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Monday, January 27, 2025

LUIGI SPERANZA -- GRICE ITALO A-Z M MAG

 Luigi Speranza -- Grice e Magalotti: l’implicatura conversazionale – di naturali esperienze – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “I like Magalotti – very philosophical” – Grice: “When a philosopher is a count, we don’t say that he was a professional philosopher, but not an amateur philosopher either – ‘philosopher’ does!” – Grice: “I like his ‘saggi’ on ‘natural experience’ – he is being Aristotelian: there is natural experience and there is trans-natural experience – and there is supernatural experience!” Appartenente all’aristocrazia, figlio del prefetto dei corriere pontifici. Studia a Roma e Pisa, dove e allievo di VIVIANI e MALPIGHI. Segretario di Leopoldo de' Medici, segretario dell'Accademia del Cimento, fondata da de’ Medici. Fa parte anche dell'Accademia della Crusca e dell'Accademia dell'Arcadia, Dall'esperienza al Cimento nacque i “Saggi di naturali esperienze, ossia le relazioni dell'attività dell'Accademia del Cimento”. Passa al servizio di Cosimo III de' Medici  iniziando così un'attività che lo porta a una serie di viaggi per l'Europa (raccolse in diverse opere le sue vivaci e brillanti relazioni di viaggio). Ottenne il titolo di conte e la nomina ad ambasciatore a Vienna. Si ritira alla villa Magalotti, in Lonchio. Si dedica alla filosofia, con particolare attenzione per la filosofia naturale di Galilei Opere:   “Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo, pastore arcade” “Delle lettere familiari del conte M. e di altri insigni uomini a lui scritte, Firenze,  Diario di Francia, M.L. Doglio, Palermo, Sellerio. “La donna immaginaria, canzoniere, con altre di lui leggiadrissime composizioni inedited” (Lucca); “Lettere del conte M. gentiluomo fiorentino dedicate all'Ecc.mo e Clar.mo Sig. Senatore Carlo Ginori Cav. dell'Ordine di S. Stefano, Segretario delle Riformagioni e delle Tratte, Lucca. Lettere contro l'ateismo, Venezia. Lettere odorose, E. Falqui, Milano. Lettere scientifiche. “Lettere” (Firenze). “Saggi di naturali esperienze fatte nell'Accademia del cimento sotto la protezione del Serenissimo Principe Leopoldo di Toscana e descritte dal Segretario di essa Accademia, Milano. “Scritti di corte e di mondo” Enrico Falqui, Roma. “Varie operette del conte Lorenzo Magalotti con giunta di otto lettere su le terre odorose d'Europa e d'America dette volgarmente buccheri”  Roma.Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Saggi di naturali esperienze fatte nell'Accademia del Cimento sotto la protezione del serenissimo principe Leopoldo di Toscana e descritte dal segretario di essa Accademia (Firenze: per Giuseppe Cocchini all'Insegna della Stella); “La donna immaginaria canzoniere del celebre conte M. ora per la prima volta dato alla luce e dedicato alle nobilissime dame italiane” (Firenze: Bonducci); “Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo pastore arcade” (Firenze: per Gio. Gaetano Tartini, e Santi Franchi); “Il sidro poema in due canti di Filips tradotto dall'inglese in toscano dal celebre conte M. ora per la prima volta stampato con altre traduzioni, e componimenti di vari autori” (Firenze: appresso Andrea Bonducci); Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond, Opere slegate: precedute da un carteggio tra Magalotti e Saint-Évremond, tradotte in toscano” (Roma: Edizioni dell'Ateneo). Scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze, Elogio storico nell'edizione de La donna immaginaria canzoniere del conte M. con altre di lui leggiadrissime composizioni inedite, raccolte e pubblicate da Gaetano Cambiagi, In Lucca: nella stamperia di Gio. Riccomini, Dizionario critico della letteratura itLuialiana, Torino, POMBA,  M., Relazioni di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia” (Bari, G. Laterza). Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Crusca, Relazioni di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia  Lettere scientifiche ed erudite  Comento sui primi cinque canti dell'Inferno di Dante, e quattro lettere del conte M. Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo pastore arcade  Lettere scientifiche ed erudite  La donna immaginaria  Novelle  (il volume contiene anche opere di altri autori) Gli amori innocenti di Sigismondo conte d'Arco con la Principessa Claudia Felice d'Inspruch.   DICE poldo di Toscana . Lettera III. SopralaLuce.AlSignorVincenzo Vi Sopra ildetto del Galido, il Vino Signor Carlo Dati. Lettera V. 111 P relazione 13 28 un composto d'umore e di luce. Al 48 394 refazione medesimo . Lettera II. . Fiore. Al Serenissimo Principe L e o . Delveleno dellaVipera.AlSignorOt 78   ne d'osservar la Cometa l'anno 1664. Leltera VII. Donde possa avvenire, che nel giu dicar degli odori cosi sovente si prenda abbaglio. Al Signor Cavaliere Giovanni Battista d'Ambra. Lettera re Giovanni Battista d'Ambra.Lette Descrizione della Villa di Lonchio.Al Strozzi. Lettera X. Intorno all'Anima de'Bruti,Al Padre secondo. Al Padre Lettore Don Angiolo Maria Quirini. Lettera. Sopra un effetto della vista in occasio Al Sigoor Abate Oilavio Falconieri. . Sopra gli odori . Al Signor Cavalie Signor Marchese Giovanni Battista Sopra un passo di Tertulliano.Al Pa Sopra un passo del Concilio Niceno Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XIV. . Monsignor Leone Strozzi . Lettera XVII.. . 170 252 ra IX. VIII, Іоо Letiore Don Angiolo Maria Quirini. Lettera XI. dre Lettore Don Angiolo Maria Q u i rini.Lettera XI. Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XV. 85 157 279 Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XVI. 282 Sopra un intaglio in un diamante. A 289 300 7   Conte Ferrante Capponi . Lettera XIX. Sopra la lettera B, e perchè ella s'a doperi cosi spesso nel principio de  396 INDICE. Sopra un passo di S. Agostino.Al Si gnor Abate Lorenzo Maria Gianni. Lettera XVIII . . Sopra il Cascii . Al Signor Cavaliere Cognomi. Al Signor Tommaso Buo naventuri . Lettera X X . FINE. SilAJilUsCEn il poeta per una lelva, per la quale tutta  notte aggiratosi, la mattina in su falba si trova a piè  <l'uQa colliuciui. Kipoaatosi alquanto ^ •! per voler   aalire f quando y fattuegli incontro una lonza, un leone e  una lupa, h costretto a rifuggirsi alla selva. In questo  gli apparisce Fombra di VIRGILIO, il cui ajuto è da esso  caldamente implorato contro alla lupa, dalla quale il  maggior pencolo gli soprastava. Virgilio discorre lunga*  mente della pessima natura di quella 6era, onde cam«  porne lo strazio, offerendogli sè per guida | a tener altra a Canto   via lo conforta. Dante accetta Tofferta di Virgilio « e tenendogli dietro ti mette in cammino.   V. I. Nel mezzo del cammin tee.   Keir età di 35 anni. Ciò non t'aTguìtee per congetture;  ma provasi manifestameute da un luogo del tuo Convivio,  nella aposizione della canzone: Le dolei rime eTamor, eh* io eolia;   dove 9 dividendo il cono della vita umana in quattro  parti, che tutte (anno il numero d'anni 70 « resta, che  la metà del suo corso, secondo la mente del poeta, sia  ne' 35 . Che poi questo primo verso debba intendersi  letteralmente, cioò del numero degli anni, e non allegoricamente, come alcuni vogliono: si dimostra da un  luogo deir Inferno, caut. XV, nel quale domandato il  poeta da Ser Bnmetto di sua venuta, esso gli risponde,  V. 49;   Lassù di sopra in la vUa serena  * JUrpos* io lui • mi smarrì *n una valle,   1 Avanti (he Vetà mia fosse piena:   riferendoli a questa selva» nella quale racconta essersi  smarrito nel mezzo del commin del suo vivere.   V, per una selva oscura.   Forse questa selva ^ oltre al senso letterale, che fa  giuoco al poeta per 1* intraduzione del suo viaggio, ha  sotto di s^ ((ualche senso allegorico • dei quale sono arricchite molte parti di questo primo canto;  e vuol per  avventura s guilicare la selva degli eiTori, per entro  la quale assai di leggieri si perde l' uomo nella sua  FRIICO. a<h>1etccnu; e cìie iia *1 vero nel topraccitato luogo del  •uo CoFwivio ti leggono queite formali parole;  È adunque  dà f opere, che y ticcome quello, che mai non fosse stato in  una città, non saprebbe tener le vie -, senza l' insegnamento  di colui, che le ha usate : ro/1 V adolescente » che entra nella  teloa erronea di questa vita, non saprebbe tenere il buon co/mmino y se da suoi maggiori non gli fosse mostrato;  nè il mostrar vatrebbe, se alli loro coaiafidamenti non fosse obbediente,   V. 8. Ma per trattar del ben ecc.   Del frutto, il qual ti ritrae dalla meditaiione di quel  miserabile stato pieno di pene e di rimordiinenti, mediante  la quale s' arriva alla caDtemplaaione d' Iddio, che è la  fine propostasi dal poeta. V. 1 3. Ma po* eh* »* fui appiè ecc.   Il colle è forse inteso per la virtù, la qual si solleva  dalla bassezza della selva.   V. l6 vidi le sue spalle   VestUe già de* raggi del pianeta ecc.   Il senso letterale è aperto, volendo dire, che la cima  del colle era di già illustrata da' raggi del nascente sole.  Ma forse, che sotto questo senso n' è chiuso un altro ^  pigliando il sole per la grazia illuminante, la quale all' usctr Dance dalla selva degli errori cominciava a trapelare con qualche raggio nella sua mente.   V. ao. Che nel lago del cuor ecc.   Por che voglia insinuare, nella passione della paura  commuoversi e fortemente agitarsi il sangue nelle due  cavità del cuore, dette volgarmente ventricoli; de' quali,     4 Canto   prrò eh’ e' parla in lingolare, pigliando la parte pel  tutto, vuol forae dir principalmente del destro, che del  sinistro i maggiore. ALIGHIERI lo chiama lago, credendosi  forse che il sangue che v’ è, vi stagni, non essendo in  que’ tempi alcun lume della circolazione. Qui però cade  molto a proposito il considerare un luogo maraviglioso  del Petrarca nella seconda canzone degli occhi, finora,  che io sappia, non avvertito da altri; nel quale dice  cosa intorno alla circolazione da far facilmente credere,  eh* egli quasi quasi se l’indovinasse, arrivandola, se non  con l'esperienza, con la propria speculazione. Dice dunque così :   Dunque eh' i’ non mi sfaccia,   Si frale oggetto a s\ possente fuoco  Non i proprio valor, che me ne scampi,   Ma la paura un poco,   Che 7 sangue vago per le vene agghiaccia,  insalda ’l cor, perchè più tempo avvampi.   Non ha piti dubbio-, eh* e’ si parrebbe forte appassionato del poeta, che volesse ostinarsi a dire, che il sentimento di questi versi suppone necessariamente la notizia  della circolazione del sangue;  la quale, a dir vero, so  fosse stau immaginata, non che ricooosciuu dal Petrarca,  non ha del verisimile, eh’ ella si fosse morta nella sua  mente, ma, da lui conferita e discorsa con altri, per la  grandezza del trovato avrebbe mossa fio d' allora la curiosità de’ medici e de’ notomisti a procacciarne i riscontri  con resperienze. E ben degno di qualche maraviglia il  vedere, come, il poeta altro facendo, e forte altro intendendo di voler dire, gli è venuto detto cosa, che  spiega mirabilmeote quesu dottrina; poiché, se ben si    considera il lento de' lopraddetti Tersi, ^ tale : Ma il  cuore rìsalda un poco, cioè ritorna al suo esser di fluidezza il sangue, il quale nel vagar per le vene s'agghiaccia dalla paura, e ciò a fine di farlo arder miseramente più lungo tempo.   Puoss' egli dilucidar più chiaramente Teffetto, che opera  nel sangue il ripassar cb* egli fa per la fornace del cuore,  dove si liquefi, s'allunga, s'assottiglia, e si stempera,  caso che nel vagar per le vene lontane o per paura,  come in questo caso nel PETRARCA, o per qualsivoglia  altra cagione si fosse punto aggrumato e stretto; onde  poi, novellamente fuso, e corrente divenuto, potesse  ripigliare il nuovo giro ed allungar la vita (la qual tanto  dura, quanto dura il sangue a muoversi), e si a render  più luogo r incendio amoroso del poeta?   Ma ciò, per chiaio ch'ei sia ed aperto, ò tuttavia  assai oscuramente detto in paragone d'un luogo, del Davanzati nella sua Lezione delle monete. Il luogo ò il seguente : Jl danojo è il nerbo della guerra, e della repuhhlica, dicono di gravi autori, e di jolenni* Ma a me par  egli più acconciamente detto il secondo sangue; perchè,  siccome il sangue, eh' è il rugo e la sostanza dei cibo  nel corpo naturale, correndo per le vene gì-osse nelle minute, annaffia tutta la carne, ed ella il si Bee, com* arida  terra bramata pioggia, e rifà, e ristora, qucaUunque di tei  per lo color naturale s'asciuga, e svapora: così il danajo,  eh* è sugo e sostanza ottima della terra, come dicemmo,  correndo per le borse grosse nelle minute, tutta la gente  rineaneuina di quel danajo, cheti spende, evaviacontlnuatnente nelle cose, che la vita consuma, per le quali  nelle medesime borse grosse rientra, e cos't rigirando mantiene in vita il corpo civile delta repubblica. Quindi assai 6    Canto    éi leggler ti tomprende, eh* ogni ttato vuol una quantità  di moneta, che rigiri^ come ogni corpo una quantità di  sangue, che corra»   Che dunque diremo di queit* autore ? Nuli* altro ceiv  tamente, te non che, dove i profeMori delle mediche  facoludi non giunsero, se non dopo un grandissimo  guasto d* inomnerabili corpi, egli senz'altro coltello che  con la forza d'un perspicacissimo ingegno penetrò nel  segreto di questo aumiirabile ordigno, c tutto per filo e  per segno ritrovò raltisstmo magistero di quei movimenti,  che noi vita appelliamo*   V. 31 . £ qual è quei, che con Una af annata ecc.   MaravigUosa similitudine.   V. 35. CoA /'animo miò, eh* ancor fuggiva ecc.   Rara maniera d'esprimere una paura infinita. Bocc.*,  Novella 77. Allora, quasi come se *l mondo sotto i piedi  venuto le foste meno, le fuggi Canitno, e vinta cadde ropaa '/ battuto della terre.   V. 3 o* Si che 7 piè fermo ecc.   Solamente camminandosi a piano : dicansì quel che  vogliono 1 commentatori, in ciò manifesraniente conviensi  dalla dimostrazione e dall' esperienza. £ vero, che il piè  fermo retu sempre Ìl più basso. Onde convien dire, che  Dante non avesse ancor presa l'erta, il che si convince  anche più manifestamente da quel che segue:   V. 3 i. £d ecco, quoti al cominriar dell’ erta»   La voce quoti vuol significare ( e tanto più accompagnau con l'altra al cominciar t che denota futuro), che  PRIVO. 7   Verta era ben vicina, ma non cominciata; c pure in fin  allora avea camminato, adunque a piano. Nè li opponga  quello, ch’egli dice ne* veni innanzi, y. l3.   Ma po’ eh’ i fui appii d" un colle giunto;    poiché appiè d'un colle li dice anche in qualche distanza;  anzi t' e’ doveva comodamente vedergli le spalle, v. l 6 .   Guarda’ in alto e vidi le sue spalle,   tornava meglio eh’ e’ ne fosse alquanto lontano. Molto  meno dà dilEcoltà il seguente v. 6 l.   Mentre eh’ i’ rovinava in basso loco;   dicendo: dunque se ora egli scende, mostra, che dianzi  saliva. Saliva, ma dopo aver prima fatto il piano, per  lo qual camminando il pie fermo sempre era il più basso.  Del resto il leone e la lonza non poteron impedirgli il  salire : solamente la lupa gli fe’ perder la speranza dell’ altezza, cioè di condurti in cima del colle. Di qui avvenne  eh’ egli prete a rovinare in basso loco,   V. 3a. Una lonza ecc.   Una pantera. Per essa, come animai sagacissimo, intende veritimilmente la lussuria.   V. 36. Ch’i’ fui, per ritornar, pUi volte, volto.   Bisticcio. Tibullo ti fe’ lecito anch’ egli per nn^ volta  un simile scherzo, Ub. IV, corm. VI, v. 9 .   Sic bene compones : ulli non ille puellat  Seruire.     8 Canto   £ Properzio te ne volle aacor etto cavar la voglia,  elcg. Xin, Ub. I, V. 5.   Vum tiU Jecepiiì augfiur fama puellis,   CtTtus et in nuìlo quaeris amore moram.   V. 39 quando V amor divino   Mone da prima quelle cose belle Direi, che per la motta di quelle cose belle non intendette altro il poeta, che rattuazione dell* idee, o tì vero  lo tpartimento dell* idea primaria nell* idee tecondarie,  che è il diramamento dell* uno nel diverto tignificato nel  triangolo platonico. In tomma la creazione dell* univerto,  allora quando formò il mondo temibile tutta a timile al  mondo archetipo o intelligibile creato ab eterno nella  mente divina.   £ non è inveritimile, che ALIGHERI abbia voluto toccare  quetta dottrina platonica, nella quale, come appare maoifettamente da altri luoghi della tua Commedia, e principalmente nell* XI del Paradito, egli era vertatittimo,  donde ti raccoglie e 1* intento amor delle lettere e la  pertpicacia del tuo finittimo intendimento, mentre in un  aecolo coti barbaro pot^ aver notizia delle opinioni platoniche, quando i principali autori di quella tcuola o  non erano ancor tradotti dal greco idioma, o t*egli erano, grandittima penuria vi aveva de’codici tcritti a penna  dove vederli e ttudiarli. Na t* io ben m'avvito, tal dottrina Incavò egli a capello da BOEZIO, del qual aurore il  poeta fu ttudioiittimo, dicendo nel tuo Convivio queite  formali parole : Tuttavia, dopo alquanto tempo, la mia  mente» che s'argomentava di tonare » provvide ( poi ne*l  ai/o, nè Taltrui consolare valeva ) ritornare al modo» che   F ni u o.    9   alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi; e ansimi ad  allegare e leggere quello, non conosciuto da molti, libro  di Boezio ) ìlei quale » cattivo e discacciato, consolato si  aveva. Quivi adunque potè egli facilmente apprendere a  intender Puniverso aotto il nome di bello, e ti per la  moMa delle cose belle intender la mossa del mondo  archetipo disegnato ab eterno nella mente d'iddio. 1 versi *  di BOEZIO sono i seguenti: lib. Ili de consol. etc.^ metro 1\.   O qui perpetua mundum radane guhemés»   Terrarutn caeUque salar, qui te/apus ab aeuo  Ire iuhes, stabilisque nianeru das cuncta moueri;   Quent non extemae pepulerunt fingere caussae  Materiae fluitantis opus uerum insita sutnmi  Forma boni, liuore carens : tu cuncta superno  Ducis ab exeinplo : pulcrum pulcherrimus ipse  Mundum mente gerens, similiqtte imagine formans,  Perfectasque iubens perfectum absoluere partes.   In numeris elemento ligas, ut frigora fiamtnis y  Arida conueniant liquidis : ne purinr ignis  Fuolet, aut mersos deducane pondera terras.   Tu triplicU mediam naturae cuncta mouentem  Connectens animam per consona membra resoluis, etc.   Che poi per la motta intenda l'attuazione delle idre  mondiali, ciò si convince apertamente da un luogo maraviglioso del suo canzoniere nella canzone :   Amor y che nella mente mi ragiona;   dove parlando della sua donna dice cV ella fu T idea, che  Iddio si propose quando creò il uiondo sensibile, il qual  atto di creare vien quivi espresso con la voce mosse.     IO    Canto   Però qual donna sente sua beliate,   Biasmar, per non parer queta ed umile ^   Miri costei, eh' esemplo è d’umiltate»   Questuò colei, che umilia ogni perverso.   Costei pensò, chi mosse l* universo.   Altri forse intenderà (tutto che i comentatorì in questo  luogo se la passino assai leggìensente ) per la mussa di  quelle cose belle, la mossa data ai pianeti per gli orbi  loro; ma trattandosi d"una mossa data dall" amor divino,  panni assai più degna opera la creazione dell'universo,  che r imprimere il moto a piccol numero di stelle. Dire  dunque, che il sole nasceva con quelle stelle, eh* eran  con lui quando Iddio creò il mondo : cioè eh' egli era  in Ariete, nella qu^d costellazione fu creato secondo  Vopiniooe di molti.   V. 41 * a bene sperar vera cagione.   Di quella fera la gaietta pelle,   L*ora del tempo, e la dolce stagione.   Può aver doppio significato : primo in questo modo,  cioè : 51 che Vara del tempo, e la dolce stagione tu erano  cagione di bene sperare la gaietta fera di quella pelle;  cioè, Si che l'ora della mattina e la stagione di prima^  vera (avendo detto che il sole era in ariete) mi davano  buon augurio a rincer l'incontro di quella fiera, e a  riportarne la spoglia. £ in quest' altro : Sì che aggiunto  all' ora e alla bella stagione l' incontro di quella fiera  adorna di sì vaga pelle non poteva non isperar felici  successi. Così rincontro d'uno o d' un altro animale  recavasi anticamente a buono o a tristo augurio.  . (I   V. 45. Za vista, che m'apparve étun leone.   Il leone è preio dal poeta per limbolo della superbia.   V. 4^. £d una lupa eco.   L'ararizia.   V. Si. £ molte genti fe' già viver grame.   Ciò si può intender di coloro, l'aver de' quali è  ingordamente assorbito ddl' avwo, e per gli avari medesimi, che ai consumano in continui affanni per l'insaziabditi della lor cupidigia, onde chiama la lupa bestia  senza pace.   V, 53 . Con la paura, eh’ uteia di sua vista.   Qui paura con bizzarra significazione vale spavento in  significato attivo, ed è forse l'unico esempio che se ne  trovi. Cosi l'addiettiva pauroso è preso attivamente, Infer.  cant. 3, V. 8 H.   Temer si dee di sole (fucile cote,   eh’ hanno potenza di far altrui male,   Deir altre no, che non son paurose.   Cioè non danno paura;  ma questo non è tanto sin»  gulare, quanto il sostantivo paura in significato di terrore, e f.tcllmente se ne troveranno esenipj simili cosi  ne'Crecif come nei Latini. Uno al presente me ne sovviene, ed ò di Tibullo, eleg. IV, lib. Il, v. q,   Stare uel insanis cautes obnoxia uentit,   Naufraga quae uatii tunderet unda maris !   V. 60 dove il sol tace.   Verso l'onibra della selva.  Canto   V. 63 . Chi per lungo silenzio parta fioro.   