Luigi Speranza -- Grice e Magalotti: l’implicatura conversazionale – di naturali esperienze – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “I like Magalotti – very philosophical” – Grice: “When a philosopher is a count, we don’t say that he was a professional philosopher, but not an amateur philosopher either – ‘philosopher’ does!” – Grice: “I like his ‘saggi’ on ‘natural experience’ – he is being Aristotelian: there is natural experience and there is trans-natural experience – and there is supernatural experience!” Appartenente all’aristocrazia, figlio del prefetto dei corriere pontifici. Studia a Roma e Pisa, dove e allievo di VIVIANI e MALPIGHI. Segretario di Leopoldo de' Medici, segretario dell'Accademia del Cimento, fondata da de’ Medici. Fa parte anche dell'Accademia della Crusca e dell'Accademia dell'Arcadia, Dall'esperienza al Cimento nacque i “Saggi di naturali esperienze, ossia le relazioni dell'attività dell'Accademia del Cimento”. Passa al servizio di Cosimo III de' Medici iniziando così un'attività che lo porta a una serie di viaggi per l'Europa (raccolse in diverse opere le sue vivaci e brillanti relazioni di viaggio). Ottenne il titolo di conte e la nomina ad ambasciatore a Vienna. Si ritira alla villa Magalotti, in Lonchio. Si dedica alla filosofia, con particolare attenzione per la filosofia naturale di Galilei Opere: “Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo, pastore arcade” “Delle lettere familiari del conte M. e di altri insigni uomini a lui scritte, Firenze, Diario di Francia, M.L. Doglio, Palermo, Sellerio. “La donna immaginaria, canzoniere, con altre di lui leggiadrissime composizioni inedited” (Lucca); “Lettere del conte M. gentiluomo fiorentino dedicate all'Ecc.mo e Clar.mo Sig. Senatore Carlo Ginori Cav. dell'Ordine di S. Stefano, Segretario delle Riformagioni e delle Tratte, Lucca. Lettere contro l'ateismo, Venezia. Lettere odorose, E. Falqui, Milano. Lettere scientifiche. “Lettere” (Firenze). “Saggi di naturali esperienze fatte nell'Accademia del cimento sotto la protezione del Serenissimo Principe Leopoldo di Toscana e descritte dal Segretario di essa Accademia, Milano. “Scritti di corte e di mondo” Enrico Falqui, Roma. “Varie operette del conte Lorenzo Magalotti con giunta di otto lettere su le terre odorose d'Europa e d'America dette volgarmente buccheri” Roma.Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Saggi di naturali esperienze fatte nell'Accademia del Cimento sotto la protezione del serenissimo principe Leopoldo di Toscana e descritte dal segretario di essa Accademia (Firenze: per Giuseppe Cocchini all'Insegna della Stella); “La donna immaginaria canzoniere del celebre conte M. ora per la prima volta dato alla luce e dedicato alle nobilissime dame italiane” (Firenze: Bonducci); “Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo pastore arcade” (Firenze: per Gio. Gaetano Tartini, e Santi Franchi); “Il sidro poema in due canti di Filips tradotto dall'inglese in toscano dal celebre conte M. ora per la prima volta stampato con altre traduzioni, e componimenti di vari autori” (Firenze: appresso Andrea Bonducci); Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond, Opere slegate: precedute da un carteggio tra Magalotti e Saint-Évremond, tradotte in toscano” (Roma: Edizioni dell'Ateneo). Scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze, Elogio storico nell'edizione de La donna immaginaria canzoniere del conte M. con altre di lui leggiadrissime composizioni inedite, raccolte e pubblicate da Gaetano Cambiagi, In Lucca: nella stamperia di Gio. Riccomini, Dizionario critico della letteratura itLuialiana, Torino, POMBA, M., Relazioni di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia” (Bari, G. Laterza). Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Crusca, Relazioni di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia Lettere scientifiche ed erudite Comento sui primi cinque canti dell'Inferno di Dante, e quattro lettere del conte M. Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo pastore arcade Lettere scientifiche ed erudite La donna immaginaria Novelle (il volume contiene anche opere di altri autori) Gli amori innocenti di Sigismondo conte d'Arco con la Principessa Claudia Felice d'Inspruch. DICE poldo di Toscana . Lettera III. SopralaLuce.AlSignorVincenzo Vi Sopra ildetto del Galido, il Vino Signor Carlo Dati. Lettera V. 111 P relazione 13 28 un composto d'umore e di luce. Al 48 394 refazione medesimo . Lettera II. . Fiore. Al Serenissimo Principe L e o . Delveleno dellaVipera.AlSignorOt 78 ne d'osservar la Cometa l'anno 1664. Leltera VII. Donde possa avvenire, che nel giu dicar degli odori cosi sovente si prenda abbaglio. Al Signor Cavaliere Giovanni Battista d'Ambra. Lettera re Giovanni Battista d'Ambra.Lette Descrizione della Villa di Lonchio.Al Strozzi. Lettera X. Intorno all'Anima de'Bruti,Al Padre secondo. Al Padre Lettore Don Angiolo Maria Quirini. Lettera. Sopra un effetto della vista in occasio Al Sigoor Abate Oilavio Falconieri. . Sopra gli odori . Al Signor Cavalie Signor Marchese Giovanni Battista Sopra un passo di Tertulliano.Al Pa Sopra un passo del Concilio Niceno Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XIV. . Monsignor Leone Strozzi . Lettera XVII.. . 170 252 ra IX. VIII, Іоо Letiore Don Angiolo Maria Quirini. Lettera XI. dre Lettore Don Angiolo Maria Q u i rini.Lettera XI. Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XV. 85 157 279 Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XVI. 282 Sopra un intaglio in un diamante. A 289 300 7 Conte Ferrante Capponi . Lettera XIX. Sopra la lettera B, e perchè ella s'a doperi cosi spesso nel principio de 396 INDICE. Sopra un passo di S. Agostino.Al Si gnor Abate Lorenzo Maria Gianni. Lettera XVIII . . Sopra il Cascii . Al Signor Cavaliere Cognomi. Al Signor Tommaso Buo naventuri . Lettera X X . FINE. SilAJilUsCEn il poeta per una lelva, per la quale tutta notte aggiratosi, la mattina in su falba si trova a piè <l'uQa colliuciui. Kipoaatosi alquanto ^ •! per voler aalire f quando y fattuegli incontro una lonza, un leone e una lupa, h costretto a rifuggirsi alla selva. In questo gli apparisce Fombra di VIRGILIO, il cui ajuto è da esso caldamente implorato contro alla lupa, dalla quale il maggior pencolo gli soprastava. Virgilio discorre lunga* mente della pessima natura di quella 6era, onde cam« porne lo strazio, offerendogli sè per guida | a tener altra a Canto via lo conforta. Dante accetta Tofferta di Virgilio « e tenendogli dietro ti mette in cammino. V. I. Nel mezzo del cammin tee. Keir età di 35 anni. Ciò non t'aTguìtee per congetture; ma provasi manifestameute da un luogo del tuo Convivio, nella aposizione della canzone: Le dolei rime eTamor, eh* io eolia; dove 9 dividendo il cono della vita umana in quattro parti, che tutte (anno il numero d'anni 70 « resta, che la metà del suo corso, secondo la mente del poeta, sia ne' 35 . Che poi questo primo verso debba intendersi letteralmente, cioò del numero degli anni, e non allegoricamente, come alcuni vogliono: si dimostra da un luogo deir Inferno, caut. XV, nel quale domandato il poeta da Ser Bnmetto di sua venuta, esso gli risponde, V. 49; Lassù di sopra in la vUa serena * JUrpos* io lui • mi smarrì *n una valle, 1 Avanti (he Vetà mia fosse piena: riferendoli a questa selva» nella quale racconta essersi smarrito nel mezzo del commin del suo vivere. V, per una selva oscura. Forse questa selva ^ oltre al senso letterale, che fa giuoco al poeta per 1* intraduzione del suo viaggio, ha sotto di s^ ((ualche senso allegorico • dei quale sono arricchite molte parti di questo primo canto; e vuol per avventura s guilicare la selva degli eiTori, per entro la quale assai di leggieri si perde l' uomo nella sua FRIICO. a<h>1etccnu; e cìie iia *1 vero nel topraccitato luogo del •uo CoFwivio ti leggono queite formali parole; È adunque dà f opere, che y ticcome quello, che mai non fosse stato in una città, non saprebbe tener le vie -, senza l' insegnamento di colui, che le ha usate : ro/1 V adolescente » che entra nella teloa erronea di questa vita, non saprebbe tenere il buon co/mmino y se da suoi maggiori non gli fosse mostrato; nè il mostrar vatrebbe, se alli loro coaiafidamenti non fosse obbediente, V. 8. Ma per trattar del ben ecc. Del frutto, il qual ti ritrae dalla meditaiione di quel miserabile stato pieno di pene e di rimordiinenti, mediante la quale s' arriva alla caDtemplaaione d' Iddio, che è la fine propostasi dal poeta. V. 1 3. Ma po* eh* »* fui appiè ecc. Il colle è forse inteso per la virtù, la qual si solleva dalla bassezza della selva. V. l6 vidi le sue spalle VestUe già de* raggi del pianeta ecc. Il senso letterale è aperto, volendo dire, che la cima del colle era di già illustrata da' raggi del nascente sole. Ma forse, che sotto questo senso n' è chiuso un altro ^ pigliando il sole per la grazia illuminante, la quale all' usctr Dance dalla selva degli errori cominciava a trapelare con qualche raggio nella sua mente. V. ao. Che nel lago del cuor ecc. Por che voglia insinuare, nella passione della paura commuoversi e fortemente agitarsi il sangue nelle due cavità del cuore, dette volgarmente ventricoli; de' quali, 4 Canto prrò eh’ e' parla in lingolare, pigliando la parte pel tutto, vuol forae dir principalmente del destro, che del sinistro i maggiore. ALIGHIERI lo chiama lago, credendosi forse che il sangue che v’ è, vi stagni, non essendo in que’ tempi alcun lume della circolazione. Qui però cade molto a proposito il considerare un luogo maraviglioso del Petrarca nella seconda canzone degli occhi, finora, che io sappia, non avvertito da altri; nel quale dice cosa intorno alla circolazione da far facilmente credere, eh* egli quasi quasi se l’indovinasse, arrivandola, se non con l'esperienza, con la propria speculazione. Dice dunque così : Dunque eh' i’ non mi sfaccia, Si frale oggetto a s\ possente fuoco Non i proprio valor, che me ne scampi, Ma la paura un poco, Che 7 sangue vago per le vene agghiaccia, insalda ’l cor, perchè più tempo avvampi. Non ha piti dubbio-, eh* e’ si parrebbe forte appassionato del poeta, che volesse ostinarsi a dire, che il sentimento di questi versi suppone necessariamente la notizia della circolazione del sangue; la quale, a dir vero, so fosse stau immaginata, non che ricooosciuu dal Petrarca, non ha del verisimile, eh’ ella si fosse morta nella sua mente, ma, da lui conferita e discorsa con altri, per la grandezza del trovato avrebbe mossa fio d' allora la curiosità de’ medici e de’ notomisti a procacciarne i riscontri con resperienze. E ben degno di qualche maraviglia il vedere, come, il poeta altro facendo, e forte altro intendendo di voler dire, gli è venuto detto cosa, che spiega mirabilmeote quesu dottrina; poiché, se ben si considera il lento de' lopraddetti Tersi, ^ tale : Ma il cuore rìsalda un poco, cioè ritorna al suo esser di fluidezza il sangue, il quale nel vagar per le vene s'agghiaccia dalla paura, e ciò a fine di farlo arder miseramente più lungo tempo. Puoss' egli dilucidar più chiaramente Teffetto, che opera nel sangue il ripassar cb* egli fa per la fornace del cuore, dove si liquefi, s'allunga, s'assottiglia, e si stempera, caso che nel vagar per le vene lontane o per paura, come in questo caso nel PETRARCA, o per qualsivoglia altra cagione si fosse punto aggrumato e stretto; onde poi, novellamente fuso, e corrente divenuto, potesse ripigliare il nuovo giro ed allungar la vita (la qual tanto dura, quanto dura il sangue a muoversi), e si a render più luogo r incendio amoroso del poeta? Ma ciò, per chiaio ch'ei sia ed aperto, ò tuttavia assai oscuramente detto in paragone d'un luogo, del Davanzati nella sua Lezione delle monete. Il luogo ò il seguente : Jl danojo è il nerbo della guerra, e della repuhhlica, dicono di gravi autori, e di jolenni* Ma a me par egli più acconciamente detto il secondo sangue; perchè, siccome il sangue, eh' è il rugo e la sostanza dei cibo nel corpo naturale, correndo per le vene gì-osse nelle minute, annaffia tutta la carne, ed ella il si Bee, com* arida terra bramata pioggia, e rifà, e ristora, qucaUunque di tei per lo color naturale s'asciuga, e svapora: così il danajo, eh* è sugo e sostanza ottima della terra, come dicemmo, correndo per le borse grosse nelle minute, tutta la gente rineaneuina di quel danajo, cheti spende, evaviacontlnuatnente nelle cose, che la vita consuma, per le quali nelle medesime borse grosse rientra, e cos't rigirando mantiene in vita il corpo civile delta repubblica. Quindi assai 6 Canto éi leggler ti tomprende, eh* ogni ttato vuol una quantità di moneta, che rigiri^ come ogni corpo una quantità di sangue, che corra» Che dunque diremo di queit* autore ? Nuli* altro ceiv tamente, te non che, dove i profeMori delle mediche facoludi non giunsero, se non dopo un grandissimo guasto d* inomnerabili corpi, egli senz'altro coltello che con la forza d'un perspicacissimo ingegno penetrò nel segreto di questo aumiirabile ordigno, c tutto per filo e per segno ritrovò raltisstmo magistero di quei movimenti, che noi vita appelliamo* V. 31 . £ qual è quei, che con Una af annata ecc. MaravigUosa similitudine. V. 35. CoA /'animo miò, eh* ancor fuggiva ecc. Rara maniera d'esprimere una paura infinita. Bocc.*, Novella 77. Allora, quasi come se *l mondo sotto i piedi venuto le foste meno, le fuggi Canitno, e vinta cadde ropaa '/ battuto della terre. V. 3 o* Si che 7 piè fermo ecc. Solamente camminandosi a piano : dicansì quel che vogliono 1 commentatori, in ciò manifesraniente conviensi dalla dimostrazione e dall' esperienza. £ vero, che il piè fermo retu sempre Ìl più basso. Onde convien dire, che Dante non avesse ancor presa l'erta, il che si convince anche più manifestamente da quel che segue: V. 3 i. £d ecco, quoti al cominriar dell’ erta» La voce quoti vuol significare ( e tanto più accompagnau con l'altra al cominciar t che denota futuro), che PRIVO. 7 Verta era ben vicina, ma non cominciata; c pure in fin allora avea camminato, adunque a piano. Nè li opponga quello, ch’egli dice ne* veni innanzi, y. l3. Ma po’ eh’ i fui appii d" un colle giunto; poiché appiè d'un colle li dice anche in qualche distanza; anzi t' e’ doveva comodamente vedergli le spalle, v. l 6 . Guarda’ in alto e vidi le sue spalle, tornava meglio eh’ e’ ne fosse alquanto lontano. Molto meno dà dilEcoltà il seguente v. 6 l. Mentre eh’ i’ rovinava in basso loco; dicendo: dunque se ora egli scende, mostra, che dianzi saliva. Saliva, ma dopo aver prima fatto il piano, per lo qual camminando il pie fermo sempre era il più basso. Del resto il leone e la lonza non poteron impedirgli il salire : solamente la lupa gli fe’ perder la speranza dell’ altezza, cioè di condurti in cima del colle. Di qui avvenne eh’ egli prete a rovinare in basso loco, V. 3a. Una lonza ecc. Una pantera. Per essa, come animai sagacissimo, intende veritimilmente la lussuria. V. 36. Ch’i’ fui, per ritornar, pUi volte, volto. Bisticcio. Tibullo ti fe’ lecito anch’ egli per nn^ volta un simile scherzo, Ub. IV, corm. VI, v. 9 . Sic bene compones : ulli non ille puellat Seruire. 8 Canto £ Properzio te ne volle aacor etto cavar la voglia, elcg. Xin, Ub. I, V. 5. Vum tiU Jecepiiì augfiur fama puellis, CtTtus et in nuìlo quaeris amore moram. V. 39 quando V amor divino Mone da prima quelle cose belle Direi, che per la motta di quelle cose belle non intendette altro il poeta, che rattuazione dell* idee, o tì vero lo tpartimento dell* idea primaria nell* idee tecondarie, che è il diramamento dell* uno nel diverto tignificato nel triangolo platonico. In tomma la creazione dell* univerto, allora quando formò il mondo temibile tutta a timile al mondo archetipo o intelligibile creato ab eterno nella mente divina. £ non è inveritimile, che ALIGHERI abbia voluto toccare quetta dottrina platonica, nella quale, come appare maoifettamente da altri luoghi della tua Commedia, e principalmente nell* XI del Paradito, egli era vertatittimo, donde ti raccoglie e 1* intento amor delle lettere e la pertpicacia del tuo finittimo intendimento, mentre in un aecolo coti barbaro pot^ aver notizia delle opinioni platoniche, quando i principali autori di quella tcuola o non erano ancor tradotti dal greco idioma, o t*egli erano, grandittima penuria vi aveva de’codici tcritti a penna dove vederli e ttudiarli. Na t* io ben m'avvito, tal dottrina Incavò egli a capello da BOEZIO, del qual aurore il poeta fu ttudioiittimo, dicendo nel tuo Convivio queite formali parole : Tuttavia, dopo alquanto tempo, la mia mente» che s'argomentava di tonare » provvide ( poi ne*l ai/o, nè Taltrui consolare valeva ) ritornare al modo» che F ni u o. 9 alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi; e ansimi ad allegare e leggere quello, non conosciuto da molti, libro di Boezio ) ìlei quale » cattivo e discacciato, consolato si aveva. Quivi adunque potè egli facilmente apprendere a intender Puniverso aotto il nome di bello, e ti per la moMa delle cose belle intender la mossa del mondo archetipo disegnato ab eterno nella mente d'iddio. 1 versi * di BOEZIO sono i seguenti: lib. Ili de consol. etc.^ metro 1\. O qui perpetua mundum radane guhemés» Terrarutn caeUque salar, qui te/apus ab aeuo Ire iuhes, stabilisque nianeru das cuncta moueri; Quent non extemae pepulerunt fingere caussae Materiae fluitantis opus uerum insita sutnmi Forma boni, liuore carens : tu cuncta superno Ducis ab exeinplo : pulcrum pulcherrimus ipse Mundum mente gerens, similiqtte imagine formans, Perfectasque iubens perfectum absoluere partes. In numeris elemento ligas, ut frigora fiamtnis y Arida conueniant liquidis : ne purinr ignis Fuolet, aut mersos deducane pondera terras. Tu triplicU mediam naturae cuncta mouentem Connectens animam per consona membra resoluis, etc. Che poi per la motta intenda l'attuazione delle idre mondiali, ciò si convince apertamente da un luogo maraviglioso del suo canzoniere nella canzone : Amor y che nella mente mi ragiona; dove parlando della sua donna dice cV ella fu T idea, che Iddio si propose quando creò il uiondo sensibile, il qual atto di creare vien quivi espresso con la voce mosse. IO Canto Però qual donna sente sua beliate, Biasmar, per non parer queta ed umile ^ Miri costei, eh' esemplo è d’umiltate» Questuò colei, che umilia ogni perverso. Costei pensò, chi mosse l* universo. Altri forse intenderà (tutto che i comentatorì in questo luogo se la passino assai leggìensente ) per la mussa di quelle cose belle, la mossa data ai pianeti per gli orbi loro; ma trattandosi d"una mossa data dall" amor divino, panni assai più degna opera la creazione dell'universo, che r imprimere il moto a piccol numero di stelle. Dire dunque, che il sole nasceva con quelle stelle, eh* eran con lui quando Iddio creò il mondo : cioè eh' egli era in Ariete, nella qu^d costellazione fu creato secondo Vopiniooe di molti. V. 41 * a bene sperar vera cagione. Di quella fera la gaietta pelle, L*ora del tempo, e la dolce stagione. Può aver doppio significato : primo in questo modo, cioè : 51 che Vara del tempo, e la dolce stagione tu erano cagione di bene sperare la gaietta fera di quella pelle; cioè, Si che l'ora della mattina e la stagione di prima^ vera (avendo detto che il sole era in ariete) mi davano buon augurio a rincer l'incontro di quella fiera, e a riportarne la spoglia. £ in quest' altro : Sì che aggiunto all' ora e alla bella stagione l' incontro di quella fiera adorna di sì vaga pelle non poteva non isperar felici successi. Così rincontro d'uno o d' un altro animale recavasi anticamente a buono o a tristo augurio. . (I V. 45. Za vista, che m'apparve étun leone. Il leone è preio dal poeta per limbolo della superbia. V. 4^. £d una lupa eco. L'ararizia. V. Si. £ molte genti fe' già viver grame. Ciò si può intender di coloro, l'aver de' quali è ingordamente assorbito ddl' avwo, e per gli avari medesimi, che ai consumano in continui affanni per l'insaziabditi della lor cupidigia, onde chiama la lupa bestia senza pace. V, 53 . Con la paura, eh’ uteia di sua vista. Qui paura con bizzarra significazione vale spavento in significato attivo, ed è forse l'unico esempio che se ne trovi. Cosi l'addiettiva pauroso è preso attivamente, Infer. cant. 3, V. 8 H. Temer si dee di sole (fucile cote, eh’ hanno potenza di far altrui male, Deir altre no, che non son paurose. Cioè non danno paura; ma questo non è tanto sin» gulare, quanto il sostantivo paura in significato di terrore, e f.tcllmente se ne troveranno esenipj simili cosi ne'Crecif come nei Latini. Uno al presente me ne sovviene, ed ò di Tibullo, eleg. IV, lib. Il, v. q, Stare uel insanis cautes obnoxia uentit, Naufraga quae uatii tunderet unda maris ! V. 60 dove il sol tace. Verso l'onibra della selva. Canto V. 63 . Chi per lungo silenzio parta fioro. Quriti è Virgilio, «otto la periona del quale pare, che debba intendersi il lume della ragion naturale risvegliato nella mente del poeta dalla teologia figurata per ranima di Beatrice de* Portinan in vita amata da Dante. V. 63 parta fioco. Dal sento delle parole par, che Dante •* accorgesse, che Virgilio era fioco dalla semplice vista, ma a bea considerare non è così. Perchè allora eh' egli scrisse questo verso avevaio già udito