  una  contraddizione  logica,  appunto  perchè  essi  non  sono  termini  logicamente  omogenei:  per  contro,  l'essere,  in  un  soggetto  di  morahtà,  fa  appello  al  dover  essere  per  riceverne  elevazione  e  incremento, e  il  dover  essere  fa  riferimento  all'essere  di  un  soggetto per  potersi  incarnare  nella  realtà.  Perciò  l'idealità  non  ignora  la  realtà  naturale  ad  essa  opposta,  ma  la  investe  per  impregnarla  di  sé,  trasfigurandola:  é  trascendente  e  assoluta,  ma  solo  nel  senso  che  il  suo  valore  è  sovraordinato  ad  ogni  realtà;  e  la  sua  imperatività  é  incondizionata.  Se  l'esperienza  morale  é  in  questi  termini,  che  senso  ha  il  trattare l'ideahtà  come  finzione  ?  Finzione  essa  é  nel  significato  etimologico,  in  quanto  é  costruzione  della  coscienza,  in  quanto    28  Cap.  XXX.  Positivismo  e  correnti  afini   è  prospettiva  di  uno  stato  da  realizzare;  ma  non  nel  significato d'  «  infingimento  »,  di  autoinganno,  implicito  nel  principio prammatistico  del  come  se,  che,  problematico  dal  punto  di  vista  psicologico,  è  negativo  dal  punto  di  vista  morale,  segno  d'insincerità.  L'ideale  di  perfezione  segna  una  mèta,  che,  posta a  distanza  infinita,  può  anche  esser  riguardata  come  irraggiungibile: ma  non  per  questo  è  fittizia,  perchè  con  la  sua  imperatività  segna  alla  coscienza,  che  aspira  a  quella  mèta  una  direttiva,  nella  quale  è  il  criterio  oggettivo  per  distinguere ciò  che  nella  condotta  è  «  retto  »,  ha  valore  positivo,  e  ciò  che  è  «  deviazione  »,  ha  valore  negativo.  Apoditticità  Certo,  il  pensiero  speculativo  trova  aperta  innanzi  a  del  dovere.  g^  jg^  ^/^^  metafisica,  c  inclina  a  fare  dell'imperatività  assoluta dell'ideale  etico  e  della  fecondità  progressiva  dell'azione  che  ad  essa  s'ispira,  l'indice  di  una  Realtà  superiore  (Perfezione assoluta,  l'Essere  divino,  la  sfera  trascendente  dei  valori).  Questo  passaggio  dal  dover  essere  all'essere  si  attua  in  costruzioni  problematiche:  ma  la  problematicità  delle  deduzioni  metafisiche  non  distrugge  la  certezza  apodittica  dell'assoluta  imperatività  di  quei  principii  morali,  da  cui  la  metafisica  trae  le  sue  conclusioni  sull'Essere  assoluto.  Alla  morale,  sia  come  scienza  sia  come  pratica  di  vita,  basta  il  possesso  di  quella  certezza.   Nell'ambito  di  essa,  aggiungiamo,  si  pone  la  questione  fondamentale  della  specificità  dei  valori  morali  e  della  radice della  loro  obbligazione  assoluta.  Il  Marchesini,  abbiamo  visto,  risponde  riportando  la  morahtà  alla  sociahtà.  Contro  questa  soluzione  possono  essere  riprese  le  critiche  ripetutamente mosse  a  ogni  interpretazione  esclusivamente  sociologica della  moralità.  Ma  non  a  questo  si  riferiscono  i  nostri  rihevi  finali,  bensì  al  fiiizionalismo  e  agh  equivoci  da  cui  esso  deriva.   3.  Erminio  Troilo:  dalla  posizione  positivistica  al  «  realismo  assoluto  ».    DaUa  scuola  di  Ardigò  usci  anche  Erminio  Troilo,  nato  nel  MoKse  nel  1874,  professore  di  filosofia    teoretica    dapprima    nell'Università    di    Palermo    e    E.  Troilo:  il           che  esprime  la  concezione  universalistica  dell  etica,  nella  quale  il  soggetto  che  valuta  pone    stesso  come  un  assoluto,  senza  tener  conto  delle  circostanze  particolari  nelle  quali  la  sua  coscienza  morale  si  è  costituita  quale  è,  e  assume  quella  coscienza  come  infallibile  principio  di  discriminazione  tra  il  bene  e  il  male).  «  Il  dovere,  che  è  l'astrazione  di  un  fatto  psicologico  ultimo,  è  di  natura  formale,  e  comporta  pertanto  ogni  maniera  di  contenuti;  e  il  bene  morale  non  può  farsi  consistere  in  uno  o  altro  di  questi  contenuti,  bensì  neU'atteggiarsi  della  condotta  coerentemente  al  riconoscimento  e  al  sentimento  dell'obbUgazione.  È  assolutamente infondata  l'esigenza  di  stabiUre  quale  è  il  contenuto  in  se  e  per    buono,  quali  sono  i  principii  che  la  coscienza  dell'individuo  particolare  accogherà  e  riconoscerà.  La  psicologia della  valutazione  porta  al  riconoscimento  di  una  pluraHtà  di  punti  di  vista,  i  quah  con  le  loro  armonie  e  con  le  loro  antinomie  le  forniscano  un  proprio  oggetto.  Ciascuna  delle  moltephci  direzioni  costanti  del  nostro  volere  vanta  diritti  o  accampa  pretese  sopra  l'uomo  tutto  quanto,  e  in  questo  é  il  germe  dei  conflitti  nei  quali  si  esprime  la  problematica della  nostra  attività  pratica.  S'invoca  un  criterio  alla  stregua  del  quale  siano  conciliati  i  contrari  e  superate  le  contraddizioni.  Poiché  ciascuno  è  inclinato  a  pensare,  qualora  abbia  risolto  per  proprio  conto  il  problema,  che  quella  soluzione  da  lui  prescelta  sia  anche  «  la  »  soluzione  adeguata  e  giusta,  si  spiega  la  tendenza  ad  assegnarle  un  valore  universale, a  esigere  che  universalmente  venga  approvata  e  fatta  propria  dagh  altri  [ibidem,  p.  513  e  sgg.).    L.  Limentani:  pluralismo  etico  87   Questa  concezione  del  Limentani  solleva  riserve,  dubbi,  gh  intenti  dei  obiezioni,  di  cui  faremo  qualche  cenno  tra  poco.  Ma,  al  di  ^*'"^"'««^là  di  tutte  le  critiche  anche  le  più  radicali  che  ad  essa  possano muoversi,  è  da  riconoscere  innanzi  tutto  che  essa  è  tutta  animata  e  sorretta  da  genuina  e  fervida  preoccupazione di  salvare  i  più  elevati  valori  morali.  Il  concetto  centrale che  morahtà  non  è  altro  che  fedeltà  nella  condotta  effettiva  all'idea  liberamente  assunta  dal  soggetto  come  il  proprio  dovere,  come  direttiva  che  la  coscienza  dell'obbhgo  impone  alla  propria  azione,  significa  affermazione  del  valore  supremo  della  persona,  quale  operosa  costruzione  della  propria realtà  spirituale  nello  sforzo  di  sanare  il  dissidio  interiore inehminabile  dalla  vita  individuale,  con  l'assicurare  l'effettiva  supremazia  di  ciò  che  è  sentito  come  doveroso  sulle  tendenze  avverse:  in  quell'enunciazione  dell'imperatività  della  coerenza  dell'atto  col  sentimento  del  dovere,  è  l'eco  della  celebre  affermazione  kantiana  che  l'unico  vero  bene  morale  è  la  volontà  buona  e  universale,  nel  suo  carattere  puramente  formale  questo  valore  della  dignità  umana  consistente nella  fedeltà  pratica  al  proprio  sentimento  del  dovere: nessuno  di  noi,  certo,  può  penetrare  il  segreto  della  coscienza  degli  altri  individui  e  dare  un  giudizio  sulla  moralità del  loro  operare,  ma  presumendo  in  tutti  la  sincera  dedizione  di  ciascuno  all'idea  da  lui  sentita  come  doverosa,  noi  sentiamo  negh  altri  individui,  anche  se  la  causa  per  cui  combattono  con  sincerità  sia  diversa  e  perfino  antitetica  alla  nostra,  uno  sforzo,  identico  al  nostro,  di  costruire  la  propria personalità,  comprendiamo  il  senso  della  loro  azione  e  questa  comprensione  si  trasforma  in  umana  simpatia,  che  ci  affrateUa  anche  ai  nostri  nemici  nella  partecipazione  a  uno  stesso  regno  spirituale,    E  non  manca  infine  nel  Limentani, sebbene  oscura  e  incerta,  l'aspirazione  a  porre  le  basi  per  interpretare  il  mondo  degli  uomini  come  una  società  di  spiriti  che  collaborano  all'opera  comune  di  costruzione  dell'umanità  non  soltanto  in  ciascuno  di  noi  ma  anche  in  tutti  gh  altri  consoci.   NobiHssime    aspirazioni    e    preoccupazioni,    queste,    che   Osservazioni  pervadono  la  costruzione  speculativa  del  Limentani  dando alle  sue  sottili  e  faticose  analisi  un  afflato  di  schietta  ed  elevata eticità.  Ma  gli  apparati  teoretici  che  egli  appresta  per  la  soluzione  dei  problemi  che  l'esame  della  vita  etica  viene  via  via  affrontando,  sono  adeguati  all'appagamento  di  quelle  aspirazioni  e  preoccupazioni?  Qui  appunto  la  critica  solleva  obiezioni  così  numerose  e  gravi,  da  giustificare  o  rendere  almeno plausibile  la  conclusione  che  quella  dottrina,  piuttosto  che  convaUdare  e  fondare,  rinneghi  le  esigenze  etiche  affermate, e  porti  al  dissolvimento  di  ogni  eticità.  Cosi,  all'esame  dei  concetti  che  pel  Limentani  esprimono  i  vari  momenti  o  elementi  costitutivi  dell'atto  fondamentale  della  costruzione  del  valore  della  propria  personalità  individuale,  risulta  che  la  «  coscienza  dell'obbligo  »  ossia  l'attribuzione  del  carattere  d'imperatività  a  uno  dei  molteplici  e  contrastanti  fini  verso  cui  ci  spingono  le  tendenze  e  inclinazioni  costituenti  la  nostra  natura  di  esseri  fisio-psichici  e  sociah,  è  per  il  Limentani  un  dato  di  fatto,  che  potrà  essere  spiegato  causalmente  nella  sua  genesi;  ma  rifiuta  qualunque  tentativo  di  giustificazione che  fondi  la  preferibilità  assoluta  del  fine  prescelto  rispetto  agli  altri:  io  debbo  agire  così;  perchè  così  son  fatto,  e,  in  forza  di  questa  mia  costituzione  di  fatto,  così  sento  di  dover  agire:  la  coscienza  dell'obbligatorietà  non  è  che  sentimento,  e  il  sentimento  è  espressione  della  mia  soggettività quale  è  di  fatto,  e  si  sottrae  ad  ogni  esigenza  giustificativa. Può  questa  determinazione  del  mio  essere  quale  mi  si  rivela  nel  sentimento  già  costituito  reggere  il  peso  della  prospettiva  del  mio  dover  essere  ossia  della  mia  opera  morale come  instaurazione  d'un  essere  che  è  da  costituire  come  una  realtà  nuova  rispetto  a  quella  che  sentiamo  al  punto  di  partenza  ?  D'altra  parte,  il  sentimento  mi  rivela  il  mio  essere  individuale  quale  è  costituito  in  questo  momento,  in  questo  punto  attuale  del  processo  di  formazione  della  mia  individualità:  ma  in  ulteriori  momenti  questo  mio  essere,  sotto  l'azione  dei  moltepUci  fattori  che  concorrono  a  costituirlo, potrà  mutare,  e  il  sentimento  registrerà  questi  mutamenti e  potrà  portare  all'assunzione  di  fini  obbligatori  diversi  da  quelli  che  attualmente  s'impongono  a  me.   Ora    L.  Limentani:  pluralismo  etico  89   è  lecito  domandare  se  la  possibilità  di  siffatta  mutevolezza  possa  conciliarsi  con  la  funzione  che  al  fine  assunto  come  obbligatorio  si  attribuisce,  di  bandiera  sotto  la  quale  io  combatto la  mia  battaglia  morale,  di  causa  alla  quale  si  debba  nell'azione  testimoniare  la  propria  fedeltà;  non  implica  tale  funzione  una  costanza  e  continuità,  che  abbraccia  anche  i  momenti  futuri  della  mia  esistenza  e  renda  possibile  l'unità  e  coerenza  interiore  della  mia  personaUtà  ?  Ma  nulla  giustifica,  nella  dottrina  del  Limentani,  la  pretesa  del  mio  fine  attuale,  ad  estendere  il  proprio  predominio  al  futuro  :  il  cambiar  bandiera, il  sostituire  alla  mia  causa  di  ieri  un'altra  causa,  non  altera  quel  rapporto  formale  di  coerenza  tra  l'azione  e  il  dovere,  che  è  l'essenza  della  moralità  e  il  tratto  costitutivo  della  personahtà.   Se  il  valore  morale  della  mia  personahtà  sussiste  immusì   devono  ritato  pur  nella  diversità  e  antitesi  dei  fini  che  io  posso  assu^P^^^"-^ *   ^  _  ,  ...  .  programmi   op mere  come  obbhgati  in  momenti  diversi  dal  mio  operare,  è  pressivi?  chiaro  che  questo  concetto  formale  della  personalità  può  essere  esteso  anche  agh  altri  individui:  ma  con  questa  conseguenza palesemente  contraddittoria,  che,  mentre  da  un  lato  si  afferma  che  ogni  personahtà  merita  rispetto  essendo  assoluto  il  valore  morale  di  essa,  dall'altro  lato  deve  essere  non  solo  compresa  ma  giustificata,  in  questo  o  queU'individuo,  la  fedeltà  a  una  causa  che  implichi  il  programma  di  oppressione o  addirittura  di  soppressione  violenta  delle  personahtà  altrui.  Non  posso  simpatizzare,  in  nome  di  una  presunta  comune  umanità  con  un  altro  individuo  il  quale  si  arroga  il  diritto  anzi  come  dovere  di  farsi  persona  attraverso  l'osservanza  di  un  principio  che  è  negazione  di  una  comune  umanità,  un  principio  di  sopraffazione  deUe  personahtà  altrui.  Di  comune  a  tutti  i  soggetti  che  intendono  essere  membri  del  regno  dello  spirito  attuantesi  nel  mondo  degli  uomini  è  il  diritto  e  dovere  di  essere  coerenti  con    stessi:  ma  è  un  requisito  questo  che,  nella  sua  formahtà,  nella  sua  indifferenza  per  il  contenuto  del  fine  e  della  norma  con  cui  l'individuo  si  sente  obbhgato  ad  essere  coerente,  ha  un'universahtà  che  non  ehmina  ma  ribadisce  la  chiusura  dell'individuo in    stesso,  in  una  radicale  estraneità  agh  altri.    go  Cap.  XXX.  Positivismo  e  correnti  a  fini   Il   positivismo        6.  Il  sociologismo  di  Alessandro  Levi.    Uno  svicnhco  cerca  ti  i^ppo  autonomo  del  positivismo  sociale  troviamo  in  un  altro   senso  dei  fatti.          scolaro  dell'Ardigò,  Alessandro  Levi  che,  dopo  aver  schizzato  a  vent'anni  le  vie  fondamentali  del  proprio  pensiero  in  Determinismo  economico  e  psicologia  sociale,  si  specializzò  poi  in  iìlosofìa  del  diritto  [Per  un  programma  di  filosofia  del  diritto,  1905)  e  insegnò  tale  discipHna  in  varie  Università,  da  ultimo  a  Firenze.  Classici  sono  rimasti  i  suoi  Contributi  ad  una  teoria  filosofica  dell'ordine  giuridico  (1914)  e  il  saggio  su  Filosofia  del  diritto  e  tecnicismo  giuridico  (1920),  nonché  la  Teoria  generale  del  diritto  (1950).  Dopo  la  sua  morte.  Guido  Fassò  curò  la  raccolta  in  due  volumi  degli  Scritti  minori  di  filosofia  del  diritto,  coiTedandoli  di  una  completa  bibliografia  (1957).  Politicamente  Alessandro  Levi  aveva  simpatia  per  il  sociaHsmo,  espressa  nei  lavori  su  La  filosofia  politica  del  Mazzini  (1917)  e  II  positivismo  politico  di  Cattaneo  (1928);  e  nell'analisi  concreta  dei  fatti  sociali,  pur  restando  fedele  al  modello  di  quello  che  egli  chiamò  «  positivismo  critico  »,  seppe  fare  i  conti  anche  con  le  esigenze messe  innanzi  dall'idealismo  storicistico.  L'accertamento dei  fatti,  nella  sfera  dei  fenomeni  sociali,  non  può  per  lui  andare  disgiunto  dalla  penetrazione  del  senso  dei  fatti  medesimi,  in  cui  si  manifesta  la  coscienza  collettiva  dei  gruppi  sociali.  Questo  tradursi  della  psiche  umana  collettiva  nei  fatti  sociaU  è  oggetto  di  uno  studio  che  può  dirsi  di  «  fenomenologia positiva  »,  e  che  rappresenta  un'interessante  risposta,  da  parte  di  un  ricercatore  formatosi  in  clima  positivistico, al  nuovo  modo  storicistico  e  non  più  naturahstico  di  intendere  i  fatti.  Al  di  fuori  dei  quadri  della  scuola  ardigoiana  con  i  suoi  sviluppi  e  le  sue  crisi,  si  delinearono  in  ItaUa  nei  primi  decenni  del  secolo    e.  Guastella:  il  fenomenismo  91   indirizzi  filosofici  d'ispirazione  o  orientamento  più  o  meno  schiettamente  positivistico.  L'assunzione  dell'esperienza  senL'esperienza  sibile  interpretata  in  senso  naturalistico  a  fonte  prima  *^"**  *  ^'  dei  criteri  di  soluzione  dei  problemi  del  conoscere,  della  realtà,  della  moralità,  l'avversione  ad  ogni  forma  d'apriorismo o  di  presupposti  metafisici,  un  atteggiamento  decisamente polemico  verso  l'idealismo  assoluto  che  veniva  prendendo n  sopravvento  nella  cultura  italiana,  sono  tratti  comuni  a  taH  indirizzi  :  tra  questi  i  più  rilevanti  per  la  natura  delle  posizioni  in  cui  sboccano,  sono  il  fenomenismo  del  GuasteUa,  il  superrealismo  dell' Orestano,  lo  scetticismo  e  relativismo  del  Rensi,  del  Levi  e  del  Tilgher.   Cosmo  Guastella  (1854-1922)  professore  di  filosofia  teoretica all'Università  di  Palermo  dal  1903  fino  alla  morte,  si  era  formato  nel  clima  del  positivismo  italiano,  ma,  risalendo alle  fonti  lontane  di  esso,  e  più  particolarmente  al  classico  empirismo  inglese,  era  giunto  a  formulare  una  dottrina sistematica  sul  pensiero  e  sull'essere,  che  è  in  sostanza  una  rimeditazione  e  rielaborazione  delle  tesi  fondamentali  di  Stuart  Mill,  sviluppate  fino  alle  estreme  conseguenze.  Espose  le  sue  idee  in  opere  ponderose  {Saggi  sulla  teoria  della  conoscenza:  Saggio  primo:  Sui  limiti  e  l'oggetto  della  conoscenza  a  priori,  1897;  Saggio  secondo:  Filosofia  della  Metafisica  in  2  voli.,  1905;  Le  ragioni  del  Fenomenismo,  in  3  voli.,  1921-22).  Ma  nonostante  il  rigore  logico  della  sua  trattazione  e  la  fermezza  intransigente  con  cui  sostenne  le  sue  idee,  queste  non  ebbero  larga  ripercussione  nel  pensiero  italiano,  sia  per  l'indole  sohtaria  dell'Autore,  sia  per  la  scarsa  novità  dei  motivi  fondamentali,  sia  per  l'avanzare  vittorioso  dell'ideaUsmo  nella  stessa  scuola  (per  alcuni  anni,  nell'Università di  Palermo,  accanto  al  Guastella  insegnò  il  Gentile).   Non   è   possibile    oltrepassare   il   mondo   dell'esperienza:   impossibilità  fuori  dell'esperienza  non  c'è  nulla  e  non  è  pensabile  nuUa.  l'esperZma"^^^  Ed  esperienza  significa  sensibilità:   pensare   è   sentire,   cioè  presenza  o  avvertimento  immediato  di  determinazioni  qualitative  concrete   e   particolari,   senza   che   questo   implichi    92    Cap.  XXX.  Positivismo  e  correnti  afini    Problema     dell'oggettività.    Nominalismo.    un  ente  distinto  da  esse  a  cui  esse  siano  presenti  o  da  cui  siano  avvertite:  quel  che  si  dice  soggetto  dell'esperienza  o  io  non  è  esso  stesso  che  un  insieme  di  sensazioni  anche  se  illanguidite  o  deboh  nella  forma  di  immagini  o  rappresentazioni. E  d'altra  parte  quelli  che  diciamo  oggetti  reali,  essendo  un  insieme  di  sensazioni,  sussistono  se  e  in  quanto  essi  sono  sentiti  :  «  esse  est  percipi  ».  Se  la  conoscenza  ha  per  oggetto  la  verità  come  accordo  tra  pensiero  e  essere,  nessun'altra  dottrina  è,  secondo  il  Guastella,  in  grado  di  dare  a  quest'accordo  che  è  la  verità,  un  fondamento  altrettanto sicuro  quanto  la  sua,  che  considera  essere  e  pensiero  fatti  della  stessa  stoffa,  la  sensazione.   Ma  su  queste  basi  non  si  spiega  la  possibilità  di  un  conoscere oggettivo,  del  sapere  scientifico,  le  cui  verità  hanno  la  pretesa  di  valere  universalmente,  di  essere  leggi  della  realtà,  soverchianti  la  provvisorietà  e  parziahtà  e  causaUtà  delle  immediate  esperienze  soggettive.  Occon^e  dunque,  a  questo  scopo,  ammettere  principii  ultrasensibiH  ?  e  attribuire al  pensiero  il  potere  di  oltrepassare  i  limiti  dell'esperienza e  di  procedere  a  priori  alla  conquista  di  verità  oggettive? Il  Guastella  lo  nega  risolutamente,  e  per  riaffermare  il  suo  radicale  empirismo  sottopone  a  un  esame  critico  la  teoria  del  pensiero,  nella  tradizionale  distinzione  dei  tre  momenti  di  esso,  il  concetto,  il  giudizio,  il  ragionamento.   Per  quel  che  riguarda  il  concetto,  di  esso  non  può  darsi  che  un'interpretazione  nominahstica  :  esso  cioè  è  im'entità  puramente  verbale,  un  nome  che,  riferito  alla  realtà,  non  designa  un  contenuto  nuovo  rispetto  a  quello  sensibile  i]  cosiddetto  intelligibile  universale  -,  ma  sempUcemente  una  molteplicità  di  sensazioni  concrete  e  particolari:  è  assurdo  attribuire  realtà  alle  astrazioni  concettuah,  perchè  queste  sono  immagini  generali,  ed  è  impossibile  ammettere  che  esista un  reale,  per  esempio  un  uomo,  che  possegga  i  caratteri comuni  all'umanità  senza  quei  caratteri  particolari  che  distinguono  un  uomo  da  un  altro  nella  sua  concreta  particolarità.    e.  Guastella:  il  fenomenismo  93   Quanto  al  giudizio,  esso  è  affermazione  di  rapporti  tra  11  giudizio  come  dati  sensoriaU  e  tra  immagini.  Ora  pel  GuasteUa  i  rapporti  \Z^f^'ZZu^'  più  generali  tra  le  cose  sono  quelli  di  tempo  e  di  spazio,  sono  sequenze  o  coesistenze:  e  questi  non  possono  essere  offerti  che  dall'esperienza  effettiva  delle  cose,  sono  a  posteriori: la  presenza  al  pensiero  della  nozione  o  immagine di  ciò  che  in  una  sequenza  è  l'antecedente,  perchè  in  esso  il  pensiero  stesso  vi  trovi  il  fondamento  del  passaggio  al  conseguente.  Ma  accanto  ai  rapporti  di  sequenza  e  coesistenza il  Guastella  pone  un'altra  classe  di  rapporti,  quella  della  somigHanza  e  dissomigHanza  ;  la  cui  affermazione  è  il  contenuto  di  quei  giudizi  ch'egH  chiama  comparativi.  Ora  per  questi  non  è  necessario  il  ricorso  all'esperienza  delle  cose,  basta  la  comparazione  delle  nozioni  o  idee  di  esse  :  non  c'è  bisogno  di  percepire  due  gruppi  di  due  oggetti  ciascuno da  una  parte  e  di  un  altro  gruppo  di  quattro  oggetti  dall'altro,  ma  basta  la  comparazione  dei  concetti  (immagini) di  essi,  per  scorgerne  l'uguaghanza  (somigHanza),  come  basta  la  comparazione  delle  immagini  di  verde  e  di  giallo  per  affermarne  la  differenza:  e  dunque  la  vaHdità  di  questi  giudizi  è  a-priori,  e  solo  successivamente  è  trasferibile  nelle  cose.  La  matematica  è,  secondo  il  Guastella,  costituita  di  giudizi  di  somigHanza,  e  perciò  è  scienza  razionale  a-priori.  Ma  appunto  perchè  i  giudizi  a  priori  non  hanno  riferimento  aUa  realtà,  l'ammissione  di  essi,  secondo  GuasteUa,  non  incide  menomamente  sul  valore  del  principio  che  solo  l'esperienza sensibile  consente  la  conoscenza  deUa  realtà:  l'empirismo radicale  non  è  intaccato.  Solo  i  giudizi  esistenziali  concernono  le  cose,  mentre,  i  rapporti  di  somigHanza  non  sono  nuUa  di  oggettivo,  non  fanno  parte  del  contenuto  dei  singoH  termini,  ma  sono  il  risultato  di  una  sintesi  mentale.  Pertanto  le  scienze  fisiche  come  queUe  storiche  sono  costituite di  giudizi  esistenziaH  e  sono  scienze  sperimentaH,  mentre  le  matematiche  sono  costituite  di  giudizi  comparativi e  riguardano  le  idee.   Con   ciò,   non  è   ancora  risolto  il  problema  deUa  possi Possibilità  delia  biHtà  deUa  scienza  come   sapere   oggettivo,   come   determi  sctenza.    94  Cap.  XXX.  Positivismo  e  correnti  affini   nazione  di  leggi  universali  dei  fenomeni.  I  rapporti  di  sequenza e  di  coesistenza  constatabili  nell'esperienza  sono  particolari:  il  passaggio  all'universale  è  compito  di  quel  terzo  momento  del  pensiero  che  è  il  ragionamento,  di  cui  l'unica  forma  legittima  per  l'empirismo  è  l'induzione.  Il  fondamento dell'induzione  è  la  costanza  di  certi  rapporti  di  sequenza  e  di  coesistenza  constatata  nell'esperienza  passata.  Ma  questo  non  basta  ancora  per  la  trasformazione  di  un  certo  rapporto  in  legge:  a  ciò  si  esige  che  la  costanza  del  rapporto  constatata  nell'esperienza  passata  sia  estesa  alla  esperienza  futura,  esige  cioè  che  il  futuro  sia  conforme  al  passato.  Ma  la  credenza  nell'uniformità  della  natura  è  un  postulato  indipendente  dall'esperienza.  Qui  non  soccorre  più  l'empirismo.  E  si  profila  nella  conclusione  l'ombra  dello  scetticismo  humiano.  Uiiiusione  meUn  empirismo  così  radicale  come  quello  del  Guastella  tafistca  va  spieesclude  qualunque  forma  di  conoscenza  metafìsica.  Eppure,  egU  riconosce  come  permanente  e  irresistibile  la  tendenza  dello  spirito  umano  a  oltrepassare  il  mondo  dell'esperienza  e  ad  ammettere  una  realtà  assoluta  soprasensibile.  Pertanto egh  ritiene  che  compito  del  filosofo  sia  quello  di  mostrare insieme  con  l'illusorietà  del  sapere  metafìsico  la  genesi  psicologica  del  suo  necessario  formarsi.  La  dimostrazione  della  illusorietà  della  conoscenza  metafìsica  comprende  i)  la  critica  condotta  sul  modello  dell'empirismo  inglese,  da  Locke  a  Hume  e  al  Mill  dei  due  concetti  fondamentali  di  causalità  efficiente  e  di  sostanza,  intesi  come  arbitraria  trasformazione  d'una  sequenza  temporale  attestata  dall'esperienza in  connessione  necessaria  tra  antecedente  e  conseguente (produzione  del  secondo  da  parte  del  primo)  per  quel  che  riguarda  la  causa,  e,  per  quel  che  riguarda  la  sostanza,  d'un  rapporto  di  coesistenza  tra  varie  rappresentazioni  quaUtative  in  un  qualcosa  di  distinto  da  esse  che  ne  costituisca come  il  sostrato  permanente;  l'arbitrarietà  del  procedimento psicologico  da  cui  si  origina  l'aspirazione  alla  conoscenza  di  una  realtà  ultrasensibile,  ossia  della  tendenza  a  estendere  alla  totahtà  dei  fenomeni  a  noi  non  famihari    e.  Guastella:  il  fenomenismo  95   le  spiegazioni  o,  meglio  le  presunte  spiegazioni  che  dei  fenomeni  a  noi  più  familiari  si  crede  di  poter  dare  mediante  il  concetto  di  causazione  efficiente.  In  altri  termini,  si  ritiene  che  al  senso  comune  e  all'intelletto  che  non  ha  fatto  ancora  la  critica  di    e  delle  sue  nozioni,  sembra  che  l'esperienza  a  noi  più  familiare  presenti  due  tipi  di  causazione  efficente  dei  fenomeni,  l'azione  dello  spirito  sul  corpo  (cioè  la  produzione dei  movimenti  del  nostro  corpo  da  parte  dello  spirito) e  l'urto  di  un  corpo  con  un  altro  corpo  come  causa  dei  movimenti  di  questo.  L'evidenza  di  questi  due  modelli  di  causazione  autorizza  ad  estendere  l'uno  o  l'altro  di  essi  a  tutti  quanti  i  fenomeni  e  si  hanno  così  le  due  classi  di  sistemi metafisici  apparsi  nella  storia  del  pensiero,  cioè  i  sistemi spirituaUstici  (che  antropomorficamente  scorgono  in  tutta  la  realtà  l'azione  causale  dello  spirito)  e  quelli  meccanicistici che  considerano  tutta  la  realtà  come  un  complesso  di  urti  reciproci  dei  corpi.  Ma  secondo  il  Guastella  questa  tendenza  psicologica  a  univerzalizzare  rapporti  che  al  più  valgono  per  l'esperienza  più  famihare  a  noi  uomini  non  è  per  nulla  giustificata,  e  pertanto  la  «  filosofia  della  metafisica »  è  dimostrazione  deU'iUusorietà  della  metafisica  stessa.   La  fallacia  dei  sistemi  metafisici,  dimostrata  attraverso  la  critica  empiristica  del  concetto  di  causahtà  efficiente,  è  confermata  dalla  critica  empiristica  del  concetto  di  sostanza.   Il  senso   comune   e   l'intelletto   non   critico    credono    di   Fallace  concetscorgere  nelle  esperienze  dei  fenomeni  esterni  a  noi  più  fa'°  materiale  o  spi miUari  permanenza  o  identità  con    stesso  di  qualcosa  rituale.  che  si  manifesta  nel  divenire,  ossia  nel  sorgere  e  nello  scomparire di  qualità  sensoriaU,  ma  non  si  esaurisce  in  esso,  in  quanto  non  nasce  e  non  muore.  E  col  sohto  passaggio  dal  famihare  al  non  famihare  s'interpreta  tutto  il  mondo  esterno  come  una  plurahtà  di  sostanze  materiali  immutabih,  le  cui  diverse  posizioni  reciproche  nello  spazio  determinerebbero  le  variazioni  quahtative  costituenti  il  divenire.  Si  formano  così  1  sistemi  metafisici  materiahstici  o  meccanicistici,  tra  cui  l'atomismo.  Ma  la  critica  scopre  l'illusorietà  del  concetto   8.    Lamanna.  Storia  della  filosofia.  VH.    96  Cap.  XXX.  Positivismo  e  correnti  affini   di  identità  sostanziale  delle  cose,  in  quanto  nell'esperienza  non  v'è  nulla  di  permanente,  e  quindi  nessun  fondamento  oggettivo  hanno  le  interpretazioni  metafisiche  materialistiche e  atomistiche.  Analogamente  è  illusoria  la  credenza  che  l'esperienza  interna  ci  riveU  la  permanenza  e  identità  di  una  sostanza  spirituale  o  anima,  perchè  questa  non  è  altro  che  una  collezione  di  stati  di  coscienza,  e  quindi  infondate sono  tutte  le  interpretazioni  metafisiche  di  orientamento  spirituahstico.   Questa  critica  porta  alla  conclusione  che  la  filosofia  dell'esperienza  deve  limitarsi  alla  constatazione  dell'esistenza di  quaUtà  sensoriali  e  di  dati  di  coscienza,  rifiutandosi  di  ammettere  sostanze  materiali  o  spirituali.  È  soltanto  un  pregiudizio  del  senso  comune  la  credenza  che  il  cosiddetto  mondo  esterno  sia  costituito  da  corpi  che  esistono  per    quah  noi  li  percepiamo  ma  indipendentemente  dal  nostro  percepirli:  che  siano  percepiti  o  no,  è  indifferente  per  il  loro  essere.  Su  questo  pregiudizio  si  basano  tutte  le  forme  di  reahsmo,  e  da  esso  derivano  le  antinomie  che  le  concezioni reahstiche  presentano  e  sono  per  esse  insuperabiH.  Solo  liberandoci  da  questo  pregiudizio  si  ha  una  visione  coerente della  realtà,  quale  è  data  dal  fenomenismo  :  «  esse  est  percipi  ».  A  questa  confutazione  del  realismo  e  alla  conseguente dimostrazione  della  tesi  che  non  v'è  altra  realtà  che  quella  degli  stati  di  coscienza  ossia  quella  della  nostra  esperienza,  il  Guastella  dedica  la  sua  opera  conclusiva,  Le  ragioni  del  fenomenismo.   8.  L'assiologia  di  Sacheli.    Uno  sviluppo  originale  in  direzione  della  filosofia  dei  valori  fu  dato  al  fenomenismo  del  Guastella  da  Calogero  Angelo  Sacheli  (1890-1946),  scolaro,  oltre  che  del  Guastella,  del  pedagogista Giovanni  Antonio  Colozza  (1857- 1943),  e  professore  lui  stesso  di  pedagogia  a  Messina.  Il  primo  nucleo  di  scritti  del  Sacheli  si  colloca  poco  dopo  la  fine  della  prima  guerra  mondiale  {Assiologia,  1919;  Indagini  etiche,  1920;  Fenomenismo, 1926),  e  mira  soprattutto  a  scalzare  la  pretesa  di    L'assiologia  di  C.  A.  Sacheli  97   una  struttura  concettuale  data,  che  offra  una  volta  per  tutte  il  quadro  necessario  dell'attività  umana.  In  un  secondo  gruppo  di  scritti  {Atto  e  valore  e  Ragion  pratica),  del  1938,  il  Sacheli  mostra  che  riconoscere  la  concretezza  dell'immediato non  significa  negare  ma,  al  contrario,  salvaguardare  i  valori  dello  spirito.  Il  proton  pseudos,  per  il  Sacheli,  è  cercar  n  valore  non  è  di  ricondurre  il  valore  all'essere:  poiché  allora  il  valore  sarà concepito  come  qualcosa  di  già  dato,  vuoi  come  fatto,  vuoi  come  forma,  e  perciò  come  qualcosa  di  inerte,  di  irrilevante,  che  cessa  pertanto,  non  solo  di  essere  valore,  ma  anche  di  essere  comunque,  per  ridursi  al  nulla.  L'essere  va  bensì  cercato,  ma  muovendo  dal  dover  essere,  senza  mai  pretendere d'averlo  trovato  compiutamente:  va  cercato  in  una  tensione  continua.  Per  questo  il  reale  concreto  è  sempre  mobile,  imprevedibile,  problematico,  caratterizzato  da  quella  che  il  Sacheli  chiama  axiofenomenicità:  cioè  fenomenicità  costituentesi  nella  tensione  verso  un  valore.   In  questo  concetto  dell'esistere  si  può  notare  un  influsso,  sia  della  «  critica  del  concreto  »  di  CarabeUese,  sia  dell'idealismo di  Gentile,  nel  senso  che  entrambi  stimolano  la  polemica del  SacheU  e  quindi,  in  parte,  lo  condizionano.  Contro  il  primo,  il  SacheU  sostiene  infatti  il  vanificarsi  di  un  ontologismo verso  cui  non  ci  si  muova  axiofenomenicamente  ;  contro  il  secondo,  la  necessità  di  ammettere  una  plurahtà  di  soggetti,  e  non  un  soggetto  unico  e  assoluto.  L'esigenza  dell'alterità  è,  anzi,  il  principio  sintetico  originario  dell'esperienza, ciò  per  cui  l'esperienza  concreta  si  fa  nell'io,  in  vista  dell'unità  con  l'altro  io.  Ciascun  io,  «  nella  sinteticità  concreta che  egli  è,  è  chiamato  a  reaUzzare  quel  pieno    stesso  che  non  può  veramente  essere  un  me,  un  ego  che  distingue,  separa  ed  oppone  ma  un  io  che  per  tale  mezzo  é,  in  ultima  analisi,  quell'unicità  axiologica  cui  solo  siamo  necessariamente, interiormente  orientati»  [Ragion  pratica,  p.  316).  Non  senza  forzature  e  oscurità,  il  Sacheh  si  sforza  così  di  mettere  in  luce  una  vocazione  intimamente  axiologica  nel  fenomenismo  della  filosofìa  moderna,  affacciatosi  con  Hume,  e  soffocato  da  Kant  e  dai  postkantiani  sotto  strutture  a  priori.    gS  Cap.  XXX.  Positivismo  e  correnti  affini   g.  Francesco  Orestano  :  scienza  etica  e  «  superrealismo  ».    Orestano,  nato  nel  Palermitano,  professore  di  filosofia  morale  e  di  storia  della  filosofia  dal  191 1  al  1924,  lasciò  volontariamente  la  cattedra,  dichiarando  di  voler  dedicare  tutta  la  sua  attività  all'esecuzione d'un  programma  speculativo  molto  ambizioso,  o  forse,  più  propriamente,  presuntuoso:  la  costruzione  di  un  Ricerca  di  sistcma,  nel  quale  da  un  lato  il  problema  etico  e,  più  in  ge^ifica'^'^  ^"^""  ^^r^J-^'  dei  valori  umani,  dall'altro,  il  problema  della  realtà  e  della  conoscenza,  impostati  su  basi  sperimentali,  avessero  una  soluzione  rigorosamente  scientifica,  e  costituissero  quindi  (pur  al  di  fuori  dei  quadri  della  scuola  positivistica)  una  nuova  filosofia  positiva.  E  d'altra  parte  questa,  a  suo  giudizio, si  inseriva  nella  più  genuina  tradizione  del  pensiero  italiano:  si  prestava  quindi  ad  essere  strumento  e  appoggio  nel  campo  culturale  del  nuovo  regime  politico  instauratosi in  Italia,  a  difesa  e  incremento  dei  nostri  valori  nazionali. Accademico  d'Italia  tra  i  primissimi  nominati  e  quale  Presidente  della  Società  Filosofica  Italiana,  abile  orchestratore  di  congressi  e  convegni  filosofico-politici,  l'Orestano  con  una  campagna  ferocissima  di  poco  edificanti  polemiche  svolse  un'accanita  concorrenza  con  l'ala  gentiliana  deU'ideaUsmo  da  lui  boUata  per  le  sue  origini  hegeliane  come  espressione deUo  spirito  germanico  -,  in  uno  sforzo  tenace  di  soppiantarla  nella  funzione  di  filosofia  ufficiale  del  regime.   I  primi  lavori  teoretici  concernono  la  fondazione  di  una  nuova  etica:  e  con  essi  egli  carezzava  in  segreto  e  più  tardi  lo  dichiarò  apertamente  l'idea  di  essere  il  Galilei  o  il  Newton  deUa  scienza  del  bene  e  del  male,  /  valori  umani,  1907,  e  i  Prolegomeni  alla  scienza  del  bene  e  del  male,  19 15,  sono  le  più  importanti  tra  le  sue  opere.   L'Orestano  presenta  un  programma  di  innovazione  nell'indagine dell'esperienza  morale,  perchè  questa  possa  assumere carattere  e  valore  di  una  vera  e  propria  scienza  quale  «  esperienza  pura  »,  analogamente  alla  concezione  che  della  scienza  dei  fatti  naturah  ha  formulata  l'Avenarius.  La  scienza    F.  Orestano  :  scienza,  etica  e  «  superrealismo  »  99   etica  non  può  essere  altro  che  la  descrizione  della  vita  moDescrizione   di  rale    da   cui   risultino   lepri   esprimenti   relazioni   funzionali  ^^!'^^^°^^  /"""   00  ir  j  ztonah  costanti.   costanti  tra  fenomeni  e  rappresentanti  la  massima  economia  concettuale  rispetto  alla  varietà  infinita  dei  fenomeni  stessi,  senza  alcuna  pretesa  normativa.  Si  aggiunge  che  la  scienza  della  morale,  se  vuol  essere  scienza  veramente  positiva  e  riuscire  alla  descrizione  più  completa  e  più  semplice  della  realtà  etica,  deve  rendere  formali  i  propri  concetti,  senza  dare  alcuna  definizione  concreta  del  bene  e  del  male,    difendere  alcuna  intuizione  particolare  della  vita  morale,  sia  egoistica  o  altruistica,  sia  individualistica  o  collettivistica, ecc.,  bensì  applicando  indistintamente  i  propri  concetti a  tutte  le  esperienze  morali,  dai  gradi  infimi  ai  supremi.   E  le  relazioni  funzionali  costanti  che  si  scoprono  nel/  valori.  l'esperienza  morale  sono  i  valori:  l'atto  di  valutazione  è  quello  che  la  scienza  morale  deve  innanzitutto  analizzare.  Ogni  valutazione  è  reazione  di  un  oggetto  alla  soggettività:  ma  a  proposito  della  natura  di  tale  reazione,  il  pensiero  dell'Orestano  presenta  oscillazioni  e  incertezze  tra  la  persuasione che  essa  sia  un  atto  di  coscienza  (reazione  psicologica) e  l'altra  che  essa  comprenda  elementi  extra  psicologici, inconsci  e  subconsci.  La  soggettività,  che  reagisce  nella  valutazione,  è  per  l' Orestano  un  «  sistema  di  vita  »,  che  presenta  una  composizione  multipla  e  pluricentrica  :  sotto  l'aspetto  psicologico  è  polipsichica  nel  senso  che  nello  stesso  individuo  si  trovano  più  centri  di  attività,  fonte  di  processi  sconnessi  e  discontinui;  sotto  l'aspetto  organico  è  polizoico  cioè  costituito  da  una  moltephcità  di  vite,  e  sotto  l'aspetto  sociale  policoinotico.  Questo  sistema  di  vita  di  cui  la  coscienza non  sarebbe  che  una  piccola  porzione  accanto  a  quelle  dell'inconscio  e  del  subconscio  è  la  fonte  onde  promanano tutte  le  determinazioni  dei  valori  umani.  Ulteriore  chiarificazione  della  natura  dell'atto  valutativo  sembra  all'Orestano  la  riduzione  del  valore  a  uno  stato  di  interesse,  inteso  non  nel  senso  intellettualistico  di  curiosità,  ma  in  senso  bio-psichico,  come  reazione  della  personalità  nella  sua    100  Cap.  XXX.  Positivismo  e  correnti  affini   totalità  bio-psichica,  riferita  al  suo  oggetto  determinato  e  indeterminato  (il  che,  come  si  vede,  non  è  certo  una  chiariII  subconscio,  ficazione).  Ma  per  quanta  importanza  possa  avere  neUa  vita  della  personalità  il  subconscio  e  l'inconscio  e  per  quanta  verità  sia  contenuta  neUe  lunghe  anahsi  che  l'Orestano  fa  di  queste  zone,  rimane  indubitato  che  gli  elementi  inconsci  e  subconsci,  intanto  possono  essere  riguardati  come  fattori  della  mia  personahtà,  in  quanto  presentano  un  qualche  rapporto  e  hanno  una  qualche  ripercussione  nella  coscienza,  e  propriamente  in  quel  centro  di  essa  che  costituisce  l'unità  di  tutte  le  sue  più  diverse  manifestazioni,  e  che  appunto  chiamiamo  io.  Un  valore  è  valore  solo  in  quanto  vien  sentito  come  tale  dalla  coscienza,  qualunque  siano  le  indicazioni  che  da  questa  esperienza  cosciente  possano  trarsi  in  ordine  aUa  realtà  extra-psichica,  qualunque  possano  essere  le  condizioni obiettive  di  essa,  tra  le  quali  appunto  rientrano  i  fattori  subcoscienti  e  incoscienti.  E  questo  è  in  ultima  anahsi  riconosciuto  dallo  stesso  Orestano  sia  quando  definisce  la  valutazione  «  coscienza  riflessa  di  uno  stato  di  interesse  »,  sia  quando  risolutamente  afferma  che  «  la  coscienza  è  la  vera,  l'unica  sede  della  vita  morale  »  e  quindi  della  attività  valutativa  in  essa  imphcita.   Ma  allora  noi  ci  domandiamo,  perchè  dichiarare  vano  il  tentativo  di  spiegare  psicologicamente  il  fatto  della  valutazione e  respingere  la  teoria  deUa  funzione  valutatrice  come  specifica  e  irriducibile  ad  altro,  quando  la  sua  equazione  «  valore-interesse  »  è  espressione  diversa  di  questa  stessa  tesi  e  non  denota  elementi  più  semphci  ai  quali  la  nozione  di  valore  sia  riducibile  ?  La  soggettività  NeU'equivoco  e  nel  vago  noi  restiamo  quando  l'Orestano,          loi   possa  immaginare.  La  vita  è  im  complesso  di  funzioni  e  di  attività,  le  quali  si  svolgono  nelle  direzioni  più  varie:  è  vita  quella  dell'idiota,  come  è  vita  quella  di  Socrate  o  di  Gesù:  a  quale  delle  due  debbono  venir  ragguagliati  i  diversi  valori,  perchè  se  ne  possa  stabilire  una  serie  graduale  ?  La  vita  è  il  campo  in  cui  l'attività  pratica  si  svolge,  diciamo  meglio  è  la  materia  che  questa  attività  tende  ad  elaborare,  a  sistemare, a  unificare;  è  chiaro  che  questa  sistemazione  ed  unificazione non  potrà  esser  fatta,  se  non  alla  stregua  di  criteri  e  principii  di  valutazione  che  non  possono  esser  fatti  dalla  vita  stessa  ut  sic.  La  vita  può  anche  essere  considerata,  come  vuole  l'Orestano,  il  quantum  d'energia  qualunque  questa  sia  di  cui  in  ogni  istante  disponiamo  per  l'attuazione  di  questo  o  di  quel  fine;  ma  è  chiaro  che  è  la  graduazione  dei  fini  e  dei  valori,  presupposta  come  già  compiuta,  quella  che  determina  la  misurazione  del  quantìim  di  energia  da  mettere  al  servizio  di  questo  o  quel  fine,  e  non  viceversa.  E  comunque  può  richiedersi  tanta  forza  fisica,  tanta  intelhgenza,  tanta  energia  vohtiva,  tanto  coraggio,  ecc.,  per  perpetrare  un  dehtto,  quanta  per  compiere  un  atto  di  salvataggio. Nessun  lume  ci  viene  in  proposito  dal  ricorso  a  una  o  altra  delle  metafore  tratte  dalla  matematica,  che  per  l'Orestano  rappresentano  come  lo  specimen  del  metodo  di  misurazione  che  nello  studio  dell'esperienza  etica  deve  essere  introdotto  perchè  questo  studio  sia  veramente  scientifico:  {scire  est  mensurare).  Nessun  lume,  dicevo,  ci  viene  dalla  possibihtà,  affermata  dall' Orestano,  di  rappresentare  i  diversi valori  come  tante  frazioni  con  numeratore  vario  e  con  comune  denominatore  la  vita  -,  quando  a  questo  denominatore, espresso  si  con  un  unico  simbolo,  si    volta  a  volta  un  valore  e  un  contenuto  diverso.   In  questa  teoria  della  valutazione  in  generale  l'Orestano   Teoria  delia  vainquadra  il  problema  del  carattere  differenziale  che  contro^«^«^^o^^distingue  la  valutazione  morale  dalle  altre  forme  d'interesse.  E  ravvisa  questo  tratto  caratteristico  nel  riferimento  di  un  oggetto  ad  un  concetto  unitario  della  vita  nella  totalità  dei    102  Cap.  XXX.  Positivismo  e  correnti  afini   suoi  scopi:  il  fatto  morale  è  impiego  effettivo,  cosciente  e  volontario  della  vita  in  funzione  di  un  concetto  di  essa,  considerata nella  totalità  dei  suoi  aspetti  e  delle  sue  relazioni;  l'esperienza  morale  è  «  la  vita  che  pensa  e  vuole    stessa  ».  Nei  giudizi  morali  è  tutta  la  vita  in  questione,  non  la  vita  puramente  vissuta,  ma  la  vita  secondo  un  concetto  o  ideale  che  noi  ci  formiamo  di  essa  e  dei  suoi  scopi.  Questo  concetto  o  ideale  è  il  vero  fondamento  di  tutti  i  giudizi  etici:  fondamento relativo,  perchè  soggetto  a  mutazioni  storiche  e  individuah;  ma  una  volta  fissato,  agisce  come  principio  assoluto  nella  determinazione  dei  valori  dipendenti,  e  non  c'è  momento  particolare  della  vita,  che  non  si  possa  valutare  sotto  l'aspetto  morale.  Il  centro  di  riferimento  delle  valutazioni  morali  è  non  necessariamente  la  vita  neUe  sue  attuali  modalità  biologiche, ma  il  concetto  di  vita  nella  totalità  dei  suoi  scopi,  sia  che  questi  scopi  confermino  o  sia  che  tendano  a  modificare in  qualsiasi  modo  la  realtà  biologica  nel  piìi  largo  senso  di  questa  espressione.  u ideale.  Nella  valutazione  morale  dunque,  la  nozione  di  vita  che   costituisce  per  l'Orestano  il  fulcro  della  dottrina  dei  valori  umani,  si  comphca  con  l'introduzione  di  un  nuovo  elemento,  il  concetto  o  ideale  di  vita:  e  questo  presenta  nuove  difficoltà  e  incertezze.  Come  si  forma  questo  «  concetto  unitario  »  della  vita,  a  cui  devono  essere  riferiti  tutti  i  valori,  perchè  assumano  carattere  morale  ?  Se  s'è  detto  che  la  vita  è  l'unità  di  misura  di  ogni  valore  e  quindi  anche  del  valore  dell'ideale,  come  si  può  poi  affermare  che  è  l'ideale  l'unità  di  misura?  L'Orestano  afferma  che  l'ideale  impone  la  propria  legge  alla  vita,  e  parla  di  «  coscienza  di  dovere  »,  immanente  in  date  valutazioni  e  determinazioni;  parla,  altresì,  di  un  soggetto  che  ha  capacità  e  «  diritto  »  di  promulgare  ideaH  di  vita.  Ma  invano  noi  cerchiamo  nella  dottrina  dell'Orestano  un'analisi approfondita  della  nozione  di  dovere.  Per  lui  la  norma  morale  non  è  che  lo  schema  astratto  e  costante  di  un'esperienza o  di  un  gruppo  di  esperienze  che  tendono  a  stabiLLzzarsi  nella  ripetizione,  e  importa  la  proclamazione  di  volere  e  la  coscienza  di  volere  persistere  in  tutti  i  casi  analoghi    F.  Orestano  :  scienza,  etica  e  «  superrealismo nelle  medesime  disposizioni  valutative  e  nell'attività  corrispondente. Quando  poi  la  norma  è  concepita  e  proclamata  in  termini  universali  non  soltanto  per  un  dato  soggetto,  ma  per  una  moltitudine  di  soggetti  appartenenti  ad  una  data  società  (e  tendenzialmente  per  la  totalità  dei  soggetti  possibili),  quella  norma  si  chiama  legge;  e  le  leggi  morali  sono  norme  e  sistemi  di  norme  che  dispongono  della  vita  umana  nella  totalità  delle  sue  relazioni.   Queste  sono  le  conclusioni  a  cui  l'OreStano  giunge  nella  Morale  econodescrizione  della  vita  morale,  e  significano  la  pura  e  semplice  ^If^^^^^  mora  e  constatazione  del  fatto  che  esistano  date  valutazioni  piìi  o  meno  durevoli,  piii  o  meno  intense,  più  o  meno  costanti.  Ma  quando  è  proposta  la  questione  della  legittimità  della  coscienza,  dell'obbligatorietà  e  della  almeno  potenziale  universalità delle  norme  e  leggi  morali  che  è  poi  la  questione  centrale  dell'etica  l' Orestano  fa  una  distinzione  importantissima, che  minaccia  di  fallimento  il  programma  stesso  della  fondazione  di  un'etica  scientifica.  E  la  distinzione  è  tra  due  morali,  caratterizzate  dall' Orestano  come  morale  economica  e  morale  elettiva  o  morale  dell'ideale.  La  prima  è  un  insieme  di  norme  e  leggi  che  hanno  una  funzione  protettiva  della  vita,  di  comandi  proibitivi  di  tutto  ciò  che  può  nuocere  alla  vita,  e  costituiscono  l'ordine  etico  giuridico  avente  per  principio fondamentale  il  valore  assoluto  della  vita  biologicamente  intesa  (vita  tanto  di  un  individuo  quanto  di  una  specie).  Questa  morale  fondata  sulla  economia  della  vita  tende  al  mantenimento  di  un  ordine  sociale  che  tuteli  ogni  vita  individuale contro  qualunque  fattore  volontario  di  distruzione  e  assicuri  a  tutti  il  libero  svolgimento  della  personalità.  Alle  leggi  e  norme  della  morale  economica  è  riconosciuta  come  essenziale  l'obbhgatorietà  e  universaHtà  ma  questa  si  risolve  nel  consenso  sociale,  ha  la  sua  fonte  nella  autorità  dello  Stato.    La  seconda  morale  invece  si  fonda  non  sul  valore  assoluto della  vita  ma  sul  valore  assoluto  dell'ideale,  ossia  del  concetto  di  bene  come  costituente  il  contenuto  spirituale  positivo della  vita.  Questo  problema  comporta  soluzioni  varie  sempre  più  libere  per  ciascuna  personaUtà  (e  perciò  è  detta morale  elettiva).  Appunto  perchè  la  personalità  è,  come  s'è  visto,  una  collettività  pluricentrica  e  i  vari  centri  di  funzioni  sono  relativamente  autonomi,  ad  un  stesso  individuo  quel  problema  presenta  conflitti  incomponibili  e  ineliminabili  antinomie. L'ideale  di  vita  è  assoluto  m.a  in  rapporto  all'individuo  che  lo  formula  e  che  vi  si  sottomette,  anzi  al  momento  di  vita  che  egli  attraversa.  I  contrasti  alle  antinomie  fra  i  vari  ideali  di  vita  potrebbero  portare  ad  uno  scetticismo  etico,  potrebbero  portare  a  credere  che  la  vita  si  svolge  a  caso  senza    ordine    legge.  Ma  l'Orestano  arretra  innanzi  a  questa  conclusione  negativa  e  si  hmita  a  dubitare  che  l'esperienza morale  e  forse  tutta  l'esperienza  umana  non  rivela  al  pensiero  la  totaUtà  delle  sue  condizioni;  che  l'empiria  esiga  l'integrazione  di  un  qualche  elemento  metempirico  che  è  forse  l'elemento  essenziale,  ma  inafferrabile  per  la  scienza,  avvolto  nel  mistero.  Mentre  si  voleva  fondare  sull'esperienza pura  l'etica  come  fondazione  scientifica  e  la  distinzione  fra  bene  e  male,  alla  fine  sembra  inevitabile  il  ricorso  alla  metafisica  come  tentativo  di  svelamento  del  mistero.  L'Orestano  scrive  esphcitamente,  alla  fine  dei  Prolegomeni:  «non  tutta  la  realtà  è  nell'esperienza.  Questo  ci  dice  l'esame  scientifico  piiì  accurato,  esaurite  le  sue  più  rigorose  indagini  fra  crescenti  oscurità  e  contraddizioni,  alla  presenza  di  residui  che  ci  sfuggono.  Altra  volta  la  scienza  era  invocata  a  far  piena  luce  in  tutto:  oggi  essa  non  fa  che  adunare  prove  intorno  all'esistenza  di  un  mistero  inviolabile  ».  V antinomia  del  Tra  le  antinomie  scaturite  dall'anafisi  dell'etica  impersacrtficto.  niata  nel  concetto  di  vita,  è  rilevata  dall' Orestano  in  parti colare quella  relativa  al  dovere  che  l'etica  elettiva  impone  del  sacrificio  assoluto  dell'individuo  per  la  causa  ideale  trascelta.  È  quello  che  l'Orestano  chiama  il  paradosso  della  guerra:  per  l'economia  della  vita  si  distrugge  la  vita:  l'ideale,  funzione  della  vita,  può  pretendere  di  attuarsi  a  prezzo  della  vita.  La  vita  è  per  il  soggetto  la  sola  vera  misura  che  il  soggetto possiede,  della  realtà  e  del  valore:  come  può  una  funzione dipendente  di  essa,  cioè  l'ideale,  inghiottire  la  variabile  indipendente,  cioè  la  vita?  Questo  paradosso  non  si  risolve    F.  Orestano:  scienza,  etica  e  «  superrealismo col  determinarne  un  certo  rapporto  di  quantità:  la  vita  è  un  valore  assoluto  che  non  può  sottoporsi  a  misura  quantitativa; le  vite  distrutte  nella  guerra  non  valgono  meno,  sol  perchè  meno  numerose,  delle  vite  protette:  forse  erano  anzi  le  piìi  valide,  le  più  nobili,  le  piìi  degne  di  vivere.  La  guerra  è  un  «  tragico  esperimento  »  :  il  paradosso  della  guerra  è  com.prensibile  solo  se  si  oltrepassa  l'individuo  mettendo  un  legame  intrinseco  tra  esso  e  il  tutto.  Se  l'individuo  fosse  veramente  individuo,  il  suo  sacrifìcio  per  la  sua  collettività  sarebbe  assurdo.  Se  egli  s'immola  all'idea  del  tutto,  vuol  dire,  che  questa  vive  in  lui  con  una  forza  e  un  valore  che  trascendono  ogni  considerazione  individuale.  Quanto  più  anzi  l'idea  del  tutto  vive  nei  singoli  ed  è  capace  di  assorbire  e  disciplinare  tutte  le  altre  valutazioni,  tanto  più  il  sacrifìcio individuale  diviene  facile  e  pronto.  E  quando  si  dice  idea  del  tutto  s'intende  non  la  totalità  della  vita  individuale,  ma  la  totahtà  dell'Essere.  Siamo  in  piena  metafìsica:  alla  via  discendente  della  riflessione  verso  lo  sviluppo  formativo  della  scienza  del  bene  e  del  male,  qui  l'Orestano  sostituisce  la  via  ascendente,  per  la  quale  il  problema  morale  scientificamente trattato  diventa  tutto  il  problema  umano  :  problema  della  verità  e  dell'errore,  della  certezza  del  dubbio,  del  pensabile e  dell'impensabile,  il  problema  della  coscienza  riflessa,  del  destino  umano  universale.  Il  passaggio  è  determinato  La  crisi  delia  dallo  spettacolo  tragico  della  guerra.  Fu  questo  dichiara  §"'^''''^l'Orestano  nella  prefazione  all'opera  Nuovi  principii  ciò  che  lo  indusse  a  una  riforma  del  pensiero,  per  renderlo  idoneo  a  quella  più  integrale  comprensione  della  realtà  e  del  divenire naturale  e  umano  che  egH  chiama  nuovo  realismo  o  iperrealismo;  al  quale  egli  dedica,  oltre  l'opera  ora  ricordata  dei  Nuovi  principii  (1925)  parecchi  altri  scritti  successivi,  tra  cui  il  più  importante  è  Verità  dimostrate  (1934).  (Alla  fine  cfr.  il  volume  di  raccolta  di  saggi,  del  1939,  intitolato  //  nuovo  realismo).   Per  l'Orestano  il  problema  dei   problemi   della  filosofia  La  realtà  obietodierna  è  quello  della  realtà:  si  tratta  di  vedere,  contro  l'immanentismo  prima  dominante,  se  si  possa  ammettere  l'esistenza e  determinare  la    struttura    d'una    realtà    obiettiva  per    stante,  indipendente  dal  soggetto,  Antimmanen  È   Sorprendente   che,    nel   procedere   alla   dimostrazione  tismo.  della  sua  tesi  realistica  in  sensoanti-immanentistico,   l'Ore stano  muova  da  premesse  che  sembra  significhino  l'accettazione in  pieno  deUa  posizione  immanentistica:  oggi,  egli  dice,  non  è  più  lecito  dubitare    deUa  soggettività  deUe  esperienze, né  della  impossibilità  di  un  sapere  che  pretenda  uscir  fuori  dall'esperienza.  Da  un  lato  l'esperienza  è  necessariamente relativa  alla  struttura  psico-fisica  e  logico-categoriale del  soggetto  dell'esperienza  stessa;  e,  dall'altro  lato,  l'esperienza  è  invalicabile.  Ma  per  l'Orestano  questo  duplice  riconoscimento  non  basta  a  negare  una  realtà  indipendente  dal  soggetto,  ma  anzi  la  postula  a  vera  necessaria  integrazione. Significa  andare  oltre  quella  premessa,  dedurne  che  l'esperienza  sia  nulla  più  che  indice  d'una  realtà  soltanto  soggettiva.  Negare  in  nome  dell'esperienza  una  realtà  trascendente è  già  oltrepassare  l'esperienza,  e  fare  dell'ontologia:  posizione  arbitraria,  questa,  che  contraddice  le  premesse.  E  questo  va  detto  non  solo  delle  esperienze  particolari  nelle  loro  concrete  presentazioni,  ma  anche  delle  stesse  forme  a  priori,  che  Kant  proclamò  soggettive  e  soltanto  soggettive,  mentre  niente  autorizza  ad  escludere  che  esse,  oltre  che  forme  a  priori  nel  soggetto,  siano  anche  schemi  oggettivi  dell'accadere, o  abbiano  quanto  meno  un  analogo  oggettivo.  La  subiettività,  una  volta  stabihta,  vieta  di  affermare,  ma  vieta  anche  di  negare  ogni  e  qualsiasi  corrispondenza  tra  le  nostre  esperienze  e  una,  sia  pure  ipotetica  realtà  transubbiettiva  :  chi  lo  nega  viola  il  principio  della  subiettività  quanto  chi  l'afferma.  Pertanto,  se  ne  desume  come  unica  conseguenza  legittima,  non  la  soppressione  di  qualunque  riferimento  trascendentale  della  nostra  esperienza  a  una  realtà  in  sé,  ma  l'affermazione  della  problematicità  della  realtà  in  sé.  Ogni  esperienza  nasce  e  si  fissa  con  un  suo  riferimento  ontologico, cioè  con  un  senso  vettoriale  verso  una  sia  pure  ipotetica realtà  in  sé,  assunta  come  il  sustrato,  lo  sfondo,  ragione    F.  Or  estano:  scienza,  etica  e  «  superrealismo  »        107   e  misura  della  stessa  esperienza.  Ma  la  problematicità  di  questi  riferimenti  ne  esige  una  continua  verificazione,  escludendone l'accettazione  passiva  e  totale.  La  soluzione  del  problema  della  realtà  in    deve  per  l'Orestano  essere  in  qualche  modo  positiva,  ancorché  parziale,  approssimata,  provvisoria,  pena  la  vita;  perchè  noi  viviamo  effettivamente  non  mai  tra  soU  fenomeni,  ma  tra  noumeni,  noumeni  noi  stessi.   Come  presupposto  di  tutta  la  trattazione  del  problema  La  «dimensioontoloedco,    l'Orestano    ammette    quella    che    egh    chiama  "^   trascenden ^  ^  ^  °  tale»    dell'espe dimensione  trascendentale  dell'esperienza,  come  componente  Henza.  costante  e  insopprimibile  di  tutta  l'esperienza  nel  suo  complesso e  di  ciascuna  esperienza  particolarmente  presa,  che  ne  addita  i  riferimenti  a  una  realtà  in  sé,  a  un  ipotetico  sfondo  noumenico,  trascendente  tutti  i  dati  componenti  l'esperienza  stessa.  E  un  tale  riferimento  si  manifesta  in  due  direzioni:  l'una  verso  un  non-io  (cose  esteme,  soggetti  altri  da  noi,  ecc.),  e  l'altra  verso  il  nostro  stesso  io,  come  entità  tanto  nascosta  e  misteriosa  e  inaccessibile  quanto  ogni  oggetto  o  non-io  a  noi  estraneo.  E  in  questa  dupUce  direzione,  le  rivelazioni  della  cosa  in    che  riusciamo  a  coghere  sono  egofanie,  se  riferibili  al  nostro  io  trascendente,  eterofanie  se  riferibih  a  un  mondo  in  sé,  a  un  non-io.  Sulla  dimensione  trascendentale si  fonda  quella  che  l'Orestano  chiama  metafisica  del  fatto  empirico.  La  dimensione  trascendentale  propone  per  ciascuna  esperienza  un'ipotesi  di  ordine  ontologico  e  non  soltanto  fenomenico;  ipotesi  suscettibile  di  verificazioni  sperimentaU  soltanto  parziaU  e  provvisorie,  di  correzioni,  integrazioni,  abbandoni  e  riprese.  La  dimensione  trascendentale costituisce  l'asse  non  solo  di  tutto  il  nostro  pensare  e  conoscere,  ma  di  tutto  il  nostro  agire,  in  quanto  ad  essa  noi  ci  appoggiamo  nel  trattare  i  fenomeni  sia  sul  piano  teoretico,  sia  sul  piano  tecnico  e  pratico.   La  questione  fondamentale  dell'ontologia,  secondo  l'Orestano, consiste  nell'esaminare  se  è  possibile  uscire  dalla  problematicità  ontologica  delle  esperienze,  rimanendo  con  le  esperienze   e   nella   esperienza.    Questo   problema   comporta una  soluzione  positiva  solo  a  condizione  che  ammettiamo  a  priori  di  poter  distinguere  con  criterii  interni  esperienze  da  esperienze,  confr ontare  cioè  le  esperienze  ontologicamente  certe  con  le  dubbie  e  con  le  ingannevoli,  le  obiettivamente  condizionate  dalle  incondizionate,  ecc.  La  scala  ontoioCon  questo  intento  e  questo  procedimento  l'Orestano  ^'^'^"'crede  di  poter  ordinare  i  valori  ontologici  del  nuovo  realismo   in  una  scala  ontologica  graduata  in  modo  che  i  gradi  superiori implichino  tutti  gli  inferiori,  ma  li  oltrepassino  aggiungendo ai  precedenti  indici  di  accrescimento  di  potere  e  di  valore umano.   Questa  scala  è  così  costituita:   i)  ricerca  e  verificazione  di  costanti  delle  esperienze  implicante  la  ripetizione  delle  esperienze,  sia  la  ripetizione  indipendente  dalla  nostra  volontà  (osservazione)  sia  ripetizione a  volontà  (esperimento)  :  la  scienza  è  tutta  un'ansiosa  ricerca  di  tali  costanti;   2)  verifica  delle  costanti  teoriche  scientificamente  accertate, negazione  integralmente  considerata:  l'uomo,  per  la  soddisfazione  dei  suoi  bisogni,  svolge  un'azione  la  quale  è  come  un  interrogatorio  a  una  realtà  in  sé,  proposto  con  le  nostre  previsioni:  i  risultati  dell'azione  sono  altrettante  risposte;  che  danno  sempre  un  valore  positivo  e  negativo  alle  nostre  incognite  e  costituiscono  l'unico  controllo  che  possediamo,  sebbene  e  soltanto  approssimativo  e  provvisorio, delle  nostre  verità  e  dei  nostri  errori  in  un  piano  non  soltanto   fenomenico   ma   ontologico;   3)  gli  atti  di  valutazione,  con  cui  si  trasfigura  in  senso  umano  la  realtà  obiettivamente  data  e  vi  si  inseriscono  realtà  umane  che  la  stessa  natura  ignora;   4)  funzione  creatrice  di  realtà  tutte  e  soltanto  umane,  Creazione  di  la  Creazione  del  mondo  dei  valori  umani:  creazione  che  ha   luogo  non  soltanto  nella  sfera  circoscritta  di  una  personalità  ma  nelle  costruzioni  storico-collettive  le  quali  danno  indicazioni pregnanti  e  provanti  il  realismo,  nel  grado  massimo  consentito.    Questa  ontologia  non  è  più  confinata  ai  rilievi    realtà  umane.    F.  Orestano:  scienza,  etica  e  «  superrealismo  »         109   di  date  costanti,  pur  utilizzandole  tutte;  essa  va  oltre  tutto  ciò  che  è  già  acquisito  all'esperienza,  non  solo,  ma  che  possa  esservi  empiricamente  dato.  Non  è  un'ontologia  passiva  e  contemplativa,  ma  essenzialmente  attiva,  guerriera,  in  cui  funzioni  creatrici  e  rivelazioni  trascendentali  (egofanie  ed  eterofanie)  si  compenetrano  oltre  tutti  i  hmiti.  Per  essa  il  mondo  non  è  più  una  quantità  data  ;  ma  il  soggetto  si  immette  in  un  mondo  di  possibilità  sconosciute  e  sconfinate  e  marcia  alla  conquista  di  posizioni  assolute.  Nel  mondo  dei  valori  umani,  edificato  storicamente  da  intere  collettività  umane,  i  valori  spiegano  tanta  piii  potenza  realizzatrice  propria,  quanto  meno  sono  obiettivamente  condizionati.  Perciò  si  graduano  essi  pure  in  una  scala  dai  più  ai  meno  condizionati,  e  inversamente  dai  meno  ai  più  elettivamente  costituiti:  valori  economici,  giuridici,  politici,  morali,  poetici,  religiosi.  In  questa  gradazione  interna  del  mondo  dei  valori  umani  si  va  da  queUi  che  segnano  un  massimo  di  dipendenza  o  condizionalità  obiettiva  (i  valori  economici)  a  quelH  (i  valori  rehgiosi)  che  segnano  il  massimo  d'indipendenza  o  incondizionalità  empirica  e  fondano  realtà  umane  storicamente  resistenti  e  universalmente  dominanti.  I  valori  rehgiosi  trasformano  l'asse  ontologico  di  tutti  i  valori  umani  in  un  sistema  metempirico:  la  categoria  dell'Assoluto  opera  in  tutta  la  sua  estensione:  la  trascendenza  involge  e  domina  tutta  l'immanenza  e  questa  si  potenzia  e  subhma  nella  trascendenza. Alle  egofanie  ed  alle  eterofanie  sono  congiunte  le  teofanie.   Tutti  i  gradi  di  questa  ontologia  dalla  prima  ricerca  delle  costanti  dell'esperienza  al  più  alto  ed  efficiente  sforzo  costruttivo  di  un  mondo  umano  in  funzione  del  SoprannaAnelito  ai  soturale,  sono  pervasi  dall'anelito  a  una  realtà  non  illusoria.  P''^'^^^^^''^^^Questo  slancio  di  continuo  superamento  riesce  a  fondare  sistemi  di  realtà  spirituale  trasumananti,  a  cui  nessuna  realtà  fisica  e  naturale  è  confrontabile  per  potenza  ordinatrice  e  per  fecondità  creativa.   Era    un    errore    di    prospettiva    della   vecchia    ontologia  dare  per  veramente  reale  il  regno  della  natura,  e  per  reale    no  Cap.  XXX.  Positivismo  e  correnti  affini   il  regno  dell'uomo  solo  in  quanto  assimilato  al  primo.  Per  rOrestano  è  vero  il  contrario:  non  c'è  nulla  di  cosi  labile  come  il  fenomeno  fisico,  e  nulla  di  più  resistente  e  fecondo  di  realtà  del  mondo  dei  valori  umani,  che  la  stessa  natura  è  incapace  di  porre  in  essere  e  che  l'uomo  crea  e  propaga  all'infuori  di  ogni  dipendenza  da  modelli  fisici  e  naturali.  La  scala  ontologica,  per  essere  umana,  non  è  mai  soltanto  soggettiva,  e  per  essere  frutto  di  pensieri,  sentimenti  e  volizioni dell'uomo  non  per  questo  presenta  caratteri  di  realtà  meno  imponenti,  anzi  più,  di  qualsiasi  più  potente  processo  cosmico.  E,  poiché  ciascun  grado  superiore  non  solo  implica  e  convahda  ma  anche  supera  tutti  i  gradi  inferiori,  l'Orestano  quahfica  il  suo  reahsmo  costruttivo  come  superrealismo.  Secondo  questo  realismo  costruttivo  il  processo  della  conoscenza  non  è  mai  sempHce  adeguazione  passiva  a  una  realtà  data,  ma  si  alimenta  di  un  attivismo,  che  concorre  col  fatto  proprio  a  stabilire  la  consistenza  e  misura  della  realtà  da  noi  conosciuta  e  vissuta.  Le  nostre  categorie  contro  quel  che  pensava  Kant  non  hanno  impiego  e  significato,  se  non  sono  riferite  alla  realtà  in  sé.  Esse  sono  gli  schemi  relativamente  stabih,  benché  sempre  ipotetici,  alla  cui  stregua noi  tentiamo  di  congetturare  e  organizzare  l'accordo  deUa  nostra  mente  con  una  vera  e  non  illusoria  realtà.  La  loro  funzione  è  quella  di  ipotesi  trascendentale  e  più  precisamente di  ipotesi  di  lavoro.  Le  configurazioni  che  l'esperienza  assume  in  esse  e  per  esse  sono  certo  simboliche,  ma  le  risposte  che  noi  otteniamo  alla  nostra  inchiesta  logico-categorica  della  realtà  hanno  sempre  un  significato.  Le  categorie,  come  ipotesi  di  lavoro,  sono  da  conservare  finché  utili  e  da  abbandonare, se  sostituibiH  con  altre  più  feconde.  //  «superreaiiNel  supcrrealismo  dell' Orestano  confluiscono:  i)  motivi del  positivismo  (invalicabilità  dell'esperienza  nella  determinazione del  reale,  valore  della  scienza  come  attività  formulatrice  di  costanti  relazionali  e  funzionali  dell'esperienza,  rifiuto  dell' a-priorità  e  fissità  delle  strutture  categoriali  del  pensiero,  da  considerare  invece  come  risultato  provvisorio  d'un  processo  di  formazione  sempre  aperto,  concezione  dell'io    smo  ».    F.  Orestano:  scienza,  etica  e  «  superrealismo  i>        ili   non  come  realtà  originaria  e  centro  e  sostegno  dell'esperienza  ma  come  una  costruzione  mentale)  ;  2)  motivi  prammatistici  {['azione  come  supremo  criterio  di  verifica  e  di  discriminazione tra  vero  e  falso)  ;  3)  motivi  spiritualistici  (la  spiritualità umana  come  potenza  trasfiguratrice  di  tutta  quanta  la  realtà  alla  luce  e  in  forza  di  valori  costitutivi  dell'essenza  stessa  della  spiritualità,  e  come  potenza  creatrice  d'un  mondo  umano,  grado  supremo  della  realtà  medesima,  culminante  nell'Assoluto  divino).  Questi  motivi  di  cosi  diversa  provenienza e  così  eterogenei  sono,  nel  «  nuovo  realismo  »  delrOrestano,  piuttosto  accostati  e  giustapposti  che  non  fusi  organicamente  in  una  visione  veramente  unitaria,  e  gli  sviluppi  di  essi  lasciano  tante  oscurità  e  ambiguità,  che  essi  spesso  appaiono  asserzioni  gratuite  piuttosto  che,  come  l'Orestano  pretende,  «  verità  dimostrate  ».  Lo  stesso  concetto di  «  dimensione  trascendentale  »  dell'esperienza,  che  è  presentato  dall' Orestano  come  l'asse  della  sua  ontologia,  non  è  sorretto  da  ragioni  che  valgano  a  dissipare  l'impressione che  esso  non  si  distingua  sostanzialmente  dall'esigenza, puramente  psicologica,  che  è  alla  radice  di  ogni  realismo ingenuo.  L'ontologia  del  «  nuovo  reaUsmo  »  si  presenta  come  la  trascrizione  in  chiave  trascendentlstica  di  quella  rete  di  rapporti  che  l'immanentismo  pone  come  prodotta  dall'io  e  insidente  nell'io.   IO.    Lo    SCETTICISMO    E    IL    MATERIALISMO    FENOMENISTICO   DI  Giuseppe  Rensi.    Giuseppe  Rensi  (1871-1941)  dopo  avere  esercitato,  per  molti  anni  a  Verona,  sua  città  natale,  e  nel  Canton  Ticino,  suo  rifugio  di  profugo,  l'avventura  e  n  giornalismo  pohtico,  fu  professore  di  filosofia  nell'Istituto  Superiore  di  Magistero  a  Firenze  e  poi  nelle  Università  di  Messina  e  di  Genova,  fino  al  1934,  anno  in  cui,  avendo  rifiutato il  giuramento  di  fedeltà  al  fascismo,  fu  privato  della  cattedra.  Dalla  fine  della  prima  guerra  mondiale  in  poi  egh,  con  una  abbondante  produzione  filosofica,  si  fece  banditore d'un  radicale  scetticismo,  denunciando  l'impotenza  della  ragione  a  stabihre  principii  che,  oltre  le  moltepUci  e   9.  Lamanna.  storia  della  filosofia.  VII.    112  Cap.  XXX.  Positivismo  e  correnti  affini   contrastanti  opinioni,  permettano  un  qualsiasi  accordo  fra  gli  uomini  nella  ricerca  del  vero,  nella  pratica  del  bene,  nella  contemplazione  del  bello,  nello  sforzo  di  costruzione  d'un  ordine  sociale  e  politico,  nell'aspirazione  al  divino  Scrittore  popòcome  fonte  di  fiducia  e  di  speranza.  E  si  conquistò  una  larga  ^"■^^cerchia  di  lettori,   anche  al  di  fuori  del  mondo  dei  filosofi   di  professione.  Questa  quasi-popolarità  fu  favorita  dalle  innegabiU  doti  di  scrittore  vivace  e  immaginoso;  dallo  spirito polemico,  pronto  agli  attacchi  piìi  violenti  contro  gl'idoli  del  giorno,  a  cui  magari  egli  stesso  aveva  il  giorno  avanti  bruciato  qualche  grano  d'incenso  (e  il  neo-idealismo  di  Croce  e  Gentile  fu  l'oggetto  dei  colpi  più  duri),  pronto,  altresì,  alla  difesa  della  causa  dei  vinti,  all'abilità  dialettica,  spesso  contaminata se  non  soverchiata  da  capziosità  sofìstica,  nel  raccattare  alle  fonti  piìi  eterogenee  e  lontane  e  accozzare  insieme  argomenti  a  sostegno  delle  proprie  tesi,  con  scarso  senso  della  prospettiva  storica,  più  per  estrinseca  giustapposizione che  per  intima  rigorosa  connessione  logica;  infine,  dalla  consonanza  dei  motivi  fondamentali  del  suo  speculare  con  lo  stato  di  disorientamento  e  di  angoscia  dominante  in  un'Europa  turbata  e  sconvolta  dalla  catastrofe  della  guerra  mondiale,  della  rivoluzione  russa,  dal  croUo  di  vecchi  mondi,  dalle  convulsioni  violente  di  lotte  tra  partiti  e  nazioni.   Nella  lunga  prefazione  al  volume  che  può  considerarsi  come  il  Manifesto  del  suo  scetticismo.  Lineamenti  di  filosofia  scettica  (1919),  il  Rensi  insiste  nel  tentativo  di  dimostrare  la  continuità  del  suo  pensiero,  quale  è  formulato  in  quest'opera,  con  le  idee  direttive  di  scritti  antecedenti  :  e  rileva,  in  particolare, i  titoH  significativi  dei  due  hbri,  Le  antinomie  dello  Spirito,  1910,  e  Sic  et  non,  1911,  oltre  che  l'orientamento  Le  antinomie  generale  dell'altro  volume,  La  trascendenza,  1904,  per  modeiia  ragione,  strare  chc  in  tutte  e  tre  queste  raccolte  di  saggi  è  chiaro  l'intento  di  mettere  in  luce  l'insuperabile  e  reciproco  contrasto  tra  le  posizioni  che  la  ragione  prende  di  fronte  ai  problemi  fondamentah  della  morale  e  della  rehgione  [Lineamenti,  pp.  vii-viii) .  Ma  è  da  notare  che  qui  si  tratta  di  un  atteggiamento che  è  soltanto  antidogmatico  e  critico,  non  ancora    G.  Rensi:  scetticismo  e  materialismo  fenomenistico       113   propriamente  scettico:  la  negazione  non  è  definitiva,  solo  si  esclude  la  possibilità  di  giungere  attraverso  l'esame  comparativo di  ipotesi  anche  opposte  a  una  ricostruzione  sintetica: positiva.  È  l'atteggiamento  che  esplicitamente  viene  affermato  dal  Rensi  stesso  nel  dehneare,  nel  1906,  il  programma della  rivista  «Coenobium»  (di  cui  fu  per  parecchi  anni  «  magna  pars  ») ,  a  cui  pure  fa  riferimento  la  prefazione  citata :  «  Qualche  millennio  di  svariate  ipotesi  metafisiche  e  un  secolo  di  educazione  strettamente  scientifica  hanno  tolto  al  pensiero  contemporaneo  ogni  rigidità  dogmatica.  Noi  possiamo comprendere,  e,  quasi  diremmo,  accoghere  nel  più  intimo  del  nostro  spirito  le  ipotesi,  le  tendenze,  le  soluzioni  più  opposte....  tutte  noi  le  comprendiamo  ed  amiamo,  perchè  di  tutte  scorge  le  ragioni  profonde  la  nostra  anima  multipla »  {ibidem,  pp.  vi-vii).  Comunque,  è  fuori  dubbio  che,  in  quel  primo  periodo  della  sua  attività  di  pensiero,  il  Rensi  ebbe  fede  sincera  oltre  che  nel  sociahsmo,  quale  aspirazione a  una  più  alta  giustizia  nell'idealismo,  o  almeno  in  un  certo  ideahsmo,  al  cui  incremento,  diede  opera  con  la  traduzione  delle  opere  del  Royce  e  di  uno  studio  di  Hibben  sulla  logica  di  Hegel.  Egli  dà,  dell'idealismo  hegeUano,  un'interpretazione trascendentlstica,  quale  era  richiesta  da  quella  «  vena  rehgioso-mistica  »  che,  come  egli  stesso  dichiarò  più  tardi  nella  sua  Autobiografia  intellettuale,  si  mescolava  in  lui,  in  questa  prima  fase,  con  la  vena  scettica  o  antidogmatica.   Contro  la  tendenza  prevalente  nel  neo-ideahsmo  itahano   Contro  l'immacontemporaneo,  il  Rensi  afferma    che    1  immanenza    non    e   ^^  lo  stadio  più  alto  del  pensiero  ideaUstico,  ma  è  solo  lo  stadio  intermedio  tra  una  concezione  meccanica  del  mondo  e  la  concezione  della  divinità  personale,  immanente  e  trascendente  a  un  tempo.   Successivamente  dichiara  il  Rensi  nella  citata  AutoPassaggio  a  un  biografia    intellettuale    -,     quella    vena    reUgioso-idealisticomistica  che  prima  era  commista  con  quella  scettica,  si  estinse  in  lui  e  lasciò  il  posto  a  una  visione  della  realtà  e  della  vita  decisamente  scettico-pessimistica.   Tra  le  ragioni  di  questa    pessimismo  ateistico.    114  Cap.  XXX.  Positivismo  e  correnti  afini   scelta  il  Rensi  pone,  in  particolare,  la  guerra.  «  La  guerra  ci  pone  impetuosamente  sotto  gli  occhi  la  terribile  e  vissuta  grandiosa  messa  in  scena  dell'inesistenza  d'un'universalità  e  comunità  di  ragione....  Non  mi  limito  semplicemente  a  dire:  qui  non  c'è  verità  perchè  gli  uomini  la  pensano  diversamente e  si  contraddicono  tra  loro  (contraddizioni  esterne);  ma  dimostro  anche:  qui  non  c'è  verità,  perchè  questo  pensiero logicamente  non  si  sorregge,  non  può  condursi  avanti  senz'urti,  erompono  in  esso  invincibili  contraddizioni  interne.... Se  un  concetto  è  interiormente  e  in    stesso  contraddittorio cioè  contiene  aspetti  insolubilmente  inconcOiabiU,  non  si  ha  che  da  riflettere  che  ciascuno  di  questi  aspetti  viene  incorporato  e  fatto  proprio  dalla  mente  di  un  uomo  o  di  un  popolo,  per  scorgere  come  la  contraddizione  interna  si  traduca  e  rispecchi  nella  contraddizione  estema  del  dissenso  e  della  guerra»  [Lineamenti,  pp.  xv-xvii).  La  guerra.  La  guerra  è  un  fatto  pohtico,  in  cui  si  affida  alla  irra zionalità della  forza  la  decisione  delle  controversie  tra  le  opposte  «  ragioni  »  dei  contendenti.  E  le  lotte  interne  tra  i  partiti  non  sono  di  natura  diversa:  la  democrazia  e  il  liberalismo ahmentano  la  fiducia  che  la  Ubera  discussione  porti  a  un  accordo  suUe  questioni  controverse,  ma  i  fatti  dimostrano  che  l'urto  tra  le  idee  diventa  sempre  più  irriducibile;  la  ragione  continua  inesauribilmente  a  fornir  ragioni  a  tutte  le  tesi.  Un  parere  vale  l'altro:  e  non  c'è  che  una  via  per  uscire  dal  contrasto,  lasciare  la  decisione  aUa  forza,  all'irrazionalità  deUa  violenza  camuffata  di  legahtà:  il  principio  degl'autorità  costituisce  l'unico  fondamento  della  poUtica.   Il  volume  La  filosofia  dell'autorità  fu  pubblicato  dal  Rensi  nel  1920,  con  largo  successo  di  pubbUco,  e  forniva  argomenti di  propaganda  al  regime  autoritario  che  si  veniva  preparando  in  ItaHa,  e  che  pure  il  Rensi  combattè  tenacemente e  sinceramente,  dando  si  direbbe  una  conferma  personale  alla  teoria  scettica  della  vanità  della  ragione.   La  guerra  è  la  molla  della  storia  umana,  e  appunto  per  questo  la  storia  è  senza  senso,  è  un  vagare  cieco  verso  un  fine  che  non  esiste,  offre  il  quadro  sconsolante  del  passaggio    G.  Rensi:  scetticismo  e  materialismo  fenomenistico      115   continuo  da  un'assurdità  e  sofferenza  ad  un'altra  assurdità  e  sofferenza:  lo  scetticismo  si  fonde  col  pessimismo.  