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Tuesday, January 28, 2025

LUIGI SPERANZA -- GRICE ITALO A-Z L LA

 

Luigi Speranza -- Grice e Lalla: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nella selezione sessuale di Nerone, il musicista – filosofia friuliana – la scuola di Trieste -- filosofia triestina – filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste). FIlosofo italiano. Trieste, Friulia Venezia Giulia -- Grice: “I have been called a Darwinist, which offended de Lalla!” -- Figlio unico di Achille de Lalla  e Anna Millul.  Il padre, nato a Napoli da famiglia originaria di Tolve, aveva intrapreso la carrriera militare, giungendo a ricoprire il grado di Tenente colonnello dell'esercito e congedandosi con il grado di Generale dell'esercito. Prese parte alla Prima guerra mondiale nonché alla Seconda guerra mondiale, dove rimase ferito alla spalla destra in Russia. Fu in seguito Dirigente dell'Istituto per la Ricostruzione Industrial. Achille de Lalla era figlio di Ludovico e di Maria Buonomo, figlia a sua volta di Alfonso Buonomo, compositore e musicista napoletano di fama.  La madre Anna Millul era nata a Roma in una famiglia ebrea originaria di Livorno. Si laurea, allievo di Kalinowski di cui traduce in italiano il saggio "Interpretazione giuridica e logica delle proposizioni normative".  Scappa a Parigi, prendendo parte al Maggio. Tuttavia, fu tra i primi ad intuire che il Partito Comunista francese non aveva alcuna seria intenzione politica di sostenere la Contestazione e, in anticipo sul fallimento dell'iniziativa giovanile, lascia la Francia rientrando in Italia deluso. Studioso di Evoluzionismo e Politologia, e è proprio sulle sue teorie sull'Evoluzione umana e sul pensiero di Darwin che scrive l'opera “La selezione sessuale”. Insegna a Siena e Napoli. A testimonianza del grande successo che riscuotevano i suoi corsi universitari, rimane la petizione indetta dagli studenti affinché il Senato Accademico li prorogasse per un biennio.  Gl’ultimi anni Ritiratosi a vita privata, muore a Napoli nella tarda serata del 25 settembre  d'infarto mentre attende alla redazione della sua ultima opera. Est Deus in nobis Contributo alla Nuova Evangelizzazione e, nelle intenzioni dell'autore, avrebbe dovuto costituire il completamento della trilogia iniziata con Evoluzione e proseguita con La Comunità Democratica.Convinto assertore della superiorità del Diritto pubblico rispetto a quello privato, si è sempre posto a tutela delle prerogative statuali.  Convinto assertore dei rischi della dilagante esterofilia in campo politico e fondamentalmente euroscettico negli ultimi anni di riavvicinamento al cattolicesimo, ideò un progetto di edificazione di un nuovo partito politico che, nelle sue teorizzazioni avrebbe assunto il nome di PARTITO CRISTIANO COMUNITARIO (DEMOCRATICO) ITALIANO PCC(D)I.  Saggi: “Il concetto legislativo di azione penale” (Jovene, Napoli); “La scelta del rito istruttorio” ( Jovene, Napoli); “Logica della prove penale” (Jovene Napoli); “La pena militare” (Jovene, Napoli); “Topografia politica della repubblica” (Scientifiche, Napoli); “Il completamento istruttorio del giudice nelle indagini preliminari in "Riv. it. dir. e proc. pen."); “Evoluzione,” “Darwin e la selezione sessuale” (Salerno, Roma); “ Selezione sessuale” (Scientifiche, Napoli); “La comunità democratica: idee per una politica nuova” (Guida, Napoli) – concetto di KRATOS --“Comunitarismo” (Guida, Napoli); “Nerone, o Musica nella antica Roma”  (Guida, Napoli); “Composizioni musicali Per pianoforte Sonata n.° 1 Suite "italiana" Sonata n.° 2 Sonata n.° 3 "napoletana" Musica da camera Sonata per violino e violoncello Sonata per violino e pianoforte Sonata per violini, viola e violoncello Note  de Lalla F., Una famiglia borghese, Ed. Ibiskos   de Lalla F.,   in "Il foro penale" ilcambiamento,// ilcambiamento/ articoli/ evoluzione_2_ darwin_de_ lalla_millul. ateneapoli,// ateneapoli/news/ archivio-storico/ reintegro-del-prof-de-lalla-il-consiglio- di-facolta--si-esprime- negativamente.  petizioni.com/ petizione _pro_prof_paolo de_lalla. Grice: “When I hear that a philosopher has written yet another trattarello on the filosofia della musica, I always thought not of Orpheus and his lute, but of NERO and his lyre!” -- Paolo de Lalla Millul. Paolo de Lalla. Lalla. Keywords: evolutionary, sexual selection, Nerone, filosofia della musica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lalla” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Latini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- l’implicatura rettorica di Publio e Cicerone -- implicatura – filosofia toscana – la scuola di firenze – filosofia fiorentina – scuola fiorentina --  filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Grice: “Latini reminds me of Hardie; he was Aligheri’s mentor; Hardie mine!” -- Grice: “People say it all starts with Alighieri; but the real ‘filosofo’ behind Alighieri surely is Burnetto – he has chapters on ‘Platone,’ ‘Aristotele,’ and the rest of them.”  «Poi si rivolse, e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve di costoro quelli che vince, non colui che perde»  (Divina Commedia). Figlio di Buonaccorso e nipote di Latino Latini, appartenente ad una nobile famiglia. Le fonti storiche e una serie di documenti autografi testimoniano la sua attiva partecipazione alla vita politica di Firenze. Come egli stesso narra nel Tesoretto, fu inviato dai suoi concittadini alla corte di Alfonso X per richiedere il suo aiuto in favore dei guelfi. Tuttavia, la notizia della vittoria dei ghibellini a Montaperti lo costrinse  all'esilio in Francia. I cambiamenti politici conseguenti alla vittoria di Carlo I da Benevento sconsentirono il  suo ritorno in Italia. Fu risarcito del torto subito, con il titolo di Segretario del Consiglio della repubblica, stimato ed onorato dai suoi concittadini.  La sua influenza divenne tale che a partire si trova a malapena nella storia di Firenze un avvenimento pubblico importante al quale non abbia preso parte. Contribuì notevolmente alla riconciliazione temporanea tra guelfi e ghibellini detta "pace di Latino".  PPresiedette il congresso dei sindaci in cui fu decisa la rovina di Pisa. Elevato alla dignità di Priore. Questi magistrati, in numero di dodici, erano stati previsti nella costituzione. La sua parola si fa frequentemente sentire nei Consigli generali della repubblica. Era uno degli arringatori, od oratori, più frequentemente designati. Nel Canto XV dell'Inferno Dante lo incontra tra i sodomiti, violenti contro Dio nella natura. Siamo nel terzo girone del settimo cerchio; Dante e Virgilio camminano su un piano rialzato rispetto alla landa desolata in cui i dannati procedono. Alighieri, che era stato allievo di Latini, è profondamente scosso, e non nasconde verso il maestro una persistente ammirazione. Latini è il primo nella Commedia a toccare fisicamente Alighieri, tirandolo per la veste. Altre opera:“Il Tesoretto,” poema (incompiuto o mutilo) scritto in volgare fiorentino, in settenari a rima baciata, narrato in prima persona.  L'autore definisce l'opera Tesoro, ma il nome “Tesoretto” è presente già nei manoscritti più antichi,  presumibilmente per distinguerla dalle traduzioni italiane del “Tresor”. Il protagonista, sconfortato dalla notizia della disfatta di Montaperti, si perde in una "selva diversa". Nella sua peregrinazione si imbatte nelle personificazioni della Natura e delle Virtù, che gli illustrano la composizione del Mondo e i modelli di comportamento cortesi. Il “Tesoretto” si interrompe nel momento in cui il protagonista incontra Tolomeo, che sta per spiegargli i fondamenti dell'astronomia. Influenzato da un lato dal romanzo cortese, dall'altro dai poemi allegorici, realizza un'opera che da una parte della critica è ritenuta tra i precursori diretti della Commedia (Venezia, Melchiorre Sessa il Vecchio); “Li livres dou Tresor” e la più celebre, scritta durante l'esilio in Francia, in lingua vernaculare, perche "è la parlata più dilettevole e più comune tra tutte le lingue.” Consta di tre libri e risulta la prima enciclopedia volgare in senso proprio. Altri testimoni sono stati segnalati in seguito da Squillacioti, Divizia e Giola.  Il primo libro tratta dell’origine di tutto. Tra gl’argomenti affrontati vi sono un'ampia storia universale, dalle vicende dell'Antico e del Nuovo Testamento alla battaglia di Montaperti, elementi di medicina, fisica, astronomia, geografia, e architettura, e un bestiario. Si trova, in questo primo libro, una delle menzioni più antiche che conosciamo di una bussola e l'indicazione della sfericità della terra. Nel secondo libro si tratta dei vizi e delle virtù, attingendo sostanzialmente dall'Etica Nicomachea. Il terzo libro riguarda principalmente la retorica. Utilizza come fonti Platone, Aristotele, Senofane, il romano Publio Vegezio e Cicerone.  Altre opera: è inoltre autore di un altro breve poemetto, “il Favolello”, di una “Rettorica” volgarizzamento e commento del De inventione di Cicerone, nonché dei volgarizzamenti di tre orazioni ciceroniane (Pro Ligario, Pro Marcello, Pro rege Deiòtaro). Jauss, Alterità e modernità della letteratura medievale, Boringhieri S. Sarteschi, Dal "Tesoretto" alla "Commedia": considerazioni su alcune riprese dantesche dal testo di Latini, in "Rassegna di letteratura italiana", B. Latini, Tresor; G. Beltrami Squillacioti Torri e S. Vatteroni” (Torino, Einaudi); A. D'Agostino, Itinerari e forme della prosa, in Storia della letteratura italiana” (Roma, Salerno); Tresor. Beltrami, Squillacioti, Torri, Plinio, Torino). Aggiunte (e una sottrazione) al censimento dei codici delle versioni italiane del "Tresor”, Medioevo romanzo,  La tradizione dei volgarizzamenti toscani del Tresor con un'edizione critica della redazione alfa. Verona. Edizione del volgarizzamento toscano.  La colonna posta dove è stata riscoperta la sua tomba, Santa Maria Maggiore; “Livres dou Tresor” (Vineggia, per Gioan Antonio et fratelli da Sabbio, ad instanza di N. Garanta et Francesco da Salo); Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tesoretto. In G. Contini, Poeti del Duecento, Ricciardi, Milano. A scuola con ser Brunetto. Indagini sulla ricezione dal Medioevo al Rinascimento. Atti del convegno di studi, Basilea, I. Maffia Scariati, Firenze, Galluzzo, D'Arco Silvio Avalle, Ai luoghi di delizia pieni, Ricciardi, Milano, A. Carrannante, "Implicazioni dantesche: Brunetto Latini (Inf. XV)", "L'Alighieri", Enciclopedia dantesca, ad vocem, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, P. Fornari, Dante e Brunetto, Co-Op, Varese, Poi in: Pro Dantis virtute et honore, Co-Op Varese,  L. Frati, Brunetto Latini speziale, "Il giornale dantesco", F. Maggini, La «Rettorica» Latini, Firenze, Galletti e Cocci, U. Marchesini, Due studi biografici, Atti dell'Istituto Veneto", "La posizione del Latini nel canto XV dell'Inferno dantesco"). Merlo, E se Dante avesse collocato Brunetto Latini tra gli uomini irreligiosi e non tra i sodomiti?, "La cultura", Poi in: Saggi glottologici e letterari, Hoepli, Milano, Fausto Montanari, "Cultura e scuola", Antonio Padula, Il Pataffio, Dante Alighieri, Milano, Roma e Napoli, Manlio Pastore Stocchi, Delusione e giustizia nel canto XV dell'Inferno, "Lettere italiane"(poi in: Letture classensi,  Longo, Ravenna; "Representations", R. Santangelo, "Tutti cherci e litterati grandi e di gran fama": "Il sogno della farfalla. Rivista di psicoanalisi", M. Scherillo, Alcuni capitoli della biografia di Dante, Loescher, Torino Thor Sundby, Della vita e delle opera (Monnier, Firenze); Alighieri Storia di Firenze Divina Commedia, Il Favolello Il Tesoretto. Treccan Enciclopedie  Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, sRegesta Imperii, su opac.regesta-imperii.de. Portal, su florin.ms. G. Orto, L.. Tommaso Giartosio, Dante e Brunetto Latini. Tratto da: Perché non possiamo non dirci. Letteratura, omosessualità, mondo, Feltrinelli, Milano, Concordanze del libro del Tesoretto, su classicis tranieri, Li livres dou trésor, ed. par Polycarpe Chabaille, Paris M. Giacomelli. La rettorica. Qui comincia lo 'usegnamento di rettorica, lo quale è ritratto in vulgare de' libri di Tullio e di molti filosofi per ser Burnetto Latino da Firenze. Là dove è la lettera grossa si è il testo  di Tullio, e la lettera sottile sono le parole de lo sponitore. Incomincia il prologo. Sovente e molto ò io pensato in me medesimo se la copia  del DICERE e lo sommo studio dell’ELOQUENZA àe fatto più bene o più male agl’uomini et alle città. Però che quando considero li dannaggii del nostro comune e raccolgo nell' animo l’antiche aversitadi delle grandissime città, veggio che non picciola parte di danni v’è messa per uomini molto parlanti sanza sapienza. Qui parla lo sponitore. RETTORICA èe SCIENZA di due manière. Una la quale insegna dire, e di questa tratta Tulio nel suo saggio. L’altra  insegna dittare, e di questa, perciò che esso non ne trattò cosi del tutto apertamente, si nne tratterà lo sponitore nel  processo del saggio, in suo luogo e tempo come si converrà. Rettorica s' insegna in due modi, altressì come l’altre scienzie, cioè di fuori e dentro.Verbigrazia: Di fuori s'insegna dimostrando che è rettorica e di che generazione, e  quale sua materia e lo suo officio e le sue parti e lo suo propio strumento e la fine e lo suo artifice. Ed in questo  modo tratta BOEZIO nel quarto della Topica. Dentro s'insegna questa arte quando si dimostra che sia da fare sopra LA MATERIA DEL DIRE e del dittare, ciò viene a dire come si debbia fare lo exordio e la narrazione e L’ALTRE PARTI DELLA DICIERIA o della pistola, cioè d'una lettera dittata. Ed in ciascuno di questi due modi ne tratta Tulio in questo suo saggio. Ma in perciò che Tulio non dimostra che sia rettorica né quale è '1 suo artefice, sì vuole lo sponitore per più chiarire l'opera dicere l'uno e l'altro. Ed èe rettorica una scienzia DI BENE DIRE, ciò è rettorica quella scienzia per la quale noi saperne ORNATAMENTE dire e dittare. Inn altra guisa è così diffinita. Rettorica è  scienzia di ben dire sopra la causa proposta, cioè per la quale noi sapemo ornatamente dire sopra la quistione aposta. Anco àe una più piena difiìnizione in questo modo. Rettorica è scienza d'usare piena e PERFETTA ELOQUENZA nelle  publiche cause e nelle private. Ciò viene a dire scienzia per la quale noi sapemo parlare pienamente e perfettamente nelle publiche e nelle private questioni. E certo quelli parla pienamente e perfettamente che nella sua diceria mette parole adorne, piene di buone sentenzie. Publiche questioni son quelle nelle quali si tratta il convenentre d'alcuna città o comunanza di genti. Private sono quelle nelle quali si tratta il convenentre d'alcuna spiciale persona. E ttutta volta è lo 'ntendimento dello sponitore che  queste parole sopra '1 dittare altressì come sopra '1 dire siano, advegna che tal puote sapere bene dittare che non àe ardimento o scienzia di profiferere le sue parole davanti alle genti; ma chi bene sa dire puote bene sapere dittare.  Avemo detto che è rettorica, or diremo chi è lo suo  artifice. Dico che è doppio, uno è rector e l'altro è orator. Verbigi-azia. Rector è quelli che 'nsegna questa  scienzia SECONDO LE REGOLE e comandamenti dell'arte. Orator è colui che poi che elli àe bene appresa l'arte, sì l’usa in dire ed in dittare sopra le questione apposte, sì come sono li buoni parlatori e dittatori, sì come fue maestro Piero dalle Vigne, il quale perciò fue agozetto di Federigo II imperadore di Roma e tutto sire di lui e dello 'mperio. Onde dice Vittorino che orator, cioè lo parlatore, è uomo buono e bene insegnato di dire, lo quale usa piena e perfetta eloquenza nelle cause publiche e private. Ora àe detto lo sponitore che è rettorica, e del suo artifice, cioè di colui che la mette in opera, l'uno insegnando l'altro dicendo. Ornai vuole dicere chi è l'autore,  cioè il trovatore di questo saggui, e che fue LA SUA INTENZIONE in questo saggio, e di che tratta, e la cagione per che lo saggio è composto e che utilitade e che tittolo à questo saggio. L' autore di questa opera è doppio. Uno che di tutti i detti de' filosofi che fuoro davanti lui e dalla viva fonte del suo ingegno fece suo libro di rettorica, ciò fue Marco Tulio Cicerone, il più sapientissimo de' romani. Il secondo è Brunetto de’ Latini, cittadino di Firenze, il quale mise tutto  suo studio e suo intendimento ad isponere e chiarire ciò che Tulio dice. Ed esso è quella persona cui questo saggio appella sponitore, cioè ched ispone e fae intendere, per lo suo propio detto e de' filosofi e maestri che sono passati, il saggio di Tulio, e tanto più quanto all'arte bisogna di quel che fue intralasciato nel saggio di Tulio, sì come il  buono intenditore potràe intendere avanti. La sua intenzione fue in questa opera dare insegnamento a colui per cui amore e' si mette a fare questo  trattato de parlare ornatamente sopra ciascuna questione  proposta.  Et e' tratta secondo la forma del saggio di CICERONE di tutte le parti generali di rettorica. Verbigrazia. L’invenzione, cioè, il trovamento di ciò che bisogna sopradire alla materia proposta; e dell'altre iiij° secondo che sono nel secondo saggio che CICERONE fa ad Erennio suo amico, sopra le quali il conto dirà ciò che ssi converrà. La cagione per che questo saggio è fatto si è cotale, che Latini, per cagione della guerra la  quale fue traile parti di Firenze, fue isbandito della terra quando la sua parte guelfa, la quale si tenea col papa e  colla chiesa di Roma, fue cacciata e sbandita della terra. E poi si n'anda in Francia per procurare le sue vicende,  e là trova uno suo amico della sua città e della sua parte, molto ricco d'avere, ben costumato e pieno de grande senno, che Ili fece molto onore e grande utilitade, e perciò l'apella suo porto, sì come in molte parti di questo saggio pare apertamente; et era parlatore molto buono naturalmente, e molto disidera di sapere ciò che' savi aveano detto intorno alla rettorica; e per lo suo amore Latini, lo quale era l)uono intenditore di lettera  et era molto intento allo studio di rettorica, si mette a fare questo saggio, nella quale mette innanzi il testo di Tulio per maggiore fermezza, e poi mette e giugne di sua scienzia  e dell'altrui quello che fa mistieri. L' utilitade di questo saggio è grandissima, però che  ciascuno che sa bene ciò che comanda lo libro e l'arte,  sì sa dire interamente sopra la questione apposta. E in questo punto si parte elli  da questa materia e ritorna al propio intendimento del  testo. In questa parte dice lo sponitore che CICERONE, vogliendo che rettorica fosse amata e tenuta cara, la quale  al suo tempo e avuta per neente, mise davanti suo prolago in guisa di bene savi, nel quale purga quelle cose che pareano a lui gravose. Che si come dice BOEZIO nel commento sopra la Topica, chiunque scrive d'alcuna materia  dee prima purgare ciò che pare a lui che sia grave; e  così fa CICERONE, che purga tre cose gravose. Primieramente i mali che veniano per copia di dire. Apresso la sentenza di Platone, e poi la sentenza d'Aristotele. La sentenza di Platone e che rettorica non è arte, ma è NATURA per ciò che vede MOLTI BUONI DICITORI PER NATURA e non per insegnamento d'arte. La sentenza d'Aristotile fa cotale, che rettorica è ARTE, ma REA, per ciò che per eloquenza parca che fosse a venuto più male che bene a' comuni e a' divisi. Onde CICERONE purgando questi tre gravi  articoli procede in questo modo. Che in prima dice che sovente e molto ae pensato che effetto proviene d'eloquenza. Nella seconda parte pruova lo bene e '1 male chende venia e qual più. Nella terza parte dice tre cose. In prima, dice che pare a lui di sapienzia; apresso dice che pare a lui d' eloquenzia. E poi dice che pare a lui di sapienza ed eloquenzia congiunte insieme. Nella quarta parte sì mette  le pruove sopra questi tre articoli che sono detti, e conclude che noi dovemo studiare in rettorica, recando a ciò molti argomenti, li quali muovono d' onesto e d' utile e lo possibile e necessario. Nella quinta parte mostra di  che e come egli tratta in questo saggio. E poi che nel suo cuminciamento dice come molte fiate e lungo tempo pensa del bene e del  male che fosse advenuto, immantenente dice del male per accordarsi a' pensamenti delli uomini che si ricordano più d'uno nuovo male che di molti beni antichi; e cosi Tulio, mostrando di non ricordarsi delli antichi beni, s' infigne di biasraare questa scienzia per potere più di sicuro lodare e  difendere. E per le sue propie parole che sono scritte nel testo di sopra potemo intendere apertamente che in  queste medesime parole ove dice che i mali che per eloquenza sono advenuti e che non si possono celare, in quelle  medesime la difende abassando e menimando la malizia. Che là dove dice dannaggi si suona che siano lievi danni  de' quali poco cura la gente. E là dove dice del nostro comune altressì abassa del male, acciò che più cura l'uomo del propio danno che del comune; e dicendo NOSTRO comune intendo ROMA, però che Cicerone e cittadino di Roma nuovo e di non grande altezza; ma per lo suo senno fue in sì alto stato che TUTTA ROMA si tenea alla sua parola, e fue al  tempo di Catellina, di Pompeio e di Giulio Cesare, e per lo bene della terra fue al tutto contrario a Catellina. Et  poi nella guerra di Pompeio e di Giulio Cesare si tenne  con Pompeio, sicome tutti ' savi eh' amano lo stato di  Roma. E forse l'appella nostro comune però che ROMA èe capo del mondo e comune d'ogne uomo. Et là dove  dice l'antiche adversitadi altressì abassa il male, acciò  che delli antichi danni poco curiamo. Et là dove dice grandissime cittadi altressì abassa '1 male, però che, sì  come dice il buono poeta LUCANO, non è conceduto alle  grandissime cose durare lungamente; e l'altro dice che le grandissime cose rovinano. E così non pare che eloquenza sia la cagione (iel male  che viene alle grandissime città. E là dove dice che  danni sono advenuti per nomini molto parlanti 'sanza sapienza, manifestamente abassa '1 male e difende rettorica,  dicendo che '1 male è per cagione di molti parlanti ne' quali non regna senno. E non dice che il male sia per eloquenza,  che dice Vittorino. Questa parola eloquenza suona bene. E del bene non puote male nascere. Questo è bello colore rettorico, difendere quando mostra di biasmare ed accusax'e quando pare che dica lode. E questo modo di parlare àe nome INSINUAZIONE, O IMPLICATURA, del quale dice il saggio in suo luogo. Et qui si parte il conto da quella prima parte del prologo nella quale CICERONE dice il suo pensamento ed dice li mali avenuti, e ritorna alla seconda parte nella quale dimostra de' beni che sono pervenuti per eloquenza. Sì come quando ordino di ritrarre dell'anticiie scritte le cose che sono fatte lontane dalla nostra ricordanza per loro antichezza, intendo che eloquenza congiunta con ragione d'animo, cioè con sapienza, piìie agevolemente àe potuto conquistare e mettere inn opera ad edifficare cittadi, a stutare molte battaglie, fare fermissime compagnie et anovare santissime amicizie. Poi che Cicerone divisa li mali che sono per eloquenza, sì divisa in questa parte li beni, e CONTA PIU BENI CHE MALI perciò che più intende alle lode. E  nota che dice son messe ordinatamente acciò che prima si raunaro gli uomini insieme a vivere ad una ragione et a buoni costumi et a  multiplicare d' avere ; e poi che furo divenuti ricchi montò  tra lloro invidia e per la 'nvidia le guerre e le battaglie.  Poi li savi parladori astutaro le battaglie, et apresso gl’uomini fecero compagnie usando e mercatando insieme; e  di queste compagnie cuminciaro a ffare ferme amicizie per  eloquenzia e per sapienzia. 3. Ma ssi come dice e signifficano  queste parole, per più chiarire l'opera è bene convenevole  di dimostrare qui che è cittade e che è compagno e che è   15. amico e che è sapienzia e che è eloquenzia, perciò che Ilo  sponitore non vuole lasciare un solo motto donde non dica  tutto lo 'ntendimento. Che è cittade. Cittade èe uno raunamento di gente  fatto per vivere a ragione; onde non sono detti cittadini   20. d'uno medesimo comune perchè siano insieme accolti dentro ad uno muro, ma quelli che insieme sono acolti a vivere  ad una ragione.  Che è compagno. Compagno è quelli che per alcuno  patto si congiugne con un altro ad alcuna cosa fare; e di questi dice Vittorino che se sono fermi, per eloquenzia poi  divegnono fermissimi. Che è amico. Amico è quelli che per uso di simile  vita si congiugne con un altro per amore insto e fedele. Verbigrazia: Acciò che alcuni siano amici conviene che siano d'una vita e d'una costumanza, e però dice «per uso  di simile vita » ; e dice « giusto amore » perchè non sia a  cagione di luxuria o d' altre laide opere ; e dice « fedele     i'-in compimento dell'altre parole ecc. Jf' cioè hediDcar .»/ aslroppiarc,  m a storpiare caunano, corretto poi in raunarono  Af ad avere una ragione, m  "al avere una medesima ragione M l'uno, -If' fuor {cfr. Tesor., vii, 54)  il' montò loro M-m parlando anno attutato - le guerre  il.' M forme amicitio, »» forme  d'amie i^:mdichono i^.- m dimostrare quello  io.- Af' 7 che sapientla 7 che eloq. .»/' volle intralasciare de genti  V-m raccolti - SI: m rachollì 25: M son  S7 : M-m che è coiiipannia  M' si i>  28 : .V ad un altro  3U' porciò  31 . .tf ' conduco insto am. fcerlo per scambio dell'abbreviatura di et con quella di con) U ad altre amore » perchè non sia per gnadagneria o solo per utilitade, ma sia per constante vertude. Et cosi pare manifemente che quella amistade eh' è per utilitade e per dilettamento nonn è verace, ma partesi da che '1 diletto e l'uttilitade menoma. Che è sajoiemia. Sapienzia è comprendere la verità  delle cose si come elle sono.  Che è eloquenzia. Eloquenzia è sapere dire addome  parole guernite di buone sentenzie. 10. TnUio. Et così me lungamente pensante la ragione stessa mi mena  in questa fermissima sentenza, che sapienzia sanza eloquenzia sia  poco utile a le cittadi, et eloquenzia sanza sapienza è spessamente  molto dampnosa e nulla fiata utile. Per la qual cosa, se alcuno in l.ó. tralascia li dirittissimi et onestissimi studii di ragione e d'officio e  consuma tutta sua opera in usare sola parladura, cert' elli èe cittadino inutile al sé e periglioso alla sua cittade et al paese. Ma quelli  il quale s' arma sie d'eloquenzia che non possa guerriere contra il  bene del paese, ma possa per esso pugnare, questo mi pare uomo e   20. cittadino utilissimo et amicissimo alle sue (>) et alle publiche ragioni.   Lo sponitore. Poi che CICERONE ha dette le prime due parti del suo  prologo, si comincia la III parte, nella quale dice tre cose.  Imprima dico che pare a llui di sapienzia, infino là dove  25. dice : « Per la qual cosa ». Et quivi comincia la seconda,  nella quale dice che pare a llui d'eloquenzia, infino là ove  dice : « Ma quello il quale s' arma ». Et quivi comincia la  terza, ne la quale dice che pare a llui dell'una e dell'altra  giunte insieme.     3: M' om. e  4: M- pdesi  m diloclamento 7 l'util., .tf' l'utilitade 1 diloclo   8-9: .»/ ad ongno parole, m ogni paroleM-m om. sia.... sapienza  i-J : M' om. molto ^  i5: M-m lassa indireotissimi (m idireuissimi)  IG: M-m sola la parlatura  18: 3l-m  sama  .)/ giuriare, m ingiuriare  Ì9-20.- .1/ luiomo cittadino, »i mi pare cittadino  .V-»i  a' suoi  .?3 • .1/ conincìa  S4 : M insini, .)/' inlìn là ove (cfr. Tcsnr.. xi, 1074)  So:  yr-ìii dice jiarla  M-m qui - 26: M insino  m là dove M-m la (|ual dice.   (1) Questa lezione è oonfennata dal § 5 del coniuiento: « utile a ssè et al  suo paese. Onde dice Vittorino: Se noi volemo mettere avacciamente in opera alcuna cosa nelle cittadi, sì ne conviene  avere sapienzia giunta con eloquenzia, però che sai)ienzia  sempre è tarda. Et questo appare manifestamente in alcuno  V 5. savio che non sia parlatore, dal quale se noi domandassimo  uno consiglio certe noUo darebbe tosto cosìe come se fosse  bene parlante. Ma se fosse savio e parlante inmantenente  ne farebbe credibile di quel che volesse. 3. Et in ciò che  dice Tulio di coloro che 'ntralasciano li studii di ragione e d' officio, intendo là dove dice « ragione » la sapienzia, e  là dove dice « officio » intendo le vertudi, ciò sono prodezza,  giustizia e l'altre vertudi le quali anno officio di mettere  in opera che noi siamo discreti e giusti e bene costumati. Et però chi ssi parte da sapienzia e da le vertudi e studia   15. pure in dire le parole, di lui adviene cotale frutto che, però  che non sente quel medesimo che dice, conviene che di lui  avegna male e danno a ssè et al paese, però che non sa  trattare le propie utilitadi uè Ile (i) comuni in questo tempo  e luogo et ordine che conviene. 5. Adunque colui che ssi  mette 1' arme d' eloquenzia è utile a ssè et al suo paese.  Per questa arme intendo la eloquenzia, e per sapienzia  intendo la forza; che sì come coli' arme ci difendiamo  da' nemici e colla forza sostenemo 1' arme, tutto altressì  per eloquenzia difendemo noi la nostra causa dall'aversario   2.5. e per sapienzia ne sostenemo (2) di dire quello che a noi  potesse tenere danno. Et in questa parte è detta la terzia  parte del prologo di Tulio. 6. Dunque vae il conto alla  quarta parte del prologo, per provare ciò eh' è detto davanti et a conducere che noi dovemo studiare in rettorica     i : M Lande  M' avacciatamente, ma L avacciamente  S: m si cci conv.  0; m  ODI. cosio, M e' noi darebb»; cos'i tosto M' credibile quello, m di quello  .)/' disse   10: .Vi om. il 2' et  12: .»/' et altro  13: .»f' che non siano  i4.- .V-m dall'altre vertufli  15:m adiviene  16 : jn a lini  : solo L nelle ; (jli altri mss. e S nelli (.)/' nel!) -19: M Adunque che colui  22: M-m torma  M ne dil'ondono, m noi ci difendiamo   23: il l'armi - 23-24: Af difendo  m così altresì la eloquenzia difendo noi dal nostro  aversario la nostra cliausa  25: m om. ne; S non sostenemo  26: m a noi potesse avejjire (li danno, .V che noi potessimo tenere danno  28-29: m dinanzi e; Jfi om. et.   (1) Cos'i richiede il senso; la lezione nelli ò nata certamente dall'aver preso  l'aggettivo comuni per un sostantivo.   (2) Intendo ne sostenemo = « ci tratteniamo, ci asteniamo », coni' è richiesto  dal senso e secondo gli esempii citati dal Vocabolario della Crusca.  per avere eloquenzia e sapienzia: e sopra ciò reca Tulio  molti argomenti, li quali debbono e possono così essere, e  tali che conviene che sia pur così, e di tali eh' è onesta  cosa pur di cosi essere ; e sopra ciò ecco il testo di Tulio CICERONE in lettera grossa, e poi seguisce la disposta in lettera sottile secondo la forma del libro. Tullio CICERONE. Dunque se noi volemo considerare il principio d'eloquenzia  la quale sia pervenuta in uomo per arte o per studio o per usanza   lo. per forza dì natura, noi troveremo che sia nato d'onestissime  cagioni e che ssia mosso d'ottima ragione, (e. li) Acciò che fue un  tempo che in tutte parti isvagavano gli uomini per li campi in  guisa di bestie e conduceano lor vita in modo di fiere, e facea  ciascuno quasi tutte cose per forza di corpo e non per ragione   l.j. d'animo; et ancora in quello tempo la divina religione né umano  officio non erano avuti in reverenzia. Neuno uomo avea veduto legittimo managio, nessuno avea connosciuti certi figliuoli, né aveano  pensato che utilitade fosse mantenere ragione et agguallianza. E così  per errore e per nescìtade la cieca e folle ardita signorìa dell'animo, cioè la cupìditade, per mettere in opera sé medesima misusava le  forze del corpo con aiuto dì pessimi seguitatori. Lo sponitore. In questa parte del prologo vogliendo Tulio CICERONE dimostrare che ELOQUENZA nasce e muove jper cagione e   2.5. per ragione ottima et onestissima, sì dice come in alcuno   tempo erano gli uomini rozzi e nessci come bestie; e del   3: ìl-m tale  .1/' jdii' che cosi sia - 4 : m pure ili dovere così essere-, .1/' de pur essere   .5 J/ ' la spositione  9-tO: .»/' o per l'orca di natura o per usanca  H: m d'ottime  chagioni 7 ragione  12: il-m in tempo  13: it^ lor vita per li campi in modo de  bestie 7 de fiere  14: i/' om. e [non p. r.| M maritaggio  M iihylosofi, m lilosafi  18: M j gualianoa - 19: il^-L ignoranza, m necessitade  .»A' la cieca la folle 7  ardita  20: M-m per mette  M-m (fuivi susavano, l. masusavano  21:31' seguitori   23: M-1U nm. quarta  24: m om. e per ragione  26: il' nefa, m noscii. l'uomo dicono li filosofi, e la santa scrittura il conferma,  che egli è fermamento di corpo e d' anima razionale, la  quale anima per la ragione eh' è in lei àe intero conoscimento  delle cose. 2. Onde dice Vittorino: Sì come menoma la forza  5. del vino per la propietade del vasello nel quale è messo, cosie  r anima muta la sua forza per la propietade di quello corpo  a cui ella si congiunge. Et però, se quel corpo è mal disposto e compressionato di mali homori, la anima per gravezza del corpo perde la conoscenza delle cose, sì che  appena puote discernere bene da male, sì come in tempo  passato neir anime di molti le W quali erano agravate  de' pesi de' corpi, e però quelli uomini erano sì falsi et  indiscreti che non conosceano Dio né lloro medesimi. Onde  misusavano le forze del corpo uccidendo l'uno l'altro, tol 15. liendo le cose per forza e per furto, luxuriando malamente,  non connoscendo i loi'o proprii figliuoli né avendo legittime  mogli. Ma tuttavolta la natura, cioè la divina disposizione, non avea sparta quella bestialitade in tutti gli uomini igualmente; ma fue alcuno savio e molto bello dici 20. tore il quale, vedendo che gli uomini erano acconci a ragionare, usò di parlare a lloro per recarli a divina connoscenza, cioè ad amare Idio e '1 proximo, sì come lo sponitore dicerà per innanzi in suo luogo; e perciò dice Tulio  nel testo di sopra che eloquenzia ebbe cominciamento per   25. onestissime cagioni e dirittissime ragioni, cioè per amare  Idio e '1 proximo, che sanza ciò l' umana gente non arebbe  durato. 4. Et là dove dice il testo che gli uomini isvagavano per li campi intendo che non aveano case né luogo,     1: M' i figluoli (corretto poi lilosofi)  M' sucra  S : M' eh ehi ì\ l'ormato  3: intero è in M'-L; il lùlo (incerto?), m inerito  4: M Ondee  7 : m al (|uale  8: M-m  mali hiiomini  9: m per la gravezza  .«' de corpo iO: M bone dal mali', hi il bone  dal male  il: M'-L animo  .V-m i quali erano agravate, M'-L li quali orano aggravati  i2: W del peso de corpi, L de' pesi del corpo V in lor medesimo  14:  lU-m Ivi susavano  18: M-m nonn ào  M bestilitade  10: M' oiii. savio o  SI: W  tralloro  23: M' qa\ dinanzi - S4: W e cornine, >S ha cornine.  26-27: »l' non averla  durata, L non avrìa durato  i« K colà.   (1) È lezione congetìurale, ma l'unica possìbile : le quali si cambiò facilmente  in li quali (o i quali) per effetto del molti che precedeva, e da li quali, naturalmente, venne in M'-L anche il maschile angraoati invece di aggravate. Che si  tratti solo delle animo risulta da tutto il periodo, e in particolare dallo parole  - la anima per gravezza del corpo ».   ma andavano qua e là come bestie. 5. Et là dove dice che  viveano come fiere intendo che mangiavano carne cruda,  erbe crude et altri cibi come le fiere. 6. Et là dove dice  « tutte cose quasi faceauo per forza e non per ragione »  5. intendo che dice « quasi » che non faceano però tutte cose  per forza, ma alquante ne faceano per ragione e per senno,  cioè favellare, disidejare et altre cose che ssi muovono  dall' animo. Et là dove dice che divina religione non  era reverita intendo che non sapeano che Dio (D fosse. Et là dove dice dell' umano ofiìcio intendo che non sapeano vivere a buoni costumi e non conosceano prudenzia  né giustizia né l'altre virtudi. Et là dove dice che non  mauteneano ragione intendo « ragione » cioè giustizia, della  quale dicono i libri della legge che giustizia è perpetua e   15. ferma volontade d'animo che dae a ciascuno sua ragione. Et là dove dice « aguaglianza » intendo quella ragione  che dae igual i)ena al grande et al piccolo sopra li eguali  fatti. Et là doye dice « cupiditade » intendo quel vizio  eh' è contrario di temperanza; e questo vizio ne -conduce   20. a disidei-are alcuna cosa la quale noi non dovemo volere,  et inforza nel nostro animo un mal signoraggio, il quale  noi permette rifrenare da' rei movimenti. 12. Et là dove  dice « nescitade » intendo eh' è nnone connoscere utile et  inutile; e però dice eh' è cupidità cieca per lo non sapere,   25. e che non conosce il prode e '1 danno. 13. Et là dove dice  « folle ardita » intendo che folli arditi sono uomini matti  e ratti a ffare cose che non sono da ffare. 14. Et là dove  dice « misusava le forze del corpo » intendo misusare cioè     i-2: M-m om. Et là.... come licre  3 : M erbi ciiiili, .1/' 7 erbe crude  4-6: m l'aceano quasi per forza; poi, saltando al 2° forza, continua: ma al([uanle ecc.  7: .i/'-L  dice quasi perciò ke ne faciano | tutte cose per forza 7 non per ragione intendo Ice dice  quasi, ma alquante ne faceano M' che muovono  9: M-m chi idio  11: .1/' ne  prudenza  14: m' de legge  14-15: m' ferma 7 perpetua voluntà  /": .1/ egual    18: M' mìsfacti  M lae  .V quello e poi rasura su cui altra mano scrisse apetito,  t quello che contrario, S quello appetite V om. noi - 22: M-m non permette M-m necessilade, .V ignoranza che non conosce il prode ol danno ~ m intendo che  non è  m dal danno  27: .M-m e tratti, L orati  2é?: J/ emusavano, jiiemisusavano   .u misusere, .V' misure, L misusare  m che misusare è usare. Cioè « che Dio esistesse ». Così mi par preferibile per il senso; e la lezione  di M-m è facilmente spiegabile da un che Mio diventato eh' idio, chi dio; è vero  però che le ragioni paleografiche varrebbero anche per il caso inverso.  usare in mala parte ; che dice Vittorino che forza di corpo  ci è data da Dio per usarla in fare cose utili et oneste, ma  coloro faceano tutto il contrario. Ora à detto lo sponitore sopra '1 testo di Tulio le cagioni per le quali eloquenzia cominciò a parere. Omai dicerae in che modo  appario e come si trasse innanzi. Nel quale tempo lue uno uomo grande e savio, il quale  cognobbe che materia e quanto aconciamento avea nelli animi delli uomini a grandissime cose chi Ili potesse dirizzare e megliorare per  comandamenti. Donde costrinse e raunò in uno luogo quelli uomini  che allora erano sparti per le campora e partiti per le nascosaglie  silvestre ; et inducendo loro a ssapere le cose utili et oneste, tutto  che alla prima paresse loro gravi per loro disusanza, poi T udirò   15. studiosamente per la ragione e per bel dire; e ssì Ili arecò umili e  mansueti dalla fierezza e dalla crudeltà che aveano.   Lo sjaonitore.   1. In questa i)arte vuole Tulio dimostrare da cui e come  cominciò eloquenzia et in che cose ; et è la tema cotale   20. In quel tempo che Ila gente vivea così malamente, fue un  uomo grande per eloquenzia e savio per sapienzia, il quale  cognobbe che materia, cioè la ragione che l' uomo àe in sé  naturalmente per la quale puote l' uomo intendere e ragio  nare, e l'acconciamento a fare grandissime cose, cioè a ttenere i)ace et amare Idio e '1 proximo, a ffai-e cittadi,  castella e magioni e bel costume, et a ttenere iustitia et  a vivere ordinatamente se fosse chi Ili potesse dirizzare,  cioè ritrarre da bestiale vita, e mellioi-are per comandamenti, cioè per insegnamenti e per leggi e statuti che Ili     2: M' om. ci  3-4: M-iii Or o della la sposilione  5: M-m loninciò (hi coro).  7 pare  M' oggimai  6: M-m apparve  8: il' uno buono  iO: 31' adrinure   12: M-m per campora  12-13: M-w le nascose selve 13: M-m et facciendo loro assapere  14: M' grave - L'i: M' si Hi recò  16: M' crudelilà  23: M-m nm. l'uomo   24 : M-m el lo ncomincianiento, L el chominciamenlo  25: M'el ad amare ~ 26: M'  7datener  27: M' chi le polesse adrifrure - m om. potesse  28: M' enirare da b. v.   afrenasse (1). 2. Et qui cade una quistione, che potrebbe  alcuno dicere: « Come si potieno melliorare, da che non  erano buoni? >. A cciò rispondo che naturalmente era la  ragione dell'anima buona; adunque si potea migliorare nel  5. modo eh' è detto. 3. Donde questo savio costrinse - e dice  che i « costrinse » però che non si voleano raunare - e  raunò - e dice « raunò » poi che elli vollero. Che '1 savio  uomo fece tanto per senno e per eloquenzia, mostrando  belle ragioni, assegnando utilitade e metendo del suo in   10. dare mangiare e belle cene e belli desinari et altri piaceri,  che ssi raunaro e patiero d'udire le sue parole. Et elli insegnava loro le cose utili dicendo: « State bene insieme,  aiuti l'uno l'altro, e sarete sicuri e forti; fate cittadi e  ville *. Et insegnava loro le cose oneste dicendo : « Il pic 15. colo onori il grande, il figliuolo tema il suo padre » etc. Et tutto che, dalla prima, a questi che viveano bestialmente paresser gravi amonimenti di vivere a ragione et ad  ordine, acciò eh' elli erano liberi e franchi naturalmente e  non si voleano mettere a signoraggio, poi, udendo il bel dire   20. del savio uomo e considerando per ragione che larga e libera licenzia di mal fare ritornava in lor gi"ave destruzione  et in periglio de l'umana generazione, udirò e miser cura  a intendere lui. Et in questa maniera il savio uomo li ritrasse di loro fierezza e di loro crudeltade - e dice « fierezza » perciò che viveano come fiere; e dice « crudeltade »  perciò che '1 padre e '1 figliuolo non si conosceano, anzi  uccidea l'uno l'altro - e feceli umili e mansueti, cioè volontarosi di ragioni e di virtudi e partitori (2) dal male.     1 : m rafrenasse, S affrenassono  J/ " Et acade, L e ecci una (\.  2 : il poneno (cerio  per falsa lettura di potieno; cfr. Wiese in Zeilsch. f. Rom. Pini., VII, 330, g i33), m il'  poteano  4: m dunque  6: it-iii om. che i  9: W l'utilitade  i^l' metendo '1 suo 10: m mangiare cene e desinari 19: il sottomettere  20-23: it-m om. e considerando....  il savio uomo  23-24: m si ritrassono  24: il lore fier., M' lor fior,  me dalloro  crud.  24-25: H-m om. e dice.... crudeltade  26: il' e li figluoli (ma L el figliuolo)  - 28: il' partito, l. e'dipirtironsi, s partiti.   (1) Parrebbe preferibile la lezióne di &'; ma è significativo il fatto che tutti  i mss. abbiano il singolare. Invece di condannarlo come corruzione comune, basta  pensare che sostantivi astratti come « insegnamenti, leggi e statuti » siano considerati formanti un complesso unico, sì da farli equivalere al singolare (p.es. «ciò»);  e quest'uso del verbo è attestato da un altro passo di Brunetto, IO, 3, e dal Varchi,  Ercolano, ediz. Bottari (Firenze Senza ricorrere ai facili accomodamenti, conservo la lezione di M intendendo « partitore » in senso riflessivo : « colui che si parte, che si allontana ». Cfr.  Manuzzi. Or à detto CICERONE chi cominciò eloquenzia et intra cui  e come; or dicerà per che ragione, eanza la quale non  potea ciò fare.   Tullio.    Per la qual cosa pare a me che Ha sapienzia tacita e povera   di parole non arebbe potuto fare tanto, che così subitamente fossero  quelli uomini dipartiti dall'antica e lunga usanza et informati in  diverse ragioni di vita. Lo sponitore. In questa parte dice Tulio la ragione sanza la quale   non si potea fare ciò che fece '1 savio uomo; e dice sapienzia tacita quella di coloro che non danno insegnamento per parole ma per opera, come fanno ' romiti. Et  dice « povera di parole » per coloro che '1 lor senno non sanno addornar di parole belle e piene di sentenze a ffar  credere ad altri il suo parere. Et per questo potemo intendere che picciola forza è quella di sapienzia s'ella nonn  è congiunta con eloquenzia, e potemo connoscere che sopra  tutte cose è grande sapienzia congiunta con eloquenzia.  Et là dove dice « così subitamente » intendo che quello  savio uomo arebbe bene potuto fare queste cose per sapienzia, ma non cosi avaccio né così subitamente come fece  abiendo eloquenzia e sapienzia. Et là dove dice « in diverse ragioni di vita » intendo che uno fece cavalieri, un   25. altro fece cherico, e così fece d'altri mistieri.   Tullio.   7. Et così, poi che Ile cittadi e le ville fuoron fatte, impreser  gli uomini aver fede, tener giustizia et usarsi ad obedire l'uno l'altro  per propia volontarie et a sofferire pena et affanno non solamente     2 : M-m om. e come  sanza (luale  5: M-m Per ((ualcosa - 7 : M' luioniiiii quelli   13: M' i romiti, m li romiti  14: M-m alloro senno, L in loro senno  i7: M-m om.  che  i9: M' giunta  22: Af' si avaccio  23: M-m om. e sapienzia  28: m ad avere  lede 7 tenere.... adusarsi  M l'uno a l'altro. A qualcuno e sapienzia potrà sembrare un'aggiunta arbitraria; ma siccome  non è inutile, preferisco mantenerlo.  per la comune utilitade, ma voler morire per essa mantenere. La  qual cosa non s'arebbe potuta fare d) se gli uomini non avessor potuto dimostrare e fare credere per parole, cioè per eloquenzia, ciò che  trovavano e pensavano per sapienzia. 8. Et certo chi avea forza e  5. podere sopra altri molti non averla patito divenire pare di coloro  ch'elli potea segnoreggiare, se non l'avesse mosso sennata e soave  parladura; tanto era loro allegra la primiera usanza, la quale era  tanto durata lungamente che parea et era in loro convertita in  natura. Donde pare a me che così anticamente e da prima nasceo e mosse eloquenzia, e poi s'innalzò in altissime utilitadi delli uomini nelle vicende di pace e di guerra.   Lo sponitore.   I. In questa parte dice Tulio che cciò che sapienzia  non avrebbe messo in compimento per sé sola, ella fece   15. avendo in compagnia eloquenzia; e però la tema èe cotale:  Si come detto è davanti, fuoro gli uomini raunati et insegnati di ben fare e d'amarsi insieme, e però fecero cittadi  e ville; poi che Ile cittadi fuor fatte impresero ad avere  fede. Di questa parola intendo che coloro anno fede che   20. non ingannano altrui e che non vogliono che lite né discordia sia nelle cittadi, e se vi fosse sì la mettono in pace.  Et fede, sì come dice un savio, è Ila speranza della cosa  promessa; e dice la legge che fede è quella che promette  l'uno e l'altro l'attende. Ma Tulio medesimo dice in un altro libro delli offici che fede è fondamento di giiistizia,  veritade in parlare e fermezza delle promesse; e questa ée  quella virtude eh' é appellata lealtade. E così sommatamente loda Tulio eloquenzia con sapienzia congiunta, che     2: ilf'-£ potuto - M' om. non  4: Jlf> Certo  5: M-m vinavea charebbono potuto  divenire paii  6: M-m chelli poteano, M^-L cui potea  M-m santa  7: M^-L allegrezza   8-9 : M era converita la loro natura, m era convertila in loro natura  9 : m onde   14-15: M^ il fece in compagnia d'eloquentia.... si ò cotale M-m detto oe dinanci  19: 3/' fede, 7 di q. p.  PO : M^ om. e o discordia  21-22: M-m in pace et  in fede  m om. è - 23: M^ quello, ma L quella  26: M-m et intermezza  M' delenpromesse  27: M legheltade (?«a cfr. Texor., XVII, 15)  M somatamente, m asommatam.  congiunta con sapienzia.   (1) Sarà certo da legger così, e non sarebbe si sarebbe, poiché di quest'uso  dell' ausiliare avere presso gli antichi non mancano esempli sicuri : cfr. la nota  di M. Barbi nella sua ediz. della Vita Nuova, 2, e ciò che aggiunse il  Parodi in Bullett. della Soc. Bant. Lo stesso si dica per s'arebhono del commento, sanza ciò le grandissime cose non s'arebbono potute mettere in compimento, e dice che poi àe molto de ben fatto  in guerra et in pace. Et per questa parola intendo che tutti  i convenenti de' comuni e delle speciali persone corrono per due stati o di pace o di guerra, e nell' uno e nell'altro bisogna la nostra rettorica sì al postutto, che sanza lei non si  potrebbono mantenere.   Tullio.  Ma poi che Ili uomini, malamente seguendo la vìrtude sanza  10. ragione d'officio, apresero copia di parlare, usaro et inforzaro tutto  loro ingegno in malizia, per che convenne che ile cittadi sine guastassero e li uomini si comprendessero di quella ruggine, (e. Ili)  Et poi che detto avemo la cumincianza del bene, contiamo come  cuminciò questo male. Poi che CICERONE avea detto davanti i beni che sono  advenuti per eloquenzia, in questa parte dice i mali che  sono advenuti per lei sola sanza sapienzia; ma perciò che  Ila sua intentione è più in laudarla, sì appone elli il male a coloro che Ila misusano e non a Ilei. 2. Et sopra ciò la  tema è cotale: Furono uomini folli sanza discrezione, li  quali, vegga ndo che alquanti erano in grande onoranza e  montati in alto stato per lo bell.o parlare ch'usavano secondo li comandamenti di questa arte, sì studiaroO solo in parlare e tralasciare lo studio di sapienzia, e divennero  sì copiosi in dire che, per l'abondanza del molto parlare  sanza condimento di senno, che (2) cumìnciaro a mettere     cioè  2: M-in che poi {ni, om. poi) a molli a Dio ben facto  -J: M om. duri stali  i 1 : M conviene, M' conveiiia  IS: M-m om. e li uomini si comprendessero  13: M \a cunincianza (e cluininciò)3/' il cuminciamento  16: m ave... dinanzi    18: M^ dopo advenuti ripete per eloquenlia in quesUi parte (ma ri son trticiie di etpunzione)  19: m om. elli  20: M El perciii  24: M' il comandamento.... studiavano    25 : ilf intralassai-o, m e lasciaro - 20: M' de molto  m om. elio.   (1) Invece di si studiavo credo preferibile studiavo in senso assoluto, come già  si è trovato, 3, § e studia puro in dire le parole. Sintatticamente questo che ò pleonastico; ma ò attestato da ambedue le  famiglie di codici e non costituisce una rarità per il nostro volgare antico (anzi,  per Brunetto stesso, cfr. IO, 1: avegna che ma tutta volta).   