favellare, onde può ben dire qual era la sua voce, oltre al dire eh* e* Paveva veduto. Che poi lo faccia fioco, ciò è furila per tacciar la barbarie di quel secolo, in cui allorché Dante si pose a cercar lo suo volume, cioè a leggere e studiar TEneide, nino altro era che la cercasse o studiasse, onde poteva dirsi Virgilio starsene muto ed in silenzio perpetuo. V. 70. Nacqui suh JuliOt ancorché fosse tardi. Dice esser nato sotto Giulio Cesare ancorché fosse tordi, cioè ancorché esso Giulio Cesare rispetto al nascer di Virgilio fosse tardi, cioè indugiasse qualche tempo ad aver Tassoluto imperio di Roma, onde si potesse con verità dire che la geme nascesse sotto di lui. £ veramente Virgilio nacque avanti a Cristo anui 70, agridi d'ottobre, e per conseguenza avanti che Giulio Cesare fosse imperatore. V. 90. Ch" ella mi fa tremar le vene e i polsi, piglia i polsi universalmente per Parterìe, le quali eo\ loro strigoersi e dilatarsi con contraria corrispondenza alla sistole e alla diastole del cuore continuamente R I li O. i 3 dibatt^nfti. E qui è da notare ravvedutezza deì poet mentre dice, che gli tremavano le vene ancora, come quegli che beni»iÌmo sapea, che per non andar mai diigiunte dall* arterie, in una violente commozione di queite, non può far di meno che quelle ancora tanto quanto non •'alterino. V. 91. A te convien tenere altro viario. Quasi dica; ben li può luituria e tuperbia vincere, ma superare avarizia, ciò è all* umane forze impossibile. V. 100. Molti son gii animali 1 a cui t’ammoglia. Molti vizj veogon congiunti con Tavanzia. V. lOi. ... in finckè’l veltro ecc. Questi è messer Cane della Scala veronese, onde la sua patria, dice Dante, che sari tra Feltro e Feltro, perchè tra Monte Feltro dello Stato d' Urbino e Feltro del Friuli si ritrova in mezzo Verona. Fu messer Cane uomo d'alto affare in que' tempi, e d'animo grande e liberale; ed essendo desideroso, che la sua generosità fosse per opera conosciuta, intraprese ad onorare e soccorrer tutti coloro, che di gran saliere fosser dotati, fra quali ricoverò anche il nostro poeta, allorch'e'fu di Faenze cacciato co* Chi~ bellini intorno all'anno i 3 oS. V. io 3 * terra, nè peltro» Peltro^ stagno raffinato con lega d’argento vivo. Qui per metallo in genere, onde il scntimeaio è questo; V. io 3 . Questi non ciberà terra, nè peltro, Questi non si ciberà, cioè non sarà signoreggiato da ambizione di stato > uè da cupidigia d'avere. . V. ic 6 . Di queìF umile Italia» Vinile y atteso il tuo miserabile stato in que* tempi per rintestioe discordie, ond' ella era sempre infestata. V. 111. Là onde invidia prima ecc. O sia la prima invidia di Lucifero contro Iddio in Ciclo, o contro l'uomo nel paradiso terrestre, o pure: V. IH. Là onde invidia prima dipartiìla\ Là onde da prima inridia la diparti, preso quel prima avverbialmente. V. iiS. Che la seconda morte ciascun ^rida. Allude al desiderio, che hanno i dannati della morte deir anime loro dopo quella de* corpi per sourarsi alla crudeltà de' tormenti, onde S. Luca, cap. aa, io persona di quelli : Monies cadile super noi, et colles operile nos. V. lai. Anima fia ecc. Beatrice de' Portinarì, la quale, siccome à detto di sopra, fn io vita ardentissimamente amata dal poeta. In questo, che segue nel primo canto, si consuma un giorno intero, eh' è il primo del viaggio di Dante. Si fa dall’ ioTOcar le muae e l'ajuto della propria mente. Dipoi acconta, com' egli peniando all' impreia di tal viaggio . cominciò a •gomrntoraeoe, e a motirare a Virgilio eoo molte ragioni, di' e' non era dovere, ch'ei ti mettewe ]>er niun conto a cimento >1 pericoloio. Dopo di che narra, come Virgilio lo ripreie della tua viltà; e con dirgli, ch'egli veniva in tuo aoccorto mandatovi da Beatrice, tutto di buon ardire lo iraarrito animo gli rinfranca, ond'egli ti ditpone al tutto di volerlo teguitare. V. 4 . ATapparetfhiava a sostemr la putirà, Si del cammino, e ti delta pittate. Il Boti, il Vellutello, ed altri comentatori tpiegano qneito luogo coti; M'apparecchiava a tiiperar le ilitEcultà del viaggio, e tollerar la noja della pietà, di' eraii per farmi quei crudeliitimi tirar), ond’ era per veder tormentare l’anmie de’ dannati. Io però ardirei proporrej6 Canto un* alfr.i roiuMcrazionc, le a sorte Dante avesse piuttosto voluto dire, eh’ ci •'apparecchiava a sostcoer la {guerra della pirtare, cioè a ftf forza al suo animo per non prender pietà de’ peccatori, avvegnaché U crudeltà de’ «upplizj. fosse per muovergli un certo naturai affetto di comjiafsione, al quale ciafcun uomo fi seme ordinariamenTc incitare per la miseria altrui. £ veramente il senso letterale pare, che favorisca mirabilmente questo sentimento; poiché, s’ei s’apparecchiava a sostener la guerra della pietà, cioè la guerra, ch’era per Wgli la pietà, segno è eh' e* non voleva lasciarsi vincer da quella, ma si resistere e comb.ucere con la considerarione, che quegl' infelici erano puniti giustamente, anzi, come dicono t teologi, citra meritumt mentre avendo offeso una Maestà inBnita, e sì infinita venendo a esser la loro colpa, questa non può con pene finite soddisfarsi. Dico finite quanto all' intensione, non quanto all* estensione, la quale non ha dubbio, che durerà eternamente. E chi porrà ben mence ad altri luoghi dell’Inferno, ne troverà di quelli, che armano di piu salde conjetture il sentimento da me addotto in questo passo. Tale è quello dell’Inferno, canto XIII, dove, dopo il primo ragionamento dì Pier delle Vigne, Dante dice a Virgilio, eh* c’ seguiti a domandare all* anima del suddetto Piero qualche altro dubbio, imperocché a lui non ne dà Tanimo, tanto si sente strignere dalla pietà del suo infelice stato, v. OntV io a lui : dimandai tu ancora Di quel, che credi ^ ch‘ a me soddisfaccia; eh* i non potrei: tanta pietà in accora. E piià apertamente si vede questo star su la difesa, che fa Dante contro l’ importuna pietà de* dannati, la qual tenta di vincerlo al canto XXIX dell’ Inferno, quando arrivato in tu ruldina costa di Malebolge dice cosi, v. 43^ Lamenti saeltaron me diversi, Che di pietà ferrati avean gli strali : Ond" io gli orecchi con te man coperti. Il qual terzetto par, che esprima troppo maravigliosamente un fierissimo assalto dato dalla pietà all’ animo del porta, e la difesa di quello con turarsi gli orecchi. £ non solamente si troverà difendersi dalla pietà, ma sovente incrudelire contro di essi, negando loro conforto e compatimento. Così Inf. cant. XXXIII, richiesto da Branca d’Oria, che gli distaccasse d' insieme le palpebre agghiacciate, non volle farlo, v. 148. Ma distendi ora mai in guà la mano, Aprimi gli occhi I ed io non gliele aperti, E cortesia fu lui tesser villarto. E Inf. XIV, vedendo Capaneo disteso sotto la pioggia di fuoco, dice stargli il dovere, v. ^t. Ma, com' io dissi lui, li tuoi dispetti Sono al suo petto assai debiti fregi. Io però confesso di non aver per anche si fatta pratica SU questo poema, eh' e' mi sovvengano così a un tratto tutti i luoghi, ov’ e' favella di pietà in questa prima Cantica dell’ Inferno; e considero eh’ e’ mi se ne può addurre taluno ora non pensato da me, il qual mostri così chiaro il contrario, eh’ e' metta a terra tutto il presente ragionamento. E considero, che altri potrebbe rispondermi, che il far dimandare da Virgilio Pier delle Vigne, e ’l coprirsi gli orecchi con le mani posson i8 Canto ambedue etter effetti dell' cuer Taiiimo del poeta troppo vinto dalla pietà, e non dall' eaier a lei repugnante; ma io non piglio per aaiunto di provare, che egli si picchi di non calerti mai piegato a pietà de' dannati, anzi che in molti luoghi confeita la aua caduta, qual è quella, Inf. canto V, v. 70. Poscia eh' i' thhi il mio dottore udito Nomar le donne antiche e cavalieri, Pietà mi vinse, e fui quasi smarrito. Nel qnal luogo non meno ti pare la perdita del poeta, che il contratto antecedente; mentre, te egli non ti fotte potto in animo di non latciarti andare alla compattione, non avrebbe indugiato fin allora ad arrenderli, avendone avuta occatione molto prima, cioè tubito eh' ei vide la miteria dei peccatori carnali. Ivi, v. 3S. Or incomincian le dolenti note A [armisi sentire : or son venuto, Xà dove molto pianto mi percuote. Ma egli Ita forte il più eh' el potette : però, allora ch'egli ebbe riconoteiuto quivi tanti valoroti uomini, e coti alte donne, piegò l'aaimo alla compattione; ond'egli dice, eh' ei fu quoti smarrito, cioè ti perdè d' animo, vedendoti vinto il pretto. Per lo che concludo, che, te bene da quetto e da muli' altri luoghi ti comprende la vittoria della pietà, ciò non toglie il vigore alla ipotizinne del preiente patto, potendo benitiimo ilare inlieme l'un e l'altro : cioè che Dante ti ditponeiie a toitener la guerra della pietà, cioè a non compatire i dannati; e poi, come di animo gentile ed umano, di quando in quando cedette. V. 8. O mente, che scru/etti ciò eK io vidi ecc. Dopo ÌDTOcate le Muse, invoca la sua memoria, chiamandola mente che tcriite ciò eh' egli vide; cioè, in cui a' impretaero le tpecie degli oggetti vedati. V. IO. Io cominciai; Vi a’ intende a favellar di qncato tenore, e queata è maniera uaitatiaaima di Dante per iafuggir la proliaaità dell' introduaioni de' ragionamenti; coal ed io a lui ed egli a me; cio^ diaai e diaac, ed infiniti altri aimili facilisaimi ad intenderai. Y. l 3 . Tu dici, de di Silvie lo parente, CoirutlUile ancora, ad immortale Secolo andò, e fu tentibilmente. Tu dici. Tu hai laaciato aerino nella tna ENEIDE, che ENEA padre di Silvio, eaaendo ancora nel corrunibil corpo, andò a aecolo immortale, cioè diaceae airinferno, e ciò non fu per aogno o per eataai, ma aenaibilmente, cioè in carne e in oaaa. V. 16. Però se I avversario d'agni male Cortese fu, pensando I alto effetto, Ch'uscir dovea di lui, e ’l chi, e 'I guale L’avversario d* ogni male è Iddio, e ‘I chi, Romolo fondator di Roma, e 'I quale, e le aue alte qualità; onde il aenao de' aeguenti terzetti è tale : Se Iddio, penaando la aerie delle coac, che doveano farai per Enea c la aua aucceaaione, conaentì l'andata e '1 ritotoo di lui dall'Iuferno : ciò non parrà punto di atrano a qualunque abbia punto d'intendimento, conaiderando eh' egli fu eletto per .vutore di Roma e del romano imperio. La qual* e *l quale ecc. La qual Roma, e '1 qual imperio. V. 14. U* siedv il xuff<//or del «o^ior Piero. Qui Piero per Pontefice, onde il maggior Piero viene a eMer Cristo, e non S. Piero, come vogliono ì coni» mentatori; perchè s'e* parlaste di S. Piero, non direbbe del maggiore y il qual ti dice solo comparativamente ad altri minori; il che toma appunto bene, però eh* e* parla di Cristo, il quale rispettivamente a $. Piero può vcrar mente chiamarti il maggiore* V. aS. Per quest* andata, onde li dai tu vanto ecc. Onde cotanto T esalti fra gli uomini per ralcissimo privilegio concedutogli. V. a6. Intese cose che furon cagione Di sua vittoria, e del papale ammanto. Allude alla predizione fatta da Anchise ad Enea nel sesto deir Eneide; per la quale egli intese la sua vittoria, da cui dopo lunga serie di avvenimenti fu stabi** lito in Roma il papale ammauto, cioè l'imperio sacro. V. a8. Andovvi poi lo Vas delezione ecc. S. Paolo, quando fu rapito al terzo cielo. £ veramente ne recò conforto alla nostra fede con l'oculata tettimoniaaza delle cose credute da essa. E notiti che Dajite da principio di questo suo discorso, fatto qui a Virgilio, non si ristrinse a dir solo di quelli, i quali ancor viventi pass;u*ono all* Inferno, ma di ciascuno, il quale, sendo ancor corruttibile, andò a secolo immortale. Laonde non solamente di Enea, ma del celeste viaggio di S, Paolo ancora saggiamente piglia a ragionare. ai V. 34. Perchè se del venire C tn ahhanJono ecc. M* abbandono oon vuol dire, d* io mi tgomento di ve« iiire, come spiegano tutti i couieou, ma come chiosa il Rifiorito : Perchè s* ì mi lascio andare a venire, assai dubito del ritorno, V. 37. E qual è quei che disvuoi ecc. Ci mette con mirabil similitudine davanti agli occhi i contrasti d' un' anima, che dal male al ben operar si rivolge. V. 41. Perchè» pensando consumai t impresa y Che fu nel cominciar cotanto tosta. S'accorge Dante d'averla un po' corsa» allora che nel primo canto, senza pensar nè che, nè come, s'impegnò ad andar con Virgilio, dicendo, v. i 3 o. Poeta t i ti richieggio Per quello Iddio, che tu non conoscesti, jicciò eh* i' fugga questo male e ptggio. Che tu mi meni là dov* or dicesti, Si eh* i vegga la porta di S. Pietro, E color, che tu fai cotanto mesti. Onde ora confessa, che, sbigottito dalle suddette con> siderazioni, l'amor dell'impresa, da principio con sì lieto animo incominciata, era per tali pensieri consumato e svanito. V. 43. Se io ho ben la tua parola intesa, Rispose del magnanimo quell ombra, Vanima tua è da viltate offesa. Rispose Virgilio : Con queste tue riflesiioni, s' io 1 * ho ben'imesa, in loitanza tu ba* paura* Cauto V. Ss. I* tra tra color elle son tospeti, Nel Limba, dove nè godono, nè dolgonti ranìme. V. 53 . E donna mi chiamò beata e bella. Beatrice, la quale, ticcome è detto nel IV canto, è poeta per la grazia perSciente o consumante, secondo i teologi dicono, anzi per la stessa teologia; e ciò, secondo nota il Cello nella Lezione duodecima topra F Inferno, per due cagioni : Una, perchè, siccome non ci è scienza, la quale più alto ne levi nostro mortale intendimento all’ altissima contemplazione d' Iddio e della teologia, così non avea Dante, mentre eh’ e’ visse, trovato oggetto, che più gli facesse scala all’ intelligenza delle celestiali cose, che, siccome scrive io più luoghi, le sublimi virtù e l’altre doti esimie dell' anima di Beatrice. L'altra cagione, per la quale sotto il nome di Beatrice intenda allegoricamente la teologia, è per mantener la promessa, ch'egli avea fatta nella sua Vita Nuova; dicendo, che, se Iddio gli avesse dato vita, avrebbe scritto di lei più altamente, che aveste scritto altr' uomo di donna mortale. Il che veramente ha egli molto bene osservato, avendola posta in così bella e maravigliosa opera per la scienza maestra in divinità. V. 54. Tal che di comandar i la richiesiLa richiesi. In pregai, ch'ella alcuna cosa mi comandasse. V. 55. Lucevan gli occhi suoi più che la stella. Più che’l sole. V. 60. E durerà quanto 7 moto lontana. Lontana, dal verbo lontanare. Quanto il molo lontana. Quanto il moto s' allontana dal tempo presente : cioè la tua fama durerà quanto dura il tempo. a3 Piglia moto per tempo ella peripatetica, definendo Ariatotile il tempo : Tempus tJt aumenu mottu seoundwa prius et poiierUu. V. 6i. L’ amico mìo, e non della ventura. Dante, il quale per aver amato di puriaaimo amore le bellezze dell' anima mia, e non le doti eaterne, che la fortuna coraparte a' corpi terreni e corruttibili, fu veramente amico di me, cio^ di quel eh' era mio, e non {Iella ventura, e non della bellezza, per la quale altri di lui men faggio m’ averà riputata felice e ben avventurata. V. 63. Nella diterta piaggia i impedito Si nel cammin, che volto, e per paura. Impedito dalla lupa, e volto indietro per paura di cita. V. 64. E temo eh' e' non ria già zi smarrito, Ch’ io mi sia tardi al soccorso levata. Dubito, che postano i vizj aver già preto in lui tanto piede, che l'ajuto celeste non giunga in tempo. Or muovi ecc. Muoviti, vanne : così il Petrarca : Or muovi, non smarrir t altre compagne. V. 71. Vegno di loco, ove tornar disio. Toma egualmente bene al senso letterale e allegorico, cioà e a Beatrice e alla teologia, il desiderio di ritornare in cielo; il che imitando per avventura il Petrarca nella canzone : Una donna più bella asstù che ’l sole; disse della teologia : Cakto costei batte t ale Per tornar all* antico suo ricetto. V. 72. Amor mi mosse ecc. É Vamor d* Iddio, pel qual e' desidera che ciascun nomo ti salvi, e questo è il eeoso allegorico o vero secondo la lettera; la mosse la dolce memoria di quell* aniur eh* eli* avea portato nel mondo a Dante, ond* ella il chiamò, v. 61, L'amico mio. V. 73 dinanzi al Signor mio» Avanti a Dio. V. 74. Di te mi loderò sovente a lui. Gran promessa, dicono alcuni, fa qui Beatrice a VirgUio 1 non intendendo questi tali qual utile possa ritornare dair adempimento di essa a uu* anima divisa per sempre dalla comunicazione della grazia e della beatitudine. Dice in contrario il Vellutello, che Beatrice con tal promessa promette a Virgilio in premio quello, che da lei dare, e da lui ricevere in quello stato si potea maggiore; ma non dice poi, perchè, nè di ciò adduce alcuna prova. Na il Cello nella Lezione sopraccitata spane, che anche all* anime perdute si può (come dicono t teologi ) giovare con levar loro qualche parte di cagione di dolore, e in fra gli altri mudi in questo, che sentendo elleno celebrar le lor memorie o esser qualche compasiione di loro in altrui, elle pigliano alquanto di conforto ( » ei però può chiamarsi tale ) di non si vedere abbandonate al tutto da ogn* uno, e tiiassituonieuic quelle, le quali non son dannate per fallo alcimo enorme e brutto, ma solo per non aver avuto cognizione della fede cmtiana, come VIRGILIO. Diremo dunque « cYie non »ia ota d'ogni conaoUziune tal promeMa di Beatrice. V. ^ 6 . O donna di virtù, sola, per cui L'umana spezie eccede ogni contento Da quel Ciel, ch'ha minor li cerchi sui. Qui piglia itrettUaimamentc Beatrice nel «eoso allegorico; e dice, che per ewa, cioè per la teologia, fuomo supera, ed è più nobile di tutte le creature contenute dal ciel della luna;, essendo, che sopra di quello si dà subito neir intelligenza movente Torbe lunare, la qual •enza dubbio sì per pregio, si per eccellenza di chiarissimo intendimento è alT uomo superiore. £ che Dante portasse opinione delT intelligenze moventi secondo la dottrina d' Aristotile, è manifesto per quel clT ei dice in altro luogo di esse. Par. cant. Vili, v. 37. r’oiy che intendendo il terzo Ciel movete. Ciò potrebbe anche intendersi in quest* altro senso : O scienza, per cui l'uomo eccede, cioè trasvola con T intelletto dalle sublunari cose alle celestiali e divine. V. 80. Che Vuhhidir, se già fosse, m'à tardi. Che se io Tavessi obbedito in questo punto stesso, che m'hai comandato, pure la mia obbedienza mi parrebbe tarda: tale e sì fatto è il desiderio, che ho di eseguire i tuoi cenni. Or venga qualunque si pare, e mi poni da altri poeti forme così maravigliose e piene di si forte espressiva. Y. 91. Jo son fatta da Dio, sua mercè» tale ^ Che la vostra miseria non mi tange, Nè fiamma cTesto incendio non m* assale. l6 Canto Io lono, la Dio mercè, talmente fatata per Tacque della gloria, che la vostra miseria, cioè die T infeliciti di voi altri ioaprai, non mi tocca, nè fiamma deir incendio de' dannali non m' assale. E notili, die quella dei aoapeai la chiama raiirria, non conaiaiendo in arnao dolorifico, ma in pura afflizione di apirito per la diiperata viaion d' Iddio; dove quella de' dannau la chiama fiamma, perchè tormenta poaitivamente il aenao. V. 94. DoTina e gentil nel Ciel, che si compiange Di questo impedimento, ov" io ti mando, Si che duro giudicio lassù frange. Quella donna, il cui nome è taciuto dal poeta, è inteaa generalmente da' commentatori per la prima grazia detta da' maeatrì in divinità grada data; la quale, perchè viene per mera liberalità divina, è anche detta preveniente, dal prevenir di' dia fa il merito dell' azioni umane. Queata dunque addirizzando la volontà del poeta nel buon proponimento d'uacir della aelva del peccato, e di aalire il monte Bgurato per la virtù e per la contemplazione, piega e rattempera il rigoroso giudicio d'iddio; onde dice: che dal compiangerai di quella donna per l'itupedimento, che trova della lupa, il buon voler del poeta, duro giudizio laaaù frange, cioè muove Iddio a conipaaaione, vedendo, che gli manca più il potere, che il volere; onde merita d'aver in ajuto la aeconda grazia deiu illuminante, la quale ( ipongono i commentatori ) da Dante è chiamata Lucia, dalla luce, eh' ella n'infonde nell'anima Questa seconda grazia chiama finalmente la terza, detta perficiente o coniumante, espressa per Beatrice o per la teologia; dalla quale vien condizionata la niente umana alla contem) dazione della divina etienza : il che Ottimamente li conacguiice col mental TÌaggio dell* Inferno e del Purgatorio, cioè a dire con la meditazione di quelle pene; •! come avviene al noetro poeta, il qual per tal cammino li conduce alla fruizione del Paradiio, e ai alla contemplazione d' Iddio. V. 97. Questa chiese Lucia in suo dimemdo, £ disse, Ora abbisogna il tuo fedele Di te, ed io a le lo raccoaiando. Lucia nimica di ciascun crudele Si mosse, e venne al loco, dov V era : Che mi sedea con l'antica Rachele. Questa donna, cioè la grazia preveniente, richieee con tua dimanda Lucia, cioè la grazia illuminante, che ajutatte il tuo fedele, cioè Dante; il quale in altro luogo dice di tè, eh* egli fu fedele a creder quella, in che la grazia illuminante TammartlTava: e Lucia ti mette tubilo a chiamar Beatrice, la qual ti sedea con l'antica Rachele; e ciò per tignificare, che la teologia è indivitibil compagna della contemplazione, poiché Rachele (che in verità fu moglie di Giacob ) nel vecchio teitamento ti piglia per la vita contemplativa. V. Io 3 . Disse: Beatrice, loda di Dio vera. Che non soccorri quei, che t'amò tanto, Ch' uscio per