Il  presente è  insopportabile,  si  vuole  evaderne,  si  aspira  a  un  futuro che  sia  altro  dall'assurdità  e  dal  male  che  è  il  presente:  all'essere  si  contrappone  un  dover  essere.  E  così  si  crea  il  tempo  :  nel  presente  che  è,  si  sogna  un  futuro  che  deve  essere  :  e  quando  il  dover  essere  si  fa  essere,  cade  in  quella  stessa  assurdità  e  male  che  è  il  presente.  Il  processo  storico  è  avanzamento da  errore  a  errore,  da  male  a  male:  se  si  fosse  nel  bene  e  nel  vero,  non  vi  sarebbe  ragione  di  uscire  da  esso,  di  far  seguire  z\ì! adesso  un  poi:  ci  sarebbe  permanenza,  non  processo  [Interiora  rerum,  1924).   In  conclusione,  il  principio  deU'ideahsmo  hegeUano  è  n  reale  è  irrada, rovesciare:  ciò  che  è  reale,  è  irrazionale;  ciò  che  è  raz^o*^'^^^zionale  è  irreale.  La  razionalità  è  sogno,  è  fantasia  che  tenta  di  mascherare  l'assurdità  del  reale,  fìngendo  un  universale  che  invano  tenta  di  sovrapporsi  alla  moltephcità  incomponibile dell'individuale:  non  c'è  una  ragione  una,  vi  sono  tante  ragioni  quanti  sono  gH  individui,  anzi,  i  momenti  delle  vite  individuah.  La  ragione  sorge  nell'uomo  quando  questi  contrappone  all'essere  un  dover  essere,  che  gli  permetta  di  farsi  giudice  del  reale,  distinguendo  il  vero  dal  falso,  il  bene  dal  male,  il  bello  dal  brutto.  La  critica  scettica  dimostra  che  il  reale  si  ribella  a  questa  pretesa  deUa  ragione,  affermandosi costantemente  come  posto  al  di    del  vero  e  del  falso,  al  di    del  bene  e  del  male,  al  di    del  bello  e  del  brutto  (e,  accanto  ai  Lineamenti  di  filosofia  scettica  in  generale,  il  Rensi  illustra  La  scepsi  estetica,  1920  e  La  scepsi  etica,  1921).  La  critica  scettica  dimostra,  da  una  parte,  che  quella  pretesa della  ragione  è  una  chimera,  e,  dall'altra,  che  nell'uomo  il  perseguimento  di  questa  chimera  è  la  radice  deU'infehcità.   Quale  lo  sbocco  di  questo  scetticismo  pessimistico?  Il  più  ovvio  sembra  sia  la  rinuncia  alla  ragione  a  questo  che  è,  insieme,  privilegio  e  maledizione  dell'uomo  -;  rinuncia  al  suo  chimerico  dover  essere  e  accettazione  rassegnata  e  inerte  del  reale  quale  è  di  fatto.  Ed  è  la  via  che  il  Rensi  imbocca  risolutamente,   specialmente  nelle  opere   dai  titoli    ii6  Cap.  XXX.  Positivismo  e  correnti  affini   significativi  Realismo  (1925),  Materialismo  critico  (1927)  e  Apologia  dell'ateismo,  (1923).  Ma  v'è  anche  un'altra  via,  opposta  alla  prima:  ed  è  quella  di  riconoscere  un  valore  positivo  all'esperienza  del  male,  nel  senso  che,  nel  cruccio  pel  trionfo  del  male,  nella  sofferenza  per  la  sconfitta  che  il  reale  infligge  alla  nostra  coscienza  del  dover  essere,  si  attua  l'elemento  piri  nobile  del  nostro  spirito,  si  ravviva  l'aspirazione mistica  al  divino:  e  anche  questa  via  percorre  il  Rensi  neUe  sue  ultime  opere,  quali  Testamento  filosofico  e  Lettere  spiritiiali,  del  1938.  Scetticismo  reaRcaUsmo  è  la  posizione  nella  quale  sfocia  lo  scetticismo  hstico.  ^Qj^  1^  g^g^  negazione  radicale  della  ragione.  Se  col  sorgere   della  ragione  nasce  nell'uomo  la  pretesa  di  giudicare  la  realtà,  nell'illusione  di  possedere  un  saldo  criterio  per  la  valutazione  dei  fatti,  di  approvazione  e  disapprovazione,  il  ripudio  della  ragione  significa  rifiuto  di  attribuire  alla  realtà  quelle  qualifiche  di  irrazionale,  assurdo,  male  che  essa  per    non  possiede,  ma  risultano  da  discriminazione  operata  in  nome  di  un  principio  per  cui  qualcosa  è  ma  non  dovrebbe  essere.  Realismo  significa  constatare  la  realtà  quale  è  di  fatto,  accettare  quel  che  ci  consta.  E  ciò  che  consta,  sottratto ad  ogni  dubbio,  è  il  mondo  dei  sensi,  il  mondo  del  positivismo  ridotto  al  più  rigoroso  empirismo.  Le  sensazioni  sono,  non  il  tramite  dell'apparire  della  realtà  a  una  coscienza,  bensì  gli  elementi  che  costituiscono  senza  residuo  la  realtà  stessa.  Le  cose  come  Le  cose  souo  aggregati  di  quahtà  sensoriaH  secondo  aggregati  di  rapporti  Spaziali  e  temporali  e  categoriah:  le  cose  sono  ciò  che  si  palpa,  si  vede,  si  ode  e  così  via.  E  lo  stesso  io  non  è  altro  che  un  fascio  d'impressioni  sensoriali.  Il  linguaggio  comune  chiama  materia  ciò  che  nella  sua  concretezza  è  oggetto  del  sentire,  senza  complicazioni  di  significati  metafisici: in  questo  senso,  pel  Rensi,  il  reahsmo  è  materialismo.  E  questo  materialismo  egli  qualifica  come  fenomenistico  o  critico.  Dando  del  criticismo  kantiano  un'interpretazione  opposta  a  quella  prevalsa  nell'idealismo,  egli  afferma  che  la  correlatività  del  reale   al  pensiero,   che  costituisce   il  prin  G.  Rensi:  scetticismo  e  materialismo  fenomenistico       117   cipio  fondamentale  del  criticismo,  non  può  non  essere  raccolta  dal  realismo  (il  quale,  appunto  per  questo,  è  qualificabile  come  realismo  critico),  ma  va  intesa  nel  senso  che  il  Pensiero  a  cui  il  reale  in    (noumeno)  deve  essere  riferito  perchè  sia  soggetto  conoscibile  (fenomeno),  non  è  un  soggetto  analogo all'io  empirico,  una  Coscienza  originaria  a  cui  siano  essenziaU  le  forme  sensibili-intellettuali,  (spazio,  tempo,  categorie), che  vengano  immesse  nell'oggetto,  ma  è  l'insieme  di  queste  stesse  forme  come  inerenti  al  mondo  dei  fenomeni,  purificate  da  ogni  elemento  psicologico  della  soggettività,  constituenti  la  pensahilità  del  fenomeno.  Il  fenomeno  è  indipendente  da  ogni  soggettività,  e  s'identifica  quindi  con  la  cosa  in    :  ma  cosa  in    categorizzata,  e  quindi  conoscibile. Il  realismo  non  è  che  fenomenismo,  materialismo  fenomenistico.   E  questo,  in  rehgione,  é  ateismo.  Se  nulla  è  reale  all'infuori  di  ciò  che  può  essere  percepito  come  fenomeno  sensoriale, attribuire  realtà  a  un  essere  che  si  sottrae  ad  ogni  percezione,  quale  sarebbe  Dio,  é  pel  Rensi  pura  pazzia.  Ma  la  negazione  di  Dio  non  significa  irreligiosità:  l'ateismo  é  anzi,  per  Rensi,  «  la  più  alta  e  pura  delle  rehgioni  ».  Insegnandoci a  guardare  alla  realtà  come  sovranamente  indifferente, esso  bandisce  dalla  nostra  \dta  ogni  egoismo:  é  la  Uberazione  dall'egoismo,  la  stoica  fermezza  di  fronte  alle  vicende  tormentose  del  mondo,  é  religiosità.   Ma  quest'atteggiamento  non  é  permanente:  in  alcuni  Ritorno  di  fede.  degli  scritti  più  tardi  Rensi  riafferma  l'antico  bisogno  di  credere:  riscopre,  al  di    del  mondo  degli  atomi  e  del  vuoto,  «  il  divino  in  me  »  ;  il  regno  di  Dio  riluce  come  un  regno  di  valori  atti  a  salvare  il  nostro  spirito  dal  naufragio  nel  prevalere del  male.  La  genuina  rehgiosità  consiste,  per  lui,  nel  non  adagiarsi,  sia  nella  pace  della  negazione,  sia  in  quella  dell'affermazione:  il  problema  ci  sta  dinanzi  come  un  problema che  continua  ad  eccitarci  e  ad  angosciarci.   Tutta  la  produzione  del  Rensi,  dalle  prime  opere  a  quelle  della  vecchiaia,  é  un  perenne  intrecciarsi  e  susseguirsi  di  motivi    contrastanti:    inflessioni    d'una    sensibihtà    estrema  ii8  Cap.  XXX.  Positivismo  e  correnti  affini   mente   mobile   e   acuta,   piuttosto   che   articolazioni   di   un  pensiero  vigile  e  rigoroso:  lirica,  piuttosto  che  filosofia.   II.    Lo    SCETTICISMO    SOLIPSISTICO    DI    ADOLFO    LeVI.       Diversissimo,  fuorché  nel  nome,  da  quello  del  Rensi  lo  scetticismo di  Adolfo  Levi  (1878-1941),  elaborato  attraverso  un'indagine  storica,  intelligente  e  minuziosa,  di  tutte  le  posizioni filosofiche  fondamentali.  Nato  a  Modena  da  una  famigha  di  Reggio  Emilia  il  Levi,  precocemente  incline  agli  studi  ma  ostacolato  da  una  malferma  salute,  si  licenziò  al  Liceo  Spallanzani  di  Reggio,  e,  quando  si  iscrisse  all'Università di  Pisa,  aveva  già  in  cantiere  la  pubbhcazione  di  alcuni  codici.  Proseguì  poi  gli  studi  a  Firenze,  con  Tocco  e  De  Sarlo,  e  a  Roma,  dove  si  laureò  con  Giacomo  Barzellotti.  La  tesi,  su  L' indeterminismo  nella  filosofia  francese  contemporanea (1904),  fu  lodata  da  Bergson.  Nel  1904  il  Levi  entrò  nell'insegnamento  secondario,  che  professò  con  grande  scrupolo ed  efficacia,  ad  Arezzo  e  a  Torino.  Nel  191 1  ottenne  la  libera  docenza,  e  undici  anni  più  tardi  la  cattedra  di  storia  della  filosofia  nell'Università  di  Pavia.  La  sua  produzione  storica,  ripetutamente  premiata  dai  Lincei  e  dall'Accademia  delle  Scienze  di  Torino,  comprendeva  ormai  numerosi  titoli,  soprattutto  di  filosofia  antica:  da  Le  origini  della  scienza  greca  (1904)  a  Platone  [Sulle  interpretazioni  immanentistiche  della  filosofia  di  Platone,  1920,  Il  concetto  del  tempo  nei  suoi  rapporti  con  i  problemi  del  divenire  e  dell'essere  nella  filosofia  di  Platone,  1920,  che  riprende  l'identico  tema  trattato  sulla  /  sofisti.  «  Rivista  di  filosofia  neoscolastica  »  per  il  periodo  anteriore   a  Platone).  Più  tardi  il  Levi  affrontò  i  sofisti,  sceverando  gli  autentici  dagli  pseudosofisti,  difendendoU  dall'accusa  di  aver  corrotto  i  costumi,  e  insistendo  sul  contenuto  etico  del  loro  insegnamento.  I  pregi  filologici  di  questi  studi  (ripresi  nella  postuma  Storia  della  sofistica,  a  cura  di  D.  Pesce,  1966)  dimostrano  come  il  Levi  avesse  messo  a  frutto  l'insegnan  problema  delmento  di  Girolamo  Vitelli.  Seguì  una  serie  di  articoli  su  Verrore.  ji  p^^oblema   dell'errore,    dai   presocratici   al   Windelband  (in   varie  riviste),  e  una  serie  di  saggi  su  pensatori  inglesi  moderni    A.  Levi:  scetticismo   solipsistico  119   [Bacone,  1925,  Hobbes,  1929,  Berkeley,  1922,  Hume),  messi  a  raffronto  con  Descartes  e  con  Leibniz,  allo  scopo  di  sfatare  la  leggenda  di  una  contrapposizione  rigida  tra  empirismo  e  razionalismo  da  Cartesio  a  Kant.  L'interesse  teoretico  che  spingeva  il  Levi  a  queste  ricerche  non  ne  falsava,  tuttavia,  la  prospettiva  storica.   Duro  fu  per  il  Levi  abbandonare  l'insegnamento,  nel  1938,  a  causa  delle  leggi  razziali.  Si  ritirò  a  Todi,  nelle  terre  di  famigha  della  moghe,  poi  a  Roma,  dove  potè  continuare  a  studiare  nelle  biblioteche  pontifice.  Alla  fine  della  guerra  fu  reintegrato  ma,  sempre  più  debole  di  salute,  non  riprese  a  insegnare  :  continuò  fino  all'ultimo  l'attività  di  ricerca  preparando, in  particolare,  una  Storia  della  filosofia  romana  (1949).   Il  frutto  speculativo  che  il  Levi  trasse  dalle  sue  ricerche  L'estetica.  storiche  lo  troviamo  anzitutto  nel  volume  La  fantasia  estetica (1913),  la  cui  conclusione,  tutta  problematica,  è  che  «  l'opera  d'arte  nasce  dal  mistero,  ha  caratteri  non  determinabili completamente  ed  esaurientemente,  e  suscita,  in  chi  la  contempla,  uno  stato  particolarissimo,  irriducibile  e  non  del  tutto  definibile  »  (p.  262)  ;  e  lo  troviamo  soprattutto,  in  Sceptica,  del  1921  (ristampato  da  Adolfo  Ravà  con  aggiunte inedite  nel  1949).  Questo  hbro  ebbe  una  risonanza  notevole,  in  Itaha  e  fuori.  Fu  largamente  letto.  Ne  parlarono  il  Losacco  e  il  Varisco  (1928),  dopo  che  Annibale  Pastore  aveva  dedicato  un  intero  volume  alla  sua  confutazione  {Il  solipsismo,  Torino,  1924).  Che  il  Hbro  fosse  notato  anche  in  Inghilterra    Mind  »,  1921,  pp.  470-472)  non  meraviglia:  il  suo  andamento  aporetico  ricorda  quello  di  Apparenza  e  realtà  del  Bradley.  Tra  noi,  esso  urtava  inevitabilmente  l'ortodossia  gentihana,  perchè  accusava  la  teoria  deUo  spirito come  atto  puro  di  essere  un  «  soHpsismo  trascendentale  »  che  avrebbe  trovato  la  propria  coerenza  solo  diventando  soHpsismo  empirico.  Comprensibile,  quindi,  la  reazione  di  Armando  Carlini  [Studi  contemporanei  di  filosofia,  in  «AnnaH  deU'istruzione  media»,  1929,  pp.  429-437),  a  cui  il  Levi  rispose  con  il breve  scritto  Come  si  ricostruisce  la  storia    Rivista  Pedagogica»,   1930,  pp.  58-60).  Il  solipsismo.  La   tesi   del   Levi   trovò   per   contro,   buone   accoglienze   presso  la  scuola  del  Varisco.  Il  Castelli,  dopo  averla  ripresa  in  Idealismo  e  solipsismo  (Roma,  1933),  dedicherà  a  II  solipsismo, un  intero  volume  del  suo  «  Archivio  di  filosofia  »  (1950)  che  già,  nel  '31,  aveva  pubblicato  Scetticismo  e  solipsismo del  Levi  medesimo  (pp.  26-35).  Anche  Giuho  Allenej  giudicava  con  benevolenza  la  filosofia  di  Adolfo  Levi  sulr  «Archivio  di  storia  delia  filosofia  »  (1935,  4).  Muovendo  da  altro  punto  di  vista,  P.  Piovani  pubbHcava  nel  «  Giornale  critico  della  filosofia  italiana  »  del  1949  un  articolo.  La  conclusione del  solipsismo,  in  cui  dichiarava  «  fondamentale  »  il  contributo  del  Levi  allo  studio  del  sohpsismo,  «  proprio  perchè  esperto  dell'esperienza  dell'idealismo  tedesco  e  italiano  »  (p.  156)  :  pur  osservando  che  «  la  soluzione  raggiunta  risulta  assai  fragile  »  (p.  171),  nella  sua  pretesa  di  formulare  un  imperativo della  coscienza  senza  sapere    Fa  ciò  che  devi,  avvenga ciò  che  può  »).  Infatti  l'imperativo  implica  già,  quanto  meno  un  agire  sapendo  quale  sia  il  dovere  da  farsi.  Tale  incertezza deriva  dal  fatto  che  la  posizione  del  Levi  non  è  attivistica,  «  ma  ancora  legata,  per  taluni  aspetti,  allo  scetticismo tradizionale  »,  mentre  il  sohpsismo,  secondo  il  Piovani,  non  può   essere,   da  ultimo,   che   attivistico.   Non  si  sa  se  Lo  Scetticismo  del  Levi  non  afferma  che  sia  impossibile  sapere:  afferma  però  che  è  impossibile  sapere  se  si  sappia  o  no.  È  come  il  fuoco,  che  consuma  le  altre  cose,  ma  anche    stesso.  Esso  sfugge,  così,  all'accusa  di  interna  contraddizione che  colpisce  lo  scetticismo  dogmatico  [Sceptica,  2^  ed.  a  cura  di  A.  Ravà,  Firenze,  1959,  p.  13).  E  a  una  tal  conclusione  giunge  muovendo  da  un'impostazione  «  gnoseologistica  »,  secondo  cui  tutto  ciò  che  si  dice  dell'oggetto  è  condizionato  dal  pensiero,  che  pensa  l'oggetto.  La  domanda  è  allora,  anzitutto,  se  il  pensiero  sia  «  uno  strumento  in    stesso  adatto  al  suo  ufficio,  o  non  includa  qualche  vizio  di  costruzione  ».  Solo  in  seco nda  istanza,  posto  che  il  pensiero  sia  uno  strumento  adatto,  potremo  domandarci  «  quale  interpretazione  debba  darsi  dell'oggetto  pensato»  {Op.  cit.,   P3)  si  sa.    A.  Levi:  scetticismo  solipsistico  121   «  Un  motivo  fortissimo  di  diffidenza  è  dato  dall'errore  »  (p.  5)  :  da  quel  problema,  cioè,  che,  appunto  perciò,  il  Levi  andava  studiando  sotto  un  profilo  storico.  L'esperienza  d'aver  sbagliato  una  volta  mi  fa  sospettare  che  sia  possibile  sbaghare  sempre,  e  lo  scetticismo  nasce  da  questo  sospetto.  Acutamente  il  Levi  vede  che,  a  questo  problema,  sfugge  l'ideaHsmo  attuale  gentiliano,  quando  contrappone  all'errore, come  «  pensato  »,  l'atto  del  pensare  che,  in  quanto  è  attuale,  non  può  non  essere  nel  vero.  EgU  vede  però  anche  che  questo  vantaggio  è  illusorio:  ciò  da  cui  si  avrebbe  interesse a  tener  lontano  l'errore  è,  appunto,  il  pensato.  Infatti  che  l'atto,  in  quanto  «  atto  puro  »,  sia  infaUibile,  non  mi  dice  nulla  circa  la  validità  di  ciò  che  penso.  Per  poter  fruire  di  un  contenuto,  occorre  affidarsi  all'evidenza  del  pensato:  ma  si  può  sempre  temere  di  scambiare  per  «  evidenza  »  una  sempHce  impressione   soggettiva   (p.    io).   Sollevato  il  dubbio  sulla  capacità  di  mediazione  del  Critica  a  reaiipensiero,  il  Levi  passa  a  domandarsi  se,  ciò  posto,  vi  sia  ^^^^id^'^^^^'^«  una  metafisica  plausibile,  se  non  certa  »  dell'oggetto  pensato: e  attacca,  nell'ordine,  il  reaUsmo  espHcito,  il  monismo,  la  filosofia  dell'esperienza,  il  monadologismo,  l'ideaHsmo  attuale.  Egli  osserva  che  il  reahsmo  ingenuo,  che  identifica  il  reale  con  ciò  che  appare,  è  messo  in  crisi  dall'esigenza  di  discernere  che  cosa  vi  sia  di  oggettivo  in  questo  apparire;  ma  che,  d'altra  parte,  il  tentativo  di  rintracciare  la  realtà  oggettiva  in  un  insieme  di  elementi  materiali,  dotati  di  mere  qualità  primarie  (secondo  i  canoni  del  meccanicismo),  fallisce, perchè  non  spiega  quell'effettivo  «  divenire  sensibile  »  (p.  24)  del  mondo,  colorato,  sonoro,  ecc.,  che  è,  appunto,  il  concreto.  Il  meccanicismo  altro  non  è   se  un  tentativo  di  eHminare  quell'offesa  al  principio  di  identità  che  è  rappresentato dal  divenire  (p.  20)  :  la  realtà  vera,  afferma  infatti  il  meccanicismo,  rimane  immutata.  Ma  (e  qui  si  sente,  nell'argomentare  del  Levi,  l'influsso  del  Bergson  e  del  Meyerson)  esso  non  può  giustificare  come  mai  questa  immutabihtà  sostanziale  appaia,  al  soggetto,  come  un  mutamento  qualitativo :   >  (p.  184).  «  Come  determinazioni  dell'essere,  il  quale  non  esiste  che  in  esse  determinazioni,  le  singole  coscienze  si  distinguono  in  quanto  coscienze,  s'accordano  quanto  al  contenuto;  ciascuna  è  un  variare  per  conto  suo,  e  insieme,  per  la  stessa  ragione,  il  variare  di  ciascuna  si  compie,  ciascuna  si  svolge  o  si  inviluppa,  secondo  le  medesime  leggi  universah  »  (p.  188).   L'assoluto,  pertanto,  viene  a  coincidere  con  l'universo.  L'Essere  come  «  Nell'unità  della  sua  forma,  che  imphca  la  necessità,  ma,  insieme,  neUa  moltepHcità  deUa  sua  materia  e  delle  sue  forme  secondarie  :  moltepHcità  che  impHca  la  accidentahtà  ».  L'  «  essere indeterminatissimo  »,  di  cui  il  Varisco  parla  richiamandosi al  Rosmini  (p.  204,  n.  i)  è,  per  un  verso,  l'orizzonte  in  cui  ogni  soggetto  «  pensa  impHcitamente  l'universo  »  {ivi)  ;  ma  «  non  è  qualcosa  che  sussista  indipendentemente  dai  fenomeni e  da  quelle  loro  unità  secondarie  che  sono  i  soggetti  »  (p.  205).  Ciò  spiega,  più  esaurientemente  di  quanto  non  facessero /  fnassimi  problemi,  perchè  il  Varisco  non  si  senta  in  grado,  in  questa  fase  del  suo  pensiero,  di  giustificare  la  trascendenza  dell'assoluto  a  cui,  pure,  l'esigenza  del  permanere dei  valori  lo  porterebbe  a  credere.   7.  Il  soggetto  dei  soggetti.    Dopo  Conosci  te  stesso  11  soggetto  diil  Varisco  lavorò  per  altri  vent'anni  al  suo  problema  fonda^^^°mentale,  che  rimase  il  problema  del  principio  unitario,  il  problema  di  Dio.  Qualche  altro  cauto  passo  è  mosso  verso  il  riconoscimento  della  trascendenza  divina,  e  porta,  da  ultimo,  a  una  concezione  che  al  Varisco  appare  concihabile  con  una  religione  positiva  quale  il  cristianesimo.  Nelle  Linee  di  filosofia  critica,  del  1925  (un  hbretto  di  introduzione  teorico-storica  alla   filosofia,    esposto   in   forma   piana   e   colloquiale,  e  che  fu  raccolto  per  iscritto  dal  Castelli)  la  parte  conclusiva,  più  interessante,  verte  appunto  su  Dio,  e  prospetta la  necessità  di  risalire  a  Dio  muovendo  dal  problema  della  subcoscienza.  Il  soggetto  è  fatto  in  gran  parte  di  subcoscienza: basti  pensare  ai  ricordi  che  tornano  di  quando  in  quando,  e  in  minima  parte,  alla  mente.  E  ciò  suscita  il  problema: come  può  il  non  conscio  (o  non  più  conscio)  divenire  conscio  ?   La  subcoscienza  rende  evidente  che  il  soggetto  che  conosciamo è  finito,  cioè  che  ha  qualcosa,  per  qualche  aspetto,  fuori  di  sé.  Ma,  d'altro  canto,  «  una  realtà  non  riducentesi  a  pensiero  pensato  è  un  controsenso  »  (p.  153).  «  Per  superare  le  difficoltà  rilevate,  non  c'è  che  un  modo:  riconoscerle  relative  soltanto  al  singolo;  ammettendo,  al  di  sopra  d'ogni  singolo,  il  soggetto  universale  ».  Il  pensiero  di  questo  soggetto universale  dovrà  essere:  «in  primo  luogo,  tutto  consapevole; in  secondo  luogo,  creatore  d'ogni  realtà»  (p.  154).  Allora  si  potrà  capire  che,  ciò  che  è  subconscio  nel  singolo  sussiste  tuttavia  come  pienamente  conscio  nel  soggetto  universale,  e  che  la  realtà,  irriducibile  al  pensiero  del  singolo,  consiste  tuttavia  in  un  «  pensiero  del  soggetto  universale  »  {ivi) .   La  creazione.  Quella    chc    generalmente    si    dice    «  creazione  »    si    può,   allora,  concepire  così:  il  soggetto  universale  fa,  di  certi  suoi  pensieri,  un  «gruppo  connesso»  (p.  156),  e  li  dota  di  una  coscienza  e  di  una  iniziativa  autonome,  di  cui  neppure  il  soggetto  universale  conosce  in  anticipo  gli  sviluppi  (p.  157).  Ciò  peraltro  non  limita  il  soggetto  universale,  se  non  nella  misura  in  cui  lui  stesso  vtwle  questo  «  indeterminismo  »  (p.  158),  mantenuto  all'interno  di  un  controllo  costante  e  consapevole.   //  teismo.  Il  Varisco  formula,  così,  un  «  teismo  »  (p.  158)  in  cui  Dio   è,  in  certo  modo,  esterno  ai  singoh,  ma  non  viceversa:  perchè  «  il  soggetto  singolo,  essendo,  anche  in  ordine  alla  propria  iniziativa,  interno  al  soggetto  universale,  nella  coscienza  del  singolo  non  ci  può  essere  nulla  che  non  sia,  ipso  facto,  anche    nella    coscienza    del   soggetto    universale»    (p.    157).    //  soggetto  dei  soggetti  245   È  quello  che  il  volume  Dall'uomo  a  Dio,  chiamerà  «  immanentismo relativo  »,  o  (identicamente)  «  trascendentahsmo  relativo  »,  in  contrapposto  a  trascendentahsmo  e  immanentismo «  assoluti  »  (p.  92)  :  non  senza  citare  San  Paolo,  negU  Atti  degli  Apostoli,  secondo  cui  «  gli  uomini  (in  generale,  i  soggetti)  vivono,  si  muovono  ed  esistono  in  Dio  »  {Dall'uomo  a  Dio,  p.  91).   Frattanto  il  Varisco  aveva  pubblicato  in  «  Logos  »  (1929,  i)  un  articolo  su  La  prova  ontologica,  affermando  che  l'argomento di  Anselmo  non  compie  un  salto  ingiustificato  dall'ordine del  pensiero  a  quello  dell'esistenza,  perchè,  quando  si  pensa  un  oggetto,  non  lo  si  pensa  isolatamente,  ma  sempre  in  un  sistema  di  relazioni  ;  quindi,  quando  si  pensa  «  id  quo  maius  cogitari  nequit  »,  si  pensa  qualcosa  che  effettivamente non  si  trova  nella  sola  mente  umana.  Ma  significa  anche,  ciò,  che  questo  essere  sia  «  tutt'uno  col  Dio  del  cristianesimo ?  »  Cosi  si  chiede  Dall'uomo  a  Dio  (p  15)  ;  e  risponde: si  tratta,  senza  dubbio  d'un  pensiero  (anzi  di  un  pensare),  senza,  però,  che  se  ne  possa  concludere  nulla  «rispetto ad  altri  attributi  »,  pur  necessari  al  concetto  cristiano  di  Dio.   Dall'uomo  a  Dio  rappresenta,  per  certi  aspetti,  un  perDifficoltà.  fezionamento  del  monadologismo  varischiano,  ma  non  toglie  tutte  le  difficoltà.  Non  soddisfa  l'esigenza,  sentita  dal  Varisco  fin  dal  periodo  positivistico,  di  ascendere  al  concetto  di  Dio  attraverso  una  riflessione  ben  fondata,  compatibile  con  quella  della  religione  positiva.  E,  questo,  perchè  il  Dio  di  Varisco  è  pur  sempre  un  concetto  gnoseologico-metafisico.  Pili  che  di  quel  rapporto  lo-Tu,  in  cui  l'uomo  rehgioso  si  sente  rispetto  a  Dio,  si  tratta,  insomma,  del  rapporto  tra  una  monade  infinita,  leibnizianamente  priva  di  rappresentazioni oscure  e  confuse,  e,  quindi,  di  materia  e  le  innumerevoh  monadi  finite,  che  essa  costituisce  in  sé,  come  espressione  (non  già  parziale,  ma  prospettica)  di  particolari  punti  di  vista.  «  Tutto  ciò  che  l'uomo  presentemente  pensa  è,  in  ogni  caso,  pensiero  divino  presente:  l'uomo  non  è  staccabile dalla  coscienza  divina  di  cui  è  una  formazione.   «  L'uomo  è  tutto  immanente  in  Dio,  invece  Dio  non  è  tutto  immanente  in  alcun  uomo;  essendoci  necessariamente  nel  pensiero  divino  qualcosa  che  nessun  singolo,    tutta  insieme  la  moltitudine  dei  singoli,  pensa  con  determinazione»  {ivi).  Del  resto,  nonostante  gli  sforzi  meritori  della  figlia  Giulia,  e  poi,  dopo  la  sua  morte  (1934),  di  Enrico  Castelli  coadiuvato  dal  nipote  del  Varisco,  Giulio  Alliney,  per  riordinare  i  manoscritti inediti  «  seguendo  alcune  sommarie  indicazioni  rinvenute  in  un  libro  di  appunti»  (p.  i).  Dall'uomo  a  Dio  risente  della  mancanza  di  una  revisione  definitiva  da  parte  dell'autore,  e  le  sue  conclusioni  rimangono,  in  parte,  sospese  (cfr,  p.  281).   Interesse    pra  La  filosofia  del  Varisco,  pur  nel  suo  '^'^^mai  abbandonato  teoreticismo  cioè  nel  suo  intendere  il   problema  della  realtà  essenzialmente  come  un  problema  di  teoria  della  conoscenza  è  assai  sensibile  al  problema  morale,  quando  questo  sia  inteso  nel  suo  senso  piìi  universale  e  profondo. Il  pensiero  infatti,  che  della  realtà  è  il  fondamento,  consiste  essenzialmente  in  un'attività,  in  un  fare  (sia  pure  non  riducibile  al  fare  poetico  di  chi  plasma  una  materia  preesistente)  ;  e  il  bene  consiste  neU'espandersi  di  questa  attività,  protesa  su  tutto  l'universo.  La  sezione  introduttiva  del  capitolo  su  «  I  valori  »,  nei  Massimi  problemi,  affermava  appunto  :  «  Il  soggetto,  per  sua  natura,  ossia  in  virtù  di  quella  legge  a  cui  deve  l'essere,  tende  insieme  a  intensificare    stesso  e  ad  espandersi,  ad  includere  in    l'universo:  la  soddisfazione o  l'insoddisfazione  di  queste  due  tendenze  (che,  in  sostanza,  ne  fanno  una  sola)  sono  essenzialmente,  per  il  soggetto,  un  bene  o  un  male»  (p.  107).  Questo  espandersi  mostra  il  suo  vero  valore  solo  quando  non  riguardi  «  l'animale associato  all'io  »,  bensì  l'io  medesimo  (p.  138)  ;  e  «  io  vuol  dire  autocoscienza,  ossia  cognizione  »  (p.  139) .  //  conoscere  è  Di  Conseguenza,  «  conoscere  o  non  conoscere,  o,  peggio,  errare,  sono  un  bene  e,  rispettivamente,  un  male  (....):  do\Temmo  anzi  dire,  il  bene,  il  male  »  {ivi).  Ma  questo,  aggiunge  il  Varisco,  non  vuol  dire  che  bene  e  male  si  riducano  a  «  mo  identico  al  bene.    //  valore  247   menti  di  coscienza  teoretica  »,  perchè  «  coscienza  teoretica,  attività  e  sentimento  (....)  non  sono  tre  cose  (....),  sono  tre  aspetti,  o  tre  forme,  d'mia  stessa  cosa»  (p.  138).  Ciò  implica  una  particolare  unità  della  coscienza  in  senso  pratico  con  la  coscienza  in  senso  teoretico,  in  virtù  di  un  «  originario  principio di  organizzazione  (universale  necessario)  (....)  indicato  comunemente  col  termine  di  a  priori  »  e  che  «  si  riduce  all'essenziale connessione  della  coscienza  umana  con  la  divina  »  {Dall'uomo  a  Dio,  p.  131).  In  questo  senso  il  Varisco  può  affermare  che  «  la  coscienza,  una,  saldamente  organizzata,  essendo  la  radice  dei  valori,  è  il  massimo  valore»  (p.  132).  Questo  particolare  carattere  attivo,  e  non  soltanto  contemplativo, del  coscienziahsmo  varischiano  spiega  l'interesse del  Varisco  per  i  problemi  dello  stato:  di  uno  stato  che  «  deve  essere  fortissimamente  organizzato  :  cosi  organizzato  come  un  uomo  robusto,  intelligente  e  di  carattere  che  s'afferma, s'apre  una  via,  sviluppa  l'attività  propria  d'accordo  con  gh  altri,  se  gli  riesce  »:  ma  anche,  se  non  gU  riesce,  contro  «  chiunque  gli  impedisca  di  realizzare  il  suo  diritto,  che  è  la  sua  forza,  ma  che  sta  un  poco  anche  nella  sua  forza  ».  Questo  l'ideale  che  accomuna  gh  scritti  di  La  scuola  per  la  vita  (1922)  con  i  Discorsi  politici  (1926),  da  cui  la  citazione  è  tratta  (pp.  111-112).  Codesti  discorsi  cominciano  nel  1911,  e  si  concludono  nel  1926  con  lo  scritto  introduttivo  su  L'idea  dello  stato,  che  indica  «  la  vera  funzione  »  deUo  stato  nel  «  realizzare la  prosperità,  così  del  popolo  in  quanto  moltitudine  ordinata,  come  dello  stato,  cioè  ancora  del  popolo,  in  quanto  unità  viva  e  spirituale  (....).  A  uno  stato  che  la  compia,  non  si  può  domandare  altro  se  non  che  seguiti  a  compierla,  sviluppandola. Uno  stato  che  non  la  compia  non  fa  che  disorganizzare sé  stesso  e  il  popolo»   (p.   37).   9.  Neoclassicismo  filosofico.    In  una  età  di  ritorni  romantici  in  filosofìa,  la  dottrina  del  Varisco  rappresentò  un  esempio  di  filosofìa  «  neoclassica  »,  che  dal  romanticismo,  tuttavia,  è  condizionata.  Condizionata  per  la  sua  impostazione, costituendosi  come  una  «  riflessione  di  secondo  grado  »    248  Cap.  XXXIV.  Monadismo  teistico  di  B.  Varisco   sull'attività  del  soggetto,  attraverso  la  quale  si  perviene  a  una  conoscenza  dell'oggetto,  cioè  della  realtà  unitaria,  costituita dall'interferire  di  infiniti  centri  soggettivi.  E  condizionata nel   suo  esito:   perchè   tale   conoscenza  dell'oggetto   a  differenza  che  nei  grandi  classici  della  filosofia  moderna,  a  cui  il  Varisco  si  ispira  non  riesce  più  a  svilupparsi  in  una  forma  schiUerianamente  «  ingenua  »,  ma  solo  in  una  forma  «  sentimentale  ».  E,  infatti,  la  cautela  scientifica,  che,  pur  trasformandosi,  rimane  il  canone  metodologico  del  Varisco,    luogo,  non  già  a  una  vera  e  propria  inibizione  speculativa   perchè  il  Varisco  non  esita  a  proporre  un  suo  sistema  ma,  certo,  a  una  speculazion e  fatta  più  per  discutere  che  per   Eredità  più  di  costruirc.  Ciò  che  il  Varisco  trasmise  a  una  parte  non  trastimoh  che  di  scurabile  della  filosofia  italiana  fu,  quindi,  un'eredità  fatta   contenuti.  .  .   più  di  stimoli  che  di  contenuti.  All'estero,  il  suo  pensiero  ebbe  qualche  risonanza  in  Francia,  e  meglio  che  altrove  fu  capito  in  Inghilterra,  grazie  all'attenzione  che  gli  dedicò  A.  E.  Taylor.  In  effetti,  se  la  forma  mentis  del  Varisco  ha  qualcosa  in  comune  con  quella  del  Bradley,  il  suo  monadologismo  si  lascia  facilmente  avvicinare  a  quello  degli  idealisti inglesi  non  monisti,  e  del  McTaggart  in  particolare.  La  cosa  può  colpire,   considerando  che  il  Varisco  ha  fonti   al  di  fuori  delle  italiane  (Rosmini)  soprattutto  tedesche  e  francesi;  ma,  in  realtà,  si  spiega  facilmente:  l'idealismo  inglese  non  monistico  e  l'idealismo  varischiano  risalgono  a  una  stessa  radice  comune,  non  sempre  scoperta,  ma  assolutamente fondamentale:  il  pensiero  del  Lotze.  Di  qui  il  Varisco  trasse,  oltre  che  i  materiali  più  importanti  della  sua  costruzione coscienzialistica,  l'impulso  (di  origine  lontanamente  leibniziana)  che  gU  permise  di  uscire  dalla  prospettiva  del  positivismo:  il  riconoscere,  cioè,  alla  scienza  la  possibilità  di  afferrare  l'intero  reale,  però  sotto  un  suo  aspetto  soltanto.  Ciò  rende  inevitabile,  per  giustificare  l'oggetto  stesso  della  scienza,  il  non  rimanere  chiusi  nella  sua  prospettiva  soltanto,  bensì  l'uscirne,  pur  con  tutte  le  necessarie  cautele  metodologiche, verso  una  prospettiva  specificamente  filosofica. La  formazione  di  CaraBELLESE  ben  corrisponde  aUa  difficoltà  di  collocare  il  suo  pensiero  in  uno  sviluppo  organico  della  filosofia  italiana.  Dopo  aver  frequentato  le  scuole  secondarie  presso  il  Seminario di  Molfetta  (dove  era  nato  nel  1877),  si  iscrisse  in  Giurisprudenza  a  Napoli,  e  si  laureò  (1900)  con  una  tesi,  poi  stampata,  dal  titolo  Sulla  vetta  ierocratica  del  Papato  (1910),  che  rivela  abbastanza  scoperte  ambizioni  letterarie.  Solo  nel  1905  si  laureò  in  filosofia  a  Roma,  dove  avvenne  l'incontro  col  Varisco  sotto  il  segno  di  un  comune  interesse  per  il  Rosmini.  La  teoria  della  percezione  intellettiva  in  A .  Rosmini fu  l'argomento  della  tesi,  pubblicata  nel  1907,  e  recensita dallo  stesso  Varisco  sulla  «  Rivista  di  filosofia  »  del  1909.   Anche  quando,  dopo  aver  insegnato  a  lungo  nelle  scuole  secondarie,  il  CarabeUese  salì  in  cattedra  a  Palermo  (1923),  forte  ormai  di  una  concezione  tutta  sua,  egli  rimase  devoto  al  Varisco  come  al  massimo  rappresentante  di  un  ideahsmo  non  storicistico.  E  grazie  al  Varisco,  che  premeva  su  Giovanni Gentile,  il  CarabeUese,  nel  '30,  fu  chiamato  a  Roma,  di  dove  ebbe  modo  di  esercitare  una  influenza  quantitativamente meno  vasta  di  quella  del  Gentile,  ma  assai  profonda.  Quando  il  CarabeUese  mori  (il  19  settembre  1948,  a  Genova)  la  sua  attività  speculativa,  cominciata  assai  tardi,  era  an  250     Cap.  XXXV.  L'Ontologismo  di  P.  Carahellese    Soluzione  originale di  un  problema comune.    L'uovo   di    Colombo.    Cora  in  pieno  corso,  sul  binario  su  cui,  da  25  anni,  egli  l'aveva  avviata.  Ma  l'essenziale  del  suo  pensiero,  probabilmente,  era  ormai  stato  detto:  difficilmente  le  applicazioni  che  egli  andava  definendo  soprattutto  attraverso  una  preparazione  meditatissima  dei  suoi  corsi  di  teoretica  avrebbero  dato  un  indirizzo  nuovo  alla  sua  riflessione,  che  aveva  proposto,  ormai,  una  sua  soluzione  personaUssima  a  una  problematica  tutta  inserita  nell'ambiente  italiano  di  quegli  anni.   Se,  infatti,  la  soluzione  di  Carabellese  non  è  avvicinabile  a  nessun'altra,  i  problemi  che  egU  affronta  non  sono  sollevati da  lui  :  gU  sono  posti,  piuttosto,  dalla  filosofia  di  Gentile,  e  dalla  interpretazione  che  il  Gentile  aveva  dato  dell'Ottocento italiano  e  tedesco,  in  relazione  alla  filosofia  moderna.  Gentile  rappresentava,  come  si  vedrà,  il  punto  d'arrivo  di  un  processo  storico  lunghissimo,  cominciato  con  Platone,  giunto  al  suo  punto  di  rottura  con  Hegel,  e  portato  da  Gentile a  un  estremo  che  rovesciava  i  termini  stessi  del  problema; del  problema  di  determinare  il  contenuto  dell'idea.  Con  la  teoria  dell'atto  puro,  il  Gentile  era  giunto  a  un  radicale «  ideahsmo  senza  le  idee  ».  Il  Varisco,  per  contro,  affondava  le  sue  radici  in  un  passato  piìi  recente:  da  Leibniz  in  poi;  e  proponeva  in  Italia  (parallelamente  a  quanto  aveva  fatto  l'idealismo  personahstico  in  Inghilterra)  temi  dello  spirituaUsmo  tedesco  non  hegehano  dell'Ottocento:  in  particolare, il  tema  del  rapporto  indispensabile,  ma  cosi  difficile da  configurare  tra  soggetto  e  oggetto  del  conoscere.   Con  un  tratto  di  genio    uovo  di  Colombo  »,  lo  chiama  la  Critica  del  concreto,  1921  ;  1940^,  p.  86),  il  Carabellese  si  accorge  che  è  possibile  soddisfare  alle  esigenze  del  Gentile  e  del  Varisco  insieme,  h'idea  può  essere  considerata  in  una  forma  non  assolutamente  plurahzzabile,  e  tuttavia  non  come  un  atto  come  atto  soggettivo  bensì  come  oggetto  puro.  Il  compito  di  attuare  tale  idea  andrà  invece  affidato  a  soggetti  plurimi,  mai  unificabili  nel  varischiano  «  soggetto  assoluto  ».   Così  i  punti  d'arrivo  delle  due  distinte  evoluzioni  dell'idealismo assoluto  e  dell'idealismo  personalistico  vengono  a  coincidere  in  un  punto  solo,  grazie  a  un  riassestamento    Il  problema  251   nel  significato  di  certi  termini  tradizionali,  che  li  rende  compatibili in  una  forma  nuova.  Per  certi  aspetti,  questo  riassestamento è  bensì  un  rovesciamento  di  Gentile,  come  sostiene  l'Abbagnano  sulla  scorta  di  una  osservazione  dello  stesso  Carabellese  {op.  cit.,  p.  53):  ma  non  certo  un  rovesciamento  meccanico.  Occorreva  un  pensiero  originale  per  arrivarci,  sebbene,  poi,  i  concetti  così  riassestati  assumano  tutta  l'aria  di  essere  appunto  qualcosa  che  le  due  Hnee  idealistiche  precedenti  avrebbero  voluto  pensare,   senza  riuscirci.   2.  Ripensamento  della  filosofia  moderna.    Tratinteresse  storitandosi,  dunque,  di  riprendere  originalmente  problemi  altrui,  ^o-teorehco.  si  spiega  che  la  filosofia  del  CarabeUese  nasca  da  una  continua  discussione  storico-critica  dei  sistemi  che  formavano  la  base  della  cultura  filosofica  del  tempo:  essenzialmente,  da  una  reinterpretazione  della  filosofia  moderna  Da  Cartesio  a  Rosmini,  che,  come  dice  il  sottotitolo  di  questo  volume,  stampato dal  Carabellese  nel  1946,  rappresenta  la  «  fondazione  [storica]  dell'ontologismo  critico  »  carabellesiano.  D'altro  canto  la  pretesa,  che  il  CarabeUese  manifesta,  di  trovare,  in  questo  medesimo  materiale  storico  (e  in  particolare  neUa  tappa  pili  importante  rappresentata  da  Kant),  un  significato speculativo  tutto  diverso  da  quello  che  si  era  comunemente abituati  a  riconoscervi  spiega  perchè  il  Carabellese,  pur  nel  suo  filosofare  tutto  appoggiato  a  una  critica  storica,  assuma  un  atteggiamento  che  potremmo  dire  «  profetico  »  :  non  nel  senso  di  predire  il  futuro,  s'intende,  bensì  di  parlare  in  nome  di  altro,  essendo  questo  «  altro  »  una  Verità  con  cui  gU  uomini  erano  già  prima  a  contatto,  ma  senza  essere  capaci di  riconoscerla:  come  i  dormienti  di  EracUto,  che  non  si  accorgono  di  quel  logos  con  cui  massimamente  hanno  a  che  fare  (framm.  72).  Atteggiamento  profetico,  al  punto  che  il  CarabeUese  giunse  a  pensare  che  fosse  necessaria  la  sua  sparizione  come  persona  fisica  perchè  la  verità  da  lui  proclamata trionfasse.   Questo  presentarsi  come  uno  che  dice  :   «  Ora  vi  spiego  io  ciò  che  cercavate  di  pensare,  senza  riuscirci  »  dava  inevilabilmente  fastidio  a  molti  ;  e  l'espressione  piìi  «  fuor  dei  denti  »  di  questo  fastidio  si  trova  probabilmente  in  un  articolo di  Carmelo  Ottaviano:  Pontifex  Maximus  locutus  est  (in  «Sophia»,  1937,  3,  pp.  345-353)Ma,  in  fondo,  il  Carabellese  non  ne  poteva  nulla  se  il  suo  filosofare  era  un  ripensare  creativo,  e  se  il  suo  ripensamento  dei  problemi  era  una  trasposizione, che  dava  un  senso  nuovo  a  un  materiale  già  apparentemente sfruttato  fino  in  fondo.  Interpretazione  In  che  cosa  consiste  qucsta  trasposizione,  che  trasforma  del  termine  i^ogjj  problema  quasi  con  un  colpo  di  bacchetta  magica?  Consiste in  una  interpretazione  del  termine  «  oggetto  »,  che  per  un  verso  rovescia  ciò  che  con  quella  parola  si  è  sohti  pensare,  ma  per  un  altro  porta  in  piena  luce  una  esigenza  che,  pure,  aveva  guidato  i  filosofi  nel  parlare  di  «  oggettività  ».  «  Oggetto »  è,  comunemente,  il  determinato  che  «  sta  contro  »  alla  facoltà  di  rappresentazione  cosciente:  il  Gegen-stand,  rispetto  a  cui  una  coscienza,  in    potenziale,  si  determina  in  guise  particolari.  Oggetto  è  il  calamaio,  la  penna,  il  libro  senza  i  quali  la  mia  coscieriza  sarebbe  una  «  tabula  rasa  »,  priva  di  segni  che  la  determinino.  Rasa  non  è  detto  che  significhi  «  inattiva  »  :  anzi,  la  mia  facoltà  rappresentativa  non  sarebbe  tale  se  non  fosse  attività;  ma,  certo,  questa  attività rimarrebbe  priva  di  contenuto,  se  non  si  riferisse  a  certi  dati  esterni  particolari,  che  sarebbero  «  gh  oggetti  ».   Questa  impostazione  realistica  del  problema  dell'oggetto  è,  per  il  Carabellese,  il  proton  pseiidos  della  filosofia  :  il  primo  falso,  e,  in  fondo,  anche  l'ultimo,  perchè  questo  falso  radicale  ritorna,  rovesciato,  anche  in  quella  dottrina  che  tradizionalmente si  oppone  al  «  realismo  empiristico  »,  l'idealismo.   L'idealismo  si  era  sforzato,  con  Platone,  di  porre  oggetti  (in  questo  caso  sarebbe  meglio  dire:  principii  di  determinazione) sovratemporaH,  le  «  idee  »,  distinti  dagli  oggetti  empirici. Molto  più  tardi,  con  Berkeley,  aveva  cercato  di  riportare all'attività  di  uno  Spirito  il  principio  di  determinazione  particolare  delle  coscienze,  che  le  cose  materiali,  inattive,  non  potevano  fornire.  In  seguito  Fichte  aveva  cercato  in  una  «  egoità  pura  »  quell'unità  delle  coscienze  che,  prima.    Ripensamento  della  filosofia  moderna  253   si  era  soliti  attribuire  al  fatto  che  le  coscienze,  per  determinarsi, si  riferirebbero  ai  medesimi  «  oggetti  ».  Infine,  con  Gentile,  l'idealismo  si  era  scrollato  di  dosso  tutta  questa  problematica.  Aveva  interpretato  quella  moltepHcità  di  determinazioni, in  cui  si  è  soKti  cercare  il  concreto,  come  un  mèro  salto  in  basso:  come  una  caduta  dall'atto  puro,  nell'astratto. Di  fronte  al  soggetto,  sempre  identico  a  sé,  la  molteplicità delle  determinazioni  non  è  piri  che  l'astratto,  sebbene,  dialetticamente,  sia  contenuta  nel  soggetto  medesimo.   A  questo  punto  era  divenuto  inutile  fondare  l'ideahsmo  su  un  mondo  di  «  idee  »,  vuoi  eterne,  vuoi  prodotte  volta  per  volta  da  uno  Spirito  divino.  L'ideahsmo  poteva  liberarsi  dal  problema  delle  idee,  al  plurale,  la  pluralità  non  essendo  altro  che  caduta  nell'astratto,  da  cui  l'ideahtà  deve,  appunto,  riscattarci.  Sembrava  così,  al  momento  in  cui  Carabellese  cercava  la  sua  via,  che  il  problema  di  una  pluralità  ideale  fosse  stato  risolto  definitivamente,  cancellandone  il  concetto.   3.  Unicità  dell'oggetto.    Una  linea  diversa,  di  ideaNon  u  soggetto  hsmo  pluralistico,  opponeva  tuttavia  al  monismo  l'irriduci^^^.J'°^^^"''  bihtà  dei  soggetti  plurimi,  eppure  concreti.  Una  esigenza  che  era  giusto  far  valere;  ma  essa  aveva  il  torto  di  farla  valere  attraverso  una  contrapposizione  estrinseca  all'idealismo  trascendentale: quindi  di  non  poter  spiegare  a  quest'ultimo,  dall'interno,  perchè,  impostando  il  problema  in  quel  modo,  l'ideahsmo  si  rovesciasse,  paradossalmente,  in  un  idealismo  senza  le  idee.  Per  contro,  osserva  il  Carabellese,  basta  chiarire una  cosa  semplicissima:  quell'esigenza  di  unità  e  unicità  a  cui  l'ideahsmo  gentiliano  cercava  di  rispondere  con  il  concetto  di  un  soggetto  unico  come  «  atto  puro  »  è  invece  precisamente  l'esigenza  espressa  dal  termine  oggetto.  Non  è  appunto  l'oggetto  ciò  in  cui  tutti  i  soggetti  s'incontrano,  convengono,  riconoscono  un'unità?  È  dunque  l'aspetto  oggettivo  quello  che  non  si  lascia  plurahzzare,  l'unico  per  tutti,  e  non  l'aspetto  soggettivo  dell'esperienza.   Converrà,  dunque,  cessare  di  parlare  di  «  oggetti  »,  al  plurale  :  sarebbe  uno  scambiare  1'  «  oggetto  »  con  la  «  cosa  ».    unico.    lato.  E,  dal  momento  che  le  cose  non  sono  l'oggetto  (sebbene  abbiano,  certamente,  un'oggettività),  non  occorrerà  piìi,  come  faceva  l'ideaHsmo  tradizionale,  andare  in  cerca  di  oggetti  superiori  alle  cose,  le  idee,  per  superare  l'empiricità.  L'oggetto  è  inconfondibile  con  l'empiricità,  per  ciò  stesso  che  è  unico.  In  questo  modo  l'idealismo  riesce  a  scalzare  veramente  il  reahsmo,  senza  lasciarsene  soggiogare.  Per  contro  gli  oggetti  superiori  alle  cose,  presi  al  plurale,  come  «  idee  »,  sono  in  realtà  concepiti  ancora  al  modo  di  cose.  E  appunto  per  sfuggire  a  tale  incongruenza  l'ideaHsmo  si  era  visto  costretto,  da  ultimo,  a  rifugiarsi  in  una  «  egoità  pura  »,  e  poi  in  un  «  atto  puro  »,  di  cui  tutte  le  determinazioni  particolari  non  sono  che  una  caduta.  Realismo  deheiAppena  si  csclude  dall'oggetto,  in  quanto  oggetto,  ogni  pluralità,  il  realismo  è  debellato,  perchè  il  modello  empirico  delle  cose  non  vale  piìi.  Non  per  questo  i  soggetti  saran  costretti  ad  attribuire  aUa  mèra  empiria  (seguendo  Gentile)  il  loro  reciproco  distinguersi  l'uno  dall'altro.  Anzi,  liberati  dall'obbligo  di  fornire  il  principio  di  unificazione,  i  soggetti  molteplici  potranno,  e  dovranno,  rivendicare  come  irriducibile la  propria  plurahtà,  ben  piìi  fondatamente  che  nell'ideaKsmo  personaHstico  varischiano.  Quest'ultimo,  per  spiegare l'incontro  dei  soggetti  che  costituisce  una  stessa  esperienza «  oggettiva  »,  doveva  ricorrere  a  un  Soggetto  assoluto  supremo,  che  «  tollererebbe  »  in    i  punti  di  vista  Umitati  dei  soggetti  particolari.  NeUa  nuova  situazione,  invece,  il  concetto  di  un  oggetto,  assolutamente  unico,  come  idea,  non  solo  tollera,  ma  esige  di  essere  intrinseco,  nella  coscienza,  a  una  pluralità  di  punti  di  vista  soggettivi.   4.  Intrinsecità  di  soggetto  e  oggetto.    Occorre  dunque  cessare  di  concepire  l'oggetto  come  qualcosa  che  ci  sta  contro,  secondo  una  relazione  che,  per  ciò  stesso,  risulterà esterna.  Ciò  che  ci  «  sta  contro  »  non  è  l'oggetto  come  idea  luogo  d'incontro  di  tutti  i  soggetti  bensì  l'altro  da  me;  cioè  sempre  l'edtro  soggetto.  Le  cose,  è  vero,  ci  stanno  contro:    ma    solo    perchè    nascono    daU'interferire    dei    vari    Intrinsecità  di  soggetto  e  oggetto  255   soggetti,  non  perchè  siano  «  oggetto  »,  o  oggetti  al  plurale,  a  cui  ci  riferiamo.   In  altri  termini,  il  rapporto,  su  cui  tanto  avevano  insil«   concretezza  stito    i    vari    idealismi    spiritualistici    dell'Ottocento,     non  nei  rapporto  tra   ,,  .,  ,  i  soggetti  e  l'og mtercorre  tra  1  soggetti  e  1  oggetto:  il  rapporto,  legando  getto.  altro  ad  altro,  è  sempre  tra  i  diversi  soggetti;  e  aver  concepito  V intrinsecità  di  soggetto  e  oggetto  come  un  «  rapporto  »  (in  conseguenza  di  un  uso  troppo  generico,  e  perciò  equivoco,  delle  parole  «  rapporto  »  e  «  relazione  »)  ha  fatto  fallire  gli  innumerevoh  tentativi  (conosciuti  anche  in  Italia,  soprattutto dal  Martinetti  in  poi),  di  costruire  la  concretezza  dell'esperienza attraverso  il  «  rapporto  tra  soggetto  e  oggetto  ».  Che  il  concreto  non  si  trovi,    nell'oggetto  per  conto  suo,    nel  soggetto  per  conto  suo,  ma  solo  nel  loro  «  rapporto »,  era  stato  ripetuto  in  mille  maniere  da  spiritualisti,  psicologi,  monisti,  idealisti,  neokantiani,  ecc.  :  ciascuno  cercando  di  utilizzare  a  modo  suo  il  trascendentalismo  di  Kant.  Ma  nessuno  aveva  saputo  liberarsi  da  quell'elemento  falsificatore  attraverso  cui,  malauguratamente,  il  trascendentahsmo  kantiano  era  filtrato  :  la  «  teoria  della  rappresentazione »  di  Reinhold.  Dire  che  il  concreto  non  si  trova    nel  soggetto  per  conto  suo,    nell'oggetto  per  conto  suo,  é  vero,  ma  non  implica  che  si  trovi  in  un  loro  rapporto;  e  neppure  nel  semphce  rapporto  dei  soggetti  tra  loro,  come  per  il  Varisco.  Il  concreto  si  trova  neU'intrinsecità  dei  soggetti  con  l'oggetto,  che  non  può  dirsi  rapporto  perché  non  é  un  riferimento  ad  altro.  Il  CarabeUese  chiama  questa  intrinsecità  compattezza  interpretando  in  questo  modo  il  problema  che  l'Ottocento  tedesco  aveva  ereditato  da  Kant,  e  poi  trasmesso, irrisolto,  al  secolo  successivo:  l'inseparabilità  del  soggettivo  e  dell'oggettivo.  Kant,  osserva  la  Critica  del  concreto (edizione  cit.,  pp.  85-86),  «ha  dimostrato,  con  evidenza  che  finora  nessuno  é  riuscito  di  oscurare,  che  quei  due  mondi  formano  una  concreta  compattezza  »  (Nella  terza  edizione,  del  1948,  il  testo  sarà  variato:  «che  quei  due  mondi  necessariamente formano  o  richiedono  un  mondo  solo,  che  non  é  piìi  mondo,  ma  é  essere  concreto  deUa  coscienza»:  p.  89).   18.  Lamanna.  storia  della  filosofia.  VH.    L'aggancio  a  Questo  Oggetto  che  è  unità  (non  Rosmini,    Gio-Qi^^dMìk  di  cose  o  di  idee  a  immagine  e  somiglianza  delle   berti  e   Gentile.   cose)  è  l'essere;  l'essere  in  quanto  oggettività  pura:  dunque,  se  si  vuole,  1'  «  essere  oggettivo  »  di  Rosmini.  Ciò  spiega  a  sufficienza  l'attenzione  di  Carabellese  verso  la  dottrina  del  roveretano  che  attraverso  il  Bonatelli  e  per  ragioni  tutte  diverse  era  stata  già  una  fonte  anche  del  Varisco.  In  che  modo,  però,  si  potesse  adoperare  il  Rosmini  per  ovviare  davvero  (come  Rosmini  avrebbe  voluto)  all'  «  errore  gnoseologistico  »  della  filosofia  moderna,  non  poteva  risultare  chiaro  al  CarabeUese  ai  tempi  della  laurea:  occorreva,  in  verità,  che  il  Gentile  portasse  alle  sue  ultime  conseguenze  quell'errore.   Questa  è  la  ragione  sostanziale  per  cui  Carabellese,  come  filosofo,  matura  tardi.  Dopo  che  Gentile  ebbe  pubblicato, nel  1913,  la  sua  Riforma  della  dialettica  hegeliana,  il  pensiero  del  CarabeUese  comincia  a  dehnearsi.  Nel  volume  su  L' essere  e  il  problema  religioso.  A  proposito  del  «  Conosci  te  stesso  »  di  Bernardino  Varisco  (1914)  si  configura  il  tema  di  quello  che  sarà  il  suo  ontologismo;  e  nel  saggio  su  La  coscienza  morale  (1915),  stampato  a  qualche  settimana  di  distanza  dal  precedente,  è  già  «  quasi  esplicita  »  (cfr.  Critica  del  concreto,  p.  11)  «  la  scoperta  della  concretezza  dell'essere  »,   Venne,  però,  la  guerra  e  la  meditazione  del  Carabellese  dovette  interrompersi  per  cinque  anni.  Quando  riprese  (Gentile,  frattanto,  aveva  pubbhcato  le  sue  opere  principali,  tra  il  '16  e  il  '17),  le  linee  maestre  del  suo  pensiero  mostrano,  ormai,  queUo  che  sarà  i]  loro  assetto  definitivo,  l'assetto  della  Critica  del  concreto  (scritta  nel  1920).  Rosmini  è  rimasto,  ma  l'essere  oggettivo  e  indeterminato  che,  con  la  sua  presenza alle  menti,  permette  loro  di  pensare,  non  è  più  la  mèra  «  idea  »  dell'essere,  è  l'essere.  L'ontologismo  di  Gioberti,  con  la  sua  critica  al  mèro  «  essere  ideale  »,  è  ripreso,  ma  con  un  intento  diverso  e  ben  piti  radicale:  perchè  l'essere  non  è  più  r  «  ente  »  e  neppure  è  il  «  concreto  »  ;  è  la  pura  ontologicità  degh  enti:  pura  idea,  inseparabile  dalla  loro  pluralizzazione  soggettiva.  In  altri  termini,  l'essere  è  pensabile,  ormai,  solo    L'Ontologismo  257   in  una  assoluta  immanenza:  quell'immanenza  che  Gentile  e,  ancor  più,  i  gentiliani  andavano  spasmodicamente  cercando, e  che,  paradossalmente,  veniva  trovata  in  un  rovesciamento della  posizione  di  Gentile.   6.  Unità  di  conoscere  e  fare,  nel  «  concreto  ».    Il  testo  fondamentale  per  penetrare  nell'ontologismo  del  La  Critica  dei  Carabellese  è,  dunque,  la  Critica  del  concreto,  che,  uscita  '^°°a  Pistoia  nel  192 1,  fu  dall'Autore  rimaneggiata  abbastanza  profondamente  per  la  seconda  edizione  romana  del  1940,  e  meno  profondamente  per  la  terza,  che  usci  a  Firenze  nel  1948,  in  vista  di  una  opera  omnia  poi  non  condotta  alla  fine.  La  Critica  del  concreto  è  lo  strumento  costante  di  meditazione  e  di  espressione  del  Carabellese;  e,  nonostante  che  nella  prefazione  alla  terza  edizione  egli  insista  molto  sulla  provvisorietà di  questo  «  sillabario  concettuale  delle  successive  ricerche  »  (p.  xxviii),  rimane  il  testo  fondamentale.  Del  resto  le  «  successive  ricerche  »,  per  il  Carabellese  del  1947,  erano  più  quelle  che  rimanevano  da  svolgere  che  quelle  svolte  dal  1927  in  poi:  e,  quindi,  noi  non  possiamo  sapere  quali  sarebbero  state.   Anche  le  opere  storiche,  per  quel  che  si  è  detto,  vanno  capite  muovendo  da  quella  intuizione  fondamentale,  che  a  tratti  illumina,  senza  dubbio,  gU  autori  considerati,  ma  che  essenzialmene  si  chiarisce  attraverso  di  essi.  Dopo  gli  scritti  del  1927-29  su  Kant  e  su  La  filosofia  da  Kant  a  Fichte,  queste  opere  storiche  si  concretarono  soprattutto  nel  primo  periodo  romano,  in  cui  il  Carabellese  occupò  una  cattedra  di  Storia  della  filosofìa  (1930-1943),  prima  di  passare  sulla  cattedra,  a  lui  più  congeniale,  di  teoretica.  Esse  erano  infatti,  in  origine,  corsi  universitari  usciti  in  dispense,  e  poi  ristampati nei  tre  volumi  delle  Obiezioni  al  cartesianesimo  (1946-47)  e  nel  volume  La  fdosofia  dell'esistenza  in  Kant  (Bari,  1969).   Del  resto,  non  fu  solo  un  interesse  archeologico  quello   storiografia  che  spinse  il  Carabellese  a  ritornare  per  due  volte  sulla  Crispeculativa,  tica,  Hbro  del  1920,  bensì  la  coscienza  che  di    si  sviluppava  tutta  la  sua  filosofìa.  Seguiremo  dunque  la  Critica  del  concreto   nella  sua  edizione  definitiva  (1948),  che  differisce  dalla  originaria  su  punti  non  trascurabili  (il  termine  «  esperienza  »,  ad  esempio,  a  partire  dalla  seconda  edizione  è  spesso  sostituito dal  termine  varischiano  di  «  coscienza  ») .  Teoria  e  praIl  CarabcUese  comincia  col  distinguere,  nell'attività  ttca  non  corneiu^^ana,  i  duc  aspetti  della  teoria  e  della  pratica  che  si  rifiuta   dono  con  cono     ...  ...   scema  e  azione,  di  assimilare,  comc  si  fa  di  solito,  a  «  conoscenza  »  e  «  azione  ».  La  teoria  è  l'aspetto  universale  di  ogni  attività,  e  la  pratica  ne  è  l'attuazione  moltepUce:  indispensabile  anche  quando  si  tratti  di  attività  conoscitive.  Del  pari  il  Carabellese  mostra  falsa  l'identificazione  del  binomio  pratico-teoretico  col  binomio astratto-concreto  :  «  Sia  la  teoria  che  la  pratica,  se  prese  ciascuna  per  sé,  sono  astratte  »  ;  sono  entrambe  aspetti  separati  dell'attività  spirituale,  e  quindi  entrambe  affette  da  una  astrazione  per  cui  «  dimezziamo  l'atto,  per  fermarci  a  una  parte  di  esso  »  (p.  12).  Concreta  è  solo  un'attività  che  attui,  in  forme  particolari,  «  una  idea  unica  e  universale  »,  senza  la  quale  idea  non  sarebbe  presente  nel  nostro  volere  un  «  dover  fare  »  (che  non  è  dovere  etico  soltanto),  e  quindi  si  cadrebbe  in  una  «  inconsistente  vanità  delle  azioni  nella  loro  singolarità  plurima  ».  Per  contro  «  è  evidente  nel  concreto volere  la  presenza  della  qualità  universale  di  esso  [l'idea],  quanto  evidente  nel  concreto  conoscere  la  presenza  dei  molti  fatti  conosciuti  »  (p.  18).   L'individuazio7   QuestO   ne  deiv  unico  nei  rifiuto  di  chiamare  «teoretico»  il  conoscitivo  soltanto  vuol   singoli.   essere  una  contestazione  dei  «  distinti  »  crociani,  ed  evitare,  al  tempo  stesso,  il  monismo  gentiUano.  Ma  esso  serve  anche  a  ben  piìi  :  a  dirigere  «  le  menti  verso  la  vera  sintesi  a  priori  dell'essere,  e  cioè  l'individuazione  dell'unico  nei  singoli  »  (p.  22  ;  o,  come  diceva  la  seconda  edizione,  «  verso  la  concretezza e  cioè  la  compattezza  dei  singoH  nell'unico»:  p.  21).  La  teoria  è,  dunque,  l'orizzonte  impersonale  in  cui  i  singoH  si  attuano  personalmente.  Essa  serve,  inoltre,  a  fondare  «  ontologicamente  »  la  struttura  dell'agire  sulla  struttura  dell'essere.    La  temporalità  dell'essere  e  il  male  259   Il  Croce  aveva  fornito,  dell'attività  umana,  una  sistemazione che  aveva  avuto  un  successo  perfino  superiore  aUe  sue  intenzioni.  Ma  il  Carabellese,  prima  ancora  che  comparisse sull'orizzonte  uno  Heidegger,  fornisce  un  sistema  delle  «  forme  di  coscienza  »  (la  prima  edizione  diceva  :  «  esperienza  »)  fondato  ontologicamente  sui  «  momenti  dell'essere  »,  cioè  sulla  intrinseca  temporalità  deW essere  come  essere  presente  nella  coscienza.  «  Noi  conosciamo  ciò  che  fu,  sentiamo  ciò  che  è,  vogliamo  ciò  che  sarà»  (p.   26).   La  conoscenza,  è,  infatti,  una  particolare  forma  di  coscienza, che  si  rivolge  al  passato;  l'intuizione  è  un  sentire  come  coscienza,  del  presente;  l'azione  è  coscienza  dell'essere  che  sarà,  «coscienza  del  futuro»  {ivi).  ((Momenti  del  tempo,  che  sono  gh  stessi  momenti  dell'essere»  (p.  27,  nota),  in  corrispondenza  dei  quali  troviamo,  rispettivamente,  nell'oggetto il  vero,  il  hello,  il  buono.   Il  concreto  importa,  così,  una  «  valutazione  ontologica  //  tempo.  del  tempo  »  che,  affacciatasi  già  in  L'essere  e  il  problema  religioso  (1914),  starà  alla  base  del  modo  antistoricistico  di  concepire  e  salvare  La  storia,  prospettato  nel  saggio  con  questo  titolo  uscito  in  Scritti  in  onore  di  Bernardino  Varisco  (1926).  Nasce  qui  il  concreto  come  «compattezza»  o,  come  il  Carabellese  preferirà  dire  piìi  tardi,  intrinsecità  di  oggetto  e  soggetto  :  «  Oggetto  e  soggetto,  in  quanto  separati,  sono  astrazioni  »  (p.  30)  le  stesse  che  si  chiamano,  rispettivamente, «  teoria  »  e  «  pratica  »  mentre  «  in  concreto  la  coscienza è  pratica  dell'essere  (....)  come  l'essere  è  teoria  della  coscienza  ».   Una  appHcazione  importante  è  fatta  dal  Carabellese  al  L'errore  di  vaproblema  dell'  «  errore  di  volontà  »,  o  male,  in  cui  il  Croce,  '''"''^'  distinguendo  Tattività  pratica  in  due  gradi,  e  rendendo  Ìl  primo  indipendente  dal  secondo,  era  rimasto  invischiato.  Nella  moralità  come  tale,  dice  il  Carabellese  (rovesciando,  si  può  osservare,  quello  che  per  il  Croce  valeva  dell'economia) non  c'è  errore  :  la  coscienza  morale,  come  «  teoria  della  volontà  »,  è  infallibile.  Ma,  di  per  sé,  la  moralità  non  è  ancora  concreta:   è  solo  la  teoria  del  concreto  volere,  e di  questa  un  mio  atto  (o  io  stesso  tutto  intero  addirittura?)  potrà  essere  un  errore  »  (p.  38).   Vi  è,  insomma,  un'oggettività  morale  (e  una  estetica),  e  non  soltanto  un'oggettività  conoscitiva.  A  tale  oggettività,  i  soggetti  tendono  con  un  volere  che  «  non  è  pura  facoltà  del  soggetto,  ma  è  attività  concreta,  e  perciò  unità  di  teoria  e  di  pratica,  di  oggettività  e  soggettività  insieme.  L'oggettività,  in  tutte  le  sue  forme,  è  intrinseca  ai  soggetti,  ma  non  certo  identica  ad  essi:  essa  è  infatti  l'unità,  di  cui  i  soggetti  sono  il  molteplice.  I  soggetti  sentono,  dunque,  l'oggettività  come  una  esigenza,  come  un  bisogno;  e  ciò  fa  della  filosofìa  del  Carabellese  una  tipica  filosofìa  del  finito  e  della  tensione  del  finito  verso  l'infinito.  Filosofìa  dinamica,  ma  non  prassistica,  essendo  la  prassi  tesa  verso  la  teoria,  e  la  teoria  accessibile  solo  attraverso  la  prassi.  Idealismo  assoE  poichè  l'cssere  è  l'oggetto,  presente  nei  soggetti,  la  luto  non  soggetfilosofìa  di  Carabcllese  si  presenta  come  un  «  idealismo  asso tivtsttco.  ^   luto  »,  non  però  soggettivistico  :  perchè  nell'idealismo  soggettivistico l'oggetto  è  concepito  ancora  al  modo  del  realismo, come  un  particolare,  mentre  per  Carabellese  l'oggetto  ha  da  essere  l'universale,  il  «valere  per  tutti»  (p.  57).  La  cosa  particolare  a  cui  mi  riferisco  in  un  mio  atto  (conoscitivo,  intuitivo  o  pratico),  ad  esempio  un  ulivo  che  vedo  dalla  finestra,  non  è  un  oggetto  in  quanto  sia  un  mèro  particolare:  è,  tutto  al  contrario,  «  qualità  o  atto  soggettivo  »  (p.  61).  Quello  che  esso  ha  di  oggettivo  è  l'essere  ulivo  non  solo  per  me,  ma  per  tutti  :  cioè  il  rappresentare  sia  pure  individuata  in  un  atto  particolare  l'unicità  dei  soggetti  (pp.  61,  64).   Se,  allora,  si  conserva  astrattamente  questa  unicità  da  sola,  si  ottiene  1'  «  oggettività  dei  soggetti  »,  che  non  è  però  l'oggettività  dell'ulivo:  cioè  la  particolarità,  in  quanto,  tale  si  perde.  «  L'ulivo  in  quanto  universale  vuol  dire  l'unicità  (per  quanto  parziale,  perchè  si  tratta  soltanto  di  un  ulivo)  dei  soggetti.  E  se  l'universalità  costituisce  l'oggettività,  questa  unicità  dei  soggetti  costituisce  l'oggettività  loro.  Quell'ulivo,  in  fondo,  costituisce  una  parte  della  oggettività  naturale  dei  soggetti  uomini  »  (p.  62) .  Nel  realismo,  o  nel  La  temporalità  dell'essere  e  il  male  261   l'idealismo  soggettivistico  che  lo  ricalca,  i  soggetti  e  gH  oggetti  si  presentano,  invece,  come  membri  di  una  stessa  comunità  (in  relazione  tra  loro)  :  hanno  un  analogo  modo  d'essere,  che  impedisce  a  questi  due  aspetti  del  concreto  di  assumere  la  loro  vera  funzione.  Questo  è  l'errore.  L'essere,  come  puro  oggetto,  non  è  un  insieme  di  cose:  è  piuttosto  quella  «coscienza normale  »  kantiana  su  cui  tanto  avevano  insistito  invano  le  fonti  tedesche,  tra  Ottocento  e  Novecento;  quella  «  normalità  »  della  coscienza,  con  cui  CarabeUese  giungerà  presto  a  identificare  il  concetto  kantiano  di  cosa  in  se.   I  soggetti,  per  contro,  sono  molteplici  /  soggetti  come  per  definizione.  Non  enti-io,  da  porre  accanto  agU  enti-cose:   ^^^'^^soiaredtco .  , scienza  ».   in  quest'ultimo  caso  non  si  avrebbe  modo  di  risolvere  la  vertenza tra  il  «  realismo  ingenuo  »,  che  fa  dei  primi  i  soggetti  passivi  di  una  attività  dei  secondi,  e  l'idealismo  parimenti  ingenuo,  che  inverte  semplicemicnte  la  relazione,  ma  non  muta  la  natura  dei  suoi  termini.  I  soggetti  non  sono  neppure  coscienza,  in  concreto,  bensì  «  il  singolare  di  coscienza  »,  così  come  l'oggetto  è  «  l'universale  di  coscienza;  sono  «  individuazione  dell'essere  »,  «  termini  singolari  della  sua  individuazione.Parlare  di  un  soggetto  unico  è,  dunque,  il  massimo  dei  Rifiuto  dei  sognon  sensi:  il  soggettivizzarsi  della  coscienza  è  identico  al  ^^"°    suo  pluralizzarsi.  Codesto  pluralizzarsi  non  chiude,  tuttavia,  i  soggetti  in    stessi:  perchè  l'io,  che  è  il  soggetto  concreto,  non  è  aw^ocoscienza  (p.  138),  non  è  un  riflettersi  su    stesso  che  porterebbe  diritti  al  solipsismo  (p.  81)  -,  è  l' aprirsi  sull'unica  oggettività  dell'essere.  Sicché,  mentre  le  monadi  varischiane  si  aprivano  l'una  al  guardare  dell'altra,  e  producevano l'oggettività  con  il  loro  reciproco  interferire,  i  soggetti  carabeUesiani  si  aprono  per  l'immanere  in  essi  di  un  identico  oggetto,  in  cui  si  è  rovesciata  la  concezione  gentihana  dell'unico  soggetto.   Del  «  Soggetto  universale  »  di  Varisco  non  c'è,  dunque,  pili  bisogno,  anzi  esso  non  è  neppur  concepibile.  Se  io  penso  Dio  come   un   principio   soggettivo,   non   ottengo   altro   che  «il  personale  Dio  pagano,  tutt'altro  che  unico»;  mentre  se  lo  affermo  come  soggetto  unico  ne  faccio  un  «  di    »  che,  non  dovendo  constare  per  nulla  nel  di  qua,  non  ha  piìi  per  noi  alcun  significato:  «Affermare,  dunque,  la  personalità  di  Dio  è  non  affermare  Dio;   è  negarlo»   (p.   156).   9.  La  trascendenza.    Ciò  non  toglie  che  si  possa  e  si  debba  dare  un  significato  alla  trascendenza.  Trascendenza,  diceva  l'edizione  del  1940,  significa  che  «  il  concreto  è  sempre  inadeguato  alle  sue  condizioni  trascendentali  »  che,  «nella  loro  purezza,  superano  la  coscienza  concreta,  non  vengono  da  questa  raggiunte  interamente  »  (pp.  175-176).  Anziché  di  «  condizioni  trascendentah  »,  l'edizione  definitiva  parla  di  «  distinti  »,  che  la  coscienza  non  attua  interamente  :  probabilmente perchè  la  dizione  «  condizioni  trascendentah  »  sembrava  imphcare  un'  antecedenza  sul  concreto,  sia  pure  logica e  non  cronologica.  Trascendenza  La  stessa  Struttura  del  concreto  porta  quindi  il  Cararehgiosa  e  traj^gjjgse  ad  ammettere  le  due  forme  tradizionah  di  trascen scendenza    gnoseologica, denza:    la   trascendenza   religiosa,    per   la   quale   si   afferma   l'esistenza  separata  e  irrelativa  dell'ente  spirituale  assoluto,  e  la  trascendenza  gnoseologica,  «  più  grossolana  e  primitiva  »,  che  afferma  l'indipendenza  e  assolutezza  dell'essere  in  sé.  Ma  egli  riconduce  entrambe  queste  forme  alla  «  inadeguabilità  dell'intrinseco  »,  cioè  dell'essere  oggettivo  puro  (p.  192  corsivo  nel  testo),  che  non  è  qualcosa  di  esterno,  bensì  qualcosa d'intrinseco,  appunto,  ai  soggetti  che  trascende.   Del  resto  il  Carabellese  riconosce  alla  trascendenza  religiosa il  merito  di  rilevare,  sia  pure  in  modo  imphcito  soltanto,  il  valore  della  coscienza,  e  così  di  porsi  veramente  sul  terreno dell'essere  concreto  (p.  195).  Infatti,  anche  se  ad  essa  accade  di  insistere  sull'eternità  di  Dio,  «  si  deve  tener  presente che  l'assolutezza  divina  ha  sempre  avuta  una  propria  rappresentanza  nell'essere  concreto,  almeno  in  coloro  che  l'affermavano»  (p.  198).  ,.tT..J7JAt^,l  Riformulate  così  le  due  forme  di  trascendenza  tradizionale,  concreta».  il  Carabellese  non  le  accetta,  tuttavia,  tali  quali:  sostituisce    La  trascendenza  263   ad  esse  «due  forme  di  trascendenza  concreta»  (p.  200),  la  trascendenza  relativa,  cioè  «  l'alterità  reciproca  di  coscienza  »  tra  un  soggetto  e  l'altro  (p.  205),  e  la  trascendenza  «  dell'unico  assoluto  di  fronte  ai  singoli  soggetti  ».  Quest'ultima  non  è,  al  contrario  della  prima,  «  relativa  »,  perchè  tra  l'essere  assoluto e  i  soggetti,  come  abbiamo  visto,  non  intercorre  una  «  relazione  ».  La  trascendenza  assoluta,  in  altre  parole,  non  è  simmetrica,  perchè,  mentre  noi  non  riusciamo  ad  adeguare l'oggetto,  questo  non  è  mai  trasceso  da  noi  :  «  Il  principio non  si  trascende  ».   Così,  «  mentre  la  trascendenza  gnoseologica,  che  si  credeva trascendenza  dell'assoluto  oggetto  alla  coscienza,  si  riconosce  come  irriducibihtà  relativa  di  un  soggetto  concreto  singolare  all'altro,  la  trascendenza  religiosa,  che  pareva  soltanto  soggettiva,  manifesta  veramente  la  sua  assolutezza  in  quanto  inadeguabihtà  dell'oggetto  puro,  immanente  neUa  coscienza  dei  soggetti  (p.  210).  «La  trascendenza  è  dunque  nella  coscienza,  e  perciò  non  è  il  reaUstico  di    da  questa.  L'esigenza  della  trascendenza  è,  invece,  l'esigenza  che  il  concreto  ha  di  un  principio,  esigenza  che  è  soddisfatta  relativamente  dalla  reciprocità  condizionata  dei  soggetti, e  assolutamente  dalla  unicità  universale  dell'oggetto  »  [ivi) . A  questo  punto  si  in  Il  sacrificio  del nesta  la  più  sorprendente  conclusione  della  Critica  del  concreto.  ^'^  coscienza.  Abbiamo  visto  che,  isolando  le  condizioni  del  concreto,  si  cade  nell'astratto  :  ma  allora  perchè  la  coscienza  «  cerca  di  cogliere  detti  distinti  nel  loro  isolamento,  perchè  cerca  di  dissolvere  la  propria  individua  concretezza  nell'uno  o  nell'altro suo  distinto?  »  (p.  211.  In  luogo  di  «distinto»  l'edizione precedente  diceva  :  «  estremo  ») .  Il  CarabeUese  avvicina questo  «  sacrificio  »  che  la  coscienza  fa  della  propria  concretezza  al  dramma  di  Gesìi,  che  prega  :  «  Transeat  a  me  caUx  iste  »,  pur  sapendo  che  il  sacrificio  a  cui  va  incontro  è  necessario  alla  redenzione.  «  Il  transire  della  ricerca  del  distinto  come  tale  non  può  avvenire  senza  l'annullamento    264     Cap.  XXXV.  L'Ontologismo  di  P.  Carahellese   della  stessa  concretezza,  come  non  poteva  avvenire  quello  di  Gesìi  senza  l'annullamento  della  redenzione.   In  altri  termini,  alla  concretezza  è  necessaria  anche  la  distinzione  delle  sue  condizioni  intrinseche  (oggettiva  e  soggettiva) :  non  già  per  una  necessità  di  tipo  dialettico,  che  faccia  risultare  il  concreto  dalle  antitesi  (pp.  92  e  138),  bensì  per  una  necessità  immediata  :  «  Il  credente  muove  dal  bisogno  di  sapere  la  sua  stessa  essenza  singolare,  di  sentirla  distinta  »  (p.  212).  D'altra  parte,  di  fronte  al  credente,  la  coscienza  rappresenta  uno  sforzo  continuo  che  non  giunge  mai  al  termine  «  per  risolversi  nel  suo  principio  universale,  e  perciò  essa  è  sempre  inesausta  e  inesauribile  problematicità  »  e,  quindi,  filosofìa.  Le  attività  traNel  concrcto  pcrciò,  a  cagione  della  sua  «  polarità  »  come  scendentah:  re^    chiamata,    ad    escmpio,    in    L'idealismo    italiano    (Napoli,   hgione  e  filosofia.  1938,  P294)  -,  si  costituiscono  due  «  attività  trascendentali,   rehgione  e  filosofìa  »  (p.  210)  che  «  sono  l'intrinseca  trascendentahtà  del  concreto,  non  la  concretezza  stessa.  Esse  dovran  tornare,  dice  il  Carabellese,  «  dopo  tutte  le  scaltrezze (....),  alla  loro  esigenza  ingenua.  La  concreta  coscienza  umana  non  segue,  certo,  solo  la  misteriosa  fede  del  credente  o  la  superba  ansia  dimostrativa  del  filosofo,  ma  nella  sua  attività  è  proprio  sforzo  che  richiede  riposo,  riposo  che  prepara lo  sforzo»  (p.  214).   In  che  misura  il  credente  possa  sentirsi  soddisfatto  dell' «  esigenza  ingenua  »  della  religione,  quale  il  Carabellese  ghela  presenta,  è  dubbio  :  il  credente  ha  generalmente  bisogno  di  un  Dio  a  cui  rivolgersi  come  a  un  Tu,  e  non  soltanto  di  «  genuflettersi  dinnanzi  all'universale  mistero  che  lo  trascende »  (p.  206).  Ma  il  filosofo  può  essere  più  soddisfatto.  Egli  può  trovare  nella  trascendenza  carabellesiana  la  ragione  della  prohlematicitcì  della  sua  ricerca,  che  una  mèra  considerazione dell'oggettività  come  tale  non  avrebbe  fatto  supporre. In  un  immanentismo  di  tipo  hegehano,  in  cui  la  filosofia è  il  prendere  coscienza  dell'Assoluto,  la  problematicità  si  risolve  interamente  nello  sviluppo  storico;  in  un  immanentismo gentihano,  in  cui  l'atto  coincide  eternamente  con    I  due  poli  del  concreto  265     stesso,  la  problematicità  scade  nell'indifferenza  verso  la  singolarità  dei  fatti.  Per  contro  nell'immanentismo  carabellesiano,  in  cui  l'oggettività  è  una  idea  pura,  universale  e  di  per    astratta,  l'esigenza  di  una  tale  oggettività  riesce  invece,  inevitabilmente,  problematica  e  pluralisticamente  attuata.   Per  questo  l'analisi  del  concreto  nelle  sue  condizioni,  o  nei  suoi  distinti  di  per    astratti,  é  necessaria  alla  redenzione. Una  redenzione  che  riscatta  anche  quello  che  abbiamo  chiamato  il  «  profetismo  »  di  Carabellese.  La  profezia  in  nome  dell'assoluto  apre,  infatti,  e  non  chiude  la  ricerca.   Rimane,  senza  dubbio,  un  problema  gravissimo:  con  Quai  è  u  crUequal  criterio  misurare  se  questa  esigenza  di  oggettività  sia  ''^o  deii'oggethpiù  o  meno  soddisfatta?  Il  criterio  non  può  essere  dato,  é  chiaro,  da  una  formula;  l'oggettività  carabellesiana  non  sarebbe  tale  se  vi  fosse  una  formula  capace  di  definirla.  Ciò  rende  difficile  quasi  altrettanto  nella  posizione  di  Carabellese quanto  in  quella  di  Gentile  passare  dalla  sistemazione  del  valore  in  generale  a  una  valutazione  specifica,  dei  prodotti  portatori  di  valore.  Ma  ciò    altresì  al  problema  della  filosofìa una  apertura  che  le  posizioni  di  dialettiche,  di  stampo  hegeliano,   per  contro  gli  negavano.   II.  Possibilità  di  un  pluralismo  filosofico.    L'anno  stesso  della  Critica  del  concreto,  192 1,  il  Carabellese  pubbHca  infatti,  sulla  «  Rivista  di  filosofìa  »  un  articolo  fondamentale  Che  cos'è  la  filosofia?  in  cui  riconosce  «  la  difficoltà  della  conciliazione  dell'assoluta  universalità  della  filosofia  con  la  sua  determinata  concretezza  »  (edizione  in  volume,  con  altri  saggi,  1942,  p.  91)  ;  e  non  esita,  dovendo  scegliere,  a  lasciar  cadere  pittosto  la  concretezza,  per  conservare  l'universafità.  Ma,  se  si  tien  conto  della  «  attuazione  e  pratica  della  filosofia  »,  ci  si  accorge  che,  rispetto  a  quella  universahtà,  «  il  filosofo  è  esso  il  problema  dell'individuazione  ».  L'universaHtà  ha  bisogno  di  essere  individuata  per  esistere,  e  quindi  «  l'esplicazione dell'imphcito  »,  che  è  il  problema  filosofico  fondamentale, quando  si  consideri  la  filosofia  nella  sua  attuahtà  diviene  il  problema  dell'individuazione  dell'universale.   «  Si parte  dall'affermazione  dell'essere  nella  sua  universalità,  e  si  arriva  a  una  assoluta  affermazione  della  individualità,  che  può  parere  dogmatica,  intollerante,  tirannica  ed  arbitraria solo  a  chi  nulla  sente  di  filosofia,  e  perciò  scambi  l'arbitrio  del  singolo,  che  deve  farsi  valere  pur  quando  debba  affermare  non  il  suo  proprio  arbitrio,  ma  l'assoluto  universale, con  l'universale  idea  animatrice  da  quel  singolo,  toccata  in  un   potente  sforzo  di  sublimazione  »   (p.    112).   In  questo  senso  è  riconquistato  il  «  concetto  ingenuo  della  filosofia,  che  non  è  possesso  ma  (....)  sforzo»  (p.  113).  Il  saggio  del  '21  sul  concetto  della  filosofia  fu  ristampato  nel  '42,  come  secondo  volume  dei  Primi  Saggi:  ma  le  postille  e  l'ultimo  saggio,  aggiunto  nel  '42,  fanno  in  realtà,  di  questo  volume  l'espressione  di  una  maturazione  ulteriore  del  Carahellese, che  presuppone  tutto  il  lavoro  di  insegnamento  universitario e  di  polemica.  Dopo  il  1921,  infatti,  il  Carabellese  si  dedicò  a  «  verificare  »  la  propria  concezione  sulla  storia  della  filosofia,  soprattutto  kantiana:  su  quello  strano  destino, cioè  che  aveva  portato  l'annunzio  kantiano  (mal  formulato) della  pura  oggettività  a  rovesciarsi  nella  soggettività  assoluta  di  Fichte.  //  problema  della  filosofia.  