sedizione e distruggi mento nelle cittadi e ne' comuni et a  corrompere la vita degli uomini; e questo divenia però  ch'ellino aveano sembianza e vista di sapienzia, della quale  erano tutti nudi e vani. 3. Et dice Vittorino che eloquenzia  5. sola èe appellata « la vista », perciò che ella fae parere che  sapienzia sia in coloro ne' quali ella non fae dimoro. Et  queste sono quelle persone che per avere li onori e F uttilitadi delle comunanze parlano sanza sentimento di bene;  così turbano le cittadi et usano la gente a perversi costumi. Et poi dice Tulio: Da che noi avemo contato '1 principio  del bene, cioè de' beni che avenuti erano per eloquenzia,  si è convenevole di mettere in conto la 'ncumincianza del  male chende seguitò. Et dice in questo modo nel testo:   Tullio tratta della comincianza del male  15. adveniito per eloquenzia. Et certo molto mi pare verisimile: in alcuno tempo gli  uomini che non erano parlatori et uomini meno che savi non usavano tramettersi delle publiche vicende, e che W gli uomini grandi  e savi parlieri non si trametteano delle cause private. E con ciò   20. fosse cosa che sovrani uomini regessero le grandissime cose, io mi  penso che furo altri uomini callidi e vezzati i quali avennero a trattare  le picciole controversie delle private persone; nelle quali controversie  adusandosi gli uomini spessamente a stare fermi nella bugia incontra la verità, imperseveramento di parlare nutricò arditanza   25. 11. Sì che per le 'ngiurie de' cittadini convenne per necessitade   che' maggiori si contraparassono agli arditi e che ciascuno atoriasse  le sue bisogne; e così, parendo molte fiate che quello eh' avea  impresa sola eloquenzia sanza sapienzia fosse pare o talora più  innanzi che quello che avea eloquenzia congiunta con sapienzia,     i-2: m nelle loro ciltadi  M' om. et a corr.... uomini  2: m avenia  3 kelli aveano  sombianca de giusta sap.  4: m om. Et  6: M' li quali  7: M' questi  10: m om.  Et  11: M' bone kavenuto era - 12: 1/' il cominciamento  i3: Jlf chende seguita, j/i  che ne seguita - 16: M et certo mo, la Certo modo M meno di savi, m ch'erano  meno che savi  17-18: M-m non sapeano, L non osavano  M-m om. e  19: Jlf sintrametteano dele cose  21: M-m om. uomini  M verrali  3f' vennero  22: M' om.  delle pr.... controversie  23: M-m om. spessamente  24: M' il persev. - 26: M' aiutasse  m adornasse  29: M' giunta. Un costrutto più regolare si avrebbe sopprimendo il che o inserendone un  altro dopo verisimile; appunto. per questo conservo' il che, non sembrando probabile che un copista volesse complicare di suo. Questa maggiore libertà sintattica  non è nuova.  aveni'a che, per giudicio di moltitudine di gente e di sé medesimo  paresse essere degno di reggiere le publiche cose.  E certo non ingiustamente, poi che' folli arditi impronti  pervennero ad avere reggimenti delle comunanze, grandissime e miserissime tempestanze adveniano molto sovente; per la qual cosa  cadde eloquenzia in tanto odio et invidia che gli uomini d'altissimo  ingegno, quasi per scampare di torbida tempestade in sicuro porto,  così fuggiendo la discordiosa e tumultuosa vita si ritrassero ad alcuno altro queto studio. Per la qual cosa pare che per la loro posa li altri dritti et onesti studii molto perseverati vennero in onore. Ma questo studio di rettorica fue abandonato quasi da tutti loro,  e perciò tornò a neente, in tal tempo quando più inforzatamente si  dovea mantenere e più studiosamente crescere; perciò che quando  più indegnamente la presumptione e l'ardire de' folli impronti manimettea e guastava la cosa onestissima e dirittissima con troppo  gravoso danno dei comune, allora era più degna cosa contrastare e  consigliare la cosa publica. Della qual cosa non fugìo il nostro  Catone né Lelius né, al ver dire, il loro discepolo Àffricano, né i  Gracchi nepoti d' Àffricano, ne' quali uomini era sovrana virtude et altoritade acresciuta per la loro sovrana virtude; sì che la loro  eloquenzia era grande adornamento di loro et aiuto e mantenimento  della comunanza.   Lo sponitore. In questa parte divisa Tulio come divennero quelli due mali, cioè turbare il buono stato delle cittadi e corrompere la buona vita e costumanza delli uomini; et avegna  che '1 suo testo sia recato in sie piane parole che molto fae  da intendere tutti, ma tutta volta lo sponitore dirae alcune  parole per più chiarezza. 2. Et è la tema cotale: La elo   1 : M-m avogiia  2: M per essoi-o degno d'essere 7 di reggiere, M' paresse degno  de reggere  3: M' poi ke fuor iaiditi in pronti, m enpronti  4-5 : M' pervennero i  reggìm.  7 de miserissime tempeste  spessamente  7 : M' lempcstande  * : M-m la  discordia (m echontumulosa)  9 : Tutti i mss. questo, S posato - M-m possa  i i : itf ' do  tutto loro " i4: M dì [olii  18-19: M ne nelilio - M-m om. nò i G. n. d'AII'ricano   Jlf' erano sovrane vertudi  26: M' la vita 7 la buona costumanca - 27: M< suo stato   m in se  28: itf' om. tutti, ma  M' alcuna parola  S9: Af' Et la tema 6 cotale.  De la el. ecc. È possibile tanto la lezione di Af quanto quella di m; ma proferisco questa  perchè corrisponde alle parole del commento, § 6: « pareano essere degni». Il testo latino ha studium aliquod quieUtm. Lo scambio di queto por questo  era facilissimo, e forse risalo r.llo iirimo copio.  quenzia mise in sì alto stato i parladori savi e guerniti di  senno, che per loro si reggeano le cittadi e le comunanze  e le cose publiche, avendo le signorie e li officii e li onori e  le grandi cose, e non si trametteano delle cause private, cioè  5. delle vicende delli uomini speciali, né di fare lavoriere né altre picciole cose. Ma erano altri uomini di due maniere:  l'una che non erano parlatori, l'autra che non aveano sapienzia, ma erano gridatori e favellatori molto grandi; e  questi non si trametteano delle cose publiche, cioè delle signorie e delli officii e delle grandi cose del comune, ma  impigliavansi a trattare le picciole cose delle private persone, cioè delli speciali uomini. 3. Intra' quali furono alcuni  calidi e vezzati - cioè per la fraude e per la malizia che in  loro regnava parea ch'avesse in loro sapienzia-; e questi s' ausarono tanto a parlare che, per molta usanza di dire  parole e di gridare sopra le vicende delle speciali persone,  montare in ardimento e presero audacia di favellare in  guisa d'eloquenzia tanto e sì malamente che teneano la  menzogna e la fallacia ferma contra la veritade. Onde, per li grandi mali che di ciò adveniano, convenne che'  grandi, ciò sono i savi parladori che reggeano le grandi  cose, venissero et abassassero a trattare le picciole vicende  di speciali persone, per difendere i loro amici e per contastare a quelli arditi. Et nota che arditi sono di due ma 25. niere : l' una che pigliano a fifare di grandi cose con provedimento di ragione, e questi sono savi; li altri che pigliano  a ffare le grandi cose sanza provedenza di ragione, e questi  sono folli arditi. 5. Donde in questo contrastare i buoni e  savi parlavano giustamente, ma i folli arditi, che non aveano   30. studiato in sapienzia ma pure in eloquenzia, gridavano e  garriano a grandi boci e non si vergognavano di mentire  e di dire torto palese; sicché spessamente pareano pari di  senno e di parlare e talvolta migliori. Sì che per sentenza     4 : M' om. e non s. t. d. cause  5: M-m ont.aò  6: m odaltre p. o.  7  M< parliei-i   iO: M' de comuni dele piccole cose cioè che jier la lYaude ecc. parean  (/^ parea) cavassero sapienlia lo.- 3f< pei' la molta  17: M^ presero baldanza  19: M' contro alla verità  20: A/' ohi. che d. e. adveniano  m avenia savi e parladori   m le cittadi  23: M' appilgliano a taro le g. e.  26: M^ om. di ragione  L l'altra   27: L provedimento  31-32: Me dire,moHi. mentire e di  33:M' talocta m. visi che p.s  Cosi leggo con M, piuttosto che lavogarie di ilf' o lavorìi di m: oltre a  lavareria, il Manuzzi registra esempii di lavoriera.    del popolo, la quale è sentenzia vana perciò che non muove  da ragione, e per sentenza di sé medesimo, la quale è per  neente, pareano essere degni di covernare le publiche e le  grandi cose, e così furo messi a reggere le cittadi et alli  5. officii et onori delle comunanze. Et poi che cciò avenne,  non fue meraviglia se nelle cittadi veniano grandissime e  miserissime tempestadi. Et nota che dice « grandissime »  per la quantità e che duraro lungamente, e dice « miserissime » per la qualitade, ch'erano aspre e perilliose chende   10. moriano le persone ; e dice « tempestanza » per similitudine,  che sì come la nave dimora in fortuna di mare e talvolta  crescono (i) in tanto che perisce, così dimora la cittade per  le discordie, et alla fiata montano sicché periscono in sé  medesime e patono distruzione. « Per la qual cosa eloquenzia cadde in tanto odio et invidia »... Et nota che odio  non é altro se nno ira invecchiata; e così i buoni savi erano  stati lungamente irosi, veggiendo i folli arditi segnoreggiare  le cittadi. Et invidia è aflizione che omo àe per altrui bene;  donde i buoni savi aveano molta aflizione per coloro ch'erano segnori delle grandi cose et erano in onore. 8. Et perciò li  buoni d'altissimo ingegno si ritrassero di quelle cose ad  altri queti studii per scampare della tumultuosa vita in  sicuro porto. Et nota: là dove dice « altissimo ingegno »  dimostra bene eh' arebboro potuto e saputo contrastare a' folli arditi, e perciò che no '1 fecero furo bene da riprendere. Et in ciò che dice « queti studi » intendo l' altre  scienze di filosofia, sì come trattare le nature delle divine  cose e delle terrene, e sì come l'etica, che tratta le virtudi  e le costumanze; et appellali « queti studii » che non trattano di parlare in comune, e perciò che ssi stavano partiti  dal remore delle genti. Et appella « vita tumultuosa » che     2: Jl/i per ragione ~ 4: M furoro, M^ fuoro  7 : M-m ismisuratissime ~ 8: SI durano,  m duravano quantitade.... s\ elione moriano - 10: M' tempestade  14: M'  medesimo ~ 15: m om. Et  16: m buoni e savi  18: m om. Et  m i'uomo... l'altrui  SO: M> et in lionore erano  m ad altre  M-m questi, M' certi om. Et noia la dove  25 : M-m non fecero  26 : Tutti i mss questi  27 : M de  trattare  28: M-m sicome dice che l.  29: M^ appellasi, L appellansi  mss. questi Cosi hanno tutti i codici; ma forse dopo crescono è andato perduto un soggetto, richiesto dal senso o dalla sintassi, come i venti o l'onde (abbiamo anche  altrove la prova che le due famiglie di codici risalgono a un capostipite già corrotto).  Pure non sarebbe impossibile sottintendere dal precedente fortuna un soggetto le  fortune. spessamente l'iiuo uomo assaliva l'altro in cittade coll'arme  e talvolta l'uccideva. 9. Et poi che' savi intralassar lo studio  d'eloquenzia, ella tornò ad neente e non fue curata uè pregiata. Ma l'altre scienzie di filosofia, nelle quali studiaro, montaro in grande onore. Et ora riprende Tulio questi  savi e dice che fecior questo a quel tempo che eloquenzia  avea più grande bisogno per lo male che faceano i folli  arditi nelle cittadi, e perchè guastavano la cosa onestissima e dirittissima, cioè eloquenzia che ssi pertiene alle cose oneste e diritte. U. Dalla qual cosa non fugio il nostro  Catone né quelli altri savi ch'amavano drittamente il comune et aveano senno e parlatura; ma dimoraro fermi a  consigliare et a difendere il comune da'garritori folli arditi; e però montaro in onore et in istato sì grande che le loro dicerie erano tenute sentenze, e perciò dice che in  loro era autoritade, che autoritade èe una dignitade degna  d' onore e di temenza. Ma da questo si muove il conto  e ritorna a conchiudere per ragioni utili et oneste e possibili e necessare che dovemo studiare in eloquenzia, lodala in molte guise.  CICERONE conclude che sia da studiare in rettorica. Per la qual cosa, al mio animo, non perciò meno è da  mettere studio in eloquenzia s' alquanti la misusano in publiclie et  in private cose; ma tanto più clie ' malvagi non abbiano troppo di podere con grave danno de' buoni e con generale distruzione di tutti.  Maximamente cun ciò sia la verità che rettorica è una cosa la quale  molto s'appartiene a tutte cose, è publiche e private, e per essa diviene  la vita sicura, onesta, inlustre e iocunda; e per essa medesima molte  utilitadi avengono in comune se fia presta la modonatrice di tutte  cose, cioè sapienzia; e per lei medesima abonda a coloro che H'acquistano lode, onore, dignitade; e per essa medesima anno li amici  certissimo e sicurissimo aiutorio. 1: M-m spesse volte  2: m tralassaro  8: m le chose honestissime  10: M  (Iride, m diritte  3f' Dela q. e.  11: M' dirittamente, m om.  12: M' dimorato  y f.: M 7 folli arditi, £ e da f. a.  14: M^ J montaro perciò  18: m e torna,  M 7 condoura tornerà per ragioni, L e mosterrà per rag.  Jlf-;» honesti ~ 19: M -m necessarie 20: m lodarla  ^3: M* misuna, corretto poi misusa  27: M' molto pertièno  devegna  28: M> y hon. 7 illustra 7 gioconia, m illustra  29: M sia  31: M^-m 7  honore 7 dignitade.  La tema di questo testo è cotale, (H che dice Tulio:  Se alquanti di mala maniera usano malamente eloquenzia,  non rimane pertanto che 11' uomo non debbia studiare in  5. eloquenzia, al mio animo (cioè per mia sentenza), acciò  che ' rei uomini non abbiano podere di malfare a' buoni  né di fare generale distruzione di tutti. Et nota che distrutti sono coloro che soleano essere in alto stato et in  ricchezza e poi divennero in tanta miseria che vanno men 10. dicando. 2. Et poi dice le lode di rettorica, come tocca al  comune et al diviso, e come per lei diviene l'uomo sicuro,  cioè che sicuramente puote gire a trattare le cause, et appena troverai (2) chi '1 sappia contradiare ; e dice chende  diviene la vita « onesta », cioè laudato intra coloro che '1   15. cognoscono; e dice «illustre», cioè laudato intra li strani;  e dice « ioconda », cioè vita piacevole, però che ' savi parlieri molto piacciono ad sé et altrui. 3. Et altressi molto  bene n'aviene alle comunanze jier eloquenzia, a questa condizione : se sapienzia sia presta, cioè se ella sia adiunta con eloquenzia. Et dice che sapienzia è amodenatrice di tutte  cose però che ella sae antivedere e porre a tutte cose certo  modo e certo fine. 4. Et poi dice che questi che anno eloquenzia giunta con sapienzia sono laudati, temuti et amati;  e dice che Ili amici loro possono di loro avere aiutorio sicurissimo, però che appena fie chi Ili sappia contrastare,  poiché sanno parlare a compimento di senno. Et dice « certissimo » però che '1 buono e '1 savio uomo non si lascia  M-m Lo testo èe cotale, M'-L La tema de questo è cotale  3: M' aliijuanti   6: M' de fare male  7: m om. nota  9: il' divegnono  11: M huomo siguro   13: M' troverà  14: M-m laudata.... che cognoscono  15: M' illustra, L illustro   17: A/' ad altri  M-m nm. Et altressi e n 19: Hin presta  M' giunta  21 :M siae  ad intivedere, m a ad antivedere  22: m om. Et  23: M^ 7 temuti  25: m Tia chelli  sappia, M' fie chelli il sappia  37: M non so lascia.  Anche la lezione di ilf è possibile, ma forse nacque da un accomodamento  arbitrario del testo già corrotto. Invece quella di M' è spiegabilissima collomissione della parola testo (la somiglianza con questo rese più facile l' errore) e riceve  conforma dal principio del capitolo seguente, con quell'uniformità di espressione  che è caratteristica di tutto il commento.   (2) Troverai è preferibile come « lectio difflcillor ». Del resto anche in M' potrebbe trattarsi non di troverà, ma troverà'. corrompere per amore ne per prezzo né per altra simile  cosa. Et qui si parte il conto e fae nn' ultima conclusione  in questo modo: Tullio conclude in somma. Et però pare a me che gli uomini, i quali in molte cose   sono minori e più fievoli che Ile bestie, in questa una cosa l'avanzano, che possono parlare ; e donque pare che colui conquista cosa  nobile et altissima il quale sormonta li altri uomini in quella medesima cosa per la quale gli uomini avanzano le bestie. La tema in questo testo è cotale : La veritade è che  gli uomini in molte cose sono minori che Ile bestie e più  fievoli, acciò che sanza fallo il leofante e molti altri animali sono più grandi del corpo che nonn è l'uomo; e certo il leone e molte altre bestie sono più forti della persona  che ir uomo; e più ancora che in tutti e cinque ' sensi sono  certi animali che avanzano lo senso dell'uomo. Che sanza  fallo lo porco salvatico avanza l'uomo d'udire e '1 lupo  cerviere del vedere e la scimmia del saporare, e l'avóltore   20. dell' anasare ad odorare, e '1 ragnol del toccare. Ma in  questa una cosa avanza 1' uomo tutte le bestie et animali,  che elli sa parlare. Donque quello uomo acquista bene la  sovrana cosa di tutte le buone, che di ben parlare soprastae  alli altri uomini.   25. Tullio dice di che elli tratterà 16. Et questa altissima cosa, cioè eloquenzia, non si acquista  solamente per natura né solamente per usanza, ma per insegnamento  d'arte altressi. Donque non è disavenante di vedere ciò che dicono  coloro i quali sopra ciò ne lasciaro alquanti comandamenti. Ma anzi     S: il-m un'altra condictione  7 : M' costui  il-m conquesta  8: M-m la quale;  om. li  9 : )» om. cosa e gli uomini  11: il' de questo t. M' molti huomini....  minori 7 più fievoli chelle bestie  15: U-m om. altre  16: M' che tucti  19-20: M-m  7 l'avóltore dell'odore, M']j lavoltoio delanasare adodorare, L del savorare e odorare, S et  l'avoltoio del nasare et d'odorare  M-M' 7 rangnol, m il rangnolo (ohi. tulli gli e), L a ragnolo  M'-L ne! toccare  22: M' chelli sanno - 25: M dico che {ma cfr. ^ \)  27 : M'  per la natura  2S: M-m nm. d'arte  29: m certi. che noi diciamo ciò che ssi comanda in rettorica, pare che sia a  trattare del genere d' essa arte e del suo officio e della fine e della  materia e delle sue parti; imperochè sapute e cognosciute queste  cose, più di legieri e più isbrigatamente potrà l'animo di ciascuno  5. considerare la ragione e ia via dell'arte.   Lo sponitore.   1. Poi che Tulio avea lodata Rettorica et era soprastato  alle sue commendazioni in molte maniere, sì ricomincia nel  suo testo per dire di che cose elli tratterà nel suo libro.  10. Ma prima dice alcuni belli dimostramenti, perchè l'animo  di ciascuno sia più intendente di quello che seguirà, e così  pone fine al suo prolago e viene al fatto in questo modo:   Tullio ae fiìiito il prolago, e comincia a dire di eloquenzia. Una ragione è delle cittadi la quale richiede et è  15. di molte cose e di grandi, intra Ile quali è una grande et ampia  parte l' artificiosa eloquenzia, la quale è appellata Rettorica. Che al  ver dire né cci acordiamo con quelli che non credono che Ila scienzia  delle cittadi abbia bisogno d'eloquenzia, e molto ne discordiamo da  coloro che pensano ch'ella del tutto si tegna in forza et in arte del  20. parladore. Per la qual cosa questa arte di rettorica porremo in quel  genere che noi diciamo ch'ella sia parte della civile scienzia, cioè  della scienzia delle cittadi.   Lo sponitore.   I. In questa parte del testo procede Tulio a dimosti-are ordinatamente ciò che elli avea promesso nella fine del prolago. Et primamente comincia a dicere il genere di questa  arte. Ma anzi che Ho sponitore vada innanzi sì vuole fare  intendere che è genere, perchè l' altre parole siano meglio  intese. Ogne cosa quasi o è generale, sicché comprende  molte altre cose, o è parte di quella generale. Onde questa     1-2: M' (la tratto, poi corr. da trattar.;  3: M-m generalmente della decta- arte   3: m però che - 4: M-m più diligente, M' nm. più  8: M A rinconincia  11 : M'  (luelle, ma L quello  14-13: M'-L richiede molte cose grandi  16: M-m cai ver diro   18: M-m abbiano  30: M-m [lorromo quel genero  SG: m quella  S8: M-m y perchè   29: M ìì quasi generale, m è quasi geu.  30: M onde jvirte quella gen.   parola, cioè « uomo », è generale, per ciò che comprende  molti, cioè Piero e Joanni etc, ma questa parola, cioè  « Piero, » è una parte- A questa somiglianza, per dire più  in volgare, si puote intendere genere cioè la schiatta; che  5. chi dice « i Tosinghi » comprende tutti coloro di quella  schiatta, ma chi dice « Davizzo » non comprende se no una  parte, cioè un uomo di quella schiatta. 3. Onde Tulio dice  di rettorica sotto quale genere si comprende, per meglio  mostrare il fondamento e Ila natura sua. Et dice così che Ila   10. ragione delle cittadi, cioè il reggimento e Ila vita del comune e delle speciali persone, richiede molte e grandi cose,  in questo modo: che è in fatti e 'n detti. 4. In fatti è la ragione delle cittadi sì come l'arte W de' fabbri, de' sartori, de'  pannar! e l' altre arti che si fanno con mani e con piedi. In  detti è la rettorica e l'altre scienze che sono in parlare.  Adonque la scienza del governamento delle cittadi è cosa  generale sotto la quale si comprende rettorica, cioè l'arte  del bene parlare. Ma anzi che Ilo sponitore vada più innanzi, pensando che Ha scienza delle cittadi è parte d' un altro generale che muove di filosofia, sì vuole elli dire un  poco che è filosofia, per provare la nobilitade e l'altezza  della scienzia di covernare le cittadi. Et provedendo ciò  ssi pruova l'altezza di rettorica.   6. Filosofia è quella sovrana cosa la quale comprende  sotto sé tutte le scienze; et è questo uno nome composto   di due nomi greci : il primo nome si è phylos, e vale tanto   a dire quanto « amore », il secondo nome è sophya, e vale   - tanto a dire quanto « sapienzia ». Onde FILOSOFIA tanto vale   a dire come « amore della sapienzia » ; per la qual cosa neuno   30. puote essere filosofo se non ama la sapienzia tanto eh' elli  intralasci tutte altre cose e dia ogne studio et opera ad  avere intera sapienzia. Onde dice uno savio cotale difiì / M-m cioè che comprende  2: Af' nm. o J cioè Piero  5: M' ovi. chi    4-6: m om. tutto il passo da che « quella schiatla  8: m om. per  9: M^ demostrare   10: jU' i reggimenti  12: M-m om. che b  13: Af ' l'arti (ma anche L l'arto)  m e de'pannali, .)/ 7 de sartori de panni  16-17: m o parte d'un altro generale  1M' de  ben p.  20: M in podio  22: m om. della scienzia, 3/' niii. della scienzia l'altezza  25: M sotto di sé  26: m fue fdos, .W filis  27 : m om. nome  29: M^ de  la scienza  31: M-m tuote l'altre  J/' 7 da ~ 32: M-m. ad amare ' M' Donde.   (1) Anche arte potrebbe essere qui un plurale, come in Tesar., X, 39-40; però  lo ronde poco probabile la forma arti che subito segue. La lezione amare di M-m fu certo suggerita dai precedenti amore e ama,  e basterebbe a farla rifiutare la ripetizione di concetto a cui si riduce. nizione di filosofia : ch'ella è inquisizione delle naturali cose  e connoscimento delle divine et umane cose, quanto a uomo  è possibile d' interpetrare. Un altro savio dice che filosofia  è onestade di vita, studio di ben vivere, rimembranza della morte e spregio del secolo. Et sappie che diflfinizione  d'una cosa è dicere ciò che quella cosa è, per tali parole  che non si convegnano ad un' altra cosa, e che se tu le  rivolvi tuttavia signiffichino quella cosa. Per bene chiarire  sia questo l'exemplo nella diffinizione dell'uomo, la quale   10. è questa: « L'uomo è animale razionale mortale ». Certo  queste parole si convegnono sì all'uomo che non si puote  intendere d'altro, né di bestia, né d'uccello, né di pescie,  però che in essi nonn à ragione; onde se tue rivolvi le  parole e di' cosi : « (/he è animale razionale e mortale ? certo non si puote d' altro intendere se non dell' uomo. Or è vero che anticamente per nescietà delli uomini  furon mosse tre quistioni delle quali dubitavano, e uon  senza cagione, però che sopr'esse tre questioni si girano  tutte le scienzie. La p-rima quistione era che dovesse l'uomo   20. fare e che lasciare. La seconda quistione era per che ragione dovesse quel fare e quell'altro lasciare. La terza  quistione era di sapere le nature di tutte cose che sono.  Et perciò che le questioni fuoro tre, sì convenne che' savi  filosofi (2) partissero filosofia in tre scienzie, cioè Teorica,   25. Pratica e Logica, si come dimostra questo arbore.      i: M inquistione, m inquestione, L inqulslione  2: M^ quando  3: M enpossib'ile   (5: Mss. quella cosa 7 per t. p.  8: if-M' le rivuoli, L le rivolgi  il' el per bene   .9-/0: if' lo quale questo, L la i[ualo questo  16: m necessità, M' neccssiladc  16-17:  .¥' luiomini in esse (L messe)  18: sospeso, cnrr. sopresse  19: .1/' liuomo  20: m  la seconda che lasciare  20-21: lU-m om. la 2" quistione  22.: M-m om. quistione   M-iii la natura  m tutte le oliose - 23: M-m Et però quelle quistioni furono tre   23-24 : M si convenne i savi phylosoi)hy che partissero  jf > si conviene -^ 23: M mn. e.   (1) Si potrebbe anche leggere (con una costruzione più regolare ma con una  coordinazione poco opportuna) ciò eh' è quella cosa, e per tali parole ecc.   (2) Questa lezione ò comune a codici di ambedue le famiglie, e perciò la preferisco a quella di M, che pure si può difendere facendo transitivo conreìtne e  intendendo i -savi filosofi come complem. oggetto. Et la prima di queste scienze, cioè pratica, è per  dimostrare la prima questione, cioè che debbia uomo fare  e che lasciai'e. La seconda scienzia, cioè logica, è per dimostrare la seconda quistione, cioè per che ragione dovesse  quel fare e quello altro lasciare. 10. Et questa scienza, cioè  logica, sì ae tre parti, cioè dialetica, efidica, soffistica. La  prima tratta di questionare e disputare l'uno coli' altro, e  questa è dialetica; la seconda insegna provare il detto dell' uno (1) dell' altro per veraci argomenti, e questa èe efidica; la terza insegna provare il detto dell'uno e dell'altro  per argomenti frodosi o per infinte provanze, e questa è  sofistica. Et questa divisione pare in questo arbore. La tex'za scienzia, cioè teorica, si è per dimostrare  le nature di tutte cose che sono, le quali nature sono tre;  15. e però conviene che questa una scienza, cioè teorica, sia  pai'tita in tre scienzie, ciò sono Teologia, Fisica e Matematica, sì come dimostra questo arbore.      4: m cioè la ragione  6: m sollislicha, epidicha, M' eflidica (un'altra mano aggiunse  sotìslicha)  7: i/' tractare.... contra l'altro - 9:m, ìt', l e dell'altro  i 1 : if infinite   M' argomenti frodolenti 7 jier infinita pruova  12: m apare.   (1) Conservo invece di e, comune a quasi tutti i codici, appunto per la sua  singolarità e perchè sembra indicare una differenza tra l'efldica e la sofisticala prima dimostra la verità di una delle due parti, la seconda pretende dimostrare l'una e l'altra parte.  Onde la prima di queste tre scienze, cioè teologia,  la quale è appellata divinitade, si tratta la natura delle  cose incorporali le quali non conversano in traile corpora,  sì come Dio e le divine cose. La seconda scienzia, cioè  5. fisica, sì tratta le nature delle cose corporali, si come sono  animali e He cose che anno corpo; e di questa scienzia fue  ritratta l'.arte di medicina, che, poi che fue connosciuta la  natura dell'uomo e delli animali e de' loro cibi e dell'erbe  e delle cose, assai bene poteano li savi argomentare la saio, nezza e curare la malizia. La terza scienzia, cioè matematica, sì tratta le nature de le cose incorporali le quali sono  intorno le corpora; e queste nature sono quattro, e perciò  conviene che matematica sia partita in quattro scienze, ciò  sono arismetrica, musica, geometria et astronomia, sì come  15. appare in questo arbore:  La prima scienzia, cioè arismetrica, tratta de' conti  e de'nomeri, sì come l'abaco e più fondatamente. La seconda scienza, cioè musica, tratta di concordare voci e  suoni. La terza, cioè geometria, tratta delle misure e delle proporzioni. La IV scienza, cioè astronomia, tratta della  disposizione del cielo e delle stelle. Or si torna il conto dello sponitore di questo libro  alla prima parte di filosofia, della quale è lungamente taciuto, e dicerà tanto d'essa prima parte, cioè di pratica,   25. che pervegna a dire della gloriosa Rettorica. E sì come  fue detto già indietro, questa pratica è quella scienza che  dimostra che ssia da ffare e che da lasciare, e questo è di     3:m traile corpora  7: #' dela mudicina  9: M' assai poteo bone argomentare isani   10-13 : M-m mltnno da matematica di l. 10 a l. 13 sia partita (m si e)  16: m om. scien7.ia  17: M' noveri  18: M [a musica  SO: M astorlomia  M' tracta Io sponilore   22: Af' si ritorna (L ritorna), m Ora torna lo spoiiiloro alla prima p.  33: m ae, Jtf' oo   24: m della prima parte  25: m perverrà.     tre maniere: i>erciò conviene che di questa una siano tre  scienze, cioè sono Etica, Iconoiiiica e Politica, sì come  mostra la figura di questo arbore :  La prima di queste, cioè etica, sì è insegnamento di  5. bene vivere e costumatamente, e dà connoscimento delle  cose oneste e dell'utili e del lor contrario; e questo fa per  assennamento di quatro vertudi, ciò sono prndenzia, iustizia, fortitudo e temperanza, e per divieto de' vizi, ciò sono  superbia, invidia, ira, avarizia, gula e luxuria; e così dimoio, stra etica clie sia da tenere e che da lasciai-e jier vivere  virtuosamente. 16. La seconda scienza, cioè iconomica, sì  'nsegna che ssia da ffare e che da lasciare per covernare  e reggere il propio avere e la propia famiglia. La terza  scienza, cioè politica, sì 'nsegna fare e mantenere e reggere  15. le cittadi e le comunanze, e questa, sì come davanti è provato, è in due guise, cioè in fatti et in detti, sì come si vede  in questo arbore:      18. Quella maniera eh' è in fatti sì sono l'arti e' magisterii che in cittadi si fanno, (i) come fabbri e drappieri e li 1 : M-m però clic convion(3  3.m am. la ligura  ;>: Af' accostumatamente M' om. ira  10: M^ da necnto  1 1: m virtmliosamonte  13: m avere, la patria e  la famiglia  14: m fare, mantenere 7 r.  16: M-M' 7 in due guise  M' in detti.  18: m om. tutto il g 18  M' 7 mestieri  19 : M che cittadini fanno   (lì Si rimane incerti fra le due lezioni, perchè il senso è il medesimo e anclie  paleograficamente la differenza è lieve: forse ì citladisi oxìgìno (i) cittadini'! Adottiamo la lezione un po' più diffìcile.     altri artieri, sanza i quali la cittade non potrebbe durare.  Quella eh' è in detti è quella scien^ia che ss' adopera colla  lingua solamente; et in questa si contiene tre scienze, ciò  sono Grramatica, Dialettica, Rettorica, si come dimostra  5. questo altro albore:  Et che ciò sia la verità dice lo sponitore che gramatica è intrata e fondamento di tutte le liberali arti et  insegna drittamente parlare e drittamente scrivere, cioè  per parole propie sanza barbarismo e sanza sologismo. Adunque sanza gramatica non potrebbe alcuno bene dire  né bene dittare. La seconda scienza, cioè dialetica, sì pruova  le sue parole per argomenti che danno fede alle sue parole;  e certo chi vuole bene dire e bene dittare conviene che mostri ragioni per che, sicché le sue parole abbiano provanza   Ib. in tal guisa che Ili uditori le credano e diano fede a cciò  che dice. La terza S(!Ìenza ciò è Rettorica, la quale truova  et adorna le parole avenanti alla materia, per le quali l'uditore s'accheta e crede e sta contento e muovesi a volere  ciò eh' è detto. Adonque le tre scienze sono bisogno a   20. parlare et al dittare, che sanza loro sarebbe neente, acciò  che '1 buono dicitore e dittatore de' sì dire e scrivere a  diritto e per sì propie parole che sia inteso, e questo fae gramatica; e dee le sue parole provare e mostrare ragioni (2),     1 : Af ' artefici sanza quali le cittadi non potrebbero durare  3: M^ ] questa si contiene  6: m Et choncio sia la v., L Et cliome ciò sia  7: M' l'arti liberali  9: Mm om. e sanza sologismo; t-S silogismo  10: M' om. alcuno  I-i: M ragione si che  le s. p.  pruova  i7 : M-m advoncnti  18-19 : M' per bisogno al parliere et al dictatore  S3: M-m mostrare con ragiono, L mostrare por ragione  Non credo necessario, data l' impossibilità di distinguer la grafia dei copisti  da quella dell' autore, ristabilire la forma esatta solecismo; la stranezza della parola spiega pure l'omissione di M-m e lo sproposito di L-S.   (2) Che questa sia la giusta lezione è confermato dal § precedente, 1.16 («ragioni per che ») ; e si noti che mostrare con ragione o per ragione equivarrebbe a  provare.  e questo fae dialetica; e dee sì mettere et addornare il suo  dire che, i)oi che 11' uditore crede, che stia contento e faccia  quello eh' e' vuole, e questo fa Rettorica. Or dice lo sponitore che Ha civile scienza, cioè la covernatrice delle cit5. tadi, la quale èe in detti si divide in due: che ll'una è co llite  e l'altra sanza lite. Quella co llite si è quella che sisi fa domandando e rispondendo, si come dialetica, rettoi'ica e lege;  quella eh' è sanza lite si fa domandando e rispondendo, ma  non per lite, ma per dare alla gente insegnamento e via di   10; ben fare, sì come sono i detti de' poeti che anno messo inii  iscritta l'antiche storie, le grandi battaglie e l'altre vicende  che muovono li animi a ben fare. Altressì quella civile  scienzia eh' è con lite è di due maniere, eh' è ll'una artificiosa, l'altra non artificiosa. Artificiosa è quella nella quale  il parliere che connosce bene la natura e Ilo stato della  materia, vi reca suso argomenti secondo che ssi conviene,  e questo è in dialetica et in rettorica. Quella che non è  artificiale è quella nella quale si recano argomenti pur per  altoritade, si come legge, sopra la quale non si reca neuna   2'^ pruova né ragione per che, se non tanto l' altoritade dello  'mperadore che Ila fece. Et di questa che non è artificiale  dice BOEZIO nella Topica eh' è sanza arte e sanza parte di  ragione. Alla fine conclude Tulio e dice che Rettorica  è parte della civile scienzia. Ma Vittorino sponendo quella   25. parola dice che rettorica è la maggiore parte della civile  scienzia; e dice « maggiore » per lo grande effetto di lei,  che certo per rettorica potemo noi muovere tutto '1 popolo,  tutto '1 consiglio, il padre contra '1 figliuolo, l'amico centra  l'amico, e poi li rega(i) in pace e a benevoglienza. Or è detto   30. del genere; omai dicerà Tulio dello oflfizio di rettorica e del  fine.     1: M ordinare, m e iliraeltero e ordinare lo siidire  3: M^ cliolll stea  5: M-m si  vede in due  7: M' y reclorica  9: M' a. lo genti  i 1 : m-M in iscripto  M' 7  le g. b. 7 altro vicende  IS : M-m alla (certo da ((Ila), M' (|UOSta civ.  13-14: mchS l'ima  e art. 7 l'altro non art., 3f' l'unaarl. l'altra none art. (X non art.)  16: m su argomenti  che crede ohe si chenvieno, S secóndo la cosa  19: M sopralla quale  21 : J/' di questa non artificiosa  S6: m e M' alFecto, ma L el'ctto  S8 : m M' contro al f.  wchontro  all'amico, M' contra amico.  29: m li reca, Af' recalgli a pace 7 benev., L-S recarli a p.  Q n h.  80 : m M' oggimai.   (1) Con libertà non nuova alla nostra ling'.ia antica, si può sottintendere il  soggetto, « rettorica », dalle parole « per rettorica » che precedono. La lezione  ? ecarli, appunto perchè piii semplice e chiara, mi par da scartare : non si vedrebbe CICERONE dice che è l'ufficio di questa arte.   18. Officio di questa arte pare che sia dicere appostatamente  per fare credere, fine è far credere per lo dire. Intra 11' ufficio e Ila  fine èe cotale divisamente : che nell'officio si considera quello che  5. conviene alla fine e nella fine si considera quello che conviene all'officio. Come noi dicemo l'ufficio del medico curare apostatamente  per sanare, il suo fine dicemo sanare per le medicine, e così quello  che noi dicemo officio di rettorica e quello che noi dicemo fine intenderemo dicendo che officio sia quello che dee fare il parliere, e dicendo che Ila fine sia quello per cui cagione eili dice. In questa parte àe detto Tulio che è l'officio di questa arte e che è lo suo fine; e perciò che '1 testo è molto  aperto, sì sine passerà lo spouitore brevemente. Et dice   15. cotale diffinizione : officio è dicere appostatamente per fare  credere. Et nota che dice « appostatamente », cioè ornare  parole di buone sentenze dette secondo che comanda quest'arte; e questo dice per divisare il parlare di questo dicitore dal parlare de' gramatici, che non curanq d'ornare   20. parole. E dice « per far credere », cioè dicere sì compostamente che ir uditore creda ciò che ssi dice. Et questo dice  per divisare il detto de' poeti, che curano più di dire belle  pai-ole che di fare credere. 2. L' altra diffinizione è del fine.  Et dice che fine è far credere per lo dire. Et certo chi   25. considera la verità In questa arte e' troverà che tutto lo  'ntendimento del parliere è di far credere le sue parole  all'uditore. Donque questo è la fine, cioè far credere; che  2: M* om. ilk'Oi'O  3: M-M' 7 lar  M-m per 1 udire - 3-4: M' om. Inlra 11' udicio  e ripete è cotale ilivisumento che no l'ollicio  M 7 è colalo  0: m il' e curare  9: t intenderemo cli6 olicio è quello ecc.  m om. e  JO: il ella, mi e la  i3 : .tf' et che il  lino  15: il apostamonle  M-m saltano dal l'ai ^ apposlatanicnto.  10: .tf-m-.l/' ornate  20: m diro si ornatamente et cliom))ost.  21 : M-m mn. Kl c|uesto dice - 23: M-m  che farle credere - 24: M-m per 1 udire  23: M 7 troverà - 26: M' del parlare   la ragione per cui fu mutata negli altri codici, mentre ò facile ammettere che sia  derivata da recahjli di M '. Quoista poi, a sua volta, non è che una variante di ìi  reca, con una estensione del pronome enclitico a cui contraddice la cosiddetta legge  del Mussafla (cfr., anche per Dante, in Bull. d. Soc. Dani., N. S., XIV, 90-91)    'mmantenenle che l'uomo crede ciò eli' è detto si rivolve (1)  lo suo animo a volere et a ffare ciò che '1 dicitore intende.  3. Ma dice Boezio nel quarto della Topica che '1 fine di questa arte è doppio, uno nel parladore et un altro nell'uditore.  5. Il parladore sempre desidera questo fine in sé: che dica  bene e che sia tenuto d' aver bene detto. Neil' uditore è  questo fine: che '1 dicitore a questo intende, che nell'uditore sia cotale fine che creda quello che dice; e questo fine  non desidera sempre IL PARLATORE sì come quello di sopra.   10. 4. Et per mostrare bene che è l' officio e che è il fine e che  divisamento àe dall'uno all'altro, sì dice Tulio che officio  è quello che '1 parliere de' fare nel suo parlamento secondo  lo 'nsegnamento di questa arte. Ma fine è quello per cui  cagione il parlieri dice compostamente; e certo questa cagione e questo fine nonn è altro se non fare credere ciò che  dice. Et di ciò pone exemplo del medico, e dice che Ilo   officio del medico è medicare compostamente per guerire   r amalato; la fine del medico èe sanare lo 'nfermo per lo   suo medicare. Già è detto sofficientemente dell' officio e della fine di rettorica; omai procederàe il conto a dire  della materia. Materia di questa arte dicemo che ssia quella nella quale  tutta l'arte e Ilo savere che dell'arte s'apprende dimora. Come se noi  dicemo che Ile malizie e le fedite sono materia del medico, perciò  che 'ntorno quelle è ogne medicina, altressì dicemo che quelle cose  sopra le quali s'adopera questa arte et il savere eh' è appreso dell'arte sono materia di rettorica; le quali cose alcuni pensaro che     1 : M sinvolve, m si involve, M^-L si muove  S : M' quello olio.  9 : M-m considera    10: M' om. l)ene  15: M-m non ae altro  m se none a faro  16: Af ' in ciò   17-18 : M Olii, è medicare.... del medico  19: M-m Già ae d. s. (mi s. d.)  20: M' del fine    ogimai procederà Tulio a dire  S,4: m e tutta l'arte  Jlf ' e sapere  S3: M-m le  malizie, cioè le malattie (glossa)  87: M e savere  tulli i inss, apresso  Questa è senza dubbio la lezione richiesta dal senso e giustificabile con  ragioni paleografiche: un siriuolue in cui ri è parso un n ha originato il sinvolve  di M; da questo, per correzione arbitraria, è nato si muore di Mi L. Invece di  si rivolve lo suo animo  (soggetto) si può anche intendere « (l'uomo) si rivolve  lo suo animo », ma forse l'espressione riesce meno naturale.   (2) La correzione è suggerita dalle parole precedenti : « lo savere che dell'arte  s'apprende». Il testo latino ha facuUas oratoria.  fossero piusori et altri meno. Che GORGIA DI LEONZIO, che fue quasi  il più antichissimo rettorico, e in oppinione che IL PARLATORE puo  molto bene dire di tutte cose. Et questi pare che dea a questa arte  grandissima materia sanza fine. Ma Aristotile, il quale diede a questa  5. arte molti aiuti et adornamenti, extimò che II' officio del PARLATORE sia sopra tre generazioni di cose, ciò sono dimostrativo, diliberativo  e giudiciale. Lo sponitore.   1. In questa parte dice Tulio che materia di rettorica   10. è quella cosa per cui cagione furo pensati e trovati li comandamenti di questa arte, e per cui cagione s'adoperala  scienzia clie 11' uomo apprende per quelli comandamenti.  Così fuoro trovati li comandamenti di medicina e gli adoperamenti per le infertadi e per le ferute; et insomma   15. quella è Ila materia sopr' alla quale conviene dicere. Et  sopra ciò fue trovata questa arte per dare insegnamento di ben dire secondo che Ila materia richiede e per fare  che ir uditore creda. Et di questo è stata diiferenzia  tra' savi : che molti furo che diceano che materia puote   20. essere ogne cosa sopr' alla quale convenisse parlare. Et se  questo fosse vero, donque sarebbe questa arte sanza fine,  che non puote essere; e di questi fue uno savio, GORGIA DI LEONZIO, antichissimo rettorico; et in ciò che Tulio l'appella antichissimo sì dimostra che non sia da credere.  Ma Aristotile, a cui è molto da credere, perciò che  diede molti aiuti et adornamenti a questa arte in perciò  che fece uno libro d' invenzione et un altro della parladura,  dice che rettorica èe sopra tre maniere di cose, e catuua  maniera èe genei'ale delle sue parti; e queste sono dimo 30. strativo, diliberativo e iudiciale, come in questi cercoletti  apiiare :     2: m cliel parlaro  3: M-m che (loggia (w dohbia) aiiiiistare  6: M' generi   7: M-m giiulicalivo - IS: M-m et per (incili comamlamenti. Af' aiiiirondo per qua com.,  S per qiialnni|ue com. (t bene) -- 13-14: M-m et por lo adoperamenlo et por lo inf.   M' fedito  15: m. M'-L sopra la quale  19: M' dissero  ?0: m sopra la ipiale  l'uomo chonviene parlare, M' sopra la (pialo  SS: M-m di questo  S3-S4: M' 1 aix.'llava  S6: M-m (lice molti aiuti  M' in ciò che, m però che  S7: Mdinvctione, hi d'invotione - S8: M-m materie  M' de cosa {ma L S di cose)  M^ ciasouna  30-31:  M-m om. come ecc. e la figura.  Et a questa sentenzia s'accorda Tulio, e sopra queste tre  maniere è tutta l'arte di rettorica. 4. Ma ben puote essere  oh' e' maestri in questo punto fanno divisamente intra dire  e dittare; che pare che Ila materia di dittare sia si generale che quasi sopra ogne cosa si possa fare pistola, cioè mandare lettera. Ma dire non si puote per modo di rettorica  se non delle dette tre maniere, perciò che Tulio CICERONE reca tutta  la rettorica in quistione di parole. Et intendo che quistione  è una diceria nella quale àe molte parole sie impigliate che ssine puote sostenere l'una parte e l'altra, cioè provare  si e no' per atrebuti, cioè per propietadi del fatto o della  persona. Et ecco l' exemplo in questa diceria che fie proposta in questo modo: È da sbandire in exilio Marco Tulio  Cicero no, che davanti (i) al popolo di ROMA fece anegare molti ROMANI a tempo che '1 comune era in dubbio? In  questa proposta à due parti, una del sì et un'altra del no.  Quella del sì è cotale : « Cicero è da sbandire, perciò che  à fatta la cotale cosa *. Quella del no è cotale: « Non è da  sbandire, che ricordando pure lo nome signififica buona cosa   20. et isbandire et exìlio (2) sìgnifBca mala cosa, e non è da credere che buono uomo faccia quello che ssia da sbandire  degno né de exìlio ». 6. Grià è detto che è la materia di  quest'arte, et afferma Tulio la sentenza d'Aristotile. Et  però che elli l' àe confermata, sì dicerà di catuna dì quelle   25. tre maniere sì compiutamente che per lui e per lo sponì   1 : m sachosta  2: Mi tucta  3:m tra dire od.  4:mL del dittare ~ 5 : M' si puote   6: M' lectoro  7 : 3f ' se non le docte  om. perciò  m tutta rettorica  9: M' ov'a   il: M-m et por atrebuti, M' per ai trebuti  m cioè i)roiiietadi  12: M sie o fie, m Ila,  M'-L fu - 14: m om. Cicero  M^ Cicerone che davanti il p.  15: M' al tempo   16: M imposta  19: M' il suo nome ò buona cosa  20: M' in exilio  21-22: m dongno  da sb., M' dengno di sbandire in oxilio  24: J/' la conferma   Non e' è dubbio sul testo, in cui la tradizione manoscritta è concorde;  quanto all'interpretazione cfr. Maggini, La Rettorica italiana di B. L.   Che et e non in sia la lezione originaria è comprovato dal seguente né  de exilio (cambiato da M< in exilio per analogia colla prima alterazione).    tore potrà quelli per cui è fatto questo libro intendere la  materia, lo movimento e la natura di rettorica. Ma ben  guardi d'intendere ciò che dice questo trattato e di Connoscere ciò che in esso si contiene, che altrimenti non potrebbe intendere quello che viene innanzi; e dicerà prima  del dimostrativo. Del dimostr amento. Dimostrativo è quello che ssi reca in laude o in vituperio  d'una certa personale. In questa parte dice CICERONE che, con ciò sia cosa che  Ile cause e Ile quistioni sopr' alcuna vicenda indella quale  l'uno afferma e l'altro niega siano di tre maniere, sì insegna Tulio avanti quale causa è dimostrativa. Ma lo sponi 15. tore non lascerà intanto che non dica la natura e Ila radice  di tutte e tre, oltx'e che dice il testo di Tulio; et in ciò  dicerà chi è la persona del parliere che dice sopra la causa,  e dicerà che è il fatto della causa. La persona del parliere è quella che viene in causa per lo suo detto o per lo   20. suo fatto: et intendo « suo detto » quello ch'elli disse o che ssi  crede ragionevolemente ch'elli abbia detto, avegna che detto  noll'abbia; altressì intendo «fatto» quello che fece o che ssi  crede ragionevolemente che elli abbia fatto, avegna che fatto  non sia. 3. Il fatto della causa è quel detto o quel fatto per lo quale alcuno viene in causa e questione; et in ciò sia  cotale exemplo: Dice Pompeio a Catellina: « Tu fai tra   1: in poUà collii è: M' c\ inovini. ~ 5: .W Jioooia, L ilice ora  6: i/del dimoslratio, m  (Iella dimostrationo  8: S si moslra  13-14: il' sia in ti-o maniero.... tulio avanti, m Tulio  inprima  M-m cosa  il' sia doni.  13: m oni. e la radice - lS-19: il-m Persona  del ]). 7 quella  19-20: il' per lo suo facto o per lo suo dello, m per lo s. d. e per lo s. f.  intondo suo detto e latto (pielli (nni-he il (iiielli) - SS: il-m e così intondo quello   S4 : il' ijucl detto  SS- il' et in ipiest., m. ohi.  L siae     -- 41  dimento nel comune di Roma». Et Catellina risponde:  « Non fo ». In questo convenente Pompeio e Catellina sono  le persone de'parlieri; e la causa è questa: «Tu fai tradimento »  « Non fo »; e chiamasi causa però che 11' uno ap5. pone e dice parole contra l'altro e mettelo in lite. 4. Et per  maggiore chiarezza dicerà lo sponitore che èe dimostramento e che deliberazione e che iudicamento, e così sopra  che è ciascuna maniera di rettorica.   Dimostramento. Dimostramento è una maniera di cause tale che per sua propietade il parliere dimostra ch'alcuna cosa sia onesta o disonèsta, e per questo mostra che è  da laudare e che da vituperare; e questa causa dimostrativa  è doppia: una speciale et un'altra che non si puote partire. La speciale dimostrativa è quella nella quale i parlieri si sforzano di provare una cosa essere onesta o disonesta,  non nominando alcuna certa persona; et intendo certa persona a dire delli uomini e delle cittadi e delle battaglie e  di cotali certe cose e determinate tra Ile genti, non intendo  dell'altezza del cielo né della grandezza del sole o della   20. luna, che questa quistione non pertiene a rettorica. Et  di questa causa speciale dimostrativa sia cotale exemplo :  « Il forte uomo è da laudare Dice l'altro: Non è, anzi è  da vituperare. E di questo nasce quistione, se '1 forte è  degno di lode o di vituperio, e perciò èe dimostrativa, ma   25. non nomina certa persona, e perciò è speciale. 8. La causa  dimostrativa che non si puote partire è quella nella quale  i parlieri vogliono mostrare alcuna cosa sia onesta o disonesta nominando certa persona, in questo modo. CICERONE è degno di lode. Dice l’altro. Non è. E  di questo nasce quistione, se sia da lodare o da vituperare.  Et questa quistione comprende due tempi : presente e preterito. Che al ver dire di ciò che 11' uomo fae presentemente  è lodato biasmato, et altressì di ciò che fece ne' tempi passati. 9. Et sopra ciò dicono 1' antiche storie di Roma che   35. questa causa dimostrativa si solca trattare in Campo Marzio,     5: 3/' perciò maggioro  7 : ìlt' cheo... cheo (ma L clie... che) - saprà che è   10: M' per sue propietadi il parladore  14: M' i parladori  m spellale o dimostrativa   16: M' nm. et intendo certa persona, vi om. et  17: M' et dele ciltadi  18: m  cliase diterminate  19: M-m et della gr.  20: m non apartiene  ^i :?» om. speciale   M-m dimostrata  M k cotale lessemplo - So: M-m om. è  27: M' alcuna persona  essere  M-m di tre tempi  m pres., preter. e luturo  32: M-m Et al ver dire   33 : M-m om. di     - 42  nel quale s'asemblava la comunanza a llodare alcuna persona ch'era degna d'avere dignitade e signoria et a biasmare quella che non era degna. E già è ben detto della  causa dimostrativa; sì dicerà il maestro della causa deli5. berativa.   Del diliber amento.   21. Diiiberativo è quello il quale, messo (^' a contendere et  a dimandare tra' cittadini, riceve detto per sentenzia. In questa parte dice Tulio che causa diliberativa è quella eh' è messa e detta a' cittadini a contendere il lor  pareri et a domandare a lloro quello che nne sentono; e  sopra ciò si dicono molte et isvai'iate sentenze, perchè alla  fine si possa prendere la migliore (2). 2. Et questo modo di   15. causare è quello che fanno tutto die i signori e le podestà  delle genti, che raunano li consillieri per diliberare che  ssia da fFare sopra alcuna vicenda e che da non fare; e  quasi ciascuno dice la sua sentenza, sicché alla fine si  prende quella che pare migliore. 