te della volgare schiera ? Disse, cioè Lucia Disse. Loda di Dio vera. Chiama la teologia e la grazia vera lode d' Iddio, forte perchè dalla prima comprende l'uomo gli ecceUi attributi di quello, ond* avvien a intiniiarne conceui più adeguati di qualunque altra lode, che privi del lume di lei tlamo capaci di udirne; e dalla teconda ti nvuùfctu raltiiiiiuo pregio delle tue miaericordie. a8 Canto V. ic5. eh’ uscio per le /iella volgare schiera. Per te toma bpne nel temo allegorico e nel letterale; poiché Dante non t|nccò meno al tuo tempo per la profonda notitia della tacrata teienza, che per le rime e per gli altri parti, a' quali tollerò il tuo nobilittimo ingegno Tecceitivo amor di Beatrice. V. ic8. Su la fiumana, ove'l mar non ha vanto ^ Qui il Fioretti, non rinvenendoti qual tia qiietta fiuDtana, poitilla in queata forma : Che fiumana ? ieslia. Ma noi, per ora latciando il Fioretti nella tua tfacciata ignoranza, terberemo ad altro luogo la tpotizionc di quetto verto. V. 109. Al mondo non fur mai ecc. Dice Beatrice, che al mondo non fu mai pertona coti aoUecita a cercare il tuo bene e fuggire il tuo male, com' ella dopo tale avvito del grave pericolo di Dante fu pretta a venir laggiù dalla tua tedia beata. V. 114. Ch'onora te, e quei, ch’udito V hanno. Perché le poetie di Virgilio non tolamente onoran lui, che l’ha fatte, ma qualunque ne diviene ttudioto; onde ditte di té medeiimo nel primo canto, T. 86. Tu se’ solo colui, da cui io tolsi Lo hello stile, che m’ ha fatto onore. V. lao. Che del bel monte il corto andar li tolse. Ti fe' ritornare indietro, quando poco di viaggio ti rimaneva per condurti alla cima del bel monte, cioè al tommo della virtù o della contemplaiione. V. i 39- Or va, eh" un tot volere è efamendue. D’amendue noi; il tuo cT andare, il mio di venire. V. 143. Entrai per lo cammino alto, e tilvettro. Spoogono i commentatori alto, cioè profondo. Io però m'aRerrei al parere del Manetti nella tua ingegnoaa operetta circa il silo, forma, e misura delf Inferno di Dante, dove intende alio nel ano proprio tignificato, cioè d’elevato e aublime; con ciò aia coaa che egli pone Teotrata deir Inferno in aur un monte aalvatico, per entro il cui aeno ruoli eh’ e’ ai cominci immediatamente a acendere. Ma di ciò non fia mio intendimento al preaente di favellare I potendo ciaacuno in queato ed in ogn’ altra particolarità del aito e della forma della atupenda architettura di queato Inferno aaaai ampiamente aoddiafarai con ana breve lettura del aoprammentovato autore. ]\^0STiiA in qaetto terzo canto (*) c Tettersi condotto per lo canunino alto e ailreitro alla porta dell* Inferno» la cui Menzione comincia ex abrupto al principio del canto» come l'ei leggeue. Di poi, acendendo per J' interne vie del monte, arrivato in quella concaviti o caverna della terra, che è quali come un veitibolu dell' Inferno, ed è immediatamente sopra il primo cerchio, cioè sopra il Limbo, vede quivi Tanime degli teiaurari, cioè di coloro, che mentre vissero non furon buoni ni per aè, nè per altri, ninna buona o rea cosa operando. Questi dice eh’ hanno per tormento il correr perpetuamente in giro dietro un' insegna che tutti li guida, c (*> Dira qvslceia di riè che dir« il CrlU con r«atorità dal iigliolo a dal nisota dì Dante, cha dal prima vcr.o dal quinta canta comincia la narrationa dal paama. Calli, Uh. X..3a Cauto chr in cotal cono ton punti e fieramente trafitti da tafani e da moaclie. Attraversato quello spazio poi destinato alla girevoi carriera di quegf infelici, dice essersi condotto al fiume d’ Acheronte, e quivi aver veduto venir Caronte per l'anime de' dannati, e dopo, euer tramortito in su la riva di quello. V. I. Per me si va ecc. Si finge, che parli essa porta. Ferme, il senso it Per entro me. Y. 4 . Giustizia mosse ‘I mio aito fattore. Veramente il motivo di fabbricar P Inferno venne dalla giustizia, la qual si dovi far di Lucifero e degli angeli suoi seguaci. V. 5. Feeemi la divina potestafe. La rowaui sapienza, e 'I primo Amore. La Santissima Trinità, della quale spiega le persone per gli attributi: il Padre per la potenza, per la sapienza il Figliuolo, per l’amore lo Spirito Santo. V. 7 . Dinanzi a me non far cose create, Se non eterne ecc. Seguita a parlar la porta per esso Inferno; e dice, che avanti a lui non fu altra specie di creature se non eterne. Per queste intendono assai concordemente i commentatori la natura angelica; la quale, siccome dovette esser punita per la sua ribellione, cosi par molto verisiiuile, che il carcere d' Inferno fosse fabbricato dopo il peccato degli angeli; e sì dopo la loro creazione. Che poi Dante se li chiami eterni, cioè in ritguardo dell'eternità avvenire. p«r la qaal dureranno, onde i teologi U chiamano eterni a pitrte post^ o, come ad altri dì essi è piaciuto di no« minarli, sempiterni, a distinzione delT eterno a parte ante, il che si conviene solamente a Dio. Na siami qui lecito il metter in campo una mia considerazione, la qual mi dichiaro, eh' io non intendo di proferire altrimenti, che ne’ puri termini del potrebb* essere, a fine di sottoporla al savio accorgimento di quello, al quale è unicamente indirizzata questa mia deboi fatica. 10 discorro così : L’ Inferno ( secondo Dante ) fu creato col mondo, e ’l mondo fu creato in istante. V. la. Perch* io : Maestro, il seruo lor m è duro. Onde io ( vi s’ intende, dissi ) : O Maestro, il senso lor m* è duro. Duro, cioè aspro, e non, com* altri vo~ gliono, oscuro. Perchè leggendo Dante l’ immutabil decreto di non uscire della porta d’ Inferno, a ragione di bel nuovo s’ intimorisce. V. i3. Ed egli a me, tome persona accorta i Qui si convien lasciar ogni sospetto. Da questa risposta di Virgilio si conferma il detto di sopra, che Dame non disse essergli duro, cioè oscuro, 11 senso deir iscrizione dell’ Inferno, ma duro, cioè aspro, spaventoso; perchè Virgilio non piglia ora a chiosargli la suddetta iscrizione, ma lo conforta a francamente entrarvi. Così la Sibilla ad Enea nel VI, v. a6i. Nunc aiwuis opus, Aenea ^ nane pectore firmo. Ma io di qui avanti non mi fermerò a conciliare i luoglìi simili di questo canto col sesto delP Eneide, come benissimo noti, a chi scrivo, le non dove m'occorra di 34 Canto fare apiccare l'eccellenia di alcuna di queati col paragone di quelli. V.i8 il ien étW intelletta. La viltà e la cognoicenaa d'iddio. V, ai. Quivi sospiri, pimti, e ahi guai. Ne* tre arguenti terzetti par, che Dante abbia voglia di auperar Virgilio nell' eipreaiione della niiieria de’ dannati. S'ei ae lo cavi o no, giudichilo chi farà confronto di quello luogo con quello del VI dell’ Eneide, v. SS^, Bine txauJiri gemi/us, et saeua sonare. V. iq. Sempre 'n queW aria, sema tempo, tinta. I comineo latori apirgano eoa): Tinta senza tempo, eioh lenza variazione di tempo al contraria dell' aria noatra, la qual ai tigne a tempo come la notte, e ai riachiara da' raggi del aopravvegnrnte iole. La Cruaea legge diagiuntamentr, Ària senza tempo, fintai onde il Rifiorito apiega quel senza tempo, eterna, quaai che il aentimento aia tale, aria eterna, e tinta. Coi) nel canto che aegue la chiama eterna, v. i6. JVon avea pianto, ma che di sospiri. Che l'aura eterna facevan tremare, Cooiidero di pii), che l'epiteto di eterna in quello luogo del terzo canto corria[>oude al perpetuo aggirarli delle voci de' dannati, v. a8. Farevan un tumulto, il qual s'aggira Sempre in quell' aria, senza tempo, tinta; poiclià, a’ e' a'aggira eternamente, torna molto brne il dire, che eterna aia l'aria, nella quale s'aggira. £ poi nè meno può dirti, che rana deir Inferno aia tìnta senza tempo, cioè ( come tpongono i commentatori ) eternamente, perchè ancorché Dante dica di etta, Inferno, cant. IV, r. io. Oscura, profonda era, t nebulosa ’ Tanto, che, per ficcar lo viso al fondo, r non vi disccrnea alcuna cosa, Ciò non toglie, eh' ella in alcuni luoghi non fotte di continuo illuminata dal fuoco, come nel terto girone de’ violenti, ed in queito medetimo degli teiaurad, dove te non altro vi balenava, v. i33 La terra lagrimota diede vento, Che balenò una luce vermiglia. V. 3l. £d io, eh' avea d'errar la tetta tinta. Cinta d’errore, adombrata dall'ignoranza di ciò ch’io ndiva. V. 35. Che visser sansca infamia, e sanxa lodo. Che in queito mondo, nulla mai virtuoiamente operando, non latciaron di tè alcuna memoria. V. 37 . Mischiate tono a quel cattivo coro Degli jingeli, che non furon ribelli, Ni far fedeli a Dio, ma per te foro. £ opinione, che nel fatto di Lucifero fotte una terza Lizione d' angeli, la qual nè t'accottaiie a Lucifero, nè ti dichiaraite per Iddio, ma ti teuetie neutrale. Di queiti parla il poeta, e in pena della loro irreiolutezza li mette con gli teiauratì. Canto V. 4 o> Cacciarla eie!, per non tster men belli: Nè lo profondo Inferno gli riceve, Ck‘ alcuna gloria i rei avrebber d elli. n tentimcnto ì tale; Pel Cielo ton troppo brutti, per rinferno aon troppo belli; coti ti atanno in quel mezzo, ciof nel veaubolo di euo Inferno. Notiti ben, eh' egli dice, V. 41. Nè lo profondo Inferno gli riceve; volendo dire per Io profondo Inferno, coli, dove ti tormentano i rei > i quali avrebbono alcuna gloria cT averli in lor compagnia. Non come dicono gli i|>otitori.' ti glorierebbero per vederti puniti del pari con etti, che non commitero altro peccato, che d’etterti indiflfereoti tenuti, ma alcuna gloria v'avrebbero, perchè agli occhi loro la piccola macchia di tale indifferenza non varrebbe ad appannare il lustro di loro eccella natura, dalla quale ritrarrebbe alcun taggio della gloria, e ti della celette beatitudine. V. 47. E la lor cieca vita è tanto batta, Che ’nvidioti ton i ogn altra torte. Non tolaniente di quella de' beati, ma in un certo modo di quella de' peccatori. Tanto è riera, cioè vile ed oscura la lor misera vita, onde dice, che misericordia e giustizia gli sdegna, quella che di loro non è avuta, questa, che per cosi dir li disjirezza con distinguerli sì di luogo, come di pene da’ peccatori. E credo, che P intendimento del poeta sia J* inferire, che la maggior pena di costoro èia vergogna di non esser almeno stati da tanto, poich’ a perder s’aveano, di perdersi, come suol dirsi, per qualche cosa. Ond' egli arrabbuno e mordonsi le lani di noo aver avnto tanto «pirito da irritar almmend la divina giuttisia, la quale in « fatta guisa punendoli) par loro, eh* ella « per così dir y non gli •cimi, e ai li Timproveri e facciasi beffe della lor dappocaggine. V. Sa 9Ìdi un insegna y Che y girando, correva tanto ratta, Che d’ogni posa mi pareva indegna* Mette costoro rutti sotto un* istessa bandiera a dinotare la simigUanaa dell* indegna lor vita. Li fa correre per giustamente punir Tozio e Taccidia del tempo, eh* e* vissero. V. S 4 . Che ^ogni cosa mi pareva indegna. Spiega il Vellntello, eh* egli erano indegni d* alcun riposQ. Il Buti: Correva quest* insegna t che mai non mi parca si dovesse posare, e forse meglio. Non credo però, che nè Tuno, nè Taltro la colga. 11 Daniello e'I Bonanni •e la passano senza dirne altro. In quanto a me direi : che la mence del poeta sia stata di pigliar in questo luogo indegno per incapace, o altra cosa equivalente; e nel resto io credo, che Dance abbia forse voluto dar da strologare a* grammatici toscani; come fece Ennio a* Latini in quello indignas turres, dove da Girolamo Colonna r indignas viene spiegato per magnaSy e dal medesimo vien allegato in conformazione di ciò un luogo di Servio, il quale spiegando quel verso di Virgilio nelP Egloga X indigno cum GaUus amore periret, spone indignutn per magnum, e quell* altro pur di Virgilio nelle Ceiri: Verum haec sic nobìs grauia atque indigna fuere. Nel quale Giulio Cesare Scaligero spiega indigna y cioè inefiabile, e per trasUto, immensoCarto V. 59 - Guardai, e vidi l’ombra di colui. Che fece per viltatt il gran rifiuto. Intende di Piero d«l Murrone, che fu Papa Celestino V, il quale, tra per la tua sempliciti e l'altrui sottigliezza, s* indusse a rinunziare il papato. Questi fu ne' tempi di Dante, onde non debbe tacciarsi d' iinpietà il poeta, sapone nell’ Inferno l'anima di colui, che non essendo per anche dal giudizio mai non errante di Santa Chiesa annoverato tra' santi, come poi fu, poteva lecitamente credersi soggetto ad errare, e si interpretarsi in sinistro i (ini delle sue per altro santissime operazioni. V, 63. ji Dio spiacenti, ed a’ nemici sui. Corrisponde a quel eh' ha detto di sopra, eh’ e' non eran nè di Dio, nè del Diavolo. * • V. 64 . che mai non fur vivi. Morde acutamente con questa forma di dire la perduta loro vita. V. 65. Erano ignudi, e stimolati molto. Stimolati, risguarda anche questo la lor pigrizia. V. yS per lo fioco lume. Traslazione mirabile di quel eh* è proprio della voce, per esprimer con maggior forza quel che s' appartiene alla vista. Similmente nel primo canto, v. 60, per significare l'ombra della selva disse, dove'l sol tace: qui con non minor vaghezza un lume assai languido lo chiama fioco. V. 83. Un vecchio bianco, per antico pelo. Forma assai rara e nobilissima per esprimer la canizie del vecchio Caronte. Gridando : Guai a coi anime prave : Non isperale mai veder lo cielo ecc. Coinime mirabilmente otaervato, ioduceme mollo maggiore ipavento, l' imrodur Caronte minacciante l'anime nell' atto d'accottarti alla riva, che introdurlo muto verao di eaae, aiccome la Virgilio, il quale non lo fia parlar* ae non con Enea. V. 88 viva, Partili da codesti, che son morti. Kon diaae da codette, che aon morte, perché come anime eran vive; ma diaae, da codesti, cioè uomini, de’ quali ti potea veramente dire, eh' e' foatcr morti. V. 91 . Disse; Per altre vie, per altri porti Verrai a piaggia, non qui, per passare : Più lieve legno eonvien, che ti porti. Intendono i commentatori,, che Caronte predica a Dante la tua aalvazione, e che però gli dica, che egli arriverà • piaggia per altre vie, per altri porti, intendendo del porto d' Oatia poato vicino alla foce del Tevere, dove finge il Poeta, che l'anime imbarchino per l' itola del Purgatorio; e che queato più lieve legno aia il vattello con cui vien Vangelo a caricarle, di cui Furg. cani, n, V. 4 ^’ e quei s‘en venne a riva Con un vasello snelletto, e leggiero, Tanto che t acqua nulla n inghiottiva. Il Rifiorito però aaviamente contiderando (aecondo io pento ) quanto era cota impropria il porre in bocca d'un Demonio coti fatto vaticinio, mi tpiega queato patto in 40 Canto diverto lentimento. Prende egli altri porti in quetro luogo per altra condotta, cioè per altri die ti portino, e per lo più lieve legno intende l'angelo, che pattò Dante aJdormentato dall' altra riva, tenta che egli te n' accorgeue. Il che toma aitai meglio al rihuto che fa di lui Caronte; mentre di lì a poco li vede verificato quel eh’ egli dice, cioè che egli per altra via verrà a piaggia, ticcome vedremo più a batto. V. 94. £ ‘I Duca a lui ecc. E Virgilio ditte luì. V. 99 ave' di fiamme ruote. Ave' con Tapottrofo per avea, non ave terta pertona del meno nel preiente del verbo avere, come hanno alcuni tetti. V. 104 e‘l teme Di lor temenza, e di lor nasciiuenti. Gli avi e padri. Quelli tono il seme di lor semenza, quelli di lor nascimenti, perchè da etti immediatamente nacquero. Coti il Rifiorito. V. Ili qualunque s'adagia. Qualunque ti trattiene, non qualunque » accomoda nella barca, come tpone il Daniello, che tarebbe alato tpropotito. V, li». Come t Autunno si levan le foglie, L’una appretto delF altra, infin che 'I rama Rende alla terra tutte le sue spoglie. Similitudine tratu da Virgilio nel VI, v. 309. Quam multa in tyluit autwnni frigore prima Lapta cadunt jolia etc.; ma adattata asiai meglio da Daate, nel cui InTerno niuna deir anime era eacluia dall'imbarco, liccome niuna delle foglie riman tu Palbero; al contrario di quel di Virgilio, nel quale tutti coloro, che non eran sepolti, erano lasciati in terra. E poi elf i grwdemente nobilitata col proseguimento di essa fino al restare spogliato del ramo, paragonato al restar voto il lido j dove Virgilio la regge solamente nella prima parte del cader delle foglie, e dell' imbarcarti fanime; passando poi subito a quella degli uccelli, che passano oltramare. V. 1 18. Cori seis vanno tu per f onda bruna. Bellissima ipotipoti, e che mette sotto agli occhi il camminar della nave. V. lao. Anche di qua nuova tchiera t'aduna. Di quelli, che continuamente e per ogni stante di tempo muojon dannati. V. laS. Che la divina giuttizia gli tprona. Si che la tema ti volge in detto. Chiese innanzi Dante a Virgilio : perché quell* anime paressero si volonterose di passare il fiume, v. qi. Maettro, or mi concedi, Ch’ io tappia, quali tono, e qual cottume Le fa parer di Irapattar ri pronte. Ora gliene rende la ragione, mantenendogli nello stesso temp^ la promessa, che glien' avea fatta in quc* versi 76. le cote li fien conte. Quando noi fermerem li nottri patti Su la tritta riviera d Acheronte. £ dice, che ciò accade, perché la divina giustizia le sprona ai, che la tema §i volge in diblo. l*^eIU epoai/ione di queato paaao i coumieotatori a* aggirano per diverae strade t non mancando di quelli, che ae la paaaano eoo la mera apiegaaione allegorica, lo però, fìntanto che non trovi meglio da aoddiafarmi, atarù nella mia npinionet la qual è : che Dante abbia preteao d'eaprimere un terribile effetto delia diaperazion de' dannati, per la quale paja ior nuir anni di precipitarai ne' tormenti, ed empier in ai fatto modo l'atrociià delia divina giuatiziat la quale, secondo loro, è sì vaga della loro ultima uiìaeria. Coai abbiamo veduto di quelli i che oda rabbia, oda gelosia, o da altra violenta paaaione ai tono indotti a darai morte volontaria per un diadegnoao guato di aaziare il fiero animo di donna o di principe contro di loro adegnato. Cosi Inf. cant. i3. Pier delle Vigne, segretario dì Federigo imperatore, dice essersi per un aioiile guato data la mone, v. L*anÌMO mio per disdrgnoso gusto, Credendo col morir fuggir disdegno, Ingiusto fece we, contro me giusto^ Un a’imil disperato affetto ai vede raramente eapreaio da Seneca nel coro dell' atto primo drlT Edipo, dove parlando in persona de' Tebanì ridotti all* ultima diaperaaione per quell' orribile peauleoza, fa dir loro cosi : v. 88. Prostrata iacet turba per orai, Oratque mori : solum koc facilee Tribuere Dei. Delubro petunt; Jlaud ut uoto nuinina placent, Sed iuuat ipsos satiare Deot.Ancora il Boccaccio fa proromper la diaperata Fianimetta in una aiiuil bettemmUf tacciando gli Dii dell* ingordigia, ch'egli hanno, di rovinar coloro, die da esai aono inaggtormeote odiati. Fiam. lib. 1 . Ma gl* Iddìi a coloro, co* cfuali essi sono adirati, benché della lor salme porgano segiu>, nondimeno gli privano del conoscimento debito. E COSI ad un* ora mostrano di fare il lor dovere « e saziano f ira loro» V. 117. Quinci non passa mai anima buona» Tutte ranime, che di qua pattano, aon dannate; però tu Dante puoi ben comprendere la ragione, ond* egli ai motte a rigeuard dalla tua nave. V. i 3 o. Finito questo, la bufa campagna TVemà forte, che dello spavento La mente di sudore ancor mi bagna. La terra lagrimosa diede vento, Che balenò una luce vermiglia, La quai tu vinse ciascun sentimento: E caddi, come Vuom, cui sonno piglia, Quetto luogo è a mio credere oteurittitno, e tengo per fermo, che a volerne capire il vero tignificato, aia necettario intenderlo affatto a roveteio di quel di' egli ò arato letto e apiegato 6nora. Poiché dicono i commentatori, che la luce vermiglia fu l'angelo, il qual venne, e addormentò Dante col terremoto, e coti addormentato lo prete e lo pattò all' altra riva. Io qui non domanderò loro, com' e' tanno, che Dante fotte pattato dall* angelo e non pintcotto da Virgilio o da qualche demonio, potto che egli non ne dica da per tè nulla, dicendo tolaiueute nel principio del IV canto, che, coin' e' fu desto, ti 44 Canto ♦roTÒ «Ter pasiato i! fiume Acheronte. Tuttavia, perché di ciò ftimo, che §e ne potsa addurre qualche probabi) conjettura, mi riitrignerò domandare : «e la luce vermi> glia naace dal vento esalato dalla buja campagna nel auo tremare ( intendo tempre di star tu la fona della lettera, che col tegreto dell' allegoria benÌMÌmo ao guarirti di questi e d'altri maggiori inveritimili ), come ti può mai intender per etta vermiglia luce un angelo venuto dal cielo ? E poi qual nuova virtù hanno i tuoni e baleni di far addormentar le persone ? O qual necessità v'era d'addormentar Dante ? E per averlo addormentato e pattato dormendo, qual grande avvenimento ti cav' egli da questo tonno ? Il Vellutello è stato a tocca e non tocca d* indovinarla, facendo nascere non il baleno dal terremoto, ma il terremoto dal balenare; ma non ha poi •piegato come ciò post* estere, stante il sentimento dei versi seguenti: i33. La terra lagrimota diede vento ^ Che balenò una luce vermiglia* Spiega il Landini; Che, cioè il qual vento balenò una luce vermiglia. Dunque se fu il vento, che balenò, non fu il baleno, che fe' tremar la campagna e spirare il vento; e per conseguenza, se il baleno fu parte dell' aria infernale, non ti può dire, eh' e' fosse l'angelo. Io però credo, che con pochissimo la lezione del Vellutello si farebbe diventar ottima, cioè con legger quel Che per Perchè, o Perciocché, o Conciossiacusachè; si che il •enso fosse; La buja campagna tremò, la terra lagrimosa diede vento; Perchè ? Ecco : Perchè balenò una luce vermiglia. Cosi toma quello, eh' io diceva da principio, che a capire e a voler dar qualche sentimento aquetto luogo era necenarìo intenderlo a roretcio di quello, eh' egli era inteso universalmente; cioè dove gli altri intendevano il baleno per effetto del terremoto e del vento, intender il vento ed il terremoto per effetto di esso baleno. In tal modo non i più veritimile, anzi torna mirabilmente l' interpretare il baleno per la venuta deir angelo; il quale, oltre a quello, che n’accennò Caronte quando disse, v. 91. Per altre vie, per altri porti y errai a piaggia, non qui, per passare, Più lieve legno convien, che ti porti. si rende molto credibile, che foste più tosto egli, cioè l’angelo, che Virgilio, o un demonio, il quale passasse Dante, si per la gloria della luce, che balenò agli occhi del poeta, ti perchè estendo il passar Dante di là dal fiume opera soprannaturale e miracolosa, molto maggior dignità è farla operar per un angelo, che per un’anima o per uno spirito; e ti finalmente perchè altre volte, quando è stata da superare qualche gran difficoltà, come alla porta della città di Dite, dice espresso, che venne un angelo a farla aprire. Che poi alla venuta dell’ an- gelo la buja campagna tremaste, è nobilissimo accidente, e proporzionata corritpondenia alla grandezza dell’ avve- nimento. Lo stesso sappiamo esser avvenuto, quando v’arrivò Tanima di Cristo Signor nostro per liberare i tanti del vecchio testamento; come ti legge in S. Mattea al cap. XXVII e al cap. XXVIII più strettamente; dove, scrivendo la venuta d’un grandissimo terremoto, ne dà per cagione la scesa iTun angelo; Et ecce terraemotus factus est ntagnus; Angelus enim Domini descendiS de taelo. Dove notisi, che quell' zaùn ha la stessa forza, che Canto io intendo dare a qnel che, cioè di perchè o di percioc- ché, o di conciossiacotoché, arnia clic interroghi, nè ciò aenia molti eaempj di prosa e di versi, come si può vedere al Vocabolario, e più difltusamente appresso al Cinonio. Un simil costume si vede anche osservato da' poeti gentili, come eh' e' lo conobbero benissimo adattato alla dignità de’ celesti personaggi. Servio : Opinio est sub oduentu Deorum moueri tempia. Seneca, nell’ Edipo, atto 1.