Da  Kant  a  Fichte  (1929)  è  il  «problema  interno»  della  filosofia:  quel  problema  che  la  filosofia  soUeva  a    stessa  quando  si  interroga suUa  propria  possibiUtà,  e  che  va  distinto  accuratamente  dal  «  problema  oggettivo  che  la  filosofia  vuol  risolvere  »  (p.  v),  che  il  CarabeUese  chiama  «  problema  teologico  ».  Kant  (e  questo  è  il  punto  in  cui  l'esegesi  del  Carabellese  si  mostra  più  aderente  ai  problemi  testuah)  non  chiarì  mai  in  modo  soddisfacente  il  rapporto  tra  critica  (propedeutica)  Il  problema  teoe  metafisica  (filosofìa).  Ciò  portò  i  suoi  successori  a  confonogtco.  ^gj.g  ^  problema  interno  della  filosofia  col  problema  oggettivo,   e  a  pretendere  di  risolverh  in  un  sol  colpo,  col  concetto  di  autocoscienza.  È  la  tesi  che  il  Carabellese  espone  nella  prima  parte  di  La  filosofia  di  Kant.  L'idea  teologica  (1927;  parte  non  più  seguita  dalla  seconda  e  dalla  terza,  che  avrebbero  dovuto  riguardare,  rispettivamente,  1'  «  idea  psicologica  »  e  r  «  idea  cosmologica»).  Il  Carabellese  contesta  la  legittimità    Possibilità  di  un  pluralismo  filosofico  267   di  presentare  come  filosofia  di  Kant  il  criticismo,  che  voleva  essere  soltanto  la  via  per  arrivarci;  ma  non  perchè  segua  l'indicazione  espressa  di  Kant,  secondo  cui  il  contenuto  effettivo  deUa  filosofia  andrebbe  cercato  in  una  «  metafisica  della  natura  »  e  «  dei  costumi  »,  contenente  l'insieme  delle  condizioni  a  priori  rispettivamente  della  scienza  deUa  natura  in  generale  e  della  moralità.  Carabellese  cerca,  al  contrario  di  «  determinare,  attraverso  la  dottrina  metafisica  che  Kant  tacitamente  o  esplicitamente  professa,  quella  che  la  critica  gli  impone  di  professare  »  (p.  xv).  In  che  cosa  consiste  questa  dottrina?  Essa  è  la  dottrina  dell'idea  come  oggettività  pura;  dell' «  idea  Dio»  (come  il  Carabellese  amava  dire,  e  LUidea  dìo».  non  idea  di  Dio:  secondo  una  precisazione  che  risale,  effettivamente, al  Kant  àeWOpus  poshimum,  sebbene  il  Carabellese conoscesse  l'Opus  postumum  solo  indirettamente).  Carabellese  riconosce  che  «  Kant  non  fu  consapevole  della  scoperta  che  egh  faceva  quando,  di  fronte  al  problema  dell'esistenza di  Dio,  rispondeva  che  Dio  è  idea,  e  trasformava  così  l'argomento  ontologico»  [La  filosofia  di  Kant,  p.  392).  Riconosce,  cioè,  che  la  verità  che  egli  attribuisce  a  Kant  è,  in  fondo,  la  stessa  verità  scoperta  da  lui,  Carabellese.  Con  tutto  ciò  il  suo  hbro,  come  tutto  il  resto  delle  sue  ricerche storiche,  pur  nel  carattere  molto  personale  delle  sue  vedute, contiene  spesso  intuizioni  illuminanti.   12.  Il  problema  teologico.    Dopo  questi  saggi,  non  esaurienti  ma  condotti  in  profondità,  su  Kant  e  su  Fichte,  il  Carabellese  poteva  raccoghere  la  somma  del  proprio  pensiero intorno  al  «  problema  oggettivo  »  (e  non  piìi  «  interno  »  soltanto)  della  filosofia,  nel  volume  II  problema  teologico  come  filosofia  (1931),  che,  pur  avendo  una  origine  alquanto  composita, costituisce  una  sintesi  molto  coerente.   La  filosofia  trascendentale  sbagHa  quando  fa  della  critica  La  critica  non  è  la  scienza  assoluta   (p.   6)  :   ma  non  per  questo  ha  ragione  ^^  scienza  suHegel  (che  critica  tale  assunto)  di  cercare  la  verità  nel  dialettismo (p.  II).  L'errore  di  Kant  è  di  muovere  dalla  critica  della  conoscenza  soltanto    (p.    12),   anziché   della  coscienza: che,  allora,  si  scoprirebbe  in  essa  «  l'immanenza  dell'essere  in  sé,  come  puro  oggetto  »  (p.  i6),  cioè  come  idea.  La  metafisica critica  può,  dunque,  essere  definita  come  «  l'attività  teorica  della  trascendenza  nella  immanenza  dell'assoluto  »  (p.  15).  Ma  poiché  la  trascendenza  é  «sforzo  verso  l'assoluto» (e  non  l'assoluto  medesimo),  la  filosofia  si  personalizza; e  non  «capitalizza»,  come  la  religione,  un  patrimonio  di  fede,  «ma  si  consuma  in  sempre  nuovo  sforzo»  (p.  18).   Con  ciò  il  Carabellese  rende  esphcito  e  risoluto  il  suo  schierarsi per  una  filosofia  critica  contro  ogni  filosofia  normativa.  «  La  filosofia  rinunzia  ad  essere,  con  le  proprie  norme,  la  guidatrice  di  ogni  concreta  attività  spirituale  »  (p.  19),  avendo  «natura  di  sforzo,  e  non  di  scienza»  {ivi).  «La  filosofia deve  dunque  abbandonare  la  scientificità,  per  salvare,  insieme  con  la  propria  oggettività,  quella  stessa  dell'essere  »  (p.  117).  Dio  come  assoGiustificate  COSÌ  le  tesi  della  Critica  del  concreto  e  quelle  luto  oggetto  ^j  £j^^  ^Q^'^  i^  filosofia?,  la  nuova  analisi  del  Carabellese  viene   puro.  a  trovarsi  direttamente  di  fronte  al  problema  di  Dio.  Dio,  «  come  assoluto  oggetto  puro  »,  é  ancora  il  problema  del  lontano  volume  del  1914,  L'essere  e  il  problema  religioso,  filtrato,  tuttavia,  attraverso  tutta  l'esperienza  storiografica  e  speculativa  di  quegli  anni.  Al  volume  giovanile  era  stato  obiettato  che  l'essere,  che  è  il  piìi  astratto  dei  concetti,  non  può  illuminare  il  problema  religioso,  che  é  tra  i  piìi  concreti;  e  la  meditazione  carabellesiana  di  quegli  anni  era  stata  la  risposta  a  tale  obiezione:  l'inserzione  dell'essere  nel  concreto.  Perciò  il  Carabellese  torna  a  dire  che  la  filosofia,  non  solo  non  può  evitare,  ma  ha  per  suo  compito  oggettivo  specifico il  parlare  di  Dio,  e  il  correggerne  la  rappresentazione  realistica  che  ne    generalmente  la  religione;  nonché  il  liberare  Dio  dai  due  «  presupposti  »,  della  esistenza  e  della  soggettività,  senza  peraltro  aver  punto  la  pretesa  di  contestare l'atteggiamento  dell'adorazione  religiosa:  anzi,  offrendole il  suo  vero  oggetto.  Dio  è,  non  esiDÌO,  afferma  Carabellese,  è,  non  esiste.  Era  stato  detto  ^^^già  da  molti  altri,  in  particolare  dal  Vico,  al  termine  della    //  problema  teologico  269   Prima  risposta  al  Giornale  dei  letterati:  «  Impropriamente  esplica  la  sua  pietà  »  chi  (come  Cartesio)  inferisce  dalla  propria esistenza  la  esistenza  di  Dio,  perchè  «  Dio  non  esiste,  ma  è  »  (e  ancora:  «  Iddio  non  c'è,  ma  è  »).  Il  senso,  tuttavia,  in  cui  il  CarabeUese  riprende  questa  formula  è  originale:  «  Se,  infatti,  Dio  è  essere  in  sé,  e  l'esistere  invece  è  essere  in  relazione,  dire  che  Dio  come  tale  esiste,  comunque  si  intenda  l'esistere,  è  pronunciare  verbalmente  soltanto  una  contraddizione,  ma  non  dire  nulla:  affermare  l'esistenza  di  Dio  è  negare  Dio»  (p.  169).  «Affermare  l'esistenza  di  Dio  è  negare  Dio  rendendo  impossibile  uno  spirito  che  lo  affermi  »  (p.    171).   Anche  l'argomento  ontologico,  che  il  CarabeUese  come  L'argomento  quasi  tutti  gh  idealisti  riprende  e  accogUe  originalmente,  ^^^°^°s^^°adattandolo  al  proprio  tipo  di  idealismo,  è  bensì  inadatto  egH  dice  a  dimostrare  l'esistenza  di  Dio,  ma  serve  ad  attestarne  la  «  pura  inseità  »  (p.  177)  :  la  quale  è  solo  di  Dio,  dato  che  «  tutto  ciò  che  esiste  non  è  in  sé,  perchè  l'esistenza  sta  proprio  nella  reciprocità,  che  è  alterità,  e  non  inseità  »  (p.  180).  «L'essenza  dell'argomento  ontologico  sta  proprio  nella  negazione  della  singolarità  e  rappresentatività  di  Dio  (negazione  della  quale  l'inconoscibilità  kantiana  non  è  lontana) »  (p.  179).  Pensare,  e  non  pensare  Dio,  è  davvero  impossibile, come  osservava  Anselmo:  perché  Dio  è  l'oggettività di  ogni  atto  di  pensiero.   13.  La  manifestazione  dell'essere.    Tuttavia  questo  essere  come  puro  oggetto  del  pensiero,  pur  essendo  stato  immesso  nel  concreto,  rischia  facilmente  di  apparire  troppo  povero  di  determinazioni  per  costituire  il  «  problema  oggettivo »  della  filosofia.  E  negH  anni  dell'insegnamento  di  teoretica  a  Roma  il  CarabeUese  si  sforza  di  quaUficarlo  maggiormente, servendosi  deUe  determinazioni  del  tempo,  secondo  la  hnea  già  indicata  daUa  Critica  del  concreto.  Queste  meditazioni deU'ultimo  CarabeUese  furono  raccolte  in  cinque  volumi  di  dispense,  preparate  da  lui  prima  dei  rispettivi  corsi,  tra  il  1944  e  il  1948.   I  titoli  sono:  L'essere  e  la  sua manifestazione.   Parte  I:  La  dialettica  delle  forme  (1944-46);  L'essere.    Parte   II:    Io    (1947);    L'attività   spirituale   umana.  Prime  linee  di  una  logica  dell'essere  (1948).  Uessere  quali       «  L'essere  qualitativo  egli  spiega  nel  primo  di  questi  tahvo.  volumi  proprio  perchè  è  il  diverso,  presenta  la  sua  attività,   che  è  attività  prima  e  principio  di  ogni  attività,  sotto  tre  aspetti,  che  finora  hanno  costituito  tre  ordini  di  problemi  separati  gli  uni  dagli  altri,  e  che,  quindi,  sono  stati  risolti  indipendentemente  e  incoerentemente:  dico  i  problemi  dei  valori  delle  categorie  e  degU  atti  dell'attività  spirituale  »  (p.  86).  Anche  se  l'essere  è  una  pura  potenziahtà  eterna,  gli  atti  si  diversificano:  il  passato,  inserendosi  nel  presente,  vi  costituisce  il  fatto  e  il  futuro  vi  costituisce  il  fine  :  «  Il  fine,  come  già  il  fatto,  è  un  diverso  atto  in    »  (II,  p.  160),  e  ha  anch'esso  una  sua  oggettività  pura,  perchè  «  il  sommo  fine  in    non  può  essere  uno  dei  tanti  che  sentono  il  fine,  ma  dev'essere,  invece,  proprio  quel  tale  unico  sentimento  del  bene  che  tutti  noi  abbiamo  quando  ci  proponiamo  dei  fini»  (p.  196).  La  bellezza.  Auchc  la  bellezza  ritorna,   nell'esame  dell'ultimo  Cara bellese, come  «  realtà  in    »  del  «  sentimento  fondamentale  »,  e,  quindi,  non  come  prodotto  dell'arte  (crocianamente),  bensì  all'inverso  come  suo  presupposto  :  «  Dio  come  bellezza  è  l'ineliminabile  presupposto  dell'arte  e  degli  artisti  »  (p,  257).  Coerentemente  con  tutto  il  resto  della  sua  posizione,  il  Carabellese considera  un  grave  errore  il  «  presupporre  l'artista  al  bello,  cioè  il  singolare  all'universale»  (III,  p.  325).   Nella  seconda  parte  dell'opera,  intitolata  L'io,  il  Carabellese ribadisce  la  sua  concezione  della  coscienza  concreta:  «  Il  consapere  è  il  sapere  che  io,  compatta  unità  plurima,  ho  di  Dio,  l'unico  universale»  (p.  162).  Maggiori  novità  si  trovano  nella  parte  su  L'attività  spirituale  umana,  che  obbedisce  a  questo  canone  generale  :  «  L'attività  spirituale  umana  attui  l'essere  »  (p.  32)  :  canone  specificantesi  poi  nell'imperativo  di  attuare  l'essere  in  quanto  bene  (p.  42)  e  in  quanto  necessità  (p.  46).  Su  quest'ultimo  punto  si  fonda  la  logica,  come  legge  dell'attività  umana  consapevole,  dato    La  manifestazione  dell'essere  271   che  «  il  logo  si  rivela  come  lo  stesso  essere  in  quanto  presente nell'attiva  coscienza  umana»  (p.  89).   Sotto  questa  rubrica  il  Carabellese  estende  ora  la  sua  riLa  società.  cerca  a  un  campo  che  poteva  sembrare  marginale,  rispetto  ai  suoi  interessi,  la  società:  poiché  la  logica,  come  legge  dell'attività  umana,  sotto  il  suo  aspetto  sentimentale,  è  «  logica  della  famigha  »,  oltre  che  della  poesia  e  dell'arte,  e  sotto  il  suo  aspetto  intellettivo  è  «  logica  della  nazione  »,  «  della  scuola  »  e  «  della  storia  ».  Infine,  sotto  il  suo  aspetto  vohtivo,  è  «  logica  del  popolo  »,  «  dello  Stato  »,  «  del  costume  ».   Per  quanto  affiancate,  però,  da  un  volumetto  pubbhcato  nel  1946,  L'idea  politica  d'Italia,  queste  riflessioni  ultime  del  Carabellese  sui  temi  della  società  appaiono  prive  di  sufficiente elaborazione.  Del  resto,  questo  non  è  un  caso:  risponde al  rifiuto  del  Carabellese  di  sacrificare  alla  concretezza della  filosofia  la  sua  universalità.  Abbiamo  già  incontrato questo  rifiuto  nell'articolo  del  '21,  e  nel  Problema  teologico;  e  lo  troviamo  ribadito  negli  scritti  Che  cos'è  la  filosofia?  (1942).  Esso  non  è  altro  che  un  corollario  del  rifiuto  di  «  accettare  l'idealistica  riduzione  dell'essere  alla  coscienza  »,  la  quale  impedirebbe  alla  filosofia  di  continuare  ad  essere  filosofia  dell'essere,  e  quindi,  in  ultima  analisi,  annullerebbe  la   possibilità   della   filosofia  medesima.   Capire  ciò  osserva  una  postilla  del  '42  al  saggio  del  '21  irriducibilità  «  deve  essere  ben  difficile,  se  i  miei  giovani  amici,  certo  di  '^^''^  filosofia.  pronto  ingegno,  come  lo  Spirito  prima  e  il  Calogero  dopo,  non  hanno  visto  che,  con  la  loro  aperta  professione  di  riduzione della  filosofia  alle  determinate  scienze  (Spirito),  o  a  filosofia  della  prassi  (Calogero)  non  hanno  fatto  altro  che  dotarmi  di  spirito  profetico,  in  quanto  avevo  prearmunziato  il  necessario  finire  della  filosofia  neohegehana  in  genere,  e  attuahstica  in  specie,  nell'uno  o  nell'altro  dei  detti  estremi  »  {Che  cos'è  la  filosofia?,  1942,  p.  71).   La  stessa  soluzione  che  il  Carabellese  aveva  proposta  nel  '21,  peraltro,  \'iene  da  lui  criticata,  perchè  in  essa  il  «  problema interno  »  della  possibihtà  del  filosofare  non  era  visto  nella  sua  «  connessione  con  la  soluzione  ontologica  del  problema  oggettivo»  (p.  87).    si  parlava  ancora,  infatti,  di  una  «  trascendenza  »  della  filosofia,  mentre  la  filosofia  come  la  religione  non  è  trascendente  essa  stessa,  bensì  «  ricerca  del  trascendente,  trascendentalità  ».  Entrambe,  filosofia  e  religione,  se  rivendicassero  il  concreto,  «  dovrebbero  perire  insieme  nel  contendersi  tutta  l'attività  spirituale  concreta,  o  una  determinata  forma  di  questa  ».  Ma  «  che  periscano  è  impossibile:  bisogna  dunque  che  rinunzino  entrambe  alla  concretezza,  per  salvarsi  entrambe,  ciascuna  col  suo  proprio  valore  »  (p.  120).   Eppure  questa  rinunzia  è  ancora  soltanto  una  condizione negativa.  Dopo  di  essa  bisogna  chiedersi,  come  fa  il  saggio  conclusivo  del  volume:  È  possibile  filosofare  ?  ».  Kant  aveva  dimostrato  (secondo  il  CarabeUese)  che  una  filosofia  come  specifico  «  sapere  dell'  essere  »  è  indispensabile.  Ma  i  post-kantiani  «  annullarono  »  la  dimostrazione  kantiana,  e  con  ciò  la  stessa  filosofia,  ridotta  all'attività  spirituale  in  genere.  Solo  la  «  riflessione  pura  della  coscienza  ontologica  »  ristabilisce  la  possibilità  della  filosofia,  evitando  di  identificarla, sia  col  sapere  concreto  (delle  scienze),  sia  con  lo  stesso  principio  trascendente  (verso  il  quale  è  sforzo) .  Allora  «  problema interno  e  problema  oggettivo  del  filosofare  si  stringono saldamente  tra  loro,  pur  senza  confondersi:  perchè  sia  possibile  filosofare  devesi  ammettere  l'essere  in  sé,  del  quale  la  filosofia  sia  riflessione;  perchè  si  ammetta  l'essere  in  sé,  bisogna  che  sia  possibile  la  filosofia  come  speciale  sapere  o  meglio,  se  si  vuole,  come  quello  speciale  atteggiamento  di  coscienza  che  ricerca  il  trascendente  assoluto,  che  é  l'essere  in  sé»  (pp.  269-270).   La    filosofia    e  I4.    .      DcttO  CÌÒ,   tuttavia,   l'oggethvtia.  ^^^  gj  vcdc  aucora  da  che  cosa  il  filosofo  possa  desumere  ciò  che  ha  da  dire.  «  Il  filosofo  non  deve  professare  la  filosofia che  a  lui  personalmente  piaccia,  ma  quella  a  cui  l'oggettiva coscienza  lo  induca  »  {Che  cos'è  la  filosofia?,  cit.,  p.  vili)  :  ma  quale  è  quella  filosofia  a  cui  «  l'oggettiva  coscienza  lo  induce  »?  A  questa  domanda  il  Carabellese  non  può  ri  co.    Sovranità  della  filosofia  273   spendere,  se  non  con  una  «perenne  problematicità»  (p.  262),  che  corrisponde,  in  qualche  modo,  a  quella  problematicità  che  Ugo  Spirito  trarrà  dall' attuaUsmo.  Egli  dice  che  «  la  problematicità  del  filosofo  non  parte  affatto  dal  nulla,    dalla  negazione  :  parte  dalla  coscienza  concreta  »  (pp.  263-264)  :  ma  con  ciò  non  fa  altro  che  reinserirsi,  in  sostanza,  nella  tradizione socratico-platonica  (il  Carabellese  ne  cita  come  rappresentanti  «Aristotele  e  Agostino,  qui  d'accordo»),  secondo  cui  «  sapere  è  sempre  sapere  in  modo  piìi  espUcito  ciò  che  già  si  sapeva»  (p.  361).  Questo  appello  a  un  implicito da  esphcitare  si  giustifica,  tuttavia,  forse  meno  nell'ontologismo critico  che  nelle  filosofie  tradizionali,  platoniche  e  cristiane.   Queste  riserve  non  tolgono  che  Carabellese,  con  il  suo  spirito  profetivolume  del  '42  sulla  possibilità  della  filosofia  scritto  che  può  considerarsi  come  il  suo  testamento  spirituale  ponga  il  tema  principale  del  dibattito  filosofico  in  Italia  per  almeno  un  decennio:  il  tema  della  «morte  della  metafisica».  Anche  se  non  tutti  coloro  che  conducevano  quel  dibattito  si  ricordarono di  lui,  anche  se  i  più  tra  quelli  che  pronunziarono  una  sentenza  di  morte  per  la  metafisica  non  si  accorsero  della  loro  ignoratio  elenchi  rispetto  alle  tesi  del  Carabellese,  noi  non  possiamo  non  riconoscere  ancora  una  volta  in  Carabellese una  sorta  di  spirito  profetico  e,  questa  volta,  anche  rispetto  al  futuro.  Con  lucidità  impressionante,  infatti,  nel  1942  egli  respinge,  insieme  col  «  pregiudizio  della  normatività della  filosofia  »,  l'identificazione  tra  filosofia  e  politica  pura,  tra  filosofia  e  pohtica  determinata,  tra  filosofia  e  storia  della  filosofia  (nel  senso  che  sarà  sostenuto  poi,  tra  gh  altri,  dal  Garin)  e,  infine,  tra  filosofia  e  fede  (oltre  che,  come  già  si  è  visto,  tra  filosofia  e  scienza  e  tra  filosofia  e  prassi).  La  capacità  di  prevedere  e  prevenire  i  nemici,  in  Carabellese,  non  aveva  l'eguale.  Il  vedere  neUa  «  non  hegeliana  identificazione di  filosofia  e  politica  pura  »  la  «  esasperazione  della  hegehana  eticità  dello  Stato  »  ;  il  riconoscere  «  l'inutihtà  del  filosofare  nelle  determinate  esigenze  poUtiche  »,  contro  il  «  sogno  platonico  dei  filosofi  reggitori  di  Stato  »  ;  il  sostenere       «l'inutilità  del  filosofare  per  la  vita»  (p.  274),  come  «segno  deUa  sovranità  della  filosofia  »,  sono  una  battaglia  combattuta in  anticipo  contro  nemici  non  ancora  tutti  schierati.  E,  se  si  dovesse  guardare  al  suo  esito  pragmaticamente  e  storicisticamente,  si  dovrebbe  anche  dire:  una  battaglia  perduta.  Ma  il  senso  del  testamento  spirituale  di  Pantaleo  Carabellese  è  appunto  il  rifiuto  di  una  considerazione  pragmatica e  storicistica  della  filosofia.  Questo  rimane,  anche  se  la  tendenza  a  sacrificare  il  concreto  all'universalità  toghe,  a  quel  rifiuto,  molte  opportunità  di  proporsi  come  più  positivamente costruttivo. CrOCE  giunse  assai  tardi  alla    Tardivo  appro fìlosofia.  Benché  la  sua  attività  di  studioso  fosse  precocis^^  '^^^"'  fi^^^'^fi'^sima  (prima  dei  vent'anni  egli  aveva  già  pubblicato  alcuni  lavori)  e  si  esplicasse  fin  dall'inizio  con  rara  intensità,  tuttavia essa  non  offrì  stimoli  efficaci  al  manifestarsi  della  sua  vocazione  filosofica,  essendo  dominata  da  una  curiosità  di  erudito  e  di  letterato  che  trovava  il  suo  pascolo  nella  ricerca  d'archivio  e  di  biblioteca,  in  collaborazione  con  «  altra  onesta  e  buona  e  mite  gente,  uomini....  che  non  avevano  l'abito  del  troppo  pensare»  {Etica  e  Politica,  Bari,  1956*,  p.  388),  come  si  esprime  il  Croce  stesso  ;  ne  taU  stimoU  al  «  pensare  »  venivano  offerti  al  giovane  Croce  dai  casi  della  vita  e  dalle  influenze  dei  vari  ambienti  in  cui  tah  casi  si  verificavano  sotto  forma  di  problemi  spirituali  d'indole  etico-rehgiosa,  o  pratico-sociale,  e  simili  (e  son  preziose  per  questo  rispetto  le  confessioni  del  Croce  medesimo  nel  suo  Contributo  alla  critica  di  me  stesso  del  1915,  ripubbhcato  in  appendice  al  volume  Etica  e  Politica).   Nato  nel  1866  a  Pescasseroh,  paese  montano  degH  Abruzzi,   Vamhiente.  da  una  ricca  famiglia  di  proprietari  terrieri,  trovò  in  questa  esempi  di  severe  virtii  domestiche,  austera  laboriosità  del  padre  nell'amministrazione  del  suo  patrimonio,  cura  attenta  e  amorosa  della  casa  da  parte  della  madre,  la  quale  serbava  altresì  amore  per  i  libri  e  soprattutto  per  la  letteratura  romantica di  costume  medievale  oltre  che  per  l'arte  e  per  gli  antichi  monumenti,  amore  che  trasmise  vivissimo  fin  dai  primi  anni  d'infanzia  al  figlio,  il  quale  come  scrive  si  trovò  ad  avere  in  tutta  la  sua  fanciullezza  «  come  un  cuore  nel  cuore  »,  e  questo  cuore  «  era  la  letteratura  o  piuttosto  la  storia»  [ivi,  p.  380).  Ma  mancava  in  quell'ambiente  familiare qualunque  risonanza  di  vita  pubblica  e  politica:  il  persistente  segreto  attaccamento  ai  Borboni,  la  sorda  diffidenza per  le  idee  e  il  costume  del  nuovo  Stato  «  piemontese  »,  vietavano  ogni  partecipazione  attiva  al  moto  del  Risorgimento e  all'opera  di  costruzione  del  nuovo  Stato  nazionale.  E  le  relazioni  della  famigha  con  i  due  fratelli  Spaventa,  cugini del  padre,  si  erano  rotte:  l'ex-prete  Bertrando,  allora  professore  di  filosofia  all'Università  di  Roma,  era  oggetto  di  scandalo  per  la  sua  apostasia;  e  Silvio,  esponente  autorevole del  liberalismo  trionfante,  era  sentito  come  l'incarnazione di  quel  mondo  a  cui  i  Croce  erano  intimamente  estranei  o  avversi.   Eguale  sordità  alle  esigenze  della  nuova  politica  e  del  nuovo  pensiero,  il  giovane  Croce  trovò  nel  collegio  tenuto  da  ecclesiastici  a  Napoli,  dove  egli  entrò  a  circa  io  anni  e  dove  compì  i  suoi  studi  secondari,  che  alimentarono  le  sue  inclinazioni  letterario-erudite,  specialmente  sotto  l'influenza  del  De  Sanctis  e  del  Carducci,  da  lui  letti  e  riletti  sui  banchi  del  liceo,  senza  che  tuttavia  riuscisse  a  sentire,  se  non  in  modo  superficiale  l'alta  ispirazione  morale  della  loro  opera  critica.  E  si  compì  in  quegli  anni  quella  ch'egli  chiama  «  crisi  rehgiosa  »,  determinata  non  da  profondo  travaglio  o  inquietudine interiore,  ma  dal  graduale  spontaneo  spegnersi  dell'adesione a  credenze  da  lui  fino  allora  passivamente  accolte  e  dall'abbandono  delle  pratiche  esteriori.  Gli  studi.  Al  termine  degli  studi  secondari,  la  sua  vita  fu  sconvolta   da  una  gravissima  sciagura  familiare,  la  perdita  di  entrambi    /  casi  della  vita  277   i  genitori  e  dell'unica  sorella  nel  terremoto  di  Casamicciola  (nell'isola  d'Ischia,  dove  la  famiglia  era  a  villeggiare),  ed  egli  stesso  rimase  per  molte  ore  seppellito  sotto  le  macerie,  uscendone  con  le  ossa  fracassate.  Guarito  daUe  ferite,  avendo  lo  zio  Silvio  Spaventa  assunto  la  tutela  dei  due  orfani  sopravvissuti, egli  si  trasferi  a  Roma,  in  casa  del  tutore,  e  ci  rimase  tre  anni.  In  questo  periodo  fece  due  esperienze  nuove,  che  lasciarono  tracce  durevoli  nel  suo  spirito:  casa  Spaventa  era  frequentata  da  gran  numero  di  parlamentari  e  giornalisti  ed  esponenti  deUa  cultura  universitaria,  tra  i  quali  si  accendevano vivacissime  discussioni  sui  fatti  del  giorno  e  sugh  avvenimenti  della  vita  politica,  discussioni  dominate  da  passioni e  contrasti  così  importanti  e  violenti  da  turbare  l'animo  del  giovanetto  che  vi  assisteva,  trasformando  l'indifferenza  per  la  politica,  propria  degli  ambienti  in  cui  fino  allora  era  vissuto,  in  vera  e  propria  avversione.  D'altra  parte,  iscritto  alla  Facoltà  di  Giurisprudenza,  per  essere  avviato  alla  diplomazia, non  trovò  in  quegU  studi  nulla  che  lo  interessasse  e  valesse  a  placare  le  sue  ansie  per  la  vita  avvenire,  a  sollevare il  suo  spirito  dalla  nera  depressione  nella  quale  la  sciagura famihare  lo  aveva  lasciato  (fu  pessimo  scolaro,  e  non  giunse  mai  alla  laurea).  Ma  nella  Facoltà  di  Lettere  insegnava allora  Filosofia  Morale  un  uomo  di  grande  ingegno  e  di  forti  entusiasmi,  Antonio  Labriola,  ch'egU  aveva  conosciuto e  preso  ad  ammirare  nelle  conversazioni  serali  di  casa  Spaventa.  Il  giovane  Croce  si  diede  a  frequentare  le  lezioni  universitarie  del  Labriola,  e  ne  fu  preso.   «  ....  Quelle  lezioni  scrive  il  Croce  nel  suo  Contributo  Labriola,  [ivi,  p.  387)  vennero  incontro  inaspettatamente  al  mio  angoscioso  bisogno  di  rifarmi  in  forma  razionale  una  fede  sulla  vita  e  i  suoi  fini  e  doveri,  avendo  perso  la  guida  della  dottrina  rehgiosa  e  sentendomi  nel  tempo  stesso  insidiato  da  teorie  materialistiche,  sensistiche  e  associazionistiche,  circa  le  quah  non  mi  facevo  illusioni,  scorgendovi  chiaramente  la  sostanziale  negazione  della  moraUtà  stessa,  risoluta  in  egoismo  piìi  o  meno  larvato.  L'etica  herbartiana  del  Labriola  valse  a  restaurare  nel  mio  animo  la  maestà  dell'ideale,  del    278  Cap.  XXXVI.  L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   dover  essere  contrapposto  all'essere,  e  misterioso  in  quel  suo  contrapporsi,  ma  perciò  stesso  assoluto  e  intransigente  ».   L'herbartismo  del  Labriola  suscitava  in  Croce  reverenza  per  forme  ideali  eterne,  platonicamente  scisse  dal  reale  e  collocate  nell'empireo,  fornenti  nella  loro  assolutezza  un  solido  fondamento  alla  morale,  e  andava  incontro  alla  sua  istintiva  avversione  al  naturalism.o  positivistico,  che  sommergeva nell'esperienza  e  abbassava  a  superstizione  ogni  culto  dell'ideale.  Piiì  tardi  il  Croce  tornerà  sull'herbartismo,  e  porrà  ogni  suo  sforzo  nell'intento  di  colmare  quell'abisso  tra  ideale  e  reale,  attribuendo  alle  idee  calate  dall'empireo  nel  mondo  dell'esperienza  il  valore  di  principii  direttivi  o  «  forme  »  dell'operare  umano,  e  riconoscendo  le  esigenze  più  profonde  dell'aborrito  positivismo.  Ma  per  il  momento  l'herbartismo  suscitava  in  lui  un  fermentare  d'idee  sul  rapporto tra  dovere  e  piacere,  sulla  distinzione  tra  azioni  ispirate  al  rispetto  della  pura  idea  morale  e  quelle  scaturite  da  impulsi  passionali.   Indagini  eruTomato  a  NapoH,  dopo  tre  anni  di  soggiorno  a  Roma,  «  lasciata  la  pohticante  società  romana  acre  di  passioni  »,  entrò  «  in  una  società  tutta  composta  di  bibliotecari,  archivisti, eruditi,  curiosi  »  [ivi,  p.  388)  e  a  quella  società  egli  si  adeguò  pienamente  e  dall'86  al  '92  fu  com'egli  dice  «  tutto  versato  nell'esterno,  cioè  nelle  ricerche  di  erudizione  »  {ivi,  p.  390).  L'intensità  e  la  foga  di  questo  lavoro  d'indagini  nei  campi  angusti  degli  aneddoti  e  curiosità,  finì  col  produrre  in  lui  «  sazietà  »  e  «  disgusto  »  per  quelle  «  esercitazioni  esterne  ».  E  da  questo  scontento  credette  di  poter  uscire  allargando  l'orizzonte  delle  sue  ricerche  dall'ambito  di  vicende locali  a  quello  della  vita  morale  delle  nazioni  nei  loro  reciproci  rapporti  (ad  esempio  i  rapporti  italo-spagnoH  nel  Rinascimento).  Ma  di  quello  scontento  egli  intuì  la  più  vera  e  profonda  ragione  nel  fatto  che,  mentre  da  tanti  anni  faceva o  credeva  di  fare  storia,  non  sapeva  che  cosa  fosse  la  storia,  quale  ne  fosse  la  natura:  e  meditando  su  questo  problema,  con  ampie  letture  (prendendo,  tra  l'altro,  un  primo  contatto  con  La  scienza  nuova  del  Vico)   s'accorse  che  la    dite    /  casi  della  vita  279   soluzione  di  esso  impKcava  un  radicale  cangiamento  di  prospettiva, uno  spostamento  d'interesse  da  quello  che  è  l'oggetto del  conoscere  storico,  dai  fatti  costituenti  il  passato  che  s'intende  ricostruire,  alla  mente  dello  storico  che  è  il  soggetto  di  quell'opera  di  ricostruzione,  per  ricercare  in  essa,  nella  coscienza  dell'uomo,  i  tratti  specifici  di  quella  forma  di  conoscenza  che  è  la  conoscenza  storica  nelle  sue  connessioni  con  le  altre  forme  di  sapere  di  cui  l'uomo  è  capace  e  con  l'operare  pratico  costitutivo  della  vita  dell'uomo.  Era,  //  problema  quello,  un  problema  di  logica  della  storia,  concernente  cioè  '^^"^  ^^'"'*^il  concetto  della  storia,  era  dunque  un  problema  di  filosofia,  di  filosofia  sulla  storia.  Da  queste  meditazioni  nacque  il  saggio  del  1893,  La  storia  ridotta  sotto  il  concetto  generale  dell'arte,  «  che  fu  come  dice  il  Croce  come  una  rivelazione  di  me  a  me  stesso,...  come  cosa  che  mi  stava  a  cuore  e  mi  usciva  dal  cuore,  e  non  come  una  più  o  meno  frivola  e  indifferente  scrittura  di  erudizione  ».   Quel  saggio  suscitò  un  gran  fervore  di  polemiche  che  tennero  impegnato  il  Croce  per  vari  mesi,  e  lo  indussero  a  chiarire  e  sviluppare  il  suo  pensiero  in  vari  scritti,  raccolti  poi  nel  volume  Primi  saggi.   Ma  quando,  gettata  luce  filosofica  sul  lavoro  storico,  egH  credeva  di  poter  tornare  a  questo  riprendendo  le  sue  ricerche  sui  rapporti  tra  ItaUa  e  Spagna,  una  nuova  spinta  improvvisa e  irresistibile  lo  ricacciò  con  rinnovato  fervore  nelle  riflessioni  sul  problema  della  storia  e  fu  un  secondo  incontro  col  suo  vecchio  maestro  e  amico  Antonio  Labriola,  che,  passato dall'herbartismo  al  marxismo,  mise  il  suo  giovane  amico  a  parte  dell'opera,  a  cui  egli  si  era  accinto,  di  teorizzamento  del  socialismo  e  della  dottrina  del  materiahsmo  storico  che  ne  costituiva  l'ideologia.   Il  contatto  col  marxismo  ingenerò  nel  Croce  anche  un  11  marxismo.  appassionamento  politico,  la  fede  sociaHstica  nella  pahngenesi  del  genere  umano  redento  dal  lavoro,  e  nel  lavoro:  ma  fu  un  appassionamento  politico  passeggero,  che  quella  fede  fu  corrosa  dalla  critica  ch'egU  venne  facendo  dei  concetti del  marxismo,  in  una  serie  di  saggi,  da  lui  scritti  tra  il  1895  e  il  1900,  raccolti  poi  nel  volume  del  '900  che  porta  il  titolo  Materialismo  storico  ed  economia  marxistica.  Ma  «  del  tumulto  di  quegli  anni  mi  rimase  come  buon  frutto  l'accresciuta  esperienza dei  problemi  umani  e  il  rinvigorito  spirito  filosofico  »  {Primi  Saggi,  Bari,  1951^,  p.  396).  Il  Croce  si  sente  ormai  maturo  per  dare  una  organica  sistemazione  alle  idee  sulla  storia,  scaturite  primamente  dalle  riflessioni  sulla  connessione della  storia  con  l'arte  e  ampliatesi  poi  e  approfonditesi  nell'esperienza  marxistica.  Quest'organica  sistemazione  costituirà quella  che  Croce  chiamerà  «  Filosofia  dello  Spirito  »,  che  si  apre  con  l'Estetica  e  si  conclude  con  la  Teoria  e  storia  della  storiografia,  occupando  il  quindicennio  che  precede  la  guerra  mondiale.  Politica  attiva.  Dopo  la  fine  della  guerra  Croce,  senatore  dal  1910,  entrò  a  far  parte  del  gabinetto  Giolitti  come  ministro  dell'Istruzione,  e  progettò  una  riforma  scolastica  che,  tuttavia, non  ebbe  il  tempo  di  far  approvare  dalle  Camere,  per  la  caduta  del  Ministero.  Con  l'avvento  del  fascismo  non  volle  pili  accettare  incarichi  di  governo,  ma  lui  stesso  indicò  in  Gentile  l'uomo  che  avrebbe  potuto  portare  a  termine  la  riforma.  Già  in  questo  momento,  tuttavia,  i  rapporti  tra  i  due  filosofi  si  andavano  raffreddando  :  sia  per  ragioni  teoriche  (come  vedremo),  accentuate  ancora  dalle  polemiche  tra  i  rispettivi  discepoli,  sia  per  ragioni  politiche.  Dopo  il  delitto  Matteotti,  Croce,  che  aveva  in  un  primo  tempo  accettato  il  fascismo  come  minor  male,  mutò  il  suo  voto  favorevole,  «  prudente  e  patriottico  »,  in  una  decisa  opposizione.  Cessò  quasi  del  tutto  di  frequentare  il  Senato,  e  pronunziò,  e  mise  per  scritto,  severe  condanne  del  fascismo.  Salvo,  tuttavia,  un'invasione  della  sua  casa  napoletana  da  parte  di  esagitati,  che  la  moglie  Adele  contribuì  a  fermare,  fu  sempre  lasciato  tranquillo,  e  alla  rivista  che  il  Croce  aveva  fondato  nel  1903,  «  La  critica  »,  fu  lasciata  una  libertà,  per  quei  tempi,  eccezionale. Questa  voce  d'opposizione,  per  un  verso,  serviva  da  aUbi  culturale  al  regime,  ma  per  un  altro  servì  a  raccogliere  intorno    al    crocianesimo    tutto    l'antifascismo    rimasto    nei    /  casi  della  vita  281   confini  italiani.  Caduto  il  fascismo,  tuttavia,  non  riuscì  al  Croce  di  trattenere  se  non  in  minima  parte  tale  antifascismo nel  quadro  e  nello  spirito  del  ricostituito  partito  liberale,  di  cui  Croce  fu  presidente.  Membro  della  Costituente  e  ministro,  Croce  concluse  definitivamente  la  sua  vita  politica nel  1948,  per  proseguire  senza  soste  i  suoi  studi,  fino  alla  morte,  avvenuta  il  20  novembre  1952.  Lasciò  parte  del  suo  palazzo  napoletano  e  la  ricchissima  biblioteca  all'Istituto  per  gli  studi  storici,  da  lui  fondato  nel  1947,  con  lo  scopo  soprattutto  di  indirizzare  i  giovani  verso  quelle  ricerche  che  più  aveva  amate.   2.  La  storia  come  arte  e  come  scienza.    Avendo  l'occhio  alla  futura  costruzione  del  sistema  della  «  Filosofia  dello  Spirito  »,  delineeremo  brevemente  come  preparazione  di  essa  le  idee  principah  contenute  così  nella  memoria  su  La  storia  ridotta  sotto  il  concetto  generale  dell'arte  e  negh  scritti  ad  essa  collegati,  come  nella  raccolta  dei  saggi  sul  Materialismo stanco.   Nell'attività  intellettuale  del  giovane  Croce,  la  ricerca  La  storia  tra  storico-erudita  e  quella  storico-letteraria  o  critica  della  poesia  erano  costantemente  affiancate  e  spesso  (come  ad  esempio  nell'esame  della  poesia  popolare  e  delle  leggende  locali)  s'intrecciavano tra  loro,  guidate,  se  non  dal  concetto,  dall'intravvedimento  d'un'affinità  spirituale  e  d'una  comune  radice  spirituale  della  storia  e  dell'arte.  Si  capisce  quindi  che,  quando  nel  1893,  nella  «  Memoria  »  con  cui  Croce  inizia  la  sua  attività filosofica,  prese  ad  esaminare  di  proposito  nei  suoi  termini  più  generali  il  problema  della  natura  della  storia,  egH  avesse  presente  quel  ravvicinamento  della  storia  all'arte,  da  lui  sperimentato  negh  anni  precedenti.  E  partendo  dal  presupposto  comunemente  accettato,  anche  se  non  criticamente fondato  che  vi  siano  due  e  non  più  di  due  forme  di  conoscenza,  quella  sopraccennata  dell'arte  e  quella  della  scienza,  il  problema  deUa  natura  della  conoscenza  storica assumeva  la  forma  del  problema  se  la  storia  rientrasse  nell'ambito  dell'arte  o  in  quello  della  scienza,  e  si  risolveva    arte   e   scienza. con  la  tesi  che  la  storia  non  si  identificasse  senz'altro  con  l'arte,  ma  fosse  riducibile  sotto  il  concetto  generale  dell'arte,  come  suona  il  titolo  della  «  Memoria  ».   Occorre  dunque  innanzi  tutto  precisare  i  caratteri  che  differenziano  l'arte  dalla  scienza.  E  in  questa  precisazione  si  conclude  che  la  scienza  è  elaborazione  della  realtà  in  forma  concettuale,  per  cui  il  particolare  è  inteso  in  quanto  riportato all'universale;  l'arte  invece  è  elaborazione  della  realtà  in  forma  rappresentativa,  è  conoscenza  immediata  o  intuitiva  dell'individuale.   Vero  è  che  il  Croce,  all'inizio  della  sua  «Memoria»,  esaminando le  varie  definizioni  dell'arte  date  dagli  studiosi,  ritiene  come  sola  definizione  accettabile  quella  che  gH  storici  dell'Estetica  attribuiscono  ad  Hegel,  secondo  la  quale  l'arte  è  manifestazione  sensibile  o  espressione  di  qualcosa  che  per  Hegel  è  l'idea.  Sembra  che  con  ciò  il  Croce  enunci  un  concetto  dell'arte,  nuovo  rispetto  a  quello  dell'arte  come  conoscenza  dell'individuale.  Ma  in  effetti  il  Croce  non    al  concetto  di  espressione  alcun  rilievo  particolare  in  questo  senso,  e  in  ogni  caso  non  sarebbe  pertinente  al  problema  ch'egH  discute,  concernente  la  natura  artistica  della  storia:  per  questo  problema il  concetto  di  arte-espressione  è  irrilevante,  mentre  si  accentua  a  questo  scopo  il  concetto  di  arte  come  conoscenza  rappresentativa,  non  concettuale.  La  storia  come  Da  quauto    è  detto  sui  caratteri  differenziali  tra  scienza  e  arte,  risulta  che  la  storia  non  è  scienza,  appunto  perchè  non  elabora  concetti,  ma  espone  fatti  nella  loro  concretezza  individuale.  Vero  è  che  da  varie  parti  si  è  tentato  di  considerare la  storia  come  elaborazione  di  concetti.  Da  parte  del  positivismo  la  storia  è  presentata  come  scienza  dello  svolgimento degli  uomini  nella  loro  attività  di  esseri  sociali,  identificandola  con  la  sociologia,  che  «  convertiva  l'idea  della  vita  storica  nella  monotona  ripetizione  di  alcuni  schemi  poHtici,  sociali  e  variamente  istituzionah,  e  nell'azione  di  alcune  leggi  generali  »,  e  con  tale  conversione  si  menava  vanto  d' innalzare  1'  «  ingenua  '  storia  degli  storici  '  »  a  «scienza  positiva  e  naturale»   {ivi,  p.   x).   E  d'altra  parte,    arte    La  storia  come  arte  e  come  scienza  283   nel  tempo  stesso  il  positivismo  abbassava  l'arte  a  «  piacere  dei  sensi,  piacere  di  associazioni  psichiche,  piacere  di  abitudini e  disposizioni  ereditarie  non  diverso  da  quello  dell'utile »  e  «  non  mancavano  coloro  che  la  riportavano  addirittura all'istinto  sessuale  o  alla  preistoria  animalesca  e  la  descrivevano  come  una  sorta  di  Hbidine  affinata  e  svaporata  »  {ivi,  p.   ix).   Contro  tali  deformazioni  del  concetto  di  storia,  miranti   Polemiche  canai caratterizzare  la  storia  come  scienza  o  elaborazione  con^^0  le  pseudostorte.  cettuale,   il   Croce   assume   un   atteggiamento   risolutamente   polemico.  Per  quel  che  riguarda  il  positivismo,  come  contro  il  sensismo  che  considera  l'arte  torbida  e  oscura  vibrazione  del  piacere  e  dell'utile,  il  Croce  riaffermava  che  l'arte  è  conoscenza, così  contro  il  sociologismo  affermava  che  la  storia  non  è  conoscenza  di  ritmi  generali  della  vita  sociale,  ma  è,  al  pari  dell'arte,  conoscenza  di  fatti  individuah;  e  agli  evoluzionisti osservava  che  la  storia  non  è  scienza  dello  svolgimento, non  determina  che  cosa  lo  svolgimento  è  (compito,  questo,  della  filosofia  indagatrice  dei  concetti  che  sono  i  principii  dell'essere)  ;  la  storia  espone  i  fatti  dello  svolgimento  umano  {ivi,  pp.  17-18).  E  con  argomenti  analoghi  criticava  la  filosofia  della  storia.   Che  la  realtà  storica  sia  attingibile  all'esperienza  e  sia  specificamente  realtà  umana,  è  concetto  che  si  collega  a  un  ordine  di  considerazioni  con  cui  il  Croce  fa  un  nuovo  passo  avanti  sulla  questione  della  natura  della  storia.  Si,  la  storia  s'è  visto  è  riducibile  sotto  il  concetto  generale  dell'arte,  in  quanto  questa  è  conoscenza  rappresentativa  della  realtà,  intuizione  immediata  e  irriflessa  dell'individuale  nella  sua  concretezza.  Ma  non  per  questo  la  storia  s'identifica  con  l'arte:  entro  l'ambito  della  produzione  estetica  la  storia  occupa  un  suo  posto  speciale  che  si  tratta  di  definire.   «  La  storia,  rispetto  alle  altre  produzioni  dell'arte,  si  occupa  (....)  non  di  ciò  ch'è  possibile,  ma  di  ciò  ch'è  realmente accaduto.  E  sta  al  complesso  della  produzione  dell'arte come  la  parte  al  tutto;  .  Ora,  nel  senso  corrente della  parola,  si  chiama  arte  solo  quell'attività,  ch'è  diretta  a  rappresentare  il  possibile  (piìi  propriamente  l'arte  in  senso  stretto  è  indifferente  alla  distinzione  tra  possibile  e  reale).  (....)  In  fondo,  anche  la  rappresentazione  del  realmente  accaduto la  storia  è  processo  essenzialmente  artistico  ed  offre  interesse  simile  a  quello  dell'arte.  Costruire  la  Prima  Condizione  per  avere  una  storia  vera  (e  insieme  narrazione.  opera  d'arte)  è  secondo  il  Croce  che  sia  possibile  «  costruire  una  narrazione  »,  cioè  appurare  la  materia  da  esporre  con  lavori  preparatore  di  ricerca  critica  e  interpretazione  dei  documenti,  i  quali  tuttavia  solo  di  rado  consentono  una  «  narrazione  »  completa,  ostacolata  dal  sorgere  continuo  di  dubbi  e  riserve  e  discussioni  [ivi,  p.  38).   Ma  a  questo  punto  il  problema  della  natura  della  storia  cambia  radicalmente  d'aspetto  e  presenta  gravi  difficoltà:  è  conciliabile  l'antico  concetto  di  storia-arte  col  nuovo  di  storia-narrazione?  Si  può  ancora  mantenere  la  tesi  che  la  storia  sia  rappresentazione  immediata  e  irriflessa  e  intuitiva,  escludente  qualsiasi  elaborazione  concettuale,  quando  si  afferma che  la  storia-narrazione  ha  il  compito  di  ridurre  i  fatti  alle  loro  cause,  e  questo  compito  implica  un  complesso  e  faticoso  lavoro  di  preparazione  che,  per  giunta,  solo  di  rado  porta  allo  scopo?  Non  occorre  forse  rinunziare  a  quella  che  era  la  tesi  fondamentale  della  «  Memoria  »,  che  la  storia  dovendo  essere  ricondotta  sotto  il  concetto  dell'arte,  resta  esclusa  dall'ambito  della  Scienza?   Questi  interrogativi  si  fanno  sempre  piìi  assillanti,  via  via  che  procediamo  nell'esame  di  considerazioni  espHcative  che  il  Croce  fa  negli  scrittarelli  da  lui  pubblicati  nei  due  anni  successivi,  e  particolarmente  in  quelli  su  La  filosofia  della  storia  e  in  quelli  Sulla  classificazione  dello  scibile:  considerazioni le  quali,  pur  con  oscillazioni  derivanti  dall'attaccamento alla  vecchia  tesi  della  storia-arte,  accentuano  il  carattere  scientifico  del  nuovo  concetto  di  storia-narrazione.  Distinzione  tra  Del  resto  è  Opportuno  sottolineare  il  Croce  stesso  possibile  e  reale.  ^Iq^^ìì  anni  dopo,  quando  aveva  già  percorso  un  lungo  itinerario speculativo  fino  al  punto  di  giungere  alla  sua  tesi    La  storia  come  arte  e  come  scienza  285   fondamentale  della  identità  della  storia  con  la  filosofia  quale  scienza  dei  concetti  puri,  raccogliendo  nel  volume  Primi  saggi  gli  scritti  giovanili  sopra  esaminati  (la  prima  edizione  della  raccolta  è  del  1919),  scrive  nella  prefazione  ad  esso,  che  quando  componeva  quegli  scritti,  «non  scorgeva  (....)  il  nuovo  problema  che  la  concezione  della  storia  come  rappresentazione estetica  del  reale,  gli  poneva  innanzi:  ossia,  che  una  rappresentazione,  nella  quale  il  reale  è  dialetticamente  distinto  dal  possibile,  è  più  che  semplice  rappresentazione  ed  estetica  intuizione,  e  si  attua  proprio  per  virtù  del  concetto »  {ivi,  p.  xi) ,  filosoficamente  inteso  come  unità  di  universale  e   individuale.   3.  Il  problema  della  storia  negli  studi  marxistici.    Dal  travaglio  di  pensiero  che  si  esprimeva  negli  scritti  crociani apparsi  tra  il  1893  e  il  '95,  afiìorava  sempre  più  chiaro  il  convincimento  che  la  storia,  pur  rimanendo  saldata  all'arte  nelle  sue  radici,  in  quanto  conoscenza  rappresentativa,  a-concettuale  del  reale  nella  sua  concreta  individualità,  implichi altresì  in  quanto  «  narrazione  »  di  fatti  realmente  accaduti  un'elaborazione  dei  dati  per  la  quale  i  fatti  siano  ricondotti  alle  loro  cause,  in  una  concezione  generale  della  natura  dell'uomo  autore  della  storia  tanto  come  individuo quanto  come  essere  sociale:  e  in  questa  elaborazione  la  storia  si  accosta  alla  scienza.   Siffatto  convincimento,  che  negli  scritti  sopra  accennati  volti  alla  dimostrazione  della  riducibilità  della  storia  sotto  il  concetto  generale  dell'arte  appare  vacillante  e  marginale,  si  consoUda  e  si  pone  al  centro  della  riflessione  speculativa  del  Croce,  quando,  attraverso  i  suoi  rapporti  col  Labriola,  gli  si  venne  scoprendo  un  mondo  nuovo,  a  lui  fino  allora  del  tutto  ignoto,  raffigurato  nella  dottrina  marxistica  del  materiaUsmo  storico,  di  cui  il  Labriola  si  era  rivelato  autorevolissimo interprete  in  saggi  pubblicati  a  cura  dello  stesso  Croce.   «  Intanto  io  scrisse  il  Croce  molti  anni  più  tardi  -,   Lo    studio    di  infiammato   dalla   lettura   deUe   pagine   del   Labriola,   preso  dal  sentimento  di  una  rivelazione  che  si  apriva  al  mio  spirito    Marx. ansioso,  ....  mi  cacciai  tutto  nello  studio  del  Marx  e  degli  economisti  e  dei  comunisti  moderni  e  antichi,  studio  che  dovevo  proseguire  intensamente,  per  oltre  due  anni  »  [Materialismo storico  ed  economia  marxistica,  Bari,  1961^",  Appendice, p.   282).   Frutto  di  questo  studio  fu  una  serie  di  saggi  usciti  tra  il  1896,  e  il  '900,  raccolti  in  quest'ultimo  anno  nel  volume  dal  titolo  Materialismo  storico  ed  economia  marxistica.  Ed  è  opportuno  sottolineare  subito  il  punto  di  vista  dal  quale  per  esplicita  dichiarazione  egli  si  proponeva  di  esaminare  la  dottrina  marxistica:  questa  gli  importava  soprattutto  «  al  fine  di  quel  che  se  ne  potesse  o  no  trarre  per  concepire  in  modo  piti  vivo  e  pieno  la  filosofia  e  intendere  meglio  la  storia  »  [ivi,  Appendice,  p.  302)  ;  il  che  significava  che,  nell'interpretazione del  marxismo,  nello  sforzo  di  liberarne  il  «  nocciolo  sano  »  dalle  sovrapposizioni  accidentali  introdottevi dallo  stesso  autore  e  dalle  incaute  deduzioni  della  scuola,  erano  presenti  al  Croce  gli  stessi  problemi  attorno  a  cui  egli  si  travagliava  fin  dal  periodo  precedente,  e  cioè  la  natura  gnoseologica  della  storia  e  la  determinazione  del  posto  che  essa  occupa  nel  quadro  generale  della  vita  spirituale, che  è  compito  della  filosofia  delineare.  Era  un  allargamento d'orizzonte  e  un  arricchimento  di  materiale  idoneo  all'avviamento  a  soluzione,  ma  in  una  continuità  di  problematica.   Il  materialismo  storico  presenta  due  aspetti,  che  il  Croce  nettamente   distingue   pur  riconoscendo   che   nella   dottrina  sono  strettamente  connessi.  //  materialismo         Per  un  lato,  esso  vuol  essere  una  teoria  scientifica,  che  storico.  mette  in  luce  la  struttura  del  divenire  storico.  Sostrato  della   storia  è  l'economia,  cioè  quel  sistema  nei  rapporti  tra  l'uomo  e  le  cose  della  natura  e  tra  l'uomo  e  l'uomo,  che  si  concreta  nel  lavoro,  produttivo  per  un  lato  di  beni  materiali,  il  cui  valore,  s'identifica  e  si  commisura  con  la  quantità  di  lavoro  necessario  a  produrli,  e  per  l'altro  lato  di  socialità  e  divisione  di  classi   in   un   giuoco   d'interessi  contrastanti.    Di   questa    Il  problema  della  storia  negli  studi  marxistici         287   struttura  reale  della  storia  sono  eco  o  riflesso  (sovrastrutture) quelle  manifestazioni  della  vita  umana  che  si  chiamano  moralità  e  rehgione,  diritto  e  politica,  arte  e  scienza  o  filosofia, sistemi  d'idee  (ideologie)  attraverso  i  quaU  l'uomo  acquista  coscienza  del  suo  proprio  essere  economico  e  del  divenire  di  esso  nella  storia.   Per  l'altro  lato,  il  materialismo  storico  è  un  programma  //  programma  pratico-politico,  che,  appoggiandosi  sulla  previsione  dell'avP^^'^'^^o'^^^arx.  venire  umano  resa  possibile  dalla  teoria,  assegna  all'azione  degli  uomini  una  direttiva  rivoluzionaria,  tendente  cioè  non  più  a  comprendere  ma  a  cangiare  la  realtà  storica,  verso  uno  sbocco  finale  nel  quale  il  dram.ma  della  storia  abbia  il  suo  scioglimento  (rivoluzione  comunista).  La  necessità  immanente al  divenire  storico  ha  portato,  nell'età  moderna,  alla  strutturazione  della  società  sulla  base  dell'economia  capitalistica,  caratterizzata  dalla  formazione  di  due  classi  in  reciproca  lotta  radicale:  l'una  è  quella  dei  detentori  di  tutti  gli  strumenti  di  produzione,  minoranza  privilegiata  sempre  pili  ristretta,  classe  dominante;  l'altra  è  la  massa  di  coloro,  che,  per  vivere,  dispongono  soltanto  del  lavoro  delle  proprie  braccia  che,  in  regime  di  sfrenata  concorrenza,  essi  sono  costretti  a  vendere  ai  dominatori  a  condizioni  sempre  più  esose.  La  ripartizione  della  ricchezza  prodotta  si  traduce  in  un  sistema  di  implacabile  sfruttamento  dei  lavoratori  da  parte  dei  datori  di  lavoro.  Quando  lo  sfruttamento  avrà  raggiunto  il  suo  culmine,  non  potrà  non  determinarsi  l'insorgere degli  sfruttati  contro  gli  sfruttatori,  non  potrà  non  determinarsi  l'urto  violento  fra  le  due  classi,  la  rivoluzione  che  spezzerà  l'involucro  capitalistico  e  porterà  all'espropriazione degli  espropriatori.  I  capitalisti  abbandoneranno  allora  alle  masse  gli  strumenti  di  produzione  di  cui  si  sono  impossessati.  Lo  Stato  diventerà  così  l'unico  imprenditore  e  datore  di  lavoro.  E  con  l'abolizione  della  proprietà  privata  cesserà  anche  la  divisione  della  società  in  classi.   A    conclusione    delle    lunghe    ricerche    e    meditazioni    su  questo   mondo   di   pensiero   rivelatogli   dal   Labriola,    Croce   20.    Lamanna.  storia  della  filosofia.  VH.    ima espresse  sul  materialismo  storico  il  suo  giudizio  che  ulteriormente sarà  sviluppato  e  articolato,  ma  non  mutato  nella  sua  sostanza  in  due  saggi,  uno  del  1896,  intitolato  Sulla  forma  scientifica  del  materialismo  storico,  e  l'altro  del  1897,  intitolato  Per  la  interpretazione  e  la  critica  di  alcuni  concetti  del  marxismo  (nel  voi.  cit.  Materialismo  storico  a  pp.  1-2 1  e  57-114  rispettivamente).  Critica  del  conE  innanzitutto  affronta  la  tesi  che  è  al  centro  della  dot!!!■?  '^^  ^'^"Motrina,  secondo  la  quale  sostrato  o  struttura  sottostante  della  Storia,  sorreggente  tutto  il  resto  e  principio  di  spiegazione, è  l'Economia.  In  questa  tesi  egli  rileva  un'ambiguità  fondamentale.  Per  un  verso  l'Economia  è  presentata  come  una  entità  trascendente  la  storia,  materia,  in  quanto  negazione della  spiritualità  o  coscienza  umana,  «  dea  ascosa  »  della  storia,  quella  che  tira  i  fili  dei  personaggi  e  delle  loro  azioni,  con  un  disegno  preordinato,  implicante  uno  stadio  terminale  e  apocahttico,  che  segna  il  passaggio  fatale  dalla  servitù  al  regno  della  libertà;  forma  o  nome  nuovo  dell'antico Dio  dei  teologi  o  dell'Assoluto  e  dell'Idea  dei  metafisici. Ne  deriva  la  conseguenza  deUa  tendenza  metodologica  a  costruire  la  storia  secondo  leggi  a  priori,  mettendo  a  tacere la  voce  genuina  dei  fatti;  ne  deriva  altresì  una  scissione, nella  vita  storica,  tra  realtà  e  apparenza,  noumeno  e  fenomeno,  tra  essere  originario  (materiale)  non  determinato  dalla  coscienza  e  coscienza  determinata  dell'essere,  tra  struttura (economica)  e  soprastrutture  (ideologiche).  Per  l'altro  verso:  il  materialismo  storico  è  una  prospettiva  di  umanizzazione dell'economia,  in  quanto  questa  non  è  che  un  momento o  aspetto  dell'operosità  umana,  unica  autrice  della  storia  -,  inserita  quindi  in  un  processo  (immanente  a  un  processo)  di  vita  cosciente  o  spirituale,  che  la  salda  a  tutte  le  altre  manifestazioni  egualmente  originarie,  della  coscienza.  La  dialettica  dell'economia  non  è  l'astratta  dialettica  dell'Idea, ma  la  dialettica  dei  bisogni  ossia  dell'effettiva  operosità umana,  quale  si  concreta  e  si  svolge  non  in  forme  meccanicamente  preordinate  e  prevedibili  a  priori,  ma  in  fatti  empiricamente  accertabili;  la  storia  è  concepita  come    //  problema  della  storia  negli  studi  marxistici        289   un  unico  tutto,  in  cui  è  indistinguibile  il  «  nocciolo  »  dalla  «  corteccia  »  ;  lo  spirito,  creatore  della  propria  storia,  non  è  lo  spirito  economico,  cioè  in  una  forma  particolare  e  astratta,  ma  è  lo  spirito  nella  sua  reale  unità  e  totalità;  si  scioglie  quindi  il  nesso  arbitrario  fra  storia  e  problema  socialista  e  in  genere  economico,  e  si  annoda  quello  tra  storia  e  vita,  concependosi  la  vita  nella  totalità  delle  sue  forme,  a  ogni  momento  nuova,  e  perciò  anche  come  economia,  ma  non  solo  come  economia.   Questi  due  ordini  di  motivi  sono  frammisti  e  confusi.  Filosofia  delia  cosi  nell'esposizione  dei  due  fondatori  della  dottrina  (Marx  ^smrcHHcoT^'  e  Engels)  come  nei  seguaci  della  scuola.  Per  Croce  si  tratta  di  due  orientamenti  opposti,  termini  d'un'alternativa  che  impone  una  scelta  :  o  la  via  vecchia  delle  filosofìe  della  storia,  teologiche  o  metafìsiche  che  siano,  o  la  via  nuova  d'un  umanismo critico  e  «  realistico  ».  Abbiamo  veduto  che  il  Croce,  anche  prima  di  prender  contatto  col  marxismo,  aveva  preso  un  atteggiamento  di  netta  opposizione  ad  ogni  forma  di  filosofìa  della  storia;  si  comprende  quindi  come,  di  fronte  al  materialismo  storico,  egli  ribadisca  il  concetto  che  la  reazione filosofica  dello  spirito  critico  ha  colpito  a  morte  e  gettato a  teiTa  quelle  costruzioni  della  storia,  fantasiose  e  arbitrarie  e  anche  tendenziose;  e  affermi  risolutamente,  per  far  valere  quegli  elementi  in  esso  contenuti  che  costituiscono  un  contributo  positivo  e  fecondo  al  rinnovamento  della  storiografìa e  della  filosofìa,  che  il  materialismo  storico  «  non  è  una  filosofìa  della  storia  »  {Materialismo  storico,  p.  9  ;  e  cfr.,  per  la  distinzione  dei  due  opposti  orientamenti  del  materialismo, l'opera  di  Croce,  Storia  della  storiografia  italiana  nel  secolo  XIX,  Bari,  Laterza,  1964*,  voi.  II,  p.  123  e  sgg.).   Per  quali  ragioni  il  materialismo  storico  non  ha  validità  come  filosofìa  della  storia?  E  per  quali  ragioni  gli  autori  e  gli  interpreti  di  esso  gli  hanno  dato  questo  orientamento  fallace?  Alla  prima  domanda  il  Croce  risponde:  la  possibilità  d'una  filosofìa  della  storia  presuppone  la  possibilità  di  una  risoluzione  concettuale  del  corso  della  storia,  ossia,  di  ritrovare il  concetto   al   quale   si  riducono  i   complessi  fatti storici,  di  scoprire  in  una  parola  la  legge  della  storia.  Ora  mentre  è  possibile  ridurre  concettualmente  gli  elementi  di  realtà  che  appaiono  nella  storia  (moralità,  diritto,  economia,  arte,  scienza)  e  anche  le  loro  relazioni  reciproche,  «  non  è  possibile  elaborare  concettualmente  il  complesso  individuato  di  questi  elementi,  ossia  il  fatto  concreto,  che  è  il  corso  storico »  {Materialismo  storico,  p.  3).  «La  società  è  un  dato  scrive  il  Labriola,  e  il  Croce  vi  aderisce  -,  e  la  storia  non  è   che   storia   della  società  ».    Il  materialismo  storico  non  è  una  teoria  rigorosa.    Li  conclusione,  per  il  Croce  nel  materialismo  storico  non  bisogna  cercare  una  teoria  da  prendere  in  senso  rigoroso e  anzi  esso  non  è  punto  quel  che  si  dice  propriamente  una  teoria.  Il  che  non  significa  disconoscimento  del  valore  delle  feconde  scoperte  che  sono  dovute  al  materialismo  storico  per  intendere  la  vita  e  la  storia,  l'affermazione  della  reciproca  dipendenza  di  tutte  le  parti  della  vita,  e  della  genesi di  esse  dal  sottosuolo  economico:  sicché  è  accettabile  l'affermazione  dell'Engels  che  le  condizioni  economiche  «  formano il  filo  rosso  che  attraversa  tutta  la  storia  e  ne  guida  l'intendimento»  {ivi,  p.  14).  Rispetto  alla  storiografia,  «il  materialismo  storico  si  risolve....  in  un  ammonimento  a  tener  presenti  le  osservazioni  fatte  da  esso  come  nuovo  sussidio  a  intendere  la  storia»  {ivi,  p.  15),  fornisce  allo  storico  un  buon  paio  di  occhiali,  che  permette  al  miope  di  vedere  ben  altrimenti  e  di  dare  contorni  precisi  a  tante  ombre  incerte;  ma  sono  formule  non  assolute,  che  sottintendono  sempre  un  «  presso  a  poco  »  e  un  «  all'incirca  ».  Esso  sorge  dal  bisogno  di  rendersi  conto  di  una  determinata  configurazione  sociale,  quella  scaturita  dalla  Rivoluzione  francese,  non  già  dal  proposito  di  ricercare  i  fattori  della  vita  storica  in  generale,  «  e  si  formò  nella  testa  di  politici  e  di  rivoluzionari  e  non  già  di  freddi  e  compassati  scienziati  di  biblioteca  »  {ivi,  p.  13).    Pel  Croce,  Marx  era  personalità  di  uomo  pratico  e  rivoluzionario, impaziente  di  ricerche  schiettamente  storiche,  preoccupato  soprattutto  di  cercare  nelle  anahsi  della  società    ti  co.    Il  problema  della  storia  negli  studi  marxistici attuale  (capitalistica)  le  premesse  per  una  società  futura  (comunistica)  da  realizzare  con  un'azione  rivoluzionaria,  a  cui  una  teleologia  storica,  determinata  a  priori,  assicurasse  con  una  infallibile  previsione  dell'avvenire  il  pieno  successo.   Per  lui  tra  la  comprensione  della  realtà  storica  e  l'azione  Prevalere  deivolta,  a  cangiare  questa  realtà  v'è  connessione,  ma  non  ^'^«'^'•'^sse  pf^nel  senso  che  l'una  costituisca  il  prius  che  condiziona  l'altra,  bensì  nel  senso  che  sia  l'azione  a  crearsi  quella  forma  di  comprensione  che  si  presti  a  fungere  da  strumento  per  lo  scopo  che  essa  persegue.  Un  tal  predominio  dell'interesse  pratico-politico  su  quello  teorico-scientifico  il  Croce  rileva  anche  nel  Labriola,  che  pure,  nella  sua  interpretazione  del  marxismo,  aveva  dato  un  riUevo  all'aspetto  umanistico  di  esso,  tale  che  alla  sua  posizione  si  era  inizialmente  appoggiato il  Croce  nella  sua  critica  del  marxismo  quale  filosofìa  della  storia.  Egli,  che  pure  ha  così  alto  il  rispetto  della  storia  ed  è  così  cauto  di  fronte  ai  fatti  concreti,  rimane  impigliato  nelle  formule  teoriche  del  materialismo  storico,  non  riesce  a  liberarsi  del  tutto  dal  fardello  delle  teorie  metafìsiche.  In  lui,  che  pure  era  uomo  di  scienza,  predominava  la  fede  nell'immancabile  avvento  del  comunismo,  e  questa  fede  era  sostenuta  e  illuminata  dalla  «  Weltanschauung  »  metafìsica  del  materialismo  storico,  «  ultima  e  definitiva  filosofìa  della  storia  ».  Sicché  per  lui  la  posizione  del  Croce  che,  preso  da  tenace  passione  scientifica,  accettava,  sia  pure  con  limitazioni e  riserve,  1'  «  economismo  »  marxistico,  ma  rifiutava  recisamente il  «  socialismo  »  significava  rinuncia  ad  intendere  sia  l'uno  che  l'altro  dei  due  termini;  era  posizione  d'  «intellettuale »  indifferente  alle  lotte  della  vita,  di  «  epicureo  contemplante »  amatore  solo  dei  dibattiti  delle  idee  nei  Hbri  {ivi,  p.  300  e  sgg.).   Contro  una  tale  connessione  o  anzi  identificazione,  operata  dal  Labriola,  tra  interpretazione  materialistica  della  storia  e  sociaHsmo,  il  Croce  scrive  :  «  Spogliato  il  materialismo  storico di  ogni  sopravvivenza  di  finalità  e  di  disegni  provvidenziali, esso  non  può  dare  appoggio    al  socialismo    a  qualsiasi  altro  indirizzo  pratico  della  vita.  Solamente  nelle sue  determinazioni  storiche  particolari,  nella  osservazione  che  per  mezzo  di  esso  sarà  possibile  fare,  si  potrà  eventualmente trovare  un  legame  tra  materiahsmo  storico  e  socialismo. L'osservazione  sarà,  per  esempio,  la  seguente:  la  società  è  ora  così  conformata  che  la  più  adatta  soluzione,  che  contiene  in  sé,  è  il  socialismo.  Osservazione  la  quale,  per  altro,  non  potrà  diventare  azione  e  fatto  senza  una  serie  di  complementi,  che  sono  motivi  di  interesse  economico  non  meno  che  etici  e  sentimentali,  giudizi  morali  ed  entusiasmi  di  fede.  Per    stessa,  è  fredda  e  impotente....  »  {ivi,  p.  17).  Il  rapporto  tra  È  qui  adombrato  il  problema  del  rapporto  tra  conoscere  conoscere  e  agi^^  agire,  che  sarà  d'ora  innanzi  costantemente  presente  alla  speculazione  crociana  e  avrà  la  sua  più  articolata  e  ragionata  formulazione  nell'opera  della  tarda  maturità  che  porta  appunto  il  titolo  di  La  storia  come  pensiero  e  come  azione.  La  critica  crociana  del  materialismo  storico  quale  teoria  dell'interpretazione  della  storia  ha  mirato  finora  a  liberare  quella  dottrina  da  ogni  concetto  aprioristico  sia  che  si  trattasse di  eredità  hegeliana,  sia  che  si  trattasse  di  contagio  di  «  volgare  evoluzionismo  »,  sia  che  fosse  richiesto  dalla  preoccupazione  di  dare  fondamento  saldo  alle  previsioni  dell'avvenire  contenute  nel  programma  d'azione  praticopolitico  proprio  del  socialismo.  Compiuta  quest'opera  negativa, si  ripropone  la  questione  da  cui  essa  ha  preso  le  mosse:  si  salva  dalla  critica  qualcosa  per  cui  il  materialismo  storico  possa  essere  utilizzato  dalla  storiografia?  Che  cosa  può  farsi  di  esso  per  un  compiuto  intendimento  della  storia?  E  si  risponde:  il  materiahsmo  storico  è  accettabile  solo  come  canone  d'interpretazione  storica,  che  «  consiglia  di  rivolgere  l'attenzione  al  cosiddetto  sostrato  economico  delle  società,  per  intendere  meglio  le  loro  configurazioni  e  vicende  »  :  canone  che  «  non  importa  nessuna  anticipazione  di  risultati,  ma  solamente  un  aiuto  a  cercarli,  e  che  é  di  uso  affatto  em.pirico  »  [ivi,  pp.  80-81).  Il  materialismo  storico  non  può  essere  che  questo:  «una  somma  di  nuovi  dati,  di  nuove  esperienze,  che  entrano  nella  coscienza  dello  storico  »  [ivi,  p.  io).    Il  problema  della  storia  negli  studi  marxistici  In  questa  formula  crociana  perchè  se  ne  intenda  il  significato e  la  portata  è  da  sottolineare  il  rilievo  che  in  essa  è  dato  al  carattere  d'interiorità,  alla  coscienza  dello  storico,  del  nuovo  canone  d'interpretazione.  Non  si  tratta  di  accrescimento  quantitativo  del  materiale  elaborato  dallo  storico,  di  aggiunta  di  fatti  nuovi  a  quelli  già  considerati  dall'antica  storiografia  nella  loro  esteriorità,  e  presunta  oggettività  ;  si  tratta  invece  di  dare  alla  coscienza  storiografica  una  dimensione  nuova,  di  arricchire  con  nuovi  elementi  l'interesse  vivo  dello  storico,  per  penetrare  nel  passato,  e  comprenderlo  in  una  sempre  più  articolata  connessione  dei  fatti;  opera  quindi  della  mente  dello  storico.   Ecco  in  che  senso  il  Croce  ha  utihzzato  il  materialismo  11  posto  dei  penstorico  ai  fini  della  soluzione  dei  problemi  su  cui  la  sua  spe^'^^^o  logico  nei \ la  storiografia.   culazione  si  travagliava  anche  prima  di  entrare  a  contatto  con  la  nuova  dottrina.  Ricordiamo  che  questi  problemi  si  accentravano  nello  sforzo  di  determinare  la  natura  della  storia  e  la  sua  riducibilità  sotto  il  concetto  dell'arte.  In  questo  sforzo  si  affermava  sempre  più  chiara  l'esigenza  d'integrare  e  conciliare,  nella  storia,  con  l'elaborazione  intuitiva  dei  fatti  per  la  quale  s'identificava  con  l'arte,  un'elaborazione  concettuale  che  la  ravvicinava  alla  scienza.  Ora  l'esame  critico  del  materialismo  storico,  che  scopriva  nell'economismo  della  vita  sociale  un  nuovo  canone  d'interpretazione storica,  rafforzava  la  convinzione  della  necessità di  avvicinare  la  storia  aUa  scienza.  Il  nuovo  canone  d'interpretazione,  per  un  lato,  apre  un  campo  di  nuove  esperienze,  «  che  sono  interne  alla  coscienza  dello  storico  »,  e  quindi  non  hanno  consistenza  che  nell'attività  spirituale  esercitata  dallo  storico  sui  dati  grezzi,  attività  per  la  quale  dalla  materialità  dei  frammenti  di  realtà  storica  offerta  dai  documenti  nascono  a  poco  a  poco  intuizioni  di  persone  e  situazioni  e  avvenimenti  sempre  meglio  definite,  affini  alle  forme  create  dalla  fantasia  dell'  artista  ;  ma,  per  l' altro  verso,  impone  una  connessione  mentale  dei  fatti,  costituita  dai  rapporti  concettuali  che  la  scienza  economica  fissa  nella    valore. realtà  storica.  E  il  socialismo  marxistico  ha  la  pretesa  di  essere  socialismo  scientifico  appunto  perchè  fondato  sulle  leggi  dell'economia  quale  scienza  rigorosa.  Valore  e  plusMa  era  veramente  giustificata  la  pretesa  dell'economia  marxistica  di  essere  assunta  alla  dignità  di  scienza  autonoma? Ed  erano  validi  i  concetti  di  valore  e  plus-valore,  posti  al  centro  dell'economia  marxistica,  come  pernio  della  teoria  cosi  del  materialismo  storico  come  della  ideologia  socialistica?  È  questo  il  nuovo  campo  nel  quale  si  esercitò  largamente  la  critica  crociana  della  dottrina  di  Marx.   La  critica  del  materialismo  storico  come  teoria  (paneconomica)  della  storia  si  concludeva  con  l'affermazione  che  essa  non  è  affatto  teoria,  ma  in  sostanza  corollario  d'un  programma  pratico-politico  (il  programma  del  socialismo),  e  ai  fini  della  storiografia  non  poteva  essere  utilizzato  che  come  un  nuovo  canone  d'interpretazione  dei  fatti  storici.  Analogamente,  l'economia  marxistica,  che  pretende  essere  la  trattazione  eminentemente  scientifica  dei  fatti  economici e  della  nozione  di  valore  inerente  ai  beni  prodotti  da  una  società,  non  è  affatto  scienza  economica,  perchè  non  abbraccia  tutta  la  regione  dell'attività  economica  quale  si  svolge  in  qualunque  forma  reale  o  possibile  di  convivenza  sociale    si  eleva  a  un  concetto  di  valore  applicabile  a  tutti  i  beni  comunque  prodotti.  Essa  costruisce  astrattamente  una  società  ipotetica,  che  assume  come  società  tipo,  alla  quale  devono  essere  conguagliate  altre  forme  di  società  per  coglierne  i  fattori  anomali,  in  quanto  divergenti  dalla  prima:  e  questa  società  tipica  è  quella  costituita  esclusivamente di  lavoratori,  è  questa  società  proletaria,  che  rappresenta il  termine  ideale  del  programma  politico  del  socialismo.  È  l'intrusione  di  queste  preoccupazioni  sociali-pohtiche  nel  campo  economico  ciò  che  vizia  i  concetti  fondamentali  di  esso  valore  e  sopravalore  -,  e  impone  di  contrapporre  all'economia  marxistica  un'economia  pura,  ossia  un'economia come  scienza  generale  [ivi,  p.  57  e  sgg.).   La  tesi  centrale  dell'economia  marxistica  è  l'eguaglianza  del  valore  dei  beni  che  si  producono  alla  quantità  del  lavoro    //  problema  della  storia  negli  studi  marxistici        295   necessario  per  produrli  :  ma  essa  ha  il  suo  fondamento  appunto  nell'ipotesi  di  una  società  fatta  esclusivamente  di  lavoratori  e  nell'assunzione  di  questa  società  a  società  tipica  (e  quindi  del  valore-lavoro  come  misura  di  ogni  valore).  Ma  nella  realtà  (ad  es.,  nell'attuale  società  capitalistica)  i  lavoratori  rappresentano  solo  una  frazione  della  società  produttiva  che  agisce  tra  altre  categorie  economiche,  quelle  appunto  che  apportano  alla  produzione  non  il  lavoro  ma  il  capitale.   Da  queste  considerazioni,  tuttavia,  non  risulta,  secondo  n  valore-lavoro.  il  Croce,  che  la  concezione  marxistica  manchi  affatto  di  rispondenza ai  fatti:  la  determinazione  del  valore-lavoro  avrà  una  certa  rispondenza  nei  fatti,  sempre  che  esisterà  una  società  che  produca  beni  per  mezzo  del  lavoro.  E  la  storia  ci  mostra  finora  soltanto  società  di  tal  fatta,  e  quindi  l'eguaglianza affermata  dal  Marx  del  valore  col  lavoro  è  un  fatto:  ma,  sottolinea  il  Croce,  «  è  un  fatto,  che  vive  tra  altri  fatti,  ossia  un  fatto  che  empiricamente  ci  appare  contrastato,  sminuito,  svisato  da  altri  fatti,  quasi  una  forza  tra  le  forze,  la  quale  dia  risultante  diversa  da  quella  che  darebbe  se  le  altre  forze  cessassero  di  operare.  Non  è  un  fatto  dominante  assoluto,  ma  non  è  nemmeno  un  fatto  inesistente  e  semplicemente immaginario»  {ivi,  pp.  68-69).   La  critica  del  Croce  all'economia  marxistica  si  riassume  in  queste  due  proposizioni,  che  essa  non  è  la  scienza  economica generale,  e  che  il  valore-lavoro  non  è  il  concetto  generale  di  valore.  Onde  la  conclusione  che,  «  accanto  alla  ricerca  marxistica  può,  anzi  deve  vivere  e  prosperare  una  scienza  economica  generale  »,  una  economJa  pura,  che  deduca  il  concetto  di  valore  «  da  principii  affatto  diversi  e  più  comprensivi di  quelli  particolari  del  Marx  »  (ivi,  p.  73).  E  ritiene  che  questa  esigenza  sia  soddisfatta  dalla  scuola  edonistica  (o  austriaca),  allora  fiorente,  la  quale,  muovendo  dalla  natura economica  dell'uomo,  ne  deduce  il  concetto  di  utilità  («ofelimità»  del  Pareto),  «e  man  mano  tutte  le  (....)  leggi  secondo  le  quali  si  governa  l'uomo  in  quanto  astratto  homo  oeconomicus  »  {ivi,  p.  78).    r  «  homo     oeco  nomicus  ». Critiche  all'ecoSembra  dunque  che  l'obiettivo  cui  mira  il  Croce  nella  nomia  pura.  g^g^  critica  dell'economia  marxistica  sia  la  difesa  della  scienza  economica  pura  quale  la  scuola  edonistica  la  veniva  costruendo. Ma  in  essa  era  operante  un  motivo  profondo,  che  nel  corso  dei  suoi  studi  marxistici  emerge  sempre  più  chiaro  e  netto,  essenziale  al  pensiero  crociano,  e  valido  in  esso  anche  al  di    dell'obiettivo  della  costruzione  della  scienza  economica. Questo  motivo  viene  esplicitamente  enunciato  in  uno  scritto  del  1899  in  cui  la  sua  adesione  all'economia  pura  è  limitata  e  corretta  con  qualche  riserva  e  cautela.  «  ....  Io  credo  egli  scrive  che  ci  sia  ancora  da  elaborare  filosoficamente il  concetto  di  valore,  e  che  bisogni  percorrere  fino  al  fondo  quella  strada,  che  gli  economisti  puri  hanno  percorso solo  fino  a  un  certo  punto  ».  L'attività  delElaborazione  filosofica  del  concetto  di  valore  economico,  ecco  la  nuova  istanza  posta  dal  Croce;  che  significa  esaminare quell'umana  attività  che  tende  al  conseguimento  col  minimo  mezzo  e  il  massimo  risultato  di  scopi  individuali,  non  pili  astratta  considerazione  àeW'homo  oeconomicus ,  ma  come  inserita  nella  concreta  totalità  della  vita  dell'uomo,  con  un  suo  posto  specifico  e  una  sua  funzione  ben  definita  rispetto  alle  altre  attività  dell'uomo,  con  un  suo  principio  autonomo,  che  potesse  essere  assunto  come  fondamento  e  premessa  della  scienza  economica  pura.  Risalire  dalla  scienza  alla  filosofia  per  ridiscendere  deduttivamente  dalle  conclusioni  di  questa  a  una  rinnovata  e  piìi  salda  costruzione  di  quella,  significava  poiTe  in  questione  e  problematizzare  quelle  che  per  gli  economisti  erano  le  premesse  o  i  postulati  dei  loro  procedimenti.   Quali  erano  queste  premesse  che  gli  economisti  accoglievano come  pacifiche,  e  che  invece  a  un  ulteriore  esame  (elaborazione filosofica)  risultavano  ambigue  o  false  ?  Il  Croce,  che  vedeva  in  Vilfredo  Pareto  un  rappresentante  tipico  dell'economia  pura,  gli  prospetta  in  due  lettere  del  1900  la  questione,  sforzandosi  di  convincerlo  della  necessità  del  passaggio  dalla  pura  scienza  alla  filosofia  del  principio  economico [ivi,  pp.  229-251).  Tre  sono  le  erronee  premesse  del  //  problema  della  storia  negli  studi  marxistici l'economia  pura,  ch'egli  critica:  quelle  che  riguardano  il  fatto  economico  o  come  meccanico,  o  come  edonistico,  o  come  egoistico.  Per  Croce,  il  principio  economico  non  può  avere  natura  meccanica:  il  fatto  meccanico  è  un  fatto  bruto:  il  fatto  economico  è  un  fatto  di  valutazione,  è  una  scelta  suscettibile  di  approvazione  o  disapprovazione,  a  seconda  che  la  scelta  cada  o  no  su  ciò  che  è  realmente  conveniente  a  chi  la  compie.  Quanto  alla  concezione  edonistica,  è  fuori  dubbio  che  ogni  atto  di  scelta  economica  ha  come  suo  concomitante un  fatto  di  sentimento  piacevole  se  la  scelta  è  economicamente  ben  condotta:  l'utile  è,  insieme,  piacevole.  Ma  non  è  vera  la  reciproca:  il  piacevole  non  è  l'utile  (che  è  la  tesi  dell'edonismo).  Il  piacere  può  apparire  scompagnato  dall'attività  umana  o  accompagnarsi  a  una  forma  di  umana  attività  che  non  sia  l'economica.  Infine  la  concezione  egoistica del  fatto  economico  è  inficiata  da  questo  errore  :  mentre  pretende  distinguere,  nell'ambito  dell'attività  pratica  umana,  l'economico  dal  morale  (che  sarebbe  qualificato  come  altruismo), in  realtà  assorbe  il  primo  nel  secondo,  perchè  la  qualifica di  egoistico  attribuita  a  un  atto  è  una  qualifica  di  valutazione  morale,  quahfica  negativa,  immoralità,  pervertimento della  stessa  attività  morale.  Il  fatto  economico  non  sta  col  fatto  morale  in  antitesi,  bensì  è  nel  rapporto  pacifico  di  condizione  a  condizionato;  come  cioè  la  condizione generale  che  rende  possibile  il  sorgere  dell'attività  etica.  Tanto  il  morale  quanto  l'immorale  sono  azioni  economiche: il  che  vuol  dire  che  l'azione  economica,  per    presa,  non  è    morale    immorale:  è  amorale  o  premorale.   E  in  conclusione,  il  Croce    del  fatto  economico  questa  L'economìa  indefinizione:  esso  è  «l'attività  pratica  dell'uomo  in  quanto  'l'fZm'^ie  ^'^^'  si  consideri  per  sé,  indipendentemente  da  ogni  determinazione morale  o  immorale.  