Quriti è Virgilio, «otto la periona del quale pare,  che debba intendersi il lume della ragion naturale risvegliato nella mente del poeta dalla teologia figurata per  ranima di Beatrice de* Portinan in vita amata da Dante.   V. 63 parta fioco.   Dal sento delle parole par, che Dante •* accorgesse,  che Virgilio era fioco dalla semplice vista, ma a bea  considerare non è così. Perchè allora eh' egli scrisse questo  verso avevaio già udito favellare, onde può ben dire  qual era la sua voce, oltre al dire eh* e* Paveva veduto.  Che poi lo faccia fioco, ciò è furila per tacciar la barbarie di quel secolo, in cui allorché Dante si pose a  cercar lo suo volume, cioè a leggere e studiar TEneide,  nino altro era che la cercasse o studiasse, onde poteva  dirsi Virgilio starsene muto ed in silenzio perpetuo.   V. 70. Nacqui suh JuliOt ancorché fosse tardi.   Dice esser nato sotto Giulio Cesare ancorché fosse  tordi, cioè ancorché esso Giulio Cesare rispetto al nascer  di Virgilio fosse tardi, cioè indugiasse qualche tempo  ad aver Tassoluto imperio di Roma, onde si potesse con  verità dire che la geme nascesse sotto di lui. £ veramente Virgilio nacque avanti a Cristo anui 70, agridi  d'ottobre, e per conseguenza avanti che Giulio Cesare  fosse imperatore.   V. 90. Ch" ella mi fa tremar le vene e i polsi,   piglia i polsi universalmente per Parterìe, le quali  eo\ loro strigoersi e dilatarsi con contraria corrispondenza alla sistole e alla diastole del cuore continuamente    R I li O.    i 3   dibatt^nfti. E qui è da notare ravvedutezza deì poet  mentre dice, che gli tremavano le vene ancora, come  quegli che beni»iÌmo sapea, che per non andar mai  diigiunte dall* arterie, in una violente commozione di  queite, non può far di meno che quelle ancora tanto  quanto non •'alterino.   V. 91. A te convien tenere altro viario.   Quasi dica; ben li può luituria e tuperbia vincere,  ma superare avarizia, ciò è all* umane forze impossibile.   V. 100. Molti son gii animali 1 a cui t’ammoglia.   Molti vizj veogon congiunti con Tavanzia.   V. lOi. ... in finckè’l veltro ecc.   Questi è messer Cane della Scala veronese, onde la  sua patria, dice Dante, che sari tra Feltro e Feltro, perchè  tra Monte Feltro dello Stato d' Urbino e Feltro del Friuli  si ritrova in mezzo Verona. Fu messer Cane uomo d'alto  affare in que' tempi, e d'animo grande e liberale; ed  essendo desideroso, che la sua generosità fosse per opera  conosciuta, intraprese ad onorare e soccorrer tutti coloro,  che di gran saliere fosser dotati, fra quali ricoverò anche  il nostro poeta, allorch'e'fu di Faenze cacciato co* Chi~  bellini intorno all'anno i 3 oS.   V. io 3 * terra, nè peltro»   Peltro^ stagno raffinato con lega d’argento vivo. Qui  per metallo in genere, onde il scntimeaio è questo;    V. io 3 . Questi non ciberà terra, nè peltro,   Questi non si ciberà, cioè non sarà signoreggiato da  ambizione di stato > uè da cupidigia d'avere. .   V. ic 6 . Di queìF umile Italia»   Vinile y atteso il tuo miserabile stato in que* tempi per  rintestioe discordie, ond' ella era sempre infestata.   V. 111. Là onde invidia prima ecc.   O sia la prima invidia di Lucifero contro Iddio in  Ciclo, o contro l'uomo nel paradiso terrestre, o pure:   V. IH. Là onde invidia prima dipartiìla\   Là onde da prima inridia la diparti, preso quel prima  avverbialmente.   V. iiS. Che la seconda morte ciascun ^rida.   Allude al desiderio, che hanno i dannati della morte  deir anime loro dopo quella de* corpi per sourarsi alla  crudeltà de' tormenti, onde S. Luca, cap. aa, io persona  di quelli : Monies cadile super noi, et colles operile nos.   V. lai. Anima fia ecc.   Beatrice de' Portinarì, la quale, siccome à detto di  sopra, fn io vita ardentissimamente amata dal poeta.   In questo, che segue nel primo canto, si consuma un  giorno intero, eh' è il primo del viaggio di Dante.    Si fa dall’ ioTOcar le muae e l'ajuto della propria  mente. Dipoi acconta, com' egli peniando all' impreia  di tal viaggio . cominciò a •gomrntoraeoe, e a motirare  a Virgilio eoo molte ragioni, di' e' non era dovere, ch'ei  ti mettewe ]>er niun conto a cimento >1 pericoloio. Dopo  di che narra, come Virgilio lo ripreie della tua viltà;  e con dirgli, ch'egli veniva in tuo aoccorto mandatovi  da Beatrice, tutto di buon ardire lo iraarrito animo gli  rinfranca, ond'egli ti ditpone al tutto di volerlo teguitare.   V. 4 . ATapparetfhiava a sostemr la putirà,   Si del cammino, e ti delta pittate.   Il Boti, il Vellutello, ed altri comentatori tpiegano  qneito luogo coti;  M'apparecchiava a tiiperar le ilitEcultà del viaggio, e tollerar la noja della pietà, di' eraii  per farmi quei crudeliitimi tirar), ond’ era per veder  tormentare l’anmie de’ dannati. Io però ardirei proporrej6 Canto   un* alfr.i roiuMcrazionc, le a sorte Dante avesse piuttosto voluto dire, eh’ ci •'apparecchiava a sostcoer la  {guerra della pirtare, cioè a ftf forza al suo animo per  non prender pietà de’ peccatori, avvegnaché U crudeltà  de’ «upplizj. fosse per muovergli un certo naturai affetto  di comjiafsione, al quale ciafcun uomo fi seme ordinariamenTc incitare per la miseria altrui. £ veramente il  senso letterale pare, che favorisca mirabilmente questo  sentimento;  poiché, s’ei s’apparecchiava a sostener la  guerra della pietà, cioè la guerra, ch’era per Wgli la  pietà, segno è eh' e* non voleva lasciarsi vincer da  quella, ma si resistere e comb.ucere con la considerarione, che quegl' infelici erano puniti giustamente, anzi,  come dicono t teologi, citra meritumt mentre avendo offeso  una Maestà inBnita, e sì infinita venendo a esser la loro  colpa, questa non può con pene finite soddisfarsi. Dico  finite quanto all' intensione, non quanto all* estensione,  la quale non ha dubbio, che durerà eternamente. E chi  porrà ben mence ad altri luoghi dell’Inferno, ne troverà  di quelli, che armano di piu salde conjetture il sentimento  da me addotto in questo passo. Tale è quello dell’Inferno,  canto XIII, dove, dopo il primo ragionamento dì Pier  delle Vigne, Dante dice a Virgilio, eh* c’ seguiti a domandare all* anima del suddetto Piero qualche altro  dubbio, imperocché a lui non ne dà Tanimo, tanto si  sente strignere dalla pietà del suo infelice stato, v.   OntV io a lui : dimandai tu ancora   Di quel, che credi ^ ch‘ a me soddisfaccia;   eh* i non potrei: tanta pietà in accora.   E piià apertamente si vede questo star su la difesa, che  fa Dante contro l’ importuna pietà de* dannati, la qual tenta di vincerlo al canto XXIX dell’ Inferno, quando  arrivato in tu ruldina costa di Malebolge dice cosi, v. 43^   Lamenti saeltaron me diversi,   Che di pietà ferrati avean gli strali :   Ond" io gli orecchi con te man coperti.   Il qual terzetto par, che esprima troppo maravigliosamente un fierissimo assalto dato dalla pietà all’ animo  del porta, e la difesa di quello con turarsi gli orecchi.  £ non solamente si troverà difendersi dalla pietà, ma  sovente incrudelire contro di essi, negando loro conforto  e compatimento. Così Inf. cant. XXXIII, richiesto da  Branca d’Oria, che gli distaccasse d' insieme le palpebre  agghiacciate, non volle farlo, v. 148.   Ma distendi ora mai in guà la mano,   Aprimi gli occhi I ed io non gliele aperti,   E cortesia fu lui tesser villarto.   E Inf. XIV, vedendo Capaneo disteso sotto la pioggia  di fuoco, dice stargli il dovere, v. ^t.   Ma, com' io dissi lui, li tuoi dispetti  Sono al suo petto assai debiti fregi.   Io però confesso di non aver per anche si fatta pratica SU questo poema, eh' e' mi sovvengano così a un  tratto tutti i luoghi, ov’ e' favella di pietà in questa prima  Cantica dell’ Inferno; e considero eh’ e’ mi se ne può  addurre taluno ora non pensato da me, il qual mostri  così chiaro il contrario, eh’ e' metta a terra tutto il presente ragionamento. E considero, che altri potrebbe rispondermi, che il far dimandare da Virgilio Pier delle  Vigne, e ’l coprirsi gli orecchi con le mani posson     i8 Canto   ambedue etter effetti dell' cuer Taiiimo del poeta troppo  vinto dalla pietà, e non dall' eaier a lei repugnante;  ma  io non piglio per aaiunto di provare, che egli si picchi  di non calerti mai piegato a pietà de' dannati, anzi che  in molti luoghi confeita la aua caduta, qual è quella,  Inf. canto V, v. 70.   Poscia eh' i' thhi il mio dottore udito  Nomar le donne antiche e cavalieri,   Pietà mi vinse, e fui quasi smarrito.   Nel qnal luogo non meno ti pare la perdita del poeta,  che il contratto antecedente; mentre, te egli non ti fotte  potto in animo di non latciarti andare alla compattione,  non avrebbe indugiato fin allora ad arrenderli, avendone  avuta occatione molto prima, cioè tubito eh' ei vide la  miteria dei peccatori carnali. Ivi, v. 3S.   Or incomincian le dolenti note  A [armisi sentire : or son venuto,   Xà dove molto pianto mi percuote.   Ma egli Ita forte il più eh' el potette : però, allora  ch'egli ebbe riconoteiuto quivi tanti valoroti uomini, e  coti alte donne, piegò l'aaimo alla compattione;  ond'egli  dice, eh' ei fu quoti smarrito, cioè ti perdè d' animo,  vedendoti vinto il pretto. Per lo che concludo, che, te  bene da quetto e da muli' altri luoghi ti comprende la  vittoria della pietà, ciò non toglie il vigore alla ipotizinne del preiente patto, potendo benitiimo ilare inlieme l'un e l'altro : cioè che Dante ti ditponeiie a  toitener la guerra della pietà, cioè a non compatire i  dannati;  e poi, come di animo gentile ed umano, di  quando in quando cedette. V. 8. O mente, che scru/etti ciò eK io vidi ecc.   Dopo ÌDTOcate le Muse, invoca la sua memoria, chiamandola mente che tcriite ciò eh' egli vide;  cioè, in cui  a' impretaero le tpecie degli oggetti vedati.   V. IO. Io cominciai;   Vi a’ intende a favellar di qncato tenore, e queata è  maniera uaitatiaaima di Dante per iafuggir la proliaaità  dell' introduaioni de' ragionamenti;  coal ed io a lui ed  egli a me;  cio^ diaai e diaac, ed infiniti altri aimili facilisaimi ad intenderai.   Y. l 3 . Tu dici, de di Silvie lo parente,  CoirutlUile ancora, ad immortale  Secolo andò, e fu tentibilmente.   Tu dici. Tu hai laaciato aerino nella tna ENEIDE, che  ENEA padre di Silvio, eaaendo ancora nel corrunibil  corpo, andò a aecolo immortale, cioè diaceae airinferno,  e ciò non fu per aogno o per eataai, ma aenaibilmente,  cioè in carne e in oaaa.   V. 16. Però se I avversario d'agni male   Cortese fu, pensando I alto effetto,  Ch'uscir dovea di lui, e ’l chi, e 'I guale   L’avversario d* ogni male è Iddio, e ‘I chi, Romolo fondator di Roma, e 'I quale, e le aue alte qualità;  onde  il aenao de' aeguenti terzetti è tale : Se Iddio, penaando  la aerie delle coac, che doveano farai per Enea c la aua  aucceaaione, conaentì l'andata e '1 ritotoo di lui dall'Iuferno : ciò non parrà punto di atrano a qualunque abbia  punto d'intendimento, conaiderando eh' egli fu eletto per  .vutore di Roma e del romano imperio.  La qual* e *l quale ecc.   La qual Roma, e '1 qual imperio.   V. 14. U* siedv il xuff<//or del «o^ior Piero.   Qui Piero per Pontefice, onde il maggior Piero viene  a eMer Cristo, e non S. Piero, come vogliono ì coni»  mentatori; perchè s'e* parlaste di S. Piero, non direbbe  del maggiore y il qual ti dice solo comparativamente ad  altri minori;  il che toma appunto bene, però eh* e* parla  di Cristo, il quale rispettivamente a $. Piero può vcrar  mente chiamarti il maggiore*   V. aS. Per quest* andata, onde li dai tu vanto ecc.   Onde cotanto T esalti fra gli uomini per ralcissimo  privilegio concedutogli.   V. a6. Intese cose che furon cagione   Di sua vittoria, e del papale ammanto.   Allude alla predizione fatta da Anchise ad Enea nel  sesto deir Eneide;  per la quale egli intese la sua vittoria, da cui dopo lunga serie di avvenimenti fu stabi**  lito in Roma il papale ammauto, cioè l'imperio sacro.   V. a8. Andovvi poi lo Vas delezione ecc.   S. Paolo, quando fu rapito al terzo cielo. £ veramente  ne recò conforto alla nostra fede con l'oculata tettimoniaaza delle cose credute da essa. E notiti che Dajite  da principio di questo suo discorso, fatto qui a Virgilio,  non si ristrinse a dir solo di quelli, i quali ancor viventi  pass;u*ono all* Inferno, ma di ciascuno, il quale, sendo  ancor corruttibile, andò a secolo immortale. Laonde non  solamente di Enea, ma del celeste viaggio di S, Paolo  ancora saggiamente piglia a ragionare.  ai   V. 34. Perchè se del venire C tn ahhanJono ecc.   M* abbandono oon vuol dire, d* io mi tgomento di ve«  iiire, come spiegano tutti i couieou, ma come chiosa  il Rifiorito : Perchè s* ì mi lascio andare a venire, assai  dubito del ritorno,   V. 37. E qual è quei che disvuoi ecc.   Ci mette con mirabil similitudine davanti agli occhi  i contrasti d' un' anima, che dal male al ben operar si  rivolge.   V. 41. Perchè» pensando consumai t impresa y  Che fu nel cominciar cotanto tosta.   S'accorge Dante d'averla un po' corsa» allora che nel  primo canto, senza pensar nè che, nè come, s'impegnò  ad andar con Virgilio, dicendo, v. i 3 o.   Poeta t i ti richieggio   Per quello Iddio, che tu non conoscesti,  jicciò eh* i' fugga questo male e ptggio.   Che tu mi meni là dov* or dicesti,   Si eh* i vegga la porta di S. Pietro,   E color, che tu fai cotanto mesti.   Onde ora confessa, che, sbigottito dalle suddette con>  siderazioni, l'amor dell'impresa, da principio con sì lieto  animo incominciata, era per tali pensieri consumato e  svanito.   V. 43. Se io ho ben la tua parola intesa,   Rispose del magnanimo quell ombra,  Vanima tua è da viltate offesa.   Rispose Virgilio : Con queste tue riflesiioni, s' io 1 * ho  ben'imesa, in loitanza tu ba* paura*     Cauto   V. Ss. I* tra tra color elle son tospeti,   Nel Limba, dove nè godono, nè dolgonti ranìme.   V. 53 . E donna mi chiamò beata e bella.   Beatrice, la quale, ticcome è detto nel IV canto, è  poeta per la grazia perSciente o consumante, secondo i  teologi dicono, anzi per la stessa teologia; e ciò, secondo  nota il Cello nella Lezione duodecima topra F Inferno,  per due cagioni : Una, perchè, siccome non ci è scienza,  la quale più alto ne levi nostro mortale intendimento  all’ altissima contemplazione d' Iddio e della teologia,  così non avea Dante, mentre eh’ e’ visse, trovato oggetto,  che più gli facesse scala all’ intelligenza delle celestiali  cose, che, siccome scrive io più luoghi, le sublimi virtù  e l’altre doti esimie dell' anima di Beatrice. L'altra cagione, per la quale sotto il nome di Beatrice intenda  allegoricamente la teologia, è per mantener la promessa,  ch'egli avea fatta nella sua Vita Nuova; dicendo, che,  se Iddio gli avesse dato vita, avrebbe scritto di lei più  altamente, che aveste scritto altr' uomo di donna mortale.  Il che veramente ha egli molto bene osservato, avendola  posta in così bella e maravigliosa opera per la scienza  maestra in divinità.   V. 54. Tal che di comandar i la richiesiLa richiesi. In pregai, ch'ella alcuna cosa mi comandasse.   V. 55. Lucevan gli occhi suoi più che la stella.  Più che’l sole.   V. 60. E durerà quanto 7 moto lontana.   Lontana, dal verbo lontanare. Quanto il molo lontana.  Quanto il moto s' allontana dal tempo presente : cioè la  tua fama durerà quanto dura il tempo.     a3   Piglia moto per tempo ella peripatetica, definendo  Ariatotile il tempo : Tempus tJt aumenu mottu seoundwa  prius et poiierUu.   V. 6i. L’ amico mìo, e non della ventura.   Dante, il quale per aver amato di puriaaimo amore  le bellezze dell' anima mia, e non le doti eaterne, che  la fortuna coraparte a' corpi terreni e corruttibili, fu  veramente amico di me, cio^ di quel eh' era mio, e non  {Iella ventura, e non della bellezza, per la quale altri di  lui men faggio m’ averà riputata felice e ben avventurata.   V. 63. Nella diterta piaggia i impedito   Si nel cammin, che volto, e per paura.   Impedito dalla lupa, e volto indietro per paura di cita.   V. 64. E temo eh' e' non ria già zi smarrito,   Ch’ io mi sia tardi al soccorso levata.   Dubito, che postano i vizj aver già preto in lui tanto  piede, che l'ajuto celeste non giunga in tempo.  Or muovi ecc.   Muoviti, vanne : così il Petrarca :   Or muovi, non smarrir t altre compagne.   V. 71. Vegno di loco, ove tornar disio.   Toma egualmente bene al senso letterale e allegorico,  cioà e a Beatrice e alla teologia, il desiderio di ritornare  in cielo;  il che imitando per avventura il Petrarca nella  canzone :   Una donna più bella asstù che ’l sole;   disse della teologia :  Cakto  costei batte t ale   Per tornar all* antico suo ricetto.   V. 72. Amor mi mosse ecc.   É Vamor d* Iddio, pel qual e' desidera che ciascun  nomo ti salvi, e questo è il eeoso allegorico o vero secondo la lettera;  la mosse la dolce memoria di quell* aniur  eh* eli* avea portato nel mondo a Dante, ond* ella il  chiamò, v. 61, L'amico mio.   V. 73 dinanzi al Signor mio»   Avanti a Dio.   V. 74. Di te mi loderò sovente a lui.   Gran promessa, dicono alcuni, fa qui Beatrice a VirgUio 1 non intendendo questi tali qual utile possa ritornare dair adempimento di essa a uu* anima divisa per  sempre dalla comunicazione della grazia e della beatitudine. Dice in contrario il Vellutello, che Beatrice con  tal promessa promette a Virgilio in premio quello, che  da lei dare, e da lui ricevere in quello stato si potea  maggiore;  ma non dice poi, perchè, nè di ciò adduce  alcuna prova. Na il Cello nella Lezione sopraccitata spane, che anche all* anime perdute si può (come dicono t  teologi ) giovare con levar loro qualche parte di cagione  di dolore, e in fra gli altri mudi in questo, che sentendo  elleno celebrar le lor memorie o esser qualche compasiione di loro in altrui, elle pigliano alquanto di conforto  ( » ei però può chiamarsi tale ) di non si vedere abbandonate al tutto da ogn* uno, e tiiassituonieuic quelle, le  quali non son dannate per fallo alcimo enorme e brutto, ma solo per non aver avuto cognizione della fede cmtiana, come VIRGILIO. Diremo dunque « cYie non »ia  ota d'ogni conaoUziune tal promeMa di Beatrice.   V. ^ 6 . O donna di virtù, sola, per cui   L'umana spezie eccede ogni contento  Da quel Ciel, ch'ha minor li cerchi sui.   Qui piglia itrettUaimamentc Beatrice nel «eoso allegorico; e dice, che per ewa, cioè per la teologia, fuomo  supera, ed è più nobile di tutte le creature contenute  dal ciel della luna;, essendo, che sopra di quello si dà  subito neir intelligenza movente Torbe lunare, la qual  •enza dubbio sì per pregio, si per eccellenza di chiarissimo intendimento è alT uomo superiore. £ che Dante  portasse opinione delT intelligenze moventi secondo la  dottrina d' Aristotile, è manifesto per quel clT ei dice in  altro luogo di esse. Par. cant. Vili, v. 37.   r’oiy che intendendo il terzo Ciel movete.   Ciò potrebbe anche intendersi in quest* altro senso :  O scienza, per cui l'uomo eccede, cioè trasvola con T intelletto dalle sublunari cose alle celestiali e divine.   V. 80. Che Vuhhidir, se già fosse, m'à tardi.   Che se io Tavessi obbedito in questo punto stesso, che  m'hai comandato, pure la mia obbedienza mi parrebbe  tarda: tale e sì fatto è il desiderio, che ho di eseguire i  tuoi cenni. Or venga qualunque si pare, e mi poni da altri  poeti forme così maravigliose e piene di si forte espressiva.   Y. 91. Jo son fatta da Dio, sua mercè» tale ^   Che la vostra miseria non mi tange,   Nè fiamma cTesto incendio non m* assale. l6 Canto   Io lono, la Dio mercè, talmente fatata per Tacque  della gloria, che la vostra miseria, cioè die T infeliciti  di voi altri ioaprai, non mi tocca, nè fiamma deir incendio de' dannali non m' assale. E notili, die quella dei  aoapeai la chiama raiirria, non conaiaiendo in arnao dolorifico, ma in pura afflizione di apirito per la diiperata  viaion d' Iddio; dove quella de' dannau la chiama fiamma,  perchè tormenta poaitivamente il aenao.   V. 94. DoTina e gentil nel Ciel, che si compiange  Di questo impedimento, ov" io ti mando,  Si che duro giudicio lassù frange.   Quella donna, il cui nome è taciuto dal poeta, è  inteaa generalmente da' commentatori per la prima grazia  detta da' maeatrì in divinità grada data; la quale, perchè  viene per mera liberalità divina, è anche detta preveniente, dal prevenir di' dia fa il merito dell' azioni umane.  Queata dunque addirizzando la volontà del poeta nel buon  proponimento d'uacir della aelva del peccato, e di aalire  il monte Bgurato per la virtù e per la contemplazione,  piega e rattempera il rigoroso giudicio d'iddio; onde  dice: che dal compiangerai di quella donna per l'itupedimento, che trova della lupa, il buon voler del poeta,  duro giudizio laaaù frange, cioè muove Iddio a conipaaaione, vedendo, che gli manca più il potere, che il volere;  onde merita d'aver in ajuto la aeconda grazia deiu illuminante, la quale ( ipongono i commentatori ) da Dante  è chiamata Lucia, dalla luce, eh' ella n'infonde nell'anima Questa seconda grazia chiama finalmente la terza,  detta perficiente o coniumante, espressa per Beatrice o  per la teologia; dalla quale vien condizionata la niente  umana alla contem) dazione della divina etienza : il che  Ottimamente li conacguiice col mental TÌaggio dell* Inferno e del Purgatorio, cioè a dire con la meditazione  di quelle pene;  •! come avviene al noetro poeta, il qual  per tal cammino li conduce alla fruizione del Paradiio,  e ai alla contemplazione d' Iddio.   