Luigi Speranza -- Grice e Lalla: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale nella selezione sessuale di
Nerone, il musicista – filosofia friuliana – la scuola di Trieste -- filosofia
triestina – filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste). FIlosofo italiano. Trieste, Friulia
Venezia Giulia -- Grice: “I have been called a Darwinist, which offended de
Lalla!” -- Figlio unico di Achille de Lalla
e Anna Millul. Il padre, nato a
Napoli da famiglia originaria di Tolve, aveva intrapreso la carrriera militare,
giungendo a ricoprire il grado di Tenente colonnello dell'esercito e
congedandosi con il grado di Generale dell'esercito. Prese parte alla Prima
guerra mondiale nonché alla Seconda guerra mondiale, dove rimase ferito alla
spalla destra in Russia. Fu in seguito Dirigente dell'Istituto per la
Ricostruzione Industrial. Achille de Lalla era figlio di Ludovico e di Maria
Buonomo, figlia a sua volta di Alfonso Buonomo, compositore e musicista
napoletano di fama. La madre Anna Millul
era nata a Roma in una famiglia ebrea originaria di Livorno. Si laurea, allievo
di Kalinowski di cui traduce in italiano il saggio "Interpretazione
giuridica e logica delle proposizioni normative". Scappa a Parigi, prendendo parte al Maggio.
Tuttavia, fu tra i primi ad intuire che il Partito Comunista francese non aveva
alcuna seria intenzione politica di sostenere la Contestazione e, in anticipo
sul fallimento dell'iniziativa giovanile, lascia la Francia rientrando in
Italia deluso. Studioso di Evoluzionismo e Politologia, e è proprio sulle sue
teorie sull'Evoluzione umana e sul pensiero di Darwin che scrive l'opera “La
selezione sessuale”. Insegna a Siena e Napoli. A testimonianza del grande
successo che riscuotevano i suoi corsi universitari, rimane la petizione
indetta dagli studenti affinché il Senato Accademico li prorogasse per un
biennio. Gl’ultimi anni Ritiratosi a
vita privata, muore a Napoli nella tarda serata del 25 settembre d'infarto mentre attende alla redazione della
sua ultima opera. Est Deus in nobis Contributo alla Nuova Evangelizzazione e,
nelle intenzioni dell'autore, avrebbe dovuto costituire il completamento della
trilogia iniziata con Evoluzione e proseguita con La Comunità
Democratica.Convinto assertore della superiorità del Diritto pubblico rispetto
a quello privato, si è sempre posto a tutela delle prerogative statuali. Convinto assertore dei rischi della dilagante
esterofilia in campo politico e fondamentalmente euroscettico negli ultimi anni
di riavvicinamento al cattolicesimo, ideò un progetto di edificazione di un
nuovo partito politico che, nelle sue teorizzazioni avrebbe assunto il nome di
PARTITO CRISTIANO COMUNITARIO (DEMOCRATICO) ITALIANO PCC(D)I. Saggi: “Il concetto legislativo di azione
penale” (Jovene, Napoli); “La scelta del rito istruttorio” ( Jovene, Napoli);
“Logica della prove penale” (Jovene Napoli); “La pena militare” (Jovene,
Napoli); “Topografia politica della repubblica” (Scientifiche, Napoli); “Il
completamento istruttorio del giudice nelle indagini preliminari in "Riv.
it. dir. e proc. pen."); “Evoluzione,” “Darwin e la selezione sessuale”
(Salerno, Roma); “ Selezione sessuale” (Scientifiche, Napoli); “La comunità
democratica: idee per una politica nuova” (Guida, Napoli) – concetto di KRATOS
--“Comunitarismo” (Guida, Napoli); “Nerone, o Musica nella antica Roma” (Guida, Napoli); “Composizioni musicali Per
pianoforte Sonata n.° 1 Suite "italiana" Sonata n.° 2 Sonata n.° 3
"napoletana" Musica da camera Sonata per violino e violoncello Sonata
per violino e pianoforte Sonata per violini, viola e violoncello Note de Lalla F., Una famiglia borghese, Ed.
Ibiskos de Lalla F., in "Il foro penale"
ilcambiamento,// ilcambiamento/ articoli/ evoluzione_2_ darwin_de_
lalla_millul. ateneapoli,// ateneapoli/news/ archivio-storico/
reintegro-del-prof-de-lalla-il-consiglio- di-facolta--si-esprime-
negativamente. petizioni.com/ petizione
_pro_prof_paolo de_lalla. Grice: “When I hear that a philosopher has written
yet another trattarello on the filosofia della musica, I always thought not of
Orpheus and his lute, but of NERO and his lyre!” -- Paolo de Lalla Millul. Paolo de Lalla. Lalla. Keywords: evolutionary, sexual
selection, Nerone, filosofia della musica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Lalla” – The Swimming-Pool Library.
Luigi
Speranza -- Grice e Latini: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- l’implicatura rettorica di Publio e Cicerone -- implicatura
– filosofia toscana – la scuola di firenze – filosofia fiorentina – scuola
fiorentina -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Firenze, Toscana.
Grice: “Latini reminds me of Hardie; he was Aligheri’s mentor; Hardie mine!” --
Grice: “People say it all starts with Alighieri; but the real ‘filosofo’ behind
Alighieri surely is Burnetto – he has chapters on ‘Platone,’ ‘Aristotele,’ and
the rest of them.” «Poi si rivolse, e
parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve
di costoro quelli che vince, non colui che perde» (Divina Commedia). Figlio
di Buonaccorso e nipote di Latino Latini, appartenente ad una nobile famiglia. Le
fonti storiche e una serie di documenti autografi testimoniano la sua attiva
partecipazione alla vita politica di Firenze. Come egli stesso narra nel
Tesoretto, fu inviato dai suoi concittadini alla corte di Alfonso X per
richiedere il suo aiuto in favore dei guelfi. Tuttavia, la notizia della
vittoria dei ghibellini a Montaperti lo costrinse all'esilio in Francia. I cambiamenti politici
conseguenti alla vittoria di Carlo I da Benevento sconsentirono il suo ritorno in Italia. Fu risarcito del torto
subito, con il titolo di Segretario del Consiglio della repubblica, stimato ed
onorato dai suoi concittadini. La sua influenza divenne tale che a
partire si trova a malapena nella storia di Firenze un avvenimento pubblico
importante al quale non abbia preso parte. Contribuì notevolmente alla
riconciliazione temporanea tra guelfi e ghibellini detta "pace di
Latino". PPresiedette il congresso dei sindaci in cui fu decisa la
rovina di Pisa. Elevato alla dignità di Priore. Questi magistrati, in numero di
dodici, erano stati previsti nella costituzione. La sua parola si fa
frequentemente sentire nei Consigli generali della repubblica. Era uno degli
arringatori, od oratori, più frequentemente designati. Nel Canto XV
dell'Inferno Dante lo incontra tra i sodomiti, violenti contro Dio nella
natura. Siamo nel terzo girone del settimo cerchio; Dante e Virgilio camminano
su un piano rialzato rispetto alla landa desolata in cui i dannati procedono.
Alighieri, che era stato allievo di Latini, è profondamente scosso, e non nasconde
verso il maestro una persistente ammirazione. Latini è il primo nella Commedia
a toccare fisicamente Alighieri, tirandolo per la veste. Altre opera:“Il
Tesoretto,” poema (incompiuto o mutilo) scritto in volgare fiorentino, in
settenari a rima baciata, narrato in prima persona. L'autore definisce l'opera Tesoro, ma il nome “Tesoretto”
è presente già nei manoscritti più antichi,
presumibilmente per distinguerla dalle traduzioni italiane del “Tresor”.
Il protagonista, sconfortato dalla notizia della disfatta di Montaperti, si
perde in una "selva diversa". Nella sua peregrinazione si imbatte
nelle personificazioni della Natura e delle Virtù, che gli illustrano la
composizione del Mondo e i modelli di comportamento cortesi. Il “Tesoretto” si
interrompe nel momento in cui il protagonista incontra Tolomeo, che sta per
spiegargli i fondamenti dell'astronomia. Influenzato da un lato dal
romanzo cortese, dall'altro dai poemi allegorici, realizza un'opera che da una
parte della critica è ritenuta tra i precursori diretti della Commedia (Venezia,
Melchiorre Sessa il Vecchio); “Li livres dou Tresor” e la più celebre, scritta
durante l'esilio in Francia, in lingua vernaculare, perche "è la parlata
più dilettevole e più comune tra tutte le lingue.” Consta di tre libri e
risulta la prima enciclopedia volgare in senso proprio. Altri testimoni sono
stati segnalati in seguito da Squillacioti, Divizia e Giola. Il primo
libro tratta dell’origine di tutto. Tra gl’argomenti affrontati vi sono
un'ampia storia universale, dalle vicende dell'Antico e del Nuovo Testamento
alla battaglia di Montaperti, elementi di medicina, fisica, astronomia,
geografia, e architettura, e un bestiario. Si trova, in questo primo libro, una
delle menzioni più antiche che conosciamo di una bussola e l'indicazione della
sfericità della terra. Nel secondo libro si tratta dei vizi e delle virtù,
attingendo sostanzialmente dall'Etica Nicomachea. Il terzo libro riguarda
principalmente la retorica. Utilizza come fonti Platone, Aristotele, Senofane, il
romano Publio Vegezio e Cicerone. Altre opera: è inoltre autore di un
altro breve poemetto, “il Favolello”, di una “Rettorica” volgarizzamento e
commento del De inventione di Cicerone, nonché dei volgarizzamenti di tre
orazioni ciceroniane (Pro Ligario, Pro Marcello, Pro rege Deiòtaro). Jauss,
Alterità e modernità della letteratura medievale, Boringhieri S. Sarteschi, Dal
"Tesoretto" alla "Commedia": considerazioni su alcune
riprese dantesche dal testo di Latini, in "Rassegna di letteratura
italiana", B. Latini, Tresor; G. Beltrami Squillacioti Torri e S. Vatteroni”
(Torino, Einaudi); A. D'Agostino, Itinerari e forme della prosa, in Storia
della letteratura italiana” (Roma, Salerno); Tresor. Beltrami, Squillacioti,
Torri, Plinio, Torino). Aggiunte (e una sottrazione) al censimento dei codici
delle versioni italiane del "Tresor”, Medioevo romanzo, La tradizione dei volgarizzamenti toscani del
Tresor con un'edizione critica della redazione alfa. Verona. Edizione del
volgarizzamento toscano. La colonna
posta dove è stata riscoperta la sua tomba, Santa Maria Maggiore; “Livres dou
Tresor” (Vineggia, per Gioan Antonio et fratelli da Sabbio, ad instanza di N.
Garanta et Francesco da Salo); Dizionario biografico degli italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tesoretto. In G. Contini, Poeti del
Duecento, Ricciardi, Milano. A scuola con ser Brunetto. Indagini sulla
ricezione dal Medioevo al Rinascimento. Atti del convegno di studi, Basilea, I.
Maffia Scariati, Firenze, Galluzzo, D'Arco Silvio Avalle, Ai luoghi di delizia
pieni, Ricciardi, Milano, A. Carrannante, "Implicazioni dantesche:
Brunetto Latini (Inf. XV)", "L'Alighieri", Enciclopedia
dantesca, ad vocem, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, P. Fornari,
Dante e Brunetto, Co-Op, Varese, Poi in: Pro Dantis virtute et honore, Co-Op
Varese, L. Frati, Brunetto Latini
speziale, "Il giornale dantesco", F. Maggini, La «Rettorica» Latini,
Firenze, Galletti e Cocci, U. Marchesini, Due studi biografici, Atti
dell'Istituto Veneto", "La posizione del Latini nel canto XV
dell'Inferno dantesco"). Merlo, E se Dante avesse collocato Brunetto
Latini tra gli uomini irreligiosi e non tra i sodomiti?, "La cultura",
Poi in: Saggi glottologici e letterari, Hoepli, Milano, Fausto Montanari, "Cultura
e scuola", Antonio Padula, Il Pataffio, Dante Alighieri, Milano, Roma e
Napoli, Manlio Pastore Stocchi, Delusione e giustizia nel canto XV
dell'Inferno, "Lettere italiane"(poi in: Letture classensi, Longo, Ravenna; "Representations", R.
Santangelo, "Tutti cherci e litterati grandi e di gran fama": "Il
sogno della farfalla. Rivista di psicoanalisi", M. Scherillo, Alcuni
capitoli della biografia di Dante, Loescher, Torino Thor Sundby, Della vita e
delle opera (Monnier, Firenze); Alighieri Storia di Firenze Divina Commedia, Il
Favolello Il Tesoretto. Treccan Enciclopedie
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, sRegesta Imperii, su opac.regesta-imperii.de. Portal,
su florin.ms. G. Orto, L.. Tommaso Giartosio, Dante e Brunetto Latini. Tratto
da: Perché non possiamo non dirci. Letteratura, omosessualità, mondo,
Feltrinelli, Milano, Concordanze del libro del Tesoretto, su classicis tranieri,
Li livres dou trésor, ed. par Polycarpe Chabaille, Paris M. Giacomelli. La
rettorica. Qui comincia lo 'usegnamento di rettorica, lo quale è
ritratto in vulgare de' libri di Tullio e di molti filosofi per ser
Burnetto Latino da Firenze. Là dove è la lettera grossa si è il testo di
Tullio, e la lettera sottile sono le parole de lo sponitore. Incomincia il
prologo. Sovente e molto ò io pensato in me medesimo se la copia del
DICERE e lo sommo studio dell’ELOQUENZA àe fatto più bene o più male agl’uomini
et alle città. Però che quando considero li dannaggii del nostro comune e
raccolgo nell' animo l’antiche aversitadi delle grandissime città, veggio
che non picciola parte di danni v’è messa per uomini molto parlanti sanza
sapienza. Qui parla lo sponitore. RETTORICA èe SCIENZA di due manière. Una
la quale insegna dire, e di questa tratta Tulio nel suo saggio. L’altra
insegna dittare, e di questa, perciò che esso non ne trattò cosi del tutto
apertamente, si nne tratterà lo sponitore nel processo del saggio, in suo
luogo e tempo come si converrà. Rettorica s' insegna in due modi, altressì
come l’altre scienzie, cioè di fuori e dentro.Verbigrazia: Di fuori
s'insegna dimostrando che è rettorica e di che generazione, e quale sua
materia e lo suo officio e le sue parti e lo suo propio strumento e la
fine e lo suo artifice. Ed in questo modo tratta BOEZIO nel quarto della
Topica. Dentro s'insegna questa arte quando si dimostra che sia da
fare sopra LA MATERIA DEL DIRE e del dittare, ciò viene a dire come
si debbia fare lo exordio e la narrazione e L’ALTRE PARTI DELLA DICIERIA o
della pistola, cioè d'una lettera dittata. Ed in ciascuno di questi due modi ne
tratta Tulio in questo suo saggio. Ma in perciò che Tulio non dimostra che
sia rettorica né quale è '1 suo artefice, sì vuole lo sponitore per
più chiarire l'opera dicere l'uno e l'altro. Ed èe rettorica una scienzia DI
BENE DIRE, ciò è rettorica quella scienzia per la quale noi saperne ORNATAMENTE
dire e dittare. Inn altra guisa è così diffinita. Rettorica è scienzia di
ben dire sopra la causa proposta, cioè per la quale noi sapemo ornatamente
dire sopra la quistione aposta. Anco àe una più piena difiìnizione in
questo modo. Rettorica è scienza d'usare piena e PERFETTA ELOQUENZA nelle
publiche cause e nelle private. Ciò viene a dire scienzia per la quale noi
sapemo parlare pienamente e perfettamente nelle publiche e nelle private
questioni. E certo quelli parla pienamente e perfettamente che nella sua
diceria mette parole adorne, piene di buone sentenzie.
Publiche questioni son quelle nelle quali si tratta il
convenentre d'alcuna città o comunanza di genti. Private sono
quelle nelle quali si tratta il convenentre d'alcuna spiciale persona. E
ttutta volta è lo 'ntendimento dello sponitore che queste parole sopra '1
dittare altressì come sopra '1 dire siano, advegna che tal puote sapere
bene dittare che non àe ardimento o scienzia di profiferere le sue parole
davanti alle genti; ma chi bene sa dire puote bene sapere dittare.
Avemo detto che è rettorica, or diremo chi è lo suo artifice. Dico che è
doppio, uno è rector e l'altro è orator. Verbigi-azia. Rector è quelli che
'nsegna questa scienzia SECONDO LE REGOLE e comandamenti dell'arte.
Orator è colui che poi che elli àe bene appresa l'arte, sì l’usa
in dire ed in dittare sopra le questione apposte, sì come sono li
buoni parlatori e dittatori, sì come fue maestro Piero dalle Vigne, il quale
perciò fue agozetto di Federigo II imperadore di Roma e tutto sire di lui e
dello 'mperio. Onde dice Vittorino che orator, cioè lo parlatore, è uomo
buono e bene insegnato di dire, lo quale usa piena e perfetta eloquenza nelle
cause publiche e private. Ora àe detto lo sponitore che è rettorica, e del
suo artifice, cioè di colui che la mette in opera, l'uno insegnando
l'altro dicendo. Ornai vuole dicere chi è l'autore, cioè il trovatore di
questo saggui, e che fue LA SUA INTENZIONE in questo saggio, e di che tratta, e
la cagione per che lo saggio è composto e che utilitade e che tittolo à
questo saggio. L' autore di questa opera è doppio. Uno che di tutti
i detti de' filosofi che fuoro davanti lui e dalla viva fonte del suo
ingegno fece suo libro di rettorica, ciò fue Marco Tulio Cicerone, il più
sapientissimo de' romani. Il secondo è Brunetto de’ Latini, cittadino di
Firenze, il quale mise tutto suo studio e suo intendimento ad isponere e
chiarire ciò che Tulio dice. Ed esso è quella persona cui questo saggio
appella sponitore, cioè ched ispone e fae intendere, per lo suo propio detto e
de' filosofi e maestri che sono passati, il saggio di Tulio, e tanto più
quanto all'arte bisogna di quel che fue intralasciato nel saggio di Tulio,
sì come il buono intenditore potràe intendere avanti. La sua
intenzione fue in questa opera dare insegnamento a colui per cui amore e' si
mette a fare questo trattato de parlare ornatamente sopra ciascuna questione
proposta. Et e' tratta secondo la forma del saggio di CICERONE di tutte
le parti generali di rettorica. Verbigrazia. L’invenzione, cioè, il trovamento
di ciò che bisogna sopradire alla materia proposta; e dell'altre iiij° secondo
che sono nel secondo saggio che CICERONE fa ad Erennio suo amico, sopra le
quali il conto dirà ciò che ssi converrà. La cagione per che questo saggio
è fatto si è cotale, che Latini, per cagione della guerra la quale
fue traile parti di Firenze, fue isbandito della terra quando la sua parte
guelfa, la quale si tenea col papa e colla chiesa di Roma, fue cacciata e
sbandita della terra. E poi si n'anda in Francia per procurare le sue
vicende, e là trova uno suo amico della sua città e della sua
parte, molto ricco d'avere, ben costumato e pieno de grande
senno, che Ili fece molto onore e grande utilitade, e perciò l'apella suo
porto, sì come in molte parti di questo saggio pare apertamente; et era
parlatore molto buono naturalmente, e molto disidera di sapere ciò che' savi
aveano detto intorno alla rettorica; e per lo suo amore Latini, lo quale
era l)uono intenditore di lettera et era molto intento allo studio di
rettorica, si mette a fare questo saggio, nella quale mette innanzi il testo
di Tulio per maggiore fermezza, e poi mette e giugne di sua scienzia
e dell'altrui quello che fa mistieri. L' utilitade di questo saggio è
grandissima, però che ciascuno che sa bene ciò che comanda lo libro e
l'arte, sì sa dire interamente sopra la questione apposta. E in questo
punto si parte elli da questa materia e ritorna al propio intendimento
del testo. In questa parte dice lo sponitore che CICERONE, vogliendo
che rettorica fosse amata e tenuta cara, la quale al suo tempo e avuta
per neente, mise davanti suo prolago in guisa di bene savi, nel quale purga
quelle cose che pareano a lui gravose. Che si come dice BOEZIO nel commento
sopra la Topica, chiunque scrive d'alcuna materia dee prima purgare ciò
che pare a lui che sia grave; e così fa CICERONE, che purga tre cose
gravose. Primieramente i mali che veniano per copia di dire. Apresso la
sentenza di Platone, e poi la sentenza d'Aristotele. La sentenza di Platone e
che rettorica non è arte, ma è NATURA per ciò che vede MOLTI BUONI
DICITORI PER NATURA e non per insegnamento d'arte. La sentenza
d'Aristotile fa cotale, che rettorica è ARTE, ma REA, per ciò che per eloquenza
parca che fosse a venuto più male che bene a' comuni e a' divisi. Onde CICERONE
purgando questi tre gravi articoli procede in questo modo. Che in prima
dice che sovente e molto ae pensato che effetto proviene d'eloquenza.
Nella seconda parte pruova lo bene e '1 male chende venia e qual più.
Nella terza parte dice tre cose. In prima, dice che pare a lui di sapienzia; apresso
dice che pare a lui d' eloquenzia. E poi dice che pare a lui di sapienza ed
eloquenzia congiunte insieme. Nella quarta parte sì mette le pruove sopra
questi tre articoli che sono detti, e conclude che noi dovemo studiare in
rettorica, recando a ciò molti argomenti, li quali muovono d' onesto e d'
utile e lo possibile e necessario. Nella quinta parte mostra di che
e come egli tratta in questo saggio. E poi che nel suo cuminciamento dice come
molte fiate e lungo tempo pensa del bene e del male che fosse advenuto,
immantenente dice del male per accordarsi a' pensamenti delli uomini che si
ricordano più d'uno nuovo male che di molti beni antichi; e cosi
Tulio, mostrando di non ricordarsi delli antichi beni, s' infigne
di biasraare questa scienzia per potere più di sicuro lodare e
difendere. E per le sue propie parole che sono scritte nel testo di sopra
potemo intendere apertamente che in queste medesime parole ove dice che i
mali che per eloquenza sono advenuti e che non si possono celare, in
quelle medesime la difende abassando e menimando la malizia. Che là
dove dice dannaggi si suona che siano lievi danni de' quali poco cura la
gente. E là dove dice del nostro comune altressì abassa del male, acciò
che più cura l'uomo del propio danno che del comune; e dicendo NOSTRO comune intendo
ROMA, però che Cicerone e cittadino di Roma nuovo e di non grande altezza;
ma per lo suo senno fue in sì alto stato che TUTTA ROMA si tenea alla sua
parola, e fue al tempo di Catellina, di Pompeio e di Giulio Cesare, e per
lo bene della terra fue al tutto contrario a Catellina. Et poi nella
guerra di Pompeio e di Giulio Cesare si tenne con Pompeio, sicome tutti '
savi eh' amano lo stato di Roma. E forse l'appella nostro comune però che
ROMA èe capo del mondo e comune d'ogne uomo. Et là dove dice
l'antiche adversitadi altressì abassa il male, acciò che delli antichi
danni poco curiamo. Et là dove dice grandissime cittadi altressì abassa '1
male, però che, sì come dice il buono poeta LUCANO, non è conceduto
alle grandissime cose durare lungamente; e l'altro dice che le grandissime
cose rovinano. E così non pare che eloquenza sia la cagione (iel male che
viene alle grandissime città. E là dove dice che danni sono advenuti per
nomini molto parlanti 'sanza sapienza, manifestamente abassa '1 male e difende
rettorica, dicendo che '1 male è per cagione di molti parlanti ne'
quali non regna senno. E non dice che il male sia per eloquenza, che
dice Vittorino. Questa parola eloquenza suona bene. E del bene non puote male
nascere. Questo è bello colore rettorico, difendere quando mostra di biasmare ed
accusax'e quando pare che dica lode. E questo modo di parlare àe nome INSINUAZIONE,
O IMPLICATURA, del quale dice il saggio in suo luogo. Et qui si parte il
conto da quella prima parte del prologo nella quale CICERONE dice il suo
pensamento ed dice li mali avenuti, e ritorna alla seconda parte nella
quale dimostra de' beni che sono pervenuti per eloquenza. Sì come quando
ordino di ritrarre dell'anticiie scritte le cose che sono fatte lontane
dalla nostra ricordanza per loro antichezza, intendo che eloquenza
congiunta con ragione d'animo, cioè con sapienza, piìie agevolemente àe potuto
conquistare e mettere inn opera ad edifficare cittadi, a stutare molte
battaglie, fare fermissime compagnie et anovare santissime amicizie. Poi che Cicerone
divisa li mali che sono per eloquenza, sì divisa in questa parte li beni, e CONTA
PIU BENI CHE MALI perciò che più intende alle lode. E nota che dice son messe ordinatamente
acciò che prima si raunaro gli uomini insieme a vivere ad una ragione et a
buoni costumi et a multiplicare d' avere ; e poi che furo divenuti ricchi
montò tra lloro invidia e per la 'nvidia le guerre e le battaglie.
Poi li savi parladori astutaro le battaglie, et apresso gl’uomini fecero
compagnie usando e mercatando insieme; e di queste compagnie cuminciaro a
ffare ferme amicizie per eloquenzia e per sapienzia. 3. Ma ssi come dice
e signifficano queste parole, per più chiarire l'opera è bene
convenevole di dimostrare qui che è cittade e che è compagno e che
è 15. amico e che è sapienzia e che è eloquenzia, perciò che Ilo
sponitore non vuole lasciare un solo motto donde non dica tutto lo
'ntendimento. Che è cittade. Cittade èe uno raunamento di gente
fatto per vivere a ragione; onde non sono detti cittadini 20. d'uno
medesimo comune perchè siano insieme accolti dentro ad uno muro, ma quelli che
insieme sono acolti a vivere ad una ragione. Che è compagno. Compagno
è quelli che per alcuno patto si congiugne con un altro ad alcuna cosa
fare; e di questi dice Vittorino che se sono fermi, per eloquenzia poi
divegnono fermissimi. Che è amico. Amico è quelli che per uso di
simile vita si congiugne con un altro per amore insto e
fedele. Verbigrazia: Acciò che alcuni siano amici conviene che siano
d'una vita e d'una costumanza, e però dice «per uso di simile vita » ; e
dice « giusto amore » perchè non sia a cagione di luxuria o d' altre
laide opere ; e dice « fedele i'-in compimento dell'altre
parole ecc. Jf' cioè hediDcar .»/ aslroppiarc, m a storpiare caunano,
corretto poi in raunarono Af ad avere
una ragione, m "al avere una medesima ragione M l'uno, -If' fuor
{cfr. Tesor., vii, 54) il' montò
loro M-m parlando anno attutato - le guerre il.' M forme amicitio, »» forme d'amie
i^:mdichono i^.- m dimostrare quello
io.- Af' 7 che sapientla 7 che eloq. .»/' volle intralasciare de
genti V-m raccolti - SI: m rachollì 25:
M son S7 : M-m che è coiiipannia M' si i>
28 : .V ad un altro 3U' porciò 31 . .tf ' conduco insto am. fcerlo per
scambio dell'abbreviatura di et con quella di con) U ad altre amore » perchè
non sia per gnadagneria o solo per utilitade, ma sia per constante vertude. Et
cosi pare manifemente che quella amistade eh' è per utilitade e per
dilettamento nonn è verace, ma partesi da che '1 diletto e l'uttilitade
menoma. Che è sajoiemia. Sapienzia è comprendere la verità delle
cose si come elle sono. Che è eloquenzia. Eloquenzia è sapere dire
addome parole guernite di buone sentenzie. 10. TnUio. Et così
me lungamente pensante la ragione stessa mi mena in questa fermissima
sentenza, che sapienzia sanza eloquenzia sia poco utile a le cittadi, et
eloquenzia sanza sapienza è spessamente molto dampnosa e nulla fiata
utile. Per la qual cosa, se alcuno in l.ó. tralascia li dirittissimi et
onestissimi studii di ragione e d'officio e consuma tutta sua opera in
usare sola parladura, cert' elli èe cittadino inutile al sé e periglioso alla
sua cittade et al paese. Ma quelli il quale s' arma sie d'eloquenzia che
non possa guerriere contra il bene del paese, ma possa per esso pugnare,
questo mi pare uomo e 20. cittadino utilissimo et amicissimo alle
sue (>) et alle publiche ragioni. Lo sponitore. Poi che CICERONE
ha dette le prime due parti del suo prologo, si comincia la III parte,
nella quale dice tre cose. Imprima dico che pare a llui di sapienzia,
infino là dove 25. dice : « Per la qual cosa ». Et quivi comincia la
seconda, nella quale dice che pare a llui d'eloquenzia, infino là
ove dice : « Ma quello il quale s' arma ». Et quivi comincia la
terza, ne la quale dice che pare a llui dell'una e dell'altra giunte
insieme. 3: M' om. e
4: M- pdesi m diloclamento 7
l'util., .tf' l'utilitade 1 diloclo 8-9: .»/ ad ongno parole, m ogni
paroleM-m om. sia.... sapienza i-J : M'
om. molto ^ i5: M-m lassa indireotissimi (m idireuissimi) IG: M-m sola la parlatura 18: 3l-m sama .)/ giuriare, m ingiuriare Ì9-20.- .1/ luiomo cittadino, »i mi pare
cittadino .V-»i a' suoi .?3 • .1/ conincìa S4 : M insini, .)/' inlìn là ove (cfr.
Tcsnr.. xi, 1074) So: yr-ìii dice
jiarla M-m qui - 26: M insino m là dove M-m la (|ual dice. (1)
Questa lezione è oonfennata dal § 5 del coniuiento: « utile a ssè et al
suo paese. Onde dice Vittorino: Se noi volemo mettere avacciamente in opera
alcuna cosa nelle cittadi, sì ne conviene avere sapienzia giunta con
eloquenzia, però che sai)ienzia sempre è tarda. Et questo appare
manifestamente in alcuno V 5. savio che non sia parlatore, dal quale se
noi domandassimo uno consiglio certe noUo darebbe tosto cosìe come se
fosse bene parlante. Ma se fosse savio e parlante inmantenente ne
farebbe credibile di quel che volesse. 3. Et in ciò che dice Tulio di
coloro che 'ntralasciano li studii di ragione e d' officio, intendo là
dove dice « ragione » la sapienzia, e là dove dice « officio » intendo le
vertudi, ciò sono prodezza, giustizia e l'altre vertudi le quali anno
officio di mettere in opera che noi siamo discreti e giusti e bene
costumati. Et però chi ssi parte da sapienzia e da le vertudi e
studia 15. pure in dire le parole, di lui adviene cotale frutto
che, però che non sente quel medesimo che dice, conviene che di lui
avegna male e danno a ssè et al paese, però che non sa trattare le propie
utilitadi uè Ile (i) comuni in questo tempo e luogo et ordine che
conviene. 5. Adunque colui che ssi mette 1' arme d' eloquenzia è utile a
ssè et al suo paese. Per questa arme intendo la eloquenzia, e per
sapienzia intendo la forza; che sì come coli' arme ci difendiamo
da' nemici e colla forza sostenemo 1' arme, tutto altressì per eloquenzia
difendemo noi la nostra causa dall'aversario 2.5. e per sapienzia
ne sostenemo (2) di dire quello che a noi potesse tenere danno. Et in
questa parte è detta la terzia parte del prologo di Tulio. 6. Dunque vae
il conto alla quarta parte del prologo, per provare ciò eh' è detto
davanti et a conducere che noi dovemo studiare in rettorica
i : M Lande M' avacciatamente, ma
L avacciamente S: m si cci conv. 0; m ODI. cosio, M e' noi darebb»;
cos'i tosto M' credibile quello, m di quello
.)/' disse 10: .Vi om. il
2' et 12: .»/' et altro 13: .»f' che non siano i4.- .V-m dall'altre vertufli 15:m adiviene
16 : jn a lini : solo L nelle ;
(jli altri mss. e S nelli (.)/' nel!) -19: M Adunque che colui 22: M-m torma
M ne dil'ondono, m noi ci difendiamo 23: il l'armi - 23-24: Af
difendo m così altresì la eloquenzia
difendo noi dal nostro aversario la nostra cliausa 25: m om. ne; S non sostenemo 26: m a noi potesse avejjire (li danno, .V
che noi potessimo tenere danno 28-29: m
dinanzi e; Jfi om. et. (1) Cos'i richiede il senso; la lezione
nelli ò nata certamente dall'aver preso l'aggettivo comuni per un
sostantivo. (2) Intendo ne sostenemo = « ci tratteniamo, ci
asteniamo », coni' è richiesto dal senso e secondo gli esempii citati dal
Vocabolario della Crusca. per avere eloquenzia e sapienzia: e sopra ciò
reca Tulio molti argomenti, li quali debbono e possono così essere,
e tali che conviene che sia pur così, e di tali eh' è onesta cosa
pur di cosi essere ; e sopra ciò ecco il testo di Tulio CICERONE in
lettera grossa, e poi seguisce la disposta in lettera sottile secondo la forma
del libro. Tullio CICERONE. Dunque se noi volemo considerare il
principio d'eloquenzia la quale sia pervenuta in uomo per arte o per
studio o per usanza lo. per forza dì natura, noi troveremo che sia
nato d'onestissime cagioni e che ssia mosso d'ottima ragione, (e. li)
Acciò che fue un tempo che in tutte parti isvagavano gli uomini per li
campi in guisa di bestie e conduceano lor vita in modo di fiere, e
facea ciascuno quasi tutte cose per forza di corpo e non per
ragione l.j. d'animo; et ancora in quello tempo la divina religione
né umano officio non erano avuti in reverenzia. Neuno uomo avea veduto
legittimo managio, nessuno avea connosciuti certi figliuoli, né aveano
pensato che utilitade fosse mantenere ragione et agguallianza. E così per
errore e per nescìtade la cieca e folle ardita signorìa dell'animo, cioè
la cupìditade, per mettere in opera sé medesima misusava le forze del
corpo con aiuto dì pessimi seguitatori. Lo sponitore. In questa parte
del prologo vogliendo Tulio CICERONE dimostrare che ELOQUENZA nasce e
muove jper cagione e 2.5. per ragione ottima et onestissima, sì
dice come in alcuno tempo erano gli uomini rozzi e nessci come
bestie; e del 3: ìl-m tale
.1/' jdii' che cosi sia - 4 : m pure ili dovere così essere-, .1/' de
pur essere .5 J/ ' la
spositione 9-tO: .»/' o per l'orca di
natura o per usanca H: m d'ottime
chagioni 7 ragione 12: il-m in
tempo 13: it^ lor vita per li campi in
modo de bestie 7 de fiere 14: i/'
om. e [non p. r.| M maritaggio M
iihylosofi, m lilosafi 18: M j gualianoa
- 19: il^-L ignoranza, m necessitade
.»A' la cieca la folle 7 ardita
20: M-m per mette M-m (fuivi
susavano, l. masusavano 21:31' seguitori
23: M-1U nm. quarta 24: m om. e
per ragione 26: il' nefa, m
noscii. l'uomo dicono li filosofi, e la santa scrittura il conferma,
che egli è fermamento di corpo e d' anima razionale, la quale anima per
la ragione eh' è in lei àe intero conoscimento delle cose. 2. Onde dice
Vittorino: Sì come menoma la forza 5. del vino per la propietade del
vasello nel quale è messo, cosie r anima muta la sua forza per la
propietade di quello corpo a cui ella si congiunge. Et però, se quel
corpo è mal disposto e compressionato di mali homori, la anima per gravezza del
corpo perde la conoscenza delle cose, sì che appena puote discernere bene
da male, sì come in tempo passato neir anime di molti le W quali erano
agravate de' pesi de' corpi, e però quelli uomini erano sì falsi et
indiscreti che non conosceano Dio né lloro medesimi. Onde misusavano le
forze del corpo uccidendo l'uno l'altro, tol 15. liendo le cose per forza
e per furto, luxuriando malamente, non connoscendo i loi'o proprii
figliuoli né avendo legittime mogli. Ma tuttavolta la natura, cioè la
divina disposizione, non avea sparta quella bestialitade in tutti gli uomini
igualmente; ma fue alcuno savio e molto bello dici 20. tore il quale,
vedendo che gli uomini erano acconci a ragionare, usò di parlare a lloro per
recarli a divina connoscenza, cioè ad amare Idio e '1 proximo, sì come lo
sponitore dicerà per innanzi in suo luogo; e perciò dice Tulio nel testo
di sopra che eloquenzia ebbe cominciamento per 25. onestissime
cagioni e dirittissime ragioni, cioè per amare Idio e '1 proximo, che
sanza ciò l' umana gente non arebbe durato. 4. Et là dove dice il testo
che gli uomini isvagavano per li campi intendo che non aveano case né
luogo, 1: M' i figluoli (corretto poi lilosofi) M' sucra
S : M' eh ehi ì\ l'ormato 3:
intero è in M'-L; il lùlo (incerto?), m inerito
4: M Ondee 7 : m al (|uale 8: M-m mali hiiomini 9: m per la gravezza .«' de corpo iO: M bone dal mali', hi il
bone dal male il: M'-L animo .V-m i quali erano agravate, M'-L li quali
orano aggravati i2: W del peso de corpi,
L de' pesi del corpo V in lor medesimo
14: lU-m Ivi susavano 18:
M-m nonn ào M bestilitade 10: M' oiii. savio o SI: W tralloro 23: M' qa\ dinanzi - S4: W e cornine, >S
ha cornine. 26-27: »l' non averla
durata, L non avrìa durato i« K
colà. (1) È lezione congetìurale, ma l'unica possìbile : le quali
si cambiò facilmente in li quali (o i quali) per effetto del molti che
precedeva, e da li quali, naturalmente, venne in M'-L anche il maschile
angraoati invece di aggravate. Che si tratti solo delle animo risulta da
tutto il periodo, e in particolare dallo parole - la anima per gravezza
del corpo ». ma andavano qua e là come bestie. 5. Et là dove dice
che viveano come fiere intendo che mangiavano carne cruda, erbe crude
et altri cibi come le fiere. 6. Et là dove dice « tutte cose quasi
faceauo per forza e non per ragione » 5. intendo che dice « quasi » che
non faceano però tutte cose per forza, ma alquante ne faceano per ragione
e per senno, cioè favellare, disidejare et altre cose che ssi
muovono dall' animo. Et là dove dice che divina religione non era
reverita intendo che non sapeano che Dio (D fosse. Et là dove dice dell'
umano ofiìcio intendo che non sapeano vivere a buoni costumi e non conosceano
prudenzia né giustizia né l'altre virtudi. Et là dove dice che non
mauteneano ragione intendo « ragione » cioè giustizia, della quale dicono
i libri della legge che giustizia è perpetua e 15. ferma volontade
d'animo che dae a ciascuno sua ragione. Et là dove dice « aguaglianza »
intendo quella ragione che dae igual i)ena al grande et al piccolo sopra
li eguali fatti. Et là doye dice « cupiditade » intendo quel vizio
eh' è contrario di temperanza; e questo vizio ne -conduce 20. a
disidei-are alcuna cosa la quale noi non dovemo volere, et inforza nel
nostro animo un mal signoraggio, il quale noi permette rifrenare da' rei
movimenti. 12. Et là dove dice « nescitade » intendo eh' è nnone
connoscere utile et inutile; e però dice eh' è cupidità cieca per lo non
sapere, 25. e che non conosce il prode e '1 danno. 13. Et là dove
dice « folle ardita » intendo che folli arditi sono uomini matti e
ratti a ffare cose che non sono da ffare. 14. Et là dove dice « misusava
le forze del corpo » intendo misusare cioè i-2: M-m om. Et
là.... come licre 3 : M erbi ciiiili,
.1/' 7 erbe crude 4-6: m l'aceano quasi
per forza; poi, saltando al 2° forza, continua: ma al([uanle ecc. 7: .i/'-L dice quasi perciò ke ne
faciano | tutte cose per forza 7 non per ragione intendo Ice dice quasi,
ma alquante ne faceano M' che muovono 9:
M-m chi idio 11: .1/' ne
prudenza 14: m' de legge 14-15: m' ferma 7 perpetua voluntà /": .1/ egual 18: M'
mìsfacti M lae .V quello e poi rasura su cui altra mano
scrisse apetito, t quello che contrario, S quello appetite V om. noi -
22: M-m non permette M-m necessilade, .V ignoranza che non conosce il
prode ol danno ~ m intendo che non è
m dal danno 27: .M-m e tratti, L
orati 2é?: J/ emusavano, jiiemisusavano
.u misusere, .V' misure, L misusare
m che misusare è usare. Cioè « che Dio esistesse ». Così mi par
preferibile per il senso; e la lezione di M-m è facilmente spiegabile da
un che Mio diventato eh' idio, chi dio; è vero però che le ragioni
paleografiche varrebbero anche per il caso inverso. usare in mala parte ;
che dice Vittorino che forza di corpo ci è data da Dio per usarla in fare
cose utili et oneste, ma coloro faceano tutto il contrario. Ora à detto
lo sponitore sopra '1 testo di Tulio le cagioni per le quali eloquenzia
cominciò a parere. Omai dicerae in che modo appario e come si trasse
innanzi. Nel quale tempo lue uno uomo grande e savio, il quale cognobbe
che materia e quanto aconciamento avea nelli animi delli uomini a
grandissime cose chi Ili potesse dirizzare e megliorare per comandamenti.
Donde costrinse e raunò in uno luogo quelli uomini che allora erano
sparti per le campora e partiti per le nascosaglie silvestre ; et
inducendo loro a ssapere le cose utili et oneste, tutto che alla prima
paresse loro gravi per loro disusanza, poi T udirò 15.
studiosamente per la ragione e per bel dire; e ssì Ili arecò umili e
mansueti dalla fierezza e dalla crudeltà che aveano. Lo
sjaonitore. 1. In questa i)arte vuole Tulio dimostrare da cui e
come cominciò eloquenzia et in che cose ; et è la tema cotale
20. In quel tempo che Ila gente vivea così malamente, fue un uomo
grande per eloquenzia e savio per sapienzia, il quale cognobbe che
materia, cioè la ragione che l' uomo àe in sé naturalmente per la quale
puote l' uomo intendere e ragio nare, e l'acconciamento a fare
grandissime cose, cioè a ttenere i)ace et amare Idio e '1 proximo, a
ffai-e cittadi, castella e magioni e bel costume, et a ttenere iustitia
et a vivere ordinatamente se fosse chi Ili potesse dirizzare, cioè
ritrarre da bestiale vita, e mellioi-are per comandamenti, cioè per
insegnamenti e per leggi e statuti che Ili 2: M' om. ci 3-4: M-iii Or o della la sposilione 5: M-m loninciò (hi coro). 7 pare M' oggimai
6: M-m apparve 8: il' uno buono iO: 31' adrinure 12: M-m per
campora 12-13: M-w le nascose selve 13:
M-m et facciendo loro assapere 14: M'
grave - L'i: M' si Hi recò 16: M'
crudelilà 23: M-m nm. l'uomo 24 : M-m el lo ncomincianiento, L el
chominciamenlo 25: M'el ad amare ~ 26:
M' 7datener 27: M' chi le polesse
adrifrure - m om. potesse 28: M' enirare
da b. v. afrenasse (1). 2. Et qui cade una quistione, che
potrebbe alcuno dicere: « Come si potieno melliorare, da che non
erano buoni? >. A cciò rispondo che naturalmente era la ragione
dell'anima buona; adunque si potea migliorare nel 5. modo eh' è detto. 3.
Donde questo savio costrinse - e dice che i « costrinse » però che non si
voleano raunare - e raunò - e dice « raunò » poi che elli vollero. Che '1
savio uomo fece tanto per senno e per eloquenzia, mostrando belle
ragioni, assegnando utilitade e metendo del suo in 10. dare
mangiare e belle cene e belli desinari et altri piaceri, che ssi raunaro
e patiero d'udire le sue parole. Et elli insegnava loro le cose utili dicendo:
« State bene insieme, aiuti l'uno l'altro, e sarete sicuri e forti; fate
cittadi e ville *. Et insegnava loro le cose oneste dicendo : « Il
pic 15. colo onori il grande, il figliuolo tema il suo padre »
etc. Et tutto che, dalla prima, a questi che viveano bestialmente paresser
gravi amonimenti di vivere a ragione et ad ordine, acciò eh' elli erano
liberi e franchi naturalmente e non si voleano mettere a signoraggio,
poi, udendo il bel dire 20. del savio uomo e considerando per
ragione che larga e libera licenzia di mal fare ritornava in lor gi"ave
destruzione et in periglio de l'umana generazione, udirò e miser
cura a intendere lui. Et in questa maniera il savio uomo li ritrasse di
loro fierezza e di loro crudeltade - e dice « fierezza » perciò che viveano
come fiere; e dice « crudeltade » perciò che '1 padre e '1 figliuolo non
si conosceano, anzi uccidea l'uno l'altro - e feceli umili e mansueti,
cioè volontarosi di ragioni e di virtudi e partitori (2) dal male.
1 : m rafrenasse, S affrenassono
J/ " Et acade, L e ecci una (\.
2 : il poneno (cerio per falsa lettura di potieno; cfr. Wiese in
Zeilsch. f. Rom. Pini., VII, 330, g i33), m il' poteano 4: m dunque
6: it-iii om. che i 9: W
l'utilitade i^l' metendo '1 suo 10: m mangiare
cene e desinari 19: il sottomettere
20-23: it-m om. e considerando.... il savio uomo 23-24: m si ritrassono 24: il lore fier., M' lor fior, me dalloro crud. 24-25: H-m om. e dice.... crudeltade 26: il' e li figluoli (ma L el
figliuolo) - 28: il' partito, l. e'dipirtironsi, s partiti.
(1) Parrebbe preferibile la lezióne di &'; ma è significativo il
fatto che tutti i mss. abbiano il singolare. Invece di condannarlo come
corruzione comune, basta pensare che sostantivi astratti come « insegnamenti,
leggi e statuti » siano considerati formanti un complesso unico, sì da farli
equivalere al singolare (p.es. «ciò»); e quest'uso del verbo è attestato
da un altro passo di Brunetto, IO, 3, e dal Varchi, Ercolano, ediz.
Bottari (Firenze Senza ricorrere ai facili accomodamenti, conservo la lezione
di M intendendo « partitore » in senso riflessivo : « colui che si parte, che
si allontana ». Cfr. Manuzzi. Or à detto CICERONE chi cominciò eloquenzia
et intra cui e come; or dicerà per che ragione, eanza la quale non
potea ciò fare. Tullio. Per la qual cosa pare a me che
Ha sapienzia tacita e povera di parole non arebbe potuto fare
tanto, che così subitamente fossero quelli uomini dipartiti dall'antica e
lunga usanza et informati in diverse ragioni di vita. Lo
sponitore. In questa parte dice Tulio la ragione sanza la quale
non si potea fare ciò che fece '1 savio uomo; e dice sapienzia tacita
quella di coloro che non danno insegnamento per parole ma per opera, come fanno
' romiti. Et dice « povera di parole » per coloro che '1 lor senno
non sanno addornar di parole belle e piene di sentenze a ffar
credere ad altri il suo parere. Et per questo potemo intendere che picciola
forza è quella di sapienzia s'ella nonn è congiunta con eloquenzia, e
potemo connoscere che sopra tutte cose è grande sapienzia congiunta con
eloquenzia. Et là dove dice « così subitamente » intendo che quello
savio uomo arebbe bene potuto fare queste cose per sapienzia, ma non cosi avaccio
né così subitamente come fece abiendo eloquenzia e sapienzia. Et là dove
dice « in diverse ragioni di vita » intendo che uno fece cavalieri, un
25. altro fece cherico, e così fece d'altri mistieri.
Tullio. 7. Et così, poi che Ile cittadi e le ville fuoron
fatte, impreser gli uomini aver fede, tener giustizia et usarsi ad
obedire l'uno l'altro per propia volontarie et a sofferire pena et
affanno non solamente 2 : M-m om. e come sanza (luale
5: M-m Per ((ualcosa - 7 : M' luioniiiii quelli 13: M' i romiti,
m li romiti 14: M-m alloro senno, L in
loro senno i7: M-m om. che i9: M' giunta
22: Af' si avaccio 23: M-m om. e
sapienzia 28: m ad avere lede 7
tenere.... adusarsi M l'uno a
l'altro. A qualcuno e sapienzia potrà sembrare un'aggiunta arbitraria; ma
siccome non è inutile, preferisco mantenerlo. per la comune
utilitade, ma voler morire per essa mantenere. La qual cosa non s'arebbe
potuta fare d) se gli uomini non avessor potuto dimostrare e fare credere per
parole, cioè per eloquenzia, ciò che trovavano e pensavano per sapienzia.
8. Et certo chi avea forza e 5. podere sopra altri molti non averla
patito divenire pare di coloro ch'elli potea segnoreggiare, se non
l'avesse mosso sennata e soave parladura; tanto era loro allegra la
primiera usanza, la quale era tanto durata lungamente che parea et era in
loro convertita in natura. Donde pare a me che così anticamente e da
prima nasceo e mosse eloquenzia, e poi s'innalzò in altissime utilitadi
delli uomini nelle vicende di pace e di guerra. Lo sponitore.
I. In questa parte dice Tulio che cciò che sapienzia non avrebbe
messo in compimento per sé sola, ella fece 15. avendo in compagnia
eloquenzia; e però la tema èe cotale: Si come detto è davanti, fuoro gli
uomini raunati et insegnati di ben fare e d'amarsi insieme, e però fecero
cittadi e ville; poi che Ile cittadi fuor fatte impresero ad avere
fede. Di questa parola intendo che coloro anno fede che 20. non
ingannano altrui e che non vogliono che lite né discordia sia nelle cittadi, e
se vi fosse sì la mettono in pace. Et fede, sì come dice un savio, è Ila
speranza della cosa promessa; e dice la legge che fede è quella che
promette l'uno e l'altro l'attende. Ma Tulio medesimo dice in
un altro libro delli offici che fede è fondamento di giiistizia,
veritade in parlare e fermezza delle promesse; e questa ée quella virtude
eh' é appellata lealtade. E così sommatamente loda Tulio eloquenzia con
sapienzia congiunta, che 2: ilf'-£ potuto - M' om. non 4: Jlf> Certo 5: M-m vinavea charebbono potuto divenire
paii 6: M-m chelli poteano, M^-L cui
potea M-m santa 7: M^-L allegrezza 8-9 : M era converita la loro natura, m era
convertila in loro natura 9 : m onde
14-15: M^ il fece in compagnia d'eloquentia.... si ò cotale M-m detto oe
dinanci 19: 3/' fede, 7 di q. p.
PO : M^ om. e o discordia 21-22:
M-m in pace et in fede m om. è -
23: M^ quello, ma L quella 26: M-m et
intermezza M' delenpromesse 27: M legheltade (?«a cfr. Texor., XVII,
15) M somatamente, m asommatam.
congiunta con sapienzia. (1) Sarà certo da legger così, e non
sarebbe si sarebbe, poiché di quest'uso dell' ausiliare avere presso gli
antichi non mancano esempli sicuri : cfr. la nota di M. Barbi nella sua
ediz. della Vita Nuova, 2, e ciò che aggiunse il Parodi in Bullett. della
Soc. Bant. Lo stesso si dica per s'arebhono del commento, sanza ciò le
grandissime cose non s'arebbono potute mettere in compimento, e dice che poi àe
molto de ben fatto in guerra et in pace. Et per questa parola intendo che
tutti i convenenti de' comuni e delle speciali persone corrono
per due stati o di pace o di guerra, e nell' uno e nell'altro bisogna la
nostra rettorica sì al postutto, che sanza lei non si potrebbono mantenere.