E  pertanto  il  concetto di  utile  o  di  valore  o  di  ofelimo  non  è  altro  se  non  l'azione  economica  stessa  in  quanto  ben  condotta,  cioè  in  quanto  è  veramente  economica.  «  Riallacciare  a  queste  proposizioni generali  le  varie  questioni  che  si  dicono  di  scienza  economica  »  è  compito  degli  economisti.  Quella  definizione  filosofica  del  fatto  economico,  dice  il  Croce,  «  a  me  piacerebbe  vederla  a  capo  dei  trattati  di  economia  ».   Ma  il  Croce  non  doveva  tardare  ad  accorgersi  che  la  sua  era  un'illusione.  Già  egli  stesso  non  scorgeva  e  non  mostrava  per  quali  vie  potessero  essere  derivate  da  quel  concetto  filosofico  le  operazioni  di  comparazione  e  calcolo  delle  diverse  scelte  economiche  e  quali  nuovi  vantaggi  ne  derivassero  alla  scienza.  Ed  era  naturale  che  gli  economisti  non  accogliessero l'invito  di  Croce  a  riallacciare  le  questioni  di  cui  essi  si  occupavano  alle  proposizioni  generali  alle  quali  egli  era  pervenuto  :  alla  scienza  non  interessava  la  determinazione  della  natura  filosofica  del  fatto  economico:  suo  compito  esclusivo  era  quello  di  trattare  i  fatti  dell'attività  umana  come  fenomeni  in  nulla  differenti  da  quelli  fisici,  sottoporli cioè  a  comparazione  e  astrazione,  per  stabilirne  e  calcolarne le  uniformità  e  le  divergenze.  La  scienza  economica  era  e  intendeva  rimanere  per  poter  progredire  una  scienza  naturahstico-matematica,  rinserrandosi  nei  fenomeni  e  volgendo le  spalle  all'indagine  filosofica  dell'atto  economico.  E  qualche  anno  più  tardi,  nel  1906,  il  Pareto  doveva  illustrare e  attuare  questo  proposito  nel  suo  Mamiale  di  economia  politica.  D'altra  parte,  il  Croce  stesso,  affrontando  nel  frattempo il  problema  logico,  giungeva  alla  conclusione  della  radicale  eterogeneità  tra  conoscenza  (o  pseudo-conoscenza)  scientifica  e  la  conoscenza  filosofica:  poteva  quindi  abbandonare la  scienza  al  suo  destino,  che  la  condannava  al  procedimento empirico  e  astratto  del  naturalismo  matematico,  e  volgere  la  propria  riflessione  alla  filosofia  dell'economia  come  indagine  sull'atto  economico,  nelle  sue  relazioni  con  gli  altri  atti  spirituali,  inserita  in  una  generale  «  filosofia  dello  spirito  ».   Uutiie.  Alla  fine  dei  suoi  studi  economici,  chiariti  gli  equivoci   che  erano  al  fondo  del  suo  dibattito  con  gli  economisti  puri,  rimane  fermo  nel  pensiero  del  Croce  il  risultato  di  cui  nel  1901   giustamente   menava  vanto:   l'ufficio  essenziale,   nella    //  problema  della  storia  negli  studi  marxistici vita  dello  spirito,  dell'utilità  o  della  economicità,  «  messe  in  luce  come  non  era  stato  fatto  da  altri  ».   «  L'utile  è  stato  reputato  iìnora  dai  filosofi  o  un  atto  secondario  e  misto,  o  un  semplice  caso  di  deviazione  dalla  morale  (egoismo).  Esso  è  invece,  a  mio  parere,  un  momento  distinto  e  autonomo  della  vita  dello  spirito:  il  momento  in  cui  la  volontà  è  volontà,  senza  essersi  ancora  determinata  e  dialettizzata  in  morale  e  immorale.  La  critica  deve  consistere  nel  dimostrare  che,  affermandosi  essere  ogni  azione  dell'uomo  dominata  dal  criterio  dell'utile,  si  afferma  cosa  ir\dubitabile  ;  ma  che  ciò  non  toglie  punto  che  essa  debba  essere,  e  sia  insieme,  determinata  anche  dal  criterio  del  dovere, il  quale  è  sempre  (e  come  potrebbe  non  essere?)  dovere-utile.   Di  questa,  che  è  stata  detta  «  scoperta  crociana  dell'utile »,  il  Croce  si  sente  in  gran  parte  debitore  al  marxismo,  che  vede  nell'economia  il  sostrato  e  la  molla  della  storia.  E  se  il  Croce  incentra  la  definizione  dell'utile  nel  rapporto  di  questo  con  la  morale,  anche  di  questa  impostazione  egli  cerca  traccia  in  Marx.  Questi  dichiarò  che  la  questione  sociale  non  è  questione  morale  »,  e  criticò  acerbamente  quelle  ideologie  morali  che  ipocritamente  mascheravano  interessi  di  classe.  Ma  intendeva  con  questo  sostenere  che  la  questione  sociale  non  si  risolve  coi  «  sermoni  »  di  un  astratto  moralismo,  che  s'illude  di  poter  sanare  i  mali  di  cui  una  società  soffre,  senza  tener  conto  delle  particolari  situazioni  storiche  nelle  quali  è  la  radice  di  quei  mah,  e  alle  quah  devono  essere  commisurati i  programmi  d'azione  morale  perchè  questa  possa  avere  efficacia  risanatrice.  In  questo  senso  la  morale  è  corrispettiva alle  condizioni  sociali  e  in  ultima  anahsi  alle  condizioni economiche.  Ma  con  ciò,  «  la  questione  del  pregio  intrinseco  e  assoluto  dell'ideale  morale,  della  sua  riducibihtà  o  irriducibilità  alla  verità  intellettuale  o  al  bisogno  utihtario,  rimane  intatta  »  per  il  marxismo,  il  quale  anzi,  di  fatto,  considera  l'ideale  morale  come  un  presupposto  necessario, come  dimostra  la  costruzione  del  concetto  di  sopravalore,    che    in    pura    economia    non    ha    senso,    ma è  ispirato  da  un  interesse  schiettamente  morale.  Vanità  pratica  Le  asserzioni  marxistiche  che  paiono  negazione  della  modeiie  condanne,  j-g^jg^  hanno  per  Croce  ben  altro  significato.  Quella  che  Marx  chiama  impotenza  della  morale  sta  a  significare  la  vanità  pratica  delle  condanne  o  delle  commiserazioni  per  uomini,  che,  dominatori  o  dominati,  sono  gli  uni  e  gh  altri  schiavi  di  situazioni  storiche  necessarie  per  il  momento,  e  «  non  potrebbero  essere  diversi  da  quel  che  sono,    potrebbero  compiere  se  non  l'ufficio  ad  essi  assegnato  dalla  natura  stessa  delle  cose.  Ma  le  situazioni  che  la  storia  ha  creato,  possono  anzi  debbono  dalla  storia  essere  disfatte.   Per  queste  considerazioni,  a  giudizio  del  Croce,  Marx,  pur  con  le  sue  proposizioni  approssimative  e  paradossali,  insegna  a  penetrare  in  ciò  che  la  società  è  nella  sua  realtà  effettuale,  e  potrebbe  esser  chiamato,  a  titolo  d'onore,  il  Machiavelli  del  proletariato.   In  questa  sua  fase  di  studi  marxistici,  il  Croce  ampliò  via  via  e  variò  il  significato  dell'utile  o  economico,  la  cui  scoperta  egU  riconduceva  alla  potente  suggestione  del  Marx  (non  appare  ancora  nei  suoi  scritti  quella  definizione  dell'utile come  «  volizione  dell'individuale  »  con  cui  poi  caratterizzerà il  grado  economico  della  forma  pratica  dell'attività  spirituale).  Che  l'economicità  o  utilità  fosse  intesa  come  una  categoria  autonoma  da  aggiungere  a  quelle  costituenti  la  triade  tradizionale  di  bello,  vero,  buono,    che  la  triade  si  allarghi  in  una  tetrade;  o  che  essa  fosse  intesa  come  ciò  che  vi  è  di  primario  in  ogni  attività  umana,  come  la  base  comune  di  tutte  le  attività,  il  primum  della  vita,  non  nel  senso  di  primo  della  serie  delle  quattro  forme,  ma  appunto  di  primordiale  indifferenziato  che  emerge  nelle  forme  e  le  connette  tra  loro,    che  l'economia  finisca  con  l'identificarsi  umazione  pucon  1' «  azione  pura»,  principio  di  qualsiasi  atto  spirituale  e  la  forza,  yuoto  di  Ogni  contenuto  determinato  ;  o  che,  infine,  l'economico o  utile  fosse  identificato  con  la  «  forza  »  o  vigore  del  volere,  come  abilità  calcolatrice  e  lucida  tensione  verso  il   fine,   per   affermarsi  nella   «  lotta  »  contro   altre   volontà.    ra  »  Il problema  della  storia  negli  studi  marxistici e  che  è  la  dura  legge  della  vita  «  politica  »  d'onde  l'allacciamento, caro  al  Croce,  del  marxismo  «  alle  migliori  tradizioni della  scienza  politica  italiana  »  (machiavellismo),  e  l'esaltazione  della  politica  di  potenza  contro  i  sermoni  dei  profeti  disarmati  {Materialismo  storico,  prefazione  all'edizione del  1917,  pp.  xii-xiv;  e  cfr.  rav\àcinamento  di  Marx  a  Machiavelli,  ivi,  pp.  106-107,  nota)  sempre,  pur  in  questa  varietà  di  accezioni,  l'utile  era  per  Croce  il  punto  d'appoggio  pili  solido  e  indispensabile  per  l'esplicazione  dell'operosità  umana  nella  costruzione  della  storia,  nel  senso  immanentistico e  «  mondano  »  proprio  dello  spirito  moderno.  Il  progresso  è  lotta  continua  e  ha  per  motore  l'uomo,  l'uomo  come  passionalità naturale  resa  lucida  dalla  disciplina  intellettuale  per  andar  dietro  alla  «  verità  effettuale  »  delle  cose;  l'uomo  come  forma  primordiale,  nella  quale  anche  le  idealità  più  alte  debbono  tradursi  e  incarnarsi,  per  poter  affermarsi  efficacemente in  questo  mondo  che  è  la  palestra  della  nostra  operosità.  Nell'utile,  rivelatogli  dal  marxismo,  il  Croce  scorgeva la  chiave  per  svincolare  l'operare  umano  da  qualsiasi  piano  storico  trascendente  reUgioso  o  metafìsico  che  fosse  -,  e  risolvere  «  positivamente  »  i  problemi  che  di  continuo  scaturiscono dal  divenire  storico. L'anno  stesso  che  racLa  scienza  deicoglieva  in  volume  gli  studi  sul  materialismo  storico  il  Croce  ^P''dava  alla  luce  una  memoria  accademica  intitolata:  Tesi  fondamentali  d'un' Estetica  come  scienza  dell'espressione  e  linguistica  generale  (1900;  ripubblicata  da  A.  Attisani  in  La  prima  forma  dell'estetica  e  della  logica,  Messina).  Queste  tesi  furono  riesposte,  ampliate  e  inquadrate  in  una  concezione  generale  della  filosofia,  neW! Estetica  del  1902  che,  originariamente  concepita  come  opera  a  se,  rimase  lo  scritto  meritatamente  pii!i  famoso  del  Croce.   In  seguito  essa  sarà ripubblicata  come  primo  dei  quattro  volumi  di  cui  si  compone  la  crociana  Filosofia  dello  spirito.  Il  sistema.  La  sistcmazionc  che  quest'opera    del  sapere  filosofico   è  semplice.  La  realtà  è  un  prodotto  dell'attività  spirituale,  la  quale  si  specifica,  secondo  una  classica  distinzione,  in  attività «  teoretica  »  e  attività  «  pratica  ».  Ciascuna  di  queste  due  specificazioni  ha  due  gradi,  a  seconda  che  lo  spirito  si  rivolga  al  particolare  o  all'universale.  L'attività  teoretica  rivolta  al  particolare  è  l'arte  (o  pensiero  intuitivo),  e  la  scienza  filosofica  che  la  studia  è  l'estetica;  l'attività  teoretica  rivolta  all'universale  è  il  pensiero  discorsivo,  oggetto  della  logica;  l'attività  pratica  rivolta  al  particolare  è  l'economia, oggetto  dell'economica;  e  l'attività  pratica  rivolta  all'universale  è  la  morale,  oggetto  dell'etica.  L'universale,  in  ciascuno  dei  due  campi,  presuppone  il  particolare.  Il  concetto, infatti,  presuppone  l'immagine  prodotta  dall'arte,  senza  la  quale  non  potrebbe  esprimersi;  e  l'operare  morale  implica  un  agire  indirizzato  all'utile,  perchè  non  si  potrebbe  «  fare  il  bene  »  senza  giovare,  in  qualche  modo,  a  qualcuno.  Almeno  in  questa  prima  sistemazione,  al  contrario,  il  particolare non  esige  l'universale  (p.  30)  :  l'utile  si  può  perseguire prescindendo  del  tutto  da  una  moralità  oggettiva;  e  l'immagine  artistica  prodotto  aurorale  deUo  spirito  può  presentarsi  indipendentemente  da  ogni  intenzione  concettuale. Ciò  non  toglie,  ovviamente,  che  l'attività  concreta  dello  spirito  sia  un  continuo  intrecciarsi  e  collaborare  di  queste  quattro  forme,  ciascuna  delle  quali,  presa  per  se,  apparirebbe  astratta.   Tutte  le  altre  attività  spirituali  devono  potersi  ridurre  in  qualche  modo  a  queste  quattro  (cap.  Vili).  Così,  ad  esempio,  il  diritto  e  la  pohtica  rientreranno  integralmente  nell'attività  economica;  la  scienza,  nella  misura  in  cui  sia  autenticamente  conoscitiva  (ciò  che  significa,  per  il  Croce,  filosofica)  rientra  nell'attività  logica.  La  religione  non  rientra  propriamente da  nessuna  parte;  ma,  in  quanto  abbia  pretesa  di  conoscere il  trascendente,  è  una  forma,  piìi  o  meno  genuina,  di  filosofia;  in  quanto  si  ponga  come  atteggiamento  morale,  o    Estetica:  primo  schizzo  del  sistema  303   espressione  di  ideali  pratici  (p.  70),  trova  la  sua  collocazione  nel  quarto  grado  dello  spirito;  e,  infine,  in  quanto  mèra  espressione  di  sentimenti  può  considerarsi  sotto  la  rubrica  dell'economia,  che,  nel  sistema  crociano,  assume  la  funzione  di  cestino  in  cui  va  a  finire  tutto  ciò  che  non  trova  collocazione altrove   (cap.   X).   All'efficacia  sistematoria  della  sua  filosofia,  per  un  verso.  Le  categorie  il  Croce  non  dava  troppa  importanza,  convinto  che  il  concreto  ^P ^conoscere  non  possa  se  non  portarsi  sulla  attività  spirituale  nella  sua  interezza  (p.  86,  p.  103  e  passim)  ;  ma,  per  un  altro  verso,  egli  non  si  riconobbe  mai  disposto  a  lasciarla  cadere,  cioè  ad  assegnare  un  carattere  semplicemente  «  empirico  »  alla  quadruplicità  delle  forme.  Al  contrario,  essa  ebbe  sempre per  lui  un  carattere  categoriale.  Le  quattro  forme  dell'attività spirituale  sono  tutte  e  sole  le  «  categorie  »  che  si  possano,  e  si  debbano,  ammettere  come  tali.  Ciò  significa  che  vi  è  una  radicale  irriducibilità  di  una  forma  all'altra,  trascurare  la  quale  significherebbe  confondere  e  mescolare  ciò  che  va  tenuto  filosoficamente  distinto  :  la  concreta  «  dialettica »,  che  si  instaura  tra  questi  «  distinti  »,  in  tanto  ha  valore  filosofico  in  quanto  essi  conservino  questa  loro  irriducibihtà.  Tale  principio,  strenuamente  difeso  dal  Croce,  in  particolare  contro  i  gentiliani,  suscita  molte  difficoltà  e,  appunto  perciò,  anche  molti  spunti  positivi.  Peraltro,  nella  comune  cultura  italiana,  in  cui  il  crocianesimo  fu  largamente  accolto  nel  periodo  tra  le  due  guerre,  l' efficacia  classificatoria  delle  quattro  forme  prevalse  nettamente  sulla  loro  funzione  categoriale.  L'uomo  mediamente  colto  in  fatto  di  filosofia,  che  aveva  abbracciato  il  sistema  crociano,  si  sentiva  spiritualmente sorretto  dalla  possibiUtà,  poniamo,  di  dichiarare  che  una  opera  d'arte  mal  riuscita  era  un  «  atto  pratico  »,  che  il  prodotto  di  una  ricerca  psicologica  era  «  uno  pseudoconcetto »,  ecc.  :  daUa  possibilità,  insomma,  di  assegnare  ogni  manifestazione  della  vita  alla  sua  giusta  casella.   5.  Definizione  dell'arte  per  via  negativa.    Quando  tracciò  lo  schizzo  sistematico  con  cui  si  apre  l'Estetica  del  1902,   21,  L..  storia  della  filosofia.  VII.    dell'attività   artistica. il  Croce  non  pensava,  probabilmente,  che  esso  avrebbe  avuto  tanta  importanza  nella  ricezione  del  suo  pensiero.  Il  suo  scopo  era  solo  di  sistemare  nel  modo  migliore  l'attività  spirituale in  genere,  per  passare  poi  a  considerarla  in  quella  forma  che,  al  momento,  gli  interessava:  la  forma  artistica.  Questa  comprendeva  in  questa  fase  della  speculazione  crociana  anche  l'istorica,  dato  che,  come  conoscenza  dell'individuale, «  la  storia  si  riduce  sotto  il  concetto  generale  dell'arte»  (p.  31).  La  distinzione  La  sistemazionc,  tuttavia,  aveva  anche  una  diretta  efficacia  sull'oggetto  specifico  della  trattazione,  l'arte.  Infatti  la  specificità  e  l'autonomia  del  valore  estetico  si  definiscono  attraverso  una  serie  di  negazioni,  che  lo  distinguono  dagli  altri  valori  spirituali  :  «  Dimmi  da  che  cosa  ti  distingui  e  ti  dirò  chi  sei  »  è  il  motto,  implicito,  dell'estetica  crociana,  fino  al  Breviario.  In  questo  senso  l'identificazione  dell'arte,  vista  nella  sua  specificità,  dipende  dalla  struttura  sistematica  dei  distinti.  L'arte  non  è  concetto,  perchè  le  sue  rappresentazioni  non  intendono  l'universale  :  e  con  ciò  cade  l'intellettualismo  estetico  (cap.  IV).  L'arte  non  è  rivolta  dovutile  (sentito,  in  ultima  analisi,  dal  soggetto  come  piacere) :  e  con  ciò  cade  l'edonismo  estetico.  L'arte  non  persegue  il  bene  perchè,  non  si  sviluppa  come  obbedienza  all'universale  dovere:  e  con  ciò  cade  il  moralismo  estetico  (cap.  VI).   Le  altre  negazioni,  attraverso  cui  il  Croce  delimita  e,  quindi,  definisce  il  valore  dell'arte,  dipendono  da  queste:  l'arte  non  ha  uno  scopo  didascahco  (p.  94)  ;  non  si  propone  di  offrire  il  vero  «  condito  in  molU  versi  »  ;  non  mira  a  fini  di  edificazione,    a  scopi  pragmatici,  ecc.  Che  potesse  far  pili  che  tanto,  e  dire,  anche  positivamente,  in  che  cosa  l'arte  consista,  il  Croce,  in  certo  senso,  escluse  sempre;  e  questo  non  è  strano  :  perchè  un  genere  sommo  come  la  «  categoria  »  è  (per  parlare  in  termini  di  filosofia  classica)  un  «  predicato  »  da  cui  ogni  definizione  muove,  quindi  non  può  essere  il  risultato di  definizioni  antecedenti.  Nel  1912,  perciò,  il  Breviario  di  estetica   si   inizierà  con    questa   affermazione:    che    Estetica:  definizione  dell'arte  per  via  negativa        305   «l'arte  è  ciò  che  tutti  sanno  che  cosa  sia»;  e  riprenderà  poi  la  determinazione  per  via  negativa,  che  già  era  stata  propria   noi  giudichiamo  ora  buoni  ora  cattivi,  ora  importanti  ora  insignificanti,  trovano  un  posto.  «  Tutti  i  fatti  sono  fatti  storici  »  aveva  detto  la  Logica  (p.  212),  e  ripete  la  Teoria  della  storiografia.  E  poiché  la  storia,  nel  pensiero  crociano,  è  ciò  che  comunemente  si  chiama  Dio,  codesta  frase  viene  a  costituire  l'esatto  equivalente  storicistico dell'affermazione  che  l'Ardigò  aveva  enunciata  in  chiave  naturalistica:  «Tutti  i  fatti  sono  divini)}. La  UOvità  più  importante    11  sentimento   del  Breviario  di  estetica,  scritto  nel  1912  per  l'inaugurazione del  Rice  Institute  di  Houston,  nel  Texas,  è  (come  è  noto)  l'introduzione  di  un  nuovo  «  sinonimo  »  del  termine  «  intuizione»: il  sentimento.  Una  novità  già  annunciata,  del  resto,  dalla  conferenza  tenuta  nel  1908  al  Congresso  di  filosofia  di  Heidelberg,  su  L'intuizione  pura  e  il  carattere  lirico  dell'arte (in  Problemi  di  estetica,  1910,  3^  ed.,  1940,  p.  33)  da  cui  forma  e  contenuto,  nell'opera  d'arte  riuscita,  vengono  identificati. Notando  come  ogni  grande  opera  d'arte  sia  «  classica  »  e  «  romantica  »  insieme,  il  Breviario  fa  risalire  ciò  alla  necessaria fusione,  nell'opera  d'arte  riuscita,  del  momento  lirico  col  momento  immaginativo.  Lo  scopo  dichiarato  di  tale  dottrina  è  dare  un  fondamento  alla  distinzione  (indispensabile per  il  critico)  tra  opera  d'arte  riuscita  e  non  riuscita: L'idealismo  storicistico  di  B.  Croce   e,  quindi,  ancora  di  far  posto  al  disvalore  che,  come  abbiamo  visto,    stenta    a    trovare    una    giustificazione    nella    filosofia  crociana.  La  coerenza.  Come  nella  pratica  così  nell'estetica,  il  valore  è  inteso  come   coerenza:  ma,  mentre  nella  pratica  il  segno  di  codesta  coerenza era  piuttosto  il  successo  di  una  certa  attività,  nell'estetica il  suo  indizio  si  presenta  come  uno  stato  d'animo  che,  fino  allora,  il  Croce  aveva  considerato  sotto  una  luce  piuttosto negativa,  come  espressione  di  passività  :  il  «  sentire  ».  In  realtà,  il  sentire  utilizzato  dal  Breviario  di  estetica  è  molto  diverso  dal  sentire  come  stato  d'animo  passivo  «  materia  »  non  informata,  o  non  perfettamente  formata,  dall'attività  spirituale  che  aveva  dato  luogo,  nella  Filosofia  della  pratica,  alla  «  negazione  della  forma  spirituale  del  sentimento.  Là,  l'intenzione  era  di  contestare  l'esistenza di  una  terza  forma  di  attività,  accanto  alla  teoretica  e  alla  pratica  (p.  io)  ;  qui  è  di  riconoscere,  nel  sentimento,  il  modo  d'essere  incoativo  in  cui  si  presenta  la  stessa  attività  spirituale  che,  nella  sua  esistenza  piena,  si  sviluppa  come  immagine :  «  L'intuizione  è  veramente  tale  perchè  rappresenta  un  sentimento,  e  solo  da  esso  e  sopra  di  esso  può  sorgere  »  (Nuovi  saggi  d'estetica,   1919;   2*  ed.,   1926,  p.   27).   Grazie  alla  sua  globalità,  alla  sua  indivisibilità  essenziale,  il  sentimento  offre  al  Croce  quel  fondamento  di  unità  che  egli  va  ormai  cercando:  «Ciò  che    coerenza  e  unità  all'intuizione è  il  sentimento»  [ivi).  «L'intuizione  è  veramente  artistica, veramente  intuizione  »,  quando  sia,  «  non  caotico  ammasso d'immagini  »,  ma  «  solo  quando  ha  un  principio  vitale  che  l'animi,  facendo  tutt'uno  con  lei»  (p.  25).  E  questo  principio è  il  sentimento,  che  permette,  cosi,  di  distinguere  tra  l'intuizione-immagine,  «  che  è  sempre  nesso  d'immagini,  non  esistendo  immagini  atomi  »  (p.  29)  e  «  quella  falsa  intuizione che  è  coacervo  d'immagini  »  [ivi)  :  falsa  e  imperfetta  per  «  il  contrasto  non  unificato  di  piìi  e  diversi  stati  d'animo,  la  loro  stratificazione  o  il  loro  miscuglio,  o  il  loro  procedere  traballante,  che  riceve  una  unità  apparente  dall'arbitrio  dell'autore»  (p.  27).  Allo  stesso  modo  la  Filosofia  della  pra  riuscita.    L'  «  intuizione  lirica  »  329   tica  aveva  distinto   tra  esistenza  unitariamente  raccolta  e  esistenza  «  dissoluta  »,   lacerata  dalla  contraddizione.   La  distanza  dall'Estetica  del  1902,  dove  si  consideravano  L'opera  d'arte  come  opere  d'arte  alcune  espressioni  «  assai  complicate  e  diffìcili  »,  è  evidente.  Per  un  verso,  si  tratta  di  una  ripresa  del  motivo  estetico,  molto  tradizionale,  dell'opera  d'arte  come  organismo  vivente,  individuato  da  un  «  principio  vitale  »  (p.  25).  Infatti,  «ciò  che  ammiriamo  nelle  genuine  opere  d'arte  è  la  perfetta  forma  fantastica  che  riassume  uno  stato  d'animo,  e  codesto  chiamiamo  vita,  unità,  compattezza,  pienezza  dell'opera  d'arte  »  (p.  27).  Ma,  nel  sistema  crociano,  questa  distinzione  e  fusione  tra  un  principio  globale  d'unità  e  una  forma  articolata  che  l'esprime  rappresenta  una  novità:  essa  non  aveva  mai  avuto  una  espressione  cosi  esplicita,  neppure nella  teoria  della  coerenza  pratica  propria  del  volume  del  1908.   La  Filosofia  della  pratica  conteneva,  peraltro,  uno  spunto  importante  di  questo  sviluppo:  nel  capitolo  stesso  in  cui  negava l'autonomia  del  sentimento.  Qui  infatti  il  Croce,  mentre  contesta  che  al  sentimento  si  possa  assegnare  un  posto  a  sé,    tuttavia  una  interpretazione  eccezionalmente  acuta  delle  teorie  del  sentimeno  che,  soprattutto  dal  Settecento  in  poi,  erano  fiorite  nella  storia  della  filosofìa.  Il  sentimento,  egli  dice,  è  comparso  nella  storia  della  filosofìa,  con  la  funzione di  una  escogitazione  provvisoria,  «  ogni  qualvolta  ci  si  è  trovati  innanzi  a  una  forma  o  sottoforma  dell'attività  spirituale  che  non  si  riusciva    a  eliminare    ad  assorbire  nelle  forme  già  conosciute  »  [Pratica).  Sicché  il  vedere  una  qualsiasi  attività  spirituale  specifica  come  «  sentimento è  la  prima  forma  che  assume  la  rivendicazione  della  sua  autonomia.   Così,  infatti,  era  accaduto.  L'estetica  del  sentimento  del  Settecento,  nelle  sue  forme  piìi  disparate,  da  Vico  a  Rousseau,  da  Shaftesbury  ad  Alison,  dalla  Scientia  cognitionis  sensitivae  del  Baumgarten  alle  Osservazioni  sul  sentimento  del  hello  e  del  sublime  di  Kant,  è,  effettivamente,  una  rivendicazione   dell'autonomia    dell'arte    rispetto    alla    conoscenza L' idealismo  storicistico  di  B.  Croce   concettuale:  perfino  quando  (come  nel  Baumgarten)  sembri  «  intellettualistica  ».  Ma  anche  l'etica  del    poi  i^  Filosofia  perenne  e  personalità  filosofiche,   Padova,  Guzzo,  Vita  e  scritti  di  E.  Juvalta,  «  Giorn.  crit.  d.  filos.  It. SoLiNAS,  L'autassia  dei  valori  e  le  indagini  etiche  di  Juvalta,  Torino, Basciani,  e.  Juvalta  e  l'etica  della  giustizia,  Roma,VlDARI    Opere    Problemi  generali  di  etica,  Milano, Elementi  di  etica,  Milano, Doveri  sociali  dell'età  presente,   Milano, L'individualismo  nelle  dottrine  morali  del  sec.  XIX,  Milano,    Elementi  di  pedagogia, Milano, Torino, Per  l'educazione  nazionale.  Saggi  e  discorsi, Torino, Educazione   nazionale,   Torino, La  cultura  dello  spirito  come  ideale  pedagogico,   Torino, Etica  e  pedagogia,   Firenze, Il  pensiero  pedagogico  italiano  nel  suo  sviluppo  storico.  Delineazione  sommaria,  Torino, L'educazione  dell'uomo.   I:  Il  hello  e  l'educazione  estetica,  Torino, L'educazione  in  Italia  dall'Umanesimo  al  Risorgimento,   Roma, Le  civiltà  d'Italia  nel  loro  sviluppo  storico.  I:  Le  civiltà  organizzatrici;  II:  Le   civiltà  liberatrici, Torino,  Alessandro  Manzoni,  Torino, Letteratura.   G.   Gentile,   Educazione  e  scuola  laica,   Firenze, Cappiello,  Il  pensiero  pedagogico  di  G.    Vidari,  Roma, Vidari.  In  memoriam,  Torino,   Calò,  Credaro,  Ma resca.   Solari,   Tarozzi) .  Autori  vari,  G.   Vidari,  «  Riv.  pedag. Faggi    Opere    La  filosofia  dell'incosciente.  Metafisica  e  morale.  Contributo  alla  storia  del  pessimismo, Firenze, La  religione  e  il  suo  avvenire  secondo  E.  Hartmann,  Firenze, Hartmann  e  l'estetica  tedesca,  Firenze, Lange  e  il  materialismo,   Firenze, Questioni  logiche  e  psicologiche,  Bologna,   1900.  Il  materialismo  psicofisico,   Palermo, Lenau  e  Leopardi,  Palermo,  Principi  di  psicologia  moderna,  Palermo,  Schelling  e  la  filosofia  dell'arte,   Modena,  Hartmann,   Milano,  Studi  filosofici  e  letterari,  Torino, Letteratura.  Noce,  La  solitudine  di  Adolfo  Faggi,  «Filosofia, Barabino,  Ricordo  di  A.  Faggi.  Inediti,  «Filosofia», Resta    Opere.    L'anima  del  fanciullo  e  la  pedagogia,    Roma, I  problemi  fondamentali  della  pedagogia,   Roma, Trattato  di  pedagogia.  La  pedagogia  generale,   Roma, II  lavoro  e  la  scuola  del  lavoro,   Roma, La  metafisica  realistica   dell'io,   Messina, Dante  e  la  filosofìa  dell'amore,   Bologna, Comenio  e  la  scuola  della  democrazia,   Bari,   1946.  Dio  secondo  la  ragione,  Bari,  Metafisica  dell'insegnamento,   Bari, Filosofia  dell'  educazione.  L' educazione  come  legge  della  persona,   Padova, La  teoria  della  cultura  e  l'insegnamento,  Genova, L'esistenza  e  l'immortalità  dell'anima.  Lecce, Letteratura.   E.  Tozzi,  Profili  di  educatori  viventi,  Firenze, Ambrosio,  R.  Resta  precursore  della  riforma  Bottai,  Napoli, Calogero,  R.  Resta  e  la  pedagogia  della  cultura,  Catania, Autori  vari,  Gli  aspetti  essenziali  di  una  vita  e  di  un  pensiero.  Studi  in  onore   di  R.  Resta,  Bari,  Maresca   Opere.   Di   due   opposti   atteggiamenti   della  filosofia   moderna    rispetto   alla   religione,   Napoli, Fatto  etico  e  fatto  pedagogico,  Lucca, Le  antinomie  dell'educazione,  Torino,  Saggi  sul  concetto  della  pedagogia  come  filosofia  applicata,  Roma,  Il  problema  della  scienza  e  l'educazione,   Roma, Il  problema  della  religione  nella  filosofia  conte^nporanea,  Roma, Introduzione  generale  alla  pedagogia,  Roma,  Moralità   e   conoscenza.   Critica   del   razionalismo   morale,    Roma, Aquino  e  la  «  Scolastica  »,  Milano, Letteratura. Cappiello,  Il pensiero  filosofico-pedagogico  di  M.  Maresca,  Milano, Nobile  Opere.   L'indagine  causale  e  l'autonomia  morale.   Saggio  pedagogico,   Napoli Saggi  vari  intorno  ad  alcuni  problemi  di  filosofia  e  pedagogia,  Napoli, Brevi  saggi  di  logica,  Napoli, Dualismo  e  religione,  Roma,  Boehme  e  il  suo  dualismo  essenziale,  Roma, Il  dualismo  nella  filosofia.  Sua  ragione  eterna  e  sue  storiche  vicissitudini,  Napoli,  I limiti  del  misticismo  di  Jakob  Boehme,  Napoli, Presupposti  filosofici  per  una  storia  delle  religioni,   Napoli,  La  morale  e  le  altre  forme  dello  spirito,  Roma, Napoli, La  legge  morale  alla  luce  del  dualismo  filosofico,  Napoli, Panteismo  e  dualismo  nel  pensiero  di  Schelling,  Napoli,  s.  a.,  ma  La  pace  come  ideale  della  ragione,   Napoli, L'idea  dell'immortalità  dell'  anima  e  la  sua  efficacia  sulla  civiltà  e  suW  educazione, Napoli, Panteismo  e  dualità  nel  pensiero  di  Schelling  e  dei  suoi  oppugnatori,  Napoli,  Della  Valle  Opere.   La  psicogenesi  della  coscienza.  Saggio  di  una  teoria  generale  dell'evoluzione,   Milano,  Le  leggi  del  lavoro  mentale,   Torino, La  pedagogia  realistica,  Napoli, Teoria  generale  e  formale  del  valore  come  fondamento  di  una  pedagogia  filosofica.   I:   Le  premesse  dell' axiologia  pura,   Torino, Lucrezo  Caro  e  l'epicureismo  campano,  Napoli, Il concetto  filosofico  della  pedagogia,  Torino, La  pedagogia  realistica  come  teoria  dell'efficienza,  Milano, Letteratura.   G.  Gentile,  Le  leggi  del  lavoro  mentale  di  G.  Della   Valle,  in  Educazione  e   scuola  laica,    Firenze, Oraziani,  La  scienza  pedagogica  nell'opera  di  G.  Della  Valle,  Probi,  d.   pedag. L'ETÀ  DELL'IDEALISMO Opere  generali    U.    Spirito,    L'idealismo   italiano   e   i   suoi   critici,    Firenze, Carabellese,   L'idealismo  italiano,   Napoli, Roma, Guzzo,   Cinquant' anni  di  esperienza  idealistica  in  Italia,   Padova, Martinetti   Opere.   Introduzione   alla   metafisica. Teoria   della   conoscenza,    Torino, Milano,  Sul  formalismo  della  morale  kantiana,  Milano, Breviario   spirituale    (anonimo),    Milano, Saggi  e  discorsi,   Torino, La  libertà,  Milano, Torino, Gesìi   Cristo  e  il  Cristianesimo,   Milano, Torino, Schopenhauer  (con  antologia),  Milano,  Ragione  e  fede.   Saggi  religiosi,   Torino,  Hegel,   Milano, Kant,   Milano, Letteratura.   G.  Gentile,  La  teoria  della  conoscenza  del  Martinetti,  in  Saggi  critici.  Lanciano, Savinelli,  La  religione  nel  pensiero  di  P.  Martinetti,  Firenze, Sciacca,  Martinetti,  Brescia, Poggi,  P.  Martinetti,  Vicenza,  Alessio,  L'idealismo  religioso  di  P.  Martinetti,   Brescia, Goretti,  Il  pensiero  filosofico  di  P.  Martinetti,  Bologna, Pellegrino,  Religione  ed  educazione  nell'idealismo  trascendente  di  P.  Martinetti, Brescia, Romano,  //  pensiero  filosofico  di  P.  Martinetti,  Padova, Autori  vari.   Giornata  martinettiana,  «  Filosofia Mariani,  Esperienza  e  intuizione,  Saggio  sul  pensiero  di  P.  Martinetti,  Roma,   Terzi,  Martinetti:  la  vita  e  il  pensiero  originale,  Bergamo,  Varisco    Opere.  La  necessità  logica,  Napoli,  Scienza  e  opinioni,   Roma, Appunti  critici  di  filosofia  naturale,   Bergamo,  Le  mie  opinioni,  Pavia, Introduzione  alla  filosofia  naturale,  Milano,  Studi  di  filosofia  naturale,  Milano, Corpo  e  anima,   Pavia, Appunti  sulla  conoscenza,   Pavia, Forza  ed  energia,  Pavia, Su  alcune  questioni  di  gnoseologia  e  di  filosofia  morale,  Pavia, Dottrine  e  fatti,   Pavia, Paralipomeni  alla  conoscenza,   Pavia,   1905.   Scienza  e  filosofia,  Trani, Modernismo  e  modernità,  Treviso, Massimi  problemi,   Milano, Lo  spirito  della  filosofia,   Ortona, Conosci te stesso, Milano, Firenze, La  Patria. Idealità  e  interessi,   Roma, La  scuola  e  l'esperienza,  Palermo, La  scuola  per  la  vita.  Scritti  pedagogici,  Milano, Firenze,  Linee  di  filosofia  critica,  Roma, Discorsi  politici,  Roma, Dall'uomo  a  Dio  (a  cura  di  E.  Castelli  e  G.  AUiney),  Padova,  II  pensiero  vissuto  (cur. Castelli-ZUBIENA),   Roma, Letteratura.   P.  Carabellese,  L'essere  e  il  problema  religioso  (a  proposito  del Conosci  te   stesso), Bari, Negri,  La  metafisica  di  B.    Varisco,  Firenze,   Chiappetta,   La  teodicea  di  B.    Varisco,   Napoli, Moretti  Costanzi,  Il  problema  dell'uno  e  dei  molti  nel  pensiero  di  Varisco, Napoli, Librizzi,   Il  pensiero  di  B.    Varisco,  Padova, Alliney,    Varisco,  Milano,  Drago,  La  filosofia  di  B.   Varisco,  Firenze, Calogero,  La  filosofia  di  B.   Varisco,  Messina,   Morra,  Il  pensiero  teologico  di  B.  Varisco,  Il  Saggiatore, Volpati,  Il  concetto  della  persona.  Colloqui  con  B.  Varisco,  Albenga,  DoLLO,  L'assoluto  come  soggetto  in  B.  Varisco,  in  Momenti  e  problemi  dello  spiritualismo,    Padova, Lamanna.  storia  della,  filosofia, Carabellese  Opere.   La  teoria  della  percezione  intellettiva  di  Antonio  Rosmini,  Bari,  Sulla  vetta  ierocratica  del  papato,   Palermo, L'essere  ed  il  problema  religioso.  A  proposito  del  «  Conosci  te  stesso  »,  di  Bernardino  Varisco,  Bari,  La  coscienza  morale.   La  Spezia,  Critica  del  concreto,  Pistoia, Roma, La  filosofia  di  Kant:  l'idea  teologica,   Firenze, Il  concetto  della  filosofia  da  Kant  ai  nostri  giorni. Kant,   Palermo, Il problema  della  filosofia  da  Kant  a  Fichte,  Palermo, Il  problema  teologico  come  filosofia,   Roma, L'idealismo  italiano,   Napoli, Roma, Il problema  della  filosofia  in  Kant.  Guida  allo  studio  dei  Prolegomeni, cur. Damonte,  Verona, Il  problema  dell'esistenza  in  Kant,  Lezioni, Roma, Che  cos'è  la  filosofia?,  con  postille  e  altri  saggi,  Roma, L'essere  e  la  sua  manifestazione.  I:  L'essere  nella  dialettica  delle  forme,  Lezioni.  Roma, La  dialettica,  Roma, Disegno  storico  della  filosofia  come  oggettiva  riflessione  pura.  Lezioni,  Roma, La  realtà  e  l'attività  spirituale  umana,  Lezioni,   Roma, Da  Cartesio  a  Rosmini.  Fondazione  storica  dell'ontologismo  critico,  Firenze, L'idea  politica  d'Italia,  Roma, Le  obiezioni  al  cartesianismo, Messina, La  spiritualità  dell'essere.  Filosofia  del  Cristianesimo.  Lezioni,   Roma, L'essere,  Io.  Lezioni,  Roma, L'attività  spirituale  umana.  Prime  linee  di  una  logica  dell'essere.  Lezioni,  Roma, La  filosofia  dell'esistenza  in  Kant,  a  cura  di  G.  Semerari,  Bari, Letteratura.   G.  E.  Bariè,  Soggettività  e  oggettività  nella  filosofia  del  Carabellese,  «  Rendiconti del  R.  Istituto  Lombardo, Maresca,  Il  problema  della  religione  nella  filosofia  contemporanea,  Roma,  Fano,  La  metafisica  ontologica  di  P.  Carabellese,  «  Giorn.  crit.  d.  fil.  it. Verrua,  Il  pensiero  filosofico  di  P.   Carabellese,  Bobbio, Lombardi,  P.  Carabellese  (serie  di  articoli  su  «  Civ.  Catt. Lombardi,   La  posizione  di  P.   Carabellese  nella  filosofia  contemporanea,   Urbino, Mattai,    Il  pensiero  filosofico  di   Carabellese,   Chieri, Padalina,   La  critica  del  concreto  di  P.   Carabellese,   Palermo,  Moretti  Costanzi,  L'asceta  moderno  :  Carabellese,  «  Giorn.  crit.  d.  fil.   it. Ventura,  Filosofia  e  religione  in  un  metafisico  laico:  P.  Carabellese, Milano, Vicarelli,   Il  pensiero  di Carabellese,   Roma, Autori  vari,  Storia  e  storicismo.  Studi  sul  problema  della  storia  nella  filosofia di  Carabellese,  Trani, Montone,  La  critica  di  fronte  all'ontologismo,  Castrovillari, Tebaldeschi,  Il problema  della  natura  nel  pensiero  di  Carabellese,  Roma, Tozzi,   Pantaleo   Carabellese,   Torino, Semerari,   Storicismo  e  ontologismo  critico,  Bari,    Forni,  Il  problema  dell'esistenza  in  Kant  nell'interpretazione  di  P.  Carabellese,  Kantstudien  », Giornate  di  studio  carabellesiane,   con  scritti  di  autori  vari,   Genova, Croce  Opere.   Salvo  le  Pagine  sparse,  e  pochi  altri  scritti,  le  opere  complete  sono  state  raccolte dall'editore  Laterza  di  Bari.   La  storia  ridotta  sotto  il  concetto  generale  dell'arte,  Napoli, La  critica  letteraria,   Roma,  Primi  saggi,  Materialismo  storico  ed  economia  marxista,  Palermo, Bari, Tesi  fondamentali  di  un' estetica  come  scienza  dell'espressione  e  linguistica  generale,  Napoli, Estetica  come  scienza  dell'espressione  e  linguistica  generale,   Palermo,  Logica  come  scienza  del  concetto  puro,  Napoli,  Bari,  Ciò  che  è  vivo  e  ciò  che  è  morto  della  filosofia  di  Hegel,  Bari, Letteratura  e  critica  della  letteratura  contemporanea  in  Italia,  Bari, Filosofia  della  pratica.  Economica  ed  Etica,  Bari, Problemi  d'estetica  e  contributi  alla  storia  dell'estetica  italiana,  Bari,  La  filosofia  di  Giambattista   Vico,  Bari, Saggi  sulla  letteratura  italiana  del  Seicento,    Bari, La  rivoluzione  napoletana,   Bari, Breviario  di  Estetica.  Quattro  lezioni,  Bari, Cultura  e  vita  morale.  Intermezzi  polemici,  Bari.   La  letteratura  della  nuova  Italia,  Bari, La  Spagna  nella  vita  italiana  durante  la  Rinascenza,  Bari, Aneddoti  e  profili  settecenteschi,  Palermo, I  teatri  di  Napoli,  Bari, Teoria  e  storia  della  storiografia,  Bari, Contributo  alla  critica  di  me  stesso,  Napoli, Conversazioni  critiche, Bari, Storie  e  leggende  napoletane,  Bari, Curiosità  storiche,  Napoli, Pagine  sparse,   Napoli, Goethe.  Con  una  scelta  delle  liriche  nuovamente  tradotte,  Bari, Primi   saggi,    Bari,  Nuovi  saggi  di  estetica,   Bari, Ariosto, Shakespeare, Corneille,    Bari, Storia  della  storiografia  italiana  nel  sec.  XIX,  Bari, La  poesia  di  Dante,  Bari, Poesia  e  non  poesia.  Nota  sulla  letteratura  europea,  Bari,  Uomini  e  cose  della  vecchia  Italia, Bari, Poeti  e  scrittori  d'Italia,  Bari, Bari, Storia  d'Italia  dal  i8yi  al Bari, Storia  dell'età  barocca  in  Italia.  Pensiero,  poesia  e  letteratura.  Vita  morale,  Bari, Aesthetica  in  nuce,  Napoli, Manzoni.  Saggi  e  discussioni,  Bari, Nuovi  saggi  sulla  letteratura  italiana  del  Seicento,   Bari,    Etica  e  politica,  Bari,   Storia  d'Europa,   Bari, Poesia  popolare  e  poesia  d'arte.  Studi  sulla  poesia  italiana  dal  Tre  al  Cinquecento, Bari, Orientamenti.  Piccoli  saggi  di  filosofia  politica,  Milano, Nuovi  saggi  sul  Goethe,  Bari,   La  critica  e  la  storia  delle  arti  figurative,  Bari, Sanctis.  Pagine  sparse  (in  collaborazione  con  E.  Clone  e  C.  Mu-  scetta),   Bari, Ultimi  saggi,   Bari, La  poesia.  Introduzione  alla  critica  e  storia  della  poesia  e  della  letteratura,  Bari, La  storia  come  pensiero  e  come  azione,  Bari, II  carattere  della  filosofia  moderna,  Bari,   Poesia  antica  e  moderna.  Interpretazioni,  Bari, Storia  dell'estetica  per  saggi,   Bari, Pagine  sparse, Napoli, Discorsi  di  varia  filosofia,  2  voli.,  Bari, Pagine  politiche, Bari, Poeti  e  scrittori  del  pieno  e  del  tardo  Rinascimento,  Bari, Pensiero  politico  e  politica  attuale.   Scritti  e  discorsi, Bari, Bibliografia  vichiana  (accresciuta  e  rielaborata  da  F.  Nicolini),  Napoli, Quando  l'Italia  era  tagliata  in  due.  Estratto  di  un  diario,  Bari,Due  anni  di  vita  politica  italiana  {ig46-ig4y),  Bari, Filosofia  e  storiografia,  Bari, Nuove  pagine  sparse, Napoli, La  letteratura  italiana  del  Settecento,   Bari, Ariosto,   Bari, Indagini  su  Hegel  e  schiarimenti  filosofici,  Bari, Intorno  alla  dialettica.  Discussioni,  Bari, Letteratura.   Bibliografie  :   L'opera  filosofica  storica  e  letteraria  di Croce,  a  cura  di  vari  autori,  Bari, CiONE,  Bibliografia  crociana,  Milano, Borsari,   L'opera  di  B.   Croce,   Napoli,    Studi Chiocchetti,  La  filosofia  di  B.  Croce,  Firenze, VoLPiCELLi  e  U.  Spirito,  B.  Croce,  Roma, Fraenkel,   Die  Philosophie  Benedetto   Croces  und  das   Problem  der   Naturerkenntnis,  Tiibingen,  trad.  it.,  Bari, Lameere,  L'esthétique  de Croce,  Parigi, Carbonara,  Sviluppo  e  problemi  dell'estetica  crociana,  Napoli, Caracciolo,  L'estetica  di  B.  Croce  nel  suo  svolgimento  e  nei  suoi  limiti,  Torino, Faucci,  Storicismo  e  metafisica  nel  pensiero  crociano,  Firenze, Sfrigge,  Croce,  Man  and  Thinker,  Cambridge;  trad.  it.,  Milano, Guzzo,   Croce  e  Gentile,  Lugano, Sainati,  L'estetica  di  B.  Croce.  Dall'intuizione  visiva  all'intuizione  catar-  tica, Firenze, Olgiati, Croce  e  lo  storicismo,  Milano, Mautino,  La  formazione  della  filosofia  politica  di  Croce,  Bari, Antoni,   Commento  a   Croce,  Venezia, Caponigri,  History  and  Liberty.  The  Historical  Writings  of  B.  Croce,   Chicago, Raggiunti,  La  conoscenza  storica.  Analisi  della  logica  crociana,  Firenze, Abbate,  La  filosofia  di  B.  Croce  e  la  crisi  della  società  italiana,  Torino, Vinciguerra,    Croce,   Napoli, Caracciolo,  L'estetica  e  la  religione  di  B.  Croce,  Arona, Seerveld,   Croce' s  Earlier  Aesthetic  Theories  and  Literary  Criticism,   Kampen, MossiNi,  La  categoria  dell'utilità  nel  pensiero  di  Croce,  Milano, Gennaro,   The  Philosophy  of  B.  Croce,  New  York, Grandi,  Croce  e  il  Seicento,  Milano, Agazzi,  Il  giovane  Croce  e  il  marxismo,  Torino, NicoLiNi,  B.   Croce  (biografia),  Torino, CiONE,  B.  Croce  e  il  pensiero  contemporaneo,  Milano, Franchini,  Croce  interprete  di  Hegel,  Napoli,  Puppo,  //  metodo  e  la  critica  di  B.  Croce,  Milano, Capanna,  La  religione  in  B.  Croce,  Bari,  Bausola,  Filosofia  e  storia  nel  pensiero  crociano,  Milano, Bausola,  Etica  e  politica  nel  pensiero  di  B.  Croce,  Milano, RoGGERONE,  Croce  e  la  formazione  del  concetto  di  libertà,  Milano,  L.,   Introduzione  alla  lettura  di   Croce, cur. Pesce,   Firenze, Gentile  Opere.   La  raccolta  delle  Opere  complete ed epistolario,  Sansoni  di  Firenze,  a  cura  della  Fondazione  Gentile  per  gli  studi  filosofici.   Rosmini  e  Gioberti,  Pisa, Firenze, La  filosofia  di  Marx.  Studi  critici,  Pisa, Dal  Genovesi  al  Galluppi.  Ricerche  storiche,  Napoli,  Storia  della  filosofia  italiana  dal  Genovesi  al  Galluppi,  Milano, Studi  sullo  stoicismo  romano  nel  I  secolo  dopo  Cristo,  Trani, Bruno  nella  storia  della  cultura,   Palermo, Il  modernismo  e  i  rapporti  tra  la  religione  e  la  filosofia,  Bari, Telesio,   Bari, Per  il  riordinamento  dell'istruzione  superiore.  Studi  e  proposte,  Palermo, I problemi  della    scolastica  e  il  pensiero  italiano,   Bari, La  riforma  della  dialettica  hegeliana  ed  altri  scritti,  Messina, Sommario  di  pedagogia  come  scienza  filosofica.  I  :  Pedagogia  generale.  II  :  Didattica, Bari, Studi  vichiani,  Messina, Firenze, Teoria  generale  dello  spirito  come  atto  puro,  Pisa, Bari, Sistema  di  logica  come  teoria  del  conoscere,  Pisa,  Bari, Le  origini  della  filosofia  contemporanea  in  Italia.  I:  I platonici.  II:  /  positivisti. Ili:  I  kantiani  e  gli  hegeliani, Messina, Il  tramonto  della  cultura  siciliana,   Bologna, Il  problema  scolastico  del  dopoguerra,   Napoli, Guerra  e  fede.  Frammenti  politici,  Napoli, Roma, Discorsi  di  religione,   Firenze, Bruno  e  il  pensiero  del  Rinascimento,  Firenze, La  riforma  dell'educazione.  Discorsi  ai  maestri  di  Trieste,  Bari, Dopo  la  vittoria.  Nuovi  frammenti  politici,  Roma, Saggi  critici,   Napoli,  Firenze, Frammenti  di  estetica  e  di  letteratura,   Lanciano,  Educazione  e  scuola  laica,  Firenze, Capponi  e  la  cultura  toscana  del  sec.  XIX,  Firenze,  I fondamenti  della  filosofia  del  diritto,  Roma, Firenze, Dante  e  Manzoni.  Con  un  saggio  su  arte  e  religione,  Firenze,   Albori  della  nuova   Italia, Lanciano, Studi  sul  Rinascimento,   Firenze, I profeti  del  Risorgimento  italiano,  Firenze,   Difesa  della  filosofia.  Lanciano, Preliminari  allo  studio  del  fanciullo,  Roma, Firenze,   Bertrando  Spaventa,   Firenze,    La  riforma  della  scuola,  Bari, Il fascismo  al  governo  della  scuola.  Discorsi  e  interviste,  Palermo, La  nuova  scuola  media,  Firenze, Che  cosa  è  il  fascismo,   Firenze, L'eredità  di    Vittorio  Alfieri,   Venezia, Frammenti  di  storia  della  filosofia,   i^  serie,  Lanciano,  Cuoco.   Studi  e  appunti,   Venezia, Manzoni  e  Leopardi.   Saggi  critici,   Milano,    Fascismo  e  cultura,  Milano, Origini  e  dottrina  del  fascismo,   Roma, La  filosofia  dell'arte,   Milano, Der  aktuale  Idealismus.  Zwei  Vortràge,  Tiibingen, La  riforma  della  scuola  in  Italia,   Milano, Introduzione  alla  filosofia,  Milano,   La  profezia  di  Dante,  Roma, La  filosofia  dell'arte  in  compendio,   Firenze, Memorie  italiane  e  problemi  della  filosofia  e  della  vita,   Firenze, Dottrina  politica  del  fascismo,   Padova, Poesia  e  filosofia  di   Giacomo   Leopardi,    Firenze, Il pensiero  italiano  del  Rinascimento,   Firenze, Il pensiero  di  Leonardo,   Firenze, La  filosofia  italiana  contemporanea.  Due  scritti,  Firenze,   Genesi  e   struttura  della  società.   Saggio   di  filosofia  pratica,    Firenze,    Letteratura.   Un  vasto  insieme  di  studi  sulla  filosofia  del  Gentile  è  rappresentato  dalla  raccolta,  di  vari  autori,  Giovanni  Gentile:  La  vita  e  il  pensiero,  Firenze. Cfr.  inoltre:   E.  Chiocchetti,  La  filosofia  di  G.  Gentile,  Milano, La  Via,  L'idealismo  attuale  di  G.  Gentile,  Trani,   Sarlo,   Gentile  e  Croce,   Firenze,    D'Amato,   G.   Gentile,   Milano, Spirito,  L'idealismo  italiano  e  i  suoi  critici,  Firenze, Thompson,   The  Educational  Philosophy  of  G.  Gentile,  Los  Angeles, Hessen,   Die  Pàdagogik   von   G.   Gentile,   «Die  Erziehung.  trad.  it.,  Roma,   Baur,   Gentiles  Philosophie  und  Pàdagogik,   Langensalza,    Holmes,  The  Idealism  of  G.  Gentile,  New  York,   RoMANELL,   The  Philosophy  of  G.  Gentile,  New  York,   Collctti,  Il  problema  religioso  dal  punto  di  vista  dell'idealismo  attuale,  Messina, Bontadini,    Dall'attualismo   al  problematicismo,    Brescia,  Guzzo,   Croce  e  Gentile,  Lugano,  Scarpelli,  La  filosofia  di  G.  Gentile  e  le  critiche  di  G.  Solari,  Torino,  Spirito,   Note  sul  pensiero  di  G.   Gentile,   Firenze,   Bellezza,  L' esistenzialismo  positivo  di  G.  Gentile,  Firenze,   Carlini,   Studi  gentiliani,   Firenze,   Harris,  The  Social  Philosophy  of  G.  Gentile,  Urbana,  SciACCA, Dall'attualismo   allo  spiritualismo,   Milano, Bellezza,    La  problematica   attualistica   della   storia,    Firenze. Eustachio Paolo Lamanna. E[ustachio] P. Lamanna. E. Paolo Lamanna. E. P. Lamanna. Lamanna. Keywords: il risorgimento fiorentino, Mussolini nella storia della filosofia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lamanna” – The Swimming-Pool Library. Lamanna.

 

Luigi Speranza -- Grice e Lami: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della ragione dei antichi romani – la tradizione della polizia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “I like Lami; he has written interesting approaches to Plato and Aristotle.” Si laurea e insegna a Roma. Altri saggi: "La ragione degli antichi” (Giuffrè, Roma); "La politica di Platone” (Rubettino, Cosenza); "Tra utopia e utopismo" (Cerchio, Rimini) "Qui ed ora -- per una filosofia dell'eterno presente" (Cerchio, Rimini); "Il libro Manifesto – in difesa dell’oggettività" (Heliopolis, Pesaro); G. Sessa, "Voegelin -- Ordine e Storia” (Angeli, Roma, Filosofia politica Filosofia della storia nuova destra. Letteratura e Tradizione//miro renzaglia.org letteratura-tradizione-il-resoconto/ Scuola Romana di Filosofia Politica//centro studi la runa Fondazione Julius Evola. E’ davvero difficile per me, ricordare L. In questi giorni, ho dovuto farlo più volte, intervenendo a pubbliche commemorazioni della Sua memoria, a cominciare da domenica quando, in un gelido pomeriggio invernale, improvvisa e sorprendente, ci è giunta la notizia della Sua dipartita, durante la presentazione di un libro, alla quale avrebbe dovuto essere presente, come relatore, anche lui.  Immediatamente, il pensiero è corso al nostro primo incontro, quando io, giovane studente di filosofia, lo conobbi in qualità di assistente di Noce. Fin da allora, non si trattò di un semplice rapporto professionale, in quanto Lami seppe trasmettere a noi giovani che lo frequentavamo, l’amore per il sapere autentico, quello che si tramuta in testimonianza, in vita. Mi coinvolse immediatamente in un progetto ambizioso: quello di introdurre in un paese dominato culturalmente dalla Sinistra, il filosofo della storia Voegelin, allora praticamente sconosciuto. Il risultato di questa ricerca, alla quale ebbi l’onore e il piacere di partecipare in prima persona, assieme a Borghi e pochi altri, si concretizzò nella pubblicazione di una serie di antologie voegeliniane (qui è bene rinviare a Voegelin: un interprete del totalitarismo, Astra), che fecero ampiamente discutere. Il merito maggiore, conseguito da Lami, in questo ambito di studi, fu di individuare nel filosofo austro-americano, un diagnosta della crisi della modernità. In particolare, attraverso l’analisi e la traduzione di Ordine e storia, opera monumentale, Egli presentò l’esperienza classica della ragione, quale unica terapia possibile delle devianze neo-gnostiche contemporanee (si veda, prefazione a VOEGELIN, Israele e rivelazione, Aracne, ma anche L., Introduzione a Voegelin, Giuffré).  Fece propria, in modo critico e originale, l’eredità di Noce, secondo modalità più profonde rispetto a chi, tra i suoi presunti discepoli, scelse, come il Maestro, una via di fede. La cosa, è facilmente deducibile dalla lettura dell’organica monografia che egli dedicò al filosofo cattolico (Introduzione a Augusto Del Noce, Pellicani), da cui si evincono tanto la gratitudine per il discepolato e per gli insegnamenti ricevuti, sostanziati da un metodo rigoroso d’analisi quanto le differenze speculative essenziali, dovute alla valorizzazione filosofica, propria di Lami, delle qualità virtuose dei singoli, nell’ambito pratico-politico. A questa scelta, che peraltro individua, nello specifico, il campo d’indagine della scuola romana di filosofia politica, che a Lui faceva e fa, tuttora, riferimento, hanno fortemente contribuito gli interessi per gli autori dimenticati del novecento. Tra essi, TILGHER e EVOLA. Al primo dedica un volume significativo (TILGHER, un pensatore liberale, Seam), nel quale evidenzia il tema della pluralità delle morali, come caratterizzante il pensatore napoletano. Ciò, secondo L., lo avvicinava al filosofo tradizionalista, poiché il suo pensiero, individua effettive vie realizzative in grado di determinare le tipologie umane dell’eroe, del santo, dell’asceta, del saggio e del dotto. Sul secondo da alle stampe la prima monografia filosofica: Introduzione a Evola. Un passo per la vita e un passo per il pensiero, Volpe. Inoltre, quale collaboratore della Fondazione Evola, cura diversi volumi della “Biblioteca evoliana” nei quali, come pochi, è riuscito a contestualizzare storicamente l’opera del filosofo romano e a coglierne il valore, in un lavoro esegetico sempre aperto alla comparazione.  E’ proprio Evola, l’autore attorno al quale si sono dipanate, nel corso degli anni, le nostre discussioni. Mi pare, infatti, che Egli leggesse EVOLA, tentando, almeno su certi aspetti, di andare, con gli strumenti della tradizione platonico-aristotelica, oltre le posizioni consuete a quest’ultimo, interpretando, al medesimo tempo, la consolidata lettura di matrice cristiana del pensiero classico, alla luce dell’esegesi evoliana. Stigmatizza sempre negativamente l’abbandono, dovuto all’irruzione della visione del mondo ebraico-cristiana, della dimensione civico-virtuosa, sulla quale la civiltà romana tanto insiste. La cosa, è particolarmente chiara nello studio dedicato a questo specifico tema (Socrate Platone Aristotele, Rubbettino), nel quale tenta di presentare il simbolo epocale del mondo antico, la “vita contemplativa”, come realizzantesi pienamente nella dimensione della Città, a testimoniare della contrapposizione tra tensione utopica tradizionale, e scacco utopistico, tipicamente moderno. Tema questo, attorno al quale spese le sue energie intellettuali nel recente volume Tra utopia e utopismo (Il Cerchio).  Corrispondere a quella che è stata la via da lui indicata, ad un tempo ideale ed esistenziale, a quella che egli definiva una filosofia dei pochi, del divino e dell’ordine, è compito complesso e gravoso, al quale comunque, chi come me, gli è stato vicino, non può permettersi il lusso di sottrarsi. Sarà la memoria della Sua luce interiore, che accendeva anche negli studenti della “Sapienza”, o in chi lo ascoltava nelle innumerevoli occasioni culturali per le quali tanto lavorava, dai Convegni alle presentazioni librarie, a sostenerci nella Sua assenza. Ma, più in particolare, l’idea di una tradizione sempre viva e presente, che si realizza, addirittura nella comunanza dei vivi e dei morti, come Roma (ma non solo) ci ha insegnato, e che rappresenta il suo testamento spirituale più prezioso (al riguardo si veda, Qui e ora. Per una filosofia dell’eterno presente, Il Cerchio.  L’università di Roma, con Lui ha perso una delle ultime personalità carismatiche, in grado di fare Scuola. Personalmente, non posso che ringraziarlo per avermi onorato, in questo mondo, della Sua amicizia, rara e preziosa: quella di un Signore. Tratto da Area. Grice: “Lami touches some crucial points. For one, he criticizes Jowett for mistranslating Plato. What Plato wrote is fair and simple, ‘Police’ – Politeia --. Lami as a Roman hates the Pope – who does he think he is? The Papal dynasty is take in that they cannot reproduce. So we must go to the civil-political organization of the Romans, as seen from the the heroic ‘eta’ of Romolo. La citta. La Civilta. La tradizione. La tradizione una. Espressione varie e tradizione una.  With the birth of Christ, Roman words acquired new implicatures, for bad. Pagan started to mean ‘heathen’, and ‘ethnicus’ (ennico) more or less the same. Of course the old Romans were anything but PAGAN or heathen – they did almost EVERYTHING for Marzio, to whom they dedicated the downtown gym! (Campo Marzio). Lami knows all this – and more --. Gian Franco Lami. Lami. Keywords: la ragione degl’antichi,  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lami” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Lampria: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia pugliese – scuola di Taranto – scuola tarantina – filosofia tarantina -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. Tutor of Aristosseno di Taranto, although he seems to have taught him music rather than philosophy.

 

Luigi Speranza -- Grice e Landi: la ragione conversazionale e la semiotica economica – prinzipio di economia dello sforzo razionale – filosofia lombarda – scuola milanese – scuola di Milano -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “I would call Landi a Griceian; but he’d call me a Landian!” Studioso della dottrina del ‘segno,’ vis-à-vis- scienze umane e antropologia, apportato un notevole contributo agli sviluppi alla semantica (senso) e la pragmatica (prassi, pratica – ragione pratica) -- crt, cercando di unificare la dialettica romana e fiorentina  con quella oxoniense. Diplomato al Regio Liceo Ginnasio Alessandro Manzoni, si laurea a Milano. Studia a Pavia. Insegna a Padova, Lecce. Riceve, e Trieste. La sua opera si può suddividere in tre fasi. La prima riguarda studi su la prassi (ragione pratica), nonché l'analisi dei processi di “segno.” La seconda fase propone una teoria della “produzione” del segno intendendola come teoria del lavoro cui fondamento è l'omologia tra la teoria del segno e so-miscalled aeco-nomia. (cf. Grice, P. E. R. E.). La terza fase studia l'intricato rapporto tra il segno e la ideologia e teorizza l'”alienazione” dell’usuario del segno (ego/alter/alien). Opere: Pratica communicativa (Bocca, Milano); “Segno” (Manni, Lecce); “Significato, comunicazione e parlare comune,” – cfr. Grice, “SignificARE, communicARE, impiegare, implicARE, -- ‘common’ is Landi for Grice’s ‘ordinary’ as opposed to extra-ordinario. Marsilio, Padova. La semiotica e  “Segnare” come lavoro e mercato, -- cf. Grice against an utilitarian and pro a Kantian account of the rational effort – but remarks in the “Retrospective Epilogue” about his concern with ‘rationality’ as being co-operative. And Grice’s remarks about the independence of the two thesis: semiosis as rational and semiosis as cooperatively rational. Bompiani, Milano, Segno ed ideologia (Bompiani, Milano), “Segnare” (Bompiani, Milano); “Ideologia” (Mondadori, Milano); “Metodica filosofica e semiotica -- scienza dei segni, o teoria? – cf. Grice on philosophical psychology,’ folk science of psychology – ceteris paribus – ‘law’ of the science of psychology --. The laws of psychology – “That’s why we call them ‘psycho-logical’ concepts, or theoretical terms, -- psychological theory --. Theory Th.  (Bompiani, Milano). Cf. Grice on the boundaries of ‘mean,’ and the idea of ‘consequence,’ y is a consequence of x, x means y. Il corpo del testo tra riproduzione sociale ed eccedenza, Scritti su G. Ryle e la filosofia analitica” (il Poligrafo, Padova); “Semiotica Filosofia del linguaggio  su ferrucciorossilandi.c om. Grice: “Landi takes economics seriously, as did Aristotle – unfortunately, those researching onto Landi hardly quote from Aristotle!” “While the Italians think that Landi is being very Original, we at Oxford don’t! Game theory, strategy theory, and efficiency theory are all basic to ‘oeconomica’ in most pragmatic models of efficient communication – “Information is like money!” – Cf. la teoria del valore e le formulae dell’egoismo, l’altruismo o non-egoismo, Meinong. Teoria formale del valore. I valori egoistici risultano espressi con le lettere T e e te1 Hay Ja, Un Un,, Tv Uy. Gli valori altruistici sono espresso con le lettere: i. I valori neutrali sono espresso colle lettere : Ym. Siccome non si propone di dare una teoria compiuta dei fatti concomitanti di questo o quello valore, ma solo di ANALIZZARE tal unicasi va   speciali, così, quando adopera i simboli senza l'indice soscritto, intende significare il valore egoistico – con la lettere ‘e’ sottoittesa. Questi simboli possono esprimere questo o quello BENE, ma anche questa o quella volizione a questo o quello BENE riferentisi. Per indicare una volizione, si adopera il stesso segno *fra parentesi quadratti*. Infine, si suppone, di regola ceteris paribus,che la circostanza concomitante sia sempre una sola, la quale, insieme alla volizione, formi ciò che chiamamo il “bi-nomio” della volizione. Se le circostanze sono più, allora si forma un “poli-nomio” della volizione. La precedenza di una lettera in un binomio o un polimonioindica il valore principale, sia desiderato o sia attuato. In che modo i fatti concomitanti del valore sono connessi collo scopo della volizione? Siccome ogni scopo di volizione è anche un oggetto di valutazione, la domanda può formularsi così. Come i valori possono entrare in connessione tra loro? Si noti però che la connessione deve stabilirsi prima del cominciamento della volizione, giacchè questa volizione deve tenerne conto. Le co-esistenze casuali restano naturalmente escluse. Tra lo scopo dellla volizione e l'oggetto della valutazione concomitante possono correre varie relazioni. C’e una relazione d’identità. Ciò che il  artista o un politico come Mussolini crea non soddisfa lui SOL tanto, apparirà sempre in qualche modo come un BENEFICATORE di tutta una sfera di uomini – la nazione italiana. C’e una relazione di CO-ESISTENZA di più qualità di una stessa cosa, o anche di più cose. Per esempio, un tale VUOL comprare un piano che ha (+) un bel tono. Ma il piano ha anche (-) una cattiva meccanica. O un cane da guardia molto vigile (+), il quale però morde (-). O una macchina automobile che lavora bene (+), ma che fa rumore e fumo (-),ecc. C’e un nesso causale, nelle sue due forme: a) lo scopo è CAUSA di conseguenze valutabili. Il politico chi, per esempio, promuove il movimento e l' industria dei forestieri, mira ad arricchire la sua nazione (+), ma anche la de-moralizz (-). b) lo scopo non si può raggiungere che come EFFETO di dati valori morali. Per esempio: un fabbricante per  . Ora torniamo alla domanda principale. In che modo il valore morale di una valutazione dipende dai valori concomitanti, e,in caso di un simple bi-nomio della volunta, dal valore concomitante? Abbiamo distinto quattro categorie di valori, “g”, “T”, “u”, e “u”, le quali si applicano anche ai fatti concomitanti. Però il caso u si può omettere, perchè non accadrà mai, CHE SI VOGLIA UN PROPRIO NON-VALORE PER sè stesso. Rimangono così tre possibilità, le quali, liberamente combinate, dànno *dodici* casi che costituiscono la tavola dei valori. Per l'esame di questi casi bisogna pensare che ad un oggetto di volizione si aggiungano gli altri come fatti concomitanti, e osservare le variazioni di valore che questo intervento produce. La VOLIZIONE ‘POSITIVAMENTE ALTRUISTICA’ (benevolenza e beneficenza) è data da una formula. Il momento più importante è qui l'associazione della circostanza concomitante u, IL PROPRIO DANNO. È evidente che l'aggiunta di questo secondo momento accresce il valore di (i) e di tanto, quanto più grande sarà il sacrificio proprio. Indicando il valore con “W”,si avrà dunque: W(ru) > WV. Se invece si aggiunge “u”, IL DANNO ALTRUI, sia dello stesso beneficato (quando il beneficio produce pure un MALE al beneficato), sia di persone estranee al rapporto (quando per beneficare uno si danneggia altri), allora il valore della volizione con questa circostanza concomitante diventerà minore. E la formula sarà: W(ru) < W(r). Se la circostanza concomitante è pure in favore del beneficato, allora la formula sarà indubbiamente: guadagnare di più deve migliorare la condizione materiale dei suoi operai. W (rr)> Wr.   glianze. Invece L’AGGIUNTA DEL VANTAGGIO PROPRIO AL BENE ALTRUI nè diminuisce, nè aumenta il valore. La volizione egoistica è espressa dalla formula, la modificazione più grave qui si ha, quando al caso si aggiunge la circostanza del  MALE ALTRUI. Allora si avrà: W(gu)<W(9). Se la circostanza concomitante è invece “r”, il valore della volizione egoistica si eleva: W(gr) > W(g). Che poi alla volizione egoistica si aggiunga la circostanza secon aria di un ALTRO PROPRIO VANTAGGIO (plusvalia) o anche di un proprio danno, non modifica il valore di (g). Si avranno quindi le due egua W (99)= W (g)= 0 W(gu)= W(9)=0. Così pure si aumenta il non-valore, se oltre al danno principale si aggiungono altri danni. Epperò: W (UU)< W (U). Per quanto il caso sia inusitato, si può prevedere anche, che al male altrui si associ una qualche conseguenza buona, indiretta,  W (rg)= Wr. La volizione altruistica negativa o anti-altruistica è espressa con una formula. Se per attuare il danno altrui, si fa anche il danno proprio u, questa circostanza aggrava il male e aumenta il non-valore: W (uu) < W (u). W(UY) > W(u). Il fatto concomitante della propria utilità non aggiunge nè toglie al valore della volizione principale anti-altruistica. Si avrà quindi l'eguaglianza: W (ug)= W u. La somma dei risultati ottenuti si può disporre in un Quadro. W(rr) > W(v)? W(gr )> W(g)? W(ur)> W (U)? W(yg)=W(r) W(99)=W(g)=0 W(ug)=W(U) W(ru)<W(Y) W(gu)<W(g) W(UU)<WU) W(ru)>W(V) W(gu)=W(g)=0 W(uu)<W(U). Da questo quadro si rileva che le circostanze concomitanti con segno negativo non sono più feconde di effetti di quelle con segno positivo. Di queste ultime, “g” non modifica nulla, e “r” non dà risultati sicuri, come indica il punto interrogativo. L'influenza dei fatti concomitanti si può dunque riassumere così. Agisce aumentando debolmente il valore. ‘g’ non modifica nulla. ‘u’ diminuisce grandemente il valore. ‘u’ opera secondo lo scopo della volizione -- ora aumentando, ora diminuendo e ora non-modificando il valore. Si è già detto che sarebbe uni-laterale il voler giudicare del valore morale di una volizione dallo scopo ;che però, in quanto lo scopo prende parte alla determinazione del valore, l'altruismo positivo è buono, L’EGOISMO è INDIFFERENTE. L’altruismo NEGATIVO (malevolenza e maleficenza) è cattivo. Ora è importante constatare, che il senso in cui i tre momenti valutativi operano sui fatti concomitanti è completamente lo stesso La validità della tavola dei valori, dianzi tracciata, ma pure prevista. Allora il non-valore si ridurrà, nel modo indicato dalla in-eguaglianza: subisce variazioni, se cambia la qualità della volizione? Itendendo per qualità la differenza tra appetizione e repulsione, che però non deve equipararsi a una contra-posizione logica tra affermazione e negazione, i cui termini si escludano a vicenda, ma considerarsi come una doppia possibilità psicologica, di cui l'una abbia altret tanta realtà indipendente, quanto l'altra. Un'analisi della NOLIZIONE mostra, che esse si comportano egualmente come la volizione, solo che si applicano di regola ai valori “T”, “u” ed “u”, RITTENENDOSI ASSURDO (IRRAZIONALE) IL NON VOLVERE IL PROPRIO VANTAGGIO ‘g’. Indicando le nolizioni con (T) (ū) (T) = (non- T) = (U) (U = (non-- U) = ( ) (ū)=(non u) = (g). Lo stato subbiettivo di rappresentazioni ed i predisposizioni anteriore alla volizione è indicato con il concetto di “Progetto”. E siccome in questo stato abbiamo supposta anche la cognizione delle circostanze concomitanti valutabili, così al binomio della volizione o al polinomio della volizione corrisponde un binomio o un polinomio del progetto. Per indicare questi stati si adopera gli stessi simboli *senza la parentesi quadratti*. Osservando le volizioni in rapporto agli stati predisposizionali, l'analisi delle valutazioni dei fatti concomitanti può rendersi più esatta.  (ū) si possono fare le seguenti sostituzioni, che aiutano a trovare il corrispondente valore nella tavola relativa alle volizioni. Si ponga, per esempio, un bi-nomio iniziale della volizione “uu”, che esprima il mio desiderio di far male, al momento opportuno, a una persona, ma che non mi sia possible evitare, ciò facendo, conseguenze dannose pe rme,u. Se ildesiderio di non danneggiarmi prevale, allora non si avrà più il binomio (uu), ma l'altro (ūr), il quale dice che la volizione è risultata nel senso di non volere il male proprio, pur ammettendo che questa volizione abbia per circostanza concomitante y, cioè il bene altrui. In forma positiva la volizione finale sarà (gr). E così da una situazione iniziale negativa “vu” si riesce nella opposta gr (1). Questi sono i co-ordinati fra loro due bi-nomi di progetti, dai quali procedano due volizioni formalmente concordanti. Anche i due bi-nomi di queste volizioni saranno coordinati fra loro. Essaminemo la coppia dei due binomi yu-gu, dei binomi, cioè, che hanno la maggiore importanza pratica. Il primo bi-nomio esprime l'altrui bene col proprio danno. Il secondo bi-nomio esprime il bene proprio col danno altrui. Nel primo rientrano, nel senso o grado *massimale*, tutte le occasioni in cui si può affermare la grandezza morale di un uomo (magnanimita). Nel senso o grado minimale, i casi della più comune fedeltà al proprio dovere (to do one’s duty). La sezione di linea dei valori morali che comprende il MERITORIO e IL CORRETTO è tutta espressa da questo bi-nomio del Progetto. Laddove la sezione che va dal punto d'INDIFFERENZA al TOLLERABILE e al RIPROVEVOLE corrisponde alla negazione di questo binomio del progretto. Nel binomio “gu” sono espressi tutti i casi che vanno dal più SANO EGOISMO alle negazioni più delittuose dell'altruismo. Reciprocamente, la rinunzia a siffatte volizioni va dal semplicemente dove ROSO ALL’EROICO. Le volizioni che procedono da questi due bi-nomi comprendono adunque tutte le quattro classi di valori, caratterizzati in principio. I due bi-nomi anzidetti suppongono un CONFLITTO (non coooperazione) fra l'interesse proprio e l'interesse altrui. È evidente che dalla grandezza di questi interessi, dalla portata di “g” e di “Y”, dipende il valore morale della valutazione. I momenti “u” e “u” s'intendono compresi nella negazione di “g” e “y”. Intanto è certo che il VALORE EGOISTICO in cui “g” è congiunto con “u”, “W(gu)”, si trova sempre al di sotto del zero della scala, ed ha segno negativo. Mentre il valore altruistico in cui è congiunto con “u”, “W(ru)”, si trova al di sopra del zero ed ha segno positivo. Ciò posto, la funzione valutativa tra i termini dei due binomi dei pogretti si può scoprire agevolmente con una semplice osservazione. Sacrificare un piccolo interesse proprio a un grande interesse altrui ha un VALORE POSITIVO MINORE che il sacrificare a un piccolo interesse altrui un grande interesse proprio. D'altra parte chi non pospone a un grande interesse altrui un piccolo interesse proprio produce un non-valore morale più basso, che non colui il quale per una utilità propria rilevante non tien conto di utilità altrui tras curabili. Questo abbozzo di una LEGGE del valore si può esprimere nelle formule, nelle quali “C” e “C'” indicano le costanti proporzionali sconosciute, condizionate dalla qualità delle due unità “g” e “r”. Nell'applicazione di queste due formule all'esperienza si rendono necessarie talune modificazioni. Se poniamo I valori “r” o “g” eguali ai limiti 0 e 0,allora i calcoli diventano molto esatti. Per g per g. L’ESPERIENZA NON è però SEMPRE D’ACCORDO CON QUESTE FORMULE. Ognuno ammetterà che l'adoperarsi nell'interesse altrui si accosti l punto morale d’INDIFFERENZA, quanto più grande è quest'inteesse; e che il trascurarlo divenga nella stessa misura RIPROVEVOLE, “u” pposto costante e limitato l'interesse proprio da sacrificare. È F,  1 W(ru) = Cg -0 Y Y g W (gu) = - C per r = 00 per r = 0 lim W (ru) = 0, lim W(ru)= 0, lim W (ru)= 0 limW(ru)= 0, lim W (gu) = - 0 0 limW (gu)= 0 lim W (gu)= 0 lim W (gu)= – 00. pure evidente, che la trascuranza di un interesse altrui diviene tanto più INDIFFERENTE quanto più IRRILEVANTE è questo interesse. Epperò non si ammetterà da tutti, che il valore dell'altruismo di venga allora infinito, come nella seconda formula. Osservando però bene, questi casi non rientrano nel campo della morale. Si contrasterà pure che il valore del sacrificio di un bene proprio per l'altrui, cresca colla grandezza del bene sacrificato (formula terza). Ma l'esperienza prova che l'esitazione al sacrificio si fa maggiore quanto più grande è il bene cui si sta per rinunziare. Invece è da riconoscersi che non è esatta la quarta formula. Non si può negare ogni valore al bene che si fa ad altri, solo perchè NON si determina un CONFLITTO con un bene proprio. Le formule anzidette si debbono mitigare nella loro assolutezza, perchè si accostino di più alla realtà. Per far ciò, basta attenuare il valore di “g”, il che si può ottenere aggiungendo a “g” ogni volta una costante “c” o “c '”.  Queste formule non modificano i limiti funzionali dianzi ottenuti, ponendo r = 00, T = 0 0 g = 00. Cambia bensì la formula del quarto limite. Se g= 0: lim W (ru) = C, lim W(gu) = - ' Sin qui abbiamo considerato l'una variabile IN-DIPENDENTE dall'altra. Che avverrà però, se le variazioni si compiranno in entrambe le variabili congiuntamente, supponendo che “r” e “g” rimangano uguali fra loro per grandezza di valore? Sostituendo a “g” il simbolo “r”, le formule diverranno altri. Si avranno così le formule. Tr W (ru) = 0 9 + c g +di  e Y W(gu)= W(gu)=-C' ito Y W(ru)= C y- to' . Da questo risulta che il non-valore deve crescere e diminuire nello stesso senso o grado limite di “r” e “g”, e il valore in senso o grado di limite contrario. Consultando l'esperienza, si può riscontrare agevolmente che un oggetto, per esempio un dono, abbia lo stesso valore per chi lo dà e per chi lo riceve. Ora si domanda, regalare di più avrà un valore più alto o più basso del regalare di meno? Senza dubbio più alto. E se si contrapponga vita a vita, CHI SACRIFICHI LA PROPRIA VITA per conservare quella di un altro, suscita di fatto grande ammirazione. QUESTO è però IL CONTRARIO DI ciò che quelle formule esprimono. O “c” corre adunque correggere le formule e per far ciò introducemo un esponente di “g”, più grande dell'unità, e lo indicamo colle lettere “k” e “k'”. Le due formule diverranno così, rimettendo “y” al posto di “r”. Sicchè si avranno i seguenti limiti. A questo punto, il concetto di limite non hanno più bisogno di alcun'altra correzione. Per semplicità di espressione ponendo C= 1ek =2, la formula del binomio divienne W(gu)= T. È questa una formula a discuttere. . g2+1 ghto Y gkilt o W(gu)= W (ru)= C per r= 9 perr= g= 0 T g2+1 W (ru)= e Y e limW(ru)=00 lim W(gu) = 0 limW(ru)=0 limW(gv)=0. Preliminarmente non si ne ricava alcune conseguenze. Ogni pr getto offre a colui, che dovrà reagire con una volizione,l a doppia possibilità di fare o di tralasciare. Le due volizioni staranno, secondo la formula principale or ora  ricavata, in un rapporto di RECIPROCITà negativa, per ciò che ri guarda il loro valore morale. In secondo luogo, siccome una volizione di grande valore (positivo o negativo) o e MERITORIA O RIPROVEVOLE. Quella volizione di piccolo valore o e CORRETTA o TOLLERABILE, così potrà dirsi in generale che quanto PIù DISTANTI sono il NUMERATORE E IL DE-NOMINATORE della formula in una scala ordinale (1, 2, 3, … n), tanto più il valore della volizione e indicato dalle parti estreme superiore o inferiore della linea dei valori. Quanto più vicini o meno distanti sono invece quei numeri, tanto più l'indice del valore cadde verso il punto di mezzo di detta linea. La formula si applica inoltre anche ai casi di una volizione I cui scopo non siano accompagnati da circostanze concomitanti. Basta ridurla. W(9)=0(1). UU. Mentre la prima coppia esprime il caso di CONFLITTO D’INTERESSI, la caratteristica della seconda formula è la CONCOORDANZA O INTERSEZZIONE O COOPERAZIONE O CONDIVIZIONE gl'interessi propri con gli altrui, positive, o, come nella guerra o il duello, negativi.  Se il progetto offre l'occasione di congiungere con la mia utilità l'altrui, o se mi rappresenta un pericolo altrui nel quale scorgo un pericolo mio, la volizione corrispondente e espressa con (gr). V'è però anche la rappresentazione del desiderio di un male altrui, cui si associa anche la previsione di un danno proprio. La corrispondente volizione e espressa con “(uu)”. Il conflitto qui non esiste fra “g” e “y”, ma fra “g” e”v”, cio è fra “g” e -Y Questa riflessione ci fa subito applicare al caso attuale la formula principale del primo binomio. Così, go+1 Y. W(uu)= W (Y)= >.  Passamo ora ad esaminare un'altra coppia di binomi: gr g+1 1 T   (go+ 1)r. Mantenendo anche in questo caso il principio della RECIPROCITà negativa dei due binomi di progetto, l'altro binomio diverrà epperò la seconda formula principale così ottenuta e (1): W(uu)= -(g2+ 1)r. Le costanze rilevate in queste formule dimostrano sufficientemente che il valore morale è in relazione tanto con lo scopo principale della volizione quanto con i fatti valutabili concomitanti, com’era di sperare! Ferruccio Rossi-Landi. Landi. Keywords: implicature. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Landi,” The Swimming-Pool Library, Villa SPeranza, Luigi Speranza, “Grice e Rossi-Landi a Oxford.” Luigi Speranza, “Grice’s principle of economy of rational effort and Rossi-Landi’s economical semiotics.” Luigi Speranza, “Grice and Rossi-Landi: over-informativeness and excess: the implicature” – The Swimming-Pool Library. Landi.