V. 97. Questa chiese Lucia in suo dimemdo,   £ disse, Ora abbisogna il tuo fedele  Di te, ed io a le lo raccoaiando.   Lucia nimica di ciascun crudele  Si mosse, e venne al loco, dov V era :  Che mi sedea con l'antica Rachele.   Questa donna, cioè la grazia preveniente, richieee con  tua dimanda Lucia, cioè la grazia illuminante, che ajutatte il tuo fedele, cioè Dante;  il quale in altro luogo  dice di tè, eh* egli fu fedele a creder quella, in che la  grazia illuminante TammartlTava: e Lucia ti mette tubilo  a chiamar Beatrice, la qual ti sedea con l'antica Rachele;  e ciò per tignificare, che la teologia è indivitibil compagna della contemplazione, poiché Rachele (che in verità  fu moglie di Giacob ) nel vecchio teitamento ti piglia  per la vita contemplativa.   V. Io 3 . Disse: Beatrice, loda di Dio vera.   Che non soccorri quei, che t'amò tanto,  Ch' uscio per te della volgare schiera ?   Disse, cioè Lucia Disse. Loda di Dio vera. Chiama  la teologia e la grazia vera lode d' Iddio, forte perchè  dalla prima comprende l'uomo gli ecceUi attributi di  quello, ond* avvien a intiniiarne conceui più adeguati  di qualunque altra lode, che privi del lume di lei tlamo  capaci di udirne; e dalla teconda ti nvuùfctu raltiiiiiuo  pregio delle tue miaericordie.     a8 Canto   V. ic5. eh’ uscio per le /iella volgare schiera.   Per te toma bpne nel temo allegorico e nel letterale;   poiché Dante non t|nccò meno al tuo tempo per la profonda notitia della tacrata teienza, che per le rime e per  gli altri parti, a' quali tollerò il tuo nobilittimo ingegno  Tecceitivo amor di Beatrice.   V. ic8. Su la fiumana, ove'l mar non ha vanto ^   Qui il Fioretti, non rinvenendoti qual tia qiietta fiuDtana, poitilla in queata forma : Che fiumana ? ieslia.  Ma noi, per ora latciando il Fioretti nella tua tfacciata  ignoranza, terberemo ad altro luogo la tpotizionc di  quetto verto.   V. 109. Al mondo non fur mai ecc.   Dice Beatrice, che al mondo non fu mai pertona coti  aoUecita a cercare il tuo bene e fuggire il tuo male,  com' ella dopo tale avvito del grave pericolo di Dante  fu pretta a venir laggiù dalla tua tedia beata.   V. 114. Ch'onora te, e quei, ch’udito V hanno.   Perché le poetie di Virgilio non tolamente onoran  lui, che l’ha fatte, ma qualunque ne diviene ttudioto;  onde ditte di té medeiimo nel primo canto, T. 86.   Tu se’ solo colui, da cui io tolsi  Lo hello stile, che m’ ha fatto onore.   V. lao. Che del bel monte il corto andar li tolse.   Ti fe' ritornare indietro, quando poco di viaggio ti  rimaneva per condurti alla cima del bel monte, cioè al  tommo della virtù o della contemplaiione. V. i 39- Or va, eh" un tot volere è efamendue.   D’amendue noi;  il tuo cT andare, il mio di venire.   V. 143. Entrai per lo cammino alto, e tilvettro.   Spoogono i commentatori alto, cioè profondo. Io però  m'aRerrei al parere del Manetti nella tua ingegnoaa operetta circa il silo, forma, e misura delf Inferno di Dante,  dove intende alio nel ano proprio tignificato, cioè d’elevato e aublime;  con ciò aia coaa che egli pone Teotrata  deir Inferno in aur un monte aalvatico, per entro il cui  aeno ruoli eh’ e’ ai cominci immediatamente a acendere.  Ma di ciò non fia mio intendimento al preaente di favellare I potendo ciaacuno in queato ed in ogn’ altra particolarità del aito e della forma della atupenda architettura di queato Inferno aaaai ampiamente aoddiafarai con  ana breve lettura del aoprammentovato autore. ]\^0STiiA in qaetto terzo canto (*) c Tettersi condotto  per lo canunino alto e ailreitro alla porta dell* Inferno»  la cui Menzione comincia ex abrupto al principio del  canto» come l'ei leggeue. Di poi, acendendo per J' interne vie del monte, arrivato in quella concaviti o caverna della terra, che è quali come un veitibolu dell' Inferno, ed è immediatamente sopra il primo cerchio, cioè  sopra il Limbo, vede quivi Tanime degli teiaurari, cioè  di coloro, che mentre vissero non furon buoni ni per  aè, nè per altri, ninna buona o rea cosa operando.  Questi dice eh’ hanno per tormento il correr perpetuamente in giro dietro un' insegna che tutti li guida, c    (*> Dira qvslceia di riè che dir« il CrlU con r«atorità dal  iigliolo a dal nisota dì Dante, cha dal prima vcr.o dal quinta  canta comincia la narrationa dal paama. Calli, Uh. X..3a Cauto   chr in cotal cono ton punti e fieramente trafitti da tafani  e da moaclie. Attraversato quello spazio poi destinato  alla girevoi carriera di quegf infelici, dice essersi condotto al fiume d’ Acheronte, e quivi aver veduto venir  Caronte per l'anime de' dannati, e dopo, euer tramortito  in su la riva di quello.   V. I. Per me si va ecc.   Si finge, che parli essa porta. Ferme, il senso it Per  entro me.   Y. 4 . Giustizia mosse ‘I mio aito fattore.   Veramente il motivo di fabbricar P Inferno venne dalla  giustizia, la qual si dovi far di Lucifero e degli angeli  suoi seguaci.   V. 5. Feeemi la divina potestafe.   La rowaui sapienza, e 'I primo Amore.   La Santissima Trinità, della quale spiega le persone  per gli attributi: il Padre per la potenza, per la sapienza  il Figliuolo, per l’amore lo Spirito Santo.   V. 7 . Dinanzi a me non far cose create,   Se non eterne ecc.   Seguita a parlar la porta per esso Inferno; e dice, che  avanti a lui non fu altra specie di creature se non eterne.  Per queste intendono assai concordemente i commentatori  la natura angelica;  la quale, siccome dovette esser punita  per la sua ribellione, cosi par molto verisiiuile, che il  carcere d' Inferno fosse fabbricato dopo il peccato degli  angeli; e sì dopo la loro creazione. Che poi Dante se  li chiami eterni, cioè in ritguardo dell'eternità avvenire. p«r la qaal dureranno, onde i teologi U chiamano eterni  a pitrte post^ o, come ad altri dì essi è piaciuto di no«  minarli, sempiterni, a distinzione delT eterno a parte ante,  il che si conviene solamente a Dio.   Na siami qui lecito il metter in campo una mia considerazione, la qual mi dichiaro, eh' io non intendo di  proferire altrimenti, che ne’ puri termini del potrebb* essere, a fine di sottoporla al savio accorgimento di quello,  al quale è unicamente indirizzata questa mia deboi fatica.   10 discorro così : L’ Inferno ( secondo Dante ) fu creato  col mondo, e ’l mondo fu creato in istante.   V. la. Perch* io : Maestro, il seruo lor m è duro.   Onde io ( vi s’ intende, dissi ) : O Maestro, il senso  lor m* è duro. Duro, cioè aspro, e non, com* altri vo~  gliono, oscuro. Perchè leggendo Dante l’ immutabil decreto di non uscire della porta d’ Inferno, a ragione di  bel nuovo s’ intimorisce.   V. i3. Ed egli a me, tome persona accorta i  Qui si convien lasciar ogni sospetto.   Da questa risposta di Virgilio si conferma il detto di  sopra, che Dame non disse essergli duro, cioè oscuro,   11 senso deir iscrizione dell’ Inferno, ma duro, cioè aspro,  spaventoso;  perchè Virgilio non piglia ora a chiosargli  la suddetta iscrizione, ma lo conforta a francamente  entrarvi. Così la Sibilla ad Enea nel VI, v. a6i.   Nunc aiwuis opus, Aenea ^ nane pectore firmo.   Ma io di qui avanti non mi fermerò a conciliare i  luoglìi simili di questo canto col sesto delP Eneide, come  benissimo noti, a chi scrivo, le non dove m'occorra di     34 Canto   fare apiccare l'eccellenia di alcuna di queati col paragone di quelli.   V.i8 il ien étW intelletta.   La viltà e la cognoicenaa d'iddio.   V, ai. Quivi sospiri, pimti, e ahi guai.   Ne* tre arguenti terzetti par, che Dante abbia voglia  di auperar Virgilio nell' eipreaiione della niiieria de’ dannati. S'ei ae lo cavi o no, giudichilo chi farà confronto  di quello luogo con quello del VI dell’ Eneide, v. SS^,  Bine txauJiri gemi/us, et saeua sonare.   V. iq. Sempre 'n queW aria, sema tempo, tinta.   I comineo latori apirgano eoa): Tinta senza tempo, eioh  lenza variazione di tempo al contraria dell' aria noatra,  la qual ai tigne a tempo come la notte, e ai riachiara  da' raggi del aopravvegnrnte iole.   La Cruaea legge diagiuntamentr, Ària senza tempo, fintai  onde il Rifiorito apiega quel senza tempo, eterna, quaai  che il aentimento aia tale, aria eterna, e tinta. Coi) nel  canto che aegue la chiama eterna, v. i6.   JVon avea pianto, ma che di sospiri.   Che l'aura eterna facevan tremare,   Cooiidero di pii), che l'epiteto di eterna in quello  luogo del terzo canto corria[>oude al perpetuo aggirarli  delle voci de' dannati, v. a8.   Farevan un tumulto, il qual s'aggira  Sempre in quell' aria, senza tempo, tinta;    poiclià, a’ e' a'aggira eternamente, torna molto brne il  dire, che eterna aia l'aria, nella quale s'aggira. £ poi    nè meno può dirti, che rana deir Inferno aia tìnta senza  tempo, cioè ( come tpongono i commentatori ) eternamente, perchè ancorché Dante dica di etta, Inferno,  cant. IV, r. io.   Oscura, profonda era, t nebulosa  ’ Tanto, che, per ficcar lo viso al fondo,   r non vi disccrnea alcuna cosa,   Ciò non toglie, eh' ella in alcuni luoghi non fotte di  continuo illuminata dal fuoco, come nel terto girone  de’ violenti, ed in queito medetimo degli teiaurad, dove  te non altro vi balenava, v. i33 La terra lagrimota diede vento,   Che balenò una luce vermiglia.   V. 3l. £d io, eh' avea d'errar la tetta tinta.   Cinta d’errore, adombrata dall'ignoranza di ciò ch’io  ndiva.   V. 35. Che visser sansca infamia, e sanxa lodo.   Che in queito mondo, nulla mai virtuoiamente operando, non latciaron di tè alcuna memoria.   V. 37 . Mischiate tono a quel cattivo coro   Degli jingeli, che non furon ribelli,   Ni far fedeli a Dio, ma per te foro.   £ opinione, che nel fatto di Lucifero fotte una terza  Lizione d' angeli, la qual nè t'accottaiie a Lucifero, nè  ti dichiaraite per Iddio, ma ti teuetie neutrale. Di  queiti parla il poeta, e in pena della loro irreiolutezza  li mette con gli teiauratì.  Canto   V. 4 o> Cacciarla eie!, per non tster men belli:  Nè lo profondo Inferno gli riceve,   Ck‘ alcuna gloria i rei avrebber d elli.  n tentimcnto ì tale; Pel Cielo ton troppo brutti, per  rinferno aon troppo belli;  coti ti atanno in quel mezzo,  ciof nel veaubolo di euo Inferno. Notiti ben, eh' egli  dice, V. 41.   Nè lo profondo Inferno gli riceve;   volendo dire per Io profondo Inferno, coli, dove ti tormentano i rei > i quali avrebbono alcuna gloria cT averli  in lor compagnia. Non come dicono gli i|>otitori.' ti  glorierebbero per vederti puniti del pari con etti, che  non commitero altro peccato, che d’etterti indiflfereoti  tenuti, ma alcuna gloria v'avrebbero, perchè agli occhi  loro la piccola macchia di tale indifferenza non varrebbe  ad appannare il lustro di loro eccella natura, dalla quale  ritrarrebbe alcun taggio della gloria, e ti della celette  beatitudine.   V. 47. E la lor cieca vita è tanto batta,   Che ’nvidioti ton i ogn altra torte.   Non tolaniente di quella de' beati, ma in un certo modo  di quella de' peccatori. Tanto è riera, cioè vile ed oscura  la lor misera vita, onde dice, che misericordia e giustizia gli sdegna, quella che di loro non è avuta, questa,  che per cosi dir li disjirezza con distinguerli sì di luogo, come di pene da’ peccatori. E credo, che P intendimento del poeta sia J* inferire, che la maggior pena di  costoro èia vergogna di non esser almeno stati da tanto,  poich’ a perder s’aveano, di perdersi, come suol dirsi,  per qualche cosa. Ond' egli arrabbuno e mordonsi le lani di noo aver avnto tanto «pirito da irritar almmend  la divina giuttisia, la quale in « fatta guisa punendoli)  par loro, eh* ella « per così dir y non gli •cimi, e ai li  Timproveri e facciasi beffe della lor dappocaggine.   V. Sa 9Ìdi un insegna y   Che y girando, correva tanto ratta,   Che d’ogni posa mi pareva indegna*   Mette costoro rutti sotto un* istessa bandiera a dinotare  la simigUanaa dell* indegna lor vita. Li fa correre per giustamente punir Tozio e Taccidia del tempo, eh* e* vissero.   V. S 4 . Che ^ogni cosa mi pareva indegna.   Spiega il Vellntello, eh* egli erano indegni d* alcun  riposQ. Il Buti: Correva quest* insegna t che mai non mi  parca si dovesse posare, e forse meglio. Non credo però,  che nè Tuno, nè Taltro la colga. 11 Daniello e'I Bonanni  •e la passano senza dirne altro. In quanto a me direi :  che la mence del poeta sia stata di pigliar in questo  luogo indegno per incapace, o altra cosa equivalente;  e  nel resto io credo, che Dance abbia forse voluto dar da  strologare a* grammatici toscani;  come fece Ennio a* Latini in quello indignas turres, dove da Girolamo Colonna  r indignas viene spiegato per magnaSy e dal medesimo  vien allegato in conformazione di ciò un luogo di Servio,  il quale spiegando quel verso di Virgilio nelP Egloga X  indigno cum GaUus amore periret, spone indignutn per  magnum, e quell* altro pur di Virgilio nelle Ceiri:   Verum haec sic nobìs grauia atque indigna fuere.   Nel quale Giulio Cesare Scaligero spiega indigna y  cioè inefiabile, e per trasUto, immensoCarto   V. 59 - Guardai, e vidi l’ombra di colui.   Che fece per viltatt il gran rifiuto.   Intende di Piero d«l Murrone, che fu Papa Celestino V, il quale, tra per la tua sempliciti e l'altrui  sottigliezza, s* indusse a rinunziare il papato. Questi fu  ne' tempi di Dante, onde non debbe tacciarsi d' iinpietà  il poeta, sapone nell’ Inferno l'anima di colui, che non  essendo per anche dal giudizio mai non errante di Santa  Chiesa annoverato tra' santi, come poi fu, poteva lecitamente credersi soggetto ad errare, e si interpretarsi in  sinistro i (ini delle sue per altro santissime operazioni.   V, 63. ji Dio spiacenti, ed a’ nemici sui.   Corrisponde a quel eh' ha detto di sopra, eh’ e' non   eran nè di Dio, nè del Diavolo.   * •   V. 64 . che mai non fur vivi.   Morde acutamente con questa forma di dire la perduta  loro vita.   V. 65. Erano ignudi, e stimolati molto.   Stimolati, risguarda anche questo la lor pigrizia.   V. yS per lo fioco lume.   Traslazione mirabile di quel eh* è proprio della voce,  per esprimer con maggior forza quel che s' appartiene  alla vista. Similmente nel primo canto, v. 60, per significare l'ombra della selva disse, dove'l sol tace:  qui con non minor vaghezza un lume assai languido lo  chiama fioco.   V. 83. Un vecchio bianco, per antico pelo.   Forma assai rara e nobilissima per esprimer la canizie  del vecchio Caronte. Gridando : Guai a coi anime prave :   Non isperale mai veder lo cielo ecc.   Coinime mirabilmente otaervato, ioduceme mollo maggiore ipavento, l' imrodur Caronte minacciante l'anime  nell' atto d'accottarti alla riva, che introdurlo muto verao  di eaae, aiccome la Virgilio, il quale non lo fia parlar*  ae non con Enea.   V. 88 viva,   Partili da codesti, che son morti.   Kon diaae da codette, che aon morte, perché come  anime eran vive;  ma diaae, da codesti, cioè uomini,  de’ quali ti potea veramente dire, eh' e' foatcr morti.   V. 91 . Disse; Per altre vie, per altri porti   Verrai a piaggia, non qui, per passare :  Più lieve legno eonvien, che ti porti.   Intendono i commentatori,, che Caronte predica a Dante  la tua aalvazione, e che però gli dica, che egli arriverà  • piaggia per altre vie, per altri porti, intendendo del  porto d' Oatia poato vicino alla foce del Tevere, dove  finge il Poeta, che l'anime imbarchino per l' itola del  Purgatorio;  e che queato più lieve legno aia il vattello con cui vien Vangelo a caricarle, di cui Furg.  cani, n, V. 4 ^’ e quei s‘en venne a riva   Con un vasello snelletto, e leggiero,   Tanto che t acqua nulla n inghiottiva.   Il Rifiorito però aaviamente contiderando (aecondo io  pento ) quanto era cota impropria il porre in bocca d'un  Demonio coti fatto vaticinio, mi tpiega queato patto in     40 Canto   diverto lentimento. Prende egli altri porti in quetro  luogo per altra condotta, cioè per altri die ti portino,  e per lo più lieve legno intende l'angelo, che pattò Dante  aJdormentato dall' altra riva, tenta che egli te n' accorgeue. Il che toma aitai meglio al rihuto che fa di lui  Caronte;  mentre di lì a poco li vede verificato quel  eh’ egli dice, cioè che egli per altra via verrà a piaggia,  ticcome vedremo più a batto.   V. 94. £ ‘I Duca a lui ecc.   E Virgilio ditte luì.   V. 99 ave' di fiamme ruote.   Ave' con Tapottrofo per avea, non ave terta pertona  del meno nel preiente del verbo avere, come hanno  alcuni tetti.   V. 104 e‘l teme   Di lor temenza, e di lor nasciiuenti.   Gli avi e padri. Quelli tono il seme di lor semenza,  quelli di lor nascimenti, perchè da etti immediatamente  nacquero. Coti il Rifiorito.   V. Ili qualunque s'adagia.   Qualunque ti trattiene, non qualunque » accomoda  nella barca, come tpone il Daniello, che tarebbe alato  tpropotito.   V, li». Come t Autunno si levan le foglie,   L’una appretto delF altra, infin che 'I rama  Rende alla terra tutte le sue spoglie.   Similitudine tratu da Virgilio nel VI, v. 309.   Quam multa in tyluit autwnni frigore prima  Lapta cadunt jolia etc.;   ma adattata asiai meglio da Daate, nel cui InTerno niuna  deir anime era eacluia dall'imbarco, liccome niuna delle  foglie riman tu Palbero;  al contrario di quel di Virgilio,  nel quale tutti coloro, che non eran sepolti, erano lasciati  in terra. E poi elf i grwdemente nobilitata col proseguimento di essa fino al restare spogliato del ramo, paragonato al restar voto il lido j dove Virgilio la regge  solamente nella prima parte del cader delle foglie, e  dell' imbarcarti fanime;  passando poi subito a quella  degli uccelli, che passano oltramare.   V. 1 18. Cori seis vanno tu per f onda bruna.   Bellissima ipotipoti, e che mette sotto agli occhi il  camminar della nave.   V. lao. Anche di qua nuova tchiera t'aduna.   Di quelli, che continuamente e per ogni stante di tempo  muojon dannati.   V. laS. Che la divina giuttizia gli tprona.   Si che la tema ti volge in detto.   Chiese innanzi Dante a Virgilio : perché quell* anime  paressero si volonterose di passare il fiume, v. qi.   Maettro, or mi concedi,   Ch’ io tappia, quali tono, e qual cottume  Le fa parer di Irapattar ri pronte.   Ora gliene rende la ragione, mantenendogli nello stesso  temp^ la promessa, che glien' avea fatta in quc* versi 76.   le cote li fien conte.   Quando noi fermerem li nottri patti  Su la tritta riviera d Acheronte. £ dice, che ciò accade, perché la divina giustizia le  sprona ai, che la tema §i volge in diblo. l*^eIU epoai/ione  di queato paaao i coumieotatori a* aggirano per diverae  strade t non mancando di quelli, che ae la paaaano eoo  la mera apiegaaione allegorica, lo però, fìntanto che non  trovi meglio da aoddiafarmi, atarù nella mia npinionet la  qual è : che Dante abbia preteao d'eaprimere un terribile effetto delia diaperazion de' dannati, per la quale  paja ior nuir anni di precipitarai ne' tormenti, ed empier  in ai fatto modo l'atrociià delia divina giuatiziat la quale,  secondo loro, è sì vaga della loro ultima uiìaeria. Coai  abbiamo veduto di quelli i che oda rabbia, oda gelosia, o da altra violenta paaaione ai tono indotti a darai  morte volontaria per un diadegnoao guato di aaziare il  fiero animo di donna o di principe contro di loro adegnato. Cosi Inf. cant. i3. Pier delle Vigne, segretario  dì Federigo imperatore, dice essersi per un aioiile guato  data la mone, v.   L*anÌMO mio per disdrgnoso gusto,   Credendo col morir fuggir disdegno,   Ingiusto fece we, contro me giusto^   Un a’imil disperato affetto ai vede raramente eapreaio  da Seneca nel coro dell' atto primo drlT Edipo, dove  parlando in persona de' Tebanì ridotti all* ultima diaperaaione per quell' orribile peauleoza, fa dir loro cosi : v. 88.   Prostrata iacet turba per orai,   Oratque mori : solum koc facilee  Tribuere Dei. Delubro petunt;   Jlaud ut uoto nuinina placent,   Sed iuuat ipsos satiare Deot.Ancora il Boccaccio fa proromper la diaperata Fianimetta in una aiiuil bettemmUf tacciando gli Dii dell* ingordigia, ch'egli hanno, di rovinar coloro, die da esai  aono inaggtormeote odiati. Fiam. lib. 1 . Ma gl* Iddìi a  coloro, co* cfuali essi sono adirati, benché della lor salme  porgano segiu>, nondimeno gli privano del conoscimento  debito. E COSI ad un* ora mostrano di fare il lor dovere «  e saziano f ira loro»   V. 117. Quinci non passa mai anima buona»   Tutte ranime, che di qua pattano, aon dannate; però  tu Dante puoi ben comprendere la ragione, ond* egli  ai motte a rigeuard dalla tua nave.   V. i 3 o. Finito questo, la bufa campagna   TVemà forte, che dello spavento  La mente di sudore ancor mi bagna.   La terra lagrimosa diede vento,   Che balenò una luce vermiglia,   La quai tu vinse ciascun sentimento:   E caddi, come Vuom, cui sonno piglia,   Quetto luogo è a mio credere oteurittitno, e tengo  per fermo, che a volerne capire il vero tignificato, aia  necettario intenderlo affatto a roveteio di quel di' egli  ò arato letto e apiegato 6nora. Poiché dicono i commentatori, che la luce vermiglia fu l'angelo, il qual venne,  e addormentò Dante col terremoto, e coti addormentato  lo prete e lo pattò all' altra riva. Io qui non domanderò  loro, com' e' tanno, che Dante fotte pattato dall* angelo  e non pintcotto da Virgilio o da qualche demonio, potto  che egli non ne dica da per tè nulla, dicendo tolaiueute  nel principio del IV canto, che, coin' e' fu desto, ti  44 Canto   ♦roTÒ «Ter pasiato i! fiume Acheronte. Tuttavia, perché  di ciò ftimo, che §e ne potsa addurre qualche probabi)  conjettura, mi riitrignerò domandare : «e la luce vermi>  glia naace dal vento esalato dalla buja campagna nel auo  tremare ( intendo tempre di star tu la fona della lettera,  che col tegreto dell' allegoria benÌMÌmo ao guarirti di  questi e d'altri maggiori inveritimili ), come ti può mai  intender per etta vermiglia luce un angelo venuto dal  cielo ? E poi qual nuova virtù hanno i tuoni e baleni  di far addormentar le persone ? O qual necessità v'era  d'addormentar Dante ? E per averlo addormentato e pattato dormendo, qual grande avvenimento ti cav' egli da  questo tonno ? Il Vellutello è stato a tocca e non tocca  d* indovinarla, facendo nascere non il baleno dal terremoto, ma il terremoto dal balenare;  ma non ha poi  •piegato come ciò post* estere, stante il sentimento dei  versi seguenti: i33.   