3. Et in ciò sia questo   20. exemplo che propone il senatore: « E da mandare oste in  Macedonia? » Dice l'uno sì e l'altro no. Et così diliberano  qual sia lo meglio, e prendesi 1' una sentenza. Et questa  quistione si considera pure nel tempo futuro, che al ver  dire sopra le cose future prende l'uomo consiglio e dili 25. bera che ssia da fare e che noe. 4. Et questa causa diliberativa è doppia: una speciale et un'altra che non si puote  partire. 5. Speciale è quella nella quale si considera d'ai  cuna cosa s' ella è utile o s' eli' è dannosa, non nominando     1-3: M alcuno cli'era dengno  om. e signoria.... degna  6: Tutti i mss. omesso,  S è messo  H : M-m che in essa - m M' i loro pareri, L illoro pareri  12: M' da  loro - 13: M-m dicono  14: M-m lo migliore  15: M-m cassare (M 7 quello)    16: M-m raunavano  17: M-m non daffare  20: M' ressom])ro  M-m che  pone -22: M' il migliore  24: m nel tempo futuro  ilf ' iirendo huomo(»nn L S l'uomo)  M-m Questa ì; causa, cioè cosa, diliberativa 7 doppia,. L e delib. e doppia   m una e spetiale  M-m om. che  27: M-m alcuna cosa  28: M-m om. sellò   (1) Il testo latino non lascia alcun dubbio. La stessa corruzione, comune a  tutti i codici, è nel successivo § 22 (e posto), e il costrutto insolito la rendeva facile.   (2) Anche la lezione lo migliore è buona, ma preferisco quella di M' perchè  corrisponde esattamente alla fino del § 2.    alcuna certa persona. Et ecco l'essempio: Dice uno: “Pace  è da tenere intra cristiani.”. Dice l'altro: « Non è ». Et di  ciò nasce causa diliberativa speciale, se Ila pace è da tenere  o no. L'altra che non si può partire è quella nella quale  5. i dicitori studiano di provare e' alcuna cosa sia utile o dannosa, nominando certe persone, in questo modo: Dice l'uno:  « Pace è da tenere intra Melanesi e Cremonesi. Dice l'altro: «Non è». Et già è detto della causa diliberativa;  omai dicerae il maestro del iudiciale. Ma questo sia conto  a ciascuno, che Ila propietade della diliberazione èe mostrare che ssia utile e che dannoso in alcuno convenentre.  Et questa diliberativa si solca trattare nel senato, e prima  diliberavano li savi privatamente che era utile e che no  e poi si recava il loro consiglio in parlamento e quivi si fermava la loro sentenza, e talvolta si ne prendea un'altra  migliore.  Judiciale è quello il quale, posto In iudicio, à in sé accusazione e difensione o petizione e recusazione. La natura di iudicamento si è una forma la quale si  conviene al parladore per cagione di mostrare la iustizia  e la 'niustizia d'alcuna cosa, cioè per mostrare d'una cosa  s' ella è insta o centra iustizia, in cotal modo : che uno ac-cusa un altro e l’accusato si difende elli medesimo o un  altro per lui; overo che uno fa sua petizione e domanda  guidardone per alcuna cosa eh' elli abbia ben fatta, et un  altro recusa e dice che non è da guidardonare, e talvolta  dice. Anzi è degno di pena. Et questa causa si pone  in iudicio, cioè in corte davante a' indici, acciò eh' elli indichino tra Ile parti quale àe iustizia; e questo si fae in  corte palese in saputa delle genti, acciò che Ila pena del     S. in Iva  3: M-m e so la p.  4: M' L'altra la quale  7 : Ai da melanesi, m tra  mei. - Af ' e li crem.  M-m l'altro dice  *: J/ E già detto  U-m cosa  9 : M ' oggimai dicera del giudioiale - 10: ;»/' om. a ciascuno  m e damostrare  12: m ohe prima  14: m om. e  m M' in loro consiglio (ma L illoro cons.)  14-15: A/' in loro sententia  si fermava  18: Tuttiimss. e [tosto  i9: m accnsatione, difensione, pctitiono  Tutta mas.  recusatione {ma cfr. testo latino)  24: m chontro a iust.  m om. che  V e medesimo, L elli med.  27: m fatta bene  28: m om. e dice  32: m traile genti.  malfattore dia exemplo di non malfare, e '1 guidardone  de' benfattori sia exemplo agli altri di ben fare. Et sopra  questa materia dice uno savio: « I buoni si guardano di  peccare per amore della vertude, i malvagi si guardano  5. per paura della pena ». 3. Et è questa causa iudiciale doppia: una speciale et un' altra che non si puote partire.  Speciale è quella nella quale il pai'lierc si sforza di mostrare alcuna cosa che ssia insta o iniusta, non nominando  certa persona; in questo modo: « Il ladro èe da 'mpendere,   10. perchè commette furto ». Dice l'altro: « Non è ». 4. Quella  che non si puote partire è quella nella quale il parliere si  sforza di mostrare una cosa essere iusta o no, nominando  certa persona; in questo modo: « È da impendere Guido  eh' à fatto furto, o no? » Od « E da guidardonare GIULIO Cesare eh' à conquistata Francia, o no? Et tutte que  ste cause iudiciali si considerano sopra'1 tempo preterito perciò che di ciò che l’uomo à fatto in arrietro è guidardonato o punito. CICERONE dice la sua sentenzia della materia di rettorica riprende quella d' Ermagoras. Et sì come porta la nostra oppinione, l'arte del parliere (0  e la sua sctenzia è di questa materia partita in tre. (cai). VI) Che   certo non pare che Ermagoras attenda quello che dice ne attenda C^)   ciò che promette, acciò che dovide la materia di questa arte in causa   25. et in questione.     1 : VI exempro allo genti  -V far malo  M il guidardone  S: M' tini benfacloro   m om. VA  4: M' o li malvagi seno guardano  6: U' et una che  7: il' il dicitore  - 9: M-m om. modo  m è da mpichare  10: M' un altro  12-15: M-m om. ila  nominando alla fine del paragrafo  i6: il-m om. si  i7: m per adietro  i8:m pulito  SI : M-m parlare, M' parladore, L parlatore M Amagoras   Che sia da legger cosi dimostra non tanto la variante di M' quanto, specialmente, il trovare nel § 1 del commento lo stesso errore di Mm di fronte a  parliere di M'. Conservo, coi codici, i due attenda, quantunque il tosto latino abbia nel  primo caso attendere e nel secondo intellUjere: qui ci aspetteremmo dunque intenda, e l'alterazione, per analogia col primo verbo, sarebbe spiegabilissima. Ma  anello con attenda il senso va bene; e forse una prova della somiglianza sostanziale per l'autore fra attendere e intendere si ha nel § 7 del commento, dove,  riferendosi a questo passo, i due verbi sono invertiti di posto: «non pare che  Ermagoras intendesse quello che dicea, nò che considerasse (= attendesse) quello  che promettea. Poi elle Tulio àe detto davanti le tre partite della  materia di rettorica sì come fue oppiuione d'Aristotile, in  questa parte conferma Tulio la sentej^izia d'Aristotile; e  5. dice che pare a llui quel medesimo, e riprende la sentenzia d'Ermagoras, il quale diceva che Ila materia del parliere è di due partite, cioè causa e quistione. Ma certo  e' dovea così riprendere coloro che giungeano alla materia  di quest'arte confortameuto e disconfortamento e consolalo, mento; e lui riprende Tulio nominatamente perciò ch'elli  era più novello e però dovea elli essere più sottile, e riprendelo ancora però che ssi traea più innanzi dell'arte;  e riprendendo lui pare che riprenda li altri. Ma però che  Tulio CICERONE non disfina (D lo riprendimento delli altri, si vuole lo sponitore chiarire il loro fallimento, e dice così: 3. Vero  è che, si come mostrato è qua in adietro, l' officio del parliere si è parlare appostatamente per fare credere, e questo  far credere è sopra quelle cose che sono in lite, e' ancora  non sono pervenute all' anima ; ma chi vuole considerai e  il vero, e' troverà che confortameuto e disconfortamento  sono solamente sopra quelle cose che già sono pervenute  all' anima. Verbigrazia: Lo sponitore avea propensato di  fare questo libro, ma per negligenzia lo intralasciava;  onde da questa negligenzia il potea bene alcuno ritrattare per confortameuto, e questo conforto viene sopra  cosa la quale era già pervenuta all'anima, cioè la negligenzia.Et se alcuno disconforta un altro che avea proposto di malfare, tanto che ssinde rimane, altressi viene lo  sconforto in cosa la quale era già pervenuta all' anima. Adunque è provato che conforto né disconforto non pos   1 : m dinanzi  3: L dico e conferma  4: M-m la sciencia  6-7 : M-m parlaro  10:  M'-L non mattamente li: M-m om. elli  14: m diffina (o anche disfina), ilf'-/y non  examina delli altri  m om. si  16: M^ in qua dietro  m del parlare  17: M-m  om. si  18: M' et che ancora, m e anchora  SO: M' et trovare  21: m om. già  - S3 : L pensato, S per pensato  23: M lo tralassava, m lo lasciava  24: M' bene  ritrarre alcuno, w lo potea alchuno ritrarre - 27 : vi sconforta  30: M-m sconforto  Manuzzi registra disfinire per « compiere » e anclie por « dichiarare »,  che mi sembra qui il senso piìi adatto.   (2) Non mancano esempii (cfr. Manuzzi, s. v.) che permettono di mantenm-e  questa parola in senso di «ritrarre», come appunto sostituirono gh altri mss. altìsono essere materia di questa arte. 5. Ma consolamento  puote anzi essere materia del parliere, perciò che puote  venire sopra cosa e' ancora non sia pervenuta all' anima.  Verbigrazia: Uno uomo ferma nel suo cuore di  menare dolorosa vita per la morte d' una persona cui elli  ama sopra tutte cose. Ma un savio lo consola, tanto  elle propone d'avere allegrezza, la quale non era ancora  pervenuta all'anima. Ma perciò che in questo consolamento  non ha lite, perciò che '1 consolato non si difende né non allega ragioni contra il consolatore, non puote essere materia di questa arte. 6. Or è ben vero che altri dissen che  dimostrazione non era materia di questa arte, anzi era materia di poete, però eh' a' poete s' apartiene di lodare e di  vituperare altrui. Et avegna che CICERONE no Ili riprenda nominatamente, assai si puote intendere la riprensione di loro  in ciò eh' e' conferma la sentenza d'Aristotile che disse che  dimostrazione e deliberazione e iudicazione sono materia di  questa arte. Et sopra ciò nota che dimostrazione pertiene a' poeti et a' parlieri, ma in diversi modi : che ' poeti  lodano e biasmano sanza lite, che non è chi dica contra,  e '1 parlieri loda e vitupera con lite, che è chi dice contra  il suo dire. Et perciò dice Tulio che non pare che Ermagoras intendesse quello che dicea, né che considerasse  quello che prometea, dicendo che tutte cause e questioni   25. proverebbe per rettorica. Or dicerà Tulio le rii)rensioni  d' Ermagora sopra causa e sopra questione. Tullio seguita Ermagoras della causa, etc.  Causa dice che ssìa quella cosa nella quale abbia controversia posta in dicere con interposizione di certe persone; le quali  30. noi medesimo dicemo che è materia dell' arte e, sì come detto avemo  dinanzi, che sono tre parti : iudiciale, dimostrativo e deliberativo.     2: M' innanzi  del parlatore  3: m non 6 jiervenuta  5-6: M ellamava   6-7 : III lo chonsolò, M' il consola tutto sì clid iiropone  8: M-m che questo cons.   .9: in e non allega  i3: m di poota.... a poeti, M' de poeti... ali poeti  M' o di vit.   i-i: M nelle, m non le, M' non gli  i6: M' elicgli conferma  17: m dim., dilib. et  iiivochationo  19: M' ali poeti et ali pailadori 5i : M II parlieri, »i 11 parlieri?, 3/«  E! parladore  m pero che è chi dicha chontro al suo dire  S-1: A/' chelgli prom.   26: m e questione, M' sopra questioni  30: m nm. medesimo  itf' nm. o    Sponitore.   1. Poi che Tulio avea detto che Ei-magoras non intese  se stesso dicendo che causa e questione sono materia di  questa scienzia, sì dice in questa parte che Ermagoras  5. dicea che fosse causa. 2. Et causa appella una cosa della  quale molti sono in controversia, perciò che 11' uno ne  sente uno intendimento e l'altro ne trae un'altra diversa  intenzione; sicché sopr' a cciò contendono di parole mettendo e nominando alcuna certa persona, che non si possa  10. partire e che propiamente e determinatamente si partenga  alle civili questioni. 3. Et di questo dice Tulio che ss' accorda co llui, che ciò àe elli detto davanti per sé e per  Aristotile; ma dicerà omai com' elli errò in questione. Qtd rijivende Tullio Ermagoì     asQuestione apella quella che àe in se controversia posta   in dicere sanza interposizione di certe persone, a questo modo: Che  èe bene fuori d'onestade? Sono li senni (i) veri? Chente è la forma del  mondo? Chente è la grandezza del sole? Le quali questioni intendemo tutti leggiermente essere lontane dall'officio del parliere;   20. che molto n' è grande mattezza e forseneria somettere al parliere  in guisa di picciole cose quelle nelle quali noi troviamo essere consumata la somma dello 'ngegno de' filosofi con grandissima fatica.   Sponitore.   1. Ora dice Tulio che Ermagoras appellava questione   25. quella cosa sopra la quale era controversia intra molti,   sicché contendeano di parole l'uno contra l'altro non no   5 M diceva - m ch'era chausa  7: M^ e un altro ne trae altra d. i., M na {sic)  trae, m ne atrae  8: M-m contendemo  10: M' nominatamente  m sautenga   13: Jf' oggimai  15: M' la quale ae  16-17: M' che ben  M-iii li senni vari   M' om. h  M-m la l'ama  19: M-m del parlare  20: M-m oiii. raaltozza, ilf ' om. e forseneria  JZ-w parlare, M' parladore  SI: l/Tiusta,//i in vista 24 ^/-w appellalo: M' era questione  m tra molti  26: M ne contendeano   (1) Traduce il latino sensus con una forma che ritorna anche nel commento;  è la stessa fusione, o confusione, cho troviamo nel francese.  minando certa persona la quale propiamente s'apartenesse  alle civili questioni. 2. Et in ciò pone cotale exemplo: «Che  è bene fuori d'onestade?» Grande contraversia fue intra' filosofi qual fosse il sovrano bene in vita: et erano molti  5. che diceano d'onestade, e questi fuoro i parepatetici; altri  erano che diceano di volontade, e questi sono epicurii.  3. Altressì fue questione se ' senni sono veri, perciò che  alcuna fiata s'ingannano, che se noi credemo che ricalco  sia oro sanza fallo s' inganna il nostro senno. Altressì fue questione della forma del mondo, però eh' alcuni filosofi  provavano che '1 mondo è tondo, altri dicono eh' è lungo, o  otangolo(l\ o quadrato. 5. Altressì era questione della grandezza del sole, che alcuni dicono che’l sole è otto tanti che  Ila terra, altri più et altri meno. Et questa misura si sforzalo, vano di cogliere i maestri di geometria misurando la terra,  e per essa misura ritraeano quella del sole. Et perciò  mostra Tulio che Ermagora non intese quello che dicea,  ch'assai legiei'mente s'intende che queste cotali questioni  non toccano l'ufficio del parliere. Et nota che dice officio però che ben potrebbe essere che '1 parliere fosse FILOSOFO,  e così toccherebbe bene a lini trattare di quelle questioni,  ma ciò non arebbe per officio di rettorica ma di FILOSOFIAf. Donque ben è fuori della mente e vano di senno quelli che  dice che'1 parliere possa o debbia trattare di queste questioni, nelle quali tutto tempo si consumano et affaticano  I FILOSOFI. Or à provato Tulio che Ermagoras non intese  quello che disse. Ornai proverà come non attese quello che  promise, in ciò che promettea di trattare per rettorica ogne  causa et ogne questione. 8. Et ciò fae a guisa de' savi, i     1 : 3/' sì plenesse - 3: M-m fuori con lioneslade, M'-l di l'iiuri 7 lioii. 4' ili l'uori  d'hon.  .W grande (juostione  mi traili lilosali  -I : m «m. et  5 : .V diceano hon.   M-m OHI. questi fuoro  il pai'ei)atoiici, .W parclieiialetici  6: il' diceano volontade  (S ugg. cioè piacere)  7: M-m se songni - 8: M' chel ricalco  9: S il nostro sentimento  iO: il perciò  id: il' diceano  IS: il Hangolo ('/), "i troangholo, .W'-i  triangolo, S otangolo  m quadro  i3: il' cotanti che terra, i cotanti chella  terj-a 16: m ritraevano la misura d. s.  17: il' che elgli diceva. Kt assai ecc.   S3: M' Dunque ben  M' chi dice  24: M' debbia parlare  25: M' et faticano   S7: il-m non inteso  28: M-m perche (> rectorica  29: M-m di savi   (1) La lezione di M ò incerta, ma sembra spiegata e confermata da quella di  S che risalo all'altra famiglia di codici ; un segno male interpretato come abbreviatura di ri può aver suggerito la lezione triangolo. Il commento di Vittorino a  questo passo non parla nò di triangolo né di ottangolo.   (2) Il latino Ila in ca.     - 49    quali vogliendo mostrare la loro sapienzia sì 11' apongono  ad alcuna arte per la quale non si puote provare; come  s' alcuno volesse trattare d' una questione di dialetica et  aponessela a gramatica, per la quale non si pruova né ssi  5. potrebbe provare, e ciò mosterrebbe usando per argomenti  la sua sapienzia; e sopr'a cciò ecco '1 testo di Tulio.   Tullio dice in somma ciò ch'elli avea detto davanti. Che se Ermagoras avesse in queste cose avuto gran savere  acquistato per istudio e per insegnamento, parrebbe ch'elli, usando la sua scienzia, avesse ordinata una falsa cosa dell'arte del parliere,  e non avesse sposto quello che puote l'arte ma quello che potea elli.  Ma ora è quella forza nell'uomo ch'alcuno li tolga più tosto rettorica che no-lli concedesse filosofia. Ma perciò l' arte che fece non mi  pare del tutto malmendosa, ch'assai pare ch'elli abbia in essad) locate cose elette ingegnosamente e diligentemente ritratte delle antiche arti,  et alcuna v'àe messo di nuovo; ma molto è piccola cosa dire dell'arte sì come fece elli, e molto è grandissima parlare per l'arte, la  qual cosa noi vedemo ch'esso non poteo fare. Per la qual cosa pare  a noi che materia di rettorica è quella che disse Aristotile, della   20. quale noi avemo detto qua indietro. In questa parte dice CICERONE che se Ermagoras fosse  stato bene savio, sicché potesse trattare le quistioni e le  cause, parrebbe eh' avesse detto falso, cioè che avesse dato al parliere quello officio che nonn é suo; e così non avrebbe  mostrata la forza dell'arte, ma averebbe mostrata la sua.  Ma ora è quella forza nell'uomo, cioè tal fue questo  Ermagoras, che neuno che dicesse eh' e' non sappia rettorica nolli concederae che sia FILOSOFO. Ma perciò l'arte     1 : 3f siila pongono  3: m trattare una q.  4-5: M' per la quale non si porla  provare  M' om. per argomenti  9: M^ o \)ev insegnamento parendo 10: »i ordinato   M-m del parlare  11 : M-m non avesse posto (»m in et n.)  M' ([nello puote   13: M' che fece nolli cono.  14-15: M-m messe, A/' in esse  M-m ^ locate le cose  («4 nm. le cose) 7 lecte  17: M dell'arti, in delle urti  itf' grandissimo  18: Jl/ potea,  M' ]jotero  19: ni sia quella. M' qua in adietro  S4: M-m ciò  M' cavesse  detto  25: Af a parliere  28: M' ch'olii  28-29: S che non lu veruno che dicesse  ch'elli non sappia retorica non dirà giù che egli sia philosopho   (1) Il testo latino ha in ea.     che fece non pare in tutto rea ». In questa parola il cuopre (1) Tulio e dimostra eh' elli avrebbe bene ijotuto dire  X^egio. Et dice « non è del tutto rea » perciò eh' elli àe  messo nel suo libro con molta diligenzia e con ingegno li  5. comandamenti delli altri maestri di questa arte, et alcuna  cosa nuova v' agiunse. Et qui pare che Tulio lo lodi là ove  il vitupera, dicendo che fosse furo in perciò che delle scritte  d' altri maestri fece il suo libro. Ma molto è picciola  cosa dire dell' arte, ciò viene a dire eh' al parliere non s'apartiene dare insegnamenti dell'arte, sì come fece Ermagora, ma apartiensi a llui in tutte guise parlare secondo  li 'nsegnamenti e comandamenti dell" arte, la qual cosa non  seppe fare esso. 5. Adonque è da tenere la sentenzia d'Aristotile, che dice che materia di questa arte è dimostrativo, deliberativo e iudiciale. Et ornai è detto sofficientemente e  diligentemente del genere, cioè generalmente, dell' officio  e della fine di rettorica; or sì dicerà il conto delle sue  parti, sì come Tulio promise nel suo testo qua indietro.Tullio CICERONE dice le parti di rettorica.   20. 27. Le parti sono queste, sì come i più dicono: Inventio, di spositio, elocutio, memoria e pronuntiatio.     Lo sponitore. Cinque parti dice Tulio che sono et assegna ragione   per che, e quella ragione metterà lo sponitore in suo luogo.   25. Ma prima dicerà le ragioni che nne mostra BOEZIO nel   quarto della Topica, che dice che se alcuna di queste cin   1-2: S scuopre  4: M' con non molto.... ingegni i com.  6: J/' vi giiingnesse   i>f-»i la dove  7:M* fosse ladro  m poro che dello dette scritte - 8-9: M' delli altri   om. Ma... arte  m cosa a dire  10: M-m a dire  12 : m egli noi seppe fare  14 : m  dice materia  15-17 : M' Et oggimai ae solTicientemento detto del genere, dell' officio et  del (ine dì rectorica. Si dicerà l'autore déle sue parti  M sulficientemcnte dilig.  m ora  dirà  20;mLLQ parti di rettoriclia  M' inveutione, dispositione, ccc  24: S questa   M-m che dico se alcuna  Cioè «lo difonde». La lezione scuopre di S sarà nata da un ilcuopre letto  iscuopre; come senso si ridurrebbe a una ripetizione di dimostra.  que ijarti falla nella diceria, non è mai compiuta; e se  queste parti sono in una diceria o inn una lettera, certo  l'arte di rettorica vi fie altressì. 2. Un'altra ragione n'asegiia BOEZIO: che però sono sue parti perchè esse la 'INFORMANO E ORDINANO e la fanno tutta essere, altressì come '1  fondamento, la i)ai'ete e '1 tetto sono parti d'una casa sì  che la fanno essere, e s' alcuna ne fallisse non sarebbe la  casa compiuta. Et dice Tulio che queste sono le parti  di rettorica sì come i più dicono, i)erò che furo alcuni  che diceano che memoria non è parte di rettorica perciò che non è scienzia, et altri diceano che dispositio non è  parte d' essa arte. Et così va oltre Cicerone e dicerà di  ciascuna parte perse, e primieramente dicerà della 'uvenzione, sì come di piti degna; e veramente è più degna, però   15. ch'ella puote essere e stare sanza l'altre, ma l'altre non  possono essere sanza lei. Tullio dice della invenzione.  Inventio è apensamento a trovare cose vere o verisimili  le quali facciano la causa acconcia a provare. Dice CICERONE che invenzione è quella scienzia per la quale  noi sapemo trovare cose vere, cioè argomenti necessarii e nota « necessarii », cioè a dire che conviene che pure cosi  sia - e sapemo trovare cose VERISIMILI, cioè argomenti ac 25. conci a provare che così sia, per li quali argomenti veri  e verisimili si possa provare e fare credere il detto o '1  fatto d'alcuna persona, la quale si difenda o che dica incontro ad un' altra. 2. E questo puote così intendere il  porto dello sponitore. Verbigrazia: Aviene una materia   30. sopra la quale conviene dire parole, o difendendo 1' una     i: .W manca  3: m vi (ia, M' vi l'u - 3-4: M' dice Boelius, che poroiù  5: m  fannola tutta essere, Af' li fanno essere tutto alti-essi ecc.  6: M' son parte  8 : m om.  Et  10: m non era ~ 11: M^ dispositlone  12: M-m dell'arte  13: m primamente 16: m essere o stare  18: M' invontione (e coù semiire)  m pensamento  il' overo  simili  19: il-m la cosa  S3: SI' om. a dire  23-24: m pure che cos'i sia. E sappiano  M' nm. acconci ~ 26: M-m el facto - 27-28: m chontro ad un altra     - 52  parte o dicendo centra l'altra; o per aventura sia materia  sopra la quale si conviene dittare in lettera. Non sia donque la lingua pronta a parlare né la mano presta alla penna,  ma consideri che '1 savio mette alla bilancia le sue parole  5. tutto avanti clie Ile metta in dire né inn iscritta. 3. Consideri ancora che '1 buono difficiatore e maestro poi che  propone di fare una casa, primieramente et anzi che metta  le mani a farla, sì pensa nella sua mente il modo della casa  e truova nel suo extimare come la casa sia migliore; e poi   10. eh' elli àe tutto questo trovato per lo suo pensamento, sì  comincia lo suo lavorio. Tutto altressi dee fare il buono  rettorico: pensare diligentemente la natura della sua materia, e sopra essa trovare argomenti veri o verisimili sì  che possa provare e fare credere ciò che dice. 4. Et già   15. é detto quello che è inventio. Ora procederà il conto a dire  quello che è dispositio.     Dice Tullio de dispositio. Dispositio èe assettamento delle cose trovate per ordine. Perciò che trovare argomenti per provare e FAR CREDERE il suo dire non vale neente chi no Ili sae asettare per ordine, cioè mettere ciascuno argomento in quella parte  e luogo che ssi conviene, per più affermamento della sua  parte, sì dice Tulio che è dispositio. 2. E dice eh' è quella   25. scienzia per la quale noi sapemo ordinare li argomenti  trovati in luogo convenevole, cioè i fermi argomenti nel  principio, i deboli nel mezzo, i fermissimi, co' quali non  si possa contrastare lievemente, nella fine. Cosi fae il  difficatore della casa, che poi eh' elli àe trovato il modo     1 : m chontro all'altra - 2 .• M sopralla ([ualo - M' oiii. don(|uo - 3: in o la mano alla  penna - 5: m tutto prima, S tutto - m o in iscritta, M' o in iscriptura  6-S:.il diliciatore  prima che metta lo mani a lare  mr=.)/, ma o maestro - 9: m Poi - 10: M' U suo lavoro  i3: M-m si veri che possa - 14-16: M E già liecto, mi Ora e detto - M' omquello - M-m Ora procederà il conto quello che è spositio, .«' Si procederà il conto a dire  che k dispositione - SO: m diro il suo criMloro - Sfì: M trovai -,W-»i ohi. i, m om. argopienti  27: M' ali (piali     nella sua mente, elli ordina il fondamento in quel luogo  che ssi conviene, e ila parete e '1 tetto, e poi 1' uscia e  camere e caminate, et a ciascuna dà il suo luogo. 4. Già  è detto che è dispositio; or diceva il conto che è elocutio.     5. Tullio dice della locuzione.   30. Elocutio è aconciamento di parole e di sentenzie avenanti  alla invenzione.   Sponitore.   I. Perciò che neente vale trovare od ordinare chi non  sae ornare lo suo dire e mettere parole piacevoli e piene  di buone sentenze secondo che ssi conviene alla materia  trovata, sì dice Tulio che è elocutio. Et dice che è quella scienzia per la quale noi sapemo giungere ornamento di  parole e di sentenze a quello che noi avemo trovato et ordinato. E nota che ornamento di parole èe una dignitade la quale proviene per alcuna delle parole della diceria, per la quale tutta la diceria risplende. Verbigrazia. Il  grande valore che in voi regna mi dà grande SPERANZA del  vostro aiuto. Certo questa parola, cioè “regna”, fa tutte  risplendere l'altre parole che ivi sono. Altressì nota che  ornamento di sentenze è una dignitade la quale proviene  di ciò che in una diceria si giugne una sentenza con un'altra con piacevole dilettamente. Verbigrazia. In queste parole di Salamene. Melliori sono le ferite dell'amico che frodosi basci del nemico. Et già è detto che è elocutio, cioè  apparecchiamento di parole e di sentenzie che facciano la diceria piacevole et ordinata di parole e di sentenzie. Omai procederà il conto alla quarta parte di rettorica, cioè memoria.     i-2: m in quello che si chonvienc et il luogo.... l'ascia, charaere3: M^ camminate, ciascuna in suo luogo. Et già ecc.  0-7: M-m avenonti alla ntentione (anche  S intenliono)  9: M om. od  10: M' sa adornare il suo dire  15: m om. E 16: M dignità della quale, m M' dignità la quale pervieneSO: M' vi sono  SI m,»f' perviene  22 .- M-m om. Ai  M un'altra seutenfa con un altro, m in un'altra diceria  si giungne un'altra sententia chon un altro piacevole dil.  23: M-m dice Salamene   25: M' li frodolenli basci  m om. Et  26-27: M om. e di sentenzie, m om. piacevole  el; M om. che.... parole  Ambedue le lezioni sono possibili; ma con quella di M si spiega meglio una  pretesa correzione in dice (chi avrebbe pensato, invece, a cambiare dice indi?),  mentre poi il verbo dice renderebbe superflua l'espressione in queste parole.  Dice Tulio della memoria. Memoria è fermo ricevimento nell'animo delle cose e delle  parole e dell'ordinamento d'esse.  Et perciò che neente vale trovare, ordinare o acon ciare le parole, se noi nolle ritenemo nella memoria sicché  ci'nde ricordi quando volemo dire o dittare, sì dice Tulio  che è memoria. Onde nota che memoria èe di due maniere:  una naturale et un'altra artificiale. La naturale è quella forza dell'anima per la quale noi sapemo ritenere a memoria QUELLO CHE NO APRENDEMO PER ALCUNO SENNO SEL CORPO. Artificiale è quella scienzia la quale s'acquista per insegnamenti delli FILOSOFI, per li quali bene impresi noi possiamo ritenere a memoria le cose che avemo udite o trovate  o APRESE PER ALCUNO DE’ SENNI DEL CORPO e di questa memoria artificiale dice Tulio eh' è parte di rettorica. Et dice  che memoria è quella scienzia per la quale noi fermiamo nell'animo le cose e le parole eh' avemo trovate et ordinate,  sicché noi ci 'nde ricordiamo quando siemo a dire. Et già é detto che è memoria; si dicerà il conto la quinta et ultima  parte di rettorica, cioè pronuntiatio. Dice CICERONE della pronunziagione. Pronuntiatio è avenimento della persona e della voce secondo la dignitade delle cose e delle parole. Et al ver dire poco vale trovare, ordinare, ornare  parole et avere memoria chi non sae profFerere e dicere le  sue parole con avenimento. Et perciò alla fine dice Tulio Però che niente  ot acconciai-e  7: w» cene, Af' cine  M volere  9:mom,  et  il: M' senso  IS: M' quella memoria  i-i: J»/' udito  i5: 4f' sensi  16-,  m nnu Et  i8 : m olle parole  i9: M' noi vegnamo a dire  SO- « ultra parte, hi  ora dirà il conto la quinta jiarte, .W" il maestro - S6 : m o ornare  27: in a chi non sae  prollbrere o diro     -òsche è pronuntiatio; e dice eh' è quella scienzia per la quale  noi sapemo profferere le nostre parole et amisurare et accordare la voce e '1 portamento della persona e delle membra secondo la qualitade del fatto e secondo la condizione della diceria. Che chi vuole considerare il vero, altro modo vuole nelle voci e nel corpo parlando di dolore che  di letizia, et altro di pace che di guerra, ('he '1 parliere  che vuole somuovere il populo a guerra dee parlare ad  alta voce per franche parole e vittoriose, et avere argoglioso advenimento di persona e niquitosa ciera contra ' nemici. Et se Ila condizione richiede che debbia parlamentare a cavallo, si dee elli avere cavallo di grande rigoglio,  sì che quando il segnore parla il suo cavallo gridi et anatrisca e razzi la terra col piede e levi la polvere e soffi per e nari e faccia tutta romire la piazza, sicché paia che  coninci lo stormo e sia nella battaglia. Et in questo punto  non pare che ssi disvegna a la fiata levare la mano o per  mostrare abondante animo o quasi per minaccia de' nemici. Tutto altrimenti dee in fatto di pace avere umile advenimento del corpo, la ciera amorevole, LA VOCE SOAVE, la  parola paceffica, le mani chete; e’1 suo cavallo dee essere chetissimo e pieno di tanta posa e' sì guernito di soavitade  che sopr'a llui NON SI UMOVA UN SOL PELO, ma elli medesimo  paia factore della pace. Et così in letizia de' 1 parlatore  tenere LA TESTA LEVATA, il viso allegro e tutte sue parole e  viste SIGNIFICHINO allegrezza. Ma parlando in dolore sia LA TESTA INCHINATA, il viso triste e li occhi pieni di lagrime  e tutte sue parole e viste dolorose, sicché ciascuno sembiante per sé e ciascuno motto per sé muova l'animo dell’uditore a piangere et a dolore. Et già é detto delle  V parti sustanziali di rettorica interamente secondo  l'oppinione di Tulio, e sì come lo sponitore le puote  fare meglio intendere al suo porto; sì ritorna Tulio a scusare sé medesimo di ciò che non àe mostrato ragione perché     2: m e misurare ~ 5: M' che a chi vuole  0: M' noia boce  7 : M' parlare, m  Il parliere  8: m smuovere  i/' om. il populo  11 : M parlantare, m p-are  12: m  mn. elli  14-15: M' delle nari, vi sozzi le anari  16: il' incominci  17: M-m om.  per  19-20: M' humili avenimenti  m nel chorpo  21 : M' le parole pacefiche   22 : L di tanta jwssa  24 : M' om. Et  mss. del parlatore  25 : M-m levata in suso il' le sue parole  26: il-m e signilichino  27: m chinata, il' inchina, L inchinata   28 : M-m parole iuste e dolorose  29: il' muove  30: m piangerò a dolore. Ora è detto   31 : il' sustanziali parti  32: M' il puote      56    quello sia genere et ofifìcio e fine di rettorica sì com' elli  àe fatto della materia e delle parti, e dice in questo modo.   Tullio dice che tratterà della materia e delle parti. Oramai dette brievemente queste cose, atermineremo in  5 altro tempo le ragioni per le quali noi potessimo dimostrare il  genere e IPofficio e Ila fine di quest'arte, però che bisognano di  molte parole e non sono di tanta opera a mostrare la propietade  e Ile comandamenta dell'arte. Ma colui che scrive l'arte rettorica  pare a noi che 'I convenga scrivere dell'altre due, cioè della maio teria e delle parti. E io perciò voglio trattare della materia e delle  parti congiuntamente. Adunque si dee considerare più intentivamente  chente in tutti generi delle cause debbia essere inventio, la quale  è principessa di tutte le parti.  In questa parte dice Tulio che non vuole ora provare perchè quello sia genere di rettorica che detto è  davante, né Ilo officio né Ila fine, però che vorrebbe lunglie  parole e non sono di molto frutto, e però l' atermina nelr altro libro nel quale tratta sopr' a cciò; et in questo presente libro tratta della materia, cioè dimostrazione,  deliberazione e iudicazione, et altressì tratta delle pai'ti,  cioè inventio, dispositio, elocutio, memoria e pronuntiatio. Et di tutte queste tratterà insieme e comunemente. Ma  però che inventio è la più degna parte, sì dicerà CICERONE chente ella dee essere in ciascuno genere di rettorica,  cioè come noi dovemo trovare quando la materia sia di  causa dimostrativa, e quando sia deliberativa, e quando  sia iudiciale; e tratterà si comunemente che mosterrà  come sia da trovare in catuna di queste cause, e come   30. ordinare e come ornare la diceria, e come tenere a memoria e come profferere le sue parole.     1 : M-m quella  4 : M' Ogimai  7 : M admostrare, ni a dimostrare  M' le propicladi  9: M-m che convenga - iO-H : M-m om. K io.... congiuntamente  IS: M-m  chente e  i3: Af' do tutte l'arti  16: M-m quella, M -L quel  M' detto davanti   18: M' lo termina  20: M-m dimostrative  23: M' congiuntamente; m om. e  24:  M-m om. SI dicerà Tulio  i'S : M' om. sia  congiuntamente  S9: Af' come iu e. d.  q. e. sa da trovare  30: iii nm. e come ornare  Lo sponitore parla all' amico suo. Perciò lo sponitore priega '1 suo porto, poi ch'elli àe impresa altezza di  tanta opera come questa èe, che a llui piaccia di si dare  l'animo a cciò eh' è detto davanti, spezialmente in connoscere il dimostrativo e '1 deliberativo e '1 iudiciale che sono il fondamento di tutta l'arte, e poi a quel che siegue per  innanzi, eh' elli intenda tutto '1 libro di tal guisa che, per lo  buono aprendimento e per lo bel dire che farà secondo lo 'nsegnamento dell' arte, il libro e lo sponitore ne riceveJO. ranno perpetua laude. Della constitnzione e delle quattro sue parti.   34. (e. Vili) Ogne cosa la quale àe alcuna controversia in  diceria o in questione contiene in se questione di fatto o di nome  di genere o d'azione; e noi quella questione delia quale nasce la causa apelliamo constituzione. E constitnzione è quella eh' è  prima pugna delle cause, la quale muove dal contastamento della intenzione in questo modo. Facesti. Non feci, o Feci per  ragione. Poi che CICERONE àe detto di mostrare e trattare della   invenzione e della materia insieme, sì mostra lo sponitore  in che ordine trattò de l'inventio; ma per maggiore chiarezza dicerà tutto avanti in che significazione si prendono  queste parole, cioè causa, controversia, constituzione e stato. Causa vale tanto a dire quanto il detto o '1 fatto d' alcuno, per lo quale è messo in lite, ed è appellato causa  tutto '1 processo dell' una e dell' altra parte. Et appellasi  causa tutta la diceria e la contenzione cominciando al  prolago e tìniendo alla conclusione; donde dice uomo:     3: M-m di darli l'animo  7-10: M^ chel baono  ben dire  per tua laude, M-m  dello sponitore, M ne rlcevemo, m ne riceva - 13: m o questione, ilf ' om. contiene in se  questione  14 : M-m di quella  15: M^ constitutione ò la prima pugna  21 : M' om.  insieme  M' mosterra, ma L mostra  SS : M delinventia, m della inventia, M^ della  inventione  23: m tutto innanzi  Af' mi. si prendono  S7 : M' dell'una parte 7 dell'altra  28: M-m la 'nlentione  M' dal prol.   La mia causa è giusta, cioè, la mia parte è giusta. Controversia vale a dire tanto come causa, e viene a dire  “controversare” cioè usare l'uno coli' altro di diverse ragioni  e contrarie. Questione tant' è a dire come '1primo detto di colui che comincia contra un altro e '1 secondo detto  di colui che ssi difende. Et appellasi quistione una diceria  nella quale àe due parti messe in guisa di dubitazione, et  appellasi questione per l'una e per l'altra parte della questione. Constituzione si prende et intende in quelle medesime significazioni che sono dette davanti. Stato è appellato il detto e '1 fatto'l) dell'aversario, però che' parliere  stanno a provare quel detto o quel fatto; e questo medesimo  è appellato constituzione perciò che '1 parliere constituisce  et ordina la sua ragione e la sua parte di quel detto o di quel fatto. Et per ciò è appellato “CONTRO-VERSIA” che diversi  diversamente sentono di quel detto o di quel fatto. Qui dice lo sponitore come Tullio tratterà della Invenzione. Et poi che Ilo sponitore àe dette le significazioni di queste parole, dicerà in chente ordine Tulio tratta della 'nvenzione. Et certo primieramente insegna invenire e trovare  quelle questioni le quale trattano i parlieri, et appellale  constituzioni e dice la proprietade di constituzione e dividela in parti. Nel secondo luogo mostra qual causa sia  simpla, cioè di due divisioni, e qual sia composta, cioè di quattro o di più. Nel terzo luogo mostra qual contraversia sia in scritta e quale in dicere. Nel quarto luogo  mostra quelle cose che nascono di constituzione, cioè la  diceria nella quale àe due divisioni e ragioni, e Ila giudicazione e '1 fermamento. Nel quinto luogo mostra in che guisa si debbono trattare le parti della diceria secondo  rettorica. Nel VI luogo mostra quante sono esse parti  e quali e che sia da ffare in ciascuna. Et disponesi cosi     2 : Af' vale quasi tanto  3: M' controversia  centra l'altro diverse ragioni  4:M'  k tanto a dire  M-m come primo  5: m e secondo  7: M-m parti in essere  M dnbitatione sanfa dubitatione  9: M' i s'intende  10: m dinanzi  J8: m om. VAIO: M' sì dicerà oggimai  20: L a trovare  23: m In quattro parti  M-m dimostra  - M qual cosa, m ciualo luogho  26 : M-m sia scripta - 28 : M'-L e la ragiono el iudicamento el fermamente  29: m dimostra  31: M luorao (tic) . 32: M' ciascuno  M Kt diponesi, m ('dispensi, M'-L Et dispone   Ci aspetteremmo o 'l fatto, anche per uniformità colle frasi seguenti ; ma  la concordia dei codici per e lascia incerti sulla conesiione, che non è neppure  indispensabile per il senso.      59    il testo di Tulio per fare intendere onde procedono le quistioni che toccano al parliere di questa ai'te. Ogne cosa la quale àe in sé CONTRO-VERSIA,  cioè della quale i diversi diversamente sentono sicché alcuna cosa dicono sopr' a cciò con inquisizione, cioè per  sapere se alcuna delle parti è vera o falsa, sì à' in sé questione di fatto, cioè questione la quale muove di ciò che  alcun fatto è apposto altrui. Verbigrazia : Dice l'uno contra l'altro. Tu mettesti fuoco nel Campidoglio. Et esso risponde. Non misi. Di questo nasce una cotale questione, se elli fece questo fatto o no, et è appellata questione di fatto per quello fatto che a llui è apposto, etc. Od è questione di nome, cioè che l’una parte appone  un nome a un fatto (D e l'altra parte n'appone un altro. Verbigrazia: Alcuno à furato d'una chiesa uno cavallo o  altra cosa che non sia sagrata. Dice l’una parte contra lui. Tu ài commesso sacrilegio. Dice l'altro. Non sacrilegio, ma furto. Et nota che sacrilegio è molto peggiore  che furto, perciò che colui commette sacrilegio che fura  cosa sacrata di luogo sacrato. Donde di questo nasce una  questione del nome di quel fatto, cioè se dee avere nome  furto sacrilegio, e però è appellata QUESTIONE DEL NOME. Od è questione del genere, cioè della qualitade d'alcuno  fatto, in ciò che l’una parte appone a quel fatto una qualitade e l' altra un' altra. Verbigrazia : Dice F uno. Questi  uccise la madre iustamente perciò ch'ella avea morto il suo  padre. Dice l'altro. Non è vero, ma iniustamente l'à  fatt; e di ciò nasce cotal questione di questa qualitade. Se l'à fatto iustamente o iniustamente, e perciò è appellata questione di genere, cioè della qualità d'un fatto e   di che maniera sia. Od è questione d'azione, cioè viene   a dire che contiene questione la quale procede di ciò,   e' alcuna azione si muta d' un luogo ad altro e d'un tempo   ad altro. Verbigrazia : Dice uno contra un altro. Tu m' ài    M' diversi  6: M' se l'una parte  8: 3f' un facto  8-9: M' uno contra un  altro  M' Elgli, mie 12-13: m che 6 allui aposto, il/' perche il facto che allui e  e apposto da questione ecc.  M-m Onde questione  i4 : M-m in nome o in facto, M'  ialla dal 1° al 2° appone  18: m M' oin. Et  M' peggio  20: m Onde  21: M'  del nome del facto  22: m di nome  23: M-m Onde  m di genere  25: M-m l'altro   28: iW' OHI. e  29: M-m om. se l'à fatto  30: M' o di che m. - 31 : M-m Onde   mcioò che viene  32-34: M' dico calcuna ad un altro  om. e.... ad altro  uno a un altro   È lezione congetturale, ma sicura, come dimostra l'espressione analoga del § 16.  furato un cavallo »; et esso risponde: « Vero è, ma non tine  rispondo in questo tempo, perciò che ttu se' mio servo, o  perciò eh' è tempo feriato, o perciò eh' io non debbo risponderti in questa corte, ma in quella della mia terra. Onde di questo procede una questione, la quale Tulio dice che  è d'azione, cioè se colui dee rispondere o no. Et dice  Tulio che tutte le quistioni che sono dette davanti sono  appellate constituzioni, cioè c'anno questo nome. Et dice  che constituzione è la prima pugna delle cause, cioè  quello sopra che da prima contendono i parlieri, cioè il  detto dell'uno e '1 detto dell'altro, e questo sopra che  de prima contendono i parlieri si è il nascimento, cioè che  muove del contrastamento della intenzione, cioè del detto  di colui che ssi difende contra le parole dell'accusatore. Onde contastamento è appellato el primo detto del difensore e intentione è appellata il primo detto dello accusatore. Et pare che il nascimento della constituzione vegna  della difensione ch'è della accusa, non che nasca della difensione, ma perciò che del detto del difenditore si puote cognoscere se Ila causa o Ila questione è di fatto o di genere o di nome o d'azione, sì come appare nelli exempli  che sono messi davanti.  Et omai dicerà Tulio le nomora  e Ile divisioni e Ile proprietadi e He cagioni di tutte le dette  questioni.  Del fatto, et è detto congettìirale. Quando la controversia è di fatto, perciò che Ila causa si  ferma per congetture, sì à nome constituzione congetturale. In questa parte dice Tulio che quando la contenzione è per alcuno fatto che sia apposto ad altrui, sì come   davanti si dice, sì conviene eh' ella sia provata per con   1 : M' 0(1 cigli, VI et e  3: m e però ch'io  M' rispondere  6 : M' se quelli   m OHI. Et  10: M i parliero, vi quello dello quale contendono da prima  14: M difontu  15: m M' il primo  16: M' appellato - 17: M-m che nascimento  19: M' owi.  del  23-24: M' om. e Ilo cagioni, mn scrive le detto | cagioni I (piestioni  SS: Moni.  è  26-27: M-vi om. è  per cometlere  30: M' apposto altrui  gettare, cioè per suspezioni e per presunzioni. Verbigrazia:  Dice uno contra un altro. Veramente tu uccidesti Aiaces,  ch'io ti trovai e VIDI TRAIERE IL COLTELLO DEL SUO CORPO. Et questa è faticosa questione, ciò dice Vittorino, perciò  5. che a provarla si faticano molto i parlieri, perciò ch'altressì ferme ragioni si possono inducere per l’una parte  come per 1' altra. E poi eh' è detto della constituzione di  fatto, sì dicerà Tulio di quella eh' è di nome.  Del nome, et è appellata ilifjìnitiva.  Quando è la controversia del nome, perciò che Ila forza   della parola si conviene diffinire per parole, sì è nominata diffinitiva. In questa parte dice Tulio che quando la conten 15 zione è del nome del fatto, cioè come quel fatto eh' è apposto altrui abbia nome, quella questione si è diffinitiva  perciò che Ila forza, cioè la significazione di quella parola  e di quel nome si conviene diffinire, cioè aprire e rispianare che viene a dire e che significa, non per exempli ma per parole brevi e chiare et intendevole.Verbigrazia. Un uomo è accusato che tolse uno calice d' uno luogo sacrato et è Ili apposto che sia sacrilegio, et esso si difende  dicendo che non è sacrilegio ma furto. Or sopra questa controversia si è tutta la questione per lo nome di questo fatto: è sacrilegio o furto? Onde per sapere la veritade si conviene diffinire l'uno nome e l’altro, cioè dire la signifficazione e Ilo 'ntendimento di ciascuno nome, e poi che fie  chiarito per le parole quello che '1 nome significa, assai  bene si potrà intendere e provai e qual nome si XJonga a   30. quel fatto. Et poi eh' è detto del nome, sì dicerà Tulio  del genere.     3: m e viJili trarre, M' ol ti vidi trarre  5-6: M'-L acciò che altress'i (L altre si) f.  r. se ne possono  7: in ora. E  *: m om. sì  W: M' la controversia è  ii: M'-L  appellata  13: M-m om. è  3f ' 7 ilei facto  16: M' om sì  17:M' che ella airorca   M-m a quella parola - 21-22: M' del luogo sacro  23: M' ma e furto  24-25:  AT» se questo facto è sacrilegio furto  26: m l'altro  M-m dare - 28: M-m che  nome  30: m om. Ei e si    Dice Tullio del genere, et è appellato generale.  Quando è quistione della cosa qual sia, perciò clie Ila.  controversia è della forza e del genere del fatto, sì è vocata constituzione generale. In questa parte dice Tulio che quando è questione  della cosa quale ella sia, perciò che Ila controversia è della  forza del fatto, cioè della quantitade, e della comparazione  et altressì del genere, cioè della qualitade d'esso fatto, si è   10. vocata constituzione generale. Verbigrazia. La quantitade del fatto si è cotale questione : se uno à fatto tanto  quanto un altro, si come fue questione SE CICERONE AVEA TANTO SERVITO AL COMUNE ROMA QUANTO CATONE. La comparazione del fatbo si è cotale: di due partiti qual sia migliore, si come fue questione quando i ROMANI presono Cartagine  QUAL ERA MEGLIO TRA DISFARLA O LASCIARLA. Il genere del  fatto si è questione della qualità del fatto sì come davanti  fue messo F exemplo, cioè se colui che fece il fatto fece  iustamente o iniustamente.  Dice Tullio dell'azione, et è appellata translativa.  Ma quando la causa pende di ciò che non pare che quella  persona che ssi conviene muova la questione, o non la muove contra  cui si conviene, o non appo coloro che ssi conviene.d) o non in tempo  che ssi conviene, o non di quella lege o di quel peccato o di quella  pena che ssi conviene, quella constituzione à nome translativa, però che  ir azione bisogna d' avere translazione e tramutamento.     8: M-m o decta forfa  9: M-m sia  M' aiiiiellala  H : M-m senno - 14. m do  fatto  i7: M-m qualità  2'1: A/' l'accusa  24: M convenne, M-m nm. o non   (1) La frase o non appo coloro che ssi conviene manca in tutti i codici, ma si  ricava dal latino aid non apud qiios e dal § 4 dol commento.  In questa parte dice CICERONE della controversia dell'azione, che quando sopr'acciò è Ila questione e' si conviene  che l’azione si tramuti in tutto o in parte, e perciò à nome translativa, cioè trarautativa. Et questo è o puote essere  Ijer sette maniere, le quali sono nominate nel testo, cioè:  2. Quando non muove la questione quella persona a cui la  conviene di muovere. Verbigrazia: Dice uno scoiaio contra  ad un altro. Tu se' venuto troppo tardi a scuola. Et  esso dice. A te no'nde rispondo, che non ti si conviene  muovermi questione di ciò, ma conviensi al nostro maestro. O non muove la questione contra quella persona  che ssi conviene. Verbigrazia. Fue trovato che in ROMA  si trattava tradimento e fue alcuno che ll'aponea contra GIULIO Cesare, et esso dicea. Contra me non si conviene  muovere di ciò questione, ma contra CATELLINA CATILLINA che l’ àe  fatto e fa tutta fiata ». non muove la questione appo  coloro che ssi conviene, cioè davanti a quelle persone che  dee. Verbigrazia : Fue accusato il vescovo di simonia davanti al re di Navarra. Il vescovo dice. Tu non m'accusi  davante a giudice eh' io debbia rispondere, ma io son bene  tenuto di ciò e d'altro davante l'appostolico. O non  muove la quistione in quel tempo che ssi conviene. Verbigrazia. Uno fue accusato il giorno di Pasqua. Esso dicea. Non rispondo ora di questo, perciò che oggi non è  tempo d' attendere a cotali convenenti» non muove  questione a quella lege che ssi conviene. Verbigrazia : Uno  cittadino di ROMA era in Parigi e volea piatire contra uno  francesco secondo la legge di Roma; ma quel francesco dice     3: Jtf -HI 7 si conviene, 3/' om.  5: Af 7 puote, m e questo puole essere  M' in sette m.   7-8: m si conviene  M' in contro a un altro  9-iO: M' Ed elgli, m et elli  M-m om.  ti  12: M-m muovere, M' muove questione  i4: Af alcuna 16: m questione di ciò,  M' di ciò non si conv. m. q.  ' 17: m tuttavia  M-m contra coloro  18-19: M' che  si dee.... Il vescovo fu acc.  21: M davante a giudici, m /> davanti a giudici, M' davanti  giudice - 24: m della Pasqua  egli  25: M' non ti rispondo ora di ciò  26: m M'  da rispondere  29: M' la legge romana  m il Francesco   (1) Questa è la lezione miglioro per il senso, né si trova una valida ragione  per considerarla arbitraria, quantunque dalle due famiglie di codici sembri risultare un da rispondere: sarà stato determinato dal rispondo con cui comincia la frase che non dee rispondere a quella legge ma a quella di  Francia. O non muove la questione di quel peccato che  ssi conviene. Verbigrazia. Fue accusato uno, che non avea  il membro masculino, ch'avesse corrotta una vergine; esso dice. Io non risponderò di questo peccato -- non  muove questione di quella pena che ssi conviene. Verbigrazia. Fue uno accusato ch'avea morto uno gallo et erali  apposto che perciò dovea perdere la testa; esso dicea: Non  rispondo a questa pena, perciò che non tocca a questo peccato. Donde tutte queste questioni sono translative,  cioè che ssi tramutano in altro fatto e stato, tal fiata in  tutto e tal fiata in parte, si come appare nelli exempli di  sopra.  