*, scena prima, dove Creonte ragguaglia lo stesso Edipo della risposta dell’ Oracolo, v, ao. Vt sacrata tempia Phoehi supplici intraui pede, Et pias, nutnen precatus, rile summisi manus; Gemina Parnassi niualis mrx trucem sonitum dedit, Imminens Phoeboea laurus treiimie, et mouu doutuau E Virgilio, Eneide, lib. Ili, v. 90. Vix ea fatus eram, tremere omnia uisa repente Limina, laurusque Dei, totusque moueri Mons circum, et nugire adytis cortina reclusis. Precede questo alF Oracolo d'Apollo; luogo imitato da Callimaco nel principio delf inno in lode della stessa Deità, V. I. *Oso« S Ttt’nóAAswoc iaiiaaro Só^iroq ‘Ola, f ZXov TÒ fiéXaipoo' enàf, inàif, Sant dXtSpót, Come s'e' egli mai scosso questo ramo £ alloro sacro ad Apolline; Come s' e’ scossa questa spelonca l Fuara profani: fuora: Lo Scoliaste dice, che ciò avvetiiva per la venuta dello Dio. Le sue parole sono : itetdfigovvTOt Tov dfov. Come t"e’ icotto quitto ramo, come i e' scossa questa spelonca! Non, Quanto s' è scosso questo ramo ree.; come traalata il traduttore di Callhnaco, lenza ponto avvertire, che Io Scolialte greco l’ ha inteio in lenio di coinè e non di quanto: Olov 5 rà ’II^A.X«vo{ ) 'Atri Toó o2at, Siro(. Or reggili le l’ interprete doveva mai tradurre otog ovvero Sicmf per quantus; e pur era un lolenne tradut- tore, e che li piccava iniioo di icrivere veni greci. Virgilio nel VI fa lervire un limile avvenimento a no- bilitar la venuta della Sibilla nelf Inferno, v. iS5. Ecce autem primi sub lumina solit, et ortut, Sub pedibus mugire solum, et juca coepta numeri St/luarum, tùtaeque canet ululare per umbram, Aduentante Dea : Procul, o procul ette profani. Coll Claudiano de Rap. Froterp., lib. 3, alla venuta di Plutone, V. iSa. Ecce rrpens mugire fragor, confligere turres, Pronaque uibratis radicibus oppida uerti. Che poi Dante non dica apertamente dell’ angelo, ciò è fatto ( come awertiice il Boti nel Comento lopra il canto IV) con grandiiiimo accorgimento i poichò egli non potea dire le non quel tanto, eh’ ei vide; e te dice, che la luce vermiglia lo fe’ tramortire, vincendogli cia- •cun tentimento, e che in questo fu panato di là dal fiume, sarebbe stato molto improprio, eh* egli ci aveste dato conto di quel eh’ accade durante questo suo sveni- mento. Dico svenimento, non sonno, al contrario di tutti gli tpositori, i quali, mi maraviglio, come in cosa tanto manifesta abbiano preso un sì grosso equivoco. Dice Dante, che la luce vermiglia gli vinse ciascun 48 Canto lentimento, cadde come Tuoma preio dal loono. Dunque, a' ei piglia la limilicudme da colui, che cade addormen- tato, ^ troppo chiaro, ch'egli cadde per altra cagione; che non li piglia mai il paragone dalla iteiia cola para- gonata. Qual freddura larebbe mai queita ? Caddi addor- mentato, come cade quegli, che l' addormenta’ Tramortito bensì; e ciò' intende molto bene, come polla derivare dallo ipavento del terremoto, e dall’ abbagliamento della luce vermiglia; ma non già il lonno, il quale è ami •cacciato, come vedremo nel principio del leguente canto, e non luaingalo per un tuono. Un caio asiai limile li legge in Daniele al cap. X, dove egli icrive di lè medesimo, che la vennta deir angelo, che avea combattuto col re di Persia, avea ripieno di tale spavento quelli eh' erano col profeta, che l'erano fuggiti; ond'egli, vinto in ciascun sentimento e abbattuta ogni lua virtù, rimase solo a veder la visione; yidi auttm ego Daniel solus uisionem. Porro uiri, jui erant mecwn non uiderunt, ted terror nimiue irruit super eoe, et fugeruni in aiscondilum; ego autem relictut solus nidi uisionem grandem lume, et non remansit in me fortitudo, ted et species mea immutala est in me, et emareui, nec habui quiiquam uirium. E poi diremo noi. Dante esser caduto morto, per quel eh' ei dice al canto V dell’ Inferno, v. 140. E caddi, come corpo morto cade ? Dunque con qual ragione or, di' e' piglia la similitu- dine dal cadere d'uno, che l'addormenta, dir vorremo, eh' egli si cadesse addormentato ? Nè meno volle Dante cavarci di questo dubbio della venuta dell' angelo, fa- cendosela narrare a Virgilio, siccome nel IX del Purga- torio li fa dir, che Lucia Io prese dormendo, v. Sa. Dianzi ntìf alba i cKe precide il giorno, Quando f anima tua dentro dorniia, Sopra li fiori, onde laggiuso è adorno, Venne uno donna, e ditte : /' ton Lucia; Latcialemi pigliar cotlui, che dorme : Si t agevolerò per la tua via. avendo fone in ciA mira non tanto alla varietà e alla bizzarria, quanto (come avvertUce io Smarrito ) a lalvar la modeitia, per la quale non vuol coti pretto farti bello d'un tì alto favore; riapetto, che manca poi nel Purgatorio, dove la tua anima per la meditazione delr Inferno era divenuta piti monda, e ti pili vicina a pervenire all' altittima contemplazione d' Iddio. Veduto del concetto principale di quetto luogo, è ora contegnentemente da vedere con brevità d'alcune cote, che rimangono, per aver una piena intelligenza anche de’ pai-ticolari tentimenti. V. i3o. Finito quetto, la huja campagna Tremò ri forte, che dello tpavenlo La mente di tudore ancor mi bagna. Qui mente per fantaiia; e 'I tento à; La fantatia, rimembrando l'alto tpavento, ancor ancora muove tudore, il qual bagna me, e non \a mente, come t'accordano con gran bontà a intendere il Vellntello e 'I Daniello. Coti ancora vediamo quell' azione, liati dell' anima, o degli tpiriti, che i' etprime con quetto vocabolo di fantatia, per allungare al palato, e romper Pagrezza de’ frutti acerbi gagliardamente immaginati, muover taliva. V. i33. La terra iagrimota diede vento ere. So Canto terzo. Qurito è confuroie la volgare opioionei che crede il terremoto produrti da aria terrata nelle vitcere della tetra; la qual opinione tappiamo ettere tlata leguitata da Dante, come ti raccoglie da un luogo del XXI del Purgatorio; dove in perenna di Staiio rende la ragione de' terremoti, che t'odono intorno alla falda di quella montagna con quetti versi 55 e aeg. Trema forse quaggiù poco, od assai ; Ma per venSo, che irs terra sì nasconda. Non h dunque gran fatto, che, portando egli quetta credenza, dica, che nel terremoto della buja campagna otc) vento di terra, volendo inferire di quell' ana, che nello tcotimento, e forte nell' aprimento della suddetta campagna ti sprigionava. Raccolta, eom’ an tuono Io f«ce ritornare in, e come trovò aver pattato il (ìamc Acheronte dalP altra riva, la qual fa orlo al catino de!!' Inferno, chiamato da lui valle dolorosa d'abiuc. Dice poi, d'eticre tcrio nel primo cerchio <^’ etto Inferno, che è il Limbo. Dimanda a Virgilio della venuta di Critto in quel luogo, ed ode la tua ritpotta. Quindi patta a veder 1' anime de* bambini innocenti, e dopo quelle di coloro, che visterò secondo il lume delle virtò morali ; e con la motta per discender nel secondo cerchio, termina il canto. V. 1 . Rufptmi t alto tonno nella lesta Un greve tuono, ti eh' i" mi riscossi, Come persona, che per forza è desta. Statuì dio della similitudine presa da chi dorme; onde chiama sonno quello, che in realtà era tmarrimento di spiriti, e svenimento. Chiamalo alto, a differenza del Digitized by Google Sì Canto «ODDO naturale: anzi, a fine d'eeprimerlo alùiiiraot dice, che un greve tuono a gran pena lo ritcofte, rome ai rìacuote persona, che per forza è desta* £d ecco retta la comparazioDe fin all' ultimo^ dopo averla fatta operar con grandisiimo artifizio in tutte le «uè parti. Il tuono potrebbe a prima viata parere non eaaere auto altro, che il rumore degli alilaaimi pianti, e delle mìaere atrida de* danoati, chiamate da Dante poco pid abbaaao tuono. J tu la proda a mi trovai Della valle d * abisso dolorosa, Che tuono accoglie d* infiniti guai. Goal di aopra nel terzo canto, t. 3o, rasaomiglia i gemiti degli aciauratì allo apìrar del turbo : qui, ove ai aeote il pieno del triato coro dell' Inferno li rasaomiglia al tuono. Potrebbe forse anclie dirai, che questo tuono venne dall' aria del terzo cerchio della piova, dove aon puniti i golosi ; non essendo punto fuor di ragione il credere, che insieme con la gragnuola venisiero aoche de* tuoni, siccome veggiamo accadere nella noatr* aria, il che nell* Inferno ajuu a far crescer la peoa e lo apa> vento de* peccatori. Considero dall* altro canto, che in sì gran lontananza, qual è quella del terzo cerchio, volev* essere un gran tuono per esser sentito da quei, eh* erano in su la riva d* Acheronte. Ma bisogna ancora considerare, che quivi non tuona all* aria aperta, come fa a noi, ma nel chiuso della valle ' d* abisso sotto la volta della terra, che rintrona e rimbomba per ogni banda, e sì lo strepito vien portato, come per cana> le, all* orecchie di Dante ; e a chi farà rifiessione, a qual distaiza arrivi la voce d* uno, che parli aoche pianamente per una canoa forata, forse non parrà tanto gUAKTo. 53 HiTerUtroile queito pensiero. Senxa che delle campane alla campagna aperta, dov' elle abbiano il vento in favore, •'odono dieci o dodici miglia lontano^ e rartiglierie tirate alta marina di Livorno s'odono talvolta Hn di Firenze, che per retta linea aWà ben cinquanta miglia di lonta* nanaa. Più coerentemente però al costume non meno, che alla grandezza della fantasia di Dante, si dirà, che il tuono non fu altro, che quello incominciato nel canto antecedente, di cui nel ritornare il poeta in s^, udendo lo strascico, non rinvenendosi (come accade a chi dorme, e molto meno a chi è svenuto) quanto tempo fosse stato fuori de* sensi, lo credette ( stando assai bene io sul verisimile ) un altro tuono. E di vero, per passare il fiume su l'ali d'una potenza soprannaturale, non vi volea cosi lungo tempo, che giunto su l'altra riva non potesse ancora udire il rintuono di quel tuono stesso, che scoppiò col baleno, allorché Dante si ritrovava al di là dal fiume ; maravigliosa osservanza di costume. Si desta naturalmente, perchè già il miracolo della sua trasmignv «ione era fornito, e udendo in quello tuonare, mostra di credere d'essere stato desto dal tuono, come farebbe ognuno, che si abbattesse a destarsi in quel eh* e' tuona. V, 1. Rupptmi tolto tonno ecc. Questo luogo si vede imitato, o per meglio dire stemperato dal Bocc. Itb. I. Fiam, Fù it grave la doglia del €uore t quella aspettante, thè tutto il corpo dormente ritrosie, e ruppe il forte sonno. V. XI. Tanto che per ficcar lo viso al fondo. Per invece di quantunque, ed opera graziosissimamence. Il senso è : Tanto che, quantunque io ficcassi lo 54 C A H F o viso al fondo. Piglia ficcar la viltà per Guare gli occhi ; maniera aliai biiiarra. V. i5. r tarò primo, e tu sarai teconio. Queite parole di Virgilio aono aliai chiare quanto alla lettera; ma vuol fon' anche lignificare euer egli nato il primo a entrar a deicriver l' Inferno, lì come fece nel VI dell' Eneide, e Dante dover eiiere il lecondo. A chi lia riuicito più felicemente queito viaggio, aitai leggiermente ai può comprendere dal paragone. V. 15 . Ed egli a me; V angoscia delle genti. Che son quaggiù, nel viso mi dipinge Quella pietà, che tu per tema tenti. Spiega r effetto dell' impallidire per la lua cagione, che è il compatimento de' mortali affanni de' peccatori : forma di dire veramente poetica, anzi divina. V. ai che tu per tema tenti. Che tu interpreti per effetto di timore. V. a3. Cosi ti mise, e coti mi fe' ‘ntrare Ne! primo cerchio, che V abisso cigne. Qui incominciamo a icender dal piano dell' atrio dell' Inferno, cavato lotto la volta della terra, dove abbiamo veduto eiier puniti gli iciaurati, e corrervi il fiume Acheronte. Entran dunque nel primo cerchio, che è il Limbo. V. a5. Quivi, secondo che per ascoltare, Non uvea pianto, ma che di sospiri. S* intende nel primo verto : Secomlo che ti potea comprendere; cioè. Secondo che per l'udito ti potea quakto. ss Mcrorre ; poiché gli occhi non icrvivano a ditccrnerlo, mercé dell’ aria oicura, profonda, e nebuloia d' abliao. Ma che vale eccetto, aalvo, fuorché, aolaniente, pid che. Forae da magit quatti de* Latini; onde con tal particella vuol lignificare, che non v’ era maggior pianto eh’ un leniplice lamentar di aoipiri, lecondo che l’anime del Limbo non erano tormentate (dirò coli) nel corpo, ma lolamente nell’ animo, per la privazione d’ Iddio. Queito viene apiegato mirabilmente nel verio arguente a 8 . E ciò avvenia di duol senza martiri. V. 33 innanzi che più ondi. Andi leconda peraona dell’indicativo preaente del verbo Ando diauaato, dalla railice uiata andare. • V. 34 e t' egli hanno mercedi. Non basta, perch" e' non ebher batletmo; Ch‘ e' porta della fede, che tu credi. Qui mercedi lo iteaao che meriti; nè qurata è l’unica volta, che Dante l’ ha preao in tal lignificato. Farad. Dunque, senza merci di /or costume, iMcate son, per gradi diferenti. Parla dell’ anime, che in quello, che tono create, h.mno da Iddio, lenza lor merito o demerito, maggiore o minor dote di grazia. Chiama il batteaimo porta della Fede. Coll vien chiamato da’ maeitrì in diviniti lanua Sacramentoruia, V. 37. E s' e’ fuTon dinanzi al Cristianesmo, Non adorar debitamente Iddio. Parla de* gentili innocenti» cbe furono avanti alla venuta di Cristo ; i quali » ancorché non peccaiiero, anzi adorassero la Divinili, non Tadoraron debitamente, cioè secondo il verace concetto, che si dee aver d* Iddio, e secondo il legittimo culto prescritto dalla Legge mosaica; ma lo riconobbero o nel Sole, o nella Luna, o nelle Statue, e sì Tadororono con riti profani ed abbominevoU. V. 41 e soi di tatuo efesi. Che senza speme vivemo in disio. Vi •* intende siamo. Cioè, e soì di tento, o vero » e sol io CIÒ siamo efesi. Questa dice Virgilio esser la sola pena di quei del Limbo, Ira* quali ha riposto sé ancora ; Aver vivo il desiderio, e morta la speranza. V. 47* per ooler esser certo Di quella fede, che vince ogni errore. Per aver un riscontro della verità della nostra fede. V. 49. Uscinne mai alcuno, 0 per suo merto, O per altrui, che poi foste beato ? Credeva Dante ( che non v* é dubbio ) U liberazione degli antichi Padri operata da Cristo nella sua resurrezione ; pure da eh* egli avea sì bell* occasione di chiarirsi del vero, e con ottimo fine d* armarsi contro qualunque titubaziooe gli potesse venire di così alto mistero, non si potè tenere di domandar Virgilio, s* e* n* era uscito mai alcuno. E notisi, com* egli dissimula bene il suo animo : domanda prima di quel che sa, che non è, e che nulla gl* importa il sapere, cioè s* e* n* uscì alcuno per suo proprio merito, per farsi strada a domandar» di quel, che gli preme aMaÌMÌmo Tesier fatto certo, lenza che Virgilio potaa ombrarvi sopra od accorgersene. V. Sa. Rispose : I* era nuovo in questo sfato, Quando ci vidi venire un possente, Con segno di vittoria incoronato. Era di poco venuto Virgilio nel Limbo, quando ci vide venir Cristo nostro Signore, che mori intorno a quarantott* anni dopo la morte di esso Virgilio; il quale, perocché si non conobbe Cristo, però non lo nomina. Dice solo, eh* ci ci vide venire un possente incoronato di palma. Possente dalle maraviglie, che gli vide ope« rare in quel luogo, traendone sì gran novero d* anime, ond* a ragione si persuadeva, quegli non poter esser altri, che un grandissimo, e potentissimo principe. V, 6o. £ con Rachele, per cui tafito fe\ Vuol dire del lungo servizio di XIV anni reso a Laban padre della fanciulla, per averla in isposa. V. 64. JVon lasciavam rondar, perch' e* dicessi. Ancorch* e* favellasse, badavamo a ire. Lo stesso con« cetto lì ritrova replicato al XXIV, v, i del Purgatorio, ma con dicitura così bizzarra, che ben duuostra la ric« chezza della gran mente del poeta. . Nè 7 dir l'andar, nè l'andar lui più lento Ratea { ma ragionando andavam forte* V. 66. La selva dico di spiriti spessi. Qui selva per moltitudine : metafora assai f<untgliare Dante. Così nel piiiuo di questa cantica selva chiamò 6 S8 Canto gli errori giovanili, per entro la quale dice etieni egli amarrito, e più apertamente nella »opraccitata apoiizione della canzone : Le dolci Time d amor, eh' io eolia, dice amarrirviii l’uomo all' entrare della tua adolezcenza. Ancora nel primo libro, cap. XV della tua Volgare Eloquenza, rispetto ai diversi idiomi, che si parlavano allora in Italia, chiama quell’ opera Italica telva; e selva finalmente chiama in primo luogo una moltitudine di spiriti. Così abbiamo nelle scritture : Secar decurtus aquarum plantauU dominus uineam iuttorum. Qui molto giudiziosamente, trattandosi d'anime dannate, piglia la metafora più ruvida di «/va. della quale, avvegnaché si sia servito ancora S. Bernardo, è tuttavia da notare una doppia limitazione. La prima, eh’ egli parla in quel luogo delle anime, o più verisimilmenle delle diverse adunanze de’ nuovi cristiani, non già di quelli della circoncisione, i quali erano toccati a S. Pietro, ma di quelli venuti corì nudi e crudi dal paganesimo, onde oltre T esser forse tutti per ancora e male istruiti nella fede, e peggio riformati ne’ costumi, ve ne potevano esser molò de’ reprobi. La seconda, che in questo luogo selva è propriamente metafora di metafora, non pigliando il santo per piante di questa selva le anime a dirittura, ma più tosto le varie adunanze delle anime, velate prima tali adunanze sotto l’altra metafora di vigne, per viti delle quali vengono a intendersi le anime particolari, e di ciascheduna di queste vigne cosi numerose ne forma, per dir cosi, le piante d’una vastissima selva, che è la metafora secondaria, come si vede manifestamente dalle seguenti parole, che sono poco dopo il mezzo del sermone XXX su U Cantica ; Merito et Paulo inter gentet tam ingens tylua eredita ett uinearum. Anclir appresso gli Arabi si trova usata la stessa figura, come si può vedere da quest* esempio d' Harireo Basrense nel suo primo • Le sue parole sono le seguenti : dLJLsNwc jivervio io dunque penetrato nelt interna densissima teha per saper la cagione di quei pianti. Nè altro intende per sehat che una grandusima calca di gente, che s'affollava d'intorno a un ceno romito per udirlo predicare. V« 67. Non era lungi ancor la nostra via Di qua dal sommo; quancT 1 vidi un foco, CK ejairpm'o di tenebre vincia. Credo, eh’ ei chiami sommo l'erta, per la quale d«l piano di sopra, dove corre Acheronte, erano calati nel Limbo; e credo, eh' ei voglia dire, ch'egli erano caiuminati ancor poco per la pianura di esso, quando ei vide un fuoco, che illuminava un emisferio di tenebre. Questo fuoco non si rinviene molto chiaraiuente, dov'egli fosse, e come ei si stesse; nè i commentatori si fermano troppo a esplicarlo. Pure dal chiaiuarlo col nome di lumiera, e dal lume, eh* aveva a rendere non meno fuori che dentro alle mura de) castello, m'induco volentieri a credere, eh* ella fosse una (ìsunnia librata in alto nell* aria, come vergiamo alle volte alcune meteore di fuoco, le quali durano a vedersi nello stesso luogo, inhn tanto che dura la lor materia a ardere, e prestar alimento alla bo C A K T O 6(unina, pfT cui •! rcndon vi«ibili. Nè è da star attaccato alla fona delle parole, dicendo, che, te quetto fuoco illuacrava un eniieferio di