La terra lagrimota diede vento ^   Che balenò una luce vermiglia*   Spiega il Landini; Che, cioè il qual vento balenò una  luce vermiglia. Dunque se fu il vento, che balenò, non  fu il baleno, che fe' tremar la campagna e spirare il  vento; e per conseguenza, se il baleno fu parte dell' aria  infernale, non ti può dire, eh' e' fosse l'angelo. Io però  credo, che con pochissimo la lezione del Vellutello si  farebbe diventar ottima, cioè con legger quel Che per  Perchè, o Perciocché, o Conciossiacusachè;  si che il  •enso fosse;  La buja campagna tremò, la terra lagrimosa diede vento;  Perchè ? Ecco : Perchè balenò una  luce vermiglia. Cosi toma quello, eh' io diceva da principio, che a capire e a voler dar qualche sentimento aquetto luogo era necenarìo intenderlo a roretcio di  quello, eh' egli era inteso universalmente;  cioè dove gli  altri intendevano il baleno per effetto del terremoto e  del vento, intender il vento ed il terremoto per effetto  di esso baleno. In tal modo non i più veritimile, anzi  torna mirabilmente l' interpretare il baleno per la venuta  deir angelo; il quale, oltre a quello, che n’accennò Caronte quando disse, v. 91.   Per altre vie, per altri porti   y errai a piaggia, non qui, per passare,   Più lieve legno convien, che ti porti.   si rende molto credibile, che foste più tosto egli, cioè  l’angelo, che Virgilio, o un demonio, il quale passasse  Dante, si per la gloria della luce, che balenò agli occhi  del poeta, ti perchè estendo il passar Dante di là dal  fiume opera soprannaturale e miracolosa, molto maggior  dignità è farla operar per un angelo, che per un’anima  o per uno spirito;  e ti finalmente perchè altre volte,  quando è stata da superare qualche gran difficoltà, come  alla porta della città di Dite, dice espresso, che venne  un angelo a farla aprire. Che poi alla venuta dell’ an-  gelo la buja campagna tremaste, è nobilissimo accidente,  e proporzionata corritpondenia alla grandezza dell’ avve-  nimento. Lo stesso sappiamo esser avvenuto, quando  v’arrivò Tanima di Cristo Signor nostro per liberare i  tanti del vecchio testamento; come ti legge in S. Mattea  al cap. XXVII e al cap. XXVIII più strettamente; dove,  scrivendo la venuta d’un grandissimo terremoto, ne dà  per cagione la scesa iTun angelo;  Et ecce terraemotus  factus est ntagnus;  Angelus enim Domini descendiS de  taelo. Dove notisi, che quell' zaùn ha la stessa forza, che Canto   io intendo dare a qnel che, cioè di perchè o di percioc-  ché, o di conciossiacotoché, arnia clic interroghi, nè ciò  aenia molti eaempj di prosa e di versi, come si può  vedere al Vocabolario, e più difltusamente appresso al  Cinonio.   Un simil costume si vede anche osservato da' poeti  gentili, come eh' e' lo conobbero benissimo adattato alla  dignità de’ celesti personaggi. Servio : Opinio est sub  oduentu Deorum moueri tempia. Seneca, nell’ Edipo,  atto 1.*, scena prima, dove Creonte ragguaglia lo stesso  Edipo della risposta dell’ Oracolo, v, ao.   Vt sacrata tempia Phoehi supplici intraui pede,   Et pias, nutnen precatus, rile summisi manus;   Gemina Parnassi niualis mrx trucem sonitum dedit,  Imminens Phoeboea laurus treiimie, et mouu doutuau   E Virgilio, Eneide, lib. Ili, v. 90.   Vix ea fatus eram, tremere omnia uisa repente  Limina, laurusque Dei, totusque moueri  Mons circum, et nugire adytis cortina reclusis.   Precede questo alF Oracolo d'Apollo;  luogo imitato da  Callimaco nel principio delf inno in lode della stessa  Deità, V. I.   *Oso« S Ttt’nóAAswoc iaiiaaro Só^iroq   ‘Ola, f ZXov TÒ fiéXaipoo' enàf, inàif, Sant dXtSpót,   Come s'e' egli mai scosso questo ramo £ alloro sacro ad Apolline;  Come s' e’ scossa questa spelonca l Fuara profani: fuora:   Lo Scoliaste dice, che ciò avvetiiva per la venuta dello  Dio. Le sue parole sono : itetdfigovvTOt Tov dfov. Come t"e’ icotto quitto ramo, come i e' scossa questa spelonca!  Non, Quanto s' è scosso questo ramo ree.;  come traalata  il traduttore di Callhnaco, lenza ponto avvertire, che Io  Scolialte greco l’ ha inteio in lenio di coinè e non di  quanto: Olov 5 rà ’II^A.X«vo{ ) 'Atri Toó o2at, Siro(.  Or reggili le l’ interprete doveva mai tradurre otog  ovvero Sicmf per quantus; e pur era un lolenne tradut-  tore, e che li piccava iniioo di icrivere veni greci.  Virgilio nel VI fa lervire un limile avvenimento a no-  bilitar la venuta della Sibilla nelf Inferno, v. iS5.   Ecce autem primi sub lumina solit, et ortut,   Sub pedibus mugire solum, et juca coepta numeri  St/luarum, tùtaeque canet ululare per umbram,  Aduentante Dea : Procul, o procul ette profani.   Coll Claudiano de Rap. Froterp., lib. 3, alla venuta di  Plutone, V. iSa.   Ecce rrpens mugire fragor, confligere turres,  Pronaque uibratis radicibus oppida uerti.   Che poi Dante non dica apertamente dell’ angelo,  ciò è fatto ( come awertiice il Boti nel Comento lopra  il canto IV) con grandiiiimo accorgimento i poichò egli  non potea dire le non quel tanto, eh’ ei vide; e te dice,  che la luce vermiglia lo fe’ tramortire, vincendogli cia-  •cun tentimento, e che in questo fu panato di là dal  fiume, sarebbe stato molto improprio, eh* egli ci aveste  dato conto di quel eh’ accade durante questo suo sveni-  mento. Dico svenimento, non sonno, al contrario di  tutti gli tpositori, i quali, mi maraviglio, come in cosa  tanto manifesta abbiano preso un sì grosso equivoco.  Dice Dante, che la luce vermiglia gli vinse ciascun     48 Canto   lentimento, cadde come Tuoma preio dal loono. Dunque,  a' ei piglia la limilicudme da colui, che cade addormen-  tato, ^ troppo chiaro, ch'egli cadde per altra cagione;  che non li piglia mai il paragone dalla iteiia cola para-  gonata. Qual freddura larebbe mai queita ? Caddi addor-  mentato, come cade quegli, che l' addormenta’ Tramortito  bensì; e ciò' intende molto bene, come polla derivare  dallo ipavento del terremoto, e dall’ abbagliamento della  luce vermiglia;  ma non già il lonno, il quale è ami  •cacciato, come vedremo nel principio del leguente  canto, e non luaingalo per un tuono. Un caio asiai limile  li legge in Daniele al cap. X, dove egli icrive di lè  medesimo, che la vennta deir angelo, che avea combattuto  col re di Persia, avea ripieno di tale spavento quelli  eh' erano col profeta, che l'erano fuggiti; ond'egli, vinto  in ciascun sentimento e abbattuta ogni lua virtù, rimase  solo a veder la visione;  yidi auttm ego Daniel solus  uisionem. Porro uiri, jui erant mecwn non uiderunt, ted  terror nimiue irruit super eoe, et fugeruni in aiscondilum;  ego autem relictut solus nidi uisionem grandem lume, et  non remansit in me fortitudo, ted et species mea immutala  est in me, et emareui, nec habui quiiquam uirium. E poi  diremo noi. Dante esser caduto morto, per quel eh' ei  dice al canto V dell’ Inferno, v. 140.   E caddi, come corpo morto cade ?   Dunque con qual ragione or, di' e' piglia la similitu-  dine dal cadere d'uno, che l'addormenta, dir vorremo,  eh' egli si cadesse addormentato ? Nè meno volle Dante  cavarci di questo dubbio della venuta dell' angelo, fa-  cendosela narrare a Virgilio, siccome nel IX del Purga-  torio li fa dir, che Lucia Io prese dormendo, v. Sa.  Dianzi ntìf alba i cKe precide il giorno,   Quando f anima tua dentro dorniia,   Sopra li fiori, onde laggiuso è adorno,   Venne uno donna, e ditte : /' ton Lucia;   Latcialemi pigliar cotlui, che dorme :   Si t agevolerò per la tua via.   avendo fone in ciA mira non tanto alla varietà e alla  bizzarria, quanto (come avvertUce io Smarrito ) a lalvar  la modeitia, per la quale non vuol coti pretto farti  bello d'un tì alto favore; riapetto, che manca poi nel  Purgatorio, dove la tua anima per la meditazione delr Inferno era divenuta piti monda, e ti pili vicina a  pervenire all' altittima contemplazione d' Iddio.   Veduto del concetto principale di quetto luogo, è  ora contegnentemente da vedere con brevità d'alcune  cote, che rimangono, per aver una piena intelligenza  anche de’ pai-ticolari tentimenti.   V. i3o. Finito quetto, la huja campagna   Tremò ri forte, che dello tpavenlo  La mente di tudore ancor mi bagna.   Qui mente per fantaiia; e 'I tento à; La fantatia, rimembrando l'alto tpavento, ancor ancora muove tudore,  il qual bagna me, e non \a mente, come t'accordano con  gran bontà a intendere il Vellntello e 'I Daniello. Coti  ancora vediamo quell' azione, liati dell' anima, o degli  tpiriti, che i' etprime con quetto vocabolo di fantatia,  per allungare al palato, e romper Pagrezza de’ frutti acerbi  gagliardamente immaginati, muover taliva.   V. i33. La terra iagrimota diede vento ere.     So Canto terzo.   Qurito è confuroie la volgare opioionei che crede il  terremoto produrti da aria terrata nelle vitcere della  tetra;  la qual opinione tappiamo ettere tlata leguitata  da Dante, come ti raccoglie da un luogo del XXI del  Purgatorio;  dove in perenna di Staiio rende la ragione  de' terremoti, che t'odono intorno alla falda di quella montagna con quetti versi 55 e aeg.   Trema forse quaggiù poco, od assai ;   Ma per venSo, che irs terra sì nasconda.   Non h dunque gran fatto, che, portando egli quetta  credenza, dica, che nel terremoto della buja campagna  otc) vento di terra, volendo inferire di quell' ana, che  nello tcotimento, e forte nell' aprimento della suddetta  campagna ti sprigionava. Raccolta, eom’ an tuono Io f«ce ritornare in,  e come trovò aver pattato il (ìamc Acheronte dalP altra riva, la qual fa orlo al catino de!!' Inferno, chiamato  da lui valle dolorosa d'abiuc. Dice poi, d'eticre tcrio  nel primo cerchio <^’ etto Inferno, che è il Limbo. Dimanda a Virgilio della venuta di Critto in quel luogo,  ed ode la tua ritpotta. Quindi patta a veder 1' anime  de* bambini innocenti, e dopo quelle di coloro, che  visterò secondo il lume delle virtò morali ; e con la motta  per discender nel secondo cerchio, termina il canto.   V. 1 . Rufptmi t alto tonno nella lesta   Un greve tuono, ti eh' i" mi riscossi,  Come persona, che per forza è desta.   Statuì dio della similitudine presa da chi dorme; onde  chiama sonno quello, che in realtà era tmarrimento di  spiriti, e svenimento. Chiamalo alto, a differenza del    Digitized by Google    Sì Canto   «ODDO naturale: anzi, a fine d'eeprimerlo alùiiiraot dice,  che un greve tuono a gran pena lo ritcofte, rome ai  rìacuote persona, che per forza è desta* £d ecco retta la  comparazioDe fin all' ultimo^ dopo averla fatta operar  con grandisiimo artifizio in tutte le «uè parti. Il tuono  potrebbe a prima viata parere non eaaere auto altro,  che il rumore degli alilaaimi pianti, e delle mìaere atrida  de* danoati, chiamate da Dante poco pid abbaaao tuono.   J tu la proda a mi trovai   Della valle d * abisso dolorosa,   Che tuono accoglie d* infiniti guai.   Goal di aopra nel terzo canto, t. 3o, rasaomiglia i  gemiti degli aciauratì allo apìrar del turbo : qui, ove ai  aeote il pieno del triato coro dell' Inferno li rasaomiglia  al tuono. Potrebbe forse anclie dirai, che questo tuono  venne dall' aria del terzo cerchio della piova, dove aon  puniti i golosi ; non essendo punto fuor di ragione il  credere, che insieme con la gragnuola venisiero aoche  de* tuoni, siccome veggiamo accadere nella noatr* aria,  il che nell* Inferno ajuu a far crescer la peoa e lo apa>  vento de* peccatori. Considero dall* altro canto, che in  sì gran lontananza, qual è quella del terzo cerchio,  volev* essere un gran tuono per esser sentito da quei,  eh* erano in su la riva d* Acheronte. Ma bisogna ancora  considerare, che quivi non tuona all* aria aperta, come  fa a noi, ma nel chiuso della valle ' d* abisso sotto la  volta della terra, che rintrona e rimbomba per ogni  banda, e sì lo strepito vien portato, come per cana>  le, all* orecchie di Dante ; e a chi farà rifiessione, a  qual distaiza arrivi la voce d* uno, che parli aoche  pianamente per una canoa forata, forse non parrà tanto gUAKTo. 53   HiTerUtroile queito pensiero. Senxa che delle campane alla  campagna aperta, dov' elle abbiano il vento in favore,  •'odono dieci o dodici miglia lontano^ e rartiglierie tirate  alta marina di Livorno s'odono talvolta Hn di Firenze,  che per retta linea aWà ben cinquanta miglia di lonta*  nanaa. Più coerentemente però al costume non meno,  che alla grandezza della fantasia di Dante, si dirà, che  il tuono non fu altro, che quello incominciato nel canto  antecedente, di cui nel ritornare il poeta in s^, udendo  lo strascico, non rinvenendosi (come accade a chi dorme, e molto meno a chi è svenuto) quanto tempo fosse  stato fuori de* sensi, lo credette ( stando assai bene io  sul verisimile ) un altro tuono. E di vero, per passare il  fiume su l'ali d'una potenza soprannaturale, non vi volea  cosi lungo tempo, che giunto su l'altra riva non potesse  ancora udire il rintuono di quel tuono stesso, che scoppiò col baleno, allorché Dante si ritrovava al di là dal  fiume ; maravigliosa osservanza di costume. Si desta naturalmente, perchè già il miracolo della sua trasmignv  «ione era fornito, e udendo in quello tuonare, mostra  di credere d'essere stato desto dal tuono, come farebbe  ognuno, che si abbattesse a destarsi in quel eh* e' tuona.   V, 1. Rupptmi tolto tonno ecc.   Questo luogo si vede imitato, o per meglio dire stemperato dal Bocc. Itb. I. Fiam, Fù it grave la doglia del  €uore t quella aspettante, thè tutto il corpo dormente  ritrosie, e ruppe il forte sonno.   V. XI. Tanto che per ficcar lo viso al fondo.   Per invece di quantunque, ed opera graziosissimamence. Il senso è : Tanto che, quantunque io ficcassi lo     54 C A H F o   viso al fondo. Piglia ficcar la viltà per Guare gli occhi ;  maniera aliai biiiarra.   V. i5. r tarò primo, e tu sarai teconio.   Queite parole di Virgilio aono aliai chiare quanto alla  lettera; ma vuol fon' anche lignificare euer egli nato  il primo a entrar a deicriver l' Inferno, lì come fece  nel VI dell' Eneide, e Dante dover eiiere il lecondo.  A chi lia riuicito più felicemente queito viaggio, aitai  leggiermente ai può comprendere dal paragone.   V. 15 . Ed egli a me; V angoscia delle genti.   Che son quaggiù, nel viso mi dipinge  Quella pietà, che tu per tema tenti.   Spiega r effetto dell' impallidire per la lua cagione,  che è il compatimento de' mortali affanni de' peccatori :  forma di dire veramente poetica, anzi divina.   V. ai che tu per tema tenti.   Che tu interpreti per effetto di timore.   V. a3. Cosi ti mise, e coti mi fe' ‘ntrare   Ne! primo cerchio, che V abisso cigne.   Qui incominciamo a icender dal piano dell' atrio dell' Inferno, cavato lotto la volta della terra, dove abbiamo  veduto eiier puniti gli iciaurati, e corrervi il fiume Acheronte. Entran dunque nel primo cerchio, che è il Limbo.   V. a5. Quivi, secondo che per ascoltare,   Non uvea pianto, ma che di sospiri.   S* intende nel primo verto : Secomlo che ti potea  comprendere; cioè. Secondo che per l'udito ti potea quakto. ss   Mcrorre ; poiché gli occhi non icrvivano a ditccrnerlo,  mercé dell’ aria oicura, profonda, e nebuloia d' abliao.  Ma che vale eccetto, aalvo, fuorché, aolaniente, pid  che. Forae da magit quatti de* Latini; onde con tal particella vuol lignificare, che non v’ era maggior pianto  eh’ un leniplice lamentar di aoipiri, lecondo che l’anime  del Limbo non erano tormentate (dirò coli) nel corpo,  ma lolamente nell’ animo, per la privazione d’ Iddio.  Queito viene apiegato mirabilmente nel verio arguente a 8 .   E ciò avvenia di duol senza martiri.   V. 33 innanzi che più ondi.   Andi leconda peraona dell’indicativo preaente del verbo  Ando diauaato, dalla railice uiata andare. •   V. 34 e t' egli hanno mercedi.   Non basta, perch" e' non ebher batletmo;  Ch‘ e' porta della fede, che tu credi.   Qui mercedi lo iteaao che meriti; nè qurata è l’unica  volta, che Dante l’ ha preao in tal lignificato. Farad. Dunque, senza merci di /or costume,  iMcate son, per gradi diferenti.   Parla dell’ anime, che in quello, che tono create, h.mno  da Iddio, lenza lor merito o demerito, maggiore o minor dote di grazia. Chiama il batteaimo porta della Fede.  Coll vien chiamato da’ maeitrì in diviniti lanua Sacramentoruia,   V. 37. E s' e’ fuTon dinanzi al Cristianesmo,   Non adorar debitamente Iddio. Parla de* gentili innocenti» cbe furono avanti alla venuta di Cristo ; i quali » ancorché non peccaiiero, anzi  adorassero la Divinili, non Tadoraron debitamente, cioè  secondo il verace concetto, che si dee aver d* Iddio, e  secondo il legittimo culto prescritto dalla Legge mosaica;  ma lo riconobbero o nel Sole, o nella Luna, o nelle Statue, e sì Tadororono con riti profani ed abbominevoU.   V. 41 e soi di tatuo efesi.   Che senza speme vivemo in disio.   Vi •* intende siamo. Cioè, e soì di tento, o vero » e  sol io CIÒ siamo efesi.   Questa dice Virgilio esser la sola pena di quei del  Limbo, Ira* quali ha riposto sé ancora ; Aver vivo il  desiderio, e morta la speranza.   V. 47* per ooler esser certo   Di quella fede, che vince ogni errore.   Per aver un riscontro della verità della nostra fede.   V. 49. Uscinne mai alcuno, 0 per suo merto,   O per altrui, che poi foste beato ?   Credeva Dante ( che non v* é dubbio ) U liberazione  degli antichi Padri operata da Cristo nella sua resurrezione ; pure da eh* egli avea sì bell* occasione di chiarirsi del vero, e con ottimo fine d* armarsi contro qualunque titubaziooe gli potesse venire di così alto mistero,  non si potè tenere di domandar Virgilio, s* e* n* era  uscito mai alcuno. E notisi, com* egli dissimula bene il  suo animo : domanda prima di quel che sa, che non è,  e che nulla gl* importa il sapere, cioè s* e* n* uscì alcuno  per suo proprio merito, per farsi strada a domandar»     di quel, che gli preme aMaÌMÌmo Tesier fatto certo, lenza  che Virgilio potaa ombrarvi sopra od accorgersene.   V. Sa. Rispose : I* era nuovo in questo sfato,  Quando ci vidi venire un possente,   Con segno di vittoria incoronato.   Era di poco venuto Virgilio nel Limbo, quando ci  vide venir Cristo nostro Signore, che mori intorno a  quarantott* anni dopo la morte di esso Virgilio; il quale,  perocché si non conobbe Cristo, però non lo nomina.  Dice solo, eh* ci ci vide venire un possente incoronato  di palma. Possente dalle maraviglie, che gli vide ope«  rare in quel luogo, traendone sì gran novero d* anime,  ond* a ragione si persuadeva, quegli non poter esser  altri, che un grandissimo, e potentissimo principe.   V, 6o. £ con Rachele, per cui tafito fe\   Vuol dire del lungo servizio di XIV anni reso a Laban  padre della fanciulla, per averla in isposa.   V. 64. JVon lasciavam rondar, perch' e* dicessi.   Ancorch* e* favellasse, badavamo a ire. Lo stesso con«  cetto lì ritrova replicato al XXIV, v, i del Purgatorio,  ma con dicitura così bizzarra, che ben duuostra la ric«  chezza della gran mente del poeta.   . Nè 7 dir l'andar, nè l'andar lui più lento  Ratea { ma ragionando andavam forte*   V. 66. La selva dico di spiriti spessi.   Qui selva per moltitudine : metafora assai f<untgliare  Dante. Così nel piiiuo di questa cantica selva chiamò   6     S8 Canto   gli errori giovanili, per entro la quale dice etieni egli  amarrito, e più apertamente nella »opraccitata apoiizione  della canzone :   Le dolci Time d amor, eh' io eolia,   dice amarrirviii l’uomo all' entrare della tua adolezcenza.  Ancora nel primo libro, cap. XV della tua Volgare  Eloquenza, rispetto ai diversi idiomi, che si parlavano  allora in Italia, chiama quell’ opera Italica telva; e selva  finalmente chiama in primo luogo una moltitudine di  spiriti. Così abbiamo nelle scritture : Secar decurtus aquarum plantauU dominus uineam iuttorum. Qui molto giudiziosamente, trattandosi d'anime dannate, piglia la metafora  più ruvida di «/va. della quale, avvegnaché si sia servito  ancora S. Bernardo, è tuttavia da notare una doppia  limitazione. La prima, eh’ egli parla in quel luogo delle  anime, o più verisimilmenle delle diverse adunanze de’  nuovi cristiani, non già di quelli della circoncisione, i  quali erano toccati a S. Pietro, ma di quelli venuti corì  nudi e crudi dal paganesimo, onde oltre T esser forse  tutti per ancora e male istruiti nella fede, e peggio  riformati ne’ costumi, ve ne potevano esser molò de’ reprobi. La seconda, che in questo luogo selva è propriamente metafora di metafora, non pigliando il santo  per piante di questa selva le anime a dirittura, ma più  tosto le varie adunanze delle anime, velate prima tali  adunanze sotto l’altra metafora di vigne, per viti delle  quali vengono a intendersi le anime particolari, e di  ciascheduna di queste vigne cosi numerose ne forma,  per dir cosi, le piante d’una vastissima selva, che è la  metafora secondaria, come si vede manifestamente dalle  seguenti parole, che sono poco dopo il mezzo del sermone XXX su U Cantica ; Merito et Paulo inter gentet  tam ingens tylua eredita ett uinearum. Anclir appresso  gli Arabi si trova usata la stessa figura, come si può  vedere da quest* esempio d' Harireo Basrense nel suo   primo • Le sue parole sono le seguenti :   dLJLsNwc   jivervio io dunque penetrato nelt interna densissima teha  per saper la cagione di quei pianti. Nè altro intende per  sehat che una grandusima calca di gente, che s'affollava  d'intorno a un ceno romito per udirlo predicare.   