Dice Tullio se l'una delle dette quattro cose non fosse non sarebbe causa. E così conviene che ssia l' una di queste inn ogne maniera di cause, perciò che in qual causa no 'nde fosse alcuna, certo  in quella non porrebbe avere contraversia, e perciò conviene che  non sia tenuta causa. Poi che CICERONE àe divisate le parti della constituzione  et àe detto che e come è ciascuna di quelle parti e le  loro nomerà, sì vuole Tulio provare che quando l'una di  queste questioni, che sono del fatto o del nome o della qualità del tramutare l'azione, non è intra parlieri, certo intra  loro non puote essere controversia ; e poi che 'ntra loro  non à controversia, certo il fatto sopra il quale dicessero  parole non sarebbe causa, e così non sarebbe materia di  questa arte, cioè che non sarebbe dimostrativo né diliberativo né iudiciale. 2. Et provando questo sì dimostra Tulio     i: i non si dee  4-5: m M' Klgli dico -- 7: M' Fue accusalo uno  8: M' nm_  perciò - m egli dice  M' non li lispondo  9: M' non tocclia (piosto peccato  ti:  M' in altro slato, m om. e stalo - J2:M' paro  16: M' luna de ipicste sia - 17: M tn  i|ualcosa, m in quale chosa - SS : M-M^ 7 ciascuna - S3: m provare Tulio - S3-S6: M-m  om. ^  m tralloro - 30: m quando ([U'-sto    che Ile predette cose in questa arte sono si congiunte insieme che qualuuiiue causa è dimostrativa o deliberativa  o iudiciale sì conviene che sia constituzione o del fatto o del  nome o della qualitade o dell' azione, et e converso che  5. qualunque constituzione è del fatto o del nome o della  qualità o dell'azione sì conviene che sia dimostrativa o  deliberativa o iudiciale. Et omai perseverra Tulio sua materia per dicere di ciascuna parte per sé.  Del fatto. La contraversia del fatto si puote distribuire in tutti tempi: che ssi puote fare quistione che è essuto fatto, in questo modo. Ulisse uccise Aiace o no ? Et puotesi fare questione che ssi fa  ora, in questo modo Sono i Fregelliani in buono animo verso lo  comune o no ? Et puotesi fare questione che ssi farà, in questo   15. modo : Se noi lasciamo Cartagine intera, everranne bene al comune  no? In questa pai'te dice CICERONE che Ila CONTRO-VERSIA la quale è di fatto che ssia apposto ad altrui, la quale àe nome constituzione congetturale sì come fue detto in  adietro e messo in exempli, sì puote essere in tutti tempi,  cioè preterito, presente e futuro. Nel PRETERITO pone  Tulio r exemplo della MORTE D’AIACE, che fue cotale.  Stando l'assedio di Troia sì fue morto il buon Achille,  et apresso la sua morte fue grande questione delle sue armi  intra Ulisse et Aiace. Et certo Ulisse fue, secondo che  contano le storie, il più savio uomo de' Greci e '1 milìor  parliere, sicché per lo grande senno che i-llui regnava e  per lo bene dire niettea in compimento le grandi vicende, alle quali altre non sapea pervenire, e perciò adoperò e' più  di male contra' Troiani per lo suo senno che non fecero   M dimoslraliva  3: M' constitutione del facto  4-6: M-m om. ot e conweiso....  dell'azione  7 : M' Et oggimai perseguita  10: M' in dui tempi  11: m clie exututo   13: M* de buono animo  14: m om. che ssi farà  15: M-m, L in terra  ikf' averranne, m e veramente bene  S3 : M' Tulio la morto  24: M* a Troia  26-27: M'  secondo che recitano le storie, fue M-m et niilior  29: M* per .ben dire  30: Mie  quali, m le quali oltre non sapeano  M adopio 7, m adoppio più, M' adopero elgli  M' in contro a  la non fé, L non fece     quasi tutta l'oste per arme, et alla fine si parve uianifestameute, eh' elli fue trovatore del cavallo per lo quale fue Troia perduta e tradita; ma veramente in guerra non si  5. fatigava molto con arme e non era di gran prodezza, ma  tuttavolta dimandava che Ili fossono CONCEDUTTE L’ARMI D'ACHILLE, e dicea che nn'era degno e ch'avea in quella  guerra ben fatta l'opera perchè etc Et dall' altra parte  Aiaces era uno cavaliere franco e prode all'arme, di gran  guisa, ma non era pieno di grande senno e sanza molto** (D  francamente avea portate l'armi in quella guerra, e perciò  domandava l'armi d'Achille e dicea che non si conveniano  ad ULISSE. Onde alla fine l'armi furono concedute ad  Ulisse, per la qual cosa montò tra lloro TANTA INVIDIA che divennero nemici mortali ; et in questo mezzo tempo e  morto Aiaces e fue della sua morte ACCUSATO Ulixes, et  esso si difendea e negava ; e di questo sì era QUESTIONE DI FATTO in preterito, cioè che già era fatto in tempo passato. Inol presente tempo mette Tulio l' exemplo de' Fragellani, che furo una gente i quali fui'ono accusati in ROMA eh' elli aveano male animo contra il comune. Et elli si difendeano e diceano che 11' aveano buono e dritto ; e di ciò  si era QUESTIONE DI FATTO PRESENTE, cioè se sono ora presentemente di buono animo o no. Nel FUTURO mette CICERONE l’exemplo di CARTAGINE, la quale fue una delle più nobili  cittadi e delle più poderose del mondo, e tenne guerra  contro a ROMA, sì eh' alla fine I ROMANI vinsero e presero  la terra ; e furo alcuni che voleano che Ila cittade si disfacesse per lo bene di Roma, ET ALTRI CONSIGLIARO DEL NO perciò che '1 meglio ne potrebbe advenire s' ella rimanesse  intera, e di ciò è QUESTIONE DEL TEMPO FUTURO, cioè se  bene o male n'averrà se Cartagine rimanesse intera o s'ella  si disfacesse. Ma poi che Tulio à detto della controversia  del fatto, sì dicerà di quella del nome in questo modo.     i: M' ne non era.  6: M' ben dengno  7 : M' ben l'opera perchè, L bene adoperato perchè  9: m orti, e sanza molto  10: M-m provale  14: m iim. mezzo   15 : m 7 dela sua morte fue aco.  16-17 : M-m onde di questo era già (piestione... in perciò  che già ecc. (vi om. in perciò)  18: M' Fregiani  19: M' che fuoro accusati  SO: SI'  comune de Roma  22 : m om. si  S6: M incontra  S7 : m om. e  M' vollero (ma L  voleano)  28: m om. et  M' di no  m pero che meglo ne potrebbe loro intervenire  M-m, L in terra  Af' e questo nel tempo futuro  M-m che bene  31: M, L'in terra   (1) Così hanno i mss. e perfino la stampa, ma evidentemente manca qualche  parola (anzi itf " dopo molto lascia uno spazio bianco), come dire o parlare. Basti  averlo notato, senza pretendere d' indovinare.  Del nome. Controversia del nome è quando lo fatto è conceduto, ma  è questione di quello eh' è fatto in che nome sia appellato; et in  questo conviene che sia controversia del nome, perciò che non  s'accordano della cosa; non che del fatto non sia bene certo, ma  che quello ch'è fatto non pare all'uno quello eh' all' altro, e perciò  l'uno l'appella d'un nome e l'altro d'un altro. Per la qual cosa  in questa maniera la cosa dee essere diffinita per parole e brevemente discritta, come se alcuno à tolta una cosa sacrata d'uno luogo  privato, se dee essere giudicato furo o sacrilego, che certo in  essa questione conviene difinire l'uno e l'altro, che sia furo e  che sacrilego, e mostrare per sua discrezione che Ila cosa conviene  avere altro nome che quello che dicono li aversarii. In questa parte dice CICERONE della controversia del   nome ; e perciò che di questo è molto detto davanti, sì siue  trapassa lo sponitore brevemente, dicendo solamente la  tema del testo, sopra '1 quale il caso è cotale: Roberto  accusa Gualtieri ch'elli àe malamente tolta una cosa sacrata, si come UNO CALICE o altra simile cosa la quale sia  diputata a' divini mistieri, e dice che Ila tolse d'uno luogo  privato, cioè d'una casa o d'altro luogo non sacrato. Viene  l'accusato e confessa il fatto. Dice l'accusatore. Tu ài  fatto sacrilegio. Dice l'accusato. Non ò fatto sacrilegio, ma furto. Et così sono in concordia del fatto, ma non della cosa, cioè della proprietade per la quale si possa sapere che nome abbia questo fatto, perciò eh' all' accusatore  pare una, che dice ch'è SACRILEGIO, et all'accusato pare  un' altra, che dice eh' è FURTO. Onde in questa maniera di CONTROVERSIA si conviene che '1 PARLIERE che dice sopra  questa materia dififinisca e faccia conto IN BREVI PAROLE     3 : it 7 (li questo  9 : M-m distrecta 10: M- sacrato  M-m per furto o per sacrilegio, L furto sacrilegio 11: M-m con l'altro  m furto  12: M-m che sacrilegio, A/' che  sia sacrilego  il/' scriptione  16:Mom. detto  M' nm. si  18: m sopralla quale - J/'  Uberto : M' tolto  19 : m cosa simile  SI: M-m ad veruno mistieri (m mistiere)   23-24: M il l'atto. Et dice laccusato  m Non o, ma furto  27-28: m però chellachusatorc...  una diosa  2H-29: M-m om. sacrilegio.... cli'ò  30: jV' jjarladore  3t: M' didinita     - G8  che cosa è SACRILEGIO e che è FURTO; e così dee mostrare  come questo fatto non à quel nome che dice l'aversario. Ed è detto della CONTROVERSIA del nome; omai dicerà Tulio CICERONE di quella del genere, in questo modo :     5. Del genere.   ^Z. (e. IX) Controversia del genere è quando il fatto è   conceduto e sono certi del nome d' esso fatto, ma è questione della   quantitade del fatto o del modo o della qualitade, in questo modo :   giusto ingiusto - utile o inutile - e tutte cose nelle quali è questione chente sia quel fatto.  In questa parte dice Tulio CICERONE della questione del genere,  e di questa è tanto detto dinanzi che 'n poche parole dimorerà lo sponitore ; e dice che quella controversia è del genere nella quale Y accusato confessa il fatto et è in concordia coir accusatore del nome d' esso fatto, ma sono in  discordia della quantitade del fatto, cioè se grande o piccolo o molto o poco. Verbigrazia. Un gran romano  quando dovea cacciare i nemici del suo comune si fuge. E accusato eh' ha fatto danno e male alla inaestà di Roma; l'accusato confessa il fatto e '1 nome del  facto. Dice l'accusatore. Questo è grande DANNO.  Dice  l'accusato : « Non è grande, ma PICCOLO. Ed è la discordia  tra loro della quantità, cioè se quel male è grande o piccolo. O sono in discordia del modo, cioè della comparazione del fatto, sì come fue detto qua indietro nell'exemplo  di Cartagine, qual fosse la migliore parte tra disfare o lasciare. O sono in discordia della qualitade del fatto, sì  comepare in exemplo d'ORESTE che uccide la sua madre, ed e accusato che l’ha morta ingiustamente. Ed ORESTE si  difende e dice che l'à morta giustamente, ma bene con   OM,     8: M'in modo della qualitndo  9: m o non giusto  12: M' tracia  i3: M-m  detto  VI di questo  M die poclie p.  m dimora, Af' <limorra - 16-17: M' ohi. ma  sono.... del fatto  20: M-m t>m. e male  S3: M-m nm. Ed  So: >/' Or sono, M-m  OHI. - 26: M' nm. si - 27 : M' o disfare - 2S : M-m quantitade - 29 : M' nelexemplo  di ((uestl, M-vi dotesles  30-.il : m nm. ot esso... GIUSTAMENTE giustamente, M' nm. si - M-m cliellavea     - 69    fessa il fatto e 1 nome del fatto; ma sono in discordia della  qualità, cioè se 11' àe fatto GIUSTAMENTE O INGIUSTAMENTE. Ben  è vero che Tulio CICERONE non mette in exemplo della quàntitade  nel testo, né della comparazione, se non solamente della  5. qualitade ; e questo fae perciò che più sovente ne vien tra  Ile mani che non fanno l'altre, e perciò dice che tutte cose  nelle quali si confessa il fatto e '1 nome del fatto, ma è  questione della qualità d'esso fatto, sì è controversia del  genere. E poi che Tullio CICERONE à detto di questa questione del genere secondo il suo parimento, sì procede immantenente a riprendere Ermagoras dell'errore suo in questa  controversia del genere. A questo genere Ermagoras sottopuose IV parti, ciò sono DELIBERATIVO, DEMONSTRATIVO, IUDICIALE, E NEGOZIALE. Il quale suo  fallimento non mezanamente pare che ssia da riprendere, ma in  breve, perciò che sse noi ci ne passiamo così tacendo fosse pensato che noi lo seguissimo sanza cagione; o se lungamente soprastessimo  in ciò, paia che noi facessimo dimoro et impedimento agli altri insegnamenti. Se deliberamento e dimostramento sono generi  delle cause, non possono essere diritte parti d'alcuno genere di  causa, perciò che una medesima cosa puote bene essere genere d'una  e parte d'un' altra, ma non puote essere parte e genere d'una medesima. Et certo deliberamento e dimostramento sono genera delle cause. Ma o non è alcuno genere di cause, o è pur iudiciale solamente, è iudiciale e dimostrativo e deliberativo. Dicere che non  sia alcun genere di cause, con ciò sia cosa eh' e' medesimo dice che  Ile cause sono molte e sopra esse dà insegnamento, è grande forseneria. Un genere, cioè pur iudiciale solamente, non puote essere, acciò che diliberamento e dimostramento non sono simili intra lloro  e molto si discordano dal genere iudiciale, e ciascuno à suo fine  al quale si dee ritornare. Adunque è certo che tutti e tre son generi delle cause, e così deliberamento e dimostramento non possono     4: M> nel testo exemiilo - 5: M' in tra le mani  iO: m om. secondo il suo parimente  M mantenente  13: M-m II (juale lue  i7 : 3/' nm. i)erciò  cene passassimo  18: m stessomo - 19: M' dimora, m imped. 7 dimoro  20: M-m dim.   22 : m M' causa  M-m genere 7 parte d' una medesima - 23 : M' Ma none, vi Ma anno  ale.  26: M-m om. e deliberativo  27: M' ch'elli - 28: M' essi... inseffnamenti   28-29 : M 7 grandi; fors (?), m 7 grande forma, M' 7 grandi mattezze. Genere ere.  .12 :  M 7 certo  3:i : M' de cause... dimost. 7 del.    essere a diritto tenute parti d'alcuno genere dì causa. Dunque malamente disse ch'elli fossero parte della constituzione del genere.  46. (e. X) Et s'elle non possono essere tenute diritte parti della  causa del genere, molto meno fien tenute parti della diritta parte della causa; e parte della causa è ogne constituzione; donde no la  causa alla constituzione, ma la constituzione s'acconcia alla causa.  Ma dimostramento e diliberamento non possono essere tenute diritte  parti della causa del genere, perciò che sono generi: donque molto  meno debbono essere tenuti parte di quello ch'esso dice. Appresso ciò, se Ila constituzione et essa e ciascuna parte della constituzione è difensione contra quello eh' è apposto, conviene che  quella che no è difensione non sia constituzione ne parte di constituzione. Et certo deliberamento e dimostramento non sono constituzione. Dunque se constituzione et ella e la sua parte è difensione contra quello eh' è apposto, il dimostramento e '1 diliberamento non  è constituzione ne parte di constituzione. Ma piace a Itui che ssia  difensione. Dunque conviene che Ili piaccia che non sia constituzione,  né parte di constituzione. Et in altrettale isconvenevile fie condotto,  se esso dica che constituzione sia la prima confermazione dell' accusatore o Ila prima preghiera del difenditore ; e così seguiranno  lui tutti questi sconvenevoli. Appresso ciò, la causa congetturale, cioè di fatto, non puote d'una medesima parte inn un medesimo genere essere congetturale e diffinitiva ; et altressì la diffinitiva  causa non puote essere d'una medesima parte inn uno medesimo genere diffinitiva e translativa. Et al postutto neuna constituzione  ne parte di constituzione puote avere e tenere la sua forza et altrui;  perciò che ciascuna è considerata semplicemente per sua natura ; se  l'altra si prende, il nomerò delle constituzioni si radoppia, non si  cresce la forza della constituzione. Veramente la causa deliberativa insieme d'una medesima parte in un medesimo genere suole avere  la constituzione congetturale e generale e diffinitiva e translativa, et  alla fiata una e talvolta piusori. Adunque, essa non è constituzione  né parte di constituzione. Et questo medesimo suole usatamente  advenire della causa dimostrativa. Adunque sì come noi avemo detto   3,5. davanti, questi, cioè deliberamento e dimostramento, sono generi  delle cause e non parti d'alcuna constituzione.     1 : M' a diricto essere tenute parte  5: M-tn om. parto delln causa ìvi om. no 7: JV' tenuti  9 : m tenute parti, il/' im. tenuti  M-m cliossi dice  iO: M-m chella  const.  11: M-m ? difensione  M' (piella - IS: M-m non sia la constitutione  13:  m om. Et  14: M 1 dunque le const., m Dunque la const.  15: M' nm. e '1 diliberamento  16-18: m om. i due periodi  ^0 : m seguiteranno - l' 1 : M-m si convenevoli 23: M'^ diffinitiva, m chon dilf.  25 : M-m om. e translativa - 26: M-m om. nk - M' ne tenere  2S: m il novero  il/ sic radoppia  31: m coniotturalc generale  32: i wim. illusori      (i     Lo sponitore.   I. In questa parte dice Tulio che Ermagoras dicea che  Ila controversia del genere avea quattro parti sotto sé, ciò  sono deliberativo, demostrativo, iudiciale e negoziale; della  5. qual cosa Tulio lo riprende in tutte guise, e mostra molte  ragioni come Ermagoras errava malamente, e questo pruova  manifestamente per argomenti dialetici: che dimostramento  e deliberamento sono generi delle cause si che Ile cause  sono parti di loro; e poiché sono generi, cioè il tutto delle   10. cause, non possono essere parte delle cause, acciò ch'una  cosa non puote essere tutto d'una cosa e parte di quella  medesima. 2. Et così per molte ragioni o vuoli argomenti  conclude Tulio che Ermagoras avea mal detto, e poi seguentemente dice la sua sentenza : quali sono le parti della constituzione del genere, cioè della quantitade e del modo  e della qualitade del fatto, sì come qui dinanzi fue detto.  Et in ciò incomincia la sentenzia di Tullio in questo  modo :   Le parti della constituzione generale.   20. ^S. (e. XI) Questa constituzione del genere pare a noi ch'ab bia due parti : Iudiciale e negoziale.   Lo sponitore.   1. Poi che Tullio àe ripresa l' oppinione d' Ermagoras  delle quattro parti, si dice la sua sentenza e dice che sono  25. pur due parti, cioè quelle altre due che dicea Ermagoras:  iudiciale e negoziale ; et immantenente detta la sua sentenza, la quale vince quella d' Ermagoras e d'ogn' altro, sì  dice e dimostra che è iudiciale e che è negoziale, in questo  modo  4: M' dimostrativo, deliberativo ecc.  6: M-m provava  9: m genero  10: M el  acciò  11 : M-m tiicta  13:M^ conchiude Tulio Ermagoras avere  17 : il/' comincia   23 : m ripreso  28: M' che e iuridiciale {e cosi sempre), M-m che iudiciale 7 che {ni om.  che) negotiale ludiciale è quella nella quale si questiona la natura dì  dritto e d' iguaglianza e la ragione di guiderdone o di pena.   Sponitore.   5. 1. La iudiciale coustituzioue è quella nella quale per   diritto, cioè per ragione provenuta per usanza e per iguallianza, cioè per ragione naturale o per ragione scritta, si  questiona sopra la quantitade o sopra la comparazione o  sopra la qualitade d'un fatto, per sapere se quel fatto è  giusto o ingiusto o buono o reo. Altressì è iudiciale  quella nella quale è questione d'alcuno per sapere s'egli  è degno di pena o di merito. Verbigrazia. Alobroges è  degno d'avere merito di ciò che manifestò la congiurazione  di Catenina? e questionasi del sì o del no. Et anche questo exemplo. È Giraldo degno di pena di ciò che commise  furto ? e questionasi del si o del no. Et poi che à detto  Tulio del iudiciale, si dicerà dell'altra parte, cioè della  negoziale. Negoziale è quella nella quale si considera chente ragione  sìa per usanza civile o per equitade, sopra alla quale diligenzia  sono messi i savi di ragione. Dice CICERONE che quella constituzione è appellata negoziale nella quale si considera per usanza civile, cioè per   quella ragione la quale i cittadini o paesani sono usati di   tenere i-lloro uso o in loi'o costuduti, o per equitade, cioè   per legi scritte, chente ragioni debbiano essere sopra quella     2: m quello nel (juale  3: M'-L ella ragione di diritlo, S di merito  6: m pervenuta  8.me sopra la comp.  9: m se questo giusto il: M^ si questiona d'alcuno  selglie ecc.  12-14: m o di morte  M-m o alabroges di Catenina et questionisi del si  et del no (m di si o di no), L e questo exemplo 16: m quistionìsi... om. Et  A/ 7 del  no  16-17: M' Tulio a detto dela giuridicialo  20: M' Di negotiale  26: M' om.  paesani  27 : M' i loro costuduti m illoro chostuduli, M' in loro constituti  M-m  equalitade  S8 : M' cliente ragione debbia  constituzione. 2. Et intra la iudiciale e la negoziale àe cotale differenzia : che Ila iudiciale tratta sopra le cose passate et intorno le leggi scritte e trovate ; ma la negoziale  intende intorno le presenti e future (1) et intorno le legi et  5. usanze che saranno scritte e trovate.Et questa è di molta  fatica, perciò che' parlieri s'affaticano di grande guisa a  provarla et a formare nuove ragioni et usanze allegando  in ciò ragioni da simile o da contrario. Et questa questione  si tratta davante a' savi di legge e di ragione, ma in provare la iudiciale basta dicere pur quello che Ila ragione  ne dice. 4. Et poi che Tulio à detto che è la iudiciale e  che è la negoziale, sì dicerà delle parti della iudiciale per  meglio dimostrare lo 'ntendimento di ciascuno capitolo  dell' Arte.  Di due parti di Iudiciale.  La iudiciale dividesi in due parti, ciò sono assoluta et  assuntiva. In questa parte dice Tulio che quella questione la quale è iudiciale, sì come davanti è mostrato, sì à due  parti. Una eh' è appellata assoluta e l'altra la quale è appellata assuntiva ; e dicerà di catuna per sé.      3 : M interno  4: i mss. futuro  M' il presente  8 : m in se ragioni  9 : M  assaivi, m si tratta da savi  10: M pur di quello  16: M' si divido  21 : M' luna  la quale è appellata - M-m e assunptiva  Per quanto la lezione di -Jf' (il presente e futuro) sembri ottima, preferisco ricorrere alla lieve correzione di futuro in future.: M* ha tendenza a cambiare, e quindi non è improbabile che, trovando già l'errato futuro, abbia voluto  accordare con esso l'aggettivo precedente, le presenti. Non saprei invece come  spiegare un cambiamento inutile in M-m.  Assoluta è quella che in sé stessa contiene questione o  di ragione o d' ingiuria. Dice CICERONE che quella questione iudiciale del genere   èe appellata assoluta la quale in sé medesima è disciolta  e dilibera, sì che sanza niuna giunta di fuori contiene in  sé questione sopra la qualitade o sopra la quantitade o  sopra la comparazione del fatto, il qual fatto si cognosce  s'egli é di ragione o d'ingiuria, cioè se quel fatto é giusto  o ingiusto o buono o' reo, sì come in questo exemplo donde  fue cotale questione. Verbigrazia : Fecero quelli da Teba  giusto o ingiusto quando per segnale della loro vittoria fecero un trofeo di metallo? Et certo questo fatto, cioè fare un trofeo di metallo per segnale di vittoria, piace per sé  sanza neuna giunta et in sé contiene forza della pruova,  perciò ch'era cotale usanza. Assuntiva è quella che per sé non dà alcuna ferma cosa  a difendere, ma di fuori prende alcuna difensione ; e le sue parti   sono quattro : concedere, rimuovere lo peccato, riferire lo peccato e  comparazione.      S:M-m slesso  7: M-m nm. ai  fi: M-m «m. o sopra la (luantilude  7 invece ili  09: M' in f|uel facto  12: M-m Ino - »« di Teba  14-13: m et cerio questo trofeo  fatto faro per sengnale della loro Victoria jiiuce per so medesimo  16: M' la forfa   1 9 : M-m ohi. olio per sé non dà alcuna CICERONE dice che quella constituzione è appellata assuntiva della quale nasce questione, la quale in sé non à  fermezza per difendersi da quello peccato eli' è allui appo5. sto, ma d'un altro fatto di fuori da quello prende argomento da difendersi; si come nella questione d'Orestes, che  fue accusato eh' avea morta la sua madre, et elli dicea che  ll'avea morta giustamente. Et certo il suo dire parca crudel  fatto, sì che queste parole per sé non anno difensione  com'elli l'abbia fatto giustamente, ma prende sua difensione d'un altro fatto di fuori e dice: « Io l'uccisi giustamente, perciò ch'ella uccise il mio padre ». Et così pare che  con questa giunta piaccia la sua ragione. Efc questa cotale questione assuntìva à quattro parti, delle quali il testo   15. dicerà di catuna perfettamente per sé.   Concedere e concessione è quando l'accusato non difende  quello eh' è fatto ma addomanda che ssia perdonato ; e questa si  divide in due parti, ciò sono purgazione e preghiera.   20. Sponitore.   I. Poi che Tulio avea detto che è e quale la questione  assuntìva e com' ella si divide in quattro parti, sì vuole dicere di ciascuna per sé divisatamente perchè '1 convenentre  sia più aperto. 2. Et primieramente dice che é concedere, e dice che quella constituzione é appellata concessione  quando l'accusato concede il peccato e confessa d'averlo  fatto, ma domanda che ssia perdonato ; e questo puote essere in due maniere: o per purgazione o jjer preghiera, e  di ciascuna di queste dirà Tulio partitamente, e prima   30. della purgazione.     3: M> non àe in se  5: M' di quello  7 : M' Pt elli rispondea  8-iO: M-m om.  Kt certo.... giustamente  i4: M' nm. assuntìva  15: M' per se perfectamente  17: M'  o concessione - 18 : 3f ' domanda chelgli sia p.  m. 7 questo  21 : m che e quale, M'  che 7 quale 6  23: m di chatuna  24: M-m concede  26: m confessa il pechato  d'averlo facto  Purgazione è quando il fatto si concede ma la colpa si rimuove, e questa sì à tre parti : imprudenzia, caso e necessitade. Dice CICERONE che quella maniera di concedere la quale   è per purgazione sì è et aviene quando l'accusato confessa,  ma lievasi la colpa e dice che quel fatto non fue sua colpa ;  e questo puote fare in tre maniere, delle quali è prima  Imprudenzia, cioè non sapere. 2. Verbigrazia : Mercatanti   10. fiorentini passavano in nave per andare oltramare. Sorvenne  loro crudel fortuna di tempo che Ili mise in pericolosa  paura, per la quale si botaro che s' elli scampassero e pervenissero a porto che elli offerrebboro delle loro cose a  quello deo che là fosse, et e' medesimi F adorrebbero. Alla fine arrivaro ad uno porto nel quale era adorato Malcometto ed era tenuto deo. Questi mercatanti l' adoraro come  idio e feciorli grande offerta. Or furono accusati ch'aveano  fatto contra la legge ; la qual cosa bene confessavano, ma  allegavano imprudenzia, cioè che non sapeano, e perciò   20. diceano che fosse perdonato. Et di ciò era questione, se  doveano essere puniti o no. 3. La seconda maniera è caso,  cioè impedimento eh' adiviene, sì che non si puote fare  quello che ssi dee fare. Verbigrazia : Un mercatante caursino avea inprontato da uno francesco una quantità di pe 25. cunia a pagare in Parigi a certo termine et a certa pena.     6: M-m om. b  7 : M-m imi. non  8: M' Kl puotesi l'art!  o In prima  tO: M  per mare oltramare, di passavano per maro in nave  Jf sopravenne  li: mi miseli,  JV/' om. che  14: M' edelgli medesimi  15: M' Macliometlo, m Maometto  17: M'  fecero grande oHerta. Fiioro ecc., m mii. Or  19: M' noi sapeano  21: m puliti   S4 : m inprontato moneta da uno franeesclio     Avenne che '1 debitore, portando la moneta, trovò il fiume  di Rodano si malamente cresciuto che non poteo passare  né essere al termine che era ordinato. Colui che dovea  avere domandava la pena, l' altro confessava bene eh' avea  5. fallito del termine, ma non per sua colpa, se non che '1 caso  era advenuto ch'avea impedimentitotU la sua venuta, e però  dicea che Ila pena non dovea pagare; e di ciò è questione,  se Ila dovea pagare o no. La III maniera è necessitade, cioè che conviene che ssia così et altro non potea fare. Verbigrazia : Statuto era in Costantinopoli che qualunque  nave viniziana arrivasse nel porto loro, la nave e ciò che  entro vi fosse si publicasse al segnore. Avenne che mercatanti genovesi allogare una nave di Vinegia e passaro  con grande carico d'avere. Convenne che per impeto di tempo per forza di venti, centra' quali non si poteano parare, pervennero nel porto e fue presa la nave e le cose  per lo segnore. Ben confessavano li mercatanti che Ila nave  era veniziana, ma per necessitade erano venuti in esso porto,  e però diceano che non doveano perdere le cose ; e di ciò era questione, se Ile doveano perdere o no. Tutto altressì  i Veniziani, cui fue la nave, raddomandavano la nave o la  valenza; i mercatanti diceano che l'amenda non dovea essere domandata, perciò che per necessitade e non per volontade erano iti in quel porto. Et poi' che Tullio àe detto  della purgazione e delle sue parti, si dicerà della preghiera. Preghiera è quando l'accusato confessa ch'elli àe commesso  quel peccato e confessa che 11' àe fatto pensatamente, ma sì domanda  che Ili sia perdonato, la qual cosa molte rade fiate puote advenire.     1 : M-m avieno  S : M-m polea  3: M' a. termine ordinato  5 : M' al termine 5-6: M impedimento, M* ma nel caso era avennlo 7 avea impedimentita  il: M' nel  loro porto  13: m una nave viniziana, 3/' una nave de Viniziani 7 passavano  14-15:  M per un tempo per impetto 7 per f., if ' per impedimento, m di vento  18: M^ in quel  porlo  SO: M' ora la questione  m dovea  22: M' che por lamenda  24 :m om.  Et  28-29: m domandasi  M' om. molto   (1) Questa lezione di w è confermata da impedimentita di Jf*, cioè dall'altra famiglia di codici. Lo scambio, avvenuto in M, con impedimento era facilissimo e lo favoriva  il fatto che il senso restava quasi il medesimo : « la sua venuta avea avuto impedimento ^>.  Così leggo con w, poiché in if e ilf ' il passo è manifestamente guasto  (impedimento è correzione arbitraria), mentre l'espressione impeto di tempo, analoga, a quella del § 2 fortuna di tempo, può bene corrispondere alla magna tempestas  di cui parla l'esempio ciceroniano {De Inv., II, 98) sul quale è modellato il nostro CICERONE dimostra in questa picciola parte del testo  che cosa è appellata preghiera in questa arte. Et dice che  allotta è questione di preghiera quando l'accusato confessa  5. e dice che fece quel peccato che gli è aposto e ricognosce  che ir à fatto pensatamente, ma tutta volta domanda perdono. 2. Onde nota che questa preghiera puote essere in  due maniere, o aperta o ascosa. Verbigrazia : In questo  modo è la preghiera aperta : Dice l' accusato. Io confesso bene ch'io feci questo fatto, ma prego vi per amore e per  reverenza di Dio che voi mi perdoniate ». La preghiera  ascosa è in questo modo : « Io confesso eh' io feci questo  fatto e non domando che voi mi perdoniate ; ma se voi  ripensaste quanto bene e come grande onore i' òe fatto al comune, ben sarebbe degna cosa che mi fosse perdonato ».  3. Ma ssì dice Tullio che queste preghiere possono advenire rade volte, (l) spezialmente davante a' giudici che sono  giurati a lege sie che non anno podere di perdonare. Ben  puote alcuna fiata lo 'mperadore e '1 sanato avere prove 20. denza in perdonare gravi misfatti, sì come poteano li anziani del popolo di Firenze ch'aveano podere di gravare  e di disgravale secondo lo loro parimento. Et poi che  Tullio àe detto della prima parte della constituzione assuntiva, cioè della concessione e che cosa è concedere, et à  delle due maniere di concedere detto, cioè di purgazione  e di preghiera, sì dicerà della seconda parte, cioè rimuovere lo peccato. Rimuovere lo peccato è quando l'accusato si sforza di  rimuovere quel peccato da se e da sua colpa e metterlo sopra un     S : M' mostra  5 : M' elicigli lece  6' : M' nppensatainentc  8 : M' nascosa   14: M' om. bene  17 : M^ fiato (ma L volte)  li ([uali sono  18: M noniianno   19: m prudenzia  SS: m eclisgravare, M> 7 disgravare  ni lo loro parere, L illoro parere, S il loro piacimento  m om. Et  So: M' m e a detto delle duo maniere ecc. 30 : M' mettelo (ma L metterlo)   (1) Conservo volte appunto perchè questa parola in itf è meno frequente di  fiate Q non si può considerare correzione arbitraria; invece fiate sarà stato sostituito per uniformità col testo tradotto (v. pag. preced., 1. 29). altro per forza e per podestà di lui ; la qual cosa si puote fare in  due guise: o mettere la colpa o mettere lo fatto sopr'altrui. Et certo  la colpa e la cagione si mette sopra altrui dicendo che quel sia  fatto per sua forza e per sua podestade. Il fatto si mette sopr'altrui  5. dicendo che dovea un altro e potea fare quel fatto. In questo luogo dice CICERONE eh' è rimuovere lo peccato e come si puote fare, et è cotale il caso : Uno è accusato d'uno malificio, et elli vegnendo a sua defensione si  leva da ssè quel maleficio e mettelo sopra un altro, o dice  bene che 11' à fatto, ma un altro cli'avea in lui forza e signoria il costrinse a ffare quel male ; e questo rimovimento  del peccato dice Tullio che ssi puote fare in due guise :  l'una si mette la colpa e la cagione sopra un altro, l'altra   15. si mette il fatto sopra altrui. Et certo la colpa e la cagione si mette sopì'' altrui quando l'accusato dice che elli  à fatto quel male per colpa d'alcuno il quale à sopra lui  forza e signoria. Verbigrazia. Il comune di Firenze elesse  ambasciadori e fue loro comandato che prendessero la paga   20. dal camarlingo per loro dispensa et immantenente andassero alla presenzia di messer lo papa per contradiare il  passamento de' cavalieri che veniano di Cicilia in Toscana  contra Firenze. Questi ambasciadori domandare il pagamento e '1 signore no '1 fece dare, e'I camarlingo medesimo negò la pecunia, sicché li ambasciadori non andaro e' cavalieri vennero. Della qual cosa questi ambasciadori fuorono accusati, ma elli si levaro la colpa e la cagione e     3: m la chosa  7: Af' die e rimuovere  9: M' do malilicio - i4 : m luna mette,  M' l'una si e mettere  ^5: M' si e mettere  m om. Kt - 20: Af inmanlenenente, it/'  incontanente  21 : m cliontradire - 23: M-m domandano  24: M m il segnore  m  e il chamarlengo  25: m il nego di dare la pecliunia  26:m li anbasciadori  27 :M'  si levano miseria sopra '1 signore e sopra '1 camarlingo, i quali  aveano la forza e la seguoria e non fecero lo pagamento.  3. Mettere il fatto sopr' altrui è quando l'accusato dice  ch'egli quel fatto non fece e non ebbe colpa né cagione  5. del fare, ma dice che alcuno altro l'à fatto et ebbevi colpa  e cagione, mostrando che quell'altro sopra cui elli il mette  dovea e potea fare quel male. Verbigrazia : Catone e Catenina andavano da ROMA a Kieti, et incontrarono uno  parente di Catone, a cui Catellina portava grande maialo, voglienza per cagione della coniurazione di Roma, e perciò  in mezzo della via l'uccise. Né Catone non avea podere di  difenderlo, perciò eh' era malato di suo corpo, ma rimase  intorno al morto per ordinare sua sopultura. Et Catellina si  n'andò inn altra parte molto avaccio e celatamente. In questo mezzo genti che passavano [per la via] per lo camino trovaro il morto di novello, e Catone intorno lui, sì PENSARO CERTAMENTE CHE CATONE AVESSE FATTO IL MALIFICIO, e  perciò fue esso ACCUSATO di quella morte; ond'elli in sua  defensione levava da ssè quel fatto dicendo che fatto noll'avea e che no'l dovea fare, perciò ch'ERA SUO PARENTE, e  dicea che noU'arebbe potuto fare, perciò eh' elli era malato di sua persona. Et così recava il fatto e LA COLPA SOPRA CATELLINA, perciò che '1 dovea fare come di suo nemico  e poteal fare, eh' era sano e forte e di reo animo. Et poi che Tulio àe insegnato rimuovere lo peccato, sì insegnerà  in questa altra partita riferire il peccato.     Ttillio dice che è riferire il peccato.   58. Riferire il peccato è quando si dice che ssia fatto  per ragione, in perciò che alcuno avea tutto avanti fatto a liuì  30. ingiuria. i : m 7 al chamai-lingo  4-ò: M om. ch'egli... ma dice  m nel fare  5 : Af ' che un  altro  9: VI om. grande  12 : m di suo corpo malato  15: M^ gente  J/' m om. per  la via - 16: m il novello morto  18 : M' tn fu elgli - 1!) : M' chelgli facto  20-Sl :  m avea nel dovea fare  o?n. e dicea che  Jlf ' ohe noi potea fare ~ ohi. elli  23: m  pero chelli dovea fare  25: M-m om. si  M' insegna  26: M' jxirte  M-m refrenare (sempre)  : vi pero che  da\anti  Le parole per la via sono con tutta probabilità una glossa o una variante  di per lo camino; infatti mancano in codici delle due famiglie.     81     Lo sponitore.   I. Dice Tullio che riferire il peccato è allora quando  l'accusato dice ch'elli àe fatto a ragione quello di che elli  é accusato, perciò e' a Uui fue prima fatta tale ingiuria che dovea a rragione prendere tale vengianza, sì come apare  neir exemplo d' Orestes, che fue accusato della morte di sua  madre, et esso dicea che ll'avea morta a ragione, perciò che  primieramente avea ella fatta a llui ingiuria, cioè ch'avea  morto il padre d' Oreste; e di questo nasce cotale questione se Oreste fece quel fatto a ragione o no. Et poi che  Tullio àe insegnato riferire lo peccato, sì insegnerà ornai  che è comparazione. CICERONE dice che è comparazione. Comparazione è quando alcuno altro fatto si contende cfie fue diritto et utile, e dicesi che quello del quale è fatta la riprensione fue commesso perchè quell'altro si potesse fare. In questo luogo dice CICERONE che quella questione è appellata comparazione nella quale l'accusato dice ch'à fatto quello eh' è a llui apposto, i^er cagione di poter fare un altro  fatto utile e diritto. Verbigrazia : Marco Tullio, stando nel  più alto officio di ROMA, sentìo che coniurazione si facea  per lo male del comune, ma non potea sapere chi né come.  Alla fine diede dell'avere del comune in grande quantitade   25. ad una donna la qiiale avea nome Fulvia, et era amica per  amore di Quinto Curio, il quale era sapitore del tradimento ;  e per lei trovò e seppe dinanzi tutte le cose in tale maniera eh' elli difese la cittade e '1 comune della molt'alta  tradigione. Ma alla fine fue ripreso ch'elli avea troppo ma 2 : M' allocta  4 : M' facla prima  5 : M' prenderne (ma L prendere) tale vendctla   pare  6: M' dela sua madre  8: m prima  J/' facto, m aliai fatto - iO: m om.  El  14: M-m quanto un altro  16: M' per quell'altro - 18: JW in questa parte   19: M-m che facto  26: M^ ora parteDce  28: M' dela mortalo     lamente dispeso l'avere di Roma. Et elli in defensione di  sé dicea che quelle spese avea fatte per fare un altro fatto  utile e diritto, cioè per scampare la terra di tanta distruzione, e quello scampamento non potea fare sanza  5. quella dispesa; e cosi mostra che '1 fatto del quale elli è  ripreso fue fatto per bene. Et poi che Tullio àe detto delle  quattro parti della constituzione assùntiva, la quale è parte  della iudiciale sì come pare davanti nel trattato della constituzione del genere, sì ridicerà elli brevemente sopra la questione traslativa, della quale fue assai detto in adietro,  per dire alcuna cosa che là fue intralasciata. Come Ermagoras fue trovatore della questione translativa. Nella IV questione, la quale noi appelliamo translativa,  certo la controversia d'essa questione è quando si tenciona a cui convegna fare la questione, o con cui od in che modo, o davante  a cui, per quale ragione, o in che tempo ; e sanza fallo tuttora è  controversia o per mutare o per indebolire l'azione. Et credesi che  Ermagoras fue trovatore di questa constituzione; non che molti antichi parlieri non l' usassero spessamente, ma perciò che Ili scrittori   20. dell'arte non pensaro che fosse delle capitane e non la misero in  conto delle constituzioni. Ma poi che da llui fue trovata, molti l'anno  biasimata, i quali noi pensamo e' anno fallito non pur in prudenzia;(i) che certo manifesta cosa è che sono impediti per invidia  e per maltrattamento. Questo testo di Tullio è assai aperto in sé medesimo,  e spezialmente perciò che della questione o constituzione  translativa è assai sufficientemente trattato indietro in     i : M' l'avere del comune  3:3/' diiicto 7 utile - 4: M' non si pelea fare   7: M< om. assiintiva - 8: M' iuridiciale  //: M-m che ella l'uo translassala  lS:M-m  emargonis  13: M Uela quarta q. (e punto ilnpn translativa)  15-1 (!: M' davanti cui   M-m sanfa follia  19: M' parladori  23: M' cambiano - S4 : M' per mal.   (1) La traduzione non è esatta, poicliè il testo latino dice: quos non tamimprudentia falli indamus (res enim perspìcua est) quam invidia atque óbtrectatione  quadam inipediri. Si potrebbe proporre per congettura non per imprudenzia ; ma  non sembra contraddirvi il 8 -3 del commento parlando di '' alquanti che non  erano bene savi,, ?   altra parte di questo libro, e là sono divisati molti exempli  per dimostrare come si tramuta 1' azione quando non  muove la questione quelli che dee, o centra cui dee, o innanzi cui dee, o per la ragione che dee, o nel tempo che .  5. dee. Z.Sicchè al postutto in(i) questa translativa conviene che  sempre sia : o per tramutare l' azione in tutto, come appare indietro nell'exemplo di colui che risponde all'aversario suo: « Io non ti risponderò di questo fatto né ora né  giamai »; e così in tutto tramuta l'azione dell'aversario etc. O é per indebolire l'azione in parte ma non del tutto, si  come appare nell' exemplo di colui che risponde all' aversario suo : « Io ti risponderò di questo fatto, ma non in  questo tempo» o «non davante a queste persone». Et dice  Tullio che Ermagora fue trovatore della translativa constituzione, cioè che Ha mise nel conto delle quatro constituzioni sì come detto fue inn adietro. Et di ciò fue ripreso  da alquanti che non erano bene savi e che aveano invidia  e maltrattamento contra lui. Nota che invidia è dolore  dell'altrui bene, e maltrattamento è dicere male d'altrui. Tullio dice che davanti diceva   exempli in ciascuna maniera di constituzioni. Già avemo disposte le constituzioni e le loro parti; ma li   axempli di ciascuna maniera parrà che noi possiamo meglio divisare   quando noi daremo copia di ciascuno de' loro argomenti; perciò   25. ch'allotta sarà più chiara la ragione d'argomentare, quando l'exemplo   si potrà a mano a mano aconciare al genere della causa. Vogliendo Tullio passare al processo del suo libro,  brievemente ripete ciò eh' à detto avanti, dicendo che dimo2: M-m si traclava  3: M^ che dee conLra cui dee ~ 6: M come pare  8: M'  non ti rispondo  iO: M-m Oo, M' Onde  M imparte  m non in tutto  H : M' pare   13 : Mi dinanzi a ([.  14: M translatore, m traslatotore  15: M^ìa conto 17: 3f dalquanti  18 : M-m male tractamento con altrui  21: M-m construclioni  22: M exposte  le e. 7 loro parti  24: Mi di loro argomenti  25: M' de l'argomentare  26:m della cosa   29: M ke detto, m che detto  Jlf ' dinanzi   (1) L'essere attestato in da tutti i codici rende esitanti a toglierlo, come la  sintassi e il senso sembrano richiedere. Forse si può sottintendere dal periodo precedente la parola questione : " conviene che sia questione in questa translativa „ ecc.   strato à che sono le constituzioni e le loro parti, ma in altra  parte porrà certi exempli in ciascuno genere delle cause,  cioè nel deliberativo e nel dimostrativo e nel iudiciale,  quando ti'atterà il libro di ciascuno in suo stato. E da cciò  si parte il conto e torna a trattare secondo che ssi conviene all' ordine del libro per insegnamento dell' arte. Qual cai/sa sia simpla e quale congitmta. Poi eh' è trovata la constituzìone della causa, ìmmantenente  ne piace di considerare se Ila causa è simpla o congiunta. Et s'ella è congiunta, si conviene considerare se ella è congiunta di piusori  questioni o d'alcuna comparazione. Apresso al trattato nel quale Tullio àe insegnato trovare le constituzioni e le sue parti, si vuole insegnare qual causa sia simpla, cioè pur d'uno fatto e qiiale sia congiunta, cioè di due o di più fatti, e quale sia congiunta  d'alcuna comparazione, e di ciascuna dice exemplo in  questo modo :   Della causa simpla. Simpla è quella la quale contiene In sé una questione   assoluta in questo modo: « Stanzieremo noi battaglia contra coloro  di Corinto o non ? ». Dice CICERONE che quella causa è simpla la quale è pur d'uno fatto e che non è se non d'una questione solamente.   Verbigrazia : La città di Corinto non stava ubidiente a   Roma, onde i consoli di Roma misero a consiglio se paresse     2 : M-m om. parte  m delle cose  4-5 : J/' Et di ciò si diparte l'autore, m 7 accio   8: M mantenente, m inmantanento  9: m simplice (sempre cos'i) M' sedella  li: M-m  compi^ratione  13: M' il tractato  15: M (|ualcosa, «i quale chosa  /*: M< l'exeniplo  21: M' m (pielli  25 : vi iliinn chosa  SO : M-m <m. stava  A/' ali Romani   loi-o di mandare oste a fai"e la battaglia centra loro, o  no. Et così vedi che causa simpla è pur d'una questione del  sì o del no.   Della causa congiunta.   5. 64. Congiunta di piusori questioni è quella nella quale sì   dimanda di piusori cose in questo modo: « È Cartagine da disfare  da renderla a' Cartagiartesi, o è da menare inn altra parte loro  abitamento ? Poi che Tullio à detto della causa simpla, sì dice della   congiunta, dicendo che quella causa è congiunta nella quale  àe due o tre o quattro o più questioni. Verbigrazia : I Romani vinsero a forza d'arme la città di CARTAGINE, et  erano alcuni che diceano che al postutto si disfacesse; altri diceano che Ila cittade fosse renduta agli uomini della  terra, altri diceano che Ila cittade si dovesse mutare di quel  luogo et abitare in altra parte. E così vedi che questa causa  è congiunta di tre questioni che sono dette. Della causa congiunta di comparazione.  Dì comparazione è quella nella quale contendendo si que stiona qual sia il meglio o qual sia finissimo, in questo modo :  « È da mandare oste in Macedonia contra Filippo inn aiuto a' compagni, è da tenere in Italia per avere grandissima copia di genti  contra Anibal ? Poi che Tullio avea detto della causa la quale è congiunta di piusori questioni, sì dice di quella causa eh' è  congiunta di comparazione di due o di tre o di quattro o     i : M-m o fare  2 : M^ om. Et  Jlf om. b  5 : M' om. questioni  6 : m di più  sore  7 : M' da. rendere a Cartaginesi  12 : m due tre o quattro questioni  J3: m  per forza  om. la cittade di  J4: M' elio a! postutto diceano cliella si disfacesse   17: M-m om. che  18: m essere coniunta di tre (luestioni dette  21: 3/' o quale finissimo  22: M' incontro a Filippo  28: M-m di due, di tre  m om. o di quattro   (1) Certamente il traduttore ha frainteso il latino an eo colonia deducatur.   di più cose, nella quale si considera qual partito sia il migliore de' due o di tre o di più, e se tutti sono buoni e  l'uno migliore che 11' altro, per sape];e qual sia finissimo,  cioè il sovrano di tutti. Verbigrazia : I Romani aveano mandata oste in Macedonia contrà Filippo re di quello  paese, et in quello medesimo tempo attendeano alla guerra  d'Anibal, che venia contra loro ad oste. Onde alcuni savi  di Roma diceano che '1 migliore consiglio era mandare  gente in Macedonia, per attare l'altra loro oste la quale  10. era in questa contrada; altri diceano che maggior senno  era di ritenere la gente in Italia, per adunare grandissima  oste contra Anibal ; e così contendeano qual fosse il migliore o '1 finissimo partito : o tenere o mandare la gente.   Della contraversia inn iscritto et in ragionamento.   15. 66. Poi è da pensare se Ila controversia è in scritta o è in   ragionamento.   Lo sponitore.   1. Apresso ciò che Tulio à dimostrato qual causa è simpla e quale è congiunta e quale di comf)arazione, sì vuole   20. fare intendere quale contraversia nasce et aviene di cose  e di parole scritte, e qual nasce pur di ragionamento, cioè  di dire parole e di cose che non sono scritte ; e cosi vuole  CICERONE aj)ertamente insegnare per rettorica ciò e' altre  de' dire a ciascun ponto di tutte le cause che possano inter 25, venire ; e perciò dicerà della scritta per sé e del ragionamento per sé, e di ciascuno partitamente in questo modo :   Della contraversia che nasce di cose scritte.   67. Contraversia inn iscritta è quella che nasce d'alcuna qua litade di scrittura Ce. XIII). Et certo le maniere di questa che   30. sono partite delle constituzioni sono cinque : Che talvolta pare che Ile     i-2: m sia ihigloru ili lUie ecc.  il/' o Ire o iiifi  •/: iV/' ohi. cion il sovrano  5: M'-L   (li i|iielli del paoso, S di c|iielli paesi 7: m om. ad oste  * : hi elio mogio  iO: m   J/i in ipiella contrada  il : M' om. di  m a rilenore gente  12 : M contra nibal, i»  contro ad Anibal  15: M-m e scripla, If' e in scriplo o in ragionamento  /*' : M-m  i|ual cosa  19: m quale e  22: M-m om. dire e che non sono scritte  23: M' mostrare - 24: m possono  25: M'E cosi  29: M da. questa  30:M' dale constilutioni parole medesimo iU siano discordanti dalla sentenzia dello scrittore ;  e talvolta pare che due legi o più discordino intra sé stesse; e  talvolta pare che quello eh' è scritto signiffichi due cose o più ;  e talvolta pare che di quello ch'è scritto si truovi altro che non è  5. scritto ; e talvolta pare che ssi questioni in che sia la forza della  parola, quasi come in diffinitiva constituzione. Per la qual cosa noi  nominiamo la prima di queste maniere di scritto e di sentenzia; il  secondo appelliamo di legi contrarie, la terza apelliamo dubiosa,  la quarta appelliamo dì ragionevole, la quinta apelliamo diffinitiva. Poi che CICERONE  à dimostrato qual causa sia pur d' un  fatto o di più, immantenente vuole dimostrare qual contraversia è in scritta e quale in ragionamento; et in questo  dice primieramente di quella ch'è inn iscritto, cioè che   15. nasce d'alcuna scrittura. Et questo puote essere in cinque  modi. Il primo modo è appellato di scritto e di sentenza,  pei'ciò che Ile parole che sono scritte non pare che suonino  come fue lo 'ntendimento di colui che Ile scrisse. Verbigrazia: Una lege era nella cittade di Lucca, nella quale erano scritte queste parole: « Chiunque aprirà la porta  della cittade di notte, in tempo di guerra, sia punito nella  testa ». Avenne che uno cavaliere l'aperse per mettere  dentro cavalieri e genti che veniano inn aiuto a Lucca,  e perciò fue accusato che dovea perdere la testa secondo la legge scritta. L'accusato si difendea dicendo che Ila  sentenzia e lo 'ntendimento di colui che scrisse e fece la  legge fue che chi aprisse la porta per male fosse punito ;  e cosi pare che Ile parole scritte non siano accordanti alla  sentenzia dello scrittore, e di ciò nasce controversia intra loro, se si debbia tenere la scritta o la sentenza. La  seconda maniera è apiiellata di contrarie leggi, perciò che     1 : M' m medesime  m dalle sententie  2: me téilora -- M' si discordino  3: M'  significa  4: M-m o talvolta  M' che nono che scripto  6: M-m nm. in  A/' mdilTìnitiva ([uestione  11: M-m qual cosa  13: M-m e Sbripta - m e in ragionamento   14 : m primamente  18 : M om. fue  20: M ai)iira, m apira  21 : M-m om. in tempo  di guerra  M' si sia punito della testa  23: M' si difende  30: m se si dee  M'  lo scritto  31 : M' om. maniera   (1) Cfr. p. 46, 1. 