tenebre, bitognava, eh’ ei fotte in terra, poiché alando in aria veniva ad lUuttrare una porzione maggiore della mezza tfera: poiché Dante in quetto luogo debbe intenderti come poeta, e non come geometra; né è veritimile, eh’ ei pigli itte allora le tette per miturare il giro dell’ aria illuminata. V. 73. O tu, eh' onori tee. Parole di Dante a VIRGILIO. V, y(j V onrata nominanza > Che di ior suona sii ne la tua vita, Grazia acquista nel ciel, che gli avanza. La fama e ’l pregio, che riman di loro nella tua vita, cioè nella vita mortale, la qual tu godi ancora, o Dante, impetra loro quetta grazia dal Cielo. V. 81. L’ombra sua torna, eh' era dipartita. Partitti allora dal Limbo Virgilio, quando a’ preghi di Beatrice andò a trovar Dante nella telva oteura. V. 84. Sembianza avean né trista, né lieta; e però conlacevole al loro alato nè di gioja, nè di tormento. V. 91. Peroeehb eiaseun mero si eonviene Nel nome, ehe sonò la voee sola; Tannami onore, e di ciò fanno bene. Mi fanno onore, e fanno bene a farmelo ; perchè a tutt’ e quattro ti conviene il nome, che la voce d’ un •olo diede a me» cio^ in quello di pòeta. In «ustanza: fanno bene a onorarmi, perchè siamo tutti poeti, e f onore, che è fatto ad uno, toma sopra tutti. Y. 94. Cast vidi adunar la bella scuola Di quel signor dell’ altissimo canto, D' Omero, dal quale hanno cavato tanto i poeti, e in particolare i quattr(\ posti qui da Dante. V. 9y. Da eh’ ehber ragionato insieme alquanto, Volsersi a me con salutevol cenno : £ ’l mio maestro sorrise di tanto. Qui non accade strologar molto quello, che Virgilio a costoro dicesse, vedendosi manifestamente ( tanto è artifizioso questo terzetto), eh' egli li ragguagliò dell* esser di Dante, del suo poetico spirito, e della sua profondissima scienza- Ciò si discuopre dalla cortesia del saluto, eh* essi gli fecero, e dal sorrider, che ne fece Virgilio ; poiché quel sorrise di tanto altro sicuramente non vuol signiBcare, che di questo, cioè di tcmto che fu fatto. Nè quei grandissimi spiriti si sarebbero mossi a far tanto di onore a Dante, se da Virgilio non ne fosse loro stata fatta un* assai onorevol testimonianza, della quale essendo frutto il cenno salutevole, esso ne sorride per compiacenza di vedere, quanto fossero «tate autorevoli le sue parole. V. ICO. E più d’onore assai ancor mi fenno ; C/f ei si mi fecer della loro schiera, St eh’ V fui sesto tra cotanto senno. Cosi n andammo insino alla lumiera, Parlando cose, che ’l tacere è bello, Si co/u era' i parlar, colà dop’ era. 6j Cauto A chi noD aTCMC ancora Bnito d’ intendere quel, che VIRGILIO ditcorreHe con Omero, e con gli altri tre, Dante con questi tenerti finiace di dichiararlo, volendoci in austanza dire, che da quello, che diaae di ane lodi Virgilio, fu di comun conaentiuiento giudicato degno d' eaaer nirsao nella prima riga, e ai annoverato tra' maggiori poeti, eh* abbia avuto il mondo. Più dilhcile iin. presa stimo, che sia I' indovinare quello, eh’ e’ discorressero in sesto, poiché Dante si fu accoppiato con esso loro, non aprendosi egli ad altro, se non di' e' parlaron cose, delle quali A bello il tacere, com' era bello il parlare colà, dov' egli era. I commentatori hanno avuto in tal veocrazione quest' arcano, eh' e' non si son pur anche ardili e spiarlo con l' immaginazione. A me quadra molto un pensiero sovvenuto al sottibssimo ingegno del Rifiorito. Stima egli, che tutto il discorso fosse in lodar Dante, e perchA mostra, che ancor egli favellasse, mentre dice, v. io3. andammo infino alla lumiera. Parlando cose, che ‘l tacer è hello. Il suo parlare non fu per avventura altro, che recitare qualcuna delle sue canzoni, secondo che da que' poeti ( siccome s' usa per atto di gentilezza ) ne fu richiesto. E ciò non solamente torna bene al costume, ma ( che più si dee attendere ) al sentimento de' versi ; essendo verissimo, che orala modestia fa diventar bello il tacere quello, che allora bellissimo era a parlare. V. Ila. Centi v' eran, con occhi tardi e gravi, Di grand' autorità ne’ lor sembianti : Parlttvan rado, e con voci soavi. Quello tertetto paò lerrir di norma a qualunque pi> glia, deicrtvendo, a rappreiencare il coitnme di gran perionaggio. V. il5. Traemmoei co/l dalF un de' canti In luogo aperto, luminoso, ed alto ; Si che veder si potén tutti quotili. Dal dire, eh' e' li trauero da un canto del caatello, ai convince manifeicamente, eh' ei non era murato a tondo, come alcuni si persuadono, e fra gli altri il Vellutello : tanto pid eh' e' non si può nè anche dire, che il castello era tondo bensì, ma che v' erano diverse piazze o strade, le quali venivano a formar degli angolii poiché non pare, che Dante figuri questo castello per altro, che per un dilettevol prato intorniato di mura ; e s' ei potè mettersi in luogo da poter veder tutti quanti, chiara cosa è, eh' e' non vi doveva essere impedimento di mura, o di case, o d'altri edifizj. A tal che questo canto, dond' e' si trassero Dante e Virgilio, mostra, che la pianu delle mura non dovea esser circolare. Molto meno è veriiimile, eh' elleno abbracciaiser il foro della valle, come è opinione cfalcuni, i quali si lon falsamente immaginati, che tutto il piano dello scaglione del Limbo fosse diviso, come in due armille concentriche, una esterna e maggiore, dove non arrivasse il lustro della lumiera, e quivi stessero l' anime degl' innocenti morti senza battesimo sospirando continuameote, onde dice, v. a6. ffon avea pianto, ma che di sospiri, Che laura eterna facevan tremare. minore l'altra ed interna, ed illustrata dalla lumiera, è questa facesse prato al castello de' Savj e degli Eroi. £ 64 Canto invrrUimile I dico, tal optDÌone. Prima, perchè in pro> porzione dell* altr* anime del Limbo y piccolisaimo è U numero di quelle* che sono ammesse per tspecialissima grazia dentro al delizioso castello ; per lo che* rimanendo loro un luogo sì vasto, vi sarebbero seminate più rade che per un deserto. Secondo* perchè in qualunque luogo del prato si fosser tratti Dante e VIRGILIO posto die nel centro non potessero starvi per essere sfondato * e terminar ivi la sboccatura del secondo cerchio * sarebbe •tato impossibile discemer tutti quanti* a non supporre* eh* e* sì fosser ridotti tutti in un mucchio vicino all* entrata * perchè da distanza assai minore, che non è quella del solo semidiametro di questo prato * a farlo cale * qual se lo figurano costoro, si smarrisce di vista un uomo dì statura ordinaria. Direi dunque * che il castello fosse da una porle del piano o pavimento del Limbo * e che per avventura nè meno arrivasse con le mura in su la sboccatura del secondo cerchio- E che sia *1 vero* usciti eh* e’ ne furono*, dice Dante, eh* e* tornarono nelf aura* che trema* cioè in quella, dove sospirano i padani innocenti, che l'aura eterna farevan tremare. Che se per lo contrario il castrilo fosse stato abbracciato dall* armilla esteriore* per discender nel secondo cerchio, non occorreva, eh’ c* ritornassero in quella, dove l’aria tremava. Kè vale il dire* che per aria tremante si può intender anche l'aria del secondo cerchio; perchè la sua agitazione (si come vedremo nel seguente canto) era altro che un semplice tremare, dicendo il poeta di questo cerchio, v. a8. J* venni in lungo <t ogni luce muto, Che mugghiai come fa mar per tempesta, S" e* da contrari venti è combattuto. Ecco dunque, che il catCello era tutto dentro all* orlo del Limbo io su la mano, tu la qual camminavano : e torna ottimamente allo scemarti la sesta compagnia in due, essendo Omero, Orazio, Ovidio e Lucano rimasti dentro al castello, e Dante e Virgilio essendone usciti o per altra porta, o per la medesima, ood* erano entrati, ma voltando all* altra mano, e incamminandosi per altra via da quella, ond' erano venuti. Così si condussero, dov' era il passo per discendere nel secondo cerchio ; si come vedremo nel canto seguente. >eccato, che ii punisce in questo secondo cerchio, è la lussuria, come il più compatibile all' umana fragilità, c per avventura il meno grave. Fmge il poeta di trovare al primo ingresso Flinos giudicante 1' anime. Di poi passa più oltre, e vede la pena de' peccatori carnali, la qual dice essere un furiosissimo, e perpetuo nodo di vento, il qual rapisce, e porta seco voltolando in giro queir anime. Virgilio gliene dà a conoscere alcune, che erano già state al suo tempo, ma di Francesca da Ravenna intende dalla sua propria bocca la cagione della sua morte, e insieme di quella di Paolo suo cognato, con r ombra del quale si raggirava per 1' aria del secondo cerchio. Cori discesi del cerchio primajo Giù nel secondo, che men luogo cinghia, E Scatto più dolor, che pugne a guajo. Discesi ; Io Dante diacesi. Men luogo cinghia ; si dimostra peripatetico f ponendo il luogo, distinto dall* esteiH sione della cosa locata. Quindi è, eh* ei dice il pavimento del secondo cerchio cignere, abbracciare, occupar minor luogo, in sostanza girar meno del primo, secondo che per lo digradar della valle gii\ verso il centro si discendeva. Così veggiamo ne* teatri dalla lor sommità i gradi infmo all' iullmo venire, successivamente ordinati, sempre risirignendo il cerchio loro. C ben vero, che quanto meno luogo cinghia, contiene in sè altrettanto più di dolore, che non fa il primo. Poiché, dove quello per esser solo dolor della mente, svapora in sospiri, questo, che alFligge il senso, pugne a guajo, cioè arriva a trar guai, pianti e lamenti dolorosissimi. Y. 4. 5 rauvs Afinos orriòilMente « e ringhia. Qui orribilmente ha forza di esprimere P orrida residenza, il tribunale formidabile, la fiera accompagnatura de* ministri, e forse il ferocissimo aspetto dell* infernal giudice. Bocc. Fdoc. Kb. 6, 42. Quivi ancora si veggono tutti i nostri Iddìi onorevolissimamente sopr ogn altra figura posti. Dove notisi, che per 1 * avverbio onorevolis^ simamenie ci dà ad intendere la preminenza del luogo, quanto la ricchezza degli ornamenti sacri, ed ogni altra nobile accompagnatura pertinente al culto degli Dii suddetti. Ringhia: accresce lo spavento, dicendosi il ringhiare de* cani, quando irritati, digrignando i denti « e quasi brontolando, mostrano di voler mordere. V. 6. Giudica, e manda, secondo eh* awvinghia. Qui avvinghiare per cignere. Ciò che Ninos ai cigneise, viene spiegato appresso. Vede qu«l luogo Inferno è da essa. Da in luogo di Per, ed esprime attitudine, proprietà, c convenevolezza. Cioè qual luogo d'infemoèprr essa, o vero convenevole ad essa. Veggasi di ciò il Cinonio. V. li. Cignesi con la coda tante volte ^ Quantunque gradi vuol ^ rAe sia messa. Conosce il poeta T obbligo, ch'egli ha d* uscire il piti eh* ci può dall’ ordinario, rispetto al luogo, e a* personaggi, eh’ egli ha alle mani. Quindi va trovando maniere strane ed inusitate di significare ì loro concetti ; come in questo luogo fa, che Minos si cinga tante volte la coda, quanti gradi hanno a collocarsi gid 1 * anime condannate. Quantunque per quanto, nome indeclinabile. Bocc. introd. n. i. Quantunque volte, graziosissime donne ^ meco pensando riguardo ecc. V. i3. Sempre dinanzi a lui ne stanno molte: Vanno ^ a vicenda y ciascun al giudizio: Dicono, e odono, e poi son giù volte. In questi tre versi è compresa un* esattissima e pun> tualissima forma di giudizio. V. a3. Vuoisi cosi colà » dove si puote Ciò che si vuole ; e più non dimandare. Le stesse parole per appunto furono usate da Virgilio a Caronte nel canto terze, v. 9 S. V. a 8 . t venni in luogo d* ogni luce muto. Notisi, come stando sempre su la medesima bizzarra traslazione d* attribuire il proprio della voce al proprio della vista, va continuameDte crescendo» Nella selva, ~e Casto dove r oicurit.\ e T ombra erano accidentali per l' impedimento de' rami e delle foglie, diwe aolamcnte tacerai la luce, V. 6o. Mi ripigneva là, dove 'I sol tace. Nell* atrio dell' Inferno dà al lume aggiunto di JSoco, accennando io tal guiaa, non eaier ciò per accidente > tua per natura ; cauto HI, v. 75. Com’ io discerno per lo fioco lume. Qui finalmente, dove a' ò innoltrato nel profondo della valle, muto lo chiama; e vuol denotare, che le tenebre di queato cerchio non aono accidentali, nè a tempo, nè aaaottigliate da qualche apruzaolo di languidiaaima luce, ma apeaae, folte, oatiuate, ed eterne. V. 3l. Za bufera infernal, che mai non retta. Mena gli spirti con la tua rapina: Voltando, e percuotendo gli moietta. Il Buti definiace eoa! : Bufera è aggiramento di venti, lo qual finge l’ autore, che sempre sia nel secondo cerchio dell" Inferno. A chi pareaac queata voce o poco nobile, o troppo atrana, ricordiai, che ai parla d' un vento infernale, e che merita maggior lode il cercar la forza dell' eapreaaione, che 1' ornamento delle parole ; ed è queata una pittura, che non richiede vaghezza di colorito, ma forza; e tanto piti è bella, quanto è meno liaciata ; estendo il naturale coti risentito, che non può bene imitarsi, te non è fatto di colpi, e ricacciato gagliardo di sbattimenti. Questa bufera adunque leva e mena gli spiriti con due movimenti. Con uno gli aggira secondo il corto della tua corrente, che va turno torno al cerchio ; con F altro ( e ciò fallo con la sua rapina, cioè col tuo grandissimo impeto ) li va voltolando in lor medesimi. Cosi veggiamo la pillotta e '1 pallone, i quali, se vengono spinti lentamente per Taria, son portati con un solo moto ^ che è secondo la linea della direzione del lor viaggio, ma dove urtino in muro, od in legno, osi, cadendo in terra, ribalzino mcontanente, ne concepiscono un altro, Bglio di quel novello impeto, che gli aggira intorno ai proprio asse. V. 34. Quando giungon dinanzi alla mina ; Qmvi le strida t il compianto t e*l lamento'. Bestemmian quivi la virtù divina. Qual sia questa rovina, i commentatori non lo dicono, o se lo dicono, io confesso di non intendere quello che dicono. Crederei, che per rovina intendesse T autore il dirupamento della sponda, giù per la quale egli era venuto ; e che questa fosse la foce, d' onde metteise il vento, il quale foue cagione di maggiore sbatiimento a quelle pover* anime, che vi passavano davanti. A similitudine d* un legno o d'altro corpo, cui la corrente d'un fiume ne meni a galla, il quale, se s* abbatte a passare, dove sbocca un torrente, o altra acqua, che caschi con impeto da grand'altezza, questa se se lo coglie sotto ^ lo tuffa e rìtufia per molte fiate, e in qua e in lè con mille avvolgimenti T aggira, e strabalza, in fin tanto eh' ei non è uscito di quella dirittura, e non ha ritrovato il filo della nuova corrente. Di dove, e come possa quivi nascer questo vento, vedremo allora, che si dirà della fiumana dell' eterno pianto, di cui nel canto seeondo mi rìserbai a discorrere in altro luogo. E (ome gli stornei ne portan F ali Nel freddo tempo a schiera larga e piena ; Così quel fiato gli spiriti mali. Brllisùma iimiUtudlne, e cavata ( «ì come la «cgitcnte poco appretto delle gru) con finitsimo accorgimento da animali tenuti in niun pregio, e per ogni conto vilittimi. V. 43. Di qua, di là, di giù, di tu gli mena : Nulla speranza gli conforta mai Non che di posa, ma di minor pena. Eipretiione felicistima ed inarrivabile di quel tormento, e che vince quati il vedere ttetto degli occhi. V. 48. Cori viiF io venir, traendo guai, Ombre portate dalla detta briga. Qui briga vai lo ttetto che noja, fattidio, travaglio; e briga preto nello ttetto significato d’ agitamento di venti. Farad, can. Vili, v. 67. £ la bella Trinacria, che caliga Tra Pachimo e Petoro sopra '/ golfo, Che riceve da Euro maggior briga. cioè sopra ’l golfo, eh’ è più battuto dallo scirocco. V. Si. Genti, che faer nero ri gastiga^ Corrisponde al detto di sopra, v. 18. I' venni in luogo iT ogni luce muto. E cerumente la pena de’ carnali è pena data loro dall’ aria, poiché l’aria col solo agitarsi si li tormenta. V. 54. Pu Imperadrice di motte favelle. Ebbe imperio sopra nazioni, che parlavano diversi idiomi. Modo usato altre volte da Dante : distinguere, o denotare i paeii dalle lingue, che vi ai parlano. Infer. cant. XXXIII, V. 79. Ahi Pila, vituperio delle genti Del bel patte là, dove 'I ri tuona. V. 55 . A vizio di Lutturia fu ri rotta. Che ’l libito fe' licito in tua legge, Per torre ’l biatmo, in che era eondoita. Aaaai è nota la legge della diioneatà promulgata da Semiramide, per cui ella penaò di aottrarai all' infamia de’ suoi vituperj. A vizio di Lutturia fu ri rotta. Forma di dire assai singolare. V. 60. Tenne la terra, che ’l Soldan corregge. Dice il Daniello, che Dante in questo luogo piglia un equivoco ; e che abbia voluto dire, Semiramide aver regnato in Egitto, ingannato dal nome di Babilonia, con cui nel suo tempo chiamavasi volgarmente il Cairo, allora signoreggiato dal snidano, non rinvenendosi dell' altra Babilonia fabbricata da Semiramide nell’ Astiria. Di questo errore pretende scusarlo con fargli nome di licenza lecita a pigliarsi da' poeti grandi, tra' quali gli dà per compagno Virgilio in un certo patto, non so già quanto a proposito, e con quanta ragione. Se io avesti a esaminarmi per la verità dell' intenzione, che io credo, che abbia avuto Dante ; direi forte ancor io, come il Daniello : tanto più che in que' tempi non ti aveva coti esatta notizia della geografia, che sia sacrilegio l'ammettere, che un poeta anche grandissimo abbia preso un equivoco intorno a una città, nella quale era facilittimo l’equivocare, 6 74 Cauto intrndendoii allora comuneniente per Babilonia quella d'Egitto; ticcome oggi per Lione templicemente ('intenderebbe sempre quello di Francia, e per Vienna quella di Germania; e quanto a questo, che Babilonia vi fosse in Egitto, e che fosse la stessa, che dagli Europei si chiama oggi il Cairo, l' afferma Ortelio. Boccaccio nel Decamerone, di tre volte, che nomina il Soldaoo, intende sempre quello d' Egitto ; e Dante stesso nell' XI del Farad., t. loo. E poi cht per la sete del martiro Alla presenza del Soldan superba, Predici) Cristo, e gli altri, che 7 seguirò. Farla di S. Francesco, il quale i certo, che parla del Soldano d' Egitto, e non di quello di Bagadet. Il Fetrarca dice anch' egli nel Sonetto; L'avara Babilonia ecc. non so che di Soldano. 