V« 67. Non era lungi ancor la nostra via   Di qua dal sommo; quancT 1 vidi un foco,  CK ejairpm'o di tenebre vincia.   Credo, eh’ ei chiami sommo l'erta, per la quale d«l  piano di sopra, dove corre Acheronte, erano calati nel  Limbo; e credo, eh' ei voglia dire, ch'egli erano caiuminati ancor poco per la pianura di esso, quando ei  vide un fuoco, che illuminava un emisferio di tenebre.  Questo fuoco non si rinviene molto chiaraiuente, dov'egli  fosse, e come ei si stesse; nè i commentatori si fermano  troppo a esplicarlo. Pure dal chiaiuarlo col nome di lumiera, e dal lume, eh* aveva a rendere non meno fuori  che dentro alle mura de) castello, m'induco volentieri a  credere, eh* ella fosse una (ìsunnia librata in alto nell* aria,  come vergiamo alle volte alcune meteore di fuoco, le  quali durano a vedersi nello stesso luogo, inhn tanto  che dura la lor materia a ardere, e prestar alimento alla      bo C A K T O   6(unina, pfT cui •! rcndon vi«ibili. Nè è da star attaccato  alla fona delle parole, dicendo, che, te quetto fuoco  illuacrava un eniieferio di tenebre, bitognava, eh’ ei fotte  in terra, poiché alando in aria veniva ad lUuttrare una  porzione maggiore della mezza tfera: poiché Dante in  quetto luogo debbe intenderti come poeta, e non come  geometra; né è veritimile, eh’ ei pigli itte allora le tette  per miturare il giro dell’ aria illuminata.   V. 73. O tu, eh' onori tee.   Parole di Dante a VIRGILIO.   V, y(j V onrata nominanza >   Che di ior suona sii ne la tua vita,  Grazia acquista nel ciel, che gli avanza.   La fama e ’l pregio, che riman di loro nella tua vita,  cioè nella vita mortale, la qual tu godi ancora, o Dante,  impetra loro quetta grazia dal Cielo.   V. 81. L’ombra sua torna, eh' era dipartita.   Partitti allora dal Limbo Virgilio, quando a’ preghi  di Beatrice andò a trovar Dante nella telva oteura.   V. 84. Sembianza avean né trista, né lieta;  e però conlacevole al loro alato nè di gioja, nè di  tormento.   V. 91. Peroeehb eiaseun mero si eonviene   Nel nome, ehe sonò la voee sola;  Tannami onore, e di ciò fanno bene.   Mi fanno onore, e fanno bene a farmelo ; perchè a  tutt’ e quattro ti conviene il nome, che la voce d’ un •olo diede a me» cio^ in quello di pòeta. In «ustanza:  fanno bene a onorarmi, perchè siamo tutti poeti, e f onore, che è fatto ad uno, toma sopra tutti.   Y. 94. Cast vidi adunar la bella scuola   Di quel signor dell’ altissimo canto,   D' Omero, dal quale hanno cavato tanto i poeti, e  in particolare i quattr(\ posti qui da Dante.   V. 9y. Da eh’ ehber ragionato insieme alquanto,  Volsersi a me con salutevol cenno :   £ ’l mio maestro sorrise di tanto.   Qui non accade strologar molto quello, che Virgilio  a costoro dicesse, vedendosi manifestamente ( tanto è  artifizioso questo terzetto), eh' egli li ragguagliò dell* esser  di Dante, del suo poetico spirito, e della sua profondissima scienza- Ciò si discuopre dalla cortesia del saluto,  eh* essi gli fecero, e dal sorrider, che ne fece Virgilio ;  poiché quel sorrise di tanto altro sicuramente non vuol  signiBcare, che di questo, cioè di tcmto che fu fatto.  Nè quei grandissimi spiriti si sarebbero mossi a far tanto  di onore a Dante, se da Virgilio non ne fosse loro stata  fatta un* assai onorevol testimonianza, della quale essendo  frutto il cenno salutevole, esso ne sorride per compiacenza  di vedere, quanto fossero «tate autorevoli le sue parole.   V. ICO. E più d’onore assai ancor mi fenno ;   C/f ei si mi fecer della loro schiera,   St eh’ V fui sesto tra cotanto senno.   Cosi n andammo insino alla lumiera,  Parlando cose, che ’l tacere è bello,   Si co/u era' i parlar, colà dop’ era.     6j Cauto   A chi noD aTCMC ancora Bnito d’ intendere quel, che  VIRGILIO ditcorreHe con Omero, e con gli altri tre,  Dante con questi tenerti finiace di dichiararlo, volendoci  in austanza dire, che da quello, che diaae di ane lodi  Virgilio, fu di comun conaentiuiento giudicato degno  d' eaaer nirsao nella prima riga, e ai annoverato tra' maggiori poeti, eh* abbia avuto il mondo. Più dilhcile iin.  presa stimo, che sia I' indovinare quello, eh’ e’ discorressero in sesto, poiché Dante si fu accoppiato con esso  loro, non aprendosi egli ad altro, se non di' e' parlaron  cose, delle quali A bello il tacere, com' era bello il  parlare colà, dov' egli era. I commentatori hanno avuto  in tal veocrazione quest' arcano, eh' e' non si son pur  anche ardili e spiarlo con l' immaginazione. A me quadra  molto un pensiero sovvenuto al sottibssimo ingegno del  Rifiorito. Stima egli, che tutto il discorso fosse in lodar  Dante, e perchA mostra, che ancor egli favellasse, mentre dice, v. io3.   andammo infino alla lumiera.   Parlando cose, che ‘l tacer è hello.   Il suo parlare non fu per avventura altro, che recitare  qualcuna delle sue canzoni, secondo che da que' poeti  ( siccome s' usa per atto di gentilezza ) ne fu richiesto.  E ciò non solamente torna bene al costume, ma ( che  più si dee attendere ) al sentimento de' versi ; essendo  verissimo, che orala modestia fa diventar bello il tacere  quello, che allora bellissimo era a parlare.   V. Ila. Centi v' eran, con occhi tardi e gravi,   Di grand' autorità ne’ lor sembianti :  Parlttvan rado, e con voci soavi. Quello tertetto paò lerrir di norma a qualunque pi>  glia, deicrtvendo, a rappreiencare il coitnme di gran  perionaggio.   V. il5. Traemmoei co/l dalF un de' canti   In luogo aperto, luminoso, ed alto ;   Si che veder si potén tutti quotili.   Dal dire, eh' e' li trauero da un canto del caatello,  ai convince manifeicamente, eh' ei non era murato a  tondo, come alcuni si persuadono, e fra gli altri il Vellutello : tanto pid eh' e' non si può nè anche dire, che  il castello era tondo bensì, ma che v' erano diverse  piazze o strade, le quali venivano a formar degli angolii  poiché non pare, che Dante figuri questo castello per  altro, che per un dilettevol prato intorniato di mura ; e  s' ei potè mettersi in luogo da poter veder tutti quanti,  chiara cosa è, eh' e' non vi doveva essere impedimento  di mura, o di case, o d'altri edifizj. A tal che questo  canto, dond' e' si trassero Dante e Virgilio, mostra, che  la pianu delle mura non dovea esser circolare. Molto  meno è veriiimile, eh' elleno abbracciaiser il foro della  valle, come è opinione cfalcuni, i quali si lon falsamente  immaginati, che tutto il piano dello scaglione del Limbo  fosse diviso, come in due armille concentriche, una esterna e maggiore, dove non arrivasse il lustro della lumiera,  e quivi stessero l' anime degl' innocenti morti senza battesimo sospirando continuameote, onde dice, v. a6.   ffon avea pianto, ma che di sospiri,   Che laura eterna facevan tremare.   minore l'altra ed interna, ed illustrata dalla lumiera, è  questa facesse prato al castello de' Savj e degli Eroi. £     64 Canto   invrrUimile I dico, tal optDÌone. Prima, perchè in pro>  porzione dell* altr* anime del Limbo y piccolisaimo è U  numero di quelle* che sono ammesse per tspecialissima  grazia dentro al delizioso castello ; per lo che* rimanendo  loro un luogo sì vasto, vi sarebbero seminate più rade  che per un deserto. Secondo* perchè in qualunque luogo  del prato si fosser tratti Dante e VIRGILIO posto die nel  centro non potessero starvi per essere sfondato * e terminar ivi la sboccatura del secondo cerchio * sarebbe  •tato impossibile discemer tutti quanti* a non supporre*  eh* e* sì fosser ridotti tutti in un mucchio vicino all* entrata * perchè da distanza assai minore, che non è quella  del solo semidiametro di questo prato * a farlo cale * qual  se lo figurano costoro, si smarrisce di vista un uomo dì  statura ordinaria. Direi dunque * che il castello fosse da  una porle del piano o pavimento del Limbo * e che per  avventura nè meno arrivasse con le mura in su la sboccatura del secondo cerchio- E che sia *1 vero* usciti  eh* e’ ne furono*, dice Dante, eh* e* tornarono nelf aura*  che trema* cioè in quella, dove sospirano i padani innocenti, che l'aura eterna farevan tremare. Che se per  lo contrario il castrilo fosse stato abbracciato dall* armilla  esteriore* per discender nel secondo cerchio, non occorreva, eh’ c* ritornassero in quella, dove l’aria tremava. Kè vale il dire* che per aria tremante si può intender anche l'aria del secondo cerchio; perchè la sua  agitazione (si come vedremo nel seguente canto) era  altro che un semplice tremare, dicendo il poeta di questo  cerchio, v. a8.   J* venni in lungo <t ogni luce muto,   Che mugghiai come fa mar per tempesta,   S" e* da contrari venti è combattuto.    Ecco dunque, che il catCello era tutto dentro all* orlo  del Limbo io su la mano, tu la qual camminavano : e  torna ottimamente allo scemarti la sesta compagnia in  due, essendo Omero, Orazio, Ovidio e Lucano rimasti  dentro al castello, e Dante e Virgilio essendone usciti  o per altra porta, o per la medesima, ood* erano entrati, ma voltando all* altra mano, e incamminandosi per  altra via da quella, ond' erano venuti. Così si condussero, dov' era il passo per discendere nel secondo cerchio ; si come vedremo nel canto seguente. >eccato, che ii punisce in questo secondo cerchio,  è la lussuria, come il più compatibile all' umana fragilità,  c per avventura il meno grave. Fmge il poeta di trovare al primo ingresso Flinos giudicante 1' anime. Di poi  passa più oltre, e vede la pena de' peccatori carnali,  la qual dice essere un furiosissimo, e perpetuo nodo di  vento, il qual rapisce, e porta seco voltolando in giro  queir anime. Virgilio gliene dà a conoscere alcune, che  erano già state al suo tempo, ma di Francesca da Ravenna intende dalla sua propria bocca la cagione della  sua morte, e insieme di quella di Paolo suo cognato,  con r ombra del quale si raggirava per 1' aria del secondo cerchio. Cori discesi del cerchio primajo   Giù nel secondo, che men luogo cinghia,  E Scatto più dolor, che pugne a guajo. Discesi ; Io Dante diacesi. Men luogo cinghia ; si dimostra peripatetico f ponendo il luogo, distinto dall* esteiH  sione della cosa locata. Quindi è, eh* ei dice il pavimento del secondo cerchio cignere, abbracciare, occupar  minor luogo, in sostanza girar meno del primo, secondo  che per lo digradar della valle gii\ verso il centro si  discendeva. Così veggiamo ne* teatri dalla lor sommità i  gradi infmo all' iullmo venire, successivamente ordinati,  sempre risirignendo il cerchio loro. C ben vero, che  quanto meno luogo cinghia, contiene in sè altrettanto  più di dolore, che non fa il primo. Poiché, dove quello  per esser solo dolor della mente, svapora in sospiri,  questo, che alFligge il senso, pugne a guajo, cioè arriva  a trar guai, pianti e lamenti dolorosissimi.   Y. 4. 5 rauvs Afinos orriòilMente « e ringhia.   Qui orribilmente ha forza di esprimere P orrida residenza, il tribunale formidabile, la fiera accompagnatura  de* ministri, e forse il ferocissimo aspetto dell* infernal  giudice. Bocc. Fdoc. Kb. 6, 42. Quivi ancora si veggono  tutti i nostri Iddìi onorevolissimamente sopr ogn altra  figura posti. Dove notisi, che per 1 * avverbio onorevolis^  simamenie ci dà ad intendere la preminenza del luogo,  quanto la ricchezza degli ornamenti sacri, ed ogni altra  nobile accompagnatura pertinente al culto degli Dii suddetti. Ringhia: accresce lo spavento, dicendosi il ringhiare  de* cani, quando irritati, digrignando i denti « e quasi  brontolando, mostrano di voler mordere.   V. 6. Giudica, e manda, secondo eh* awvinghia.   Qui avvinghiare per cignere. Ciò che Ninos ai cigneise, viene spiegato appresso. Vede qu«l luogo Inferno è da essa.   Da in luogo di Per, ed esprime attitudine, proprietà,  c convenevolezza. Cioè qual luogo d'infemoèprr essa,  o vero convenevole ad essa. Veggasi di ciò il Cinonio.   V. li. Cignesi con la coda tante volte ^   Quantunque gradi vuol ^ rAe sia messa.   Conosce il poeta T obbligo, ch'egli ha d* uscire il piti  eh* ci può dall’ ordinario, rispetto al luogo, e a* personaggi, eh’ egli ha alle mani. Quindi va trovando maniere  strane ed inusitate di significare ì loro concetti ; come  in questo luogo fa, che Minos si cinga tante volte la  coda, quanti gradi hanno a collocarsi gid 1 * anime condannate. Quantunque per quanto, nome indeclinabile.  Bocc. introd. n. i. Quantunque volte, graziosissime donne ^  meco pensando riguardo ecc.   V. i3. Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:   Vanno ^ a vicenda y ciascun al giudizio:  Dicono, e odono, e poi son giù volte.   In questi tre versi è compresa un* esattissima e pun>  tualissima forma di giudizio.   V. a3. Vuoisi cosi colà » dove si puote   Ciò che si vuole ; e più non dimandare.   Le stesse parole per appunto furono usate da Virgilio  a Caronte nel canto terze, v. 9 S.   V. a 8 . t venni in luogo d* ogni luce muto.   Notisi, come stando sempre su la medesima bizzarra  traslazione d* attribuire il proprio della voce al proprio  della vista, va continuameDte crescendo» Nella selva,     ~e Casto   dove r oicurit.\ e T ombra erano accidentali per l' impedimento de' rami e delle foglie, diwe aolamcnte tacerai  la luce, V. 6o.   Mi ripigneva là, dove 'I sol tace.   Nell* atrio dell' Inferno dà al lume aggiunto di JSoco, accennando io tal guiaa, non eaier ciò per accidente > tua  per natura ; cauto HI, v. 75.   Com’ io discerno per lo fioco lume.   Qui finalmente, dove a' ò innoltrato nel profondo della  valle, muto lo chiama; e vuol denotare, che le tenebre  di queato cerchio non aono accidentali, nè a tempo,  nè aaaottigliate da qualche apruzaolo di languidiaaima luce,  ma apeaae, folte, oatiuate, ed eterne.   V. 3l. Za bufera infernal, che mai non retta.  Mena gli spirti con la tua rapina:  Voltando, e percuotendo gli moietta.   Il Buti definiace eoa! : Bufera è aggiramento di venti,  lo qual finge l’ autore, che sempre sia nel secondo cerchio  dell" Inferno. A chi pareaac queata voce o poco nobile,  o troppo atrana, ricordiai, che ai parla d' un vento infernale, e che merita maggior lode il cercar la forza  dell' eapreaaione, che 1' ornamento delle parole ; ed è  queata una pittura, che non richiede vaghezza di colorito, ma forza; e tanto piti è bella, quanto è meno  liaciata ; estendo il naturale coti risentito, che non può  bene imitarsi, te non è fatto di colpi, e ricacciato gagliardo di sbattimenti. Questa bufera adunque leva e  mena gli spiriti con due movimenti. Con uno gli aggira  secondo il corto della tua corrente, che va turno torno al cerchio ; con F altro ( e ciò fallo con la sua rapina,  cioè col tuo grandissimo impeto ) li va voltolando in  lor medesimi. Cosi veggiamo la pillotta e '1 pallone, i  quali, se vengono spinti lentamente per Taria, son portati con un solo moto ^ che è secondo la linea della direzione del lor viaggio, ma dove urtino in muro, od  in legno, osi, cadendo in terra, ribalzino mcontanente,  ne concepiscono un altro, Bglio di quel novello impeto,  che gli aggira intorno ai proprio asse.   V. 34. Quando giungon dinanzi alla mina ;   Qmvi le strida t il compianto t e*l lamento'.   Bestemmian quivi la virtù divina.   Qual sia questa rovina, i commentatori non lo dicono,  o se lo dicono, io confesso di non intendere quello che  dicono. Crederei, che per rovina intendesse T autore il  dirupamento della sponda, giù per la quale egli era venuto ; e che questa fosse la foce, d' onde metteise il  vento, il quale foue cagione di maggiore sbatiimento a  quelle pover* anime, che vi passavano davanti. A similitudine d* un legno o d'altro corpo, cui la corrente d'un  fiume ne meni a galla, il quale, se s* abbatte a passare,  dove sbocca un torrente, o altra acqua, che caschi con  impeto da grand'altezza, questa se se lo coglie sotto ^  lo tuffa e rìtufia per molte fiate, e in qua e in lè con  mille avvolgimenti T aggira, e strabalza, in fin tanto  eh' ei non è uscito di quella dirittura, e non ha ritrovato il filo della nuova corrente. Di dove, e come possa  quivi nascer questo vento, vedremo allora, che si dirà  della fiumana dell' eterno pianto, di cui nel canto seeondo mi rìserbai a discorrere in altro luogo. E (ome gli stornei ne portan F ali   Nel freddo tempo a schiera larga e piena ;  Così quel fiato gli spiriti mali.   Brllisùma iimiUtudlne, e cavata ( «ì come la «cgitcnte  poco appretto delle gru) con finitsimo accorgimento da  animali tenuti in niun pregio, e per ogni conto vilittimi.   V. 43. Di qua, di là, di giù, di tu gli mena :  Nulla speranza gli conforta mai  Non che di posa, ma di minor pena.   Eipretiione felicistima ed inarrivabile di quel tormento,  e che vince quati il vedere ttetto degli occhi.   V. 48. Cori viiF io venir, traendo guai,   Ombre portate dalla detta briga.   Qui briga vai lo ttetto che noja, fattidio, travaglio;  e briga preto nello ttetto significato d’ agitamento di  venti. Farad, can. Vili, v. 67.   £ la bella Trinacria, che caliga   Tra Pachimo e Petoro sopra '/ golfo,   Che riceve da Euro maggior briga.   cioè sopra ’l golfo, eh’ è più battuto dallo scirocco.   V. Si. Genti, che faer nero ri gastiga^  Corrisponde al detto di sopra, v. 18.   I' venni in luogo iT ogni luce muto.   E cerumente la pena de’ carnali è pena data loro dall’ aria,  poiché l’aria col solo agitarsi si li tormenta.   V. 54. Pu Imperadrice di motte favelle.   Ebbe imperio sopra nazioni, che parlavano diversi  idiomi. Modo usato altre volte da Dante : distinguere, o  denotare i paeii dalle lingue, che vi ai parlano. Infer.  cant. XXXIII, V. 79.   Ahi Pila, vituperio delle genti   Del bel patte là, dove 'I ri tuona.   V. 55 . A vizio di Lutturia fu ri rotta.   Che ’l libito fe' licito in tua legge,   Per torre ’l biatmo, in che era eondoita.   Aaaai è nota la legge della diioneatà promulgata da  Semiramide, per cui ella penaò di aottrarai all' infamia  de’ suoi vituperj.   A vizio di Lutturia fu ri rotta.   Forma di dire assai singolare.   V. 60. Tenne la terra, che ’l Soldan corregge.   Dice il Daniello, che Dante in questo luogo piglia  un equivoco ; e che abbia voluto dire, Semiramide aver  regnato in Egitto, ingannato dal nome di Babilonia, con  cui nel suo tempo chiamavasi volgarmente il Cairo, allora  signoreggiato dal snidano, non rinvenendosi dell' altra  Babilonia fabbricata da Semiramide nell’ Astiria. Di questo  errore pretende scusarlo con fargli nome di licenza lecita  a pigliarsi da' poeti grandi, tra' quali gli dà per compagno Virgilio in un certo patto, non so già quanto a proposito, e con quanta ragione. Se io avesti a esaminarmi  per la verità dell' intenzione, che io credo, che abbia  avuto Dante ; direi forte ancor io, come il Daniello :  tanto più che in que' tempi non ti aveva coti esatta notizia della geografia, che sia sacrilegio l'ammettere, che  un poeta anche grandissimo abbia preso un equivoco intorno a una città, nella quale era facilittimo l’equivocare,   6     74 Cauto   intrndendoii allora comuneniente per Babilonia quella  d'Egitto; ticcome oggi per Lione templicemente ('intenderebbe sempre quello di Francia, e per Vienna quella  di Germania; e quanto a questo, che Babilonia vi fosse  in Egitto, e che fosse la stessa, che dagli Europei si  chiama oggi il Cairo, l' afferma Ortelio. Boccaccio nel Decamerone, di tre volte, che nomina  il Soldaoo, intende sempre quello d' Egitto ; e Dante  stesso nell' XI del Farad., t. loo.   E poi cht per la sete del martiro  Alla presenza del Soldan superba,   Predici) Cristo, e gli altri, che 7 seguirò.   Farla di S. Francesco, il quale i certo, che parla del  Soldano d' Egitto, e non di quello di Bagadet. Il Fetrarca dice anch' egli nel Sonetto; L'avara Babilonia ecc.  non so che di Soldano. 1 commenti l' intendono per quel  d' Egitto ; e il Gesualdo, se non erro, lo cava da una  sua epistola, nella quale fa menzione delle due Babilonie, d' Egitto e d' Assiria.   Ma chi volesse anche sostenere, che Dante non abbia  errato, potrebbe farlo con dire, che per Soldano intese  quegli stesso, che nel suo tempo signoreggiava la vera  Babilonia di Semiramide, essendo la voce Soldano nome  di dignità, e perciò convenevole ad ogni principe; e da  Cedreno si raccoglie essere stata comune ancora ai Coliifi di Soria, particolarmente dove parla di uno di essi,  che ebbe guerra con Alessio Comneno. Siccome e converso il Soldano d' Egitto aveva titolo di Cohffa, prima  che dal Saladino fosse unito l'un, e l'altro titolo insieme,  quando egli di semplice Sultano, eh' egli era, diventò  Fun e l'altro, avendo ucciso il ColilTa nell' andar a pigliar da lui lecoudo il lolito l' ioicgne di Soldano. Fu anche  Soldano titolo d' ufTizio coinè ai cava da quoto luogo  del Ponti 6 cale romano citato dal Meunio ; Circa Pontifiiem, aliquando ante, aliquando poit, equilabat Mareicallus, siile Soldanus Curiae.   