30: nai medesimo.  pare che due leggi o più discordino intra sé stesse. Verbigrazia : Una legge era cotale, che chiunque uccidesse il  tiranno prendesse del senato cheunque merito volesse.  Et nota che tiranno è detto quelli che per forza di suo  5. corpo o d'avere o di gente sottomette altrui al suo podere.  Un'altra legge dice che, morto il tiranno, dovessero essere  uccisi cinque de' pili prossimani parenti. Or avenne che  una femina uccide il suo marito, il quale era tiranno, e  domanda al senato per guidardone e per nierito un suo figlio. LA PRIMA LEGGE concede che ssia dato, l'altra comanda CHE SIA MORTO. E così sono due leggi contrarie, e  perciò nasce questione se alla femina debbia essere renduto il suo figliuolo o se debbia essere morto. La terza  maniera è apellata DUBBIOSA, perciò che pare che quel eh' è scritto SIGNIFICHI DUE COSE O PIU.  Verbigrazia. Alessandro  fa testamento nel quale fa scrivere così. Io comando  che colui eh' è mia reda dia a Cassandro C vaselli d'oro  e quali esso vorrà. Api^esso la morte d'Alessandro venne  Cassandro e domanda C vaselli al suo volere e che a llui piacessero. Dice la reda. Io ti debbo dare que'ch'io  vorrò. Et cosi di quella parola scritta nel testamento, cioè,  i quali esso vorrà, si è dubbiosa a intendere del cui  volere ALESSANDRO DICE; e di ciò nasce questione  intra loro. La quarta maniera è appellata RAGIONEVOLE,  perciò che di quello eh' è discritto si truova e se ne ritrae  altro CHE NON E SCRITTO O DETTO. Verbigrazia : Marcello entra nella  chiesa di Santo Petro di Roma e ruppe il crocifixo, e taglia  le imagini di là entro. E accusato, ma non si truova  neuna legge scritta sopra così fatto malificio, né convenevole non era che nne scampasse sanza pena. E perciò il  suo adversario ritraeva d'altre leggi scritte quella pena  che ssi convenia a Marcello ragionevolemente. La quinta  maniera é appellata DIFFINITIVA, perciò che pare che ssi  questioni LA FORZA D’UNA PAROLA  scritta, sicché conviene     i : M' si discordino - M stesso  m tralloro - 5 : M^ di genti - 6-7: m L essere  morti - Jl/' om. de'  7 : M'-L una femina il suo marito.... uccise  9 : m e merito   10: M' che le sia dato, l'altra leggie  iS: m nasce controversia  Mm sella femina   13: m se dee  14-15: M' che lo scritto  i6: Jtf' cos'i scrivere  1 7 : M-m om. coUii  eh' è  18: M' i quali  19: M' cento vaselli d'oro  20: J/' la rede. [o ti voglio dare  - m om. dare - S3: M' 7 cosi - S5: M' che scripto - S6 : M-m Martello - S7 : M'  San Piero  38 : M-m om. Fue accusato - /. trovava  29-30 : m alcuna legge.... colalo  maliflcio, e convenevole non era che scampasse  32 :M' che si conviene  Mm Martello  che quella parola sia diffinita e dicasi il proprio intendimento di quella parola. Verbigrazia : Dice una legge. Se '1 signore della nave n'abandona per fortuna di tempo  ed un altro va a governarla e scampa la nave, sia sua. Avenne che una nave di Pisa venne in Tunisi e presso al  porto sorvenne sì forte tempesta nel mare, che '1 signore  usce della nave et entra inn una picciola barca. Un altro  ch'era malato rimase nella nave e tennesi tanto là entro  che '1 mare torna in bonaccia, e la nave campa in terra.  E perciò dicea che la nave e sua secondo la legge, perciò  che '1 segnore l'abandona et esso l'avea difesa. Il  segnore dicea che perch'elli entra nella picciola barca  non abandona perciò la nave ; e cosi era questione intra  loro sopra questa PAROLA dell'ABBANDONO della nave ; e per   15. sapere LA FORZA d'essa parola conviene che ssi difinisca e  dicasi il proprio intendimento. 6. Già à detto Tullio di  quella contraversia la quale è in iscritta e delle sue cinque  parti. Omai dicerà di quella contraversia eh' è in ragionamento.   20. Della contraversia la quale nasce di ragionamento.   68. Ragionamento è quando tutta la questione è inn alcuno argomento e non inn ìscrittura. Quella è contraversia in ragionamento nella quale non si considera alcuna cosa che ssia per scrittura, ma  prendesi argomento e pruova per parole FUORI DI SCRITTA a dimostrare che dee essere sopra quella questione. Verbigrazia : Dice Anibaldo che Italia è migliore paese che  Frància. Dice Lodoigo che no. E di ciò era questione ti'a  lloro, e perciò conviene recare argomenti in ragionando  per mostrare che nne dee essere, e questo senza scritta  acciò che sopra questo no è legge né scrittura.     3: m om. della nave  M' labandona  S : M' de Pisani  M-m di Tunisi  6 : M  sovenne, m venne, L sopravenne  M^ di mare  7-8 : M' usci di fuori  un altro corse  a governare la nave  9: m campo intera 11: m et egli  12: m pichola nave   13: 3f' non avoa abbandonata perciò 1. n., m non pero elli abandonava la grande  14: M'  di questa parola, m sopra questo abandono  15: M-m la forma  m ripete conviene   16: m dicha  22: m e none  24 : M' Qurlla controversia 6 in rag.  28: M' Anibal   29 : m lodovico, M'-L loodico, S dice l'altro, dico che no  31 : m 7 questo e senza scritta    Delle IV parti della causa. Adunque, poi che considerato è il genere della causa e  cognosciuta la constituzione et inteso quale è simpla e quale è congiunta, e veduto quale contraversia è di scritto e di ragionamento,  5. ornai fie da vedere quale è la quistione e quale è la ragione e  quale è il giudicamento e quale è il fermamento della causa ; le  quali cose tutte convengono muovere della constituzione.   In questa parte dice CICERONE che poi ch'elli à insalo, gnato che è lo genere delle cause, cioè dimostrativo e diliberativo e giudiciale, et à fatto cognoscere che è la constituzione, cioè e qual sia congetturale e quale diffinitiva e  quale translativa e quale negoziale, et à fatto intendere  quale è simpla e quale congiunta, cioè qual contiene in sé una questione o più, et à fatto vedere qual contraversia  è inn iscritto e quale in ragionamento, sì come tutti questi  insegnamenti paionsi adietro là dove lo sponitore l'à messo  inn iscritto e trattato di ciascuno sufficientemente, ornai  vuole CICERONE procedere e dimostrare apertamente qual sia  20. la questione e la ragione e '1 giudicamento e '1 fermamento  della causa ; le quali cose tutte muovono e nascono della  constituzione, ciò viene a dire che la constituzione è il  cominciamento di queste cose. Questione è quella contraversia la quale s'ingenera del   contastamento delle cause in questo modo : « Non facesti a ragione Io feci a ragione». Questo è contastamento delle cause nella quaied)     2: m om. 63: m om. cognosciuta  M intesto  Af' qual congiunta  4: M-m  quale conti'aversia <ii scripto  m o di ragionamento  5: A/' oggimai sarà  5-6: M' ha  sulo il primn b  M-m il confermamento  6-7: M-m 7 tucte i|UOSte cose le quali conv. 9: M chelle, m chebbe asengnato, M' che elgli 10: M' diliberativo, ilimostrativo  i2: in  cioè qual sia  13: M-m a facto cognoscere  14: m quale simplice - 17: M' amaeslramenti  M paio sàdietro, Mi-L jiaiono in adiotro  18: M 7 tracio  22: M-m um. ciò  V. a d. e. la constituzione  25 : M -L Di (|uistione  m si genera  26-27 : M' de cause   M-m om. a  M' il contrastamento ~ L nele quali, S nel quale   (1) Evidentemente dovrebbe dire nel quale; ma appunto per questo non saprei  spiegare come alterazione volontaria né come svista il nella quale (dato tanto da  M quanto da ikf'), e lo crederei piuttosto dovuto a una distratta traduzione del  latino Causarum haec est conflictio, in qua constitiUio constai.  è la constituzìone, e di questa nasce contraversia la quale noi appelliamo questione, in questo modo: se fatto l'à a ragione o no.   Lo sponitore.   1. Nel testo il quale è detto davanti insegna Tullio  5. cognoscere e sapere che è la questione; et in ciò dice che  questione è quella che ssi conviene considerare sopr' a cciò  di che le parti tencionano, e così s'ingenera del contastamento delle parti, cioè di quello che 11' uno appone e l'altro  difende. Verbigrazia : Dice la parte che appone all'altra .   10. « Tu non ài fatta i-agione, che tu prendesti il mio cavallo »;  e la parte che ssi difende risponde e dice : « Si, feci ragione Or è la causa ordinata, cioè che ciascuna parte à  detto, l'una accusando e l'altra difendendo, e questa è appellata constituzione. Sopra questo si conviene sapere se   15. n'accusato à fatta ragione o no. Questo è quello che Tullio  appella questione. Dunque potemo intendere che quando  le parti anno detto e quando l'accusatore àe apposto in.  contra l'aversario suo e l'accusato àe risposto o negando  o confessando, sì è la causa cominciata et ordinata ; e però   20. infine a questo punto èe appellata constituzione, cioè viene  a dire che Ila causa è cominciata et ordinata ; da quinci  innanzi, se l'accusato niega e diféndesi, si conviene che ssi  connosca se Ila sua defensione è dritta o no, cioè quando  dice : « Io feci ragione » conviensi trovare s' elli à fatto   25. ragione o no, e questa è appellata questione. 3. Et perciò  che la scusa dell'accusato, a dire pur così semplicemente:  « Io feci ragione », non vale neente se non ne mostra ragione per che e come, insegnerà Tullio immantenente che  ragione sia.   30. Di ragione.   71. Ragione è quella che contiene la causa, la quale se ne  fosse tolta non rimarrebbe alcuna cosa in contraversia. In questo  modo mo sterremo, per cagione d'insegnare, un leggieri e manifesto     4: M-m nel quale - 6: M' 6 quella  m sopra quello  10: M' facto ragione   i5: M dopo ragione ripete che tu prendesti il mio cavallo  13: m luna luna  M' {(uesto   15: M^ m facto  15-16: M' Et questo.... comune questione  17: M-m posto  19: M  S l'accusa - SO: M' m ciò viene a dire  SS: M-m om. sì  S4: M' facta  S5: M'  e facta questione  S6: M-m om. Et - l'accusa  S7 : M' m se non mostra  S8 : M'  si insegnerà  31 : m se non fosse  3S : M' non vi rim.  33: M-m d'insegnare leggere manifesto exemplo   exemplo. Se Orestres fosse accusato di matricidio et elli non dicesse:  « Io il feci a ragione, perciò eli' ella avea morto il mio padre »,  non avrebbe difensione; e se non l'avesse non sarebbe contraversia.  Dunque la ragione dì questa causa è eh' ella uccise Agamenon.   5. Lo sponitore.   1. Si come appare nel testo di Tulio, ragione è quella  clie sostiene la causa in tal modo che, chi non assegna e  mostra la ragione della sua causa, certo non sarà controversia, cioè non à difensione; e cosi la causa dell'aversario   IO. rimane ferma e non à contastamento. 2. Verbigrazia: Vero  fue che Ila madre d'Orestres uccise Agamenon suo marito  e padre d'Orestres ; per la qual cosa Orestres, per movimento di dolore, fece matricidio, cioè che uccise la madre.  Fue accusato di matricidio, et elli confessa, ma dice che '1   15. fece a ragione; se non dice perchè e come, la sua difensione non vale neente, e se la difensione non vale neente  non è contraversia né questione. 3. Ma se dice cosi : « Io  lo feci a ragione perciò ch'ella uccise il mio padre », sì  mantiene la sua causa e vale la sua difensa, mostrando la   20. ragione e la cagione perch'elli fece il matricidio. Et poi  che CICERONE à dimostrato che è questione e che ragione, sì  dimosterrà che è giudicamento.  Giudicamento è quella contraversia la quale nasce de lo 'nde25. bolire e del confirmare la ragione. Et in ciò sia quel medesimo  exemplo della ragione che noi aven detta poco davanti : « Ella avea  morto il mio padre ». Dice il savio: « Sanza te figliuolo convenia  eh' essa madre fosse uccisa ; perciò che 'I suo fatto si potea bene  punire sanza tuo perverso adoperamento ». (e. XIV) Di questo  30. mostramento della ragione nasce quella somma controversia la quale  noi appelliamo giudicamento, la quale è cotale: se fosse diritta cosa  che Orestres uccidesse la madre, perciò ch'ella avea morto il suo padre.  i : m di martecidio  2 : M-m om. ella  4 : M-ni chelluccise a ragione  7-8 : M'  mostra 7 assegna ragione  10: M' m 0111. Vero  13: M' om. cioè.... di matricidio   16: M-m om. e so la difensione non vale neente (A/' ef))unge neente) 19: m difesa   20: m om. El  22: M-m dimostra  24: M' om. quella  M-m ohi. nasce  25: M-m  in ciò a quel med.  26: M' aveino dello  27 : M' Dice l'avversario  2S: M-m si  potrà  29 : M' sanila il tuo p.   31 : M' se fu    Cicerone dice e insegna che è ragione; et perciò  che della ragione nasce il giudicamento, sì tratta egli  del giudicamento per dimostrare come e quando et in che  5. luogo sia. Verbigrazia : L'accusato assegna ragione perchè  fece quel fatto e conferma la sua difensa per quella ragione. L'accusatore dice contra questa difensa et indebolisce la ragione dell'accusato, linde di ciò che conferma  l'uno et inforza la sua difensione e l'altro la infievolisce   10. e falla debole, sì ne nasce una questione la quale è appellata giudicamento, perciò che quando ella è provata si  puote giudicare. 2. Et in ciò sia quel medesimo exemplo  di sopra : Orestres assegna la ragione per la quale elli  uccise Clitemesta sua madre: perciò ch'ella avea morto   15. Agamenon ; e così conferma la sua defensione. Ma contra  lui dice l'aversario. Tu non la dovei punire né non convenia ad te punirla di ciò, ma altre la dovea e potea punire sanza tua perversità, e sanza tua così crudele opera,  come del figliuolo uccidere sua madre ». Et così indebolia la ragione d' ORESTE e mettealo in vituperoso abominio,  e sopra questo, cioè sopra '1 confermamento e sopra lo 'ndebolimento della ragione, nasce questione la quale è appellata giudicamento perciò che ssi puote giudicare. 3. Et omai  à detto Tullio che è questione e che è ragione e che è   25. giudicamento ; sì dicerà che è fermamento.   Del fermamento.   73. Fermamento è il firmissimo et appostissimo argomento  al giudicamento, come se Orestres volesse dire che ll'animo il quale  la madre avea contra il suo padre, quel medesimo avea contra lui  30. e contra le sue sorelle e contra il reame e contra l'alto pregio  della sua ingenerazione e della sua familia, sicché in tutte guise  doveano i suoi figliuoli prendere in lei la pena.     2: M-m om. è  3-4: M-m che deliboragione nasce del iuilicamento por dimostrare  ecc.  5: M' om. sia  M' assegno 7:3/' quella  3/ difesa  8-10: M' che rimo conferma 7 inforfa la sua ragione.... fa debole  M-m isforca  m la indebolisce  IS : m a  quello med.  13: M' assegna ragione  16: M 7 non convenia, m e non si convenia   17: m 7 convenia punirla  18-19: M' om. tua e del  m la sua madre  21-22: M<  sopra confermamento dela ragione  23: m om. Et  24: M i ohe ragione, m nm.   27: M-m om. è  30: M' \n serocchie.... l'altro pregio   Poi che Tullio aè dimostrato che è questione e ragione e giudicamento, sì dice in questa parte che è fermamento. E certo lo 'nsegnamento suo è molto ordinata 5., mente : che primieramente è questione intra Ile parti  sopr'alcuna cosa la qual'è aposta ad uno e detto sopra lui  che non à fatto bene o ragione, et elli in sua difesa dice  ch'à fatto bene o ragione, e di questo nasce la questione,  cioè se esso à fatto ragione o no. Apresso dice l'accusato  10. la cagione per la quale elli avea ragione di fare ciò, e  questa è appellata ragione. Et quando l'accusato à detta  la ragione, il suo adversario dice contra quella ragione et  indebolisce quello dove l'accusato ferma la ragione, e  questa è appellata giudicamento.   15 Fermamento. Poi che Ila questione del giudicamento è nata, si  conviene che ll'accusato tragga innanzi i fermissimi argomenti bene apposti contra il giudicamento. Verbigrazia :  Orestres à detto che uccise la madre perciò ch'ella avea  morto il padre, e così assegna la ragione perch'elli l'uccise;  il suo adversario mettendolo in questione di giudicamento  dice c'a llui non si convenia ma ad altrui, e così indebolisce la sua ragione. 3. Or conviene che Orestres dica manifesti argomenti, e dice così. Tutto altressì coni' ella   25. uccise il suo marito mio padre, così avea ella conceputo  d'uccidere me e le mie sorelle, cui ella avea ingenerate  di suo corpo, e mettere il nostro regno a distruzione et  abassare l'altezza del nostro sangue, e mettere in periglio  la nostra famiglia ». Ed in questi argomenti accoglie fermissima defensione della sua ragione contra il giudicamento,  e dice: « Perciò ch'ella fece così disperato maleficio et     2: M-m ragione 7 ((iiestione (m nm. 7)  3: M' s\ dicerà (mn S dico)  5: M-m questioni  6: M' sopralcuna causa la qua'.e appella ad uno 7 detto contra lui  8: Mhii om.  ch'à fatto bene ragione  9: M' se elgli, m selli  M' a l'acto a ragione  H : M\ m*  detto  i3;Jf fermava  i4: m questo e apellato - 17:,AV nelaccusalo trarre   18: M» appostati - i9: M' clielgli uccise.... chella uccise  SI: A/ niente dolo - S3: M'  om. sua  JW i fermissimi argomenti  29: M 7 dinquesti, »i 7 in <juesti, 3/' 7 di questi La rubrica di M (clie di regola seguo) ha qui ludicamento, certo per effetto  della parola precedente.   avea pensato di fare cotanta crudelitade, sì fue al postutto  convenevole che Ili suoi propii figliuoli ne le dessero pena  e non altri >. Et questi sono fermissimi argomenti ne' quali  dice che '1 fatto della madre fue crudele, superbo e mali5. zioso. 4. Et nota che quel fatto è appellato superbo il quale  alcuno adopera centra' maggiori, sì come quella fece uccidendo il re Agamenon. Et quello è crudele fatto il quale  alcuno adopera contra' suoi, sì come quella fece contra la  sua famiglia. Et quello è malizioso fatto il quale è molto   10. fuori d'uso, sì com'è contra naturale usanza ch'alcuna femina uccida il suo marito e figliuoli e distrugga un alto  reame. 5. Onde questi fermissimi argomenti e' quali l'accusato mette davanti per confermare le sue ragioni et  incontra lo 'ndebolimento che facea l'aversario, sì è ap 15. pellato fei'mamento.   In quale constiti izione non à gindicamento. Et certo neil'altre constituzioni si truovano giudicamenti a  questo medesimo modo ; ma nella congetturale constituzione, perciò  che in essa non s'asegna ragione (acciò che '1 fatto non si concede)  20. non puote giudicamento nascere per dimostranza di ragione; e però  conviene che questione sia quel medesimo che giudicamento: « fatto  è, nonn è fatto, sé fatto o no ». Che al vero dire, quante constituzioni lor parti sono nella causa, conviene che vi si truovino  altrettante questioni, ragioni, giudicamenti e fermamenti.   25. Lo sponitore.   1. In questa parte del testo dice Tullio che, sì come  per lui è stato detto davanti, così si possono trovare giudicamenti inn ogne constituzione; salvo che nella constituzione congetturale, della quale è molto trattato inn  30. adietro, perciò che in essa l'accusato nonn asegna (i) neuna  1 : Af' avea pensala cotanta crudeltade  2: M nelle, ÌU-L lene dessero  3 : Mi lorlissimi argomenti  5: m nel quale  7 : M Tde agnzenò {sic), m i ro Agamenon  m ohi. è   8: M' luomo adopera  9: m om. è ambedue le volte  il : A/ un altro  IS-i^-.M' om.  et, 7» e contro allo  i7 : M' ì giudicamenti  22: Mi se facto e. no ~ quante questioni   26 : m om. che  28 : vi nella questione   (1) Si potrebbe anche leggere non n' asegna; ma in M' è scritto qui e qualche riga più sotto non assegna, mentre la grafia col doppio n 6 frequente in M  (cfr. pag. seg., 1. 6, nonn abisogna).    ragione, anzi niega, al postutto non ne puote nascere giudicamento. 2. Verbigrazia : Uno accusò Ulixes ch'elli avea  morto Aiaces. Dice Ulixes : « Non feci » et cosi nega quel  fatto che gli è apposto. Et perciò non conviene che sopra '1  5. suo negare assegni alcuna ragione. Et poi che nonn asegna  ragione, il suo adversario nonn abisogna d' indebolire la  ragione dell'accusato. Dunque nonde puote nascere giudicamento ; e perciò conviene che in queste constituzioni  congetturali la questione e lo giudicamento siano ad una  10. cosa: che là ove dice l'accusatore « Tu uccidesti » et Ulixes  dice « Non uccisi », la questione e '1 giudicamento fie sopi-a  questo, cioè se ll'uccise o no. 3, Poi dice CICERONE che quante  constituzioni à una causa, altrettante v'à questioni e ragioni e giudicamenti e fermamenti. Dell'altre parti della causa.   75. Trovate nella causa tutte queste cose, son poi da considerare ciascuna parte della causa ; eh' al ver dire non si dee pur  pensare prima ciò che ssi dee dicere in prima ; perciò che se le  parole che sono da dire in prima tu vuoli inforzatamente congiungere  20. et adunare colla causa, conviene che d'esse medesime traghe quelle  che sono da dire poi.     Sponitore.   1. Or dice Tullio : Dacché '1 parliere connosce la causa  et àe inteso ciò eh' elli n' àe insegnato per tutto il libro  25. insine a questo luogo, quando alcuna causa viene sopra la  quale convegna che dica, sì dee il buono parliere pensare  con molta diligenzia e considerare nella sua mente, anzi  che cominci a dire, tutte le parti della sua causa insieme  e non divise. Che s'elli pensasse in prima pur quella che     4: m chelli fu aposto - 6: M' non a bisogno, m non a ragione  8: M-m om. e   9: M-m la constituzione  i 1 : M' sie sopra q., m fla  i3: M-m otn. v'à  17: M-m  e al ver dire  18: M' in prima quello  M-m om. dicere  S che è da dire inprlma   19: M-m om. in prima  M' tu le vuoigli  M isforcatamonte, m sforfatamenie congiungnerle  20: M' i raunaro  M-m elio esse medesime  S4: M'-L tutto il titolo, i' tutto  il telo (tic)  S8: i/' causa sua  S9: M' pur quello che sia da dire (Z. aggiunge in  prima)  prima sia da dire e non pensasse ch'elli dovesse dire poi,  senza fallo il suo cominciamento si discorderebbe dal mezzo  et il mezzo dalla fine. 2. Ma chi accorda bene le sue parole  colla natura della causa et in innanzi pensa che ssi convenga dire davanti e che poi, certo la comincianza fie tale  che nne nascerà ordinatamente il mezzo e la fine. Tutto  altressì fae il buono drappiere, che non pensa prima pur  della lana, ma considera tutto il drappo insieme anzi che  Ilo cominci, e de' aver (D la lana e '1 coloi*e e la grandezza  del drappo, e provedesi di tutte cose che sono mistieri, e  poi comincia e fae il drappo. Di VI parti della diceria. Per la qual cosa, quando il giudicamento e quelli argomenti che bisognano di trovare al giudicamento saranno diligente15. mente trovati secondo l'arte e trattati con cura e con cogitatione,  ancora sono da ordinare l'altre parti della diceria, le quali pare a  nnoi ai tutto che siano sei : Exordio, narrazione, partigione, confermamento, riprensione e conclusione.   Sjtoììitore.   20 _ I. Poi che Tullio sufficientemente à dimostrato la chiarezza delle cause et àe comandato che '1 buono parliere  innanzi pensi tutte le parti della causa per accordare il  mezzo e la fine colla comincianza del suo dire, si che sia  l'una parola nata dell'altra, sì dice esso medesimo che poi   25. che tutto questo eh' è fatto,(3) e trovato il giudicamento della     1 : M' che sia da dire poi 4: M' m om. in  5 : M' la incomincianca, m il cominciamento  6: M' che nostera (corr. moslera), L mosterra, S mostra  7: if ' in prima   9-10: M' anzi che cominci.... accio mestieri  m sono mestiere  11: M^ i\ suo drappo  ordinatamente, L affare il s. d. ordinatamente  14 : M^ che si bisognano -17: M' che  sono sei.... petitione invece di partigione  20 : M^ a sofficientemente dem.  S3: M' el  Dne con la incomincianpa  M-m om. sì  24: M om. nata  25: M^-L questo e facto   (1) Tutti i codici hanno 7 daver 7 davere, che può esser nato facilmente  dall'aver preso il de' per la preposizione di. Tanto il senso quanto la sintassi sarebbero poco chiari leggendo e d'aver.   (2) Preferisco la lezione di M perchè non è probabile che la parola ordinatamente, che si trovava in evidenza in fine al discorso, sia sfuggita al copista. Forse  l'aggiunta If' (L) fu determinata AaW ordinatamente di poche righe prima.   (3) Cioè " dopo che tutto questo è fatto „ . Per il che pleonastico cfr. p. 20,  n. 2, p. 21, n. 1 e qui dopo p. 99, 1. 18. Le lezioni di M^ e di L si spiegano con  quelle di M-m, ma non viceversa. causa e ciò che vi bisogna secondo i comandamenti di rettorica (i quali si convengono trattare con molto studio e  con grande deliberazione) ; anco sopra tutto questo si convengojio pensare l'altre parti della diceria, delle quali non  5. è detto neente, e sono sei ; e di ciascuna per sé tratterà  il libro interamente.   Lo sponitore chiarisce tutto ciò eh' è detto inn adietro. Et sopra questo punto, anzi che '1 conto vada più  innanzi, piace allo sponitore di pregare il suo porto, per cui amere è composto il presente libro non sanza grande  afanno di spirito, che '1 suo intendimento sia chiaro e lo  'ngegno aprenditore, e la memoria ritenente a intendere  le parole che son dette inn adietro e quelle che seguitano  per innanzi, sì che sia, come desidera, dittatore perfetto e   15. nobile parladore, della quale scienzia questo libro è lumiera e fontana. 3. Et avegna che '1 libro tratti pur sopra  controversie et insegni parlare sopra le cose che sono in  tendone, et insegna cognoscere le cause e Ile questioni, e  per mettere exempli dice sovente dell'accusato e dell' ac 20. cusatore, penserebbe per aventura un grosso intenditore  che Tullio parlasse delle piatora che sono in corte, e non  d'altro. 4. Ma ben conosce lo sponitore che '1 suo amico  è guernito di tanto conoscimento ch'elli intende e vede la  propria intenzione del libro, e che Ile piatora s'aparten 25. gono a trattare ai segnori legisti ; e che rettorica insegna  dire appostatamente sopra la causa proposta, la qual causa  no è pur di piatora né pur tra accusato et accusatore, ma  é sopra l'altre vicende, sì coinè di sapere dire inn ambasciarie et in consigli de' signori e delle comunanze et in   30. sapere componere una lettera bene dittata. 5. Et se Tullio  dice che nelle dicerie intra le parti sono le constituzioni e  questioni e ragioni e giudicamento e fermamento, ben si dee  pensare un buono intenditore che tuttodie ragionano le     1: M' Olii, vi  S: vi làlluro  3: M liberalione - M ancora, m aiicir  4 : m le  IKirli  5: M-m oiii. per sé  8-9: Mi cliel maestro.... più avanti  iO: m questo libro   i3: m mii. clie son  M' seguiranno  i4: in per lo innanzi  i8: vi insegni  o»n. o  dinanzi a per  i9:m exenpro  20: M-vi 7 penserebbe  .?;: if' trattasse  S2:m  ha bene  24-2.^: Af si pertegnono - m 7 a singnorì  M-m le giustitio  26- M' appostamento  M' in sapere  2M 7 nele comunanze, (L e dello), mi delle comunanze  31 : m trailo parti - 32: M-m im. e ragioni, e l'ermamento  m ohi. si      99  genti insieme di diverse materie, nelle quali adiviene sovente che ir uno ne dice il suo parere e dicelo in un suo  modo e l'altro dice il contrario, sì che sono in tencione ;  e r uno appone e l'altro difende, e perciò quelli che appone  5. contra l'alti-o è appellato accusatore e quelli che difende  èe appellato accusato, e quello sopra che contendono è appellata causa. Onde se l’uno appone e l'altro niega, al  postutto di questo non puote nascere questione se non di  sapere se quella cosa che niega elli l'à fatta o detta o no.  Ma quando l'uno appone e l'altro difende, sì è la causa  incominciata et ordinata tra lloro. Et questo è la constituzione della quale nasce la questione, cioè se Ila sua difesa  è a ragione o no; e poi ciascuno contende come pare a llui  per confermare le sue parole e per indebolire quelle del'altro, sì come appare per adietro nel trattato della questione e della ragione e del giudicamento e del fermamento. Onde non sia credenza d'alcuno che, sì come dicono li  exempli messi inn adietro, che ORESTE e accusato in  corte della morte di sua madre ; ma le genti ne contendeano intra loro, che 11' uno dicea che non avea fatto né  bene né ragione, e questo è appellato accusatore, un altro  dicea in defensione d'Orestes ch'elli avea fatto bene e ragione, e questo è appellato nel libro accusato.  De consiglieri. Così aviene intra' consiglieiù de' signori e delle comunanze, che poi che sono aserablati per consigliare sopra  alcuna vicenda, cioè sopra alcuna causa la quale è messa  e proposta davanti loro, all'uno pare una cosa et all'altro  pare un'altra; e cosi è già fatta la constituzione della causa,   30. cioè eh' è cominciata la tencione tra lloro, e di ciò nasce  questione s' elli à ben consigliato o no. Et questo è quello  che Tullio appella questione. 9. Et perciò l' uno, poi ch'elli  àe detto e consigliato quello che llui ne pare, immante   2 : M ndicc  M' di.cela  m in suo modo ~ 3 : M' in contentione ~ 4: M n lalti-o  appone, m laltio appone  M-m quel  6: M quello che, m quello di che  7-9: m om.  al postutto.... che nioga  M che quella cosa  M' selgli la facta  il : m cominciata   M' intra loro 7 questa  13: M-m è ragione - 16: M om. il 1" e 3° e, hì il 1" e S° 20 : m tralloro  dicea chelli  21 : m o ragione  22: m ave fatto  25: M' adiviene - mi  tra cons.  27: M-m. e in essa  28: m davanti a loro  M-m om. cosa et  30: M'  lantentione  31 : M-m selli alta consigliato   m che allui   nente assegna la ragione per la quale il suo consiglio èe  buono e diritto. Et questo è quello che Tullio appella  ragione. 10. Et poi ch'elli àe assegnata la cagione e la ragione per che, si sforza di mostrare perchè s'alcuno consigliasse o facesse il contrario come sarebbe male e non  diritto ; e così infievolisce la partita che è contra il suo  consiglio; e questo è quello che CICERONE lappella GIUDICAMENTO. Et poi ch'elli àe indebolita la contraria parte,  sì raccoglie tutti i fermissimi argomenti e le forti ragioni   10. che puote trovare per più indebolire l'altra parte e per  confermare la sua ragione ; e questo è quello che Tullio  appella fermamente. 12. Et certo queste quattro parti, cioè  questione, ragione, giudicamento e fermamento, possono  essere tutte nella diceria dell'uno de' parlatori, sì come appare in ciò eh' è detto di sopra. Et puote bene essere  la sua diceria pur dell'una, cioè pur infine alla questione,  dicendo il suo parere e non assegnando sopra ciò altra  ragione. Et puote bene essere pur di due, cioè dicendo il  suo parere et assegnando ragione per che. Et puote bene essere pur di tre, cioè dicendo il suo parere et assegnando  ragione per che et indebolendo la contraria parte. Et puote  essere di tutte e quattro sì come fue dimostrato di sopra.  13. Quest' è la diceria del primo parliere. E poi ch'elli à  consigliato e posto fine al suo dire, immantenente si leva   25. un altro consigliere e dice tutto il contrario che àe detto  colui davanti ; e così è fatta la constituzione, cioè la causa  ordinata, e cominciata la tenciouB ; e sopra i loro detti,  che sono varii e diversi, nasce questione, se colui avea bene  consigliato o no. Poi dimostra la ragione perchè il suo   30. consiglio è migliore. Apresso indebolisce il detto e '1 consiglio di colui ch'avea detto dinanzi da llui ; e poi riconferma il consiglio suo per tutti i più fermi argomenti che  può trovare. Adunque le predette quattro cose o parti  possono essere nel detto del primo parliere e nel detto   35. del secondo e di ciascuno parlamentare. 14. Cosie usata   3-4: M' la ragione 7 la cagione.... clie s'olciin  6: M' a diriclo  m la parie  8:m om  Et - i5: M-m cagione, ragione ecc.  i4: 3f' d'uno  y5:3f'pare i 6 : 3f-m om. cioè  pur  17: m pero  M' altre ragioni  18-19: M-m ohi. pur ~ M-m in suo parere assengnanJo perche  SO: M' il suo pare  21 : M^ la contraria partita - SS: m di tulli  e q.  25-26: Jlf' tutto il contrario di colui ca detto davanti  27 : M' lunlcntione  m  la tencionc sopra  S8: M' om. sono -- M 7 se colui  31-32: in rilennu  3/' il suo  consiglio  33: M' ([uattro jiarti  33: M' ciascuno che vuole parlamentare  mente adviene che due persone si tramettono lettere l' uno  all'altro o in latino o in proxa o in rima o in volgare o  inn altro, nelle quali contendono d'alcuna cosa, e così  fanno tencione. Altressi uno amante chiamando merzè alla  sua donna dice parole e ragioni molte, et ella si difende  in suo dire et inforza le sue ragioni et indebolisce quelle  del pregatore. In questi et in molti altri exempli si puote  assai bene intendere che Ha rettorica di Tullio non è pure  ad insegnare piategiare alle corti di ragione, avegna che  neuno possa buono advocato essere né perfetto (2) se non  favella secondo l'arte di rettorica.   15. Et ben è vero ohe Ilo 'nsegnamento ch'è scritto inn  adietro pare che ssia molto intorno quelle vicende che  sono in tencione et in contraversia tra alcune persone, le  15. quali contendano insieme 1' uno incontra l'altro; e potrebbe  alcuno dicere che molte fiate uno manda lettera ad altro  nela quale non pare che tendoni centra lui (altressi come  uno ama per amore e fa canzoni e versi della sua donna,  nella quale non à tencione alcuna intra llui e la donna),  é di ciò riprenderebbe il libro e biasmerebbe Tullio e lo  sponitore medesimo di ciò che non dessero insegnamento  sopra ciò, maximamente a dittare lettere, le quali si costumano e bisognano più sovente et a più genti, che non  fanno l'aringhiere e parlare intra genti. 16. Ma chi volesse  bene considerare la propietà d'una lettera o d'una canzone, ben potrebbe apertamente vedere che colui che Ila  fa o che Ila manda intende ad alcuna cosa che vuole che   1: m adiviene - 3: M^ om. o inn altro ~ 6: m slorza  7 : m i molti  9: m in  insegnare - M' piatire  10: M-m neuno buono advocato possa essere perfetto 11: M  della rectorica  13 : «i intorno a (pielle  15 : m chontendono  M' conlra.... 7 parebbo   16: Mi molte volte manda Inno lectere alaltro, m molto volte uno manda lettere a un altro  (ma ambedue nela (piale)  17 : M che contenda tencioni  18: 1/' per amore, fa  e, L uno che ama per amore fa e.  19: m tra lui  23: M-m om. et  24: m  traile genti     (1) Le parole inn altro, che sembrano inutili, non possono essere un'aggiunta di copisti, ai quali invece doveva venir fatto di ometterle, come in M* e  in i.Dando a volgare il senso limitato di volgare italico, si intende l'altro  per gli altri linguaggi, specialmente il provenzale e il francese. Brunetto vuol dire che la rettorica di CICERONE non serve solo ai legisti, quantunque nessuno possa divenire valente avvocato, e tanto meno perfetto,  senza averla studiata. Questa è l'idea espressa dalla lezione di ilf • ; con quella  di M-m, più semplice a prima vista, non si spiega la relazione fra buono e perfetto sia fatta per colui a cui e' la manda. Et questo i)uote  essere o pregando o domandando o comandando o minacciando o confortando o consigliando ; e in ciascuno di  questi modi puote quelli a cui vae la lettera o la canzone  5. o negare o difendersi per alcuna scusa. Ma quelli che  manda la sua lettera guernisce di parole ornate e piene  di sentenzia e di fermi argomenti, sì come crede poter  muovere l'animo di colui a non negare, e, s'elli avesse  alcuna scusa, come la possa indebolire o instornare in tutto. Dunque è una tendone tacita intra loro, e così sono  quasi tutte le lettere e canzoni d'amore in modo di tendone o tacita o espressa ; e se cosi no è, Tullio dice manifestamente, intorno '1 principio di questo libro, che non  sarebbe di rettorica. Ma tuttavolta, o tencione o no tencione che sia, CICERONE medesimo, luogo innanzi, isforza  i suoi insegnamenti in parlare et in dittare secondo la  rettorica ; e là dove Tullio sine pasasse o paresse che dica  pur insegnamenti sopra dire tencionando, lo sponitore  isforzerà lo suo poco ingegno in dire tanto e sì intende 20. volemente che '1 suo amico potrà bene intendere l' una  materia e l'altra. 18. Et ecco Tullio che incomincia a dire  di quelle partite della diceria o d'una lettera dittata, delle  quali non avea detto neente in adietro: e queste parti sono  sei, sì come apare in questo arbore.    I e. 2   ^'Olii'     /^M/     25. Queste sono le sei parti che Tullio mostra certamente   che sono nella diceria o nella pistola, specialmente in     i: m per cholui che la manda  2: M' essere pregando  3: M-m o in  6: Jf'  manda guernisce la sua lederà d'ornati^ parole  il : M tucto lelcrre, m tutte lettere o  clianzoni, M' o lo cannoni - iS: M-m o e tacita (mi o e sjirexa) - 13: m inloruo al pr. 14-15: M' o di tenciono o di non tencione  da quello luogo innanci inforfa  16: M'  IH secondo rothorica ~ 18: M^ insegnauiento - 19: M' islbiva - intendevole - 21: M'  m comincia  22 : M' ohi. o duna lettera dittala - 23: M indietro - 24: il' pare in  ipiesto albero - Nello gchetna M' ha l" l>roomio, 3» Divisione, ó" Uisjwnsionc - SO: M-m 7  nella pistola (ma c/r. l. 22)    quelle che sono tencionando, sì come appare nel detto  dello sponitore qui adietro ; e, sì come detto fue in altra  parte di questo libro, Tullio reca tutta la rettorica alle  cause le quali sono in contraversia et in tencione. Et ben  . dice tutto a certo che Ile parole che non si dicono per  tencione d'una parte incontra un'altra non sono per forma  né per arte di rettorica. 19. Ma perciò che Ila pistola, cioè  la lettera dettata, spessamente non è per modo di tencionare né di contendere, anzi è uno presente che uno manda ad un altro, nel quale la mente favella et é udito colui  che tace e di lontana terra dimanda et acquista la grazia,  la grazia ne 'nforza e l'amore ne fiorisce, e molte cose  mette inn iscritta le quali si temerebbe e non saprebbe  dire a lingua in presenzia; sì dirae lo sponitore un poco dell'oppinione de' savi e della sua medesima in quella parte  di rettorica ch'apartene a dittare, si come promise al cominciamento di questo libro. 20. Et dice che dittare é un  dritto et ornato trattamento di ciascuna cosa, convene volemente aconcio a quella cosa. Questa è la diffinizione del dittare, e perciò conviene intendere ciascuna parola d'essa  diffinizione. Unde nota che dice « dritto trattamento »  perciò che Ile parole che ssi mettono inn una lettera dittata debbono essere messe a dritto, sicché s'accordi il nome  col verbo, e '1 MASCUNINO [sic MASCHILE -- MASCULINO] e '1 feminino, e lo singulare e '1 plurale, e la prima persona e la seconda e la terza, e l'altre  cose che ssi 'nsegnano in gramatica, delle quali lo sponitore  dirà un poco in quella parte del libro che fie i)iù avenente;  e questo dritto trattamento si richiede in tutte le parti  di rettorica dicendo e dittando. 21. Et dice « ornato trat 30. tamento » perciò che tutta la pistola dee essere guernita  di parole avenanti e piacevoli e piene di buone sentenze;  et anche questo ornato si richiede in tutte le i)arti di rettorica, sì come fue detto inn adietro sopra '1 testo di Tullio.  22. Et dice « trattamento di ciascuna cosa » perciò che,   35. si come dice Boezio, ogne cosa proposta a dire puote     1:M' pare  4:M oin. sono  m le quali e In contr. e tencione. Et dico  5-6: M' non  sodono  m om. per te.ncione  a un altro  8 : M'de tencione  iO : M' 7 ae udito il: M'  om. la grazia  12-13: M la gra  M' sinlorca  m/ molte cose  M' m in iscriptura   Mi non, ma L e non  14: m lo sponitore dira uno pocho  16: M' om. di reltorica  19: M-m aconcia a quella cosa, !/'-/> a quella cosa aconcia  23: M-m adietro,  M' a diricto  24-25: M' m el mascolino (m il maschulino)col leminino  3/' el plurale  el singulare  M-m pulare  27 : m fia M' in tutte parti  33 : M-m nel lesto   34 : m om. Et  35 : m si puote    essere materia del dittatore ; et in questo si divisa dalla  sentenzia di CICERONE, che dice che Ila materia del parliere  non è se non in tre cose, ciò sono dimostrativo, deliberativo  e iudiciale. Et dice « convenevolemente aconcio a quella cosa » perciò che conviene al dittatore asettare le parole  sue alla sua materia. Et ben potrebbe il dittatore dicere  parole diritte et ornate, ma non varrebbero neente s'elle  non fossero aconcie alla materia. 23. Così è divisato il dittatore da cciò che dice Tullio; e perciò di queste due   10. materie, cioè del dire e del dittare, e dello 'nsegnamento  dell'uno e dell'altro potrà l'amico dello sponitore prendere  la dritta via. Et per questo divisamento conviene che Ile  parti della pistola si divisino da queste della diceria che  Tullio à detto che sono sei, ciò sono : exordio, narrazione, partizione, conferm amento, riprensione e conclusione.  24. 1. E oppinione di Tullio che exordio sia la prima parte  della diceria, il quale apparecchia l'animo dell' uditore a  l'altre parole che rimagnono a dire, e questo è appellato  prologo della gente. //. Et dice che narrazione è quella   20. parte della diceria nella quale si dicono le cose che sono  essute o che non sono essute, come se essute fossoro ; e  questo è quando uomo dice il fatto sopra '1 quale esso  ferma la forma della sua diceria. E dice che è partigione quando IL PARILERE à narrato e contato il fatto et   25. e' si viene partiendo la sua, ragione e quella dell'aversario  e dice : « Questo fue cosi, e quest'altro così » ; et in questo  modo acoglie quelle partite che sono a lini più utili e pivi  contrarie all'aversario, et afficcale all'animo dell' uditore ;  et allora pare ch'ai tutto abbia detto tutto '1 fatto. IV. Et   30. dice che confermamento è quella parte della diceria nella  quale il parlieri reca argomenti et assegna ragioni per le  quali agiugne fede et altoritade alla sua causa. F. Et dice  che riprensione (1) è quella parte della diceria nella quale il     5: Mi agoisare  6: m om. Et  7 : M' non varrebbe  8: M' j cosi e divisato da  ciò  10: Jf maniere  i3: M^ da quelle  i6: M' Et oppinione di Tulio e, m Oppinione di Tulio e  M exordìa  18: M rimagnono udite, m om. a dire  21 : M issate  22: M 1 quando  M^ m l'uomo  om. esso 23  M' forma la sua diceria   25 : M' edesso viene partendo, m e viene ripetendo.... del chonpagno  28 -. M7 nfììcale (?),  m e ficliale, M' 7 afficcalle  29: M' paro cabbia detto  m detto il fatto - 30 : M' confermagione  33: i mss. responsione  M-m 7 quella   (1) Non esito a scostarmi dai codici per la concorde lezione degli altri luoghi,  che corrisponde al latino reprehensio. Il passaggio da reprensione a responsione è  facilissimo attraverso un repensione.     I)arliere reca cagioni e ragioni et argomenti per li quali  attuta e menoma et indebolisce il confermamento dell'aversario. VI. Et dice che conclusione è Ila fine e '1 termine  di tutta la diceria. 25. Queste sono le sei parti che dice  5. Tullio che sono e debbono essere nella diceria; e di ciascuna tratterà qua innanzi il libro sofficientemente. Ma in  questo eh' è detto puote uomo bene intendere che queste  sei medesime possono convenire inn una pistola, di tal materia puote ella essere. Ma tuttavolta, di qualunque materia   10. sia, nelle tre di queste sei parti s'accorda bene la pistola  colla diceria, cioè nello exordio, narrazione e nella conclusione; ma ll'altre tre, cioè partigione, confermamento  e reprensione, possono più lievemente rimanere e non  avere luogo nella pistola. Tutto altressì la pistola àe V parti, delle quali l'una può bene rimanere e non avere  luogo nella diceria, cioè «salutatio»; l'autra, cioè «petitio»,  avegnachè Tulio no Ila nominasse in tra Ile parti della  diceria, sì vi puote e dee avere luogo in tal maniera ch'appena pare che diceria possa essere sanza petizione. Dunque   20. le parti della pistola sono cinque, ciò sono salutazione,  exordio, narrazione, petizione e conclusione, sì come appare in questo arbore :      26. Et se alcuno domandasse per qual cagione Tullio intralasciò la salutazione e non ne trattò nel suo libro, certo  25. lo sponitore ne renderà bene ragione in questo modo. Certa  cosa è che Tullio nel suo libro tratta delle dicerie che ssi     l-S: m ragioni 7 cagioni  Jlf' l'aiingatore  wn. cagioni e  per li ifiiali allassa M-m il fermamente  3 : 3/' il line  4-5 : m Questo.... che Tulio dico che debbono essere   6 : M' m illibro qua innanzi  7 : jn luomo -- Af ' om. bone  m che tutte 7 queste  sei  8-9 : M tal maniera  M-m da qualunque, M^ de ([ualunque  li : 3f' in exordio   M' m 7 conclusione 12: M' om. tre e soitiiuisce di\hione rt partigione M salta  dal lo al 2" aver luogo  22: M' pare 'in questo albero  24: ilf intrallassò, m lasciò   25: Af' ne renda, L ne rende - 26: M^ cliellibro di Tulio tracia      106  fanno in presenzia, nelle quali non bisogna di contare'!) il  nome del parlieri né dell' uditore. Ma nella pistola bisogna  di mettere le nomora del mandante e del ricevente, c'altrimente non si puote sapere a certo né l'uno né l'altro.  Apresso ciò, la salutazione pare che sia dell'exordio ; che  sanza fallo chi saluta altrui 'per lettera già pare che cominci suo exordio. Et Tullio trattòe dello exordio compiutamente, non curò di divisare della salutazione né distendere il suo conto intorno le saluti, maximamente perciò che pare che rechi tutta la rettorica a parlare et in controversia tencionando. Et in perciò furo alcuni che  diceano che Ila salutazione non era parte della pistolaj  ma era un titolo fuor del fatto. Et io dico che la salutazione è porta della pistola, la quale ordinatamente chiarisce le nomora e' meriti delle persone e l'affezione del  mandante. Et nota che dice « porta, cioè entrata della  pistola, e che chiarisce le nomora, cioè del mandante e  del ricevente; e dice i meriti delle persone, cioè il grado  e l'ordine suo, sì come a dire: Innocenzio papa, Federigo Imperadore, Acchilles cavaliere, Oddofredi  Judice, e cosi dell'altre gradora. Et dice « ordinatamente », cioè che mette il nome e '1 grado di ciascuno  come s'a viene; e dice «l'affezione del mandante», cioè com'elli  manda al ricevente salute o altra parola di bene, o per   25. aventura di male, secondo la sua affezione, cioè secondo  la sua volontade. 28. Adunque pare manifestamente che  Ila salutazione è così parte della pistola come l' occhio dell' uomo. Et se l'occhio è nobile membro del corpo dell'uomo,  dunque la salutazione é nobile parte della pistola, c'altressi   30. allumina tutta la lettera come l'occhio allumina l'uomo.  Et al ver dire, la pistola nella quale non à salutazione è  altrettale come la casa che non à porta né entrata e come '1     1 : M-m bisogna contare  S-3 : M' nome del dicitore  M-m bisogna mettere M 7 dell' uditore 7 del ricevente, m om. 7 del ricevente  M-m 7 altrimente  4: M' non  si porrebbe  7-9: M-m om. dello exordio  non curo divisare salutalione 7 distemdere ìli intorno alle salutationi  10: M' om. et  11-12: M' Et jìerciò funro  ciie salutalione  15: m e mèli  16: m om. Et -17: M-m om. 1° e, hi 01». cioè  S3 : M' om. di   24 : M' 7 altra  2,5 : M eirectione  m om. secondo la sua afTezione cioè  26: M' parte  (ma t espunto)  28 : M 3/' om. dell'uomo, m om. del corpo (A completo)  29: iW' e la  salutatione n. p.  m e altres'i  32 : il/' ne jiorta   (1) La lezione bisogna contare darebbe piuttosto il senso di « conviene dire »,  mentre qui si richiede un «c'è bisogno di dire».     - Itì7  corpo vivo che non à occhi. Et perciò falla chi dice che  salutazione è un titolo fuor del fatto; anzi si scrive e s' inchiude W e sugella dentro ; ma '1 titolo della pistola è la  soprascritta di fuori, la quale dice a cui sia data la lettera.  Ben dico c'alcuna volta il mandante non scrive la salutazione, o per celare le persone se Ila lettera pervenisse  ad altrui o per alcun' altra cosa o cagione. (2) Né non  dico che tutta fiata convenga salutare, ma o per desiderio  d'amore, o per solazzo, talora (3) si mandano altre parole che   10. portano più incarnamento e giuoco che non fa a dire pur  salute. Et a' maggiori non dee uomo mandare salute, ma  altre parole che significhino reverenzia e devozione; e talvolta no scrivemo a' nemici altro che Ile nomora e tacemo  la salute, o per aventura mettemo alcuna altra parola che   15. significa indegnamento o conforto di ben fare o altra cosa;  sì come fa il papa che scrivendo a' giudei o ad altri uomini  che non sono della nostra catholica fede o a' nemici della  Santa Chiesa tace la salute, e talvolta mette in quel luogo  spirito di più sano consiglio o connoscere la via della veritade o ahundare inn opera di pietade et altre simili cose.  Adunque provedere dee il buono dittatore che, similemente come saluta l'uno uomo l'antro trovandolo in  persona, così il dee salutare in lettera mettendo et adornando parole secondo che la condizione del ricevente richiede. Che quando uomo va davante a messer lo papa o  davante ad imperadore o a alti-o segnore ecclesiastico o  seculare, certo elli va con molta reverenzia et inchina la  testa, et alla fiata si mette in terra ginocchioni per basciare     2-3: M' anche  M-ìn si richiude  M' ma titolo  M 7 \a. s.  5 •m iscrive salutatione  6-7: M' venisse ilata altrui per alcuna cagione  Mo per cagione dalcunaltra cosa  cagione ; m id., ma oiii. cagione  8-9 : M^-L ma ora per d. d'a. or (ina L 0) per s. si mandano, M-m per solazzo di loro si mandano  il: M' a maggiore  M-m non debbono - 12: M*  che significanza abbiano di revercntia 7 dev.  13-14: M' a nomici non scrivemo  M-m 7 per  aventura 16: M-m il papa scrivendo... om. altri 19: M-m di chonnoscere  M' conoscere  via de veritade 20: M' opere (mai opera)  om. altre  21  il/' dee prevedere  22  M' un  huomo un altro ^ó:ni Quando luomo  26:M' davanti imperadore od altro, >« davante a lomj)eradore  27 : Jf certo e va - ^S: in M una macchia cunpre in  M' ginocohione in terra     (1) S'inchiude è più esatto di si richiude. Lo scambio fra n e l'i occorre altre  volte: cfr. p. 37, n. 1.   (2) In 3f e' è qualcosa di troppo. Non importa dire che m ha accomodato di suo,  perchè la parola cagione come finale è confermata da M'; forse 1' errore nacque  dall'avere scritto subito pei- cagione e voler poi rimediare.   (3) Scrivo così per avere un senso, ma non presumo davvero di avere indovinato; potrebbe anche mancare qualche parola.  il piede al papa o allo 'mperadore. Tutto altressì dee lo  dettatore nominare lo ricevente e la sua dignitade coij  parole di sua onoranza e metterlo dinanzi ; apresso dee  nominare sé medesimo e la sua dignitade, e poi dee scri5. vere la sua affezione, cioè quello che desidera che venga  a colui che riceve la lettera, sì come salute o altro che sia  avenante, tuttavolta guardando che questa affezione sia di  quella guisa e di quelle parole che ssi convegnono al mandante et al ricevente. 