1 commenti l' intendono per quel d' Egitto ; e il Gesualdo, se non erro, lo cava da una sua epistola, nella quale fa menzione delle due Babilonie, d' Egitto e d' Assiria. Ma chi volesse anche sostenere, che Dante non abbia errato, potrebbe farlo con dire, che per Soldano intese quegli stesso, che nel suo tempo signoreggiava la vera Babilonia di Semiramide, essendo la voce Soldano nome di dignità, e perciò convenevole ad ogni principe; e da Cedreno si raccoglie essere stata comune ancora ai Coliifi di Soria, particolarmente dove parla di uno di essi, che ebbe guerra con Alessio Comneno. Siccome e converso il Soldano d' Egitto aveva titolo di Cohffa, prima che dal Saladino fosse unito l'un, e l'altro titolo insieme, quando egli di semplice Sultano, eh' egli era, diventò Fun e l'altro, avendo ucciso il ColilTa nell' andar a pigliar da lui lecoudo il lolito l' ioicgne di Soldano. Fu anche Soldano titolo d' ufTizio coinè ai cava da quoto luogo del Ponti 6 cale romano citato dal Meunio ; Circa Pontifiiem, aliquando ante, aliquando poit, equilabat Mareicallus, siile Soldanus Curiae. lila per vedere adeiao, con quanta poca ragione il Daniello tacci Virgilio d’un timigliante equivoco, laiciaio di riapondere a quello eh’ ei dice, che egli nel Sileno confondeaae la favola d* lai e di Filomena, e nel terzo della Georgica acambiaaae Caatore da Polluce, nel che vien Virgilio difeao molto giudiziosamente dalla Cerda, vediamo il terzo equivoco notato dal aoprammentovato apositore di Dante ne’ seguenti versi dell' Egloga del Sileno, T. 74 . Quid loquar? aut tcyllam Nisi? aut quamfama secuta est. Candida surtinctam latrantihus inguina monstris, DutUhias ue rosse rales, et gurgite in allo, Ah, timidos nautas canibus lacerasse marinis ? Qui dice il Daniello, senza allegarne alcuna ragione, che Virgilio equivoca da Scilla hgliuola di Forco e d'Ecate, o, cum’ altri vogliono, di Creteide, a quella figliuola di Niso re di Megara. Io credo però di ritrovarla, e dubito che si possa dir del Daniello nella sposizione di questo luogo di Virgilio, quello che di Virgilio disse il Berni nell' imitazione di cpiell’ altro d’ Omero; Perch’ e' m hem detto, che Virgilio ha preso Un granciporro in quel verso d Omero, Chi egli, con reverenza, non ha inteso. Noteremo dunque di passaggio, come bisogna, che quest’ autore si sia cieduto, che Virgilio parli d’ una loU Scilla, e che a queita attribuendo i moitri marini, e r ingordigia degli altrui naufragi, liaii dato ad intendere, eh' egli abbia voluto dire di quella di Forco 1 ond* egli nota r equivoco in quelle parole : Quid loquar ? aux tcyllam Nisi ? Sapendo, che Scilla figliuola di Niao fu cangiata in uccello, e fu, come altri vogliono, appiccata alla prora della nave dell’ amato Minoi) e finalmente gettata in mare, e non mai trasformata, come quella di Forco, in moitro marino. Ma la verità ai à, che Virgilio intese di parlare dell' una e dell' altra Scilla; e, toccando di passaggio quella di Niso, si ferma a discorrer più diffusamente dell' altra di Forco, come dalla lettura del luogo è assai facile a comprendere ; ma forse il Daniello non s’ avvide di questo passaggio, e trovandosi inaspettatamente nella favola di Scilla di Forco, la credette vestita a quella di Niso, equivocando egli medesimo nell' equivoco immaginato di Virgilio. V. 61. L'altra è colei, che e’ aneUe amorosa, E ruppe fede al centr di Sicheo. Didone, seguendo in ciò anch' egli 1 ' orribile anacronismo, ed accreditando T infame calunnia d' impudiciaia datale da VirgUio. Eneide IV, v. SSa. IVon servata fides eineri promissa SUhaeo. V. 64. Siena vidi, per cui tanto reo Tempo ti volse. Tocca di passaggio, e con maniera nobilissima la guerra de’ Greci, e l' ultime calamità de’ Trojani, CK amar di nostra vita dipartille. Della morte delle quali fu cagione Amore illecitOi V. 7». i' cominciai; Poeta, volentieri Parlerei a que‘ duo, che ’nsieme vanno, E pajon st al vento esser leggieri. Gli accoppia ioaieme, perchè iniieme avevano peccata. S’accorae, ch’egli erano leggieri al vento, dalla facUitè, anzi dalla furia, con la quale il vento li portava; e ciò molto convenientemente, atteao il loro gravitaimo peccato, eaaendo atati per affinità al atrettamente congiunti, come più abbaaao udiremo. Per quell' amor, eh' ei mena, t quei verratmo. Per quell' amore, eh' e' ai portarono, il qual fu cagione di queato loro eterno infelice viaggio. Efficaciaaima preghiera, e convenientiaaima a due amanti, acongiurarli per lo acambievole amore. Y. 80 O anime afannate. Aggiunto di mirabil proprietà, e aenza dubbio il più proprio, che dar mai ai poaaa ad anime tormentate da ai latta pena. Quali colombe dal disio chiamale Con f ali aperte e ferme al dolce nido Volan per F aere dal voler portale. Grazioiiaaima aimilitudine, e piena di tenero e compaaaionevole affetto. Nè traendola Dante da coti gentili animali, quali anno le colombe, vien a intaccar punto della lode, che le gli dette poc’ anzi, per aver paragonato gli apiriti di queito cerchio agli atomelli e alle Cauto gru, 1’ una e l’altra ignobile «pezie d'uccelli, poicliè in ciueato luogo ha maggior obbligo di far calzar la similitudine all' andar di compagnia, che facevano i due amanti, il che ottimamente si ha dalla comparazione delle colombe, che ad avvilire con un paragone ignobile quegli spiriti in generale, come fece da principio. Del resto gli ultimi due versi di questo terzetto posson aver due sentimenti, l’un e l’altro bello. Il primo è: Con Vali aperte * ferme al dolce nido volan per Vaere, cioè volan per l’aere con l’ali aperte o ferme, cioè diritte al dolce nido; o vero volano al dolce nido con l’ali aperte e ferme, descrivendo in cotal guisa il volo delle colombe, quando con l'ali tese volano velocissimamenie senza punto dibatterle, e in questa maniera di volare par che si ratbgiiri un certo non so che pid di voglia e di desiderio di giugnere. O animai graziosa e benigno, Che visitando vai per V aer perso Noi, che tignemmo'l mondo di sanguigno. Ninna cosa odono o parlano pid volontieri gli annuiti che del loro amore. Quindi è, che quest’ anima chiama Dante grazioso e benigno per atto di gentilezza usatole in darle campo, raccontando i suoi avvenimenti, di dar alquanto di sfogo al dolore. Per V aer perso. Il perso è un colore oscuro, di cui lo stesso Dante nel suo Convivio sopra la canzone Le dolci rime ecc. dice esser composto di rosso e di nero, ma che vince il nero ; e Inf. caut, VII, V. io3. L' acqua era buja molto più, che persa. Noi che lignemmo il mondo di ttmguigno. Scherza in la contrarietà di queiti due colori ; Fai visitando per F aria di color perso noi, che, per eaiere arati ucciai in pena del noatro Callo, tignemsno il mondo di color di aangue. V. 94. Uh Jttel, che udire, e che parlar ti picKe : Noi udiremo, e parleremo a vui. Non ì gran coaa (dice aaaai giudiiioaamente il Landino), che coatei a’ indovinaaae di quello, che Dante deaiderava d' udire. Una, perché di niun' altra coaa, fuori che de’ auoi avrenimenti, potea ragioneTolmente credere, eh* egli aveaae curioaità di domandarla ; 1' altra, perché il coatume degli amanti é creder, che tutti abbiano quella voglia, che hanno eaai d' udire e parlare de’ loro amori, tanto che aenza forai molto pregare non fanno careatla di raccontarli anche a chi non ai cura aiperli. Che riapondeaae la donna pid tosto che l’ uomo, ciò é molto adattato al coatume della loro loquacità e leggerezza. V. 96. Mentre che ’/ vento, come fa, si tace. n ripoaarai del vento non é coaa impropria, anzi é accidente confacevole alla natura di quello, dimoitrandoci r eaperienza, che egli non aoffia con aibilo continuato, al come corrono i fiumi, ma a volta a volta ricorre, come fanno Tonde marine. Oltre che non aarebbe inveriaimile il dire, eh’ ei ai fermaaae per divina diapoaizione, acciocché Dante potesse ammaestrarsi nella considerazione di quelle pene, e riportar frutto dal suo prodigioso viaggio. Per questa ragione vediamo nel canto IX spedito un angelo a fargli spalancar le porte della Canto cittì di Dite, e altrove molt’ altre graxie tingolariuime, le quali la bontà divina gli concedè, per condurlo finaluiente alla contemplazione della aua euenza. V. 97. Siede la terra, dove nata fui, Su la marina, dove ‘I Pò diicende Per aver pace co' teguaci tui. Bavenna ; poco lontano dalla quale il Po inette nelr Adriatico. Discende per aver pace co’ sui seguaci. Maniera veramente poetica. Dicono alcuni, per aver pace, cioè per trovar pace in mare della guerra, ch'egli ha nel auo letto da' fiumi tuoi teguaci ; perocché, fecondo che quelli tgorgano in lui, lo conturbano e P agitano, onde ti può dire, che gli facciano guerra. Ma te Dante volette ttar tu l’allegoria di quella guerra, non li chiamerebbe legnaci ; poiché, fintante che uno è teguace d’ un altro, non gli fa guerra, e, facendogli guerra, non |i può chiamar più teguace. Diremo dunque, eh' ei voglia dire, che il Po co' tuoi teguaci diiceode in mare per ripoiare dal lungo corto, eh' ei fa, per giugnervi, a fine di unirai come parte al tuo tutto, eitendo queita unione la lola pace, alla quale tutte le creature tono d.a inviiibil mano guidate. Veduto della patria, è ora da vedere chi folte coitei, che favella con Dante; per Io che è da taperii, che quetta è Francetea figliuola di Guido da Polenta tignor di Ravenna ; la quale, eitendo ttata dal padre mariuta a Lanciotto figliuolo di Malatctta da Rimici, uomo valoroto in vero, e nella teienza e inaeitria dell’ armi eiercitatittimo, ma zoppo e deforme d' atpetto troppo più che ad appajar la grazia e la delicatezza di conci non era convenevole, fu cagione, che ella t' invaghiate di Paolo tuo cognato, il quale non meno grazioio, e arvenente del corpo, che leggiadro dell’ animo e de' coatumi, del di lei amore ferventiiiimamence era preao4 Ora arvenne che, mentre, tcambievolmence amandosi, in gran piacere e tranquillità si Tiveano, indistintamente usando, appostati un giorno da Lanciotto, furono da esso colti sul fatto, e d'un sol colpo uccisi miseramente. VICO. jimor, eh’ al cor gejuU ratto s' apprende. Prete costui della bella persona, Che mi fu tolta, e '/ modo ancor m' offende. Platone nel Convivio, tra le lodi, che dà Agatone ad Amore, dice eh’ egli i ancora delicatissimo, argumentandolo da questo, eh’ egli i ancor più tenero e gentile della Dea Ati, cioè della calamità, la quale esser mollissima a delicatissima / argomentò Omero dal vedere, che ella, schifando di toccar co’ piè terra, si tiene per t ordinario in tu le lette degli uomini. Iliad.Tvt pio 9 * ateahol sróStc iv fàp in' ovSit nlAra^as, <2 A A’ apa f/j'S xai^ óvfpóv xpoara fiaùani. Ma amore non solamente non mette mai piede in terra, o in tu le teste, le quali, a dire il vero, non sono molto toffei, ma di tutto V uomo la parte più gentile calpesta, e sceglie per tua abitazione. Negli animi dunque, e ne’ temperamenti degli uomini, e degli Dii pone il tuo trono Amore ; nè ciò fa egli alla cieca, e senza veruna distinzione in ogni sorta <t animo la sua tede locando, ma quelli solamente, che in fra tutti gli altri p'ut gentili tono, e pieghevoli con delicatissimo gusto va ritcegliendo. suStò 9 fizaiipii(;ipfits 6 pi^a tixpiipiusnpi *Epura Xtc araAòc óv qdp iirì TÙt fiaivit, ovff tiri npavietr. 8a Cahto ( S, larn iravv fiaX«ut<i) cy roif fMi^xararoig TS* S*T»T> KoÀ fiaivti Koì oisut' iw )'àf> v6$at KOÌ XM àiiUpixfn rhf Sixqffiv iSpvxau,’ »ai oò» av f{>7( ir xóacui rati dXÀ,’ ^ riti iv vKXtipòv vio( i;^ot<rv >* ’^XP dxtp^^iToi' ^ 9’ àt ftoAouiùy, oÌKÌ(ixcu. £'l Petrarca nel toaetto : Come't ccmdido piiecc., ricavando con maniera più morbida lo ateaao originale, fini di copiarlo anche nella parte tralasciata da Dante, che rijguarda 1' avversione, che Amore ha ordinariamente agli animi rosai e dori, dicendo : Amor, che tolo i cuor leggiadri invesca, Nè cura di mostrar sua forza altrove. E nella canaone; Amor, se vuoi, eh' io tomi ecc., parlando con Amore, tocca leggiadramente in ogni sua parte il sopraccitato luogo di Platone, dicendo dell’ impeWo, eh' egli ha non meno sopra gli Dii, che sopra gli uomini, con questi versi : £ s’ egli è ver, che tua potenza sia Nel Ciri s) grande, come si ragiona, E neir abisso ( perchè, qui fra noi Quel che tu vali e puoi, Credo, ehe’l senta ogni gentil persona). V. loi. Prese costui della bella persona che mi fu tolta. Lo prese del bellissimo corpo che mi fu spogliato dalla morte, e ’l modo ancor m’ offende, perchè mi fu ' data violentemente, e mentre mi suva tra le braccia del caro amante. V. io3. jimor, eh' a nullo amalo amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m' abbandona, Belliiiiina repetizione : Àmor, eh' al cuor gentil ratto s' apprende, prese cosuù come gentile. Amor, eh' a nullo amalo amar perdona, prese me come amata. Mi prese del costui piacer, del piacer di costui. Costui nel secondo caso senza il suo segno si trova spesse volte usato dagli autori. Veggansene gli esempi presso il Cinonio. Questo lungo può aver doppio significato. Hi prese del piacer di costui, cioè del gusto, del piacimento, della gioja d’amar costui. E mi prese del piacer di costui, cioè del piacer che io faceva a costui, e questo corrisponde ottimamente al detto poco innanzi : Autor, eh' a nullo amato amar perdona ; mostrando non tanto essersi innamorata per genio, quanto per vaghezza d' accorgersi di piacere e d’esser amata, e per cert’obbligo di gentil corrispondenza. V. io6. Amor condusse noi ad una morte. Arroge forza con la terza replica, e con granditaim' arte diminuisce il suo fallo, rovesciando sopra di amore tutta la colpa. Tib. lib. l .° el. VII, v. aq. Non ego te laesi prudens : ignosce fatemi, lussi! amor. Contro quis ferat arma Deos ? E'I Boccaccio, giornata IV, nov. I, conducendo GuU scardo alla presenza del Principe Tancredi, non gli sa porre in bocca nè altra, nè piò forte difesa per iscusar sè, che r incolpare amore, il quale, cioè Tancredi, tome il vide quasi piangendo disse : Guiscardo, la mia benignità verso te non uvea meritato l'oltraggio e la 84 Casto vtrgogna, la quale nelle mie cose fatta m' hai; eiccome io oggi vidi con gli occhi miei. Al quale Guiscardo niun altra cosa ditte te non questo. Amor può troppo più che nè io ni voi pottiamo. V. IO/. Caina attende chi'n vita ci spente. Calila è la g)iiaccia, dove nel canto vedremo euer paniti coloro, che bruttaron le mani col sangue de’ lor congiunti. Dice dunque, che questa spera detta Caina sta aspettando LANCIOTTO marito di lei, e fratello di PAOLO, che fu il loro uccisore. Ila O latto, Quanti dolci pentier, quanto detto Menò costoro al dolorato patto ! Tenerissima riflessione, e propria d* animo gentile, ma che non s’ abbandona a soperchia vilU col dimostrar dolore. E qui notisi, come Dante per ancora sta forte all’ assalto della pietA, la cui guerra si propose di voler sostenere al principio del secondo canto, v. l. Lo giorno te n andava, e f aer bruno Toglieva gli animai, che tono in terra dalle fatiche loro; ed io sol uno m’apparecchiava a tottener la guerra fi del cammino, e sì della pietose. £ che ciò sia’l vero, dopo eh’ ei non potò pid rattener le lagrime, dice, che in questo pietoso oflìcio egli era insieme, v. 117, tristo e pio-, dove mette in considerazione, se quel tristo si potesse in questo luogo intendere per iscellerato, malvagio, empio, e non per malcontento, mesto, e maninconoto, come vien preso universalmente, e (1 come io con gli altri concorro a credere etier reritirailmeote alata l' intenzione del poeta. Pure nel primo significato abbiamo nel Inf. triatitiimO) r. 9I. Tra qutJt’ iniqua e trutitiima copia Correvan genti ignude e spaventate. E di vero tristo in aendmento d’ empio (a un belliatimo contrapposto con pio, venendo a estere il poeta in un medesimo tempo empio per compiagner la giusta e dovuta miseria de’ dannati, del cbe nel XX di questa cantica si fa riprender acremente da Virgilio, e gli la dire, che è sciocchezza averne pietà, e somma scelleraggine aver sentimenti contrarj al divino giudicio, che li punisce, V. a 5 . Certo V piangea poggiato a un de' rocchi Del duro scoglio, zi che la mia scorta Mi disse : Ancor se' tu degli altri sciocchi ? Qui vive la pietà-, quandi è ben morta. Chi è più scellerato di colui, Ch' al giudicio divin passion porta ? Driaza la letta, drizza ; e vedi, a cui ecc. E pio poteva dirsi il poeta, per non poter vincere la naturai violenza di quell' affetto, che contro a tua voglia lo cottrìgneva a lacrimare ; dove pigliando tristo in significato di metto, avendo di già detto', eh' ei lacrimava, vi vien a esser superfluo ; e non solamente tristo, ma pio ancora ; chiarissima cosa estendo, che chi piange r altrui miseria, n' ha rammarico e compatimento. V. lao. Che conosceste i dubbiosi desiri? Pubiioti per non esserti ancora l’ un F altro diKoperd. 86 Canto. I3I. Ed ella a me; nerrun maggior dolore. Che ricordarsi del tempo felice nella miseria, e dà sa il tuo dottore. Quella lentenaa h di Boezio nel lecondo libro de Consol. proia IV, Le lue parole iodo : In omni aduer sitate fortuna» infelùissimum genus inforlunii est, fuisse felieeiu. Tanto che questa volta per il tuo dottore non debbo intendersi VIRGILIO, come, dal Daniello in fuora, quasi tutti gli altri si sono ingannati a credere, ma lo stesso BOEZIO, la cui sopraccitata opera Dante nel suo esilio aveva sempre tra mano, e leggeva continuamente ; onde nel suo Convivio scrive queste formali parole. Tuttavia, dopo alquanto tempo, la mia mente, che i argomenta di sanare, provvide ( poi nè 'I mio, I altrui consolare valeva ) ritornare al modo, che alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi ; e misimi ad allegare e leggere quello, non conosciuto da molti, libro di BOEZIO, nel quale, cattivo e discacciato, consolato si aveva. V. ia4- Ho, s‘ a conoscer la prima radice Del nostro amor tu hai cotanto affetto, farò, come colui, che piange, e dice. Sed si tantus amor casus cognoscere nostros, Et breuiter Troiae supremum audire laborem. Quamquam animus meminisse horret, luctuque refugit, Incipiam. £n. lib. Il, v. io e seg. V. i» 7 - Noi leggiavamo un giorno per diletto Di Lancillotto, come amor lo strinse. Qui, prima di passar più avanti, giudico, che sia bene chiarir l’intelligenza del rimanente di questo canto, con riportar la atoria di Lancellotto cavata da' romanzi franzcsi dal libro di Lancilolto Du Lac, e riferita in quella dottiatiuia acrittura di Lucantonio Bidol6, nella quale in un dialogo fìnto in Lione tra Aleaaandro degli liberti e Claudio d’Erberé gentiluomo franzeae apiega ingegnoaamente varj luoghi diSicili de' tre noatri autori Dante, il Petrarca, e '1 Boccaccio. Farla Claudio Dovile dunque eapere > eome avendo Galeaui figliuolo della iella Geanda acquitlalo per sua prodezza trenta reami, s ave a posto in cuore di non voler <t essi coronarsi, se prima a quelli il regno di Logres dal Re Arius posse- duto aggiunto non aveste ' £ per ciò, avendolo egli man- dato a Sfidare, furono le genti deir uno e dell' altro più volte alle mani. Dove Lancilolto avendo in favore di Artus futa maravigliose pruove contro di Galeaui, e avuto un giorno fra gli altri l'onore della battaglia, fu da esso Galealto pregato, che volesse andare quella sera alloggiar seco; promettendogli, se ciò facesse, di dargli quel dono, che da lui addomandato gli faste. Accetta Lancilolto con quel patto l’invito, e poi la mattina seguente, partendoti per ritornare alla battaglia dichiarò il dono, che da Ga- lealio desiderava : il quale fu di richiedere, e pregare esso Gale alto, che quando egli combattendo fatte in quella gionuila alle gerui del re Artu superiore, e certo d averne a riportare la vittoria, volesse allora andare a chieder merci ad esso Re, e in lui liberamente rimetterti. La qual cosa avendo Galeallo fatta, non solamente ne nacque tra Lancillotto e Galealto grandissima dimestichezza e amistà, ma ne divenne ancora etto Galealto, per cosi cortese e magnanimo alto, molto del Re Artu, e della Regina Gi- nevra tua moglie familiare. Alla quale per tal pubblico PUI5T0 Amor, eh a null’amato amar perdona, mi prese del costui piacer it forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Qui ribadisce : Questi, che mai da me non fia diviso. Nel che ti ponga niente a quante volte e in quanti modi rioforra V espressioni d'un ferventissimo ed ostinato amore, e con quant' arte s’ingegna d’attrar le lacrime e sviscerar la pietà verso que luiserissimi amanti. V. i3y. Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse. Il libro ) e Tautor, che lo scrisse, fece tra Paolo e Francesca la parte, che fece Galeotto tra Lancillotto e Ginevra; onde l’Azzolino nella sua Satira contro la lussuria. In somma rime oscene, e versi infami dell’altrui castità sono incantesimo, e all’onestade altrui lacciuoli ed amU Tal eh* io ti dico, e replico il medesimo. Se stan cotali usanze immote e fisse, la poesia diventa un ruSianesùno. E questo è quel, eh apertamente disse il Principe satirico in quel verso. Galeotto “ il libro, e ehi lo scrisse. Qui è da notare incidentemente, come alcuni hanno voluto dire, che il cognome di Principe Galeotto, attri- buito al Centonovelle del Boccaccio, possa da questa storia esser derivato; perchè, dicono essi, ragionandosi in codesto libro del Boccaccio di cose per la maggior Cauto quinto. parte alle gii dette di Ginevra e di Francesca simiglianti, pare che quel cognome di principe Galeotto meritamente te gli convenga. In questa guisa inferir volendo, estere il Decamerone il principal libro di tutti quelli, che contengono in loro cose attrattive alla carnale concupiscenza; che tanto è a dire, quanto dargli titolo di Primo Ruffiano, o vero di principe de' ruffiani. Na di ciò reggati più particolarmente il Ridolfi nel soprammentovato dialogo, ove parlando assai diffusamente di tal opinione ti sforza di mostrare, essere molto veru simile a credere tal disonesto cognome, come anche quello di Decamerone estere stato posto al Centonovelle più tosto d’altri, che dal BOCCACCIO; il quale nel proemio della quarta giornata avere scritte le tue novelle senz’alcun titolo apertamente si dichiara. Quel giorno più non vi leggemmo ovante. Aocenna con nobil tratto di modestia l’ inferrompimento della lettura, ed in conseguenza il passaggio da’ tremanti baci agli amorosi abbracciamenti. Il conte Lorenzo Magalotti. Villa Magalotti. Magalotti. Keywords: di naturali esperienze, ‘naturali esperienze’ --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Magalotti” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Maggi: l’implicatura
conversazionale -- implicatura ridicola – la scuola di Pompiano -- filosofia
lombarda – filosofia bresciana – scuola di Brescia -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Pompiano). FIlosofo italiano. Pompiano,
Brescia, Lombardia. Grice: “I like
his portrait” – Grice: “My favourite of his essays is on the ridiculous; but
his most specifically philosophical stuff is the ‘lectiones philosophicae’ and
the ‘consilia philosophica.’” La
famiglia aveva possedimenti e anche un negozio di farmacia. Il padre Francesco,
uomo di lettere, fu il suo primo maestro. Studia a Padova con Bagolino e
frequenta attivamente gli ambienti culturali della città. Si laurea e insegna
filosofia. Degl’Infiammati, strinse amicizia con Barbaro, Lombardi,
Piccolomini, Speroni, Tomitano, Varchi, entrò quindi a far parte del circolo di
Bembo, frequentando insigni filosofi come Paleario, Lampridio e Emigli. Conobbe
Pole, Vergerio, Flaminio e Priuli. Il dibattito sulla questione della lingua e
sui temi estetici legati soprattutto all'interpretazione della Poetica
aristotelica condusse alla preparazione di un commento allo scritto di
Aristotele che, iniziato da Lombardi, fu proseguito, concluso e fatto
pubblicare da M., con altra sua opera dedicata ad ORAZIO, a Venezia: le “In
Aristotelis librum de Poetica communes explanationes: Madii vero in eundem
librum propriae annotations”, dedicato a Madruzzo. Lascia Padova per
entrare al servizio del duca Ercole II d'Este come precettore del figlio
Alfonso e, insieme, per insegnare filosofia a Ferrara. Si conservano appunti
delle sue lezioni sulla Poetica. Anche della vita culturale della città estense
fu protagonista, divenendo principe dell'«Accademia dei Filareti», che
vanta membri come Bentivoglio, Calcagnini, Giraldi e Cinzio, oltre a essere
amico degli umanisti PIGNA, PORTO, e RICCI, che gli diede pubblicamente merito
di essere stato «il primo interprete della Poetica di Aristotele».