Tullio. Ma poi che Ili uomini, malamente seguendo la vìrtude
sanza 10. ragione d'officio, apresero copia di parlare, usaro et
inforzaro tutto loro ingegno in malizia, per che convenne che ile cittadi
sine guastassero e li uomini si comprendessero di quella ruggine, (e.
Ili) Et poi che detto avemo la cumincianza del bene, contiamo come
cuminciò questo male. Poi che CICERONE avea detto davanti i beni che
sono advenuti per eloquenzia, in questa parte dice i mali che sono
advenuti per lei sola sanza sapienzia; ma perciò che Ila sua intentione è
più in laudarla, sì appone elli il male a coloro che Ila misusano e non a
Ilei. 2. Et sopra ciò la tema è cotale: Furono uomini folli sanza
discrezione, li quali, vegga ndo che alquanti erano in grande onoranza
e montati in alto stato per lo bell.o parlare ch'usavano secondo li
comandamenti di questa arte, sì studiaroO solo in parlare e tralasciare lo
studio di sapienzia, e divennero sì copiosi in dire che, per l'abondanza
del molto parlare sanza condimento di senno, che (2) cumìnciaro a
mettere cioè 2: M-in
che poi {ni, om. poi) a molli a Dio ben facto
-J: M om. duri stali i 1 : M
conviene, M' conveiiia IS: M-m om. e li
uomini si comprendessero 13: M \a
cunincianza (e cluininciò)3/' il cuminciamento
16: m ave... dinanzi 18: M^ dopo advenuti ripete per
eloquenlia in quesUi parte (ma ri son trticiie di etpunzione) 19: m om. elli 20: M El perciii 24: M' il comandamento.... studiavano
25 : ilf intralassai-o, m e lasciaro - 20: M' de molto m om. elio. (1) Invece di si
studiavo credo preferibile studiavo in senso assoluto, come già si è
trovato, 3, § e studia puro in dire le parole. Sintatticamente questo che ò
pleonastico; ma ò attestato da ambedue le famiglie di codici e non
costituisce una rarità per il nostro volgare antico (anzi, per Brunetto
stesso, cfr. IO, 1: avegna che ma tutta volta). sedizione e
distruggi mento nelle cittadi e ne' comuni et a corrompere la vita degli
uomini; e questo divenia però ch'ellino aveano sembianza e vista di
sapienzia, della quale erano tutti nudi e vani. 3. Et dice Vittorino che
eloquenzia 5. sola èe appellata « la vista », perciò che ella fae parere
che sapienzia sia in coloro ne' quali ella non fae dimoro. Et
queste sono quelle persone che per avere li onori e F uttilitadi delle
comunanze parlano sanza sentimento di bene; così turbano le cittadi et
usano la gente a perversi costumi. Et poi dice Tulio: Da che noi avemo
contato '1 principio del bene, cioè de' beni che avenuti erano per
eloquenzia, si è convenevole di mettere in conto la 'ncumincianza
del male chende seguitò. Et dice in questo modo nel testo:
Tullio tratta della comincianza del male 15. adveniito per
eloquenzia. Et certo molto mi pare verisimile: in alcuno tempo gli
uomini che non erano parlatori et uomini meno che savi non usavano tramettersi
delle publiche vicende, e che W gli uomini grandi e savi parlieri non si
trametteano delle cause private. E con ciò 20. fosse cosa che
sovrani uomini regessero le grandissime cose, io mi penso che furo altri
uomini callidi e vezzati i quali avennero a trattare le picciole
controversie delle private persone; nelle quali controversie adusandosi
gli uomini spessamente a stare fermi nella bugia incontra la verità,
imperseveramento di parlare nutricò arditanza 25. 11. Sì che per le
'ngiurie de' cittadini convenne per necessitade che' maggiori si
contraparassono agli arditi e che ciascuno atoriasse le sue bisogne; e
così, parendo molte fiate che quello eh' avea impresa sola eloquenzia
sanza sapienzia fosse pare o talora più innanzi che quello che avea
eloquenzia congiunta con sapienzia, i-2: m nelle loro
ciltadi M' om. et a corr.... uomini 2: m avenia
3 kelli aveano sombianca de giusta sap. 4: m om. Et
6: M' li quali 7: M' questi 10: m om. Et 11: M' bone kavenuto era - 12: 1/' il
cominciamento i3: Jlf chende seguita,
j/i che ne seguita - 16: M et certo mo, la Certo modo M meno di savi, m
ch'erano meno che savi 17-18: M-m
non sapeano, L non osavano M-m om.
e 19: Jlf sintrametteano dele cose 21: M-m om. uomini M verrali
3f' vennero 22: M' om.
delle pr.... controversie 23: M-m om.
spessamente 24: M' il persev. - 26: M'
aiutasse m adornasse 29: M'
giunta. Un costrutto più regolare si avrebbe sopprimendo il che o
inserendone un altro dopo verisimile; appunto. per questo conservo' il
che, non sembrando probabile che un copista volesse complicare di suo. Questa
maggiore libertà sintattica non è nuova. aveni'a che, per giudicio di
moltitudine di gente e di sé medesimo paresse essere degno di reggiere le
publiche cose. E certo non ingiustamente, poi che' folli arditi
impronti pervennero ad avere reggimenti delle comunanze, grandissime
e miserissime tempestanze adveniano molto sovente; per la qual cosa
cadde eloquenzia in tanto odio et invidia che gli uomini d'altissimo
ingegno, quasi per scampare di torbida tempestade in sicuro porto, così
fuggiendo la discordiosa e tumultuosa vita si ritrassero ad alcuno altro queto
studio. Per la qual cosa pare che per la loro posa li altri dritti et
onesti studii molto perseverati vennero in onore. Ma questo studio di
rettorica fue abandonato quasi da tutti loro, e perciò tornò a neente, in
tal tempo quando più inforzatamente si dovea mantenere e più
studiosamente crescere; perciò che quando più indegnamente la
presumptione e l'ardire de' folli impronti manimettea e guastava la cosa
onestissima e dirittissima con troppo gravoso danno dei comune, allora
era più degna cosa contrastare e consigliare la cosa publica. Della qual
cosa non fugìo il nostro Catone né Lelius né, al ver dire, il loro
discepolo Àffricano, né i Gracchi nepoti d' Àffricano, ne' quali uomini
era sovrana virtude et altoritade acresciuta per la loro sovrana virtude;
sì che la loro eloquenzia era grande adornamento di loro et aiuto e
mantenimento della comunanza. Lo sponitore. In questa
parte divisa Tulio come divennero quelli due mali, cioè turbare il buono
stato delle cittadi e corrompere la buona vita e costumanza delli uomini; et
avegna che '1 suo testo sia recato in sie piane parole che molto
fae da intendere tutti, ma tutta volta lo sponitore dirae alcune
parole per più chiarezza. 2. Et è la tema cotale: La elo 1 : M-m
avogiia 2: M per essoi-o degno d'essere
7 di reggiere, M' paresse degno de reggere 3: M' poi ke fuor iaiditi in pronti, m
enpronti 4-5 : M' pervennero i
reggìm. 7 de miserissime tempeste spessamente
7 : M' lempcstande * : M-m
la discordia (m echontumulosa) 9 :
Tutti i mss. questo, S posato - M-m possa
i i : itf ' do tutto loro " i4: M dì [olii 18-19: M ne nelilio - M-m om. nò i G. n.
d'AII'ricano Jlf' erano sovrane vertudi
26: M' la vita 7 la buona costumanca - 27: M< suo stato m in se
28: itf' om. tutti, ma M' alcuna
parola S9: Af' Et la tema 6
cotale. De la el. ecc. È possibile tanto la lezione di Af quanto
quella di m; ma proferisco questa perchè corrisponde alle parole del
commento, § 6: « pareano essere degni». Il testo latino ha studium aliquod
quieUtm. Lo scambio di queto por questo era facilissimo, e forse risalo
r.llo iirimo copio. quenzia mise in sì alto stato i parladori savi e
guerniti di senno, che per loro si reggeano le cittadi e le
comunanze e le cose publiche, avendo le signorie e li officii e li onori
e le grandi cose, e non si trametteano delle cause private, cioè 5.
delle vicende delli uomini speciali, né di fare lavoriere né altre picciole
cose. Ma erano altri uomini di due maniere: l'una che non erano
parlatori, l'autra che non aveano sapienzia, ma erano gridatori e favellatori
molto grandi; e questi non si trametteano delle cose publiche, cioè
delle signorie e delli officii e delle grandi cose del comune, ma
impigliavansi a trattare le picciole cose delle private persone, cioè delli
speciali uomini. 3. Intra' quali furono alcuni calidi e vezzati - cioè
per la fraude e per la malizia che in loro regnava parea ch'avesse in
loro sapienzia-; e questi s' ausarono tanto a parlare che, per molta
usanza di dire parole e di gridare sopra le vicende delle speciali
persone, montare in ardimento e presero audacia di favellare in
guisa d'eloquenzia tanto e sì malamente che teneano la menzogna e la
fallacia ferma contra la veritade. Onde, per li grandi mali che di ciò
adveniano, convenne che' grandi, ciò sono i savi parladori che reggeano
le grandi cose, venissero et abassassero a trattare le picciole
vicende di speciali persone, per difendere i loro amici e per contastare
a quelli arditi. Et nota che arditi sono di due ma 25. niere : l' una che
pigliano a fifare di grandi cose con provedimento di ragione, e questi sono
savi; li altri che pigliano a ffare le grandi cose sanza provedenza di
ragione, e questi sono folli arditi. 5. Donde in questo contrastare i
buoni e savi parlavano giustamente, ma i folli arditi, che non
aveano 30. studiato in sapienzia ma pure in eloquenzia, gridavano
e garriano a grandi boci e non si vergognavano di mentire e di dire
torto palese; sicché spessamente pareano pari di senno e di parlare e
talvolta migliori. Sì che per sentenza 4 : M' om. e non s.
t. d. cause 5: M-m ont.aò 6: m odaltre p. o. 7
M< parliei-i iO: M' de comuni dele piccole cose cioè che jier
la lYaude ecc. parean (/^ parea) cavassero sapienlia lo.- 3f< pei' la
molta 17: M^ presero baldanza 19: M' contro alla verità 20: A/' ohi. che d. e. adveniano m avenia savi e parladori m le
cittadi 23: M' appilgliano a taro le g.
e. 26: M^ om. di ragione L l'altra 27: L provedimento 31-32: Me dire,moHi. mentire e di 33:M' talocta m. visi che p.s Cosi
leggo con M, piuttosto che lavogarie di ilf' o lavorìi di m: oltre a
lavareria, il Manuzzi registra esempii di lavoriera. del popolo,
la quale è sentenzia vana perciò che non muove da ragione, e per sentenza
di sé medesimo, la quale è per neente, pareano essere degni di covernare
le publiche e le grandi cose, e così furo messi a reggere le cittadi et
alli 5. officii et onori delle comunanze. Et poi che cciò avenne,
non fue meraviglia se nelle cittadi veniano grandissime e miserissime
tempestadi. Et nota che dice « grandissime » per la quantità e che duraro
lungamente, e dice « miserissime » per la qualitade, ch'erano aspre e
perilliose chende 10. moriano le persone ; e dice « tempestanza »
per similitudine, che sì come la nave dimora in fortuna di mare e
talvolta crescono (i) in tanto che perisce, così dimora la cittade
per le discordie, et alla fiata montano sicché periscono in sé
medesime e patono distruzione. « Per la qual cosa eloquenzia cadde in tanto
odio et invidia »... Et nota che odio non é altro se nno ira invecchiata;
e così i buoni savi erano stati lungamente irosi, veggiendo i folli
arditi segnoreggiare le cittadi. Et invidia è aflizione che omo àe per
altrui bene; donde i buoni savi aveano molta aflizione per coloro
ch'erano segnori delle grandi cose et erano in onore. 8. Et perciò
li buoni d'altissimo ingegno si ritrassero di quelle cose ad altri
queti studii per scampare della tumultuosa vita in sicuro porto. Et nota:
là dove dice « altissimo ingegno » dimostra bene eh' arebboro potuto e
saputo contrastare a' folli arditi, e perciò che no '1 fecero furo bene da
riprendere. Et in ciò che dice « queti studi » intendo l' altre scienze
di filosofia, sì come trattare le nature delle divine cose e delle
terrene, e sì come l'etica, che tratta le virtudi e le costumanze; et
appellali « queti studii » che non trattano di parlare in comune, e perciò che
ssi stavano partiti dal remore delle genti. Et appella « vita tumultuosa
» che 2: Jl/i per ragione ~ 4: M furoro, M^ fuoro 7 : M-m ismisuratissime ~ 8: SI durano,
m duravano quantitade.... s\ elione moriano - 10: M' tempestade 14: M' medesimo ~ 15: m om. Et 16: m buoni e savi 18: m om. Et
m i'uomo... l'altrui SO: M> et
in lionore erano m ad altre M-m questi, M' certi om. Et noia la dove 25 : M-m non fecero 26 : Tutti i mss questi 27 : M de trattare 28: M-m sicome dice che l. 29: M^ appellasi, L appellansi mss. questi Cosi hanno tutti i codici; ma
forse dopo crescono è andato perduto un soggetto, richiesto dal senso o dalla
sintassi, come i venti o l'onde (abbiamo anche altrove la prova che le
due famiglie di codici risalgono a un capostipite già corrotto). Pure non
sarebbe impossibile sottintendere dal precedente fortuna un soggetto le
fortune. spessamente l'iiuo uomo assaliva l'altro in cittade
coll'arme e talvolta l'uccideva. 9. Et poi che' savi intralassar lo
studio d'eloquenzia, ella tornò ad neente e non fue curata uè pregiata.
Ma l'altre scienzie di filosofia, nelle quali studiaro, montaro in grande
onore. Et ora riprende Tulio questi savi e dice che fecior questo a quel
tempo che eloquenzia avea più grande bisogno per lo male che faceano i
folli arditi nelle cittadi, e perchè guastavano la cosa onestissima e
dirittissima, cioè eloquenzia che ssi pertiene alle cose oneste e diritte.
U. Dalla qual cosa non fugio il nostro Catone né quelli altri savi
ch'amavano drittamente il comune et aveano senno e parlatura; ma dimoraro fermi
a consigliare et a difendere il comune da'garritori folli arditi; e però
montaro in onore et in istato sì grande che le loro dicerie erano tenute
sentenze, e perciò dice che in loro era autoritade, che autoritade èe una
dignitade degna d' onore e di temenza. Ma da questo si muove il
conto e ritorna a conchiudere per ragioni utili et oneste e possibili e
necessare che dovemo studiare in eloquenzia, lodala in molte guise. CICERONE
conclude che sia da studiare in rettorica. Per la qual cosa, al mio animo,
non perciò meno è da mettere studio in eloquenzia s' alquanti la misusano
in publiclie et in private cose; ma tanto più clie ' malvagi non abbiano
troppo di podere con grave danno de' buoni e con generale distruzione di
tutti. Maximamente cun ciò sia la verità che rettorica è una cosa la
quale molto s'appartiene a tutte cose, è publiche e private, e per essa
diviene la vita sicura, onesta, inlustre e iocunda; e per essa medesima
molte utilitadi avengono in comune se fia presta la modonatrice di
tutte cose, cioè sapienzia; e per lei medesima abonda a coloro che
H'acquistano lode, onore, dignitade; e per essa medesima anno li amici
certissimo e sicurissimo aiutorio. 1: M-m spesse volte 2: m tralassaro 8: m le chose honestissime 10: M (Iride, m diritte 3f' Dela q. e. 11: M' dirittamente, m om. 12: M' dimorato y f.: M 7 folli arditi,
£ e da f. a. 14: M^ J montaro
perciò 18: m e torna, M 7 condoura
tornerà per ragioni, L e mosterrà per rag.
Jlf-;» honesti ~ 19: M -m necessarie 20: m lodarla ^3: M* misuna, corretto poi misusa 27: M' molto pertièno devegna 28: M> y hon. 7 illustra 7 gioconia, m
illustra 29: M sia 31: M^-m 7 honore 7 dignitade. La
tema di questo testo è cotale, (H che dice Tulio: Se alquanti di mala
maniera usano malamente eloquenzia, non rimane pertanto che 11' uomo non
debbia studiare in 5. eloquenzia, al mio animo (cioè per mia sentenza),
acciò che ' rei uomini non abbiano podere di malfare a' buoni né di
fare generale distruzione di tutti. Et nota che distrutti sono coloro che
soleano essere in alto stato et in ricchezza e poi divennero in tanta
miseria che vanno men 10. dicando. 2. Et poi dice le lode di rettorica,
come tocca al comune et al diviso, e come per lei diviene l'uomo
sicuro, cioè che sicuramente puote gire a trattare le cause, et appena
troverai (2) chi '1 sappia contradiare ; e dice chende diviene la vita «
onesta », cioè laudato intra coloro che '1 15. cognoscono; e dice
«illustre», cioè laudato intra li strani; e dice « ioconda », cioè vita
piacevole, però che ' savi parlieri molto piacciono ad sé et altrui. 3. Et
altressi molto bene n'aviene alle comunanze jier eloquenzia, a questa
condizione : se sapienzia sia presta, cioè se ella sia adiunta
con eloquenzia. Et dice che sapienzia è amodenatrice di tutte cose
però che ella sae antivedere e porre a tutte cose certo modo e certo
fine. 4. Et poi dice che questi che anno eloquenzia giunta con sapienzia sono
laudati, temuti et amati; e dice che Ili amici loro possono di loro avere
aiutorio sicurissimo, però che appena fie chi Ili sappia contrastare,
poiché sanno parlare a compimento di senno. Et dice « certissimo » però che '1
buono e '1 savio uomo non si lascia M-m Lo testo èe cotale, M'-L La tema
de questo è cotale 3: M' aliijuanti
6: M' de fare male 7: m om. nota 9: il' divegnono 11: M huomo siguro 13: M' troverà 14: M-m laudata.... che cognoscono 15: M' illustra, L illustro 17: A/' ad
altri M-m nm. Et altressi e n 19: Hin
presta M' giunta 21 :M siae ad intivedere, m a ad antivedere 22: m om. Et
23: M^ 7 temuti 25: m Tia
chelli sappia, M' fie chelli il sappia
37: M non so lascia. Anche la lezione di ilf è possibile, ma forse
nacque da un accomodamento arbitrario del testo già corrotto. Invece
quella di M' è spiegabilissima collomissione della parola testo (la somiglianza
con questo rese più facile l' errore) e riceve conforma dal principio del
capitolo seguente, con quell'uniformità di espressione che è
caratteristica di tutto il commento. (2) Troverai è preferibile
come « lectio difflcillor ». Del resto anche in M' potrebbe trattarsi non di
troverà, ma troverà'. corrompere per amore ne per prezzo né per altra
simile cosa. Et qui si parte il conto e fae nn' ultima conclusione
in questo modo: Tullio conclude in somma. Et però pare a me che gli
uomini, i quali in molte cose sono minori e più fievoli che Ile
bestie, in questa una cosa l'avanzano, che possono parlare ; e donque pare che
colui conquista cosa nobile et altissima il quale sormonta li altri
uomini in quella medesima cosa per la quale gli uomini avanzano le
bestie. La tema in questo testo è cotale : La veritade è che gli
uomini in molte cose sono minori che Ile bestie e più fievoli, acciò che
sanza fallo il leofante e molti altri animali sono più grandi del corpo che
nonn è l'uomo; e certo il leone e molte altre bestie sono più forti della
persona che ir uomo; e più ancora che in tutti e cinque ' sensi
sono certi animali che avanzano lo senso dell'uomo. Che sanza fallo
lo porco salvatico avanza l'uomo d'udire e '1 lupo cerviere del vedere e
la scimmia del saporare, e l'avóltore 20. dell' anasare ad odorare,
e '1 ragnol del toccare. Ma in questa una cosa avanza 1' uomo tutte le
bestie et animali, che elli sa parlare. Donque quello uomo acquista bene
la sovrana cosa di tutte le buone, che di ben parlare soprastae
alli altri uomini. 25. Tullio dice di che elli tratterà 16. Et
questa altissima cosa, cioè eloquenzia, non si acquista solamente per
natura né solamente per usanza, ma per insegnamento d'arte altressi.
Donque non è disavenante di vedere ciò che dicono coloro i quali sopra
ciò ne lasciaro alquanti comandamenti. Ma anzi S: il-m
un'altra condictione 7 : M' costui il-m conquesta 8: M-m la quale; om. li 9 : )» om. cosa e gli uomini 11: il' de questo t. M' molti
huomini.... minori 7 più fievoli chelle bestie 15: U-m om. altre 16: M' che tucti 19-20: M-m 7 l'avóltore dell'odore,
M']j lavoltoio delanasare adodorare, L del savorare e odorare, S et
l'avoltoio del nasare et d'odorare M-M'
7 rangnol, m il rangnolo (ohi. tulli gli e), L a ragnolo M'-L ne! toccare 22: M' chelli sanno - 25: M dico che {ma cfr.
^ \) 27 : M' per la natura 2S: M-m nm. d'arte 29: m certi. che noi diciamo ciò che ssi
comanda in rettorica, pare che sia a trattare del genere d' essa arte e
del suo officio e della fine e della materia e delle sue parti; imperochè
sapute e cognosciute queste cose, più di legieri e più isbrigatamente
potrà l'animo di ciascuno 5. considerare la ragione e ia via
dell'arte. Lo sponitore. 1. Poi che Tulio avea lodata
Rettorica et era soprastato alle sue commendazioni in molte maniere, sì
ricomincia nel suo testo per dire di che cose elli tratterà nel suo
libro. 10. Ma prima dice alcuni belli dimostramenti, perchè l'animo
di ciascuno sia più intendente di quello che seguirà, e così pone fine al
suo prolago e viene al fatto in questo modo: Tullio ae fiìiito il
prolago, e comincia a dire di eloquenzia. Una ragione è delle cittadi la
quale richiede et è 15. di molte cose e di grandi, intra Ile quali è una
grande et ampia parte l' artificiosa eloquenzia, la quale è appellata
Rettorica. Che al ver dire né cci acordiamo con quelli che non credono
che Ila scienzia delle cittadi abbia bisogno d'eloquenzia, e molto ne
discordiamo da coloro che pensano ch'ella del tutto si tegna in forza et
in arte del 20. parladore. Per la qual cosa questa arte di rettorica
porremo in quel genere che noi diciamo ch'ella sia parte della civile
scienzia, cioè della scienzia delle cittadi. Lo
sponitore. I. In questa parte del testo procede Tulio a dimosti-are ordinatamente
ciò che elli avea promesso nella fine del prolago. Et primamente comincia a
dicere il genere di questa arte. Ma anzi che Ho sponitore vada innanzi sì
vuole fare intendere che è genere, perchè l' altre parole siano
meglio intese. Ogne cosa quasi o è generale, sicché comprende molte
altre cose, o è parte di quella generale. Onde questa 1-2:
M' (la tratto, poi corr. da trattar.; 3:
M-m generalmente della decta- arte 3: m però che - 4: M-m più diligente,
M' nm. più 8: M A rinconincia 11 : M' (luelle, ma L quello 14-13: M'-L richiede molte cose grandi 16: M-m cai ver diro 18: M-m
abbiano 30: M-m [lorromo quel
genero SG: m quella S8: M-m y perchè 29: M ìì quasi generale, m è quasi geu. 30: M onde jvirte quella gen.
parola, cioè « uomo », è generale, per ciò che comprende molti,
cioè Piero e Joanni etc, ma questa parola, cioè « Piero, » è una parte- A
questa somiglianza, per dire più in volgare, si puote intendere genere
cioè la schiatta; che 5. chi dice « i Tosinghi » comprende tutti coloro
di quella schiatta, ma chi dice « Davizzo » non comprende se no una
parte, cioè un uomo di quella schiatta. 3. Onde Tulio dice di rettorica
sotto quale genere si comprende, per meglio mostrare il fondamento e Ila
natura sua. Et dice così che Ila 10. ragione delle cittadi, cioè il
reggimento e Ila vita del comune e delle speciali persone, richiede molte e
grandi cose, in questo modo: che è in fatti e 'n detti. 4. In fatti è la
ragione delle cittadi sì come l'arte W de' fabbri, de' sartori, de'
pannar! e l' altre arti che si fanno con mani e con piedi. In detti è la
rettorica e l'altre scienze che sono in parlare. Adonque la scienza del governamento
delle cittadi è cosa generale sotto la quale si comprende rettorica, cioè
l'arte del bene parlare. Ma anzi che Ilo sponitore vada più innanzi,
pensando che Ha scienza delle cittadi è parte d' un altro generale che
muove di filosofia, sì vuole elli dire un poco che è filosofia, per
provare la nobilitade e l'altezza della scienzia di covernare le cittadi.
Et provedendo ciò ssi pruova l'altezza di rettorica. 6.
Filosofia è quella sovrana cosa la quale comprende sotto sé tutte le
scienze; et è questo uno nome composto di due nomi greci : il primo
nome si è phylos, e vale tanto a dire quanto « amore », il secondo
nome è sophya, e vale - tanto a dire quanto « sapienzia ». Onde FILOSOFIA
tanto vale a dire come « amore della sapienzia » ; per la qual cosa
neuno 30. puote essere filosofo se non ama la sapienzia tanto eh'
elli intralasci tutte altre cose e dia ogne studio et opera ad
avere intera sapienzia. Onde dice uno savio cotale difiì / M-m cioè che
comprende 2: Af' nm. o J cioè Piero 5: M' ovi. chi 4-6: m om. tutto
il passo da che « quella schiatla 8: m
om. per 9: M^ demostrare 10: jU'
i reggimenti 12: M-m om. che b 13: Af ' l'arti (ma anche L l'arto) m e de'pannali, .)/ 7 de sartori de
panni 16-17: m o parte d'un altro
generale 1M' de ben p. 20: M in podio 22: m om. della scienzia, 3/' niii. della
scienzia l'altezza 25: M sotto di
sé 26: m fue fdos, .W filis 27 : m om. nome 29: M^ de la scienza 31: M-m tuote l'altre J/' 7 da ~ 32: M-m. ad amare ' M'
Donde. (1) Anche arte potrebbe essere qui un plurale, come in
Tesar., X, 39-40; però lo ronde poco probabile la forma arti che subito
segue. La lezione amare di M-m fu certo suggerita dai precedenti amore e
ama, e basterebbe a farla rifiutare la ripetizione di concetto a cui si
riduce. nizione di filosofia : ch'ella è inquisizione delle naturali
cose e connoscimento delle divine et umane cose, quanto a uomo è
possibile d' interpetrare. Un altro savio dice che filosofia è onestade
di vita, studio di ben vivere, rimembranza della morte e spregio del
secolo. Et sappie che diflfinizione d'una cosa è dicere ciò che quella
cosa è, per tali parole che non si convegnano ad un' altra cosa, e che se
tu le rivolvi tuttavia signiffichino quella cosa. Per bene chiarire
sia questo l'exemplo nella diffinizione dell'uomo, la quale 10. è
questa: « L'uomo è animale razionale mortale ». Certo queste parole si convegnono
sì all'uomo che non si puote intendere d'altro, né di bestia, né
d'uccello, né di pescie, però che in essi nonn à ragione; onde se tue
rivolvi le parole e di' cosi : « (/he è animale razionale e mortale ?
certo non si puote d' altro intendere se non dell' uomo. Or è vero che
anticamente per nescietà delli uomini furon mosse tre quistioni delle
quali dubitavano, e uon senza cagione, però che sopr'esse tre questioni
si girano tutte le scienzie. La p-rima quistione era che dovesse
l'uomo 20. fare e che lasciare. La seconda quistione era per che
ragione dovesse quel fare e quell'altro lasciare. La terza quistione era
di sapere le nature di tutte cose che sono. Et perciò che le questioni
fuoro tre, sì convenne che' savi filosofi (2) partissero filosofia in tre
scienzie, cioè Teorica, 25. Pratica e Logica, si come dimostra
questo arbore. i: M inquistione, m inquestione, L
inqulslione 2: M^ quando 3: M enpossib'ile (5: Mss. quella cosa 7 per t. p. 8: if-M' le rivuoli, L le rivolgi il' el per bene .9-/0: if' lo quale
questo, L la i[ualo questo 16: m
necessità, M' neccssiladc 16-17:
.¥' luiomini in esse (L messe) 18:
sospeso, cnrr. sopresse 19: .1/'
liuomo 20: m la seconda che
lasciare 20-21: lU-m om. la 2"
quistione 22.: M-m om. quistione
M-iii la natura m tutte le oliose - 23:
M-m Et però quelle quistioni furono tre 23-24 : M si convenne i savi
phylosoi)hy che partissero jf > si
conviene -^ 23: M mn. e. (1) Si potrebbe anche leggere (con una
costruzione più regolare ma con una coordinazione poco opportuna) ciò eh'
è quella cosa, e per tali parole ecc. (2) Questa lezione ò comune a
codici di ambedue le famiglie, e perciò la preferisco a quella di M, che pure
si può difendere facendo transitivo conreìtne e intendendo i -savi
filosofi come complem. oggetto. Et la prima di queste scienze, cioè
pratica, è per dimostrare la prima questione, cioè che debbia uomo
fare e che lasciai'e. La seconda scienzia, cioè logica, è per dimostrare
la seconda quistione, cioè per che ragione dovesse quel fare e quello
altro lasciare. 10. Et questa scienza, cioè logica, sì ae tre parti, cioè
dialetica, efidica, soffistica. La prima tratta di questionare e
disputare l'uno coli' altro, e questa è dialetica; la seconda insegna
provare il detto dell' uno (1) dell' altro per veraci argomenti, e questa èe
efidica; la terza insegna provare il detto dell'uno e dell'altro per
argomenti frodosi o per infinte provanze, e questa è sofistica. Et questa
divisione pare in questo arbore. La tex'za scienzia, cioè teorica, si è
per dimostrare le nature di tutte cose che sono, le quali nature sono
tre; 15. e però conviene che questa una scienza, cioè teorica, sia
pai'tita in tre scienzie, ciò sono Teologia, Fisica e Matematica, sì come
dimostra questo arbore. 4: m cioè la ragione 6: m sollislicha, epidicha, M' eflidica
(un'altra mano aggiunse sotìslicha)
7: i/' tractare.... contra l'altro - 9:m, ìt', l e dell'altro i 1 : if infinite M' argomenti frodolenti 7 jier infinita
pruova 12: m apare. (1)
Conservo invece di e, comune a quasi tutti i codici, appunto per la sua
singolarità e perchè sembra indicare una differenza tra l'efldica e la
sofisticala prima dimostra la verità di una delle due parti, la seconda
pretende dimostrare l'una e l'altra parte. Onde la prima di queste tre
scienze, cioè teologia, la quale è appellata divinitade, si tratta la
natura delle cose incorporali le quali non conversano in traile
corpora, sì come Dio e le divine cose. La seconda scienzia, cioè 5.
fisica, sì tratta le nature delle cose corporali, si come sono animali e
He cose che anno corpo; e di questa scienzia fue ritratta l'.arte di
medicina, che, poi che fue connosciuta la natura dell'uomo e delli
animali e de' loro cibi e dell'erbe e delle cose, assai bene poteano li
savi argomentare la saio, nezza e curare la malizia. La terza scienzia, cioè
matematica, sì tratta le nature de le cose incorporali le quali sono
intorno le corpora; e queste nature sono quattro, e perciò conviene che
matematica sia partita in quattro scienze, ciò sono arismetrica, musica,
geometria et astronomia, sì come 15. appare in questo arbore: La
prima scienzia, cioè arismetrica, tratta de' conti e de'nomeri, sì come
l'abaco e più fondatamente. La seconda scienza, cioè musica, tratta di
concordare voci e suoni. La terza, cioè geometria, tratta delle misure e
delle proporzioni. La IV scienza, cioè astronomia, tratta della
disposizione del cielo e delle stelle. Or si torna il conto dello
sponitore di questo libro alla prima parte di filosofia, della quale è
lungamente taciuto, e dicerà tanto d'essa prima parte, cioè di pratica,
25. che pervegna a dire della gloriosa Rettorica. E sì come fue
detto già indietro, questa pratica è quella scienza che dimostra che ssia
da ffare e che da lasciare, e questo è di 3:m traile
corpora 7: #' dela mudicina 9: M' assai poteo bone argomentare isani
10-13 : M-m mltnno da matematica di l. 10 a l. 13 sia partita (m si
e) 16: m om. scien7.ia 17: M' noveri
18: M [a musica SO: M astorlomia M' tracta Io sponilore 22: Af' si
ritorna (L ritorna), m Ora torna lo spoiiiloro alla prima p. 33: m ae, Jtf' oo 24: m della prima
parte 25: m perverrà.
tre maniere: i>erciò conviene che di questa una siano tre
scienze, cioè sono Etica, Iconoiiiica e Politica, sì come mostra la
figura di questo arbore : La prima di queste, cioè etica, sì è
insegnamento di 5. bene vivere e costumatamente, e dà connoscimento
delle cose oneste e dell'utili e del lor contrario; e questo fa per
assennamento di quatro vertudi, ciò sono prndenzia, iustizia, fortitudo e
temperanza, e per divieto de' vizi, ciò sono superbia, invidia, ira,
avarizia, gula e luxuria; e così dimoio, stra etica clie sia da tenere e che da
lasciai-e jier vivere virtuosamente. 16. La seconda scienza, cioè
iconomica, sì 'nsegna che ssia da ffare e che da lasciare per
covernare e reggere il propio avere e la propia famiglia. La terza
scienza, cioè politica, sì 'nsegna fare e mantenere e reggere 15. le
cittadi e le comunanze, e questa, sì come davanti è provato, è in due guise,
cioè in fatti et in detti, sì come si vede in questo arbore:
18. Quella maniera eh' è in fatti sì sono l'arti e' magisterii che in
cittadi si fanno, (i) come fabbri e drappieri e li 1 : M-m però clic
convion(3 3.m am. la ligura ;>: Af' accostumatamente M' om. ira 10: M^ da necnto 1 1: m virtmliosamonte 13: m avere, la patria e la
famiglia 14: m fare, mantenere 7 r. 16: M-M' 7 in due guise M' in detti. 18: m om. tutto il g
18 M' 7 mestieri 19 : M che cittadini fanno (lì Si
rimane incerti fra le due lezioni, perchè il senso è il medesimo e anclie
paleograficamente la differenza è lieve: forse ì citladisi oxìgìno (i)
cittadini'! Adottiamo la lezione un po' più diffìcile. altri
artieri, sanza i quali la cittade non potrebbe durare. Quella eh' è in
detti è quella scien^ia che ss' adopera colla lingua solamente; et in
questa si contiene tre scienze, ciò sono Grramatica, Dialettica, Rettorica,
si come dimostra 5. questo altro albore: Et che ciò sia la verità
dice lo sponitore che gramatica è intrata e fondamento di tutte le liberali
arti et insegna drittamente parlare e drittamente scrivere, cioè
per parole propie sanza barbarismo e sanza sologismo. Adunque sanza gramatica
non potrebbe alcuno bene dire né bene dittare. La seconda scienza, cioè
dialetica, sì pruova le sue parole per argomenti che danno fede alle sue
parole; e certo chi vuole bene dire e bene dittare conviene che mostri
ragioni per che, sicché le sue parole abbiano provanza Ib. in tal
guisa che Ili uditori le credano e diano fede a cciò che dice. La terza
S(!Ìenza ciò è Rettorica, la quale truova et adorna le parole avenanti
alla materia, per le quali l'uditore s'accheta e crede e sta contento e muovesi
a volere ciò eh' è detto. Adonque le tre scienze sono bisogno a
20. parlare et al dittare, che sanza loro sarebbe neente, acciò che
'1 buono dicitore e dittatore de' sì dire e scrivere a diritto e per sì
propie parole che sia inteso, e questo fae gramatica; e dee le sue parole
provare e mostrare ragioni (2), 1 : Af ' artefici sanza
quali le cittadi non potrebbero durare
3: M^ ] questa si contiene 6: m
Et choncio sia la v., L Et cliome ciò sia
7: M' l'arti liberali 9: Mm om. e
sanza sologismo; t-S silogismo 10: M'
om. alcuno I-i: M ragione si che
le s. p. pruova i7 : M-m advoncnti 18-19 : M' per bisogno al parliere et al
dictatore S3: M-m mostrare con ragiono,
L mostrare por ragione Non credo necessario, data l' impossibilità di
distinguer la grafia dei copisti da quella dell' autore, ristabilire la
forma esatta solecismo; la stranezza della parola spiega pure l'omissione di
M-m e lo sproposito di L-S. (2) Che questa sia la giusta lezione è
confermato dal § precedente, 1.16 («ragioni per che ») ; e si noti che mostrare
con ragione o per ragione equivarrebbe a provare. e questo fae
dialetica; e dee sì mettere et addornare il suo dire che, i)oi che 11'
uditore crede, che stia contento e faccia quello eh' e' vuole, e questo
fa Rettorica. Or dice lo sponitore che Ha civile scienza, cioè la covernatrice
delle cit5. tadi, la quale èe in detti si divide in due: che ll'una è co
llite e l'altra sanza lite. Quella co llite si è quella che sisi fa
domandando e rispondendo, si come dialetica, rettoi'ica e lege; quella
eh' è sanza lite si fa domandando e rispondendo, ma non per lite, ma per
dare alla gente insegnamento e via di 10; ben fare, sì come sono i
detti de' poeti che anno messo inii iscritta l'antiche storie, le grandi
battaglie e l'altre vicende che muovono li animi a ben fare. Altressì
quella civile scienzia eh' è con lite è di due maniere, eh' è ll'una
artificiosa, l'altra non artificiosa. Artificiosa è quella nella quale il
parliere che connosce bene la natura e Ilo stato della materia, vi reca
suso argomenti secondo che ssi conviene, e questo è in dialetica et in
rettorica. Quella che non è artificiale è quella nella quale si recano
argomenti pur per altoritade, si come legge, sopra la quale non si reca
neuna 2'^ pruova né ragione per che, se non tanto l' altoritade
dello 'mperadore che Ila fece. Et di questa che non è artificiale
dice BOEZIO nella Topica eh' è sanza arte e sanza parte di ragione. Alla
fine conclude Tulio e dice che Rettorica è parte della civile scienzia.
Ma Vittorino sponendo quella 25. parola dice che rettorica è la
maggiore parte della civile scienzia; e dice « maggiore » per lo grande
effetto di lei, che certo per rettorica potemo noi muovere tutto '1
popolo, tutto '1 consiglio, il padre contra '1 figliuolo, l'amico
centra l'amico, e poi li rega(i) in pace e a benevoglienza. Or è
detto 30. del genere; omai dicerà Tulio dello oflfizio di rettorica
e del fine. 1: M ordinare, m e iliraeltero e ordinare
lo siidire 3: M^ cliolll stea 5: M-m si vede in due 7: M' y reclorica 9: M' a. lo genti i 1 : m-M in iscripto M' 7 le g. b. 7 altro vicende IS : M-m alla (certo da ((Ila), M' (|UOSta
civ. 13-14: mchS l'ima e art. 7
l'altro non art., 3f' l'unaarl. l'altra none art. (X non art.) 16: m su argomenti che crede ohe si
chenvieno, S secóndo la cosa 19: M
sopralla quale 21 : J/' di questa non
artificiosa S6: m e M' alFecto, ma L el'ctto S8 : m M' contro al f. wchontro all'amico, M' contra
amico. 29: m li reca, Af' recalgli a
pace 7 benev., L-S recarli a p. Q n h.
80 : m M' oggimai. (1) Con libertà non nuova alla nostra
ling'.ia antica, si può sottintendere il soggetto, « rettorica », dalle
parole « per rettorica » che precedono. La lezione ? ecarli, appunto
perchè piii semplice e chiara, mi par da scartare : non si vedrebbe CICERONE
dice che è l'ufficio di questa arte. 18. Officio di questa arte
pare che sia dicere appostatamente per fare credere, fine è far credere
per lo dire. Intra 11' ufficio e Ila fine èe cotale divisamente : che
nell'officio si considera quello che 5. conviene alla fine e nella fine
si considera quello che conviene all'officio. Come noi dicemo l'ufficio del
medico curare apostatamente per sanare, il suo fine dicemo sanare per le
medicine, e così quello che noi dicemo officio di rettorica e quello che
noi dicemo fine intenderemo dicendo che officio sia quello che dee fare il
parliere, e dicendo che Ila fine sia quello per cui cagione eili
dice. In questa parte àe detto Tulio che è l'officio di questa arte e che
è lo suo fine; e perciò che '1 testo è molto aperto, sì sine passerà lo
spouitore brevemente. Et dice 15. cotale diffinizione : officio è
dicere appostatamente per fare credere. Et nota che dice « appostatamente
», cioè ornare parole di buone sentenze dette secondo che comanda
quest'arte; e questo dice per divisare il parlare di questo dicitore dal
parlare de' gramatici, che non curanq d'ornare 20. parole. E dice «
per far credere », cioè dicere sì compostamente che ir uditore creda ciò che ssi
dice. Et questo dice per divisare il detto de' poeti, che curano più di
dire belle pai-ole che di fare credere. 2. L' altra diffinizione è del
fine. Et dice che fine è far credere per lo dire. Et certo chi
25. considera la verità In questa arte e' troverà che tutto lo
'ntendimento del parliere è di far credere le sue parole all'uditore.
Donque questo è la fine, cioè far credere; che 2: M* om. ilk'Oi'O 3: M-M' 7 lar
M-m per 1 udire - 3-4: M' om. Inlra 11' udicio e ripete è cotale
ilivisumento che no l'ollicio M 7 è
colalo 0: m il' e curare 9: t intenderemo cli6 olicio è quello
ecc. m om. e JO: il ella, mi e la i3 : .tf' et che il lino 15: il apostamonle M-m saltano dal l'ai ^ apposlatanicnto. 10: .tf-m-.l/' ornate 20: m diro si ornatamente et cliom))ost. 21 : M-m mn. Kl c|uesto dice - 23: M-m
che farle credere - 24: M-m per 1 udire
23: M 7 troverà - 26: M' del parlare la ragione per cui fu
mutata negli altri codici, mentre ò facile ammettere che sia derivata da
recahjli di M '. Quoista poi, a sua volta, non è che una variante di ìi
reca, con una estensione del pronome enclitico a cui contraddice la cosiddetta
legge del Mussafla (cfr., anche per Dante, in Bull. d. Soc. Dani., N. S.,
XIV, 90-91) 'mmantenenle che l'uomo crede ciò eli' è detto si
rivolve (1) lo suo animo a volere et a ffare ciò che '1 dicitore
intende. 3. Ma dice Boezio nel quarto della Topica che '1 fine di questa
arte è doppio, uno nel parladore et un altro nell'uditore. 5. Il
parladore sempre desidera questo fine in sé: che dica bene e che sia
tenuto d' aver bene detto. Neil' uditore è questo fine: che '1 dicitore a
questo intende, che nell'uditore sia cotale fine che creda quello che dice; e
questo fine non desidera sempre IL PARLATORE sì come quello di
sopra. 10. 4. Et per mostrare bene che è l' officio e che è il fine
e che divisamento àe dall'uno all'altro, sì dice Tulio che officio
è quello che '1 parliere de' fare nel suo parlamento secondo lo
'nsegnamento di questa arte. Ma fine è quello per cui cagione il parlieri
dice compostamente; e certo questa cagione e questo fine nonn è altro se non
fare credere ciò che dice. Et di ciò pone exemplo del medico, e dice che
Ilo officio del medico è medicare compostamente per guerire
r amalato; la fine del medico èe sanare lo 'nfermo per lo suo
medicare. Già è detto sofficientemente dell' officio e della fine di
rettorica; omai procederàe il conto a dire della materia. Materia di
questa arte dicemo che ssia quella nella quale tutta l'arte e Ilo savere
che dell'arte s'apprende dimora. Come se noi dicemo che Ile malizie e le
fedite sono materia del medico, perciò che 'ntorno quelle è ogne
medicina, altressì dicemo che quelle cose sopra le quali s'adopera questa
arte et il savere eh' è appreso dell'arte sono materia di rettorica; le quali
cose alcuni pensaro che 1 : M sinvolve, m si involve, M^-L
si muove S : M' quello olio. 9 : M-m considera 10: M' om.
l)ene 15: M-m non ae altro m se none a faro 16: Af ' in ciò 17-18 : M Olii, è
medicare.... del medico 19: M-m Già ae
d. s. (mi s. d.) 20: M' del fine
ogimai procederà Tulio a dire
S,4: m e tutta l'arte Jlf ' e
sapere S3: M-m le malizie, cioè le
malattie (glossa) 87: M e savere tulli i inss, apresso Questa è senza
dubbio la lezione richiesta dal senso e giustificabile con ragioni
paleografiche: un siriuolue in cui ri è parso un n ha originato il
sinvolve di M; da questo, per correzione arbitraria, è nato si muore di
Mi L. Invece di si rivolve lo suo animo
(soggetto) si può anche intendere « (l'uomo) si rivolve lo suo
animo », ma forse l'espressione riesce meno naturale. (2) La
correzione è suggerita dalle parole precedenti : « lo savere che dell'arte
s'apprende». Il testo latino ha facuUas oratoria. fossero piusori et
altri meno. Che GORGIA DI LEONZIO, che fue quasi il più antichissimo
rettorico, e in oppinione che IL PARLATORE puo molto bene dire di tutte
cose. Et questi pare che dea a questa arte grandissima materia sanza
fine. Ma Aristotile, il quale diede a questa 5. arte molti aiuti et
adornamenti, extimò che II' officio del PARLATORE sia sopra tre generazioni di
cose, ciò sono dimostrativo, diliberativo e giudiciale. Lo
sponitore. 1. In questa parte dice Tulio che materia di
rettorica 10. è quella cosa per cui cagione furo pensati e trovati
li comandamenti di questa arte, e per cui cagione s'adoperala scienzia
clie 11' uomo apprende per quelli comandamenti. Così fuoro trovati li
comandamenti di medicina e gli adoperamenti per le infertadi e per le ferute;
et insomma 15. quella è Ila materia sopr' alla quale conviene
dicere. Et sopra ciò fue trovata questa arte per dare
insegnamento di ben dire secondo che Ila materia richiede e per fare
che ir uditore creda. Et di questo è stata diiferenzia tra' savi : che
molti furo che diceano che materia puote 20. essere ogne cosa sopr'
alla quale convenisse parlare. Et se questo fosse vero, donque sarebbe
questa arte sanza fine, che non puote essere; e di questi fue uno savio, GORGIA
DI LEONZIO, antichissimo rettorico; et in ciò che Tulio l'appella antichissimo
sì dimostra che non sia da credere. Ma Aristotile, a cui è molto da
credere, perciò che diede molti aiuti et adornamenti a questa arte in
perciò che fece uno libro d' invenzione et un altro della
parladura, dice che rettorica èe sopra tre maniere di cose, e
catuua maniera èe genei'ale delle sue parti; e queste sono dimo 30.
strativo, diliberativo e iudiciale, come in questi cercoletti apiiare
: 2: m cliel parlaro
3: M-m che (loggia (w dohbia) aiiiiistare 6: M' generi 7: M-m giiulicalivo - IS:
M-m et per (incili comamlamenti. Af' aiiiirondo per qua com., S per
qiialnni|ue com. (t bene) -- 13-14: M-m et por lo adoperamenlo et por lo
inf. M'
fedito 15: m. M'-L sopra la quale 19: M' dissero ?0: m sopra la ipiale l'uomo chonviene
parlare, M' sopra la (pialo SS: M-m di
questo S3-S4: M' 1 aix.'llava S6: M-m (lice molti aiuti M' in ciò che, m però che S7: Mdinvctione, hi d'invotione - S8: M-m
materie M' de cosa {ma L S di cose) M^ ciasouna
30-31: M-m om. come ecc. e la figura. Et a questa sentenzia
s'accorda Tulio, e sopra queste tre maniere è tutta l'arte di rettorica.
4. Ma ben puote essere oh' e' maestri in questo punto fanno divisamente
intra dire e dittare; che pare che Ila materia di dittare sia si
generale che quasi sopra ogne cosa si possa fare pistola, cioè mandare
lettera. Ma dire non si puote per modo di rettorica se non delle dette
tre maniere, perciò che Tulio CICERONE reca tutta la rettorica in
quistione di parole. Et intendo che quistione è una diceria nella quale
àe molte parole sie impigliate che ssine puote sostenere l'una parte e
l'altra, cioè provare si e no' per atrebuti, cioè per propietadi del
fatto o della persona. Et ecco l' exemplo in questa diceria che fie
proposta in questo modo: È da sbandire in exilio Marco Tulio Cicero no,
che davanti (i) al popolo di ROMA fece anegare molti ROMANI a tempo che '1
comune era in dubbio? In questa proposta à due parti, una del sì et
un'altra del no. Quella del sì è cotale : « Cicero è da sbandire, perciò
che à fatta la cotale cosa *. Quella del no è cotale: « Non è da
sbandire, che ricordando pure lo nome signififica buona cosa 20. et
isbandire et exìlio (2) sìgnifBca mala cosa, e non è da credere che buono uomo
faccia quello che ssia da sbandire degno né de exìlio ». 6. Grià è detto
che è la materia di quest'arte, et afferma Tulio la sentenza
d'Aristotile. Et però che elli l' àe confermata, sì dicerà di catuna dì
quelle 25. tre maniere sì compiutamente che per lui e per lo
sponì 1 : m sachosta 2: Mi
tucta 3:m tra dire od. 4:mL del dittare ~ 5 : M' si puote 6:
M' lectoro 7 : 3f ' se non le docte om. perciò
m tutta rettorica 9: M' ov'a
il: M-m et por atrebuti, M' per ai trebuti m cioè i)roiiietadi 12: M sie o fie, m Ila, M'-L fu - 14: m
om. Cicero M^ Cicerone che davanti il p. 15: M' al tempo 16: M imposta 19: M' il suo nome ò buona cosa 20: M' in exilio 21-22: m dongno da sb., M' dengno di
sbandire in oxilio 24: J/' la
conferma Non e' è dubbio sul
testo, in cui la tradizione manoscritta è concorde; quanto all'interpretazione
cfr. Maggini, La Rettorica italiana di B. L. Che et e non in sia la
lezione originaria è comprovato dal seguente né de exilio (cambiato da
M< in exilio per analogia colla prima alterazione). tore potrà
quelli per cui è fatto questo libro intendere la materia, lo movimento e
la natura di rettorica. Ma ben guardi d'intendere ciò che dice questo
trattato e di Connoscere ciò che in esso si contiene, che altrimenti non
potrebbe intendere quello che viene innanzi; e dicerà prima del
dimostrativo. Del dimostr amento. Dimostrativo è quello che ssi reca in
laude o in vituperio d'una certa personale. In questa parte dice CICERONE
che, con ciò sia cosa che Ile cause e Ile quistioni sopr' alcuna vicenda
indella quale l'uno afferma e l'altro niega siano di tre maniere, sì
insegna Tulio avanti quale causa è dimostrativa. Ma lo sponi 15. tore non
lascerà intanto che non dica la natura e Ila radice di tutte e tre,
oltx'e che dice il testo di Tulio; et in ciò dicerà chi è la persona del
parliere che dice sopra la causa, e dicerà che è il fatto della causa. La
persona del parliere è quella che viene in causa per lo suo detto o per
lo 20. suo fatto: et intendo « suo detto » quello ch'elli disse o
che ssi crede ragionevolemente ch'elli abbia detto, avegna che
detto noll'abbia; altressì intendo «fatto» quello che fece o che
ssi crede ragionevolemente che elli abbia fatto, avegna che fatto
non sia. 3. Il fatto della causa è quel detto o quel fatto per lo quale
alcuno viene in causa e questione; et in ciò sia cotale exemplo: Dice
Pompeio a Catellina: « Tu fai tra 1: in poUà collii è: M' c\
inovini. ~ 5: .W Jioooia, L ilice ora 6:
i/del dimoslratio, m (Iella dimostrationo
8: S si moslra 13-14: il' sia in
ti-o maniero.... tulio avanti, m Tulio inprima M-m cosa
il' sia doni. 13: m oni. e la
radice - lS-19: il-m Persona del ]). 7 quella 19-20: il' per lo suo facto o per lo suo
dello, m per lo s. d. e per lo s. f. intondo suo detto e latto (pielli
(nni-he il (iiielli) - SS: il-m e così intondo quello S4 : il' ijucl
detto SS- il' et in ipiest., m.
ohi. L siae -- 41
dimento nel comune di Roma». Et Catellina risponde: « Non fo ». In
questo convenente Pompeio e Catellina sono le persone de'parlieri; e la
causa è questa: «Tu fai tradimento » «
Non fo »; e chiamasi causa però che 11' uno ap5. pone e dice parole contra
l'altro e mettelo in lite. 4. Et per maggiore chiarezza dicerà lo
sponitore che èe dimostramento e che deliberazione e che iudicamento, e così
sopra che è ciascuna maniera di rettorica. Dimostramento.