31. Che quando noi scrivemo a' magio, giori di noi o di nostro paraggio o di minore grado, noi  dovemo mandare tali parole che ssiano accordanti alle  persone et allo stato loro. Et non pertanto eh' io abbia  detto che '1 nome del maggiore si de' mettere dinanzi e  del pare altressì, io oe ben veduto alcuna fiata che grandi  15. principi e signori scrivendo a mercatanti o ad altri minori, mettono dinanzi il nome di colui a cui mandano, e questo  è contra l'arte ; ma fannolo per conseguire alcuna utilitade.  Perciò sia il dittatore accorto et adveduto in fare la salutazione avenante e convenevole d'ogne canto, sicché in essa me20. desima conquisti la grazia e la benivoglienza del ricevente,  sì come noi dimostramo avanti secondo la rettorica di CICERONE. Et bene è questa materia sopr'alla quale lo sponitore potrebbe lungamente dire e non sanza grande utilitade. Ma  considerando che Ila subtilitade perché '1 verbo non si mette  25. nella salutazione, e che "1 nome del mandante si mette in  terza persona per significamento di maggiore umilitade, e  che tal fiata si scrive pur la primiera lettera del nome,  par che tocchi più a' dittatori IN LATINO che’n VOLGARE,  sene passex'à lo sponitore brevemente e seguirà la materia di Tullio per dicere dell'altre parti della diceria e di quelle  della pistola, sì come porta l'ordine. Et in questo luogo  si parte il conto della salutazione, e dirà dell' exordio in  due guise. L’una secondo ciò che nne dice Tullio e che     i : M' y allomperudoi'o  S-3: M-m dignilailo corporale di  m aggiunge di reverenza 7 ^ 4: M^ nm. S" e  3: M-m oirectione  ([nella  7 : m tuttavia  M' guani ino  clic l'airectione  9-10: M' ali maggiori  M-m ili nostro .grado  i2: M' alloro slato   M-m om. ch'io abbia dolio  i3: in il nome  M' si debbia  13-16: m sengnori   M-m scrivono -- m e mellone  M' elgli mandano  17: Af-w por sognile  18: mom.  et adveduto  19: M' dongiii jìarle  20: M-mnm.ìa grazia e  21-SS: il/' dimoslorremo, m dimostraiiio davanti  Af' m Et bene cpiesta  24: JZ-m uhella subtitade, A/' che  sotti! itude  23: M<- in salutalione 7 perche! nome  26: M-m utilitade  27: M' 7 perche.... pur una lederà  m la prima  28: m om. in Ialino  31-32: L Et in questa  parte  ilf' dala salutalione  33: M' om. ci6      109  pare che ss'apartegna a diceria, l'altra secondo che ssi conviene ad una lettera dittata et ad una medesima diceria,  oltre quello che porta il testo di Tullio.   Exordio.   5. 77. Et perciò che exordio dee essere principe di tutti, e noi   primieramente daremo insegnamenti in fare exordio. Vogliendo CICERONE trattare dell' exordio prima che  dell'altre parti della diceria, sì ll'apella principe dell'altre  10. parti tutte ; e certo è de ragione (i) : l' una perciò che ssi  mette e si dice tuttora davanti a l'autre, l'altra perciò che  nel exordio pare che noi aconciamo et apparecchiamo  r animo dell' uditore ad intendere tutto ciò che noi volemo dire di poi.   15. Dell' exordio.   78. (e. XV) Exordio è un detto el quale acquista convenevolemente 1' animo dell' uditore all' altre parole che sono a dire ;  la qual cosa averrà se farà l' uditore benivolo, intento e docile.  Per la qual cosa chi vorrà bene exordire la sua causa, ad lui  20. conviene diligentemente procedere e conoscere davanti la qualitade  della causa.   Lo sponitore.   1. Poi che Tullio avea contate le parti della diceria,   sì vuole in questa parte trattare di ciascuna per se divi 25. satamente, e prima dello exordio, del quale tratta in questo     2 : Af' e la diceria medesima  3: m oltre a quello  5 : M-mom.e  6: M' oxordii   iO: m nm. tutte  M-m certo e (m a) ragione, L e certo eglie ragione  10-li M' luna  pei che, m luna che  M-m 7 davanti si dice  13-14 : m quello die noi poi volerne diro   M' dire poi  18: m dolce (cosi sempre in seguito) M' converrà  om. procedere e   24 : M' divisamente, ma L divisatamente   Questa lezione è quella che spiega meglio le altre: soppresso il de, nacque  è ragione di M, che m, colla pretesa di accomodare,' peggiorò in a ragione; la  variante di L deriva certo dal non aver inteso il significato di de ragione (= secondo ragione).     - no  modo: Primieramente dice che è exordio, mostrando che  tre cose dovemo noi lare nell'exordio, cioè fare che 11' uditore davanti cui noi dicemo sia inver noi benivolente et  intento e docile a cciò che noi volemo dire. Et perciò ne  5. conviene connoscere la qualitade del convenente sopra '1  quale noi dovemo dire o dittare. 2. Nel secondo luogo divide  l'exordio in due parti, cioè principio et « insinuatio », e mostrane in qual convenentre noi dovemo usare principio et  in quale « insinuatio ». 3. Nel terzo luogo ne fa intendere   10. donde noi potemo trarre le ragioni per acquistare benivoglienza et intenzione e docilitade, e come noi dovemo  queste tre usare in quello exordio eh' è appellato principio  e come in quello eh' è appellato « insinuatio ». 4. Nel quarto  luogo pone le virtù e' vizi dell'exordio. Et perciò dice   15. che exordio è uno adornamento di parole le quali il parlieri e '1 dittatore propone davanti nel cominciamento del  suo dire in maniera di prolago, per lo quale si sforza di  dire e di fare sì che l'uditore sia benivolo verso lui, cioè  che Ili piaccia esso e '1 suo parlamento, e procacciasi di dire e di fare sì che l'uditore sia intento a llui et al suo  detto; similemente si studia di dire e di fai'e sì che l’uditore sia docile, cioè che pi'enda et intenda la forza delle  parole. 6. Et perciò dico che immantenente che 11' uditore  è docile sicché voglia intendere e connoscere la natura   25. del fatto e la forza delle parole, sì è elli intento ; ma perchè  l' uditore sia intento a udire, puote bene essere che non sia  docile ad intendere. Et di ciascuno di questi tre dirà il  conto quando verrà il suo luogo. 7. Ma perciò che '1 parliere che non conosce dinanzi di che maniera e di cliente   30. ingenerazione sia la sua causa non puote bene advenire  alle tre cose che sono dette inn adietro, cioè che 11' uditore  sia benivolo, intento e docile, si dicei'à Tullio quante e  quali sono le generazioni delle cause, in questo modo:     1 : m Prima  MM' nm. è  2-3 : m liiditore sia inverso noi benivolo intonlo 7 dolco  a quello ecc.  4-5: m ci conviene  7-8: m nm. et  e mostra  9: M' nensegna,  L insegna dove  JO: M' potremo  ii: M',allenlione - 13: M nm. in  15: m i  parlieri, M' il parladore 17: M' perla (piai cosa  19: ni jiiaoci il suo p.  procliaccisi  20 : M-m 7 fare sicché  m attento  21 : M' 7 fare  22 : il/' ciò che imprenda   «1 le parole  ^.5: hi nm. e la l'orza delle i>arole - 26: m che non 027: M' ohi. tre   28-29: M' vorrà suo luogo  chel dicitore  7 di che ìnjj.     - Ili  Qualitadi delle cause.   79. Le qualitadi delle cause sono cinque: onesto, mirabile  vile, dubitoso et oscuro.   Sponitore.   5. I. In questa picciola parte nomina Tullio le qualitadi   delle cause, cioè di quante generazioni sono le dicerie.  Et s' alcuno m' aponesse che Tullio dice contra ciò che esso  medesimo avea detto in adietro, cioè che le generazioni e  le qualitadi sono tre, deliberativo, dimostrativo e iudiciale,   10. et or dice che sono cinque, cioè onesto, mirabile, vile, dubitoso et oscuro, io risponderei che Ile primiere tre sono  qualitadi substanziali sie incarnate alhi causa che non si  possono variare. Onde quella causa eh' è deliberativa non  puote essere non deliberativa, e quella eh' è dimostrativa   15. non puote essere non dimostrativa ; altressì dico della iudiciale. 2. Ma quella causa eh' è onesta puote bene essere non  onesta, e quella eh' è mirabile puote essere non mirabile,  e così dico della vile e della dubbiosa e della oscura.  Adunque sono queste qualitadi accidentali che possono   20. essere e non essere; ma le prime tre sono substanziali che  non si possono mutare.   Dell'onesta.   80. Onesta qualitade di causa è quella la quale incontanente,  sanza nostro exordio, piace all'animo dell'uditore.   25. Lo sponitore.   I. Quella causa è onesta sopr'alla quale dicendo parole,  immantenente, sanza fare prolago, l' animo dell' uditore si  muove a credere et a piacere le parole che '1 parliere dice  sopra '1 convenente ; et in questo non fa bisogno usare pa   3: M' dubbioso  7 : M' m cholgli medesimo  8: M-m om. elio - M^ li generi   10: M' dubbioso  1 1: m io rispondo che le prime tre  13 -.M' puole  13-14: M-m mllann dal lo al S° deliberativa  15 : M-m essere dimostrativa  17 : L bone essere bene non  mir.  19: M-m om. queste  23: M incontenenlo  27: M-m mantenente     iole per acquistare la benivoglienza dell'uditore, perciò  che ll'onestade della causa l'à già acquistata per sua dignitade, sì come nella causa di colui che accusa il furo o  che difende il padre o l'orfano o le vedove o le chiese. Mirabile è quello dal quale è straniato l'animo di colui  che de' audìre. Quella causa è appellata mirabile la quale è di tale  10. convenente che dispiace all'uditore, perciò eh' è di sozza  e di crudele operazione. Et perciò l'animo dell'uditore è  centra noi et è straniato dalla nostra parte; et in questo  abisogna d'acquistare benivolenzia sì che l'uditore intenda,  sì come nella causa di colui c'avesse morto il suo padre  15. o fatto furto o incendio. 2. Dunque potemo intendere che  una medesima causa puote essere onesta e mirabile : onesta  dall'una parte, cioè di colui che difende il suo padre, mirabile dall'altra parte, cioè di colui medesimo che è coutra  la sua madre propia. E di questo uno exemplo si puote  20. intendere tutti i somiglianti. Vile è quello del quale non cura l'uditore e non pare che  sia da mettere grande opera a intendere.   Lo sponitore.   25. 1. Quella causa è appellata vile la quale è di picciolo   convenente, sì che non pare che ne sia molto da curare e  l'uditore non sine travaglia molto ad intendere, sì come  la causa d' una gallina o d'altra cosa che sia di poco valere.  Et in questa causa dovemo noi procacciare di fare sì che   30. ir uditore sia intento alle nostre parole.     1: M' om. la  id: M' o l'uiiiino - i2: vi e straniato  i3: M' bisogna  14: M-m  om. nella oanaa di colui c'avcsso morto  15: M a facto, m a l'atto  19: M\a sua iiropria  madre  26: M-m om. ne  27 : M' non si maraviglia  28: hi di jioclio valoro, Jt/' de  piccolo valoro  89: Mi nm. di l'are si    Dubitoso è quello nel quale o la sentenzia è dubia o la  causa è In parte onesta et In parte è sozza e disonesta, sicché  Ingenera benlvolenzla e offenslone.  Quella causa è appellata dubitosa nella quale l'uditore non è certo a che la cosa debbia pervenire o a che  sentenzia alla fine torni, sì come nella causa d'Orestes  che dicea ch'avea morta la sua madi e giustamente per due   10. ragioni : 1' una perciò ch'ella avea morto il suo padre, l'altra  perciò che '1 deo APOLLO glile comandò. Onde l'uditore non  è certo la quale di queste due cagioni cagia in sentenzia.  Altressì è dubitosa quella causa nella quale àe parte  d'onestade e perciò piace all'uditore, et àe parte di diso 15 nestade e perciò dispiace all' uditore, si come nella causa  de filio: O d'un furo che fue accusato d'un furto e '1 suo  figliuolo si sforzava (ii difenderlo in tutte guise. Certo la  causa era onesta quanto in difender lo padre, ma era disonesta quanto in difendere lo furo.   20. Dell'oscuro.   84. Oscuro è quello nel quale l' uditore è tardo, o per aventura  la causa è Iv^plgllata di convenentl troppo malagevoli a conoscere.  Dice CICERONE che quella causa è appellata oscura nella   25. quale l'uditore è tardo, cioè che non intende ciò che portano   le parole del dicitore sì bene ne sì tosto come si conviene,   perciò che non è forse ben savio o forse eh' è fatigato per     2: M-m eia sentenzia  3: M' in parte socca  4: M-m o offensione  7-8: M' o  in clie sententia torni ala fino 10: m il suo marito  li: M chel deo apellollil, m chello  lio appello il, M^-L che dio appello glile comando  13: M' quella parte dove parte   16: M do fili?, *i demi?, Mi-L dun figluolo dun ladro - do furto, el figUiolo ~ 17 : m s\  sforza  19: M' lo furto  24: ino oschura apellata  23-26: 3f-»i portava  del dictatore - M' om. nò, L e si tosto, m o si tosto ~ 27:M' om. il 1" forse  M-m 7 forse - faligata   (1) L'abbreviatura insolita ài M e m porta a supporre una formula giuridica  latina, quantunque tale abbreviatura non sembri equivalere proprio a un de filio  (la lezione di M'-L è certamente secondaria). forse nella sigla si nasconde  qualche nome proprio? li detti d'altri parlieri che aveano detto innanzi; o per  aventura la causa è impigliata di cose e di ragioni che  sono oscure e malagevoli ad intendere.   Della divisione dell' exordio.   5. 85. Et perciò che Ile qualitadi delle cause sono tanto diverse,   sì convene che li exordii siano diversi e dispari e non simili in  ciascuna qualitade di cause; per la qua! cosa exordio si divide in  due parti, ciò sono principio et « insinuatio ».   Lo sponitore.   10. I. Perciò - dice Tullio - che le generazioni e le quali tadi delle cause sono tanto diverse, cioè che sono in cinque  modi sì come detto è qui di sopra, e l'uno modo non è  accordante all'altro, sì conviene che in ciascuna qualità  di cause et in catuno de' detti cinque modi abbia suo modo   15. di fare exordio, tale che ssi convegna alla qualitade sopr'alla quale noi dovemo parlamentare o dittare. 2, Et  vogliendo Tullio insegnare ciò apertamente, sì dice che  exordio è di due maniere : una eh' è appellata principio et  un'altra ch'jè appellata « insinuatio » ; e di ciascuna dirà elli   20. interamente. E così dovemo e potemo sapere che le cause  sopra le quali dice alcuno parlieri o sopra le quali scrive  alcuno dittatore sono cinque, cioè sono: onesto, mirabile,  vile, dubitoso et oscuro, sì come apare in adietro. Et sopra  tutte qualitadi sono due modi de exordio e non più, cioè   25. principio et « insinuatio ». Principio è un detto il quale apertamente et in poche  parole fa l'uditore benivolo o docile o intento. Quella maniera de exordio è appellata principio   quando il parlieri o '1 dittatore quasi incontanente alla     1 : M^ parladori  3: M' mn. oscuro o  fi: m diversi, dispari  7:m di cose  8:M' cioè  principio 7 insiniiatione (sempre)  / i : m dolio cose  M' dele qualitadi sono tante divei-se -Melo che sono 13: M' coU'altro  i4-i5: M' si abbia s. m. in fare  A/' «hi.cìò  18-19:  m una che apjinllala ins. 7 una che ajiiiollata pr., M' uno che sajiplla pr. 7 un altro che apellnlo  ins.,7 di ciascuno  21 : vi .ilchimo parlinre dice  M-m 7 sopra  M' dice alcuno dictalon»   22: M-m honesta - 23: M* jiare  31 : M' il dicitore ol dictatore  M-m incontenonte     comincianza del suo dire, sanza molte parole e sanza neuno  infingimento ma parlando tutto fuori et apertamente, fa  l'animo dell'uditore benvolente a llui et alla sua causa,  o talora il fa docile o intento, si come fece Pompeio par5. landò a' Romani sopra '1 convenente della guerra con Julio  Cesare, che fece tale exordio : « Perciò che noi avemo il  diritto dalla ifostra parte e combattemo per difendere la  nostra ragione e del nostro comune, si dovemo noi avere  sicura spei'anza che li dii saranno in nostro adiuto ». Dell' insinuatio. Insinuatio è un detto il quale, con infingimento parlando  dintorno, covertamente entra nell’animo dell'uditore. CICERONE dice che quella maniera de exordio è apellata  « insinuatio » quando il parlieri o '1 dittatore fa dinanzi  un lungo prolago di parole coverte, infingendo di volere  ciò che non vuole, o di non volere quello che dee volere,  e così va dintorno con molte parole per sorprendere l'animo  dell'uditore sì che sia benevolo o docile o intento; sì come  disse Sino parlando a coloro che riteneano la sua persona  in gravosi tormenti: « Insin a oi"a v'ò io pregato che mi  traeste di tante pene ; oimai non dimando se non la morte,  ma grandissimi tesauri avrei dato a chi m' avesse scampato ». Et in questo modo covertamente s'infingea di non   25. volere quello che volea, per venire in animo di loro che Ilo  scampassero per avere, da che mercè non valea. 2. Et cosie  à divisato il conto che è principio e che è «insinuatio»; omai  dicerà quale di questi due modi de exordio dovemo usare  in ciascuno de' cinque modi delle cause, cioè nell'onesto,   30. nel vile, nel mirabile, nel dubitoso e nell' oscuro.     i: M' alancomincianza  m sanza alcliuno - 2-- M' om. et  3: M' benivolente,  m benivolo  M^ o ala sua causa : m come fé  5-6: M' a Romani parlando del  convenente,  cotale  9: M diede saranno  IS: m intorno  15: M-m i parlieri,  M' il parliere  M o dictatore  17 : m quello che non vuole  iW' in (juello che vuole   20-21 : L Sitio  m teneano... gravi tormenti  2S: M' oggimai non domando io   23: M' dati  wi dato chi  26: m merco domandare  27: M' a divisatoli maestro   28 : M-m (|uali  M' noi dovemo  29: M' de cause, M in ciascuno di delle causo, m in  ciascheduna delle chause   (1) Per tutte le citazioni di autori classici, che da questo punto alla fine son  molto frequenti, rimando al mio studio su La «Rettorica» italiana di Brunetto Latini  pp. 35-50; ivi son ricercate e discusse le fonti di questi esempii, e così riesce anche  piti facile rendersi conto della costituzione del testo.   Della mirabile.   88. Nella mirabile generazione di causa, se il'uditore non fosse  al tutto turbato contra noi, ben potemo acquistare benivoglienza per  principio. Ma s'ei troppo malamente fosse straniato ver noi, allora   5. ne conviene rifuggire a « insinuatio », in però che volere così isbrigatamente pace e benivoglienza dalle persone adirate non solamente  non si truova, ma cresce et infiamasi l'odio.   Lo sponitore.   1. Inn adietro è bene detto che quella causa è appello, lata mirabile la quale è di rea operazione, sicché pare che  dispiaccia all'uditore. Et perciò dice Tullio CICERONE che quando la  nostra causa è mirabile puote bene essere alcuna fiata che  Il'uditore non sia del tutto coruccioso contra noi. Et allora  potemo noi acquistare la sua benivolenza per quel modo  15. de exordio eh' è appellato principio, cioè dicendo un breve  prologo in parole aperte e poche. 2. Ma se 11' uditore fosse  adiroso e curicciato contra noi malamente, certo in quel caso  ne conviene ritornare ad altro modo de exordio, cioè « insinuatio », e fare un bel prologo di parole infinte e coverte,  20. sicché noi possiamo mitigare l' animo suo et acquistare la  sua benivolenza e ritornare in suo piacere. Ch'ai ver dire,  quando l' uditore èe adirato e curiccioso, chi volesse acquistare da llui pace così subitamente per poche et aperte  parole dicendo il fatto tutto fuori, certo non la troverebbe,  25. ma crescerebbe l' ira et infiamerebbe l' odio ; e perciò dee  andare dintorno et entrarli sotto covertamente.   Della causa vile.   89. Nella causa la quale è di vile convenente, per cagione di  trarrela di vilanza e di dispetto, ne conviene fare l'uditore intento. S : M-m Della mirabile  ?» e solluditoro  3 : M^ del tutto  4 : 3/' se  m se troppo  fosse crucciato  5: Mi fuggire  m ci conviene.... chosi di presente - 7: m crescesi   9: M-m ubiamo detto  i2: M^ alcuna volta  13: m crucciato  14: M' potremo  (ma L lìotemo)  15: M-m in breve  17 : M' iroso 7 crucciato verso noi, m adirato contra  noi molto,  18: m tornarne  M alaltro modo 19: M-m nni. fare  converte  M iulìnito  20: M' otii. la  SS: M^ cruccioso, m crucciato  S3: in per i)Oclie )iaroIo  7 aperte  S6: M-m darò dintorno  M entrali, M' intrarli, wi rilrarlo sottilmente sotto  coverta  S8 : M e diviene convenente m udiviene e.  S9 : M' trarla de viltanca 7 de  dispregio  Quando la nostra causa ella è vile, cioè di piccolo  convenente sicché l' uditore poco cura d' intendere, allora  ne conviene usare principio et in esso fare che 11' uditore  5. sia intento alle nostre parole; e questo potenio ben fare  traendola di viltanza e facciendola grande et innalzandola,  sì come fece Virgilio volendo trattare de l'api: «Io dicerò  cose molto meravigliose e grandi delle picciole api ».   Della dubbiosa qualità. Nella dubbiosa qualità di causa, se Ila sentenza è dubbia   si conviene incominciare l'exordio dalla sentenzia medesima. Ma se  Ila causa è in parte onesta e in parte disonesta si conviene acquistare benivolenzia, sicché paia che tutta la causa ritorni in onesta  qualitade. La causa dubitosa, si come fue detto in adietro, èe  in due maniere: 1' una che Ila sentenzia è dubbia, sì come  apare nelF exemplo d' Orestes, che per due ragioni e cagioni  dicea ch'avea ben fatto d'uccidere la madre. Et in quel caso   20. dovea elli incuninciare il suo exordio da quella ragione  dalla quale (0 elli più ferma nel suo animo di voler provare, e per la quale crede avere la sentenzia inn aiuto. 2. Ma  se '1 convenente è dubitoso perciò che sia in parte onesto  et in parte disonesto, in quello caso dee il buono parlieri   neir exordio acquistare la benivolenzia dell' uditore per  principio, sicché tutta la causa paia che sia onesta. 2: M' m om. ella  m cioè di vile convenente 7 di picciolo ,9: 3f' -Ldelontendere   4-5 : M 7 mezzo, m e mezzo a fare... atento  6: m vilanza, >/' vllezza 7 inalr. et f. g.   7 : m tràre  8: M' om. molto  iO: M' Dela dubitosa  li: m cominciare  i2 : M-in om.  è in parte onesta  M' parte lionesla 7 parlo dis.  i7 : M-m cliella causa  hi dubbiosa  i8: M> om. apare  cagioni 7 ragioni  m om. 7 cagioni  19-20 : m in questo  dovea elli com.  21 : M' la (juale  22: M-m 7 per qua! (?;i om. 7)  M' sigli crede  davere  23: m om. sia  M'-L honesta.... disonesta  25: M' acquistare nelexordio  benivolenca daluditore  M libenivolentia  26 : M-m om. che sia   (1) Cioè « fondandof3i sulla quale egli si propone di dimostrare la sua causa. L'oscurità della frase ha determinato la falsa correzione in ilf'.   La causa onesta. Quando la causa fie onesta, o potemo intralasciare lo principio, 0, se ne pare convenevole, comincieremo alla narrazione o  dalla legge, o d' alcuna fermissima ragione della nostra diceria.  5. A\a se ne piace usare principio, dovemo usare le parti di benivoglienza per accrescere quella che è. Quando il conveniente sopra '1 quale ne conviene dire  è onesto, certo per la natura del fatto propia avemo noi la benivoglienza dell'uditore sanza altro adornamento di parole. Perciò quando noi venimo a dire noi potemo bene  intralasciare lo principio e non fare neuno exordio né  prolago di parole, e cominciare la nostra diceria alla narrazione, cioè pur dire lo fatto; e bene potemo cominciare  da quella legge che tocca alla nostra materia o da quella  ragione che sia più fermo argomento e più certo. Ma se  nne piace usare ijrincipio e fare alcuno prologo, certo noi  lo potemo bene, non per acquistare benivolenza ma per  crescere quella che v' è. Et perciò in detto caso il nostro   20. principio dee essere in parole apropiate a benivolenza.   Della causa ohscura.   (e. XVI) Nella causa la quale è oscura conviene che nel  nostro principio noi facciamo che ir uditore sia docile.   Lo sponitore.   25. 1. In adietro fue dimostrato qual causa e quando sia   oscura. Et perciò dice Tullio che nella causa la quale sia     2 : M' m tia  3 : i« / Se ci paro  -i : M-m o alla legge, J/' o data leggo  M o alcuna,  )/i adalcluina, Mi o dalcuna  5: Miw paro, m non paro  6 : il/i om. che h - 9: M-m  nm. certo - facto pro])io  iO: M-m sanja molto ailorn.  i i : Mi j perciò  M noi  doviamo a dire, m noi doviamo diro  i2: m alchuno oxordio  13-15: M-m no cominciare ~ M' 1 cominciare do quella legge - M-m o a ([uolla ragione  16: M' la (jualo  sia  18: M' ben faro  19: M-m il docto, M' in (juesto caso  25: M' mostrato (|ualo  causa e 7 (juando sia (ma L ([uando sia)  26: M' la quale e   (Cioè «quando cominciamo a parlare». L'accordo di Jlf e JVf ' ronde sicuro  a dire, e con questo si escludo la lezione, buona in apparenza, di m {doviamo dire)  come evidente accomodamento di M.   oscura all' uditore a intendere noi dovemo usare quella  parte de exoi'dio la quale è appellata principio, et in  quello dovemo noi si dire che 11' uditore sia docile, cioè  ch'elli intenda e ch'elli senta la natura del fatto, in que5. sto modo: che noi diremo in poche parole sommatamente  la sustanzia del fatto dell' una parte e dell' altra. Et poi  che noi vedremo che U' uditore sia apparecchiato in via  d' intendere (1) il fatto, noi andremo innanzi a dire la nostra  ragione sì come si conviene al fatto.   10. Le ragioni delle cose.   93. Et perciò che infìn ad ora noi avemo detto che ssi conviene fare nell' exordio, oimai rimane a dimostrare per quali ragioni ciascuna cosa si possa fare.   Sponito7-e.   Infino a questo luogo à insegnato Tullio tutto ciò che   ssi conviene dire o fare nello exordio; e perciò ch'elli àe  detto in quale exordio ed in qual causa ne conviene usare  parole per acquistare benivolenza, sì vuole elli da qui innanzi mostrare le ragioni come si puote ciò fare ; e questo   20. insegnamento fa bene di sapere.   De' quattro luoghi della temperanza.   94. Benivolenza s' acquista di quatro luogora : dalla nostra  persona, da quella de' nostri adversarii, da quella dell! giudici e  dalla causa. Lo sponitore. In questa parte insegna CICERONE acquistare benivolenza, e perciò ch'ella non si puote avere se non per quello  che ss' apartiene alle persone et al fatto, sì dice che quattro  luogora sono dalle quali muove benivolenza. Il primo luogp     i: if-»» om. all'uditore a intendere  2.M^As lexordio  4: Af' chela intenda et senta 5: m dopo diremo r(pe(e in ([uesto modo  6:m la natura  om. Et  7-8: 3f' apparecchiato  intendere, m-L appareccliiato a intendere  12: m a mostrare  15: M-m In  ipiosto luogo  om. tutto - 17: M-m 7 di qual causa, M' iu quale causa, i e in quale  causa  M-m luoghi, della nostra p.  27-28: M' da quello... alla persona   (1) L' espressione certamente è ridondante {in via sembra quasi una variante  di apparecchiato), e perciò quasi tutti i testi l' hanno ridotta alla forma pili semplice e comune. Il segno 7 di M' deriva da una errata lettura di a, che anche  in quel codice ha una forma simile alla nota tironiana.    si è la nostra persona e di coloro per cui noi dicemo. Il  secondo luogo si è la persona de' nostri adversarii e di  coloro contra cui noi dicemo. Il terzo luogo si è la persona  de' giudici, cioè la persona (l) di coloro davanti da cui noi  5. dicemo. Il quarto luogo si è la causa e '1 fatto e '1 convenente sopra '1 quale noi dicemo. E di ciascuno di questi  dicerà il conto ordinatamente e sofficientemente.   Tallio sopra lo lìvolago.  Dalla nostra persona se noi dicemo sanza superbia de'  10. nostri fatti e de' nostri officii; e se noi ne leviamo le colpe che  nne sono apposte e le disoneste sospeccioni; e se noi contiamo i  mali che nne sono advenuti et li 'ncrescimenti che nne sono presenti; e se noi usiamo preghiera o scongiuramento umile et inclino.   Sponitore.    1. Conquistare benivolenza dalla nostra persona si è   dicere della persona nostra, o di coloro per cui noi dicemo,  quelle pertenenze perle quali l' uditore sia benivolo verso  noi. Et sappie che certe cose s' apartengono alle persone  e certe alla causa; e di queste pertinenze tratterà il conto   20. sofficientemente, e fie molto bella et utile materia ad imprendere. Et qui pone Tullio quattro modi d'acquistare benivolenza dalla nostra persona. 2. Il i)rimo modo si è se noi dicemo sanza soperbia, dolcemente e cortesemente, de' nostri fatti e de' nostri officii. Et intendi (2) che dice « fatti »   25 quelli che noi facemo non per distretta di leggo o per  forza, ma per movimento di natura. Et così dicendo Dido     1 : m Olii, si  2: M-m om. luogo  m ohi. si  5 : m om. si  J : M-in om. la jiersoiia  Afiia  coloro  m davanti a chui, il/' davanti cui  5: M^ il facto  m om. ól convonento  6-7 :  M' om. di questi  dioera lautore  m om. e soBìcientemento  9-10: M-m Alla nostra p.   di nostri faoti  Ai' lo nostre colpo  12: il/' che sono presenti   M' i scongiuramento  16: M^ dola nostra persona 7 di coloro  17: m aparlenentle  20: m om.  suflicientementc  M-mom. materia  22: m om. moiio  2-i:M-m intende, L intendo   25: m diciamo per distretta  26: M-m dicendo didio   (1) Le parole la persona sono superflue, e perciò a prima vista si preferirebbe  la lozione di M-m; ma è molto più probabile l'omissione di parole inutili che la  loro aggiunta in Af'.   (2) Scrivo cosi per analogia col § 4; ma anche la lezione di Mm, intende,  potrebbe conservarsi come una forma di 2" persona dell' imperativo (per la desinenza e non mancano esempii). d' Eneas acquistò la benivolenza degli uditori: « Io » dice  ella, « accolsi e ricevetti in sicura magione colui eh' era  cacciato iu periglio di mare, et quasi anzi eh' io udisse  il nome suo li diedi il mio reame ». Et cosi dice che ella  5. si mosse a pietade sopra Eneas quando elli fugia dalla  distruzione di Troia. 3. Et al ver dire noi avemo merzè  e pietade delle strane genti per natura, non per distretta.  Ma offici sono quelle cose le quali noi facemo per distretta,  non per movimento di natura. Onde dice Tullio che dell'uno   10. e dell'altro dovemo dire temperatamente sanza superbia.  4. Il secondo modo si è se noi ne leviamo da dosso a noi  et a' nostri le colpe e le disoneste sospeccioni che cci sono  messe et apposte sopra; et intendi che colpe sono appellati  que' peccati che sono apposti altrui apertamente davanti al  viso, sì come fue apposto a Boezio eh' elli avea composte  lettere del tradimento dello 'mperadore. Il quale peccato removeo elli per una pertenenza di sua persona, cioè  per sapienza, dicendo cosi. Delle lettere composte falsamente che convien dire ? la froda delle quali sarebbe mani 20. festamente paruta se noi fossimo essuti alla confessione  dell' accusatore ». 5. Le disoneste sospeccioni sono le colpe  eh' altre pensa in centra ad un altro, ma nolle pone davante  al viso, sì come molti pensavano che Boezio adorasse i domoni per desiderio d'avere le dignitadi; e questa sospeccione   25. si levò elli parlando alla Filosofìa, che disse: « Mentirò che  pensaro ch'io sozzasse la mia coscienza per sacrilegio (o per  parlamento de' mali spiriti). Ma tu, filosofìa, commessa in me  cacciavi del mio animo ogne desiderio delle mortali cose ».•  Et così parve che volesse dire: « Poi che in me avea sapien 30. zìa, non era da credere che in me fosse così laido fallimento ».  Tutto altressì Elena, voglìendosi levare la sospeccione che  '1 suo marito avea dì lei, disse: «Elli che ssi fida in me  della vita, dubita per la mia biltade; ma cui assicura prodezza non dovrebbe impaurire l'altrui bellezza ». 6. Il terzo  1 : M' deluditore  2: S m sicuro porto  4: M' il suo nomo  Mìi dica  m il roame  mio  5: A/' dela  7: m M' 7 non  0: m L ^ non por m.  13-14: m ci sono aposto  (om. sopra)  M' appellate.... apjioste  16: M \e lectoro  17: M' elgli rimovca  ciò  fu  18: M' falsamente composte  20-21 : M-m jiartita ....stati.... dellaccusato   22: m centra un altro  ^f' appone  25: m parlando olii  25-27: M-m Mentita chi  solcasse  om. per sacrilegio.... spiriti  28: cacciavi (il latino ha pellebas) è solo in L;  M-m chaccia, Jf' cacciava con un i aggiunto tra v e a, s caccia via  29: M-m paro   31 : m schusare 7 levare  33: m della biltade mia   modo è se noi contiamo i mali elie sono advenuti e li 'ncrescimenti che sono presenti. Così Boezio, contando ciò ch'avenuto era, acquistò la benivolenza dell'uditore dicendo: « Per  guidardone della verace vertude sofferò pene di falso incol5. pamento ». Et Dido, dicendo i suoi mali dopo il dipartimento  d'Eneas, acquistò la benivolenza per la sua misa ventura, e  disse : « Io sono cacciata et abandono il mio paese e Ila casa  del mio marito e vo fuggendo i)er gravosi cammini in caccia  de' nemici». Altressì Julio Cesare, vedendosi in perillio di   10. guerra, contò i mali c'a llui poteano advenire, per confortare  i suoi a battaglia, e disse: «Ponete mente alle pene di Cesare, guardate le catene e pensate che questa testa è presta  a' ferri e' membri a spezzamento». Altro modo è se  noi usiamo preghiera o scongiuramento umile et inclino,   15. cioè devotamente e con reverenza chiamare merzede con  grande umilitade. Et intendi che preghiera è appellata  sanza congiuramento. Verbigrazia : Pompeio, vegiendosi  alla pugna della mortai guerra di Cesare, confortando i  suoi di battaglia disse: «Io vi priego de' miei ultimi fatti   20. e delli anni della mia fine, perchè non mi convenga essere  servo in vecchiezza, il quale sono usato di segnoreggiare  in giovane etade » (0. Et queste pi'eghiere talfiata sono  aperte, sì come quelle di Pompeio, talfiata sono ascose, sì  come quelle di Dido in queste parole ch'ella mandò ad   25. Eneas: «Io » disse ella « non dico queste parole perch'io  ti creda potere muovere; ma poi ch'io ao perduto il buon     4 : M-m fossero peno  5 : M-m Et dicio dicondo  6-7: m dicendo  M-m chaccialo   8: M el mio marito, m om. - 9: M Tullio Cosarn, m Tulio corr. in .Tulio  12-13 : itf' epresso   li membri  M 7 membri, m 7 i membri  La sprezzamento  14: M-m 7 scongiuramento  Mi panclino, m e parlino, M'-L o incliino - 13: m om. cioè  chiamando  19: m abattagla — 20: M delli anni ilelli amici lino, m delli anni /siche  21: M servo  in vilezza la (piale, m servo 7 in vilczza il quale  22-23: M-m om. sono aperte, m anlhe  il 2° talfiata  24: M di diedi  26: M' o perduto, m chio perduto   (l) Il testo di Lucano (Fars., VII, 380), da cui è tradotto questo esempio,  ha ultima fata deprecar, tutti i codici della Eettorica portano ultimi fatti. Non  credo che si possa pensare a uno sbaglio dei copisti, perchè un latinismo come  fati (che del resto qui non sarebbe traduzione esatta) manca di ogni probabilità  in quel tempo; sarà dunque da risalire a un'alterazione facilissima del latino,  ultima facta, che certo riusciva più intelligibile della frase poetica originale.  Quanto al servo in vecchiezza (che corrisponde a ne discam servire senex), se potesse supporsi una forma vegliezza {eelUczza) si spiegherebbe meglio come sia nato  l'erroneo vilezza; ma è chiaro che la parola servo risvegliò l'idea di «condizione  vile, meschina».   pregio e la castitade del corpo e dell' animo, non è gran  cosa a perdere le parole e le cose vili ». 8. Ma scongiuramento è quando noi preghiamo alcuna persona per Dio o  per anima o per avere o per parenti o per altro modo di  5. scongiurare, sì come DIDONE fece ad Eneas: Io ti priego, dice ella, per tuo padre, per le lance e per le saette  de' tuoi fratelli e per li compagnoni che teco fuggirò,  per li dei o per l'altezza di Troia, etc.  Or à detto il  conto del primo luogo donde muove la BENEVOLENZA, cioè  10. della nostra persona e di coloro che sono a noi ; ornai  dirà il secondo luogo, cioè della persona delli adversarii  e di coloro contra cui noi dicemo. Dalla persona delli aversarìi se no! li mettemo inn odio  15. invidia o in dispetto.   Lo sponitore.   1. Acquistai'e benivolenza dalla persona de' nostri adversarii si è dire delle loro persone quelle pertenenze per  le quali l' uditore sia a noi benivolo et contra 1' aversario  20. malivolo; et a cciò fare pone Tulio tre modi: Il primo  modo è dicere le pertenenze delle loro persone per le  quali siano inn odio dell'uditori; il secondo che siano in  loro invidia; il terzo che siano in loro dispetto; e di ciascuno di questi tre modi dirà il testo bene et interamente.   25. Tullio.   97. Inn odio saranno messi dicendo com' ellino anno fatta  alcuna cosa isnaturatamente o superbiamente o crudelmente o maliziosamente.  M om. a  711 lo chose vili 7 le i»arole  4: M' o per parenti por avere  m oin.  rli scongiurare  6-7 : M' per lo tuo padre 7 per le 1. 7 [jor le s. de tuoi f., per li compagniper saette di tuoi I"., m per le saette de tuoi parianti 7 per li compagni - 8-0 : M' om. etc.   Et ora a detto il maestro  om. la  Ì0:m dalla nostra parte  YS: 3i' odindispregio   19: M-m om. a noi M' deluditore.... in invidia. Et il ter^^o che sia  m loro in  invidia.... loro in dispetto  26-27: M' comelgli anno alcuna cosa facta  vi 0»». isnatur.  e o maliziosamente     Noi potemo i nostri adversarii mettere ina odio dell' uditore se noi dicemo eh' elli anno alcuna cosa fatta isnaturalmeute, contra l'ordine di natura, si come mangiare  5. .calane umana et altre simili cose delle quali lo sponitore  si tace presentemente. O se noi dicemo eh' elli abian fatto  superbiamente, cioè non temendo né curando de' signori né  de' maggiori, avendoli per neente. O se noi dicemo ch'elli  abbiano fatto crudelmente, cioè non avendo pietà né mise 10. ricordia de' suoi minori né di persone povere, inferme o misere. se noi dicemo ch'elli abbiano fatto maliziosamente,  cioè cosa falsa e rea, disleale, disusata e contra buono uso.  2. Et di tutto questo avemo exemplo nelle parole che BOEZIO  dice contra NERONE imperadore. Ben sapemo quante ruine fece ARDENDO ROMA, tagliando i parenti et uccidendo il  fratello e sparando la madre. Altressì fue malizioso fatto  il qual racconta Euripide di Medea, che sta scapigliata  tra' monimenti e ricogliea ossa di morti. 3. Omai à detto  lo sponitore sopra '1 testo di Tullio come noi potemo met 20. tere il nostro adversario in odio et in malavoglienza dell' uditore. Da quinci innanzi dicerà come noi li potemo  mettere in loro invidia.   Tullio.  In invidia dicendo la loro forza, la potenza, le ricchezze,  2.5. il parentado e le pecunie, e la loro fiera maniera da non sofferire,  e come più si confidano in queste cose che nella loro causa.   Sponitore.   1. Noi potemo conducere i nostri adversarii in invidia  et in disdegno dell' uditore se noi contiamo la foi'za del     3-4: M' chaWi ahh'ia. {poi aggiunto no dalla stessa maria)  isnaluratamente contra online M' tace ora presentemente  m al ])rosonte  M-m 7 se noi dicemo che labian  7-8: M  tenendo M^ 7 non venerando de sig,... 7 avendoli, m curando.... do maggiori  M-m 3/' chelabbiano  9-10: m misericordia.... di persone M' 7 misero  M-m Et se dicemo  cliollabbiano  12: Af' cosa rea falsa et disleale 7 disusata contra b. u., m om. cosa  o  disleale 7 contro a b. u.  13: M' exemplo avemo  lo : M' uccidendo i parenti, talgllaiido  il fratello  M-m i fratelli  17 : S Euripide  M-m di medici  IS: M corresse monimenti in moUimenti  20: m om. in odio et - Af' in malavoglienca  21-22: M Da ipii 3f' diceremo.... li potremo mettere loro in invidia  24 : M-m om. M' si lidano: Af' i nostri avorsari conducere degliuditori Cfr. Magoini, La rettorica italiana di B. L. corpo e dell' animo loro ad arme e senza arme, e la potenza, cioè le dignitadi e le signorie, e le ricchezze, cioè  servi, ancille e posessioni, e'1 parentado, cioè schiatta, lignaggio e parenti e seguito di genti, e le pecunie, cioè  5. denari, auro et argento, in cotal modo che noi diremo  come ' nostri adversarii usano queste cose malamente et  increscevolemente con male e con superbia, tanto che sofferire non si puote. 2. Cosi disse Salustio a' Romani: Ben  dico che Catenina è estratto d'alto lignaggio et à grande   IO. forza di cuore e di corpo, ma tutto suo podere usa in tradimenti e distruzioni di terre e di genti ». Così disse Catenina centra ' Romani: Appo loro sono li onori e le  potenzie, ma a nnoi anno lasciati i pericoli e le povertadi. Ed ora è detto della invidia contra i nostri adversarii;  sì dicerà il conto come noi li potemo mettere in dispetto.   Tullio.  In dispetto degli uditori saranno messi dicendo che siano  sanza arte, neghettosì, lenti, e clie studiano in cose disusate e sono  oziosi in iuxuria.   20. Sponitore.   I. Noi potemo mettere i nostri adversarii in dispetto  degli uditori, cioè farli tenei'e a vile et a neente, se noi  diremo che sono uomini nescii sanza arte e sanza senno,  da neuno uopo e da neuna cosa; o che sono neghettosì,   25. che tuttora si stanno e dormono e non sì muovono se non  come per sonno; o diremo che sono lenti e tardi a tutte  cose; o diremo che studiano in cose che non sono da neuno  uso né d'alcuna utilitade; o diremo che sono oziosi in Iuxuria dando forza et opera in troppo mangiare, in nebriare,   30. in meretrici, in giuoco et in taverne. 2. Et ora à detto il Af' om. e le signorie, poi continua: E le pecunie, ciò sono i danari e seni 7 ancelle 7 possessioni. ¥A parentado di genti, in cotal modo ecc.  6: M' come i nostri aversarii   11 : M^ in tradimento 7 distructione de terra 7 <le gente, m in tradimenti distructioni: M-in a Romani : m lasciato  14: M iì detta  L'i : M' o»i noi  in dispregio  (l. 17 idem) 17: M' om. degli uditori  18: M disulate  19: M octosi, m ottosi   22: M' om. degli uditori  23: 3f' siano, m sieno  M' sanza sonno? sanza arte di neuno  huopo - 24: m om. da neuno uopo e  25 : m si stanno, dormono - 26: M' per sonno/  7 diceremo, L per sogno  27-28 : m alclumo uso  M ' 7 dicoremo  29-30: M' de troppo  mangiare .T ebriare. in puttane  m 7 in bere  M in cliaverne M' a decto luditore come   )?t om. E conto come noi potemo acqnistare la benivolienza dell'uditore dalla persona de' nostri adversarii mettendoli inn odio  et in invidia et in dispetto, et à insegnato come si puote  ciò fare. Ornai tornerà alla materia per dire come s' acqui5. sta benivolenzia dalla persona dell' uditore, e questo è il  terzo luogo.   La benivolenza dell'uditore.   lOO. Dalla persona dell'uditori s'acquista benivolenza dicendo  che tutte cose sono usati di fare fortemente e saviamente e man10. suetamente, e dicendo quanto sia di coloro onesta credenza e quanto  sia attesa la sentenza e l'autoritade loro.   Lo sponitore Noi potemo acquistare la benivolenza delli uditori  dicendo le buone pertenenze delle loro persone e lodando   15. le loro opere per fortezza e per franchezza e per prodezza,  per senno e per mansuetudine, cioè per misurata umilitade,  é dicendo come la gente crede di loro tutto bene et onestade, e come la gente aspetta la loro sentenza sopra questo fatto, credendo fermamente che fie si giusta e di tanta   20. autoritade che in perpetuo si debbia così oservare nei simili convenenti. Di forte fatto Tulio lodò Cesare dicendo:  « Tu ài domate le genti barbare e vinte molte terre e sottoposti ricchi paesi per tua fortezza». 3. Di senno il lodò  e' medesimo parlando di Marco Marcello: Tu nell'ira, la quale è molto nemica di consellio, ti ritenesti a consellio. Di mansueto fatto il lodò Tulio dicendo: Tu nella  vittoria, la quale naturalmente adduce superbia, ritenesti  mansuetudine ». 5. D' onesta credenza il lodò Tallio in M' in odio deluditore, M innodio 7 invidia, m in odio, in invidia  M-m om. si   8: Jf' m delludilore {ma il testo auditorum) ~ 9: M' sono usi  M-m 7 suavomento  {m nm. 7) : i mss., ambedue le volte, quando  M' di loro  li: M-m intesa  13: M-m  om. delli uditori  M^ deluditore M' dicendo che buone  M-m om. e per franchezza  M' 7 per senno  17: m M' om. e  19: Jtf' credendo che la loro sententia  sia si giusta  m che sia  SO: M-m ne in simili, M'-L ne simili  23-84: m e lodo,  M' il lodano 7 medesimo parlano  m marche metcllo M-m om. molto  Af tu  ritenesti a consellio, m tu ritenesti consiglio  26: M ilio Tullio tu ecc., m di mansueto  fatto /7 nella vittoria  M adato, m adato, L odduce  28: m om. credenza il lodò  Tullio In tutti 1 codici l'interpunzione di questo passo è variamente errata, né  metterebbe conto darne notizia.    questo modo: Cesare volle alcuna fiata male a Tullio, ma  tutta volta lo ritenne in sua corte; e non pertanto Tullio CICERONE era sì turbato in sé medesimo che non potea intendere a  rettorica si come solea, insin a tanto che GIULIO CESARE non li  5. rendeo sua grazia. Et in ciò disse Tullio. Tu ài renduto  a me et alla mia primiera vita l’usanza che tolta m' era,  ma in tutto ciò m'avevi lasciata alcuna insegna per bene  sperare »; e questo dicea perchè l'avea ritenuto in corte,  sicché tuttora avea buona credenza. 6. D' attendere la sua buona sentenza lodò Tullio Cesare parlando di Marco Marcello: «La sentenza eh' é ora attesa da te sopra questo convenente non tocca pure ad una cosa, ma à ad convenire (D  a tutte le somiglianti, perciò che quello che voi giudicarete  di lui atterranno tutti li altri per loro ». 7. Or é detto come   15. s'acquista benivolenzia dalle persone delli uditori; sì dirà  Tullio coni' ella s'acquista dalle cose.   La benivolenza delle cose.  Da esse cose se noi per lode innalzeremo la nostra causa,  per dispetto abasseretno quella delii adversarii. Sponitore. Noi potemo avere la benivolenza dell'uditori da esse  cose, cioè da quelle sopra le quali sono le dicerie, dicendo  le pertenenze di quelle cose in loda della nostra parte et  in dispetto et in abassamento dell' altra; sì come disse  25. Pompeio confortando la sua gente alla guerra di Cesare :  « La nostra causa piena di diritto e di giustizia, perciò  eh' ella è migliore che quella de' nemici, ne dà ferma spe   4 : M' om. non  6: M-m la causa dm t.  i a me la mia primiera vila e liisanza   7: tutti, eccetto L, m'avea  M-m la sua insegna  8 : M' 7 in questo (?«re i et ((uesto)  M' buona speranna  M-m lodo Cesare di Tullio - IS: M-m ma ad {m a) convenire, M-L ma dee convenire Mt per lui  i5: 3f' dele persone  i8:M-mom.  so  L sar|uista bonivoglienza se noi ecc. (ma nel latino manca) M' m 7 per disp.   21 : M' deluditofo, m delli uditori  24 : m nm. in dispetto  M-m om. idi  25: M confermando la sua gente  26: m M'-L e piena  Lo pero chella  27 : m forma  speranza   (1) Aggiungo un' a, che nella scrittura del codice può considerarsi fusa (come  avviene nella pronunzia) con quella precedente di ma con quella seguente di ad.  Bel resto basterebbe anche « convenire, quasi come un futuro (« converrà »)  scomposto nei suoi elementi.  -ranza d'avere Dio in nostro adiuto(i)». 2, Et ornai à divisato  il conto le quattro luogora delle quali si coglie et acquista  la benivoglienza, molto apertamente et a compimento; sì  ritornerà a dire come noi potemo fare l'uditore intento. Di fare V uditore intento. Intenti li faremo dimostrando che in ciò che noi diremo  siano cose grandi o nuove o non credevoli, o che quelle cose toccano a tutti a coloro che 11' odono o ad alquanti uomini illustri,  ai dei immortali, a grandissimo stato del comune, o se noi prof10. terremo di contare brevemente la nostra causa, o se noi proporremo la giudicazione, o le giudicazioni se sono piusori. Avendo Tullio dato intero insegnamento d'acquistare la benivolenza di quelle persone davante cui noi   15. proponemo le nostre parole, sì che l' animo s' adirizzi  et invìi in piacere di noi e della nostra causa e che siano  contrarii e malevoglienti a'nostri adversarìi, sì vuole Tullio  medesimo in questa parte del suo testo insegnare come noi  I)otemo del nostro exordio, cioè nel prologo e nel cominciamento del nostro dire, fare intenti coloro che noi odono,  sì che vogliano achetare i loro animi e stare a udire la  nostra diceria; e di questo potemo noi fare in molti modi  de' quali sono specificati nel testo dinanti, et in altri simili  casi. 2. Et posso ben dire manifestamente che ciascuna per 25. sona sarà intenta e starà ad intendere se io nel mio comin1: m nm. Et  3 : 3f' nm. la  hi odi. molto  4: m alento  8-9: A/' o aliquanlì....  o ali iilii imm. o a  M |)iQrRremo, vi protreremo {lat. pollicebimur)  iO: M-m owi. brevemente  VI proiroromo la giuil.  i3 •M-m Quamlo Tullio a dato  14:  J/tlavento  7/1 (lavante a cimi  13-16: 3/' loro siiivii 7 dlrirvi  17: vi malagevoli  19: M'  nel nostro exorilio  vi nm. nel coniiiiciamento  21 : 3f' si che noi vogliamo  32-23:  3f ' Et questoi (jua'.i.... davanti  vi om. el  25: M-m sono noi mio com.   (1) Cfr. Lucano, Phars., VII, 349: " Causa iubet melior superos sperare secundos „. Solo la lezione di M corrisponde anche per la forma sintattica.   (2) Si rimano alquanto in dubbio sulla lezione da preferire, perchè tra un Avendo  e un Quando la differenza grafica ò lieve, data la somiglianza di una forma di A  con Q. Ma il gerundio Avendo, con una costruzione meno comune, più difficilmente  può esser dovuto a un copista; d'altra parte il quando in senso di " dopo che „  non è dell'uso di Brunetto, clie adopra continuamente la formula " Poi che Tullio  ha detto ha insegnato (S’intende clie l'inserzione di a davanti a dato  diveniva necessaria leggendo Quando).  -ciamento dico eli' io voglia trattare di cose grandi e d'alta  materia, sì come fece il buono autore recitando la storia  d'Alexandro, che disse nel suo cominciamento : « Io diviserò  e conterò così alto convenente come di colui che conquistò   ó. il mondo tutto e miselo in sua signoria ». 3. Altressì fie  inteso s' io dico eh' io voglia trattare di cose nuove e contare novelle e dire eh' è avenuto o puote advenire per le  novitadi che fatte sono, sì come disse Catellina : « Poi che  Ila forza del comune è divenuta alle mani della minuta   10. gente et in podere del populo grasso, noi nobili, noi potenti a cui si convengono li onori, siemo divenuti vile  populo sanza onore e sanza grazia e sanza autoritade. Altressì fie intento s' io dico eh' io voglia trattare di  cose non credevoli, sì come '1 santo che disse : « Il mio   15. dire sarà della benedetta donna la quale ingenerò e parturio figliuolo essendo tuttavolta intera vergine davanti  e poi »; la quale è cosa non credevole, i^erciò che pare essere centra natura. Et si come diceano i Greci: « Non era  cosa da credere che Paris avesse tanto folle ardimento che venisse 'n essa terra a rapire Elena. Altressì fie intento  s'io dico che '1 convenente sopra '1 quale dee essere il mio  parlamento a tutti tocca od a coloro che 11' odono, sì come  disse Gate parlando della congiurazione di Catellina: « Congiurato anno i nobilissimi cittadini incendere e distruggere  1 : M traclai-e cose, m cliio voglia di trattare chosa grande  2 : M actoro, m attor.j M' recontcro conquise7 mise  5-6: M' fia inlento sic dica.... 7 contrario novelle - 7: M' 7 puote 9: M storca  m e venuta.... gente minuta  10: m M'-L non  potenti  iy : J>f' noi a cui  13: M Altre si 14-15: M'-L sicome disse il santo  che disse - i II mio dotto  16: M' partorie il figluplo  M^ -j di. poi  M-m om.  la quale.... natura  19: M-m oni. folle  m om. che venisse SO: M nessa terra, m in  essa terra, M'-L nela nostra terra M arape 22: M' tocclia a tutti coloro anno nob. citt. dincendore [Nonostante l'accordo di tutti gli altri codici, mi attengo a M, la cui lezione  è confermata dal testo di Sallustio: " omnes, strenui, boni, nobiles atque ignobiles „ ecc. Brunetto non traduce esattamente, ma vuol mettere in rilievo la  dignità delle persone, e perciò ripete il noi; forse questa parola in qualcuno dei  primi apografi fu scritta no (no') e quindi scambiata colla negazione: non potenti.  