“Mulierum praeconium” o “De mulierum praestantia” e dedicata ad Anna d'Este, la
figlia di Ercole e di Renata di Francia, che nello stesso anno fu tradotta “Un
brieve trattato dell'eccellentia delle donne.” Comprende anche una Essortatione
a gli huomini perché non si lascino superar dalle donne, attribuita a Lando,
che si pone come corollario dell'orazione di M. Alla chiusura temporanea
dell'Università, ritorna a Brescia, partecipando alle riunioni dell'Accademia
di Rezzato, fondata da Chizzola. Abita nella quadra della cittadella vecchia,
in contrada Santo Spirito. Sposa Francesca, figlia del nobile Paris Rosa,.
A Brescia sede nel Consiglio Generale e fu incluso nell'elenco dei consiglieri
comunali della città destilla reggenza delle podestarie maggiori del
territorio. Fu destinato alla Podestaria di Orzinuovi, ma vi rinunciò, come
rinunciò anche alla podestaria di Salò, e partecipò alle sedute del Consiglio
Generale. Altre saggi “Un brieve trattato dell'eccellentia delle donne,
Brescia, Turlini “In Aristotelis librum de Poetica communes explanationes:
Madii vero in eundem librum propriae annotationes, Venetiis, Valgrisi; De
ridiculis, in Horatii librum de arte poetica interpretatio, Venetiis, Valgrisi,
“Lectiones philosophicae” Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. Expositio in libros de Coelo et Mundo, Milano,
Biblioteca Ambrosiana, ms, Expositio de
Coelo, de Anima, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Quaestio de visione, Milano,
Biblioteca Ambrosiana, Espositio super primo Coelo, Piacenza, Biblioteca Passerini-Landi,
ms Pollastrelli, Mulierum praeconium, Modena, Biblioteca Estense, ms Estensis latinus.
Oratio de cognitionis praestantia, Ferrariae, apud Franciscum Rubeum de
Valentia, Consilia philosophica, Vincentii Madii et Jo. Bap. Pignae in favorem
serenissimi Ferrariae ducis in ea praecedentia, Archivio di Stato, Casa e
Stato, Modena. Note In Sardi, Estensis latinus 88, Modena,
Biblioteca Estense. G. Bertoni,
«Giornale storico della letteratura italiana», C.. Fahy, Un trattato sulle
donne e un'opera sconosciuta di Lando, in «Giornale storico della letteratura
italiana», Bruni, Speroni e l'Accademia
degli Infiammati, in «Filologia e letteratura», XIWeinberg, Trattati di
retorica e poetica, III, Roma-Bari, Laterza, Bisanti,
interprete tridentino della Poetica di Aristotele, Brescia, Geroldi, Giorgio
Tortelli, “Quattro M. in cerca d'autore”, in «Quaderni del Lombardo-Veneto»,
Padova, Vincenzo Maggi, su Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Vincenzo Maggi, in Dizionario
biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vincenzo Maggi.
Maggi. Kewyords: implicatura ridicola, Eco, il nome della rosa, Cicerone, il
tragico, filosofia tragica, pessimismo, l’eroe tragico, Nietzsche, la tragedia
per musica – I curiazi, catone in Utica – tragedia per musica --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Maggi” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Magi: l’implicatura conversazionale
nell’uso delle parole – il mistico – I mistici – la scuola di mistica fascista
– il veintennio – la scuola di Pesaro -- filosofia marchese -- filosofia
italiana – filosofia fascista -- Luigi Speranza (Pesaro). Filosofo italiano. Pesaro, Marche. Grice: “A
fascinating philosopher – “journey around the world in ten words,’ a gem!” -- Insegna a 'Urbino. Si dedica alla psicologia “trans-personale”. Fonda il
Centro di Filosofia Comparativa (cf. ‘implicatura comparativa’) e “Incognita” a
Pesaro, tesoreggiando ‘l’intelligenza del cuore’ e il principio
dell’interiorità. Scrisse “I 36 stratagemmi” (Il Punto d'Incontro; dal,
BestBUR). Il suo “Il Gioco dell'Eroe. Le porte della percezione per essere
straordinario in un mondo ordinario” vede un clamoroso successo. “I 64 Enigmi.
L'antica sapienza per vincere nel mondo”
(Sperling et Kupfer )è segnalato al
primo posto dei libri più attesi. Lo stato intermedio tratta l’argomento
rimosso dei nostri tempi: la morte, e abbraccia l'orizzonte ampio degli ambiti
cari agli autori: filosofia, mistica, psicologia transpersonale, esperienze ai
confini della morte. Esce un aggiornamento ampliato del Gioco dell'Eroe
con il sottotitolo “La porta dell'Immaginazione”. Vgetariano dichiarato., si
focalizza sui modelli mistici per approfondirne, oltre la portata metafisica e
auto-realizzativa, i concetti di efficacia ed efficienza: nel libro I 36
stratagemmi declina il taoismo nei suoi aspetti di strategia psicologica; nel
saggio "Le arti marziali della parola" in La nobile arte dell'insulto
(Einaudi) evidenzia come l'arte del combattimento diventi arte retorica e
dialettica. Nei saggi Il dito e la luna, La via dell'umorismo e Il tesoro
nascosto mostra il rilievo della comunicazione metaforica e umoristica. Elabora
e sviluppa la dimensione della psicologia trans-personale all'interno del Gioco
dell'Eroe, disciplina da lui creata e imperniata sulla capacità umana
dell'immaginazione. Altre saggi: “Il dharma del sacrificio del mondo”
(Panozzo); “La filosofia del linguaggio eterno” (cf. Grice: ‘timeless’ meaning,
versus ‘timeful’?). Urbino, “Quaderno indiano,” Scuola superiore di filosofia comparativa
di Rimini, “Il dito e la luna,” Il Punto d'Incontro); I 36 stratagemmi (Il
Punto d'Incontro, BestBur); Sanjiao. I tre pilastri della sapienza, Il Punto
d'Incontro, Einaudi, Uscite dal sogno della veglia. Viaggio attraverso la
filosofia della Liberazione, Scuola superiore di filosofia comparativa di
Rimini, La Via dell'umorismo (Il Punto
d'Incontro); La vita è uno stato mentale. Ovvero La conta dei frutti delle
azioni nel mondo evanescente, Bompiani, Kauṭilya, Il Codice del Potere (Arthaśāstra).
Arte della guerra e della strategia” (Il Punto d'Incontro, "Lo yoga
segreto del perfetto sovrano"; “Il gioco dell'eroe” (Il Punto d'Incontro);
“I 64 Enigmi, Sperling); Lo stato intermedio,, Arte di Essere,. Il tesoro
nascosto. 100 lezioni sufi, Sperling); Il gioco dell'eroe. La porta
dell'Immaginazione” (Il Punto d'Incontro, 101 burle spirituali, Sperling); Recitato
un cameo, nel ruolo di se stesso, nel film Niente è come sembra, di F. Battiato,
a fianco di Jodorowsky. Jodorowsky scrive in seguito la presentazione di La Via dell'umorismo.Blog. «Fondai a Rimini il Centro di Filosofia Comparativa”.
Per spaziare in temi altissimi con una narrazione transdisciplinare. Attraverso
immaginazione, religioni, filosofie, arti e scienze». Incognita. Advanced Creativity Il Secolo XIX
(Onofrio) " 'Incognita' di Pesaro. Diario di viaggio nell'Oltre,
un'immersione interiore al di là dello spazio-tempo"31 Il Secolo XIX
(R. Onofrio) "Advanced Creativity Mind School. Per capire l'entrata
nell'epoca del post-umano" Per il titolo del suo album Dieci stratagemmi,
Battiato si è ispirato a I 36 stratagemmi di M. Il sottotitolo,
"Attraversare il mare per ingannare il cielo" è il primo stratagemma
dei trentasei che compongono che il libro.
Stralcio della quinta puntata (youtube)
Modelli strategici. Corriere della Sera, (Camurri) wuz
Panorama (Mazzone) wuz Panorama (Allegri) Il Secolo XIX Onofrio) "Aprite le porte
all'Immaginazione, c'è un mondo oltre la quotidianità" M., I 64 Enigmi,
Sperling et Kupfer, Milano: «Diversi anni fa, in un’intervista, mi chiesero
perché sono vegetariano. La mia risposta fu molto sintetica (e la penso ancora
così): Non mangio animali. Non riesco a digerire l'agonia». La Repubblica (Michele Serra); Il Riformista
(Luca Mastrantonio); Il Venerdì di Repubblica (Schisa) Il Gioco dell'Eroe, Il Punto d'Incontro,.
Libro/CD con prefazione di Battiato Il
Gioco dell'Eroe Gianluca. Scena del film ove compaiono e A. Jodorowsky (yout ube) La Via dell'umorismo, Il Punto d'Incontro,
Vicenza, La Stampa (Il Premio è stato conferito dalle autorità della Repubblica
di San Marino con la motivazione: «Lo scrittore che ha costruito attraverso la
sua produzione e l'attività del Centro di Filosofia Comparativa di Rimini ponti
di comunicazione tra le antiche saggezze d'Oriente e d'Occidente,
attualizzandone, in teoria e in pratica, il loro messaggio filosofico,
psicologico e spirituale per l'uomo contemporaneo»). Gl’altri premi sono stati
conferiti a: Battiato (Musica), Jodorowsky (Teatro), F. Mussida (Arti visive),
S. Agosti (Cinema), M. Gramellini (Giornalismo), Gabriele La Porta
(Televisione). Sito ufficiale di
Gianluca Magi (in cinque lingue) Incognita ◦ Advanced Creativity
"Psicologia transpersonale. Che cos'è?" Video Lectio brevis riflessionisul Senso della vita su
riflessioni. Gianluca Magi. Magi. Keywords: l’uso delle parole, il mistico,
‘implicatura comparativa’ mistico, scuola di mistica, l’uso di ‘scuola’ mistica
-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Magi”
– The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Magli: il deutero-esperanto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Roma, Lazio. Anti-Babele
– “Antibabele: la vera lingua universale” (Roma, Zufli). Vikipedio Serĉi Anti-Babilona internacia planlingvo
proponita Lingvo Atenti Redakti Anti-Babilona aŭ Antibabele estas internacia
planlingvo proponita de Halien M. (eble plumnomo de M.), kun elementoj prenitaj
el aziaj, afrikaj kaj eŭropaj lingvoj. Ĝi uzas kiel alfabeton la arabajn nombrojn kun punktoj
supren aŭ malsupren la ciferoj. Geografiaj nomoj estas anstataŭigitaj per
koordenadojn kaj personaj nomoj per la dato de naskiĝo kaj morto. M. pensis ke estis inteligentaj vivantoj en
aliaj proksimaj planedoj, kiel Marto, kaj oni bezonus logike matematika
lingvaĵo por interkomunikigi al ili. Laŭ li, la nombro 365 signifus
interplanede Tero, ĉar la Tera jaro havas 365 tagojn, kaj 224 estus logike
Venuso. La aŭtoro konis la projekton
Lincos, kiu eble influis lin. Bibliografio redakti Antibabele "la vera lingua
universale.", M., Roma, Tip. A. G. I. [1952] Ĝermo pri planlingvo Ĉi tiu
artikolo ankoraŭ estas ĝermo pri planlingvo. Helpu al Vikipedio plilongigi ĝin.
Se jam ekzistas alilingva samtema artikolo pli disvolvita, traduku kaj aldonu
el ĝi (menciante la fonton). Laste redaktita antaŭ 1 jaro de CasteloBot RILATAJ
PAĜOJ Laŭbita logiko Pruvo per disputo Predikata logiko Vikipedio La enhavo
estas disponebla laŭ CC BY-SA 4.0, se ne estas alia indiko. Regularo pri
respekto de la privatecoUzkondiĉojLabortablo. Poeta visivo e performer
sperimentale, Paolo Albani è anche autore di vari saggi e repertori su ogni
tipo di "bizzarrie letterarie e non". Le ricerche (già praticate da
personaggi quali Raymond Queneau e Umberto Eco) su scritti e teorie strampalate
in ogni sfera dello scibile umano si concentrano in questo caso sui
"mattoidi" del Bel Paese, ovvero autori che pur sostenendo tesi del
tutto folli non hanno mai soggiornato in manicomio. Decine di informate schede
di taglio enciclopedico prendono in esame, suddivise per argomento, casi
relativi perlopiù al periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento, in parte
attinti dall'archivio storico dell'antropologo Giuseppe Amadei. Troviamo quindi
linguisti utopici come il "brevista" Carlo Cetti, che s'ingegna nel
ridurre al minimo l'uso del vocabolario (riscrivendo a mo' d'esempio in
versione "smagrita" I promessi sposi), o come Gaj Magli, ideatore del
linguaggio numerico internazionale Antibabele. Tra i poeti e scrittori ci sono
autori di audaci imprese quali un remake della Divina Commedia, preservando le
rime dantesche ma con la guerra per l'indipendenza italiana come soggetto
(Bernardo Bellini), mentre tra i filosofi si distinguono il panteistico
Tu-sei-me-ismo di Antonio Cosentino e la Psicografia di Marco Wahlruch, esposta
per mezzo di bizzarre tavole verbo-visuali. Particolarmente inquietanti alcune
proposte di scienziati e medici, impegnati nel dimostrare la quadratura del
cerchio ma anche nel teorizzare mostruosi incroci uomo-animale o l'assorbimento
di fluido vitale da "animali sani espressamente uccisi" (nonché da
uova bevute con cannuccia direttamente dal sedere della gallina!...). Anziché
lasciarsi andare a facili commenti derisori, Albani redige le voci mantenendo
un distaccato e scientifico aplomb, rendendo così ancor più surreale e
"patafisica" la sconcertante carrellata sul risaputo genio italico. E
il pensiero va, inevitabilmente, al gran numero di visionari blogghisti,
fanatici cospirazionisti, politici ed economisti estemporanei (anche, ahinoi,
sui banchi del Parlamento) che ancor oggi popolano la nostra benamata Penisola.
Gaetano Magli. Gaj Magli. Magli. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Magli”. Magli
Luigi Speranza -- Grice e Magnani:
l’implicatura conversazionale della linea e il punto – la scuola di Sannazzaro
de’Burgondi -- filosofia lombarda – scuola di Pavia -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Sannazzaro
de’ Burgondi). Filosofo
italiano. Sannazzaro de’ Burgondi, Pavia, Lombardia. Grice: “I like Magnani; he
has written about conceptual change, which I enjoyed!” -- Grice: “I like
Magnani; his treatise on the philosophy of geometry is brilliant!” -- essential Italian philosopher, not to be
confussed with Tenessee Williams’s favourite actress, Anna Magnani --. Insegna a 'Pavia, dove dirige il Computational
Philosophy Laboratory. Dedicatosi allo studio della storia e della
filosofia della geometriai, i suoi interessi si sono poi rivolti all'analisi
della tradizione neopositivista e post-positivista. Si è poi dedicato al tema
della scoperta scientifica e del ragionamento creativo. Studia tematiche
riguardanti il ragionamento diagnostico in medicina in collegamento con il
problema dell'abduzione, presto diventato fondamentale nella sua ricerca. La
sua attenzione si è anche indirizzata verso il cosiddetto model-based
reasoning. Fonda una serie di conferenze sul Model-Based Reasoning. Trattai
problemi di filosofia della tecnologia e di etica, rivolti anche al tema
trascurato in filosofia dell'analisi della violenza. I suoi interessi di
ricerca includono dunque la filosofia della scienza, la logica, le scienze
cognitive, l'intelligenza artificiale e la filosofia della medicina, nonché i
rapporti fra etica e tecnologia e tra etica e violenza. Ha contribuito a diffondere
il problema dell'abduzione. La sua ricerca storico-scientifica ha riguardato
principalmente la filosofia della geometria. Dirige la Collana di Libri SAPERE. Opere:
“Conoscenza come dovere. Moralità distribuita in un mondo tecnologico”
“Filosofia della violenza” “Rispetta gli altri come cose. Sviluppa una teoria
filosofica dei rapporti fra tecnologia ed etica in una prospettiva
naturalistica e cognitiva. Note Web Page
del Dipartimento di Studi Umanistici
Computational Philosophy Laboratory Web Site [Cfr. le varie pagine dedicate a questi convegni
in//www-3.unipv/webphilos_lab/cpl/index.php Computational Philosophy
Laboratory], Dipartimento di Studi Umanistici, Sezione di Filosofia, Pavia,
Pavia (Italia)] Sun Yat-sen Award Cerimonia
Book Series SAPERElesacademies. org. Edizione cinese:
Philosophy and Geometry Morality
in a Technological WorldAcademic and Professional Books Cambridge University
Press Abductive Cognition Understanding Violence The Abductive Structure of Scientific
Creativity Author Web Page Handbook of Model-Based Science Logica e possibilità, su RAI Filosofia, su
filosofia.rai. Filosofia della violenza, su RAI Filosofia, su filosofia.rai.
Grice: “Philosophy of geometry, so mis-called – I call it the theory of the
line and the point – always amused me since Ayer misunderstood it in 1936!
Hoesle and Magnani prove that it’s less geometrical than you think!” -- Lorenzo Magnani. Magnani. Refs. Luigi
Speranza, "Grice e Magnani," per il Club Anglo-Italiano -- The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.
Luigi Speranza -- Grice e Magni: l’implicatura conversazionale
– filosofia lombarda – scuola di Milano – filosofia milanese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Milano).
Filosofo italiano.
Milano, Lombardia. Grice: “I love Magni – He has gems like ‘Petrus is Petrus’ –
I’m talking about his “Principia et specimen philosophiae” – The titles for the
chapters are amusing, and he refers to ‘ratio essendi’ – and other stuff –
*Very* amusing --.”Figlio dal conte Costantino Magni e da Ottavia Carcassola, si
trasferì a Praga. Entrò nei cappuccini della provincia
boema a Praga. Insegna filosofia entrando, grazie al suo insegnamento, nelle
grazie dell'imperatore. Presto fu eletto Provinciale della Provincia
austro-boema dell'ordine e divenne apprezzato consigliere dell'imperatore e di
altri principi europei. Il re Sigismondo III gli affidò la missione cappuccina
nel suo paese. Ferdinando II lo inviò in missione diplomatica in Francia. Fu
uno dei consiglieri del duca Massimiliano I di iera. Dopo la battaglia della
Montagna Bianca, sostenne l'arcivescovo di Praga Ernesto Adalberto d'Harrach
nella cattolicizzazione della popolazione e nelle riforme diocesane. Prese
parte in nome dell'imperatore ai negoziati con il cardinale Richelieu sulla
successione ereditaria al trono di Mantova. Divenne consulente teologico nei
negoziati per la pace di Praga e missionario apostolico per l'elettorato di
Sassonia, Assia, Brandeburgo e Danzica. Riprodusse a Varsavia di fronte al re e
alla corte l'esperimento di Torricelli usando un tubo riempito di mercurio per
produrre il vuoto. Riuscì a convertire il conte Ernesto d'Assia-Rheinfels
e sua moglie. Dopo che l'Praga venne affidata ai Gesuiti, entrò in
contrasto con i gesuiti, che lo fecero arrestare a Vienna. Rilasciato dalla
prigione per intervento dell'Imperatore e tornò a Salisburgo, dove morì quello
stesso anno. Frutto della sua polemica con i protestanti è “De
acatholicorum credendi regula judicium” in cui sostene che senza l'autorità
della Chiesa, la Bibbia da sola non era sufficiente come regola di fede per i
cristiani. Trata lo stesso argomento in “Judicium de acatholicorum et catholicorum
regula credenda”, le cui debolezze argomentative scatenarono la contro-offensiva
dei protestanti. Si occupa di metodologia, logica, epistemologia, cosmologia,
metafisica, matematica e scienze naturali. Rifiuta i principi
aristotelico-scolastici, ispirandosi alle dottrine di Platone, Agostino e
Bonaventura. Altre saggi: “Apologia contra imposturas Jesuitarum,” “Christiana
et catholica defensio adversus societatem Jesu,” “Opus philosophicum,” “Commentarius
de homine infami personato sub titulis Iocosi Severi Medii,”:Concussio
fundamentorum ecclesiae catholicae, iactata ab Herm. Conringi, “Conringiana
concussio sanctissimi in christo papae catholici retorta,” “Echo Absurditatum
Ulrici de Neufeld Blesa” “Epistola de responsione H. Conringii” “Epistola de
quaestione utrum Primatus Rom. Pontificis, “Principia et specimen philosophiae,
Acta disputationis habitae Rheinfelsae apud S. Goarem, “Organum theologicum”; “Methodus
convincendi et revocandi haereticos”; “De luce mentium”; “Judicium de
catholicorum ei acatholicorum regula credendi, “De atheismo Aristotelis ad Mersennum,
Demonstratio ocularis, loci sine locato:
corporis successiuè moti in vacuo, Bologna, Benatij. Vedi la voce nella
Enciclopedia Italiana. J. Cygan, “Vita prima”, operum recensio et
bibliographia, Romae, “Opera Valeriani Magni velut manuscripta tradita aut
typis impressa, «Collectanea Franciscana», A. Catalano, La Boemia e la ri-conquista
delle coscienze. Harrach e la Contro-Riforma, Roma, Storia, M. Bucciantini, La
discussione sul vuoto in Italia: Discussioni sul nulls, M. Lenzi e A. Maierù,
Firenze, Olschki, A. Napoli, La riforma
ecclesiastica in Boemia attraverso la corrispondenza della Congregazione de
Propaganda Fide, Centro Studi Cappuccini Lombardi, Biblioteca Francescana,
Milano. Relatio veridica de pio obitu R. P. Valeriani Magni, Lione, Ludwig von
Pastor, Storia dei papi, Roma, Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, M. Bihl, G. Leroy. Ad universam Philosophiam. De Ordine &Jl)lo
Dottrimt. Oftii Theophilc nullum entium affitmiri de alio ente, fed fingula
negari de singulis quae verd affirmantur de entibus non lunt entia, sed
habitudines, quae intercedunt entia. Ego enim illa duntaxat nunc upaui entia, qu3e
per al iquam potentiam pofluni efTe, 6c intelligi, feorfum abomni
alioente. Harum habitudiuum, ut
docui, aliae funtiden: itatise (Tentiae, ut, “Petrus est Petrus”. Alias
identitatis rationis, ut “Petrus est Paulo idem m ratione naturae humanae. Demum
aliac funt efle aut principium, aut ter- n)inumalicuius motus – vt: “Petrus
generat”, “Paulus generatur”. Ex quibus duntaxat potest demonstrari et existentia,
et natura entium.Verum non sunt negligendae reliquae: Ille,enim, qua: referent identitatem
essentiae sive affirmatam, sive negatam, inuoluunt Frequenter niotum nostrae
rationis a cognitione imperfecta, ad perfectionem: v.g huius propositionis,
“Homo est animal rationale”. Praedicatum licec sit identicum subiecto, ipsum tamen explicat
diftin&ius. Qux autem consistunt in identitate rationis, sive affirmata,
sive negata, coordinant cognoscimentum et praedicamenta, et in omni di£lione, iudicio,
ac ratiociatione praetendunt terminos, qui ab identitate rationis, communi
pluribus entibus, denominantur universales. Et licet eiusmodi identitatesr
ationis non inferantur syllogismo, sed cognoscantur sola collatione, seu
comparatione terminorum, cognitorum aut immediate aut mediante illatione: tamen
hae habitudines tum fubeunt illationem, cum ex identitate rationis
affirmata, aut negata de duobus principijsali cuius motus, infertur
proportionalis identitas rationis, inter terminus illorum motuum, v.g. Quae est
ratio entitatis inter Petrum et Paulum, ea eft mter filios Petri et Pauli. Quoniam vero in primo libro de per se notis, per
didboncm connexam ordinavi in cognoscimento, et praedicamentis entia per se
nota: coordinationem graduum entitatis, nomino cognoscimentum, et A per iu* X 2 Vakriani
M. per iudicium conncxum exhibui in clau^diftin &asomnes entiurn per
se notorum pra:cipuos motus per se notos, quorumillos. quos quifquc
confcit in se, ennarraui (atis accurats, inlibro demeiconlcicntia: fupercft, ad
complementum appararus philosophici. exhibere illas propoauioncs. quarum
veritasnon dependeat abentium cxiftentiajeda rarionc a?tcrn^ > et incommutabili,
cuius modi debent cffe i!la?,qutfin syllogismo denominancuc maiores: Minores
enimper se nota propoliciones, exararaz in cra#atu de per se noris, habenc
verit3tem,pendulam ab exifteruia Ennum; v. g. Luna mouetur, qua?, fi
corrumpatur,inducit Falfiratem iliius propofitionis, Ac vero hxc: Id,
quod mouctur, neceiIari6 movetur ab alio : eft vera,tametfi corrumpancuromnia
mouentia et mobilia. Harum vero propofitionum incommutabilium funt
innumera nequecft vllaclfYerentia motus, quaenon sibi vendicetpropiias
vericate'S mcommutabiles: puta has.Id, quod Loco-movetur 5 neccessari6 Loco movetur
ab alio: ld, quod alteratur, necelTari6 alteratur ab alio; U> qnod generatur,
neceflano generatur ab alio. Veium hae omnes deriuanc (ibi incommutabilitatem
ab hac: Id quod mouetur, neccessariu mouecur ab aho>oporcetergo
congercre invnum craclacumillasimfnutabilium,quas nulla ipccialis pars philosophiae
pcrcra&ac, quatenuSjvbiv.g. ventum ficad tra&a cum de generatione.