lila per vedere adeiao, con quanta poca ragione il  Daniello tacci Virgilio d’un timigliante equivoco, laiciaio  di riapondere a quello eh’ ei dice, che egli nel Sileno  confondeaae la favola d* lai e di Filomena, e nel terzo  della Georgica acambiaaae Caatore da Polluce, nel che  vien Virgilio difeao molto giudiziosamente dalla Cerda,  vediamo il terzo equivoco notato dal aoprammentovato  apositore di Dante ne’ seguenti versi dell' Egloga del  Sileno, T. 74 .   Quid loquar? aut tcyllam Nisi? aut quamfama secuta est.  Candida surtinctam latrantihus inguina monstris,  DutUhias ue rosse rales, et gurgite in allo,   Ah, timidos nautas canibus lacerasse marinis ? Qui dice il Daniello, senza allegarne alcuna ragione,  che Virgilio equivoca da Scilla hgliuola di Forco e  d'Ecate, o, cum’ altri vogliono, di Creteide, a quella  figliuola di Niso re di Megara. Io credo però di ritrovarla, e dubito che si possa dir del Daniello nella sposizione di questo luogo di Virgilio, quello che di Virgilio  disse il Berni nell' imitazione di cpiell’ altro d’ Omero;   Perch’ e' m hem detto, che Virgilio ha preso  Un granciporro in quel verso d Omero,   Chi egli, con reverenza, non ha inteso.   Noteremo dunque di passaggio, come bisogna, che  quest’ autore si sia cieduto, che Virgilio parli d’ una loU Scilla, e che a queita attribuendo i moitri marini, e  r ingordigia degli altrui naufragi, liaii dato ad intendere,  eh' egli abbia voluto dire di quella di Forco 1 ond* egli  nota r equivoco in quelle parole :   Quid loquar ? aux tcyllam Nisi ?   Sapendo, che Scilla figliuola di Niao fu cangiata in uccello, e fu, come altri vogliono, appiccata alla prora  della nave dell’ amato Minoi) e finalmente gettata in  mare, e non mai trasformata, come quella di Forco, in  moitro marino. Ma la verità ai à, che Virgilio intese di  parlare dell' una e dell' altra Scilla; e, toccando di passaggio quella di Niso, si ferma a discorrer più diffusamente dell' altra di Forco, come dalla lettura del luogo  è assai facile a comprendere ; ma forse il Daniello non  s’ avvide di questo passaggio, e trovandosi inaspettatamente nella favola di Scilla di Forco, la credette vestita  a quella di Niso, equivocando egli medesimo nell' equivoco immaginato di Virgilio.   V. 61. L'altra è colei, che e’ aneUe amorosa,   E ruppe fede al centr di Sicheo.   Didone, seguendo in ciò anch' egli 1 ' orribile anacronismo, ed accreditando T infame calunnia d' impudiciaia  datale da VirgUio. Eneide IV, v. SSa.   IVon servata fides eineri promissa SUhaeo.   V. 64. Siena vidi, per cui tanto reo  Tempo ti volse. Tocca di passaggio, e con maniera nobilissima la guerra  de’ Greci, e l' ultime calamità de’ Trojani, CK amar di nostra vita dipartille.   Della morte delle quali fu cagione Amore illecitOi   V. 7». i' cominciai; Poeta, volentieri   Parlerei a que‘ duo, che ’nsieme vanno, E pajon st al vento esser leggieri. Gli accoppia ioaieme, perchè iniieme avevano peccata.  S’accorae, ch’egli erano leggieri al vento, dalla facUitè,  anzi dalla furia, con la quale il vento li portava; e  ciò molto convenientemente, atteao il loro gravitaimo  peccato, eaaendo atati per affinità al atrettamente congiunti, come più abbaaao udiremo. Per quell' amor, eh' ei mena, t quei verratmo.   Per quell' amore, eh' e' ai portarono, il qual fu cagione di queato loro eterno infelice viaggio. Efficaciaaima  preghiera, e convenientiaaima a due amanti, acongiurarli  per lo acambievole amore.   Y. 80 O anime afannate.   Aggiunto di mirabil proprietà, e aenza dubbio il più  proprio, che dar mai ai poaaa ad anime tormentate da  ai latta pena. Quali colombe dal disio chiamale   Con f ali aperte e ferme al dolce nido  Volan per F aere dal voler portale.   Grazioiiaaima aimilitudine, e piena di tenero e compaaaionevole affetto. Nè traendola Dante da coti gentili  animali, quali anno le colombe, vien a intaccar punto  della lode, che le gli dette poc’ anzi, per aver paragonato gli apiriti di queito cerchio agli atomelli e alle  Cauto   gru, 1’ una e l’altra ignobile «pezie d'uccelli, poicliè in  ciueato luogo ha maggior obbligo di far calzar la similitudine all' andar di compagnia, che facevano i due amanti,  il che ottimamente si ha dalla comparazione delle colombe, che ad avvilire con un paragone ignobile quegli  spiriti in generale, come fece da principio. Del resto gli  ultimi due versi di questo terzetto posson aver due sentimenti, l’un e l’altro bello. Il primo è: Con Vali aperte  * ferme al dolce nido volan per Vaere, cioè volan per  l’aere con l’ali aperte o ferme, cioè diritte al dolce nido;  o vero volano al dolce nido con l’ali aperte e ferme,  descrivendo in cotal guisa il volo delle colombe, quando  con l'ali tese volano velocissimamenie senza punto dibatterle, e in questa maniera di volare par che si ratbgiiri un certo non so che pid di voglia e di desiderio  di giugnere. O animai graziosa e benigno,   Che visitando vai per V aer perso  Noi, che tignemmo'l mondo di sanguigno.   Ninna cosa odono o parlano pid volontieri gli annuiti  che del loro amore. Quindi è, che quest’ anima chiama  Dante grazioso e benigno per atto di gentilezza usatole  in darle campo, raccontando i suoi avvenimenti, di dar  alquanto di sfogo al dolore. Per V aer perso. Il perso è  un colore oscuro, di cui lo stesso Dante nel suo Convivio sopra la canzone Le dolci rime ecc. dice esser composto di rosso e di nero, ma che vince il nero ; e Inf.  caut, VII, V. io3.   L' acqua era buja molto più, che persa.  Noi che lignemmo il mondo di ttmguigno.   Scherza in la contrarietà di queiti due colori ; Fai  visitando per F aria di color perso noi, che, per eaiere  arati ucciai in pena del noatro Callo, tignemsno il mondo  di color di aangue.   V. 94. Uh Jttel, che udire, e che parlar ti picKe :  Noi udiremo, e parleremo a vui.   Non ì gran coaa (dice aaaai giudiiioaamente il Landino),  che coatei a’ indovinaaae di quello, che Dante deaiderava d' udire. Una, perché di niun' altra coaa, fuori  che de’ auoi avrenimenti, potea ragioneTolmente credere, eh* egli aveaae curioaità di domandarla ; 1' altra,  perché il coatume degli amanti é creder, che tutti abbiano quella voglia, che hanno eaai d' udire e parlare  de’ loro amori, tanto che aenza forai molto pregare non  fanno careatla di raccontarli anche a chi non ai cura  aiperli. Che riapondeaae la donna pid tosto che l’ uomo,  ciò é molto adattato al coatume della loro loquacità e  leggerezza.   V. 96. Mentre che ’/ vento, come fa, si tace.   n ripoaarai del vento non é coaa impropria, anzi é  accidente confacevole alla natura di quello, dimoitrandoci r eaperienza, che egli non aoffia con aibilo continuato, al come corrono i fiumi, ma a volta a volta  ricorre, come fanno Tonde marine. Oltre che non aarebbe inveriaimile il dire, eh’ ei ai fermaaae per divina  diapoaizione, acciocché Dante potesse ammaestrarsi nella  considerazione di quelle pene, e riportar frutto dal suo  prodigioso viaggio. Per questa ragione vediamo nel canto  IX spedito un angelo a fargli spalancar le porte della Canto   cittì di Dite, e altrove molt’ altre graxie tingolariuime,  le quali la bontà divina gli concedè, per condurlo finaluiente alla contemplazione della aua euenza.   V. 97. Siede la terra, dove nata fui,   Su la marina, dove ‘I Pò diicende  Per aver pace co' teguaci tui.   Bavenna ; poco lontano dalla quale il Po inette nelr Adriatico. Discende per aver pace co’ sui seguaci. Maniera veramente poetica. Dicono alcuni, per aver pace,  cioè per trovar pace in mare della guerra, ch'egli ha  nel auo letto da' fiumi tuoi teguaci ; perocché, fecondo  che quelli tgorgano in lui, lo conturbano e P agitano,  onde ti può dire, che gli facciano guerra. Ma te Dante  volette ttar tu l’allegoria di quella guerra, non li chiamerebbe legnaci ; poiché, fintante che uno è teguace  d’ un altro, non gli fa guerra, e, facendogli guerra, non  |i può chiamar più teguace. Diremo dunque, eh' ei voglia dire, che il Po co' tuoi teguaci diiceode in mare  per ripoiare dal lungo corto, eh' ei fa, per giugnervi,  a fine di unirai come parte al tuo tutto, eitendo queita  unione la lola pace, alla quale tutte le creature tono  d.a inviiibil mano guidate. Veduto della patria, è ora  da vedere chi folte coitei, che favella con Dante; per  Io che è da taperii, che quetta è Francetea figliuola di  Guido da Polenta tignor di Ravenna ; la quale, eitendo  ttata dal padre mariuta a Lanciotto figliuolo di Malatctta  da Rimici, uomo valoroto in vero, e nella teienza e  inaeitria dell’ armi eiercitatittimo, ma zoppo e deforme  d' atpetto troppo più che ad appajar la grazia e la delicatezza di conci non era convenevole, fu cagione, che  ella t' invaghiate di Paolo tuo cognato, il quale non meno grazioio, e arvenente del corpo, che leggiadro  dell’ animo e de' coatumi, del di lei amore ferventiiiimamence era preao4 Ora arvenne che, mentre, tcambievolmence amandosi, in gran piacere e tranquillità si  Tiveano, indistintamente usando, appostati un giorno  da Lanciotto, furono da esso colti sul fatto, e d'un sol  colpo uccisi miseramente. VICO. jimor, eh’ al cor gejuU ratto s' apprende.  Prete costui della bella persona,   Che mi fu tolta, e '/ modo ancor m' offende. Platone nel Convivio, tra le lodi, che dà Agatone ad  Amore, dice eh’ egli i ancora delicatissimo, argumentandolo da questo, eh’ egli i ancor più tenero e gentile della  Dea Ati, cioè della calamità, la quale esser mollissima  a delicatissima / argomentò Omero dal vedere, che ella,  schifando di toccar co’ piè terra, si tiene per t ordinario  in tu le lette degli uomini. Iliad.Tvt pio 9 * ateahol sróStc iv fàp in' ovSit  nlAra^as, <2 A A’ apa f/j'S xai^ óvfpóv xpoara fiaùani.   Ma amore non solamente non mette mai piede in terra, o  in tu le teste, le quali, a dire il vero, non sono molto  toffei, ma di tutto V uomo la parte più gentile calpesta,  e sceglie per tua abitazione. Negli animi dunque, e ne’  temperamenti degli uomini, e degli Dii pone il tuo trono  Amore ; nè ciò fa egli alla cieca, e senza veruna distinzione in ogni sorta <t animo la sua tede locando, ma  quelli solamente, che in fra tutti gli altri p'ut gentili  tono, e pieghevoli con delicatissimo gusto va ritcegliendo.   suStò 9 fizaiipii(;ipfits 6 pi^a tixpiipiusnpi *Epura  Xtc araAòc óv qdp iirì TÙt fiaivit, ovff tiri npavietr. 8a Cahto   ( S, larn iravv fiaX«ut<i) cy roif fMi^xararoig  TS* S*T»T> KoÀ fiaivti Koì oisut' iw )'àf> v6$at KOÌ  XM àiiUpixfn rhf Sixqffiv iSpvxau,’  »ai oò» av f{>7( ir xóacui rati dXÀ,’ ^ riti   iv vKXtipòv vio( i;^ot<rv >* ’^XP dxtp^^iToi' ^ 9’ àt  ftoAouiùy, oÌKÌ(ixcu.   £'l Petrarca nel toaetto : Come't ccmdido piiecc., ricavando con maniera più morbida lo ateaao originale, fini  di copiarlo anche nella parte tralasciata da Dante, che  rijguarda 1' avversione, che Amore ha ordinariamente  agli animi rosai e dori, dicendo :   Amor, che tolo i cuor leggiadri invesca,   Nè cura di mostrar sua forza altrove. E nella canaone; Amor, se vuoi, eh' io tomi ecc., parlando con Amore, tocca leggiadramente in ogni sua parte  il sopraccitato luogo di Platone, dicendo dell’ impeWo,  eh' egli ha non meno sopra gli Dii, che sopra gli uomini, con questi versi :   £ s’ egli è ver, che tua potenza sia  Nel Ciri s) grande, come si ragiona,   E neir abisso ( perchè, qui fra noi  Quel che tu vali e puoi,   Credo, ehe’l senta ogni gentil persona).   V. loi. Prese costui della bella persona che mi fu tolta. Lo prese del bellissimo corpo che mi fu spogliato  dalla morte, e ’l modo ancor m’ offende, perchè mi fu  ' data violentemente, e mentre mi suva tra le braccia  del caro amante.  V. io3. jimor, eh' a nullo amalo amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte,  che, come vedi, ancor non m' abbandona,   Belliiiiina repetizione : Àmor, eh' al cuor gentil ratto  s' apprende, prese cosuù come gentile. Amor, eh' a nullo  amalo amar perdona, prese me come amata. Mi prese del  costui piacer, del piacer di costui. Costui nel secondo caso senza il suo segno si trova spesse volte usato dagli  autori. Veggansene gli esempi presso il Cinonio. Questo  lungo può aver doppio significato. Hi prese del piacer di  costui, cioè del gusto, del piacimento, della gioja d’amar costui. E mi prese del piacer di costui, cioè del piacer  che io faceva a costui, e questo corrisponde ottimamente  al detto poco innanzi : Autor, eh' a nullo amato amar  perdona ; mostrando non tanto essersi innamorata per  genio, quanto per vaghezza d' accorgersi di piacere e  d’esser amata, e per cert’obbligo di gentil corrispondenza.   V. io6. Amor condusse noi ad una morte.   Arroge forza con la terza replica, e con granditaim' arte diminuisce il suo fallo, rovesciando sopra di  amore tutta la colpa. Tib. lib. l .° el. VII, v. aq.  Non ego te laesi prudens : ignosce fatemi,  lussi! amor. Contro quis ferat arma Deos ?   E'I Boccaccio, giornata IV, nov. I, conducendo GuU  scardo alla presenza del Principe Tancredi, non gli sa  porre in bocca nè altra, nè piò forte difesa per iscusar  sè, che r incolpare amore, il quale, cioè Tancredi,  tome il vide quasi piangendo disse : Guiscardo, la mia  benignità verso te non uvea meritato l'oltraggio e la     84 Casto   vtrgogna, la quale nelle mie cose fatta m' hai; eiccome io  oggi vidi con gli occhi miei. Al quale Guiscardo niun  altra cosa ditte te non questo. Amor può troppo più che nè io ni voi pottiamo.   V. IO/. Caina attende chi'n vita ci spente.   Calila è la g)iiaccia, dove nel canto vedremo  euer paniti coloro, che bruttaron le mani col sangue  de’ lor congiunti. Dice dunque, che questa spera detta Caina sta aspettando LANCIOTTO marito di lei, e fratello  di PAOLO, che fu il loro uccisore. Ila O latto,  Quanti dolci pentier, quanto detto  Menò costoro al dolorato patto !   Tenerissima riflessione, e propria d* animo gentile,  ma che non s’ abbandona a soperchia vilU col dimostrar  dolore. E qui notisi, come Dante per ancora sta forte  all’ assalto della pietA, la cui guerra si propose di voler  sostenere al principio del secondo canto, v. l.   Lo giorno te n andava, e f aer bruno  Toglieva gli animai, che tono in terra dalle fatiche loro; ed io sol uno m’apparecchiava a tottener la guerra  fi del cammino, e sì della pietose. £ che ciò sia’l vero, dopo eh’ ei non potò pid rattener  le lagrime, dice, che in questo pietoso oflìcio egli era  insieme, v. 117, tristo e pio-, dove mette in considerazione, se quel tristo si potesse in questo luogo intendere  per iscellerato, malvagio, empio, e non per malcontento,  mesto, e maninconoto, come vien preso universalmente,  e (1 come io con gli altri concorro a credere etier reritirailmeote alata l' intenzione del poeta. Pure nel primo significato abbiamo nel Inf. triatitiimO) r. 9I.   Tra qutJt’ iniqua e trutitiima copia  Correvan genti ignude e spaventate.   E di vero tristo in aendmento d’ empio (a un belliatimo  contrapposto con pio, venendo a estere il poeta in un  medesimo tempo empio per compiagner la giusta e dovuta miseria de’ dannati, del cbe nel XX di questa cantica si fa riprender acremente da Virgilio, e gli la dire,  che è sciocchezza averne pietà, e somma scelleraggine  aver sentimenti contrarj al divino giudicio, che li punisce, V. a 5 .   Certo V piangea poggiato a un de' rocchi  Del duro scoglio, zi che la mia scorta  Mi disse : Ancor se' tu degli altri sciocchi ?   Qui vive la pietà-, quandi è ben morta.   Chi è più scellerato di colui,   Ch' al giudicio divin passion porta ?   Driaza la letta, drizza ; e vedi, a cui ecc. E pio poteva dirsi il poeta, per non poter vincere la  naturai violenza di quell' affetto, che contro a tua voglia  lo cottrìgneva a lacrimare ; dove pigliando tristo in significato di metto, avendo di già detto', eh' ei lacrimava,  vi vien a esser superfluo ; e non solamente tristo, ma  pio ancora ; chiarissima cosa estendo, che chi piange  r altrui miseria, n' ha rammarico e compatimento.   V. lao. Che conosceste i dubbiosi desiri? Pubiioti per non esserti ancora l’ un F altro diKoperd. 86 Canto. I3I. Ed ella a me; nerrun maggior dolore.  Che ricordarsi del tempo felice nella miseria, e dà sa il tuo dottore.   Quella lentenaa h di Boezio nel lecondo libro de  Consol. proia IV, Le lue parole iodo : In omni aduer sitate fortuna» infelùissimum genus inforlunii est, fuisse  felieeiu. Tanto che questa volta per il tuo dottore non  debbo intendersi VIRGILIO, come, dal Daniello in fuora,  quasi tutti gli altri si sono ingannati a credere, ma lo  stesso BOEZIO, la cui sopraccitata opera Dante nel suo  esilio aveva sempre tra mano, e leggeva continuamente ;  onde nel suo Convivio scrive queste formali parole. Tuttavia, dopo alquanto tempo, la mia mente, che i argomenta di sanare, provvide ( poi nè 'I mio, I altrui  consolare valeva ) ritornare al modo, che alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi ; e misimi ad allegare e  leggere quello, non conosciuto da molti, libro di BOEZIO,  nel quale, cattivo e discacciato, consolato si aveva.   V. ia4- Ho, s‘ a conoscer la prima radice   Del nostro amor tu hai cotanto affetto,  farò, come colui, che piange, e dice.   Sed si tantus amor casus cognoscere nostros,   Et breuiter Troiae supremum audire laborem. Quamquam animus meminisse horret, luctuque refugit,  Incipiam. £n. lib. Il, v. io e seg.   V. i» 7 - Noi leggiavamo un giorno per diletto   Di Lancillotto, come amor lo strinse. Qui, prima di passar più avanti, giudico, che sia bene  chiarir l’intelligenza del rimanente di questo canto, con riportar la atoria di Lancellotto cavata da' romanzi franzcsi dal libro di Lancilolto Du Lac, e riferita in quella  dottiatiuia acrittura di Lucantonio Bidol6, nella quale  in un dialogo fìnto in Lione tra Aleaaandro degli liberti e Claudio d’Erberé gentiluomo franzeae apiega ingegnoaamente varj luoghi diSicili de' tre noatri autori  Dante, il Petrarca, e '1 Boccaccio. Farla Claudio Dovile dunque eapere > eome avendo Galeaui figliuolo  della iella Geanda acquitlalo per sua prodezza trenta  reami, s ave a posto in cuore di non voler <t essi coronarsi,  se prima a quelli il regno di Logres dal Re Arius posse-  duto aggiunto non aveste ' £ per ciò, avendolo egli man-  dato a Sfidare, furono le genti deir uno e dell' altro più  volte alle mani. Dove Lancilolto avendo in favore di Artus futa maravigliose pruove contro di Galeaui, e avuto un  giorno fra gli altri l'onore della battaglia, fu da esso  Galealto pregato, che volesse andare quella sera alloggiar  seco; promettendogli, se ciò facesse, di dargli quel dono,  che da lui addomandato gli faste. Accetta Lancilolto con  quel patto l’invito, e poi la mattina seguente, partendoti  per ritornare alla battaglia dichiarò il dono, che da Ga-  lealio desiderava : il quale fu di richiedere, e pregare esso  Gale alto, che quando egli combattendo fatte in quella  gionuila alle gerui del re Artu superiore, e certo d averne  a riportare la vittoria, volesse allora andare a chieder  merci ad esso Re, e in lui liberamente rimetterti. La qual  cosa avendo Galeallo fatta, non solamente ne nacque tra  Lancillotto e Galealto grandissima dimestichezza e amistà,  ma ne divenne ancora etto Galealto, per cosi cortese e  magnanimo alto, molto del Re Artu, e della Regina Gi-  nevra tua moglie familiare. Alla quale per tal pubblico PUI5T0 Amor, eh a null’amato amar perdona, mi prese del costui piacer it forte,  che, come vedi, ancor non m’abbandona.   Qui ribadisce :   Questi, che mai da me non fia diviso.   Nel che ti ponga niente a quante volte e in quanti  modi rioforra V espressioni d'un ferventissimo ed ostinato  amore, e con quant' arte s’ingegna d’attrar le lacrime e sviscerar la pietà verso que luiserissimi amanti. V. i3y. Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse.   Il libro ) e Tautor, che lo scrisse, fece tra Paolo e Francesca la parte, che fece Galeotto tra Lancillotto e  Ginevra; onde l’Azzolino nella sua Satira contro la lussuria. In somma rime oscene, e versi infami dell’altrui castità sono incantesimo, e all’onestade altrui lacciuoli ed amU   Tal eh* io ti dico, e replico il medesimo. Se stan cotali usanze immote e fisse, la poesia diventa un ruSianesùno.  E questo è quel, eh apertamente disse il Principe satirico in quel verso. Galeotto “ il libro, e ehi lo scrisse. Qui è da notare incidentemente, come alcuni hanno  voluto dire, che il cognome di Principe Galeotto, attri-  buito al Centonovelle del Boccaccio, possa da questa  storia esser derivato; perchè, dicono essi, ragionandosi  in codesto libro del Boccaccio di cose per la maggior Cauto quinto.   