Favoriva l'errore anche il tono insolito della frase " noi nobili, noi potenti,.,  mentre le parole " in podere del populo grasso „ inducevano a considerare " non  potenti „ i nobili. Intendo in essa terra (come scrive m), cioè " nella patria stessa „, in ipsa  terra. Leggendo con 21f » nella nostra terra si avrebbe lo stesso senso in forma più  chiara; ma non saprei allora spiegare la variante di M-m. È possibile che, omesso  il nostra, un nella sia stato letto nessa, che a prima vista non dà senso ? Invece  nulla di più facile del caso inverso, e.ssendo l's di forma allungata cosi simile a l. isola patria nostra, e '1 lor capitano ne sta sopra capo. Adunque dovete compensare clie voi dovete sentenziare de' crudelissimi cittadini che sono presi dentro nella cittade » Altressì fie intento s' io dico clie Ila mia diceria tocca  5. ad alquanti uomini illustri, cioè uomini di grande pregio   e d'alta nominanza in traile genti sì come disse Pompeio  parlando della battaglia civile: « Sappiate che l'arme de' nemici sono appostate per abbattere l'alto e glorioso sanato ». Altressì fie inteso s'io dico che Ile mie parole toccano a'dei,  10. si come fue detto di Catellina poi ch'elli ebbe conceputo   di fare cotanta iniquità: «Ma elli gridava ch'appena i dei di  sopra potrebbero ornai trarre il populo delle sue mani. Altressì fie intento s' io dico nel principio di dire la mia  causa brevemente et in poche parole, sì come disse il poeta   15. per contare la storia di Troia: «Io dirò la somma, come  Elena fue rapita per solo inganno e come Troia per solo  inganno fue presa et abattuta. Altressì fie intento s'io  nel mio exordio propongo la giudicazione una o più, cioè  quella sopra che io voglio fondare il mio dire e fermerò   20. la mia provanza, sì come fece Orestes dicendo: « Io proverò che giustamente uccisi la mia madre, imperciò che  dio Apollo il mi à comandato, perciò che uccise il mio  padre». IO. Et di tutti modi per fare l'uditore intento  potemo noi coUiere exempli in queste parole che disse Tullio a Cesare parlando per Marco Marcello: « Tanta 1 : M-m 7 lor  M' ne sopra capo  2-3 : m dovete pensare, Mi pensale  M-m esmarn  {m esimare) de nobilissimi citi.  M' ohe sono dentro ala cittade (anche m dentro alla) M fue, m (la 5-6: M' cioè de gr. M-m 7 da tale nominanca 7 : M-m che  latine M-m sano, M' senato M' fia intonto O-ll: M-m poi chelll anno  conceputo di faie tanti iniipii mali gridava (m om. gridava) M apena ornai 3f' nel cominciamento  14: Jf' o in jioclie parole M' om. Io dirò.... e  come Troia, M om. Troia [spazio bianco) m diclio 7 propongo nel mio exordio Mi sopra che infomliiro il mio dire e fondata  m sopralla quale M-m che io  ajmllo il mio comandato, 3f' chol dio Appello lo ma com. (/.. lo mavea), 7 perciò cliella m atento M' exemiilo M-m om. a  M' parlando a lui   Questo periodo è d'incerta lezione, male varianti registrate in nota sono  palesi accomodamenti, specialmente il pensate di Jtf ' per evitare la ripetizione  di dovete; co.si esmare esimare può esser nato da una sigla di sentenziare (0 si  tratterà di fmare, fermare?). Glie sia poi da leggere crudelissimi cittadini ò confermato, oltre che dal senso, dalla parola hostibiis che vi corrisponde i\el tosto  di Sallustio ; nobilissimi ò derivato dalla frase del periodo precedente. La lezione di M., che è tutta accettabile, dà ragione degli errori di Mm:  il primo elli parve plurale, e quindi si fece elli anno; il ma unito con Mi divenne  mali e portò con sé altri cambiamenti. Ma non giurerei che tutto sia genuino"  mansuetudine e cosi inaudita e non usata pietade e cosi  incredebile e quasi divina sapienzia in nessuno modo mi  posso io(l) tacere nò sofferire ch'io non dica». Et poi che  Tullio à pienamente insegnato come per le nostre parole  5. noi potemo fare intento l'uditore, si dirà come noi il poterne fare docile.   Come l'uditore sia docile.  Docili faremo li uditori se noi proporremo apertamente   e brevemente la somma della causa, cioè in che sia la contraversia. E certo quando tu il vuoti fare docile conviene che tu insieme lo   facci attento, in però che quelli è di grande guisa docile il quale  è intentissimamente apparecchiato d'udire. Quelle persone davanti cui io debbo parlare posso io fare docili, cioè intenditori, da tal fatto: se io nel mio exordio, alla 'ncviminciata della mia aringhiera, tocco un poco  d^l fatto sopra '1 quale io dicerò, cioè brevemente et apertamente dicendo la somma della causa, cioè quel punto nel  quale è la forza della contenzione e della controversia. Cosi  fece Saiustio docile Tulio dicendo: « Con ciò sia cosa ch'io  in te non truovi modo né misura, brevemente risponderò, che  se tu ài presa alcuna volontade in mal dire, che tu la perda  in mal udire ». 2. Questo et altri molti exempli potrei io  mettere per fare l'uditore docile, si come buono intenditore puote vedere e sapere in ciò eh' è detto davanti. E  perciò che '1 conto à trattato inn adietro di due maniere  exordii, cioè di principio e d'insinuazione, et àe divisato  M consuetudine, m sollicituiline, L inmansuetudine L nm. lo e cosi. M mandila. M-m mi possono, M-L io posso  m om. Et. M' luditore intento, M nm.  l'uditore. 8: M' Docile l'aremo luditore  M-m proi)onemo  iO: Af' Et credo quando  tu vuoli. m nm. è attentissimamente. m davanti a chui  docile  cioè intenditori de tutto il facto  M-m sarò nel mio ex. M' incomincianza. M arrincliiera, M' aringheria  m cominciamo 7 toccho Af' om. dicendo nel  quale e la contentione. M' om. cosa (ma non L). m o misura. M' ti lispondo M' om. Io. m om. e sapere. M' doxordio  [È chiaro che posso io fu dall'archetipo di M-m trasformato in possono  perchè tutti i sostantivi che precedono parvero soggetti e non complementi oggetti ; e vi dovè contribuire una falsa lettura (cfr. un caso simile in 128, 23, seno  per se io). La lezione di M'-L è solo un facile accomodamento.  ciò che ssi conviene fare e dire nel principio per fare  l'uditore benivolo, docile et intento, sì dirà lo 'nsegnamento  della INSINUAZIONE in questo modo. Oramai pare che sia a dire come si conviene   trattare le insinuazioni. INSINUAZIONE è da usare quando la qualitade  della causa è mirabile, cioè, sì come detto avemo inn adietro, quando  l'animo dell'uditore è contrario a noi. E questo adiviene massimamente per tre cagioni: o che nella causa è alcuna ladiezza, o coloro  10. e' anno detto davanti pare ch'abbiano alcuna cosa fatta credere all'uditore, se in quel tempo si dà luogo alle parole, perciò che  quelli cui conviene udire sono già udendo fatigati; acciò che di  questa una cosa, non meno che per le due primiere, sovente s'offende l'animo dell'uditore. In adietro è detto sofficientemente come noi potemo  acquistare la benivolenza dell" uditore e farlo docile et intento in quella maniera de exordio la quale è appellata  principio. Oramai è convenevole d' insegnare queste mede 20. sime cose nell'autra maniera de exordio la quale è appellata  « insinuatio ». 2. Et ben è detto qua indietro che « insinuatio »  è uno modo di dicere parole coverte e infinte in luogo di  prologo. Et perciò dice Tullio che questo tal prologo indaurato dovemo noi usare quando la nostra causa è laida e disonesta inn alcuna guisa, la qual causa è appellata mirabile, sì come pare in adietro là dove fue detto che sono  cinque qualità U) di cause, cioè onesta, mirabile, vile, dubiosa et oscura. 3. E buonamente nelle quattro ne potemo  noi passare per principio; ma in questa una, cioè mirabile, 1 : M cioè  M' om. fare e  S : M-m om. s\  6: 3f ' della ìnsinualiono  7: m ohi.  s'i M-m 7 di questo diviene  iS: L Kt di questa  Iti: M-m a detto  20: W  nella maniera  2i : m Bono dotto  S3: M-m cai prologo (m prolago danrato), 3/' cotale  prolagoS6: M-m nm. in adiotro M modi ([ualità (hi qui è corroso, vin lo spazio  fa supporre lo slesso), M'-L qualitadi dolio cause  M' cioè nollamirabile   Conservo la parola qualità attestata da ambedue le tradizioni, tanto più  Clio anche prima Brunetto usa lo stesso vocabolo. In M abbiamo modi qualità. Probabilmente si tratta di una sostituziono o variante, che venne  poi introdotta nel testo (a mono clie non si voglia supporre un modi o qualità). ne conviene usare INSINUAZIONE [IMPLICATURA – “He hasn’t been to prison yet” – “He has beautiful handwriting”] per sotrarre l’animo dell’uditore e tornare in piacere di lui ed in grazia quel che  pare essere in suo odio. Adunque ne conviene vedere in quanti e quali casi la nostra causa puote essere mirabile, e poi vedere come noi potemo contraparare a ciascuno. E  sono tre casi. Primo caso si è quando sie nella causa  alcuna ladiezza per cagione di mala persona o di mala cosa. Che al vero dire molto si turba l'animo dell'uditore contra  il reo uomo e per una malvagia cosa. Il secondo caso è quando il parlieri ch'à detto davanti à sie et in tal guisa proposta la sua causa, eh' è INTRATA NELL’ANIMO dell'uditore  e pare già che Ha creda sì come cosa vera; per la quale  cosa r uditore, poi che comincia a credere alle parole che  ir una parte propone et extima che Ila sua causa sia vera, apena si puote riducere a credere la causa dell'altra parte,  anzi sine strana et allunga. Il terzo caso è d'altra maniera che sovente aviene che quelle persone davanti cui noi dovemo proporre la nostra causa e dire i nostri convenenti anno lungamente udito e stati A INTENDERE ALTRI e' anno detto assai e molto, prima di noi, DONDE L’ANIMO dell' uditore è fatigato sì che non vuole né agrada lui  d'intendere le nostre parole; e questa è una cagione che  offende l'animo dell'uditore non meno che 11' altre due  Et perciò conviene a buon parliere mettere rimedi di parole incontra ciascuno caso contrario, secondo lo 'nsegnamento di Tulio. Della laidezza della causa. Se la laidezza della causa mette l'offensione, conviene mettere per colui da cui nasce l'offensione un altro uomo che sia amato, o per la cosa nella quale s'offende un'altra cosa che sia provata, o per la cosa uomo o per l'uomo cosa, sicché L'ANIMO dell'uditore si ritragga da quello che 'nnodia in quello ch'elli ama. Et infingerti di non difendere quello che pensano che tu voglie  difendere, e così, poi che l’uditore sie più allenito, entrare in difendere a poco a poco e dicere che quelle cose, le quali indegnano L’AVERSARII, a noi medesimi paiono non degne. Et poi che tu avrai  allenito colui che ode, dei dimostrare che quelle cose non pertiene  atte neente, e negare che tu non dirai alcuna cosa dell' aversarii, ne questo ne quello, sì eh' apertamente tu non danneggi coloro che sono amati, ma oscuramente facciendolo allunghi quanto puoi da  lloro la volontade dell'uditore; e proferere la sentenzia d'altri in  somiglianti cose, o altoritade che sia degna d'essere seguita; et  apresso dimostrare che presentemente si tratta simile cosa, o maggiore minore. In questa parte dice Tullio CICERONE che, SE l’uditore è turbato contra noi per cagione della causa nostra che sia o che paia laida per cagione di mala persona o di mala cosa, ALLORA DOVEMO NOI USARE INSINUAZIONE NELLE NOSTRE PAROLE in tal maniera che in luogo della persona contra cui pare CORUCCIATO L’ANIMO dell'uditore noi dovemo recare un'altra  persona amata e piacevole all'uditore, sì che per cagione  e per coverta della persona amata e buona noi appaghiamo L’ANIMO dell'uditore e ritraiallo del coruccio ch'avea contra la persona che lui semblava rea. Si come fece AIACE nella  causa della tendone che fue intra lui et ULISSE per l'arme  eh' erano state d'Achille. Et tutto fosse AIACE un valente uomo dell'arme, non era molto amato dalla gente né tenuto di buona maniera. Ma ULISSE, per lo grande senno che in lui regna, e molto amato. Onde AIACE, volendosi  contraparare, nel suo dicere ricorda com' elli era NATO DI TELAMONE, il quale altra fiata prese Troia al tempo del forte ERCOLE. E così mette la persona avanti amata e graziosa  in luogo di sé ed in suo aiuto, per piacerne alla gente e per avere buona causa. E quando la causa è laida per cagione di mala cosa, si dovemo noi recare NEL NOSTRO PARLAMENTO un’altra cosa buona e piacevole. Si come fa CATILLINA scusandosi della congiurazione che fa in ROMA, che mise una giusta cosa per coprire quella rea, dicendo. Elli è stata mia usanza di prendere ad atare li miseri  nelle loro cause. Brunetto Latini. Latini. Keywords: rettorica, le fonte della retorica di Latini: Cicerone e Publio Vegezio, insinuazione, parlari, parlatore, controversia, auditore, animo dell’auditore, modo, essempio di Roma antica, Giulio Cesare – rettorica oratoria togata – sacrilegio o furto --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Latini” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Laurino: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei longobardi – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Laurino). Filosofo italiano. Laurino, Salerno, Campania. Duca di Aquara e di Laurino, appartenente alla nobile famiglia napoletana degli Spinelli. Allievo di VICO, si forma al Clementino a Roma e poi all'Accademia di Loreto. Ritornato a Napoli, divenne amico di vari illuministi napoletani, quali FILANGIERI (si veda) e Galiani. Autore di vari saggi di stampo illuministico. Le “Riflessioni filosfiche” rappresenta un tentativo di metodo geometrico. Si oppone alle teorie di Broggia. Fa attivamente parte della massoneria napoletana, all'epoca diretta dal principe di Sansevero, Raimondo di Sangro. Cavalerie del Real Ordine di San Gennaro. A Napoli, fa ristrutturare il palazzo di famiglia, il palazzo Spinelli di Laurino, trasformandolo in una suggestiva realizzazione. Muore a Napoli e venne sepolto nella cappella di famiglia nella chiesa di Santa Caterina a Formiello. Altri saggi: “Degl’affetti degl’uomini”, Napoli, Muzio; “Della moneta” (Napoli); “Cronologia dei re di Napoli,” Napoli, Bisogni; “Del nobile”, Porsile; “Lettera nella quale si dimostra non esser nota di falsità, che nel diploma di fondazione della chiesa di Bagnara si ritrovi l'anno 1085 segnato coll'indizione sesta correndo l'ottava del computo volgare; Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   -- ria che forma la materia del presente saggio: E metodo col quale questa siè composto. I tutte le città e popoli dell'Italia ciascuno ha la sua particular forma di governo prima che sussestato vinto da’ ROMANI. Ed anche dopo ciò, molte delle città medesime, quantunque al popolo di ROMA veramente ubbedissero. Pure così fatti nomi, e tale forma aveano di domestica polizia, che libere in certo modo facevanle apparire. Ma essendo stata dalla legge giulia a ciascuna di quelle LA ROMANA CITTADINANZA conceduta che non da tutte senza con Trans 1 AN 1x IN line ill SAGGIO TAVOLA CRONOLOGICA compongono DI NAPOLI. Dalla venuta de LONGOBARDI in Italia fino che quelle terre sono da NORMANNI della Puglia conquistate. PROΟEMIO trasto è accettata, e la quale da Marco Aurelio ANTONINO Antonino Caracalla è all'intiero orbe romano distesa, col vanto di esser parte del capo, a Roma, ed a coloro, che la ressero, sono tutte senza alcuna dubitazione, anche nell'aspetto, sottoposte. [tem Civitati ante ferret CICERONE pro Bal CICERONE PRO BALBAM, Edit.Ve. bon. Edit.Venet. L. inorbeff. de Stat. hom. L., Roma. Sigon. de Antiquo Jur. Ital. Ad bomnib. Rutil. Numan. itinerar. In quo magna contention Heracliensium, Aloja Ins: DE’ PRINCIPI E PIÙ RAGUARDEVO LI UFFICIALI, che anno signoreggiato, e retto le PROVINCIE, ch’ora: Ι Mich. Fiaschino Inven. e C.I. REGNO DI, Strabon. Geograph. Edit. Parifienf. Parsin Civitatibus fæderisfui liberta e Neapolitanorum fuit, cum magna I LL ]. Transferita però la sede del  ROMANO IMPERATORE in Costantinopoli, varie BARBARE NAZIONI con più fortuna di quello, che aveano fattosotto LA ROMANA REPUBLICA, invadero l'Italia molte volte, e distrusfero. Radagasio Re de’ GOTI con MM armati, cagiona danni gravissimi all'Italia. Ma in Toscana da Stilicone resta con tutto il suo esercito vinto e sconfitto. Alarico ed Ataulfo re di que' medesimi BARBARI che ove Alarico dimora circa II anni, ed ove muore, avidamente sacchegiarono. Attila re degl’UNNI in così fatta maniera quella parte dell'Italia av'egliera entrato, devasta, che IL FLAGELLO DI DIO è nominato. Genserico re de’ vandali chiamato dall'Africa d’Eudossia moglie di Valentiniano III imperatore, per vendicarsi di Massimo, che avea costui ucciso, e lei ignara in prima dell'infame assassinamento, sposata, ed occupato d’Occidente l'Impero; viene in Italia, ne scorre molte provincie, DEVASTA LA NOSTRA CAMPANIA e molte città di essa avendo distrutte, in Cartagine carico di preda se ne ritorna. E finalmente Odoacre co’suoi Eruli, e Turcilingi, INVADE TUTTA L’ITALIA e Re de Goti, che nella PANNONIA, ove egli no dimora, aveano cominciato a tumultuare, gli concede l'Italia, acciocchè ne avesse Odoacre discacciato. Ovvero, come altri vogliono, lo stesso  TEODORICO senza la concessione dell'imperadore in vase quella provincia, ne discaccia Odoacre, che poscia uccise, e re se ne fa nominare -- Histor, Miscell. est cod. Ambrosiin. in Philostorg, hist. Ecclesiast. Ma Prosper. Aquitan. Chron.; Augut. De Civit. Dei, Marcellin. Chron. In Sirmond. Philostorg. hist. Eccl. In Vauclid. Chron. Idatius in Chron. Isidor. Chron. Goth. in rebo Got., Langobard. Jornand. de reb. Get. Agnel. Pontific. Raven. in S. Joan . Evagr. Schol. hist., Valef Ital. Murat, Cassiod. in Conf. Boet. Conf.] per essersi fermati poi nell'Occidente si dillero VESTRO-GOTI. A modo di locuste Roma II volte, ed una gran parte delle nostre Provincie -- Histor. Miscell. ex cod. Ambro. Olympiod. In Photii Biblioth. Jian, in Murat. Rer. Ital., Sigebert. Chrona Jornand. de reb.Goth. Histor. Miscell. ex cod. Ambros. Axon.Valesian. Sigebert, Procop. De bella Gotb. -- Re, e circa anni pacificamente la possiede. quista, se ne titola colle proprie forze da quella l'imperatore Zenone vedendo di non poterlo Teodorico. Perchè discacciare, evolendosi render benevolo bella parie del suo impero la con Regi non. -- Chron. Histor. Miscell. Paul, Disc, de Gest. Langob. ex cod. Ambrosian., i Reginou. Chron. Socrat. hist. Ecclesiasi., Jornand.de reb.Goth. de re- Anon. Cuspiniana Eusippiusin vita S. Severini. znor. success. Anon Valesian. rer. Ital. Munic. Marcellin. Chron. in Sirmond. L. de Tironib. C. Theodos. Z fimus Jornand. de reb. Goth. e Idat. Chron .in Du-chesn. de regnur, success., Prosper. Aquitan. Chron. Procop.de belio Goth. Marcellin. Coron. in Sirmonds. Casiodor. Chron. Edit. Spicil. Ravenn. histor.Ven., Isidor, Chron. Goth. Aimon. de Gest. Francor. Sozomen. histor. Ecclesiast. Sigebert. Chron.in an.Vales. la to Marii Aventic. Chron. in Duchesne, Evagr. Scholast. hist. Eccl. Histor. Miscell. ex cod. Ambros. in Valef. Histor. Miscell. ex cod. Ambros. In rer. Sigebert. Chron. Prosper. Aquit. Chron, in Du-Chefne Marii Aventicenf. Chron.in Du-Chesne, pa I Anon. Cuspin. --. Ma dopo di avere e codesto principe, ed alcuni suoi successori in tal regno per molti anni signoreggiato; circa l'anno della salutifera divina incarnazione l'imperadore GIUSTINIANO delibera di toglierlo a codėsti barbari, col pretesto, che Teodato re di essi non avea vendicata la morte daia ad Amalasunta già loro Reina; perchè vi manda Belisario, che in breve tempo occupa conquistato. n cosi fatia espedizione furono in ajuto de' Greci i Longobardi nazione che nella Pannonia dimorava: i quali dopo, che fu l'Italia pacificata, ivi, e d in casa degli Amici più difordini commettevano, che contro gl'inimici farenon avrebbono potuto, perchè Narsete caricandoli di doni, contenti nel loro paese oltre a ciòavea discacciato dall'Italia i francesi, che sotto il lur Duca Bucelino tutta, o quasi tutta, presa, e devasiata l'aveano; perchè egli era rimastoin nome dell'Iinperadore, Supremo Governadore di quella Provincia, che avea all' Impero restituita: quando perque'nembi, che da'più vili, e fecciəsiluoghi alzandosi nelle Corri, oscurano gli astri più luminosi, e più chiari, ad istanza de’ Romani fu datal Governo da Giustino che è succeduto a Giustiniano Imperatore, rimosso: e dall'ingiuria unendo il disprezzo perchè egli era Eu. le se vissuto, non avrebbe potuto distrigare. Ed alla minaccia segue l'effetto, dappoichè ritiratosi in Napoli, stimola co’ [Melli Comorimurtom Marcellini Chronic. Aimon, de Gest. Francor.  Joan. Diac. Chron. Jornand. de regnor. Success. Landul. Sagac. additam. Ad Miscell. Procop. DE BELL. GOTH. De bell. Goth. Aimon. de Gestis Franccr. Agath. de bell. Goth. Gregor. Mag. Dial. Excerpt. ex Agat. hist. Aiuion. De Gesti Francor. Anast. Biblioth. Invita Joan. III.  Paul. Disco de Gest. Langobard.] eunuco l'imperatrice Sofia gli scrive che fosse andato in Costantinopoli a dispensar la lana alle fanciulle; alla qual cosa si dice, che Narfete sdegnato risposto avesse, che tal tela egli lo avrebbe ordita, ch’ella mentre avesse vis i  longobardi a conquistare l'Italia copiosa di tutte le naturali ricchezze, la sterile Pannonia abbandonando. Il quale in vito allegri que’ BARBARI sotto il loro re Albuino vennero abbracciando in Italia. Nello spazio di VII anni la maggior parte colla [ut citm puellis in Gynaceo. Gregor. Turon. histor. lanarum faceret pensa dividere. Anast. Biblioth. in Benedict. I. Landul. Sagac. additam. ad Miscellap. Aimon. de Gest. Francor.] delle armi ne conquistarono. Forza è fama Ed indi sì inanzi estesero leloro, che Autariuno de loro Re fino conquiste, che in Regio fusse pervenuto, e che avendo e dindi parte dell'Italia, éd iessa il rimanente dall'Eunuco Narsete, che a Belisario succede, dopo xvini, anni di asprissima guerra è interamente [Aimon. de Gest. Francorum] la Sicilia rimandolli. Avea Narsete vinto i Goti, ed eziandio gl’unni [Histor. Miscell. Aimon . de Gest. Francor. Isidor. Hispal. Marius Aventic. Aimon. de Gestis Franc. Procop. de bell. Gotb. Paul. Diac. Paul. Diac. Gregor. Turon. hist. Histor. Miscell. Paul. Diac. Joan. Diac. Chron. excerpt. Cron. per Fredeg. Scholaft. Landul. Sagac. additam. ad Miscell. pa hist. Miscell. Aimon.de Gest. Franc. Paul. Diac. Sigebertus, alii. Joan. Diaz. Chron.] ivi ivi tra le onde del mare una colonna ritrovato l'avesse collasta per cossa, ed avesse detto, fin qui saranno de’ Longobardi i confini. Delle terre occupate da Longobardi in Italia se ne forma un Regno il quale poscia ha alcuni re francesi, e dopo essi altri di diverse nazioni. È l'Italia in tempo de’ Re Longobardi in II Principati solamente divisa, in quello dei longobardi, ed in quello de Greci. Ma passato il Regno a Carlo Magno, surse in quella bella parte del mondo il principato di Benevento, da cui non molti anni dopo nacque quello di Salerno, e finalmente quello di Capua. Nel tempo de’ quali Principati per le guerre, che arsero fra di loro furono in trodotti nelle nostre parti i saraceni, i quali non però, comeche molte terre avessero conquistate, a varii capitani ubbedirono, almeno pressodi noi non mai e uno stato formarono. Ed i medesimi Principati di Benevento e di Salerno e di Capua durarono finchè sono da Normanni che nella Puglia sonsi stabiliti, interamente conquistati. Imperochè alcuni pellegrini di codesta nazione ritornando dopo da terra Santa ov'erano andati per la fede a guerreggiare, ajutarono il Principe di Salerno da’ saraceni assediato; e rimandati da costui a casa con grandissimi doni, allettarono a venire nelle nostre Parti i Paesani loro, i quali discesivi, ed ora al soldo del uno de’ nostri Principi, ora a quello dell'altro rimanendo, alla fine s’istabilirono nel luogo che diceasi in Octaba, e la Città d'Aversa ivi edificarono. Uno di loro, chiamato Rainolfo per capo, conte, o sia console stabilendovi. Impresero i Greci in quel tempo di liberare la Sicilia da saraceni che la tenea no per quasi II secoli sottoposta, ed è capo dell'esercito greco Maniaco, il quale chiama a’ suoi soldi una parte de Normanni, che sono in Aversa fermati, e costorovi andarono. Mi dopo qualche tempo disgustati della sua avarizia, abbandonandolo se ne ritornarono a casa. La qual cosa avendo conosciuto un certo Auduino a’ Gieci ribelle, propose a Rainulfo di mandare una parte della sua gente in Puglia a torla al Greco Imperatore, che vi signoreggiava ed a cosi fattari chiesta Rainulfo acconsentendo, un buon numero de’ suoi capitani e i mandovvi, i quali avendo di repente occupata Melfi città di quella provincia, ed indi altre terre; fissarono in Melfi la sede loro e diedero principi o ad un altro Principato, che continuoffi sotto i figliuoli di Tancredi, Conte d’Altavilla, Gentil-uomo anche egli Normanno -- i quali in varii tempi nelle no il suo Principato. Ma I Normanni, ch'eransi stabiliti in Melfiforto i Figliuoli di Tancredi, di ben altre conquiste saziarono la loro ambizione. Conquistarono tutte le terre, che i Greci aveano in quele nostre Parti. Tolsero a’Saraceni la Sicilia ed a’ longobardi il Principato di Benevento e di Salerno, e fino a'lo ro medesimi nazionali il Principato di Capua, siccome finalmente da una gran parte del ducato di Spoleti i Re d'Italia discacciarono e di tutti così fatti principati un regno essendosi formato in sul principio Regno di Sicilia del Ducato di Puglia in didi Sicilia, e l'altro di Napoli è nominato. Di tutte le cose qui sopra sommariamente esposte, la parte più intrigata ed oscura è quella che vien compresa dalla SECONDA VENUTA de’ Longobardi in ltalia, finchèle nostre Provincie da’ Normanni, stabiliti nella Puglia, inun solcor po forono ridotte .xii )1 e stre parti poi vennero . In tanto I Successori di Rainulfo aveano tolto a’Longobardi la Città di Capua, ed Puglia, e di Calabria, e del Principato di Capua fi diske, ed in di in II Regni diviso, uno fu detto di Trinacria alcuna volta ed pl, è detto, ed il quale per anni è de LONGOBARDI, o fia d'Italia discese Carlo Signoreggiato. Ma verso da re di quella nazione il re Desiderio ultimo re Longo in quella Provincia, ed avendo preso Magno, senza mutarne la natura il Regno bardo, trasfere nella sua persona sopradetto che Regno I va. [Paul. Diac.  Paul Diacon. Supplem. Longobar. varj Principati, i quali in così fatto spazio di tempo, siccome si è veduto, te la natural forma diesse fide e a gran fatica, e molto dubbio sa mente indovinare. De’ Principati che sursero nelle Provincie le quali ora compongono il Regno di Napoli, in tempi così dubbiosi ed oscuri, io ho deliberato di scrivere in una Tavola Cronologica i Principi, ed i più ragguardevoli Officiali, gl’anni de loro Regni ed ufficii, e delle loro morti, i loro matrimonii; e sommariamente i fatti, che quelli o sovrani od in alcuna maniera dipendenti o tributarii posso dimostrare ei diritti delle loro signorie anno stabilito. Ed oltre a 7 ciò dellistesi Principati una, per quanto io ho potuto esatta e particolare Geografia. E nella Tavola Cronologica io hor accolto tutto ciò che da' varii filosofi, o Sincroni, o quasi Sincroni, o molto antichi nella proposta materia si legge scritto, e narrato, come che discordie gli no siano tra loro ramente appariscano. Senza volerli corregere, ove avesli potuto, o concordare; di esaminare ne’ loro cetti il vero, o a me medesimo in altro tempo, o a d’altrui, che mi voglia in ciò precedere, riserbando. Contentandomi per orà di fornire solamente secondi semi di un’esatta e diffusa storia delle nostra li cose me Geografia non va ancora sotto il Torchio, in un foglio quella parte di essa ch'è necessaria alla presente opera, esponere, e dimostrare ho voluto e dalla Tavola dame scritta il titolo di SAGGIO ho apposto, conoscendo che in essa moltissime altre cose essere potrebbono a diritta ragione, o d’altri, o da me stesso pervenisse a' principi l'Impero in ciaseuno de' detti Principati; e quale fuffe la natura degl’ufficii, a cui in essi il reggimento di Terre cra affidato, presso il Popolo, o presso una parte di esso, o presso un solo uomo. Dice Cicerone. “Respublica res est populi.” Cum bene, ac juste geritur, sive ab uno rege. La seconda perchè suole essere degl’optimati: ARISTOCRAZIA. E l'ultima si chiama “MONARCHIA,” osia REGNO, il qual nome non perde quantunque eomi, due, o tre. Principi regnino in essa collegati, com'è avvenuta sovente tra Romani Imperadori e quasi sempre tra Principi Longobardi, de quali noi descriviamo la Serie; imperocchè una tal forma di stato essendo molto più distante dall'aristocrazia che dalla monarchia dalla più vicina piuttosto che dalla più lontana, dee prender esenza alcun fallo il suo nome. Ed oltre aciò quello ch'è stra-ordinario non dee caggionar nell’arti divisione regolare. Nè codesti pochi principi costituiscono un collegio legittimo, in cui ciascuno la sentenza della maggior parte dee seguitare. Ma ognuno riguardo alla sua amministrazione libero senza alcun fallo rimane. Scrive Ubero. Monarchiam esse Io note, e più oscure. Ed acciocchè il tutto con chiarezza si abbia ad intendere, dappoichè la promessa. Quali siano le varie forme di governo, ed i varj modi di acquistare i regni -- fursero in quella felice parte del mondo, ora si aggrandirono, ora si diminuiropo, ora dalle potenze maggiori furono interamente absorti, e quasi distrutti. Tal volta in essi si viddero eliggersi i principi, tal volta si viddero in essi succedere a’ padri i figliuoli nella signoria. Quei, che vi regnavano, furono soventi sia te uccisi, ed i privati il loro luogo occupando, trasmisero a’ loro Posteri l'iniquamente acquistato Impero. I BARBARI chiamati per difesa di alcuni sistabilirono per ruina di tutti -- e desolazione. In fine la faccia dell'Italia divenne in que tempi assai diversa da quello ch'è prima, e che è poi, e la sua Geografia non mai stabile osservossi, e costante. Nè di tutti così varii, e moltiplici accidenti vi fu chi la storia distintamente scrivesse. Ma da pochi e quali a frammenti quelli, e BARBARAMENTE sono esposti, o piuttosto accennati. E le opere de’ filosofi di quei tempi  da sin egli genti Copistifurono traseritte, che spesse fia, > ) 9 > no . in un'altra Edizione, che sene facesse, aggiunte. Ma prima di ogni altra cosa io ho reputato di far manifesto per quali ragioni di codeste forme di regimenti con voci greche. La prima si dice “DEMO-CRAZIA”, feve a paucis optimatibes, sive ab universo populo CICERONE, DE REPUBBLICA. Edit. Venoye. Se unius imperium solo satis vocabuli argumento constat. Qicod tamen ita præci Je captari nolim, rat quasi escumque plures in uno regno romini esostitere, toties Reipublicæ formam mutaris tatuamus. Neque enim recte existimaturus videtur qui in Romano imperia si quando plures OTTAVIANO fuere, PRINCIPATVM defiisse contenderet. Cum enim longius ila societas imperantium ab ARISTO-CRATIA, quam a monarchia distet, confentaneum est, ut ab ea specie, cui proxima est, appellatio petatur. Ita Lacedemoniis II Reges fuerunt – DIA-ARCHIA --, id que Regnum vocabatur nec non verum fuisset Regnum,fi potestas vere summa fuisset. Præter quod extra ordinarius, atque ut ita loquar, accidentalis ile plurium concursus plerumque habetur. Unde formas peculiares DYARCHIAS  out TRI-ARCHIAS in Artem introducere nec congrueret, neque expediret; tamet si fatendum monarchiæ vocabulum tunc elleminus commodum. Accedit, quod isti Condomini, ut hivelbis similes a Germanis Jurisconfultis appellantur, non constituant collegium, adeoque nec mus plurium sententiam sequi compellatur. Nam ut hocjuris fit, opus est. parto, Condomini autem Imperium Civitatis habent eodem jure, quo plures eandem remi fine tractatus Societatis pro indiviso tenent. Quo casu notum est; quemque liberum Juc partis arbitrium, nec reliqucrum consensui obnoxium, retinere la 28. ff. c o m m .divid. Altri poi vi aggiungono IV altre forti d’imperi, cioè i III sopra-detti, quando sono corrotii, ovvero ingiusti, ed il IV da’ due oda III già esposti insieme uniti. Ma CICERONE stesso con diritta ragione afferma che ne’corrotti imperi la repubblica non più esiste. Onde di ella non possono essere così fatti imperi. Cum vero in iustus est Rex, quem tyrannum voca:aut injufti optimates, quorum consensus factio est. Aut in justus ipse Populus cui nomen usitatum mullum reperio nisi ut etiam ipsum “tyrannum” appellem. Non jam vitiosa, rola, dappoiche essa nulla alla mia intenzione può giovare. Or, nella monarchia, o sia nel regno, abbia avuto egli il suo principio dalla FORZA, o dal volere de cittadini, o dall'utile, o dalla paura stimolari, abbiano questi la facoltà di stabilire solamente i regnanti, o di conferirle anche l'impero. Aliter, dice Ubero, ediam etro instituunt, qui imperium immediate a deo esse volunt. Hi negant, imperium ullo modo a voluntate populi perdere, nec a civibus quicquam juris ad imperantes manare nec adeo causam monarchie, aut ullius in civitate potestatis esse populum, quos inter Ziegle rus ad Grotium Ethidictum P. Apostoliano bisali quoties adduetum, quod imperium sit humanæ creationis, interpretantur, quod sit hominibus proprium, vel ratione cause instrumentalis, quia per homines exercetur utuntur argumentis e sacris, de potestate solvendi ligandi sacramenta administrandi, quce ministro ecclefice competit. Quem ad modum igirur populus eligen dopaftorem non confert potestate millam nec conferre potest, quia non habet eam ipse, nihil que agit, quamut personam eleectam potestatia deo immediati proficiscenti applicet. Sic etiam populu, quando eligit regem, non confert pote [Huber. de Jur. Civit. Gudling. De Jur. Nat. ac Gent.] omnino nulla respublica est, quoniam non est res populi sed cum tyrannus eam factiove capesat. Nec ipse populus iam opulus est, si sit in justus, quoniam nonest multitude juris consensu et utilitatis communione sociata. E Bodino egregiamente dimostra che il composto di alcuno o di tutte le suddette III forme d'impero non può una città, o sia republica che tale sia secondo il fine che si è proposto, cio è la pace ed il giusto, costituire. Onde Gudlingio ebbea dire. Talem rei publice speciem qui appellant “mixtam”, ferendi quadantenus sunt. Si mixtum idem fonet atque irregulare, della qual cosa io non faccio più pa. [Edit. Ven. C. edit. Francf. an. Hobbes de CICERONE fragm. DE REPUBLICA. Bodino de Republ.] fta Cive. Bodino de Republ. Hobbes de Civ. Huber. Edit. Francf.] statem imperandi, sed personam electam producit eamque abhibet exercitio potestatis illia deo immediate conferendse ego qualis, quanta in ordinee juse fe debeat. Necquo minus populus imperium retineat, si id expedire judicet, deus intercesit. Multo minus quo parte mali quam imperii reservaret, umquam prohibuit; quodde ministerio ecclesiæ institutoque matrimonii nullo moda affirmare licet. Nel regno dico, a sia nella monarchia i principi anno II sorti di diritti. L’una, che ne costituisce l'impero in mezzo a' Popoli loro. L’altra, che determina il modo di averlo -- o sia per la quale il principe regna, o l’impero pofliede che modo di acquistarlo si può anche direttamente chiamare. Altera cautio est, dice Grozio, aliud efede requærere aliud ese modo habendi, quod non in corporalibus tantum sed et in in corporalibus procedit (2) Ed. Ubero:Poft Species Monarchie fequuntur modi,quibus. Regna acquiruntur. Hi funt velordi narii, vel extra-ordinarii. Priores duo sunt electio, do successio Extra-ordinarii per inde duo, matrimonium O jus belli. De jure belli o matrimonio dié tum quod satis sit, in superioribus. De forte nihil quidem, sed nec rarisime i nu fu est, aut pro electione fungitur; ut olim apud Per fasin Dario H. Staspide. E Gudlingio. Id queri dignum, an per duret vita O anima civitatis una, etiam fi vel electio obtineat, vel successio. Et putem id contingentibus ad numerandum que unitatem nec efficient pror sus, nec tollunt. Scilicet electio et successio per Jonas tangit, non autem modum regnandi definit, nec illum impedit imperanti dominica in subjectos, tamquam in servos proprios potestas competit. Appellatur etiam Dominatus. La qual forma di Regno se giudico, che mai si possa ritrovare fra gl’uonini, salvo la teo-crazia, bene del suo popolo, e non già di lui, dee ordinare le cose. Scrive Bodino. Rex est, qui summa potestate constitutus naturæ legibus non minus obsequentem se præbet, quam sibi subditos, quorum libertatem, ac rerum domini ac eque ac fucetuctur, fore confilit. Subditorum libertatem, ac rerum dominationem. adjecimus -- ut Jus Soc., Gent. Huber. De Jur. Civit. Gudling. de Jur. Nat. ac. Gent. Guiling, pergo Nat. Ac Gent. c. vel collate. Nec sequitur, cedunt e populi elientis voluntate. Primeva succedere videntur. Riguardando la prima di codeile II sorti di diritti ne procedono III forme di reggimento, osiano: di monarchie una in cui il regnante de’ Corpi, Beni de’ Cittadini dispoticamente dispone, e che perciò Erile o, o lia “barbarica” vien nominata, scrivendo Ubero. Dominatus finitur, quod sit imperium, quo princeps sibi subjectis ut pater familias servis imperat, omnium quetam quod ad o civilium naturam maxime ab effectibus vesti mandammo, rerum moralium, cuius limites excedere non licet imperii formam, et tenorem Si Deuscertam, electionem persone fatemur ejus juris vim in fringerenon populis, præscripserit potest auferre jus ligandi e Solvendi suispa pole, quam cætus fidelium invito adimere potest. Sed hoc de magis uxor viro principatum domus storibus aut non legimus esse determinatum. Hatenus quidem de imperio civitatis a deo, cui omnis anima debeat bere aliquem ese ordinem imperandi, atque parendi ef ita ex cestise subiecto non tamen res quam corpora dominus existens, actiones publicas ad suam præcipue utilitatem dirigit. Ed Arrigo Koehlero: Imperium dominicum seu despoticum dicitur osia governo di dio. E l’altra delle suddette forme di monarchia è quella, nella quale il Principe pel [Grot. De Jur. bell. Ac pac. Huber. de Jur. Civit.] tum promover. Imo successi opere nec mul ab antecedente electione pendet. Unde qui luc o de' in quo nec sequitur, ita pergit Zieglerus, homines ab initio Sponte adanéti in s ocietatem civilem coierunt ex hoc ortum habet potestas civilis. Ergo talis potestas origine est humana. Sic enim per indeliceret argumentari. Adam et Evas ponte adducticcierunt in matrimonium. Ergo matrimonium institutione NON est divinum. Huber. De Jur. Civit. Heinr. Toebl. Jus Soc., ut Regis, ac Domini distinctionem certam adhiberemus. Ed essa dicesi civile – leggendosi  in Ubero. Nobis igitur plures monarchie species non sunt considerande, quam hee duce, Regnum, et Dominatus, five Imperium, ut ARISTOTELE DAL LIZIO loquitier, außacidendo, aut Baplaponèv. Regnum verum et plenum est, ubi princeps habet summam, liberam potestatem faciendi in civitate quod ere  a petita., qui ed appresso. Ex his tertia resultat differentia, a fine diverso ristabiliti, est utilitas regnantis. Quae nec ipsa tamen absque commodo subjectorum potest custodiri. Ex his relique differentie, inter dominum, &. Reczorem, servos ac cives, de quibus Claudius ad Meherdatem apud Tacitum [TACITO (si veda) Annal. quæque similia per se intelliguntur. Ed anche comune; Scrive Kochlero: Imperium civile est jus præscribendi ea, quæ ad commune civitatis bonum promovendum faciunt. Eiusmodi imperium civile dicitur commune ad amplificationem boni civitatis communis tendat. E la terza delle II sopra-dette forme composta che mista vien detta. Scrivendo Grozio. Quisibi singulos subjicere potest servitute personali, nihil mirum est f li i d o universos sive ili Civitas fuerunt, sive Civitatis pars, subjicere sibi potest subjectione sive mere civili, sive mere herili, suve MIXTA. Riguardando poi la seconda forte degl’esposti diritti sorgono III altre forme di nellaquale il principe regna per elezione del suo popolo forma dicesi ELETTIVA. La II, in cui il principe riceve l’impero per legge generale dello stesso suo popolo o per CONSUETUDINE da questo ricevuta, per trasmetterlo poi a colui, che dalla medesima legge, viene stabilito; sia egli il primogenito del preterito regnante, o calui, che glinacque nel regno. Sia egli il FIGLIUOLO LEGITTIMO del PRINCIPE; ossia, il NATURALE, maschio, della stessa sua famiglia o dell'altrui; favorisca finalmente quella legge ipiù vecchi della Prosapia, o la linea del primo nato, la qual forma di regno da tutti sichia ma SUCCESSIVA, ed a molti una specie della prima, cio è una diversa sorte d’ELEZIONE essere si crede. Dappoichè scrive Ubero: Plane, origine cujufqueci vitatis inspecta, nullum non regnum ex voluntate populiortum, fuit electivum. Sed diversitas est in Regno Civili ordinaliter utilitas subjectorum. Quamquam illa fine commodo imperantium obtineri non potest. In Dominatu originalis Scopus Impe una parte di esso ma pel tempo della sua vita solamente. Venga co tale ELEZIONE, fatta o espressamente, o per via di sorte, o di deputati. E codesta electionis et successionis deincep sorta est, cum quædam ex imperiis ita funt delata principibus, ut identidem fedes vacua per electionem repleretur. Quædam it aut successio secundum ordinem certum propinqui sanguinis ab uno in alium devolveretur, ex prescripto Legis. Hanc quidem vocant electionis speciem. Quo modo Althusius in Polit. qui negant, ullum dari imperiumjure familie hereditarium, sed totum a populo dependens, quod G' in Anglia multi opinantur. Si dicerent, successione mele nihil, quamele &tionis primevæ continuationem, nihil errarent. Atfijus Imperiinum quam a populis alienari velint, resreditad STATUM [STATO] disputationis supra aliquotie speractze. Qua per electionem, ipsum jus Imperii independenter alienari posse probavimus, ad vitam, vel etiam pro heredi bus. Quie tunc est successio, non amplius a primis eligentibus dependens, sed familie propria, per actum alienationis.  Gudlingio: Id quæri dignum, an perduret vita in anima civitatis una, etiam sive lelečžic obtineat, vel successio. Bodin. De Republ.  Grot. De jur. bell. ac. pac. Regni. La prima, 3 Huber. De jur. Civit., Koehler, de Jur. Soc. Gent.Spe-o sia di princ: de jur. Nat. ac Gent. Huber. de jur. Civit.  Gudlingio, communi videbitur, Salva tamen civium libertate, proprietate rerum cim.V. de Imp. Civ. cum Et  xvii et putem id contingentibus ad numerandunt, quæ unitatem nec efficiunt prorsus, nectollunt. Scilicet eleftin, o luccelio personas tangit non autem modum regnandi definit, nec illum impedit, nec multum promovet ; imo fuccessio pene ab suo. Antecessore, ed ha l’arbitrio di lasciarlo a chi più gli piaccia, come della sua eredità privata fare ei potrebbe. E così fatti Regni diconfi EREDITARII. In tutte codeste cinque forme di regni sono comprese, siccome sarebbe agevole il dimostrare, tutte le differenze, che de' supremi Imperi delle monarchie si sogliono fare. Ele quali Ubero per modo di quistioni propone: Junt qui ex alisquo querebus differentiam fu m m e potestatis colligunt. Primo enim sotto posti. Ma quando vennero in Italia vi fondarono il regno, che è detto de Longobardi, osia dell'ITALIA e dil quale, e sotto i re loro, e sotto i re francesi, edi altre nazioni finchè dura  è sempre ELETTIVO. Che EREDITARIO è il Principato di Benevento. Che fimile a lui è il Principato di Salerno. Che non diverso da essi in tal cosa il Principato di Capua esser si vidde. Ma da poichè il più delle volte difficil cosa è il determinare daloro principii espo fie forme de sopradetti principati. Quindi è, che ne conviene  sovente immitare i più saggi investigatori del vero nelle produzioni della natura : iquali non potendo vedere le occulte caggioni di essa, da’ continui, e costanti effetti loro, quando esterna violenza non li disturbi, sicuramente le deducono. Scrive Newton tra quelli filosofi senza alcunfallo il più famoso. Ideo que EFFECTUUM NATURALIUM EIUSDEM GENERIS E ÆDEM SUNT CAUSÆ. Uti respirationis in homine doo in bestia. Descensus Lapidum in Europa in qualitates corporum, que intendi o remitti o nequeunt, queque corporibus omnibres competunt, in quibus experimenta instituere Ticet nun, a sibi semper consona. Extensio corporum non nisi per sensus innotescit, nec in omnibus sentitur. Sed quia sensibilibus omnibus competit, de universis affirmatur. Corpora plura dura este experimur; Oritur autem durities totius a duritie par tium, et in de non horum tantum corporum quæ fentiuntur, sed aliorum etiam omnium particulas indivisas es se duras merito concludimus. Corpora omnia impe netrabilia es se non ratione; sed sensu colligimus. Que tractamus impenetrabilia; Lucis in igne culinari do in sole; reflexionis lucis in ter America ra in Planetis inveniuntur, in deo oncliedimus IMPENETRABILITATEM efe proprietatem corporum universorum. Corpora omniam obilia efle et viribus quibusdam, quas viresiner tiæ vocamus, perseverare inmotu, velquiete, ex hifce corporum visorum proprietatibus colligimus. Extenso, Durities, IMPENETRABILITAS, Mobilitas,& Vis [Gudling., de jur.Nat., ac Gent.; Huber. De jur. Civit. antecedente electione pendet; unde qui succedunt, e populi eligentis voluntatepri meva succedere videntur. E finalmente la terza nella quale il principe possiede il regno per volere del git [Or dichiarari nella maniera sopradetta l'esposte cose io dico che i lombardi sono inprima nella Pannonia ad un Regno EREDITARIO vel plu, pro qualitatibus corporum universorum habende sunt TES CORPORUM NONNISI. Nam QUALIT A PER EXPERIMENT AINNOTESCUNT OQUE GENERALES STATUENDÆ, IDE MENTIS GENERALITER SUNT QUOTQUOT CUMEXPERI. possunt QUADRANT. De quemimi non possunt auferri. Certe contra experimentorum tenorem fomnia non funt, nec a Nature analogia recedendum temere confingendo est, cum ea simplex esse soleato, qua forma Reipublice Civitas gubernetur, Monarchia tant plurium dispoticum, an Civile regnum Patrimorium imperio. Et in Monarchia, sit ne Populo volente an invitofit conftitutum . Eligantur, niale, anquasi fructuarium, an perpetua sit potestas. Non an successionegaudeant imperantes.Temporalis Imperii variarivi parvitate vel magnitudine civitatum jus jummi nullis quoque Species hominum judicia sæpe perstrin fum. Denique, nominum titulorumque interesse pu iner inertie totius, oritur ab extensione, duritie, impenetrabilitate viribus inertice partium: inde concludimus omnes omnium corporumpartes minimas extendi, et durasele, o impenetrabiles et mobiles viribus inertice præditas. E nella festa maniera scrive Ubero, che s'abbiada giudicare nelle cose morali, e civili. Sed ego ita existi morerum moralinm, civilium NATURAM maxime ab effectibus cefti mandam. Perchè quando non ne è conceduto di avere documento dell'istituzione delle repubbliche, osia de'Principati, di cui ragioniamo. Da quello, che si è veduto sempre accadere in essi, quando estraneecaggioni l'ordine naturale non abbiano sconvolto, l'istituzioni suddette possiamo dirittamente argomentare. Egli è vero non però, che non di leggieri gl' Imperi Ereditari da Successori con regola cosi fatta si possono distinguere, imperocchè io alcuna forte di regni successivi all' ultimo Regnante succedono i figliuoli, od i più stretti Congionti ; E lo stesso avvienene Regni Ereditarjquandocoluisenza Testamento, o senza nomina real. cuno Estraneo Erede lascia di vivere la vita. Più folto bujo quellume fidee prendere, che si può, comechè picciolo, ed incerto egli e. Il Regno de’ Longobardi fu prima Successivo, a Ereditario, ed che, usciti dalla Scandinavia, provincia detta VAGINA GENTIUM, abitarono di qua dal Danubio ed I quali WINILI erano chiamati furono poscia detti LOMBARDI, o dalle finte o dalle vere LUNGHE loro BARBE, ovvero, secondo scrive Guntero, che altri affermino da’ popoli della Sassonia detti Bardi. Furono costoro inprimada Duchi eposcia da Refignoreggiati; ed il regno loro finchè rimasero nel loro paese, e sempre ereditario, ovvero successivo. Newton, Philus. Natur.princ.Ma Gregor. Turon. Excerp. Chron. ex Reg Fredeg. Schol. hist. Miscell. Paul. Diac. de Gefie Langob.. Gunt.  mobilitate, 9 appreso elettivo non potendosi che LA NATURALE INCHINAZIONE DEL SANGUE a figliuoli ed a Cogionti, gli Estran gli abbia permesso diante porre. Scrivendo GROZIO: Succeflio ab intefiato, de qua agimus, nihil aliud est, quam tacitum testamentum ex voluntatis conjectura. Quintilianus pater in declamatione: Proximum locum a testamentis habent propinqui: et ita, si intestatus qui sacfine liberis decefferit. Non quoniam utique jufium fit, ad hos per venire bona de functorum. Sed quoniam reliéta et velutin medio posita nulli propius videntur contingere. Quod de bonis noviter quæsitis diximusex NATURALITER proximis deferri, idem locum habebit in bonis paternis avitisque, finecipsiaquibusvenerunt, nec eorum liberi extent ita ut gratie Philuf. edit. Ami. Paulo Diac. De Gest. Langob., istelod. Huber., de jur. Civ., Reginon. Chron. inprinc. de RegnoWi., Grot. De jur. bell. Ac pac. nilorum. Constant. Porphyrog. De Themat. Gregor.Turon.Excerp.Chron.exc Otto Frifingens. De Geft. Friderici Impe credere De Popoli Q. Agle  relatiólocum noninveniat. Ondeda Equali essettinonsi possono argomentare diverse cagioni. Ma nel. Grice: “This conceptual analysis of the noble is complicated – noble is the male who merits recognition from his community.” Nono duca di Laurino. Troiano Spinelli, duca di Aquara e di Laurino. Troiano Spinelli di Laurino. Spinelli di Laurino. Laurino. Keywords: implicatura, analisi geometrico della’economia razionale, Broggio, lombardia, lombarda, lunga barba.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Laurino” – The Swimming-Pool Library. Laurino.