 

Luigi Speranza -- Grice e Landino: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della sforziade degl’italiani – filosofia toscana – filosofia fiorentina – scuola di Firenze – scuola fiorentina -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Grice: “I love the way a philosopher can be judged by his fellow citizens and by furriners: Landino’s “De Anima” fascinates the Germans, for example! While his poetry fascinates the Americans, as I Tatti testifies!” Nacque da una famiglia originaria di Pratovecchio, nel Casentino, e compì gli studi in materie letterarie e giuridiche a Volterra. Gli venne affidata presso lo Studio fiorentino la cattedra di oratoria e poetica che era stata del suo maestro Marsuppini: L., sostenuto dai Medici, e stato avversato da non pochi personaggi in vista, come Rinuccini e Acciaiuoli. Tra i suoi allievi ci furono Poliziano e FICINO (si veda). In quel periodo ricopre anche incarichi pubblici, facendo parte della segreteria di Parte guelfa e della prima Cancelleria. Tra i suoi viaggi, spicca quello a Roma. La sua Xandra e una raccolta di componimenti dedicata inizialmente ad Alberti e de' Medici. In campo filosofico scrisse III dialoghi: il De anima, le Disputationes Camaldulenses  e il De vera nobilitate. La maggiore fama nei secoli di L. e però legata alla sua attività di commentatore dei classici. Diede alle stampe il Comento sopra la Comedia di ALIGHIERI, su ORAZIO e su VIRGILIO. Traduttore dal latino in fiorentino della Storia natural di PLINIO e la Sforziade di Simonetta Il volgarizzamento pliniano e un vero e proprio evento. Per la prima volta la plebe puo leggere la più importante e vasta enciclopedia del mondo romano -- tra i suoi lettori Pulci, Colombo e Vinci. Per i meriti acquisiti, la signoria fiorentina gli assegna una torre nel Casentino e una pensione.  Venne ritratto tra illustri fiorentini a lui contemporanei da Ghirlandaio nella Cappella Tornabuoni di Santa Maria Novella. Altri saggi: “Orazione alla Signoria fiorentina incipit della Historia naturale tradocta di lingua latina in fiorentina”; Xandra, “De anima”; “Disputationes Camaldulenses; “De vera nobilitated”; “Comento sopra la Comedia di Dante”; “Commento a Orazio”; “Commento all’epopea eroica di Virgilio”; “Historia naturale di Caio Plinio Secondo tradocta di lingua latina in fiorentina  al serenissimo Ferdinando re di Napoli”; “Orazione alla Signoria fiorentina quando presenta il suo Commento di Dante, Firenze, Niccolò di Lorenzo, Formulario di epistole, Firenze, Bartolomeo de' Libri. Il testo si può leggere in edizione critica. Carmina omnia ex codicibus manuscriptis primum edidit A. Perosa (Firenze); “Disputationes Camaldulenses” Lohe (Firenze, Sansoni); C “De vera nobilitate, M. T. Liaci, (Firenze, Olschki); R. Cardini, La critica del Landino” (Firenze, Sansoni). Dallo stesso studioso è stata allestita la raccolta: C. Landino, Scritti critici e teorici, Cardini, Roma, Bulzoni, Comento sopra la Comedia, I-IVProcaccioli, Roma, Salerno editrice, Questo commento è stato solo parzialmente edito (la sezione relativa all'Ars poetica): Cristoforo Landino, In Quinti Horatii Flacci Artem poeticam ad Pisones interpretationes, G. Bugada, Firenze, Sismel, R. Fubini, Quattrocento fiorentino. Politica, diplomazia, cultura, Pisa, R. M. Comanducci, Nota sulla versione landiniana della Sforziade di Giovanni Simonetta, «Interpres» Uno studio complessivo, sia filologico sia storico-culturale, dell'opera in A. Antonazzo, Il volgarizzamento pliniano” (Messina, Centro di Studi Umanistici). Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze, Orazio, “Artem poeticam ad Pisones interpretationes. G. Bugada, Firenze, Sismel-Società internazionale per lo studio del Medioevo latino, Galluzzo, Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, A. Antonazzo, Il volgarizzamento pliniano Messina,  di Studi Umanistici, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Lee Sorensen. ALCUIN, Ratisbona. Liba secundus u aut Eandetn otionanft in anibus denrchedas. Ars enim natnratn quoad ua  Itt feropq imitatur. Sed nefeio quo pado cum de eqmalo quod iti vita Kiriorio  iMispa natura nucttigadum nobis propofuannus:iam fecundo in naturam rela« bor.lta^ bacomifla ad illud tademrueamusipcimunique omnibus PHILOSOPHIS omnibmi cbtifiianis audoribus non in eo quod ab ad ione proueninfcdin fo»  h ratione coUocemus. Non enim quid fadum iinfed qua mente fadum animad  uettunt. Quapropter quatuor ueluti principia ponunt. Cum enim fe nobis ilu  quid offert: mouctuc ea te fic oblata uis quzdam animorum nofttorums ut illam  cognoscat: tandem p decernit aliud bonum efTc aliud contra maium. Quapto ptrrcumiam feferes obtuleritrcum iam fecundo loco (it de ea iudicium fadumt  adtamr tertio loco uoluntast ut hoc quidem fequamur. Illud vero fugiamus. Qua quidem uoluntate ita iubente motus poftremo in corpora infurgut : ut id  tncmbræzc quantur quod noiunusancea de creuerit.Ncffi igitur a duobus illis  ptimisprindpiisnetp ab boc poftremo uitiumfpedatur:led a voluntate qua in ordine tertiam pofuimust. Non enim eo Verres pcccauit quod tabulz ftgnac ac  reliqua ftculorum preriofilTima fupeliez illi fefe of Ferreti Non rurfus quia iudica  ret forefibi ex ufu huiufccmodi ornatu abundaretfcd quia rapere uoluit cu uf«p  adeocz fola uoluntate res pendat: ut etiam ft non rapuerit :tamen quia rapere uo  luerit fitelus commifllim fitx Non enim interfecerit ne an non interfecerit: fed uo  lueiitne interficere in culpa eft:Defueruntuires. P.CIodio quominus Annium Milonem oeddere pof Tetx. Qua quidem in re fi naturz uitium quzras t pcccauit  ea uis:quzmentis propofitum non implcuit:fi uero ad morem teconuertas non  aduscorpord motus fed uoluntatis adus crimen concipit: Dicetur iure homi  dda Clodius quia Milonem uoluit ocddere: Fac autem ocddifte cum minime ta  men uoluerit exddere ftarim crimine abfoluetur. Qui enim non ex uoluntate:  fed uel ex infirmitate uirium quas modo pofiii vel ex insdiia rem quampiam c6  mittunnii non modo culpa carent: uCTum etiam cdmiseratione fzpistime digni  putanmr. Quis enim cum illud de Cephalo in procrin legit etiam fi fabulosum  putetmon iolum illum crimine liberat: Sed fumma infupercomifetatione profe  quituRcum animadvertat hominem ex infdria dum feram uulnerarc putat: ca tifiimam fibi coniugem percu Eiffeteuius morte in summum moerorem acludu  paulo postcafuruseifett Vides igitur auolutatisadu ueluti a fua origine uitium  in monbus flum: Verum cum iam conftet imbedllitatem adionis prouenire ex  infirmitate primi agentis rem hanc planius exponendam cenfeo: Videamus ita in quo defidatuoluntas ante commifllim fadnus. Qui quidem defedusfibi a  natura non erinfemperenimadbzrct/ femp pcccaret:ne rurfus eftcafu bc for  luna:eflet enim extra nos. Est igitur uOluurius.S'ed ut uideasundeifit error boc  ædpe. Visdus rd quz agit ab eo agente perficittu quod fupra fe eft: Donec enim  id quod fecundo loco agit perfeuerat in ordine primi agentis munus fuum abfo  lute peragit:Sinautemao illo declinet nullum iam remedium eflqn aut fiatim  aut paulo poftdefidattin gyrum uertitutdrculus qui manu humana torquef. Hic idem fi nunu dedinet a mom ceflabit. Ergo igitur ut ad rem redeam nupa  dicebam duo cflic pdndpiarquæ uoluntatcm aateire ntt Res quz fefe nobis oSu a : k [ t  Oerumniobonp nttitt K uii gucdam ilfas oblatu fufdpiatt At cum qiiicgd bnhi!!»ttb£ A Ut moueri poffifaliguidhabeat proprium a quo moucaturmoo omnis pcrap et  di uis omnem appetitum mouebit. Nim quz fmlibilia percipit cum dutaiatape  petitum qui a renfibus e(i mouere ualai Ratio autem proprie uoluntatem mouc  biti Rurfuscum latio varia bonorum genera percipere poiritcuiuilibetautcm et  proprius finist Etit uoluntatis quoque pprius nnis k primum quo moueatiu n5  bonum quodlibetifed certum aliquod ac pncfizum.Siigit" mensnofira acuolo  tas perceptione eius rati6ismoueac7quz tedum bonorum malotu iudiciui B  teneat reda indeadio exorictur. Sinautem ab iis ezorit" quz falfo fenfuum iudb  do bona efle deæta Tunticum minime flnt bona Ibtim peccat in uiu 6tmorib9  uoluntas. Peiueriio igit" ordinis qui est ad rationem et ad proprium finem gignit  peccatum in adione. Ad rationem quidem cum ad fubium fec fiis perceptionem voluntas fertunin id quod fi rede pcrfpidas bonum non efiifcd quia fuis ilicee brisrcnrusdemulfitia Dillis bonum iudicatat. Efirurrus cum ratio ipfa minime  decepta id bonum efle decemittquod uere bonum dici potcft.Hcx tamen tepore aut hocmodo bonum efie negatur. Voluntas tamen in id fertur nu llam ordinis tanonem babens.huiufccmodi igitut ordinis per uerfio uoluntaria eih pptc reaqi uitio non carets Loquacior fortalTc fum q par cfi in natura mali. Addam tamen ex iis argumentationibus quibus demonftracum efimalum nullam efienda  am eflesati ob eam tem per fe fubfifierenon polle: facile animaduerti id aliquo  in bono feroper efle oportere: Verum idem hac quoip ratione probatur. Cum malum dicimus priuationem dicimus:hoc enim iam conuicnPnuatio autem ipla K  foima qua res priuatut in eodem funt.ld autem quod formz fubiidtur huiuTce  modi cil ut fua natius facultate formam fufeipere ualeat. Hoc autem quis bona  negabit cum eodem in genere et ipsa sive facultas sive potentia Scadus qui inde  cll omnino confilhnt. Prxterea malum ta folum ratione malum didiT quia nev  cct. At non ncKct malo. ElTc enim bonum fi malo pemitirm afiFcrrct. Nocet igitur  bono. Nonautefi de rei forma loquamur noceret nifi in eoelTet. Quzenimcz  citas polyphcmo nocebitinifi fit in polyphemo excitas. Verum cum uulum boa  no opponatur quo pado utn idem erit fubiedum.oppofiro 9 t enim altc/alte tum pellinhoc fi dicas ita tibi refpondebo.Quicquid ens did poteft idem 8C boa  num dicitunNon autem abfurdum cll ut non ens in ente fit:quzlibct enim ptia  uatio in aliqua elTentia c(l:quz cll ens tamen non efi in ente fibi oppofito. Si  enim czeitatem dico hoc non eos comune quide minime eft ut uifum ubi^ tola  lat:Ergo non ell in uifu uelud in fuo fubicdo fcd in animaote. Q_ux quide om  nia eo teduntiut non pofliit iu fummum malum inueniri:ut inuenitur fummn  bonum.Quod enim fummum malum fututum fit id fine alicuius boni cofora  tio elTc oportet. At nullum malum a bono omnino feparatu efle inuehies. C^ua  doquidem ut paulo ante ofiendimus fuas in bono radices malu egit: et in eo luu  ut Ita loquar fundamentum iedt:Ptztctea fi mihi dabis aliquid fummum malis  fututum effe id ita fua eflentia malum futurum erit/ut fua eflenda fummum bo  num clfc uidemus. At malum eflentiam nullam babæ iam demonfiratu efi. Ita  quod ptiouUD pdndpiii eft eus cflcpo^too cogn ellet pti IaP.Vitg«M.AIl^o.Liba tettius   cipranificflct caura iitidepcadcrettt Dafiautcaurambotiucfre dirimus. A 4 de  et boc^uTa enim qux per fe caufa diatunfcmpcr prior eft illa quz per accidens  caula dicitur. At malum non efi caufa niri per accidens.Non igitur inuenimr (u  Inum malum.Hatc funt quæ de plurimis longecp «ccllenrioribus quz Leo Baptista memoriter diluride ac copiose in tantorum uirotum confriTu difputauit t  mcminil Te ualui.ln quibus cum abunde Laurentio fatilTadum efletxfol^ ia me*  ridiemalccndi(ret:nos omnes ita adbottante Mariotto hofpite libeta Mimo to» Kzimusiillumf fecuti ad tefidenda corpora difi:ellimus. L. CAMALDVLENSLVM DISPVTATIONVM AD ILLVSTREM FEDERICVM VRBINATVM PRINCIPEM IN P. VIRGILIO MARONIS ALLEGORIAS. Um Satuissem cum fermonem illustrissime Federice litteris  mandate quem Leo BAPTISTA Albertus no sine summa  oiumquia et erunt admirarione: at(^ftu porede iis  Homeris  habuiflct inqbus. VIRGILIO j fundiflimam illam fcietiam  i occultatcqua fummu bois bonum diuinitus defcribit et quU  uia ad id Hcircamur mirificc exprimit: uercbar ne in nonui 1 holum reprehcnlionem incidcrem:qui cunria ex fui ingenii imbecillitate tnericntcs et Maronem ipfum nihil przter fabellas:quibus ociofas auditoru au  icsdcledaret cdmctum ræ credant et nos pro arbitrio nodro quz dicimus ottu  uia finxilTe exifiimcnt. Qui quidetn fi quid poctz fint: fi quam eorum origo ue  tufia appareat fecum teputentifi q magna/q uaria dodrina plurimi in eo artifii< rioflorucrint confidcTcnncogoofccnt profedoid quod grauil Timorum PHILOSOPHORUM iudido comprobatum uidemus nullum efie feriptorum genus : qui  autmagnitudine cloquentiz.aut divinitate iapictiz poetis pates fuerintr Qua  quidem ce ARISTOTELE virum excellenti ingenio et doctrina pofi PLATONE om  nino singulari motum crediderimrut eofdem prifds temporibus theologos poe  tafi} fuine a£btmet;Et profedo fi poesis ipsa quid sit diligentius inturamur: fad  k erit nofle non cfle illam unam ex iis artibusrquas noflri maiores quoniam reli  quis excellentiores funt libctales appcllarunnin quarum una altera ue fiqui 0 o lucrunttin maximo funt femper pretio habiti:fed cfi res quzdam diuiniortquz universas illas compledcns certis quibufdam nu meris aftridatcerris quibufdam  pedibus ptogrcdienstuariifi luminibus ac floribus diftinda quzcutp homines  qjotnt quæcn norint: quzeu contemplati fuerint: ea miris figmetis exoractr  atip in alias quasdam spedes traducattut cum aliud quippii multo inferiusimul (09 humilius narrare uideantur:aut cum metas fabellas ad ceflantium aures ob  kftmdas ludere credantur:tum maxime cxcclla quzdatfic in ipfo diuinitaris fbn  tctecondita pTonunt: Quo quidem gratilTimo errore tandem animaduerfo au  ditoc non Colum in fummam rerum cognitionem deucniat: fed mira eriam uolu  ptatccz figmento pctfundatuc. Quam quidem temdiuinam potius s humani f iii fn.   cfle cu! potius f Platoni credidcrimnilr rnim in lonr dicit pot ffm non arte yana tradi;f<d divino furore npftras tnentesirrepne.ln co aurem qui phxdrua  infcnbitur/cum tria alia diuini furoris genera expliraflet/quaitum furoretn quc  poeticum elfe uult/huiurcemodi([ni fallor^fentcntia exprimir. Rcfeit enim da  ibcxleftibusredibusucr farcntur animi no(lri/ et cius harmonix quxinxtema dei mente confiftitiK eius quxcxlorum motibus conficitur/illos participes fuit  fe. Verum cum deinde monalium rerum cupiditate degrauati propterca ad ia  feriora iam deuoluti corporibus incluti tint:tunc terrenis artubus ac monbodia  membris impeditos uix eos concentus qui humano artiHno comparantur auribus padperc poflerqui et Ii a cxledi harmonia longe abfintinihilominus quoni  om ucluti fimulacra quxdam ac imagines illius funt nos in tacitam quadam ex Icftium recordationem inducuntiacardcntiifiroa cupiditate ad antiquam patrw  am reuolandi inflammanciut ueram ipfam muficam/cuius hxc adumbrata ima  go lit pnofcamus.interim uero quo ad pemiolcdilT mum corporis carcerem noa  bis licet/bac noftra illam imitari cdtedimus non uocum modulationibus ueluti  uulgares quidi et leviores mulici cofucueruntrquos aunu frufus demulcete posse no negauerimtquicq aut prxterea prxihre posse no cocedor Sed grauiori quo«  dam iudicio diuinam harmonia imitati/ pfundos inrimof mentis fenfus elega  ti arminc exprimutsat divino furore concitati res frpe adeo mirabilesiadcoq  fupra humanas uires cofticutas gradi spiritu proferunt: ut cum paulo poft furoc  ille iam refedetitifeipfosadmirentVat obllupercant. Quapropter non folum  auribus adulant ifed fuaui nedarc et diuina ambrolia mentes demulcet hi igic  diuini uates funt/& faai mufarum facerdotesihi iure optimo fandti ab Ennio ap   E elbnt": his folum diuiniiuscocefl'umeft/ut carmine modo iocude fuauiteripla  entitmodo grauiter alteq; furgetitmodo uchemeti impetu ruerirmodo in leda  ti amnis morem fluetiinonunq copiofe exundantiinonunq breuiicr atqt copref  fef gredicnti quocui uelint auditorem rapiat.quiobrcm quonia diuimor uche  metior^ in iilis spiritus infurgitiab huiufmodi ueheroeria uates appcllant. Grxa  dautipfos poetasdixeruntteo quod apud illos facere figniriut. At dices fonafle none 8C reliqui feriptores fuo libto poetx id eft effedores iuie dici  poiTunt ( poflunt illi quide. Veru quoniam hi foii et dicedo limul et intelligedo  ni reliquos oes longe fuperant/nomen id quod oibus feriptoribus comune etie  opottuitsucluti fuum ac pprium fibi uedicauerunt. Et piedo quicuqi uates boc  noie digni fueriitiii fupra humanamuim aliqd pofle uili funticuius rei teftimoe DIO elTe poflunt prifei illi uiri:quos poetas fuifliecoflatinam apud hebrxos Moy  fes uir bello inuidus:qui 6C xgyptios ab xthiopibus SC ab xg 3 tptiis hebrxos lib^;  rauitmdne cius ucrlibusiuerlibus enim uolume cofalplitiocm diuinitate cofai  plitiocm diuinitate coplexus cft.uir adeo prifeus/u t cum odoginta iam natus an  nos iudxos e leruitute educeretrCecrops athrnis r aret. Nam qux ea fint qux  Idumxus lob fuiscanninibus madauit:ormine ex iis chriflianis qui paulo dudi  ores babet latere puto. At hic ut ex libro fuo coiedari licet tertia xtate poli iftæl  tutPcftincc nuc {>fcqr quata qliaue fint qux catminib^^Oauid regis:q d^iiJii Si  Jonumis i qux dcutctonomiuquc Ibix catico codnent" tEgregiu dno inudu cotitinuab dekiceps ferie r<rfiiper rctetitum: ut iion modo poete: verum exteri 9uo(^ rcriptorcs quicutK remaliguam maiorem litteris mandarent: eam ua tiis Hgmentis/uariisfigurarum integumentis obfcurarent: putabant enim fo  teii negodumdifibcilius ccdderent: ut fi: gux rciip(i{rent: maiorcmeflent dignitatem audoritatemc^ habitura: 8C 9U1 percepiffent: guoniam non fine la^  borc at(^ induftria id afreguerenturtea pluris elTe faduros.maiorem inde  uoluptatem percepturos fi guz ipfi tenerent minime fibi cum indodis commu  ciaclfent.Hac igitur ratione a fandis facrifi^ rebus profanos arcebant non  inuidiamoti sed ut aliquod inter follertem at mentem diferimen appareret:  cum non idem ociofusguod studiosus affeguetetur: sic enim dC premia guz dodis debentur folis illis proponebantur exteri ut iifdem artibus quando leKguis noD prohccrent niterentur fummopere accendebantur. Difficultate  enim inopia rei mortalium ingenia acuuntur: uindt onmia la bor impro  bus: et du ris um ens in rebus egeftas 2 Quam guiiguam feribendi ratione grxid guoi^lccutimntfguortim et Orpheum thracem:& atheniefem museum et  thebanum Linum antiguiflimos fuiffe accepimus: Verum Lini Mufei^ uiz  uciligia eztant: Orphd autem poemata in quibus multa deui diuinainecpau  ca dererumnatura continentur 2 ad eam quam diaimus formam confcnptitaf  fe/fadle efl cognofeere 2 de reliquis uero qui deinceps doruerunt/nihil dicam:  Fabularum enim figtUenta quibus aut deorum/aut rerum naturam /aut ea gu»  ad uitam et mores pertinent obfcuriusquidem sed maxima cum dignitate exprimunt: rem manifeffam reddunt. Qua propter cui mirum uideatur: fi otnnisxtas:omnesnationes. Omnesguialigua ufguamdodrinacxcelluerint: poc  tasfemper maximi fecerint.Nam ut reliquos adprzfens omittamq multos q  maximos in philofophia locos Aristotele tanms uir poetarum tcflimonio cot roboranquibus quidem nifi tatu tribuifletmunqua netpde poetis duosme^  de arte poetica tres libros accuratiffime confaipfiflet. Quanti autem hoc bomi  num genus PLATONE fadat: ipfe in libro de re.p.fadle offendit: q uoniam n ihil uei  jbementius mentis intima penetrare/qua poefim affirma. At dicet aliquis no ne  in libro de legibus idem PLATONE poefim reiidendam ccnfctmufquam ille hoc. Sed  eam rdidenda dmonet: qux more tragico pturbatos animos imitatur;qux uee  to laudes canit deoru:patria inffituta defcribitimores edocet: probosuiros extol  ]it:iroprobos deprimit/ædpiendam iubet. Deni nonullis in lods aliquod poe  tarum genus uitupetari ab hoc philofopho inuenias. Poesim autem ipfam qua  donout diuina mex tollit quas quidem res cum diligentius fecu reputauerint  qui confilium noftrum damnantifentetiam illos fuam immutaturos exiffimo:  qui tamen si nos carpere uoluerint: potius temeritatis arguantiquoniam ea qux  fupranoftrasuires funt/aggreffi fuerimus: qua aliquid quod Maro non uidc  tit 2 nos uidif Te putent 2 Ego autem quauis non tantum mihi arrogem: ut hu  ius poetx diuinitatem fatis pro dignitate explicare pofIim:non tamen inutile fii  turum putauirH noff ra indufiria quantulacunc ea fit/dodiores uicos ad tnaioif  ra de ENEIDE demonftranda exdtar 02 qui cum nos non omnia potuiffeintelli  indigo oiK no otn&mq ioiufta aduerfus nos induti utbca ca coi nim lutun erga Iiuiurcemodi dodris» cupidos adtadiS errata Uoftra conS  gant i ii qua detint addant t Qua quide in re non modo emendari me xquo  animo fctam: r<d ultro iam nunc omnes qui hoc polTunt ut id faciant uebemc  ter oro. dam m maxi me propriu m hominis p utem» 8t quod jpfe. uiderit U>  ter aliis oftendet er et qu od ne^t fiudipie adijj^ercum in hoc fibi Ipii in il  lo reliquis profuturus iitu o 6c uitam inftitui s ut fic quicquid in me efi iiberalif  fime effundamtfl Canullo mortalium quz mihi delint/fumere dedigner:ad que  autem nofha hrc potius qualiacun<p imt fcribamiquam ad te iUui^ime Fcde  tice:qui et Maronis pra; terca KeTos et udiofiirimusrem perfuetist et cum reliqui  iulue principes in eo omnem indufiriam ponannut quamaximos fibi tbc£uitos  comparent i auri^ at^ argenti aceruus magis magifi^ indies æfcatitu maxu  mam tuarum opum partem in mularum et eorum qui mulas colunt omsmen  ta liberalissime effuns: ut iam quemadmodum Homericus ille Agamenon  coniidebat/fi decem aliifibi Nefimesadeircntiforeut breui Troiam apturus  eflett fienospro comperto habeamus fi Itali populi non diam decem ut iliet  fcd duos przteta Federicos haberent t brevi futurum ut universa ITALIA alterz  Athenz futun fitr feddeczteris alio locoi Non enim in hunc fermonem hoc  tempore uemmus t ut quequam arpamus t fcd ut te fic dc litteratis hominibus  meritum quamaiimispof Tumus laudibus profequamuri qui quauisfolus ex  omnibus qui in imperio confiituti funt has parta tuearis : amen iu late patet  tua in oes litteratos liberalitas. Ut non pauciora ez a fiC poetæ BC ontorat et om  niuffl rerum feriptora prouenturi fintsqua ii fuerint t quos olim Nicolaus lUe  quintus pontifex mazimus:quem omnes uidimus fuis pulcherrimis muneris  bus/ac maximis pretniisprouoauittqui quidem tuo beneficioad ftudia czdta  ti:8t fibi gloriam fua dodrina fua eloquentia ucndiabunt.6: te ulem roufape   E atronu etiam tuc cum multorum principum qui et nuc uiuunt/& olim regna«  ut fama fepulta iacebit in xtema femper^ recenti memoria uiuum retinebut. Veru hæc quoniam omni luce clariora fu Dt; longiusprofequenda non cenfeot  Præfertim cu ipfa iam ra postuletaut diuinum dodimmi uiti Baptiftz Termone  ego quantum memoria repetere poteto Tuo ordine referam.Ille enim cum bci>  ne mane ad confuctum locum ueniflemus : 8i min audiendi cupiditate inflam  mati ab eius ore Tummo cum filentio penderemus huiufccmodi principio dil/  putationem exorfus cfi|£)um eius poctz mentem tibi Laurenti aperiri cupias r  qui uel ex omnibus re^onibusaquarum babiatorcshifioriacognofant suci  cxotnnibus lzculis squkadnofhamur memoriam acriptorum beneficio per  uenerintsfi non primus primo tamen par æqualif (^ exifiatsno poflfum meo oea  tionbingreflu tantzrei magnitudine non penitus pctturbaii. Ncmo modome  diocri fit dodrina imbutus hunc uirn ui ac copia dicendi ipfnn ut ita loquar eloquentia fuperare unquam dubitauit.Nam cumtraindidionefiue figuræ  rrnt sive charaderasin quotum uno fiquis excelluerit maximam fit glot L - am adeptus. Quis non uidetnon folum in lingulis fuis uoluminibus fiivmlos adimplet Verum paucis liepe uctfibtis ita omnacofudific æpennL:  fcuific/ut miro quodam temperamento u clotifidiucifcuoc Bcoocctu Mluaf^ t«a Z iotl dk\ M aia uFdi £ IIBD mu DCMI mat vtik lia cnlK lioilfl olis a tpai KSoa 10 ik lOa B oulip icbui>  nft» none flbfr  qSiQ  011 ipiB’ bSlfimu cottfiaabt incredibilefli auribus voluptate pariat. Ex quatuor aut riie&  di generibus ita opus contcxitiut ne ocio copiame negocio brevitas defit. Vi  dcbis quxdarua sic dtatc at<j ariditate placerctquzdamuetoueluri flofculis ib  lufhau at diftint Sa deledare.Sunt deni^ eunda eo attifido confirudaiut un#  deoiaadoe elocutionis genus exempla potius qbincrumas/fcriptum DulIum invenias. Adde ad hæc cognitionem hifioriatai Adde quadili gentissimus and»  quitaristt oonmodonofliaturctuifed &grzcaru &omm nationu inuelliga#  torcxriterittqptil conjmuaborumobretuatiinmus fueritiq elegata quxdain  Boua ex fe fotmaucritiqua f pric omniu uim tenuerit. Prxterco ius duile: omit  loiuspontiridu nihil dicodeiurcauguratqus; oiaita tenuitaitnonab aliis accepilTeifed ipfc conftituiOie uideatue. Hzc igitur et cotum limilia fi a me tibi ex«  pheanda pctæstac ut fifiguk» in eo poeta locos diligeorius apetiiem contende  tes: 8C operofum fimul et difiidle mihi negociu imponetes. Quis enim illa pub  chetrima cxcdlentiiliinaf/ac fummo artifido tccondita non ludicct: fed funt ta  nicri a multis iifdcm^ dodisuitis patefada. Quod aute petis id et multo diviiuuscftt Kmagisinobrcuro UtetiKanullo quod ego quide rdam/badenus  fua ferie patcfadum.quod ne gtimaricus nc tbetot nouerit.fed fi ex intimis  FILOSOFI arcanis eruendum. Vis enim nolTe quid per fua illa enigmata de Æ  ncæctrotibusidc dus hominis in italia profei^one fibi Maro uoluerit.Q^ua  qua (untnonulli/qui di ea quæ paulo ante dicebam promaximb admirentutt  at^ in ipfis fuma abfolutam^ poetx laudem contineri putent: nihil maius in eo  uate fuicent. Quos tamen fi roges quid fibi in ea te VIRGILIO perficere uolue  riti Hometumimitandu fibi propofum eafibtmabut: Addent^ ne^ ingeniu ne dodrinamtquo minus id pilare pofTet fibi defuifreiQ^uod nobis cu dederint  fuccubat penitus necefle efl. Habemus enim ^ut gramaiicope iiinita pene tutba  omitta multoseofde grauifTimos PHILOSOPHOS tqu i Homerii ocm zgypriopi  dodrina haufilTctca^ more illote uariis hgmetis adubraffe cotcdat. Qua in fen  tcnria nili ARISTOTELE fuiiret nunqua homeriaru ambiguitatii libros fex scripfif  fet. Na quid Balilius Bi dodrinz magnitudie/K mo^ fanditate magnus coo  minatus de homine fentianfacileefi iudicare:qui tota Homeri pocfim laude/  uittutis continete dixit /fccutus ut puto Anaxagoram Claxomeniiitqui quidem  idem de hoc poeta a Sirmauit t Arcbefiias ucto mediz academiz inudor tra OMERO tribuitiut nunqua fe iniedu tecepcritiquin prius aliquid ex eo legerit: Sed  et inlucem le ad amauum ite dicebatiquo hin dus legendi maior copia daretur,  yctum quid reliquos nunc colligamtcum unius PLATONE testimonio nihil fit,  quod probari non polTitlls igitur in eo uolumine quod de summo bono scripsit omnes artes huc diuinz fiue humanz illz fint in unum Homeri poema uciuti r  in proprium receptaculum confluxifle afHrmat. Quamobrem animaduettens  Mato dodrinam huius hominis ex egyptiorum sacerdotum fontibus bauftam  fimillimamcum Platonicist quorum Qud iofifTimus fuit rauonem babere eam  uTadeo admiratus dl:ut idem in fuo ENEA efficere uolucrit : quod ille antea  in Vlyxc finxerat^ Q_uaproptet pulcherrimis poeticif:^ figmentis eum nobis  unw i^oiinai qui pluri, a^ aux^nis u itiis pauwim expiatusue dckeps 'ir»v I f  •*/ .«MI inr   ; iRft.    mitis uiituHbiu Illuftratus id quod fummahotmnibdliæStquoiI^ tufi et pl  ip6t/ tatnnlal^ equnec^ VcTdcu illud mrera diuinanunfpcca msnullusafTequii latione conlidcre a PLATONE didioirctylimul SC illud didicit co antbt minime  perueniripofle/q animi nofhiuirtutibns illissquz deuiu K moribus funtex  piati penitus reddantur. Cum SOCRATE i pfe puru impuioiittiogetc fas c$/cfle  neget. Quapropcet non folumflnes bonoru nobis miririceezpreiritt Verum  etiam qua uia qua ue ratione eo cuadere tandem homini liceat demonftrauitt  Ne qua pars eius philofophia; qui gtxd ethicen/nos de vita et moribus nomp  namus: prxtermitteretur:in ea enim nos nihil aliud quammus nili primum bo  notum malorum^ iincstdeindeof Scia quibusueluti uia quadam ad eosdem  ducamur. Laboriofum omnino negodum/at^ omni difficultate plcnum: divinum tamen et quo uno foelix limul atip fapiens homo effidaturtdeo^ iungaf  Soli enim fapienti fas eft ufi adeo deo c6iungi:ut nihil quod feparcr/intercink  ce poflit. Deus enim ueritas eft .Q^uis aut nefdat qui uerum mente non pettin  gat/eum lapientem efle minime poiTet^os autem cum quatuor lint qu 2 in feru  ptoris mente aperienda inue(tigemus in rem nolfram futurum puto: ut certos  ia terminos drcufaibamus: quos in poeta interpretando egredi non liceat. ES  igitur cum id quod geffum Iit quxrimus: quam hilforiamappelbnt/ut cum le  gimus apud Matonem haud ptocul inde dtx Meda indiue^ qoadrigxdiSa  lerant.C^uxrimus itidem non quid geSum litifed qua ratione geSum nt:ut eS  illud At tu didis albanemanetes. Nam eoloco dcmonfhat propter eadifcerptu  a quadrigis elTcalbanorum regem /quoniam illein fide non manlilTet.hic gta&«  dethimologiam dictuit. Quxrimus et tertio in loco an ea qux dicantur pu^  gnantia inter fe lintr Alibi enim didt ChriSus patrem fe maiorem efle:alibi ego  &pater Idem fumus. Quapropter cum ita interpteumur/ bxc ut minime intec  fediiridereo ()endamus. Analogiam sequimur. Interpretamur postremo aliquod  per allegoriam quod tunc sit cum non qux uaba SIGNIFICANT INTELLIGIMUS sed  quiddam ALIUD SUB FIGURA OBSCURATUM. Scribunt poetx Amphionis lyra motos  m lapides ut fua fponte in thebanorum moenium flruduram coirettper quod  figmentu quid aliud intelligimus:nili fapientillimi viri eloquentia esse dum eifer  ut BOEZIO populi qui hadenus ad omne rone ueluti lapides Supidi: K aduetfus  oem humanitate durilfimi czi(ferent:e fyluis ac luflris in duitatem uenirentrac  poSremo legibus qux ad comunem ufum latx cfTennultro fefe rubiicerct. Nos  igitur reliqua tria genera hoc tempore omittemus:at(^ in ipfa fola allegoria uet  fabimur:ut quid per Troia(n: quidpCTxneam:quid per ITALIA reliqua^ huiu&  modifibiuelituideamus. froixigit" oritur ENEA rperquautberedeut puo  to prima bois asutem intelligemus.in qua cu ro adhuc ois cofopita (lufolus fen  fusregnat: At ipli mottales/quia ea xtate fapientia ne furpicaot' quide ea fola  fibi proponut qux philofophi prima naturx appellat. Ni cu oe aial (ibi a natura  comendatu (it:in primis feipfum diligit:deinde o^s corporis partes ita integras:  ualidafip hne cupit ut ufui (imul fit pulchritudini fibi (int: maxime autem uohi  ptatibus demulcetur flc quauis animum fefimul corpur^efTe intelligattat  Utru faluum efb cupiautamen in iis qux in animo apetenda funt/ quoniam   BOO dbm plane ilhcog Oolat minus laboratsea autem quz corpori corporeilm  uoiuptanBus conducunt/anxie expetit. Sunt enimflbi abipfoortu iamnotissima. QuaptopteiT cum in hac zutcnaturxui potius trahamur/g nofharum  adionum domini efTeualeamusmel minimum uc omnino nullum uirtuduw  do^ locum relinguamus:cum que agimus eanccuoiuntariaflnt: neccum de  ledu aliquo fiant. Ita in puero virtutem e(1'e nemo dicet. Verum ubi iam pro  gtcflu ztatis rationis lumine aliquo illufirari indpit mens noftra s tum demum  tanm in nobis conlilii apparet:uta prauisreda difcerncrcualeamus. Eft enim  iam ad illud PITAGORICA litterxbiuium pcrucntum/fic iatnuitzne Tciuseiton  utcil apud P um. Deduxit trepidas ramofa in compita mentes. Vnde cum di  fceflciimus nccefle efitut uel reda pergamus : uel in finifira deiledamus. Nam  quz deinceps agimus/quoniam ceru quadi ratione agimus/fi reda fuerint uit  tutitfin contra uitioadlcribuntur. Troiz igitur 8t Æneas limul fit Parisa/un  tur. Verum alter quoniam Venerem Paladi ideft uirtuti f uoluptatem ante«  poni neceife efitut una cum Troia pereat. Alter autem ducematie Venere fe  ab omni incendio explicat. Quod quid aliud intelligamus/nifi cos/ qui magno amore inflammati ad uen cognitionem impclluntur omnia facile confer  qui pofle. Qua propter Venerem diuinum amorem rede interpretabimur.  Sed tu LAVRENTl ncfdo quid iam diu uclle dicere uiderisiCupio quidem  inquit LAVRENTIVS t Ni uerear perpetuum tux disputationis filum intec  nimpæ.lmmo potius iflo modo inquit BAPTISTA: Nam cum uniuerfus  hiefermo non ad oflentandum ingenium neq; ad gloriam comparandam a  nobis infticutus fit : fed ut honeflifiimx- uoluntati tux obtemperem: fit fi quid  in me dodrinx efi/id libenter cfiFundam : interroga : inter peilaiobiice: confuta  pro arbitrio tuo.Hac enim uia id quod quxrimus verum dilucidius apparebit. Vtar quod mihi permittis arbitrio inquit LAVRENTIVS utrum id non  tui confutandi sed mei erudiendi caula. Miror igitur cur tu Venerem amorem interpreteris eum prafertim amorem : qui non modo cadus verum etiam divinus fit. Ego enim Venerem non folum apud poetas : fed etiam apud  reliquos feriptoresita fumptam uideo: ut per eam nonnifi maris foeminz^  coniundionem fignificarc uelinr.hinc illud Terentianum, e Cerere fit Bac  chouenæmfrigefceretEt ipfc in bucolicis: Parta mez uenerifunt munera.  Quapropter fi uenerem pro huiufce modi'coniundioneponas:quxbadenua  dixidi/ea omnia inter fe pugnate uidebuntur. Sed eft fit aliud qu^ nifi tu mi<  ili petfpicuum reddas ego minime explicare ualeam. Qui enim fit ut cum duo  fintuiri Æneas at^ Paris: Alter quoniam Palladi Venerem prxponattnecefle  fit ut una cum Troia pereat : Alter ueto quoniam prxeipienti Veneri obtempe  reriomne periculum incolumis cuadat. Ego enim non uideo cur fi bona fit Ve  nus Paridi noccat:fi mala prqfit ENEA. Qux quidem dum cogito/in eorum  potius Icntenciam labor:qui rem omnem ad eam flellam qux hoc nomine ap  pellet'':flt ad ipfam bidoria referut: Putat enim qd* te no fugit/qua hora a Troia  ITALIA versus jificifcerct Æneas:librz fignu qd* domiciliu ucnetis 6ad nfm hoc  hcaifpcpu afiacdifli^lpfam Y^ete in medio czlo loui fuide roniundam. Quibus oibus poftendebat" foelidtas illi tegtia^ per muliere peruentufoioJo'  uem enim regnU ptzeflc non ra odo OMERO SIGNIFICAT qui reges ; id enim eS a loue nutritos rcribit. Sed et mathematici ide ditant. Salutareenini  omnino Itduse Qsquonia inter Saturni frigus K Marcis ardorem colloatu opti  moeemperamento Iit: 8i propterea eundis euentibus profpcrum. Nam cum ui  tam noftram praxipue sol et luna gubernet: iccirco lupitet omnium nobis fa  luberrimus eihquia foli per omnes numeros/iunzautem per plurimos coniuo  dus eft. Refecunr etiam in initio mundanzfabricziouem in ariete dotniciiio  tuncafcendcnte fui/Te. Volunt illum inducere leges/caliicatem/mirericordiam  in egenos K calamitate opprelTos. Veridicos homines fadt/& vere amicos fine  fraude fine dolo: Saturni fzuitiam frangit fiCquzcun^ ille mala infert:hicaut  tollit aut minuit. Quapropterfcite Petii us Satutnumip grauem nolito loue  frihgimu s una: Oeni^ fi in alicuius ortu fe bene habeaticum ille hominem for  tunatumreddit.bfinimehzc dilpliccnt inquit BAPTISTA. Sunt enim ex 15  ma dodtina eruta: 8C hifioriz uehementer accommodata. Verum cum omnis  nofira difputatio nullam hilloriz ratione habeat i Sed eam qui totiens gtzco  uabo allegoriam nomino/exprimete conetut/non uideo cur ea qua adhibui in  terpretatio iure amitti non pofiit : Si enim iis omilTis quz de ENEA deqj cztctis  troianis prifei faiptores tradidere/pro arbitrio licuifiet poetz non modo finge  te:fed SL peruertere et addere et fubtrahere.Si deni^ nulla hifioriz ratione liabi  ta id folum tentaret quo pado per ENEA cum nobis uirum informaret: qui ta  dem fapiens beatufqj citet futurus/nonueneremfortafiefed cupidinem aliud  ue numen pofuiflet. Sed cum ita poeticum figmentum profequi inSituifiet: ut  tamen ab hilloria non difccderet:cum Ænez matrem fuilTe et exilii ducem naviganti filio fc przQitilTe Vennem Icgil Tenfuit cx iis quz aderant res perficiedat  non autem nomina fingenda. Hoc enim plus negocii poetz cll qua reliquis  qui alio figmento rem obfcurateuolunc. Illi enim ab omni hiftoria foluti pro  arbitrio ea cominifcuntunquz magis rei fuzjpromendz quadrent. Quodut ! )lanius teneas/unum de multis excmplicaula proponendum cenfeo. Placuitil  I primo huius fabulz audori ollendcrc quz in tempore ex materia gignuntur:  ea omnia in interitum cadæ quatuor dutaxat clementis exceptis: quz principia  (unt oibus rebus generadis Duos igitut comentus ell deos Saturnii at Opima  et illum temporis fjmbolu obtinere uoluittquod gtzcu nomen indicat. Chronos enim qui Saturnus ell ab eo fubtrada harpitatioe deducifrquem ipfi chro  non appellant. At quis ntfdat tempus grzce chronon dici. Per Saturnum igitut  teropus: per Opim fiuerhcamterram intelligit. Addit deinde Saturnu pmnes  quos de thearufccpilTct filios uoralTe prztcr loue lunonc Neptunnu Plutonem. Qua fabula exprimit omnia quz ex materia funt prartctipla quatuoc  elementa tempore conteri: at in interitum deduci. Quorfum igitur hzc  ne reliquum fabulz profequar : nempe utintelligas licuilTe huic homini pro  arbitrio quzeum^ uolebat fingere: ut quod de rerum procreatione sentiebat: commode exprimeret : cum nihil aliud prztcr phyfices particulam fibi  propofuiflc. Maroni autcih longe alia rado cfi: qui cum ENEA res io laudem' I II Litxr tertius AngulH ezoritatidas t ft librum iprum omnibus poeddsluminibasitluftrandum  fibi fumpfiflet t non iis qux ipfe uio ingenio digeret t (ed iis quz hiftoria porrigit  banc fuprcmam ingemi fui laudem comparat. Mirus profedo uir qui non ex op  tads fed ex datis ha opus intexat : ut cum hiftonam minime deferat :pet eam rame  illædibili integumento humanam fcelicitatem exprimatiHabcs^ut opinor^qua  ratione uenæm pro diuino amore ponæ coadus iit. Quod ita tamen rede pro  cedit < ut ni£ ab iniquis reprehendi non poiTit. Videmus enim Platonem in eo fa  mone quem phatdtum nominat : Aphr^iten/quaic nos uenæm nuncupamus:  oqn lafouololum sed et diuino amori ptaxiTci Verum quam uenerem piatonie  cua poeta Ænez matrem eife uoluerit : faale intelligemus ii quzdam paulo altu  uscx ipso PLATONE repetamus. PauCmiasigiturin fympofio duas ueneres comme  morat/aketam czlcfiem vulgarem alraam. prinum autem czio natam refert: cui  nulla mater iit. Quod cum lingit eam intelligentiam iignihcat/quz in angeli me  te poiita amore ingenito ad dei pulchntudinem intelligendam rapirur/quam quo  numprocula bomnifflaterizcon fortiolitiinc matre prodiidam dicit. Secudam  uao uenæm mundi animz tribuitiita ut patre loue : matre uero Dione eam na»  tam feribat. Manat enim ab ea ui quz in anima mundi eft : et uim creat quz infe«  hora bzc omnia gignat et mundi fyluam fubeat: Vtra igitur fibi ingenito amo  ce rapitur czlefiia ilU ad dei pulchritudinem intuendam : hzc uao ut eandem pul  chritudinem e fylua conforma. Sed hzc parum ad rem. Animus autem noda  cum&ip Ge similes quafdamuires habeat inteliigendi at y gignendi duas itidem  ueiiera habædicitur/quas gemini comitentur cupidines. Cum enim corporea  puichnmdo oculis nodtis obiicitucrmcns noftra^quz piima uenus eft}eam non  quia corporea litillcd quia limulaaum divini decori admiratunar diligitiea quz  ueluu uia quadam ad czlos effenur: Gignendi aurem uis: quz fecunda uenus ell  formam gignæ huic limilem concupifcir uapropter uterqi amor iure dicitur   utaltcr contemplandz altergignendz pulchficudinis defidcrium fit. Nemo igU  tur nifi totius rationis expas fit duos iflos amores damnare audebit t cum uta  qj humanz naturz neceflariusfit: Nerp enim diu efremortalium genus finefo  bolis propagatione t neij ruifus beneefte fmcueri inuefligatione potait. Prza  ttantiuri igimr illa ucnæ duce in italiam perucnire potuit zneasi Ac dices cui  hzc fecunda fi bonacfl paridi nocuit: quia illa male ufuscfl. Vir enimgignen  di autdior quam reda ratio didatfitin ea re plus quam oportet occupatus /in  Ibiis corporas uoluputibus meretur. Quo fit ut 6i primam quz ad fummutn  bonum dudt omninn deferat : et fecunda pcffime abutatur : proptæarp in om  nes animi petturbanones incidat: ueritater^ defpctata mifaq^ efifedusin omne  indignitatem dcfccndat Efi ut dixi diuious amor fi Platoni credimus dcfideti«  um redeundi a corporea pulchritudine ad diuinam contemplandam: Non ta uencum diuinam defidetamus eam quz oculis pcrcipitur/contemnimus.Nam  qui aliquid appetit hunc illius quom rei : quam appetit imagine delcdari ne«  ceffe cfi. Verum funt quidam ita hebeti ingenio: ut mentem a fcnfibus nullo  modo feuocate poffint: hi ueiam pulchritudinem non norunt. Huiufccmodi  igitui amot adultctinus cfl / et a uao degenoans: quem lafduia ac pcocadtas  frtnpff cotnit3tnr:quem diffiniunt cupidinem eius uoluptatist que e cotpdo  rea Forma percipitur rrede qux dicunt cum ardorem animi in fuo cotporetnot  tui in alieno uiuenns i quod fecums poeta quidam dixit J, I Plato ucio ait illum   natum ab humanis morbis follicitudineqi plenum. At quis non uideat illum  nerp confilium in fe nc modum ullum habere. InefTci^ in coiniurias/furpi#  dones/ ac reliquas illas omnes peftes : quas fidelis Feruus Terentiano phzdtix  prudenter oftcndit. Habes(urputn^dupliccm amorem verum illum fidiuino:  de quo paulo ante dicebam /& hunc falfum et adulterinum: et qui uetoamo  ri talis fit qualem aut amico adulatorem: aut medico coquum efifeuidemus: cui  quidem cum fe totum dedidiffet Paris uiia cum Troia periit. ENEA autem cz  lelii illo duce paulatim ex troiano incendio ideftex corporearum uoluputum  ardore fe expediens li non reda nauigatione id enim humanz condidoni : aut  nunquam aut raro conceditur: ut eodem rempore licfiulcitiam exuat. &rapiens  efficiatur: tamen poft multos errores in luliamad ueram fapieutiam pcrucnit.  Quam quidem nauigationem cumfudorislabonfi^ plcniliima fit/nemouna  quam nili fummoillius amore inccnfus difficultatem omnem perferre paratus  fit penitus perficiet. Amor enim uerus/ut apud eundem Platonem offendit  Eriximachi oratio omnium naturalium rerum creator effat feruator : eo emn  fimilia omnia ad eaquz fibi fimilia funt perhenni concordia ttahuntur.Effitt  dem omnium maximorum artium magiffer. Nemo enim aut artem inuenitiaut  ab alio inurntam addifcit : nili inueftigationis obiedatio/K difeendi cupido ia  dtet uam quidem rem fi non apette offendit : obfcudus tamen ut poeta  rummos efl SIGNIFICAT noffer VIRGILIO. Cum enim in georgicis fe uen cognidonem reliquis rebus prxponere dicat difficultatem ipfamfumma amoris ui fu  peraturum his ueibis demonffrat. Me uero pnmum dulces ante omnia mulas  Quarum sacra fero ingenti pnculfus amore Accipiant. Ingenti ergoamotela«  boies fummos:quiin factis mufarum/ id eff in rerum cognitione fubeuodi funt  fe laturum affirmat |0 uinus enim amor/nii aliud meditatur: nil molicurmui  Ia alia in re laborat t nihil tentat: nihil nititur /nili utiam corporex pulcbritudinis afpedu concitus addiuinam nos pulchritudinem rapiat. Dum enim cor/  porcis tenebris demetfi funt animi noffti diuin i non recognofeunt : nifi umbris  et simulacris quibuf damtqux fefenoffris lentibus obiidunt. Q^uam quidem  rem non folum exprefferunt prifei ex grzcia pbilofophi : in quibus Pythagoram EMPEDOCLE DI GIRGENTI Heraclitum sed longe ante alios Platonem enumerare poC  fiim tSed Bi chrifhani ab eadem fententia minime difcedunt: Nam et Paulus  et qui Pauli auditor fuit Dionysius areopagita cxleffuac diuina : qux in fetu  fus non cadunt/pet ea qux fenfibus percipiuntur /cerni uolunt. Inxc eff igu  tur illa uera uenus: qux mentem noffram ad diuina erigit: qua matre quisoc  Idat natum xneam nomen abeo quod effxneos id eff a laude dedudum. Vb  rum enim ad omnia magna dCexccIfa natum: quis non fummis laudibus proe  fequaturf Verum &ipfea uolunrate delinitusdrca Troiz defenfionem laborat  Xioiamco impdiuatuturztin quibus, voluptates corpotex plurimum uigent/  Liba totius   intoprctari licet : prima enim >tate’cum ipfa ratio non dum fe exdtare : ft fuas ui  CCS EXPLICARE poflit / etiam qui magni at^ admirandi uiri futuri funt uoluptate de  mulcentur: prima naturas ueluri fumma admirantur: di quoniam diuina qux  fint nem nouaunt : beatiflimam eam uitam putant: per quam uoluptate frui lice  at * Hi igitur quid fummurn bemum rit: nondum compei tum habent: Veni cum  illius acquirendi fummo ardore inflammentunpaulatim bxc omnia qux dixi pri  ma tiaturx aduca momentaneai efle animaduertunt. Habet enim hanc irim ue  tus amor : ut paulo ante dixi  ut mentem ucbementn exacuat : magifterep illi re  cum inuenieodarum paulatim fit t ut nibil eam latæ poflit. Qua propta egre ei llud qi £Ulete poifit atuanton : Deinde cum nihil dfficik puta / modo re  amata potiatur : omnes labores tolaat: omnes difficultates fupetat. Hxc eff uenus illa non uulgaris ; qux materix admixta utm haba gnendi/fed illa cxicflis  ab omtii materia remota : qux a mente noflra eft : ipfamq; mentem excitat;& Iu*  cem illi liiam nobis badenus incognita in node id enim efl in nofita infritia oflen  dit t fc^ deam &taurfeenim indicans fua diuinitatem demonftrat: admonet  non peme feruari Troiam id eft originem corporis qux necefle eft ut pneat. Hxc  eadem oftendit uoluptates cotporeas non Tolum ab ipa lacena id eft a feipfts/ut in  beftema difputatione diximus cotrumpi: sed ab lunone a Pallade at a exteris di  is: Nam deos Troiam populati quis ignoret f Divina enim omnia uoluptatibus  aduafantuc. Sed in primis Pallas. Hxc enim sapientix symbolum obtinet. Sapientia autem non folum uoluptates contemnit: verum eriam (fummopæ exhore  ret. eft quod de lunone quifquam dubita : qux quamuis regnomm dea ha  be Oiiriproptaca in hxc caduca ac mottalia magis ptopenfa uideatur: tamen  cumlidmmes imperandi aipiditate nullum labotem pafetre recufent t omnibus  uoluptatibus bellum indiaint: modo eo perueniant unde poflint reliquis impe*  ritare: Deos autem minime uida ENEA dum pronoluptate pugnat. Nubium  cni Biteilebtis cnnnis ei ptorpedus eripitur. Sunt enim animi noftri ita a deo æa  diutfuapte natura facile omnem utritatem confequantur. Sed a materia corpo* ea quam philofopfaifyluam appellant: omnia nobis mala proueniunt.llla enim  tardat heb^t at^ pemirbat mentes noftras:: at tenebris obfcutat. Sioiim ex in  fritia omnia uitia ptoueniunt: Quaproptcr et Chty lippus et reliqui ftoici perturintiones omnes a fallis opinionibus oriri dicunt :(^uodtamai longe ante  feoferat MERCURIO ille: quem grxciob ingenii diuinitatem Trimaxinnimappeihnt. Siigitur omnia uitia ex infritia ptoueniunt. Infrit ia autem ex corpotea calu  ginecft/ut PLATONE putat /erunt omnia uitia a corpore. Quam caufam prxeipu*  am fuH&idixerini / ut is quem paulo ante nominaui Meteutius fyluam malignita temappella: fedderylua commodiordifputandi locuspaulopoft dabitur. Pugnat igitur xneas pro uita uoluptuofa: illat demerfus deos uidæ nequit. Verum  cuminhuiufcemodi miferia non delit amor neri inueftigandi valet ipfe amot  mentem excitare: ut feco Uigens tenebras difaitiat:flt uideat quibus numinibus  Trcria cuertatur. Ducetp eodem amore pa medias flammas at^ hoftes ita tutum  anipit. Et profedo uolenti ad tes arduas profleifri / hinc mira quxdam'uoluptatum : qux defoendx funt cupiditas ucluti flamma quxdam illinc laborum difiS* cultatutntp terror / qui aduerfus honeftatem afliduo pugnet fefe opponfit. Quz  omnia ducente Venere Aræx cedunt. Nam niii amor abfit : netp ram blandas oo  luptatescontcmnere>ne<^ tam duras difficultates fuperare pofTemus. Venit igu  tur domum ut familiam omnem componat : at^ inde ex urbe proficifatur. Ridit enim in fe ipfum animus t omnef^ fuas uires : at<p uirtutcs gux uariz funnad  profcAionem / id enim eif ad ueri cognitionem quam Troix nunquam afTeque^  retur: fuo ordine componit omnia^ (ibi ex uoto fuccederent: (1 pater filium fe  qui uelit.Verum negat ANCHISE fe ex Troia difcefTurum» Hoc ueroquid (ibi ue  lit : (i me roges ego (ic puto. ENEA huiufcemodi parentibus natus efi: ut Venus  dea: ANCHISE mortalis (it : homo enim ex animo qui immortalis diuinufip eftiK  ex corporemortali Kcito in interitum cafuroconftactMmsigitur originem fuam  femperfufpicit: ad eamcp redire cupiens Troiam auidiflime dcferit. Senfus au«  tcm qui a corpore funt corporea incorporeis pratponunt. Hinc igitur alTiduum  atrox<^ certamen illud exoritur rpiritusaduerfus carnem ut noftti dicunt t cum  mens totum hominem ad diuina trahæ conetur t BC fenfus in potefiatem tedige«  re 8 C fibi obtemperantes reddere cupiat. Contra uao fenfus feculcnto elementa  rum potu ebrii / 8 C lahea obliuione grauati nihil nili caducum et tenenum cupi»  unr ANCHISE igitur id efi tenenus pata i 8 i ea qux a chrilHanis uabo parum tri»  tofcnfualitas appellatur 2 Troiam fedeferturum negat .Mauult enim perire fen»  fus / quam uoluptate priuari. Mox tamen cum filium omnemq; domum t id eft  totum hominem periturum audiat 2 cump cxleftibus monihis meliora moneatur 2 mutat fententiam/ab ENEA^ fublatus exportatur : molliltitna enim bxc at«  ^ eneruata animi pars ad fummum bonum nunquam fat t fed i pfa potius inficr»  tur. Hxc de ancbife j ENEA autem cum iam incendii 2 armorumcp pericula eua»  ftlVct ; atep incolumis urbem e(Tct egrelTus : ingentem comitum afduxilfc nouo#  rum inuenit ad miransnumaumtqui quidem undi^ conuenerant animis opi»  buf^ parati in quafcunt^ uriit pelago deducere tereas.t et rede quidem. Nani ca  tandcmcferuitio incendioi uoluptatum fumus liberatit e(f<^ iam animus redi  uaiqtinueniendiauidus/tum plunmx animorum uires 2 quxhadenus ignauia  torprbant :ucbementa excitantur2 8 C bene in(fitutammentcra quocunt uocæ  uerit / fequuntur. Quo quidem tempore ne a redo itinere omnino aberraret  xneas / Iam iugis fummx Turgebat luciret idx t Ducebattp diem. Eff enim ludBtr  uenerisfydust quodurfolem lunamip omittam 2 omnium quinque fteliarum  quas nolfri aratiles grxei planctas uocitantt lucidiflimumlitizodiacum autem  odo ac quadraginta diebus fupra trecentos perficit / nunquam a fole longius fex  et quadraginta unius (igni partibus difcedens. Verum/quoniam modo pcxcedit/  modo TubTequitur 2 folem non eandem (lellam fed duas eife prifei crcdidcrunttpti  mum autem Pytbagoram extitiffe ferunt :qui in eo apud grxeos unum depreben  derit .Cum igitur folem prxuenit lucifer dicitur : uefperus autem cum fubfequi»  tur. Rede autem lucifer prxuius foli eff. Stella enim uennis/is enim amor efi ue  ri inueniendi / ei exoritur 2 qui iam uiram uoluptari obnoxiam deferir 2 dudt^ di  em 2 nam rationem excitat talis amor / cuius luce illuSrati uetum noffe ualeamus.  Apparet autem a idamonu id eft a pulchritudine.Idos eoimapudgntos formam figaificat. Amor autem apud Platonem pulchittudioisdefideri um diffii   S, Quapropter in ipfo pudor nos a turpibus auoc^: cupiditas ucro czcellen  quztj boneiia rapit. Fertur igitur ENEA duce m are exui in alt um incertus  quo fata ferant ubi iiftæ detur. Quz omnia non fine fumma fapientia a poeta  ponuntur: facile enim cognofeit Troiam relinquendam : et fummi boni princi'  panun uoluptati minime esse tradendum. In qua autem re fummum bonum coii  tiatnondum cognofcit.lureigitur exui appellatur. Nam ab eoquod habuit cie  dus eft : ne^ dum id quod ucluti proprium poflideat inuenit. Mari autem fermt  quia animi nofiri quocun^ moucantw nulla alia re niii appetitu mouentur : qui  quam fimilis mari iit paulo poft aperiam ii pauca prius de appetitu dixeto^ft igi^  tur fenfus et uis quzdam in animis nofiris t quam cogitandi nominant : cui bono  tum malorum iudicium a natura demandatum efi, Non nunquam autem ita  iudicat buiufcemodi uis : ut nihil prarter fenfus refpiciens : 8L ueluti illorum illc«  cebris attrada et uoiuptatis oblato ptzmio corrupta quod pecudis bonum eft i{v  fa hominis bonum decernat. Si autem eadem cogitandi uis falutari rationis lumi  ne illuftretur et eius norma dirigatur : non id bonum eife iudicat / quo fenfus de  mulcentur ; fed quod reda didat ratio: quod uemm (implexi^ bonum cui iit ne«  ^interire ne^ corrumpi pofiit. Cum igitur huiufcemodi uis bcx bonum illud  ucro malum elfedeacuerit excitatur in nobis alia quzdam uis quz ad bonum afei  Icendum / malum^ declinandum infurgat. Huncautem appetitum omnes ap«  pellant. Sed &, eum duplicem efle oportetialtrtum qui ab eo iudicio quod folus  fenlus fcdt femper pendeat : nibil^ cum ratione expetat: alterum qui nihil omni  no sequitur t niii quod ratio prius pra^epent : primum illum libidinem : hunc fe  eundum uoluptatem nuncupamus. uaptopter erit appetitus quo animi honii  num ad bonum afdicendum maium  declinandum moucantur redus quU  demiiaratione/contraii a fenfu.Quaptopter pulcherrimo enygmate diuinus  Elato cum animum noibum ueluti cunum pofuilTet : aurigam ilii duofep equos  adiungit. Nam ueluti equis currus trahitur : iic animus ab appetitu duatur. Fe.<  mnt autem equi non suo arbitrio: fed imperio aurigz a quo reguntur eodem pa  do appetitus nihil ex fe agendum decernit. Sed quod iam ab aii a ui deætu m eli  fequitur. Quarc autem equorum alterum album pulchettimum^ i at^ hono«  tis cupidum : Bi qui non minis ui<^ / sed cohortatione ratione regatur. Alterum  nigrum inglorium et contumacem hnzerit ex iis quz paulo ante a me de duplici  appetitu dicebantur perfpicuum eft. ExprefVit enim per bonum rationalem : per  B^um ucro irrationalem appetitum quo animus fertur: at<^ hzc de appetitu :  quem quidem mari limillimumelTe quis negaueritr Videmus enim mareftnuL»  lis uentis uetbcretur fedatum tranquiliumtp perdurare. Sin autem diuerfistun  datur uentis: in geauiflimas turbulentiflimaftp tcmpeftates infurgir : Sed hzc  eadem in appetitu dcprzhendastFac illum uacarc a pcttutbationibust nihil ni  fi rede appetet : Fac rurfus iliis uehementer uezari : quos iam ftudus   quasuc procellas intuebere: Quapropter illud elegannflime u^tio^ irarum 6)s  d^t (ftu. Illud autem tibi fortalTc occurren/ quod non bene iis quz diximus  cohzrere uideatur : Nam fi radonali appethufertur zneas : fi iam uitam uoluptu   g iiofatn damnault t unde nunc illud quod patnx liHota lachrimajupotfutnij^KliQ  quit. Q_uod enim odifle iatn coeperimus: id non lachrimantes: fed Izti fugcR fo  letnus t Sed uoluic Virgilius primum a uolupcatc ad uirtutem difcelTum demoo'  I firare. In quo cum temperati non dum fed continentes fimus : agimus illud qui>  I dem t fed cum diu uoluptati aifueti illius illecebris demulceamur t non nili zgte, ab ea diuellimur : imitemur^ fenes tioianos: qui cum ELENA ut grxconun tro> ianorumtp certamen fpedarct mcenia confcendilTet admirabatur cum (hiporemu  lieris pulchritudinem t ea uehementer deledabantur : uetum tantorum maltv  rum illam caufam eflie animiduertentcs : abeat dicebant potius Helena: quamp  pter illam pereat Troia. Quod ut plaiuus intelligas. Qucmadmodnm tordnk  do uirtus eft qua dura omnis ar^ afpera inuido animo ferimus: lic tempcran»  tia aduerfus uoluptates armamur : in qua quoniam iam habitum contraximus li  ne ulla difficultate aut moleffia negocium conficimus. Quod li habitus nem  dum contratSus Iit: Si tamen illud idem efficere tentamus t tandem^ effiamusfi  nitimum quoddam 6C uiriuti proximum nancifeimur ut nondum temperantes effedi tamen abftineamus quamuis xgre et non line luda: Quz contmenna di  citur in qua li diu exerceamur : paulatim temperantiam acquirimus: htij uirtus  id quod hadenus uirtus non erat: fed ingrelfus ad virtutem. Hoc igitut intcrcft  intcttempcrantiamfii contincntiam. Namquam uisutrai^ idem przdet:continens tamen eo detenor eft quia cum dolore ablhnetmec ctt fatis Armus aduerfus  uoluptates Tempuans uero bene uolens Iztufk^ abffinet. quod li itidem de ineo Anente intemperantem inuelliges: facile ell uidere quanto a temperantia condoe  da fuperatur i tanto incontinmte ipfum intemperantem pemitioliorem elfe: I na  continens enim quia non dum in uitii habitu ell rationem difeemit: prindpiui Knct:pugnatm aduerfus malum: fed tadem magnitudine cupiditatis et fui animi  imbecillitate uidusucluticmtiuus in feruitutem rapitur. Vetum uc qua; uctbts  adumbro ea exemplo exprediora reddantur t dicimus continenum a pruicipiofii  ilTc DIDONE quz quamuis Acnez amore teneretur: tamen adeo lunliter repuagnat utmori malit:q pudorem uiolare. Incontinens autem paulo polf redditui cum fororis oratione uida pudorem foluit. Prius enim fortiufcula adhuc ita puagnabat: ut uidrix cuaderet. Deinde eneruats omnino pugnando fuccumbit.pua  gnatenim incontinens/ fedfupaatur. Intemperans autem in habitu uitiiconftitutus omnem rationem amiDti ne pugnat aduerfuscupiditates: quin illis uo»  lens gaudmfqi obtemperat: quippe in quo adeo deprauamm Iit iudidumtut qdf  tnalum fit bonum rlTe dicat. Sed ut iam ad inffitutum redeamus: non dum tem'  perantia munitus erat zneas: nuper enim ea ratio in homine uluxcrat: ut uolupts tum fordes intueri poffet: nei^ rurfus tempeians : aut incontinensinon enim io de fe expedilTet. Sed cum hincilleccbrx uoluptatum traherent: illinc honefti uui pulchritudo ad omnia excclfa cum erigeret/demuiccbatur quidem a uoluptate cam feolibusfuauilTtmam iudicabat: non potccatip non zgte ab ea diuelli.51i  da enim adulatrix voluptas efi.uehementcr fenlibus applaudit: ut etiam gcQ’tolioiit animi qui funt illa capiantur .lu cnim fuauiter nos irrepit aut totos pau lanm occupctt Smgjt igitm comn ucac ft guis lachiimaiu taincta littcin tioiaiu ti s h P U Ii 9 si Q lu ia K a» 10 k liu tic adi li] tu »1I» bi » m inii tta ip DOi tUU) aoi pqai V» 'Z tiO*iJuti idtai am i&:l» oap jiua riKil apoi at(p  tdib ;iup» ib 0f Libettmiiu Klinquittquonii c6tines. Quod H unam tcpnitii adcptua fuifTn no lacbrimSs  fcd lema reliquidet : po<ta enim non ipfum a principio sapientem fingit:£C  una uircure ornatum t (icd cum qui a perturbationibus animum uendica»  K cupiens fe paulatim a uitiis redimat t k poft uarios errores in italiam id eft  aducram fapicatiam pnumiat» Nam quznos de continentia dc^ incontinen  eia diximusan quibus fenfus pugnat U ratioiuidiTim^ uincuntacuincunmr.  eadem de reliquis uitiis ac uirtunbusintelligas mtn quas mediæ funtaffcdio  nes nullo adhuc habitu latis Hrmxifcdquz modo ad has modo ad illaimpel lantiquisfortadeinuiu ciuiiiin qua quz ad bonum tendunt incohau potius  quam pctfcda lepenas non nulli uittutes nominarent. Sed profici fcatur iam no  &r Acncastuerum quo tandem exui pn altum feretur: Nempe in thraciamre^  gionem patrue fininmam/fiC terram Matd confcaatamnnquanupn Polynco  ftoc holpitem fuum POLIDORO ut auro potiretur interemerati Erit autem aua  titia; fjtnbolum thtada.Nam ipfe paulo poft: Fuge littus auarum. Vnum cum  duplex auaritix genus fit. Eft enim auarus 8C iis qui inde rapit unde minime con  ucnitideis qui cui dandum eft ei minime dat.primum illud genus perthraciam  cxpdmimroi enim in illa Mars colitur -quisncldt habendi cupi ditate plurima a  mortalibus bella geri. Sed ne Polyneftor borpitisintcrfedots6( Tuorum bo»  Domm raptor quicquam expreftius quam auaritiam rapinaft^ denoubit Cur igi  tur prima inthraciam ENEA nauigatioeftrQ^uiacuma uolupute difceftimus  at<j non dum ueræ uirtutis habitum contraximus facile ex ilia in aliam cupidita«  tcminadimusiinfurgitip habendi libidoibeatilTimam enim uitam multi feade<  ptos putantifi opibus maximifip diuitiis reliquos mortales fupecet:Qua cupidi  tace inflammati non dubitant non modo nefaria: uerum etiam laboribus pericu  lil^ refcitiftima bella fuTciper e. Ingens profedo ftultitia:6i ab coanimo profeda:  qui et fi uoluptates contempferitcnihil adhuc altum furapete poiTit.Habet enim  auaritia pccuniz ftudiumiquam nemo unquam fapiens optauit. Nihil enim illa  mobiliusinihil quod magis fottunz temeritati fubiiciatar. Quapropter rede Sa  luftius auahtiam ita malis uenenis imbutam dixittut animum cotpufij uirilc cf<  foemineuquando quidem Si ad omnem humilitatem infimaTqi fordes dcTcende  tccogic:& inomnem crudelita temproreuili(Iimainfurgete.lpra enim perfidia  am pctiuriumip edocet:cot fraudibus: linguam mendaciis:manum uenenis/fer.»  to in aliorum pemitiem inftruit. Apud eam quid fandum efle poteft: cum ho.*tes quoip qu Polydori exemplo docet poeta minime incolumes fint. Nemi  nem tamen mirari oportet fi Ancas fapientiz quidem cupidus minime tamen ad  buc fapiens in huiurcemodiuitiumprolapTus fit. plurima enim inuiu humana  Uidemusiquzquauis caduca momcntaneaip finntamen morulcs pro maximis  admirantur: quz quidem omnia cum ucnalia efteuideantipecuniz prz czte^  ris ftudent.Q_uotus enim quifi^ repetitur: qui non putet quod genus ficfoc  mm regina pecunia donat t quis non totus commouetur : cum auditi Si b^  ne numatum decorat fuadela Venus. Verum qui duce Venere fertur Si tna  gnarum rerum amore incenius cfi/pauladm errorem recognoliit. uitiumip  abominans Xfaradz auariflimutn lictas fugit, At^ cum iam fecundo deceptus i deinceps turpi Timum mirerrimumep iudicet Apollinem: cuius oracula ue  riiTima e(Te audient confulendum iudicac: Retur enim (i ex illius dei ptxut  pris uitam inftituat futurum. ut mifet ciTe non pofTit. Qua proptei naviga donem in delum fumit: per Apollinem autem qui fol cft: quid aliud quam  lapientiam intelligemusf^Nam ut id omittam quod ut fole eunda qux in lien  fum cadunt illuftrantur:(ic lapientia illuftiatus animus eunda profpicete ua.  leat uideamus reliquam eius plancta: naturam. Sed illud in primis. Nam cum  Heraclitus fontem cælefiis luds appellat. CICERONE ueto ducem carterorum lu«  minum ea ratione dixit: quoniam fui luminis maiellate præcedit: dixh itidem  ptindpem dixit moderatorem: Nam SC ita eminet/ ut ptopterea quod buiut>  modi folus appareat fol uodtetur : curfus reliquorum recurfuf^ipre mode   ramr. Nam certa fptii diffinitio eS ad quod cum quaim erratica ftdia recc'  deos a fole peruenerit tanquam ultedus accedere prohioeatur agitur retro.  Rurfus autem cum certam partem recedendo attigerit : ad diredi curfuscon  fueta reuocatur.Q^uapropter non iniuria et mens mundi cor czliapri«  fcisdidus ell:Quz omnianon ne fapientiz quadrant Non ne fapien^  tia reliquas animi uires przcedit : non ne illis moderatur C Quin etiam li  uim huius fyderis diligentius aduertas iurc datur fapientiz dicetur: Nam  ut a Saturno ratiodnandi a loue agendi uim : ut a Marte animorum uehe«  mentiam at^ calorem ædpimus; uta Venere deliderii motum fumimus: et  quod loquimur atqi intcrptztamur a Mercurio cft: ut deni^ a luna quod grz  ci phyticon idcll gignendi augendic^ uim habemus; (ic ipfe fol quod friamus:  quod^ opinemur nobis prxllat : Sed hzc de Apolline. Deli autem nomen S  ipfumnon nihil ad rem affert, grzce enim manifeflum flgnificat. Loca enim  quibus fapientia przfidet : clara femper manifefta^ fuat.Q_uod autem tot»>  us infulz Anius imperet: qui et rex hominuni et deorum facerdos iittnonca  ret ratione : Sapientia enim humanarum rerum cognitionem continet. Qua  ptopternihilnouum fapienti accidere poteft: quippe qui omnia iam percepo>  rit : quam quidem rem nomen regis oftendit. Anius enim didtut quali   id elf (inc nouo. Hic igitur hofpitio Æneam fufdpit: SC pio*  fedoipfa fapientia animi nolfti aluntur. Veneratur autem templa : at^ ea retn  pia quz faxo uetullo conftuida fint.Nam quid obfecro te: aut flabilius im*  mobiliufi^ : aut antiquius ipfa fapientia deprehenditur : quam fapientiflimus  ille omnium bebrzorum S^omon ab initio Si ante fzcula creatam fxcula æa  ta effe uerilfime didt.Sed tu quid me o LAVRENTI fubridens fpedas.Non  polfum inquit LAVRENTIVS dodillimorum uirotum ingenia non admirati  lztuf(|:quz a principio de hifioiia decp allegoria dixilli mecu repeto :Q_^uis  enim non obfiupefcat huius poetz confilium .Q_uicum apud Cioatiumueri  umlegilTetinDelo aram elfc Apollinis genitoris: in qua nullum animal facrifi  atur: quam Pythagoram ueluti inuiolatam adorauiffe fetunt : legiffct eti^  am Sc apud Epaphum : Delon ne antea nem pofiea tettz motu uexatam:  femper eodem manere luo legiifet: et apud Thucydidem non mirum esse fi przlidio tebgionis tuta infula femper fit : cum teucreruia locotumfibi acccficrit Liber tertius coBtltiuafax Ieiurdetn firmitate: Cum igitur bacc legilTet itafcnblt/ ut eodem  tempore ex antiquitate hifioriam eruatiponit enim Æneam Tolis przcibui deum  uenerari:K templa antiquo Taxo confirudæfTe/ficbxc cum ponit fimul ea affert  quz PER ALLEGORIAM Tapientiz conueniant. Dices quid in cacteris : hoc idem. Sed  nefdoquo pado hic me locus in quo hifioria non minus qua allegoria latet:mul  to magis mouinSed perge obTcaomolo enim mea interpellatione mihi ipfi audi  endi cupidiffimo moleftiam ex mora afferre. Datur igitur ab Apolline oraculu  inquit BAPTISTA z Dardanidx duri quz uos a fiirpe parentumzPrima tulit tel^  Ius eadem uos ubere Izto Accipiet reduces:antiquam exquirite matremz Hic do#  mus znez eundis dominabitur oris:Et nati natorum 8C qui nafeentur ab illis.  Q_uo quidem oraculo quid diuinius excogitari poffit non reperio:Q^uid enim  faomini salutarius: quid conducibiliusefi: qu3 originem Tuam noffexin quam cu  redire potuerit /tum demum fit futurus beatiffimus: Dixit igitur pluribus/ne a  poeta difcederet Maroxquod grzci duobus tm uerbis expediutx qui omnium ora#  culorum quz Apollini tribuuntur maximum effeuolunt i«r</7>> V   nofceteipfumx Verum ut haxea nobis planius explicenturx Omnesquicuh^un#  quam de fummo bono ferip Terunt philofophi in eo fi non uerbis re Taltem con Ira Teruntxutbenebeate^ uiuere fit apte conuenienterq; naturz uiuere t Verum  ubicoiamdeuenturn efl/ut fit hominis natura diffinienda : tunc innumerabi#  les pemitiofilTimi^ errores emanant: cum animorum nofirorum ui ignorata  plufquampar efi corpori attribuatur. Nam cum ex animo corpore^ conflare  bomo dicatur. et alterum brutum/caducumt^ at(^ facile in interitum pronuma  Alter mcorrufmbiiis immortalis diuinuft fitxpaud omnino ita mentem a fcnfi#  busfeuocat: ut feanimi nobilitate imniortales cogoofcant: corpufcp in nulla  pene parte habendum cenTeant.prædpitur ergo Troianis ut eo reuertantur  de originem ducunt. Duplex autem illis origo efi.Nam Teucer Scamandri cu#  iufdam filius profedus ex creta infula in Phrygiam uenit; 62 una cum Dardano  Kgnau:t ; Dardanus autem prius SCipfe in Phrygiam ueneratatnon ex creta:  ut ille fed ex italia: nec mortali patre natusxfed ex deo loue. Veniunt igitur am#  bo in Phrygiam id efl in uitam: et pnmam ztatem quam perTroiam fignificari di  ximusxfed hic a czlo ille a mortali. Ad huius enim animantis quem hominem  dicimus compofitionem animus a cziefii corpus a mortali patre prouenit.Qua propter cum primam nofiram onginem inquirere nos Apollo iubeticuius ora#  culum efl Nqfce te ip Tum : non quid corpus fitxquid ue illi conducat inuefiiga#  re iubct.Sed quid animus fit 8C quo pado fecundum animi natutam uiuere fodi  ces effepoflimus inquirendum mandatxQ^uam quidem rem ut ezpreflius fignifi  caietannquam didtxEfi enim animus fi non tempore/ut Platonid uolunt digni  tate Tua at(^ excellentia prior: Optimum igitur oraculum: Sed quid prodeft  fi illud male interpretatur ANCHISE. Hic mortalis Ænez parens omnia ad  lenfns referens ibi (edes collocandas cenfet ubi prima corporis origo fit. quafl  prima naturz non animi fed corporis fpedanda fint t Quaraobrem non ia  Italiam fed in Cretam enauigandum proponit: qua in infula multa mala Tubi#  bui fint Ttoiani. Nam cum (ummum bonum non iis quæ animum: fed quaa    In.P,Vtrg. M.AlIego. corpus fpcdcnt natura noftra ignorata reponimus necefle eft/guoniaft illa pati>  io po(Hnpe(lem/ac demum in interitum cafuraiint/ut non bearirredmiferi fiu  turi (imus:TuIerunt ergo prxrium ob ftuitiriam Troiani:gui in italiam nauiga»  te iulTi actam ptticrint. Si enim in italiam.i.in originem animi redeant Troiam  percipiunt cognitionem rerum diuinarum in qua fola flabiles et manfuras feda  inueniuBt ; Hic enim domus Ænea; eundis dominabitur oris:Et nati rutorum  et qui nafeantur ab illis. In æta enim nullum e(l Ænex imperium. Na corpus  ne^ fe nerp aliud mouet:fed iners brutum: 8C line fenfu iacetrnec quicquara Ii  ne animi auxilio ualet.ln italia uero imperium latepatet.Corports enim domina  tor et redor eft animusrin nullam^ nin uolens fauitutem cadit. Cunda autem  fue cognitioni rabiiciu Se enim pafe uideticum autem deum cognofccie tem/  ptat fuz menris acie ad fuperiora erigimr. Colidaado oia fpedat: Rimatut   occulta. Videt abfeiitia:breuicp temporis momento uniuerTas mundi oras anv  bit:Defcendit ad interiora: Afcendit cxlum. Adxret deo: in quo efl patria fua:Et   ? uoniam imorulis eft hxc femper facit : Quapropta eius imperiu eft æterna:  ixcaprincipioqua uisdiuiniscflentmomtiprxcepris cognoicere no potuerat  Troiani: Nunc uao calamitates eipaticognofamt. Epimetheo quidem ferius:  Sed uidete quxfo quam admirabili ingenio reliqua profequaturt. Cum pefie labo  rarent Troiani danmatfuam oraculi interpretationem Anchifes.Nam poftqui  diutius debaccliatus eft homo dum fenfibus obtemperans omnem fpem in rebus  caducis reponit/tandem ufu Si experientia dodior redditus animadueftit no fua«  fifle acta Apollincm.i.nunqua pofleefte homines beatos ex iis qux mortalia fntt Cenfaigimr alibi quxrendamfoelicitatenuVenmi non dum tanta metiris arie  ualenut qua inrcconliftat discernerc poiritr Na humiproftratusanimus/St fieri  gi nitatur tamen corpote'obrutus qu x in/cxcclfo collocata funt non nili poft mui  tum tempus difeemit: At dii penates eadem dicent qux didurus efliet ApolIotPu  tabantenim antiqui deos penates elfe ex animisiuotummatoTumtqui clari ilhi^  ftref(^ multis egregtiftp uirtutibus fuilTent quali deos domcfticos: Ergo Si hos  animoru noftro excellentiores uires intapretabimur:quales funt ratio intelle#  dus atqr intelligentia. Qux hadenus furentibus fenlibust Si omnia tumultu co  plentibus nihil fanuiudicare poterat: Nunc autcpoftquamfuograui damnoeu  pertus eft homo fenfuu iudicium falfum elfe illos a tribunali quod tumultuo &oc  cupaucrant deiicit:& luris dicundi potcftatem iisjuiribus quas paulo ante nomii>  nauipermittinillx autem cum iam fcnlibus parentioribus ut atuc:quippequipu  dorc confufi nihil amplius audeant/K cum eorum iudicium diuturnus iam ufus  at^ experientia confutauerinparaciam non amplius prxeipne deæucrintrfc a  tumulm colligunt:at (pfeipfascxdtant:fumma ( contentioeruftitix nebulis fua  luce fugatis mentem ab iniquiffimo fenfuum iudido prouocauit ita a ætenfi  domicilio abfoluunt : ut tamen italicam profedionem fuo dcacto 'edicant, ii dunt^ proptnea fux fententix ftandum: quoniam eadem iubeant quxipfe Apollo a quo mittuntur didurus fit: Et profcdomcns nostra multatum rerum usu  iam dodior reddita multa, ex fe cognofdt: qux fapientia ptxdpere con sueuitt Nec ucto quempiam moveatli deorum pcnatii oratione pct fu ad catut Andrifas I t ( II P nudfi D B B< P>  h Jrj-B SNitn ubi ndo pneualerc iitn crprrit : appetitus Hli rubiicitun MuItS iatn profeoe  nintdii pcnatess quiquz obfcunus Apollo SIGNIFICAT prrfpicue enodaruntt  docent«piniuIuadrcrum diuinarum cognitionem enauigandum rfle: Beatus  profedo ENEA (i decretis ftarett (i quod bonum efTe cognouit:id ita mordicus  arriperet ut nulla re inde po(Tet auclli:Non enim totiens a redo curfu deiicere^ s  Veru non is adhuc uir eft qui conftanti habitu in hisobdurauerit:& per (uma t&  perantiam a rerum moruliu cupiditatibus sit penitus purgatustfed inter contine  tia; at(^ incontinentiz uarios frudus uacillans fzpe cum ad aliquod Tparium fuo  uento procelTerit: nauisfubito a redo curfu deiicitur. Non enim is gubernator  clauum tenet qui fummo nauigandi artiBdo arperrimam etiam tempeftatetn  fupcrarcualeattfed Palinurus t qui poftquam ceruleus fupra caputaftiiit imber  nodem hyememt^fercns.poftquam inhorruit unda tenebris : poftquam conti»  nuouenti uoluiit maretmagna^ rurguntzquora:& quz fequuntur.ipfe diem  nodemt^ negat difcernereczios nec ræminifTeuiz: Diximus a ptindpio foloap  petitu moueri aniraumtdiximus itidem duplicem e(Te appetitum alterum qui a  fblis feniibus ex dtetutitationi^ aduerfeturidicatnttp libidotalterum qui ratione  pareat:uoluntaf(^iure nuncupetur. Qui quidem sinauiprzfuifTetiporerat ea  am aduafantibus uentis iter redum tenere, oed przFuit Palinurustis enim eft qui folisfeniibasob temperatiuirefij aduerfus uentosinterprxtari poteft enimgrzce retro uentis didtur quali qui in contrarium refetat. Hic igitur infurgcntibus pertutbationibus/uehementioriburi^ cupiditatibus  uelutitcncbiis animuminuoluetibuscum ipfenulla rationis luce illuRracus (it  dicsano dibus ideft ucrumafairodifcerncrenrgat. Magna profedo hominum  ioldtiatmazima^ fenruum perturbatio qui ita rationi aduerfanturi ut quauisil  la fzpe infarg.it t ut animum ab illorum nefaria tyrannide feruituteq; eripiattipfa  uclutiiulbirima regina ueramuelit inducere libertatemitamen cum nondum  uiresfuasrecupetaueritm Dpercp a diuturno exilio reuerfa a paucis fuorum ciuin  cognofeatur fzpe antea qua dus regni quod (ibi iure dcbctur polfeinonem recu»  peret ab lilis repellitunquippe qui multos iam annos tyrannidum tenentes omni  largitionum genere appetitum corruperint : illum cp adeo demulfcrinttur malit  io feruitute uolaptuofc degere qua honorifice in libertate laborare. uamob»  temcum acbrainterillos przliac6mittantur:difcedic fzpeuida ratio, lllicnim  parere rccuCiDS Palinurus nihil sanum fentit : Eiufcp ilultitiaatcptrmeiitate cd»  mittirurtuc dedituto curfu t quem penates dii prasceperantin (Itophadas infu»  lasdeclinetur. Hunc autem locum nos ni fallor auaritizuitium redeinterprzta  bimur/non illud tamen quo inde rapimus tunde minime conuenitiid enim  nobis Thrada ddignauit. Verum aliud quod tunc patratur: cum ex iis qux  iam peperimus minime illis (ubuenimus : quibus tus naturacp ac humanz fo  detatis uinculum fubueniendum poftulat. Oodus enim'iam Fragilitate rerum  buroanarum Æneas ad diuina ratione id efflagitante ferebatur. Sed appetitus aduerfus illam adhuc contumax ftaredeætis non potuit. Verum ad ea quæ  uulgus admiratur rurfus conuerfus diuitias cupit. At quoniam multum de pti*  fiuufcritateitniautufuctaUndui nc rapiaisilJafibicompatatecoBteodit: fcd    In.P.Vitg.M.AIIego.   