Dimostramento è una maniera di cause tale che per sua propietade il
parliere dimostra ch'alcuna cosa sia onesta o disonèsta, e per questo mostra
che è da laudare e che da vituperare; e questa causa dimostrativa è
doppia: una speciale et un'altra che non si puote partire. La speciale
dimostrativa è quella nella quale i parlieri si sforzano di provare una
cosa essere onesta o disonesta, non nominando alcuna certa persona; et
intendo certa persona a dire delli uomini e delle cittadi e delle battaglie
e di cotali certe cose e determinate tra Ile genti, non intendo
dell'altezza del cielo né della grandezza del sole o della 20.
luna, che questa quistione non pertiene a rettorica. Et di questa causa
speciale dimostrativa sia cotale exemplo : « Il forte uomo è da laudare
Dice l'altro: Non è, anzi è da vituperare. E di questo nasce quistione,
se '1 forte è degno di lode o di vituperio, e perciò èe dimostrativa,
ma 25. non nomina certa persona, e perciò è speciale. 8. La
causa dimostrativa che non si puote partire è quella nella quale i
parlieri vogliono mostrare alcuna cosa sia onesta o disonesta nominando certa
persona, in questo modo. CICERONE è degno di lode. Dice l’altro. Non è. E
di questo nasce quistione, se sia da lodare o da vituperare. Et
questa quistione comprende due tempi : presente e preterito. Che al ver dire di
ciò che 11' uomo fae presentemente è lodato biasmato, et altressì di ciò
che fece ne' tempi passati. 9. Et sopra ciò dicono 1' antiche storie di Roma
che 35. questa causa dimostrativa si solca trattare in Campo
Marzio, 5: 3/' perciò maggioro 7 : ìlt' cheo... cheo (ma L clie... che) -
saprà che è 10: M' per sue propietadi il parladore 14: M' i parladori m spellale o dimostrativa 16: M' nm. et intendo certa persona, vi om.
et 17: M' et dele ciltadi 18: m cliase diterminate 19: M-m et della gr. 20: m non apartiene ^i :?» om. speciale M-m
dimostrata M k cotale lessemplo - So:
M-m om. è 27: M' alcuna persona
essere M-m di tre tempi m pres., preter. e luturo 32: M-m Et al ver dire 33 : M-m om.
di - 42 nel quale s'asemblava la comunanza a llodare
alcuna persona ch'era degna d'avere dignitade e signoria et a biasmare quella
che non era degna. E già è ben detto della causa dimostrativa; sì dicerà
il maestro della causa deli5. berativa. Del diliber amento.
21. Diiiberativo è quello il quale, messo (^' a contendere et a
dimandare tra' cittadini, riceve detto per sentenzia. In questa parte dice
Tulio che causa diliberativa è quella eh' è messa e detta a' cittadini a
contendere il lor pareri et a domandare a lloro quello che nne sentono;
e sopra ciò si dicono molte et isvai'iate sentenze, perchè alla
fine si possa prendere la migliore (2). 2. Et questo modo di 15.
causare è quello che fanno tutto die i signori e le podestà delle genti,
che raunano li consillieri per diliberare che ssia da fFare sopra alcuna
vicenda e che da non fare; e quasi ciascuno dice la sua sentenza, sicché
alla fine si prende quella che pare migliore. 3. Et in ciò sia
questo 20. exemplo che propone il senatore: « E da mandare oste
in Macedonia? » Dice l'uno sì e l'altro no. Et così diliberano qual
sia lo meglio, e prendesi 1' una sentenza. Et questa quistione si
considera pure nel tempo futuro, che al ver dire sopra le cose future
prende l'uomo consiglio e dili 25. bera che ssia da fare e che noe. 4. Et
questa causa diliberativa è doppia: una speciale et un'altra che non si
puote partire. 5. Speciale è quella nella quale si considera d'ai
cuna cosa s' ella è utile o s' eli' è dannosa, non nominando
1-3: M alcuno cli'era dengno om. e
signoria.... degna 6: Tutti i mss.
omesso, S è messo H : M-m che in
essa - m M' i loro pareri, L illoro pareri
12: M' da loro - 13: M-m dicono
14: M-m lo migliore 15: M-m
cassare (M 7 quello) 16: M-m raunavano 17: M-m non daffare 20: M' ressom])ro M-m che pone -22: M' il migliore 24: m nel tempo futuro ilf ' iirendo huomo(»nn L S l'uomo) M-m
Questa ì; causa, cioè cosa, diliberativa 7 doppia,. L e delib. e doppia
m una e spetiale M-m om. che 27: M-m alcuna cosa 28: M-m om. sellò (1) Il testo
latino non lascia alcun dubbio. La stessa corruzione, comune a tutti i
codici, è nel successivo § 22 (e posto), e il costrutto insolito la rendeva
facile. (2) Anche la lezione lo migliore è buona, ma preferisco
quella di M' perchè corrisponde esattamente alla fino del § 2.
alcuna certa persona. Et ecco l'essempio: Dice uno: “Pace è
da tenere intra cristiani.”. Dice l'altro: « Non è ». Et di ciò nasce
causa diliberativa speciale, se Ila pace è da tenere o no. L'altra che
non si può partire è quella nella quale 5. i dicitori studiano di provare
e' alcuna cosa sia utile o dannosa, nominando certe persone, in questo modo:
Dice l'uno: « Pace è da tenere intra Melanesi e Cremonesi. Dice l'altro:
«Non è». Et già è detto della causa diliberativa; omai dicerae il maestro
del iudiciale. Ma questo sia conto a ciascuno, che Ila propietade della
diliberazione èe mostrare che ssia utile e che dannoso in alcuno convenentre.
Et questa diliberativa si solca trattare nel senato, e prima diliberavano
li savi privatamente che era utile e che no e poi si recava il loro
consiglio in parlamento e quivi si fermava la loro sentenza, e talvolta si
ne prendea un'altra migliore. Judiciale è quello il quale, posto In
iudicio, à in sé accusazione e difensione o petizione e recusazione. La
natura di iudicamento si è una forma la quale si conviene al parladore
per cagione di mostrare la iustizia e la 'niustizia d'alcuna cosa, cioè
per mostrare d'una cosa s' ella è insta o centra iustizia, in cotal modo
: che uno ac-cusa un altro e l’accusato si difende elli medesimo o un
altro per lui; overo che uno fa sua petizione e domanda guidardone per
alcuna cosa eh' elli abbia ben fatta, et un altro recusa e dice che non è
da guidardonare, e talvolta dice. Anzi è degno di pena. Et questa causa
si pone in iudicio, cioè in corte davante a' indici, acciò eh' elli
indichino tra Ile parti quale àe iustizia; e questo si fae in corte
palese in saputa delle genti, acciò che Ila pena del S. in
Iva 3: M-m e so la p. 4: M' L'altra la quale 7 : Ai da melanesi, m tra mei. - Af ' e
li crem. M-m l'altro dice *: J/ E già detto U-m cosa
9 : M ' oggimai dicera del giudioiale - 10: ;»/' om. a ciascuno m e damostrare 12: m ohe prima 14: m om. e m M' in loro consiglio (ma L illoro
cons.) 14-15: A/' in loro
sententia si fermava 18:
Tuttiimss. e [tosto i9: m accnsatione,
difensione, pctitiono Tutta mas.
recusatione {ma cfr. testo latino) 24: m
chontro a iust. m om. che V e medesimo, L elli med. 27: m fatta bene 28: m om. e dice 32: m traile genti. malfattore dia
exemplo di non malfare, e '1 guidardone de' benfattori sia exemplo agli
altri di ben fare. Et sopra questa materia dice uno savio: « I buoni si
guardano di peccare per amore della vertude, i malvagi si guardano
5. per paura della pena ». 3. Et è questa causa iudiciale doppia: una speciale
et un' altra che non si puote partire. Speciale è quella nella quale il
pai'lierc si sforza di mostrare alcuna cosa che ssia insta o iniusta, non
nominando certa persona; in questo modo: « Il ladro èe da
'mpendere, 10. perchè commette furto ». Dice l'altro: « Non è ». 4.
Quella che non si puote partire è quella nella quale il parliere si
sforza di mostrare una cosa essere iusta o no, nominando certa persona;
in questo modo: « È da impendere Guido eh' à fatto furto, o no? » Od « E
da guidardonare GIULIO Cesare eh' à conquistata Francia, o no? Et tutte
que ste cause iudiciali si considerano sopra'1 tempo preterito perciò che
di ciò che l’uomo à fatto in arrietro è guidardonato o punito. CICERONE
dice la sua sentenzia della materia di rettorica riprende quella d'
Ermagoras. Et sì come porta la nostra oppinione, l'arte del parliere
(0 e la sua sctenzia è di questa materia partita in tre. (cai). VI)
Che certo non pare che Ermagoras attenda quello che dice ne attenda
C^) ciò che promette, acciò che dovide la materia di questa arte in
causa 25. et in questione. 1 : VI exempro allo
genti -V far malo M il guidardone S: M' tini benfacloro m om. VA 4: M' o li malvagi seno guardano 6: U' et una che 7: il' il dicitore - 9: M-m om.
modo m è da mpichare 10: M' un altro 12-15: M-m om. ila nominando alla fine
del paragrafo i6: il-m om. si i7: m per adietro i8:m pulito SI : M-m parlare, M'
parladore, L parlatore M Amagoras Che sia da legger cosi dimostra
non tanto la variante di M' quanto, specialmente, il trovare nel § 1 del
commento lo stesso errore di Mm di fronte a parliere di
M'. Conservo, coi codici, i due attenda, quantunque il tosto latino abbia
nel primo caso attendere e nel secondo intellUjere: qui ci aspetteremmo
dunque intenda, e l'alterazione, per analogia col primo verbo, sarebbe
spiegabilissima. Ma anello con attenda il senso va bene; e forse una
prova della somiglianza sostanziale per l'autore fra attendere e intendere si
ha nel § 7 del commento, dove, riferendosi a questo passo, i due verbi
sono invertiti di posto: «non pare che Ermagoras intendesse quello che
dicea, nò che considerasse (= attendesse) quello che promettea. Poi elle
Tulio àe detto davanti le tre partite della materia di rettorica sì come
fue oppiuione d'Aristotile, in questa parte conferma Tulio la sentej^izia
d'Aristotile; e 5. dice che pare a llui quel medesimo, e riprende la
sentenzia d'Ermagoras, il quale diceva che Ila materia del parliere è di due
partite, cioè causa e quistione. Ma certo e' dovea così riprendere coloro
che giungeano alla materia di quest'arte confortameuto e disconfortamento
e consolalo, mento; e lui riprende Tulio nominatamente perciò ch'elli era
più novello e però dovea elli essere più sottile, e riprendelo ancora però che
ssi traea più innanzi dell'arte; e riprendendo lui pare che riprenda li
altri. Ma però che Tulio CICERONE non disfina (D lo riprendimento delli
altri, si vuole lo sponitore chiarire il loro fallimento, e dice così: 3.
Vero è che, si come mostrato è qua in adietro, l' officio del parliere si
è parlare appostatamente per fare credere, e questo far credere è sopra
quelle cose che sono in lite, e' ancora non sono pervenute all' anima ;
ma chi vuole considerai e il vero, e' troverà che confortameuto e
disconfortamento sono solamente sopra quelle cose che già sono
pervenute all' anima. Verbigrazia: Lo sponitore avea propensato di
fare questo libro, ma per negligenzia lo intralasciava; onde da questa
negligenzia il potea bene alcuno ritrattare per confortameuto, e questo
conforto viene sopra cosa la quale era già pervenuta all'anima, cioè la
negligenzia.Et se alcuno disconforta un altro che avea proposto di malfare,
tanto che ssinde rimane, altressi viene lo sconforto in cosa la quale era
già pervenuta all' anima. Adunque è provato che conforto né disconforto
non pos 1 : m dinanzi 3: L
dico e conferma 4: M-m la sciencia 6-7 : M-m parlaro 10: M'-L non mattamente li: M-m om.
elli 14: m diffina (o anche disfina),
ilf'-/y non examina delli altri m
om. si 16: M^ in qua dietro m del parlare
17: M-m om. si 18: M' et
che ancora, m e anchora SO: M' et
trovare 21: m om. già - S3 : L
pensato, S per pensato 23: M lo
tralassava, m lo lasciava 24: M'
bene ritrarre alcuno, w lo potea alchuno ritrarre - 27 : vi
sconforta 30: M-m sconforto
Manuzzi registra disfinire per « compiere » e anclie por « dichiarare »,
che mi sembra qui il senso piìi adatto. (2) Non mancano esempii
(cfr. Manuzzi, s. v.) che permettono di mantenm-e questa parola in senso
di «ritrarre», come appunto sostituirono gh altri mss. altìsono essere
materia di questa arte. 5. Ma consolamento puote anzi essere materia del
parliere, perciò che puote venire sopra cosa e' ancora non sia pervenuta
all' anima. Verbigrazia: Uno uomo ferma nel suo cuore di menare
dolorosa vita per la morte d' una persona cui elli ama sopra tutte cose.
Ma un savio lo consola, tanto elle propone d'avere allegrezza, la quale
non era ancora pervenuta all'anima. Ma perciò che in questo
consolamento non ha lite, perciò che '1 consolato non si difende né
non allega ragioni contra il consolatore, non puote essere materia di
questa arte. 6. Or è ben vero che altri dissen che dimostrazione non era
materia di questa arte, anzi era materia di poete, però eh' a' poete s'
apartiene di lodare e di vituperare altrui. Et avegna che CICERONE no Ili
riprenda nominatamente, assai si puote intendere la riprensione di loro
in ciò eh' e' conferma la sentenza d'Aristotile che disse che
dimostrazione e deliberazione e iudicazione sono materia di questa arte.
Et sopra ciò nota che dimostrazione pertiene a' poeti et a' parlieri, ma in
diversi modi : che ' poeti lodano e biasmano sanza lite, che non è chi
dica contra, e '1 parlieri loda e vitupera con lite, che è chi dice
contra il suo dire. Et perciò dice Tulio che non pare che Ermagoras
intendesse quello che dicea, né che considerasse quello che prometea,
dicendo che tutte cause e questioni 25. proverebbe per rettorica.
Or dicerà Tulio le rii)rensioni d' Ermagora sopra causa e sopra
questione. Tullio seguita Ermagoras della causa, etc. Causa dice che
ssìa quella cosa nella quale abbia controversia posta in dicere con
interposizione di certe persone; le quali 30. noi medesimo dicemo che è
materia dell' arte e, sì come detto avemo dinanzi, che sono tre parti :
iudiciale, dimostrativo e deliberativo. 2: M' innanzi del parlatore
3: m non 6 jiervenuta 5-6: M
ellamava 6-7 : III lo chonsolò, M' il consola tutto sì clid
iiropone 8: M-m che questo cons. .9:
in e non allega i3: m di poota.... a
poeti, M' de poeti... ali poeti M' o di
vit. i-i: M nelle, m non le, M' non gli
i6: M' elicgli conferma 17: m
dim., dilib. et iiivochationo 19:
M' ali poeti et ali pailadori 5i : M II parlieri, »i 11 parlieri?, 3/« E!
parladore m pero che è chi dicha chontro
al suo dire S-1: A/' chelgli prom.
26: m e questione, M' sopra questioni
30: m nm. medesimo itf' nm.
o Sponitore. 1. Poi che Tulio avea detto che
Ei-magoras non intese se stesso dicendo che causa e questione sono
materia di questa scienzia, sì dice in questa parte che Ermagoras
5. dicea che fosse causa. 2. Et causa appella una cosa della quale molti
sono in controversia, perciò che 11' uno ne sente uno intendimento e
l'altro ne trae un'altra diversa intenzione; sicché sopr' a cciò
contendono di parole mettendo e nominando alcuna certa persona, che non si
possa 10. partire e che propiamente e determinatamente si partenga
alle civili questioni. 3. Et di questo dice Tulio che ss' accorda co llui, che
ciò àe elli detto davanti per sé e per Aristotile; ma dicerà omai com'
elli errò in questione. Qtd rijivende Tullio Ermagoì
asQuestione apella quella che àe in se controversia posta in
dicere sanza interposizione di certe persone, a questo modo: Che èe bene
fuori d'onestade? Sono li senni (i) veri? Chente è la forma del mondo?
Chente è la grandezza del sole? Le quali questioni intendemo tutti leggiermente
essere lontane dall'officio del parliere; 20. che molto n' è grande
mattezza e forseneria somettere al parliere in guisa di picciole cose
quelle nelle quali noi troviamo essere consumata la somma dello 'ngegno de'
filosofi con grandissima fatica. Sponitore. 1. Ora dice
Tulio che Ermagoras appellava questione 25. quella cosa sopra la
quale era controversia intra molti, sicché contendeano di parole
l'uno contra l'altro non no 5 M diceva - m ch'era chausa 7: M^ e un altro ne trae altra d. i., M na
{sic) trae, m ne atrae 8: M-m
contendemo 10: M' nominatamente m sautenga 13: Jf' oggimai 15: M' la quale ae 16-17: M' che ben M-iii li senni vari M' om. h M-m la l'ama
19: M-m del parlare 20: M-m oiii.
raaltozza, ilf ' om. e forseneria JZ-w
parlare, M' parladore SI: l/Tiusta,//i
in vista 24 ^/-w appellalo: M' era questione
m tra molti 26: M ne
contendeano (1) Traduce il latino sensus con una forma che ritorna
anche nel commento; è la stessa fusione, o confusione, cho troviamo nel
francese. minando certa persona la quale propiamente s'apartenesse
alle civili questioni. 2. Et in ciò pone cotale exemplo: «Che è bene
fuori d'onestade?» Grande contraversia fue intra' filosofi qual fosse il
sovrano bene in vita: et erano molti 5. che diceano d'onestade, e questi
fuoro i parepatetici; altri erano che diceano di volontade, e questi sono
epicurii. 3. Altressì fue questione se ' senni sono veri, perciò
che alcuna fiata s'ingannano, che se noi credemo che ricalco sia
oro sanza fallo s' inganna il nostro senno. Altressì fue questione della
forma del mondo, però eh' alcuni filosofi provavano che '1 mondo è tondo,
altri dicono eh' è lungo, o otangolo(l\ o quadrato. 5. Altressì era
questione della grandezza del sole, che alcuni dicono che’l sole è otto tanti
che Ila terra, altri più et altri meno. Et questa misura si sforzalo,
vano di cogliere i maestri di geometria misurando la terra, e per essa
misura ritraeano quella del sole. Et perciò mostra Tulio che Ermagora non
intese quello che dicea, ch'assai legiei'mente s'intende che queste
cotali questioni non toccano l'ufficio del parliere. Et nota che dice
officio però che ben potrebbe essere che '1 parliere fosse FILOSOFO, e
così toccherebbe bene a lini trattare di quelle questioni, ma ciò non
arebbe per officio di rettorica ma di FILOSOFIAf. Donque ben è fuori della
mente e vano di senno quelli che dice che'1 parliere possa o debbia
trattare di queste questioni, nelle quali tutto tempo si consumano et
affaticano I FILOSOFI. Or à provato Tulio che Ermagoras non intese
quello che disse. Ornai proverà come non attese quello che promise, in
ciò che promettea di trattare per rettorica ogne causa et ogne questione.
8. Et ciò fae a guisa de' savi, i 1 : 3/' sì plenesse - 3:
M-m fuori con lioneslade, M'-l di l'iiuri 7 lioii. 4' ili l'uori
d'hon. .W grande (juostione mi traili lilosali -I : m «m. et
5 : .V diceano hon. M-m OHI. questi fuoro il pai'ei)atoiici, .W parclieiialetici 6: il' diceano volontade (S ugg. cioè
piacere) 7: M-m se songni - 8: M' chel
ricalco 9: S il nostro sentimento iO: il perciò
id: il' diceano IS: il Hangolo
('/), "i troangholo, .W'-i triangolo, S otangolo m quadro
i3: il' cotanti che terra, i cotanti chella terj-a 16: m
ritraevano la misura d. s. 17: il' che
elgli diceva. Kt assai ecc. S3: M' Dunque ben M' chi dice
24: M' debbia parlare 25: M' et
faticano S7: il-m non inteso 28:
M-m perche (> rectorica 29: M-m di
savi (1) La lezione di M ò incerta, ma sembra spiegata e confermata
da quella di S che risalo all'altra famiglia di codici ; un segno male
interpretato come abbreviatura di ri può aver suggerito la lezione triangolo.
Il commento di Vittorino a questo passo non parla nò di triangolo né di
ottangolo. (2) Il latino Ila in ca. - 49
quali vogliendo mostrare la loro sapienzia sì 11' apongono ad
alcuna arte per la quale non si puote provare; come s' alcuno volesse
trattare d' una questione di dialetica et aponessela a gramatica, per la quale
non si pruova né ssi 5. potrebbe provare, e ciò mosterrebbe usando per
argomenti la sua sapienzia; e sopr'a cciò ecco '1 testo di Tulio.
Tullio dice in somma ciò ch'elli avea detto davanti. Che se
Ermagoras avesse in queste cose avuto gran savere acquistato per istudio
e per insegnamento, parrebbe ch'elli, usando la sua scienzia, avesse
ordinata una falsa cosa dell'arte del parliere, e non avesse sposto
quello che puote l'arte ma quello che potea elli. Ma ora è quella forza
nell'uomo ch'alcuno li tolga più tosto rettorica che no-lli concedesse
filosofia. Ma perciò l' arte che fece non mi pare del tutto malmendosa,
ch'assai pare ch'elli abbia in essad) locate cose elette ingegnosamente e
diligentemente ritratte delle antiche arti, et alcuna v'àe messo di
nuovo; ma molto è piccola cosa dire dell'arte sì come fece elli, e molto è
grandissima parlare per l'arte, la qual cosa noi vedemo ch'esso non poteo
fare. Per la qual cosa pare a noi che materia di rettorica è quella che
disse Aristotile, della 20. quale noi avemo detto qua indietro. In
questa parte dice CICERONE che se Ermagoras fosse stato bene savio,
sicché potesse trattare le quistioni e le cause, parrebbe eh' avesse
detto falso, cioè che avesse dato al parliere quello officio che nonn é
suo; e così non avrebbe mostrata la forza dell'arte, ma averebbe mostrata
la sua. Ma ora è quella forza nell'uomo, cioè tal fue questo
Ermagoras, che neuno che dicesse eh' e' non sappia rettorica nolli concederae
che sia FILOSOFO. Ma perciò l'arte 1 : 3f siila pongono 3: m trattare una q. 4-5: M' per la quale non si porla
provare M' om. per argomenti 9: M^ o \)ev insegnamento parendo 10: »i
ordinato M-m del parlare 11 : M-m non avesse posto (»m in et n.) M' ([nello puote 13: M' che fece nolli
cono. 14-15: M-m messe, A/' in esse M-m ^ locate le cose («4 nm. le cose) 7
lecte 17: M dell'arti, in delle
urti itf' grandissimo 18: Jl/ potea, M' ]jotero 19: ni sia quella. M' qua in adietro S4: M-m ciò
M' cavesse detto 25: Af a
parliere 28: M' ch'olii 28-29: S che non lu veruno che dicesse
ch'elli non sappia retorica non dirà giù che egli sia philosopho
(1) Il testo latino ha in ea. che fece non pare in
tutto rea ». In questa parola il cuopre (1) Tulio e dimostra eh' elli avrebbe
bene ijotuto dire X^egio. Et dice « non è del tutto rea » perciò eh' elli
àe messo nel suo libro con molta diligenzia e con ingegno li 5.
comandamenti delli altri maestri di questa arte, et alcuna cosa nuova v'
agiunse. Et qui pare che Tulio lo lodi là ove il vitupera, dicendo che
fosse furo in perciò che delle scritte d' altri maestri fece il suo
libro. Ma molto è picciola cosa dire dell' arte, ciò viene a dire eh' al
parliere non s'apartiene dare insegnamenti dell'arte, sì come fece
Ermagora, ma apartiensi a llui in tutte guise parlare secondo li
'nsegnamenti e comandamenti dell" arte, la qual cosa non seppe fare
esso. 5. Adonque è da tenere la sentenzia d'Aristotile, che dice che materia di
questa arte è dimostrativo, deliberativo e iudiciale. Et ornai è detto
sofficientemente e diligentemente del genere, cioè generalmente, dell'
officio e della fine di rettorica; or sì dicerà il conto delle sue
parti, sì come Tulio promise nel suo testo qua indietro.Tullio CICERONE dice le
parti di rettorica. 20. 27. Le parti sono queste, sì come i più
dicono: Inventio, di spositio, elocutio, memoria e pronuntiatio.
Lo sponitore. Cinque parti dice Tulio che sono et assegna
ragione per che, e quella ragione metterà lo sponitore in suo
luogo. 25. Ma prima dicerà le ragioni che nne mostra BOEZIO
nel quarto della Topica, che dice che se alcuna di queste cin
1-2: S scuopre 4: M' con non
molto.... ingegni i com. 6: J/' vi
giiingnesse i>f-»i la dove
7:M* fosse ladro m poro che dello
dette scritte - 8-9: M' delli altri om. Ma... arte m cosa a dire
10: M-m a dire 12 : m egli noi
seppe fare 14 : m dice materia 15-17 : M' Et oggimai ae solTicientemento
detto del genere, dell' officio et del (ine dì rectorica. Si dicerà
l'autore déle sue parti M
sulficientemcnte dilig. m ora
dirà 20;mLLQ parti di rettoriclia M' inveutione, dispositione, ccc 24: S questa M-m che dico se alcuna Cioè «lo
difonde». La lezione scuopre di S sarà nata da un ilcuopre letto
iscuopre; come senso si ridurrebbe a una ripetizione di dimostra. que ijarti
falla nella diceria, non è mai compiuta; e se queste parti sono in una
diceria o inn una lettera, certo l'arte di rettorica vi fie altressì. 2.
Un'altra ragione n'asegiia BOEZIO: che però sono sue parti perchè esse la 'INFORMANO
E ORDINANO e la fanno tutta essere, altressì come '1 fondamento, la
i)ai'ete e '1 tetto sono parti d'una casa sì che la fanno essere, e s'
alcuna ne fallisse non sarebbe la casa compiuta. Et dice Tulio che queste
sono le parti di rettorica sì come i più dicono, i)erò che furo
alcuni che diceano che memoria non è parte di rettorica perciò che
non è scienzia, et altri diceano che dispositio non è parte d' essa arte.
Et così va oltre Cicerone e dicerà di ciascuna parte perse, e
primieramente dicerà della 'uvenzione, sì come di piti degna; e veramente è più
degna, però 15. ch'ella puote essere e stare sanza l'altre, ma
l'altre non possono essere sanza lei. Tullio dice della
invenzione. Inventio è apensamento a trovare cose vere o verisimili
le quali facciano la causa acconcia a provare. Dice CICERONE che invenzione
è quella scienzia per la quale noi sapemo trovare cose vere, cioè
argomenti necessarii e nota « necessarii », cioè a dire che conviene che pure
cosi sia - e sapemo trovare cose VERISIMILI, cioè argomenti ac 25.
conci a provare che così sia, per li quali argomenti veri e verisimili si
possa provare e fare credere il detto o '1 fatto d'alcuna persona, la
quale si difenda o che dica incontro ad un' altra. 2. E questo puote così
intendere il porto dello sponitore. Verbigrazia: Aviene una materia
30. sopra la quale conviene dire parole, o difendendo 1' una
i: .W manca 3: m vi (ia, M' vi l'u
- 3-4: M' dice Boelius, che poroiù 5:
m fannola tutta essere, Af' li fanno essere tutto alti-essi ecc. 6: M' son parte 8 : m om. Et 10: m non era ~ 11: M^ dispositlone 12: M-m dell'arte 13: m primamente 16: m essere o stare 18: M' invontione (e coù semiire) m pensamento
il' overo simili 19: il-m
la cosa S3: SI' om. a dire 23-24: m pure che cos'i sia. E sappiano M' nm. acconci ~ 26: M-m el facto - 27-28: m
chontro ad un altra - 52 parte o dicendo centra
l'altra; o per aventura sia materia sopra la quale si conviene dittare in
lettera. Non sia donque la lingua pronta a parlare né la mano presta alla
penna, ma consideri che '1 savio mette alla bilancia le sue parole
5. tutto avanti clie Ile metta in dire né inn iscritta. 3. Consideri ancora che
'1 buono difficiatore e maestro poi che propone di fare una casa,
primieramente et anzi che metta le mani a farla, sì pensa nella sua mente
il modo della casa e truova nel suo extimare come la casa sia migliore; e
poi 10. eh' elli àe tutto questo trovato per lo suo pensamento,
sì comincia lo suo lavorio. Tutto altressi dee fare il buono
rettorico: pensare diligentemente la natura della sua materia, e sopra essa
trovare argomenti veri o verisimili sì che possa provare e fare credere
ciò che dice. 4. Et già 15. é detto quello che è inventio. Ora
procederà il conto a dire quello che è dispositio.
Dice Tullio de dispositio. Dispositio èe assettamento delle cose trovate
per ordine. Perciò che trovare argomenti per provare e FAR CREDERE il suo
dire non vale neente chi no Ili sae asettare per ordine, cioè mettere
ciascuno argomento in quella parte e luogo che ssi conviene, per più
affermamento della sua parte, sì dice Tulio che è dispositio. 2. E dice
eh' è quella 25. scienzia per la quale noi sapemo ordinare li
argomenti trovati in luogo convenevole, cioè i fermi argomenti nel
principio, i deboli nel mezzo, i fermissimi, co' quali non si possa
contrastare lievemente, nella fine. Cosi fae il difficatore della casa,
che poi eh' elli àe trovato il modo 1 : m chontro all'altra
- 2 .• M sopralla ([ualo - M' oiii. don(|uo - 3: in o la mano alla penna
- 5: m tutto prima, S tutto - m o in iscritta, M' o in iscriptura 6-S:.il diliciatore prima che metta lo
mani a lare mr=.)/, ma o maestro - 9: m
Poi - 10: M' U suo lavoro i3: M-m si
veri che possa - 14-16: M E già liecto, mi Ora e detto - M' omquello - M-m Ora
procederà il conto quello che è spositio, .«' Si procederà il conto a
dire che k dispositione - SO: m diro il suo criMloro - Sfì: M trovai -,W-»i
ohi. i, m om. argopienti 27: M' ali
(piali nella sua mente, elli ordina il fondamento in quel
luogo che ssi conviene, e ila parete e '1 tetto, e poi 1' uscia e
camere e caminate, et a ciascuna dà il suo luogo. 4. Già è detto che è
dispositio; or diceva il conto che è elocutio. 5. Tullio
dice della locuzione. 30. Elocutio è aconciamento di parole e di
sentenzie avenanti alla invenzione. Sponitore. I.
Perciò che neente vale trovare od ordinare chi non sae ornare lo suo dire
e mettere parole piacevoli e piene di buone sentenze secondo che ssi
conviene alla materia trovata, sì dice Tulio che è elocutio. Et dice che
è quella scienzia per la quale noi sapemo giungere ornamento di
parole e di sentenze a quello che noi avemo trovato et ordinato. E nota
che ornamento di parole èe una dignitade la quale proviene per alcuna delle
parole della diceria, per la quale tutta la diceria risplende. Verbigrazia.
Il grande valore che in voi regna mi dà grande SPERANZA del vostro
aiuto. Certo questa parola, cioè “regna”, fa tutte risplendere l'altre
parole che ivi sono. Altressì nota che ornamento di sentenze è una
dignitade la quale proviene di ciò che in una diceria si giugne una
sentenza con un'altra con piacevole dilettamente. Verbigrazia. In queste parole
di Salamene. Melliori sono le ferite dell'amico che frodosi basci del nemico. Et
già è detto che è elocutio, cioè apparecchiamento di parole e di
sentenzie che facciano la diceria piacevole et ordinata di parole e di
sentenzie. Omai procederà il conto alla quarta parte di rettorica, cioè
memoria. i-2: m in quello che si chonvienc et il luogo....
l'ascia, charaere3: M^ camminate, ciascuna in suo luogo. Et già ecc. 0-7: M-m avenonti alla ntentione (anche
S intenliono) 9: M om. od 10: M' sa adornare il suo dire 15: m om. E 16: M dignità della quale, m M'
dignità la quale pervieneSO: M' vi sono
SI m,»f' perviene 22 .- M-m om.
Ai M un'altra seutenfa con un altro, m
in un'altra diceria si giungne un'altra sententia chon un altro piacevole
dil. 23: M-m dice Salamene 25: M'
li frodolenli basci m om. Et 26-27: M om. e di sentenzie, m om.
piacevole el; M om. che.... parole Ambedue le lezioni sono
possibili; ma con quella di M si spiega meglio una pretesa correzione in
dice (chi avrebbe pensato, invece, a cambiare dice indi?), mentre poi il
verbo dice renderebbe superflua l'espressione in queste parole. Dice
Tulio della memoria. Memoria è fermo ricevimento nell'animo delle cose e
delle parole e dell'ordinamento d'esse. Et perciò che neente vale
trovare, ordinare o acon ciare le parole, se noi nolle ritenemo nella
memoria sicché ci'nde ricordi quando volemo dire o dittare, sì dice
Tulio che è memoria. Onde nota che memoria èe di due maniere: una
naturale et un'altra artificiale. La naturale è quella forza dell'anima
per la quale noi sapemo ritenere a memoria QUELLO CHE NO APRENDEMO PER ALCUNO SENNO
SEL CORPO. Artificiale è quella scienzia la quale s'acquista per insegnamenti
delli FILOSOFI, per li quali bene impresi noi possiamo ritenere a memoria le
cose che avemo udite o trovate o APRESE PER ALCUNO DE’ SENNI DEL CORPO e
di questa memoria artificiale dice Tulio eh' è parte di rettorica. Et
dice che memoria è quella scienzia per la quale noi
fermiamo nell'animo le cose e le parole eh' avemo trovate et
ordinate, sicché noi ci 'nde ricordiamo quando siemo a dire. Et già
é detto che è memoria; si dicerà il conto la quinta et ultima parte
di rettorica, cioè pronuntiatio. Dice CICERONE della
pronunziagione. Pronuntiatio è avenimento della persona e della voce
secondo la dignitade delle cose e delle parole. Et al ver dire poco vale
trovare, ordinare, ornare parole et avere memoria chi non sae profFerere
e dicere le sue parole con avenimento. Et perciò alla fine dice
Tulio Però che niente ot
acconciai-e 7: w» cene, Af' cine M volere
9:mom, et il: M' senso IS: M' quella memoria i-i: J»/' udito i5: 4f' sensi
16-, m nnu Et i8 : m olle
parole i9: M' noi vegnamo a dire SO- « ultra parte, hi ora dirà il conto
la quinta jiarte, .W" il maestro - S6 : m o ornare 27: in a chi non sae prollbrere o
diro -òsche è pronuntiatio; e dice eh' è quella scienzia per
la quale noi sapemo profferere le nostre parole et amisurare et accordare
la voce e '1 portamento della persona e delle membra secondo la qualitade del
fatto e secondo la condizione della diceria. Che chi vuole considerare il
vero, altro modo vuole nelle voci e nel corpo parlando di dolore che
di letizia, et altro di pace che di guerra, ('he '1 parliere che vuole
somuovere il populo a guerra dee parlare ad alta voce per franche parole
e vittoriose, et avere argoglioso advenimento di persona e niquitosa ciera
contra ' nemici. Et se Ila condizione richiede che debbia parlamentare a
cavallo, si dee elli avere cavallo di grande rigoglio, sì che quando il
segnore parla il suo cavallo gridi et anatrisca e razzi la terra col piede e
levi la polvere e soffi per e nari e faccia tutta romire la piazza, sicché
paia che coninci lo stormo e sia nella battaglia. Et in questo
punto non pare che ssi disvegna a la fiata levare la mano o per
mostrare abondante animo o quasi per minaccia de' nemici. Tutto altrimenti dee
in fatto di pace avere umile advenimento del corpo, la ciera amorevole, LA VOCE
SOAVE, la parola paceffica, le mani chete; e’1 suo cavallo dee
essere chetissimo e pieno di tanta posa e' sì guernito di soavitade
che sopr'a llui NON SI UMOVA UN SOL PELO, ma elli medesimo paia factore
della pace. Et così in letizia de' 1 parlatore tenere LA TESTA LEVATA, il
viso allegro e tutte sue parole e viste SIGNIFICHINO allegrezza. Ma
parlando in dolore sia LA TESTA INCHINATA, il viso triste e li occhi pieni di
lagrime e tutte sue parole e viste dolorose, sicché ciascuno sembiante
per sé e ciascuno motto per sé muova l'animo dell’uditore a piangere et a
dolore. Et già é detto delle V parti sustanziali di rettorica interamente
secondo l'oppinione di Tulio, e sì come lo sponitore le puote fare
meglio intendere al suo porto; sì ritorna Tulio a scusare sé medesimo di ciò
che non àe mostrato ragione perché 2: m e misurare ~ 5: M'
che a chi vuole 0: M' noia boce 7 : M' parlare, m Il parliere 8: m smuovere
i/' om. il populo 11 : M
parlantare, m p-are 12: m mn.
elli 14-15: M' delle nari, vi sozzi le
anari 16: il' incominci 17: M-m om. per 19-20: M' humili avenimenti m nel chorpo
21 : M' le parole pacefiche 22 : L di tanta jwssa 24 : M' om. Et mss. del parlatore 25 : M-m levata in suso il' le sue
parole 26: il-m e signilichino 27: m chinata, il' inchina, L inchinata
28 : M-m parole iuste e dolorose
29: il' muove 30: m piangerò a
dolore. Ora è detto 31 : il' sustanziali parti 32: M' il puote 56
quello sia genere et ofifìcio e fine di rettorica sì com' elli àe
fatto della materia e delle parti, e dice in questo modo. Tullio
dice che tratterà della materia e delle parti. Oramai dette brievemente
queste cose, atermineremo in 5 altro tempo le ragioni per le quali noi
potessimo dimostrare il genere e IPofficio e Ila fine di quest'arte, però
che bisognano di molte parole e non sono di tanta opera a mostrare la
propietade e Ile comandamenta dell'arte. Ma colui che scrive l'arte
rettorica pare a noi che 'I convenga scrivere dell'altre due, cioè della
maio teria e delle parti. E io perciò voglio trattare della materia e
delle parti congiuntamente. Adunque si dee considerare più intentivamente
chente in tutti generi delle cause debbia essere inventio, la quale è
principessa di tutte le parti. In questa parte dice Tulio che non vuole
ora provare perchè quello sia genere di rettorica che detto è davante, né
Ilo officio né Ila fine, però che vorrebbe lunglie parole e non sono di
molto frutto, e però l' atermina nelr altro libro nel quale tratta sopr' a
cciò; et in questo presente libro tratta della materia, cioè
dimostrazione, deliberazione e iudicazione, et altressì tratta delle
pai'ti, cioè inventio, dispositio, elocutio, memoria e
pronuntiatio. Et di tutte queste tratterà insieme e comunemente. Ma
però che inventio è la più degna parte, sì dicerà CICERONE chente ella dee
essere in ciascuno genere di rettorica, cioè come noi dovemo trovare
quando la materia sia di causa dimostrativa, e quando sia deliberativa, e
quando sia iudiciale; e tratterà si comunemente che mosterrà come
sia da trovare in catuna di queste cause, e come 30. ordinare e
come ornare la diceria, e come tenere a memoria e come profferere le sue parole.
1 : M-m quella 4 : M'
Ogimai 7 : M admostrare, ni a
dimostrare M' le propicladi 9: M-m che convenga - iO-H : M-m om. K io....
congiuntamente IS: M-m chente
e i3: Af' do tutte l'arti 16: M-m quella, M -L quel M' detto davanti 18: M' lo
termina 20: M-m dimostrative 23: M' congiuntamente; m om. e 24: M-m om. SI dicerà Tulio i'S : M' om. sia congiuntamente S9: Af' come iu e. d. q. e. sa da
trovare 30: iii nm. e come ornare
Lo sponitore parla all' amico suo. Perciò lo sponitore priega '1 suo porto, poi
ch'elli àe impresa altezza di tanta opera come questa èe, che a llui
piaccia di si dare l'animo a cciò eh' è detto davanti, spezialmente in
connoscere il dimostrativo e '1 deliberativo e '1 iudiciale che sono il
fondamento di tutta l'arte, e poi a quel che siegue per innanzi, eh' elli
intenda tutto '1 libro di tal guisa che, per lo buono aprendimento e per
lo bel dire che farà secondo lo 'nsegnamento dell' arte, il libro e lo
sponitore ne riceveJO. ranno perpetua laude. Della constitnzione e delle
quattro sue parti. 34. (e. Vili) Ogne cosa la quale àe alcuna
controversia in diceria o in questione contiene in se questione di fatto
o di nome di genere o d'azione; e noi quella questione delia quale nasce la
causa apelliamo constituzione. E constitnzione è quella eh' è prima pugna
delle cause, la quale muove dal contastamento della intenzione in questo
modo. Facesti. Non feci, o Feci per ragione. Poi che CICERONE àe detto di
mostrare e trattare della invenzione e della materia insieme, sì
mostra lo sponitore in che ordine trattò de l'inventio; ma per maggiore
chiarezza dicerà tutto avanti in che significazione si prendono queste
parole, cioè causa, controversia, constituzione e stato. Causa vale tanto
a dire quanto il detto o '1 fatto d' alcuno, per lo quale è messo in lite, ed è
appellato causa tutto '1 processo dell' una e dell' altra parte. Et
appellasi causa tutta la diceria e la contenzione cominciando al
prolago e tìniendo alla conclusione; donde dice uomo: 3: M-m
di darli l'animo 7-10: M^ chel
baono ben dire per tua laude, M-m dello sponitore, M
ne rlcevemo, m ne riceva - 13: m o questione, ilf ' om. contiene in se
questione 14 : M-m di quella 15: M^ constitutione ò la prima pugna 21 : M' om. insieme M' mosterra, ma L mostra SS : M delinventia, m della inventia, M^
della inventione 23: m tutto
innanzi Af' mi. si prendono S7 : M' dell'una parte 7 dell'altra 28: M-m la 'nlentione M' dal prol. La mia causa è
giusta, cioè, la mia parte è giusta. Controversia vale a dire tanto come causa,
e viene a dire “controversare” cioè usare l'uno coli' altro di diverse
ragioni e contrarie. Questione tant' è a dire come '1primo detto di
colui che comincia contra un altro e '1 secondo detto di colui che ssi
difende. Et appellasi quistione una diceria nella quale àe due parti
messe in guisa di dubitazione, et appellasi questione per l'una e per
l'altra parte della questione. Constituzione si prende et intende in quelle
medesime significazioni che sono dette davanti. Stato è appellato il detto e '1
fatto'l) dell'aversario, però che' parliere stanno a provare quel detto o
quel fatto; e questo medesimo è appellato constituzione perciò che '1
parliere constituisce et ordina la sua ragione e la sua parte di quel
detto o di quel fatto. Et per ciò è appellato “CONTRO-VERSIA” che
diversi diversamente sentono di quel detto o di quel fatto. Qui dice
lo sponitore come Tullio tratterà della Invenzione. Et poi che Ilo
sponitore àe dette le significazioni di queste parole, dicerà in chente ordine
Tulio tratta della 'nvenzione. Et certo primieramente insegna invenire e
trovare quelle questioni le quale trattano i parlieri, et appellale
constituzioni e dice la proprietade di constituzione e dividela in parti. Nel
secondo luogo mostra qual causa sia simpla, cioè di due divisioni, e qual
sia composta, cioè di quattro o di più. Nel terzo luogo mostra qual
contraversia sia in scritta e quale in dicere. Nel quarto luogo mostra
quelle cose che nascono di constituzione, cioè la diceria nella quale àe
due divisioni e ragioni, e Ila giudicazione e '1 fermamento. Nel quinto luogo
mostra in che guisa si debbono trattare le parti della diceria
secondo rettorica. Nel VI luogo mostra quante sono esse parti e
quali e che sia da ffare in ciascuna. Et disponesi cosi 2 :
Af' vale quasi tanto 3: M'
controversia centra l'altro diverse
ragioni 4:M' k tanto a dire M-m come primo 5: m e secondo 7: M-m parti in essere M dnbitatione sanfa dubitatione 9: M' i s'intende 10: m dinanzi
J8: m om. VAIO: M' sì dicerà oggimai
20: L a trovare 23: m In quattro
parti M-m dimostra - M qual cosa,
m ciualo luogho 26 : M-m sia scripta -
28 : M'-L e la ragiono el iudicamento el fermamente 29: m dimostra 31: M luorao (tic) . 32: M' ciascuno M
Kt diponesi, m ('dispensi, M'-L Et dispone Ci aspetteremmo o 'l
fatto, anche per uniformità colle frasi seguenti ; ma la concordia dei
codici per e lascia incerti sulla conesiione, che non è neppure
indispensabile per il senso. 59 il testo di
Tulio per fare intendere onde procedono le quistioni che toccano al parliere di
questa ai'te. Ogne cosa la quale àe in sé CONTRO-VERSIA, cioè della
quale i diversi diversamente sentono sicché alcuna cosa dicono sopr' a cciò con
inquisizione, cioè per sapere se alcuna delle parti è vera o falsa, sì à'
in sé questione di fatto, cioè questione la quale muove di ciò che alcun
fatto è apposto altrui. Verbigrazia : Dice l'uno contra l'altro. Tu mettesti
fuoco nel Campidoglio. Et esso risponde. Non misi. Di questo nasce una
cotale questione, se elli fece questo fatto o no, et è appellata questione di
fatto per quello fatto che a llui è apposto, etc. Od è questione di nome,
cioè che l’una parte appone un nome a un fatto (D e l'altra parte
n'appone un altro. Verbigrazia: Alcuno à furato d'una chiesa uno cavallo
o altra cosa che non sia sagrata. Dice l’una parte contra lui. Tu ài
commesso sacrilegio. Dice l'altro. Non sacrilegio, ma furto. Et nota che
sacrilegio è molto peggiore che furto, perciò che colui commette
sacrilegio che fura cosa sacrata di luogo sacrato. Donde di questo nasce
una questione del nome di quel fatto, cioè se dee avere nome furto
sacrilegio, e però è appellata QUESTIONE DEL NOME. Od è questione del genere,
cioè della qualitade d'alcuno fatto, in ciò che l’una parte appone a quel
fatto una qualitade e l' altra un' altra. Verbigrazia : Dice F uno. Questi
uccise la madre iustamente perciò ch'ella avea morto il suo padre. Dice
l'altro. Non è vero, ma iniustamente l'à fatt; e di ciò nasce cotal
questione di questa qualitade. Se l'à fatto iustamente o iniustamente, e perciò
è appellata questione di genere, cioè della qualità d'un fatto e di
che maniera sia. Od è questione d'azione, cioè viene a dire che
contiene questione la quale procede di ciò, e' alcuna azione si muta d' un luogo ad altro
e d'un tempo ad altro. Verbigrazia : Dice uno contra un altro. Tu
m' ài M' diversi 6: M' se
l'una parte 8: 3f' un facto 8-9: M' uno contra un altro M' Elgli, mie 12-13: m che 6 allui aposto,
il/' perche il facto che allui e e apposto da questione ecc. M-m Onde questione i4 : M-m in nome o in facto, M' ialla
dal 1° al 2° appone 18: m M' oin.