parte alle gii dette di Ginevra e di Francesca simiglianti, pare  che quel cognome di principe Galeotto  meritamente te gli convenga. In questa guisa inferir  volendo, estere il Decamerone il principal libro di tutti  quelli, che contengono in loro cose attrattive alla carnale concupiscenza; che tanto è a dire, quanto dargli  titolo di Primo Ruffiano, o vero di principe de' ruffiani. Na di ciò reggati più particolarmente il Ridolfi nel soprammentovato dialogo, ove parlando assai diffusamente  di tal opinione ti sforza di mostrare, essere molto veru  simile a credere tal disonesto cognome, come anche  quello di Decamerone estere stato posto al Centonovelle più tosto d’altri, che dal BOCCACCIO; il quale nel proemio  della quarta giornata avere scritte le tue novelle senz’alcun titolo apertamente si dichiara. Quel giorno più non vi leggemmo ovante. Aocenna con nobil tratto di modestia l’ inferrompimento  della lettura, ed in conseguenza il passaggio da’ tremanti  baci agli amorosi abbracciamenti. Il conte Lorenzo Magalotti. Villa Magalotti. Magalotti. Keywords: di naturali esperienze, ‘naturali esperienze’ --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Magalotti” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Maggi: l’implicatura conversazionale -- implicatura ridicola – la scuola di Pompiano -- filosofia lombarda – filosofia bresciana – scuola di Brescia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pompiano). FIlosofo italiano. Pompiano, Brescia, Lombardia. Grice: “I like his portrait” – Grice: “My favourite of his essays is on the ridiculous; but his most specifically philosophical stuff is the ‘lectiones philosophicae’ and the ‘consilia philosophica.’” La famiglia aveva possedimenti e anche un negozio di farmacia. Il padre Francesco, uomo di lettere, fu il suo primo maestro.  Studia a Padova con Bagolino e frequenta attivamente gli ambienti culturali della città. Si laurea e insegna filosofia. Degl’Infiammati, strinse amicizia con Barbaro, Lombardi, Piccolomini, Speroni, Tomitano, Varchi, entrò quindi a far parte del circolo di Bembo, frequentando insigni filosofi come Paleario, Lampridio e Emigli. Conobbe Pole, Vergerio, Flaminio e Priuli. Il dibattito sulla questione della lingua e sui temi estetici legati soprattutto all'interpretazione della Poetica aristotelica condusse alla preparazione di un commento allo scritto di Aristotele che, iniziato da Lombardi, fu proseguito, concluso e fatto pubblicare da M., con altra sua opera dedicata ad ORAZIO, a Venezia: le “In Aristotelis librum de Poetica communes explanationes: Madii vero in eundem librum propriae annotations”, dedicato a Madruzzo. Lascia Padova per entrare al servizio del duca Ercole II d'Este come precettore del figlio Alfonso e, insieme, per insegnare filosofia a Ferrara. Si conservano appunti delle sue lezioni sulla Poetica. Anche della vita culturale della città estense  fu protagonista, divenendo  principe dell'«Accademia dei Filareti», che vanta membri come Bentivoglio, Calcagnini, Giraldi e Cinzio, oltre a essere amico degli umanisti PIGNA, PORTO, e RICCI, che gli diede pubblicamente merito di essere stato «il primo interprete della Poetica di Aristotele».  “Mulierum praeconium” o “De mulierum praestantia” e dedicata ad Anna d'Este, la figlia di Ercole e di Renata di Francia, che nello stesso anno fu tradotta “Un brieve trattato dell'eccellentia delle donne.” Comprende anche una Essortatione a gli huomini perché non si lascino superar dalle donne, attribuita a Lando, che si pone come corollario dell'orazione di M.  Alla chiusura temporanea dell'Università, ritorna a Brescia, partecipando alle riunioni dell'Accademia di Rezzato, fondata da Chizzola. Abita nella quadra della cittadella vecchia, in contrada Santo Spirito. Sposa Francesca, figlia del nobile Paris Rosa,. A Brescia sede nel Consiglio Generale e fu incluso nell'elenco dei consiglieri comunali della città destilla reggenza delle podestarie maggiori del territorio. Fu destinato alla Podestaria di Orzinuovi, ma vi rinunciò, come rinunciò anche alla podestaria di Salò, e partecipò alle sedute del Consiglio Generale. Altre saggi “Un brieve trattato dell'eccellentia delle donne, Brescia, Turlini “In Aristotelis librum de Poetica communes explanationes: Madii vero in eundem librum propriae annotationes, Venetiis, Valgrisi; De ridiculis, in Horatii librum de arte poetica interpretatio, Venetiis, Valgrisi, “Lectiones philosophicae” Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms.  Expositio in libros de Coelo et Mundo, Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms,  Expositio de Coelo, de Anima, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Quaestio de visione, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Espositio super primo Coelo, Piacenza, Biblioteca Passerini-Landi, ms Pollastrelli, Mulierum praeconium, Modena, Biblioteca Estense, ms Estensis latinus. Oratio de cognitionis praestantia, Ferrariae, apud Franciscum Rubeum de Valentia, Consilia philosophica, Vincentii Madii et Jo. Bap. Pignae in favorem serenissimi Ferrariae ducis in ea praecedentia, Archivio di Stato, Casa e Stato,  Modena. Note  In Sardi, Estensis latinus 88, Modena, Biblioteca Estense.  G. Bertoni, «Giornale storico della letteratura italiana», C.. Fahy, Un trattato sulle donne e un'opera sconosciuta di Lando, in «Giornale storico della letteratura italiana»,  Bruni, Speroni e l'Accademia degli Infiammati, in «Filologia e letteratura», XIWeinberg, Trattati di retorica e poetica, III, Roma-Bari, Laterza,  Bisanti,  interprete tridentino della Poetica di Aristotele, Brescia, Geroldi, Giorgio Tortelli, “Quattro M. in cerca d'autore”, in «Quaderni del Lombardo-Veneto», Padova, Vincenzo Maggi, su Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Vincenzo Maggi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vincenzo Maggi. Maggi. Kewyords: implicatura ridicola, Eco, il nome della rosa, Cicerone, il tragico, filosofia tragica, pessimismo, l’eroe tragico, Nietzsche, la tragedia per musica – I curiazi, catone in Utica – tragedia per musica --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maggi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Magi: l’implicatura conversazionale nell’uso delle parole – il mistico – I mistici – la scuola di mistica fascista – il veintennio – la scuola di Pesaro -- filosofia marchese -- filosofia italiana – filosofia fascista -- Luigi Speranza (Pesaro). Filosofo italiano. Pesaro, Marche. Grice: “A fascinating philosopher – “journey around the world in ten words,’ a gem!” --  Insegna a 'Urbino. Si dedica alla psicologia “trans-personale”. Fonda il Centro di Filosofia Comparativa (cf. ‘implicatura comparativa’) e “Incognita” a Pesaro, tesoreggiando ‘l’intelligenza del cuore’ e il principio dell’interiorità. Scrisse “I 36 stratagemmi” (Il Punto d'Incontro; dal, BestBUR). Il suo “Il Gioco dell'Eroe. Le porte della percezione per essere straordinario in un mondo ordinario” vede un clamoroso successo. “I 64 Enigmi. L'antica sapienza  per vincere nel mondo” (Sperling et Kupfer )è segnalato  al primo posto dei libri più attesi. Lo stato intermedio tratta l’argomento rimosso dei nostri tempi: la morte, e abbraccia l'orizzonte ampio degli ambiti cari agli autori: filosofia, mistica, psicologia transpersonale, esperienze ai confini della morte. Esce un aggiornamento ampliato del Gioco dell'Eroe con il sottotitolo “La porta dell'Immaginazione”. Vgetariano dichiarato., si focalizza sui modelli mistici per approfondirne, oltre la portata metafisica e auto-realizzativa, i concetti di efficacia ed efficienza: nel libro I 36 stratagemmi declina il taoismo nei suoi aspetti di strategia psicologica; nel saggio "Le arti marziali della parola" in La nobile arte dell'insulto (Einaudi) evidenzia come l'arte del combattimento diventi arte retorica e dialettica. Nei saggi Il dito e la luna, La via dell'umorismo e Il tesoro nascosto mostra il rilievo della comunicazione metaforica e umoristica. Elabora e sviluppa la dimensione della psicologia trans-personale all'interno del Gioco dell'Eroe, disciplina da lui creata e imperniata sulla capacità umana dell'immaginazione. Altre saggi: “Il dharma del sacrificio del mondo” (Panozzo); “La filosofia del linguaggio eterno” (cf. Grice: ‘timeless’ meaning, versus ‘timeful’?). Urbino, “Quaderno indiano,” Scuola superiore di filosofia comparativa di Rimini, “Il dito e la luna,” Il Punto d'Incontro); I 36 stratagemmi (Il Punto d'Incontro, BestBur); Sanjiao. I tre pilastri della sapienza, Il Punto d'Incontro, Einaudi, Uscite dal sogno della veglia. Viaggio attraverso la filosofia della Liberazione, Scuola superiore di filosofia comparativa di Rimini,  La Via dell'umorismo (Il Punto d'Incontro); La vita è uno stato mentale. Ovvero La conta dei frutti delle azioni nel mondo evanescente, Bompiani,  Kauṭilya, Il Codice del Potere (Arthaśāstra). Arte della guerra e della strategia” (Il Punto d'Incontro, "Lo yoga segreto del perfetto sovrano"; “Il gioco dell'eroe” (Il Punto d'Incontro); “I 64 Enigmi, Sperling); Lo stato intermedio,, Arte di Essere,. Il tesoro nascosto. 100 lezioni sufi, Sperling); Il gioco dell'eroe. La porta dell'Immaginazione” (Il Punto d'Incontro, 101 burle spirituali, Sperling); Recitato un cameo, nel ruolo di se stesso, nel film Niente è come sembra, di F. Battiato, a fianco di Jodorowsky. Jodorowsky scrive in seguito la presentazione  di La Via dell'umorismo.Blog.  «Fondai a Rimini il Centro di Filosofia Comparativa”. Per spaziare in temi altissimi con una narrazione transdisciplinare. Attraverso immaginazione, religioni, filosofie, arti e scienze».  Incognita. Advanced Creativity  Il Secolo XIX  (Onofrio) " 'Incognita' di Pesaro. Diario di viaggio nell'Oltre, un'immersione interiore al di là dello spazio-tempo"31  Il Secolo XIX  (R. Onofrio) "Advanced Creativity Mind School. Per capire l'entrata nell'epoca del post-umano" Per il titolo del suo album Dieci stratagemmi, Battiato si è ispirato a I 36 stratagemmi di M. Il sottotitolo, "Attraversare il mare per ingannare il cielo" è il primo stratagemma dei trentasei che compongono che il libro.  Stralcio della quinta puntata (youtube)  Modelli strategici. Corriere della Sera, (Camurri)  wuz  Panorama (Mazzone)  wuz  Panorama (Allegri)  Il Secolo XIX Onofrio) "Aprite le porte all'Immaginazione, c'è un mondo oltre la quotidianità" M., I 64 Enigmi, Sperling et Kupfer, Milano: «Diversi anni fa, in un’intervista, mi chiesero perché sono vegetariano. La mia risposta fu molto sintetica (e la penso ancora così): Non mangio animali. Non riesco a digerire l'agonia».  La Repubblica (Michele Serra); Il Riformista (Luca Mastrantonio); Il Venerdì di Repubblica (Schisa)  Il Gioco dell'Eroe, Il Punto d'Incontro,. Libro/CD con prefazione di Battiato  Il Gioco dell'Eroe Gianluca. Scena del film ove compaiono e A. Jodorowsky (yout ube)  La Via dell'umorismo, Il Punto d'Incontro, Vicenza, La Stampa (Il Premio è stato conferito dalle autorità della Repubblica di San Marino con la motivazione: «Lo scrittore che ha costruito attraverso la sua produzione e l'attività del Centro di Filosofia Comparativa di Rimini ponti di comunicazione tra le antiche saggezze d'Oriente e d'Occidente, attualizzandone, in teoria e in pratica, il loro messaggio filosofico, psicologico e spirituale per l'uomo contemporaneo»). Gl’altri premi sono stati conferiti a: Battiato (Musica), Jodorowsky (Teatro), F. Mussida (Arti visive), S. Agosti (Cinema), M. Gramellini (Giornalismo), Gabriele La Porta (Televisione).  Sito ufficiale di Gianluca Magi (in cinque lingue) Incognita ◦ Advanced Creativity "Psicologia transpersonale. Che cos'è?" Video Lectio brevis  riflessionisul Senso della vita su riflessioni. Gianluca Magi. Magi. Keywords: l’uso delle parole, il mistico, ‘implicatura comparativa’ mistico, scuola di mistica, l’uso di ‘scuola’ mistica --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Magi” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Magli: il deutero-esperanto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Roma, Lazio. Anti-Babele – “Antibabele: la vera lingua universale” (Roma, Zufli). Vikipedio  Serĉi Anti-Babilona internacia planlingvo proponita Lingvo Atenti Redakti Anti-Babilona aŭ Antibabele estas internacia planlingvo proponita de Halien M. (eble plumnomo de M.), kun elementoj prenitaj el aziaj, afrikaj kaj eŭropaj lingvoj. Ĝi uzas kiel alfabeton la arabajn nombrojn kun punktoj supren aŭ malsupren la ciferoj. Geografiaj nomoj estas anstataŭigitaj per koordenadojn kaj personaj nomoj per la dato de naskiĝo kaj morto.  M. pensis ke estis inteligentaj vivantoj en aliaj proksimaj planedoj, kiel Marto, kaj oni bezonus logike matematika lingvaĵo por interkomunikigi al ili. Laŭ li, la nombro 365 signifus interplanede Tero, ĉar la Tera jaro havas 365 tagojn, kaj 224 estus logike Venuso.  La aŭtoro konis la projekton Lincos, kiu eble influis lin.  Bibliografio redakti Antibabele "la vera lingua universale.", M., Roma, Tip. A. G. I. [1952] Ĝermo pri planlingvo Ĉi tiu artikolo ankoraŭ estas ĝermo pri planlingvo. Helpu al Vikipedio plilongigi ĝin. Se jam ekzistas alilingva samtema artikolo pli disvolvita, traduku kaj aldonu el ĝi (menciante la fonton). Laste redaktita antaŭ 1 jaro de CasteloBot RILATAJ PAĜOJ Laŭbita logiko Pruvo per disputo Predikata logiko Vikipedio La enhavo estas disponebla laŭ CC BY-SA 4.0, se ne estas alia indiko. Regularo pri respekto de la privatecoUzkondiĉojLabortablo. Poeta visivo e performer sperimentale, Paolo Albani è anche autore di vari saggi e repertori su ogni tipo di "bizzarrie letterarie e non". Le ricerche (già praticate da personaggi quali Raymond Queneau e Umberto Eco) su scritti e teorie strampalate in ogni sfera dello scibile umano si concentrano in questo caso sui "mattoidi" del Bel Paese, ovvero autori che pur sostenendo tesi del tutto folli non hanno mai soggiornato in manicomio. Decine di informate schede di taglio enciclopedico prendono in esame, suddivise per argomento, casi relativi perlopiù al periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento, in parte attinti dall'archivio storico dell'antropologo Giuseppe Amadei. Troviamo quindi linguisti utopici come il "brevista" Carlo Cetti, che s'ingegna nel ridurre al minimo l'uso del vocabolario (riscrivendo a mo' d'esempio in versione "smagrita" I promessi sposi), o come Gaj Magli, ideatore del linguaggio numerico internazionale Antibabele. Tra i poeti e scrittori ci sono autori di audaci imprese quali un remake della Divina Commedia, preservando le rime dantesche ma con la guerra per l'indipendenza italiana come soggetto (Bernardo Bellini), mentre tra i filosofi si distinguono il panteistico Tu-sei-me-ismo di Antonio Cosentino e la Psicografia di Marco Wahlruch, esposta per mezzo di bizzarre tavole verbo-visuali. Particolarmente inquietanti alcune proposte di scienziati e medici, impegnati nel dimostrare la quadratura del cerchio ma anche nel teorizzare mostruosi incroci uomo-animale o l'assorbimento di fluido vitale da "animali sani espressamente uccisi" (nonché da uova bevute con cannuccia direttamente dal sedere della gallina!...). Anziché lasciarsi andare a facili commenti derisori, Albani redige le voci mantenendo un distaccato e scientifico aplomb, rendendo così ancor più surreale e "patafisica" la sconcertante carrellata sul risaputo genio italico. E il pensiero va, inevitabilmente, al gran numero di visionari blogghisti, fanatici cospirazionisti, politici ed economisti estemporanei (anche, ahinoi, sui banchi del Parlamento) che ancor oggi popolano la nostra benamata Penisola. Gaetano Magli. Gaj Magli. Magli. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Magli”. Magli

 

Luigi Speranza -- Grice e Magnani: l’implicatura conversazionale della linea e il punto – la scuola di Sannazzaro de’Burgondi -- filosofia lombarda – scuola di Pavia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sannazzaro de’ Burgondi). Filosofo italiano. Sannazzaro de’ Burgondi, Pavia, Lombardia. Grice: “I like Magnani; he has written about conceptual change, which I enjoyed!” -- Grice: “I like Magnani; his treatise on the philosophy of geometry is brilliant!” --  essential Italian philosopher, not to be confussed with Tenessee Williams’s favourite actress, Anna Magnani --. Insegna a 'Pavia, dove dirige il Computational Philosophy Laboratory. Dedicatosi allo studio della storia e della filosofia della geometriai, i suoi interessi si sono poi rivolti all'analisi della tradizione neopositivista e post-positivista. Si è poi dedicato al tema della scoperta scientifica e del ragionamento creativo. Studia tematiche riguardanti il ragionamento diagnostico in medicina in collegamento con il problema dell'abduzione, presto diventato fondamentale nella sua ricerca. La sua attenzione si è anche indirizzata verso il cosiddetto model-based reasoning. Fonda una serie di conferenze sul Model-Based Reasoning. Trattai problemi di filosofia della tecnologia e di etica, rivolti anche al tema trascurato in filosofia dell'analisi della violenza.  I suoi interessi di ricerca includono dunque la filosofia della scienza, la logica, le scienze cognitive, l'intelligenza artificiale e la filosofia della medicina, nonché i rapporti fra etica e tecnologia e tra etica e violenza. Ha contribuito a diffondere il problema dell'abduzione. La sua ricerca storico-scientifica ha riguardato principalmente la filosofia della geometria. Dirige la Collana di Libri SAPERE. Opere: “Conoscenza come dovere. Moralità distribuita in un mondo tecnologico” “Filosofia della violenza” “Rispetta gli altri come cose. Sviluppa una teoria filosofica dei rapporti fra tecnologia ed etica in una prospettiva naturalistica e cognitiva. Note  Web Page del Dipartimento di Studi Umanistici  Computational Philosophy Laboratory Web Site  [Cfr. le varie pagine dedicate a questi convegni in//www-3.unipv/webphilos_lab/cpl/index.php Computational Philosophy Laboratory], Dipartimento di Studi Umanistici, Sezione di Filosofia, Pavia, Pavia (Italia)]  Sun Yat-sen Award   Cerimonia  Book Series SAPERElesacademies. org. Edizione cinese:   Philosophy and Geometry  Morality in a Technological WorldAcademic and Professional Books Cambridge University Press  Abductive Cognition  Understanding Violence  The Abductive Structure of Scientific Creativity  Author Web Page  Handbook of Model-Based Science  Logica e possibilità, su RAI Filosofia, su filosofia.rai. Filosofia della violenza, su RAI Filosofia, su filosofia.rai. Grice: “Philosophy of geometry, so mis-called – I call it the theory of the line and the point – always amused me since Ayer misunderstood it in 1936! Hoesle and Magnani prove that it’s less geometrical than you think!” --  Lorenzo Magnani. Magnani. Refs. Luigi Speranza, "Grice e Magnani," per il Club Anglo-Italiano -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Magni: l’implicatura conversazionale – filosofia lombarda – scuola di Milano – filosofia milanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “I love Magni – He has gems like ‘Petrus is Petrus’ – I’m talking about his “Principia et specimen philosophiae” – The titles for the chapters are amusing, and he refers to ‘ratio essendi’ – and other stuff – *Very* amusing --.”Figlio dal conte Costantino Magni e da Ottavia Carcassola, si trasferì a Praga. Entrò nei cappuccini della provincia boema a Praga. Insegna filosofia entrando, grazie al suo insegnamento, nelle grazie dell'imperatore. Presto fu eletto Provinciale della Provincia austro-boema dell'ordine e divenne apprezzato consigliere dell'imperatore e di altri principi europei. Il re Sigismondo III gli affidò la missione cappuccina nel suo paese. Ferdinando II lo inviò in missione diplomatica in Francia. Fu uno dei consiglieri del duca Massimiliano I di iera. Dopo la battaglia della Montagna Bianca, sostenne l'arcivescovo di Praga Ernesto Adalberto d'Harrach nella cattolicizzazione della popolazione e nelle riforme diocesane. Prese parte in nome dell'imperatore ai negoziati con il cardinale Richelieu sulla successione ereditaria al trono di Mantova. Divenne consulente teologico nei negoziati per la pace di Praga e missionario apostolico per l'elettorato di Sassonia, Assia, Brandeburgo e Danzica. Riprodusse a Varsavia di fronte al re e alla corte l'esperimento di Torricelli usando un tubo riempito di mercurio per produrre il vuoto.  Riuscì a convertire il conte Ernesto d'Assia-Rheinfels e sua moglie.  