per (oBUS fordes plus qustn psr eft parto pacens nullo libmlitatis munere fiigiei  DC(p (ibi nc(^ Tuis beneficus eft.Q_ux quidem cum facit fe parcum non auarutn  prsdicatiprzfert enim fpeciem boni uiri cum peflfimus Ar. Q_uaproptcrnon io«  iuna harpyz ipfz uirginea facie Angunturdimulanc enim pudorcmimodtfHaou  robrietatem^iomneri^ uirtutesprzfe ferunt. At earu ucntris ptoluuies fcedifli<  tna eft.Q_uisenim po(TetauaritizfordesexpIicare:quis qui turpis hominis di  uitis eiufdemtp tenacis uita fdt latis referrer Cum furor bau d dubius s cum ftene  As manifefta At egenus uiuereiut diues moriaris. Quid miru igitur A earum fu  des palidafcmperc fame et macilenta AtiNarahuiulizmodi homines iure tanta • locomparamussqui inter aquas.interi^ uaria poma confbtutus Ati tamen at^  fameconAdturiNam ut cumulus diuitiarum acrcatiprcinterim ruum/utillete«.  centianus Gcta defraudans genium partis abfbnct ac timet uti: Quod autem ua  ds Angantur manibus ratione non aretiNihil enim remittunt quod femel ctpe>  nntauarii Q_uinfunt adeoperaino A auarinxundiut hominem ad dtuma qua  dam natum ab alnlTimis curis ad hzcinfenoratrahantifiC uelutide czioin terras  K e lucidis fjderibus in profudilTima tartara trudant. Auertit enim nos at^ feuo«  cat habendi cupiditas a cognitione carum reru quibus folis Axiiz animus ciTe po(  At. Sapienter igitur adiugit.TrilHus baudillis mdiltunec fzuior ulla peAisidtjia  deum ftygiis fefe extulit undis: Non autc Aulta rado poetas impulittut ex Thau«  inante patre: matre Helcdraoceani Alia natas harpyas fabulentur.Thauroan«  tem tede admiratione dicemus grzci enim admiran dicunt. Cu   cnimobfumma fiultitiam diuicias maxima bona putemus cum aut bona non  Antaut minima bonaiproptcreaq^ illas adrairamut:cuenit:utcx ca admiratione  cupiditas habendi nosinflamct.Ncmo enim cupit caquz negligit:at(j contenv  nit.Suntautem ex eamatrequzAt Oceani Aiia:Nam liquis maieriam diuinarn  diligentius conAderct:omnia mari Amillima in ea uidebit.Vt enim mare in afli'  duo motu cAicundac^ inco facilem ifcentunat^ pcnurbanturaAc diuitiis ai<jf  opibus nihil Auxibilius inuenias:multiq) tumultus ac fzui Aima bella inde ezota  tur. Hz igitur c£.'n paflim armenta gtegcfij pafcant : nihil inde Abi ad ncccAiu  tem fumunt. nihil aliis rumerepermittunqvcrumfiC ab hocquoq^ regenereaua  tinz quando^ explicat uir fummi boni acquiredi cupidus. Relin querat olim uo  luptates.indderat in rapinasiquibusquo^ damnatis otacuium confuliti A quo  accipitnofceteipfum:in quo errat Ancbifcscum ea ad corpus refcrctrquz de ani  tno przcipiebanturicauturqi ruo damno fadus errorem cognofat: con Alium  inutat:rclida(^ creta tendit in lauum. Verum rurfus perturbationibus uexatus  animus ad diuicias rutfus refluit: non tamen ad eas quas rapinis ut hadeoust  fed quas nimis fordida pat Amonia comparet: Sed et boc quo<^ uinum effc  cognofccns / proptetea^ damnans < ad Helenum per hoftcsproAafatui.  bes igitur quare in harpyarum infulam delatum mixcrit Æneam y?^uod ue^  IO ab ip As uefd prohiberetur iam parariscpulis inde efliqnia eam uim habet  auarina/ ut qui etiam dinflimi Antfame penrequamuci minimam acerui par«  Aculam imminuæ malint JAcmis tamen eas pepulerunt Troiani: Nam di aua  AAacxifflbcdllitateat^ builitate animi tuliaf':qiiz ci cAiut&fctia et tnulict«'  i-% « % % t ik tltl I- 1 II- 1- i j mii oa* iff  Liber toriiu <aIcgux'tninori animo runtauarioresTemp^e pncbeact/tunc Fadle pellitur  fi foitemgcn ercfum^ fumamus animum ^6Ilcedit e fitopbadibus a;neas t fed  non prius quam cnfle a ccleno oraculum ædpiat < mendax omnino uates Bc in   E s fubdola } et quz uctborum firepitu honorem inde incutere uelit unde ni  timendum : bed profedo hoc morbo laborant auari i Nam fi quando ho«  ncOa quzdam SC una ratio lilos ad divina exploranda erigat < propterea^ huma  na bzcfiC mortalia negligendafuadeatrihtiminfuigit ex auaritia metus si rem  noftram familiarem negiigentius curemus fore ut (i fame pereundum x Sed ne«  fiauot fiuItilTimt homines quam paucis natura contenta (it i quam facile t quam  minimo fumptu eius diuitiz comparentur: Efi autem fames iis timenda qui in  anesqui infinitas cupiditates et quz ne^ neceifariz ne<^ naturales lint fibi exple  das propofuaint quorum uotago um lata tam profunda efi : ut nulla auri ui t  nullo gemmatum iapillorumtp cumulo repleri queat. Qui autem ita uitam ia*  fiituerunt > ut fola fe uirtute bntos putent : animum^ non corpus ditandum ^  ponant : his omnia femper abunde adaunt t Q_uam quidem rcm:quo tibi pia*  nius exprimam : at^ adeo potius oculis fubiiaam.ptopone tibi duos diuetlifii^  mz quidem fottunz/fedeiufdem pene ztatis utros Alexadrum macedonumte  gem/& Cynicum Liogenem utrum ditiorem iuch'cabis:uide quid dicas. Maximi  Alexandro thc Ciuri erant plurimi tobu Riflimi^ exerdtus (ibi militabant : Imperium latilTimum poflidebat. Innumerz pene nationes acpopuli ex Europa A(ia*  ^uedigales huic erant.Diogene autem quid potcftangu (liusexcogitari: qui prz  tet rimofum illud uas e figulo acceptum : quo l'e recipetet ut e frigore calorctp tuf  tuselletnetuguriolum quidem haberet : quem eodem panno in utroi^ folftirio  obfitum confpiccrcs : cuius auda olera etiam nullo file alperfa beati (limorum re  gum dapes fuperarent. Vttum igitur horum ditiorem Laurenti iudicabisr Ego q  dem inquit LAVRENTlVS h a deptauatilTima confuetudine : quz altera pene  in nobis natura cfl dirce{l'eto/& rem totam fenfiiu iudicio exclufo rationi cogno»  lixndam tradam beablfimum Diogenem:miferrimum Alexandrum proferre no  dubitabo. Vehementer enim iis aifentior : qui in diuitiis penfiiandis non quam  tum tuii^ adiit : fed quam abunde id quod adeft fibi futurum (it animaduerien»  dum cenfent.Si emm is diues eft cuius cupiditanbus adeo fatis fupercp fadum (it  ut nihil pczterea defidcret quis Diogene ditior :qui cum (lue pafiurem (iue arato  rem quendam cauis manibus aquam e fonte ad potum haurientem uidiifet : po  culum quod ad eundem ufum hdile gerebat ueluti fuperuacaneum abnædum  putiuu. Q^uis rutfus Alexandro pauperior : qui podquam a Democrito ut p\i  to PHILOSOPHO plureselfe mundos audiuaat : lamentari non crilauit tanquam  nulla ratione diues effici poffet nili illos prius imperio fuo adiecilfcif Rede o Lau  tenti de utro^fentis inquit BAPTISTA. Q^uamobtem cum idem rex motus  animi tranquilliute quam in Cynico cognouerat ita pronuciaiTcticupcrem Diogenes e(Te nifi cifem Alexander : magna ex parte fiultitiam fuam indicauit : cum  in fummis opibus zgere : quam in fumma inopia ditefeæ mallet. Quamobte  difeant homines quam paucis natura contenta fic s quod cum didicennttoracu#  ium a Cclcno zditum &cile tldcbunt:quamuis ipla ut otadoni liiz fidem faciat diat fe ca pronunciare guz Phabo pater otnnipoteos flbi  Pbccbus Apollo pn«  dixit. Natn rempn auari qui funt : uiriutn quo laborant fallis uirtutum limula»  cbtis tegere conantur. NatnquzmoEraauaritia eftream patlimoniatn uocants  et aut deorum t aut maximorum uirorum audoritate famem timendam pctfua»  dete conantur. Oolofa profedo cupiditas et quz cos etiam quos prudendotes  putamus fzpe decipiat. Aduerfus cuius fraudes illud unicum remedium cft nof  fe ea quz hominum ftultilfima cupido ad uitam degendam neceffaria putabnoa  modo nihil peodelTc i fed omnium noftrorum malorum caulam exiiiæ.  Deferens igitur Harpyarum infulam Æneas ad Helenum enauigatrEll au»  tem Helenus 8C uates K conduis«|Q_uapropccr rede ilium dicemus ingeni»  tam nobis rationem et ueri lumen quod natura in nobis refulget,: quod  nos fallis bonis decepti confulhnus ut in redam uiam ab erroribus reducat»  Ipfe autem uates uera przdicere poteft : fed ditfidle eft ad illum petuenitei  cum Iit itet pn medios hoftes tenendum : Nam 8i fenfus omnes 8i apped»  tus fenlibus obtempetans uolentibus nobis in uetum iudidum delcendcrc (em»  per aduerfantur:,At(p adeo nobis confultantibus obfirepunt: ut uix radonem  adire et uera bona a fallis fecetnerc poflimus. Verum cum ad Helenum perucne  rimus iuuat cualilfe tot urbes argolicas medios fu^m ten uilfe pa hgges : Supe»  rads emm perturbationibus iratiquilla'quTdai^ r^nquitut mens: in qua lecxd  tans lux radonis nobis ucrum oftendit : Q^uo dodior fada mens agnofeit itali»  am t quam propinquam elfe putabat uia inuia longe diuidi: multum^ matis ef  fedreueundumi et ad inferos defeendendum antea quam quietas in Italia fedu  collocet : uz quidem omnia quanta ratione dicantur ; faulius cS mente coo pledi quam uerbis exprimeret poliquam enim animus non dico profligatis /fed  magna ex parte repreitis uitiis per medios / ut diximus hoftes in lumen luz luca  defeeudit Itum demum aduertitfummum bonum: quod in propinquo coUo«  catum habemus putabat poculabclleioporterei^ nos amplo dreuitu Mariamo  ftris obfelfa peraauigare : Nam inter ipfam contemplationem: hanc quam ui  uimus uiuminteriacet is quem iam totiens appetitum nomino uelutiturbulcn liifimum mare: quod fcyllacharibdifcp pernitiofiirima monlha infeftum red»  dant: Si tamen eft pei hzc loca enauigandum li IN ITALIAM VENIRE nolumus : Oi»  ximus enim a principio (i rede memini nulla alia ui nilT appetitu animum motuti .Sed quoniam de duobus iis monftris dicitur a poeta : facile eft ex ipfis fabulis  quid fibi uelit coniedari. Nam cum eas foeminas rapaci fhmas fuilfe memorizf  proditum Iit : non ne per eas commode exprimi animi nimias cupiditates dice»  mus : quarum prindpes luxuriem at^ auaritiam eife nemo dubitat. Scjlla e^o  s glauco adamata ucneteasuoluptates exprimet: quz maxime rebus nofttis fio»  rcndbus uigent: Nam quod eius uniunia pubes m canes latrantes conuerlafu/? uantum ad negodum faciat : fadle eft cognofccre. Chanbdim ueroipli quof  Icrculiboucs quondam fubripereaufam quis non intelligat limulai tum nobis auandz refene : 8I qnoniam ab ca non ita in rebus fxliatei fuccedenubus ut  gemur quemadmodum a libidine. Sed tunc potius cumnimi sanguftiis diuida  nun terminis incluli uidemur: ac ob eam oufam minime nobis noUxa placent ii •p. a MI ia Bi  itk iw “!f   lab ipoK   imi». okib!  abii   l{DKd   biW   uocA \^2Dli   .qmX (uitbi SUID* jniisi^uin®^ iCID# aajb crlb<   jola* OUfl^ 1^1^' amba* mfia eKccT^ eflcopinaiaut t iccirco dextrum a fcylla : Icuum a cbarybdi latus obfi  dcri Mato dixit (quoniam altera in rebus quas aduetfas putamus t altaa in iis  quibus uebcmenter dele Aamur : nimis nos urget. Quz cum Baptifta dixiflct :  at^ refumendi fpiritus caufa aliquantulum obdcuiflet. Admiror inquit Laurendus tam magnx tam^ reconditx dodrinz diuinitatem. Verum quanto me iffa  tnagis deleant / tanto magis cupio : ne minima quidc m in tota re mibi dubita»  donem relinqui. (tai^ utar ea quam mihi conceiTi^ libertate uel licentia potius:  At^ ut iamioulligas quid illud (it (quod nili tibi aliter uideamr/ planius heri  cupio. Odenderas a principio ea ratione politum ellc a Marone Troiam zneam  cekquifle t quoniam lam uir ille corporeas uoluptates contempriflet t per thraci»  amuero at^ dropbadas utrun^ auaridx genus exprelTum cfTe uoluidi : Cur igi»  tur (i buiufccmodi iam uitia exuerat Æneas ( rurfusnunc ut illa uitet ab Heleno  monetur C Dcle&at me tua interrogado o Laurend inquit BAPTISTA t Oden»  dit cnimmaion quodam iudicio quam idbxc xtas gerere foleat te ea qux dixi c6  fideralTe: Veium quo omnia tibi plane pateant: memineris non eum uinim a  Virglio [VIRGILIO] produci ÆNEAM Æneam: in quo uirtutum habitus conoboratus fit. fcdqui  pro uirtuteaduetfus uida ita pugnet tut non (inemulta difficultate per continen  dam uincat : nonnunquam etiam uelud incondnensuincatur.Q^ui ueroin Ita  liam id enim ed ad diurnarum retum inueibgarionem uentuius ed/ huic non fa  dsed : ut continens fit. Nam quamuis condnentia a cupiditatibus arceatitamen   S uoniam in affiduo certamine uerfatur:non przdat eam animis nodris tranquil  tatcm/quaadrestamexcclfascognofccndas opus ed Quimobrcm egenus  ipfa temperantia uirrute undi^abfoluta: et in ipfo pene cerdo uirtutum ordine  corroborata qua qui inlbudi fuirt/nonfolumonuies cupiditates Tupc Tantiue»  lum edam illatum penitus obiiuiftuntut. H oc autem habitu nemo mortalium  fe corroboratum in confidat : nili plurimis afliduif^ adionibus prius ad eum co  fequendum fe exercuerit : Q_^ux res line longioris temporis interuallo effici nem  poted. Huiufcemodi igitur temporis moram VIRGILIUS poetice quidem fed opd  me tamc exprelTic : cum dixit : Prxdat trinaaii moeras ludrare pachtnni. Ceffan  tem longos/ Sedteunfledere curfus. Quod autem moneat ut eo quem dixi ha»  bieurn fe con firmet xneas uerfus unus indicio elTe pet^d. Adiungit enim quam  fcmel informem uadouidilfefub antro rcy1lam. Quamobrem icdiflime uni»  uerfum locum concludemus neminem poffeipram dminitatem attingere : nili  perlongum prius intefuallumeuih: quem dixi habitum ita contraxerit: ut non  modo non rapiatur a fcjlla : fed ne femel quidem ipfam uideat. uod quid ali   nd fibi nuit : nili ita obiiuifeatut cupiditatum omnlumtut nunquam illx in con  ipedum fuxmentisredeantrperpulchrc per^ commode omnia ida inquit LAVRENTIVS. Verum quid tibi paulo ante explicare libuerit: triplici illo ordine oir  tutnm non plane intclIigo.Res inquit BAPTISTA huiufcemodi ed : qux &: Iz  pe alias maximo tibi ufui et prxfcnti fermoni apprime neceffaria futura linOiui»  nus enim Plato cum uirtutes de uita Sl motibus eafdem quas exteri pofuilTet:ita  sd podremum illas diueilis Gue ordinibus Gue generibus didinguit :.ut alia qua  dam ratione ab iis illas coli odendat : qui ccetus ac duitates adamant t alia ab iia   h ii i  I qui omnan mortalitatem dedifcnc cupimtes/ft humanatum rerum odio taoii  •d fula diurna rognofccnda eriguntur : alia poftrcmo ab iis qui ab omni iamc6«  tagionc expiati in folis diuinis ueriinturtprimas igitur ciuiles dixir/fecundas pw  gatorias/ac tertias animi iam puigati.Eft enim triplex hominum rcÆ et ex ratitv  oe uiuenbum ordo.Horum trium inferior eft eoru qui io fudali acciuili uita dt  gentes rerum publicarum adminiftrationem fufcipiut.His {iximi fed m ercdioti  gradu confiituti ii funtiqui a publicis adionibus ueluti tepcftuoflsiac procellolis  Kin qbus fortuna; temeritas oino dominet'' :fe in portum tranqllitatis trafferuot  et a turba io odum fe tecipietes/ quirta uitam degutinon ita tn ut no aliqd adhne tefictaduerfus quod Iudadumlit. Supremo autIocoeoscerncsqui penitusa re«  rum humanatu concurfitionerac tumultu remoti nihil cuius panitcdum sit /c&  mittut.Eft autem oibus his ordinibus hoc c6munr/ut uirtute dure ciida ad boni  redi^ normam dirigati Verum qa in uita duili cupiditaribusiac pturbationibus  omnia tumultuant hifip non oiu xgre refifti^ rdicunt in ea hoium genere uiitm   tesi Dcohataspotiusqabfolutast Quaproptetidinill bptadcntiac6tendit/utm   bil agatuticuius non polTit ratio (^tem probabilis reddi i Fortitudo uero animd  fupra omne piculum at<p moetum affett : et nihil nifi turpia timenda admonet.  Tcm{watia autem oftedit fola honefta appeicdainulla in re moderationis legnn  excellcdamioea cupiditates iugo ronisrubiidendasiluftitta; poftre moptesfuni:   ut unicuimruumredd»’' iutx quoiureoesuiuant .lnrccudoautilioh>iumgene   tctqui ea it ronea negodo in odum uendicat/ut liberius poflit rerum diuinaium  conicplationi incubcrcifunget munetefuoprudciiafifpretis oibus mortalibus  rebus &cxleflium collatione pro nihilo habitis omni cura omnim cogitatione  ad diuina copuertat". Temperitia autem cum ea folum nobis cdce(Utit/bne qui busferuari uita non polTiticaitera omnia fcueriffimoiudidocontenendarf^upeii  datp pronuciabit. Sed necaberit fortiiudo qu* afliduo pridpiatiut nullum meo  moduminullumlaboreminullu periculum horrefeamus/quo minus redo 8£w  petuo^uti**' - j 1 n- ». tuo^ut ita loquar)curfu ad cxlcftia et ad origine fuam icdat animus.Diccs q d  luIhtia.Hoc jifcdo minus libi imponctiut reliquarum uinutu cofenfum in hu iulcemodi ppoAtum firdatilfti quo^utrupiarcsaduafuspturbationcspugnit  fcd fadiius fupcratsfei^ paulatim expi .tos reddunt. Quapropter uirtutes ipCrin  illis purgatoriz appellantur. Verum audi iam tertium illud eorum genus/quota  animi ab omni uitiorumlabe ^cul ab Ant. Hi igit' in eo prudentiam exered/non  ut deledu quodam habito diuma terrenb prxferantifed iit illa fola nofcantifuU   J ueluti nibil aliud At intueantur. Adhibent autem temperantura non ut cupitates coberceatifed lilas penitus ignorent.Eadem ratio erit fortitudinis.llla eni  pernitbariones non uincicifed ignorati Quin opubic dura at^ horreuda Abi of ferrirnon ut uidoriamaiTequacurired ut in eorum obliuione perpetua riimiuts 'ifidiligentetinfpides/ fadiecognofcesidabhelenoadmo  petduret. Quxomniaf  ^ neri xneam non pofle illum fedes in Italia qetas ftabi colloare/niA priiis ad   boc tertium uirtutum genus peruenerit : (^uid ergo hadenus: nonne Troiam deftrueiatjacthradam ftrophadefipteliquerat. Defenieiatquidemjred nondum  $mca uitia fugiflct illa dcdilutc poterat Jiunc autem non ut Moliirnt^iP  Liber tettiai «Birittaib^ deponatt^od tam feceratered ita de tnte deleat: ita perpetue obK  tuooi roaadntut nunquam eorum memoria illum rubeat:Cu autem prz omni  bus rcbua iterum at(p iterum 1 unonem pbcandam moneatsqua quidem adua  •imte Italiam nunqua podturua (itmdnc nobis documentum eftroaximum nui  Ium ex innumeris uahif^ uitus eflieta quo etiam ii qui ad quzip ezceifa eriguiu  lur t scgriiu liberetur quam ab bonorum imperii^ cupiditate.Fadle eft enim cd  temnere uoluptatesa qui iam maiora mente conccpit.Diuittasuero &li fpecie  maximorum bonorum a principio nobis oftendantipoftrcmo tamen ab excelle  tianimo negiiguotur.Atucrohooorcsmagiftratus& imperia quoniam exedi'  lens quodda et eminens in fe cotinere uidetuunfpecie decori at<p magnifici ztu*  mum etiam excclfum deripiuntiNamcum cupiat ille fefe qua proximii deo red  deretanimaduertac autem nulla alia te nos magis deo fimiles efle qua dandis bc  ncficiisiNt^ hzc przftari ab hominibus pofle nifi in fumma reru poteftate coo  flinitifintiaocenduuruebcmenti quadam cupnditate ut reliquos antecedat: Eft  enim natura nobis iditu/utfcnm (upiores in rebus oibus euadere cupiamusi Ce  dcrcauteautfuccumbeieturpimmumputemus.Q_uz quidem naturalis cupv»  ditas nifi reda ronc temperer in ambitione ac pofttcmo in tyrannide nos rapit:  in qua muka aduerius humanitatem audelia tetra nefariaip comitthnus : cu   natura ipla nifi deprauata fuerit ad magnanimitatem erigat nos ad fupetbiam  ft dominatum omnia rapimus.Hinc fraudes:hinc czdes : hinc reliqua imania  fiagitiainfurgunt.Q^uibustcbusipfam humanitatem exuri in truculcntilTima  monfiu conueitimur.Non igitur fine fiimma lapinia ad Cyclopum littora ht Dti dedudt diuinus poctatut ofiendat qui magna quzdam et cxccifa petuntten  nulla certaratio anima reganfefe falli et pro animi magnitudine in imanitaicla  bi.Scd hzcquocp loca miferia ad fc fugientis uiri admonitus qua primu cifugit  ENEA. Quid enim aliud nobis cxprciTius cfiFmgerc:at^ipfis(^ucica loquar oculis fubuccrc potcfi ambitio larofiC fumma efferitate deteflandam 1)^300103  uitam quam cyciops Polipbemu$:qui procul ab omni hominum confortio hu  manis carnibus paicatur^^ inter luflra feraru fola uita agat. Nonne enim iure  Andropophagos tfic enim eos appellant grzci qui humanis arnibus uefeun' nmilloscl Te dicemus: non qui carentia iam anima corpora id enim multo ma  gnto Uerandumefiiinfuas epulas conucTruntifed qui uiuentes omnibus ctu»  oatibuscrudelil Timc exeduntiqui ut aut tytannidem|fibi comparentiaut iam cd  paratamtut cnturioptimum queipuirum et iufhzqui ac libertatis amatoicm lzuifiiimemteTficiuat. Qui utfcelerariirimi uori compotcsc £ Ficiantut:aonmo  do fingulos homines ttuddanttfed totam urbem:ne^ folum totam urbemifed  integras nationes ferroigni fameij populantuncun^ libidini militari fubiid  imtt. Qui nc^ agris cultoribus fpoliaietne hominum pecudum^ przdas abi  gete uomturiqui pueros tcncraf uirgines ex parentum complexu aut ad mor  tcmautad libidinemrapiunnqui caftarum mationara pudicitiam expugnat:  qui publica acpriuata faaa ptofanacpzdificia funditus cuertunt:S qui modo  in florcnrifiinu re publica ampIifTimum dignitatis gradum fumma cu gloria ob  tincbantitot nunc oibux foituius lpoliatos mmiraritni feruttutc abducunu  V' I.4 In.P .Virg-M.AIIego. uos igitur cydo^quos leftrigonas cum iftorum imani fcttida cofErcnaif  Quimobrtm uir iummi boni cupidus qui antea non bene infttcuta animi (oi  magnitudine quacun^ uia ad honores imperia^ nitebaturmunc demum tam  nefariam crudelitatem quam primum eam nouit deteftatunnouit autem a ma  dlenta rqualenci<| achemenide forma per quii lapiens poeU omnes calatnittla  quz ex tyrannide generi humano perueniunt s latenter (ignilicauiticum dues  paulo ante omnibus ampiifhmotum honorum gradibus honefiati/ ad rern ino  piam cxtremai^ famem cdpellunturicum illudiis mortis moetu latere ct^un^t  Rclida enim ariffmu patna ignobililfimis obfcurilbmirip lods exulant: Qua:  quidem miferia edam li in graium hominem et Ænex hodem cadatitame non  poted ipfequi uit bonusauc fu aut elTe dudat ad fummul tyrannidis odium no impelli. Qudigitur Maronis fapiendam noniureadmiretun qui uirumm ita  liamuentutum maria at^adiaceda littora tam horrendis mondris obfefla ita  caute dreuire iubetiut illis omnibus euitads in Siciliam incolumis perueniat un  de breuidiffius curfus in italia dc.Fadle enim ed homni qui fe ab omni ii auari» dxfpcde cxpediucntomnemip iniuditiaatipei Fentate exuedtiadreru magnis  rum cognitionem edgi iprxfctdm fi iam in Sidliam uenerit. Ed aut Sidlia nue  in(u Ia olim uero italix coiumdai Bt condnends parstfed uenit medio in pontus  K undis hefpenum (iculo latus abfddittarua^ Si utbes littore didudas angudo  interluit zdu.lta enim abimortali deoapnndpioæatæd diuinitas animoti  nodrorumiut una cademi^ dt pars infedot rdniside qua paulo pod ent didin  dius difputandum di parte rupertori.Scd quoniaipfa,in agendis rebua uerfaf  drea ea quz loco 6i tempore citcdfcnpta adiduam mutadonem redpiunt euenit  ut interucnientibus Uanis pettutbadonibusi quibus prudenda decepta (xpe pto bonis mala cligitiratio ipfa inferior illis uelun uehemcdlTimit fludibus alfiduO  percu(riabitaliatandem diuellacur:6 (aruperiodradonead appedtum defid>  at Quz omnia quauis ita fint unde tamen breuiot ciufusad italiam.i.ad eo»  teplatiunciquz m ipfa ratione fupedod polita ediquaa ratione inferiod quz  per Siciliam lignidcatur nihil repedes przferdm humato patenteique nos mol  bticm quanda eneruata homini a fenfibus prouenienteinterprætati fumus.NS  quam enim ad ueram contemplationem deuenicmusinifi pdus ipafut ebddia  notum uerbo utar)fenfualitasnon modo earinda uerii eria penitus fepulta in  nobis fuerit. Q_uapropterli rede animaduerds de Anchife mocte meminit  poeta de fepultura non meminittno enim in iuliam ed uenturus.ln quinto ueto libto celebratur funusiut demu fepuito Anchife in italiam cotenderc lice Apparatis itai^ rebus oibus Æneas ex dciliafoluens paulo pod italix pot/  tus fubite fperat.Ne(p fuilfet a fua fpe deceptus (i lunonem aduerdiTimam . bi dea ex Heleni przcepto antea placauiffct.Odendimus paulo ante lunonoa  honopi impcriiij cupiditate expnmeredn qua quidc « fi Æneas ita fe geiatiut  nihil iniude/nihil audeliter in reru adminidtadone aduius fit.faocenima Po  lyphemo fuga indicauit nihilominus cum in confpedu Italix iam fiti& in li  nunc pene fpeculandi conditurus: Animadueitat^ non poife in rerum diuiu  nuncognidonedcucnidsnifi humana hæc omnia cotenat/nidtut ille quidf Liber tettiiu rem perficere. Std appetitus qui nou dum ratione fubiedus fit omnino ro>  pugaat: faKU 9 argumentationibus perfuadet noncireaurneg]igendoihono«  tes/autimpia relinquenda .Percomodeo tnqiUate inquit LAVRENTfVS tC  ad rem uehementer appofitx.Sed unum efl de quo SC fi fortafTe confentanea fu  fpicer > tamen fentendam tuam uehementer cupiam.Na quid fibi obfecro uult  ^fficilis ilia et apprime moiofa dea luno. Si enim manentibus TroixTtoianis  iiafcebaturscur deinceps iifdem illis in italiam enauigatibus adeo boftili animo  aductlatunan fortaiTequiautracp uiuambltiofoK imperii cupido aduerfa Et.  ifibne ipfum inquit BAPTISTA. Atnbitiois enim dea olim Ænex irafeebatun  quiuoluptatibus dclinitui nihil honorificum quacreretmunc autem rurfus ira  fdtnncum uideat illum ad altiora quxdam eredum ea qux exteri mortales in  admiratione habentsotnnino contemnere. Omittens enim illa que primum  gradum in uita duili tenent non motulia amplius ifed immortalia quxrin mi  rifice ictura poeta.Vix e confpedu SicuIx telluris in altum  Veb dabant Ixd j K fpumas falis xre ruebant. Cum luno xtemum feruaru fub pedore uulnus:  quæ deinceps fequuntur: Ratio enim uiuendiiqux honoribus inferuit cum  animadueitatfc ab Ænea deferiia quo olimquo cu ille uoluptatemtociu  amaret negleda fuaatyuehementadolet.Cognofcit enim fi ROMANUM IMPERIUM ed fhtuutur foreiut fua Carthago ruituta Et: Quisenimnon intelligat E  ad c6tcplationem:qui ptxftanti ingenio funt uiti accefferint/ illos ciuiles actio.*  nes ccdercrturos. Oolet igitur St pfeotiiniutia admonita pteiitotutcminifdt.  Manet enim alta mente repoEum  ludicium paridisfpretx^ iniuria formx. Et genus inuifum et RATTO GANIMEDE ONORE. Qux quidem fabulx E diligentius conEderentur nihil aliud nobis prader de*  ditauoluptanbusuitam referct: Nam Paridis ludicium in quo lunonl Venus  prxferturiquid aliud cefeasniEuitx honorum cupide molle enetuata^ 8 (uo  luptatibusaddidam prxponi: Genus autc inuifum.i.louis Eledtxt^ adulteri'  um:acpoSremo RATTO GANIMEDE nemo modo mediocriter eruditus Et alia  traduccuHisigituraccenla luno naufragio Troianos perdere tentat. Verunx  ne noseaquxfubhuiufcemodi tempeftatis Egmento recondita funt ulla ex  pattelateant: neuequidluno: quidxolusiquid neptunnus Ebi uelit incogni'  tum relinquatur:pauca de animorum noEroruui at<^ natura repetenda funt.  Illud tamen pmonebo cuenireiut eadem ad multos locos enodandos adhiben  da Ent t Q_u« E fcmel a’me expteEa exteris deiceps in locis ueluti ia cognita file  tioptacanc luideo me qd* fumopete cupio breuitati inferulturu.Sed rurfus cu  eodieteprKc/E Ecagamus/duplextibionusipo Eturus Emieritenim eode tpe  8C memoria qd alibi didum Et repetendum: K quod interim perpetuo orationis filo contexif' : Ene ulla inteccapedine:percipiendum malo loquacior etk/q  oomittere ne ingeniu eodem mometuo in plura diEradum:ucl minima difpu  lationis paidcula incogmta ptaucrmlttcre cogaturiCum igitur ad id quod pro Ia.P. VIRGILIO M^IIfgo* tPrn/f <«•’<*•  'v'»^ prium noSnim^ tft:quod(^ a noftrz onginls diuimtate traximus t id eSsdt»  tiocinandum/ad concemplandum/ad intelligendum mgitDut:eam animi pai>  tcmadhibcmus:quamgrzci nos mentem nuncupamus. Verum hæ  mutiifed przcipuc Platonici chriffiani FILOSOFI duplicem elTe uolueruntt 4 alteracu inrctiorem quam rationem appcllant:diuiniorem alteram et fuperioro   TIfct. qu- i 4eIIedumnuncupant.QU3propterfapienter Auicena animos noftroi  ur t alterum lanu duplici ore inllgnitos e(Te dizitiut hoc furfum uerTum ptia  r .na altilTima per (apientiam rufpiciamus.lllo uero res mortales et adioneshua  manas per prudentiam adminifhemus. Diuiditur igitur mens in duo rurfum in  tapientiara/deorfum in prudendamrquz Ht reda rerum agendarum ratio qua  iiinuirumfiC mulieremrutuirrupcnor iit &regat:Mulier inferior 8l regatUR Quapropteregregiei!lud:^lioieiliniquitas uiriiqui mulier bencfadensrnd enim przponitur iniquitas uiriliszquitari muliebri: Sed commode exprimitut  I 'tedius eum agereiquideiideriorerumczieftium raptus plurima corporis &fo  cialis uitz commoda negligat: quz res uideturiniquatquam eum : qui ut nuW  Ium uitæ ciuilis officium deferat:czlcftium rerum curam omittit : (^uz cura  ita (intiuideamus quz a Marone dicuntur: Nrmpe zoium lunonis przdbus  uentostquoslouis iulTu regere debet/in mare cmififTeiqua tempeflate obrui  poterant Troiani nili illis aNeptunno rubuentumfuilTct. Quo in loco fi ui  tz ciuilis cupiditas (it luno commode zoium inferiorem: neptunum uerofu«  periorem hominis rationem interprztabimur. Non igitur mirum liabhono»  rumæ imperii ardentilTima cupiditate ratio illa inferior (lediturrattp de fuo  gradu deiieiiur. Referunt fabulz zoium uentisprzpolitum aloueefleiut iuC> TuAioillos BC intra carcerem cohiberet&indeemmcreceru quadam lege ualc4 at. Quamobrem celfa fedet znius arce Seeprta unfDS mpHit^ apimos: K  teinperatiras:_8£,iilud N i faciat maria ac terra stcilumq: profundum. Quippc  fei^tfec^ rapidi : uertantep per auras. Et profrd Ot&infiituti funt animi  noflri ^etum omnium fumnioatcfiitcdotut cum Iit in nobis ea pars quz ad  tes afeifeendas fugiendaf^ inlurgit: przponatur libi ea rationis particula : quz  infenor cum(it:adres omnes agendas rede appetitum moueat. Ratio auum -  Iplis mortalibus indita non a corpore efttfcd aloue.Hzciguurdumfuo co  ditori obtemperat celfa arce fedet:quia nihil humile cogitat: fed quztp aigre^  gia: attp excelfa meditatur : teneti^ fceptra.Nam totius uitzadminifttatianein  habet: mollit^ animos /& temperat itas: cum nimiis cupidiutibui appetii  tum cohercet : at^ inna modelliz fines continet : Sin autem ita lunonis blan>'  ditiis demulceaturiut fuz naturz propriz^ originis immemot rerum rettena  rum cupiditatibus irretiatur/ totum lilife przbet : eiult^ iuffu non autem lo  uisuentos/hi enim penuibationcsrunt/emittit.llli uao mare quem apped<>  tum cflic diximus paulo ante tranquillum ex diuafispartibus ferientes bor«  tendas tempeflatcs excitant: hebetant enim tadonis adem honorum cupidi  tatesrquz uelud nubibus obdudauerum bonum a falfo non difccrnitiip  fumcp appedmm : qui a fenfibus originem dudt: non modo non refhnguit  ardæmractum ultro inflamat: &gcntemiunonisinimicaseaautcft mens no / » Liba totius   Itlbullu Qanitn rnunicotit^tm:diuinatuin autftn cupida/mratiis perturbati  poibusobtuæ nititur.Scd rcæo ad lunonemillla enim cum tecencitiiuriaanti  / MUm (H)i uulnus refrkafictiira plena in zoiiatn tendit.   Kimbofum in patriam loca fceta furentibus auibis.   Cidlidaomnino dea guz regionem ad ea quzcupiebatpaHcienda fibi deligat  nott'ignotauic:Cum enim raum humanarum amor nos ad diuinarum cogniti  onem abfttabæ nititurrin zoiiam patriam uento^rad enim eft in appeti tum p  tuibationibus expofitum ueniat necefle efi. Verum iouis iuflli hoc regnum zoio  commiffum cds Nam ri deo obtempæmus rationi fempa obtemperabit appeti  tU&Redifljme enim Platonicum illud bpnp uiro legem deum ellr : malo autem  bbidincm: Quaobrem huiulcemodi rarionemdeprauare aggreditur Iuno:& ue  iuriti qui caufz (iiz diflFiduntrfit fallis rationibus perfuadæ/& largitionibus cor  tumpæ iudices patanttita ipla zolum adoriturteonaturep oftendere zquum elTc  4tillc gentem fibi INIMICAM ITALIAM attingne prohibeat. Perfuade zolustfe^ cn  da M iulTu lunonis fadurum redpit:Q_uin quicqd imperii habet/id omne a iu  BoUe tecognofcit.Nam nili inflametur appetitus cupiditate rerum terrenaruiatrp  illp uduti mare ucntls turbet rminime uideretur indigere uita nofira impio ratio  tus.Hocigi^ padotromnia lunoni debere ratio fatetur ueluriquz(^nifi pturba  lioæsaflint^aibil habeat in quo fuum impium exerceatrac decepta cupiditate ea  tum raum quas magnas putatmentis habenas remittit/ac mare perturbattquoni  •tUturbulemimis cupiditatibus appetitum codut.Quibuszneasqui ad cxle^  Bium rerum contcplarioncm tedit/adeo labo paiculorut^ magnitudine infrio  giturtuta jppolitodciiciat" :Et ^fedo cum appetitus quo folo animus moueturr  ftquonosad fummum bonum duci oportet/aKonosrapiat/infurgit atrorilTima  iUa tempeftasrin qua eripiunt fubito nubes czlui^ diemt^ teucroru ex oculis. Na  qui paulo ante tranqllo appetitu adrpeculationemfæbant"tinfurgentibuspaturi Mtionibus adeo illis oixzcant" :ut quicqd luminis a rdnepueniebat/peniti»  tollat tVnde fit ut nox atra ponto incubet. Appetitus enim qui hadenus luce rationis illul habac nuc illa amilTa in tenebris uetfatur. Adeot^ zfi uat hoc maretuc lii aqlone fetuntur/hzc enim elatio quzdam elliquz a rebus fecundis profluit.  Alii in fummo fludu pendentmam fupra fuas uires difficilia ardua^ aggrediens  tes amdi foliciti perpaua expedatione pendet. Alii terram inter fludus tangens  tcsabipfa fortuna dnedi mifetiarum cumulo obruuntur.Sunt deniip qui in fas  alatcntiacontorqurantur. Nam multi cum impetu perturbationum ad huiuf^  cemodi cupiditates explendas ternæ ferunturiin uariatp pericula fibi improuifa  inddunt. Sunt poftremo quos auaricia ueluri in fyrtes ttahat.Nam quis non uis  dæfle aiam quorum nauis demergatur. Vnde utre omnino apparent rari nan  tes in gurgite uaftoiNam ex inumera mortalium turbaiquos perturbationum p  cclh]dcmagit: paud emagæ ualentiFado enim habitu pauci ad portum enare  pofluntiprzfertim cum ipfe gubernator a temone tcuulfus imo in przceptls deie  dus in profundum ruitiCum enim ea animi pars quz uitz regedz przpolita eft  fuaiicde deiidtur/adum iam de uniuafa te cite quis non putarHzc autem otns  Iliacum lunonis zoli^ culpa acddiftenttinterim Neptunnus commotus graui*   i In. P. VIRGILIO M. AIlego. tate t<tnpcfta^sf>Ia'd(]uin caput ex fumma unda cxtuIk. N(ptaliutn  mum macia deum cfTe finxerunt: Dico aut fummumiguia alia quo^smaf^o»  mina extann&ptofcdo plutea uires appetitui prxfantimouet' enimilfe iudit»  fcnfuumrmouct" tonis inferionsifummum tamen impium fupioii ronirefenu  tur. hæc igif r^tio quam nuc neptrai nomine (ignifiat poeta cum oibuspturba«  tionibus rapi uexariip uideat:caput e fumma unda ueiuti ex fpecula rifetttVnde  ipfius appetitus fludus jicellafip animaduertes aium illius furore in pram pinum  rapi cognofcitinei^ folum tcpe(htemfmtit:fed etiam ipfam lunonisdolisexdta  tam intucc :Nouit enim reda ratio aium ita afFedum:,ppterea in hasmiferiasitw  ddiffeiquonia falfa bonop: fpe decepta inferior ratio urntos no modo non cohi  buerit: fed ultro emiferinC^uamobre utfubitn tato malo remedi uni affecat cuje  zephyrui^iac reliquos uctos ad feconuocas grauirer increpariqui impio titanum  fanguineorti/deo^i regnum infeftareaudeanReferut enim fabuix uctos Aftrd  filios fuilTei Aftreum aut unum ex iis titanibus eifedicunquiimani impietate ad«  uerfus deos imortales temeratiu bellum fumere lint aufi.Hxcigi^ in fabulis rcr periesi Non aut CICERONEM reliquofip dodiflimos uirosaudiamusiquidoa ali  ud cum diis bellum gerere qnaturxnolhx repugnare interptabimur;Q_ua qui  dem re quid magis temeratiu rflepolTit non rcperio:nam queadmodutn cosUi  demum fapietes Bi dicimus Sc frntimus:qui naturam optimam ducem fequund  ita illos (hiltos temerariofep putabimus:qui ab ea oino dcfcifcut.lure igic' uentM  c titanibus ortos iinxeruuquonia ptuibjtioncs a temerario fempi&nalurc repu  gnante iudicio pueniunt. Audax igitur facinus comittunt perturbationes i qux  flultitia 6i temeritate humana gente appetitum diuinitatis nolhx id eft tonis itm  perio fubiedum turbare audeant.Quaraobrcm iufte a neptuno obiurganifues  ti:fu(lcc^ impium pelagi fibi uedicat ncptunus/cum in bene inftituto animo hw  iufcrmodi illud e(fc oporteat ut folo mentis iudicio moueatur. Ad huiufccmodi  igitur fentemiam commode polfe ttanffcrri xolum/at^ neptunum putaui. Qod  (1 qua in parte fatis tibi fadum non e(l:aut li quid in mentem urnitiquod aptius  IcKo quadret:promas illud licet: Nihil enim c(l quod uereatis:aut pudore impe<  diaris:Nam neminem ex omnibus qui uiuuntiuucnics/qui aut xquiori animo  refutari patiatur:q ego fero/aut auidiusqucxlnefcicntaddifcat: Necp eft etiam  quod dicas huiufccmodi fenem ego adolefcens. Vidi enim multos ex iis qui et ha  bentur et funt dodiflimi nonnunq admonitu etiam indodilTimi hominis in at  rum rerum cognitionem ueni(Te:in quam fuo ingenio tam diuturno nunquatD  tempore hadenus uenerant.Ego inquit Laurentius quid aliis euenerit ncfaoiiiu  hi tamen nunq tantum arrogabo. Verum quia accidere in tanta rerum copia at^  uirictatc dodilTimis quibufc^ folet/ut cum plurima eodem tempore fefe med of  ferant: nonnulla fint:qux fic fi non explicent" :facile umen Sc reliquorum fimilitudine percipi pofiint.Sint etiam et alia qux quamuis enucleate planecp ediflicræ  turihcbetiori tamen ingenio qui funt illa minime confequant":utar ea quam mi  hi pamittis licentia:& quoniam de confugio xoIi:at(^ deiopex nihil a te didum  cftipetam nifi id omnino inutile ducas:ut fi quid ea in fabella fitiquod ad rcno<  fisata confciat/nobis explices. At dices n unquid tibi m mentem uenit i ac edam Liber tertiuf nthinu Horib^tne(!erat!ges« Vcnicqdetn. Kamaiffi nKo adiuiDis ad humana  abducenda cftinullum pene maius przmium proponi pote(l:g pulchrum cafiu m coniugium:inde enim cupiditas ilia naturalis:quz eft coniundionis maris SC  fttminæezpIetur. Lndefoboliseft |> pagatio:quxquidem non fotum uoluptatiii  tuul ac ufui nobis cd;uetuffl etiam pofteritati confulit/ut etia morrui aliquo mo  do ih illis uiuamus.Ulbucipfum inquit BAPTI5TA nec modo |>po(itx quxlH  oni rationem habcas quicq eft prxterea defiderandum.Nam id hoc in loco aperi  amiquod alio paulo pofi foret aperiedum*Prifci igit" illi qui de deoni natura fcii» pferunritria ibeologiz genera pofuerutiunum fabulofum/quod grzci mithicon  nomtnant:quo quidem populum ociofum in theatro oblec rent: Alterum nata  rale/idenimeft phy ficonrper quod comode uimnaturxexprimuntiut cum per  iatumumhlios omnes przter illos quatuoruorantem tempus nebis denotant: itodii quatuor elementa ezcipias:omniafua edacitate confumit.Tertium uero  iccirco ciuiJeappcllant:quia inde ad benebeareqj uiuendum przcepta promatur  Coofueuerc igitur poetx quibus nihil dodius reperias/hzc omnia ita confundere:at<p m unum comifcereiut optimo quodam temperameto eodem tempore et  aures fummauoluptacedemulceant:& mentem recondita dodrina alantiac nos  adredum at^ honeftum et ad ipfum fummum bonum deducant: Nos aur quo ciam A hzc omnia exadius in Marone ^fequi uoIuiiremus:nimis operofum ne  godum |poni uidebat" duobus primis generibus obmiiTis intra ciuilis generis ca  cellos difputationem noAram mcluAmus.Q_uapropter illud paululumtqd mo*  do de fabula decerpferas/noftro operi conducet: Nam reliqua phy Acen fpedanr.  Dicunt enim Pbccbi Aurorzi^ Alias.xiiii.fuiiTe eafcp lunoni nymphas attributas  exiliorum enim intcrptatione luno ær cA* Æri autem feptem quzdam attributa  fuiit.Septem itidem in ære ignum''. Quz omnia ipAus folis tunc maxime cum  in noftro hcmifpcrio ueriat :opera proucniunt.Sed ut de primis priori loco dica  tur eft æris ut leuisAt:ut mobilis:utcalidus:ut humidus: utferenus: uttacitum P Utlpirabilisxbasigic ueluti feptem nymphas finxerunt poctz:earutn autem quz  in ære gignunt pi imam ponunt quz Ins appellac'':Cui etiam attnbuut tres ueiu  li minittras pluuiam grandinem niuem.ln his enim contingit ut nubes fuli oppo  Dat :fcd eft id^ut ita loquar^nubiu corpus ut alia fui parte denfum/ut alia denii^  us/alu den Aflunum At.Q_^uapropter a prima fubrubeus/a fecuda ccruleus/a ter<«  tia niger color perucnitx Contra ucro partes quz in ca purz funt croceumiquz ue  ro puriores uindemxquz poftremo puriftimz album colorem remittuntibzc igi  tur piima ex alus feptem nympha eftxquam deinde fex fequutur phy thon come.*  ta fulmen ronitruumxcxhalatio ac tcrremotustdeqbusfuo ordine difpacarc no  grauereniuriniii ex tnbus illis quz dixi generibus ciuile folum profequi conftitu  il Temus: Vaum cum uoies bzc probe et quid qua ratione gignantur: faci* ]ccognofccs.Sunteniminiisquzmeteora appellanturab Ariftotele quidem pr  acute:ab Aiberto uero cui magno cognomen eft etiam aperte petferipta. Quod  autem dciopeam omnium pulcherrimam fe daturam pollicetur luno ratione no  carenEft enim ca in ære facies quz ferenitas didtur.(^uz res autein magis io cu  pidiutem tcruin humanarum trahere zolumpotetauqDamfctena czii facies. Perplacent ifiainquic LAVRENTlVSs at ita perplacentuit nihil in iis prxt»  rea deiideretn:perplacent quo^ quz tu de ratione appetitu^ diziftitfed uide at  pugnantia Ioquaris.Natn(ire^tnemini/tu paulo ante xoluminferioiemratu  netnelTcuoIuiditnuncncptunum fuperiorem ponis:redeutru^:Verumcn hic  impetiutn fibi non autrtn illi datum dicattnon uideo cur zolo quotp non conoe  datur:ut mare uel io mittendis uel coheteendis uentis:aut extollat aut fcdett No  co inficias inquit Baptifta pertinere ad hanc inferiorem rationrmiut cum deage  dis rebus iudicium habeat/ipfa appetitum et ad raquz afeifeenda funtimpellati  et ab iis quzfunt fugienda auocet.Vcrum quemadmodum in bene inlhtutare  publica fupremus quidam magifiratuscreaturicuiusatbitrio £d ii omnia getan^t  alii tamen aifunt minores magiQratusiquibus fingulis fmgula committantunili  totius uitz imperium in mente confi(ht:ita tamen ut infenor ratio appetitui ea Ic  ge propolita (itsut nihil niii rede iudicet.Q_^uod ii illecebris rerum humanatum  decepta non rede fentiat:fcd iint eius iudteta falfa/adeft fupremus ille magifha*  tus ad quem prouocare liceat:Q_uapropter rede faipcura eil zoium no niii clau  fo carcere regnare: quoniam in uita hac communi ac ciuili potius cohibetur appe  titus ui quadam rationistquam quietus tranquilluf^ tcddatur:non enim in bo  nas affcdionesconucrtuntur:red potius moderatione cohercenturjRatio autm  fuperior cum caput ex undis exculittemiiTamt^ a lunonc hiemem cognouitteun  da in tranquillitatem redigit. Emittit enim raput ex undis cum fe a corporea mo  letqua hadenus obruta opprimebatur ucndicans ipfa fe excitaUat^afeniibus fe  uocattquo tempore non folum cognofeit qua hieme opprimatur zneasne in Ita  liam tendat:uerum etiam tantorum malorum caufam lunonem id eft rerum bu  manarum cupiditatem ei1'einteliigit;(^uamobrem uentos qprimumanutire  mouet : Nam uacuuspertutbationibus appetitus rationi obtemperantior reddi  tut lllofq) ut deterreat maiores poenas fibi daturos minitatur: quam illi ab  Ænea acceperint: nec iniuria. Nam appetitus a perturbationibus inuafusad  tempus uexatur « Intelligentia autem illa fuprrma fi imperium fibi uendicæ  tit/ quoniam fummo lumine animus illufiratus nunquam deinceps nec ded  pitut:nec labitur : neccfle eft ut perturbationes: quarum genitrix falfa opinio  fuerat in nobis penitus fepultz reddantur. Quapropter non fimili pasnaco  milTa uenti Neptuno luent. Sed undz quz fequantur. Remotis uentis ou bes dirperfas in unum colligit Neptunnus: at«^ colledas fugat: Efi enimboc  intelligcntiz:ut a principio fingulas falfas opiniones profequatur : in unum  congerat : atq demum confutet: quibus confutatis tum demum folis lUe  ce: ea enim efi ueri cognitio eunda iiluftrantur. Q^uio 81 dmothoe et totos  naues a fcopulis abducunt. Cimothoe per undas currens fi gtzcum uerbum  aduertas faale interpretatur. Triton autem neptunni tubicen babetur. Iftaigi  tur duo numina afcopulis cupiditatum naues reducuntr quia cum tedum DOuerimus/uana relinquimus. Scientiam autem autnofiro ingenio al Tequimun  cum id fua uclodtatc pet eunda difeunat t aut dodtina aliunde accepta pd«' IIs I a :v t Ii* :lil i i M d nit ai fli iib idi &bi m Ml  ItM IS it alti nbi lii» IStl' uti  «m 110 0» 1» ufl «I (i ‘i? iit tf tnumilludd motlioesuelodtasciprimir hoc autem tnton signifiat. Mam ut  Cubidæs fuo przconio mandata prindpis manifcfti Qtidc dodrina quid ucriras  4ieIitaperit: quod autem prorpcrocurfu per pacatum mare utatur neptunus  fadleprobatur.Nam cum pacatus eftab omnibus perturbationibus appetitus  ita per eum labitur ratioiut nufquam ofFendat.Diximus de tempeftate.Nuc ad  reliqua pergamus: Neptuni beneficio ex tam manifefto peri culo erepti Troiani  cum fefu fradi(p Italiam utpote longinquam terram contingere pofTe defperatent:extemporaneo ac^ minime przmeditato confiiio ad propinquum carebam  ginenfium littus uela dirigunt: puto uosmeminifTeitaliam fpecu!ationis:cartha  ginem adionis figuram habere. Quapropter id nunc exprimit poeta quod in  humana uita fxpe ufu ucnire uidemus sSunt enim multi:qui cum ne in uoi  luptatcne^ in diuitiisnet^ poftremo in honoribus fummum bonum inueni^  ant ad ueri cognitionem fefe conferant; Verum cum fe humana omnia Facile  poircconcemncrci& reorfum ab hominum coctu contemplationi incumbere  cxiftimenniamtp rem aggrediantur uix illam reliquerunt cum tantum relidam  tum rerum defiderium infurgitiadeo ex recordatione tantarum illecebrarum  cffeminanrur: utrurfusin fumma spcrruibationes incidant : qux quauts tan«  dem fumma ratione fedentur:adeo tamen defefTi defacigatit^ relinquuntur ant  mi nodriteum non fine difficultate tam horrendam tcmpdiatem euaferintiut  latis fupert^egiffe putent fi focietatem humanam incolentes qux immania 8i  humano generi pernitiofa funtuitia effugiant. Virtutes autem fi non exadas; ati^perfcdas/incohatas tamen retineantifi: cum difficultate dus uitzqux in  ucnfpeculatione pofitæfideccrreantut:animaduettantqux hutufccmodi ui^  tz genus humanam pene imbecillitatem excedere cum Arifioteles maius aliV  quid quam hominem effe qui hzec poffir affirmet fecum fic ratiocinantur.Non-  parum erit uoluptatum incendia euafiffe : Thracenfium rapinas euicaffe : hac  harpyarum fordes et Cyclopum immanitatem refugiffe. Nunc ucro fi id non.  pofiumus: quod diuinitatis potiusiquam humanitatis effe uidetunillud quis  reprehendet ut in hominum locierate ad quam colend >m tucndamiaugendam  ^ nati fumustuerfati prudenter iufte fortiter deniqi ac temperate uiuamus/ pa  rati pro pania ac parentibus nullum laboreminullum periculum deuicemus..  In omnes qui nobis fangumeconiundifunt pietatem obferuemus: Ciuibus  nofiris aut egenis liberaliterfubucniamus: aut errantibus redam uiam demo-  firemusiaut iniuriaoppreffos confiiio opera gratia audontate noffra fub«'  leuemus.Speculationem ucro magnarum rerum in maturiorem zratem anp  inipfam fenedutem: quz a multis perturbationibus i quibus huiufcemodf  uita maxime impeditur liberior effefolcC reiiciamusiquamquidem fententt  am iis quz de Hyfach magni Abraz filio dicuntur : tueri fe poffe confidunt:  Nam quod de patriarcha lilo legitur egreffum effe ad meditandum in agrum  inclinata iam die ita interpretantur exiffc illum a corporeis fenfibus adme ditandum in agrum quafi feorfum ab humana frequentia inclinata iam die/  id enim efi circa fenedutem iam femore fanguinis ceffante.Conanr prztereii  Cuamcaufam grauiffimotu uiioium teffimonio corroborareiqui ufutn potius lQ. P.Virg.M.AIIcgo< triqaam aufamunde bonum (it confidcrantesadionem contemplationi aiw  teponunt. Pcxfcrtim in uiridiori ætate: in qua philofophum agere, dicere rem  publicam adminiftrare militare at^ imperare iubemtoftenduntip Platon ip  tum uakdioribus annis K nauigationes io (Iciliam : et (iudia in Dione exerciM  retSencfccotem autem in academia circa ueri inqai(itione quieuilTe: Xen ophi»  tem quorp adolefccntem in rebus agendis fummopere laudant:Srn:m ueto in  fpcculatione admirantur: et beatum propter odum putant: Q_ui n etiam mub  tos ut fapiendorex fierent plurimos populos paagrafle oftedunt : Q^iuproptct  K Homerus Vlyxem fapientem propterea dicit:quod multorum hominum ut  bes ac mores nouerit:Huiurcemodi igitur ac plura alia in unum collig^es/qux  tu fummo artificio ac prudentia nudius tertius cum hoc genus uiucdi laudibus  efferes enumerabas fpeculandi propofimm in feriorem ztatem rdiciunt i at^  ad res ciuilcs agendas interim fe conuertunt:Q_uod quidem uitx genus qui ui  tuperabit/is profedo iuflam ut ab om nibus uituperetur caufam prxbebit.Sunt  enim fua (ibi qutxp muneraiSt plutima quidem at^ przclaraiquibus (i rede fu  gaturi&czteris utilitatem ficfibi gloriam tranquillitaremip quoad imbedllitai  bumana patitur (ine controuer(ia pariet:Q_uapropter non (ine fumma ratione  tutus tranquillnfip portus in caithaginen(i littore defcribituricuius formam li<  tum^quzfo diligentius infpidte.Eftenim in fece(fu longo locus:quem infula  portum ef&datiMortalium enim uita continentem: ea enim terra eft quz marU  nis fludibus minus e(f expolita nufquam hibct.lnfulam autem habet zfiuinti  busafliduofurentibafip undis undu^perculVam.Sed quz tamen ita fua mole  beteat: ut aduerfus omnem uentorum undarumip impetu immobilis fimpcr  obduret : Nam cum hzc quz momentanea funt: et tamen (f ultitia humana bo  na putantur fortunz temeritad fubieda (inticut^ amore fui mentes humanas in  Cendant conficerent profedo nos nili infula in medio mari (imus : quz quauis  unditp mari mndaturitamen uirtutibus (fabilita non mergitur.Eif autem in 16  gofccefTuiNam animus uirtutibus aduerfus fortunz impetus munitus procul a  perturbationibus feiunduscft.lllz enim obiedu laterum repelluntur. Cu hin:  fortitudo contra res aducrfasihinc temperantia aduerfus res fecundas opponar i  rede^ uafte rupes appellantur. Virtus enim in diffidli luco polita etf.Aode qtf  ita medium tenet:ut quocunt^ te inde araoueas:ad extrema peiuemi ndutn liu  unde tanquie piti rupe labatis gemini^ minamurinczlum fcopuli. Nam  non folum noUra prudentia freti res magnas aggredimur. Vei um multo magu  diuinoconfilioconfili.NcctemetedidumeQfubrcopulorumuettice zquota  tuta li(ere. Nam appetitus duplid lumine illuftratus ab omni feniper pemiiba  tione liba cfi.C^uod autem defupafczna corrufeis filuis6t atrum nemus  horrenti umbra imminettnon caret rationeiNullo enim in homine prudenti'  am inueniasiqut earum rerum quas fua temeritate fortuna uafat cuentus pem  tus przuideaticum tortam^ diuerfis caiibus cxponamuriut pcrfzpe Si quz  nocitura (int fummis uotis expaamusi6C ea quzfieuenircnt falutiufui ef  fcntiueluti noxia omni indufltna fugiamus tOeni^ in aduafa fronteaquz  dulces depizbcnduntur.Nam cum procul a uatiaium cupiditatum fludilMis Liber totius botiSftifflunezur^ buiufcctnodi uita:quz (ioo beata omntæ e quieta tamen  'tcanquiUa^ (it.H uiufcemodi igitur pottum Tubcunt: qui fuprema diu fedati  ac poRrrmo difficultate deteriti fe in uitam focialc contccucnin qua ciuilibus  uirtutibua exculticuinuerrentuc laudem non medioæm reportanti longe ta« en ab ea diuinitate qua quairimus abfunt. Quod aute feptem nauibus huc  iubicritiquodi^ reliquos c (copulo profpiciens requirerenquod detnu focioru  inopiam raritu uinoij rublenaunic buc pertinent ut intclligamus eu qui rc pu«  bJicamadminiflrandam fumat oes labores omnia incdmodafubire oportera  ut illoru quz fuz fidei cdmifTi funt falutem incolumitatcmi^ conrcruet. Qua riptopter fit Acate$(^ea enim principis cura efl^ igneexcitabit/ id eft dcfides ad tes  agendasaccendetiutquz ad uidumncceffana funt minime defintifit fcopulos  Buendens abrentes requiretiquos (i tutari non poterit iis qui afTunt confulitiillo  tnm^ inopiam cu fublcuauerit etiam oratione confolabituc:optimif(^ pcepds  ita in^oet/ut admoneat non effe huiufcemodi hoc uitz genus ut m eo fedes et  gere uelimusiSed effe omnes labores ac difFiculutes fuperandas /ut in italia per  ucniamusiubi demum fedes quietas muenietiubi etiam Troia reforgetiNam cu  uitauoluptuofaibiquzreretur eaaderat uoluptas iquza fenfibusprofeda cor  porca edet fit caduca: fit qua (latim poenitentia fequebatur.In italia autem uolua  ptasfuma prouenictadiuinaturaum fpeculatione.quz uera fimplexcp fituo  luptas quz perpetuaiquæ ztema qua nullus moeror fubfequac. Hzc enim opti  tni principis adminidratio eft:na cu u ideat ciuile adione humanz indigencizt  non aute ei quz io nobis efl diuinicati inferuiteiita in illa uerfabic :utcu quz ad  mottaliu inopiineceflaria funt uidetinfuotutame animos ad diuina etigatt  iubebit^ eos aduerfusfortunzcafus durare: fit fe rebus fecundisquas in latio inucniet feruare.O diuinum ingeaiu.O uitu inter ratidimos uitos omnino ex  cellencemifit poetz nomine.uere dignumiqui non chridianus omnia tamc chri  dianopr ueridimz dodrinz fimi liima proKrat.lege apodolu Paulu. libet enim  unum hinc ex omnibus ucluti nodrz religionis caput nominareiqui uitam hu  manam ad huiufcemodi notmam dirigitiut ne corporis necedatia fubtrahen  da:flt uero inuedigando femper uacandu cenfeat.Q_uid enim ille fufe late de  Cmbinquod hic poeticis an gudiis non coardetiMiraprofedo restut fingula pe  ne uerba longidimas e platonicaiaridotelicac^ re publica:fentetias ampledi ua  IcantiSed nolo quod quidem hadenusnur quainfeci:itæxade hunc IcKum  profequi:ut reliqua deinceps aut omittenda:aut ea celeritate przteruolanda  fintiut idem nobis eueniatiquod longam piduram in citatiiTimo curfu per«  (piciennbus euenire folet.Ii enim in puado teraporisicum id etiam magnope  tecontendanticolorcs notare uix poffuntiliniamenta autemifit corporu fimu  Iæra fit quam grzci fjmettiam nominant ne uix quidem. Q_uapropter relu  quaadtnaiusocium differantun^Oratio autem Venerisad iouemrurfuftp lo«  uisad Venerem meram textus (criem continere placet.lnferuiut enim omnia  poetico f)gmento:ita tamen:ut non nihil de mathematicis decerpat Maro: fit  unde luboyt familiam in primis autem AGUSTUM (OTTAVIANO) Augudu laudet.Nam quz ad allegori  am tcfcitc uoluffius iude folu accetfenda cefeo unde duc^.fiu fpote fcquanf In. P. Virg.M. AIItgo. Sin 3utc ui ingenii inuitamuntur/twtu de grauitateruaamittunttatridtada  pene reddaqtuttluc^ omittamus anxias interprxtationes:ea(p folumaflim»  tnus/quz non modo in abdico non latentsfed ultro Tefe quxrehtibus offerant.  Quod autem paulo ante ad mathematica pertinere dixi pauds quidem fcd,uc  temporu anguSiz ferebat no oino obfcurz in principio expolitu clTe puto.Ita^  teuertor ad Acnea^lc enim per node plurima mete repeti ftatuit ut prima illa  ccfceret loco^t natura diUgctius exploraretSt hoics ne an ferz teneit inucdigarc.  Q_uibus untibus qualem oporteat eife rei publicz adminiftratorem egregie, a {timit. At^ in primis illud bomericd approbat.   Q_uis enim cui tot mortalium cura c6mi£Qi Iit uu'  uerfam nodem fomno impendet. Id aurem fumma (apientia didum omnes  fatebuntunEft cnim’optimi principis uel præcipuum munus cum loca inculta  uideaciut homines ne an ferz inhabitent iibi exquirendum proponat. Na qui  uitam ciuilem diligenter intueturmaria hominum ingenia;uaria fiudia uario^  q motes inueniet. Sunt enim qui redo honefto^ r(mperincubant:ciuili con  cordiz faueancsLibertatem (aluam eflecupiantmeroinc plufqua leges intepui  blia ualete uelint.Iniuria oppreflbs fubleuent. Superbiam fcditiolorumciuid  deiedam cupiant. Maieftatem publicam pro uiribus augeant.Religionem de«  ni^iac iufticia omnibus rebus przferat.Hi igitur iure hoics appellari polTunt:  quoniam humanz naturz officia non deferunt.Contra autem plurimos repeti  as/quotum pctulantifTima libido nihil fandum/nihil pudicum relinquat: pluri  mos qui fuma auaritia acccli/omnia uenalia habeat:& aut ueluti uulpeculz do  lisiinftdiif^p incautos decipiat:auc uiribus fuperiores cum iTnt opibus quo fit  honoribus eos anteite uelint:quibus fapientia ac uirtute longe fintintetioress  buiufccmodi igitur uitiis deprauati homines quauis effigiem mebra:^ humana  retineant/tamen quoniam mores ferinos induerunt/no amplius hominesifed  immaniffimz ferz putandi funt.Q^uapropter in humanis coetibus longe plura funt illa;quz uitiorum uepretis at<^ fenticetis unq inculu hortent: quam ea  quz ingenuis artibus prxclarifd^ uirtutibus exculta nitefeant: progreditur igif  Æneas ut fingula diligenter exploretinon temere tamen:fed Acacem tidiffima  comitem fecum ducit:8( armis inffrudusincedit:Nam quis unquam rede re  publicam admini(lrauit:cuius animus aut cura ac diligentia uacuus fit:aut for  tiCudinecareat. Iliis enim quz agenda funt multo antea przuidemus.bac au  tem nequid ex iis quz magna ac przclara puidimus ob moetu infedu relinqua  turtcfiffimusiCum igitur rciedo in aliud tempus contemplationis propoiito  adeiuilem uitam digrediatur Æneas:Sit^& in ea multum elaboridd/opus  eft ut et duce matre ad illam perueniat.Nifi enim amote catum reru quz age  dz funt calefcat animus aduerfustantos:tam^uarios labores obtorpeatnc.>  ceffe eft.Fit ergo illi obuiam mater no tamen cofeffa dea/qualif(^ uideri czlieo  lis et quanta foletiEam enim fe tuc offendit cu filium a uoluptate eo cdtilio ab  ducebat/ut ad fumu tenderct:Q_uo tempore oportebat ed inflamari amote di  uinaru rerutqui et ipfe diuinus ab omni materia 8C corpore jicul abfit. Hic adt  catum reru amote incendit" : quz corpotez Bi magna ex parte mataiademafz Liber lotiui li io “!• lA ab ife «pg bb aS sua tsb mt   s'4U. utii at». ia? r   i*f   a O liii ga<  'fb fihhQuapro{iter non deam confcf Taafed humana fotma di  RiffluTata fefe filio  offcit:ftin (yiuaotueiiatriziIIi appartt. Quem quidem locu planius uobis nf  primamati pauca omnino necniu ea qux nrcriTaria funt prius de fylua rxpofur^io. Omnium tetum qux funt redum quendam ordinem eiiflere : Trifmegiftus  Homerus ac PLATONE oftenderunt: Atm ut quot fentirent dilucidius exprimeret au  ream cathenama naturx fonte ad innmam ufep Fecem demitti finxeruntiqua fa>  is gradibus eunda connedanturteuius origo cifentia dei cum (it eo ordiue proce  ditut ut fecundo in loco potentiaztertio fap'entia:at<p quarto uoluntas collocet t  bxc fequitur fatum attp illud anima munditdeinceps funt cxieltes demonest (iit  xtbnriifunt æreisfunt bumedeitfunt deni^ terreni. VItima autem omnium by  le^quam nos fyluamdidmus^in infimo refideti Poifem fingula non fine fum<  mo ufu atip voluptate oratione mea profequi. Sed quoniam difputatidi noftrx  neceflarianon funt brcuitaticonfuIam. Quamobrem exteris obmiffis deu prin  apium lyluam extremum in catbena ponemus.Nihil igitur deo fuperius. Nihil  fjlua interius.nibil hocprxftantius.nihil illa uilius. Media uero inferiora fupe«  nntta fupetioribusuincuntur. Eft igitur deus et fyluathxc autem niatetia efttex  qua omnia corpora funt. Vt enim lignarius faber materiam ex qua eunda fadat luam habet. Continet enim illa rude adhuc lignum s K informe: Sed quo tamen innata fibi facultate formas omnes redpere ualeatifaber autem in quafcun^ uult formas illud tradudt tcadem ratione ad deum materia eft.Deus enim for  masomncsabxtcmitate complexuseft. Materia uero fi illius naturam infpicias  formam nullam certam expreffam habet. Verum innata fibi recipiendi faculta  te t et ut ita loquar confufe omnes continere uidetur. Materiam uero quia matet  fit didtur. Ceus autem pater: forma uero prole$.Deus enim dat.fylua redpit. *fotma nafeitur. Q^uapropter rede Trifmegifhis patrem matremtp xtemos: pro  lem uero mortalem didt. Mater cfi materia quia finum prxfiat. Deus gignit : 8C  oeat : ac fua quidem ui. fila autem ex alterius immiztione condpit .Condpit au  teminfufione fpiritus diuinitquam animam mundi nominat Tnfmegiffus t  Q_ux res eum mouet: ut deo ofiidum patris tribuat : quoniam infundit: SyU  ux uero mattis t quia a deo condpiat: Animam denicp mundi uim feminis hsb>  bere dicit : quia a deo ipfa infpiretur in fylux gremium. Prxtereo plurima nomi  aatquibus uariasfyluxproprietatesexprimit:Illænim nihil ad hxcqux agi«  mus: Sxpe umen totam materiam appellat malignitatem :ne« iniuria.lpfa eni  Iblacau Qefitutresmintentumcadant. Namquod a materia feparatum efit id  nunquam interit: Nunquam enim quod fibi contrarium fit capiti fed illud fu«  gitat femper at^ declinat: Quod vero fylux gremio continetur: iccirco in la^ teritumiabitur: quoniam fylua/cum ad omnes quas qualitates appellant xque  lebabeatcuenittutuelutialtera Helenaintra teda uocet Menelaum:ac limina  pandat. Num dum foimas illis quas hadenus receperat contrarias admittit: fc«  cile fit ut cxtemx irrumpentes domefticasextinguant.Q^uapropter quis illam  malignam non dixerit t qux familiares fotmas prodatiignotas admittat: K uelu  ti fufiepri iam in fuam fide m clientis caufam deferens : aduerfariiqi fufcipies per  timtnam perfidiam p eaoiaticeruf i Tardat etiam et perturbat noftras mctesfyb  k rn.P.Virg. M.AIIego «   Ui t omæ ab ea uiHum nunat. Viaa enim mfcitia igaotatioa [«St   At ignorationem ipfam cz craflitudine caligine^ corporis prouenire et Plato S  plæri^ cz iis qui grauiflimi habetur philofophi audorcs funt.Huiurcemedi igi  tur rationcmotus diuinus Maro cum rerum humaiurum:8;qua; corpore no a  rent:proptrrca^ in uariis erroribus uerrenmr:amore inflametui is qui in re pu>  blica princeps effe cupittuenerem Tub mortali forma inducit Sc in tpia lylua:guo  niam eunda quz agimus in materia demerla funt illam ponit.Nec temere umv  tricis habitu ezomat : Eas enim feras de quibus paulo ante dizimus fibi infedai  das proponiuquifuis cibus rcdcconrulturuseO.Acneas tamen non nihil diuir  nitatisin ea etiam iic diiTimulante cognofcit.nam Si (i populorum temperatocai  circa humanas adiones uerfenturuamen quoniam honelhim redum^ tuentor  eodem illo amoroquo hzc caduca appetimus originem nollram diuinam eflie  fcntimus.cum enim reIigioncm:cum luditiam: cum animi magnitudinem atb  amamus : uerfantur hzc profedo circa adiones .Sed tamen quis non uideat illa  a diuinitate proiteifei C Eft tamen oratio uenetis non ut dcz : fcd ut hominb: K  tamen nefeio quam diuinitatem redolens : Nam cum Carthaginem proficiid lii  adeat:argumentationibusab humana prudentia profedis utitur: Nam K quz  de hilioria Didonis eruit : ea omnia falutis fpem afferunt : Si cum aliquid funp  rum przdicitmon ut deaifcd ut augut ex cygnorum uolatu przdicit. Illud aute  fumma fapientia czcogitauit poeta : ut in orationis fine fe deam manifeftatet Ve  nus : Nam cum in uita ciuili quz reda Si honefta funt diu coluerimus ez illotn  pulchritudine ad diuina quotum hzc ueluti (imulaaa funt erigimur.His igitur  rationibus a matre perfuafus Carthaginem tendit oblitus tamen tenebris : ne illi  us conatus aliquis impediret. Et profedo fic fe res habet. Nam qui magna pru<  dentia przditi funt uiri cztnam multitudinem quam adminiftrandam fufeipi unt ita ad redum honefl um^ trahunt : ut fua conlilia fzpilTime tegant:quz q dem fi palam facerent autzmulor uminuidia: aut dulcorum infcicia impediti  illa ad ezitum minime perducerent: Vtenim prudentes medici zgrotos(^qucv  tum libido nihil falubre ezpetit])perrzpe fallunt : Sic optimi prinapes fimutan^  do aut dilTimulando fua conlilia occulcant. Nam ut cztera obmittam nonne  qui leges tuleruntiquo maior ei audoritas inelfet/fua conlilia alicui deo actnbu^  erunt fCunda enim ez Egerie nymphz przceptis Numa Pompilius facere finiu  labatilusciuile Spatthanorumez Apollinis fententia faiplifife iinzit Licurgust  Quicquid Zautrades apud Atimafpos conltituitid a bono numine accepilTedi  cwt.Zamolzis autem quzcuis Scythis tradiditiin Vedam reculitxNam q mul  ta q difBdlia inter tumultus militares rede ad ninidrauit.Q_. Sertorius cum fe ii  la a Diana per ceruam accepilfe diditarct tSed nimis multa dere przfertim ta tna  nifeda: Carthaginem ueto e loco fuperiore cernunt: quoniam ut nudius quo^ tertius difputatum ed nuquam optimis indituris  Si legibus temperata erit res  pub.nili qui illi przfunt eunda qu aut przcipiunt aut prohibent ad eotu qax  per rerum magnatum speculation emuideritu regulam ac normam sapiennllb tne diligant. Cum autem Carthaginen lium operam indudriam circa urbem difiandam dclaibit/nonnc pauciflimis ueifibug onuiia colligit: quæ^iia9 c*\Ili «f m ii m ta ai l U U Kl ii M ib gia \tt\ th ‘S ipn iii^ F! jpb  (f ob 09 0* xb s 3 ib  <1 Liber'tertiui edam (apfari( Cine de re pub. latprerut)t:noa ni/i  pluribus libris exprimuntur tamum enim ea parant ibiis aduarus ho(tiles impetus tuti (t nt: uibus  V^^fe contra czliiniurias priuatisx difidisfedefenduntiHzcenim duoprx^  fiant ut duitas efle pofiit.Poft bzc uero ad iura et magilhatus fe conuertunt : ut  nonmodoe/Te fed quod proprium hominis e/l i cede bonefte^ e/Teualeant:  Quoniam autem ad magnificentiam et ad liberaliutem &ad uim propulfan^dam publicz opes in primis utiles funtipottus optimi/efiiciundi ratio habetur t  Poftrcmo autem (icznz ac theatri cura non negligitunubi et corpora ad ualitudi  nem &robur exetceri:& animi publicis priuatifi^ negodis defatigatiihonefii/Ti*  mis ludis relaxati pofiint: Qua autem mente et quo confilio illos apibus com«  paraucrit : quzfo diligentius animaduertite t Si enim huius inferti naturam con  fideretis nihil illo aut induflria ac folertiaacuriusraut a/Tiduo labore indefe/Tius  (eperietis Ouccm in primis habent quem fequanturt cuius impenum nuquam  contemnannlabores inter fefumma zquitatediftribuuntiSummaconcordia 8C  opera fua fadunt et boftes arcent. Quicquid quzrituriid omne in comune qux  iituri Quz quidem omnia fi in rem pu.aliquam tranfferasiplatonicam ciuitate  cxmfiitues. Erat autem in media urbe templum lunoni facrumiut ofiendatur ni  bil oportere in re pub.antiquius religione eife • Et quoniam primx in uita cluili  przces funt/utimperium non folum conferueturifcd etiam augeaturmo fuit ab  re templum ipfum lunoniiqux imperiorum dea habeturiomni cultu confcaare  longior fim:at<p etiam minutior/q tantz rei conueniat fi fingula quz in templo  depida erantiquz a regina adminiftrabantur : quz ab opificibus efiiciebanf idU  fiindiusrefetamiMultactiara in Ilionei at Didonis orationecontinentur:plu«  ra in congtefTu zneziplurima in conuiuio Si in coiimdione hofpitalitacis deprz  hendasiquibus uita fiatufi^ ciuilis expnmituriQ^uoniam uero nouerat fapictif  fimus uatrs primordia rerum pub.& imperiorum uirtutibus niti: Veriiep effe Sa«  lufiianum illud fi imperia iifdem artibus retineientur/quibus acquirunturind ef  fe tot mutationes habituras res humanastiedreo primum regis reginzq; congref  fum ateligione/a bberalitate/St abomni genere uirtutum profidfci uult.Srd ita  paulatim in deterius labantur/ut quz pudidflima fuerat mulier/K in re pub.ad«  minifiranda uigiIantiiTima:turpi amore uida in odum lafciuiamip labat ui«   bus omnibus oftenditur q fadle rebus fecundis humanz mentis a labore in libi«  dinem declinent.Quotiiam autem uirtutes tn uiu fodali potius inchoatz q ab  Iblutz funtiHic autem ita de uita duili agituriut uelit exprimere quod paulo an  te dicebam fundameta rerum.p.qux ex paruis æfeunt/habere meliora initia / q  exitus; iccirco reginam a prindpio in omni re temperatam pofuit:paulo uero po  fiea amote infutgente paulatim ex temperantia in continentiam labitur: pofire»  mouida amore incontinens iu redditur:ut demum in fummam intemperaiui»  aminddat, Moueturautemaprindpio Dido/ut znramamet/non solum uittute quam urum in uita cotemplationi dedita intuemur:Sed iis qux humanis cm  tibus non folum bona uerum etiam fumma bona babentunC^uis enim in ge«  neris nobiliutemiquis formx dignitatemiat^ excellentiamrquis deni^ multo  ornatu infignetn orationem inter fumma non enumætiCurn in foro/cum in fe  t lo P. Virg.M. Allego oituhzc BOB fapieBtum ftatcmfed populari trutina pondereBtarfX^uofliia  utro ta uica comuni pmulti hitcreii quibus cofulroribus utaris. Muiti cnitn aut  tnalo exrinplo motiiaut rorum quos caros habrnt non res fuationibus impui  n ad praua raoum^ snon fuit abfonum ut Didonrm fororis hortatu impudici  fadam inducat. Mifere enim amis mulier plurimu iam de eo animi robore rt*  mittens: quod inteperata hadenus apparueratcontinctem in primis uabis qux  ad fotorem facit fefe oftedit;Nam quis amore urgeaiT /atgre quidem fed tameilli  reftftitiSororis autem oratio ex uita comuni uniuerCi fumif i Non enim ex philo  fophia fumptis argumctationibusifrd aut uoluptate ppoiitasaut ihcetu earu te*  rum quxtantopeietimendxnon funtiniedoiaut fpc nec firma necfolidapror  pofita in fuam fentctiam adducere conaftut deniip fpem det dubiz meri: foluat  qi pudorem. Qua quidem re acciditi ut uidam in incotinentiam probbertt:ln  ea uero cum uerfaretunpaulatim impudica confuetudine eo redada eftsut nulla  amplius obflantr pudore furriuum amorem minime mediteturifed impudenUi  ma tffeda turpem libidinem honefto nomine appellet: In qbus omnibus quid  aliud teneat/quid conat' diuinius poeta/nill ut Didonem grauifTimum nobis ex  cmplar ^ponat/quatum detrimetum iis qui fub imperio luiit j>ueniat/cum prin  cipum mentes pro induftria ac labore luxuria at<pignauiairrepai:lila enim qua:  paulo ante extetnos at<j peregrinos non nili breuiter ac demilTo uultu alloqueba  tut:Cuius religio fumma in deos/liberalitas in hofpites/cofilium in urbis ex *dv  ficmone/iuftitia in fuos ad czlum ferebat ;qu* in publico nili aut diuiu* aut pu  blicz rei caufa cofpici nefariu facinus putabat. Cuius aius pudore munitus aboi  pturbatione liber pfcuerabatmuc eo furore agitat ut tota urbe ames uaget :aut li  domi fine amato fecorineat ucluti li fola fit/ar^ aboibusdeferta fummomaro*  letabefcat. Publica aut opa ita negligat/ut qu badenus fua curatfuifip fupnbust  quz fuoyt ciuium labore ac (ludio fumma cum celeritate erigebant iniicimperfe  da interruptatp pendeat; Æneas aut cuius cdfilium italiam fibi propofuerat/ue*  tum difficultate rerum defatigatus Canhaginem no ut illic fcdes ponereufed ut  claffem reficeret digtefliis fuerat illecebris Didonis illedus fipofuum ^fiafcmdi  abiiat:Nec deefl I uno.Qu ne res tomanz oriantur/ Ænez Didonifi^ coniugi  um Carthagine facicdum curet. Verum cum id fine uenais opera pfia nonpop  (et: Venus aut filium non Carthagine uerfari:(ed in Italiam enauigare cupetihac  deam dolis aggtedif lunoiut quz Catthaginen fiom caula faceret: eaoia Ænez  beneficio fieri uiderent. Quz cum dicit Maro diuina pene lapientia uitam foa  alrmdepingitiinquacumita quidam excelfoanimoucrfenfiut humana cotem  nentes ex hoc primo uirtutum genere paulo pofl in eas uenturi fmtiquas purgatorias appellatiat^ inde ad illas tandem quz funt animi purgati puenire conten dantitn illecebris rerum terrenaru ita molliunt" lutczlefhum quas fibi folasppo  fuetant/peneobliuifcanf. Libido enim imperadi ENEA Didoni coniugete: id  aut eft uiru excellete regno przficere cupit:Sed rem pficere non ualct nifi alfeotv  atur eius amor: Amor autem aiaduertit huiuiccmodi coniudione no Ænez/ftd  Didoni cofuli /no enim animis hotum ad maiota natistfed ipfi impio condodt»  ptzfiat Dobisad uctam fapicmiatn ^ ficild/quam in adioni^ uciDwfcd cetum sdtnitiiftratioa (apientibusii deferatur adum iit de rebus hutnatirs opor  trtifta quauis falia e(recogoofcat:quæ libido regnandi perfuadet tjmen ailin  titur; iiuc iam illa inetitusllt ifiueeorum quibus confulendum cft mifaicordia  motus sCcldiratur autem huiufcemodi matamonium in venatione: de qua quid femiremptulo ante latis ut opinor uobisdiludde explicaui: Quodaute  in fpelunca loco fubtercaneo conuenerint:quidnam aliud indicare crediderim/  nifi cos qui honores/qui opes/qui imperia quzrunt intra corporeas caducafc^  tesanimuminclufumgerererCuicdnubio prarter tellurem &lunonem;prxtet  nemorum bibitarrices nymphas uides numen nullum afiFuilTe: Q^uz omnia  iis quz de fpelunca diceba apte quadrare uideotunirrentus igitur Didonis amo  K Æneas abeundi propolitum abiidt:& hieme quam longa eft in fummo lu<»  zu conterere non pudet.Hoc uero quid libi aliud uult nili egregios quo<^ uiros  interdum a redo curfu ambitione aduerti:& honorum imperii^ uoluptate de«  linitos hiemis afperitatem& enauigandi in italiam dilhculcatcm exhoirefcerc»  Q^uapropter nili diuinitusfubuentum Iit excellentilfimzatc^ immortales bo^  mmumuirtutes tam pemiriofapefte pereunt; Id ingenii at<^ beneiiciiin Circe  fuilTe fcruntxut Vlyxis fodos in uana monllra tranlFormaret: Illam tamen ica in  luam potclhtem ttaduxifle Vlyxem audimusiut Forma priftina fociis fit relhtu*'  ta.Neccgoid admiratus fuerim.Excello enim animo qui funt corporeas Iibidi^  ties fadle contcnunt; Quin et cos qui illis dediti funt rede monendo a tanra fer  uitute in libertatem uendicant. At lu Donemfuperare ranOimi mortales potuco  tunt:Nam qui imperandi cupiditate non tangiturxeum omnem iam humanitas  tem ruperalfe &ad dioinitatem proxime accemfTe crediderim:Q_^uapropter ena  quos in fumma admiratione habemus: cos ita frangi huiufcemodi cupiditate ui  demusxutrelidauerauictuteinligniaulrtutisueJuti umbram fedentut: Fadle  enim ell Sardanapalli aut Heliogabali molliflimas delitiasacluxum cotenere:  At^ adeo odilTctCum uero nobisaut Alexandrum macedonemtautlulmcz  larem proponimus eorum res geftas:in quibus utrum a uero cedo^ difcedcre  fzpe uidemustra glonz cupiditate admiramur:ut illud ex Euryde impium oma  nmo& dignum eo rege a quo profertur interdum approbare non dubitemus;  putem uf^ homini conducere li regnandi caufa iu$ uiolet: Quz quide res una  mouit poctas/ut Herculem quem fapiente ferunt:&; rebus a fe przclanl Time ge  ftisczlumafile daircuoluntpriusomniamonllradomaire/ qua lunouis fzuitu  amfuperal Telingeceac.Illa enim non mater fed iniuftilTima nouerca magnord  uiioium rede dicitur. Non enim mortaliuroCut plzriq^ credunt } fed czleftiu  rerum cupiditas eas uirtutes parit quibus ad fummum bonum peruenire licet:  (^uor^uide nili placata prius iunone id autem intelligjmus aid fedara ambi dooeallcqui no potuit HercuIes. Quis igitur hoc Ænz non condonaueritxac  potius quis illius no comifercanli Dondu in italiæxillensxtis eoimeft fumaru  uirtutu habitus.fcd in ipfo curriculo ut illhuc^Edfcai:’' adhuc coftitutusiu luno  nis dolis apiat"' :uc matnmoniu cu Didone initu fedibus libi a fatis cocel&s ppch»  nat;& colilio abeudi abiedo arces Carchag^s fudaretac teda nouare iftituac t pur^  puea^ SC ento lapillis aon^umtquasqu impetti  Uignia funt gelbrc gaudeat:  In. P.Virg.M.AlIego Non eft o LAVRENTI non inqui eft hutnan* itnbedllitatls.red cmol damfacul»ti  «qua tamen condmo no Ora arduum-.tatntp «xcelfum tetum culmen ‘U»**®* BAPTl ST Ai K (imul fuo ordine de reliqui* difpuututui uidætut Mani^  hofpes nofter fiuuilTimus tum ex diei fpatio in iis qu* hai^u* dida effcni civ  fum^oitum ex multitudine eorum qux adhuc dicenda  quum lucis effet in ea di fputatione abfuroptum in colligens non pertmtam in 3uitruauifl'. miuiri:utcontrac6modumual. tudinem<jno (bam^qu.b^^?uidiuapudmeeriris: mibiomnid.ligentu«nfuJ endi^!