Et M' peggio 20: m Onde
21: M' del nome del facto
22: m di nome 23: M-m Onde m di genere
25: M-m l'altro 28: iW' OHI. e
29: M-m om. se l'à fatto 30: M' o
di che m. - 31 : M-m Onde mcioò che viene 32-34: M' dico calcuna ad un altro om. e.... ad altro uno a un altro È lezione congetturale, ma sicura, come
dimostra l'espressione analoga del § 16. furato un cavallo »; et esso
risponde: « Vero è, ma non tine rispondo in questo tempo, perciò che ttu
se' mio servo, o perciò eh' è tempo feriato, o perciò eh' io non debbo risponderti
in questa corte, ma in quella della mia terra. Onde di questo procede una
questione, la quale Tulio dice che è d'azione, cioè se colui dee
rispondere o no. Et dice Tulio che tutte le quistioni che sono dette
davanti sono appellate constituzioni, cioè c'anno questo nome. Et dice
che constituzione è la prima pugna delle cause, cioè quello sopra che da
prima contendono i parlieri, cioè il detto dell'uno e '1 detto
dell'altro, e questo sopra che de prima contendono i parlieri si è il
nascimento, cioè che muove del contrastamento della intenzione, cioè del
detto di colui che ssi difende contra le parole
dell'accusatore. Onde contastamento è appellato el primo detto del
difensore e intentione è appellata il primo detto dello accusatore. Et pare che
il nascimento della constituzione vegna della difensione ch'è della
accusa, non che nasca della difensione, ma perciò che del detto del difenditore
si puote cognoscere se Ila causa o Ila questione è di fatto o di genere o
di nome o d'azione, sì come appare nelli exempli che sono messi
davanti. Et omai dicerà Tulio le
nomora e Ile divisioni e Ile proprietadi e He cagioni di tutte le
dette questioni. Del fatto, et è detto congettìirale. Quando
la controversia è di fatto, perciò che Ila causa si ferma per congetture,
sì à nome constituzione congetturale. In questa parte dice Tulio che
quando la contenzione è per alcuno fatto che sia apposto ad altrui, sì
come davanti si dice, sì conviene eh' ella sia provata per
con 1 : M' 0(1 cigli, VI et e
3: m e però ch'io M'
rispondere 6 : M' se quelli m
OHI. Et 10: M i parliero, vi quello
dello quale contendono da prima 14: M
difontu 15: m M' il primo 16: M' appellato - 17: M-m che
nascimento 19: M' owi. del 23-24: M' om. e Ilo cagioni, mn scrive le
detto | cagioni I (piestioni SS:
Moni. è 26-27: M-vi om. è per cometlere
30: M' apposto altrui gettare, cioè per suspezioni e per
presunzioni. Verbigrazia: Dice uno contra un altro. Veramente tu
uccidesti Aiaces, ch'io ti trovai e VIDI TRAIERE IL COLTELLO DEL SUO
CORPO. Et questa è faticosa questione, ciò dice Vittorino, perciò 5. che
a provarla si faticano molto i parlieri, perciò ch'altressì ferme ragioni si
possono inducere per l’una parte come per 1' altra. E poi eh' è detto
della constituzione di fatto, sì dicerà Tulio di quella eh' è di
nome. Del nome, et è appellata ilifjìnitiva. Quando è la
controversia del nome, perciò che Ila forza della parola si
conviene diffinire per parole, sì è nominata diffinitiva. In questa parte
dice Tulio che quando la conten 15 zione è del nome del fatto, cioè come
quel fatto eh' è apposto altrui abbia nome, quella questione si è
diffinitiva perciò che Ila forza, cioè la significazione di quella
parola e di quel nome si conviene diffinire, cioè aprire e rispianare che
viene a dire e che significa, non per exempli ma per parole brevi e chiare
et intendevole.Verbigrazia. Un uomo è accusato che tolse uno calice d' uno
luogo sacrato et è Ili apposto che sia sacrilegio, et esso si difende
dicendo che non è sacrilegio ma furto. Or sopra questa controversia si è tutta
la questione per lo nome di questo fatto: è sacrilegio o furto? Onde per
sapere la veritade si conviene diffinire l'uno nome e l’altro, cioè dire la
signifficazione e Ilo 'ntendimento di ciascuno nome, e poi che fie
chiarito per le parole quello che '1 nome significa, assai bene si potrà
intendere e provai e qual nome si XJonga a 30. quel fatto. Et poi
eh' è detto del nome, sì dicerà Tulio del genere. 3: m
e viJili trarre, M' ol ti vidi trarre
5-6: M'-L acciò che altress'i (L altre si) f. r. se ne
possono 7: in ora. E *: m om. sì
W: M' la controversia è ii:
M'-L appellata 13: M-m om. è 3f ' 7 ilei facto 16: M' om sì
17:M' che ella airorca M-m
a quella parola - 21-22: M' del luogo sacro
23: M' ma e furto 24-25:
AT» se questo facto è sacrilegio furto
26: m l'altro M-m dare - 28: M-m
che nome 30: m om. Ei e si
Dice Tullio del genere, et è appellato generale. Quando è quistione della
cosa qual sia, perciò clie Ila. controversia è della forza e del genere
del fatto, sì è vocata constituzione generale. In questa parte dice Tulio
che quando è questione della cosa quale ella sia, perciò che Ila
controversia è della forza del fatto, cioè della quantitade, e della
comparazione et altressì del genere, cioè della qualitade d'esso fatto,
si è 10. vocata constituzione generale. Verbigrazia. La quantitade
del fatto si è cotale questione : se uno à fatto tanto quanto un altro,
si come fue questione SE CICERONE AVEA TANTO SERVITO AL COMUNE ROMA QUANTO
CATONE. La comparazione del fatbo si è cotale: di due partiti qual sia
migliore, si come fue questione quando i ROMANI presono Cartagine QUAL
ERA MEGLIO TRA DISFARLA O LASCIARLA. Il genere del fatto si è questione
della qualità del fatto sì come davanti fue messo F exemplo, cioè se
colui che fece il fatto fece iustamente o iniustamente. Dice Tullio
dell'azione, et è appellata translativa. Ma quando la causa pende di ciò
che non pare che quella persona che ssi conviene muova la questione, o
non la muove contra cui si conviene, o non appo coloro che ssi
conviene.d) o non in tempo che ssi conviene, o non di quella lege o di
quel peccato o di quella pena che ssi conviene, quella constituzione à
nome translativa, però che ir azione bisogna d' avere translazione e
tramutamento. 8: M-m o decta forfa 9: M-m sia
M' aiiiiellala H : M-m senno -
14. m do fatto i7: M-m
qualità 2'1: A/' l'accusa 24: M convenne, M-m nm. o non (1)
La frase o non appo coloro che ssi conviene manca in tutti i codici, ma
si ricava dal latino aid non apud qiios e dal § 4 dol commento. In
questa parte dice CICERONE della controversia dell'azione, che quando
sopr'acciò è Ila questione e' si conviene che l’azione si tramuti in
tutto o in parte, e perciò à nome translativa, cioè trarautativa. Et
questo è o puote essere Ijer sette maniere, le quali sono nominate nel
testo, cioè: 2. Quando non muove la questione quella persona a cui
la conviene di muovere. Verbigrazia: Dice uno scoiaio contra ad un altro.
Tu se' venuto troppo tardi a scuola. Et esso dice. A te no'nde rispondo,
che non ti si conviene muovermi questione di ciò, ma conviensi al nostro
maestro. O non muove la questione contra quella persona che ssi conviene.
Verbigrazia. Fue trovato che in ROMA si trattava tradimento e fue alcuno
che ll'aponea contra GIULIO Cesare, et esso dicea. Contra me non si
conviene muovere di ciò questione, ma contra CATELLINA CATILLINA che l’
àe fatto e fa tutta fiata ». non muove la questione appo coloro che
ssi conviene, cioè davanti a quelle persone che dee. Verbigrazia : Fue
accusato il vescovo di simonia davanti al re di Navarra. Il vescovo dice. Tu
non m'accusi davante a giudice eh' io debbia rispondere, ma io son
bene tenuto di ciò e d'altro davante l'appostolico. O non muove la
quistione in quel tempo che ssi conviene. Verbigrazia. Uno fue accusato il
giorno di Pasqua. Esso dicea. Non rispondo ora di questo, perciò che oggi non
è tempo d' attendere a cotali convenenti» non muove questione a
quella lege che ssi conviene. Verbigrazia : Uno cittadino di ROMA era in
Parigi e volea piatire contra uno francesco secondo la legge di Roma; ma
quel francesco dice 3: Jtf -HI 7 si conviene, 3/' om. 5: Af 7 puote, m e questo puole essere M' in sette m. 7-8: m si conviene M' in contro a un altro 9-iO: M' Ed elgli, m et elli M-m om. ti 12: M-m muovere, M' muove questione i4: Af alcuna 16: m questione di ciò,
M' di ciò non si conv. m. q. ' 17: m
tuttavia M-m contra coloro 18-19: M' che si dee.... Il vescovo fu
acc. 21: M davante a giudici, m />
davanti a giudici, M' davanti giudice - 24: m della Pasqua egli
25: M' non ti rispondo ora di ciò
26: m M' da rispondere 29:
M' la legge romana m il Francesco
(1) Questa è la lezione miglioro per il senso, né si trova una valida
ragione per considerarla arbitraria, quantunque dalle due famiglie di
codici sembri risultare un da rispondere: sarà stato determinato dal rispondo
con cui comincia la frase che non dee rispondere a quella legge ma a quella
di Francia. O non muove la questione di quel peccato che ssi
conviene. Verbigrazia. Fue accusato uno, che non avea il membro
masculino, ch'avesse corrotta una vergine; esso dice. Io non risponderò di
questo peccato -- non muove questione di quella pena che ssi conviene.
Verbigrazia. Fue uno accusato ch'avea morto uno gallo et erali apposto
che perciò dovea perdere la testa; esso dicea: Non rispondo a questa
pena, perciò che non tocca a questo peccato. Donde tutte queste questioni sono
translative, cioè che ssi tramutano in altro fatto e stato, tal fiata
in tutto e tal fiata in parte, si come appare nelli exempli di
sopra. Dice Tullio se l'una delle dette quattro cose non fosse non
sarebbe causa. E così conviene che ssia l' una di queste inn ogne maniera
di cause, perciò che in qual causa no 'nde fosse alcuna, certo in quella
non porrebbe avere contraversia, e perciò conviene che non sia tenuta
causa. Poi che CICERONE àe divisate le parti della constituzione et
àe detto che e come è ciascuna di quelle parti e le loro nomerà, sì vuole
Tulio provare che quando l'una di queste questioni, che sono del fatto o
del nome o della qualità del tramutare l'azione, non è intra parlieri, certo
intra loro non puote essere controversia ; e poi che 'ntra loro non
à controversia, certo il fatto sopra il quale dicessero parole non
sarebbe causa, e così non sarebbe materia di questa arte, cioè che non
sarebbe dimostrativo né diliberativo né iudiciale. 2. Et provando questo sì
dimostra Tulio i: i non si dee 4-5: m M' Klgli dico -- 7: M' Fue accusalo
uno 8: M' nm_ perciò - m egli dice M' non li lispondo 9: M' non tocclia (piosto peccato ti: M' in altro slato, m om. e stalo -
J2:M' paro 16: M' luna de ipicste sia -
17: M tn i|ualcosa, m in quale chosa - SS : M-M^ 7 ciascuna - S3: m
provare Tulio - S3-S6: M-m om. ^ m
tralloro - 30: m quando ([U'-sto che Ile predette cose in questa
arte sono si congiunte insieme che qualuuiiue causa è dimostrativa o
deliberativa o iudiciale sì conviene che sia constituzione o del fatto o
del nome o della qualitade o dell' azione, et e converso che 5.
qualunque constituzione è del fatto o del nome o della qualità o dell'azione
sì conviene che sia dimostrativa o deliberativa o iudiciale. Et omai
perseverra Tulio sua materia per dicere di ciascuna parte per sé. Del
fatto. La contraversia del fatto si puote distribuire in tutti
tempi: che ssi puote fare quistione che è essuto fatto, in questo modo. Ulisse
uccise Aiace o no ? Et puotesi fare questione che ssi fa ora, in questo
modo Sono i Fregelliani in buono animo verso lo comune o no ? Et puotesi
fare questione che ssi farà, in questo 15. modo : Se noi lasciamo
Cartagine intera, everranne bene al comune no? In questa pai'te dice CICERONE
che Ila CONTRO-VERSIA la quale è di fatto che ssia apposto ad altrui, la
quale àe nome constituzione congetturale sì come fue detto in
adietro e messo in exempli, sì puote essere in tutti tempi, cioè preterito,
presente e futuro. Nel PRETERITO pone Tulio r exemplo della MORTE D’AIACE,
che fue cotale. Stando l'assedio di Troia sì fue morto il buon
Achille, et apresso la sua morte fue grande questione delle sue
armi intra Ulisse et Aiace. Et certo Ulisse fue, secondo che
contano le storie, il più savio uomo de' Greci e '1 milìor parliere,
sicché per lo grande senno che i-llui regnava e per lo bene dire niettea
in compimento le grandi vicende, alle quali altre non sapea pervenire, e
perciò adoperò e' più di male contra' Troiani per lo suo senno che non
fecero M dimoslraliva 3: M'
constitutione del facto 4-6: M-m om. ot
e conweiso.... dell'azione 7 : M'
Et oggimai perseguita 10: M' in dui
tempi 11: m clie exututo 13: M*
de buono animo 14: m om. che ssi
farà 15: M-m, L in terra ikf' averranne, m e veramente bene S3 : M' Tulio la morto 24: M* a Troia 26-27: M' secondo che recitano le
storie, fue M-m et niilior 29: M* per
.ben dire 30: Mie quali, m le quali
oltre non sapeano M adopio 7, m adoppio
più, M' adopero elgli M' in contro
a la non fé, L non fece
quasi tutta l'oste per arme, et alla fine si parve uianifestameute, eh'
elli fue trovatore del cavallo per lo quale fue Troia perduta e tradita;
ma veramente in guerra non si 5. fatigava molto con arme e non era di
gran prodezza, ma tuttavolta dimandava che Ili fossono CONCEDUTTE L’ARMI
D'ACHILLE, e dicea che nn'era degno e ch'avea in quella guerra ben fatta
l'opera perchè etc Et dall' altra parte Aiaces era uno cavaliere franco e
prode all'arme, di gran guisa, ma non era pieno di grande senno e sanza
molto** (D francamente avea portate l'armi in quella guerra, e
perciò domandava l'armi d'Achille e dicea che non si conveniano ad ULISSE.
Onde alla fine l'armi furono concedute ad Ulisse, per la qual cosa montò
tra lloro TANTA INVIDIA che divennero nemici mortali ; et in questo mezzo
tempo e morto Aiaces e fue della sua morte ACCUSATO Ulixes, et esso
si difendea e negava ; e di questo sì era QUESTIONE DI FATTO in preterito, cioè
che già era fatto in tempo passato. Inol presente tempo mette Tulio l'
exemplo de' Fragellani, che furo una gente i quali fui'ono accusati in ROMA eh'
elli aveano male animo contra il comune. Et elli si difendeano e diceano che
11' aveano buono e dritto ; e di ciò si era QUESTIONE DI FATTO PRESENTE,
cioè se sono ora presentemente di buono animo o no. Nel FUTURO mette CICERONE l’exemplo
di CARTAGINE, la quale fue una delle più nobili cittadi e delle più
poderose del mondo, e tenne guerra contro a ROMA, sì eh' alla fine I
ROMANI vinsero e presero la terra ; e furo alcuni che voleano che Ila
cittade si disfacesse per lo bene di Roma, ET ALTRI CONSIGLIARO DEL NO perciò
che '1 meglio ne potrebbe advenire s' ella rimanesse intera, e di ciò è QUESTIONE
DEL TEMPO FUTURO, cioè se bene o male n'averrà se Cartagine rimanesse
intera o s'ella si disfacesse. Ma poi che Tulio à detto della
controversia del fatto, sì dicerà di quella del nome in questo
modo. i: M' ne non era.
6: M' ben dengno 7 : M' ben
l'opera perchè, L bene adoperato perchè
9: m orti, e sanza molto 10: M-m
provale 14: m iim. mezzo 15 : m 7
dela sua morte fue aco. 16-17 : M-m onde
di questo era già (piestione... in perciò che già ecc. (vi om. in perciò) 18: M' Fregiani 19: M' che fuoro accusati SO: SI' comune de Roma 22 : m om. si
S6: M incontra S7 : m om. e M' vollero (ma L voleano) 28: m om. et
M' di no m pero che meglo ne
potrebbe loro intervenire M-m, L in
terra Af' e questo nel tempo futuro M-m che bene
31: M, L'in terra (1) Così hanno i mss. e perfino la stampa,
ma evidentemente manca qualche parola (anzi itf " dopo molto lascia
uno spazio bianco), come dire o parlare. Basti averlo notato, senza
pretendere d' indovinare. Del nome. Controversia del nome è quando lo
fatto è conceduto, ma è questione di quello eh' è fatto in che nome sia
appellato; et in questo conviene che sia controversia del nome, perciò
che non s'accordano della cosa; non che del fatto non sia bene certo,
ma che quello ch'è fatto non pare all'uno quello eh' all' altro, e
perciò l'uno l'appella d'un nome e l'altro d'un altro. Per la qual
cosa in questa maniera la cosa dee essere diffinita per parole e
brevemente discritta, come se alcuno à tolta una cosa sacrata d'uno luogo
privato, se dee essere giudicato furo o sacrilego, che certo in essa
questione conviene difinire l'uno e l'altro, che sia furo e che
sacrilego, e mostrare per sua discrezione che Ila cosa conviene avere
altro nome che quello che dicono li aversarii. In questa parte dice CICERONE
della controversia del nome ; e perciò che di questo è molto detto
davanti, sì siue trapassa lo sponitore brevemente, dicendo solamente
la tema del testo, sopra '1 quale il caso è cotale: Roberto accusa
Gualtieri ch'elli àe malamente tolta una cosa sacrata, si come UNO CALICE o
altra simile cosa la quale sia diputata a' divini mistieri, e dice che
Ila tolse d'uno luogo privato, cioè d'una casa o d'altro luogo non
sacrato. Viene l'accusato e confessa il fatto. Dice l'accusatore. Tu
ài fatto sacrilegio. Dice l'accusato. Non ò fatto sacrilegio, ma
furto. Et così sono in concordia del fatto, ma non della cosa, cioè della
proprietade per la quale si possa sapere che nome abbia questo fatto, perciò
eh' all' accusatore pare una, che dice ch'è SACRILEGIO, et all'accusato
pare un' altra, che dice eh' è FURTO. Onde in questa maniera di
CONTROVERSIA si conviene che '1 PARLIERE che dice sopra questa materia
dififinisca e faccia conto IN BREVI PAROLE 3 : it 7 (li
questo 9 : M-m distrecta 10: M-
sacrato M-m per furto o per sacrilegio,
L furto sacrilegio 11: M-m con l'altro m
furto 12: M-m che sacrilegio, A/'
che sia sacrilego il/'
scriptione 16:Mom. detto M' nm. si
18: m sopralla quale - J/' Uberto : M' tolto 19 : m cosa simile SI: M-m ad veruno mistieri (m mistiere)
23-24: M il l'atto. Et dice laccusato
m Non o, ma furto 27-28: m però
chellachusatorc... una diosa
2H-29: M-m om. sacrilegio.... cli'ò
30: jV' jjarladore 3t: M'
didinita - G8 che cosa è SACRILEGIO e che è FURTO; e
così dee mostrare come questo fatto non à quel nome che dice
l'aversario. Ed è detto della CONTROVERSIA del nome; omai dicerà
Tulio CICERONE di quella del genere, in questo modo :
5. Del genere. ^Z. (e. IX) Controversia del genere è quando
il fatto è conceduto e sono certi del nome d' esso fatto, ma è
questione della quantitade del fatto o del modo o della qualitade,
in questo modo : giusto ingiusto - utile o inutile - e tutte cose
nelle quali è questione chente sia quel fatto. In questa parte dice Tulio
CICERONE della questione del genere, e di questa è tanto detto dinanzi
che 'n poche parole dimorerà lo sponitore ; e dice che quella controversia è
del genere nella quale Y accusato confessa il fatto et è in concordia coir accusatore
del nome d' esso fatto, ma sono in discordia della quantitade del fatto,
cioè se grande o piccolo o molto o poco. Verbigrazia. Un gran romano
quando dovea cacciare i nemici del suo comune si fuge. E accusato eh' ha fatto
danno e male alla inaestà di Roma; l'accusato confessa il fatto e '1 nome
del facto. Dice l'accusatore. Questo è grande DANNO. Dice l'accusato : « Non è grande, ma PICCOLO.
Ed è la discordia tra loro della quantità, cioè se quel male è grande o
piccolo. O sono in discordia del modo, cioè della comparazione del fatto, sì
come fue detto qua indietro nell'exemplo di Cartagine, qual fosse la
migliore parte tra disfare o lasciare. O sono in discordia della qualitade del
fatto, sì comepare in exemplo d'ORESTE che uccide la sua madre, ed e
accusato che l’ha morta ingiustamente. Ed ORESTE si difende e dice che l'à
morta giustamente, ma bene con OM, 8: M'in modo
della qualitndo 9: m o non giusto 12: M' tracia
i3: M-m detto VI di
questo M die poclie p. m dimora, Af' <limorra - 16-17: M' ohi.
ma sono.... del fatto 20: M-m
t>m. e male S3: M-m nm. Ed So: >/' Or sono, M-m OHI. - 26: M'
nm. si - 27 : M' o disfare - 2S : M-m quantitade - 29 : M' nelexemplo di
((uestl, M-vi dotesles 30-.il : m nm. ot
esso... GIUSTAMENTE giustamente, M' nm. si - M-m cliellavea
- 69 fessa il fatto e 1 nome del fatto; ma sono in discordia
della qualità, cioè se 11' àe fatto GIUSTAMENTE O INGIUSTAMENTE. Ben
è vero che Tulio CICERONE non mette in exemplo della quàntitade nel
testo, né della comparazione, se non solamente della 5. qualitade ; e
questo fae perciò che più sovente ne vien tra Ile mani che non fanno
l'altre, e perciò dice che tutte cose nelle quali si confessa il fatto e
'1 nome del fatto, ma è questione della qualità d'esso fatto, sì è
controversia del genere. E poi che Tullio CICERONE à detto di questa
questione del genere secondo il suo parimento, sì procede immantenente a
riprendere Ermagoras dell'errore suo in questa controversia del genere. A
questo genere Ermagoras sottopuose IV parti, ciò sono DELIBERATIVO,
DEMONSTRATIVO, IUDICIALE, E NEGOZIALE. Il quale suo fallimento non
mezanamente pare che ssia da riprendere, ma in breve, perciò che sse noi
ci ne passiamo così tacendo fosse pensato che noi lo seguissimo sanza
cagione; o se lungamente soprastessimo in ciò, paia che noi facessimo
dimoro et impedimento agli altri insegnamenti. Se deliberamento e dimostramento
sono generi delle cause, non possono essere diritte parti d'alcuno genere
di causa, perciò che una medesima cosa puote bene essere genere
d'una e parte d'un' altra, ma non puote essere parte e genere d'una
medesima. Et certo deliberamento e dimostramento sono genera delle cause.
Ma o non è alcuno genere di cause, o è pur iudiciale solamente, è iudiciale e
dimostrativo e deliberativo. Dicere che non sia alcun genere di cause,
con ciò sia cosa eh' e' medesimo dice che Ile cause sono molte e sopra
esse dà insegnamento, è grande forseneria. Un genere, cioè pur iudiciale
solamente, non puote essere, acciò che diliberamento e dimostramento non
sono simili intra lloro e molto si discordano dal genere iudiciale, e
ciascuno à suo fine al quale si dee ritornare. Adunque è certo che tutti
e tre son generi delle cause, e così deliberamento e dimostramento non
possono 4: M> nel testo exemiilo - 5: M' in tra le
mani iO: m om. secondo il suo
parimente M mantenente 13: M-m II (juale lue i7 : 3/' nm. i)erciò cene passassimo 18: m stessomo - 19: M' dimora, m imped. 7
dimoro 20: M-m dim. 22 : m M'
causa M-m genere 7 parte d' una medesima
- 23 : M' Ma none, vi Ma anno ale.
26: M-m om. e deliberativo 27: M'
ch'elli - 28: M' essi... inseffnamenti 28-29 : M 7 grandi; fors (?), m 7
grande forma, M' 7 grandi mattezze. Genere ere.
.12 : M 7 certo 3:i : M' de
cause... dimost. 7 del. essere a diritto tenute parti d'alcuno
genere dì causa. Dunque malamente disse ch'elli fossero parte della
constituzione del genere. 46. (e. X) Et s'elle non possono essere tenute
diritte parti della causa del genere, molto meno fien tenute parti della
diritta parte della causa; e parte della causa è ogne constituzione; donde
no la causa alla constituzione, ma la constituzione s'acconcia alla
causa. Ma dimostramento e diliberamento non possono essere tenute
diritte parti della causa del genere, perciò che sono generi: donque
molto meno debbono essere tenuti parte di quello ch'esso dice. Appresso
ciò, se Ila constituzione et essa e ciascuna parte della constituzione è
difensione contra quello eh' è apposto, conviene che quella che no è
difensione non sia constituzione ne parte di constituzione. Et certo
deliberamento e dimostramento non sono constituzione. Dunque se constituzione
et ella e la sua parte è difensione contra quello eh' è apposto, il
dimostramento e '1 diliberamento non è constituzione ne parte di
constituzione. Ma piace a Itui che ssia difensione. Dunque conviene che
Ili piaccia che non sia constituzione, né parte di constituzione. Et in
altrettale isconvenevile fie condotto, se esso dica che constituzione sia
la prima confermazione dell' accusatore o Ila prima preghiera del difenditore ;
e così seguiranno lui tutti questi sconvenevoli. Appresso ciò, la causa
congetturale, cioè di fatto, non puote d'una medesima parte inn un medesimo
genere essere congetturale e diffinitiva ; et altressì la diffinitiva
causa non puote essere d'una medesima parte inn uno medesimo genere
diffinitiva e translativa. Et al postutto neuna constituzione ne parte di
constituzione puote avere e tenere la sua forza et altrui; perciò che
ciascuna è considerata semplicemente per sua natura ; se l'altra si
prende, il nomerò delle constituzioni si radoppia, non si cresce la forza
della constituzione. Veramente la causa deliberativa insieme d'una
medesima parte in un medesimo genere suole avere la constituzione
congetturale e generale e diffinitiva e translativa, et alla fiata una e
talvolta piusori. Adunque, essa non è constituzione né parte di
constituzione. Et questo medesimo suole usatamente advenire della causa
dimostrativa. Adunque sì come noi avemo detto 3,5. davanti, questi,
cioè deliberamento e dimostramento, sono generi delle cause e non parti
d'alcuna constituzione. 1 : M' a diricto essere tenute
parte 5: M-tn om. parto delln causa ìvi
om. no 7: JV' tenuti 9 : m tenute parti,
il/' im. tenuti M-m cliossi dice iO: M-m chella const. 11: M-m ? difensione M' (piella - IS: M-m non sia la
constitutione 13: m om. Et 14: M 1 dunque le const., m Dunque la
const. 15: M' nm. e '1
diliberamento 16-18: m om. i due periodi ^0 : m seguiteranno - l' 1 : M-m si
convenevoli 23: M'^ diffinitiva, m chon dilf.
25 : M-m om. e translativa - 26: M-m om. nk - M' ne tenere 2S: m il novero il/ sic radoppia 31: m coniotturalc generale 32: i wim. illusori
(i Lo sponitore. I. In questa parte dice Tulio
che Ermagoras dicea che Ila controversia del genere avea quattro parti
sotto sé, ciò sono deliberativo, demostrativo, iudiciale e negoziale;
della 5. qual cosa Tulio lo riprende in tutte guise, e mostra molte
ragioni come Ermagoras errava malamente, e questo pruova manifestamente
per argomenti dialetici: che dimostramento e deliberamento sono generi
delle cause si che Ile cause sono parti di loro; e poiché sono generi,
cioè il tutto delle 10. cause, non possono essere parte delle
cause, acciò ch'una cosa non puote essere tutto d'una cosa e parte di
quella medesima. 2. Et così per molte ragioni o vuoli argomenti
conclude Tulio che Ermagoras avea mal detto, e poi seguentemente dice la sua
sentenza : quali sono le parti della constituzione del genere, cioè della
quantitade e del modo e della qualitade del fatto, sì come qui dinanzi
fue detto. Et in ciò incomincia la sentenzia di Tullio in questo
modo : Le parti della constituzione generale. 20. ^S.
(e. XI) Questa constituzione del genere pare a noi ch'ab bia due parti :
Iudiciale e negoziale. Lo sponitore. 1. Poi che Tullio
àe ripresa l' oppinione d' Ermagoras delle quattro parti, si dice la sua
sentenza e dice che sono 25. pur due parti, cioè quelle altre due che
dicea Ermagoras: iudiciale e negoziale ; et immantenente detta la sua
sentenza, la quale vince quella d' Ermagoras e d'ogn' altro, sì dice e
dimostra che è iudiciale e che è negoziale, in questo modo 4: M'
dimostrativo, deliberativo ecc. 6: M-m
provava 9: m genero 10: M el acciò 11 : M-m tiicta 13:M^ conchiude Tulio Ermagoras avere 17 : il/' comincia 23 : m ripreso 28: M' che e iuridiciale {e cosi sempre), M-m
che iudiciale 7 che {ni om. che) negotiale ludiciale è quella nella
quale si questiona la natura dì dritto e d' iguaglianza e la ragione di
guiderdone o di pena. Sponitore. 5. 1. La iudiciale
coustituzioue è quella nella quale per diritto, cioè per ragione
provenuta per usanza e per iguallianza, cioè per ragione naturale o per ragione
scritta, si questiona sopra la quantitade o sopra la comparazione o
sopra la qualitade d'un fatto, per sapere se quel fatto è giusto o
ingiusto o buono o reo. Altressì è iudiciale quella nella quale è
questione d'alcuno per sapere s'egli è degno di pena o di merito.
Verbigrazia. Alobroges è degno d'avere merito di ciò che manifestò la
congiurazione di Catenina? e questionasi del sì o del no. Et anche
questo exemplo. È Giraldo degno di pena di ciò che commise furto ? e
questionasi del si o del no. Et poi che à detto Tulio del iudiciale, si
dicerà dell'altra parte, cioè della negoziale. Negoziale è quella
nella quale si considera chente ragione sìa per usanza civile o per
equitade, sopra alla quale diligenzia sono messi i savi di ragione. Dice
CICERONE che quella constituzione è appellata negoziale nella quale si
considera per usanza civile, cioè per quella ragione la quale i
cittadini o paesani sono usati di tenere i-lloro uso o in loi'o
costuduti, o per equitade, cioè per legi scritte, chente ragioni
debbiano essere sopra quella 2: m quello nel (juale 3: M'-L ella ragione di diritlo, S di
merito 6: m pervenuta 8.me sopra la comp. 9: m se questo giusto il: M^ si questiona
d'alcuno selglie ecc. 12-14: m o
di morte M-m o alabroges di Catenina et
questionisi del si et del no (m di si o di no), L e questo exemplo 16: m
quistionìsi... om. Et A/ 7 del
no 16-17: M' Tulio a detto dela giuridicialo 20: M' Di negotiale 26: M' om. paesani 27 : M' i loro costuduti m illoro chostuduli,
M' in loro constituti M-m
equalitade S8 : M' cliente ragione
debbia constituzione. 2. Et intra la iudiciale e la negoziale àe
cotale differenzia : che Ila iudiciale tratta sopra le cose passate et intorno
le leggi scritte e trovate ; ma la negoziale intende intorno le presenti
e future (1) et intorno le legi et 5. usanze che saranno scritte e
trovate.Et questa è di molta fatica, perciò che' parlieri s'affaticano di
grande guisa a provarla et a formare nuove ragioni et usanze
allegando in ciò ragioni da simile o da contrario. Et questa
questione si tratta davante a' savi di legge e di ragione, ma in provare
la iudiciale basta dicere pur quello che Ila ragione ne dice. 4. Et poi
che Tulio à detto che è la iudiciale e che è la negoziale, sì dicerà
delle parti della iudiciale per meglio dimostrare lo 'ntendimento di
ciascuno capitolo dell' Arte. Di due parti di Iudiciale. La
iudiciale dividesi in due parti, ciò sono assoluta et assuntiva. In
questa parte dice Tulio che quella questione la quale è iudiciale, sì come
davanti è mostrato, sì à due parti. Una eh' è appellata assoluta e
l'altra la quale è appellata assuntiva ; e dicerà di catuna per sé.
3 : M interno 4: i mss.
futuro M' il presente 8 : m in se ragioni 9 : M assaivi, m si tratta da savi 10: M pur di quello 16: M' si divido 21 : M' luna la quale è appellata - M-m
e assunptiva Per quanto la lezione di -Jf' (il presente e futuro) sembri
ottima, preferisco ricorrere alla lieve correzione di futuro in future.: M* ha
tendenza a cambiare, e quindi non è improbabile che, trovando già l'errato
futuro, abbia voluto accordare con esso l'aggettivo precedente, le
presenti. Non saprei invece come spiegare un cambiamento inutile in
M-m. Assoluta è quella che in sé stessa contiene questione o di
ragione o d' ingiuria. Dice CICERONE che quella questione iudiciale del
genere èe appellata assoluta la quale in sé medesima è
disciolta e dilibera, sì che sanza niuna giunta di fuori contiene
in sé questione sopra la qualitade o sopra la quantitade o sopra la
comparazione del fatto, il qual fatto si cognosce s'egli é di ragione o
d'ingiuria, cioè se quel fatto é giusto o ingiusto o buono o' reo, sì
come in questo exemplo donde fue cotale questione. Verbigrazia : Fecero
quelli da Teba giusto o ingiusto quando per segnale della loro vittoria
fecero un trofeo di metallo? Et certo questo fatto, cioè fare un trofeo di
metallo per segnale di vittoria, piace per sé sanza neuna giunta et in sé
contiene forza della pruova, perciò ch'era cotale usanza. Assuntiva
è quella che per sé non dà alcuna ferma cosa a difendere, ma di fuori
prende alcuna difensione ; e le sue parti sono quattro : concedere,
rimuovere lo peccato, riferire lo peccato e comparazione.
S:M-m slesso 7: M-m nm. ai fi: M-m «m. o sopra la (luantilude 7 invece ili 09: M' in f|uel facto 12: M-m Ino - »« di Teba 14-13: m et cerio questo trofeo fatto
faro per sengnale della loro Victoria jiiuce per so medesimo 16: M' la forfa 1 9 : M-m ohi. olio
per sé non dà alcuna CICERONE dice che quella constituzione è appellata
assuntiva della quale nasce questione, la quale in sé non à fermezza per
difendersi da quello peccato eli' è allui appo5. sto, ma d'un altro fatto di
fuori da quello prende argomento da difendersi; si come nella questione
d'Orestes, che fue accusato eh' avea morta la sua madre, et elli dicea
che ll'avea morta giustamente. Et certo il suo dire parca crudel
fatto, sì che queste parole per sé non anno difensione com'elli l'abbia
fatto giustamente, ma prende sua difensione d'un altro fatto di fuori e dice: «
Io l'uccisi giustamente, perciò ch'ella uccise il mio padre ». Et così pare
che con questa giunta piaccia la sua ragione. Efc questa cotale questione
assuntìva à quattro parti, delle quali il testo 15. dicerà di
catuna perfettamente per sé. Concedere e concessione è quando
l'accusato non difende quello eh' è fatto ma addomanda che ssia perdonato
; e questa si divide in due parti, ciò sono purgazione e preghiera.
20. Sponitore. I. Poi che Tulio avea detto che è e quale la
questione assuntìva e com' ella si divide in quattro parti, sì vuole
dicere di ciascuna per sé divisatamente perchè '1 convenentre sia più
aperto. 2. Et primieramente dice che é concedere, e dice che quella constituzione
é appellata concessione quando l'accusato concede il peccato e confessa
d'averlo fatto, ma domanda che ssia perdonato ; e questo puote essere in
due maniere: o per purgazione o jjer preghiera, e di ciascuna di queste
dirà Tulio partitamente, e prima 30. della purgazione.
3: M> non àe in se 5: M' di
quello 7 : M' Pt elli rispondea 8-iO: M-m om. Kt certo....
giustamente i4: M' nm. assuntìva 15: M' per se perfectamente 17: M' o concessione - 18 : 3f '
domanda chelgli sia p. m. 7 questo 21 : m che e quale, M' che 7 quale
6 23: m di chatuna 24: M-m concede 26: m confessa il pechato d'averlo
facto Purgazione è quando il fatto si concede ma la colpa si rimuove, e
questa sì à tre parti : imprudenzia, caso e necessitade. Dice CICERONE che
quella maniera di concedere la quale è per purgazione sì è et
aviene quando l'accusato confessa, ma lievasi la colpa e dice che quel
fatto non fue sua colpa ; e questo puote fare in tre maniere, delle quali
è prima Imprudenzia, cioè non sapere. 2. Verbigrazia : Mercatanti
10. fiorentini passavano in nave per andare oltramare. Sorvenne
loro crudel fortuna di tempo che Ili mise in pericolosa paura, per la
quale si botaro che s' elli scampassero e pervenissero a porto che elli
offerrebboro delle loro cose a quello deo che là fosse, et e' medesimi F
adorrebbero. Alla fine arrivaro ad uno porto nel quale era adorato
Malcometto ed era tenuto deo. Questi mercatanti l' adoraro come idio e
feciorli grande offerta. Or furono accusati ch'aveano fatto contra la
legge ; la qual cosa bene confessavano, ma allegavano imprudenzia, cioè
che non sapeano, e perciò 20. diceano che fosse perdonato. Et di
ciò era questione, se doveano essere puniti o no. 3. La seconda maniera è
caso, cioè impedimento eh' adiviene, sì che non si puote fare
quello che ssi dee fare. Verbigrazia : Un mercatante caursino avea inprontato
da uno francesco una quantità di pe 25. cunia a pagare in Parigi a certo
termine et a certa pena. 6: M-m om. b 7 : M-m imi. non 8: M' Kl puotesi l'art! o In prima
tO: M per mare oltramare, di passavano per maro in nave Jf sopravenne
li: mi miseli, JV/' om. che
14: M' edelgli medesimi 15: M'
Macliometlo, m Maometto 17: M'
fecero grande oHerta. Fiioro ecc., m mii. Or
19: M' noi sapeano 21: m puliti
S4 : m inprontato moneta da uno franeesclio Avenne
che '1 debitore, portando la moneta, trovò il fiume di Rodano si
malamente cresciuto che non poteo passare né essere al termine che era
ordinato. Colui che dovea avere domandava la pena, l' altro confessava
bene eh' avea 5. fallito del termine, ma non per sua colpa, se non che '1
caso era advenuto ch'avea impedimentitotU la sua venuta, e però
dicea che Ila pena non dovea pagare; e di ciò è questione, se Ila dovea
pagare o no. La III maniera è necessitade, cioè che conviene che ssia così
et altro non potea fare. Verbigrazia : Statuto era in Costantinopoli che
qualunque nave viniziana arrivasse nel porto loro, la nave e ciò
che entro vi fosse si publicasse al segnore. Avenne che mercatanti
genovesi allogare una nave di Vinegia e passaro con grande carico
d'avere. Convenne che per impeto di tempo per forza di venti, centra'
quali non si poteano parare, pervennero nel porto e fue presa la nave e le
cose per lo segnore. Ben confessavano li mercatanti che Ila nave
era veniziana, ma per necessitade erano venuti in esso porto, e però
diceano che non doveano perdere le cose ; e di ciò era questione, se Ile
doveano perdere o no. Tutto altressì i Veniziani, cui fue la nave,
raddomandavano la nave o la valenza; i mercatanti diceano che l'amenda
non dovea essere domandata, perciò che per necessitade e non per volontade
erano iti in quel porto. Et poi' che Tullio àe detto della purgazione e
delle sue parti, si dicerà della preghiera. Preghiera è quando l'accusato
confessa ch'elli àe commesso quel peccato e confessa che 11' àe fatto
pensatamente, ma sì domanda che Ili sia perdonato, la qual cosa molte
rade fiate puote advenire. 1 : M-m avieno S : M-m polea
3: M' a. termine ordinato 5 : M'
al termine 5-6: M impedimento, M* ma nel caso era avennlo 7 avea
impedimentita il: M' nel loro
porto 13: m una nave viniziana, 3/' una
nave de Viniziani 7 passavano
14-15: M per un tempo per impetto 7 per f., if ' per impedimento,
m di vento 18: M^ in quel porlo SO: M' ora la questione m dovea
22: M' che por lamenda 24 :m
om. Et 28-29: m domandasi M' om. molto (1) Questa lezione
di w è confermata da impedimentita di Jf*, cioè dall'altra famiglia di codici.
Lo scambio, avvenuto in M, con impedimento era facilissimo e lo favoriva
il fatto che il senso restava quasi il medesimo : « la sua venuta avea avuto
impedimento ^>. Così leggo con w, poiché in if e ilf ' il passo è
manifestamente guasto (impedimento è correzione arbitraria), mentre
l'espressione impeto di tempo, analoga, a quella del § 2 fortuna di tempo, può
bene corrispondere alla magna tempestas di cui parla l'esempio
ciceroniano {De Inv., II, 98) sul quale è modellato il nostro CICERONE dimostra
in questa picciola parte del testo che cosa è appellata preghiera in
questa arte. Et dice che allotta è questione di preghiera quando
l'accusato confessa 5. e dice che fece quel peccato che gli è aposto e
ricognosce che ir à fatto pensatamente, ma tutta volta domanda perdono.
2. Onde nota che questa preghiera puote essere in due maniere, o aperta o
ascosa. Verbigrazia : In questo modo è la preghiera aperta : Dice l'
accusato. Io confesso bene ch'io feci questo fatto, ma prego vi per amore
e per reverenza di Dio che voi mi perdoniate ». La preghiera ascosa
è in questo modo : « Io confesso eh' io feci questo fatto e non domando
che voi mi perdoniate ; ma se voi ripensaste quanto bene e come grande
onore i' òe fatto al comune, ben sarebbe degna cosa che mi fosse perdonato
». 3. Ma ssì dice Tullio che queste preghiere possono advenire rade
volte, (l) spezialmente davante a' giudici che sono giurati a lege sie
che non anno podere di perdonare. Ben puote alcuna fiata lo 'mperadore e
'1 sanato avere prove 20. denza in perdonare gravi misfatti, sì come
poteano li anziani del popolo di Firenze ch'aveano podere di gravare e di
disgravale secondo lo loro parimento. Et poi che Tullio àe detto della
prima parte della constituzione assuntiva, cioè della concessione e che cosa è
concedere, et à delle due maniere di concedere detto, cioè di
purgazione e di preghiera, sì dicerà della seconda parte, cioè rimuovere
lo peccato. Rimuovere lo peccato è quando l'accusato si sforza di
rimuovere quel peccato da se e da sua colpa e metterlo sopra un
S : M' mostra 5 : M' elicigli
lece 6' : M' nppensatainentc 8 : M' nascosa 14: M' om. bene 17 : M^ fiato (ma L volte) li ([uali sono 18: M noniianno 19: m prudenzia SS: m eclisgravare, M> 7 disgravare ni lo loro parere, L illoro parere, S il loro
piacimento m om. Et So: M' m e a detto delle duo maniere ecc. 30
: M' mettelo (ma L metterlo) (1) Conservo volte appunto perchè
questa parola in itf è meno frequente di fiate Q non si può considerare
correzione arbitraria; invece fiate sarà stato sostituito per uniformità col
testo tradotto (v. pag. preced., 1. 29). altro per forza e per podestà di
lui ; la qual cosa si puote fare in due guise: o mettere la colpa o
mettere lo fatto sopr'altrui. Et certo la colpa e la cagione si mette
sopra altrui dicendo che quel sia fatto per sua forza e per sua
podestade. Il fatto si mette sopr'altrui 5. dicendo che dovea un altro e
potea fare quel fatto. In questo luogo dice CICERONE eh' è rimuovere lo
peccato e come si puote fare, et è cotale il caso : Uno è accusato d'uno
malificio, et elli vegnendo a sua defensione si leva da ssè quel
maleficio e mettelo sopra un altro, o dice bene che 11' à fatto, ma un
altro cli'avea in lui forza e signoria il costrinse a ffare quel male ; e questo
rimovimento del peccato dice Tullio che ssi puote fare in due guise
: l'una si mette la colpa e la cagione sopra un altro, l'altra
15. si mette il fatto sopra altrui. Et certo la colpa e la cagione si
mette sopì'' altrui quando l'accusato dice che elli à fatto quel male per
colpa d'alcuno il quale à sopra lui forza e signoria. Verbigrazia. Il
comune di Firenze elesse ambasciadori e fue loro comandato che
prendessero la paga 20. dal camarlingo per loro dispensa et
immantenente andassero alla presenzia di messer lo papa per contradiare
il passamento de' cavalieri che veniano di Cicilia in Toscana
contra Firenze. Questi ambasciadori domandare il pagamento e '1 signore no '1
fece dare, e'I camarlingo medesimo negò la pecunia, sicché li ambasciadori
non andaro e' cavalieri vennero. Della qual cosa questi ambasciadori fuorono
accusati, ma elli si levaro la colpa e la cagione e 3: m la
chosa 7: Af' die e rimuovere 9: M' do malilicio - i4 : m luna mette,
M' l'una si e mettere ^5: M' si e
mettere m om. Kt - 20: Af
inmanlenenente, it/' incontanente
21 : m cliontradire - 23: M-m domandano
24: M m il segnore m e il
chamarlengo 25: m il nego di dare la
pecliunia 26:m li anbasciadori 27 :M' si levano miseria sopra '1
signore e sopra '1 camarlingo, i quali aveano la forza e la seguoria e
non fecero lo pagamento. 3. Mettere il fatto sopr' altrui è quando
l'accusato dice ch'egli quel fatto non fece e non ebbe colpa né
cagione 5. del fare, ma dice che alcuno altro l'à fatto et ebbevi
colpa e cagione, mostrando che quell'altro sopra cui elli il mette
dovea e potea fare quel male. Verbigrazia : Catone e Catenina andavano da ROMA
a Kieti, et incontrarono uno parente di Catone, a cui Catellina portava
grande maialo, voglienza per cagione della coniurazione di Roma, e perciò
in mezzo della via l'uccise. Né Catone non avea podere di difenderlo,
perciò eh' era malato di suo corpo, ma rimase intorno al morto per
ordinare sua sopultura. Et Catellina si n'andò inn altra parte molto
avaccio e celatamente. In questo mezzo genti che passavano [per la via] per lo
camino trovaro il morto di novello, e Catone intorno lui, sì PENSARO CERTAMENTE
CHE CATONE AVESSE FATTO IL MALIFICIO, e perciò fue esso ACCUSATO di
quella morte; ond'elli in sua defensione levava da ssè quel fatto dicendo
che fatto noll'avea e che no'l dovea fare, perciò ch'ERA SUO PARENTE, e
dicea che noU'arebbe potuto fare, perciò eh' elli era malato di sua persona. Et
così recava il fatto e LA COLPA SOPRA CATELLINA, perciò che '1 dovea fare come
di suo nemico e poteal fare, eh' era sano e forte e di reo animo. Et
poi che Tulio àe insegnato rimuovere lo peccato, sì insegnerà in
questa altra partita riferire il peccato. Ttillio dice che è
riferire il peccato. 58. Riferire il peccato è quando si dice che
ssia fatto per ragione, in perciò che alcuno avea tutto avanti fatto a
liuì 30. ingiuria. i : m 7 al chamai-lingo 4-ò: M om. ch'egli... ma dice m nel fare
5 : Af ' che un altro 9: VI
om. grande 12 : m di suo corpo
malato 15: M^ gente J/' m om. per la via - 16: m il novello
morto 18 : M' tn fu elgli - 1!) : M'
chelgli facto 20-Sl : m avea nel
dovea fare o?n. e dicea che Jlf ' ohe noi potea fare ~ ohi. elli 23: m pero chelli dovea fare 25: M-m om. si M' insegna
26: M' jxirte M-m refrenare
(sempre) : vi pero che da\anti Le parole per la via sono con
tutta probabilità una glossa o una variante di per lo camino; infatti
mancano in codici delle due famiglie. 81
Lo sponitore. I. Dice Tullio che riferire il peccato è allora
quando l'accusato dice ch'elli àe fatto a ragione quello di che
elli é accusato, perciò e' a Uui fue prima fatta tale ingiuria
che dovea a rragione prendere tale vengianza, sì come apare neir
exemplo d' Orestes, che fue accusato della morte di sua madre, et esso
dicea che ll'avea morta a ragione, perciò che primieramente avea ella
fatta a llui ingiuria, cioè ch'avea morto il padre d' Oreste; e di questo
nasce cotale questione se Oreste fece quel fatto a ragione o no. Et poi
che Tullio àe insegnato riferire lo peccato, sì insegnerà ornai che
è comparazione. CICERONE dice che è comparazione. Comparazione è quando
alcuno altro fatto si contende cfie fue diritto et utile, e dicesi che
quello del quale è fatta la riprensione fue commesso perchè quell'altro si
potesse fare. In questo luogo dice CICERONE che quella questione è
appellata comparazione nella quale l'accusato dice ch'à fatto quello eh' è
a llui apposto, i^er cagione di poter fare un altro fatto utile e
diritto. Verbigrazia : Marco Tullio, stando nel più alto officio di ROMA,
sentìo che coniurazione si facea per lo male del comune, ma non potea
sapere chi né come. Alla fine diede dell'avere del comune in grande
quantitade 25. ad una donna la qiiale avea nome Fulvia, et era
amica per amore di Quinto Curio, il quale era sapitore del tradimento
; e per lei trovò e seppe dinanzi tutte le cose in tale maniera eh' elli
difese la cittade e '1 comune della molt'alta tradigione. Ma alla fine
fue ripreso ch'elli avea troppo ma 2 : M' allocta 4 : M' facla prima 5 : M' prenderne (ma L prendere) tale
vendctla pare 6: M' dela sua madre 8: m prima
J/' facto, m aliai fatto - iO: m om. El 14: M-m quanto un altro 16: M' per quell'altro - 18: JW in questa
parte 19: M-m che facto 26: M^
ora parteDce 28: M' dela mortalo
lamente dispeso l'avere di Roma. Et elli in defensione di sé
dicea che quelle spese avea fatte per fare un altro fatto utile e
diritto, cioè per scampare la terra di tanta distruzione, e quello scampamento
non potea fare sanza 5. quella dispesa; e cosi mostra che '1 fatto del
quale elli è ripreso fue fatto per bene. Et poi che Tullio àe detto
delle quattro parti della constituzione assùntiva, la quale è parte
della iudiciale sì come pare davanti nel trattato della constituzione del
genere, sì ridicerà elli brevemente sopra la questione traslativa, della
quale fue assai detto in adietro, per dire alcuna cosa che là fue
intralasciata. Come Ermagoras fue trovatore della questione
translativa. Nella IV questione, la quale noi appelliamo
translativa, certo la controversia d'essa questione è quando si tenciona
a cui convegna fare la questione, o con cui od in che modo, o
davante a cui, per quale ragione, o in che tempo ; e sanza fallo tuttora
è controversia o per mutare o per indebolire l'azione. Et credesi
che Ermagoras fue trovatore di questa constituzione; non che molti
antichi parlieri non l' usassero spessamente, ma perciò che Ili scrittori
20. dell'arte non pensaro che fosse delle capitane e non la misero
in conto delle constituzioni. Ma poi che da llui fue trovata, molti
l'anno biasimata, i quali noi pensamo e' anno fallito non pur in
prudenzia;(i) che certo manifesta cosa è che sono impediti per invidia e
per maltrattamento. Questo testo di Tullio è assai aperto in sé
medesimo, e spezialmente perciò che della questione o constituzione
translativa è assai sufficientemente trattato indietro in i
: M' l'avere del comune 3:3/' diiicto 7
utile - 4: M' non si pelea fare 7: M< om. assiintiva - 8: M'
iuridiciale //: M-m che ella l'uo
translassala lS:M-m emargonis 13: M Uela quarta q. (e punto ilnpn
translativa) 15-1 (!: M' davanti
cui M-m sanfa follia 19: M' parladori 23: M' cambiano - S4 : M' per mal.