Dopo che l'Praga venne affidata ai Gesuiti, entrò in contrasto con i gesuiti, che lo fecero arrestare a Vienna. Rilasciato dalla prigione per intervento dell'Imperatore e tornò a Salisburgo, dove morì quello stesso anno. Frutto della sua polemica con i protestanti è “De acatholicorum credendi regula judicium” in cui sostene che senza l'autorità della Chiesa, la Bibbia da sola non era sufficiente come regola di fede per i cristiani. Trata lo stesso argomento in “Judicium de acatholicorum et catholicorum regula credenda”, le cui debolezze argomentative scatenarono la contro-offensiva dei protestanti. Si occupa di metodologia, logica, epistemologia, cosmologia, metafisica, matematica e scienze naturali. Rifiuta i principi aristotelico-scolastici, ispirandosi alle dottrine di Platone, Agostino e Bonaventura. Altre saggi: “Apologia contra imposturas Jesuitarum,” “Christiana et catholica defensio adversus societatem Jesu,” “Opus philosophicum,” “Commentarius de homine infami personato sub titulis Iocosi Severi Medii,”:Concussio fundamentorum ecclesiae catholicae, iactata ab Herm. Conringi, “Conringiana concussio sanctissimi in christo papae catholici retorta,” “Echo Absurditatum Ulrici de Neufeld Blesa” “Epistola de responsione H. Conringii” “Epistola de quaestione utrum Primatus Rom. Pontificis, “Principia et specimen philosophiae, Acta disputationis habitae Rheinfelsae apud S. Goarem, “Organum theologicum”; “Methodus convincendi et revocandi haereticos”; “De luce mentium”; “Judicium de catholicorum ei acatholicorum regula credendi, “De atheismo Aristotelis ad Mersennum,  Demonstratio ocularis, loci sine locato: corporis successiuè moti in vacuo, Bologna, Benatij. Vedi la voce nella Enciclopedia Italiana. J. Cygan, “Vita prima”, operum recensio et bibliographia, Romae, “Opera Valeriani Magni velut manuscripta tradita aut typis impressa, «Collectanea Franciscana», A. Catalano, La Boemia e la ri-conquista delle coscienze. Harrach e la Contro-Riforma, Roma, Storia, M. Bucciantini, La discussione sul vuoto in Italia: Discussioni sul nulls, M. Lenzi e A. Maierù, Firenze,  Olschki, A. Napoli, La riforma ecclesiastica in Boemia attraverso la corrispondenza della Congregazione de Propaganda Fide, Centro Studi Cappuccini Lombardi, Biblioteca Francescana, Milano. Relatio veridica de pio obitu R. P. Valeriani Magni, Lione, Ludwig von Pastor, Storia dei papi, Roma, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Bihl, G. Leroy. Ad universam Philosophiam. De Ordine &Jl)lo Dottrimt. Oftii Theophilc nullum entium affitmiri de alio ente,  fed fingula negari de singulis quae verd affirmantur de entibus non lunt entia, sed habitudines, quae intercedunt entia. Ego enim illa duntaxat nunc upaui entia, qu3e  per al iquam potentiam pofluni efTe, 6c intelligi, feorfum  abomni alioente. Harum habitudiuum, ut docui, aliae funtiden: itatise (Tentiae, ut, “Petrus est Petrus”. Alias identitatis rationis, ut “Petrus est Paulo idem m ratione naturae humanae. Demum aliac funt efle aut principium, aut ter-  n)inumalicuius motus – vt: “Petrus generat”, “Paulus generatur”. Ex quibus duntaxat potest demonstrari et existentia, et natura entium.Verum non sunt negligendae reliquae: Ille,enim, qua: referent identitatem essentiae sive affirmatam, sive negatam, inuoluunt Frequenter  niotum nostrae rationis a cognitione imperfecta, ad perfectionem: v.g huius propositionis, “Homo est animal rationale”. Praedicatum licec  sit identicum subiecto, ipsum tamen explicat diftin&ius. Qux autem consistunt in identitate rationis, sive affirmata, sive negata, coordinant cognoscimentum et praedicamenta, et in omni di£lione, iudicio, ac ratiociatione praetendunt terminos, qui ab identitate rationis, communi pluribus entibus, denominantur universales. Et licet eiusmodi identitatesr ationis non inferantur syllogismo, sed  cognoscantur sola collatione, seu comparatione terminorum, cognitorum aut immediate aut mediante illatione: tamen hae habitudines  tum fubeunt illationem, cum ex identitate rationis affirmata, aut negata de duobus principijsali cuius motus, infertur proportionalis identitas rationis, inter terminus illorum motuum, v.g. Quae est ratio entitatis inter Petrum et Paulum, ea eft mter filios Petri et Pauli. Quoniam vero in primo libro de per se notis, per didboncm connexam ordinavi in cognoscimento, et praedicamentis entia per se nota: coordinationem graduum entitatis, nomino cognoscimentum, et   A per iu*  X   2 Vakriani M.   per iudicium conncxum exhibui in clau^diftin &asomnes entiurn per se notorum pra:cipuos motus per se notos, quorumillos. quos  quifquc confcit in se, ennarraui (atis accurats, inlibro demeiconlcicntia: fupercft, ad complementum appararus philosophici. exhibere illas propoauioncs. quarum veritasnon dependeat abentium cxiftentiajeda rarionc a?tcrn^ > et incommutabili, cuius modi debent cffe i!la?,qutfin syllogismo denominancuc maiores: Minores enimper se nota propoliciones, exararaz in cra#atu de per se noris, habenc verit3tem,pendulam ab exifteruia Ennum; v. g. Luna mouetur, qua?, fi  corrumpatur,inducit Falfiratem iliius propofitionis, Ac vero hxc: Id,  quod mouctur, neceiIari6 movetur ab alio : eft vera,tametfi corrumpancuromnia mouentia et mobilia.   Harum vero propofitionum incommutabilium funt innumera nequecft vllaclfYerentia motus, quaenon sibi vendicetpropiias vericate'S mcommutabiles: puta has.Id, quod Loco-movetur 5 neccessari6 Loco movetur ab alio: ld, quod alteratur, necelTari6 alteratur ab alio; U>  qnod generatur, neceflano generatur ab alio. Veium hae omnes deriuanc (ibi incommutabilitatem ab hac: Id quod mouetur, neccessariu  mouecur ab aho>oporcetergo congercre invnum craclacumillasimfnutabilium,quas nulla ipccialis pars philosophiae pcrcra&ac, quatenuSjvbiv.g. ventum ficad tra&a cum de generatione. Ha?c, fd, quod geiif ratur, neceflario generatur ab alio demonftracurperhanc : id,  <juod mouetur, necefl.ui6 mouetur abalioj quae supponatur dcmon(trata m ipfo vestibulo Philosophia?,ica vc non fic opus in vllo ratiocir  nco repetere demonftiacionem fadtam. Hiccrgotra&atus comple&iturhas propositiones ajternas, et ir>» commucabiles>in quas neccirario refoluancur omnes lllacioncs. quas  habebir,& habere poteft vniucrfa philosophia: has nuncupaui Axiomata, et licniiTec denominarc Maximas, veluc, quac influanc vim iliatiuam propofitionibus maioribus. Exordioraucemtraclatum ab habitudinibus idcmitatis elTentiar, deinde profequar illas,quac funt efle pi incipium et ccrminum motus,  casvero, quae funt ex idcncitareracionis, poftrcmo loco commemorabo.nimirum ilIas, quacafficiunc motum: mocum, in quam, icalem cx  quo duntaxar argumentor entium exiftencias et nacuras. Scd veiitus, nemeusftylustibi vfquequao^ue probccur, voloprius  ^cxcufareilla. qu^forcaflis exiftimabisnofacii congrua fini,mjcintcdo Obijciturprimo loco oblcuritas, quxfuperec vulgarem conditionem, j4xiowata S  ncm rhilofophantiura. Respondeo, quod obscurafas obuenit vcl ab  obie&o, ve! a ftylo (cribentis. Meum stylum audafter dico tam darum  quam quicflepoifitnatioenimfcribendicum clarirate est mihi et rcopeccisfima, et familiaris.cxcerum grarulor philosophiae obfcuriracem  ab obie&o,quae aiceac plerofque ab hoc ftudio, qui Reipublica: vnlius  opera,& aecace impendent in agro>in mechamcis^in bcllo et iimilibus Laudatur pasfim rraditio do&rinae per quarftiones, quae rnouentuc  de (uL,ie&o alicuius fcicnciae>placecque numerata partino earum.Hanc  methodum refolutiuam Ego non adhibeo, fed compofiriuam : Haec  enim exordicur a nonslimis et prarcendens lucem eacenus partam, reuelat semper obfcuriora : qui verdmouec quxftionem,obijcit tenebras,quas fubmoueac,(olucndo qua^ftionem propofiram.   Uli,qui per qusftiones cradunt lcientiam,ducunt argumenta ex omnibus locis diale£ticis:Ego proiequor lineam mocus, tfnde dunraxac  infero enrium exiftencias,tSc nacuras,ijsargumcncis, quadola poflunt  efle dcmonftrariua,quarue,adnumerata Diale&icis, digniratem propriam peflundant Memineris vero, Theophile, argumentum, quod  inihi est demonstrativum, alicui fortasfis vixerit probabile:(untenim  plerique, quibus opus fu pharmaco magis quam syllogismo. Quoniam vero motiu func fubordinati > demonltrationes anrece- dentesnancifcuntur,maiorem certitudinem, et euidentiam a lubfeouentibus:fcilicer > exiftencia,& natura primi mouentis confirmatur iecundis,alijfque fubfequentibus.   Hxc conditio ratiocinancis ex motu,e(t oppofita illi,quae ducitur ex  nacura Quanti difcreci f 6c continui, nam in Mathematicis vix  aliqua demonftrationum anteccdentium pendec a iubfequentibus.   Tibiver6,legentimeostra£htus, occurent frequenter nonnulla  amcnegle&a, qiu? tuo iudicio debuiflenc dici; ied fcuo mehorrere  confufionera,vcl minimam,mareriaium>quas fuis locis deftinaui rra£Undas;Ide6,Licet fciam mulcum lucis acceflurum rci, quam expono.fi eo loci cognofcacur aliquid,alio loco referuarum, ramen id fepono,& pra:ftoloL loco congruo do&rinam,qua: no debec anticipari.   Nil pono moieitius obueniet cibi m m ea Philofophia, quam quod  fcpono obiediones manifeftas,dn#as ab exiftencia reru contra conclufionnsillacasa racionibusanernis,v.g.infero mouentem non pcfle  quietcece in termino trafeuntcqui fu fibi iCqualis in entitate.Cui coclufioni videcur aduerfan expeucua omniu generaciu fibi fimile in na- A i wraj, - r" ta....\....^x   V zlcriam M. tttra^fed (tperpendasfolutiones eiufmodi obiedlionurnj facile intelliges eas^fi anteuertantur, neceflai io (us deque conuerfuras vmuerlam  Philosophiam, fine quarlira evidentia. Ponofi vim a.gumenti conclufionisillataealTequans facile inteliigcsrcrum exiftennas, &naturas  dependcrea rationeaetcrna.a.rumpra in fyllogifmo.&fupponeslatere  aliquid in entibus concretis,vndecaptas occafionem errorrs.   Confulcoabftineoa quamplurimis, quce alioqum magna contentionecontrouertuncurintei Philofophos, fi tamenhzc ncghgentu  non detrahatfcientia^quamprxtendo : Commemoroadexempkira  differentiam interdiftin&iones formalem*rationis ratiocinat*e,&modalem.Eiufmodi enim contenrione.splunbus feculis agirarae, non habent momentum ad veritatcm quaefuam,quod pofcat dispucationern zuternam. Non infero ex conclusionibus primo illatis, reliquas omnes, qur  inferripoflunt ed illas duntaxatj quae cx ponunt natura mcntis, quoi  fub»jciturratiocinio : immopleraquc rranfilio, quxexdcmonftrati  non obfciueprodcuntinlucem.   s : DemumnouerismenondocererespervocabuIa,fed res, confueta oratione declaratas, significo per vocabuU vfitata,fi Hippetant, vci  adhibeo aha ad placitum meum. Capvt ir.   -dxiomata ex identiutt ejfentiali.   Ursauternpr^miffisaggredior habitudincs identitatfs eflenti». A Afeddebeopnusaflignarcrationem communem omnibus cnti'   bus quatenus hxc dodnna fit vniuetfal.ffima, Nofti Theophile. fpecierum. quascognolcituri adhibcmus . jffiW  eflc lenfib.les a . as imag.nabiles.ali.. intelligib.tes/ enlib.lcs refeW  aliquod lenfib.le.non lolum quod aftu exiftat.fed et quod fi, p S n  t.ffimum fent.ent.: At vero imaginab.les. &,nrelh#b,lcs r-fe r ..m . J   nutum, magmantis &intcllige. Hisnonrolumentia ^uexiftem  praefenua.fed abient, a,pr^erita,futura,poffib,), a, ac dcmum ab ft ra   Exphcaturuserg Rationem communem omnibusentibus eim  affignaredebeo. quxaffirmetur deentibuspr. sentibus affirmVk  dc pwtcri^affirmabitur defuturis, affirmaretur de poflibSus^f!   Tcnirenc  X     jixiomata S  venirent ad a£tum,qu#ue affiimatur de his, qux inrelliguntur, abftrahendoabimentione praeteritorum praefentiumjfuturorum^ ac poflibilium.   Dicoigitur Ensefleid, quod exerceta&um eflendi, vt v.g amans  c(l id,quod exercet adtum amandi: Ctrm cogito Theophilum, coguo  id ; quod cxercet a&um eflendi Theophilum. Leo exercet a&umelfendi Leonem et quodlibet entium exercct a&urn eflendi feipfum,fecundum praecifam entitatem vniufcuiufque, ita vt Ego, quinon fuin  Theophilus, non poflim exercere a&um eflendi Theophilum: nec Leo  poteft exercereadtum eflendi hominem. Qnaproprer ratio, communis omnibus entibus, abftrahit ab omni fpeciali exercitio entitatis : ita  vt nuila fit,aut poflit intelligi communis omnibuscntibus, quam quae  nuuraliter concipuur ab omnjbus, quaeue habetur in ipfo communi  vocabulo.£«i:nimirum.id.quodaaumeflendi autexercet, autexercuit,aut exercebit,aut potelt exercere,concipitur vt Ens, quod aut eft,  aut fuit,aut ent,auc efle poteit. Seclufa (citra negadonem ) omni praecisa rationeentitatis vllius. Itaque id, quod non exercet actum eflendi, non est ens. Pneterita non (unt.fed fuerunt entia. Futura non sunt/ederuncemia. PofTibilianonlunt/ edpofluntefle entia, &confequentcmil ho r»meflens. Ens vero abftraftum ab intentione praefentis, prarteriti, futuri, &C  posfibi!is,denotat praedicata cflentialia Entis,mter, quae nil eflentialius ipfo exercitio eflendi. Porio Gntiopponicur Non Ens,quodeft inintelligibile noncomteIle&o Ente: quienimdormiensnilomnium cogitat, non ideointclligit Non-Ens,quia nil entitim intclligat. Qm autem, int?Heclo  Ente,intelligitnilcfletefidui,tiensccirecab aaueflendi, isdemum  intclHgit, feucogitatNon-Ens.   Quaproptcr dico, Rationem, communem oronibus enubus, elie  Rationcm Non-Entis, fi, poiitiua intelleaione, intellicatur sublata: scilicet Non Ens est ens coguatum, vt ceflauit ab a&ueflendt vel qua tenusnonvcnita4 aaumexiftcndi. VerumNon-ens habetfuasd.tfcrentias,& quidcm plures.has pcr ordinem narrabo, exorfus a mimma Nonentitatcvfquead maximam.   Lapis, cxpeiscaloris,noneft calidus, arpotcftcalcre, fceatenusdi<icorcaiidiKin pocentia. Eflcensin potcntia cft minimus gradum  M.   Nan-E ntitatis:nam id,dequo negatur caIor,eftens,tametfi Non-ca*  lor fit Non- Ens:non tamen lapidi cfl mcrum Non-Ens, quandoquidem lapis potcft efie cahdus. Lapis non eft vifiuus colorati,nec poteft efle vifiuus : Non eflr vifiuum.nccpofleefle vifiuum,eft Non Ens:at verd h*c negatio pocen*  i\x vifiua?, eft de lapide^qui eft pns;ita vt, lapidem non efle vjfiuum,  non fic mcrum Non-Ens. Socrates ccrto certius generabit filium; quifilius eft Non-homo:  non tameneftfic Non-homo.vtfunt Non homines illi, qui nonerunt. Sed est homo futurus. At vero sunt alh, qiuceflcpoflunt.ncc tamenerunc;quotfunt animantium,quotex hominibus,qui poflent gcnerarcfilios. ncctaracngcncrabtint? Haccnon funtcntia fucuta, fed  denominantur posfibilia,qua: magis recedunt ab entitatc, quam quod sunt futura. Entibus possibilibus proxime accedunt entia prastcrita : haec enim  fic non funt,vt nequeant efle ; nec tamen deficiunc ab omni encitatc,  quandoquidem fuerunt aliquando.   Denique illa quae neqne (unt,ncque erunt ; neque fuerunt, nec esse  pofliint videntur esse mera non entia.-puta corpus re&ilincum biangulareiid enim imposfibilc eft eflc, fuifle,aut fore. Non-cntium autem quaedam intelliguntur oppofica negatiue alicui  cnti prxcifo,ac fignato. Vnicum vero Non-Ens incclligicur oppolitum negative omnibus entibus absolutc confideratis Si ribi oppono  ncgatiu Non-Ens,id Non entitatis,nuncupatur Non-TheophiiusCuiulmodi fonr Non-Pcti us, Non-hic Leo, et a!ia innumcia. Non- nsautcm oppofuuiuomnibusenribus.abfolutcconfidcratis nun  cupatur nihil. Porro intell.gereaut confiderare prxfata Non ! Entia  cftcautelaamulnphcibus, grauis fimifquecrroribus. proucnicoiibus  ex confufa sub.eaione, et predicationc huiulccmodi Non-Ennunv  a quibus tibi caucbis haud d.fficulcer, f, nouucris accurat8 . qu* (uh *  lungo. iUU V.x est aliqua differentia non cnritntis, qaamnon folcamus aut Lapis non est, fc J potcft eflc calidus,' d nuncupatut E W in potcn cun L d U P m g Td. eft P 0  linsi posfibncfc.   Anti  Jlxionuts Antichristus efl furuius, dicitur Ens fumrum.  Filiusi ; em non cognituri mulierem, dicitur ensposfibile. Abraham fuit homo dieitur Ens praereritum. Corpus reiiilineum biangulare dicitut Ens abfolute imposfibile  Non-Theoph:Ius dicitur Negatio vniuscntis.  Nihil, dicitur, Ncgario omnium entium.   Porr6 nil horum por eftcfFc< aut subjectum aut praedicatum reale,  fi exciptas ens in potentia, et ens imposfibile secundum quid:Iapis enim, quiaftirmaturcaIidusinpotentia, quiue abfolute negaturviftuus.  Eft ens. Cetctum nil cntis eitquod fubijcias reliquis Non-entibus, quod  per singular exempla demonstro.  Anti-Christus est futurus. Anti-Christus stat loco subiecti, qui in eadem propofulone supponitur Non- ens,cum aiTeratur futurus. quocirca fubiedtum illius propofitionisnon est ens. Eadem est conditio huius. Filius Petri, non cognituri mulierem, est possibilis. Scilicet subjectum illius propofuionis non est ens, sed poteftetfe  ens, vt fupponitur, haec etiam Abraham fuit Homo: Habet fubiectumj quod fuppomturnoncfie, fed fusse Ens : dc naum ifta:   Corpus reSiIineum biangulare eft imposfibile, non fu bijcit en<\  cum in ipfa propositione afteratur non folum Non ens.led Sc cfie imposfibi)e,quod fu cns:Cauebis crgo ubi a multiplici er rore,fi lupra didum confuetum modum enuntiandi ndh:beas conlcius,ennumerata  fubie&a di&arum propofitionum non erte entis. His ergo eatenus explicaris, staruo primas propositiones universalissimas formatascx Ente& Non ente, abftradasab omni difterentiaentitatis. Vidcote'1 heophiIum,&tuaccuratcin fpecT:us enuntias v.gde te  ip(o,quodfis coloratus, quod fiscerta figura determinatus, quae propositiones non sum illatae l et tamen dependent a te, ut a termino simpliciterdiiao.quiaccurareinfpeaus de se enuntiar prasrata, et aha  eiufmodi. Verum hoc loco non ccnfidero habitndmcs, quarinterccdunr terminos realiter diftinaos, sed eas duntaxat, quas nos comminifcimur inter ens, relatum ad lemet ipsum, et ad non ens, cumcnim priroum, quod obiediue cadit in mentcrn nostram, fitcns, ftlfl  M. fit Ens, fiid simpliciter dictum, seu apprehensum, referarur ad femet ipsum, fefe pertinacifiime enuntiat, acrepetit Ens. Unde habemus hanc propositionem. “Ens est ens.” Qux est prima omnium per se notarum incommutabilium, non solum quia non sit lllata sed etiam quia non sit enuntiata, aut exarata abaho termino simpliciore, a nobis accurate in(pe&o. Ex hac propositione habetur haec. “Non ens est non ens.” Quae est notisima, citra ullam illationem: ignorarem tamen illam fi nelcirem hanc Ens eft ens.   Porro quod ensfit ens,^£quipollere videtur huic. Ens est se ipsum. Hinc vero fubinfero alias propositiones:Vnam ex eo, quod ens est  ensi in numeras ex eo, quod ens sit se ipsum vfic ergo argumentor;  Hoc, “Ens est ens.” Ens vero est impossibile, fit Non-ens: Ergo hoc ens non est Non ens. Hoc Ens est se ipsum: ld autem, quod est se ipsum, impossibile est sit ullum aliorum entiu. Ergo hoc ens non est ullum aliorum entium, scilicet: Hoc: “Ens non  est ens”, nunc upatum A.nequc ens nunc upatum E, neque vJlum aliud,  ex omnibus,quae exiftunt. Quoniam vero enri, vniuerfalisfime confiderato, licet fubfumere  quotquot funt entium cxiftentium6c exindeformare propofitiones,  et ilIanones, prasfatis analogas, uno exemplo commonstro, ut ld fiat. “Theophilus est Thcophilus.” “Theophilus est se ipsum.” Hmc fic argumentot “Theophilus est Theophilus” Id quod eft Theophilus imposfibile eft. sit simul non Theophilus. Ergo Theophilus non est simul non Theophilus.” “Theophilus est se ipsum.” Id, quod est se ipsumi impossibilc est, sit vllum ahorum cntium. Ergo Theophilus non est vllum nlioium cncium.   Scilicet Theophilus non ctl Pctius; non hic Lco, non hic lapis, non vllumaliorurn cntium. Quoddixidc Theophilo, idv erificatur de quocunquc alioente,  quo Axiomata quomodo libet confidermo. v.g. Ens ad tu est enfac5 Hi ; est re ipsum. Ens m porcnua,cft cns in porcntia, elUe iplum. i. urrens elt curtens, est se ipsum. Quin iramo aufim diceie Non ens eft non-ens.est se ipsum. Sic enim argurnentor Non-Ens est non-ens At Non-ens est impossibile fu Eus Ergo Non ens non est Ens. Non Theophilus est non Theophilus, At non Theophilus est impossibilc quod sit non-ens, aliud anon Theophilo. Ergo Non-Theophilus non est non-ens, aliud a non-Theophilo. Neque bexiftimes harum propositionum luillum ef cvsum in Philosophuv. tu iple ex pericris freqnent! flimum, £ximiumque solatium ex-cuidentiflima incommutabiluatehuiul modi propohuonum: faepius enim infertur condufio tam recondita, tantique momenti in PHILOSOPHIA, vt trepidi exhibeamus noftrum aflinfum. Verum conie&i   incam necessitatem qucc nos compellat, aut aflentiri illatfe conclusionem, aut negare ens esse se ipsum, inttepidi aflentimur illatae conclufioai. Ni> Haenimeftillatio, quae vimillatiuaranon fibi derivet ab hacptopofuione. “Ens est ens.” Id uno syllogismo ostendo  Luna loco movetur Id, quod-loco mauetur, neceflari61oco-inoiieturabaHo:  Ergo luna Loco movetur ab alio. Quod Locob meueatur, cernisoculocorporali, quod vcro Ens loco-motum incommutabiluer moueatur ab alio.cernis oculo mentali. lraque pr^bueris assensum duabus illis prasmiflis, et tamen trepides affeiuui conclusioni, cogeris praebere affcnfum, fi animaduertas, ex negata conclusione, et conceflis premissis necessario sequi, Lunam simul  moveri et non moveri. Quod moveatur supponitur in minore: quod  loco morum neceflario moucaturabalio,concediiurin maiore. Ac impossibile est junam moueri Localiter, et non moueri locabiliter, si  non sit possubiIe, Ens simul esse ens, et Non-ens.id sctb est impossibilccum ens necessario sit ens.   Hoc confirmatio cuiuscunque illationis dicitur a Philofophis probatio pet impossibile  Itaqueens quod cunquc simpliciter dictum fefc ex erit in propositionem hanc identicara. I o VtUrUni Mtgni   Ens est Ens; Ens est se ipsum Ex quibus citra illationem habemus has, “Non ens est non ens.” Non-Hns.eft fe ipsum   I:x quibus qualitcrcunqjtc ratiocinando habcmus has,  Ensnondt Non Ens  Non Ens non eit ens Habes ergo Theophilo ex rarione, comrauni omnibus entibus, unam primam, vniuet falisfimamque propolirionem, incommutabilem, per se notam, ex qua ratiocinando intuli alias. At vero nulla cearumillationumfunr reales, quandoquidemhabitudo, aut affirmata,  aut neg3ta, non est realis. Negata non est realis, quia non negatuc habitudo vlla, sed ipsum Ensdealio ente: Habitudo autem non est affirmata non est realis.-nam termininon sunt realiter distin- ens cthpraratae enim habitudines affirmatae, funt habitudines identitatis,  inquibusens, vt fubijcitur, non diueifificatur afe, vt praedicatur. lllx enim propolirones, quas in Logica denominavi identicas, non fuiil i eales, immo nec sunt propofuioncs, sed dnftiones. Ut enira  is, qui dicit, fecernit ens dictum a rdiquis entibus, fic qui statuit lllud ipsum Ens clTe se ipsum et: non esTc ullum aliorum entium, concipic ens catenus cognitum, velut sit indiuisum in fe,& d uifum ab alijs, jicl  vero nolTe de aliquo cnte, est dicere ens illud. Non tamen inuoluo dictioni mdicium, fcdaio, iudicium de illis propositiombus non esse realcjecquidem icio eiufmodi affirmationes et negationes elle notitias intellectuales entium,cognitorum infra intelledioncm ed hanc  distinctionem reieruo in alium locum. Grice e Grice, Grice ha Grice, Grice izz Grice, Grice hazz Grice. Valeriano Magni. Magni. Keywords: implicatura. Luigi Speranza, “Grice e Magni: ‘Paolo e Paolo: assiomi e principi metafisici” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Gri

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