^ difputatio longius ptoducaturi Atquiegoitidm. nqmtLAVK£NW^   idem cenfebaraifed ne tanti uiti oratione moleftii« intapell«em/pudore i^  diebar prxfenim cu te o Manotte tuas partes fuo tepore  equide mquit MariottusiK fimul fua lolita feftiuitate BAPTISTAM manuap  prehendem/nos ad cellulas ubi menfx paratx erant reduxu. R URISrOPHORI L. FLORENTINI CAMALDVLENSIa vM niivTASvM  laVSTREMFEDERlCVM VRBINA-   jKSrJbER ^IaRIVS 1N.P. VIRGILIO MARONIS  allegorias incipit feliciter,   S Eruenerat iam fuperior libet Inclyte ac Inuii Si^me Fedence   in quotundaro hominum manus 1 qui cum dofli linti dry  aiffimi quocp et haberi 8£ dici uolunti Qui quidem quauis  'de Maronis Æneide antehac longe aliter dC fenfiffent/8: pri*  'dicahenticouiai tamen ut puto iis argumentanonibus : qux  I nobis in probamio illius libri expofitx fuerantimulta in eo   F li rnnfcrinta elTe necate non audentiSed ea huiufcemodi el   fe Jowmduntiut non ad ethicen ut nos longa oratione difputauimus s fed a J   IhvSferendafint:ptoferunt 5 ad id qued defendere cupiunt probandum   fcriptoresqui paulo antenoararoxtatcm fueiut minime illiiteratosiqui non J L/indel Mos« acute et doæinmpretati naturam tetum il is exponi conttn   los inde locos K ac „fpondendum ctnfemus/ut multa in eam qua diA SmriorisquoJdieifermonenosdixifl-ememiniyirgilm   nlura deorum genera inueniffet s confulto ita fcnpfifle fl£  A Fmmffeuteademilla et aduitammottfip: 8 Caduimnaturas:Kad   wriuruoluputtm f eferantur.Verum cum confilium mettmij   tcstotafufceftacftnoircuolumusiidcenfco femper   ipfo hn«qu3nf.bie.ration. fcriptotpropomt:  ^um fipttahuj omnuiniiri ludingttut» ipfcqcquid narrat iqcqd tctninv 1 1 Ir £ I- 8- r K P B-t.-«. Libet   ii iuiatnr referat. Hoc oun ita fit quis non uideat ea quæ ille ttadiutamdegett»   M damt& ad fununum bonum acquirendum (^dantia fcripfit no iccirco fcripfiC'  B Cuquo naturz uim ezprimeret.Sed contra cum iugi:perpctua^ oratione ea pro (eqiutut m quibus et uitia damnet<& uirtutis pulchritudinem eztoIlat.& ad ue   I» riinuefligationem perducat/ nonnullaadiunxifTe&omandi et deledandi cao  Ia b qua: fint ab ipfa phyfice repedta s Q_uz omnia cum non propter fe t fed eoru   li quæ dixi caula confaipfetit equis non uidet id fulcepti operis primum efle feu  ^ malis ultimum dicere > quod nos hefiemo fermone perpetuo quodam filo ita   ia intezuimusrut nibilineointerruptumquzn poiTis. Nam ad idquodaptinci  Sh pio przpofituffi cfl omnia deducuntur Si fcquentia iis quz antecmerunt/uebe  menta cobzTcnt:Q_uapropta quz ab iis quorum audoiitate nituntur/ad pby  fictnrclata funtminime damno. Nam quauisca ne multa fmtine^intafc  haaliud cz alio pendat > ut non potius membra quzdam diuulfæquam integrn  corpus uideantur t tamen non incommode traducuntur : ne<j fententiz nofoz  ccpognantiScd fac repugnare an plus apud me reda rado qua iliorum audori^  tas ualebitrprzferdmcumfi audoriute certandum fit eos proferte poifimus/  quorum fplendoteiiti uclud folis luce noduz hebetentur : Nam ut omicta eos  quos diligendilimus omnium grammadeorum Seruius fingulos libros in fiogu  los huius poctz locos commemorat: ut taceam quzaMacrobio exceliend inta  platonicos phiiofophotut nihil diam de iisquz&adiuo Hieronymo et a di.  uo Augufiino in hanc fententiam apud Maronem interpretantur : nonne e  noftris Oantbcm uirum omni dodnna excultum grauilTimum audorem faabe«  mus: qui eius idneris quo mundum omnem ab imis tartaris ad fuprzmum ufi^  czhimpcragcatiine olibiillum ducem fingit/in quofummum hominis bona  paquitens/miro quodam ingenio uniam Æneida imitandam proponiciut cu  paua omnino inde excerpæ uideatur: nunquam tamen (i diligentius infpicie . mus ab a difcedat : Nam nonne fiatim a principio ea quz de medio ztatis tem   ) 3ore:quz de fyluatquz de tribus ferisrquz de montis fublimiiam folis radiis il  uftntoconfa ipfit:binc omnia funt. Mitto cætera: quz ita abdita in Oantfais  poemate funt:ut non nili a paucis iifdem^  dodiffimis dcptzhendi pofiint.  przponit igitur libi ducem Maronem in u re quz ad fummum bonum.non au  tcmadpbyiiccrpedetifeduideo me nimis cunofum in eo fuilfe : quod paruo  omnino nodo confutari poterat. Quapropter ego inilitutum repetam.  Tu autem indyte atip inuidilTime Fedence ut cztera fuperiora fic Si ilh quz in  ultima quaru diei duputationc continentur/diligentillime leges. Multa enim  illic inuenies propta quz te cum dTc : qui Si nunc es Si fempet fuifti fummo»  pæ lactahacict^norcef^ ex deo confilium tuum fuilfe : quos a primis annia  bpientiz amore flagrans ita te bonarum artium fludiisaddiafti: ut quanto ta  dic tua ztas grauior fitttanto ardentius illis incumbastnam quod reliqui prin»  dpes apprime regium ducunt:ut aut multo odo uanifip ludis mircelcit:aut au  cupiis ucnarionibuf^ oe tempus tcrant:tu ne libero quide homine nili relaxan  dimtaduai aula dignu efle duxiflitred oportac eum qui aliis imperaturus fit  nWB omni dodrina excultu itddaaquq no fibi folatfed et iis qui fuz fidei co} In. P.Virg.M.AIIegflu   mifll rantjK dum «fit agit «emplo: «dum fapienter inontt pncepto maplo  limum prodifft po(Tit. Qui rigis munus clTe ducat non alieno labore ueluri fu   cus inter apes alisfed pro aliorum falute laborare uiinnoaio sabiniuriupro  hibtrr/fceleftorura<j petulantiam compnmeretoibuafe «quum prxbere curcts  Hrc autem sola philofophia nobis pracftat. A FILOSOFIA enim habrmuatui  pie uiuamus tui pietatem ocmabhominemuft« ab omni fcelereabibneaniust  b uapropter uere iliud ufurpabat Ariftoteles fe id a FILOSOFIA afleculum efle/  Ut ea beneuolens/ cumuolupute ficerettquzmaliuinlegumatufaccrectv  I gunrurtbonis enimCut piato ait)lex deus eatmalis autsm libido.huiufcctnodi   Igitur fludia teita exculturo/ita omni ex parte expolitum reddiderunt/ut cum a inultis quod crimen fortunx eft imperiis finibus fupereristiis tamen uirtutibiisi  finequibus nemoun quam iedeimperauit/ omnesexcedas. Sed cartera omoa  quibus ex mortali humuculo te immotulem ducem reddidifli ad prxfw omit  to> Ptxcipuam autem in mnfaium ac philofophix cultores benignitate tacinii  prxterire nullo modo polTumtium animaduertam te ea in reiure omnibus prx  ferri poffe.Scimus in tata admiratione apud antiquos fuifle Ptolomxu philadel  phum ut ptxclariffimorum faiptorum laudibus etiam poft tot fiecula florentit  fima fama celebretur.Et profedo fingulatis fuit in eo rege iuftina mitabilifip cie  mentia.In te autem militarimec uirtus illi/nec fortuna unquam drfuinSed nb  bil in fuis omnibus aaionibusmagisextolliturtqua quod regnum fuM libera  liffimu oibus litteratis hofpitiu efle uoluerit. Tantu autem iis qui aliquid fcripfif  (ent debere putauittut Demetrio phalereo no folum philofopbo grauiflimotfed  oratori copiofilTimo negocium dcdentsut fibi ad quin^ faltem milia librorum  in fuam bibliothecam congerenda curaret. Q_ua quidem io re quos furoptus fe  cetitttunc optime conieiSati poterimustcum uidetimus quantu in fola mofaya  lege elaboraueriti ut illam interpretadam ac in grxeam linguam conuenendam  abhebrxisinterprctatetur. Primo enimoesiudzos quifuperionbusbelliscapti  in fuo regno fetuirent diligmter inudligandosiat tingulos uicrnis drachmu  redimendos/& in patriam incolumes diraittedosmandauit: quorum numerus  adeo ingens fuinut foluta fint a rege fexcenta ulenu fupta fexaginta milia. Dtf  inde legatos ad Eleazatum iudxorum pontificem uitos sumx audori tatis mifit  Arifteaside quo paulo ante dixi et Andtea prxfcdumfuuiMifitptxterea men<  hm auteam/craterefej ac phialas donaria in hierofolymitano templo ponendi.  Mateiia uero hoium uaforum fuit auri quinquagintatargenti uetofeptuaginta  ulenuigemmatum autem atqj lapillotum quibus uafa omab dilUnctatp funt/  ad quinm milia adhibuit/qui omnes mira elfentmagnitudine. Q_ux liberalit« adeo accepta gratacp Eleazaro fuittut duos ac feptuaginu ftatim ad regem mi'  fent i non plxbeos illos quidem/fed ex principibus dodiflimis ita elrdos/ut ex  fingulis tribus fenos fumeret s qui legem dei in grxeam linguam Ptolotnxo  conuerterent. Q^uorfum igitur hxef Nempe ut intelligant qui diligennus  rem confiderauennt Magnificentiam tuam erga dodrinas noOra tempelb'  tt non minorem efle / quam oLm Ptolomxi fuerit s Hoc enim folis luce cla/   liua apparebit ; Si Imperium Imperio 1 Si Sumptus Sumptibus conferantur. Libtt guattui   nfeaumnonfdl amutiiuerrz xgyptiopulentiitiimum regnum poHidebat/un^  dcaurt argenti^ inædibilisuis proue Diretired Tyriz quo^ ac phcnictz tnaxi^  mam partem ucdigalem babcbat.Tuos autem bnes nemo ignorat. Adde quod  quo tempore Ptolomeus regnauit/plurimos A(ia at Europa prineipes habuit •  qui poetas t qui pbilofophos/qui oratores/qui hiftoricos benore opibufi^ bone  rent:ut et li fuo ingenito (hidio illa faceret magna tamen cx parte emulatione  quadam excitari uidereturme quos opibus uinccoatxabiifdem huiufcemodi glo tix genere fuperaretur.Tua uero benignitas in ea tempora ineidir/ur nili ardeUi*  tilbmafittfacile czterorumprincipum auaritia extinguaturxQ^uaproptcr nulla  omnino eorum munerum quz in mulas con fers/gratia noftro fzculo eft bahim'  daxinquo neminem reperias ex iis qui nunc imperat:cu*us exemplo excitari pof»  lis.Sed quicqd estes autemres omnino przcIarifTima/id omnetuo ingenio;'U3 innata humanitate cs.Nam ab aliorum moribus procul dircedens/unieum te  exemplar ofiFersrquem et ad fummam liberaliutem czteraf<^ omnes redas adid  æs/&ad ueri inueftigarionem reliqui fcquantur.lta enim uirtuiem adamas: ut  illam non glona dudus/fed eius amore alledus ampledaris.Euenit rame ut qud  admodum umbra corpus (emper fequitur: etiam li id corpus non quzrarxHc < ua  pie iuHe/clementeti^/ac fortiter fada non adumbrata quzdam et inanisiTed foli  da cxprclTa^ gloria fcquatutx Scd res polhilatxutiam ad noftriim heroa rrutrra^  murxin cuius adionibus tu mores tuos ac uitx inlliiutum facile recognofces. Co  ucneramus igitur eodem in loco bene mane quarta huius difputationis dic. AN  ^ cum miro deliderio BaptiHz fermonem expetere uultu gcftucp fignificarcm^  illexurquz explicaturus eilet iis quziamdida fuerant commodius annedrrrt:  buiuiinodi difputatiotii fux prindpium adhibuit. Vidimus badenus dodilTimi  uiri qua piudmiia ac animi magnitudine omnibus iis fotdibusxqux a corpore^  ueniunt fc explicauerit zneasxNamne troiz periret: 8C corporeis uoluptanbus pe  nitusobruerctucmon dubitauit exui in altum ferri quis incertus quo fata ferret:  pod hzc thracenfes rapinas uc eas primum cognouit mira celeritate effugit. Ar«  mox in rebus dubiis a fapicnria conlilium coepir : deceptufi]^ Anchife interprz  tatione.Namquz a corpore funt facile corporea fequunuir.uitam duilem in  Oeta fibi propofuit * Sed nec piguit errore cognito uela uentis iam tertio dare .Delatu!^ mlhropbadasaducrfusharpyarumauaritiam inuidus pugnauit. Nec  per medios hoftes ad Helenum enauigare foimidauit: Prztereoqua prudentia  qua animi przdantia iam ab hcleno dodior reddirus immanitatem cyciopu de<<  ciinauem : qua indudria ac celeritate fcyllz charibdif^ mondra euirauenr : quo  fiudio atramentis ardore defundo iam in licilta parente nauigationem in lra.< liam rufeeperit. Verum cum lunonis dolis :zoli<^ ac uentorumuiribus parcis  fc non pollet: celTicilIequidim conlilio ad ueri inucdigationemin aliud trm  pusreicdoinaphricam eo animo diuertit: ut quam primum per tnaris id edap>  petitus tempellarem liceret : in Italiam tenderet Verum in ditione aduerlilTimz  dezconditutus : et amore Didonis delinitus/Vide quid pTolfit ambitio: quantu  ad mentes maximorum etiam uirorum euertendas ual eat / regnandi i nquam  cupiditate dclmitus is qui reliquos iam perturbationes ac uirufupctauerant di<« In.P. Virg.M.Allego. uinil Tifflumcoafiliatnio Italiam enauigandiomiiTtttotum^rein eo dednatt  ut regnum carthaginmfium coSabiliret : perrcueraflctcp in errore ni(i acczpifb  a Mercurio non placere loui ur pulchram urbem uxorius extruat. Regni autem  et rerum Tuarum obliuifcatur : Prxcipitur enim homini a fumrno deo ut ad fu«  am originem rcuertiuelitrQ^ux præcepta nobis dodrina quam litteratilTmKv  rum uirorum uel Termonibus uel libris accipimus i facile tradit. Rede igitur ar«  guitur arncM/quod uxods urbis t ea enim eft uita in adione polita adminifbatio  nem TuTcepeiit. Suiautem regni 8c totius contemplationis qua Tola mentes hu> manz regnant Iit oblitus : Maximei^ hoc urgetur/ut Ii tantarum rerum gloria ip  fum non mouet i Afcanio Taltem tuerediTuccefloricp Tuo conTulat < cui regnum  lulia; t ac romana tellus debetur: quo in loco quidnam aliud ATcanium intelligcmus nili futuram ztemami^ uitam: qua: huic breui Atmomentanea; Tuccedit.  Nam li dum intra bzccorpu Tculauer Tanturanimino lhitantisrerum terrenarii  illecebris demulcenturiut carleflium contemplationem de Terant/ memineriot 11 in futuram uitam uitiotum labe inquinati et nulla dodrina exculti migraærint foce ut nulla unquam ueritatis luce illuftren tur: Q uapropter regnabit Aiani< us:nuIIuT<^Tuoimpecioiiniseritnilieoapatre dmaudecur i futura enim uita  ab hac quam uiuimus ea rationeiquam oftendi iure gigni dicitur : ab eadem^ li  focdida 6i uitiis tenebriTcj inuoluta Iit: tanto bono denaudatur.   Sin contra manebit fcelix at^ a:tcma : Nam  Hic domus xnez totis dominabitur oris.   Et nati natorum et qui nafcentur ab illo:  Q_uzquidem mandata cum acczpilTetzneas: quid mirum li uehementercom<  motus Iit : Erat enim in eo animus qui excclTa Temper TuTpiceret. Ita^ Te tandem  excitas cupit qptimum abire: et terras quamuis dulces relinquere. Alluetusenim  poteftatibus at^ imperio uirfi£ dulcedine captus non line dificultate diTcedit.  Sed cum ucrum bonum ab eo quod falTa opinione bonum putat" diTcetneteptv  tueritiillud tamen anteponit: Cum uero poli diuturnam conTuItationem inla«  lutata inTcia^ Didone diTcederedecemat. Nouerat enim no efle pal Turam illum  diTcedete fi IdlTct/egregie admonet cum ab huiuTcemodi rebus animum abduce  re uolumus non efle molliores animi partes confulendas: Ted clam illis uela in Ita  Itam facienda: Talia enim bzc Tunttut quanto blandius ea appellemus : quato familiarius Talutemus/tanto maiori contumacia aduerTcntur. Sentit tamen d(v  los regina :&iniquo animo fert uita ciuilis a uiro excellenti deTeritpradcrtitn li  non fit alius Tapiens/qui Icxro illius Tuccedat.binc illz quzrelz nulla libizx znca  robolcmfuperciTe. Quamobrem ratio inferior quam mulierem appellari diximus huiuTcemodi argumentationibus uirum egregium in uita ciuili retinereitt  a speculandi propofito auertete nititur i Primum enim ita urget ut quzrat quo  modo eam deiicrete Tublbncatia qua tam ardenter ametur. Amat enim ucbementer virum excellentem vita duilis. lllius enim cunfiliis imperia non modo paran  tur/& parta con Teruanfuriuetum etiam augentur. Sed nec illud retinet non Tet'  uate illumlidcm quam dederat. Suavitare enim imperandi iam totum Te adminiHtarioni dederat zneasi Quio di Te moritiuam Tidc Teipture docet; Nccinub 1i I I I t t t P u 9 0 9 u n I» P“ ca nii da ttico: iKg da dd od R.! dia b&' ht loj on IBU' «nI 1« tii AV u tua 8“ liii Ml LlOfi Odi ns ilii ntoi iU IIlBl' lO* loli   niii jA«< Dlli   tffll*' yb BD^ a<? J»!*Libo gimttu to alito eucf UKloIcb Namdcflituta a uimite agendi facultas pereat necefle cft: Dctcnetezdif&cukate hiemalis navigationis. (^uare (Tgnifiantut labores ma^  jdmi t quos (i in Italiam uenite uolumus fubituri fumus.pofiremo in hoc uche><  mentet mlifiit/li reuotetetur ad Ttinam Bl ad uitam uoluptuol^ t non tamen  illi efle concedendum: ut honores relinqueret t multo autem minus cum loca fi bi incognita petat t nondum enim nouerat Ipeculandi uitam. Dcmum ad c6mi< fetarionemconuer{alachriinaseffundit.connubium, incoeptum ad memoriam  reducit. Q^uicquid fuaue oUm a fe acczpiflict exprobat:& ne domum labent em  dcioatobuftatur. Pofluntenim uchementercommoueri mitiora ingcniaicuia  parcntes/cum liberi aattiif (anguine coniundi/cum amici/cum patM ne dcfci'  ratrogantrne incoeptam fcxictatem relinquat przfertim cum uer^umfitineim  perium a bonis uiris defiitutum/aut Pigmaleonis auaritiaiaut larbc tyram*de in«  uadaf .Q^uodtunemagu ucnoemur cum alius (apies qui (ibi fucceclat no telin  quaf sQuz quidem omnia cum rerum agedatum rado animis noSris obiidatr  non pollumus non uebemeto comoueriiSuccurnt enim platonicum illud quo  quttum generi humano debramus /grauifiimeadmonetiut humanitate eruere  uideamur/fi humani focietatedeferamusiucru cum aladuettatmagnus uir men  tem fola eficiqua boies fumus; ea no agendo fed cognoiicedo pcrhdrid^ louis  pcaneptucfieimotusmanetiat obnixus curas fub corde prraut.habet aut quo|>  pofitu opnme tueri poiTittNon enim inficiaf bene ^meriti ciTe reginam. Quis  enim no uideat magna humanx hnbecillitad adiumeta ab hcK uitx genere fue*  nirc:(^um BC polliceffe illius recordaturu dum fpintus hos reget attus: Nam eu  derua abfoludflimu appellabimus:qui iu in fpecmadone dum uiuit uetfef : ut  uicifliW cum ccs poftulat agat.Etgo no fugit a uita agedi < fed inde recedit: qa cu  ea no cotraxerat matriffioniu.Non enim nati fumus ut drea mortalia uerfemur:  illif{^ coniugamur.Sed neceiCtatis caufa efi illis in(iftcdum:ut tanta opere impd  damus:quantnad fodctatcconfcruandam fat fit:quaptopter (i Dido Carthagine  deledac :hoc autem efifi in adione inferior rado libenter uerfaf liceat: fit fuperi^  ori Italia dclcdan poflem mulca ciufdcm otadonis ad eadem fentendam trilTa^  ce. Sed fit aliquid ex mera hiftoda didumiRcIiqua ueto qux ad plurimos uerfus  dicunmt:eam uhn babet/ut libidinofum K corruptum amorem detefienf :at^  tantxfceminx grauifiimocxcmplo nosadmooeat:ut tam mrpem/tam pctnitio.«  (am pefie fugiamus:comode aut eunda qux a PauEmia in platonis fympofio de  tutpi amore dida funtiad bde locum ttan(Feremus:ex quibus pauca qux a nobis  cum de Paride uerba fcdmus dida funt : memoria (i repeteris intelligeris umSu  mum effe Ptoperrianum illudi Durius in terris nihil efi quod uiuat amate .Q^d*  autem magno pedore curas pcrCmfcrit xneas: fit tamen mens immota man ferit/  oftendic uirum qui deorum prxeepris parete deacuerittiam ab inconrinenria in  quam Didonis illecebris ptol^fus fuerat/ad continendam redi(rc:tt quis amore  urgetetuntamen hone&umuoIuptariprxpofui(re.Oidonis ueto interitus nobis  pcrfpicue oflendit perire ncceffe c& eas res publicas qux a fapientibua deferanf. Non tamen aberrabimus fi amandum at^ amentium furorem cxtrcmainij de f^aarionem huiulcemodi exde oilendi putemus. Æneas igitur deorum admi}«  1 ti  In. P.Virg M. Allego»    nitu in Italiam enaiugat. Verum infurgente uentopt u! palinurus nauis gubertia  tor negat ea tcpeftate Italiam pe Q poiTc.anenticur zneasiut in Sidliam in qua in  fula extindus parens nondum debitis exequi is oraatusiacebat/dcfledat. ^uo  in loco quid fibi palinurusuelitline ncgocioex iisquz de illo paulo fupra expt’  fi cogDolcerepotcttsicum enim huiufcemodi appetitus facile pturbationib^ob  tuar' inon modo a tedo cuifu auertic' :fed znea( hæc aut excelleris uiri mens eft}  pctixpc infuam femetiam trahiteut ad patre» hanc autem imbecillitatem quama  corpore cotrahit aius iam ciTe diximustbeet intelligere ad patrem inq/quis iam de  fundum redeat»(i uero ad memoriam ea teuocaueris qua: de ficilia lam diximux  non ab re cftipfistroianisiut in eam infulam redeaaundebreuifiima (it in lulia  nauigatio»Poeta tamen cuius cofiliumefi no folii ut grauiffimas res j>ferat:fedil  Iaauatiaiocudiutciuafpergat:uttcdiumtrifiitia« pfundarum rerum comites  penitus amoueat/uaria ludopt genera interponit.Hzc igit' iu adminiriobantut  abznea ut paulo poft oibus ablolutisin Italiam elfct foluturus.luno uerocui^in  troianos o^um/nec ulla calamitas/ncc tpis diuturnitas explere poterat : qa quo  illosltaliz j>pinquiorcscerneret:eomagisaccenderet' oblatam occafionem non   5 rztermittit:Cum enim feorfum a uiris imbecille mulierum genus deliderio ta<  em quiefcedi mcedius cofpicare^ pa irim illis ut naucs incedat pfuaden Quz  qdem (ic accipiteirerum terrenarum cupiditas no uiros/nam pars fupior rationis  non facile his rebus frangit':fed ipfam inferiotenr tonem a fupiori dUluudam p  fuadetiut rerum magnatum ^poficotcicdo tedium longioris nauigationisrefii  giaud^ubieficonfidcaCiMuUetcsigit quibus inglorium odumlongccarius (iu  q honelius labor prijtiio ambiguz miferuminter amorem pizfenris tertz fatifq|  uocatia regni malignis mare oculis ifpiciut.Namcum ratio tnfmocquzafupe*  tiocipfuaU illam ad quxqj xgregij Tequit' nuceaabfente paularimfenfuumiiiei  cebris cncruac' idoncc tadtm uidi fc iliupi potefiati pmittat.Naucs igi^ mulieres  inwcn dioafrumei caduriunt. Hoccumdicicportauolutatcquz ad res magnas,  ferebatur incendiocupidiutum perire o(lcdit:pen(rrtauttoticlanisnifi Eumci  Ius piculum (fatim ad zn eam reiuliffeciErat enim Eumelus uir ad mulierum cu  fiodiam telidusiNam huic parti inferioti metis acerrimus qdam cofeietiz remoc  fus/cui bonaceda^ cuiz fimp funt ftmp adcfiiHzcgtzce fynderelis didturuis  (.nobis ingenita qua animus Sc ad bonefta crigiturtK a turpibus tefugit»Hacau  lem nomen ipfum uii i ajpertc demondrat; enim boni cura facir   leinterptabimr»Hicigit^Iapfaiam in facinus muKere temaduitutefcrt: Quo  nuncio percepto primus Afeanius ad iiaues eripiendas aduolat: ASCANIO autem  celer robuduli^ magno animo prxditus Æn»iiliuscft:quemiuceiatetptc  tari licet uigotem quendam ex ip(j mente natum: Hic autem nullo tenore pto  liibemr qum contra pericula pnmus feratur: Sequuntur reliqui t fed io primis  zncas: At mulieres uiris cogitis incoepti poenicet t A uiro enim feiunda muli*  er aduerfus appetitum minime repugnat <Q_uod (i tutfus uiro coniungattirt  iam robufbor fada/ SC ueluti e tenebris erepta tum demum acata iam cetatt/Sl a  lunonedcIuCam e(fe dolet pudet^: Non tamen incendium facile tolli^a Nam  optusalunoæappeunuiacop^cueut ut uoluntatcmsquæ, nobis ad (uo»; tti «di  r S 5 1? S B jr 3 .te e Liber quarttu   inutn bonum euehit/omnino perdat: fir^ mifera in bomine diftradio t eu atio  ratio dutat:aIio appetitus rapiat i Q^uo in loco cum mms noRra fe tanto cer« tamini imparem cognofcattnititur illa quidem fuis uinbus/fed limul etiam di  uinum auxilium implorat id autem impetrare meretur. Nam qui ita deu præ  atur/utiaterimipfe quoad ualeat libi non delinis adeo minime derenc. Nam  quodaSaluRiofcribiturnecprzcibusnec fuppliciis mulieribus auxilia deo«  cum pararitrededidumell. Non enim inerti ac delidi/ K qui in fummam rr^  tum defperationem prolapfus nihil contra pericula parat auxiliatur deus. At  qui magno aduetfus difih^ltatea animo infurgit:qui nihil inaufum: nihil in«  tentatumrelinquitiquincc periculis terreturmec laboribus torpelattis profodo fe dignum f^tcuius S dii d homines commirereantur. Quapropter fapi«  enter Æneas ciun nec uires beroumtnec aquarum uis infufa prodelTrt: ad prx*  cesconucrtiturtauxilio impetratotcum iam quatuor naufsai Tumpræeirentt  teliquz ab incendio feruantun Cum autem naurs ad totam turbam tranfuehen  dam deeflimt terat fenis nautz conliliumutimbeallior turba in Sicilia reiin'  quctctursutbfm illis habitanda conderctur:hoc confilium oraculum paternum  louis enim iulfu locutus cR patens/ex ancipiti ratum hrmumt^ rcddidit:Q_ue  iocum nili uos aliter cenrcatis/itaintcrpreubimoi. Ad diuinarum rerum fpecuo  lationem fola mens omni uirtutum robore iam fuffulta acceditiReliquzenim  animi uires quz imbecilliores funt naues/illz enim fune uoluntas/quibus illuc  ucbantur incendio amifcrc: Q_uaproptcrreuocanda cR mens a frafibusihocau  tem confilium ab. eo uiroprohcifciturtcuimagi Rra Pallas fueritteR enim a fapi  entu dodus: Approbatur autem ab Anchife fed iam fcpulto; Nam qui a ra«  bonetamfubadiruntfcnrus/facilein eius dicionem conccdunr/ przfemm lo>  ue iu iubencct conuertutur^ in rationem hoc ordinc/ut ratio ipfa etiam fupeno  remlocumarcendensaf Ficiacurintellcdus: llleautem£(iprein altiorem gradu  cuadens intclligcntia redditur. AR intelligentia in deum comutatur. Hmuic&>  modi igitur cofilio at^ oraculo utimrÆnas.Non tamen prius e lidlia foluict  qua lacta pie tite faaatinorat enim qua laboriofitquiip periculis plena lic h\u  iuCccmodi nauigaboiNoueratquancz molis erat romanam condere gentetSed  nec Venus quicqui interea remittitiquinuehementer pro faluce hlii anxia oia  drcufpiciat.ln primis autem Neptunum rogattac mare tranquillum reddauNa  amor quo ad fummum bonum rapimur fupiemam in bomine rationem horta  tur/ut appetitum m fua poteRate cemtineat: N epcun us om nia benign illima pol  bcctuciNihii enim denegat ipfa mens amori ad redum eam excitanti : Neqi ell  ptocula ratione/quod oRendat Venerema fuo regnoottamtlTetEReaim Ne«  ptuncu regnum marciquod quidem ducn ab illo regitur/ctanquillu eR. In hoc  czii uitilia lada dum agitanturifpumam gignunt ex qua oritur Venus. Supte«  ma ergo ratio appetitum intra fe continens in quem uiriliaczliiiccirco decide»,  re didmus/quia in appetit um a ratione adminiihatum uls quzdam cziitus ca  dittquz in eo agitata diuinarum rerum amorem proæat t uod autem oes prztcr unum Pahnuru incol umes in italiam peruenturos promittit i no ne cz  oxtdia^ut aiunt gtaxi^philofopbia erutu cR: Nam clalli in Italiam tendenti In. P.Vtrg.M.AIl(go. flurimeaductbtut appetitus /qiii a folofenAi profedustulul altum (iifpic^  Quapropter rquadiu claiG prxfuitinunquam ttaliam tangere potuerunt Tnv  unuSedundema Tomno opptcfTus mari cztinguitur.Nam poftquam rado  acarime ad contemplationem conuettitur:& caducorum curam reliquit: Nt<  hil ex iis qux fenTum petmuicere pofltnt/appetiturt Vnde uniuetfus Uleappcdi»  tuspaulatimiapituctac fopmisezdnguitur: Cial Csautcmcnamline fuoguber  tutore tuta fcrtuc Neptuni promiiTis donec ad fyrenum fcopuJos deueniretrlbi  autem fluitate ciuncarpiiTet Æneas temonem capiens nauem in undis noAur«  nistezitiNam animus nofler cum iam fibiitaliam propofucrit fccurus fertur/  donec in uoluptatumfcopulos incidattTuncetum temonem capiat oportet ap  pedtus tationalis Tquiaduerfantibus uoluptatibuscaiitra obflfism Eztmdoigw  cur Palinuro Æneas tandem poli diuturnos enores euboids allabitur oris .In iuliam enim ucntumcll ad quam gubernatore Palinuro nunquam perueiuflet  1 ingrefli funt Jn quo non idem curnit quod in cartbagine    Æneasslam portum ingrefli funt :In quo non idem curnit quod in cartbagine  a portu euenifleoflcndit poeta. Ulic enimnaues'ficli procul a rabiat fluduum in  tranquillo efle uideremurmulla tamc nant anchora alligatx. Quapropter qua  quam non omnino ucxabantuRin aliquo tamen erant motu.1^ autem anebo  ra fundabat naucs: quo oflenditur eas ueluti fundamento nhex lint flabiles hx«  rcrcoportere.Summum enim illud bonum:quod in negociola et duiliuita a  philoiophis ponitur: 8t flinbuiufcemodireceflupofltumflt/utprocuia fotttu  nx procellis uirtutum benefido abflc:non tamen ita conflabilitum cfltquin la«  bcfadan poflit:Q_ui autem oi.'':} vum rerum libi contemplationem finem lU  timum propofuit/bic iu in tuto ac folido rationes fuascollocauit:ut nulla ui di  tnouere poirit.Nam aduentusin italiam oflendit habitum uirtutum um contradumiu: utaptopoiitauita non fit difcefliirus Æneas/non tame earum uit  tutumtquxfuntanimiiampurgatit Namnihil fibi diffidle iam proponeretur/  fed earum quas dicunt purgatorias. Quod quidem propolitum iam conflabis  litum fortitudo fit animi robur non deferitinec ipfe ardor rd aggrediendx.  Q^uam quidem rem tunc ezpnmit cum ait luuenum manus emicat ardens Lic  tus in befpcrium: Manus enim indicat omnes animi uires cocurreretqux e me«  dio iam fublato Palinuro fefe menti ultro fubieceranti quod autem ardens fit  concurfus uehemcntiamindicatiNe^ ab te efl quod fit manus iuucnum.Ofle  dit enim animi bene affedi uires nnllo fenio in quo tedium torpor^ ficigna«. uia efle (olet unquam aflid: Quapropter non lento palTu rem agit/fed emican Verum quia dum in corpore ezulat animus:quauis fe totum fpecuiatioai dc^  dati non potefl tamen non curare neceflariat ea’ enumerat poeta quxnonuo  luptatem fenfus: fed incolumitatem uitx rcfpiciant. Nam quxnt parsfemi  nafiamis ObfttuIainuenisfilicupatsdela feratu Teda rapit filuasinucta^ flu  mina moftratiinferiorcs igitur animi uires bxcagut. ENEA aut quo nobis m&  exprimit" i Arces quibus altus Apollo prxfidctsHotridxip procul feæta fybil»  kc: Antru imane petitt(^uod cu fadtad rea diutnas cdtcpladas erigit t Na qui aliquid figurarum inuolucris fcribuntibuiufce modi rpeculatioes per excelfu  loca aprimBt. yadc illud e p(almoi(^uis afccdct ia mdee duif A et illud = b Sj K n n  i»  la Ap OL ttl d bt ttn  lut % dt.QURI bii  iO  ni£ fid «w  Ots sed| iæ N «I K Liber quartus   Nam cum in ui^tum in contemplatione pofitarum finis uerum fit/ quo fapi^ Clite efficimurtreiSe omnino folem huic rpeculationi mopolicumeflediiitNa  ut nox tenebrz infcitiam arguunt :ita lucis dator fol ueriratcm fignificat: Cuius exemplum fecutus ciuis noder Damhes cum ab ignorarione rerum ad ue-  ri cognitionem progrefiiim ponit fe ez node filua<]^egreflum montem cuius iu  ga foleilluilrata fint/afcendere reflatur. Addit pratterea antrum ibi efle Sybii«  be magnam cui mentem animum^ Delius infpitac uates aperitrp futura. (^u£  quidem locum ut diluddius-ezpritnamus pauca prius de Sybilla percurr^mt  mox ad rem de qua agitur redibo. Conflat igimt Sybillasapud grzcoseas mu»  iieres urxitati folitas t qtiz furore diuinb afflatz futura prædicerent t Eft autem  Sybilla quafi id enim efl dei fentennatquoniam dei conlilium fitn   tuitura et enim æoles deum dicunt : quem reliqui græci nomnantt Quanquam (iimtquiuelint fatidicam muiiæm apud Ociphos bocno  mine appellatamta qua demdereliquz futurorum confcia: cognommatz linn  faas exuariis regionibus' decem fuifle colligit. M. Vano :Q_uas ego omnes fi  quid ad rem pertinacatbitearertfuo ordine proiequi non grauarenSed ut ui>  ^.nihil ad hoc de quo nunc agitur iQ^uamobccm fatis fuerit uidifle Sybil  lam facile rerum diuinarumdoi^inam interprztari.hzc autem nobis ca qux  Apollini nota fumifine mendacio przdicitt Nam fapientiam uericatcmtp ape»  m.quodueto antium ponitiexprimic ucritatem m obfcuto latete. Nrtpreme»  tetriuiz lucos Apollini templo adiungit: luna enim corpulenta uebementei  cflifiC reliquis lyderibus inferior. Q_uapropca rerum humanarum quz diuinis  longe inferiores funt/figuram iutc habdne : 1 lia enim lucis przpouitur: res au»  tcmhumanzin fylua obrutzfunt: non enim corpore carent:& utiuna afoie  lumen recipit t ita Si ipfz quiequid habent a diuinis habent. Collige ergo cu  lapientia non modo diuiturumterum/fcd etiam humanarum fæntialit re»  de Apollinis templo Dianz lucum adiungi. Templum dtumatum rerum lo»cus efl. fylua macenanotat.Templum laoius zdiheium deo (aaumiin quo  res fdlasdiuinasagimustab reliquis abftinemus t quoniam cum illud mgrcdi»  muria negoaisceflamustfiC foli contemplationi incumbimus.Trmplum aute  a Ozdalo conditum ponit t Q^uid igitui aliud efl zdilicare templum Apollini  nifi reddere fe idoneum ad fapientiam capiendam.Q_uod quidem tunc dcnii^  fadmusicum ab omni corporea labe purum animum ad contemplanda diuina  tranfferimus.hocautem Ozdalusuiromnibus optimisaitibusinflrudus fa»  cuepotefliin quo tantum ingenium fucriciut Si DzdaIaCitce& tellus dzdala  a poetis tunc maxime dicatuticum maximum ingenium oflendercuolunt.Ve»  tutantem non mariinontetrainec ad meridiem infimam nobis mudi panemt  fcd per fublimem acrem ad reptetrionemiNibil enim humileinihil terrenum fit  in camente/quz ad fpecuUtionem fertur I fed ad fublimia czlefliai]p engaturt  Efl autem primus fpeculandi ingteiTus a uitiis. primam enim cogniuonem  efie oportet circa mali naturam /ut ualcamus ab eo abAinere. Nam nifi expiati a uitiis fuerimus i nunquam diuina attingemus t Vt enim idem fiepu  ut icfctam/ negat Dauid quenquamalcendctepoflc in montem domini/nifi    Ia.P. Virg-M.AlIfgo. cum qui fit innoces ihanibus 8C mudo corde:(^uapp in foribus per qmt etat  in templum aditus homicidiu Androgei: Adulterium Pafipbzs& Icari faftus  i|>onic .Hzc ergo a principio fpeculatur Æneas.In uitiorutn autem cognitione  'non cft diutius imoradu.Nam Si (latim ea noile oportet: et ftatim a noris dilco  dere.Rede igitur^ fjrbillaquaiamprarmilTus Acatesacceriieratadmonef Acne  asine in tali fpedaculo Idgius tepus cdterat:Nam excellentiores quoep uiri uad  is uoluptatu illecebris alledi labercnt :hi(i.eoru cura BC Ihidio eam elTent adrpd  dodrinamtqua monemur ut paululu illud uitæ ac temporis:quod humanz ra  dcoDccfrum eft non nili magnis et excellis rebus conterendii ducamus.Hocau  tem inter egregiu uiru ac ftuliumintere&.Nam alter li femel labatur/non facile  furiet Altet liquonia corpore uac animuspauluquandotpeuia deflexerit/  flattm adeft ab Achate accerlita fjbillatquzad redudeducattledmira profedo  poetz ingeniu:qui fapientiamipGm Tua fapientia nos edocettprima ita<^ dodri  na ea efl ut purgati mundicp templum ingrediamur : Deinde oflenditquiuis  mens nollra quzdam Tua SC a fummo deo fibi indiU ui cognofeere poflit:eogai  tionem tamen diuinarum retum huiufcemodi eflexut nili diuino lumine extu  .tusillulVremur:illamcondperenonpoirimus:Hoccum fit/quis non uidetprz  cibus et ficrificus rem efle a deo petendam: Elegit autem feptem hoftiastquonii  Teptenarium numerum multi pnilofophorum perfediflimum putauenmttpro  ptereatp fapientiz attribuitur:8t uirgo ac pallas appellatur: Sacrificat igitur fepte  qmrapientiioptat: Ne(p temere didum efl quo late ducut aditus cctu:hoftiace  tum:per aditas enim multiplicem uariamt^ dodrinam expim!t:quaad fapien  riam ducamuriHoQiiueroquz quidem uenientibus:refe opponunt non pat  uam in re difficultatem oflenduntiHateautem non ante patebut : quam id prz  dbus ab imo pedore fufls impetrauerimus.Sumo enim animi ardore et mente  illi penitus deuota fapientia acquiritur: Vt aute Gpientiam aflequamuri promit  tit le templu Pbcebo et Dianz fadurum:fed de templo paulo fupra dixi:huc ue  to quare illud de folido mamiote Fadurum fe pollicetur / breuibus expediam:  marmor res dura ell:ac mirus in eo 6i candor et fplrndor apparet: Vnde ab eo  quod gratei fplendere dicunt nomen fumpflt:   C^uz omnia in ea mente/quz ad Ipcculationem erigitur infint nrcefle eft:Brit  cn m folida ut quemadmodum inunis fludibus fua duririz ita obfllHt feopu^  lusutipfe integer maneat/illi ucto illidantur:difruprir<^/rclidant:ltcmens nui  lis perturbation bus frangaturifed illas frangat: dicimus przterea aliquid ez fo  lido marmore clTe.cumnon marmoreis cruftis externe exornatum fit ; fed tota  cx tnaimore conftet.O uapropter 8i buiurcemodi mentem efle oportetiut no  figna quzdam quibumpientiam exoptet przfeTat:rcd tota exardefcensilli fetn  per incumbanErit itidem fummo candore nitens: ut nulla fit corporea labe  polluta.Q_uo enim padofplendore carere poflit ea meos cum fapimtiam na  qua perceptura fit:nifi prius multis dodrinis illuflrec%Teplu uero Pbcebo Dia  nzip ponir:qa^ut mo diceba ^ et diuinayt et buanape reru cognitio cft rapictia Dies aut fcftosfoli Apollini illituit:qauenis cultus foKs diuinis debctur.polfi  ctt et S jbilJz penetndia: in qbus fuz fortes 8C arcana codanf : Na nifi alta totte I^bct giMrtus. rcpofita maneant ea qax per dodnnam acquirimus 'ueluti rianai puelfa; alHduo  labonbimus:ne<p unquam pcrforarum uas adimplere uaI(bimus:Q_uapr(v  pter 6C uiri ledi fortibus przponendi funt t Nam excellentes funt uires animi ad  bbendx : quibusiqux didicerimus optime mandentur : Curadum autem in pri  Inis ne refponla frondibus (dipta tradantur: Sed ore pronuntient ur:Non enim  JibcUisfiCcommcnUrioIi SCT edmdafuntquzaddircimus: fed menti: Ne^ ruro (iuleuium flultilium^ rerum eQ quærenda dodrina ueluti qui in dialedicorum  fuperfluis apdunculis/ac uanis amphibologiis/autlnanibus fabellis omne pen e  tempusterunt: Vereautem illud didumeftfybillam circa principiuih nondum  pbcebi padentem eflie : Ea enim principium nondum pheebi patientem effe: Ea  enim quz cognitu difficillima funt/fuidpete non ualent noftra ingeniola donec  Apollonis enim eff neritas nos componat : ea enim inffrudis omnia Facilia redo  •duntut : Sed audi quid dicat Ijbilla. O tandem magnis pelagi defunde periclis:  Sed toris grauiora manent : Nihil grauius nihil uerius: Qui enim omiffa ciuili  uitaad eam peruenitiquz in contemplandis rebuspolitæffiille relido pelago^  io contipentem fefe recepit : Vita enim quz in adionibus uerfatur: fluduati ma  ti fimiliima eff : Videmus enim omnia quz in ea aguntur : fottunz procellis ezo  polita effe: Contemplatio autem cum ad ea uertatup : quz eodem femper fe mo  do habent: ne^ in intoitum cadunt in folido hzret: Magnis itacp pelagi pericuo  lisiadatus eft zneas prius quam longis erroribus circumadus diuerfa horrendao  ^ maris monffra uitare potuerit: Diffeile enim fuit ut troianum incendium ino  columis ruaderet : laborioTum ut audelitate atep auaritia deterritus e tbracia abi  ret : In commodum ut ambiguitate oraculi deceptus in trinacenfem pedem incio  deret. Q_uisautem barpyarum foedam illuuiem non abhomineturr Q_uamuis  iter ad Helenum per medios hofies non formidet. Q_uh cyclopum immanitao  tenonconffematurrMariaautemlicula ita caute obire: utneue Ttyllam neue  •baiybdim conrpidati^^ tempeftati a lunone zolo^ ezeitatz ita refidere:ne nau  &agium faciat non hominis fed herois eff. prztereo quz in fodis in africano Kt«  tore paffus eff : quas ilh fraudes luno parauerit : quo amoris uinculo Dido illiga  •erit : prztereo quz in Sidlia ex incendio nauium damna acczperit: uz om«   nia gtauia ac tunc periculis plena cum perpeffus fuerit: quo nammodoin Italia  duriora paffurus eff : Non tamen procul a uero aberat fybilla : Cum enim a com  muniuitaac hominum coetu te in folitudinem ucndicaueris : tunc acriores quaf  dam uduti faces carum rcrum/quas rcliquiffi memoria admouet : et illarum de  Gdepo acenimi infurgunt morius : At^ cum obliuioni iam eam mandaffe puta  tnus : tum maxime illuum ingeminant curz : rurfufip refurgens fzuit amor':ut  nili firmiffimaancbotaiuuesfundauerit/uideatur in Afncamrenaaigaturuve  Non enim 6C li firmum fit propofitum minime inde difccderc: tamen ceffat ccr«  tamen cum aliud illecebrzolimadzuitz aliud przfens confiliumfuadeat. Ve»  tutin Italiam Æneas:uenim eo uimitumgcnerequipurgatoriz appellantur a  quibus antea quam penitus expiau fit mens necefle eff ut acerrimum beliu quc«  adsetidum nofftt aiunt fpiritus aduerfus carnem gerat : Nam quanto magis hzc  l^ta humanam imbedllitatem funt: tantnniainri pcriculoaggtcdimUC.Hu<i   tn la. P.Virg. M^Ahcg Of   inaHani enim rodctitemcum deferimus/aut in ferinam lutam per tninian U  atram bilem degeneramuc/aut heroico robore fupra hominem erigiimjt. Qua propter intenogatus quidam qui in littore folusuagabaturquicum loquerctot  rcrpondi(Tet<p mecuni loquor* Atqui uide inquit ille ut cum bono homine 1»  quaris/& rede quidem t Non enhn facile SCIPIONE inueniaaqui nunquam mi  nus folua elTet quam cum folui • propter huiufccraodi igitur difficultates ah Sj>  bilJa fore/ut cum in Italiam uenerint dardanida;/ii enim uiri tegregii funt / nolA  uenilTc. Inuenientenimaliumin latio Achillem.inuenientK lunonemaquV  bus non mediocriter uezandi Hnt i Ambitio enim quz ut in lunone ita ia bello  cofo uiro etprimitur quemadmodum troia; et uoluptati aduerfabatui i fic et fpc  culationi quam fibi przfcrri egre patitur aduerfabitur : Eft autem ex dea natui  achillcs / quia diuiiu qux damgenerolitas in animis noftnsiolita eft t qiuenctni  ni parere i omnibus autem imperare uclit > Hzc ft reda ratione excolatur/ueram  fortitudinem parit i lin autem contra rationem elata omnia in fuam libidinem  coouertere tenet/ambitionein creat t et regnandi cupiditatem t Q^uaproptet tt  ft uehementer degenerer a dea tamen id eft adiuina animi ui origiuem du.itsNd  autem eatolum t quz ucnturanntptzdicitSfbilla : uerum ftcaufain tantorum  malorum profert: Ait cnimuttroiamcuertuntnuptiz mulieris eatdnz: lic ft  in Italia lauinz coniugium bellum acerrimum concitabit t coniungitur cztemz  mulieri animus nofter cum omilla uirtute rebus caducis deledatur. Q^uapio*  pter uoluptas paridis troiam euertit. In Italia uero cum nondum cupidiutem tc  rum humanarum deponere ualeat animus bella excitantur afpcta illa quidem /  fed non in quibus ueluti apud troiam ruocumbatt fed unde uidor triumphafiy  parto regno redeat. Accommodate ut mihi uidentur omnia hzc inquitAt illud quare didum fit : fed npn ueniiTc ualcnt non intelligo.NI  (i eum qui iam ad fpeculationem peruencrit firmo iam propolito ce oportet cur  illum peenitentia fequatur non uideo t Non enim infiaot uirum etiam grauem  in huiufermodi ftabili propoliro acri fzpe morfu affici : non tamen ita magnoaf  fici puto ut ad pmnitentiam redigatur i nifi fortalTe hoc didum fu : ut multa per  quandam hipctbolcm t (icenim grzci rupcriationcin appellant / dici confueuere  ut ex iis unbis quibus peenitentia (ignificatur non peenitentiam fed fumma diC>  ficultatemoftcndcreti Ifthuc ipfum inquit BAPTi&TA : uerum uidramus qd  rerpondeat zneas : nempe id quod qui uera dodrina imbuti fuot femper obfer^  uant : Ait enim fe ita ptzmeditaium uenifle : ut antea fecum animo omnia euoi  uerit. uz enim ante a nobis ptouifa funt ea id fpatium przbenr/ut antea qui   ucniant uel cuitari poflint uel faltem ne tantum Izdant prouideri : Cum animus  ipfefuasuires colligens tobuftioraduerfus difficuitates reddatur: Nam queme  admodum ii boftes incautos ac nihil tale metuentes inuadamus quamuis 81 Itv  co et numero auperiores flnt facile illos fuperamus. Contra uero uel exiguz eo*  piz ii fpatium ad ea paranda affit: quz prziio conducant lulidii Timo ezcrcitiB  pares fzpe inueniunturific et nos finobifcum cogitauerimus/ quamuis multa  per corporis cogitationem accidere pofTint/ animos tamen czleM femine oetoa  atfi focotdi» ignauixy Ide dederint: aullis laboribus t nullis difticultatibiill ul iJi M Stl eu P ffli «I IV.N a id ni ifi m M k d Pf Liber quartus nuDa foitunz iniutia modo uelintimpediri pofle quo minus in originem fuam  redeant inui<3i ab omni perturbationum prxiio euademus. Ha»; fecum cu iam  diumcditatus effetarneasnonpetitnuncdemumiila doceri. Verum in limine  contemplandarum rerum poAtus ad inferos deduci orat. Quo in loco quid G*  bi ueiit amez ad infaos dcfcenfus conabor paucis abfoluere i Si pnus quid infer  bus fit : Si quot modis ad eum deficendatur breuiter demonfhaueto : Infemiim  igitur plurimis ante chriQianum nomen fzculis no folumhebrziuerum etiam  cgyptii pofuerunt. Q_uz autem poft chtiftum natu noftra religio fine ulla dubitatione de inferis de^ peenis t quas apud inferos nocentutn animz luunt / af>  firmat ea omnia ab hebrzis ni fallor accaqrimus.Q^uz uero zgyptiorum monu  mentis mandata funt ea primus ad grzcos tranftulit Orpheus. Hzc deinde fu«  is figmentis auxerut plaui^ ez grzcorum poetis / quorum principes Homerum  H^odumtEurypidem t Arifiophanemm e(Tc uidemus. Q_uos deinde fecuti e  nofirisfuntptzter Maronem / Ouidius mlmonenfis/ biex bifpania Statius Pa»  piniusacLucanus : &quem plzri^ florenrinum fuilfe putant Claudianus: At ii omnes inferomm ledes fubterraneas elTe et ad cctrum ufip : qui locus in fpe  ta infimus efi portendi ædidetunt: Q_uapropter fpeluncas quafdam ac terrx  hiatus przfemm fi ignem fumum ue euomant ingrmum ad inferos n5 line mu  liercularum ac rotius uulgi fummo afTenfu fabulati funt. Nam et in laconica re<  gionc Tenanis mons eft circa finem malei promontorii / e cuius profundiifimo  antro quoniam fpiritu id agente fhepitus auditur: facile fuit uulgo petfuadere  inde ad inferos defcendi.Acberufia autem palus in epiro no procul ab beraclea  abargiuo ut fauntHerculedidafpccum habet per quam cerberum tricipitem  Plutonis canem ab Hercule edudum crediderit antiquitas : Nam de auemo lz>  cu nihil efi quod referam: uulgatænimresefi&a pizrifi^ decantata. Ac de poe  tishadmus. Plato uero eadem difciplina : qua et Orpheus imbutus ita fingula  ptofequicur/ut nihil aliud inferorum locum animis noflris efle ueiit quam cor»  pus ipfiim quo ueluti carcere includuntur. Ipfe em'm animos a fummo deo æ*  atos ponit : Q^ui quidem fuapte natura dudi In deum parentem fuum conuer  tuntur. Nec mirum. Nihil enim eft quod in originem luam cum pollit non re  uetutur. Videmus enim(^ut loco exepli hoc ponam}ignem huc^ut ita loquar^  tenenum/quia fuperiotis ui ac femine genitus efl fuz naturz impulfu ad fuperi  ora erigi. Conuerfi autem in deum animi eius radiis ita illuflrantur ut ubi hade  nus eorum efientia per fe ueluti informis fuerat : nunc ilb fulgore conformet' :  fit 9 miro quodam modo ut intra animi eifentiam receptus fulgor no ueluti ez^  terna quzclam Si aduentitia res in ea refideat : fed ad illius capacitatem tradus ob  foinor quidem reddatur : 8C a fe ipfe degeneret : mend autem proprius ac nattis  talis efiiciatur.Q^uaptopter hoc duce in fui ipfius at^ omnium quz infra fe ezi  ftunt: ea enim corpora funt: cognitionem animus uenit: Deum uero Si aav>  ra quz fupra fe apparent: hoc lumine non cernit. Qui enim fi iamconnamra«  le fibi fadum efl ea quz fupra naturam fuam funt/illo continget : I d tamen men  ti noftrz przfiat : Nam per primam hanc ueluti fcintillam deo propinquior fz>  da aliud accipit lumen et clarius quidem/quo iam czlefiiumquo^ Si fuperna* m ii ~  f  l Ia. P. Virg.M. Allego.   nim remm cognitionem accipiat. Sed hxc te LAVRENTI latere mmitne puto:  Sunt enim non folum dode ac diftinde/fcd omnino dilucide a Marfilio noftro  in iis dialogis explicata : quos ille in Platonis rympolium confaiptos fub tuo no  mine zdidit : Quos quidem cum quia ad te funt t tum maxime quoniam pluri  mis acfeledilTimis rebus abundant familiariflimosribi elTe cupio t Sunt illi quidem inquit Verum przcipue locus ifte menti noftrzhzretsin  quo geminum in nobis lumen elucere demofttat : naturale unum et ingenitum  ut dicebas : diuinum alterum et infufum/quibus limul iundis animi noftri uelu  ti geminis fulFulti alis/totum hunc ruperiorem mundum pcruoLue poiTunt: Ad dit^li diuino illo femper utantur fore t ut frmpet diuinis bxreant. Infimus autem hic tctrz locus animante in quo ratio fit canturus uideatur. Quod nefiat  efrediuinainflitutumprouidentiatutanimusfui omnino potens flt:ualeat<p  pro fiio arbitrio uel utro<p fimul lumine cum libuerit uti : uel altero (bIo:propte  rea<^ fieri ut natura duce ad natiuum lumen conuerfus fe s uirefi^ fuas : quz ad  fabricandum corpus fpedant/diuino lumine ad przfensomiflblolum confide.'  tet : illafcp in corpore conflruendo exercere cupiat. Rede ac memoriter tenes inquit Baptifla s confifHt igitur in czio ut Platoni quem poeta fequitur/placere ui.<  demus animus noder ipfius diuinz naturz contemplatione pcifiuens : Verum il  la quam dicebas cupiditate infedus et ipQi cogitationis mole degrauatus in infe»  ra defeendere indpit .Verum quoniam cum de inferni finibus ex fententia Plato  nisquzritur non fimpicx apud eius philofophi fedatores opinio cdtnoscam  boc tempote fequemur :quam et animorum rationi magis congruam putamust  et dodiotibus magis placere cernimus. Hi igitur bipartitum mundum ponunt.  Nam fupremum czium quod Aplanes uocitatur dellis^ut cd apud poeta^ardetibus aptum fuperorum regionem ede uolu erunt :eofq) campos elyfios ac beato  Tum infulas nominarunt : Saturni uero fpera ac fex reliquz quz fub illa funtrrut  fufep quicquid fpatii inter lunam terramc^interiacetripfami^ tenam inferis at^  tribuerunt : Altiffima igitur pars illa qua uel fubdentatur diuina uel condant/ne  dar uocatur i di deorum potus ede ctedimr. Inferiorem uero Icthzum/ac horni  num pomm dicunt r in hunc enim cum a fupetiori czIo per cancrum ea enim ho  minum porta diciturrprolapfa fuerit anima in ipfius hyles quz elcmctorum ma^  terta ed tumultum incidit: quo in loco noui potus ebrietate degrauata& ueluri  temulenta effedadiuinorum obliuifcitur : terrenatum^ rerum cupiditate ilie«  da ita per fubiedas fperas dclabitur : ut ex lingulis czlotum ordinibus aliquem  cotum motuumtquibusufuradeincepsfitin corporibus acquirat:Nam ab ea  quam faturniamdellam nominant ratioanandi& intelligendia loue agendi a  marte audendi uim abducit : fol uero ut fciat ut etiam opinetur illi cocedittMox  a Venere excepta defiderii motum mutuatur : Inde per mercurii ac lunz czlos de  fcendens ab illo pronunciandi interpretandii^ ab hac plantandi et augendi uires  acquirit : Ac podremo ad terram ueluti ad centrumtquo gtauia omnia feruntur  delata:6C corpus quafi carcerem uel potius fepulchmm ingreda iurc apud inferos  relegata didtur: Moritur enim in corpore anima uelut in fepulchto demerfar  non ita tamen t ut fauiufccmodi morte extinguatur : licd ut ad tempus obtusturt Liber quartus quabdo quidem illius diuinitarem noxia corpora tardatititertenishcbetaat  artus moribunda^ metnbra.-habes^fed breuiter^quid Platonidinf^um pu  tcnt:& quem animatum ad ipfum defcenfum ponant» Nam^ de tartaris fabii^  lanturpoetzea omnia animam in corpore pati manifeftum eft. In materiam  enim protrada nouam fyluz ebrietatem haurit cum illam ueluti flumine dema  gaturtFIumen autem ipfum non line exadarationeinquatuor flumina ac flj  giam paludem deducunt. Lethzu achaonta ftygem cocytum ac phegechotu>  tenitMateriz enim admixta anima eunda quz in czlis uidaat obliuifcitur. Quaproptaiure lethzum nomen ab eo quod elt.  ficenimobbuifei grzd dicunt potare finxerunt. Ex hoc autem Achaon ma«  nat: quzrcs gaudii priuationem denotat: quafi Nam   quod in dd contemplatione purus exiflens animus gaudium ædpiebattidom  ne ex obliuione amitdttquo quidem amiflbt flyx quamfadletriflitiam intere  pretaberis exonaturneccite efttftygisdemumpoflrema zfluaria coitum e£fi.<  dunb Quis enim ex triftitia in ludum non cadat: te autem non fugit id grz  cos dicere: quod latini lugæ interpretantur. Ex diu tumo autem ludu in furoris infaniz^ ardorem inddere roIemustquemphe. gethontem nominant. Ex hyle igitur unico flumine mala hzcomnja eueniV  unt: Quapropternon fine fummadodrina ex letham reliqua fluenta deriua  ci finxeruntrfed hzc in Phzdone a Soaate latius explicantur : N obis autem de  multis puea ad bunclocumtranffnenda fuerunt :at(^ ea fola quibus defeen  fus ad inferos ex Platonis fententia perfpicuus redderetur: Noflri autem qui  ita a deo animas æari redifljme fentiunt: ut eodem momento et creentur fi;  fuis corporibus infundanturrnon eas in hoc inferiori mundo uerfari uoluerut:  ut commifla purgarent: Quid enim fi ante corpus non fuerant : extra corpus  peccare potuaunnfedutfuisrcdis adionibus: quas omnino liberas habent cz«  Io aliquando frui mererentur. Conceflit enim nobis deus : ut noflro arbitrio Ii'  bere utæmur:non ut per nequitiam delinqueremus: fed ut per religionem  fi; iuflitiam nobis fummum bonum acquireremus: Verum cum perfummam  fiultiriam illud negligcntes corporeis tetrife^ uoluptatibus dciiniti maximis ua  nilc fceleribus coinquinemur oportuit efle locum ubi a corpore digreflx buiuf  cemodi animz fuorumfadnorumdebitiflimasposnaspcrderet.Himcautc lo  cum arca terrz centru maxime eflie uoluerut:Na cu fi; propheta eripuit deus ani  ma mea de iofernoinferiori dixerit fi; ipfc humani generis faluatorfe triduo in  corde terrxfuturuadmouerit facile couincitur centru eflctNihilenim eflcctro  infcrius:quin fi; ita in medio terrz confiflittut in medio animante cor efle uide  musiQ_ua in parte fi; tenebras exteriores/quonia a luce remotiflimz fint:fi; de  tiu flridorc quonia nulla folis uis illuc defeendat efle nemo negauerit.Erit igitur  in terrz cerro infernus:fed ita erit ut etia ex iis quz fapietiflime a Gregorio colli  gunc ad ære uflp huc ex terrz fi; aquz caligine cralTioreptcdat^.Acrp deiferno  hadenus ad illu aut aias defcedere oe fere hominu genus dixit. Sed tn aliud alii  fentiut.Na przdpitatio illaaioru afuptcmoczloin hzc corpora ad inferos de  fccofuscdea Platone acdicuit Cbriflianiuaofczleflo^ animasc fuiscoipotL In. P. Vtrg. M. Allego. busad inferos trahi admonent. Dicimus itidem uiuentes homines cuminid  tialabuntur/ad inferos rueret Sunt quoc^ qui credant magicis artibus 6: cat minibus fieri uelutidefcenfus quidam/ut inde euocarianimx poflint. Verum  præter bos quatuordefccfusqnrus quicftnonuideir omittendus: Na £( ad in«  feros tendimus/cum lumen rationis noftrx ac induihiam in mali ac omnium  oitiorum naturam fpeculandamdeiidmus. Ego igitur libenter de te feifeitoro  Laurenti cum hæc omnia perceperis quid putes hoc Ænezdetcenfu Virgilu  um exprimere uoIuifleTlamdudum quid agas uideo o Baprifta inquit Laurcntius/ac pro eo maximas tibi gratias habeo: Quis enim non uideatuni.  Uetfamhanc difpuutionem nonfolum meisptzabusdatam/uerum etiam a  me fratremij meum erudiendum elaboratam : 'Nam fiCli cæteri t qui afTunt  omnes mirifice tua otatione deledcnturt tamen eft eorum ztas ac dodrina  huiufcemodi t ut etiam fine duceipfi per fe hzc omnia cognofeere ualeant.  Hos igitur duos erudiendos cum fuiceperis : propterea^ rede netan fecus  quz hadenus difputafii teneamus / nofie cupias fine ulla cundationequaxd. rogaueris / cerpondebo: fic enim et errata facile emendare poteris : 8i fiqd  rede teneo id tuoiudicio confirmatum firmius hzrebit. Petit igitur afybilla  quam tu iam dodrinam interprztatus es/ut ad inferos K ad parentem dedo.>  cat: Q_uod cum petit oftendit mentem przmonfitante ipfa dodtina in fem  fualitatem defcendece. Vult enim nitia quz ab ea funt penitus cognofeere: fed  uide quantum tibi ex hac difputatione debeam : nam non folum effeciftt ut  hzc a Marone diuinitusdida tenerem: fed fimilitudine rerum admonitus ia  quidfibi nofierquoi^ Oanthesuoluerit facile coniedor. fed de hoc alias: Tu  ueto fi placet ad reliqua perge: Rede tu quidem inquit Baptifiainterprztaris; Me autem tuum ifiud ingenium ac iudicium fummopere deledant: Verum  audiquidilli auaterefpondeatut.ln primis enim defcenfum ad infetosnul'.  lius negocii eiTc demon(lrat:cum nodes diefc^ datis ianua pateat : Q^uod pro  fedo nimis etiam q utilem uerum efi: Naracum procliues ut fenexquo<^Te  rentianus conquzritur a labore ad libidinem fimus / facile in uitium labimur.  RcdilTime^ illud ab Hefiodo Redifiime quo^ 6i   illud uel claufis oculis illuc defeendi: Nam fiue delinquendo in uitia labimur   ? [uoniam id per llultitiam fit: llultitia autem rariflimi carent; quid obfccrote  acilius inuenies : fiue:fed t^iquos defcenfus nunc mifibs facio : quorum pro  cliuitas pcrfpicue apparet : Id autem de quo nunc agitur : quis non uidet.  Mentem ipfam ac rationem facile in cognitionem fcnfuum dcfcendcre.Ma  ximum autem fit periculum ne dum cicca lingulas corporis uoluptates uer.>  famur / ita illarum illecebris demulceamur / ut irretiti hzreamus : Facile igi.>  tur fenfus defeendit mens / non autem facile a fenfibus rcuocatur.Id enim  eftab inferis redite: pauci enim quos zquus amauit lupiter: aut ardens  euexitad ztheca uirtus diis geniti pomere : Tria ut uides hominum gene<a  ra ponit quibus liceat ad fuperos reuerti: Sed nos prius de duobus pofirei>  mis dicemus : cenfet Plato quod paulo fupta explicatiur demonfirauimus  animos nofitos rerum terrenarum cupiditate degrauatos incorpora dcfixt>  Liber giiaituf   Jcre : (Quapropter qui prius imbroda nedare<p ueTccbantunid enim eft deo  'fiuebantur t atqi inde mirum gaudium Tumebat t nunc letheum rpoti in re»  lum omnium obliuione mnli Tunt.CQuod (i intra corpus conftitutus ani^  musillius cogitatione ac fordibus inquineturttamdeoiis tenebris obducitur/  utnulla deinceps fpes (it ad Tuperiorem lucem redeundi: Sin autem TcipTuni  infccoIKgms integre cafte^ degat: 6ecorporis quoad potedeonfotrium declinet ipauladmcz illa obliuione qua ueluti crapubuino(p opprtlTus obdor»  tniTccbat Teexatansualet libi geminas illas quas iam totiens nomino alascom  patate. Illis autem fuffultus facile ex inferis reiilit: &ad Tuperos rediens iii re  gionemfuam reuolattper duas igitur alas totidem uittutum genera intclligi  mus /& eas quz uitx adiones emendant: quas uno nomine iuftitiam nun»  cupatt&eas quibus in ueri cognitionem ducimur: quas iure optimo religio»  nem nominat. Illud igitur pauci quos ardens cuexit ad æthera uinus:alam  primam exprimit : et uittutes qux de uita et motibus Tunt intelligit: cumde  indeaddit diis geniti potuere SIGNIFICAT alam secundam :at<pipfam rrligionem  quamexuirtutious iisquxad uerum ducunt conftare uul: Placo : Hxc itaip  auntopbilofopho mutuatur Maro cuius quidem dodrinx non nihil ex ma»  thematicorum fcntentia ita addidit : ut nei^ ius Tuum ac libertatem animis adi  merctmeip cxleftia corpora fuaui priuaret:Nam li animis nolitis uimnecef»  Utatcmqi f/dera afferre dicamus/non modo id in religione noflra impium eiitr  fed 6t a Tummorum FILOSOFI dodrina abhorrens : Verum ut intelli»  gas ntip hoc a Platonico dogmate alienum elfe / refert ille in Thimxo ratio»  naiis animi effedionem nulli nili deotribuendamiquoniam ipfe eiTentiam ac  ^ rationem animorum noftrorumcreat.Corpus autem ac exteras animi par»  tcstuteæffqux concupifeit flC qux irafdCur nos ab animo mundi mutuarie  Q_uapco{ær St li mens ipTa nolha nullo fyderum imperio fubieda Iit : tamen  quia nullam adionrm ex iis unde uirtutes uitiam manant nili per fenTus ac ap»  petitum exercet: Illis autem quoniam a corpore funt uacias aut ad uirtutes affe»  dionesiauc in uitfa prcKliuitates inferunt fydera /permulti interelTe uidet ur quo  fydere nati fimus:Nr<^ solum ad bxcqux ad uicam et mores pertinere diximusr  ucrum d ad ea qux fpeculationem K ueri cognition cm refpiciunn Nam li on»  nes omnium animi eadem natura funtiunde nili a corpore eritrquod alii inge»  nioiudicio ac memoria excellentilTimir xillanttln aliis hxcnulla appareanc: cu  autem omnis nofira cognitio ab iis qux efficiuntur ad cfficientiatn:& ab iis qux  loco 8C tempore nrcufcribu Dtur ad infinira initium fumatrmulta obiicinir dif»  licultas animis noftristut intelligentiamut feientiam ut fapientiam alTequanturt  cumuircsillx:qux paulo ante dicebama membrotum : quibus ueluti inftru»  mentis utuntur deprauatione bebercant : nei^ fe explicare poflint: cura igi»  lurapud Platonem ruumlegilfet Maro nili geminas illas alas recuperemus ad  Superos redite non poffe : Cum itidem illarum recuperationem a fyderibus  caquam oilendi ratione impediri aniroaduerterctiut a loue xquoamarrmur  opus ciTe ofiendit. Hoc autem nihil aliud eft / nili ut benignitate fydaun»ffcdionca ad icdaa adiooa acdpctcmt^Natacum plancutum uuia uiafit,1  In.P. Virg- M. Allego.   Videmus iouis natura hulufcemodt elTc: ut quos ille in fuo ortu benigfle a(^e  dt illi ad iuftitiam ac religionem proni reddinturrita ut ad eas quas diximus alas  recuperandas impelbtr colligamusigiturnetnincmabinferis rcmeate/nili al^s  recuperet : id autem non clTe fadlc nili iis qui benignitateiiderum adfupera eti  guntur. Sed quid tu.L.Marfilium intuens clanculum rubmurmuraftit Nempe  id Tolum refpondit.L.quod paucis ante diebus cum T imxum Platonis in maoi  bus babetet:mibi de anima mundi dixerat Marlilius > Cautius inquit.B. mihi  progrediendum elTe uideorcum res nobis non modo cum dodo : V erum etiam  cum mcmoriolo litifed quod de mundi anima dicis/id 6L uerum huic lo>   co apprime quadrat : cenfet enim PLATONE rationis fementem a deo fadamianitnof  ^ nodros ab ipfo æatos/ac deinde mundi animz ueltiendos corpore traditos:  ut £2 corpore uedircntur:& eius pedilTequis uiribus informarentur: Æquum  enim fuit:ut quoniam concupiTcibilis irafcibilifi^ appetitus (alutis corporis gra  na func:ii ab eodem nobis darenturtqui nos corporibus inclulilfct: Vetumquia  faz partes lubricz funtipat fuit: ut qui nobis illasin deterius facile labeutcs dedif  fet idem ipfe aliqua ex parte aberrotibustueretur: labenter<jfubdetatct.Q_u3'  propter iuflit illi fummus pater/ut quando ipfetccirco animis nodris caufaffl  obiiuionisptzditiir<t: quoniam luteo corpore circundederit hominibus fulgo,  rcmueriutis infunderet. Huiufcemodi ita^ przccpbs obtemperans mundi  animus eos omnes quibus zquus ell/aut fomniis oraculis et portentis autio.  terao quodam motu Si ad futuri prouirionrm:6t ad diuinz legis cognido.  nem perducit : ut eo duce alas recupctcmus.Huncautemmundianimumue  tetes theologia qui illos fccuti funt Platoiuci fzpe louem appellant. Hinc  pbcus lupitet inquit pnmogenitus eft: Iupiter nouiflimus; lupiter capui:Iupb  ter mediu.Vniuctfa autem e loue nata funtihinchinc illud lupitet eft quodeo. uides quodeun^ moueris i Q_uin Si ipfe Maro A ioue principium mufz io.  uis omnia plena. Sunt enim omnia plena animo munducum ijle ita totus in to  to mundo fl£ in qualibet parte totus : ubi uigeantutnoftrianimiin fuison.  pufculis : Hic deniip czlumueluti citharam continens harmoniam cfificit ex di  uerforum czlorum fanis: quas cum mufas appcllentiute louisiiliz dicuntur  eiremufz:Q_uantam igitur dodrinamMato tribus uerfibusincluferit/ facili,  tis mente concipio : quamuerbis exprimam. Rede igitur pauci quos zquus  amauitlupiter: aut ardens euexit adzthera uictus. RedefiC illud tenent  nia liluz: Ab hyle enim(^ ut fupra dcmolhauimus ) eS omnis nodra duldtia et omnibus ahimisconugio: quibus impediantur ne ad fuperos redeant. Ve  tum de remeandi difficultatibus badenus: Deinceps nero eas exponit rationa  quibus ita tuto defeendamus ut pateat reditus: Aures autem lamusfapientiam  nobis indicat dne quanonedfpcculado eligendarum agendarum^ rerum iu  dex. Ne mireris aurum fapientiz fymbolum apud hunc poetam obtinere  cum plzii^ idem faiptotes fecerint: Vndeillud bpiens aurum et multitudo  gfmmarum Si uas pretiofum labia fdentiz: Aunim enim eft fapientiz uigor at(j fulgor. Ndium cx metallis auro pretiofius eft. Nibl in rebus entia pluris facieadum. Fulget maxime aunim. Nihil (apimciacll endi^ i (i 01 ik IXI BS XD u m uv mt Bd: od Nx m HC pn ioqi iHgg imcttdi di dux BOC (jB) da. Bidi   BUi  liuBi   Btit   imt  « D!  feuii   Uni  OlC Wl  D« Lib«r guartui £iu. Nulla eni^oe exeditur aurum: Nulla rea imminuit fapietitiam t Nullis  lordibu saurum coinquinatur t Nullis maculis Tapicntia deturpatur t Sed latet  arbore opaca: mulus cnim ac uariisinfeitiz tenebris ita obruitur uerumft luco  ca cnimcorpons^uc ita ioquar^bebetudo eft ita tegitur t ut difficile omnino (it  illud erueretScite enim Si a Ocmocrito ufurpabatur natur^n in profundo ueri^  tatem demer(i(fe : Non tamen prius in hanc contemplationem defeendere uaW  mus : quam aureum ramum deccrpfciimus. Proferpina enim ad fe ire quempi^  am (ine huiuCcemodi munere uetat. Efi enim profeipina ipfa animi pars quz ni  bil przter lenfus contina : ad quam (i (ine fapientia accederemus nullum przte»  rearemediumdarcturiquomuiusdenobisadum ei Tet.llla enim irretiti nulla  unquam effet fpes redeundi. Rede Si illud piimo^ auulfo non deficit alter au«  reus I fe ip(a enim alitur (apientu : at<p cuenit inueffigando/ut aliud uerum ali<  ud aperiat: nec quicquam percipiatur: quod ubi perceptum (it ad aliud percipi*  endum non diKat : Illud autem quis non uideat de uero uenifime didum elTe.  Nam alte inuefliganduse(l.diuina enim &czleffia(^(i ueru inuenire uolumus^  non infima hzc at^ aduca infpicienda funt : omnis enim dodrina a frientia ex  iis efi: quz nullis terminis circunictipta funt&in interitum non cadunt:lubet  ptzterea iam repertum rite a nobis carpi : et iure quidem ita iubet. Nam nili cer*  so quodam otdine pergamus/nibil unquam proficiemus; Addit enim poffremu  illum facile te fecututum i (i a fatis uoceris : fin autem non uoceris : nec uiribus  tunc nec duro ferro polfeconuelli.Virtutibus enim quz mores corrigunt Si quz  tedum zquumij relpiciunt ualct omnes ira animum a fordibus purgareiut mu  di e corporis migrent : Ad fupremam autem illam rerum cognitione uenire pau  ds ommno datur : at^ iis (blis qui a facis uocantur. (Quapropter rede (i te fata  uocant : Q^uod tamen ut planius exprimam /uolunt Platonici deum poft fe ip*  fum cognolcere. Deinde omnes reliquas res : Tertio autem loco ea eunda effice  lequz cognouit : Poftrema ergo hzea fecunda : Secunda rurfus a prima dependet. Namomnes res ptodudt quia illas nouit : Nouit autem nulla alia ratione :  nili quia fe iplum in quo omnia funt contemplatur. Huiufcemodi itaip ordine  rria illa in deo ponunt iu ut pdmam fapientiam: Secundam prouidentia: Tertium fatum nominent. Chnffiam autem cum hæc eadem (nt fallor^fentiant:Fa  ti tamen nomen uiz ponere audent: non quia Platoni irafcanturifed cum uidif  fent clfe quafdam in pbilofophia familias : quz eam fato necelTitatem imponat:  ut nullam io adionibus nobis decernendi libertatem relinquant fati nome odif  fe uidentur. At nos eum quem paulo ante dixi philofophum fecuti dicamus deum retum caufas id cft fe ipfum confiderare: Ddnde ortum ordinem : ac deni  gubematiunem rerum quas compleditur intueri t (Quz ddneeps ita omnia  excquitut ut nullo mexio ualeat impediri i (Quam quidem rem fatum dicunt:  Quod fi ita eff uon abeiiant qui dicunt rationem ac ordinem rerum : quam ita  mente dd prouidentiam dicunt in rebus mobilibus ac loco Si tempore dteuioi*  pds fatum did.Te itaip fi f^ta concelTcriiu camus aureus uolens fadiifcp feque c  Datur igitur pauos Si id diuino quodam extra fortem munere ab ipfa dei proui  dendatcuiusconfilium ferutati nefas bomini efirReduscoim dotdnus et reda    Jn.P. Virg. M.AIIfgO*   confiliacius t fed qux mortali ingenio cotnprzhendi non poirint.Quis rniffl  adeo temerarius: ut noiTe contendat cur loanni: cur Pauioapoftolu caapcruc«  rit dominus : quz multis fandifrimisuirts& multa dodrina illuftratis detegere  coluerit : Quod exemplum late patet et ad omnes qui in aliquo dodrinz gene  te laborauerint ttanffetri poteft t ut cum multa eodem (ludio dagrauerint t eatu  dem^ operam ac laborem impenderint alii fummum in eaatte attigerint: aliis  autem uix in poftiemis confidere licuerit. Habes quid aureus ramus meo iudb  cio fibi uelit : Quod autrm ad miferi funus pertinet (ic accipe. Mileri odiufa Ia  us rede interpietatur. Q^u ipropter erit eadem inanis quzdam gloria-Snt enim  fummo odio digm qui uiitutrm negligunt : unde folida exprrflai]^ manat glo>  tia. Honores ueto ac reliqua uirtutisiDfigniaredantur:Qu 'm qui in uita ct»  Ulli res egregias adoriuntur in primis captare cunfueueiunt. Hi cn<m non redi  honedii^ amote : fed gloriz cupiditate laborant: quam dum aSequi cupitmuS  rem publicam fzpc perdunt x&infummumouium odium incidunt: Egregie  igitur luuenalis. Tanto maior famz (itis ed quam uirtutts. Huiurccmodiigb'  tur uiri animi excellentiam (iue a natura fibi in litam/(iue indudna/atcp exetaca  Cone comparatam penitus corrumpunt. Non enim uirtutera ammt.^cd uita  tutis infignia i qua; fzpius malis quam bonis exhibentur. inanis igitur atip ad»  umbrata gloria in rerum publicarum adminidrationc exceliintioribus ferop ada  hatret. Quaproptet Hedoris quotj comitem mifernum fuille tingit. bi enim  caritate patriz magis quam cupidine gloriz moucretur huiufctmodi uiri beatifa  (Ima; omnino ciTent ciuitates : quibus illi przcfTcnti Qut igitur ad uitiorum fpe  culationrm ea gratia tendit: ut fe ab illis explicet: cum in primts hu.ufcimodi  gloriam abiiccre necciTe ed :Quaproptcr rede eo tempore roifcrnus extinguitut  quo zneas a fybilla prxeepta accipit. I nitium enim ueri inuedigandi a onlctni m  tcritu optime funiitiir : Ncc tamen fatis fuerat illum extingui :nift etiam fepelu  tur : ut nufq jam urdigium illius appareat : nec unquam reuiuifcat: Quud au  tem illum tubicine fuiiVc dicit : optime quadrat. Ed cnira huiufccmudi hutni«  num : ut rrs a fe gedas quam latilVimc diuulgmt : Si fuo przconio ommbus ofle  dant : Ed prztcrea zoii uentorum regis filius:Nam nibil uentoltus ed illi qui ne  gleda uirtute tc folida et cxprelfa adumbratam quandam et penitus inanem glo  riam aucupentur: unde et tumidi et inflati Si uentoli dicuntur. Rede Si nlud  quo non przdanrior alter ære ciere uiros martemtp accendere cantu.Quid eni  aut Ninum aut Cyrum aut Xerfem ut hos folos de innumeris aflaticis regibus te  feram : quid qua;fo aliud impulit : ut non contenti patriis Enibus multis popu/  lis ac nationibus beilum inferrent; Q_ uid apud grzcos fpartanos aut athenieo'  fescxcitauit ut magnam Aftx partem ruoimpetioadiungerent: QuidHvnni'  bali ruafit ut bifpaousgalliift^ fubadisromam orbis caput peteret: i^uidapud  njod(os.L. Syllam prius ac. C.Marium: Deinde luIiuro Czfartm.CD.