(1) La traduzione non è esatta, poicliè il testo latino dice: quos non
tamimprudentia falli indamus (res enim perspìcua est) quam invidia atque
óbtrectatione quadam inipediri. Si potrebbe proporre per congettura non
per imprudenzia ; ma non sembra contraddirvi il 8 -3 del commento
parlando di '' alquanti che non erano bene savi,, ? altra
parte di questo libro, e là sono divisati molti exempli per dimostrare
come si tramuta 1' azione quando non muove la questione quelli che dee, o
centra cui dee, o innanzi cui dee, o per la ragione che dee, o nel tempo che
. 5. dee. Z.Sicchè al postutto in(i) questa translativa conviene
che sempre sia : o per tramutare l' azione in tutto, come appare indietro
nell'exemplo di colui che risponde all'aversario suo: « Io non ti risponderò di
questo fatto né ora né giamai »; e così in tutto tramuta l'azione
dell'aversario etc. O é per indebolire l'azione in parte ma non del tutto,
si come appare nell' exemplo di colui che risponde all' aversario suo : «
Io ti risponderò di questo fatto, ma non in questo tempo» o «non davante
a queste persone». Et dice Tullio che Ermagora fue trovatore della
translativa constituzione, cioè che Ha mise nel conto delle quatro
constituzioni sì come detto fue inn adietro. Et di ciò fue ripreso da
alquanti che non erano bene savi e che aveano invidia e maltrattamento
contra lui. Nota che invidia è dolore dell'altrui bene, e maltrattamento
è dicere male d'altrui. Tullio dice che davanti diceva exempli
in ciascuna maniera di constituzioni. Già avemo disposte le constituzioni e le
loro parti; ma li axempli di ciascuna maniera parrà che noi
possiamo meglio divisare quando noi daremo copia di ciascuno de'
loro argomenti; perciò 25. ch'allotta sarà più chiara la ragione
d'argomentare, quando l'exemplo si potrà a mano a mano aconciare al
genere della causa. Vogliendo Tullio passare al processo del suo
libro, brievemente ripete ciò eh' à detto avanti, dicendo che dimo2: M-m
si traclava 3: M^ che dee conLra cui dee
~ 6: M come pare 8: M' non ti
rispondo iO: M-m Oo, M' Onde M imparte m non in tutto
H : M' pare 13 : Mi dinanzi a ([.
14: M translatore, m traslatotore
15: M^ìa conto 17: 3f dalquanti
18 : M-m male tractamento con altrui
21: M-m construclioni 22: M
exposte le e. 7 loro parti 24: Mi
di loro argomenti 25: M' de
l'argomentare 26:m della cosa 29: M ke detto, m che detto Jlf ' dinanzi (1) L'essere
attestato in da tutti i codici rende esitanti a toglierlo, come la
sintassi e il senso sembrano richiedere. Forse si può sottintendere dal periodo
precedente la parola questione : " conviene che sia questione in questa
translativa „ ecc. strato à che sono le constituzioni e le loro
parti, ma in altra parte porrà certi exempli in ciascuno genere delle
cause, cioè nel deliberativo e nel dimostrativo e nel iudiciale,
quando ti'atterà il libro di ciascuno in suo stato. E da cciò si parte il
conto e torna a trattare secondo che ssi conviene all' ordine del libro per
insegnamento dell' arte. Qual cai/sa sia simpla e quale congitmta. Poi
eh' è trovata la constituzìone della causa, ìmmantenente ne piace di
considerare se Ila causa è simpla o congiunta. Et s'ella è congiunta, si
conviene considerare se ella è congiunta di piusori questioni o d'alcuna
comparazione. Apresso al trattato nel quale Tullio àe insegnato trovare le
constituzioni e le sue parti, si vuole insegnare qual causa sia simpla, cioè
pur d'uno fatto e qiiale sia congiunta, cioè di due o di più fatti, e quale sia
congiunta d'alcuna comparazione, e di ciascuna dice exemplo in
questo modo : Della causa simpla. Simpla è quella la quale
contiene In sé una questione assoluta in questo modo: « Stanzieremo
noi battaglia contra coloro di Corinto o non ? ». Dice CICERONE che
quella causa è simpla la quale è pur d'uno fatto e che non è se non d'una
questione solamente. Verbigrazia : La città di Corinto non stava
ubidiente a Roma, onde i consoli di Roma misero a consiglio se
paresse 2 : M-m om. parte
m delle cose 4-5 : J/' Et di ciò
si diparte l'autore, m 7 accio 8: M mantenente, m inmantanento 9: m simplice (sempre cos'i) M' sedella li: M-m compi^ratione 13: M' il tractato 15: M (|ualcosa, «i quale chosa /*: M< l'exeniplo 21: M' m (pielli 25 : vi iliinn chosa SO : M-m <m. stava A/' ali Romani loi-o di mandare
oste a fai"e la battaglia centra loro, o no. Et così vedi che causa
simpla è pur d'una questione del sì o del no. Della causa
congiunta. 5. 64. Congiunta di piusori questioni è quella nella
quale sì dimanda di piusori cose in questo modo: « È Cartagine da
disfare da renderla a' Cartagiartesi, o è da menare inn altra parte
loro abitamento ? Poi che Tullio à detto della causa simpla, sì dice
della congiunta, dicendo che quella causa è congiunta nella
quale àe due o tre o quattro o più questioni. Verbigrazia : I Romani
vinsero a forza d'arme la città di CARTAGINE, et erano alcuni che diceano
che al postutto si disfacesse; altri diceano che Ila cittade fosse renduta
agli uomini della terra, altri diceano che Ila cittade si dovesse mutare
di quel luogo et abitare in altra parte. E così vedi che questa
causa è congiunta di tre questioni che sono dette. Della causa
congiunta di comparazione. Dì comparazione è quella nella quale
contendendo si que stiona qual sia il meglio o qual sia finissimo, in
questo modo : « È da mandare oste in Macedonia contra Filippo inn aiuto
a' compagni, è da tenere in Italia per avere grandissima copia di genti
contra Anibal ? Poi che Tullio avea detto della causa la quale è congiunta di
piusori questioni, sì dice di quella causa eh' è congiunta di comparazione
di due o di tre o di quattro o i : M-m o fare 2 : M^ om. Et
Jlf om. b 5 : M' om. questioni 6 : m di più sore 7 : M' da. rendere a Cartaginesi 12 : m due tre o quattro questioni J3: m per forza om. la cittade di J4: M' elio a! postutto diceano cliella si
disfacesse 17: M-m om. che 18: m
essere coniunta di tre (luestioni dette
21: 3/' o quale finissimo 22: M'
incontro a Filippo 28: M-m di due, di
tre m om. o di quattro (1)
Certamente il traduttore ha frainteso il latino an eo colonia deducatur.
di più cose, nella quale si considera qual partito sia il migliore de'
due o di tre o di più, e se tutti sono buoni e l'uno migliore che 11'
altro, per sape];e qual sia finissimo, cioè il sovrano di tutti. Verbigrazia
: I Romani aveano mandata oste in Macedonia contrà Filippo re di
quello paese, et in quello medesimo tempo attendeano alla guerra
d'Anibal, che venia contra loro ad oste. Onde alcuni savi di Roma diceano
che '1 migliore consiglio era mandare gente in Macedonia, per attare
l'altra loro oste la quale 10. era in questa contrada; altri diceano che
maggior senno era di ritenere la gente in Italia, per adunare
grandissima oste contra Anibal ; e così contendeano qual fosse il
migliore o '1 finissimo partito : o tenere o mandare la gente.
Della contraversia inn iscritto et in ragionamento. 15. 66.
Poi è da pensare se Ila controversia è in scritta o è in
ragionamento. Lo sponitore. 1. Apresso ciò che
Tulio à dimostrato qual causa è simpla e quale è congiunta e quale di
comf)arazione, sì vuole 20. fare intendere quale contraversia nasce
et aviene di cose e di parole scritte, e qual nasce pur di ragionamento,
cioè di dire parole e di cose che non sono scritte ; e cosi vuole CICERONE
aj)ertamente insegnare per rettorica ciò e' altre de' dire a ciascun
ponto di tutte le cause che possano inter 25, venire ; e perciò dicerà
della scritta per sé e del ragionamento per sé, e di ciascuno partitamente in
questo modo : Della contraversia che nasce di cose scritte.
67. Contraversia inn iscritta è quella che nasce d'alcuna qua litade
di scrittura Ce. XIII). Et certo le maniere di questa che 30. sono
partite delle constituzioni sono cinque : Che talvolta pare che Ile
i-2: m sia ihigloru ili lUie ecc.
il/' o Ire o iiifi •/: iV/' ohi.
cion il sovrano 5: M'-L (li
i|iielli del paoso, S di c|iielli paesi 7: m om. ad oste * : hi elio mogio iO: m J/i in ipiella
contrada il : M' om. di m a rilenore gente 12 : M contra nibal, i» contro ad
Anibal 15: M-m e scripla, If' e in
scriplo o in ragionamento /*' :
M-m i|ual cosa 19: m quale e 22: M-m om. dire e che non sono scritte 23: M' mostrare - 24: m possono 25: M'E cosi
29: M da. questa 30:M' dale
constilutioni parole medesimo iU siano discordanti dalla sentenzia dello
scrittore ; e talvolta pare che due legi o più discordino intra sé
stesse; e talvolta pare che quello eh' è scritto signiffichi due cose o
più ; e talvolta pare che di quello ch'è scritto si truovi altro che non
è 5. scritto ; e talvolta pare che ssi questioni in che sia la forza
della parola, quasi come in diffinitiva constituzione. Per la qual cosa
noi nominiamo la prima di queste maniere di scritto e di sentenzia;
il secondo appelliamo di legi contrarie, la terza apelliamo
dubiosa, la quarta appelliamo dì ragionevole, la quinta apelliamo
diffinitiva. Poi che CICERONE à
dimostrato qual causa sia pur d' un fatto o di più, immantenente vuole
dimostrare qual contraversia è in scritta e quale in ragionamento; et in
questo dice primieramente di quella ch'è inn iscritto, cioè che
15. nasce d'alcuna scrittura. Et questo puote essere in cinque
modi. Il primo modo è appellato di scritto e di sentenza, pei'ciò che Ile
parole che sono scritte non pare che suonino come fue lo 'ntendimento di
colui che Ile scrisse. Verbigrazia: Una lege era nella cittade di Lucca, nella
quale erano scritte queste parole: « Chiunque aprirà la porta della
cittade di notte, in tempo di guerra, sia punito nella testa ». Avenne
che uno cavaliere l'aperse per mettere dentro cavalieri e genti che
veniano inn aiuto a Lucca, e perciò fue accusato che dovea perdere la
testa secondo la legge scritta. L'accusato si difendea dicendo che
Ila sentenzia e lo 'ntendimento di colui che scrisse e fece la
legge fue che chi aprisse la porta per male fosse punito ; e cosi pare
che Ile parole scritte non siano accordanti alla sentenzia dello
scrittore, e di ciò nasce controversia intra loro, se si debbia tenere la
scritta o la sentenza. La seconda maniera è apiiellata di contrarie
leggi, perciò che 1 : M' m medesime m dalle sententie 2: me téilora -- M' si discordino 3: M' significa 4: M-m o talvolta M' che nono che scripto 6: M-m nm. in
A/' mdilTìnitiva ([uestione 11:
M-m qual cosa 13: M-m e Sbripta - m e in
ragionamento 14 : m primamente 18
: M om. fue 20: M ai)iira, m apira 21 : M-m om. in tempo di guerra M' si sia punito della testa 23: M' si difende 30: m se si dee M' lo scritto 31 : M' om. maniera (1) Cfr. p.
46, 1. 30: nai medesimo. pare che due leggi o più discordino intra sé
stesse. Verbigrazia : Una legge era cotale, che chiunque uccidesse il
tiranno prendesse del senato cheunque merito volesse. Et nota che tiranno
è detto quelli che per forza di suo 5. corpo o d'avere o di gente sottomette
altrui al suo podere. Un'altra legge dice che, morto il tiranno, dovessero
essere uccisi cinque de' pili prossimani parenti. Or avenne che una
femina uccide il suo marito, il quale era tiranno, e domanda al senato
per guidardone e per nierito un suo figlio. LA PRIMA LEGGE concede che
ssia dato, l'altra comanda CHE SIA MORTO. E così sono due leggi contrarie,
e perciò nasce questione se alla femina debbia essere renduto il suo
figliuolo o se debbia essere morto. La terza maniera è apellata DUBBIOSA,
perciò che pare che quel eh' è scritto SIGNIFICHI DUE COSE O PIU. Verbigrazia. Alessandro fa testamento
nel quale fa scrivere così. Io comando che colui eh' è mia reda dia a
Cassandro C vaselli d'oro e quali esso vorrà. Api^esso la morte d'Alessandro
venne Cassandro e domanda C vaselli al suo volere e che a llui
piacessero. Dice la reda. Io ti debbo dare que'ch'io vorrò. Et cosi di
quella parola scritta nel testamento, cioè, i quali esso vorrà, si è dubbiosa a intendere
del cui volere ALESSANDRO DICE; e di ciò nasce questione intra
loro. La quarta maniera è appellata RAGIONEVOLE, perciò che di quello eh'
è discritto si truova e se ne ritrae altro CHE NON E SCRITTO O DETTO. Verbigrazia
: Marcello entra nella chiesa di Santo Petro di Roma e ruppe il
crocifixo, e taglia le imagini di là entro. E accusato, ma non si
truova neuna legge scritta sopra così fatto malificio, né convenevole non
era che nne scampasse sanza pena. E perciò il suo adversario ritraeva
d'altre leggi scritte quella pena che ssi convenia a Marcello
ragionevolemente. La quinta maniera é appellata DIFFINITIVA, perciò che
pare che ssi questioni LA FORZA D’UNA PAROLA scritta, sicché conviene i
: M' si discordino - M stesso m tralloro
- 5 : M^ di genti - 6-7: m L essere morti - Jl/' om. de' 7 : M'-L una femina il suo marito....
uccise 9 : m e merito 10: M' che
le sia dato, l'altra leggie iS: m nasce
controversia Mm sella femina 13:
m se dee 14-15: M' che lo scritto i6: Jtf' cos'i scrivere 1 7 : M-m om. coUii eh' è 18: M' i quali 19: M' cento vaselli d'oro 20: J/' la rede. [o ti voglio dare - m
om. dare - S3: M' 7 cosi - S5: M' che scripto - S6 : M-m Martello - S7 :
M' San Piero 38 : M-m om. Fue
accusato - /. trovava 29-30 : m alcuna
legge.... colalo maliflcio, e convenevole non era che scampasse 32 :M' che si conviene Mm Martello che quella parola sia
diffinita e dicasi il proprio intendimento di quella parola. Verbigrazia : Dice
una legge. Se '1 signore della nave n'abandona per fortuna di tempo ed un
altro va a governarla e scampa la nave, sia sua. Avenne che una nave di Pisa venne
in Tunisi e presso al porto sorvenne sì forte tempesta nel mare, che '1
signore usce della nave et entra inn una picciola barca. Un altro
ch'era malato rimase nella nave e tennesi tanto là entro che '1 mare torna
in bonaccia, e la nave campa in terra. E perciò dicea che la nave e sua
secondo la legge, perciò che '1 segnore l'abandona et esso l'avea difesa.
Il segnore dicea che perch'elli entra nella picciola barca non
abandona perciò la nave ; e cosi era questione intra loro sopra questa
PAROLA dell'ABBANDONO della nave ; e per 15. sapere LA FORZA d'essa
parola conviene che ssi difinisca e dicasi il proprio intendimento. 6.
Già à detto Tullio di quella contraversia la quale è in iscritta e delle
sue cinque parti. Omai dicerà di quella contraversia eh' è in
ragionamento. 20. Della contraversia la quale nasce di
ragionamento. 68. Ragionamento è quando tutta la questione è inn
alcuno argomento e non inn ìscrittura. Quella è contraversia in
ragionamento nella quale non si considera alcuna cosa che ssia per
scrittura, ma prendesi argomento e pruova per parole FUORI DI SCRITTA a
dimostrare che dee essere sopra quella questione. Verbigrazia : Dice Anibaldo
che Italia è migliore paese che Frància. Dice Lodoigo che no. E di ciò
era questione ti'a lloro, e perciò conviene recare argomenti in
ragionando per mostrare che nne dee essere, e questo senza scritta
acciò che sopra questo no è legge né scrittura. 3: m om.
della nave M' labandona S : M' de Pisani M-m di Tunisi
6 : M sovenne, m venne, L sopravenne M^ di mare
7-8 : M' usci di fuori un altro
corse a governare la nave 9: m
campo intera 11: m et egli 12: m pichola
nave 13: 3f' non avoa abbandonata perciò 1. n., m non pero elli
abandonava la grande 14: M' di
questa parola, m sopra questo abandono
15: M-m la forma m ripete
conviene 16: m dicha 22: m e
none 24 : M' Qurlla controversia 6 in
rag. 28: M' Anibal 29 : m
lodovico, M'-L loodico, S dice l'altro, dico che no 31 : m 7 questo e senza scritta
Delle IV parti della causa. Adunque, poi che considerato è il genere della
causa e cognosciuta la constituzione et inteso quale è simpla e quale è
congiunta, e veduto quale contraversia è di scritto e di ragionamento, 5.
ornai fie da vedere quale è la quistione e quale è la ragione e quale è
il giudicamento e quale è il fermamento della causa ; le quali cose tutte
convengono muovere della constituzione. In questa parte dice CICERONE
che poi ch'elli à insalo, gnato che è lo genere delle cause, cioè dimostrativo
e diliberativo e giudiciale, et à fatto cognoscere che è la constituzione, cioè
e qual sia congetturale e quale diffinitiva e quale translativa e quale
negoziale, et à fatto intendere quale è simpla e quale congiunta, cioè
qual contiene in sé una questione o più, et à fatto vedere qual
contraversia è inn iscritto e quale in ragionamento, sì come tutti
questi insegnamenti paionsi adietro là dove lo sponitore l'à messo
inn iscritto e trattato di ciascuno sufficientemente, ornai vuole CICERONE
procedere e dimostrare apertamente qual sia 20. la questione e la ragione
e '1 giudicamento e '1 fermamento della causa ; le quali cose tutte
muovono e nascono della constituzione, ciò viene a dire che la
constituzione è il cominciamento di queste cose. Questione è quella
contraversia la quale s'ingenera del contastamento delle cause in
questo modo : « Non facesti a ragione Io feci a ragione». Questo è contastamento
delle cause nella quaied) 2: m om. 63: m om.
cognosciuta M intesto Af' qual congiunta 4: M-m quale conti'aversia <ii
scripto m o di ragionamento 5: A/' oggimai sarà 5-6: M' ha sulo il primn b M-m il confermamento 6-7: M-m 7 tucte i|UOSte cose le quali conv.
9: M chelle, m chebbe asengnato, M' che elgli 10: M' diliberativo,
ilimostrativo i2: in cioè qual
sia 13: M-m a facto cognoscere 14: m quale simplice - 17: M'
amaeslramenti M paio sàdietro, Mi-L
jiaiono in adiotro 18: M 7 tracio 22: M-m um. ciò V. a d. e. la constituzione 25 : M -L Di (|uistione m si genera
26-27 : M' de cause M-m om.
a M' il contrastamento ~ L nele quali, S
nel quale (1) Evidentemente dovrebbe dire nel quale; ma appunto per
questo non saprei spiegare come alterazione volontaria né come svista il
nella quale (dato tanto da M quanto da ikf'), e lo crederei piuttosto
dovuto a una distratta traduzione del latino Causarum haec est
conflictio, in qua constitiUio constai. è la constituzìone, e di questa
nasce contraversia la quale noi appelliamo questione, in questo modo: se fatto
l'à a ragione o no. Lo sponitore. 1. Nel testo il quale
è detto davanti insegna Tullio 5. cognoscere e sapere che è la questione;
et in ciò dice che questione è quella che ssi conviene considerare sopr'
a cciò di che le parti tencionano, e così s'ingenera del contastamento
delle parti, cioè di quello che 11' uno appone e l'altro difende.
Verbigrazia : Dice la parte che appone all'altra . 10. « Tu non ài
fatta i-agione, che tu prendesti il mio cavallo »; e la parte che ssi
difende risponde e dice : « Si, feci ragione Or è la causa ordinata, cioè che
ciascuna parte à detto, l'una accusando e l'altra difendendo, e questa è
appellata constituzione. Sopra questo si conviene sapere se 15.
n'accusato à fatta ragione o no. Questo è quello che Tullio appella
questione. Dunque potemo intendere che quando le parti anno detto e
quando l'accusatore àe apposto in. contra l'aversario suo e l'accusato àe
risposto o negando o confessando, sì è la causa cominciata et ordinata ;
e però 20. infine a questo punto èe appellata constituzione, cioè
viene a dire che Ila causa è cominciata et ordinata ; da quinci
innanzi, se l'accusato niega e diféndesi, si conviene che ssi connosca se
Ila sua defensione è dritta o no, cioè quando dice : « Io feci ragione »
conviensi trovare s' elli à fatto 25. ragione o no, e questa è
appellata questione. 3. Et perciò che la scusa dell'accusato, a dire pur
così semplicemente: « Io feci ragione », non vale neente se non ne mostra
ragione per che e come, insegnerà Tullio immantenente che ragione
sia. 30. Di ragione. 71. Ragione è quella che contiene
la causa, la quale se ne fosse tolta non rimarrebbe alcuna cosa in
contraversia. In questo modo mo sterremo, per cagione d'insegnare, un
leggieri e manifesto 4: M-m nel quale - 6: M' 6 quella m sopra quello 10: M' facto ragione i5: M dopo
ragione ripete che tu prendesti il mio cavallo
13: m luna luna M' {(uesto
15: M^ m facto 15-16: M' Et questo....
comune questione 17: M-m posto 19: M S l'accusa - SO: M' m ciò viene a
dire SS: M-m om. sì S4: M' facta
S5: M' e facta questione
S6: M-m om. Et - l'accusa S7 : M'
m se non mostra S8 : M' si
insegnerà 31 : m se non fosse 3S : M' non vi rim. 33: M-m d'insegnare leggere manifesto
exemplo exemplo. Se Orestres fosse accusato di matricidio et elli
non dicesse: « Io il feci a ragione, perciò eli' ella avea morto il mio
padre », non avrebbe difensione; e se non l'avesse non sarebbe contraversia.
Dunque la ragione dì questa causa è eh' ella uccise Agamenon. 5. Lo
sponitore. 1. Si come appare nel testo di Tulio, ragione è
quella clie sostiene la causa in tal modo che, chi non assegna e
mostra la ragione della sua causa, certo non sarà controversia, cioè non à
difensione; e cosi la causa dell'aversario IO. rimane ferma e non à
contastamento. 2. Verbigrazia: Vero fue che Ila madre d'Orestres uccise
Agamenon suo marito e padre d'Orestres ; per la qual cosa Orestres, per
movimento di dolore, fece matricidio, cioè che uccise la madre. Fue
accusato di matricidio, et elli confessa, ma dice che '1 15. fece a
ragione; se non dice perchè e come, la sua difensione non vale neente, e se la
difensione non vale neente non è contraversia né questione. 3. Ma se dice
cosi : « Io lo feci a ragione perciò ch'ella uccise il mio padre »,
sì mantiene la sua causa e vale la sua difensa, mostrando la
20. ragione e la cagione perch'elli fece il matricidio. Et poi che CICERONE
à dimostrato che è questione e che ragione, sì dimosterrà che è
giudicamento. Giudicamento è quella contraversia la quale nasce de lo
'nde25. bolire e del confirmare la ragione. Et in ciò sia quel medesimo
exemplo della ragione che noi aven detta poco davanti : « Ella avea morto
il mio padre ». Dice il savio: « Sanza te figliuolo convenia eh' essa
madre fosse uccisa ; perciò che 'I suo fatto si potea bene punire sanza
tuo perverso adoperamento ». (e. XIV) Di questo 30. mostramento della
ragione nasce quella somma controversia la quale noi appelliamo
giudicamento, la quale è cotale: se fosse diritta cosa che Orestres
uccidesse la madre, perciò ch'ella avea morto il suo padre. i : m di
martecidio 2 : M-m om. ella 4 : M-ni chelluccise a ragione 7-8 : M' mostra 7 assegna ragione 10: M' m 0111. Vero 13: M' om. cioè.... di matricidio 16:
M-m om. e so la difensione non vale neente (A/' ef))unge neente) 19: m difesa
20: m om. El 22: M-m dimostra 24: M' om. quella M-m ohi. nasce 25: M-m in ciò a quel med. 26: M' aveino dello 27 : M' Dice l'avversario 2S: M-m si potrà 29 : M' sanila il tuo p. 31 : M' se fu Cicerone dice e insegna
che è ragione; et perciò che della ragione nasce il giudicamento, sì
tratta egli del giudicamento per dimostrare come e quando et in che
5. luogo sia. Verbigrazia : L'accusato assegna ragione perchè fece quel
fatto e conferma la sua difensa per quella ragione. L'accusatore dice contra
questa difensa et indebolisce la ragione dell'accusato, linde di ciò che
conferma l'uno et inforza la sua difensione e l'altro la
infievolisce 10. e falla debole, sì ne nasce una questione la quale
è appellata giudicamento, perciò che quando ella è provata si puote
giudicare. 2. Et in ciò sia quel medesimo exemplo di sopra : Orestres
assegna la ragione per la quale elli uccise Clitemesta sua madre: perciò
ch'ella avea morto 15. Agamenon ; e così conferma la sua
defensione. Ma contra lui dice l'aversario. Tu non la dovei punire né non
convenia ad te punirla di ciò, ma altre la dovea e potea punire sanza tua
perversità, e sanza tua così crudele opera, come del figliuolo uccidere
sua madre ». Et così indebolia la ragione d' ORESTE e mettealo in
vituperoso abominio, e sopra questo, cioè sopra '1 confermamento e sopra
lo 'ndebolimento della ragione, nasce questione la quale è appellata
giudicamento perciò che ssi puote giudicare. 3. Et omai à detto Tullio
che è questione e che è ragione e che è 25. giudicamento ; sì
dicerà che è fermamento. Del fermamento. 73. Fermamento
è il firmissimo et appostissimo argomento al giudicamento, come se
Orestres volesse dire che ll'animo il quale la madre avea contra il suo
padre, quel medesimo avea contra lui 30. e contra le sue sorelle e contra
il reame e contra l'alto pregio della sua ingenerazione e della sua
familia, sicché in tutte guise doveano i suoi figliuoli prendere in lei
la pena. 2: M-m om. è
3-4: M-m che deliboragione nasce del iuilicamento por dimostrare
ecc. 5: M' om. sia M' assegno 7:3/' quella 3/ difesa
8-10: M' che rimo conferma 7 inforfa la sua ragione.... fa debole M-m isforca
m la indebolisce IS : m a
quello med. 13: M' assegna ragione 16: M 7 non convenia, m e non si convenia
17: m 7 convenia punirla 18-19:
M' om. tua e del m la sua madre 21-22: M< sopra confermamento dela
ragione 23: m om. Et 24: M i ohe ragione, m nm. 27: M-m om.
è 30: M' \n serocchie.... l'altro
pregio Poi che Tullio aè dimostrato che è questione e ragione e
giudicamento, sì dice in questa parte che è fermamento. E certo lo 'nsegnamento
suo è molto ordinata 5., mente : che primieramente è questione intra Ile
parti sopr'alcuna cosa la qual'è aposta ad uno e detto sopra lui
che non à fatto bene o ragione, et elli in sua difesa dice ch'à fatto
bene o ragione, e di questo nasce la questione, cioè se esso à fatto
ragione o no. Apresso dice l'accusato 10. la cagione per la quale elli
avea ragione di fare ciò, e questa è appellata ragione. Et quando
l'accusato à detta la ragione, il suo adversario dice contra quella
ragione et indebolisce quello dove l'accusato ferma la ragione, e
questa è appellata giudicamento. 15 Fermamento. Poi che Ila
questione del giudicamento è nata, si conviene che ll'accusato tragga
innanzi i fermissimi argomenti bene apposti contra il giudicamento. Verbigrazia
: Orestres à detto che uccise la madre perciò ch'ella avea morto il
padre, e così assegna la ragione perch'elli l'uccise; il suo adversario
mettendolo in questione di giudicamento dice c'a llui non si convenia ma
ad altrui, e così indebolisce la sua ragione. 3. Or conviene che Orestres dica
manifesti argomenti, e dice così. Tutto altressì coni' ella 25.
uccise il suo marito mio padre, così avea ella conceputo d'uccidere me e
le mie sorelle, cui ella avea ingenerate di suo corpo, e mettere il
nostro regno a distruzione et abassare l'altezza del nostro sangue, e
mettere in periglio la nostra famiglia ». Ed in questi argomenti accoglie
fermissima defensione della sua ragione contra il giudicamento, e dice: «
Perciò ch'ella fece così disperato maleficio et 2: M-m
ragione 7 ((iiestione (m nm. 7) 3: M' s\
dicerà (mn S dico) 5: M-m questioni 6: M' sopralcuna causa la qua'.e appella ad
uno 7 detto contra lui 8: Mhii om.
ch'à fatto bene ragione 9: M' se elgli,
m selli M' a l'acto a ragione H : M\ m* detto i3;Jf fermava
i4: m questo e apellato - 17:,AV nelaccusalo trarre 18: M»
appostati - i9: M' clielgli uccise.... chella uccise SI: A/ niente dolo - S3: M' om. sua JW i fermissimi argomenti 29: M 7 dinquesti, »i 7 in <juesti, 3/' 7
di questi La rubrica di M (clie di regola seguo) ha qui ludicamento, certo
per effetto della parola precedente. avea pensato di fare
cotanta crudelitade, sì fue al postutto convenevole che Ili suoi propii
figliuoli ne le dessero pena e non altri >. Et questi sono fermissimi
argomenti ne' quali dice che '1 fatto della madre fue crudele, superbo e
mali5. zioso. 4. Et nota che quel fatto è appellato superbo il quale
alcuno adopera centra' maggiori, sì come quella fece uccidendo il re Agamenon.
Et quello è crudele fatto il quale alcuno adopera contra' suoi, sì come
quella fece contra la sua famiglia. Et quello è malizioso fatto il quale
è molto 10. fuori d'uso, sì com'è contra naturale usanza ch'alcuna
femina uccida il suo marito e figliuoli e distrugga un alto reame. 5.
Onde questi fermissimi argomenti e' quali l'accusato mette davanti per
confermare le sue ragioni et incontra lo 'ndebolimento che facea
l'aversario, sì è ap 15. pellato fei'mamento. In quale
constiti izione non à gindicamento. Et certo neil'altre constituzioni si
truovano giudicamenti a questo medesimo modo ; ma nella congetturale
constituzione, perciò che in essa non s'asegna ragione (acciò che '1
fatto non si concede) 20. non puote giudicamento nascere per dimostranza
di ragione; e però conviene che questione sia quel medesimo che
giudicamento: « fatto è, nonn è fatto, sé fatto o no ». Che al vero dire,
quante constituzioni lor parti sono nella causa, conviene che vi si
truovino altrettante questioni, ragioni, giudicamenti e fermamenti.
25. Lo sponitore. 1. In questa parte del testo dice Tullio
che, sì come per lui è stato detto davanti, così si possono trovare
giudicamenti inn ogne constituzione; salvo che nella constituzione
congetturale, della quale è molto trattato inn 30. adietro, perciò che in
essa l'accusato nonn asegna (i) neuna 1 : Af' avea pensala cotanta
crudeltade 2: M nelle, ÌU-L lene
dessero 3 : Mi lorlissimi argomenti 5: m nel quale 7 : M Tde agnzenò {sic), m i ro Agamenon m ohi. è 8: M' luomo adopera 9: m om. è ambedue le volte il : A/ un altro IS-i^-.M' om. et, 7» e contro allo i7 : M' ì giudicamenti 22: Mi se facto e. no ~ quante questioni
26 : m om. che 28 : vi nella
questione (1) Si potrebbe anche leggere non n' asegna; ma in M' è
scritto qui e qualche riga più sotto non assegna, mentre la grafia col doppio n
6 frequente in M (cfr. pag. seg., 1. 6, nonn abisogna).
ragione, anzi niega, al postutto non ne puote nascere giudicamento. 2.
Verbigrazia : Uno accusò Ulixes ch'elli avea morto Aiaces. Dice Ulixes :
« Non feci » et cosi nega quel fatto che gli è apposto. Et perciò non
conviene che sopra '1 5. suo negare assegni alcuna ragione. Et poi che
nonn asegna ragione, il suo adversario nonn abisogna d' indebolire
la ragione dell'accusato. Dunque nonde puote nascere giudicamento ; e
perciò conviene che in queste constituzioni congetturali la questione e
lo giudicamento siano ad una 10. cosa: che là ove dice l'accusatore « Tu
uccidesti » et Ulixes dice « Non uccisi », la questione e '1 giudicamento
fie sopi-a questo, cioè se ll'uccise o no. 3, Poi dice CICERONE che
quante constituzioni à una causa, altrettante v'à questioni e ragioni e
giudicamenti e fermamenti. Dell'altre parti della causa. 75.
Trovate nella causa tutte queste cose, son poi da considerare ciascuna parte
della causa ; eh' al ver dire non si dee pur pensare prima ciò che ssi
dee dicere in prima ; perciò che se le parole che sono da dire in prima
tu vuoli inforzatamente congiungere 20. et adunare colla causa, conviene
che d'esse medesime traghe quelle che sono da dire poi.
Sponitore. 1. Or dice Tullio : Dacché '1 parliere connosce la
causa et àe inteso ciò eh' elli n' àe insegnato per tutto il libro
25. insine a questo luogo, quando alcuna causa viene sopra la quale convegna
che dica, sì dee il buono parliere pensare con molta diligenzia e
considerare nella sua mente, anzi che cominci a dire, tutte le parti
della sua causa insieme e non divise. Che s'elli pensasse in prima pur
quella che 4: m chelli fu aposto - 6: M' non a bisogno, m
non a ragione 8: M-m om. e 9: M-m
la constituzione i 1 : M' sie sopra q.,
m fla i3: M-m otn. v'à 17: M-m e al ver dire 18: M' in prima quello M-m om. dicere S che è da dire inprlma 19: M-m om. in
prima M' tu le vuoigli M isforcatamonte, m sforfatamenie
congiungnerle 20: M' i raunaro M-m elio esse medesime S4: M'-L tutto il titolo, i' tutto il
telo (tic) S8: i/' causa sua S9: M' pur quello che sia da dire (Z.
aggiunge in prima) prima sia da dire e non pensasse ch'elli dovesse
dire poi, senza fallo il suo cominciamento si discorderebbe dal
mezzo et il mezzo dalla fine. 2. Ma chi accorda bene le sue parole
colla natura della causa et in innanzi pensa che ssi convenga dire davanti e
che poi, certo la comincianza fie tale che nne nascerà ordinatamente il
mezzo e la fine. Tutto altressì fae il buono drappiere, che non pensa
prima pur della lana, ma considera tutto il drappo insieme anzi che
Ilo cominci, e de' aver (D la lana e '1 coloi*e e la grandezza del
drappo, e provedesi di tutte cose che sono mistieri, e poi comincia e fae
il drappo. Di VI parti della diceria. Per la qual cosa, quando il
giudicamento e quelli argomenti che bisognano di trovare al giudicamento
saranno diligente15. mente trovati secondo l'arte e trattati con cura e con
cogitatione, ancora sono da ordinare l'altre parti della diceria, le
quali pare a nnoi ai tutto che siano sei : Exordio, narrazione,
partigione, confermamento, riprensione e conclusione.
Sjtoììitore. 20 _ I. Poi che Tullio sufficientemente à
dimostrato la chiarezza delle cause et àe comandato che '1 buono parliere
innanzi pensi tutte le parti della causa per accordare il mezzo e la fine
colla comincianza del suo dire, si che sia l'una parola nata dell'altra,
sì dice esso medesimo che poi 25. che tutto questo eh' è fatto,(3)
e trovato il giudicamento della 1 : M' che sia da dire poi
4: M' m om. in 5 : M' la incomincianca,
m il cominciamento 6: M' che nostera
(corr. moslera), L mosterra, S mostra 7:
if ' in prima 9-10: M' anzi che cominci.... accio mestieri m sono mestiere 11: M^ i\ suo drappo ordinatamente, L
affare il s. d. ordinatamente 14 : M^
che si bisognano -17: M' che sono sei.... petitione invece di partigione 20 : M^ a sofficientemente dem. S3: M' el Dne con la incomincianpa M-m om. sì
24: M om. nata 25: M^-L questo e
facto (1) Tutti i codici hanno 7 daver 7 davere, che può esser nato
facilmente dall'aver preso il de' per la preposizione di. Tanto il senso
quanto la sintassi sarebbero poco chiari leggendo e d'aver. (2)
Preferisco la lezione di M perchè non è probabile che la parola ordinatamente,
che si trovava in evidenza in fine al discorso, sia sfuggita al copista.
Forse l'aggiunta If' (L) fu determinata AaW ordinatamente di poche righe
prima. (3) Cioè " dopo che tutto questo è fatto „ . Per il che
pleonastico cfr. p. 20, n. 2, p. 21, n. 1 e qui dopo p. 99, 1. 18. Le
lezioni di M^ e di L si spiegano con quelle di M-m, ma non
viceversa. causa e ciò che vi bisogna secondo i comandamenti di rettorica
(i quali si convengono trattare con molto studio e con grande
deliberazione) ; anco sopra tutto questo si convengojio pensare l'altre parti
della diceria, delle quali non 5. è detto neente, e sono sei ; e di
ciascuna per sé tratterà il libro interamente. Lo sponitore
chiarisce tutto ciò eh' è detto inn adietro. Et sopra questo punto, anzi
che '1 conto vada più innanzi, piace allo sponitore di pregare il suo
porto, per cui amere è composto il presente libro non sanza grande
afanno di spirito, che '1 suo intendimento sia chiaro e lo 'ngegno
aprenditore, e la memoria ritenente a intendere le parole che son dette
inn adietro e quelle che seguitano per innanzi, sì che sia, come
desidera, dittatore perfetto e 15. nobile parladore, della quale
scienzia questo libro è lumiera e fontana. 3. Et avegna che '1 libro tratti pur
sopra controversie et insegni parlare sopra le cose che sono in
tendone, et insegna cognoscere le cause e Ile questioni, e per mettere
exempli dice sovente dell'accusato e dell' ac 20. cusatore, penserebbe per
aventura un grosso intenditore che Tullio parlasse delle piatora che sono
in corte, e non d'altro. 4. Ma ben conosce lo sponitore che '1 suo
amico è guernito di tanto conoscimento ch'elli intende e vede la
propria intenzione del libro, e che Ile piatora s'aparten 25. gono a
trattare ai segnori legisti ; e che rettorica insegna dire appostatamente
sopra la causa proposta, la qual causa no è pur di piatora né pur tra
accusato et accusatore, ma é sopra l'altre vicende, sì coinè di sapere
dire inn ambasciarie et in consigli de' signori e delle comunanze et in
30. sapere componere una lettera bene dittata. 5. Et se Tullio dice
che nelle dicerie intra le parti sono le constituzioni e questioni e
ragioni e giudicamento e fermamento, ben si dee pensare un buono
intenditore che tuttodie ragionano le 1: M' Olii, vi S: vi làlluro
3: M liberalione - M ancora, m aiicir
4 : m le IKirli 5: M-m
oiii. per sé 8-9: Mi cliel maestro....
più avanti iO: m questo libro i3:
m mii. clie son M' seguiranno i4: in per lo innanzi i8: vi insegni o»n. o dinanzi a per i9:m exenpro
20: M-vi 7 penserebbe .?;: if'
trattasse S2:m ha bene 24-2.^: Af si pertegnono - m 7 a
singnorì M-m le giustitio 26- M' appostamento M' in sapere
2M 7 nele comunanze, (L e dello), mi delle comunanze 31 : m trailo parti - 32: M-m im. e ragioni,
e l'ermamento m ohi. si
99 genti insieme di diverse materie, nelle quali adiviene sovente
che ir uno ne dice il suo parere e dicelo in un suo modo e l'altro dice
il contrario, sì che sono in tencione ; e r uno appone e l'altro difende,
e perciò quelli che appone 5. contra l'alti-o è appellato accusatore e
quelli che difende èe appellato accusato, e quello sopra che contendono è
appellata causa. Onde se l’uno appone e l'altro niega, al postutto di
questo non puote nascere questione se non di sapere se quella cosa che
niega elli l'à fatta o detta o no. Ma quando l'uno appone e l'altro
difende, sì è la causa incominciata et ordinata tra lloro. Et questo è la
constituzione della quale nasce la questione, cioè se Ila sua difesa è a
ragione o no; e poi ciascuno contende come pare a llui per confermare le
sue parole e per indebolire quelle del'altro, sì come appare per adietro nel
trattato della questione e della ragione e del giudicamento e del
fermamento. Onde non sia credenza d'alcuno che, sì come dicono li
exempli messi inn adietro, che ORESTE e accusato in corte della morte di
sua madre ; ma le genti ne contendeano intra loro, che 11' uno dicea che non
avea fatto né bene né ragione, e questo è appellato accusatore, un
altro dicea in defensione d'Orestes ch'elli avea fatto bene e ragione, e
questo è appellato nel libro accusato. De consiglieri. Così aviene
intra' consiglieiù de' signori e delle comunanze, che poi che sono aserablati
per consigliare sopra alcuna vicenda, cioè sopra alcuna causa la quale è
messa e proposta davanti loro, all'uno pare una cosa et all'altro
pare un'altra; e cosi è già fatta la constituzione della causa, 30.
cioè eh' è cominciata la tencione tra lloro, e di ciò nasce questione s'
elli à ben consigliato o no. Et questo è quello che Tullio appella
questione. 9. Et perciò l' uno, poi ch'elli àe detto e consigliato quello
che llui ne pare, immante 2 : M ndicc M' di.cela
m in suo modo ~ 3 : M' in contentione ~ 4: M n lalti-o appone, m
laltio appone M-m quel 6: M quello che, m quello di che 7-9: m om. al postutto.... che
nioga M che quella cosa M' selgli la facta il : m cominciata M' intra loro 7
questa 13: M-m è ragione - 16: M om. il
1" e 3° e, hì il 1" e S° 20 : m tralloro dicea chelli
21 : m o ragione 22: m ave
fatto 25: M' adiviene - mi tra
cons. 27: M-m. e in essa 28: m davanti a loro M-m om. cosa et 30: M' lantentione 31 : M-m selli alta consigliato m che allui nente assegna la
ragione per la quale il suo consiglio èe buono e diritto. Et questo è
quello che Tullio appella ragione. 10. Et poi ch'elli àe assegnata la
cagione e la ragione per che, si sforza di mostrare perchè s'alcuno
consigliasse o facesse il contrario come sarebbe male e non diritto ; e
così infievolisce la partita che è contra il suo consiglio; e questo è
quello che CICERONE lappella GIUDICAMENTO. Et poi ch'elli àe indebolita la
contraria parte, sì raccoglie tutti i fermissimi argomenti e le forti
ragioni 10. che puote trovare per più indebolire l'altra parte e
per confermare la sua ragione ; e questo è quello che Tullio
appella fermamente. 12. Et certo queste quattro parti, cioè questione,
ragione, giudicamento e fermamento, possono essere tutte nella diceria
dell'uno de' parlatori, sì come appare in ciò eh' è detto di sopra. Et
puote bene essere la sua diceria pur dell'una, cioè pur infine alla
questione, dicendo il suo parere e non assegnando sopra ciò altra
ragione. Et puote bene essere pur di due, cioè dicendo il suo parere et
assegnando ragione per che. Et puote bene essere pur di tre, cioè dicendo
il suo parere et assegnando ragione per che et indebolendo la contraria
parte. Et puote essere di tutte e quattro sì come fue dimostrato di
sopra. 13. Quest' è la diceria del primo parliere. E poi ch'elli à
consigliato e posto fine al suo dire, immantenente si leva 25. un
altro consigliere e dice tutto il contrario che àe detto colui davanti ;
e così è fatta la constituzione, cioè la causa ordinata, e cominciata la
tenciouB ; e sopra i loro detti, che sono varii e diversi, nasce
questione, se colui avea bene consigliato o no. Poi dimostra la ragione
perchè il suo 30. consiglio è migliore. Apresso indebolisce il
detto e '1 consiglio di colui ch'avea detto dinanzi da llui ; e poi riconferma
il consiglio suo per tutti i più fermi argomenti che può trovare. Adunque
le predette quattro cose o parti possono essere nel detto del primo
parliere e nel detto 35. del secondo e di ciascuno parlamentare.
14. Cosie usata 3-4: M' la ragione 7 la cagione.... clie
s'olciin 6: M' a diriclo m la parie
8:m om Et - i5: M-m cagione, ragione ecc. i4: 3f' d'uno
y5:3f'pare i 6 : 3f-m om. cioè pur
17: m pero M' altre ragioni 18-19: M-m ohi. pur ~ M-m in suo parere
assengnanJo perche SO: M' il suo
pare 21 : M^ la contraria partita - SS:
m di tulli e q. 25-26: Jlf' tutto
il contrario di colui ca detto davanti
27 : M' lunlcntione m la
tencionc sopra S8: M' om. sono -- M 7 se
colui 31-32: in rilennu 3/' il suo consiglio 33: M' ([uattro jiarti 33: M' ciascuno che vuole
parlamentare mente adviene che due persone si tramettono lettere l'
uno all'altro o in latino o in proxa o in rima o in volgare o inn
altro, nelle quali contendono d'alcuna cosa, e così fanno tencione.