Ha?c, fd, quod geiif ratur, neceflario generatur ab alio demonftracurperhanc
: id, <juod mouetur, necefl.ui6 mouetur abalioj quae supponatur dcmon(trata
m ipfo vestibulo Philosophia?,ica vc non fic opus in vllo ratiocir nco
repetere demonftiacionem fadtam. Hiccrgotra&atus comple&iturhas propositiones
ajternas, et ir>» commucabiles>in quas neccirario refoluancur omnes
lllacioncs. quas habebir,& habere poteft vniucrfa philosophia: has
nuncupaui Axiomata, et licniiTec denominarc Maximas, veluc, quac influanc vim
iliatiuam propofitionibus maioribus. Exordioraucemtraclatum ab
habitudinibus idcmitatis elTentiar, deinde profequar illas,quac funt efle
pi incipium et ccrminum motus, casvero, quae funt ex idcncitareracionis, poftrcmo
loco commemorabo.nimirum ilIas, quacafficiunc motum: mocum, in quam, icalem
cx quo duntaxar argumentor entium exiftencias et nacuras. Scd
veiitus, nemeusftylustibi vfquequao^ue probccur, voloprius ^cxcufareilla.
qu^forcaflis exiftimabisnofacii congrua fini,mjcintcdo Obijciturprimo loco
oblcuritas, quxfuperec vulgarem conditionem, j4xiowata S ncm
rhilofophantiura. Respondeo, quod obscurafas
obuenit vcl ab obie&o, ve! a ftylo (cribentis. Meum stylum audafter
dico tam darum quam quicflepoifitnatioenimfcribendicum clarirate est mihi
et rcopeccisfima, et familiaris.cxcerum grarulor philosophiae
obfcuriracem ab obie&o,quae aiceac plerofque ab hoc ftudio, qui Reipublica:
vnlius opera,& aecace impendent in agro>in mechamcis^in bcllo et iimilibus
Laudatur pasfim rraditio do&rinae per quarftiones, quae rnouentuc de
(uL,ie&o alicuius fcicnciae>placecque numerata partino earum.Hanc
methodum refolutiuam Ego non adhibeo, fed compofiriuam : Haec enim
exordicur a nonslimis et prarcendens lucem eacenus partam, reuelat semper obfcuriora
: qui verdmouec quxftionem,obijcit tenebras,quas fubmoueac,(olucndo qua^ftionem
propofiram. Uli,qui per qusftiones cradunt lcientiam,ducunt
argumenta ex omnibus locis diale£ticis:Ego proiequor lineam mocus, tfnde
dunraxac infero enrium exiftencias,tSc nacuras,ijsargumcncis, quadola
poflunt efle dcmonftrariua,quarue,adnumerata Diale&icis, digniratem
propriam peflundant Memineris vero, Theophile, argumentum, quod inihi est
demonstrativum, alicui fortasfis vixerit probabile:(untenim plerique, quibus
opus fu pharmaco magis quam syllogismo. Quoniam vero motiu func
fubordinati > demonltrationes anrece- dentesnancifcuntur,maiorem
certitudinem, et euidentiam a lubfeouentibus:fcilicer > exiftencia,&
natura primi mouentis confirmatur iecundis,alijfque fubfequentibus.
Hxc conditio ratiocinancis ex motu,e(t oppofita illi,quae ducitur
ex nacura Quanti difcreci f 6c continui, nam in Mathematicis vix
aliqua demonftrationum anteccdentium pendec a iubfequentibus.
Tibiver6,legentimeostra£htus, occurent frequenter nonnulla
amcnegle&a, qiu? tuo iudicio debuiflenc dici; ied fcuo mehorrere
confufionera,vcl minimam,mareriaium>quas fuis locis deftinaui rra£Undas;Ide6,Licet
fciam mulcum lucis acceflurum rci, quam expono.fi eo loci cognofcacur
aliquid,alio loco referuarum, ramen id fepono,& pra:ftoloL loco congruo
do&rinam,qua: no debec anticipari. Nil pono moieitius obueniet
cibi m m ea Philofophia, quam quod fcpono obiediones manifeftas,dn#as ab
exiftencia reru contra conclufionnsillacasa racionibusanernis,v.g.infero
mouentem non pcfle quietcece in termino trafeuntcqui fu fibi iCqualis in
entitate.Cui coclufioni videcur aduerfan expeucua omniu generaciu fibi fimile
in na- A i wraj, - r" ta....\....^x V zlcriam M. tttra^fed
(tperpendasfolutiones eiufmodi obiedlionurnj facile intelliges eas^fi
anteuertantur, neceflai io (us deque conuerfuras vmuerlam Philosophiam,
fine quarlira evidentia. Ponofi vim a.gumenti conclufionisillataealTequans
facile inteliigcsrcrum exiftennas, &naturas dependcrea
rationeaetcrna.a.rumpra in fyllogifmo.&fupponeslatere aliquid in
entibus concretis,vndecaptas occafionem errorrs. Confulcoabftineoa
quamplurimis, quce alioqum magna contentionecontrouertuncurintei Philofophos,
fi tamenhzc ncghgentu non detrahatfcientia^quamprxtendo :
Commemoroadexempkira differentiam interdiftin&iones formalem*rationis
ratiocinat*e,&modalem.Eiufmodi enim contenrione.splunbus feculis agirarae,
non habent momentum ad veritatcm quaefuam,quod pofcat dispucationern zuternam. Non
infero ex conclusionibus primo illatis, reliquas omnes, qur inferripoflunt
ed illas duntaxatj quae cx ponunt natura mcntis, quoi
fub»jciturratiocinio : immopleraquc rranfilio, quxexdcmonftrati non
obfciueprodcuntinlucem. s :
DemumnouerismenondocererespervocabuIa,fed res, confueta oratione declaratas, significo
per vocabuU vfitata,fi Hippetant, vci adhibeo aha ad placitum
meum. Capvt ir. -dxiomata ex identiutt ejfentiali.
Ursauternpr^miffisaggredior habitudincs identitatfs eflenti». A
Afeddebeopnusaflignarcrationem communem omnibus cnti' bus quatenus
hxc dodnna fit vniuetfal.ffima, Nofti Theophile. fpecierum. quascognolcituri
adhibcmus . jffiW eflc lenfib.les a . as imag.nabiles.ali..
intelligib.tes/ enlib.lcs refeW aliquod lenfib.le.non lolum quod aftu
exiftat.fed et quod fi, p S n t.ffimum fent.ent.: At vero imaginab.les.
&,nrelh#b,lcs r-fe r ..m . J nutum, magmantis &intcllige. Hisnonrolumentia
^uexiftem praefenua.fed abient, a,pr^erita,futura,poffib,), a, ac dcmum
ab ft ra Exphcaturuserg Rationem communem omnibusentibus eim
affignaredebeo. quxaffirmetur deentibuspr. sentibus affirmVk dc
pwtcri^affirmabitur defuturis, affirmaretur de poflibSus^f!
Tcnirenc X jixiomata S venirent ad
a£tum,qu#ue affiimatur de his, qux inrelliguntur, abftrahendoabimentione
praeteritorum praefentiumjfuturorum^ ac poflibilium. Dicoigitur
Ensefleid, quod exerceta&um eflendi, vt v.g amans c(l id,quod exercet
adtum amandi: Ctrm cogito Theophilum, coguo id ; quod cxercet a&um
eflendi Theophilum. Leo exercet a&umelfendi Leonem et quodlibet entium
exercct a&urn eflendi feipfum,fecundum praecifam entitatem vniufcuiufque,
ita vt Ego, quinon fuin Theophilus, non poflim exercere a&um eflendi
Theophilum: nec Leo poteft exercereadtum eflendi hominem. Qnaproprer
ratio, communis omnibus entibus, abftrahit ab omni fpeciali exercitio entitatis
: ita vt nuila fit,aut poflit intelligi communis omnibuscntibus, quam
quae nuuraliter concipuur ab omnjbus, quaeue habetur in ipfo
communi vocabulo.£«i:nimirum.id.quodaaumeflendi autexercet, autexercuit,aut
exercebit,aut potelt exercere,concipitur vt Ens, quod aut eft, aut
fuit,aut ent,auc efle poteit. Seclufa (citra negadonem ) omni praecisa
rationeentitatis vllius. Itaque id, quod non exercet actum eflendi, non est
ens. Pneterita non (unt.fed fuerunt entia. Futura
non sunt/ederuncemia. PofTibilianonlunt/ edpofluntefle entia, &confequentcmil
ho r»meflens. Ens vero abftraftum ab intentione praefentis, prarteriti,
futuri, &C posfibi!is,denotat praedicata cflentialia Entis,mter, quae
nil eflentialius ipfo exercitio eflendi. Porio Gntiopponicur Non
Ens,quodeft inintelligibile noncomteIle&o Ente: quienimdormiensnilomnium
cogitat, non ideointclligit Non-Ens,quia nil entitim intclligat. Qm autem,
int?Heclo Ente,intelligitnilcfletefidui,tiensccirecab aaueflendi,
isdemum intclHgit, feucogitatNon-Ens. Quaproptcr dico, Rationem,
communem oronibus enubus, elie Rationcm Non-Entis, fi, poiitiua
intelleaione, intellicatur sublata: scilicet Non Ens est ens coguatum, vt
ceflauit ab a&ueflendt vel qua tenusnonvcnita4 aaumexiftcndi. VerumNon-ens
habetfuasd.tfcrentias,& quidcm plures.has pcr ordinem narrabo, exorfus a
mimma Nonentitatcvfquead maximam. Lapis, cxpeiscaloris,noneft
calidus, arpotcftcalcre, fceatenusdi<icorcaiidiKin pocentia. Eflcensin
potcntia cft minimus gradum M. Nan-E ntitatis:nam id,dequo
negatur caIor,eftens,tametfi Non-ca* lor fit Non- Ens:non tamen lapidi
cfl mcrum Non-Ens, quandoquidem lapis potcft efie cahdus. Lapis non eft
vifiuus colorati,nec poteft efle vifiuus : Non eflr vifiuum.nccpofleefle
vifiuum,eft Non Ens:at verd h*c negatio pocen* i\x vifiua?, eft de
lapide^qui eft pns;ita vt, lapidem non efle vjfiuum, non fic mcrum
Non-Ens. Socrates ccrto certius generabit filium; quifilius eft Non-homo:
non tameneftfic Non-homo.vtfunt Non homines illi, qui nonerunt. Sed est homo futurus.
At vero sunt alh, qiuceflcpoflunt.ncc tamenerunc;quotfunt animantium,quotex
hominibus,qui poflent gcnerarcfilios. ncctaracngcncrabtint? Haccnon funtcntia
fucuta, fed denominantur posfibilia,qua: magis recedunt ab entitatc, quam
quod sunt futura. Entibus possibilibus proxime accedunt entia
prastcrita : haec enim fic non funt,vt nequeant efle ; nec tamen
deficiunc ab omni encitatc, quandoquidem fuerunt aliquando.
Denique illa quae neqne (unt,ncque erunt ; neque fuerunt, nec esse
pofliint videntur esse mera non entia.-puta corpus re&ilincum biangulareiid
enim imposfibilc eft eflc, fuifle,aut fore. Non-cntium autem quaedam
intelliguntur oppofica negatiue alicui cnti prxcifo,ac fignato. Vnicum
vero Non-Ens incclligicur oppolitum negative omnibus entibus absolutc
confideratis Si ribi oppono ncgatiu Non-Ens,id Non entitatis,nuncupatur
Non-TheophiiusCuiulmodi fonr Non-Pcti us, Non-hic Leo, et a!ia innumcia.
Non- nsautcm oppofuuiuomnibusenribus.abfolutcconfidcratis nun
cupatur nihil. Porro intell.gereaut confiderare prxfata Non ! Entia
cftcautelaamulnphcibus, grauis fimifquecrroribus. proucnicoiibus ex confufa
sub.eaione, et predicationc huiulccmodi Non-Ennunv a quibus tibi caucbis
haud d.fficulcer, f, nouucris accurat8 . qu* (uh * lungo. iUU V.x est aliqua
differentia non cnritntis, qaamnon folcamus aut Lapis non est, fc J potcft
eflc calidus,' d nuncupatut E W in potcn cun L d U P m g Td. eft P 0 linsi posfibncfc. Anti
Jlxionuts Antichristus efl furuius, dicitur Ens fumrum. Filiusi ; em non
cognituri mulierem, dicitur ensposfibile. Abraham fuit homo dieitur Ens praereritum.
Corpus reiiilineum biangulare dicitut Ens abfolute imposfibile
Non-Theoph:Ius dicitur Negatio vniuscntis. Nihil, dicitur, Ncgario omnium
entium. Porr6 nil horum por eftcfFc< aut subjectum aut praedicatum
reale, fi exciptas ens in potentia, et ens imposfibile secundum
quid:Iapis enim, quiaftirmaturcaIidusinpotentia, quiue abfolute negaturviftuus. Eft ens. Cetctum nil cntis eitquod fubijcias
reliquis Non-entibus, quod per singular exempla demonstro. Anti-Christus
est futurus. Anti-Christus stat loco subiecti, qui in eadem propofulone supponitur
Non- ens,cum aiTeratur futurus. quocirca fubiedtum illius propofitionisnon est
ens. Eadem est conditio huius. Filius Petri, non cognituri mulierem, est
possibilis. Scilicet subjectum illius propofuionis non est ens, sed poteftetfe
ens, vt fupponitur, haec etiam Abraham fuit Homo: Habet fubiectumj quod fuppomturnoncfie,
fed fusse Ens : dc naum ifta: Corpus reSiIineum biangulare eft
imposfibile, non fu bijcit en<\ cum in ipfa propositione afteratur non
folum Non ens.led Sc cfie imposfibi)e,quod fu cns:Cauebis crgo ubi a multiplici
er rore,fi lupra didum confuetum modum enuntiandi ndh:beas
conlcius,ennumerata fubie&a di&arum propofitionum non erte entis. His
ergo eatenus explicaris, staruo primas propositiones universalissimas formatascx
Ente& Non ente, abftradasab omni difterentiaentitatis. Vidcote'1
heophiIum,&tuaccuratcin fpecT:us enuntias v.gde te ip(o,quodfis
coloratus, quod fiscerta figura determinatus, quae propositiones non sum illatae
l et tamen dependent a te, ut a termino simpliciterdiiao.quiaccurareinfpeaus de
se enuntiar prasrata, et aha eiufmodi. Verum hoc loco non ccnfidero
habitndmcs, quarinterccdunr terminos realiter diftinaos, sed eas duntaxat, quas
nos comminifcimur inter ens, relatum ad lemet ipsum, et ad non
ens, cumcnim priroum, quod obiediue cadit in mentcrn nostram, fitcns, ftlfl
M. fit Ens, fiid simpliciter dictum, seu apprehensum, referarur ad femet ipsum,
fefe pertinacifiime enuntiat, acrepetit Ens. Unde habemus hanc propositionem.
“Ens est ens.” Qux est prima omnium per se notarum incommutabilium, non solum
quia non sit lllata sed etiam quia non sit enuntiata, aut exarata abaho
termino simpliciore, a nobis accurate in(pe&o. Ex hac propositione habetur
haec. “Non ens est non ens.” Quae est notisima, citra ullam illationem: ignorarem
tamen illam fi nelcirem hanc Ens eft ens. Porro quod ensfit
ens,^£quipollere videtur huic. Ens est se ipsum. Hinc vero fubinfero
alias propositiones:Vnam ex eo, quod ens est ensi in numeras ex eo, quod
ens sit se ipsum vfic ergo argumentor; Hoc, “Ens est ens.” Ens vero
est impossibile, fit Non-ens: Ergo hoc ens non est Non ens. Hoc Ens est
se ipsum: ld autem, quod est se ipsum, impossibile est sit ullum aliorum
entiu. Ergo hoc ens non est ullum aliorum entium, scilicet: Hoc: “Ens non
est ens”, nunc upatum A.nequc ens nunc upatum E, neque vJlum aliud, ex
omnibus,quae exiftunt. Quoniam vero enri, vniuerfalisfime confiderato, licet
fubfumere quotquot funt entium cxiftentium6c exindeformare
propofitiones, et ilIanones, prasfatis analogas, uno exemplo commonstro, ut
ld fiat. “Theophilus est Thcophilus.” “Theophilus est se ipsum.” Hmc fic
argumentot “Theophilus est Theophilus” Id quod eft Theophilus imposfibile eft.
sit simul non Theophilus. Ergo Theophilus non est simul non Theophilus.” “Theophilus
est se ipsum.” Id, quod est se ipsumi impossibilc est, sit vllum ahorum cntium.
Ergo Theophilus non est vllum nlioium cncium. Scilicet Theophilus
non ctl Pctius; non hic Lco, non hic lapis, non vllumaliorurn
cntium. Quoddixidc Theophilo, idv erificatur de quocunquc
alioente, quo Axiomata quomodo libet confidermo. v.g. Ens ad tu
est enfac5 Hi ; est re ipsum. Ens m porcnua,cft cns in porcntia, elUe
iplum. i. urrens elt curtens, est se ipsum. Quin iramo aufim
diceie Non ens eft non-ens.est se ipsum. Sic enim argurnentor
Non-Ens est non-ens At Non-ens est impossibile fu Eus Ergo Non ens
non est Ens. Non Theophilus est non Theophilus, At non Theophilus est impossibilc
quod sit non-ens, aliud anon Theophilo. Ergo Non-Theophilus non est non-ens, aliud
a non-Theophilo. Neque bexiftimes harum propositionum luillum ef cvsum in
Philosophuv. tu iple ex pericris freqnent! flimum, £ximiumque solatium ex-cuidentiflima
incommutabiluatehuiul modi propohuonum: faepius enim infertur condufio tam
recondita, tantique momenti in PHILOSOPHIA, vt trepidi exhibeamus noftrum
aflinfum. Verum conie&i incam necessitatem qucc nos compellat, aut
aflentiri illatfe conclusionem, aut negare ens esse se ipsum, inttepidi
aflentimur illatae conclufioai. Ni> Haenimeftillatio, quae
vimillatiuaranon fibi derivet ab hacptopofuione. “Ens est ens.” Id uno syllogismo ostendo Luna loco movetur Id,
quod-loco mauetur, neceflari61oco-inoiieturabaHo: Ergo luna Loco movetur
ab alio. Quod Locob meueatur, cernisoculocorporali, quod vcro Ens loco-motum
incommutabiluer moueatur ab alio.cernis oculo mentali. lraque pr^bueris assensum
duabus illis prasmiflis, et tamen trepides affeiuui conclusioni, cogeris
praebere affcnfum, fi animaduertas, ex negata conclusione, et conceflis premissis
necessario sequi, Lunam simul moveri et non moveri. Quod moveatur supponitur
in minore: quod loco morum neceflario moucaturabalio,concediiurin maiore.
Ac impossibile
est junam moueri Localiter, et non moueri locabiliter, si non sit possubiIe,
Ens simul esse ens, et Non-ens.id sctb est impossibilccum ens necessario sit
ens. Hoc confirmatio cuiuscunque illationis dicitur a Philofophis
probatio pet impossibile Itaqueens quod cunquc simpliciter dictum fefc ex
erit in propositionem hanc identicara. I o VtUrUni Mtgni Ens est
Ens; Ens est se ipsum Ex quibus citra illationem habemus has, “Non ens est
non ens.” Non-Hns.eft fe ipsum I:x quibus qualitcrcunqjtc
ratiocinando habcmus has, Ensnondt Non Ens Non Ens non eit
ens Habes ergo Theophilo ex rarione, comrauni omnibus entibus, unam
primam, vniuet falisfimamque propolirionem, incommutabilem, per se notam, ex
qua ratiocinando intuli alias. At vero nulla cearumillationumfunr reales, quandoquidemhabitudo,
aut affirmata, aut neg3ta, non est realis. Negata non est realis, quia
non negatuc habitudo vlla, sed ipsum Ensdealio ente: Habitudo autem non est affirmata
non est realis.-nam termininon sunt realiter distin- ens cthpraratae
enim habitudines affirmatae, funt habitudines identitatis, inquibusens,
vt fubijcitur, non diueifificatur afe, vt praedicatur. lllx enim propolirones,
quas in Logica denominavi identicas, non fuiil i eales, immo nec sunt
propofuioncs, sed dnftiones. Ut enira is, qui dicit, fecernit ens dictum
a rdiquis entibus, fic qui statuit lllud ipsum Ens clTe se ipsum et: non esTc
ullum aliorum entium, concipic ens catenus cognitum, velut sit indiuisum
in fe,& d uifum ab alijs, jicl vero nolTe de aliquo cnte, est dicere
ens illud. Non tamen inuoluo dictioni mdicium, fcdaio, iudicium de illis propositiombus
non esse realcjecquidem icio eiufmodi affirmationes et negationes elle notitias
intellectuales entium,cognitorum infra intelledioncm ed hanc distinctionem
reieruo in alium locum. Grice e Grice,
Grice ha Grice, Grice izz Grice, Grice hazz Grice. Valeriano Magni. Magni.
Keywords: implicatura. Luigi Speranza, “Grice e Magni: ‘Paolo e Paolo: assiomi
e principi metafisici” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Gri
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