^PompC''  ium ac podrcmo Odauium K.M. Antonium eo furore accendit ut ciuiltfaogui occunt^ replerentur nili infanz quzdam famz cupiditas. Cum gloriam miis  rebus quzrerent: quz dolidil Timum uulgus dupefeere quidem cogant i fapicn  Us autem ad iuihfumam indignaiioncm fummum^ odium concuent t at Q C*1 Gi  d DCt  BIB  I»  '1 ip» a» K*», tUH cnu   cpi)iii   100 ad   siil  itd  id* ^1 afi \0 «? |lP< <« Liber guartui   mo tnodo ipfe malus non Ct huiufnmodi uiros bonos dixerit. Sed quid (i o{v dtni que^ m hominum Ibcictatc uiti : ac pro re publica emoti ptomptiilimi prz  ter id quod patriz caritate in manifedifTimam mortem ruebant igloriz quoq; cu  piditate extremum cafum zquiore animo ferebant : uis enim ftbi perfuadeat   aut Thcmifiocicm athenicnrcm in nauali prziio apud Salamina gcflu t aut Epa«  minundamin ea uidoria qua de Lacedzmoniis potitus efiraut Spartanum Leo  eidam in tbctmopylisuirilitcr pugnantem nihil de gloria cogitaffe. Ego enim  oet^ Brutum lingulari certamine aduerfus regis exulis filium concurrentem : ne  a Sczuolam tanti animi confiantia dexteram exurentem: ne Decios illos in co  jf^ifimos hoftes iiruentes : ne^ innumerabiles alios qui patnz libertatem fuz  nitz prztulerunt famam quam de fe pofieritati teliduri elTent nihil unquam fe*  dlTe arbitror. Sed nos in re omnibus manifefla nimium fortaffe moramur. Ita«  redeo ad mifemum qui cum tritonem deum prouocare audeat : iute demens  appellari pofTittQ^uid enim fiultius quam (i inanis hzc gloria a caducis ac cito  perituris tebus ptofeda audeat fe illi : quz uera eft et a diuinis rebus proficifeitur   E fumtnam temeritatem zquiperare.Q^uapropter facile ab ea obruitur. Sed  cad rem noftiamtReliqua autem quz circa funusdeferibuntur hidoriz attp  aurium uoluptati concedantur. Geminas autem columbas geminas illas alas qs   d o fupra diximus intellige. Illas enim ducibus ad contemplandas res tendit :  t autem uoluæs ucnetis: quia oportet illas elTe ab ardenti amore : Nec iniu  tia matrem inuocat : Nam tantam difficultatem nili rapiat amor facile fugiut ho  mines < Illz autem non femel aut uno impetu/fed paulatim uolando ad locu du  eunt : Non enim hominis ell omnia momento uidete : fed ratiocinando gtada«  timacognitisad incognita uenire:Seduidcquidfequatur:inde ubiuenere ad  fauces graue olentis aueroi.   Tollunt fe celeres liquidum^ per æra lapfz:   Sedibus oputis geminz fuper arbore fidunt:   Nam quz ad cantarum raum cognitionem duces fe przbent/eas rerum terrena^  tum contagionem id enim ell auerni teter odor celerrimo uolatu effugere opor«  tet. Duplex igitur uirtutum genus nos ad ueritatem ducit: quam fine mora ra.>  pit zneas / ut eius luce ea quz per infernum obrcutiffima funt cernere pofTit.De  ioiprio ucro auerni naturalem lod litu demonftrat. Ne efl quod faaa ab znea  petada in feriem noflrz fentenriz digerere laboremus. Inferuiens enim fuo ar.>  gumento poeta eorum lacrorum quz ad ncaomantiam adhibeant ueteres expli  cat. Q_^um autem zneas nudo enfe Iter aifumere lubeat 6C fi hoc in Ilfdem facris  obferuare confucuerint : tamen admonetur ipfe ut robuflo animo rem arduam  acediatur. Æneas ita^ ducem haud timidis uadentem pafltbus zquat.Nam  quis non uideat : quod dodrina aliqua nobis oftendit id quam celerrime quam  oiligentillime effe arripiendum. Erat autem iter per obfcura : uel quia ut dixi ue  ritatem in obfcuto ab&rufit natura : uel quia uitiorum fedes procul a luce funt:  Q_ui enim rationis lumine illuflratut : is et uerum cognofeit /dc rede agit: illam  autem qui amiferint fua natura ignorata in ultia Incidunt • Appellat przterea do  plutonis uacuas et inania regna. Q^uo quid ucrius dici poteftfEfi enim   u ii 1 1  I!’,! i;l I * i'i  In. P.Vir g.M, Allego.   nudiuftertius manifeiHs rationibus ronuidum mala uitiatp nihil omnino ef  fe; quando quidem nihil afFcrant/fcd bonum pellant. Hoc cum prudens ue  hemenf^ uates Perfius intelligeTctrgrauilTime in eam exclamationem proru/  pit/O curas hominum /O quantum eft in rebus inane :Vt autem quale eflet  ad uin'a initium expreflius poneret oftendit in tantis tenebris non nihil tamen  lucis apparuilTe.Nam 6C Amentis carcitate in uitium labamur a tamen circa  principia non omne penitus lumen tollitur: Prius enim incontinentes cAicif  mur quam intemperantiam cadamns.Miro autem iudidoquz fequunturin  inferorum ingreAii ponit: Si enim exfententia eius quem fequitur Platonis  deicenfum animorum in fua corpora defaibit / manifcAum eA animum qui  badenus omnium horum malorum expers fuerat in ea nunc omnia corporis  contagione incidere : Omnes enim perturbationes inde fentit: Luduenimea  riA^ angitur. Impendentia timet imotbos laboreAp experitur : fame anp ege^  ftate urgetur : omnibus denitp quas ille enumerat calamitatibus prxmitur :  quas a corpore liber expertus unquam fuerat. Sin autem prolapfum animor  rum in uitia huiufcemodi defcenfu interpretari uolumus non multum diuer  fa ratio erit : Q_ua; enim res tanta ucloatate commilTum facinus confequb  tur quam fadi pernitentia. Q_u.r autem pernitet is Ane ludu effe non po#  teA. Adde quod confeientix Aim ulis affiduo purgatur neceÆ eA : Vrgent enim  illum a Aidux curx : qux ueluti ultrices furix poenas Aagiriorum feueriAune  extinguunt: uod quam dode quam eleganter quam expteÆ pofuetit lu'  urnalis quxfo recordamini. Exemplo enim inquit ille quocunip malo cotn*  mittitur ipA difplicct autori prima hxc eA ultio: quod feiudicenemo nocens  abfoluitur. Ac paulo poA; Nam fcoclus intra fc quicun^ cogitat ullum fadt  crimen habet. cedo A conata peregi perpetua anxietas nec menfx tempore cef  fat. lure igitur ultrices curx funt in ucAibulo poAtx : Nec mirabimur A paU  lentes habitent morbi oim Aoicorum acutiflimas argumentationes intelli^^  mus. Aiunt enim quemadmodum temperantia fedeat appetitiones: &cmcit  ut illx redx rationi pareant iconfcruat^ conAderata iudida mentis : Ac huic  inimicam intemperantiam eiTcieamcp omnem animi Aatum inflammare cd  turbare ac incitare : eoq; pado omnes ex ea perturbationes gigni. Nam ue»  luti cum fanguis in corpore corruptus eA: aut pituitabilis uere redundat  morbi xgrotationcr(p nafeuntur: Ac prauarum perturbationum diAotunta  animum fanitate fpoliat : uehementerep petturbat : ex perturbationibus ue»  ro morbi conAciuntur qux illi uocant : deinde xgrotationes   qux appellantur. Quapropter perturbatio quia inconAanter turbide^ fe iadant opiniones in motu femper cA. Verum cum iam huiufcemodi furor ac mentis concitatio inueterauerit : &tan  quam in uenis medullif^ infederit : tum exiAit motbus at^ xgrotatio.Na  cum ex falfa quadam opinione qux plus tribuat diuitiis quam tribuendum  At pecuniarum cupiditate inflammemur : nec adhibeatur continuo Socrati»  a quxdam medicina : qux cupiditatem extinguat manat illa in uenas efficit»  ^ cum morbum at^ atgrotationem quam auaritiam nuncupamus. Rede to Liber quartus   ^detn demorbis ut mibi uideris inquit Laurentius &|ad locum eiplicandum appoiitet Non enim philofophi folum / ut tu probe demondraui: Sed  et oratores BC poetx non corporis folum fed et animi fcpiflime morbos di«  eunt. Ergo ut morbos inquit Baptifta ad animum ita SC fene Autem reÆ refe  ternus. Nam cum ipfe adcmrobur<p mentis ueluti iuuentutem admireritt&  ignauia ac torpore quodam ueluti fenio tabefeit/ facile in uitia: ha;c autem  motsanimotum eS/ eum adere uidemus. Mala autem fuada fames quidnam  aliud quaauaritiadefignat: qua homines ad omne facinus impelluntur.' Q_ua;  nam enim res alia nobis fuadet aut iniuftilfimts bellis innoxios populos iacef  (iere I aut caidesiK rapinas exercere: aut inlatroaniis grafTati:aut uenena pa«  rate: aut fidem fallne: aut patriam at^ dues prodete:ni(i auri facta famesf  Quod quidem fi ita cft eodem quo<^ in loco erit ponenda turpis zgefias.Cii  cnim homines paupertatem: quam nemo fapiens turpem exifiimauit turpilTk  mam putent :eam^ ueluti fummum malum exhorreant /nihil repugnat: nui  Ius pudor obftat quin quo illam fugiant/ omnia uenalia habeant /nec abfunt  tembile suifuformzletum^ labof^: Namquialuccexulcsinhistcncbrisuer fiintur: nihil præter defidio fumooum quærunt: Nec meminerunt homines  adagendum ati^ fpeculandum natos nullum laborem/qui quidem honefta^  dadiunAusfitelfe fugiendum: De lato ucto fic accipe. Philosophi qui dt«  ca prudentis acquifitioncmuerfanturanimaduettunt corpus fi fociumad rem  agendam afiumatut maximo fibi eflie impedimento: Sensus cnim qui a.cor<  pore funt nihil in feueritatis: nihil fincen/utrcÆ dc his rebus iudiute uale«  ant in fe continent ; Ex quo fit ut animus fi illis ad inueftigandum utatnrtfzpe  dedpiatur:& illorum illecebris ebrius nihil ptofpiciat. Quapropter mentem  quam maxime pofliint a fenfibus: BC a corpore feuocant. Aic cnim in eo qui phe  don inferibitut Plato nos tum denii^ beatos futuros fi a corporeis abfirahamur:  ac deo fimiles reddamur. Hoc autem quid aliud qua mori effe dicemusrQ^ua  propter fijhuiufcemodi uiri dum uiuunt mori medicantur: uenientem nemor  tem illos trepidaturos cenftbis.''Stulti autem qui nihil przter corpus nouerut:  iniquifiimo animo illud difiblui patientur.ReÆ igitur is quem totiens nomi  no Plato [PLATONE] ut illos philosophos sic istos philosomatos appellat. Quz omnia ca  probe nofiet Maro non illas terribiles formas elfeifed uideri terribiles dixit.Re  fiquaueroquz enumerantur &fopor& mala mentis gaudia ac poftremo bcU luni/funz BC difeordia ad eandem rationem quicun^ uel mediocri ingenio uir  fuenc facile referet. Nam qui in uitio eft is tanquun fomnolentus ad omnem  honefiam rationem obtorpefeitrNe^ ullam uoluptatem nifide rebus turpi.»  bus capit. bellum autem ac difeordiam non modo cum aliis : fed fecum geritt  cum aliud libido aliud auatitia fibi uelit.Oefidia illum ad odum: ambitio uero  ad labores aduocet.Q_ua animi difira Aide ueluti furiis exagitatur.in ultimi au  tem deferiptione idem quod BC paulo fupra ofienderac pulcherrimo nuc ac om  nino poetico figmeco depigit. Ipfa enim in medio polita magnu fpariu occupat:  fhiAaautnulluprzbctifedfola umbra nosdeleAattfic turpe facinus ea no«  bisonditiquz nihil folidi habcatifiCquzcu magna uideant /nihil finttut phip    Ia.P.Virg.M.Mlego.   gii zfopi ncmplo telido corpore umbram fedemur > Q^uod eo quo^ ezprcC>  fius notat ciun addat in Hngulis frondibus (Togula inlidere fomnia: at^ ea  quidem uana: Nihil leuius/nihil mutabilius eft frondibus: Ea autem in quibus fummum bonum reponunt ftulti:& quorum gratia rapinas fraudesmul  taipalia flagitia patrant: ut honores diuitias ac reliqua alTequantur: in qua fot  tunastemeriute pofTta Ht/SCqua facile mutentur at^ defluant: nemo eft qui  ignoret: Q_uz etiamuanisfomniis uerilTime comparantur. Sunt eodem in  loco plurima monflra non temere polita: Nam (i ca monflra dicimus qux  przternaturx legem eueniunt/ eunda flagitia ueio nomine monflra appellax  buntur / cum pmer rationis legem qua lola homines fumus exoriantur.Me  fito autem Ixionis filii putantur centauri : nam ille contempta iuftitia abm«  pto^ humanitatis uinculo populos libetos iugo tyrannidis oppre(Tu:Qua^  propter eius cogitationes apnneipio aliquid humanitatis przferentes inim«  manitatemat^ eficriutemquandam tandem degenerant: Non infdte igitur  Plutarchus dimonflrat / huiufcemodi homines tanquam fimulachro uirtu»  tis adhzrentes/ nihil ITncerum/nihil tedum/fed mixta omnia at<p nota facere: Cum fuam quif^ uoluptatem fequatur/fummis petturbationibus ad fu*  os impetus delatus: Prolixior limqua rerum multitudo poflulat: 11 utran^  fcyllam profequar:in iift^ nimias cupiditates exprimi oftendam: nam Hy*  dra ad dolos fraudefi^ referti facile potcft.Fuit enim Hydra Platone tcllefo*  phiflaalidillimus: nam cuueri inuelligandi duplex modus fitpetuetas alter  alter pa fophiftiasrationeshydracauillofasatq} deceptricesargumentationes  ponimus: Cuius uno capite czfo plura renafeantur. Nam una confutata ratione ille fuis argutiis plurimos fubiungit. Hanc autem Hercules igne idefl  ingenii feruore extinguit.Nei^ eft quod et hoc inter monftra enumerandum  negesi Namut uera dialedica ab omnibus dodiflimisfummoperefemperap  probata eft t lic hanc captiofam grauilTimi femper uiti abhominati fuot : Chi meram aut ad iracundiam iGorgones ad uoluptatum illecebras/ quibus ftul*  d in faxum conuati iccirco dicuntur / quia nimis illas obftupefcunt.Prudca  tes uero et Palladis zgide 8i Mercurii gladio facile interimunt refetn quis no  uideat : Briarei autem ac reliquorum qui aduetfus deos bella gelferunt / fabu  lamrcdilfime interpretatur CICERONE (vedasi) /cum id nihil aliud lic qua bene monenti  naturz repugnate: Gerion uero 11 grzcum nomen interpreteris / terrz litem  exprimet. Lis autem zterna eft terrz id eft corporis aduerfus fpiritum.Ecitita  ^ Gerion pars elfccminatior animi a fenfibus ptofeda : quz in homine uitio  fo uniuerfz animz imperat. Q_uaproptet quoniam funt ttes animz par**  tes / tribus illum infulis impcralfe fabulantur : cuius canis iccirco biceps cfit  quia cupidiute llmul et timore laborat. His igitur monftris pettenefa*  dus ENEA uim parabat. At Sybilla hominem cotnmouefadens ea omnia  fimulachrauanacfleoftendit: llIa^ non ui fupcranda/fed radone cognolizn  da: cognita^ fugienda iubet. Poft huiufcemodi monftra ad Acherontem Si  cocytum deuenitunde quibus fluminibus Si 11 paulo fupta didum llt:ea tame  alia quadi tone ptofequamut.A cdcupilcentia nfa uelud a fonte manat aqua:  que ttygnu palude cffidt.Ne a concupifeentia primu j>uenit cogrtatio/drnide  adioquapeccamus: Achcronpo(lhzccoDatatiorfluuiusc(l:nain per cum tt*  ptimirur motusad dagitiarhic autem poft cogitationem excitatunNrqt prerer  rationem cft quod illum ingenti tumultu ferri Seneca dicat: Non entm poteft  animus Itnefirepitu reludantis confeientiz in facinus ferti:Q^uoniam autem  fauiufccmodi peccandi deliberatione uoluntas in uitium traniitsiccirco in hoc  flumine nauiculamnautamipponunt.Poftuero buiufcemodi tranlltum id au  tem cft poli peccatum/fequitur mceror/quem refert ipfa flyx.pollrrmo maior  ludus qui eft cocytus. Vt igitur ponatur ante oculos illa ut ita loquar} gradatioi primo loco eliconfcientiz motustfecundo deliberatio fu fapiendi flagitiit  poft hanc mæror ac demum maior ludus:primum ita^ ac tertium (lyx fignifi»  cat/f ecundum Acherontquattum cocytus. Sumopere me hzc deled.<nc inquit LAVRENTlVS. nerpme offendit quod eofdem fluuios nonaduna/fed ad  piares rationes ttanfFeras. Videmus enim et grauiflimosin nollra theologia lo  cosuariismodisadodilTimisuiris intcrprctari. Habes igiturdrfluminibus in  quit BAPTlSTA:Nunc quid libi Charon uelit/confiderandu cenfeorNara  portitor has horrendas aquas: et flumina feruat terribili fqualote charonicui  plunma mento Canicies inculta iacet.uerum ut res fuo ordine progrediatur/  non nautam folum: fed £Cniuem limul intcrprerabimurtSit igitur nauis uolu>  tas:licnautalibeteuoluntatisaibitriuni: Nauis lurfus cocoinfuum cu fumdi  ngitur.Hiceledionrm exprimittipra enim eiedionc libetum aibitrium uolun  tatem dirigit t Qoin U per uela eziefles incliuadones non erit abfurdum incel  Iigere: Nam quo czii inclinant/id libenter eligimusmili illis fefe ratio opponat:  cuius tanta uisell/ut etiam fyderibusdominetur.Pergrata hzc funt quz dicis  inquit LAVREntius. Video enim te chrillianorum dogma retinere: ut tamen  mathematicos oinonoirrideasiScdfequereobrecrotSenex cll chaio inquit bA  PTlSTA tqmaiali no tepore ut Platonici:quosfequic poeta/uolut dignitate  faltem et origine prior cil corpore. Adde qdzternacfl:zcemitate aut nthil ana  tiquius:Q_uaproptcr Si, arbitnu libetu in illis zternu:Sed auda deo uiridili^ fc  ncdustqanuquamdeficit.Ellaut terribili fqualore &ex humeris fordidustili  amidusdepcndet.Q_uz omnia ad corpus tediflime ni fallor referuncut : cor«  pus enim ucluti ueltimemum ellanimz: quod alfiduo mutatur ueterafeit: actz  dem tabefcit.Addit duplicem oculis flimmam:quia liberi cll arbitrii ad utmta  ucliiflcdi/dC ad rationis fulgotem/8t ad cupiditatum ardorem.non temere au  tcmncc tine exadilTima quadam ratione herebi nodifip flliusell Charon: Ce£  Iffcnim nox in nobis quz nihil aliud ell nili ipiz ten(brz/quz abinfeinapro  iieniut/nulla erit cofultatioe opus:mens enim fumu bonu perfpicue nofccrcta  &in illud line ulla dubitatione ferret .nuquam enim eligimus nccelTatia/ac fub  lata dubitatide ois confultatio celTat :Quapropter qui iam in tertio uirtutu gea  &erefunt:quas purgati animi appellani/ii prudentia in repe deledu no utunc' t  led przter ea quz lut uera bona nihil nouetutiea^ fola mtuent. Herebus igi  tur.quud uerbu grzce ab obfcuritate originem ducit:ita lefc rationi opponit  Utopuslit cofuitatioci (^uoniauao Cutmdd Keba}acmodeacccllarii&cota la .P.Virg.M.AIlego»   fuUc:opottuit bancuim ea libertate donatam clTerut aut de plutibua unum/aut  de uno <tt ne agendum pro fuo arbitrio deccrtut. Hoc (i itæfta gratia didtuc Charon«Nibil enim iibaius cft gratia cum fua fponteproueniattnon autem a  cuiufquam merito debcatur.Q_uaproptei cogi nullo pado uultsat(^ ea de au«  fa cum Æneam pet tacitum nemus ucnite uidetific prior alIoquitur:Q_uiiiquit  cs armatus qui noiha ad iimina tcdis/Fare age quid uenias idbinc et comprime  grclTum>Nam cum etiam rationem ad (c ucnire uideat liberum arbitri ums Non  ante illam admiære uult-quam difcutiat diligentius quid fibi agendu fit.Qua»  ptopter addiuNcc uero aladcm me Tum lætatus euntem accepilte lacu > quu ne  ad uirtutem quidem trahi uult liberum arbitrium. Verum antea confultat i Et  pofi confultarionem deledum adhibet. Quam quidem rem animaduettensff  billa; (Luimrubiicin Nuilxbci Dndiznccuimtelaferunt;&: ut appareat illum  con cogi/fcd per confuitatiomm peifuaderi aureum ramum oftcndittllleaute  ad uifam fapientiam libenter conuetticur: fiC de natura hadenus.Nauis uero a  czruleo colore confiatilile autem ex albo nigrocp conEcitur.Conteplator enim  inter iofeitiam at^ cognitionem uerfatur.Non enim mouetur quifpiam ad in»  ueftigandum luli aliquid uideat: Rurfus cum omnia in ea re uidcrit definit fpe  culari. Eadem fere ranone futilis hngitunperceptis enim percipienda adneditt  Si autem futilis &, timofa.Nam antea quam habeatur perfeda rerum cognitio/  non ctit ita perpetua rerum fenes/ ut nullum intermedium relinquat: Animas  uao quas ut Æneam recipiat e naui pellit:omnes animorum affedus qui ratio  ni aduerlantur interpretandas opinor. Sed uos fortafie nimis cutiofam nimir(^  ineptam huiurccmodi interpretationem exifiimabitisicum ita minute etiam tni  nmiaptofcquar. An tute cutiofum aut ifia minuta appellas inquit LAVRENTlVS: quxetiamli nimis ingeniofe elicienda el Tentidigna tamen funt io qui»  buscJaboresi Nuncuerocum fe ultro offerant/quis ea repudietr Q^uin igitur  ptofequetetfiC qyz difputationi noftrx quadrant ne przteri. At^ in pnmis quid  libi Cerberus uclit/nobis apeiiiNam &quod cymba gemuetitifiC quo drimofa  inultam paludem acceperit : ego nifi tu aliter fentias fic accipio/ut in altero fpeca  lationis diificultatemiin altero terrenarum uolupratum illecebras : qux furtim  dum uitia fpeculamut interfluunt/exprimere uolueritiPromptum pa immortalem deum ingenium/^ ad omnia uerfanle in te elTe uideo LA VTENTi in» quit bAPTlSTAtnei^ commodius ifia meintapretari potuiflie fateor: Ad cer  betu autem de quo audire cupis /paulo poftucniam:Interim pauca qux omi(<  fafunt/percutramus: Ad nautam omnes confluunt animxtomant^ pnmx  tranl Huuiumpottariitelt dunt^ manus tipz ulterioris amore: Hic iguur con»  curfushocut puto fignificatomnes natura fdre. cupimus: natura autem non  omnes admittit: quia liberum menns arbitrium non omnes ad.fpcculatiooe  adtmttit : nam quod in humatorum animx cenmm annos uagentutt de zgf*  ptiorumconfuctudinc tradum: 6c Seruius et Seneca affirmant i Q^uam rem  deinde Orpheus^ad inferos tranfiulit: Vehementer uero quadrat Palinurum  a fybilla feuere calbgari: nefas enim efi cum appetitum ad ueriinuefligatio»  bem ttaduccre/qui aducHiis rationem contumax fit r Sed redeo ad Ænca;^ at at 0  jlU, DI ii a a » 0 3 i i Liboguartuf   tat) jcm charon ad ahetam lipam iocolumetn traducit.Ipfd «tiim poft diutumu  catamen rationis Kappetttus in fpeculationtm tradudtur.Q_uo in loroaio^  uutn adunfus fc bellum cxdtari Tentit, Cerberus enim ha;c ingens latratu regna  tnfaud petfoiutaduerforecubans immanis in antro.Scd animaduerte qua par»  1)0 negodo omnia a Sybilla pacata reddanturrOffam enim latranri cani porngit  Qua uorata ille in fomnum inndit.Q_uaptoptet occupat zneas aditum cufto«  de (iepultotCerberum igitur ea fortalTe ratione tridpitem poetæ tradideruttguo*  biam illum terram gux trifanam diuiditur /interpretantur. dicuntcp grzce  quali Omnia enim corpora uoratterra:quado quidem io ea omnia reddunt.Si i^‘tut terra eft cerberus : quis non uideat porta  noflrum per cciberi latratus noftri corporis indigentiam exprimere uoIuifTe. Cu  enim ad rerum magnarum cognitionem eriginiunhoc profedo agimustut men  tem quoad dus fieri potefi a fenfibus reucKemusremoritp dircamustnon tamen  ex buiulcemodi mortis comentarione intereat corpus neerfle putestred cft illius  ratio babenda.Reclamat enim ne fibi neceflaria fubnahastlnmrgit^ trifaud lar  ttam.Tribus enim rebus indiget dbo potu ac fomnotin quibus nifi fatis illi a no  bis fiat adeo obflrepct/ut nihil egregium meditari (inat. Cuamobrem nullo par  donegligenda e(l cura corporisrlimplicitcr tamen modelle ac omnino fobrie/re  fidendumtut cum laboribus ruperetTepoflit: nimio tamen luxu contumax adr  uerfus animum non reddaturtpaucis enim natura contenta eft : at<p ea huiufcer  modi funt/ut fine labore: fine fumptu facile comparentur. Nam ne fortafte ad ea  re me te reuocare ardas quibus Ginicus cotctuscfti^oflincuicmdumolusnul 10 etiam lalecoditum fuauilTimas epulas prxbere pofnttaudi ea quibus uolupta*  tum patronus Epicurus acquiefdt :Num ipfe minus uiliflimo panno:quam aut  purpurea aut ccKdna ucfte a frigore defendi rxiftimat.nu fitim nifi chio aut æte   11 uinoatinguitnum famem nifi exquiritiflimisregiin^ dapibus fedari pofte pu  tat: Epicurus inquam qui in corporis uoluptatefummum bonum ponit nullu  aliud pulmentum in coenaptzta famem ac fitim quzfiuit : quem etiam legimP  ad panem raro quicquam prztn cafeum addere folitum.Ficedulas autem ac par  Uoncsreliqua(| ilb flagitia quz et Maaobius in pontificalibus Tuorum tempope  ccenisdeteiiaturt&nosno ftratempeftatein romanorum przfulum dipibus fir  nefumma indignatione ac gemitu meminifte non poflumus ueluti pemitiofilTi  mamonftra exhorrebat: Qua quidem in te ego terni LAVRENTI ficut inc zr teris temperantiz partibus iumma laude dignum puto;Nam przter id quod plu  timos iamannos utiunfiurarum articulorum dolores efFugias:uinum non bi bis nonne pro miraculo haberi poteft/ut tu in tanta mum omnium affluentia: in tanto urbis noftrz luxutin frequentibus lautiflimir^proptaalTiduashofpita  liutcs BC æbra fodalitia tuz domus conuiuiis nihil intuum uidum nifi fimplex  ac populare fumas: Q_uzdum cogito redeunt mihi ad memoriam ea quo quzdeFederico Vrbinatumprindpcnon folum audiui:fed etiam propter antir  quumhofpitiumfl Cueteremamidtia fzpiflimeuidi:Inquoduce et fiplurimz  aliz^ ea magnitudine uirtutes elucefcant/ut ueluti folis radiis minora fydera  Oiancfcunt t ita hzc illatum fplendote obruatuntamen quis non obftupefcat ta    Id.P. Virg.M.AlIego;   tiu Meorinaum acrobrirtitf modicamincaftrisubiuJrtrolrt   Wtn f*t« inopia nullu inter fumtnfi duce ac extremos lyxas et alones d.(c^«,  elTe patn tfed domi quocj ac in aulatin qua cu ota ornamenta pana  fefe offerantmec uiq aut liberalitas/autmagnificeoa defideret s tamc difcubent*  illo nulli aut palalaSo aut nometano/fed Bi philofopho et oraton ocw relin^  tur.lpfe enim a primis annis uini prciflT.mus fuiticuius ufum paulatim inteitendo eo progtelTus eft/ut iam diu illud omiferit/nemo eQ qm communioni   epulis/nerao qui fimplidoribus uefcatur/quibus dum corpons U.TO r  fiaui(rimisinterimd Wu«o™“‘l'fP»°"J'l?“perfipefii dum lingulis annis ualitudinis oaanduj raufa romanos aumnmos Sfugiensadillum diuertor:uidearmihia Sardanapall.c«rn.sm AIano.conu.-   uium inddiffe/K ad aliquem foaaticum hofpitem deueniftim quo pnfc* con.  tinentix ueftigia tam uehementer me deledat/quamm notoojir hominum qui  rubris nigrifqj galeris:ac niueis riciniis totius fanditatis doannam phtent luxm  lafciuiam exaritat.Pudet enim pudet mi Uurenti pigetip noftroju «orumm m  totius rei publicx chriftianx curiam in qua integra religione maximaij dodnia  nonnullos optimos patres K tanto fenatu dignos elTe non negaueom/iis homu  nibus aditum quotidie patere uideamiquos ego tunc demum fenatorium ordi.  nem romx iure obtinere cenferem/li Heliogabalus ib inferis redudus rurfusim  peraret. Verum cu hxcme alio in loco deploralTe meminenm agamus quod iltat.  AtcB naturam noftram minimis cotetam effe intelligamus.Q_uod cu expnmere   cupet Maro Sybillam quxueradodhinæft inducit offam in qua et andu 8Cb^   mefcens fimul alimetum fit/Cerbero porrigetem/qua faale et fihm? I*'   det:& in fomnu inddat.Aureu pfedo prxceptu.Nam qui aut Uutiflimis epulis  corpori indulgetiaut uaria uina exqrit ipfa crapula at(j ebrietate « c^us contu  max fibi reddit/8J animi aciem ita hcbetat/ut nihil altu fufpicere poflit. Upt^  quidem funt ifta qux dids inqt LAVRENTlVS. Verum de Cerberonon idem  TOCtas omnes fentire uideoiMaro enim eum canem ita latratem inducit/ut non  egredi fed ingredi cupientibus aduerfet":cuius qdem rei rationem optime a te ex  Mfitam effe intelligo. Nam huiufcemodi corporis indigentia non iis allatrat qui  corpus curadum redeutifed iis qui illo negUao ad ueri cognitione £0“«“^  ItacK ut dixi ego qd Maro fibiuelit plane tenere uideot; Veru cum apud Heli»  dum poetam ut te non fugit nobiliflimum legerim Cerberum uenieti busauda  auribufm blandiriiExire ucro nemine patiiln infidiis enim delitefcesjqucmcua  extra ianuam offendatiftatim morfu laniat s no intelligo quo nam modo hxcoi  no inter fe diuctfa non fint nifi fortaffe alium ad inferos defccfum  um Maro exprimere uoluerit.Ingeniofe tu quidem inquit ®  dit enim ad infaos xneasiqa in uitiopr cognitione tcdit:Q_uod fi ita eu ingit™  enti aduerfabic Cerberusrodit enim hxc corpusiFac aut aliu no ut imU nan^  cognofcat inferos petereifed in ipfa uitia labi auribus 8i cauda bladiet Cnbe^  qppe qui illu ingredi cupiatiNam qd aliud moliunt' iquid aliud conant perd»  boies nifi ut tridpitisbelluac non folii indigeti* fatiffadatifed oes uoluptates  plcanuQ^uod fi ide ifti nonunq pdita uita reliqua «id enim eft infaos egteoi* - >4^».Liba guam»   tcnctit tuc latrat tunr mordtt canis.Rrde igtt'’ addubitaftt.Rrdt us aut dubitatio  orm fuluifii.brd ut ad Maronis cci bttutn rrdcam facile ille (imp KnlTtnis rpuHs  arquieuits Acneasautnn celer ripam cuaditsNon enim lente K cum fegritie bacc  adtunda funcfcd omni contentione at<]t ardore captiTcnda. Qucniam autor do in rebus huiufccmodi cft ut primo uitia cognolcanf. Cognita deinde effuga»  lunut pofirtmo illis purgati rerum diuinatum in quibus fummumbrnum con  fidit idonei contemplatores eifiriamur/erat illi totius bumanz uitz curfus mrn<  te repetendus/ut peripicuc intelligeret no folum quato fe fcelere adnngit qui no  biliore fui parte neglcda in uno corpore:& in iis qux a corpore fum uoluptatib?  fpem omnem reponunt. Veium etiam quata miferia opptimanf. Earo enim uir  tutum armis quibus folis uidenes euadne potuilTi nt penitus exuti nudelilTimis  fortunzidibus nudos fefe obticiunt/& ut ca»era aduerfa/qux innumera quoti«  die æddunt omittam /mortem ipfara qux lingulis borarum momentis impedet  uelub lummum omnium maloium rxlKHret.Q_ui quidem matus enam Ii nui  la alia ptutbanone adiaans ipfe unus nos nunq refpirare linit.Quaprnpter hac  iirpeipfosmfantesin pnmo uitz limine petere oftedit.Hac et in fontibus p uim  mferri edocet. Hac et libi iplis eos afferre demonfiratiqui adeo imbecillo animo  fimt/ut grauilTimis quibufdam ptutbationibus fe pares gerere nequeat. Qux q dem omnia diUgenter intuens xneas decernit tadem hoc in primis fapienti prx«  fiandum elTe ut culpa uacet/mortem autem ipfam inter naturx munera eoumc  ret/cum cz ea no folum nihil mali nobis id eft animis noftris eueni» / fed contra  fummum bonum/quonia a tam tetro carcercfoluti in noftram nanira rcdeam5.  Qua qdem ratione faceti cogemur amice at<^ indulgentet cu illis efle adum qui  antea ad buUifcemodi miferiis erepti Itnt/quam in casinciderint diuind omni  nomunus illudincIcobim/ttbito Dcalunonecollatumtquipfofuma in ipfam  deam arqi in matrem pietate moetemcofecuti fint/Cxtenlt^ omnibus natienb  bus ac populis fapietiotescl Te traufosputabimus/ii enim populi in thracia funt  qui fuorum onum multis lachrimis ac lamentationibus excipiunttquot mala il«  hsin uica cucnmra line enumerares. Obitum uero omni genere lattitix fcquua  tur.Cogitant enim quot erunisq uariisgrauibufip fortunx cafibus morte libera  ti fint.Huiufcetoodi igitur rationibus paulanm xneas moetum mortis deponit:  Quin fi aur fe aut quempiam bonum uiium fupplicio morte ue per fummaiiv  iuiiam peti uidcbit non duliilHme ur Xanthippe illa de (bcrate falrc merenti hoc  cucnitetdicet.Scd quod uetumefferapientes norunt Ihilti uero negant a nrmi ne nifi a fe ipfo quenq Izdi polTc affirmabitmetp quicq quod turpitudine careac  in malis cuumerabiti^uin Kfoaatica argumentatione couincctquicuipiniue  fiecrudeliterip in aiiuiu «gerit non illum fed fcipfum iniuria alficere.Eos autem  omni odio infcdandosducct/qui animum immortalem fiuptr natura itaro bulium/ut humana omnia contencre polTit adeo fua ftulttria enenuuerittadeo £ taua confuetudinc imbecillum reddittut famineo amore incefus in eum pau»  tim furorem ptolapfus fittut fibi ipfc manus atruleritiK morte q fummum tC> fetnalum putabatiid quo urgebatur malum effugere tentauerit. Qua quidem  in te pnmum ignauiam ai<f incttiam cotum damnat:quia fua culp in eum Lbt   o ii    In.P.V;rg.MtAIkgo. dinofum atnortin inciderint quem Plato ab humani» morbis natum affirmat:  quoniam illi eofoli afficiant qui uentri ac fomno dediti: et diuinitate fua quam  aroris denlis tenebris obrui pemuferut penitus obliti nihil præter caduca : et aut  morbo aut ætate cito perituram corporis fortnaih reTpidunn Quamobrem bis  pcccant. Nam 8C a principio Tuo deiidioro ocio ac libidinofa lafduia effedum e(l  ut in rem follidtudine plenam inciderint. Deinde cum morbum fua culpa cotn  dum diutius pati ncqueant:fumma fc impietate afttingunt qui a fummo deo in  coipus ueluti in cuftodiam mifii in iuflu ipiius illud deferunt.Specula^ poii bax  extremam eorum hominum inlaniam/qui cum perfummam iuffitiam intrati/  quillo fccuro^ odo degere poflient/per fummara tame inturiam ac impietate pa  cem pcrturbare/ac omnia mifcere maluerut. Nam aut nulb iniuria affedi ipfi ul  tto auatitia ambitione ueimpulfi ferto igni fraude nihil tale merentes laceiletut/  aut ipii lacelTiti nihil de iure quod hominis pprium eft difeeptantes ad uim qux  faamm ed fe contulerunt: Hinc genus humanum cui pa edeordiam in fummo  odo uiuere licuaat affiduo mifccri uidcmusiHinc multarum regionum popula  dones fiC infinito;: mortalium catdes oriri aiaduertimusmt cum undi quzeu^  nobis calamitates eueniut colligerimus:nulla homini q homo acerbior pedis in.>  ueniat : Vides igit q exada lapietia hasc oia poeticis ligmetis exponantur.  quidem quoniam huiufccmodi clVe animaduertit/ut et cum fcelæ dant/ fit po£ fint etiam uido carere/placuit ut una ac limplid cdmunit^ uia irecur.Cum autea  Deipheebo iam difccirum fuerit/quonia eam iam fefc contcplanda offerut / quz  aut penitus flagitiofa (int/aut pcul ab omni fcelæ folam uittutem continet du  plicem iam efle uiam oportetrut altera in itnidram ad ui tia defledaturcAltera uf  to indutt^tnaduirmtesdcueniat^Hociglt inquit LAVRENTIVS fitPytba  goram illum exprimac uoluiife acdiderimtqui littaam yadinuenit. Quod no  latuit Perfiuspoeta/cuius cdillud.Et uitz nefeiusenor C5eduxit trepidas ramola  incompita mentes» Ifrhuc ipfum inquit BAPTlSTA.Sed uideamus quzfequa/tur. Æneas fub rupe (inidra mcenia iata uidet triplid circudata muto, fetifica p/  fcdu tartarotum defcriptio.Locus enim exprimendus iam edin quo uarialole/  ta puniantut. Hzc grzci tartara ab eo quod ed tarattiiid enim cd pettutbatetex p  turbationibus enim uitia oriunc .‘cademi^ paturbatam femper peccatoris meo»  tem tencntilnduduntur autem triplici muroiquia non una ac fimplid uia fcd tri  plia peccamus.ptimo enim quodam folo animi motu ab deprauata uoldtatc fce  Ius condpimus.Secundo deinceps loco accedit adus.Qui podtetno iteeum at/  iterum muItoticnf(^ repetitus habitum obdudt.Q^uamobrcmhzctria in tat  taris iure expreflit poaa quz procul a uiro beato edic tedatur laaoruffl cartniiid  uates.Ille enim fiatim a principio dc ordif. Beatus uir/qui non abiit in condlio i  piotum.Videsiammotum primumanimi adrcclus.Ocindc fit in uia pacatora  non dctit. Quid enim aliud uia cd nid ipfa adioreitquz depius repaita nd am  piius in motu ed:fed iam fedcmdbi ponit fit redda in habitu iam coadabilito.  Rcde igit fit in cathedra pedilentiz non fcdit.Quod autem flammifluo phlege  thontbis flumine tartara ambiant" :minimc abfurde dixit. Odendit enim aidp/  cem itacundiz: fit arumotum zdus quibus id hominum genus alGduo torretuta Tantum fnim tH uittoruu odium/ut et qui illis delcdati lutif tandftn pcraitoi  tiamdcdudi uitaniprattcTitan]datnncnt:urhcinrntn(^ oderim i fibi uno ipfia ætnime iraiiantur. Nam tu donum cblTes tranfifTc dies luretn palufttttn: Ca  ptiui tamen unico habitus dnnui inuiti trahuntur at(^ ira furore^ exeduntur. Quapfciptcr tapidus flammis ambit torrentibus omnis t Tartareus phlegethon. Nulla cnun fomax/nulb fabrorum oflirina magis exxfluat quam feeleratorum  mens Nam Taxa a flumine contorta oflendunt quam graues quam molefli flnt  buiufccmodi motus ati^ «agitationes. Addit ad ba;c portam munitifilma fit foli  do adamante columnas: quibus locum ita munitum redditiut net^uirorumne czluolarum ui efitingi poflit. Quid ergo flbi uult dodiffimus uir: Nempe  hoc ut puto uiros flagitiofos ac permtos cum in tartara deuenerint. Id autem est cutn longo habitu fcclaum mancipia cfFcdi fint/nullis uirorum monitisi nullis diuinis ptxccptiss nulla deniipfyderum clemmtiainde eripi pofleiQ^uaprcs'  pter iute tales homines fit larini perditos it grxd afotos appellant.Erit igitur in  quit LAVRENTlVS amifliim in illis liberum mentis arbitrium ut fit fl uelint  aduirtutem redire nequeant. Video fit in hoc ingenii tui acumen inquit BAPTi  bTA. Nam breui interrogatiuncula illa omniaconcitafli: quz a grauiflimis phr  lofophis de uoluntario dem inuoluntario quzri folent. ua quidem in re no solum ingenium laudo/ redconfilium quotp uehrmenter approbo .Nam cum  multa liefe tibi offerant tquzfloc cuiufquam auxilio ipfe tibi foluere polTis/ea  tamen ab alio dici mauis/ut fit raodeftizquod nihil tibi arroges: fit igmiiquod  prudenter interroges flmul laudem feras. Verum facile ita huic loco occurretur  li dicemus non uoluiife poetam ineuitabilem neceflitatrm/red eam difficultate quz impoflibilitati proxima (it demonflrare.Sed fac etiam(^(T placet)omnrtn ex  cidendi facultatem adimere. Non tamen dicemus flagitia quz committunt in^  uoluntariacffe.quando illorum principium uoluntaiium ruit. Nouitenimin#  continens peccate curo adulterium committit: potefl^abflinerefi uult. Peccat  igitur uolcDS donecafliduishuiufcemodi deprauatis adionibiTs eo perueniat/ut  contrada iam intemperantia etiam fi uelit abfhnerc non poffit/non tamen inui.'  tus dicetur peccaffe/quamuis tunc nolit quoniam licuerat a principio/modo uo  luiffet in firmum illum intemperantiz habitum non deuenireK^ uaproprer no  magis inuituspeccaffe dicetur/q qui fua fponte in quempiam lapidem iaciat de^  inde pOEnitcntiadudusteuocatetfipoffet lapidem : qui per ærem fertur quoni  amnoUer hominem ferire. Ferit igitur fi! bene uolens : quoniam initium a fua  uoluntatc fuit. Sed hzclatiusapud Ariflotelem in libro de moribus difputata  inuenies. Itatp redeo ad zneam : qui ut uides urbem ipfam non ihgredit. Nam  qui uitiafpeculanmrnon uniantur interuitia .lllorumuerouimat^ naturam  a S)rbilla(^nam eunda edocet dodrina^penitus intelligit. Procul tamen in limi  ne Tyfiphonem uidet.ponit igitur furias in limine tartari/de quib^plzra<]p quz  a poetis finguntur uelutinotiffima omittam. Plane aurem conflat placuiffe pri  (as foiptonbus quicuni^ maiori flagidofeobflrinxetint a furiis uexari t ut in  Horcfhs Alcmconifi^ matricidio uidemus. Quo in loco quidnam aliud expri  tount furiz : nifi inquietudinem æpotius uexationem quandam turbulentif In.P.Virg.M.AUego. Narorima hxttd uluo quod fe ludia neroonoanaabfolmtur. VtminU  cts/ut mdida/ ut d«d<cus/ ut infamiam effugias ; nemo uident : nemo a^ienfc   Q uitcftisdtaripolTitadcfttamen Sp& confciennaiquxu “*8«* Sicium rapit. |au.ff.mum tcftimonium dior i comnncjt ^am «jb cod,; U^uenaled.fc  ilU flacellai hi fcrpentum moifus quibus fun* nos «agitant. Habes de tun t S aurem Ufcelera. at, V «auilf.ma«iftunt a principio enumexat. Impietatem in  S in homincs.Nam et tianiam prolem   flurni naulo ante dicebam / confæntix cruciatum dodioreinterpretantu^ ?e enm ueluti Ceuiffmus fcelcrum uindearqux flagitio obnoxujU^ i^  na affiduo nmarur: et dum commilli in mentem  dia corrodit /curafm afliduo excitat /nec eefpirandi fpanum  ueroK fxioncm tyrannidis exemplar effe uuir/quo Upfura cadenti imminet affimiUs: Nunquam enim fine pe^ione uiuunt. (^uod et Dionyfius ille iyracufanus Uamodi tamilun  L illum beanffimum putanti probe oftendit / cum illam ita int«   ^s epulas ac pretiofa unguenta coliocaflct /ur umen metu   fupta caput equina feta pendentis nulla poffet uoluptate a la.   mSlto rnelius\ofcunt h^ines quam detur modo impeni acquirendi fa tasttuitate fciant.Ncc ueto diffiale eft intelligne quid ftbi   te ora paratx regifico luxu; cur furiatum maxima luxta   ptohil^t contmgæ menfas ; Neq, emm uerius neq, «prelf.us   Le potuittqux in eam homines dementiam protrabit/ut cumpluniM^   geffeS/tum maxime fame per, re malint quam congefta   fe et pulchre Orarius Tantalo illos comptat / qui apud in miiima aquarum pomotumtp copia fm fame^ torqueatur. Pulchre em   am^ illud tCongefiis undiq, Ciccis indormis inhians et tanq^uain   SI coceti* j pidi» unquam gaudete ubellis. Magna ptofedo nutn da qw non norunt harum rerum poffelTioncm non propter fe   ntef illatum ufum.6 uapropttrbonailia nontede/uuliaautemtecteappmus. Sed nimis mulu quando multis iamin locis de auanua diximus /i deliqua uidcamu* : Saxum enim ingens ii uoluum i. Quotum uiu per Itm  mam mftriamin eo uerfaturiutCcmpcr ea prtantitamohn “ir ««/qux aut nativam aut fortunam suam confbtuu efficere nequeant i o^el^ eoii«  conatus irtiti mefficacefij fint.Rourum uao udus dettndi pendere nmw‘ Kdicuntur.quinibilranonefiiconfilM) ptzuidcnteiinihil P‘“^,  deo fe fortunx conimittilnt/ut eius cafibusuelun inter eutyp fludibus ucw  affiduo totentur. ne« uittutem ullam habent in quatn ueluu in tutum ttanq him potturo W^tteapoepofli Bu Huiufcemodiigitutu Ut tactchqnaquxpItt r- Liber guaitiu  rimi uaria^ fuot edocet Æneam Sybilla / dodum^ flattci ut feiUis «pii>  ct admonet: ut punis campos clyfios ingredi poflit. ms igitur Matontm  a Platonis dogmate difcedcrc diat. lllc enim cumfummum bonum in di'  uinarumtetum cognitione pofuiiretiproptetea^ ccnittctomniuuiuium gr^  nete excellere cum opottæ : qui cum Iit futurus beatus / tamen ab iis in<  dpiendum cITc oftcndit qua: Ant in uiu et moribus poliiz. Cum enim dv  uioa / quæ puriflima 6i ab omni labe corporea impolluta lunt impurus nr-<  mo attingere ualeatt pcrhuiufccmodi uirtutes expiemur neccire cU/ illis ctjita  tL uitia cogDolicimust SC cognita abhominamunat puiilliau ndiu i.xlo^  fiia ac immortalia egredi poAumusiHac igitur ratione iinpuilus Maio cum  ad tummum bonum perducæ honunem uelitt ira Acnram iiiflicuendum  curati ut primo uitia omnia edoceat/ deinde illis cum opiaium ad campos  clyAos perducat. Cognita enim uitiorum turpitudine totum odium  Boa inepuiquz quidem prima omnino lapientia cft. Audirus cnim ad il«  km/cA,ut fiulritia careamus. Sed tu nefcioquid mirabundus tecum animo  ooluisiifibuc ipfnm inquit LAVRENT1VS. Stduide.quantum tibi extua  diTputationc debeam. Dum cnim mihi planum icddeie Maronem ttnusi  id^ efficis eodem tempore in noAri duis diuinum poema induds. Nunc enim demum pcrfpido quid Abi uclit Oanihcs qui piimum ad inferos descendattat^ inde emergens, nullam aliam uiamniA pcrpurgato iialocaadca;  Ium inucniat : Made uiitutis adolcfccns inquit liAPTlSTAi qui non ea ib  lumquz dicam Si A diffidlia Ant facile acapias. Seu quadam Aaulitudiueou  dusinde ad alia accedas/ut cum ilk maximam laudem ex diiigcntiilin<a quadam ingenii atrihd^ plena imitatione alVccutus At : tu quoqi uuuciedio  acm laudem mcrcaris.qui bzc omnia/quanquam uebemcutcr dilliuiuJata lint  in illo poeta rccognofcas. Ego uero inquit.L. quantum cx huc merear ipfciu«  dicabis tqtianquam ueriorne nimio in me amureiaplus noAiutnlioc ingcnk  um longe pluru facias/ qua oportet.iliud tamen Si A alicnuni a ptopolito fcf<t  mone uideatur/non omittam .Tu autem quod dicam ea laiiunc amc dida  ædas ueliin / non ut meum ueluti decretum in tanta icponam / fed ut iudtci'  iitntuum quod ego onmium reliquorum ludicioaotcponomcu uerbis elici  am • Ego a prima pene puetma cx uiaufqi patentis m Aituio adeo famibate uni  uctfum opusAorentim poecz mihi reddidi / ut pauci omnino Ant in eu lod  quos ego Aquando illi huiufecmudi oblcdamcntt gciius rcquitcter.t/ non fa«  cilc ad uubum exprimerem. Sed quid poteram puer ex um dtumo uacc ptet  maa uerba pcteipcre.Nunc autem cum uniuetfum rci argurocniu mciice peu  curro tumma admirauone cius uiii ingenium ptofequor.Na oi lu upexe fuo te  xendo pauca onuiino Ala de uirgiliaiu teia mutuari uideac ttameii mde oia pe  ne Ant.l uiobtcmnuncnd demum inteiligo/quod nos cx Cict-roms peepto  Izpenufflcco Lidinus admonete folct cc in aliquo imitadu diligctcm oino u* dooe adhibcnda.Nci^ enim id agendum uri idem funus qui fuut miquos imi  tamut.Scd cotum ita iimilcs : ut ipla Amilitudo uix illa quidem neq oiA a do  dia iatcUigauit.Sed tu A uidetut ad inceptum tedi. Cum igitut inquit. et la.P .Virg. M. Allcgo. omnibus iam uidis expiatum Æneam ad eamm rerum cognitionem Mato  deduAurus elTettqua; in casiis funt noncxlum fed elyfios ampos nominat. Miro profedo ingenio u3tes/& qui eodem tempore et figmento fu o Kuerita  tiin(eruiat:Nam& (i apud inferos poetarum more heroas relcgalTct i tamen  nt hzc omnia de czio ilium fentire animaduertamus largiorem ztherem : ac  fuum folem fua^ fydera illis tribuit / ut cum a figmento nufquam difcedat  philofophizumen ucritatem profequatur. Nos autem (i quos uirosilleincz  ios reponat diligentius confiderabimusiea omnia quz primo difputationis die  de utroi^uitz genere a nobis erporiiafunt acubflime ilium elTe complexum  animaduertemus / ut K qui in rerum cognitione reIigiofe/8; qui in adionu  bus ac uitaduiliiufte uafati Hnt digni omnino exiftant: qui in czlumuelu«  ti in originem fuam redeant i Q_uapropter BC Orpheum Si Mufeum ac reliquos qui cafti fuerunt facerdotes : qui phoebo digna locuti uerum reliquis ape  rite potueruntsqui uaharum aitiu inuentioneuitam cxcultiorem reddiderunt  tanquam fpeculatores cotnmemorat. Nei^ tamen eosobmittit qui aut piisar<  mis aut confilio opera induftriaat audoritate rem publicam dcfendcruntiK  in duiliacfocialiuita ueifati funt.Huiufcemodi ita animos ab omni corporea contagione expiatos cum fimplidlfimz 8C omnino incorporez naturas  fint: SC maximarum rerum capaces exiftant mullis locorum anguftiis arcuferi  ptos nullis regionum terminis inclufos eum animaduettac sed liberrime per omnes mundi oras uagareuideat: ita Mufeum loquentem indudt: ut often. dat nulli e(fe certam domum Quin et cum ita fenoit quz gratia cunumiarmo  rum^uiuis fuit quz cura nitentes pafcere equus eadem fequitur tellure repo  flos, demonfkat non clTe fcimroemoremeotu quz et divinus Plato t placo,  nicus CICERONE de animis noftrisfentit.Cenfent emm adminift ratores terum.p. cum in czium recepti fuerint regendorum hominum curam non deponere.  Net^folumii quiiuflepieqt uixerunt eodem audore iifdcm (ludiis detinen. tur corpore exuti t quibus dum uita manebat deledabantur: Verum llagttio.  forum quotp animi quoniam multum ex fordibus quibus intta corpora fe  fadauerunt/ fecum inde trahunt a prilhnis curis difcederc nequeunt. Vidt«  ftis ni fallor longum quidem iter ac difficultatibus erroribufi^ plenum: fed  quo tandem uir uirtutis amator finem diu concupitum attigent. Per uari.  05 enimcafus pertot diferimina rerum initaliam tendam s OC in quietas f&.  des deuenit Æneas. Quem quidem fi imitabimur nos corporeis pedibus  liberati / SC nitido uirtutum fonte irrigari eodem uitz genere SC dum intra  hzc corpora uerfabuntur animi nofiri gaudebimus /& cum inde uoiucrint  innoftram originem reuerfi zterno zuo fruemur. Q uz cum ita a BAPTi.STA dida fuilTcnt : ut difputationi finem impofuiffe uideretur/nihil polfutn  inquit LAVRENTIVS in ram longo fetmone defiderare.Nam a principio ad  hunc uf^ locum ita perpetuo tenore difputatio perduda edtut nihil aut inter*  niptu/aut diuulfum/aut ptzcipicatu t in quu inter mediu aliquod rclidn omif  fum ue fit qri poffu.Sut eni oia mirabili fetie colligata/& eo ordiecotextaiut ni  hil inde demi pofTintiquin quz tcliquutur manca fmt futuraiK nihil addi qrf  J M M S IJ i J i-S rg.§S l-l 1 t-i t 1 1^4"S fi-lltt  quidem 6 ab/it /multopere requlreudu uideat. Ignoscens tamen nimiz cupidi  tari no(trz/ri td nunc rcquiram:quod cu uehementer mihi planum reddi cupii  idne^badcnusateez porituintclligisnc locuinquo deinceps exponi poflit  teKdu uidei:Ezpefiabam enim non modo fufpenfo uerum etiam anxio animo quid tu de iis fenrircsrquz furpiciens Anchifes fuo ordine pandit. T u ueto dum  rcbqua inter dirputandum fuis quz^ lods difiribuis/illa no ueluti familiaria io  iufteeiedarfcdtanqua aliena rine ulla iniuria czclufa procul a tua difputatione  amouifti. Qua propter incertus fum quid agam:Nam ne audeo te longa ora rione defatigatum quicquaprztercarogareme is quz fcire cupio zquo aiu^  mopoilu carere. Hic arridens BAPTISTA meminiife inquit te oportet o Lau  miri nos huiufcemodi terminis aniuetram quzfiionem drcurcripiifre : ut quz  ambagibus quibufdam/atip allegoriz figmentis obfcurata effent aperienda pro  poncremusim autem ea tequins quz fuis uerbis fine ullo figmento enarramr. Ego tamen non ita exada ratione tecum agam/utquodexpado debetur/id fo  Ium enumerem t Sed prauerid gratis aliquid in ea hbcraliiatc accedere uolo : Id  igitur quod Maro ut Principio czlum ac tenasicampofcp liquentes. Lucentenv  ^globum lanzritania^a(ha:Spiritus intus alit : huiufcemodi eri utftoicora  de diis opinionem refetat:Longum effe fi nunc omnium antiquorum philosophorum de diis immortalibus sententias referam. Q^uz quidem tam diuetfx  ta^ inter fe aduerfz funt/ut totidem pene reperiantur/quot funt eorum qui feri  pfciuntcapita: Nonenimfingulzfolumfamilizfingulas fmccrias excogitari. Sed fzpe inter fe eiufdem fedz uiri uehementer de re ipfa diffentiunt. Verum ut  reliqua ad przfcnsmiffa faciam et ad ea quz przfenti inquifitioni confentanca  funt deucniam:plzri^ ffoicotum:fed przfertim eorum princeps Zeno universum mundi globum mentem et ratione & fummafapientiaprzdita habere æ«  didaunt /eam esse ignem quendam purissimum ac tenuimmu. At ueluti ani  mi noftri per fui corporis particulas oes diffunduntur/ita illu per oia mundi me  bta ueluti geniule femen unde eunda procreantur penetrarciquippe qoi uigot  fcmeni^ fit omniu procreandorum. Virgilius igitur qua uis ui reliquis a Platone  fuo nunqua difcedat tamc cum uidiffet Chiylippu in eo quem de natura deope limpfic libro Orphei mufd Hefiodi at^ Homeri fabellas ita interpretari ut ide  prifcosolim poetas fenliffeconeturoftendereiquod multis pofiea annis (loici  fenferuntifbtuithacinreneab iis poetis quorum fimilis effe cupiebat diftiml> Iis putaretur ipse PORTICUM fulcire ac floicis adhauere.Na Platonis longe alia  fententia eff. Ponit enim deu penitus incorporeum:at^ extia omnem materia  omnem mundum inipfoczlidorfo exiflentem. Qua propteeillu hypcrcof  mlon appellatiquoniam eifentia sua supra cxli uerricem mancaticum tamen ui ac providentia nufquam abfit.fed omnia circufpiciens etiam minima curet.In  phzdro enim ait. Magnus in czio lupiter citans alatum curtum inccditJ^mua  exoinanscunda.Eodem in libro demonftrat locum illum neminem adhuc  laudaiTe poetaiummec unquam pro dignitate laudaturum.Q^uaroobrem cum  Platonici deum eztta mundum ponantiquibus etiam Ariflotelici alfentiuntutt Stoici aut illu per omne ut dixi mundum diffundat, qs no uiderit Virgilium /i in. P. VIRGILIO (vedasi) W. AII fgo. cutn dcutn quctn in potticu uiderat dcfcriplii Tcnnimorip noftros illius partica  bs elfe a Chrjiippo acccpilTe.Cu autem prouidcntiam dci multis in loas prafe quatutinufquara a Phtune difcedit. Non enim idem omnes rendum.Quzras  fottaUe quid de mundo sentiat PLATO [PLATONE]. Ccufet quidem animam eu babcrc/a qua reliquorum animantium animz (int. bominum autem animos abeo deo que  paulo ante dixi creah:££ ratione exornari uultiCorpus autem atip cacterasoes vires quas praner ratione mia bi seiTefamus bomiiaiabanimo mundi elTe (ai  bit.EQ enim lile dei uicatiusicuirjlua uniuetla ueluti fua prouinda denudata  Imltai illi uita moturai prxbet/non fuaui autfacultate ledquicquidagitid  uelun dei in(humentuagit.Oeclinat igitur paululum de uia Matotat a Pia/  tonefuo discedit. Cum autem dei prouidentiaplunmis locis profcquicuri illi  totus adbzret.Non enim idem omnesfentiunt.Sunten:minfortunz qui calt  bus omnia ponantiK nullo credat mundum rectore moueti.Q^ua in sententia Leucippum abdaitem/eiufe conduc Oemoctimm: Protagoram quo^S  Theodorum ac L’ORTO repenasi^unt itidem qui Andotelem fecuti non ita  odofum deu ponauut nibil omnino curare dicant. Illius tamen prouidentia Iu  nz orbem dclcenderenoæduntiSunt deni^K tettiiqui fitliuniucifumper tingere illam uelint maxima tamen dutaxat curatr/mininu ucro omnino negli  gere opinent. At Piato ut eunda a deo fada putat/ ftc eunda illum curare exifti mau Atipbzcdedeo.Otbeucto quo uiallim animos nodtos ab inferis ad coc pustat inde rurfus ad inferos tranfirefaibit ab academia cftc non negamus: Verum si latius de re buiufccmodi dilTcrendum propofuilTcmusiextant multo  diuiniota quz a tato philosopho de aiope corpore difcclTu pferre poiTimustSed  difficile oino eff um breui tempore res arduas longa diligende otadone explicandas bisanguftiis includere ltaij quod roluminffat idagamus lnuenies igitur apud Platonicos cu mille annos apud inferos fuciint animi bominn ad  corpora illosredireiatijinde uidffim ad inferos remeate.ldi^ totiens facere do  nec duodedm anno^ milia tranliednt. Hunc enim orbe perfedu extChmat.Na  eo fpado penitus purgari aios CTcduti^ptcrea^ poffe illos tu demu purgatos/in  fuam origine et adezicifes fedes reduc: Q_uod iiquis fuerit qui pbilofophiz fe  dcdacibuic ta fadiis purgado obumit:ut aceat ei poft tria annopt milia ad fupe  ros euolate: Adduc ena fiqs teligiofc oino uixeritieu ante mille annos H purga/  ti/S purgatu (fatim in fua origine redire: Eff prztcrea quemagnu annu appcl/  ]at:quc cuc finiri aedunt cum fol una cu luna ac quin^ reliquis enatilibusffel  lis ad eade zodiaci parte rcdieiint. Exado igitur boc tpis circmtu:quc et si vatta sit dodoru de illo uiro ru sententia rex tamen ac triginta millibus annoruconfi  ci plzrii^ acdidere.ccafec Plotinus omniu bominu animas ad eunde uitz babi  tu rcditutas.Hzcigif'& qualia (int/& quid facicnda/fadleexco libro perapi  cs/que nodu expolitu in manibus hic noffet Matfilius habet: nec adhuc edidit. Vciu ego cum apud ipfum inbgbinenffdiueniffcm/cafuin cu incides aperui locof  quofdam fuma cum uoluptate percurri. Res omnino magna eff LA V/  tcd/fl( magnis ingcniuinbus ttadata Sprotfus digna in qua labores. Poterit nitn no tolum maxima ac pulcherrima et homini fe ipfum noffc cupiend per quartus   aeeelTariatedocercrcdmrummatn quo admirationem rapere. Scnbit enim  non phyticcCut plxri solent sed metaphyiicc de animoru noftroru immorta  litate/utplane poffit de ea re omnem dubitationem amouere. Quem librum cu  Icges/&ha;c quz deMaronereqiuris:&plzra^ alia quz nos paulo antediuinif  fima cfle non rumusmentiti/facilec^nofces. Qux quidem res facit ut in iis quzpo (hilafiibre uiorquelles /forta(»fuerim.l^hil tamen eft quod breuitad ^cenfeas. Nam cum ea requireres/quz nullis eius difputationis quam pepige  camus cancellis includerentur/poteram illa meo iurefilentio przterire. Itacpid  facile fi forte obiidatur diluam. Apud vos vero dodif Timi viri quomodome  purgem non invenio.Video enim dum pofiulanti LAVRENTIO nihil d&>  ncgo/duplids errati culpam inddifle.Nam quid me aut loquadus fingi poteft/  qui quarto iam die ea eruditifiimis aunbus uefiris inculcare non delinam: quæ quadodrina efiis/uobisqua mihi notiora fint: aut aud adusex cogitari quiim  praemeditatus ad differendum de iis rebus accelferim quzado dilfiinis iifdci diuprz meditads uids uix faris eleganter pro sua dignitate explicari folcant. Im  mo quid humanius/quid tua fadiitate dignius refpondit Alamanus effid potu  Itqua meanobisodofis dilferere quz tamen magnis vehementer cp urgentia bus occupationibus przponere non dubitaremus.Nos autem inquit Petrus ac  daiolus uolo enim et pro fratre meo refpondecc ne optare quidem id aulielfe tnuss quod ultro nobis arridens fortuna attulitiut tu tali przditusfapientia at ELOQUENTIA VIR ea deduplid quzftione primis duobus diebus breuiter per. Ipicueiabfoluteip in unum congereresrquz non nili per fummum laborem: (i>  mam indufiriamex multis ac uariis fcnptoribus cruipolfunt. Nam Maro  nis diligentifiima at^ multiplid dodrina referta interpretatio in qua tertio ac quarto iam die uetfarisitum quia pulcherrima tum quia inaudita accidit no mi  nori Ihiporetqua deledationc nos alfecit. Non polfut fatis pro fua dignitate lau  dariquzatedidafunt inquit Antonius: Sed utinam Baptifia quoniam reli quamztatem Romzcon fumpfilb hanc tandem fenedutem patriz uel optao ticodonare uei illa tanquaafuociue exigenti corpore uelisutfzpius te de magnis rebus difputantem audientes ciues tui dodiores indies meliorefc reddantur. Verum has ego huius Marci partes ee ducoiTe enim pro ea quz illi tecu intercedit nec clfitudine modo nitat facile in sua sententia tradudurum confido. Quin ifihuc ia diu ago inquit Marcusinec prius defina qua aut ronibus impc' travero aut praecibus ezotnaueto aut defatigando extorfero. Sed ut confido  muItum meineateiuuabit LAVRENTll acluliani ingeniu acftudiu. NI cu  inultu iam in litteris uter pfeccrit: fitr multatu tetu addifceda^ ardentiffima  cupiditasrcu cztera illis et a natura 8C a fortuna adiumeta ad re perficiendam  abunde aifintind pariet'' ille diu adolescentibus quos cariflimos habet operam  sua desiderari. At q liceat md iqt BAPTIfta ego talib5’adolescentibus ounq deerot  Sed furgamus ii/SC qm primo mane uobis e in urbe redeudu.intellexifti cni pau  lo an uurcriu publicis Ifis accctfiri quod reliquu diei eft ualimdini ipedamus.  Quzftionu Canuldulefiu Cbrifiophori Landini [LANDINO] florentini  QuaitifiC ultimi libri Finis. Cum Priuilegio. -Z.sisqfc "Moibc scof.  Questo lavoro porta nuovi elementi allo studio delle complesse vicende inerenti i RERVM GESTARVM FRANCISCI SPHORTIAE commentarii di Giovanni Simonetta e il relativo volgarizzamento, la sforziada di L. Nel saggio introduttivo si indagano gli aspetti biografici, storici e filologici riguardanti le due opere, partendo proprio da SIMONETTA, attivo nella cancelleria di SFORZA assieme al piú noto fratello Cicco Simonetta, e ricostruendo la storia testuale dei Commentarii dalle loro origini agli emendamenti eseguiti dall’umanista POZZO in vista dell’editio princeps, senza trascurare le vicende editoriali e le prime reazioni all’opera. Punto di forza dell’analisi è l’aver ritrovato e studiato nel dettaglio il manoscritto originale, nonché esemplare di dedica, dei Commentarii, già noto a SORANZO il secolo scorso quale codice Castelbarco. L’attenzione si sposta quindi da Milano a Firenze, entrando nell’officina testuale di L. per sondare la sforziada dal punto di vista metodologico e contenutistico, con un conseguente particolare riguardo per le vicende successive all’invio del manoscritto di dedica (copiato da Baldinotti) a Milano, dove il testo viene sottoposto dal Simonetta a numerosi interventi visibili ancora oggi. Chiude la parte introduttiva un capitolo che vuole delineare la storia dello sviluppo dei commentarii come genere nel quadro storiografico dalle origini alla fine del Quattrocento. A seguire il lettore troverà l’edizione critica della sforziada in veste integrale, corredata di un approfondito apparato comprensivo degli interventi che ne testimoniano la ricezione a Milano. Grice: “Perhaps more interesting than the fact that he loved the Achilleid, and commented on the Eneide, is that he sold the sforzeide – sull’eroe Milanese, l’invitto Francesco Sforza! Howell in I Medici. Cristoforo Landino. Cristoforo Landino. Grice: “I love Landino; for one he wrote the first Italian philosophical dialogue, “Disputationes” – for  another, I love the setting!” Landino. Keywords: dialettica fiorentina – implicatura fiorentina – la Sforziada di Simonetta. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Landino” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Landucci: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- i misteri del delitto Gentile e le bestie senza stato di Vespucci – la scuola di Sarzana -- filosofia ligure -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sarzana). Filosofo italiano. Sarzana, La Spezia, Liguria.  Grice: “If I had in Hardie a wonderful mentor to Aristotle, I missed Landucci’s mentoring me into Kant!” – Si laurea a Pisa con Luporini. Insegna a Firenze. Altri saggi: “Cultura e ideologia in Sanctis” (Milano, Feltrinelli); “I filosofi e i selvaggi” (Bari, Laterza); “L’origine della scienza sociale” (Firenze, Sansoni); “La co-scienza e la storia” (Firenze, Nuova Italia); “La contraddizione” (Firenze, Nuova Italia); “Teodicea” (Napoli, Bibliopolis); “La Critica della ragion pratica” (Roma, NIS),  Sull'etica di Kant, Milano, Guerini, La mente in Cartesio, Milano, F. Angeli,  I filosofi e Dio, Roma-Bari, Laterza, La doppia verità: conflitti di ragione e fede tra Medioevo e prima modernità, Milano, Feltrinelli, A. Gnoli, Intervista, "Repubblica", Scheda biografica su Einaudi. Sergio Landucci. Grice: “Basically, Landucci covers all the topics of my interests, including that of the alleged ambiguity in Kant’s idea of a ‘reason’!” UCCI, UCCI SENTO ODOR DI L. – I MISTERI DEL DELITTO GENTILE, IL LEGAME CON LUPORINI, IL '68 IN CATTEDRA ("FUMMO INVASI DAGLI ANALFABETI") IL GRANDE FILOSOFO SI RACCONTA: “MI PIACEREBBE SCRIVERE UN saggio SULLA DEMENZA SENILE CHE STA ATTANAGLIANDO L' OCCIDENTE. RICORDO UNA FRASE CHE DICE: "GRANDEZZA È CIÒ CHE NOI NON SIAMO". HO LA SENSAZIONE CHE L'ABBIAMO DIMENTICATA…” Gnoli per Robinson-la Repubblica  landucci LANDUCCI  Per molto tempo il suo nome è rimasto associato a un grande libro che quando apparve nei primi anni Settanta fu come una meteora, tanto sembrò strano nel panorama delle cose che allora si pubblicavano. Sto parlando de I filosofi e i selvaggi (uscì allora per l' editore Laterza ed è stato ripubblicato, e aggiornato, qualche mese fa da Einaudi). La sua lettura mi colpì allora e mi rimanda all' oggi con i "selvaggi", sempre meno variopinti ed esotici, spinti dalla disperazione ad abbandonare le loro terre martoriate. Il paragone turba L.. Seduto nello studiolo mi guarda con la sua faccia triste. Sono venuto a Firenze per incontrarlo. Si stupisce e quasi si scusa per il fastidio che mi avrebbe arrecato: è un uomo timido, deluso, gentile ma altresì con un retrogusto di indefinita rabbia. Landucci è stato allievo di Luporini, ha insegnato all' università di Firenze, subendone, dice, tutti i contraccolpi politici: «Divenni ordinario. Quasi immediatamente percepii un generale clima di ostilità e rassegnazione. Con una rapidità incredibile la facoltà di filosofia adottò una selezione alla rovescia: vennero avanti a passo di carica gli analfabeti, i carichi didattici furono alleggeriti, i ruoli stravolti. Ho vissuto tremendamente male gli anni dell' insegnamento e decisi per la pensione anticipate. È stato così frustrante il lavoro universitario?  «Lo è stato certamente per uno come me. Mi consideravo, come si diceva allora, un "cane sciolto". Mi stupì constatare che la facoltà si era ridotta a una grande cellula del Pci, su cui si incistò dopo il '68 la contestazione studentesca».  I punti di riferimento furono però due grandi personalità di sinistra: Garin e Luporini.   «Maestri indiscussi. Mi chiedo tuttavia quanto sia stata acuta la loro vista politica. Garin fu il grande interprete di una filosofia come sapere storico, il suo storicismo era totalmente in sintonia con le posizioni culturali del Pci. Quanto a Luporini c' era un inquietudine ben maggiore che lo portò a misurarsi e a simpatizzare con le ragioni degli studenti. Non stigmatizzo il loro magistero, cui peraltro devo moltissimo, sostengo semplicemente che furono anni in cui la politica prese il sopravvento. Era lo spirito del tempo. Ne facevo parte anch' io, ma senza tessere o bandiere. Del resto non sono mai stato iscritto a nulla. Giunsi all' Università di Firenze nel 1960, come libero assistente, chiamato da Luporini. Quali erano i vostri rapporti?  E mio professore a Pisa e con lui mi laureai. Mi affascinava quest' uomo che andò in Germania a occuparsi di esistenzialismo e seguì i corsi di Heidegger». Credo sia stato uno dei pochi italiani a frequentarne i seminari. C' è un episodio rivelatore del rapporto con HEIDEGGER Quando il filosofo tedesco pronuncial il famigerato discorso con cui si insediava da Rettore a Friburgo, Luporini restò sconcertato da quell' adesione al regime. Qualche giorno dopo incontrandolo gli comunicò che lascia Friburgo per Berlino. Heidegger gli chiese perché. Lui rispose che era interessato ai corsi di Hartmann. Il maestro lo liquida con un ironico "tanti auguri"».A proposito di filosofi si è spesso detto che il vecchio lupo, così era soprannominato Luporini, fosse rimasto l' ultimo a sapere i dettagli dell' omicidio Gentile. Lei è a conoscenza di qualche particolare?  « C' è innanzitutto da ribadire il legame che Luporini ebbe con Gentile, il quale lo chiamò come lettore di tedesco a Pisa, in sostituzione di Oscar Kristeller, ebreo che dovette riparare negli Stati Uniti dopo le leggi razziali. GENTILE aiuta Kristeller, come pure tanti antifascisti che si rifugiarono alla Treccani e all' Università, fornendogli soldi e assistenza. Poi chiama Luporini alle due di notte dicendogli di decidere in fretta perché altrimenti sarebbe venuto qualcuno dalla Germania, quasi certamente un insegnante di fede nazista».Questo è lo sfondo. Poi cosa accadde? Quando la situazione precipita. Luporini va a casa di Gentile e lo scongiura di non entrare nella Repubblica Sociale. Gli dice. Professore c' è gente che non aspetta altro per ucciderla. GENTILE aderisce alla Rsi e viene ucciso in un attentato. Si è detto che Luporini conosce i mandanti e gl’esecutori dell' omicidio. Credo che il vecchio lupo non sa nulla, o almeno nulla di diretto. Ci e una sua dichiarazione radiofonica in tal senso, ma credo e il frutto di un fraintendimento. La frase di L. e questa: Cose che forse non si possono ancora dire. Cosa le fa supporre che e frutto di equivoco? Il fatto che accreditasse la versione offerta da Mattei, che sull' argomento cambia più volte opinione. Fino a sostenere che dietro quell' omicidio ci e BANDINELLI. Mai uno straccio di prova. Credo si sia perfino inventata che fu lei a indicare al commando gappista la figura di GENTILE, che non ha mai conosciuto. Poi c' è la testimonianza della moglie di LUPORINI Maria Bianca Gallinaro, la quale mi disse sconsolata che la storia che Luporini sapesse era solo una leggenda, del tutto infondata». Possibile che non ci fosse un grano di verità?  « La sola cosa che riesco a pensare è che LUPORINI e emotivamente coinvolto. Dopo l' attentato, GENTILE e trasportato moribondo all' ospedale. Il fratello della signora, medico al Careggi, chiama LUPORINI dicendogli se vuole vedere per l' ultima volta GENTILE. E lui anda e vede il filosofo in fin di vita. Non credo sia stato un bello spettacolo. Questo è tutto. Dopo quella dichiarazione radiofonica mi permisi di consigliare Luporini a non pronunciare più quella frase».E lui?  « Non so se fu una mia impressione ma gli lessi negli occhi un certo imbarazzo». Negli anni di Pisa chi frequentava?  «Tra le persone che hanno avuto un peso: CANTIMORI e TIMPANARO.  Di quest' ultimo divenni grande amico». So che Cantimori incuteva una certa paura per il modo di fare lezione e interrogare.  «A me, che non sono stato suo scolaro, suscitava tenerezza». Cosa pensa della sua vita ideologica piuttosto travagliata?  « Se allude al passaggio dal fascismo al comunismo non saprei cosa pensare. Come ad altri intellettuali gli è mancato il pensiero liberale. Era dominato dai fatti e dall' idea che la storia sia guidata dal potere. Usce dal Pci. Non solo per i noti episodi di Ungheria ma perché non ne poteva più del partito. Era un sopravvissuto a se stesso. Cosa intende? Deluso. Era convinto che io fossi una specie di longa manus del Pci, non gli ho mai dato la soddisfazione di smentirlo. A volte con ironia diceva: "Landucci, è vero che non basta dire viva la bandiera rossa per essere intelligenti?". Gli ultimi anni della sua vita li passò a insegnare a Firenze, in un ambiente che non lo amava. Prima di morire andò a Princeton per un ciclo di lezioni e quando tornò gli dissi: "Le ha fatto bene stare lontano da Firenze". Sì, rispose, ho evitato la noia». Poi c' è TIMPANARO.  «Era stato allievo di PASQUALI, ma invece di inseguire la carriera universitaria, divenne un outsider della cultura. Motiva la sua scelta con una certa difficoltà a parlare in pubblico. Ma io so che aveva orrore della professione accademica. Ebbe rapporti difficili con il mondo e bellissimi con le persone che amava. Per lungo tempo mi considerò tra queste. Solo negli ultimi anni scese tra noi il silenzio. Non digerì, non accettò o forse non seppe accogliere il fatto che mi fossi separato da mia moglie. Ma la vita va dove deve andare e a volte non ci possiamo fare niente. Da lui ho appreso il rigore filologico. Fu grandissimo nelle questioni leopardiane e in tutta la riflessione sul materialismo. Ma anche sorprendentemente originale nella lettura di Freud. È strano, ma ogni volta che penso alla vita di chiunque, mi chiedo quanta parte vi avrà avuta il caso. Le coincidenze prese o mancate, per lo più senza rendersene conto». Per lei il caso è stato così incisivo? Direi che il caso domina fin dalla famiglia di origine: un ambiente che non scegliamo, e nel quale ci troviamo gettati». La sua famiglia com' era?  « Papà avvocato, ma frustrato perché ricopriva un impiego modesto. Mia madre maestra. Vivevamo a Sarzana. Ricordo un padre anziano e la mamma che gli proibì di venire a prenderci a scuola, me e mio fratello, per paura che lo scambiassero per il nonno. Lo vivevo come un uomo di altri tempi. Anche nel lessico ricordava la belle époque. Invece di autista dice chauffeur, vis à vis a posto di specchio e quando chiedeva l'asciugamano dice passami il Amava il melodramma italiano. Invece, melodrammatica di suo e mia madre. Risultato: ho sempre detestato la musica lirica! Forse perfino più di quanto non abbia detestato che mi chiamassero Sergio». ROUSSEAU  Dà l' impressione di un uomo provato dalla vita.  Sono molto amareggiato dalla mia vita professionale e privata. Non ho né la forza né la voglia di entrare nei dettagli, ma ho l' impressione di essere stato irriso e torturato dalla vita. Il lavoro nelle biblioteche di mezza Europa e negli archivi è stata la mia droga, la mia unica grazia. Non ho avuto nessun successo ma almeno mi ha consentito di vivere».     Non è vero, il suo libro sui " Filosofi e i selvaggi" è un grande libro.  «Non diciamo sciocchezze, troppo carico di note, di troppe citazioni in originale e, in fondo, di inutile erudizione. La sola cosa che ricordo è una stroncatura di Diaz. Scriverlo, fu un' idea casuale. Un libro nato senza nessun presupposto. Diciamo che mi appassionava Montaigne». È il primo ad accorgersi della figura del selvaggio e a prenderne le difese.  « Non è il primo, ma in qualche modo rovescia la posizione di Amerigo Vespucci che presenta i selvaggi simili alle bestie. Diversamente da Colombo che sposa la tesi antica del mito del buon selvaggio. Montaigne dice che il selvaggio non ha Stato, non ha costrizioni, non ha religione, non ha falsità, è privo cioè di tutti quei caratteri che soffocano la civiltà occidentale».È la scena che prevarrà?  «È solo una tesi che a Montaigne serve per screditare la chiesa e gli stati. Gli eccidi, la violenza, il terrore che scuotono l' Europa delle guerre di religione e che culminano nella notte di San Bartolomeo, sono messi in contrapposizione con la mitezza del selvaggio ». È una tesi che riprenderà Rousseau.  «Fino a un certo punto, anche perché il suo selvaggio è un uomo felice ma violento. Non conosce la corruzione né è posseduto dalla brama di potere, ma è sostanzialmente un individuo aggressivo. Chi porterà alle estreme conseguenze questa impostazione è Hobbes che rovescia la costruzione di Montaigne Hobbes parla di uno "stato di natura".  firenze  FIRENZE Dove tutti si fanno la guerra e dove la vita delle persone è permanentemente in pericolo. L' immagine di questa condizione brutale Hobbes la ricava dalle descrizioni che vengono fatte dei selvaggi di America. Si può dire che l' Occidente fin dall' antichità si sia servito di questo mito con le peggiori intenzioni?  « È passata l' idea, con qualche eccezione, che fossero troppo diversi da noi per ogni ipotetica assimilazione». Al punto che ancora oggi questa diversità è vissuta come una minaccia di contagio e sostituzione? Qualcuno, come lei sa, ha perfino parlato di "uomo bianco" in pericolo di estinzione.  «Nelle fasi di grave fibrillazione sociale, quando il discredito si abbatte su ogni aspetto della vita politica, il delirio - come strumento patologico - rischia di trionfare. Mi pare di poter dire che è quanto sta accadendo e che contribuisce ahimè ai miei stati depressivi. Sono convinto che non ci sia nessuna giustificazione al male né all' imbecillità. Ho scritto un libro contro la teodicea, mi piacerebbe scriverne uno sulla demenza senile che sta attanagliando l' Occidente.  Ma non credo di averne più la forza. Mi resta questa infelicità che è come un che sovrasta le mie parole che non so più maneggiare con delicatezza. Ricordo una frase che Luporini aveva ripreso dal vecchio Burckhardt, è bellissima. Dice: "Grandezza è ciò che noi non siamo". Ho la sensazione che l' abbiamo troppo spesso ignorata o, peggio ancora, dimenticata». Grice: “Landucci has aptly explored the concept of the ‘barbarian’. It all starts with Montaigne, an anarchist – he assumes a fake philosophical position just to justify his anarchisms: savages are fun, happy, and they have no state! Vespucci moe or less thought the same, but for different reasons. Just like an ape doesn’t have a state, Vespucci says, so a savage!” -- Landucci. Keywords: i misteri del delitto Gentile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Landucci” – The Swimming-Pool Library.

 

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