Altressi uno amante chiamando merzè alla sua donna dice parole e ragioni
molte, et ella si difende in suo dire et inforza le sue ragioni et
indebolisce quelle del pregatore. In questi et in molti altri exempli si
puote assai bene intendere che Ha rettorica di Tullio non è pure ad
insegnare piategiare alle corti di ragione, avegna che neuno possa buono
advocato essere né perfetto (2) se non favella secondo l'arte di
rettorica. 15. Et ben è vero ohe Ilo 'nsegnamento ch'è scritto
inn adietro pare che ssia molto intorno quelle vicende che sono in
tencione et in contraversia tra alcune persone, le 15. quali contendano
insieme 1' uno incontra l'altro; e potrebbe alcuno dicere che molte fiate
uno manda lettera ad altro nela quale non pare che tendoni centra lui
(altressi come uno ama per amore e fa canzoni e versi della sua
donna, nella quale non à tencione alcuna intra llui e la donna), é
di ciò riprenderebbe il libro e biasmerebbe Tullio e lo sponitore
medesimo di ciò che non dessero insegnamento sopra ciò, maximamente a
dittare lettere, le quali si costumano e bisognano più sovente et a più genti,
che non fanno l'aringhiere e parlare intra genti. 16. Ma chi
volesse bene considerare la propietà d'una lettera o d'una canzone, ben
potrebbe apertamente vedere che colui che Ila fa o che Ila manda intende
ad alcuna cosa che vuole che 1: m adiviene - 3: M^ om. o inn altro
~ 6: m slorza 7 : m i molti 9: m in insegnare - M' piatire 10: M-m neuno buono advocato possa essere
perfetto 11: M della rectorica 13
: «i intorno a (pielle 15 : m
chontendono M' conlra.... 7 parebbo
16: Mi molte volte manda Inno lectere alaltro, m molto volte uno manda
lettere a un altro (ma ambedue nela (piale) 17 : M che contenda tencioni 18: 1/' per amore, fa e, L uno che ama
per amore fa e. 19: m tra lui 23: M-m om. et 24: m traile genti
(1) Le parole inn altro, che sembrano inutili, non possono essere
un'aggiunta di copisti, ai quali invece doveva venir fatto di ometterle, come
in M* e in i.Dando a volgare il senso limitato di volgare italico, si
intende l'altro per gli altri linguaggi, specialmente il provenzale e il
francese. Brunetto vuol dire che la rettorica di CICERONE non serve solo
ai legisti, quantunque nessuno possa divenire valente avvocato, e tanto
meno perfetto, senza averla studiata. Questa è l'idea espressa dalla
lezione di ilf • ; con quella di M-m, più semplice a prima vista, non si
spiega la relazione fra buono e perfetto sia fatta per colui a cui e' la
manda. Et questo i)uote essere o pregando o domandando o comandando o
minacciando o confortando o consigliando ; e in ciascuno di questi modi
puote quelli a cui vae la lettera o la canzone 5. o negare o difendersi
per alcuna scusa. Ma quelli che manda la sua lettera guernisce di parole
ornate e piene di sentenzia e di fermi argomenti, sì come crede
poter muovere l'animo di colui a non negare, e, s'elli avesse alcuna
scusa, come la possa indebolire o instornare in tutto. Dunque è una
tendone tacita intra loro, e così sono quasi tutte le lettere e canzoni
d'amore in modo di tendone o tacita o espressa ; e se cosi no è, Tullio dice
manifestamente, intorno '1 principio di questo libro, che non sarebbe di
rettorica. Ma tuttavolta, o tencione o no tencione che sia, CICERONE medesimo,
luogo innanzi, isforza i suoi insegnamenti in parlare et in dittare
secondo la rettorica ; e là dove Tullio sine pasasse o paresse che
dica pur insegnamenti sopra dire tencionando, lo sponitore
isforzerà lo suo poco ingegno in dire tanto e sì intende 20. volemente che
'1 suo amico potrà bene intendere l' una materia e l'altra. 18. Et ecco
Tullio che incomincia a dire di quelle partite della diceria o d'una
lettera dittata, delle quali non avea detto neente in adietro: e queste
parti sono sei, sì come apare in questo arbore. I e. 2
^'Olii' /^M/ 25. Queste sono le sei
parti che Tullio mostra certamente che sono nella diceria o nella
pistola, specialmente in i: m per cholui che la manda 2: M' essere pregando 3: M-m o in
6: Jf' manda guernisce la sua lederà d'ornati^ parole il : M tucto lelcrre, m tutte lettere o
clianzoni, M' o lo cannoni - iS: M-m o e tacita (mi o e sjirexa) - 13: m
inloruo al pr. 14-15: M' o di tenciono o di non tencione da quello luogo innanci inforfa 16: M' IH secondo rothorica ~ 18: M^
insegnauiento - 19: M' islbiva - intendevole - 21: M' m comincia 22 : M' ohi. o duna lettera dittala - 23: M
indietro - 24: il' pare in ipiesto albero - Nello gchetna M' ha l"
l>roomio, 3» Divisione, ó" Uisjwnsionc - SO: M-m 7 nella pistola
(ma c/r. l. 22) quelle che sono tencionando, sì come appare nel
detto dello sponitore qui adietro ; e, sì come detto fue in altra
parte di questo libro, Tullio reca tutta la rettorica alle cause le quali
sono in contraversia et in tencione. Et ben . dice tutto a certo che Ile
parole che non si dicono per tencione d'una parte incontra un'altra non
sono per forma né per arte di rettorica. 19. Ma perciò che Ila pistola,
cioè la lettera dettata, spessamente non è per modo di tencionare né di
contendere, anzi è uno presente che uno manda ad un altro, nel quale la
mente favella et é udito colui che tace e di lontana terra dimanda et
acquista la grazia, la grazia ne 'nforza e l'amore ne fiorisce, e molte
cose mette inn iscritta le quali si temerebbe e non saprebbe dire a
lingua in presenzia; sì dirae lo sponitore un poco dell'oppinione de' savi
e della sua medesima in quella parte di rettorica ch'apartene a dittare,
si come promise al cominciamento di questo libro. 20. Et dice che dittare é
un dritto et ornato trattamento di ciascuna cosa, convene volemente
aconcio a quella cosa. Questa è la diffinizione del dittare, e perciò conviene
intendere ciascuna parola d'essa diffinizione. Unde nota che dice «
dritto trattamento » perciò che Ile parole che ssi mettono inn una
lettera dittata debbono essere messe a dritto, sicché s'accordi il nome
col verbo, e '1 MASCUNINO [sic MASCHILE -- MASCULINO] e '1 feminino, e lo
singulare e '1 plurale, e la prima persona e la seconda e la terza, e
l'altre cose che ssi 'nsegnano in gramatica, delle quali lo
sponitore dirà un poco in quella parte del libro che fie i)iù
avenente; e questo dritto trattamento si richiede in tutte le parti
di rettorica dicendo e dittando. 21. Et dice « ornato trat 30. tamento »
perciò che tutta la pistola dee essere guernita di parole avenanti e
piacevoli e piene di buone sentenze; et anche questo ornato si richiede
in tutte le i)arti di rettorica, sì come fue detto inn adietro sopra '1 testo
di Tullio. 22. Et dice « trattamento di ciascuna cosa » perciò che,
35. si come dice Boezio, ogne cosa proposta a dire puote
1:M' pare 4:M oin. sono m le quali e In contr. e tencione. Et
dico 5-6: M' non sodono m om. per te.ncione a un altro
8 : M'de tencione iO : M' 7 ae
udito il: M' om. la grazia 12-13:
M la gra M' sinlorca m/ molte cose
M' m in iscriptura Mi non,
ma L e non 14: m lo sponitore dira uno
pocho 16: M' om. di reltorica 19: M-m aconcia a quella cosa, !/'-/> a
quella cosa aconcia 23: M-m
adietro, M' a diricto 24-25: M' m
el mascolino (m il maschulino)col leminino
3/' el plurale el singulare
M-m pulare 27 : m fia M' in tutte
parti 33 : M-m nel lesto 34 : m
om. Et 35 : m si puote
essere materia del dittatore ; et in questo si divisa dalla sentenzia di CICERONE,
che dice che Ila materia del parliere non è se non in tre cose, ciò sono
dimostrativo, deliberativo e iudiciale. Et dice « convenevolemente
aconcio a quella cosa » perciò che conviene al dittatore asettare le
parole sue alla sua materia. Et ben potrebbe il dittatore dicere
parole diritte et ornate, ma non varrebbero neente s'elle non fossero
aconcie alla materia. 23. Così è divisato il dittatore da cciò che dice Tullio;
e perciò di queste due 10. materie, cioè del dire e del dittare, e
dello 'nsegnamento dell'uno e dell'altro potrà l'amico dello sponitore
prendere la dritta via. Et per questo divisamento conviene che Ile
parti della pistola si divisino da queste della diceria che Tullio à
detto che sono sei, ciò sono : exordio, narrazione, partizione, conferm amento,
riprensione e conclusione. 24. 1. E oppinione di Tullio che exordio sia
la prima parte della diceria, il quale apparecchia l'animo dell' uditore
a l'altre parole che rimagnono a dire, e questo è appellato prologo
della gente. //. Et dice che narrazione è quella 20. parte della
diceria nella quale si dicono le cose che sono essute o che non sono
essute, come se essute fossoro ; e questo è quando uomo dice il fatto
sopra '1 quale esso ferma la forma della sua diceria. E dice che è
partigione quando IL PARILERE à narrato e contato il fatto et 25.
e' si viene partiendo la sua, ragione e quella dell'aversario e dice : «
Questo fue cosi, e quest'altro così » ; et in questo modo acoglie quelle
partite che sono a lini più utili e pivi contrarie all'aversario, et
afficcale all'animo dell' uditore ; et allora pare ch'ai tutto abbia
detto tutto '1 fatto. IV. Et 30. dice che confermamento è quella
parte della diceria nella quale il parlieri reca argomenti et assegna
ragioni per le quali agiugne fede et altoritade alla sua causa. F. Et
dice che riprensione (1) è quella parte della diceria nella quale
il 5: Mi agoisare 6:
m om. Et 7 : M' non varrebbe 8: M' j cosi e divisato da ciò 10: Jf maniere i3: M^ da quelle i6: M' Et oppinione di Tulio e, m Oppinione
di Tulio e M exordìa 18: M rimagnono udite, m om. a dire 21 : M issate
22: M 1 quando M^ m l'uomo om. esso 23
M' forma la sua diceria 25 : M' edesso viene partendo, m e viene
ripetendo.... del chonpagno 28 -. M7
nfììcale (?), m e ficliale, M' 7 afficcalle 29: M' paro cabbia detto m detto il fatto - 30 : M' confermagione 33: i mss. responsione M-m 7 quella (1) Non esito a
scostarmi dai codici per la concorde lezione degli altri luoghi, che
corrisponde al latino reprehensio. Il passaggio da reprensione a responsione
è facilissimo attraverso un repensione. I)arliere reca
cagioni e ragioni et argomenti per li quali attuta e menoma et
indebolisce il confermamento dell'aversario. VI. Et dice che conclusione è Ila
fine e '1 termine di tutta la diceria. 25. Queste sono le sei parti che
dice 5. Tullio che sono e debbono essere nella diceria; e di ciascuna
tratterà qua innanzi il libro sofficientemente. Ma in questo eh' è detto
puote uomo bene intendere che queste sei medesime possono convenire inn
una pistola, di tal materia puote ella essere. Ma tuttavolta, di qualunque
materia 10. sia, nelle tre di queste sei parti s'accorda bene la
pistola colla diceria, cioè nello exordio, narrazione e nella
conclusione; ma ll'altre tre, cioè partigione, confermamento e
reprensione, possono più lievemente rimanere e non avere luogo nella
pistola. Tutto altressì la pistola àe V parti, delle quali l'una può bene
rimanere e non avere luogo nella diceria, cioè «salutatio»; l'autra, cioè
«petitio», avegnachè Tulio no Ila nominasse in tra Ile parti della
diceria, sì vi puote e dee avere luogo in tal maniera ch'appena pare che
diceria possa essere sanza petizione. Dunque 20. le parti della
pistola sono cinque, ciò sono salutazione, exordio, narrazione, petizione
e conclusione, sì come appare in questo arbore : 26. Et se
alcuno domandasse per qual cagione Tullio intralasciò la salutazione e non ne
trattò nel suo libro, certo 25. lo sponitore ne renderà bene ragione in
questo modo. Certa cosa è che Tullio nel suo libro tratta delle dicerie
che ssi l-S: m ragioni 7 cagioni Jlf' l'aiingatore wn. cagioni e
per li ifiiali allassa M-m il fermamente
3 : 3/' il line 4-5 : m
Questo.... che Tulio dico che debbono essere 6 : M' m illibro qua
innanzi 7 : jn luomo -- Af ' om.
bone m che tutte 7 queste sei 8-9 : M tal maniera M-m da qualunque, M^ de ([ualunque li : 3f' in exordio M' m 7 conclusione
12: M' om. tre e soitiiuisce di\hione rt partigione M salta dal lo al
2" aver luogo 22: M' pare 'in
questo albero 24: ilf intrallassò, m
lasciò 25: Af' ne renda, L ne rende - 26: M^ cliellibro di Tulio
tracia 106 fanno in presenzia, nelle quali non
bisogna di contare'!) il nome del parlieri né dell' uditore. Ma nella
pistola bisogna di mettere le nomora del mandante e del ricevente,
c'altrimente non si puote sapere a certo né l'uno né l'altro. Apresso
ciò, la salutazione pare che sia dell'exordio ; che sanza fallo chi
saluta altrui 'per lettera già pare che cominci suo exordio. Et Tullio trattòe
dello exordio compiutamente, non curò di divisare della salutazione né
distendere il suo conto intorno le saluti, maximamente perciò che pare che
rechi tutta la rettorica a parlare et in controversia tencionando. Et in perciò
furo alcuni che diceano che Ila salutazione non era parte della
pistolaj ma era un titolo fuor del fatto. Et io dico che la salutazione è
porta della pistola, la quale ordinatamente chiarisce le nomora e' meriti delle
persone e l'affezione del mandante. Et nota che dice « porta, cioè
entrata della pistola, e che chiarisce le nomora, cioè del mandante
e del ricevente; e dice i meriti delle persone, cioè il grado e
l'ordine suo, sì come a dire: Innocenzio papa, Federigo Imperadore, Acchilles
cavaliere, Oddofredi Judice, e cosi dell'altre gradora. Et dice «
ordinatamente », cioè che mette il nome e '1 grado di ciascuno come s'a
viene; e dice «l'affezione del mandante», cioè com'elli manda al
ricevente salute o altra parola di bene, o per 25. aventura di
male, secondo la sua affezione, cioè secondo la sua volontade. 28. Adunque
pare manifestamente che Ila salutazione è così parte della pistola come
l' occhio dell' uomo. Et se l'occhio è nobile membro del corpo dell'uomo,
dunque la salutazione é nobile parte della pistola, c'altressi 30.
allumina tutta la lettera come l'occhio allumina l'uomo. Et al ver dire,
la pistola nella quale non à salutazione è altrettale come la casa che
non à porta né entrata e come '1 1 : M-m bisogna
contare S-3 : M' nome del dicitore M-m bisogna mettere M 7 dell' uditore 7 del
ricevente, m om. 7 del ricevente M-m 7
altrimente 4: M' non si
porrebbe 7-9: M-m om. dello exordio non curo divisare salutalione 7 distemdere
ìli intorno alle salutationi 10: M' om.
et 11-12: M' Et jìerciò funro ciie salutalione 15: m e mèli
16: m om. Et -17: M-m om. 1° e, hi 01». cioè S3 : M' om. di 24 : M' 7 altra 2,5 : M eirectione m om. secondo la sua afTezione cioè 26: M' parte (ma t espunto) 28 : M 3/' om. dell'uomo, m om. del corpo (A
completo) 29: iW' e la salutatione
n. p. m e altres'i 32 : il/' ne jiorta (1) La
lezione bisogna contare darebbe piuttosto il senso di « conviene dire »,
mentre qui si richiede un «c'è bisogno di dire». - Itì7
corpo vivo che non à occhi. Et perciò falla chi dice che
salutazione è un titolo fuor del fatto; anzi si scrive e s' inchiude W e
sugella dentro ; ma '1 titolo della pistola è la soprascritta di fuori,
la quale dice a cui sia data la lettera. Ben dico c'alcuna volta il
mandante non scrive la salutazione, o per celare le persone se Ila lettera
pervenisse ad altrui o per alcun' altra cosa o cagione. (2) Né non
dico che tutta fiata convenga salutare, ma o per desiderio d'amore, o per
solazzo, talora (3) si mandano altre parole che 10. portano più
incarnamento e giuoco che non fa a dire pur salute. Et a' maggiori non
dee uomo mandare salute, ma altre parole che significhino reverenzia e
devozione; e talvolta no scrivemo a' nemici altro che Ile nomora e tacemo
la salute, o per aventura mettemo alcuna altra parola che 15.
significa indegnamento o conforto di ben fare o altra cosa; sì come fa il
papa che scrivendo a' giudei o ad altri uomini che non sono della nostra
catholica fede o a' nemici della Santa Chiesa tace la salute, e talvolta
mette in quel luogo spirito di più sano consiglio o connoscere la via
della veritade o ahundare inn opera di pietade et altre simili cose.
Adunque provedere dee il buono dittatore che, similemente come saluta l'uno
uomo l'antro trovandolo in persona, così il dee salutare in lettera
mettendo et adornando parole secondo che la condizione del ricevente richiede.
Che quando uomo va davante a messer lo papa o davante ad imperadore o a
alti-o segnore ecclesiastico o seculare, certo elli va con molta
reverenzia et inchina la testa, et alla fiata si mette in terra
ginocchioni per basciare 2-3: M' anche M-ìn si richiude M' ma titolo
M 7 \a. s. 5 •m iscrive salutatione 6-7: M' venisse ilata altrui per alcuna
cagione Mo per cagione dalcunaltra
cosa cagione ; m id., ma oiii. cagione
8-9 : M^-L ma ora per d. d'a. or (ina L 0) per s. si mandano, M-m per
solazzo di loro si mandano il: M' a
maggiore M-m non debbono - 12: M*
che significanza abbiano di revercntia 7 dev.
13-14: M' a nomici non scrivemo
M-m 7 per aventura 16: M-m il papa scrivendo... om. altri 19: M-m
di chonnoscere M' conoscere via de
veritade 20: M' opere (mai opera) om.
altre 21
il/' dee prevedere 22 M' un huomo un altro ^ó:ni Quando
luomo 26:M' davanti imperadore od altro,
>« davante a lomj)eradore 27 : Jf
certo e va - ^S: in M una macchia cunpre in
M' ginocohione in terra (1) S'inchiude è più esatto
di si richiude. Lo scambio fra n e l'i occorre altre volte: cfr. p. 37,
n. 1. (2) In 3f e' è qualcosa di troppo. Non importa dire che m ha
accomodato di suo, perchè la parola cagione come finale è confermata da
M'; forse 1' errore nacque dall'avere scritto subito pei- cagione e voler
poi rimediare. (3) Scrivo così per avere un senso, ma non presumo
davvero di avere indovinato; potrebbe anche mancare qualche parola. il
piede al papa o allo 'mperadore. Tutto altressì dee lo dettatore nominare
lo ricevente e la sua dignitade coij parole di sua onoranza e metterlo
dinanzi ; apresso dee nominare sé medesimo e la sua dignitade, e poi dee
scri5. vere la sua affezione, cioè quello che desidera che venga a colui
che riceve la lettera, sì come salute o altro che sia avenante,
tuttavolta guardando che questa affezione sia di quella guisa e di quelle
parole che ssi convegnono al mandante et al ricevente. 31. Che quando noi
scrivemo a' magio, giori di noi o di nostro paraggio o di minore grado,
noi dovemo mandare tali parole che ssiano accordanti alle persone
et allo stato loro. Et non pertanto eh' io abbia detto che '1 nome del
maggiore si de' mettere dinanzi e del pare altressì, io oe ben veduto
alcuna fiata che grandi 15. principi e signori scrivendo a mercatanti o
ad altri minori, mettono dinanzi il nome di colui a cui mandano, e questo
è contra l'arte ; ma fannolo per conseguire alcuna utilitade. Perciò sia
il dittatore accorto et adveduto in fare la salutazione avenante e convenevole
d'ogne canto, sicché in essa me20. desima conquisti la grazia e la
benivoglienza del ricevente, sì come noi dimostramo avanti secondo la
rettorica di CICERONE. Et bene è questa materia sopr'alla quale lo
sponitore potrebbe lungamente dire e non sanza grande utilitade. Ma
considerando che Ila subtilitade perché '1 verbo non si mette 25. nella
salutazione, e che "1 nome del mandante si mette in terza persona
per significamento di maggiore umilitade, e che tal fiata si scrive pur
la primiera lettera del nome, par che tocchi più a' dittatori IN LATINO
che’n VOLGARE, sene passex'à lo sponitore brevemente e seguirà la
materia di Tullio per dicere dell'altre parti della diceria e di
quelle della pistola, sì come porta l'ordine. Et in questo luogo si
parte il conto della salutazione, e dirà dell' exordio in due guise. L’una
secondo ciò che nne dice Tullio e che i : M' y
allomperudoi'o S-3: M-m dignilailo
corporale di m aggiunge di reverenza 7 ^
4: M^ nm. S" e 3: M-m oirectione ([nella
7 : m tuttavia M' guani ino
clic l'airectione 9-10: M' ali maggiori M-m ili nostro .grado i2: M' alloro slato M-m om. ch'io
abbia dolio i3: in il nome M' si debbia
13-16: m sengnori M-m scrivono -- m e mellone M' elgli mandano 17: Af-w por sognile 18: mom. et adveduto 19: M' dongiii jìarle 20: M-mnm.ìa grazia e 21-SS: il/' dimoslorremo, m dimostraiiio
davanti Af' m Et bene cpiesta 24: JZ-m uhella subtitade, A/' che
sotti! itude 23: M<- in salutalione 7
perche! nome 26: M-m utilitade 27: M' 7 perche.... pur una lederà m la prima
28: m om. in Ialino 31-32: L Et
in questa parte ilf' dala
salutalione 33: M' om. ci6
109 pare che ss'apartegna a diceria, l'altra secondo che ssi
conviene ad una lettera dittata et ad una medesima diceria, oltre quello
che porta il testo di Tullio. Exordio. 5. 77. Et perciò
che exordio dee essere principe di tutti, e noi primieramente
daremo insegnamenti in fare exordio. Vogliendo CICERONE trattare dell'
exordio prima che dell'altre parti della diceria, sì ll'apella principe
dell'altre 10. parti tutte ; e certo è de ragione (i) : l' una perciò che
ssi mette e si dice tuttora davanti a l'autre, l'altra perciò che
nel exordio pare che noi aconciamo et apparecchiamo r animo dell' uditore
ad intendere tutto ciò che noi volemo dire di poi. 15. Dell'
exordio. 78. (e. XV) Exordio è un detto el quale acquista
convenevolemente 1' animo dell' uditore all' altre parole che sono a dire ;
la qual cosa averrà se farà l' uditore benivolo, intento e docile. Per la
qual cosa chi vorrà bene exordire la sua causa, ad lui 20. conviene
diligentemente procedere e conoscere davanti la qualitade della
causa. Lo sponitore. 1. Poi che Tullio avea contate le
parti della diceria, sì vuole in questa parte trattare di ciascuna
per se divi 25. satamente, e prima dello exordio, del quale tratta in
questo 2 : Af' e la diceria medesima 3: m oltre a quello 5 : M-mom.e
6: M' oxordii iO: m nm. tutte
M-m certo e (m a) ragione, L e certo eglie ragione 10-li M' luna pei che, m luna che M-m 7 davanti si dice 13-14 : m quello die noi poi volerne diro
M' dire poi 18: m dolce (cosi
sempre in seguito) M' converrà om.
procedere e 24 : M' divisamente, ma L divisatamente Questa
lezione è quella che spiega meglio le altre: soppresso il de, nacque è
ragione di M, che m, colla pretesa di accomodare,' peggiorò in a ragione;
la variante di L deriva certo dal non aver inteso il significato di de
ragione (= secondo ragione). - no modo: Primieramente
dice che è exordio, mostrando che tre cose dovemo noi lare nell'exordio,
cioè fare che 11' uditore davanti cui noi dicemo sia inver noi benivolente
et intento e docile a cciò che noi volemo dire. Et perciò ne 5.
conviene connoscere la qualitade del convenente sopra '1 quale noi dovemo
dire o dittare. 2. Nel secondo luogo divide l'exordio in due parti, cioè
principio et « insinuatio », e mostrane in qual convenentre noi dovemo usare
principio et in quale « insinuatio ». 3. Nel terzo luogo ne fa
intendere 10. donde noi potemo trarre le ragioni per acquistare
benivoglienza et intenzione e docilitade, e come noi dovemo queste tre
usare in quello exordio eh' è appellato principio e come in quello eh' è
appellato « insinuatio ». 4. Nel quarto luogo pone le virtù e' vizi
dell'exordio. Et perciò dice 15. che exordio è uno adornamento di
parole le quali il parlieri e '1 dittatore propone davanti nel cominciamento
del suo dire in maniera di prolago, per lo quale si sforza di dire
e di fare sì che l'uditore sia benivolo verso lui, cioè che Ili piaccia
esso e '1 suo parlamento, e procacciasi di dire e di fare sì che l'uditore
sia intento a llui et al suo detto; similemente si studia di dire e di
fai'e sì che l’uditore sia docile, cioè che pi'enda et intenda la forza
delle parole. 6. Et perciò dico che immantenente che 11' uditore è
docile sicché voglia intendere e connoscere la natura 25. del fatto
e la forza delle parole, sì è elli intento ; ma perchè l' uditore sia
intento a udire, puote bene essere che non sia docile ad intendere. Et di
ciascuno di questi tre dirà il conto quando verrà il suo luogo. 7. Ma
perciò che '1 parliere che non conosce dinanzi di che maniera e di
cliente 30. ingenerazione sia la sua causa non puote bene
advenire alle tre cose che sono dette inn adietro, cioè che 11'
uditore sia benivolo, intento e docile, si dicei'à Tullio quante e
quali sono le generazioni delle cause, in questo modo: 1 : m
Prima MM' nm. è 2-3 : m liiditore sia inverso noi benivolo
intonlo 7 dolco a quello ecc. 4-5:
m ci conviene 7-8: m nm. et e mostra
9: M' nensegna, L insegna dove
JO: M' potremo ii: M',allenlione
- 13: M nm. in 15: m i parlieri,
M' il parladore 17: M' perla (piai cosa
19: ni jiiaoci il suo p. procliaccisi 20 : M-m 7 fare sicché m attento
21 : M' 7 fare 22 : il/' ciò che
imprenda «1 le parole ^.5: hi nm.
e la l'orza delle i>arole - 26: m che non 027: M' ohi. tre 28-29: M'
vorrà suo luogo chel dicitore 7 di che ìnjj. - Ili
Qualitadi delle cause. 79. Le qualitadi delle cause sono
cinque: onesto, mirabile vile, dubitoso et oscuro.
Sponitore. 5. I. In questa picciola parte nomina Tullio le
qualitadi delle cause, cioè di quante generazioni sono le
dicerie. Et s' alcuno m' aponesse che Tullio dice contra ciò che
esso medesimo avea detto in adietro, cioè che le generazioni e le
qualitadi sono tre, deliberativo, dimostrativo e iudiciale, 10. et
or dice che sono cinque, cioè onesto, mirabile, vile, dubitoso et oscuro, io
risponderei che Ile primiere tre sono qualitadi substanziali sie
incarnate alhi causa che non si possono variare. Onde quella causa eh' è
deliberativa non puote essere non deliberativa, e quella eh' è
dimostrativa 15. non puote essere non dimostrativa ; altressì dico
della iudiciale. 2. Ma quella causa eh' è onesta puote bene essere non
onesta, e quella eh' è mirabile puote essere non mirabile, e così dico
della vile e della dubbiosa e della oscura. Adunque sono queste qualitadi
accidentali che possono 20. essere e non essere; ma le prime tre
sono substanziali che non si possono mutare.
Dell'onesta. 80. Onesta qualitade di causa è quella la quale
incontanente, sanza nostro exordio, piace all'animo dell'uditore.
25. Lo sponitore. I. Quella causa è onesta sopr'alla quale
dicendo parole, immantenente, sanza fare prolago, l' animo dell' uditore
si muove a credere et a piacere le parole che '1 parliere dice
sopra '1 convenente ; et in questo non fa bisogno usare pa 3: M'
dubbioso 7 : M' m cholgli medesimo 8: M-m om. elio - M^ li generi 10: M'
dubbioso 1 1: m io rispondo che le prime
tre 13 -.M' puole 13-14: M-m mllann dal lo al S°
deliberativa 15 : M-m essere
dimostrativa 17 : L bone essere bene
non mir. 19: M-m om. queste 23: M incontenenlo 27: M-m mantenente iole
per acquistare la benivoglienza dell'uditore, perciò che ll'onestade
della causa l'à già acquistata per sua dignitade, sì come nella causa di colui
che accusa il furo o che difende il padre o l'orfano o le vedove o le
chiese. Mirabile è quello dal quale è straniato l'animo di colui che
de' audìre. Quella causa è appellata mirabile la quale è di tale 10.
convenente che dispiace all'uditore, perciò eh' è di sozza e di crudele
operazione. Et perciò l'animo dell'uditore è centra noi et è straniato
dalla nostra parte; et in questo abisogna d'acquistare benivolenzia sì
che l'uditore intenda, sì come nella causa di colui c'avesse morto il suo
padre 15. o fatto furto o incendio. 2. Dunque potemo intendere che
una medesima causa puote essere onesta e mirabile : onesta dall'una
parte, cioè di colui che difende il suo padre, mirabile dall'altra parte, cioè
di colui medesimo che è coutra la sua madre propia. E di questo uno
exemplo si puote 20. intendere tutti i somiglianti. Vile è quello
del quale non cura l'uditore e non pare che sia da mettere grande opera a
intendere. Lo sponitore. 25. 1. Quella causa è
appellata vile la quale è di picciolo convenente, sì che non pare che
ne sia molto da curare e l'uditore non sine travaglia molto ad intendere,
sì come la causa d' una gallina o d'altra cosa che sia di poco
valere. Et in questa causa dovemo noi procacciare di fare sì che
30. ir uditore sia intento alle nostre parole. 1: M'
om. la id: M' o l'uiiiino - i2: vi e
straniato i3: M' bisogna 14: M-m om. nella oanaa di colui
c'avcsso morto 15: M a facto, m a l'atto 19: M\a sua iiropria madre 26: M-m om. ne 27 : M' non si maraviglia 28: hi di jioclio valoro, Jt/' de
piccolo valoro 89: Mi nm. di l'are
si Dubitoso è quello nel quale o la sentenzia è dubia o la
causa è In parte onesta et In parte è sozza e disonesta, sicché Ingenera
benlvolenzla e offenslone. Quella causa è appellata dubitosa nella quale
l'uditore non è certo a che la cosa debbia pervenire o a che sentenzia
alla fine torni, sì come nella causa d'Orestes che dicea ch'avea morta la
sua madi e giustamente per due 10. ragioni : 1' una perciò ch'ella
avea morto il suo padre, l'altra perciò che '1 deo APOLLO glile comandò.
Onde l'uditore non è certo la quale di queste due cagioni cagia in
sentenzia. Altressì è dubitosa quella causa nella quale àe parte
d'onestade e perciò piace all'uditore, et àe parte di diso 15 nestade e
perciò dispiace all' uditore, si come nella causa de filio: O d'un furo
che fue accusato d'un furto e '1 suo figliuolo si sforzava (ii difenderlo
in tutte guise. Certo la causa era onesta quanto in difender lo padre, ma
era disonesta quanto in difendere lo furo. 20. Dell'oscuro. 84.
Oscuro è quello nel quale l' uditore è tardo, o per aventura la causa è
Iv^plgllata di convenentl troppo malagevoli a conoscere. Dice CICERONE
che quella causa è appellata oscura nella 25. quale l'uditore è
tardo, cioè che non intende ciò che portano le parole del dicitore
sì bene ne sì tosto come si conviene, perciò che non è forse ben
savio o forse eh' è fatigato per 2: M-m eia sentenzia 3: M' in parte socca 4: M-m o offensione 7-8: M' o in clie sententia torni ala
fino 10: m il suo marito li: M chel deo
apellollil, m chello lio appello il, M^-L che dio appello glile comando 13: M' quella parte dove parte 16: M
do fili?, *i demi?, Mi-L dun figluolo dun ladro - do furto, el figUiolo ~ 17 :
m s\ sforza 19: M' lo furto 24: ino oschura apellata 23-26: 3f-»i portava del dictatore - M' om. nò, L e si tosto, m o
si tosto ~ 27:M' om. il 1" forse
M-m 7 forse - faligata (1) L'abbreviatura insolita ài M e m
porta a supporre una formula giuridica latina, quantunque tale
abbreviatura non sembri equivalere proprio a un de filio (la lezione di
M'-L è certamente secondaria). forse nella sigla si nasconde qualche nome
proprio? li detti d'altri parlieri che aveano detto innanzi; o per
aventura la causa è impigliata di cose e di ragioni che sono oscure e
malagevoli ad intendere. Della divisione dell' exordio.
5. 85. Et perciò che Ile qualitadi delle cause sono tanto diverse,
sì convene che li exordii siano diversi e dispari e non simili in
ciascuna qualitade di cause; per la qua! cosa exordio si divide in due
parti, ciò sono principio et « insinuatio ». Lo sponitore.
10. I. Perciò - dice Tullio - che le generazioni e le quali tadi
delle cause sono tanto diverse, cioè che sono in cinque modi sì come
detto è qui di sopra, e l'uno modo non è accordante all'altro, sì
conviene che in ciascuna qualità di cause et in catuno de' detti cinque
modi abbia suo modo 15. di fare exordio, tale che ssi convegna alla
qualitade sopr'alla quale noi dovemo parlamentare o dittare. 2, Et
vogliendo Tullio insegnare ciò apertamente, sì dice che exordio è di due
maniere : una eh' è appellata principio et un'altra ch'jè appellata «
insinuatio » ; e di ciascuna dirà elli 20. interamente. E così
dovemo e potemo sapere che le cause sopra le quali dice alcuno parlieri o
sopra le quali scrive alcuno dittatore sono cinque, cioè sono: onesto,
mirabile, vile, dubitoso et oscuro, sì come apare in adietro. Et
sopra tutte qualitadi sono due modi de exordio e non più, cioè
25. principio et « insinuatio ». Principio è un detto il quale
apertamente et in poche parole fa l'uditore benivolo o docile o
intento. Quella maniera de exordio è appellata principio
quando il parlieri o '1 dittatore quasi incontanente alla 1
: M^ parladori 3: M' mn. oscuro o fi: m diversi, dispari 7:m di cose
8:M' cioè principio 7 insiniiatione (sempre) / i : m dolio cose M' dele qualitadi sono tante divei-se -Melo
che sono 13: M' coU'altro i4-i5: M' si
abbia s. m. in fare A/' «hi.cìò 18-19: m una che apjinllala ins. 7 una
che ajiiiollata pr., M' uno che sajiplla pr. 7 un altro che apellnlo
ins.,7 di ciascuno 21 : vi .ilchimo
parlinre dice M-m 7 sopra M' dice alcuno dictalon» 22: M-m
honesta - 23: M* jiare 31 : M' il
dicitore ol dictatore M-m
incontenonte comincianza del suo dire, sanza molte parole e
sanza neuno infingimento ma parlando tutto fuori et apertamente, fa
l'animo dell'uditore benvolente a llui et alla sua causa, o talora il fa
docile o intento, si come fece Pompeio par5. landò a' Romani sopra '1
convenente della guerra con Julio Cesare, che fece tale exordio : «
Perciò che noi avemo il diritto dalla ifostra parte e combattemo per
difendere la nostra ragione e del nostro comune, si dovemo noi
avere sicura spei'anza che li dii saranno in nostro adiuto ». Dell' insinuatio. Insinuatio
è un detto il quale, con infingimento parlando dintorno, covertamente
entra nell’animo dell'uditore. CICERONE dice che quella maniera de exordio
è apellata « insinuatio » quando il parlieri o '1 dittatore fa
dinanzi un lungo prolago di parole coverte, infingendo di volere
ciò che non vuole, o di non volere quello che dee volere, e così va
dintorno con molte parole per sorprendere l'animo dell'uditore sì che sia
benevolo o docile o intento; sì come disse Sino parlando a coloro che
riteneano la sua persona in gravosi tormenti: « Insin a oi"a v'ò io
pregato che mi traeste di tante pene ; oimai non dimando se non la
morte, ma grandissimi tesauri avrei dato a chi m' avesse scampato ». Et
in questo modo covertamente s'infingea di non 25. volere quello che
volea, per venire in animo di loro che Ilo scampassero per avere, da che
mercè non valea. 2. Et cosie à divisato il conto che è principio e che è
«insinuatio»; omai dicerà quale di questi due modi de exordio dovemo
usare in ciascuno de' cinque modi delle cause, cioè nell'onesto,
30. nel vile, nel mirabile, nel dubitoso e nell' oscuro.
i: M' alancomincianza m sanza
alcliuno - 2-- M' om. et 3: M'
benivolente, m benivolo M^ o ala
sua causa : m come fé 5-6: M' a Romani
parlando del convenente,
cotale 9: M diede saranno IS: m intorno
15: M-m i parlieri, M' il parliere
M o dictatore 17 : m quello che
non vuole iW' in (juello che vuole
20-21 : L Sitio m teneano...
gravi tormenti 2S: M' oggimai non
domando io 23: M' dati wi dato
chi 26: m merco domandare 27: M' a divisatoli maestro 28 : M-m
(|uali M' noi dovemo 29: M' de cause, M in ciascuno di delle
causo, m in ciascheduna delle chause (1) Per tutte le
citazioni di autori classici, che da questo punto alla fine son molto
frequenti, rimando al mio studio su La «Rettorica» italiana di Brunetto
Latini pp. 35-50; ivi son ricercate e discusse le fonti di questi
esempii, e così riesce anche piti facile rendersi conto della
costituzione del testo. Della mirabile. 88. Nella
mirabile generazione di causa, se il'uditore non fosse al tutto turbato
contra noi, ben potemo acquistare benivoglienza per principio. Ma s'ei
troppo malamente fosse straniato ver noi, allora 5. ne conviene
rifuggire a « insinuatio », in però che volere così isbrigatamente pace e
benivoglienza dalle persone adirate non solamente non si truova, ma
cresce et infiamasi l'odio. Lo sponitore. 1. Inn
adietro è bene detto che quella causa è appello, lata mirabile la quale è di
rea operazione, sicché pare che dispiaccia all'uditore. Et perciò dice
Tullio CICERONE che quando la nostra causa è mirabile puote bene essere
alcuna fiata che Il'uditore non sia del tutto coruccioso contra noi. Et
allora potemo noi acquistare la sua benivolenza per quel modo 15.
de exordio eh' è appellato principio, cioè dicendo un breve prologo in
parole aperte e poche. 2. Ma se 11' uditore fosse adiroso e curicciato
contra noi malamente, certo in quel caso ne conviene ritornare ad altro
modo de exordio, cioè « insinuatio », e fare un bel prologo di parole infinte e
coverte, 20. sicché noi possiamo mitigare l' animo suo et acquistare
la sua benivolenza e ritornare in suo piacere. Ch'ai ver dire,
quando l' uditore èe adirato e curiccioso, chi volesse acquistare da llui pace
così subitamente per poche et aperte parole dicendo il fatto tutto fuori,
certo non la troverebbe, 25. ma crescerebbe l' ira et infiamerebbe l'
odio ; e perciò dee andare dintorno et entrarli sotto covertamente.
Della causa vile. 89. Nella causa la quale è di vile
convenente, per cagione di trarrela di vilanza e di dispetto, ne conviene
fare l'uditore intento. S : M-m Della mirabile ?» e solluditoro 3 : M^ del tutto 4 : 3/' se
m se troppo fosse crucciato
5: Mi fuggire m ci conviene....
chosi di presente - 7: m crescesi 9: M-m ubiamo detto i2: M^ alcuna volta 13: m crucciato 14: M' potremo (ma L lìotemo) 15: M-m in breve 17 : M' iroso 7 crucciato verso noi, m
adirato contra noi molto, 18: m
tornarne M alaltro modo 19: M-m nni.
fare converte M iulìnito
20: M' otii. la SS: M^ cruccioso,
m crucciato S3: in per i)Oclie
)iaroIo 7 aperte S6: M-m darò
dintorno M entrali, M' intrarli, wi
rilrarlo sottilmente sotto coverta
S8 : M e diviene convenente m udiviene e. S9 : M' trarla de viltanca 7 de
dispregio Quando la nostra causa ella è vile, cioè di piccolo
convenente sicché l' uditore poco cura d' intendere, allora ne conviene
usare principio et in esso fare che 11' uditore 5. sia intento alle
nostre parole; e questo potenio ben fare traendola di viltanza e
facciendola grande et innalzandola, sì come fece Virgilio volendo
trattare de l'api: «Io dicerò cose molto meravigliose e grandi delle
picciole api ». Della dubbiosa qualità. Nella dubbiosa qualità
di causa, se Ila sentenza è dubbia si conviene incominciare
l'exordio dalla sentenzia medesima. Ma se Ila causa è in parte onesta e
in parte disonesta si conviene acquistare benivolenzia, sicché paia che tutta
la causa ritorni in onesta qualitade. La causa dubitosa, si come fue
detto in adietro, èe in due maniere: 1' una che Ila sentenzia è dubbia,
sì come apare nelF exemplo d' Orestes, che per due ragioni e
cagioni dicea ch'avea ben fatto d'uccidere la madre. Et in quel
caso 20. dovea elli incuninciare il suo exordio da quella
ragione dalla quale (0 elli più ferma nel suo animo di voler provare, e
per la quale crede avere la sentenzia inn aiuto. 2. Ma se '1 convenente è
dubitoso perciò che sia in parte onesto et in parte disonesto, in quello
caso dee il buono parlieri neir
exordio acquistare la benivolenzia dell' uditore per principio, sicché
tutta la causa paia che sia onesta. 2: M' m om. ella m cioè di vile convenente 7 di picciolo ,9:
3f' -Ldelontendere 4-5 : M 7 mezzo, m e mezzo a fare... atento 6: m vilanza, >/' vllezza 7 inalr. et f.
g. 7 : m tràre 8: M' om. molto iO: M' Dela dubitosa li: m cominciare i2 : M-in om. è in parte onesta M' parte lionesla 7 parlo dis. i7 : M-m cliella causa hi dubbiosa
i8: M> om. apare cagioni 7
ragioni m om. 7 cagioni 19-20 : m in questo dovea elli
com. 21 : M' la (juale 22: M-m 7 per qua! (?;i om. 7) M' sigli crede davere 23: m om. sia
M'-L honesta.... disonesta 25: M'
acquistare nelexordio benivolenca daluditore M libenivolentia 26 : M-m om. che sia (1) Cioè «
fondandof3i sulla quale egli si propone di dimostrare la sua causa. L'oscurità
della frase ha determinato la falsa correzione in ilf'. La causa
onesta. Quando la causa fie onesta, o potemo intralasciare lo principio,
0, se ne pare convenevole, comincieremo alla narrazione o dalla legge, o
d' alcuna fermissima ragione della nostra diceria. 5. A\a se ne piace
usare principio, dovemo usare le parti di benivoglienza per accrescere quella
che è. Quando il conveniente sopra '1 quale ne conviene dire è
onesto, certo per la natura del fatto propia avemo noi la benivoglienza
dell'uditore sanza altro adornamento di parole. Perciò quando noi venimo a dire
noi potemo bene intralasciare lo principio e non fare neuno exordio
né prolago di parole, e cominciare la nostra diceria alla narrazione,
cioè pur dire lo fatto; e bene potemo cominciare da quella legge che
tocca alla nostra materia o da quella ragione che sia più fermo argomento
e più certo. Ma se nne piace usare ijrincipio e fare alcuno prologo,
certo noi lo potemo bene, non per acquistare benivolenza ma per
crescere quella che v' è. Et perciò in detto caso il nostro 20.
principio dee essere in parole apropiate a benivolenza. Della causa
ohscura. (e. XVI) Nella causa la
quale è oscura conviene che nel nostro principio noi facciamo che ir
uditore sia docile. Lo sponitore. 25. 1. In adietro fue
dimostrato qual causa e quando sia oscura. Et perciò dice Tullio
che nella causa la quale sia 2 : M' m tia 3 : i« / Se ci paro -i : M-m o alla legge, J/' o data leggo M o alcuna, )/i adalcluina, Mi o dalcuna 5: Miw paro, m non paro 6 : il/i om. che h - 9: M-m nm. certo -
facto pro])io iO: M-m sanja molto
ailorn. i i : Mi j perciò M noi doviamo a dire, m noi doviamo diro i2: m alchuno oxordio 13-15: M-m no cominciare ~ M' 1 cominciare do
quella legge - M-m o a ([uolla ragione
16: M' la (jualo sia 18: M'
ben faro 19: M-m il docto, M' in (juesto
caso 25: M' mostrato (|ualo causa
e 7 (juando sia (ma L ([uando sia) 26:
M' la quale e (Cioè «quando cominciamo a parlare». L'accordo di Jlf
e JVf ' ronde sicuro a dire, e con questo si escludo la lezione, buona in
apparenza, di m {doviamo dire) come evidente accomodamento di M.
oscura all' uditore a intendere noi dovemo usare quella parte de
exoi'dio la quale è appellata principio, et in quello dovemo noi si dire
che 11' uditore sia docile, cioè ch'elli intenda e ch'elli senta la
natura del fatto, in que5. sto modo: che noi diremo in poche parole sommatamente
la sustanzia del fatto dell' una parte e dell' altra. Et poi che noi
vedremo che U' uditore sia apparecchiato in via d' intendere (1) il
fatto, noi andremo innanzi a dire la nostra ragione sì come si conviene
al fatto. 10. Le ragioni delle cose. 93. Et perciò che
infìn ad ora noi avemo detto che ssi conviene fare nell' exordio, oimai rimane
a dimostrare per quali ragioni ciascuna cosa si possa fare.
Sponito7-e. Infino a questo luogo à insegnato Tullio tutto
ciò che ssi conviene dire o fare nello exordio; e perciò ch'elli
àe detto in quale exordio ed in qual causa ne conviene usare parole
per acquistare benivolenza, sì vuole elli da qui innanzi mostrare le ragioni
come si puote ciò fare ; e questo 20. insegnamento fa bene di
sapere. De' quattro luoghi della temperanza. 94.
Benivolenza s' acquista di quatro luogora : dalla nostra persona, da
quella de' nostri adversarii, da quella dell! giudici e dalla
causa. Lo sponitore. In questa parte insegna CICERONE acquistare
benivolenza, e perciò ch'ella non si puote avere se non per quello che
ss' apartiene alle persone et al fatto, sì dice che quattro luogora sono
dalle quali muove benivolenza. Il primo luogp i: if-»» om.
all'uditore a intendere 2.M^As
lexordio 4: Af' chela intenda et senta 5:
m dopo diremo r(pe(e in ([uesto modo 6:m
la natura om. Et 7-8: 3f' apparecchiato intendere, m-L appareccliiato a
intendere 12: m a mostrare 15: M-m In ipiosto luogo om. tutto - 17: M-m 7 di qual causa, M' iu
quale causa, i e in quale causa
M-m luoghi, della nostra p.
27-28: M' da quello... alla persona (1) L' espressione
certamente è ridondante {in via sembra quasi una variante di
apparecchiato), e perciò quasi tutti i testi l' hanno ridotta alla forma pili
semplice e comune. Il segno 7 di M' deriva da una errata lettura di a, che
anche in quel codice ha una forma simile alla nota tironiana.
si è la nostra persona e di coloro per cui noi dicemo. Il secondo
luogo si è la persona de' nostri adversarii e di coloro contra cui noi
dicemo. Il terzo luogo si è la persona de' giudici, cioè la persona (l)
di coloro davanti da cui noi 5. dicemo. Il quarto luogo si è la causa e
'1 fatto e '1 convenente sopra '1 quale noi dicemo. E di ciascuno di
questi dicerà il conto ordinatamente e sofficientemente.
Tallio sopra lo lìvolago. Dalla nostra persona se noi dicemo sanza
superbia de' 10. nostri fatti e de' nostri officii; e se noi ne leviamo
le colpe che nne sono apposte e le disoneste sospeccioni; e se noi
contiamo i mali che nne sono advenuti et li 'ncrescimenti che nne sono
presenti; e se noi usiamo preghiera o scongiuramento umile et inclino.
Sponitore. 1. Conquistare benivolenza dalla nostra persona
si è dicere della persona nostra, o di coloro per cui noi
dicemo, quelle pertenenze perle quali l' uditore sia benivolo verso
noi. Et sappie che certe cose s' apartengono alle persone e certe alla
causa; e di queste pertinenze tratterà il conto 20.
sofficientemente, e fie molto bella et utile materia ad imprendere. Et qui pone
Tullio quattro modi d'acquistare benivolenza dalla nostra persona. 2. Il i)rimo
modo si è se noi dicemo sanza soperbia, dolcemente e cortesemente, de' nostri
fatti e de' nostri officii. Et intendi (2) che dice « fatti » 25
quelli che noi facemo non per distretta di leggo o per forza, ma per
movimento di natura. Et così dicendo Dido 1 : m Olii,
si 2: M-m om. luogo m ohi. si
5 : m om. si J : M-in om. la
jiersoiia Afiia coloro m davanti a chui, il/' davanti cui 5: M^ il facto m om. ól convonento 6-7 : M' om. di questi dioera lautore m om. e soBìcientemento 9-10: M-m Alla nostra p. di nostri
faoti Ai' lo nostre colpo 12: il/' che sono presenti M' i scongiuramento 16: M^ dola nostra persona 7 di coloro 17: m aparlenentle 20: m om. suflicientementc M-mom. materia 22: m om. moiio 2-i:M-m intende, L intendo 25: m
diciamo per distretta 26: M-m dicendo
didio (1) Le parole la persona sono superflue, e perciò a prima
vista si preferirebbe la lozione di M-m; ma è molto più probabile
l'omissione di parole inutili che la loro aggiunta in Af'.
(2) Scrivo cosi per analogia col § 4; ma anche la lezione di Mm,
intende, potrebbe conservarsi come una forma di 2" persona dell'
imperativo (per la desinenza e non mancano esempii). d' Eneas acquistò la
benivolenza degli uditori: « Io » dice ella, « accolsi e ricevetti in
sicura magione colui eh' era cacciato iu periglio di mare, et quasi anzi
eh' io udisse il nome suo li diedi il mio reame ». Et cosi dice che
ella 5. si mosse a pietade sopra Eneas quando elli fugia dalla
distruzione di Troia. 3. Et al ver dire noi avemo merzè e pietade delle
strane genti per natura, non per distretta. Ma offici sono quelle cose le
quali noi facemo per distretta, non per movimento di natura. Onde dice
Tullio che dell'uno 10. e dell'altro dovemo dire temperatamente
sanza superbia. 4. Il secondo modo si è se noi ne leviamo da dosso a
noi et a' nostri le colpe e le disoneste sospeccioni che cci sono
messe et apposte sopra; et intendi che colpe sono appellati que' peccati
che sono apposti altrui apertamente davanti al viso, sì come fue apposto
a Boezio eh' elli avea composte lettere del tradimento dello 'mperadore.
Il quale peccato removeo elli per una pertenenza di sua persona, cioè per
sapienza, dicendo cosi. Delle lettere composte falsamente che convien dire ? la
froda delle quali sarebbe mani 20. festamente paruta se noi fossimo essuti
alla confessione dell' accusatore ». 5. Le disoneste sospeccioni sono le
colpe eh' altre pensa in centra ad un altro, ma nolle pone davante
al viso, sì come molti pensavano che Boezio adorasse i domoni per desiderio
d'avere le dignitadi; e questa sospeccione 25. si levò elli
parlando alla Filosofìa, che disse: « Mentirò che pensaro ch'io sozzasse
la mia coscienza per sacrilegio (o per parlamento de' mali spiriti). Ma
tu, filosofìa, commessa in me cacciavi del mio animo ogne desiderio delle
mortali cose ».• Et così parve che volesse dire: « Poi che in me avea
sapien 30. zìa, non era da credere che in me fosse così laido fallimento
». Tutto altressì Elena, voglìendosi levare la sospeccione che '1
suo marito avea dì lei, disse: «Elli che ssi fida in me della vita,
dubita per la mia biltade; ma cui assicura prodezza non dovrebbe impaurire
l'altrui bellezza ». 6. Il terzo 1 : M' deluditore 2: S m sicuro porto 4: M' il suo nomo Mìi dica
m il roame mio 5: A/'
dela 7: m M' 7 non 0: m L ^ non por m. 13-14: m ci sono aposto (om. sopra) M' appellate.... apjioste 16: M \e lectoro 17: M' elgli rimovca ciò fu
18: M' falsamente composte 20-21
: M-m jiartita ....stati.... dellaccusato 22: m centra un altro ^f' appone
25: m parlando olii 25-27: M-m
Mentita chi solcasse om. per
sacrilegio.... spiriti 28: cacciavi (il
latino ha pellebas) è solo in L; M-m chaccia, Jf' cacciava con un i
aggiunto tra v e a, s caccia via 29: M-m
paro 31 : m schusare 7 levare 33:
m della biltade mia modo è se noi contiamo i mali elie sono
advenuti e li 'ncrescimenti che sono presenti. Così Boezio, contando ciò
ch'avenuto era, acquistò la benivolenza dell'uditore dicendo: « Per
guidardone della verace vertude sofferò pene di falso incol5. pamento ». Et
Dido, dicendo i suoi mali dopo il dipartimento d'Eneas, acquistò la
benivolenza per la sua misa ventura, e disse : « Io sono cacciata et
abandono il mio paese e Ila casa del mio marito e vo fuggendo i)er
gravosi cammini in caccia de' nemici». Altressì Julio Cesare, vedendosi
in perillio di 10. guerra, contò i mali c'a llui poteano advenire,
per confortare i suoi a battaglia, e disse: «Ponete mente alle pene di
Cesare, guardate le catene e pensate che questa testa è presta a' ferri
e' membri a spezzamento». Altro modo è se noi usiamo preghiera o
scongiuramento umile et inclino, 15. cioè devotamente e con
reverenza chiamare merzede con grande umilitade. Et intendi che preghiera
è appellata sanza congiuramento. Verbigrazia : Pompeio, vegiendosi
alla pugna della mortai guerra di Cesare, confortando i suoi di battaglia
disse: «Io vi priego de' miei ultimi fatti 20. e delli anni della
mia fine, perchè non mi convenga essere servo in vecchiezza, il quale
sono usato di segnoreggiare in giovane etade » (0. Et queste pi'eghiere
talfiata sono aperte, sì come quelle di Pompeio, talfiata sono ascose,
sì come quelle di Dido in queste parole ch'ella mandò ad 25.
Eneas: «Io » disse ella « non dico queste parole perch'io ti creda potere
muovere; ma poi ch'io ao perduto il buon 4 : M-m fossero
peno 5 : M-m Et dicio dicondo 6-7: m dicendo M-m chaccialo 8: M el mio marito, m
om. - 9: M Tullio Cosarn, m Tulio corr. in .Tulio 12-13 : itf' epresso li membri
M 7 membri, m 7 i membri La
sprezzamento 14: M-m 7 scongiuramento Mi panclino, m e parlino, M'-L o incliino -
13: m om. cioè chiamando 19: m
abattagla — 20: M delli anni ilelli amici lino, m delli anni /siche 21: M servo in vilezza la (piale, m
servo 7 in vilczza il quale 22-23: M-m
om. sono aperte, m anlhe il 2° talfiata
24: M di diedi 26: M' o perduto,
m chio perduto (l) Il testo di Lucano (Fars., VII, 380), da cui è
tradotto questo esempio, ha ultima fata deprecar, tutti i codici della
Eettorica portano ultimi fatti. Non credo che si possa pensare a uno
sbaglio dei copisti, perchè un latinismo come fati (che del resto qui non
sarebbe traduzione esatta) manca di ogni probabilità in quel tempo; sarà
dunque da risalire a un'alterazione facilissima del latino, ultima facta,
che certo riusciva più intelligibile della frase poetica originale.