 

Luigi Speranza -- Grice e Lavagnini: il deutero-esperanto – la scuola di Siena – filosofia toscana -- filosofia italiana –Luigi Speranza (Siena). Filosofo italiano. Siena, Toscana. L. progetta una lingua inter-nazionale su base latina che chiama “neo-latino” e ci prova con l'uni-lingue (o inter-lingue) pubblicato nel Corso pro Corrispondenza d'inte-rlingue od uni-lingue, Roma, e con il Monario, dato alle stampe nel Corso de Monario prima e in “Interlexico  Monario: Italiano français English deutsch kum introduxion rammatal appendo, fonetal regios, Casa Editrice Elettica (Casella Postale 331), Roma.. Persona informo Naskiĝo en provinco Sieno Morto en Meksiko Lingvojitala ŜtatanecoItalio Reĝlando Italio Redakti la valoron en Wikidata Okupo Okupoverkisto Redakti la valoron en Wikidata v • d • r Okultisto, naskiĝis en Italio, mortis en Meksikurbo, Magistro de framasonismo, ano de ACADEMIA PRO INTERLINGUA, fondinto de la Asociación Biosófica Universal kreinto de la planlingvoj "Monario" kaj "Mondi Lingua", esperantidoj kaj "Unilingue", modifita latina. La projektoj de L., laŭ oni pensas, estis tre influita de ideoj de aŭtoro pri la "perfekteco" de sanskrito kaj kelta lingvo, ĉefe laŭ verba aspekto. Pro tio, la verbaj formoj estas tre malsimplaj, kiel en Volapuko. Li estis framasonisto ano de la Martinismo en Italio. En lia tekstoj framasonaj oni vidas influojn de Teozofio, astrologio kaj jogo, ankaŭ rimarkindaj en la teorioj de la Asociación Biosófica, kion li fondis en Ameriko. Verkoj Colección de manuales masónicos Grammatica dell' Unilingue od Interlingue, Rom. Corso di Monario, Rom. Interlexiko Monario: italiano, francais, english, deutsche, Rom. Kurso astrologis, Short lessons on Mondi Linguo, Mexiko. Hacia una lengua internacional, Mexiko. Origin astronomic del Alfabeto (s.j.). Bibliotekoj PeEnEo: Kategorioj: Mortintoj en MeksikoNaskiĝintoj Mortintoj VirojNaskiĝintoj Mortintoj InterlingvaoLingvokreinto. j. Interlingue Con questo nome si conoscono una serie di progetti di lingua internazionale (- AUSILIARIA INTER-NAZIONALE, LINGUA) fra cui: l'I. di Triola (- TRIOLA), più conosciuto con il nome di «Italico» (ITALICO): l'I. di L. (- L.) sinonimo del progetto denominato Uni-lingue elaborato nel corso pro Corrispondenza d'inter-lingue od unilingue, pubblicato a Roma (Drezen), di cui ecco un esempio:  L’uni-lingue deve esser ante omnicos un lingue vivent, germinat ex principies fundamental, nascent naturalmen del leyes general, vegetant quam un plante, segun li lineas, in queles es cultivac, absorpente circum se e assimilance li materies de su vive.  (Duticenko)  Infine esiste l'I. di Wahl (WAHL) che, per motivi politici. ribattezza il suo precedente progetto chiamato «Occidental» (OCCIDENTAL) con il nome di I. (Monneror-Dumaine; Silfer). Aldo Lavagnini. Lavagnini Keywords: monario, il deuteuro-esperanto di Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lavagnini.” Lavagnini.

 

Luigi Speranza -- Grice e Lazzarelli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- ermetico-esoterica – filosofia marchese – la scuola di San Severino Marche -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San Severino Marche). Filosofo italiano. San Severino Marche, Marche. Grice: “I would call Lazzarelli a Pythagorean; most Italian philosophers are, as most English philosophers are Lockean!” -- Grice: “I would call Lazzarelli what Italians call ‘un filosofo ermetico.’ He certainly flouts all my desiderata for conversational clarity!” Il documento più importante per ricostruire la vita di L. è “Vita L.” scritta da Filippo L. e indirizzato all'umanista Colocci. L. e educato e vive a Campli, in Abruzzo, dove frequenta la biblioteca del Convento di San Bernardino da Siena, che egli cita nella sua opera i Fasti Christianae Religionis. Riceve da Sforza un premio per un poema sulla battaglia di San Flaviano. Ha contatti con i più importanti filosofi dell'epoca ed e seguace dell'ermetismo. Raccolse il Pimander di FICINO, l'Asclepio e tre trattati sull'ermetismo realizzando una versione che amplia il corpus testi ermetici. Autore di saggi a carattere ermetico come il “Crater Hermetis,” in sintonia con il sincretismo religioso dei suoi tempi e in anticipo sulla filosofia di PICO (si veda), con la fusione del cabalistico e il cristiano, ma anche di poemetti a carattere allegorico come l'”Inno a Prometeo” o didascalico-allegorici come il “Bombyx”. Altri saggi: “De apparatu Patavini hastiludii, Padova; “De gentilium deorum imaginibus”, dedicato a Borso d'Este e a Federico da Montefeltro; “Fasti christianae religionis” dedicato a Sisto IV,  Ferdinando I d'Aragona e Carlo VIII, Bertolini, Napoli; Epistola Enoch, Brini, in Testi umanistici sull'ermetico”, Roma; “Diffinitiones Asclepii”;  De bombyce, Lancellotti, Aesii; “Crater Hermetis edito in Pimander Mercurii Trismegisti liber de sapientia et potestate Dei; “Asclepius eiusdem Mercurii liber de voluntate divina”; “ Item Crater Hermetis a Lazarelo Septempedano” (Parigi); Vademecum ( Brini, in Testi umanistici sull'ermetico”, Roma); “Un carme per la morte della duchessa d'Atri, Biblioteca del Seminario di Padova; “Carmen bucolicum” (Biblioteca universitaria di Breslavia, Milich Collection); carmi di occasione -- tra cui i versi che gli valsero l'incoronazione) (Biblioteca nazionale di Napoli); epigrammi sullo Pseudo Dionigi l'Areopagita. Il testo dell'opera può essere letto in M. Meloni,"Lodovico Lazzarelli umanista settempedano e il “De Gentilium deorum imaginibus”, in Studia picena, pubblicato in appendice a C. Vasoli, Temi e fonti della tradizione ermetica in S. Champier, in Umanesimo e esoterismo, l’esoterico E. Castelli, Padova, pG. Roellenbleck, Opusculum de Bombyce, anche in edizione moderna integrale in C. Moreschini, Dall'"Asclepius" al "Crater Hermetis" -- studi sull'ermetismo latino tardo-antico e rinascimentale, Pisa, Dizionario Biografico degli Italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Filosofia ermetica, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere, L..  rivista Campli Nostra Notizie. L. Nacque di nobile famiglia di Campli. La tradizionale data di nascita è stata recentemente corretta da Tenerelli sulla base di un'annotazione manoscritta che si legge nella biografia del L. composta dal fratello Filippo (meglio trascritta da Meloni) e della notizia d'archivio riferita da Aleandri, secondo cui il padre risulta già morto. L. stesso ama definirsi "Septempedanus", dal nome dell'antica colonia romana che sorgeva nei pressi dell'odierna San Severino Marche.  Alla morte del padre, L. si trasfere a Campli, presso Teramo, dove riceve la prima educazione e - stando alla citata biografia, non immune da toni agiografici, scritta subito dopo la morte - egli dimostra precocemente inclinazioni filosofiche, tanto da comporre un carme sulla battaglia di San Flaviano che gli merita le lodi di Sforza, signore di Pesaro, oltre che l'appellativo di "antiquorum poetarum simia".  L'episodio è il primo di una serie di testimonianze che permettono di ricostruire alcune tappe, peraltro dalla cronologia, della vita fitta di spostamenti condotta dal L. E dapprima ad Atri, con l'ufficio di istitutore del figlio del signore della città, Capuano, dove compose un carme esametrico per la morte della duchessa Balzo, indirizzato con un'epistola accompagnatoria al fratello Filippo, allora studente di diritto a Padova, che, nella sua biografia, la define "sententiis quidem refertam quam optimis ultra eius aetatem". E a Teramo presso Campano, "ut eiusdem Campani fratrem amoenioribus artibus inficeret simulque ut ipse viri familiaritate doctior fieret" (Lancellotti), dove si applica allo studio della filosofia. Il fratello riferisce di essere stato testimone a Teramo di una sua disputa con un tal Vitale ebreo, che nega la Trinità, e che sarebbe stato vinto anche grazie all'allegazione da parte del L. di autorità talmudiche. Di qui passa a Venezia, dove perfeziona lo studio del latino alla scuola di Merula. Il componimento esametrico De apparatu Patavini hastiludii, scritto in occasione dei giochi e nel quale i componenti dell'Accademia padovana dei giuristi sono comparati a personaggi mitici, rivela una buona dimestichezza con l'ambiente accademico patavino. Forse su suggerimento di Merula compose un Carmen bucolicum, costituito da X egloghe dedicate ai principali misteri della vita di Cristo: l'avvento preannunciato dai profeti, la natività della Vergine, l'incarnazione del Verbo, la nascita, la passione e la morte, la discesa agli inferi, la resurrezione, l'ascesa al cielo, la discesa dello Spirito Santo, l'assunzione di Maria Vergine. Al soggiorno in Veneto è inoltre legato il più importante riconoscimento pubblico dell'attività poetica del L., l'incoronazione per mano dell'imperatore Federico III, nella chiesa di S. Marco a Pordenone.  Secondo il racconto del fratello, L. si reca presso l'imperatore, di passaggio nel suo viaggio verso Roma, e, colta un'occasione propizia, gli avrebbe declamato un suo carme esametrico, accolto con plauso dall'imperatore che spontaneamente gli avrebbe conferito l'alloro poetico. L. stesso celebra poco più tardi l'evento nell'egloga Laurea.  Una serie di stampe, del tipo dei tarocchi del Mantegna, acquistata in una bottega di Venezia, fornì al L. lo stimolo per la composizione dei due libri De gentilium deorum imaginibus, poemetto di carattere mitologico-astrologico. I più rilevanti testimoni dell'opera sono due manoscritti della Biblioteca apostolica Vaticana (Urb. lat.), entrambi di elegante fattura e corredati da una serie di sontuose miniature (che ricordano, appunto, la tipologia mantegnesca dei tarocchi). I due codici sono dedicati a Federico di Montefeltro, ma la dedica del ms. 716 è vergata in modo evidente su una dedica precedente abrasa, che Campana è riuscito a leggere parzialmente, quanto basta però per riconoscervi il nome di Borso d'Este. È così possibile datare il manufatto, e quindi l'ultimazione dell'opera, al lasso di tempo dall’assunzione del titolo ducale di Ferrara da parte di Borso alla sua morte. Anche all'interno del testo il nome di Borso è sistematicamente sostituito con quello di Federico e i passi relativi sono adattati al nuovo dedicatario. Il ms. è portatore di una seconda redazione, fin dall'inizio dedicata a Federico già insignito del titolo ducale di Urbino, quindi posteriore. Meloni ipotizza che si possa riconoscere in quest'ultimo il codice originariamente pervenuto a Urbino e che il ms. vi sia giunto più tardi, non solo riconfezionato come si è detto, ma anche corredato di un ulteriore carme finale di congratulazioni per la guarigione di Federico da una grave malattia, attribuibile alle conseguenze dell'incidente occorso al duca.  L'originaria dedica a Borso d'Este è perfettamente congruente con la cultura astrologica praticata a Ferrara, ma non estranea neppure alla corte urbinate. L'opera amplifica la consuetudine di "appropriare", nel gioco praticato a corte, dei versi alle carte, secondo il modello dei tarocchi boiardeschi. Ma iL. intende riscattare dall'uso ludico le antiche immagini delle carte, diffuse anche presso il volgo, che "triumphos / appellat tactu commaculatque rudi / priscorum formas et simulachra deorum", per restituirle alla loro funzione astrologica e sapienziale di rivelare il vero "obliquis figuris", poiché "invenere suis corrispondentia rebus / signa olim vates et simulachra deum, / quae nunc pro nihilo reputant, gens indiga sensus, / sacrilegi et ludis asseruere suis.. Nel primo libro sono presentate e descritte, in successione, le sfere celesti, dalla Prima causa alla Luna, con l'aggiunta di un carme conclusivo dedicato alla Musica come prodotto delle sfere celesti. Dei pianeti, identificati con gli dei antichi, sono descritte le immagini, indicate le rispettive domus (i segni zodiacali), sinteticamente narrati i principali miti che hanno come protagonista il dio eponimo, fornite essenziali notizie astronomiche e illustrati gli influssi astrologici. Il secondo libro presenta le immagini della Poesia, di Apollo e delle nove Muse, di Pallade, Giunone, Nettuno, Plutone e, infine, della Vittoria (alla quale è dedicato un carme in versi eroici, mentre tutti gli altri sono in distici elegiaci). Nei due codici urbinati, come si è detto, la descrizione verbale trova riscontro e integrazione nel ricco apparato iconografico che, a sua volta, può aver ispirato elementi decorativi del palazzo ducale di Urbino.  La vicenda compositiva del poemetto probabilmente si compì durante il soggiorno di L. a Camerino, dove era stato chiamato da Giulio Cesare da Varano per attendere all'educazione del nipote Fabrizio. L. intraprese quindi la stesura di un nuovo ambizioso poema, i Fasti Christianae religionis, che portò a compimento in una prima redazione a Roma, dove si recò al seguito di Lorenzo Zane, patriarca di Antiochia, presso il quale approfondì gli studi astronomici e astrologici.  La composizione del poema è dai biografi (e, in primis, dal fratello) addotta a documento dell'ortodossia religiosa del L., contro i sospetti di esercitare arti magiche: "Quidam, livore atque invidia perfusi, et palam et in occulto Lodovicum criminari coeperunt, dicentes ipsum negromanticis magicisque artibus, sive praecantationibus, operari" (Vita Lodovici). L. avrebbe, in effetti, compiuti alcuni esorcismi, vaticini e guarigioni, ma sempre attraverso il segno della Croce e la mediazione dell'assistenza divina.  Bertolini ha ricostruito la complessa vicenda compositiva dei Fasti sulla base delle testimonianze manoscritte superstiti (tra cui il ms. Vat. lat., autografo, nel quale si depositano varie fasi redazionali) e delle indicazioni cronologiche interne, che permettono di riconoscere tre redazioni: una prima, dedicata al pontefice Sisto IV, compiuta entro il 1480; una seconda dedicata al re di Napoli Ferdinando d'Aragona e a suo figlio Alfonso duca di Calabria, compiuta immediatamente dopo, entro il 1482; una terza più tarda, dedicata al re di Francia Carlo VIII, probabilmente abbandonata dopo il fallimento dell'impresa italiana del sovrano. Si tratta di un vasto poema in sedici libri, costruito secondo il modello del Fastiovidiani. Sono descritte e celebrate le ricorrenze liturgiche cristiane secondo la loro successione nel calendario; vengono inoltre introdotte osservazioni di carattere astronomico e saltuarie indicazioni relative alle attività agricole. I primi tre libri celebrano le feste mobili del calendario liturgico, i dodici successivi sono dedicati ai singoli mesi, cominciando da marzo, l'ultimo tratta del Giudizio finale.   Il poema ricevette onorata accoglienza da parte dell'ambiente romano, come dimostrano i due epigrammi del Platina e di Paolo Marsi riferiti dal fratello Filippo e pubblicati dal Lancellotti, nei quali il poeta è celebrato come una sorta di OVIDIO (si veda) reincarnato. Al Platina sono anche indirizzati un paio di epigrammi del L., il secondo dei quali in morte.  Secondo Foà, al 1481 daterebbe la conoscenza con Correggio, alla quale lo stesso L. attribuisce un ruolo fondamentale per la propria conversione alle dottrine ermetiche. L'episodio più noto relativo al rapporto fra i due e al quale il L. stesso fa emblematicamente riferimento risale però all'11 apr. 1484, domenica delle palme, sotto il pontificato di Sisto IV, quando assistette all'apparizione romana di Giovanni da Correggio che, a cavallo e coronato di spine, attraversò la città e, pur privo di qualsiasi istruzione grammaticale e retorica, predicò al popolo compiendo atti e riti simbolici e manifestando una sapienza teologica dovuta a una sorta di mistica ispirazione che gli valse anche incontri con il pontefice e vari prelati.  Gli studi di Kristeller hanno infatti dimostrato l'appartenenza al L. dell'Epistola Enoch de admiranda ac portendenti apparitione novi atque divini prophetae ad omne humanum genus, dove è diffusamente narrato il viaggio romano di Giovanni da Correggio seguito da una dichiarazione dell'autore di piena adesione e di conversione: "quod novae ac tantae rei sacramentale mysterium ego attonitis aspiciens oculis, mecumque ipse attente et ex totis animi viribus tunc revolvens, ne diuturnior obesset mora, relictis Parnasi collibus ceterisque omnibus, ad montem Syon primus eum sum protinus insequutus" (ed. Brini).  Con lo stesso pseudonimo di Enoch il L. firmò anche alcuni epigrammi dedicati agli scritti dello Pseudo Dionigi l'Areopagita e, soprattutto, le prefazioni ai testi contenuti nel ms. II.D.I.4 della Biblioteca comunale degli Ardenti di Viterbo, una raccolta completa del corpus ermetico nella traduzione di Marsilio Ficino, integrato dall'Asclepius attribuito ad Apuleio e dalle Definitiones Asclepii (ignote a Ficino perché mancanti nel suo codice), tradotte per la prima volta dallo stesso Lazzarelli. Nelle tre prefazioni, una delle quali in versi, il L. indirizza la sua opera di raccoglitore e traduttore a Giovanni da Correggio, nel tono solenne e sacrale dell'iniziato, affermando il sincretismo tra teologia cristiana e teologia ermetica, sostenendo, contro Ficino, la maggiore antichità di Ermete Trismegisto rispetto a Mosè e presentando la propria conversione dalla poesia agli studi sacri come una vera e propria rigenerazione: "quondam poeta nunc autem per novam regenerationem verae sapientiae filius" (Kristeller).  L. entra quindi in rapporto con  Colocci quando questi, avendo con sé il nipote Angelo, si trovava nel Regno di Napoli come governatore di Ascoli Satriano. Secondo Fanelli, i Colocci passarono nel Regno di Napoli: poco prima andrebbero dunque collocate la composizione e la stampa del poemetto del L. De bombyce, dedicato "ad Angelum Colotium honestae indolis puerum".  La datazione dell'opera è controversa e il più recente editore, Roellenbleck, ne propone una molto più alta, che peraltro non si concilia con la tematica ermetica del poemetto né con l'anno di nascita di Colocci, che pare dovesse avere un'età idonea a essere prescelto come lettore esemplare ("lege sollicito mea carmina visu"), vero e proprio filius da rigenerare (l'appellativo di puer può avere un'estensione molto ampia). Il Bombyx si presenta, infatti, come un poemetto didascalico dedicato all'allevamento del baco da seta, ma teso a svelarne, sulla traccia di analogie già suggerite da s. Basilio, la simbologia cristologica e a farne il simbolo di una rigenerazione alla quale tutti gli esseri umani sono chiamati, compiuta la quale potranno a loro volta generare una prole divina: "Surgite, terrigenae, bombycum exempla sequuti. Linquite corporeos sensus, mens candida regnet Sancta palingenesis vos complectatur et orti / rursus humo coelum penitus penetrate relicta Gignite divinam repetito semine prolem. Quo pacto id fieri possit, mox forte docebo,  hic gradus aethereo primus statuatur Olympo. L'ulteriore opera dedicata al tema della generazione divina, annunciata in chiusura del Bombyx, può forse essere riconosciuta nel De summa hominis dignitate dialogus qui inscribitur Crater Hermetis. Si tratta di un dialogo nel quale sono inseriti alcuni componimenti poetici, di vario metro, nei momenti di maggiore intensità d'ispirazione e di proclamata esaltazione mistica. Gli interlocutori sono lo stesso L., che ha ruolo di maestro, e il re di Napoli Ferdinando d'Aragona, dopo che, ormai vecchio, ha ceduto il governo dello stato al primogenito Alfonso II. Queste indicazioni permettono di collocare l'azione, e anche la composizione, tra il 1492 e la morte del re. Il recente editore, Moreschini, ha anche riconosciuto due redazioni dell'opera, la più antica testimoniata dal ms. della Biblioteca nazionale di Napoli, la seriore dalla stampa procurata  da Lefèvre d'Étaples a Parigi. La differenza più evidente tra le due redazioni consiste nella presenza, nella prima, di un terzo interlocutore, PONTANO, con il ruolo, secondario ma non indifferente, di affiancare il re, discepolo entusiasta e convinto, come poeta desideroso di approfondire anche verità filosofiche e teologiche. L'origine del titolo è in un passo del Corpus Hermeticum in cui si parla di un crater inviato d’Ermete sulla terra affinché in esso gli uomini possano battezzarsi e ricevere così l'intelletto che li rende capaci di partecipare alla gnosi. A conclusione dell'opera il L. si autorappresenta come colto da una sublime ispirazione che lo rende capace di rivelare il mistero della generazione di anime divine da parte del vero uomo, che ha raggiunto la pienezza della conoscenza e che si rende così simile a un dio. Moreschini osserva come nella seconda redazione il L. eviti di rendere troppo espliciti i rapporti tra ermetismo e cristianesimo (lo stesso titolo, nella prima redazione, recitava: … qui inscribitur via Christi et crater Hermetis), attenuando, per esempio, le argomentazioni che tendevano ad attribuire all'ermetismo priorità cronologica (e anche genetica) nei confronti di ebraismo e cristianesimo. Lo scritto manifesta inoltre ampie conoscenze cabalistiche e talmudiche, che tradizionalmente si ritenevano patrimonio, in quegli anni, del solo PICO (vedasi).  Ultima opera del L. sembrano essere i De mathesi et astrologia libri, segnalati da LANCELLOTTI, che invano ne cerca copia presso gl’eredi del filosofo. Brini ne propone, ma senza indizi veramente probanti, l'identificazione con un trattato di alchimia, conservato nel ms. 984 della Biblioteca Riccardiana di Firenze: una raccolta di preparazioni alchimistiche tratte daLullo e da altri, presentate da L. con un breve testo introduttivo che si apre con un epigramma di sei distici. Il L. stesso, definendo questo suo libro vademecum, ne indica il contenuto: "agemus in hoc libro Vade mecum de alchimia que est naturalis magia et vocatur astrologia terrestris. In questa scienza dichiara di essere stato istruito "a Joane Ricardi de Branchis de Belgica provincia […] qui in hoc fuit magister meus currente ab incarnatione verbi" (ed. Brini).  Nella sua biografia il fratello attribuisce al L. capacità divinatorie attraverso il sogno -- habebat somnia, quae potius visiones, sive oracula dici potuissent" (Vita Lodovici) - e in sogno il L. avrebbe anche antiveduta la propria morte, intervenuta a San Severino a pochi giorni di distanza da quella del fratello Girolamo. Delle opere del L. sono a stampa: De apparatu Patavini hastiludii, Patavii; De gentilium deorum imaginibus, a cura di O'Neal, Lewiston, NY; Fasti Christianae religionis, a cura di M. Bertolini, Napoli; Epistola Enoch, Venezia, cfr. Indice generale degli incunaboli [IGI]), ora a cura di Brini, in Testi umanistici sull'ermetismo, Roma; la traduzione delle Diffinitiones Asclepii in appendice a Vasoli, Temi e fonti della tradizione ermetica in uno scritto di Symphorien Champier, in Umanesimo e esoterismo, a cura di E. Castelli, Padova; le prefazioni del ms. II.D.I.4 della Biblioteca comunale degli Ardenti di Viterbo in appendice a P.O. Kristeller, Ficino e L.. Contributo alla diffusione delle idee ermetiche nel Rinascimento, Annali della R. Scuola superiore di Pisa, quindi in Id., Studies in Renaissance thought and letters, Roma; De bombyce [Roma, Eucharius Silber, s.d.] (IGI) quindi in Bombix. Accesserunt ipsius aliorumque poetarum carmina, a cura di Lancellotti, Aesii, e ora in G. Roellenbleck, Ludovico Lazzarelli Opusculum de Bombyce, in Literatur und Spiritualität. Hans Sckommodau zum siebzigsten Geburtstag, a cura di Rheinfelder, Christophorov, Müller-Bochat, München; Crater Hermetis nel corpus di testi ermetici raccolti da J. Lefèvre d'Étaples: Pimander Mercurii Trismegisti liber de sapientia et potestate Dei. Asclepius eiusdem Mercurii liber de voluntate divina. Item Crater Hermetis a Lazarelo Septempedano, Parisiis, in officina Henrici Stephani, quindi, in edizione moderna, parzialmente, a cura di Brini in Testi umanistici sull'ermetismo, e, integralmente, in C. Moreschini, Il Crater Hermetis di L., in Id., Dall'"Asclepius" al "Crater Hermetis". Studi sull'ermetismo latino tardo-antico e rinascimentale, Pisa, Vademecum, a cura di Brini, in Testi umanistici sull'ermetismo. Ampie sillogi di scritti del L., frutto di compilazioni sette-sono contenute nei mss. della Biblioteca comunale di San Severino Marche; il carme per la morte della duchessa d'Atri è conservato nel ms. della Biblioteca del Seminario di Padova (cfr. A. Tissoni Benvenuti, Uno sconosciuto testimone delle egloghe di Calpurnio e Nemesiano, in ITALIA medioevale e umanistica. Il codice unico del Carmenbucolicum si trova nella Biblioteca universitaria di Breslavia, Milich Collection; una silloge di carmi di occasione (tra cui i versi che gli valsero l'incoronazione) è nel ms. V. E. della Biblioteca nazionale di Napoli. Gli epigrammi sullo Pseudo Dionigi l'Areopagita si leggono nel ms. della Walters Art Gallery di Baltimora.  Fonti e Bibl.: San Severino Marche, Biblioteca comunale, Mss.; due copie di Lazzarelli, Vita L. Septempedani poetae laureati per Philippum fratrem ad Angelum Colotium, da cui deriva in gran parte la biografia premessa da Lancellotti al poemetto del L. Bombix…, cit., Aesii; Vecchietti - Moro, Biblioteca picena, V, Osimo, Lancetti, Memorie intorno ai poeti laureati d'ogni tempo e d'ogni nazione, Milano, Aleandri, La famiglia L. di Sanseverino (Marche), in Giorn. araldico genealogico diplomatico italiano, Ohly, Ioannes Mercurius Corrigiensis, in Beiträge zur Inkunabelkunde, Thorndike, A history of magic and experimental science, V, New York, Donati, Le fonti iconografiche di alcuni manoscritti urbinati della Biblioteca Vaticana, in La Bibliofilia, vi è riferita la lettura di Campana della dedica del ms. Urb. lat. Kristeller, Lodovico L. e Giovanni da Correggio, due ermetici del Quattrocento, e il manoscritto II.D.I.4 della Biblioteca comunale degli Ardenti di Viterbo, in Biblioteca degli Ardenti della città di Viterbo. Studi e ricerche, a cura di Pepponi, Viterbo, Delz, Ein unbekannter Brief von Pomponius Laetus, in Italia medioevale e umanistica, Ubaldini, Vita di Colocci, a cura di Fanelli, Città del Vaticano, Moreschini, Il "Crater Hermetis" di L., in Res publica litterarum, Sosti, Il "Crater Hermetis" di L. L., in Quaderni dell'Istituto sul Rinascimento meridionale, Tenerelli, L. ed il rinascimento filosofico italiano, Bari, Saci, L. L. da Elicona a Sion, Roma; Foà, Giovanni da Correggio, in Diz. biogr. degli Italiani, LV, Roma, Walker, Magia spirituale e magia demoniaca da Ficino a Campanella, Torino, Meloni, L. L. umanista settempedano e il "De gentilium deorum imaginibus", in Studia picena; Kristeller, Iter Italicum, ad indices; Rep. fontium hist. Medii Aevi. Luigi Lazzarelli. Lodovico Lazzarelli. Ludovico Lazzarelli. Lazarelli. Keyword: implicatura ermetica, mascolinita romana, religione officiale romana, campo marzio, marte, dio della guerra, marte come pianeta, il simbolismo di marte nell’arte e la filosofia, marte e apollo, marte e Nietzsche --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lazzarelli” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Lazzarini: il deutero-esperanto – filosofia ialiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Roma, Lazio. A differenza del deutero-esperanto di Grice, non usato mai da Grice, il latino sine flexione è utilizzato anche da altri filosofi come VACCA (si veda), in Sphoera es solo corpore, qui nos pote vide ut circulo ab omne puncto externo, LAZZARINI (si veda), in Mensura de circulo iuxta Leonardo [VINCI (vedasi) Pisano, e PANEBIANCO (vedasi) che discute proprio della lingua internazionale nell'opuscolo “Adoptione de lingua internationale es signo que evanesce contentione de classe et bello” (Padova, Boscardini). Vedasi ALBANI, BUONARROTI. PANEBIANCO (vedasi) è anche un grande appassionato di Esperanto, tanto che è solito firmarsi "esperantista socialista". Quest'ultimo, come si evince anche dal titolo della sua opera, vede nella lingua internazionale un modo per mettere la parola fine ai contrasti internazionali, e in particolare al capitalismo spietato. Inter-linguista, quale que es suo opinione politico aut religioso es certo precursore de novo systema sociale. Isto novo systema, in que homines loque uno solo lingua magis facile, commune ad illos non pote es actuale systema de "homo homini lupus", sed es systema sociale in que toto homines fi socio. Per ben adempiere a un tale compito, la lingua perfetta di PANEBIANCO (si veda) deve seguire gli stessi principi di quella di P. Es evidente que essendo id sine grammatica, id es de maximo facilitate et simplicitate. Ergo, es per illo quasi impossibile ad fac ambiguitate, excepto ad praeposito [“As when the conversational maxim, ‘avoid ambiguity’ is FLOUTED for the purpose of bringining in a conversational implicature”]. Etiam es multo plus rapido compone et scribe in isto lingua que in proprio lingua nationale. Si capisce allora che egli auspica che il latino sine flexione assurga a lingua di comunicazione non solo internazionale, ma anche quotidiana, e forse i suoi auspici si spingono sì avanti che lo vorrebbe elevato a lingua naturale, lingua madre di tutti i popoli.  Si potrebbe continuare a lungo, ma a questo punto è già ben chiaro al lettore da dove provenga quel testo riprodotto nel riquadro di qualche paragrafo fa: da un saggio presente nel volumen ritrovato. Riportarne il titolo integrale equivale anche a dare le risposte alle due domande proposte (del refuso non vale la pena parlare). Infatti, troneggia il titolo "Il latino sine flexione" di PEANO (si veda), memora a firma di L..  Che PEANO (vedasi), che quasi con certezza è il maggiore matematico prodotto dall'Italia negli ultimi due secoli, ha profuso gran parte del suo tempo nel tentativo di creare una lingua che è a un tempo precisa e semplice, insomma perfetta sia per la matematica che per tutti gli altri scopi a cui una lingua è deputata, è cosa che si ritrova anche nelle note biografiche più frettolose sul genio cuneese. È però assai più raro, a meno che lo si ricerchi esplicitamente, imbattersi in qualche esempio scritto nel suo latino sine flexione L. invece ne riporta un lungo brano, dopo aver ricordato, tra le altre cose, che quello di PEANO (vedasi), recentissimo ai tempi della pubblicazione del volume del periodico, non è stato un tentativo particolarmente originale, visto che di lingue universali precedenti al latino sine flexione ne sono già comparse almeno altre sette, tra cui l'Esperanto. Spiega poi come il problema di una lingua universale ben strutturata se lo fosse posto già Leibniz, il quale elencava dei principi da seguire per chi si fosse voluto impegnare nell'impresa di crearla; e si vede che Peano a quei principi leibniziani si attiene diligentemente: applica l'eliminazione delle desinenze nei casi e impiega in sostituzione delle particelle specifiche. Elimina le coniugazioni dei verbi, usando solo l'infinito del verbo senza il "-re" finale (dicere→dice→dire; mensurare→mensura→misurare; scire-sci→sapere,  etc.), e attua  l'eliminazione della specificazione del genere nei nomi. In questo modo, armati di un vocabolarietto di latino in grado di ricordarci il significato di alcune parole dimenticate (oporte→ occorre; igitur→ allora, etc.) il saggio dove diventare ragionevolmente leggibile, una volta appreso che nella Pisa l'unità di lunghezza è la pertica e quella di superficie il panoro, e che un panoro equivale a 5,5 pertiche quadrate, come ricorda PEANO (vedasi). PEANO (vedasi) dimostra con pochi calcoli elementari che il fatto che FIBONACCI (vedasi) asserisca che per trovare l'area di un cerchio basta dividere per 7 il quadrato del diametro implica che per il pisano valeva l'uguaglianza n = 2. È divertente vedere PEANO (vedasi) destreggiarsi senza timore tra pertiche e panori, ed è curioso anche l'uso spregiudicato che fa dei "numeri misti", ormai passati quasi del tutto nel dimenticatoio,  2 "Discrimen generis nihil pertinet ad grammaticam rationalem", sancisce Leibniz, e chissà cosa avrebbe pensato oggi che le discussioni su quale sia il modo più corretto per trattare al meglio il genere delle persone sono molto divisive e cariche di significati che trascendono la mera razionalizzazione della lingua. Con numeri misti si intende quella grafia che consente di scrivere ad esempio "5½" - come fa PEANO (vedasi) nella citazione - semplicemente accostando un numero intero e una frazione, senza esplicitare il sottinteso segno "+". È un metodo di scrittura di numeri frazionari abbastanza naturale, ma poiché di solito l'assenza di segno è caratteristica delle moltiplicazioni, la grafia può generare confusione, ed è caduta in disuso. Nei paesi di lingua inglese è però ancora abbastanza diffusa, al punto che la maggior parte delle scuole dedicano qualche lezione all'aritmetica dei numeri misti. Atkinson, noto appassionato di matematica ricreativa e dell'Italia ha condotto una ricerca sulla sopravvivenza dell'uso dei numeri misti nella nostra nazione, con risultati curiosi e piacevolmente  piasmentmathssesantat/ divulgazione/matematica-il linguagiortini Versa pubblicato  su  MaddMaths!: forse con le sole eccezioni dei voti  sui compiti in classe e dei tabelloni di alcune  metropolitane che segnalano l'arrivo dei treni con una precisione fino al mezzo minuto.  L'escursione in quel dimenticato volumen si è rivelata già ampiamente sufficiente a dimostrare quanto possa essere gratificante il "viaggio nella libreria", anche quando si  riduce solo a una gitarella di un paio d'ore. E si potrebbe chiudere qui anche questo articolo, una volta pagato un minimo pegno di riconoscenza all'autore del sagio saccheggiato. Ma tutti i viaggi che si rispettino presentano almeno un paio di imprevisti, e nel nostro caso è proprio L. a fornircene uno.  Come recita il suo frontespizio, il "Periodico di Matematica per l'Insegnamento Secondario" non è una rivista accademica destinata ad ospitare memorie di ricercatori professionisti, ma un giornale che perseguiva la missione di facilitare il lavoro di chi si occupa di insegnamento. Per quanto nel celebrato indice rifulgano tra gli autori nomi di matematici di prima grandezza, è assai probabile che tra i collaboratori più o meno abituali comparissero anche coloro che più di altri conoscevano i dettagli della didattica, cioè proprio i professori, ed è quasi certamente tra questi che occorre collocare il nostro L.. Pur essendo assente dai maggiori siti specializzati in biografie dei matematici più importanti, una ricerca un po’più generale intercetta facilmente un saggio che lo riguarda.  L'autore è Hans van Maanen, direttore di "Skepter", la rivista dell'associazione di  "scettici", e perciò in qualche modo consorella della corrispondente associazione italiana, il CICAP fondato d’Angela. Naturalmente, la maniera di gran lunga migliore per godersi il saggio è quello di leggerlo direttamente. Ma per chi si accontenta di un riassunto veloce giusto per capire come L. scrive qualcosa che quasi un secolo dopo ha molto irritato un pezzo grosso di Nature, ne riporteremo i punti salienti.  Vista la lunga estensione temporale della storia, forse vale la pena di procedere  cronologicamente.  Premessa: Buffon, osserva che il valore di n è determinabile per via sperimentale con il metodo che resta famoso nella storia proprio con il nome d’ago di Buffon. Immaginando un pavimento diviso in sezioni trasversali di larghezza s, lanciando a caso un ago di lunghezza a e registrando le volte m che l'ago intercetta una delle linee del pavimento, presupponendo un numero di lanci n tendente a infinito, si può risalire al valore di a utilizzando i rapporti s/a e m/n.  Il nostro L. pubblica, sempre sul  Periodico di Matematica per l'Insegnamento, (ma  volume XVII,  non il  XIX  ritrovato  nel  "viaggio in  libreria"), un sagio in cui  afferma di aver applicato il  metodo di Buffon e di aver  ottenuto un valore sperimentale di n esatto fino alla sesta cifra decimale, 3,141529, con una serie di 3408 lanci di cui 1808 positivi, e con valore di a pari a 2,5 e s pari a 3,0. Nell saggio afferma anche di aver raggiunto il risultato grazie a una sua [Ho avuto invece approssimazione maggiore col disporre la retina traversalmente, vale a dire coll'utire tra loro i lati maggiori del rettangolo. Qui le espurienze vanno divise in doe serie, ginechi. Mentro ho mantenuto sempro costante la lunglezza della sbarretta. ho fatto invece variare l'altezza della striscia compresa fra le parallele: ed ecco i rimaltati ottenuti: 1• Seme I1 SREI 100 300 13000 9000 4000 611 1200 1600 2148 3,101  3,152  3,147  8,125 8,185 100 200 10? 1000 1,115  3,180  8,1446  1142 3.1415129  3,1416 3 Estratto dell'articolo di L. Grazie alla traduzione di Garlaschelli lo si può leggere in italiano, o direttamente su Query, la rivista del Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze] macchina, descritta in dettaglio, che consente di meccanizzare i "lanci casuali di un ago sul pavimento piastrellato come richiesto dall'idea di Buffon. Il risultato viene accolto inizialmente con grande entusiasmo, diventa noto a livello internazionale e non sono pochi i grandi nomi della matematica che lo accolgono con sperticate parole di elogio. Il nome di L. diventa abbastanza famoso. A parte la sua, le migliori approssimazioni sperimentali arrivano, e a fatica, a una precisione di un paio di decimali. Compaiono però i primi saggi che esprimono dubbi sulla correttezza dell'esperimento.  Badger scrive il saggio, "L.'s lucky approximation of t" in cui analizza in dettaglio tutte le fragilità della memoria di L. Parte dalla strana coincidenza - già notata del rapporto 3408/1808, cruciale nel testo di L., che è identico alla nota frazione 355/113, scoperta già nel V secolo da Chongzhi come approssimazione di p; prosegue notando la stranezza di quei "3408 lanci", poi passa a calcolare la probabilità d’ottenere per via randomica quel risultato, giungendo alla conclusione che è una probabilità talmente bassa, circa tre parti su un milione, da ritenere che quella stima fosse il frutto o di un colpo di fortuna davvero eccezionale o di un "hoax" termine che si può tradurre come qualcosa a mezza via tra uno "scherzo" e una "beffa".  Badger, grazie a quello saggio, vince un premio istituito dalla Mathematical Association of America, e ovviamente il saggio viene letto anche da Maddox, redattore capo di Nature. È naturale che un redattore capo di una prestigiosissima rivista scientifica vede la manomissione dei dati sperimentali più o meno come il proverbiale diavolo guarda l'acqua santa, e la sua ira funesta colpisce Lazzarini: titola il suo articolo come "Falsa misura sperimentale di n", usa senza mezzi termini la parola "fraud" ovvero  "frode" al posto del più morbido "hoax", e lancia perfino una specie di anatema: " ...l'articolo  di Badger dovrebbe restare come un ammonimento, a tutti coloro che inquinano la  letteratura, che i loro misfatti li seguiranno fin nella tomba.  D'altro canto, il saggio di Maanen che ci ha consentito di scoprire questo affascinante giallo matematico sembra più orientato a smorzare lo scandalo. La descrizione accurata della macchina per i lanci che fa L., a ben vedere non sembra poi così efficiente da meritarsi d'essere costruita. L’aver posto in bella vista il numero 3408 nella tabella che riporta i suoi tentativi quando i valori intermedi esposti vanno per blocchi interi di centinaia o migliaia. Insomma tutto lo spirito del saggio di L. sembra più uno scherzo che la rivendicazione di una scoperta. È anche possibile che, da insegnante, cerca e suggerisse ai colleghi qualche metodo scherzoso per affascinare gli studenti, come quella complicata macchina lancia-aghi o la meraviglia di una costante matematica trovata sbattendo oggetti per terra. A voler cercare una morale da tutta la storia, non c'è che l'imbarazzo della scelta. Dall'opportunità o meno di scherzare con la scienza alla troppo diffusa propensione agli entusiasmi, o alla rissa, anche tra i più autorevoli critici. O anche sulla necessità di ricordare sempre che anche gli scienziati sono donne e uomini, con tutte le caratteristiche e le debolezze degli esseri umani. E poi, a dire la verità, la morale più evidente e ovvia che ci sembra emergere è semplicemente quella che ricorda alle riviste scientifiche prestigiose e autorevoli di non concedere i loro spazi ad arruffoni incompetenti fin troppo disposti a scherzare su qualsiasi cosa pur di vedere stampate le loro sciocchezze: ma uno strano e persistente brivido lungo la schiena ci suggerisce di non evidenziare troppo questo aspetto,  chissà perché. Cortesia: Alembert, Riddle, e Silverbrahms. Mario Lazzarini. Lazzarini.

 

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