Quanto al servo in vecchiezza (che corrisponde a ne discam servire senex), se
potesse supporsi una forma vegliezza {eelUczza) si spiegherebbe meglio come sia
nato l'erroneo vilezza; ma è chiaro che la parola servo risvegliò l'idea
di «condizione vile, meschina». pregio e la castitade del
corpo e dell' animo, non è gran cosa a perdere le parole e le cose vili
». 8. Ma scongiuramento è quando noi preghiamo alcuna persona per Dio o
per anima o per avere o per parenti o per altro modo di 5. scongiurare,
sì come DIDONE fece ad Eneas: Io ti priego, dice ella, per tuo padre, per le
lance e per le saette de' tuoi fratelli e per li compagnoni che teco
fuggirò, per li dei o per l'altezza di Troia, etc. Or à detto il conto del primo luogo
donde muove la BENEVOLENZA, cioè 10. della nostra persona e di coloro che
sono a noi ; ornai dirà il secondo luogo, cioè della persona delli
adversarii e di coloro contra cui noi dicemo. Dalla persona delli
aversarìi se no! li mettemo inn odio 15. invidia o in dispetto.
Lo sponitore. 1. Acquistai'e benivolenza dalla persona de'
nostri adversarii si è dire delle loro persone quelle pertenenze per le
quali l' uditore sia a noi benivolo et contra 1' aversario 20. malivolo;
et a cciò fare pone Tulio tre modi: Il primo modo è dicere le pertenenze
delle loro persone per le quali siano inn odio dell'uditori; il secondo
che siano in loro invidia; il terzo che siano in loro dispetto; e di
ciascuno di questi tre modi dirà il testo bene et interamente. 25.
Tullio. 97. Inn odio saranno messi dicendo com' ellino anno
fatta alcuna cosa isnaturatamente o superbiamente o crudelmente o
maliziosamente. M om. a 711 lo
chose vili 7 le i»arole 4: M' o per
parenti por avere m oin. rli
scongiurare 6-7 : M' per lo tuo padre 7
per le 1. 7 [jor le s. de tuoi f., per li compagniper saette di tuoi I".,
m per le saette de tuoi parianti 7 per li compagni - 8-0 : M' om. etc.
Et ora a detto il maestro om. la Ì0:m dalla nostra parte YS: 3i' odindispregio 19: M-m om. a
noi M' deluditore.... in invidia. Et il ter^^o che sia m loro in invidia.... loro in
dispetto 26-27: M' comelgli anno alcuna
cosa facta vi 0»». isnatur. e o
maliziosamente Noi potemo i nostri adversarii mettere ina
odio dell' uditore se noi dicemo eh' elli anno alcuna cosa fatta
isnaturalmeute, contra l'ordine di natura, si come mangiare 5. .calane
umana et altre simili cose delle quali lo sponitore si tace
presentemente. O se noi dicemo eh' elli abian fatto superbiamente, cioè
non temendo né curando de' signori né de' maggiori, avendoli per neente.
O se noi dicemo ch'elli abbiano fatto crudelmente, cioè non avendo pietà
né mise 10. ricordia de' suoi minori né di persone povere, inferme o
misere. se noi dicemo ch'elli abbiano fatto maliziosamente, cioè cosa
falsa e rea, disleale, disusata e contra buono uso. 2. Et di tutto questo
avemo exemplo nelle parole che BOEZIO dice contra NERONE imperadore. Ben
sapemo quante ruine fece ARDENDO ROMA, tagliando i parenti et uccidendo
il fratello e sparando la madre. Altressì fue malizioso fatto il
qual racconta Euripide di Medea, che sta scapigliata tra' monimenti e
ricogliea ossa di morti. 3. Omai à detto lo sponitore sopra '1 testo di
Tullio come noi potemo met 20. tere il nostro adversario in odio et in
malavoglienza dell' uditore. Da quinci innanzi dicerà come noi li potemo
mettere in loro invidia. Tullio. In invidia dicendo la loro
forza, la potenza, le ricchezze, 2.5. il parentado e le pecunie, e la
loro fiera maniera da non sofferire, e come più si confidano in queste
cose che nella loro causa. Sponitore. 1. Noi potemo
conducere i nostri adversarii in invidia et in disdegno dell' uditore se
noi contiamo la foi'za del 3-4: M' chaWi ahh'ia. {poi
aggiunto no dalla stessa maria)
isnaluratamente contra online M' tace ora presentemente m al ])rosonte M-m 7 se noi dicemo che labian 7-8: M tenendo M^ 7 non venerando de
sig,... 7 avendoli, m curando.... do maggiori
M-m 3/' chelabbiano 9-10: m
misericordia.... di persone M' 7 misero
M-m Et se dicemo cliollabbiano
12: Af' cosa rea falsa et disleale 7 disusata contra b. u., m om.
cosa o disleale 7 contro a b.
u. 13: M' exemplo avemo lo : M' uccidendo i parenti,
talgllaiido il fratello M-m i
fratelli 17 : S Euripide M-m di medici
IS: M corresse monimenti in moUimenti
20: m om. in odio et - Af' in malavoglienca 21-22: M Da ipii 3f' diceremo.... li potremo
mettere loro in invidia 24 : M-m om. M'
si lidano: Af' i nostri avorsari conducere degliuditori Cfr. Magoini, La rettorica
italiana di B. L. corpo e dell' animo loro ad arme e senza arme, e la
potenza, cioè le dignitadi e le signorie, e le ricchezze, cioè servi,
ancille e posessioni, e'1 parentado, cioè schiatta, lignaggio e parenti e
seguito di genti, e le pecunie, cioè 5. denari, auro et argento, in cotal
modo che noi diremo come ' nostri adversarii usano queste cose malamente
et increscevolemente con male e con superbia, tanto che sofferire non si
puote. 2. Cosi disse Salustio a' Romani: Ben dico che Catenina è estratto
d'alto lignaggio et à grande IO. forza di cuore e di corpo, ma
tutto suo podere usa in tradimenti e distruzioni di terre e di genti ». Così
disse Catenina centra ' Romani: Appo loro sono li onori e le potenzie, ma
a nnoi anno lasciati i pericoli e le povertadi. Ed ora è detto della
invidia contra i nostri adversarii; sì dicerà il conto come noi li potemo
mettere in dispetto. Tullio. In dispetto degli uditori
saranno messi dicendo che siano sanza arte, neghettosì, lenti, e clie
studiano in cose disusate e sono oziosi in iuxuria. 20.
Sponitore. I. Noi potemo mettere i nostri adversarii in
dispetto degli uditori, cioè farli tenei'e a vile et a neente, se
noi diremo che sono uomini nescii sanza arte e sanza senno, da
neuno uopo e da neuna cosa; o che sono neghettosì, 25. che tuttora
si stanno e dormono e non sì muovono se non come per sonno; o diremo che
sono lenti e tardi a tutte cose; o diremo che studiano in cose che non
sono da neuno uso né d'alcuna utilitade; o diremo che sono oziosi in
Iuxuria dando forza et opera in troppo mangiare, in nebriare, 30.
in meretrici, in giuoco et in taverne. 2. Et ora à detto il Af' om. e le
signorie, poi continua: E le pecunie, ciò sono i danari e seni 7 ancelle 7
possessioni. ¥A parentado di genti, in cotal modo ecc. 6: M' come i nostri aversarii 11 : M^
in tradimento 7 distructione de terra 7 <le gente, m in tradimenti
distructioni: M-in a Romani : m lasciato
14: M iì detta L'i : M' o»i
noi in dispregio (l. 17 idem) 17:
M' om. degli uditori 18: M disulate 19: M octosi, m ottosi 22: M' om.
degli uditori 23: 3f' siano, m sieno M' sanza sonno? sanza arte di neuno
huopo - 24: m om. da neuno uopo e 25 : m
si stanno, dormono - 26: M' per sonno/ 7 diceremo, L per sogno 27-28 : m alclumo uso M ' 7 dicoremo 29-30: M' de troppo mangiare .T
ebriare. in puttane m 7 in bere M in cliaverne M' a decto luditore come
)?t om. E conto come noi potemo acqnistare la benivolienza dell'uditore
dalla persona de' nostri adversarii mettendoli inn odio et in invidia et
in dispetto, et à insegnato come si puote ciò fare. Ornai tornerà alla
materia per dire come s' acqui5. sta benivolenzia dalla persona dell' uditore,
e questo è il terzo luogo. La benivolenza dell'uditore.
lOO. Dalla persona dell'uditori s'acquista benivolenza dicendo che
tutte cose sono usati di fare fortemente e saviamente e man10. suetamente, e
dicendo quanto sia di coloro onesta credenza e quanto sia attesa la
sentenza e l'autoritade loro. Lo sponitore Noi potemo
acquistare la benivolenza delli uditori dicendo le buone pertenenze delle
loro persone e lodando 15. le loro opere per fortezza e per
franchezza e per prodezza, per senno e per mansuetudine, cioè per
misurata umilitade, é dicendo come la gente crede di loro tutto bene et
onestade, e come la gente aspetta la loro sentenza sopra questo fatto, credendo
fermamente che fie si giusta e di tanta 20. autoritade che in
perpetuo si debbia così oservare nei simili convenenti. Di forte fatto Tulio
lodò Cesare dicendo: « Tu ài domate le genti barbare e vinte molte terre
e sottoposti ricchi paesi per tua fortezza». 3. Di senno il lodò e'
medesimo parlando di Marco Marcello: Tu nell'ira, la quale è molto nemica
di consellio, ti ritenesti a consellio. Di mansueto fatto il lodò Tulio
dicendo: Tu nella vittoria, la quale naturalmente adduce superbia,
ritenesti mansuetudine ». 5. D' onesta credenza il lodò Tallio in M'
in odio deluditore, M innodio 7 invidia, m in odio, in invidia M-m om. si 8: Jf' m delludilore {ma il
testo auditorum) ~ 9: M' sono usi M-m 7
suavomento {m nm. 7) : i mss., ambedue le volte, quando M' di loro
li: M-m intesa 13: M-m om.
delli uditori M^ deluditore M' dicendo
che buone M-m om. e per franchezza M' 7 per senno 17: m M' om. e 19: Jtf' credendo che la loro sententia
sia si giusta m che sia SO: M-m ne in simili, M'-L ne simili 23-84: m e lodo, M' il lodano 7
medesimo parlano m marche metcllo M-m
om. molto Af tu ritenesti a
consellio, m tu ritenesti consiglio 26:
M ilio Tullio tu ecc., m di mansueto fatto /7 nella vittoria M adato, m adato, L odduce 28: m om. credenza il lodò Tullio In
tutti 1 codici l'interpunzione di questo passo è variamente errata, né
metterebbe conto darne notizia. questo modo: Cesare volle alcuna
fiata male a Tullio, ma tutta volta lo ritenne in sua corte; e non
pertanto Tullio CICERONE era sì turbato in sé medesimo che non potea
intendere a rettorica si come solea, insin a tanto che GIULIO CESARE non
li 5. rendeo sua grazia. Et in ciò disse Tullio. Tu ài renduto a me
et alla mia primiera vita l’usanza che tolta m' era, ma in tutto ciò
m'avevi lasciata alcuna insegna per bene sperare »; e questo dicea perchè
l'avea ritenuto in corte, sicché tuttora avea buona credenza. 6. D'
attendere la sua buona sentenza lodò Tullio Cesare parlando di Marco
Marcello: «La sentenza eh' é ora attesa da te sopra questo convenente non tocca
pure ad una cosa, ma à ad convenire (D a tutte le somiglianti, perciò che
quello che voi giudicarete di lui atterranno tutti li altri per loro ».
7. Or é detto come 15. s'acquista benivolenzia dalle persone delli
uditori; sì dirà Tullio coni' ella s'acquista dalle cose. La
benivolenza delle cose. Da esse cose se noi per lode innalzeremo la
nostra causa, per dispetto abasseretno quella delii
adversarii. Sponitore. Noi potemo avere la benivolenza dell'uditori
da esse cose, cioè da quelle sopra le quali sono le dicerie,
dicendo le pertenenze di quelle cose in loda della nostra parte et
in dispetto et in abassamento dell' altra; sì come disse 25. Pompeio
confortando la sua gente alla guerra di Cesare : « La nostra causa piena
di diritto e di giustizia, perciò eh' ella è migliore che quella de'
nemici, ne dà ferma spe 4 : M' om. non 6: M-m la causa dm t. i a me la mia primiera vila e liisanza
7: tutti, eccetto L, m'avea M-m la sua
insegna 8 : M' 7 in questo (?«re i et
((uesto) M' buona speranna M-m
lodo Cesare di Tullio - IS: M-m ma ad {m a) convenire, M-L ma dee convenire Mt
per lui i5: 3f' dele persone i8:M-mom. so L sar|uista bonivoglienza se noi ecc. (ma nel
latino manca) M' m 7 per disp. 21 : M' deluditofo, m delli uditori 24 : m nm. in dispetto M-m om. idi
25: M confermando la sua gente
26: m M'-L e piena Lo pero
chella 27 : m forma speranza
(1) Aggiungo un' a, che nella scrittura del codice può considerarsi fusa
(come avviene nella pronunzia) con quella precedente di ma con quella
seguente di ad. Bel resto basterebbe anche « convenire, quasi come un
futuro (« converrà ») scomposto nei suoi elementi. -ranza d'avere
Dio in nostro adiuto(i)». 2, Et ornai à divisato il conto le quattro
luogora delle quali si coglie et acquista la benivoglienza, molto
apertamente et a compimento; sì ritornerà a dire come noi potemo fare
l'uditore intento. Di fare V uditore intento. Intenti li faremo
dimostrando che in ciò che noi diremo siano cose grandi o nuove o non
credevoli, o che quelle cose toccano a tutti a coloro che 11' odono o ad
alquanti uomini illustri, ai dei immortali, a grandissimo stato del
comune, o se noi prof10. terremo di contare brevemente la nostra causa, o se noi
proporremo la giudicazione, o le giudicazioni se sono piusori. Avendo
Tullio dato intero insegnamento d'acquistare la benivolenza di quelle persone
davante cui noi 15. proponemo le nostre parole, sì che l' animo s'
adirizzi et invìi in piacere di noi e della nostra causa e che
siano contrarii e malevoglienti a'nostri adversarìi, sì vuole
Tullio medesimo in questa parte del suo testo insegnare come noi
I)otemo del nostro exordio, cioè nel prologo e nel cominciamento del nostro
dire, fare intenti coloro che noi odono, sì che vogliano achetare i loro
animi e stare a udire la nostra diceria; e di questo potemo noi fare in
molti modi de' quali sono specificati nel testo dinanti, et in altri
simili casi. 2. Et posso ben dire manifestamente che ciascuna
per 25. sona sarà intenta e starà ad intendere se io nel mio comin1: m nm.
Et 3 : 3f' nm. la hi odi. molto
4: m alento 8-9: A/' o
aliquanlì.... o ali iilii imm. o a
M |)iQrRremo, vi protreremo {lat. pollicebimur) iO: M-m owi. brevemente VI proiroromo la giuil. i3 •M-m Quamlo Tullio a dato 14:
J/tlavento 7/1 (lavante a cimi 13-16: 3/' loro siiivii 7 dlrirvi 17: vi malagevoli 19: M' nel nostro exorilio vi nm. nel coniiiiciamento 21 : 3f' si che noi vogliamo 32-23: 3f ' Et questoi (jua'.i....
davanti vi om. el 25: M-m sono noi mio com. (1) Cfr. Lucano, Phars., VII, 349: " Causa iubet melior superos
sperare secundos „. Solo la lezione di M corrisponde anche per la forma
sintattica. (2) Si rimano alquanto in dubbio sulla lezione da preferire,
perchè tra un Avendo e un Quando la differenza grafica ò lieve, data la
somiglianza di una forma di A con Q. Ma il gerundio Avendo, con una
costruzione meno comune, più difficilmente può esser dovuto a un copista;
d'altra parte il quando in senso di " dopo che „ non è dell'uso di
Brunetto, clie adopra continuamente la formula " Poi che Tullio ha
detto ha insegnato (S’intende clie l'inserzione di a davanti a dato
diveniva necessaria leggendo Quando). -ciamento dico eli' io voglia
trattare di cose grandi e d'alta materia, sì come fece il buono autore
recitando la storia d'Alexandro, che disse nel suo cominciamento : « Io
diviserò e conterò così alto convenente come di colui che conquistò
ó. il mondo tutto e miselo in sua signoria ». 3. Altressì fie
inteso s' io dico eh' io voglia trattare di cose nuove e contare novelle e dire
eh' è avenuto o puote advenire per le novitadi che fatte sono, sì come
disse Catellina : « Poi che Ila forza del comune è divenuta alle mani
della minuta 10. gente et in podere del populo grasso, noi nobili,
noi potenti a cui si convengono li onori, siemo divenuti vile populo
sanza onore e sanza grazia e sanza autoritade. Altressì fie intento s' io
dico eh' io voglia trattare di cose non credevoli, sì come '1 santo che
disse : « Il mio 15. dire sarà della benedetta donna la quale
ingenerò e parturio figliuolo essendo tuttavolta intera vergine davanti e
poi »; la quale è cosa non credevole, i^erciò che pare essere centra natura. Et
si come diceano i Greci: « Non era cosa da credere che Paris avesse tanto
folle ardimento che venisse 'n essa terra a rapire Elena. Altressì fie
intento s'io dico che '1 convenente sopra '1 quale dee essere il
mio parlamento a tutti tocca od a coloro che 11' odono, sì come
disse Gate parlando della congiurazione di Catellina: « Congiurato anno i
nobilissimi cittadini incendere e distruggere 1 : M traclai-e cose, m
cliio voglia di trattare chosa grande 2
: M actoro, m attor.j M' recontcro conquise7 mise 5-6: M' fia inlento sic dica.... 7 contrario
novelle - 7: M' 7 puote 9: M storca m e
venuta.... gente minuta 10: m M'-L
non potenti iy : J>f' noi a cui 13: M Altre si 14-15: M'-L sicome disse il
santo che disse - i II mio dotto
16: M' partorie il figluplo M^ -j
di. poi M-m om. la quale....
natura 19: M-m oni. folle m om. che venisse SO: M nessa terra, m
in essa terra, M'-L nela nostra terra M arape 22: M' tocclia a tutti
coloro anno nob. citt. dincendore [Nonostante l'accordo di tutti gli altri
codici, mi attengo a M, la cui lezione è confermata dal testo di
Sallustio: " omnes, strenui, boni, nobiles atque ignobiles „ ecc. Brunetto
non traduce esattamente, ma vuol mettere in rilievo la dignità delle
persone, e perciò ripete il noi; forse questa parola in qualcuno dei
primi apografi fu scritta no (no') e quindi scambiata colla negazione: non
potenti. Favoriva l'errore anche il tono insolito della frase " noi
nobili, noi potenti,., mentre le parole " in podere del populo
grasso „ inducevano a considerare " non potenti „ i
nobili. Intendo in essa terra (come scrive m), cioè " nella patria
stessa „, in ipsa terra. Leggendo con 21f » nella nostra terra si avrebbe
lo stesso senso in forma più chiara; ma non saprei allora spiegare la
variante di M-m. È possibile che, omesso il nostra, un nella sia stato
letto nessa, che a prima vista non dà senso ? Invece nulla di più facile
del caso inverso, e.ssendo l's di forma allungata cosi simile a l. isola patria
nostra, e '1 lor capitano ne sta sopra capo. Adunque dovete compensare clie voi
dovete sentenziare de' crudelissimi cittadini che sono presi dentro nella
cittade » Altressì fie intento s' io dico clie Ila mia diceria tocca 5.
ad alquanti uomini illustri, cioè uomini di grande pregio e d'alta
nominanza in traile genti sì come disse Pompeio parlando della battaglia
civile: « Sappiate che l'arme de' nemici sono appostate per abbattere l'alto e
glorioso sanato ». Altressì fie inteso s'io dico che Ile mie parole
toccano a'dei, 10. si come fue detto di Catellina poi ch'elli ebbe
conceputo di fare cotanta iniquità: «Ma elli gridava ch'appena i
dei di sopra potrebbero ornai trarre il populo delle sue
mani. Altressì fie intento s' io dico nel principio di dire la mia
causa brevemente et in poche parole, sì come disse il poeta 15. per
contare la storia di Troia: «Io dirò la somma, come Elena fue rapita per
solo inganno e come Troia per solo inganno fue presa et abattuta.
Altressì fie intento s'io nel mio exordio propongo la giudicazione una o
più, cioè quella sopra che io voglio fondare il mio dire e fermerò
20. la mia provanza, sì come fece Orestes dicendo: « Io proverò che
giustamente uccisi la mia madre, imperciò che dio Apollo il mi à
comandato, perciò che uccise il mio padre». IO. Et di tutti modi per fare
l'uditore intento potemo noi coUiere exempli in queste parole che
disse Tullio a Cesare parlando per Marco Marcello: « Tanta 1 : M-m 7
lor M' ne sopra capo 2-3 : m dovete pensare, Mi pensale M-m esmarn {m esimare) de nobilissimi
citi. M' ohe sono dentro ala cittade
(anche m dentro alla) M fue, m (la 5-6: M' cioè de gr. M-m 7 da tale nominanca
7 : M-m che latine M-m sano, M' senato M' fia intonto O-ll: M-m poi
chelll anno conceputo di faie tanti iniipii mali gridava (m om. gridava)
M apena ornai 3f' nel cominciamento 14:
Jf' o in jioclie parole M' om. Io dirò.... e come Troia, M om. Troia
[spazio bianco) m diclio 7 propongo nel mio exordio Mi sopra che infomliiro il
mio dire e fondata m sopralla quale M-m
che io ajmllo il mio comandato, 3f' chol dio Appello lo ma com. (/.. lo
mavea), 7 perciò cliella m atento M' exemiilo M-m om. a M' parlando a lui Questo periodo
è d'incerta lezione, male varianti registrate in nota sono palesi
accomodamenti, specialmente il pensate di Jtf ' per evitare la
ripetizione di dovete; co.si esmare esimare può esser nato da una sigla
di sentenziare (0 si tratterà di fmare, fermare?). Glie sia poi da
leggere crudelissimi cittadini ò confermato, oltre che dal senso, dalla parola
hostibiis che vi corrisponde i\el tosto di Sallustio ; nobilissimi ò
derivato dalla frase del periodo precedente. La lezione di M., che è tutta
accettabile, dà ragione degli errori di Mm: il primo elli parve plurale,
e quindi si fece elli anno; il ma unito con Mi divenne mali e portò con
sé altri cambiamenti. Ma non giurerei che tutto sia genuino"
mansuetudine e cosi inaudita e non usata pietade e cosi incredebile e
quasi divina sapienzia in nessuno modo mi posso io(l) tacere nò sofferire
ch'io non dica». Et poi che Tullio à pienamente insegnato come per le
nostre parole 5. noi potemo fare intento l'uditore, si dirà come noi il
poterne fare docile. Come l'uditore sia docile. Docili faremo
li uditori se noi proporremo apertamente e brevemente la somma
della causa, cioè in che sia la contraversia. E certo quando tu il vuoti
fare docile conviene che tu insieme lo facci attento, in però che
quelli è di grande guisa docile il quale è intentissimamente
apparecchiato d'udire. Quelle persone davanti cui io debbo parlare posso
io fare docili, cioè intenditori, da tal fatto: se io nel mio exordio,
alla 'ncviminciata della mia aringhiera, tocco un poco d^l fatto sopra '1
quale io dicerò, cioè brevemente et apertamente dicendo la somma della causa,
cioè quel punto nel quale è la forza della contenzione e della
controversia. Cosi fece Saiustio docile Tulio dicendo: « Con ciò sia cosa
ch'io in te non truovi modo né misura, brevemente risponderò, che
se tu ài presa alcuna volontade in mal dire, che tu la perda in mal udire
». 2. Questo et altri molti exempli potrei io mettere per fare l'uditore
docile, si come buono intenditore puote vedere e sapere in ciò eh' è detto
davanti. E perciò che '1 conto à trattato inn adietro di due
maniere exordii, cioè di principio e d'insinuazione, et àe divisato
M consuetudine, m sollicituiline, L inmansuetudine L nm. lo e cosi. M mandila. M-m
mi possono, M-L io posso m om. Et. M'
luditore intento, M nm. l'uditore. 8: M' Docile l'aremo luditore M-m proi)onemo iO: Af' Et credo quando tu vuoli. m nm.
è attentissimamente. m davanti a chui docile
cioè intenditori de tutto il facto M-m
sarò nel mio ex. M' incomincianza. M arrincliiera, M' aringheria m cominciamo 7 toccho Af' om. dicendo
nel quale e la contentione. M' om. cosa (ma non L). m o misura. M' ti
lispondo M' om. Io. m om. e sapere. M' doxordio [È chiaro che posso io fu
dall'archetipo di M-m trasformato in possono perchè tutti i sostantivi
che precedono parvero soggetti e non complementi oggetti ; e vi dovè
contribuire una falsa lettura (cfr. un caso simile in 128, 23, seno per
se io). La lezione di M'-L è solo un facile accomodamento. ciò che ssi
conviene fare e dire nel principio per fare l'uditore benivolo, docile et
intento, sì dirà lo 'nsegnamento della INSINUAZIONE in questo modo. Oramai
pare che sia a dire come si conviene trattare le insinuazioni. INSINUAZIONE
è da usare quando la qualitade della causa è mirabile, cioè, sì come
detto avemo inn adietro, quando l'animo dell'uditore è contrario a noi. E
questo adiviene massimamente per tre cagioni: o che nella causa è alcuna
ladiezza, o coloro 10. e' anno detto davanti pare ch'abbiano alcuna cosa
fatta credere all'uditore, se in quel tempo si dà luogo alle parole, perciò
che quelli cui conviene udire sono già udendo fatigati; acciò che
di questa una cosa, non meno che per le due primiere, sovente s'offende
l'animo dell'uditore. In adietro è detto sofficientemente come noi
potemo acquistare la benivolenza dell" uditore e farlo docile et
intento in quella maniera de exordio la quale è appellata principio.
Oramai è convenevole d' insegnare queste mede 20. sime cose nell'autra
maniera de exordio la quale è appellata « insinuatio ». 2. Et ben è detto
qua indietro che « insinuatio » è uno modo di dicere parole coverte e
infinte in luogo di prologo. Et perciò dice Tullio che questo tal prologo
indaurato dovemo noi usare quando la nostra causa è laida e disonesta inn
alcuna guisa, la qual causa è appellata mirabile, sì come pare in adietro là
dove fue detto che sono cinque qualità U) di cause, cioè onesta,
mirabile, vile, dubiosa et oscura. 3. E buonamente nelle quattro ne
potemo noi passare per principio; ma in questa una, cioè mirabile, 1
: M cioè M' om. fare e S : M-m om. s\ 6: 3f ' della ìnsinualiono 7: m ohi. s'i M-m 7 di questo
diviene iS: L Kt di questa Iti: M-m a detto 20: W nella maniera 2i : m Bono dotto S3: M-m cai prologo (m prolago danrato), 3/'
cotale prolagoS6: M-m nm. in adiotro M modi ([ualità (hi qui è corroso,
vin lo spazio fa supporre lo slesso), M'-L qualitadi dolio cause M' cioè nollamirabile Conservo la
parola qualità attestata da ambedue le tradizioni, tanto più Clio anche
prima Brunetto usa lo stesso vocabolo. In M abbiamo modi qualità. Probabilmente
si tratta di una sostituziono o variante, che venne poi introdotta nel
testo (a mono clie non si voglia supporre un modi o qualità). ne conviene
usare INSINUAZIONE [IMPLICATURA – “He hasn’t been to prison yet” – “He has
beautiful handwriting”] per sotrarre l’animo dell’uditore e tornare in piacere
di lui ed in grazia quel che pare essere in suo odio. Adunque ne conviene
vedere in quanti e quali casi la nostra causa puote essere
mirabile, e poi vedere come noi potemo contraparare a ciascuno. E
sono tre casi. Primo caso si è quando sie nella causa alcuna ladiezza per
cagione di mala persona o di mala cosa. Che al vero dire molto si turba l'animo
dell'uditore contra il reo uomo e per una malvagia cosa. Il secondo caso
è quando il parlieri ch'à detto davanti à sie et in tal
guisa proposta la sua causa, eh' è INTRATA NELL’ANIMO dell'uditore e
pare già che Ha creda sì come cosa vera; per la quale cosa r uditore, poi
che comincia a credere alle parole che ir una parte propone et extima che
Ila sua causa sia vera, apena si puote riducere a credere la causa dell'altra
parte, anzi sine strana et allunga. Il terzo caso è d'altra maniera che
sovente aviene che quelle persone davanti cui noi dovemo proporre la
nostra causa e dire i nostri convenenti anno lungamente udito e stati A
INTENDERE ALTRI e' anno detto assai e molto, prima di noi, DONDE L’ANIMO dell'
uditore è fatigato sì che non vuole né agrada lui d'intendere le nostre
parole; e questa è una cagione che offende l'animo dell'uditore non meno
che 11' altre due Et perciò conviene a buon parliere mettere rimedi di
parole incontra ciascuno caso contrario, secondo lo 'nsegnamento di
Tulio. Della laidezza della causa. Se la laidezza della causa mette
l'offensione, conviene mettere per colui da cui nasce l'offensione un
altro uomo che sia amato, o per la cosa nella quale s'offende un'altra
cosa che sia provata, o per la cosa uomo o per l'uomo cosa, sicché L'ANIMO
dell'uditore si ritragga da quello che 'nnodia in quello ch'elli ama. Et
infingerti di non difendere quello che pensano che tu voglie difendere, e
così, poi che l’uditore sie più allenito, entrare in difendere a poco a poco e
dicere che quelle cose, le quali indegnano L’AVERSARII, a noi medesimi
paiono non degne. Et poi che tu avrai allenito colui che ode, dei
dimostrare che quelle cose non pertiene atte neente, e negare che tu non
dirai alcuna cosa dell' aversarii, ne questo ne quello, sì eh' apertamente
tu non danneggi coloro che sono amati, ma oscuramente facciendolo allunghi
quanto puoi da lloro la volontade dell'uditore; e proferere la sentenzia
d'altri in somiglianti cose, o altoritade che sia degna d'essere seguita;
et apresso dimostrare che presentemente si tratta simile cosa, o maggiore
minore. In questa parte dice Tullio CICERONE che, SE l’uditore è turbato
contra noi per cagione della causa nostra che sia o che paia laida per
cagione di mala persona o di mala cosa, ALLORA DOVEMO NOI USARE
INSINUAZIONE NELLE NOSTRE PAROLE in tal maniera che in luogo della persona
contra cui pare CORUCCIATO L’ANIMO dell'uditore noi dovemo recare
un'altra persona amata e piacevole all'uditore, sì che per cagione
e per coverta della persona amata e buona noi appaghiamo L’ANIMO dell'uditore
e ritraiallo del coruccio ch'avea contra la persona che lui semblava rea.
Si come fece AIACE nella causa della tendone che fue intra lui et ULISSE
per l'arme eh' erano state d'Achille. Et tutto fosse AIACE un valente
uomo dell'arme, non era molto amato dalla gente né tenuto di buona
maniera. Ma ULISSE, per lo grande senno che in lui regna, e molto amato.
Onde AIACE, volendosi contraparare, nel suo dicere ricorda com' elli era NATO
DI TELAMONE, il quale altra fiata prese Troia al tempo del forte ERCOLE. E
così mette la persona avanti amata e graziosa in luogo di sé ed in suo
aiuto, per piacerne alla gente e per avere buona causa. E quando la causa
è laida per cagione di mala cosa, si dovemo noi recare NEL NOSTRO
PARLAMENTO un’altra cosa buona e piacevole. Si come fa CATILLINA scusandosi
della congiurazione che fa in ROMA, che mise una giusta cosa per coprire
quella rea, dicendo. Elli è stata mia usanza di prendere ad atare li
miseri nelle loro cause. Brunetto Latini. Latini. Keywords: rettorica, le
fonte della retorica di Latini: Cicerone e Publio Vegezio, insinuazione,
parlari, parlatore, controversia, auditore, animo dell’auditore, modo, essempio
di Roma antica, Giulio Cesare – rettorica oratoria togata – sacrilegio o furto
--. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Latini” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Laurino: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dei longobardi – filosofia
campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Laurino). Filosofo italiano. Laurino, Salerno,
Campania. Duca di Aquara e di Laurino, appartenente alla nobile famiglia
napoletana degli Spinelli. Allievo di VICO, si forma al Clementino a Roma
e poi all'Accademia di Loreto. Ritornato a Napoli, divenne amico di vari
illuministi napoletani, quali FILANGIERI (si veda) e Galiani. Autore di
vari saggi di stampo illuministico. Le “Riflessioni filosfiche” rappresenta un tentativo
di metodo geometrico. Si oppone alle teorie di Broggia. Fa attivamente parte
della massoneria napoletana, all'epoca diretta dal principe di Sansevero,
Raimondo di Sangro. Cavalerie del Real Ordine di San Gennaro. A
Napoli, fa ristrutturare il palazzo di famiglia, il palazzo Spinelli di
Laurino, trasformandolo in una suggestiva realizzazione. Muore a Napoli e venne
sepolto nella cappella di famiglia nella chiesa di Santa Caterina a
Formiello. Altri saggi: “Degl’affetti degl’uomini”, Napoli, Muzio; “Della
moneta” (Napoli); “Cronologia dei re di Napoli,” Napoli, Bisogni; “Del nobile”,
Porsile; “Lettera nella quale si dimostra non esser nota di falsità, che nel
diploma di fondazione della chiesa di Bagnara si ritrovi l'anno 1085 segnato
coll'indizione sesta correndo l'ottava del computo volgare; Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. -- ria che forma la materia
del presente saggio: E metodo col quale questa siè composto. I tutte le città e
popoli dell'Italia ciascuno ha la sua particular forma di governo prima che sussestato
vinto da’ ROMANI. Ed anche dopo ciò, molte delle città medesime, quantunque al
popolo di ROMA veramente ubbedissero. Pure così fatti nomi, e tale forma aveano
di domestica polizia, che libere in certo modo facevanle apparire. Ma essendo
stata dalla legge giulia a ciascuna di quelle LA ROMANA CITTADINANZA conceduta che
non da tutte senza con Trans 1 AN 1x IN line ill SAGGIO TAVOLA CRONOLOGICA
compongono DI NAPOLI. Dalla venuta de LONGOBARDI in Italia fino che quelle terre
sono da NORMANNI della Puglia conquistate. PROΟEMIO trasto è accettata, e la quale
da Marco Aurelio ANTONINO Antonino Caracalla è all'intiero orbe romano distesa,
col vanto di esser parte del capo, a Roma, ed a coloro, che la ressero, sono
tutte senza alcuna dubitazione, anche nell'aspetto, sottoposte. [tem Civitati
ante ferret CICERONE pro Bal CICERONE PRO BALBAM, Edit.Ve. bon. Edit.Venet. L. inorbeff.
de Stat. hom. L., Roma. Sigon. de Antiquo Jur. Ital. Ad bomnib. Rutil. Numan. itinerar.
In quo magna contention Heracliensium, Aloja Ins: DE’ PRINCIPI E PIÙ RAGUARDEVO
LI UFFICIALI, che anno signoreggiato, e retto le PROVINCIE, ch’ora: Ι Mich. Fiaschino
Inven. e C.I. REGNO DI, Strabon. Geograph. Edit. Parifienf. Parsin Civitatibus fæderisfui
liberta e Neapolitanorum fuit, cum magna I LL ]. Transferita però la sede del ROMANO IMPERATORE in Costantinopoli, varie BARBARE
NAZIONI con più fortuna di quello, che aveano fattosotto LA ROMANA REPUBLICA, invadero
l'Italia molte volte, e distrusfero. Radagasio Re de’ GOTI con MM armati,
cagiona danni gravissimi all'Italia. Ma in Toscana da Stilicone resta con tutto
il suo esercito vinto e sconfitto. Alarico ed Ataulfo re di que' medesimi BARBARI
che ove Alarico dimora circa II anni, ed ove muore, avidamente sacchegiarono. Attila
re degl’UNNI in così fatta maniera quella parte dell'Italia av'egliera entrato,
devasta, che IL FLAGELLO DI DIO è nominato. Genserico re de’ vandali chiamato
dall'Africa d’Eudossia moglie di Valentiniano III imperatore, per vendicarsi di
Massimo, che avea costui ucciso, e lei ignara in prima dell'infame
assassinamento, sposata, ed occupato d’Occidente l'Impero; viene in Italia, ne
scorre molte provincie, DEVASTA LA NOSTRA CAMPANIA e molte città di essa avendo
distrutte, in Cartagine carico di preda se ne ritorna. E finalmente Odoacre co’suoi
Eruli, e Turcilingi, INVADE TUTTA L’ITALIA e Re de Goti, che nella PANNONIA,
ove egli no dimora, aveano cominciato a tumultuare, gli concede l'Italia,
acciocchè ne avesse Odoacre discacciato. Ovvero, come altri vogliono, lo stesso
TEODORICO senza la concessione dell'imperadore
in vase quella provincia, ne discaccia Odoacre, che poscia uccise, e re se ne fa
nominare -- Histor, Miscell. est cod. Ambrosiin. in Philostorg, hist.
Ecclesiast. Ma Prosper. Aquitan. Chron.; Augut. De Civit. Dei, Marcellin. Chron.
In Sirmond. Philostorg. hist. Eccl. In Vauclid. Chron. Idatius in Chron. Isidor. Chron.
Goth. in rebo Got., Langobard. Jornand. de reb. Get. Agnel. Pontific. Raven. in
S. Joan . Evagr. Schol. hist., Valef Ital. Murat, Cassiod. in Conf. Boet. Conf.] per essersi fermati poi nell'Occidente
si dillero VESTRO-GOTI. A modo di locuste Roma II volte, ed una gran parte delle
nostre Provincie -- Histor. Miscell. ex cod. Ambro. Olympiod. In Photii Biblioth. Jian, in Murat. Rer.
Ital., Sigebert. Chrona Jornand. de reb.Goth. Histor. Miscell. ex cod. Ambros. Axon.Valesian. Sigebert, Procop.
De bella Gotb. -- Re, e circa anni pacificamente la possiede. quista, se ne
titola colle proprie forze da quella l'imperatore Zenone vedendo di non poterlo
Teodorico. Perchè discacciare, evolendosi render benevolo bella parie del suo impero
la con Regi non. -- Chron. Histor. Miscell. Paul, Disc, de Gest. Langob. ex
cod. Ambrosian., i Reginou. Chron. Socrat. hist. Ecclesiasi., Jornand.de
reb.Goth. de re- Anon. Cuspiniana Eusippiusin vita S. Severini. znor. success.
Anon Valesian. rer. Ital. Munic. Marcellin. Chron. in Sirmond. L. de Tironib.
C. Theodos. Z fimus Jornand. de reb. Goth. e Idat. Chron .in Du-chesn. de
regnur, success., Prosper. Aquitan. Chron. Procop.de belio Goth. Marcellin. Coron. in Sirmonds. Casiodor.
Chron. Edit. Spicil. Ravenn. histor.Ven., Isidor, Chron. Goth. Aimon. de Gest.
Francor. Sozomen. histor. Ecclesiast. Sigebert. Chron.in an.Vales. la to Marii
Aventic. Chron. in Duchesne, Evagr. Scholast. hist. Eccl. Histor. Miscell. ex cod.
Ambros. in Valef. Histor. Miscell. ex cod. Ambros. In rer. Sigebert. Chron. Prosper.
Aquit. Chron, in Du-Chefne Marii Aventicenf. Chron.in Du-Chesne, pa I Anon. Cuspin. --. Ma dopo di avere e codesto principe,
ed alcuni suoi successori in tal regno per molti anni signoreggiato; circa
l'anno della salutifera divina incarnazione l'imperadore GIUSTINIANO delibera
di toglierlo a codėsti barbari, col pretesto, che Teodato re di essi non avea
vendicata la morte daia ad Amalasunta già loro Reina; perchè vi manda
Belisario, che in breve tempo occupa conquistato. n cosi fatia espedizione
furono in ajuto de' Greci i Longobardi nazione che nella Pannonia dimorava: i
quali dopo, che fu l'Italia pacificata, ivi, e d in casa degli Amici più
difordini commettevano, che contro gl'inimici farenon avrebbono potuto, perchè
Narsete caricandoli di doni, contenti nel loro paese oltre a ciòavea
discacciato dall'Italia i francesi, che sotto il lur Duca Bucelino tutta, o quasi
tutta, presa, e devasiata l'aveano; perchè egli era rimastoin nome
dell'Iinperadore, Supremo Governadore di quella Provincia, che avea all' Impero
restituita: quando perque'nembi, che da'più vili, e fecciəsiluoghi alzandosi
nelle Corri, oscurano gli astri più luminosi, e più chiari, ad istanza de’
Romani fu datal Governo da Giustino che è succeduto a Giustiniano Imperatore, rimosso:
e dall'ingiuria unendo il disprezzo perchè egli era Eu. le se vissuto, non
avrebbe potuto distrigare. Ed alla minaccia segue l'effetto, dappoichè
ritiratosi in Napoli, stimola co’ [Melli Comorimurtom Marcellini Chronic. Aimon, de Gest.
Francor. Joan. Diac. Chron. Jornand. de regnor.
Success. Landul. Sagac.
additam. Ad Miscell. Procop. DE BELL. GOTH. De bell. Goth. Aimon. de Gestis Franccr.
Agath. de bell. Goth. Gregor. Mag. Dial. Excerpt. ex Agat. hist. Aiuion. De Gesti Francor.
Anast. Biblioth. Invita Joan. III.
Paul. Disco de Gest. Langobard.] eunuco
l'imperatrice Sofia gli scrive che fosse andato in Costantinopoli a dispensar
la lana alle fanciulle; alla qual cosa si dice, che Narfete sdegnato risposto
avesse, che tal tela egli lo avrebbe ordita, ch’ella mentre avesse vis i longobardi a conquistare l'Italia copiosa di
tutte le naturali ricchezze, la sterile Pannonia abbandonando. Il quale in vito
allegri que’ BARBARI sotto il loro re Albuino vennero abbracciando in Italia. Nello
spazio di VII anni la maggior parte colla [ut citm puellis in Gynaceo. Gregor. Turon.
histor. lanarum faceret pensa dividere. Anast. Biblioth. in Benedict. I.
Landul. Sagac. additam. ad Miscellap. Aimon. de Gest. Francor.] delle armi ne conquistarono.
Forza è fama Ed indi sì inanzi estesero leloro, che Autariuno de loro Re fino
conquiste, che in Regio fusse pervenuto, e che avendo e dindi parte dell'Italia,
éd iessa il rimanente dall'Eunuco Narsete, che a Belisario succede, dopo xvini,
anni di asprissima guerra è interamente [Aimon. de Gest. Francorum] la Sicilia
rimandolli. Avea Narsete vinto i Goti, ed eziandio gl’unni [Histor. Miscell. Aimon . de Gest.
Francor. Isidor. Hispal. Marius Aventic. Aimon. de Gestis Franc. Procop. de bell. Gotb. Paul. Diac.
Paul. Diac. Gregor. Turon. hist. Histor. Miscell. Paul. Diac. Joan. Diac.
Chron. excerpt. Cron. per Fredeg. Scholaft. Landul. Sagac. additam. ad Miscell.
pa hist. Miscell. Aimon.de Gest. Franc.
Paul. Diac. Sigebertus, alii. Joan. Diaz. Chron.] ivi ivi tra le onde del mare una
colonna ritrovato l'avesse collasta per cossa, ed avesse detto, fin qui saranno
de’ Longobardi i confini. Delle terre occupate da Longobardi in Italia se ne
forma un Regno il quale poscia ha alcuni re francesi, e dopo essi altri di
diverse nazioni. È l'Italia in tempo de’ Re Longobardi in II Principati
solamente divisa, in quello dei longobardi, ed in quello de Greci. Ma passato il
Regno a Carlo Magno, surse in quella bella parte del mondo il principato di
Benevento, da cui non molti anni dopo nacque quello di Salerno, e finalmente
quello di Capua. Nel tempo de’ quali Principati per le guerre, che arsero fra
di loro furono in trodotti nelle nostre parti i saraceni, i quali non però,
comeche molte terre avessero conquistate, a varii capitani ubbedirono, almeno
pressodi noi non mai e uno stato formarono. Ed i medesimi Principati di
Benevento e di Salerno e di Capua durarono finchè sono da Normanni che nella
Puglia sonsi stabiliti, interamente conquistati. Imperochè alcuni pellegrini di
codesta nazione ritornando dopo da terra Santa ov'erano andati per la fede a
guerreggiare, ajutarono il Principe di Salerno da’ saraceni assediato; e
rimandati da costui a casa con grandissimi doni, allettarono a venire nelle
nostre Parti i Paesani loro, i quali discesivi, ed ora al soldo del uno de’ nostri
Principi, ora a quello dell'altro rimanendo, alla fine s’istabilirono nel luogo
che diceasi in Octaba, e la Città d'Aversa ivi edificarono. Uno di loro,
chiamato Rainolfo per capo, conte, o sia console stabilendovi. Impresero i
Greci in quel tempo di liberare la Sicilia da saraceni che la tenea no per
quasi II secoli sottoposta, ed è capo dell'esercito greco Maniaco, il quale
chiama a’ suoi soldi una parte de Normanni, che sono in Aversa fermati, e
costorovi andarono. Mi dopo qualche tempo disgustati della sua avarizia, abbandonandolo
se ne ritornarono a casa. La qual cosa avendo conosciuto un certo Auduino a’ Gieci
ribelle, propose a Rainulfo di mandare una parte della sua gente in Puglia a
torla al Greco Imperatore, che vi signoreggiava ed a cosi fattari chiesta Rainulfo
acconsentendo, un buon numero de’ suoi capitani e i mandovvi, i quali avendo di
repente occupata Melfi città di quella provincia, ed indi altre terre; fissarono
in Melfi la sede loro e diedero principi o ad un altro Principato, che
continuoffi sotto i figliuoli di Tancredi, Conte d’Altavilla, Gentil-uomo anche
egli Normanno -- i quali in varii tempi nelle no il suo Principato. Ma I Normanni,
ch'eransi stabiliti in Melfiforto i Figliuoli di Tancredi, di ben altre
conquiste saziarono la loro ambizione. Conquistarono tutte le terre, che i Greci
aveano in quele nostre Parti. Tolsero a’Saraceni la Sicilia ed a’ longobardi il
Principato di Benevento e di Salerno, e fino a'lo ro medesimi nazionali il
Principato di Capua, siccome finalmente da una gran parte del ducato di Spoleti
i Re d'Italia discacciarono e di tutti così fatti principati un regno essendosi
formato in sul principio Regno di Sicilia del Ducato di Puglia in didi Sicilia,
e l'altro di Napoli è nominato. Di tutte le cose qui sopra sommariamente esposte,
la parte più intrigata ed oscura è quella che vien compresa dalla SECONDA
VENUTA de’ Longobardi in ltalia, finchèle nostre Provincie da’ Normanni,
stabiliti nella Puglia, inun solcor po forono ridotte .xii )1 e stre parti poi
vennero . In tanto I Successori di Rainulfo aveano tolto a’Longobardi la Città di
Capua, ed Puglia, e di Calabria, e del Principato di Capua fi diske, ed in di in
II Regni diviso, uno fu detto di Trinacria alcuna volta ed pl, è detto, ed il
quale per anni è de LONGOBARDI, o fia d'Italia discese Carlo Signoreggiato. Ma
verso da re di quella nazione il re Desiderio ultimo re Longo in quella
Provincia, ed avendo preso Magno, senza mutarne la natura il Regno bardo,
trasfere nella sua persona sopradetto che Regno I va. [Paul. Diac. Paul Diacon. Supplem. Longobar. varj
Principati, i quali in così fatto spazio di tempo, siccome si è veduto, te la
natural forma diesse fide e a gran fatica, e molto dubbio sa mente indovinare.
De’ Principati che sursero nelle Provincie le quali ora compongono il Regno di Napoli,
in tempi così dubbiosi ed oscuri, io ho deliberato di scrivere in una Tavola
Cronologica i Principi, ed i più ragguardevoli Officiali, gl’anni de loro Regni
ed ufficii, e delle loro morti, i loro matrimonii; e sommariamente i fatti, che
quelli o sovrani od in alcuna maniera dipendenti o tributarii posso dimostrare
ei diritti delle loro signorie anno stabilito. Ed oltre a 7 ciò dellistesi Principati
una, per quanto io ho potuto esatta e particolare Geografia. E nella Tavola Cronologica
io hor accolto tutto ciò che da' varii filosofi, o Sincroni, o quasi Sincroni,
o molto antichi nella proposta materia si legge scritto, e narrato, come che
discordie gli no siano tra loro ramente appariscano. Senza volerli corregere, ove
avesli potuto, o concordare; di esaminare ne’ loro cetti il vero, o a me
medesimo in altro tempo, o a d’altrui, che mi voglia in ciò precedere,
riserbando. Contentandomi per orà di fornire solamente secondi semi di un’esatta
e diffusa storia delle nostra li cose me Geografia non va ancora sotto il
Torchio, in un foglio quella parte di essa ch'è necessaria alla presente opera,
esponere, e dimostrare ho voluto e dalla Tavola dame scritta il titolo di SAGGIO
ho apposto, conoscendo che in essa moltissime altre cose essere potrebbono a
diritta ragione, o d’altri, o da me stesso pervenisse a' principi l'Impero in
ciaseuno de' detti Principati; e quale fuffe la natura degl’ufficii, a cui in
essi il reggimento di Terre cra affidato, presso il Popolo, o presso una parte
di esso, o presso un solo uomo. Dice Cicerone. “Respublica res est populi.” Cum
bene, ac juste geritur, sive ab uno rege. La seconda perchè suole essere degl’optimati:
ARISTOCRAZIA. E l'ultima si chiama “MONARCHIA,” osia REGNO, il qual nome non perde
quantunque eomi, due, o tre. Principi regnino in essa collegati, com'è avvenuta
sovente tra Romani Imperadori e quasi sempre tra Principi Longobardi, de quali noi
descriviamo la Serie; imperocchè una tal forma di stato essendo molto più
distante dall'aristocrazia che dalla monarchia dalla più vicina piuttosto che
dalla più lontana, dee prender esenza alcun fallo il suo nome. Ed oltre aciò
quello ch'è stra-ordinario non dee caggionar nell’arti divisione regolare. Nè
codesti pochi principi costituiscono un collegio legittimo, in cui ciascuno la
sentenza della maggior parte dee seguitare. Ma ognuno riguardo alla sua amministrazione
libero senza alcun fallo rimane. Scrive Ubero. Monarchiam esse Io note, e più
oscure. Ed acciocchè il tutto con chiarezza si abbia ad intendere, dappoichè la
promessa. Quali siano le varie forme di governo, ed i varj modi di acquistare i
regni -- fursero in quella felice parte del mondo, ora si aggrandirono, ora si
diminuiropo, ora dalle potenze maggiori furono interamente absorti, e quasi
distrutti. Tal volta in essi si viddero eliggersi i principi, tal volta si
viddero in essi succedere a’ padri i figliuoli nella signoria. Quei, che vi
regnavano, furono soventi sia te uccisi, ed i privati il loro luogo occupando,
trasmisero a’ loro Posteri l'iniquamente acquistato Impero. I BARBARI chiamati per
difesa di alcuni sistabilirono per ruina di tutti -- e desolazione. In fine la
faccia dell'Italia divenne in que tempi assai diversa da quello ch'è prima, e che
è poi, e la sua Geografia non mai stabile osservossi, e costante. Nè di tutti
così varii, e moltiplici accidenti vi fu chi la storia distintamente scrivesse.
Ma da pochi e quali a frammenti quelli, e BARBARAMENTE sono esposti, o piuttosto
accennati. E le opere de’ filosofi di quei tempi da sin egli genti Copistifurono traseritte, che
spesse fia, > ) 9 > no . in un'altra Edizione, che sene facesse, aggiunte.
Ma prima di ogni altra cosa io ho reputato di far manifesto per quali ragioni di
codeste forme di regimenti con voci greche. La prima si dice “DEMO-CRAZIA”,
feve a paucis optimatibes, sive ab universo populo CICERONE, DE REPUBBLICA. Edit.
Venoye. Se unius imperium solo satis vocabuli argumento constat. Qicod tamen
ita præci Je captari nolim, rat quasi escumque plures in uno regno romini esostitere,
toties Reipublicæ formam mutaris tatuamus. Neque enim recte existimaturus videtur
qui in Romano imperia si quando plures OTTAVIANO fuere, PRINCIPATVM defiisse
contenderet. Cum enim longius ila societas imperantium ab ARISTO-CRATIA, quam a
monarchia distet, confentaneum est, ut ab ea specie, cui proxima est,
appellatio petatur. Ita Lacedemoniis II Reges fuerunt – DIA-ARCHIA --, id que
Regnum vocabatur nec non verum fuisset Regnum,fi potestas vere summa fuisset. Præter
quod extra ordinarius, atque ut ita loquar, accidentalis ile plurium concursus plerumque
habetur. Unde formas peculiares DYARCHIAS out TRI-ARCHIAS in Artem introducere nec congrueret,
neque expediret; tamet si fatendum monarchiæ vocabulum tunc elleminus commodum.
Accedit, quod isti Condomini, ut hivelbis similes a Germanis Jurisconfultis
appellantur, non constituant collegium, adeoque nec mus plurium sententiam
sequi compellatur. Nam ut hocjuris fit, opus est. parto, Condomini autem
Imperium Civitatis habent eodem jure, quo plures eandem remi fine tractatus Societatis
pro indiviso tenent. Quo casu notum est; quemque liberum Juc partis arbitrium,
nec reliqucrum consensui obnoxium, retinere la 28. ff. c o m m .divid. Altri
poi vi aggiungono IV altre forti d’imperi, cioè i III sopra-detti, quando sono corrotii,
ovvero ingiusti, ed il IV da’ due oda III già esposti insieme uniti. Ma
CICERONE stesso con diritta ragione afferma che ne’corrotti imperi la repubblica
non più esiste. Onde di ella non possono essere così fatti imperi. Cum vero in iustus
est Rex, quem tyrannum voca:aut injufti optimates, quorum consensus factio est.
Aut in justus ipse Populus cui nomen usitatum mullum reperio nisi ut etiam ipsum
“tyrannum” appellem. Non jam vitiosa, rola, dappoiche essa nulla alla mia
intenzione può giovare. Or, nella monarchia, o sia nel regno, abbia avuto egli
il suo principio dalla FORZA, o dal volere de cittadini, o dall'utile, o dalla paura
stimolari, abbiano questi la facoltà di stabilire solamente i regnanti, o di conferirle
anche l'impero. Aliter, dice Ubero, ediam etro instituunt, qui imperium
immediate a deo esse volunt. Hi negant, imperium ullo modo a voluntate populi
perdere, nec a civibus quicquam juris ad imperantes manare nec adeo causam monarchie,
aut ullius in civitate potestatis esse populum, quos inter Ziegle rus ad Grotium
Ethidictum P. Apostoliano bisali quoties adduetum, quod imperium sit humanæ
creationis, interpretantur, quod sit hominibus proprium, vel ratione cause
instrumentalis, quia per homines exercetur utuntur argumentis e sacris, de potestate
solvendi ligandi sacramenta administrandi, quce ministro ecclefice competit. Quem
ad modum igirur populus eligen dopaftorem non confert potestate millam nec conferre
potest, quia non habet eam ipse, nihil que agit, quamut personam eleectam potestatia
deo immediati proficiscenti applicet. Sic etiam populu, quando eligit regem, non confert
pote [Huber. de Jur. Civit. Gudling. De Jur. Nat. ac Gent.] omnino nulla respublica
est, quoniam non est res populi sed cum tyrannus eam factiove capesat. Nec ipse
populus iam opulus est, si sit in justus, quoniam nonest multitude juris consensu
et utilitatis communione sociata. E
Bodino egregiamente dimostra che il composto di alcuno o di tutte le suddette III
forme d'impero non può una città, o sia republica che tale sia secondo il fine che
si è proposto, cio è la pace ed il giusto, costituire. Onde Gudlingio ebbea
dire. Talem rei publice speciem qui appellant “mixtam”, ferendi quadantenus sunt.
Si mixtum idem fonet atque irregulare, della qual cosa io non faccio più pa. [Edit. Ven. C. edit.
Francf. an. Hobbes de CICERONE fragm. DE REPUBLICA. Bodino de Republ.] fta Cive. Bodino de
Republ. Hobbes de Civ. Huber. Edit. Francf.] statem imperandi, sed personam
electam producit eamque abhibet exercitio potestatis illia deo immediate conferendse
ego qualis, quanta in ordinee juse fe debeat. Necquo minus populus imperium
retineat, si id expedire judicet, deus intercesit. Multo minus quo parte mali quam
imperii reservaret, umquam prohibuit; quodde ministerio ecclesiæ institutoque
matrimonii nullo moda affirmare licet. Nel regno dico, a sia nella monarchia i principi anno II sorti di
diritti. L’una, che ne costituisce l'impero in mezzo a' Popoli loro. L’altra,
che determina il modo di averlo -- o sia per la quale il principe regna, o l’impero
pofliede che modo di acquistarlo si può anche direttamente chiamare. Altera
cautio est, dice Grozio, aliud efede requærere aliud ese modo habendi, quod non
in corporalibus tantum sed et in in corporalibus procedit (2) Ed. Ubero:Poft
Species Monarchie fequuntur modi,quibus. Regna acquiruntur. Hi funt velordi
narii, vel extra-ordinarii. Priores duo sunt electio, do successio Extra-ordinarii
per inde duo, matrimonium O jus belli. De jure belli o matrimonio dié tum quod satis
sit, in superioribus. De forte nihil quidem, sed nec rarisime i nu fu est, aut
pro electione fungitur; ut olim apud Per fasin Dario H. Staspide. E Gudlingio. Id
queri dignum, an per duret vita O anima civitatis una, etiam fi vel electio obtineat,
vel successio. Et
putem id contingentibus ad numerandum que unitatem nec efficient pror sus, nec tollunt.
Scilicet electio et successio per Jonas tangit, non autem modum regnandi definit,
nec illum impedit imperanti dominica in subjectos, tamquam in servos proprios
potestas competit. Appellatur etiam
Dominatus. La qual forma di Regno se giudico, che mai si possa ritrovare fra gl’uonini,
salvo la teo-crazia, bene del suo popolo, e non già di lui, dee ordinare le cose.
Scrive Bodino. Rex est, qui summa potestate constitutus naturæ legibus non minus
obsequentem se præbet, quam sibi subditos, quorum libertatem, ac rerum domini ac
eque ac fucetuctur, fore confilit. Subditorum libertatem, ac rerum
dominationem. adjecimus -- ut Jus Soc., Gent. Huber. De Jur. Civit. Gudling. de
Jur. Nat. ac. Gent. Guiling, pergo Nat. Ac Gent. c. vel collate. Nec sequitur,
cedunt e populi elientis voluntate. Primeva succedere videntur. Riguardando la
prima di codeile II sorti di diritti ne procedono III forme di reggimento, osiano:
di monarchie una in cui il regnante de’ Corpi, Beni de’ Cittadini dispoticamente
dispone, e che perciò Erile o, o lia “barbarica” vien nominata, scrivendo Ubero.
Dominatus finitur, quod sit imperium, quo princeps sibi subjectis ut pater familias
servis imperat, omnium quetam quod ad o civilium naturam maxime ab effectibus vesti
mandammo, rerum moralium, cuius limites excedere non licet imperii formam, et
tenorem Si Deuscertam, electionem persone fatemur ejus juris vim in fringerenon
populis, præscripserit potest auferre jus ligandi e Solvendi suispa pole, quam
cætus fidelium invito adimere potest. Sed hoc de magis uxor viro principatum domus
storibus aut non legimus esse determinatum. Hatenus quidem de imperio civitatis
a deo, cui omnis anima debeat bere aliquem ese ordinem imperandi, atque parendi
ef ita ex cestise subiecto non tamen res quam corpora dominus existens,
actiones publicas ad suam præcipue utilitatem dirigit. Ed Arrigo Koehlero: Imperium
dominicum seu despoticum dicitur osia governo di dio. E l’altra delle suddette
forme di monarchia è quella, nella quale il Principe pel [Grot. De Jur. bell. Ac pac. Huber.
de Jur. Civit.] tum promover. Imo successi opere nec mul ab antecedente electione
pendet. Unde qui luc o de' in quo nec sequitur, ita pergit Zieglerus, homines
ab initio Sponte adanéti in s ocietatem civilem coierunt ex hoc ortum habet potestas
civilis. Ergo talis potestas origine est humana. Sic enim per indeliceret argumentari.
Adam et Evas ponte adducticcierunt in matrimonium. Ergo matrimonium
institutione NON est divinum. Huber.
De Jur. Civit. Heinr. Toebl. Jus Soc., ut Regis, ac Domini distinctionem certam
adhiberemus. Ed essa dicesi civile – leggendosi
in Ubero. Nobis igitur plures monarchie species non sunt considerande, quam
hee duce, Regnum, et Dominatus, five Imperium, ut ARISTOTELE DAL LIZIO
loquitier, außacidendo, aut Baplaponèv. Regnum verum et plenum est, ubi princeps
habet summam, liberam potestatem faciendi in civitate quod ere a petita., qui ed appresso. Ex his tertia
resultat differentia, a fine diverso ristabiliti, est utilitas regnantis. Quae nec
ipsa tamen absque commodo subjectorum potest custodiri. Ex his relique differentie,
inter dominum, &. Reczorem, servos ac cives, de quibus Claudius ad Meherdatem
apud Tacitum [TACITO (si veda) Annal. quæque similia per se intelliguntur. Ed
anche comune; Scrive Kochlero: Imperium civile est jus præscribendi ea, quæ ad
commune civitatis bonum promovendum faciunt. Eiusmodi imperium civile dicitur commune
ad amplificationem boni civitatis communis tendat. E la terza delle II sopra-dette
forme composta che mista vien detta. Scrivendo Grozio. Quisibi singulos subjicere
potest servitute personali, nihil mirum est f li i d o universos sive ili Civitas
fuerunt, sive Civitatis pars, subjicere sibi potest subjectione sive mere
civili, sive mere herili, suve MIXTA. Riguardando poi la seconda forte degl’esposti
diritti sorgono III altre forme di nellaquale il principe regna per elezione
del suo popolo forma dicesi ELETTIVA. La II, in cui il principe riceve l’impero
per legge generale dello stesso suo popolo o per CONSUETUDINE da questo
ricevuta, per trasmetterlo poi a colui, che dalla medesima legge, viene
stabilito; sia egli il primogenito del preterito regnante, o calui, che
glinacque nel regno. Sia egli il FIGLIUOLO LEGITTIMO del PRINCIPE; ossia, il
NATURALE, maschio, della stessa sua famiglia o dell'altrui; favorisca
finalmente quella legge ipiù vecchi della Prosapia, o la linea del primo nato,
la qual forma di regno da tutti sichia ma SUCCESSIVA, ed a molti una specie
della prima, cio è una diversa sorte d’ELEZIONE essere si crede. Dappoichè scrive
Ubero: Plane, origine cujufqueci vitatis inspecta, nullum non regnum ex voluntate
populiortum, fuit electivum. Sed diversitas est in Regno Civili ordinaliter
utilitas subjectorum. Quamquam illa fine commodo imperantium obtineri non potest.
In Dominatu originalis Scopus Impe una parte di esso ma pel tempo della sua vita
solamente. Venga co tale ELEZIONE, fatta o espressamente, o per via di sorte, o
di deputati. E codesta electionis et successionis deincep sorta est, cum quædam
ex imperiis ita funt delata principibus, ut identidem fedes vacua per electionem
repleretur. Quædam it aut successio secundum ordinem certum propinqui sanguinis
ab uno in alium devolveretur, ex prescripto Legis. Hanc quidem vocant electionis
speciem. Quo modo Althusius in Polit. qui negant, ullum dari imperiumjure
familie hereditarium, sed totum a populo dependens, quod G' in Anglia multi
opinantur. Si dicerent, successione mele nihil, quamele &tionis primevæ continuationem,
nihil errarent. Atfijus Imperiinum quam a populis alienari velint, resreditad STATUM
[STATO] disputationis supra aliquotie speractze. Qua per electionem, ipsum jus Imperii
independenter alienari posse probavimus, ad vitam, vel etiam pro heredi bus. Quie
tunc est successio, non amplius a primis eligentibus dependens, sed familie
propria, per actum alienationis. Gudlingio: Id quæri dignum, an perduret vita
in anima civitatis una, etiam sive lelečžic obtineat, vel successio. Bodin. De Republ. Grot. De jur. bell. ac. pac. Regni. La prima,
3 Huber. De jur. Civit., Koehler, de Jur. Soc. Gent.Spe-o sia di princ: de jur.
Nat. ac Gent. Huber. de jur. Civit. Gudlingio, communi videbitur, Salva tamen civium
libertate, proprietate rerum cim.V. de Imp. Civ. cum Et xvii et putem id
contingentibus ad numerandunt, quæ unitatem nec efficiunt prorsus, nectollunt. Scilicet eleftin, o luccelio personas tangit
non autem modum regnandi definit, nec illum impedit, nec multum promovet ; imo
fuccessio pene ab suo. Antecessore, ed ha l’arbitrio di lasciarlo a chi più gli
piaccia, come della sua eredità privata fare ei potrebbe. E così fatti Regni
diconfi EREDITARII. In tutte codeste cinque forme di regni sono comprese, siccome
sarebbe agevole il dimostrare, tutte le differenze, che de' supremi Imperi
delle monarchie si sogliono fare. Ele quali Ubero per modo di quistioni
propone: Junt qui ex alisquo querebus differentiam fu m m e potestatis
colligunt. Primo enim sotto posti. Ma quando vennero in Italia vi fondarono il regno,
che è detto de Longobardi, osia dell'ITALIA e dil quale, e sotto i re loro, e sotto
i re francesi, edi altre nazioni finchè dura è sempre ELETTIVO. Che EREDITARIO è il Principato
di Benevento. Che fimile a lui è il Principato di Salerno. Che non diverso da essi
in tal cosa il Principato di Capua esser si vidde. Ma da poichè il più delle volte
difficil cosa è il determinare daloro principii espo fie forme de sopradetti principati.
Quindi è, che ne conviene sovente immitare
i più saggi investigatori del vero nelle produzioni della natura : iquali non
potendo vedere le occulte caggioni di essa, da’ continui, e costanti effetti
loro, quando esterna violenza non li disturbi, sicuramente le deducono. Scrive Newton
tra quelli filosofi senza alcunfallo il più famoso. Ideo que EFFECTUUM NATURALIUM EIUSDEM
GENERIS E ÆDEM SUNT CAUSÆ. Uti
respirationis in homine doo in bestia. Descensus Lapidum in Europa in qualitates
corporum, que intendi o remitti o nequeunt, queque corporibus omnibres
competunt, in quibus experimenta instituere Ticet nun, a sibi semper consona.
Extensio corporum non nisi per sensus innotescit, nec in omnibus sentitur. Sed quia
sensibilibus omnibus competit, de universis affirmatur. Corpora plura dura este
experimur; Oritur autem durities totius a duritie par tium, et in de non horum tantum
corporum quæ fentiuntur, sed aliorum etiam omnium particulas indivisas es se
duras merito concludimus. Corpora omnia impe netrabilia es se non ratione; sed sensu
colligimus. Que tractamus impenetrabilia; Lucis in igne culinari do in sole;
reflexionis lucis in ter America ra in Planetis inveniuntur, in deo oncliedimus
IMPENETRABILITATEM efe proprietatem corporum universorum. Corpora omniam obilia
efle et viribus quibusdam, quas viresiner tiæ vocamus, perseverare inmotu, velquiete,
ex hifce corporum visorum proprietatibus colligimus. Extenso, Durities, IMPENETRABILITAS,
Mobilitas,& Vis [Gudling., de jur.Nat., ac Gent.; Huber. De jur. Civit. antecedente electione pendet; unde qui succedunt,
e populi eligentis voluntatepri meva succedere videntur. E finalmente la terza
nella quale il principe possiede il regno per volere del git [Or dichiarari nella
maniera sopradetta l'esposte cose io dico che i lombardi sono inprima nella Pannonia
ad un Regno EREDITARIO vel plu, pro qualitatibus corporum universorum habende sunt
TES CORPORUM NONNISI. Nam QUALIT A PER EXPERIMENT AINNOTESCUNT OQUE GENERALES
STATUENDÆ, IDE MENTIS GENERALITER SUNT QUOTQUOT CUMEXPERI. possunt QUADRANT. De
quemimi non possunt auferri. Certe contra experimentorum tenorem fomnia non
funt, nec a Nature analogia recedendum temere confingendo est, cum ea simplex esse
soleato, qua forma Reipublice Civitas gubernetur, Monarchia tant plurium
dispoticum, an Civile regnum Patrimorium imperio. Et in Monarchia, sit ne Populo
volente an invitofit conftitutum . Eligantur, niale, anquasi fructuarium, an
perpetua sit potestas. Non an successionegaudeant imperantes.Temporalis Imperii
variarivi parvitate vel magnitudine civitatum jus jummi nullis quoque Species
hominum judicia sæpe perstrin fum. Denique, nominum titulorumque interesse pu
iner inertie totius, oritur ab extensione, duritie, impenetrabilitate viribus inertice
partium: inde concludimus omnes omnium corporumpartes minimas extendi, et
durasele, o impenetrabiles et mobiles viribus inertice præditas. E nella festa maniera
scrive Ubero, che s'abbiada giudicare nelle cose morali, e civili. Sed ego ita existi
morerum moralinm, civilium NATURAM maxime ab effectibus cefti mandam. Perchè
quando non ne è conceduto di avere documento dell'istituzione delle repubbliche,
osia de'Principati, di cui ragioniamo. Da quello, che si è veduto sempre
accadere in essi, quando estraneecaggioni l'ordine naturale non abbiano
sconvolto, l'istituzioni suddette possiamo dirittamente argomentare. Egli è
vero non però, che non di leggieri gl' Imperi Ereditari da Successori con
regola cosi fatta si possono distinguere, imperocchè io alcuna forte di regni successivi
all' ultimo Regnante succedono i figliuoli, od i più stretti Congionti ; E lo
stesso avvienene Regni Ereditarjquandocoluisenza Testamento, o senza nomina real.
cuno Estraneo Erede lascia di vivere la vita. Più folto bujo quellume fidee prendere,
che si può, comechè picciolo, ed incerto egli e. Il Regno de’ Longobardi fu
prima Successivo, a Ereditario, ed che, usciti dalla Scandinavia, provincia detta
VAGINA GENTIUM, abitarono di qua dal Danubio ed I quali WINILI erano chiamati furono
poscia detti LOMBARDI, o dalle finte o dalle vere LUNGHE loro BARBE, ovvero,
secondo scrive Guntero, che altri affermino da’ popoli della Sassonia detti
Bardi. Furono costoro inprimada Duchi eposcia da Refignoreggiati; ed il regno
loro finchè rimasero nel loro paese, e sempre ereditario, ovvero successivo. Newton, Philus. Natur.princ.Ma Gregor.
Turon. Excerp. Chron. ex Reg Fredeg. Schol. hist. Miscell. Paul. Diac. de Gefie Langob.. Gunt. mobilitate, 9 appreso elettivo non potendosi
che LA NATURALE INCHINAZIONE DEL SANGUE a figliuoli ed a Cogionti, gli Estran gli
abbia permesso diante porre. Scrivendo GROZIO: Succeflio ab intefiato, de qua agimus,
nihil aliud est, quam tacitum testamentum ex voluntatis conjectura. Quintilianus
pater in declamatione: Proximum locum a testamentis habent propinqui: et ita, si
intestatus qui sacfine liberis decefferit. Non quoniam utique jufium fit, ad hos
per venire bona de functorum. Sed quoniam reliéta et velutin medio posita nulli
propius videntur contingere. Quod de bonis noviter quæsitis diximusex NATURALITER
proximis deferri, idem locum habebit in bonis paternis avitisque, finecipsiaquibusvenerunt,
nec eorum liberi extent ita ut gratie Philuf. edit. Ami. Paulo Diac. De Gest. Langob.,
istelod. Huber., de jur. Civ., Reginon. Chron. inprinc. de RegnoWi., Grot. De jur.
bell. Ac pac. nilorum. Constant. Porphyrog. De Themat. Gregor.Turon.Excerp.Chron.exc
Otto Frifingens. De Geft. Friderici
Impe credere De Popoli Q. Agle
relatiólocum noninveniat. Ondeda Equali essettinonsi possono argomentare diverse
cagioni. Ma nel. Grice: “This conceptual analysis of the noble is complicated –
noble is the male who merits recognition from his community.” Nono duca di Laurino. Troiano Spinelli, duca di
Aquara e di Laurino. Troiano Spinelli di Laurino. Spinelli di Laurino. Laurino.
Keywords: implicatura, analisi geometrico della’economia razionale, Broggio,
lombardia, lombarda, lunga barba. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Laurino” – The Swimming-Pool Library. Laurino.
Luigi Speranza -- Grice e Lavagnini: il
deutero-esperanto – la scuola di Siena – filosofia toscana -- filosofia
italiana –Luigi Speranza (Siena).
Filosofo italiano. Siena, Toscana. L. progetta una lingua inter-nazionale su
base latina che chiama “neo-latino” e ci prova con l'uni-lingue (o inter-lingue)
pubblicato nel Corso pro Corrispondenza d'inte-rlingue od uni-lingue, Roma, e
con il Monario, dato alle stampe nel Corso de Monario prima e in “Interlexico
Monario: Italiano français English deutsch kum introduxion rammatal appendo,
fonetal regios, Casa Editrice Elettica (Casella Postale 331), Roma.. Persona
informo Naskiĝo en provinco Sieno Morto en Meksiko Lingvojitala ŜtatanecoItalio
Reĝlando Italio Redakti la valoron en Wikidata Okupo Okupoverkisto Redakti la
valoron en Wikidata v • d • r Okultisto, naskiĝis en Italio, mortis en
Meksikurbo, Magistro de framasonismo, ano de ACADEMIA PRO INTERLINGUA, fondinto
de la Asociación Biosófica Universal kreinto de la planlingvoj
"Monario" kaj "Mondi Lingua", esperantidoj kaj
"Unilingue", modifita latina. La projektoj de L., laŭ oni pensas,
estis tre influita de ideoj de aŭtoro pri la "perfekteco" de
sanskrito kaj kelta lingvo, ĉefe laŭ verba aspekto. Pro tio, la verbaj formoj estas
tre malsimplaj, kiel en Volapuko. Li estis framasonisto ano de la Martinismo en
Italio. En lia tekstoj framasonaj oni vidas influojn de Teozofio, astrologio
kaj jogo, ankaŭ rimarkindaj en la teorioj de la Asociación Biosófica, kion li
fondis en Ameriko. Verkoj Colección de manuales masónicos Grammatica dell'
Unilingue od Interlingue, Rom. Corso
di Monario, Rom. Interlexiko Monario: italiano, francais, english, deutsche,
Rom. Kurso astrologis, Short lessons on Mondi Linguo, Mexiko. Hacia una lengua
internacional, Mexiko. Origin astronomic del Alfabeto (s.j.). Bibliotekoj PeEnEo:
Kategorioj: Mortintoj en MeksikoNaskiĝintoj Mortintoj VirojNaskiĝintoj
Mortintoj InterlingvaoLingvokreinto. j. Interlingue Con questo nome si
conoscono una serie di progetti di lingua internazionale (- AUSILIARIA
INTER-NAZIONALE, LINGUA) fra cui: l'I. di Triola (- TRIOLA), più conosciuto con
il nome di «Italico» (ITALICO): l'I. di L. (- L.) sinonimo del progetto denominato
Uni-lingue elaborato nel corso pro Corrispondenza d'inter-lingue od unilingue,
pubblicato a Roma (Drezen), di cui ecco un esempio: L’uni-lingue deve esser ante omnicos un
lingue vivent, germinat ex principies fundamental, nascent naturalmen del leyes
general, vegetant quam un plante, segun li lineas, in queles es cultivac,
absorpente circum se e assimilance li materies de su vive. (Duticenko)
Infine esiste l'I. di Wahl (WAHL) che, per motivi politici. ribattezza il
suo precedente progetto chiamato «Occidental» (OCCIDENTAL) con il nome di I.
(Monneror-Dumaine; Silfer). Aldo Lavagnini. Lavagnini Keywords: monario, il
deuteuro-esperanto di Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lavagnini.” Lavagnini.
Luigi Speranza -- Grice e Lazzarelli: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- ermetico-esoterica –
filosofia marchese – la scuola di San Severino Marche -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (San Severino
Marche). Filosofo
italiano. San Severino Marche, Marche. Grice: “I would call Lazzarelli a
Pythagorean; most Italian philosophers are, as most English philosophers are
Lockean!” -- Grice: “I would call Lazzarelli what Italians call ‘un filosofo
ermetico.’ He certainly flouts all
my desiderata for conversational clarity!” Il documento più importante per
ricostruire la vita di L. è “Vita L.” scritta da Filippo L. e indirizzato
all'umanista Colocci. L. e educato e vive a Campli, in Abruzzo, dove frequenta
la biblioteca del Convento di San Bernardino da Siena, che egli cita nella sua
opera i Fasti Christianae Religionis. Riceve da Sforza un premio per un poema sulla
battaglia di San Flaviano. Ha contatti con i più importanti filosofi dell'epoca
ed e seguace dell'ermetismo. Raccolse il Pimander di FICINO, l'Asclepio e tre
trattati sull'ermetismo realizzando una versione che amplia il corpus testi ermetici.
Autore di saggi a carattere ermetico come il “Crater Hermetis,” in sintonia con
il sincretismo religioso dei suoi tempi e in anticipo sulla filosofia di PICO
(si veda), con la fusione del cabalistico e il cristiano, ma anche di poemetti
a carattere allegorico come l'”Inno a Prometeo” o didascalico-allegorici come
il “Bombyx”. Altri saggi: “De apparatu Patavini hastiludii, Padova; “De
gentilium deorum imaginibus”, dedicato a Borso d'Este e a Federico da
Montefeltro; “Fasti christianae religionis” dedicato a Sisto IV, Ferdinando I d'Aragona e Carlo VIII, Bertolini,
Napoli; Epistola Enoch, Brini, in Testi umanistici sull'ermetico”, Roma; “Diffinitiones
Asclepii”; De bombyce, Lancellotti,
Aesii; “Crater Hermetis edito in Pimander Mercurii Trismegisti liber de
sapientia et potestate Dei; “Asclepius eiusdem Mercurii liber de voluntate
divina”; “ Item Crater Hermetis a Lazarelo Septempedano” (Parigi); Vademecum ( Brini,
in Testi umanistici sull'ermetico”, Roma); “Un carme per la morte della
duchessa d'Atri, Biblioteca del Seminario di Padova; “Carmen bucolicum” (Biblioteca
universitaria di Breslavia, Milich Collection); carmi di occasione -- tra cui i
versi che gli valsero l'incoronazione) (Biblioteca nazionale di Napoli);
epigrammi sullo Pseudo Dionigi l'Areopagita. Il testo dell'opera può essere
letto in M. Meloni,"Lodovico Lazzarelli umanista settempedano e il “De
Gentilium deorum imaginibus”, in Studia picena, pubblicato in appendice a C.
Vasoli, Temi e fonti della tradizione ermetica in S. Champier, in Umanesimo e
esoterismo, l’esoterico E. Castelli, Padova, pG. Roellenbleck, Opusculum de
Bombyce, anche in edizione moderna integrale in C. Moreschini,
Dall'"Asclepius" al "Crater Hermetis" -- studi
sull'ermetismo latino tardo-antico e rinascimentale, Pisa, Dizionario Biografico
degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Filosofia ermetica, Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere, L.. rivista
Campli Nostra Notizie. L. Nacque di nobile famiglia di Campli. La tradizionale
data di nascita è stata recentemente corretta da Tenerelli sulla base di
un'annotazione manoscritta che si legge nella biografia del L. composta dal
fratello Filippo (meglio trascritta da Meloni) e della notizia d'archivio
riferita da Aleandri, secondo cui il padre risulta già morto. L. stesso ama definirsi
"Septempedanus", dal nome dell'antica colonia romana che sorgeva nei
pressi dell'odierna San Severino Marche. Alla morte del padre, L. si
trasfere a Campli, presso Teramo, dove riceve la prima educazione e - stando
alla citata biografia, non immune da toni agiografici, scritta subito dopo la
morte - egli dimostra precocemente inclinazioni filosofiche, tanto da comporre un
carme sulla battaglia di San Flaviano che gli merita le lodi di Sforza, signore
di Pesaro, oltre che l'appellativo di "antiquorum poetarum
simia". L'episodio è il primo di una serie di testimonianze che
permettono di ricostruire alcune tappe, peraltro dalla cronologia, della vita
fitta di spostamenti condotta dal L. E dapprima ad Atri, con l'ufficio di
istitutore del figlio del signore della città, Capuano, dove compose un carme
esametrico per la morte della duchessa Balzo, indirizzato con un'epistola
accompagnatoria al fratello Filippo, allora studente di diritto a Padova, che,
nella sua biografia, la define "sententiis quidem refertam quam optimis
ultra eius aetatem". E a Teramo presso Campano, "ut eiusdem Campani
fratrem amoenioribus artibus inficeret simulque ut ipse viri familiaritate
doctior fieret" (Lancellotti), dove si applica allo studio della filosofia.
Il fratello riferisce di essere stato testimone a Teramo di una sua disputa con
un tal Vitale ebreo, che nega la Trinità, e che sarebbe stato vinto anche
grazie all'allegazione da parte del L. di autorità talmudiche. Di qui passa a
Venezia, dove perfeziona lo studio del latino alla scuola di Merula. Il
componimento esametrico De apparatu Patavini hastiludii, scritto in occasione
dei giochi e nel quale i componenti dell'Accademia padovana dei giuristi sono
comparati a personaggi mitici, rivela una buona dimestichezza con l'ambiente
accademico patavino. Forse su suggerimento di Merula compose un Carmen
bucolicum, costituito da X egloghe dedicate ai principali misteri della vita di
Cristo: l'avvento preannunciato dai profeti, la natività della Vergine,
l'incarnazione del Verbo, la nascita, la passione e la morte, la discesa agli
inferi, la resurrezione, l'ascesa al cielo, la discesa dello Spirito Santo,
l'assunzione di Maria Vergine. Al soggiorno in Veneto è inoltre legato il più
importante riconoscimento pubblico dell'attività poetica del L.,
l'incoronazione per mano dell'imperatore Federico III, nella chiesa di S. Marco
a Pordenone. Secondo il racconto del fratello, L. si reca presso
l'imperatore, di passaggio nel suo viaggio verso Roma, e, colta un'occasione propizia,
gli avrebbe declamato un suo carme esametrico, accolto con plauso
dall'imperatore che spontaneamente gli avrebbe conferito l'alloro poetico. L.
stesso celebra poco più tardi l'evento nell'egloga Laurea. Una serie di
stampe, del tipo dei tarocchi del Mantegna, acquistata in una bottega di
Venezia, fornì al L. lo stimolo per la composizione dei due libri De gentilium
deorum imaginibus, poemetto di carattere mitologico-astrologico. I più
rilevanti testimoni dell'opera sono due manoscritti della Biblioteca apostolica
Vaticana (Urb. lat.), entrambi di elegante fattura e corredati da una serie di
sontuose miniature (che ricordano, appunto, la tipologia mantegnesca dei
tarocchi). I due codici sono dedicati a Federico di Montefeltro, ma la dedica
del ms. 716 è vergata in modo evidente su una dedica precedente abrasa, che Campana
è riuscito a leggere parzialmente, quanto basta però per riconoscervi il nome
di Borso d'Este. È così possibile datare il manufatto, e quindi l'ultimazione
dell'opera, al lasso di tempo dall’assunzione del titolo ducale di Ferrara da
parte di Borso alla sua morte. Anche all'interno del testo il nome di Borso
è sistematicamente sostituito con quello di Federico e i passi relativi
sono adattati al nuovo dedicatario. Il ms. è portatore di una seconda
redazione, fin dall'inizio dedicata a Federico già insignito del titolo ducale
di Urbino, quindi posteriore. Meloni ipotizza che si possa riconoscere in
quest'ultimo il codice originariamente pervenuto a Urbino e che il ms. vi sia
giunto più tardi, non solo riconfezionato come si è detto, ma anche corredato
di un ulteriore carme finale di congratulazioni per la guarigione di Federico
da una grave malattia, attribuibile alle conseguenze dell'incidente occorso al
duca. L'originaria dedica a Borso d'Este è perfettamente congruente con
la cultura astrologica praticata a Ferrara, ma non estranea neppure alla corte
urbinate. L'opera amplifica la consuetudine di "appropriare", nel
gioco praticato a corte, dei versi alle carte, secondo il modello dei tarocchi
boiardeschi. Ma iL. intende riscattare dall'uso ludico le antiche immagini
delle carte, diffuse anche presso il volgo, che "triumphos / appellat
tactu commaculatque rudi / priscorum formas et simulachra deorum", per
restituirle alla loro funzione astrologica e sapienziale di rivelare il vero
"obliquis figuris", poiché "invenere suis corrispondentia rebus
/ signa olim vates et simulachra deum, / quae nunc pro nihilo reputant, gens
indiga sensus, / sacrilegi et ludis asseruere suis.. Nel primo libro sono
presentate e descritte, in successione, le sfere celesti, dalla Prima causa
alla Luna, con l'aggiunta di un carme conclusivo dedicato alla Musica come
prodotto delle sfere celesti. Dei pianeti, identificati con gli dei antichi,
sono descritte le immagini, indicate le rispettive domus (i segni zodiacali),
sinteticamente narrati i principali miti che hanno come protagonista il dio
eponimo, fornite essenziali notizie astronomiche e illustrati gli influssi
astrologici. Il secondo libro presenta le immagini della Poesia, di Apollo e
delle nove Muse, di Pallade, Giunone, Nettuno, Plutone e, infine, della
Vittoria (alla quale è dedicato un carme in versi eroici, mentre tutti gli
altri sono in distici elegiaci). Nei due codici urbinati, come si è detto, la descrizione
verbale trova riscontro e integrazione nel ricco apparato iconografico che, a
sua volta, può aver ispirato elementi decorativi del palazzo ducale di
Urbino. La vicenda compositiva del poemetto probabilmente si compì
durante il soggiorno di L. a Camerino, dove era stato chiamato da Giulio Cesare
da Varano per attendere all'educazione del nipote Fabrizio. L. intraprese
quindi la stesura di un nuovo ambizioso poema, i Fasti Christianae religionis,
che portò a compimento in una prima redazione a Roma, dove si recò al seguito
di Lorenzo Zane, patriarca di Antiochia, presso il quale approfondì gli studi
astronomici e astrologici. La composizione del poema è dai biografi (e,
in primis, dal fratello) addotta a documento dell'ortodossia religiosa del L., contro
i sospetti di esercitare arti magiche: "Quidam, livore atque invidia
perfusi, et palam et in occulto Lodovicum criminari coeperunt, dicentes ipsum
negromanticis magicisque artibus, sive praecantationibus, operari" (Vita
Lodovici). L. avrebbe, in effetti, compiuti alcuni esorcismi, vaticini e
guarigioni, ma sempre attraverso il segno della Croce e la mediazione
dell'assistenza divina. Bertolini ha ricostruito la complessa vicenda
compositiva dei Fasti sulla base delle testimonianze manoscritte superstiti
(tra cui il ms. Vat. lat., autografo, nel quale si depositano varie fasi
redazionali) e delle indicazioni cronologiche interne, che permettono di
riconoscere tre redazioni: una prima, dedicata al pontefice Sisto IV, compiuta
entro il 1480; una seconda dedicata al re di Napoli Ferdinando d'Aragona e a
suo figlio Alfonso duca di Calabria, compiuta immediatamente dopo, entro il
1482; una terza più tarda, dedicata al re di Francia Carlo VIII, probabilmente
abbandonata dopo il fallimento dell'impresa italiana del sovrano. Si tratta di
un vasto poema in sedici libri, costruito secondo il modello del Fastiovidiani.
Sono descritte e celebrate le ricorrenze liturgiche cristiane secondo la loro
successione nel calendario; vengono inoltre introdotte osservazioni di
carattere astronomico e saltuarie indicazioni relative alle attività agricole.
I primi tre libri celebrano le feste mobili del calendario liturgico, i dodici
successivi sono dedicati ai singoli mesi, cominciando da marzo, l'ultimo tratta
del Giudizio finale. Il poema ricevette onorata accoglienza da
parte dell'ambiente romano, come dimostrano i due epigrammi del Platina e di
Paolo Marsi riferiti dal fratello Filippo e pubblicati dal Lancellotti, nei
quali il poeta è celebrato come una sorta di OVIDIO (si veda) reincarnato. Al
Platina sono anche indirizzati un paio di epigrammi del L., il secondo dei
quali in morte. Secondo Foà, al 1481 daterebbe la conoscenza con
Correggio, alla quale lo stesso L. attribuisce un ruolo fondamentale per la
propria conversione alle dottrine ermetiche. L'episodio più noto relativo al
rapporto fra i due e al quale il L. stesso fa emblematicamente riferimento
risale però all'11 apr. 1484, domenica delle palme, sotto il pontificato di
Sisto IV, quando assistette all'apparizione romana di Giovanni da Correggio
che, a cavallo e coronato di spine, attraversò la città e, pur privo di
qualsiasi istruzione grammaticale e retorica, predicò al popolo compiendo atti
e riti simbolici e manifestando una sapienza teologica dovuta a una sorta di
mistica ispirazione che gli valse anche incontri con il pontefice e vari
prelati. Gli studi di Kristeller hanno infatti dimostrato l'appartenenza
al L. dell'Epistola Enoch de admiranda ac portendenti apparitione novi atque
divini prophetae ad omne humanum genus, dove è diffusamente narrato il viaggio
romano di Giovanni da Correggio seguito da una dichiarazione dell'autore di
piena adesione e di conversione: "quod novae ac tantae rei sacramentale
mysterium ego attonitis aspiciens oculis, mecumque ipse attente et ex totis
animi viribus tunc revolvens, ne diuturnior obesset mora, relictis Parnasi
collibus ceterisque omnibus, ad montem Syon primus eum sum protinus
insequutus" (ed. Brini). Con lo stesso pseudonimo di Enoch il L.
firmò anche alcuni epigrammi dedicati agli scritti dello Pseudo Dionigi
l'Areopagita e, soprattutto, le prefazioni ai testi contenuti nel ms. II.D.I.4
della Biblioteca comunale degli Ardenti di Viterbo, una raccolta completa del
corpus ermetico nella traduzione di Marsilio Ficino, integrato dall'Asclepius
attribuito ad Apuleio e dalle Definitiones Asclepii (ignote a Ficino perché
mancanti nel suo codice), tradotte per la prima volta dallo stesso Lazzarelli.
Nelle tre prefazioni, una delle quali in versi, il L. indirizza la sua opera di
raccoglitore e traduttore a Giovanni da Correggio, nel tono solenne e sacrale
dell'iniziato, affermando il sincretismo tra teologia cristiana e teologia
ermetica, sostenendo, contro Ficino, la maggiore antichità di Ermete
Trismegisto rispetto a Mosè e presentando la propria conversione dalla poesia
agli studi sacri come una vera e propria rigenerazione: "quondam poeta
nunc autem per novam regenerationem verae sapientiae filius"
(Kristeller). L. entra quindi in rapporto con Colocci quando questi, avendo con sé il
nipote Angelo, si trovava nel Regno di Napoli come governatore di Ascoli
Satriano. Secondo Fanelli, i Colocci passarono nel Regno di Napoli: poco prima
andrebbero dunque collocate la composizione e la stampa del poemetto del L. De
bombyce, dedicato "ad Angelum Colotium honestae indolis
puerum". La datazione dell'opera è controversa e il più recente
editore, Roellenbleck, ne propone una molto più alta, che peraltro non si
concilia con la tematica ermetica del poemetto né con l'anno di nascita di
Colocci, che pare dovesse avere un'età idonea a essere prescelto come lettore
esemplare ("lege sollicito mea carmina visu"), vero e proprio filius
da rigenerare (l'appellativo di puer può avere un'estensione molto ampia). Il
Bombyx si presenta, infatti, come un poemetto didascalico dedicato
all'allevamento del baco da seta, ma teso a svelarne, sulla traccia di analogie
già suggerite da s. Basilio, la simbologia cristologica e a farne il simbolo di
una rigenerazione alla quale tutti gli esseri umani sono chiamati, compiuta la
quale potranno a loro volta generare una prole divina: "Surgite,
terrigenae, bombycum exempla sequuti. Linquite corporeos sensus, mens candida
regnet Sancta palingenesis vos complectatur et orti / rursus humo coelum
penitus penetrate relicta Gignite divinam repetito semine prolem. Quo pacto id
fieri possit, mox forte docebo, hic
gradus aethereo primus statuatur Olympo. L'ulteriore opera dedicata al tema
della generazione divina, annunciata in chiusura del Bombyx, può forse essere
riconosciuta nel De summa hominis dignitate dialogus qui inscribitur Crater
Hermetis. Si tratta di un dialogo nel quale sono inseriti alcuni componimenti
poetici, di vario metro, nei momenti di maggiore intensità d'ispirazione e di
proclamata esaltazione mistica. Gli interlocutori sono lo stesso L., che ha
ruolo di maestro, e il re di Napoli Ferdinando d'Aragona, dopo che, ormai
vecchio, ha ceduto il governo dello stato al primogenito Alfonso II. Queste
indicazioni permettono di collocare l'azione, e anche la composizione, tra il
1492 e la morte del re. Il recente editore, Moreschini, ha anche
riconosciuto due redazioni dell'opera, la più antica testimoniata dal ms. della
Biblioteca nazionale di Napoli, la seriore dalla stampa procurata da Lefèvre d'Étaples a Parigi. La differenza
più evidente tra le due redazioni consiste nella presenza, nella prima, di un
terzo interlocutore, PONTANO, con il ruolo, secondario ma non indifferente, di
affiancare il re, discepolo entusiasta e convinto, come poeta desideroso di
approfondire anche verità filosofiche e teologiche. L'origine del titolo è in
un passo del Corpus Hermeticum in cui si parla di un crater inviato d’Ermete
sulla terra affinché in esso gli uomini possano battezzarsi e ricevere così
l'intelletto che li rende capaci di partecipare alla gnosi. A conclusione
dell'opera il L. si autorappresenta come colto da una sublime ispirazione che
lo rende capace di rivelare il mistero della generazione di anime divine da
parte del vero uomo, che ha raggiunto la pienezza della conoscenza e che si
rende così simile a un dio. Moreschini osserva come nella seconda redazione il
L. eviti di rendere troppo espliciti i rapporti tra ermetismo e cristianesimo
(lo stesso titolo, nella prima redazione, recitava: … qui inscribitur via
Christi et crater Hermetis), attenuando, per esempio, le argomentazioni che
tendevano ad attribuire all'ermetismo priorità cronologica (e anche genetica)
nei confronti di ebraismo e cristianesimo. Lo scritto manifesta inoltre ampie
conoscenze cabalistiche e talmudiche, che tradizionalmente si ritenevano
patrimonio, in quegli anni, del solo PICO (vedasi). Ultima opera del L.
sembrano essere i De mathesi et astrologia libri, segnalati da LANCELLOTTI, che
invano ne cerca copia presso gl’eredi del filosofo. Brini ne propone, ma senza
indizi veramente probanti, l'identificazione con un trattato di alchimia,
conservato nel ms. 984 della Biblioteca Riccardiana di Firenze: una raccolta di
preparazioni alchimistiche tratte daLullo e da altri, presentate da L. con un
breve testo introduttivo che si apre con un epigramma di sei distici. Il L.
stesso, definendo questo suo libro vademecum, ne indica il contenuto:
"agemus in hoc libro Vade mecum de alchimia que est naturalis magia et vocatur
astrologia terrestris. In questa scienza dichiara di essere stato istruito
"a Joane Ricardi de Branchis de Belgica provincia […] qui in hoc fuit
magister meus currente ab incarnatione verbi" (ed. Brini). Nella sua
biografia il fratello attribuisce al L. capacità divinatorie attraverso il
sogno -- habebat somnia, quae potius visiones, sive oracula dici
potuissent" (Vita Lodovici) - e in sogno il L. avrebbe anche antiveduta la
propria morte, intervenuta a San Severino a pochi giorni di distanza da quella
del fratello Girolamo. Delle opere del L. sono a stampa: De apparatu
Patavini hastiludii, Patavii; De gentilium deorum imaginibus, a cura di O'Neal,
Lewiston, NY; Fasti Christianae religionis, a cura di M. Bertolini, Napoli;
Epistola Enoch, Venezia, cfr. Indice generale degli incunaboli [IGI]), ora a
cura di Brini, in Testi umanistici sull'ermetismo, Roma; la traduzione delle
Diffinitiones Asclepii in appendice a Vasoli, Temi e fonti della tradizione
ermetica in uno scritto di Symphorien Champier, in Umanesimo e esoterismo, a
cura di E. Castelli, Padova; le prefazioni del ms. II.D.I.4 della Biblioteca
comunale degli Ardenti di Viterbo in appendice a P.O. Kristeller, Ficino e L..
Contributo alla diffusione delle idee ermetiche nel Rinascimento, Annali della
R. Scuola superiore di Pisa, quindi in Id., Studies in Renaissance thought and
letters, Roma; De bombyce [Roma, Eucharius Silber, s.d.] (IGI) quindi in
Bombix. Accesserunt ipsius aliorumque poetarum carmina, a cura di Lancellotti,
Aesii, e ora in G. Roellenbleck, Ludovico Lazzarelli Opusculum de Bombyce, in
Literatur und Spiritualität. Hans Sckommodau zum siebzigsten Geburtstag, a cura
di Rheinfelder, Christophorov, Müller-Bochat, München; Crater Hermetis nel
corpus di testi ermetici raccolti da J. Lefèvre d'Étaples: Pimander Mercurii
Trismegisti liber de sapientia et potestate Dei. Asclepius eiusdem Mercurii
liber de voluntate divina. Item Crater Hermetis a Lazarelo Septempedano,
Parisiis, in officina Henrici Stephani, quindi, in edizione moderna,
parzialmente, a cura di Brini in Testi umanistici sull'ermetismo, e,
integralmente, in C. Moreschini, Il Crater Hermetis di L., in Id.,
Dall'"Asclepius" al "Crater Hermetis". Studi sull'ermetismo
latino tardo-antico e rinascimentale, Pisa, Vademecum, a cura di Brini, in
Testi umanistici sull'ermetismo. Ampie sillogi di scritti del L., frutto di
compilazioni sette-sono contenute nei mss. della Biblioteca comunale di San
Severino Marche; il carme per la morte della duchessa d'Atri è conservato nel
ms. della Biblioteca del Seminario di Padova (cfr. A. Tissoni Benvenuti, Uno
sconosciuto testimone delle egloghe di Calpurnio e Nemesiano, in ITALIA
medioevale e umanistica. Il codice unico del Carmenbucolicum si trova nella
Biblioteca universitaria di Breslavia, Milich Collection; una silloge di carmi
di occasione (tra cui i versi che gli valsero l'incoronazione) è nel ms. V. E.
della Biblioteca nazionale di Napoli. Gli epigrammi sullo Pseudo Dionigi
l'Areopagita si leggono nel ms. della Walters Art Gallery di Baltimora.
Fonti e Bibl.: San Severino Marche, Biblioteca comunale, Mss.; due copie di
Lazzarelli, Vita L. Septempedani poetae laureati per Philippum fratrem ad
Angelum Colotium, da cui deriva in gran parte la biografia premessa da
Lancellotti al poemetto del L. Bombix…, cit., Aesii; Vecchietti - Moro,
Biblioteca picena, V, Osimo, Lancetti, Memorie intorno ai poeti laureati d'ogni
tempo e d'ogni nazione, Milano, Aleandri, La famiglia L. di Sanseverino
(Marche), in Giorn. araldico genealogico diplomatico italiano, Ohly, Ioannes
Mercurius Corrigiensis, in Beiträge zur Inkunabelkunde, Thorndike, A history of
magic and experimental science, V, New York, Donati, Le fonti iconografiche di
alcuni manoscritti urbinati della Biblioteca Vaticana, in La Bibliofilia, vi è
riferita la lettura di Campana della dedica del ms. Urb. lat. Kristeller,
Lodovico L. e Giovanni da Correggio, due ermetici del Quattrocento, e il
manoscritto II.D.I.4 della Biblioteca comunale degli Ardenti di Viterbo, in
Biblioteca degli Ardenti della città di Viterbo. Studi e ricerche, a cura di
Pepponi, Viterbo, Delz, Ein unbekannter Brief von Pomponius Laetus, in Italia
medioevale e umanistica, Ubaldini, Vita di Colocci, a cura di Fanelli, Città
del Vaticano, Moreschini, Il "Crater Hermetis" di L., in Res publica
litterarum, Sosti, Il "Crater Hermetis" di L. L., in Quaderni
dell'Istituto sul Rinascimento meridionale, Tenerelli, L. ed il rinascimento
filosofico italiano, Bari, Saci, L. L. da Elicona a Sion, Roma; Foà, Giovanni
da Correggio, in Diz. biogr. degli Italiani, LV, Roma, Walker, Magia spirituale
e magia demoniaca da Ficino a Campanella, Torino, Meloni, L. L. umanista
settempedano e il "De gentilium deorum imaginibus", in Studia picena;
Kristeller, Iter Italicum, ad indices; Rep. fontium hist. Medii Aevi. Luigi
Lazzarelli. Lodovico Lazzarelli. Ludovico Lazzarelli. Lazarelli. Keyword:
implicatura ermetica, mascolinita romana, religione officiale romana, campo
marzio, marte, dio della guerra, marte come pianeta, il simbolismo di marte
nell’arte e la filosofia, marte e apollo, marte e Nietzsche --. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Lazzarelli” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Lazzarini: il deutero-esperanto – filosofia ialiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Roma, Lazio. A differenza
del deutero-esperanto di Grice, non usato mai da Grice, il latino sine flexione
è utilizzato anche da altri filosofi come VACCA (si veda), in Sphoera es solo
corpore, qui nos pote vide ut circulo ab omne puncto externo, LAZZARINI (si
veda), in Mensura de circulo iuxta Leonardo [VINCI (vedasi) Pisano, e
PANEBIANCO (vedasi) che discute proprio della lingua internazionale
nell'opuscolo “Adoptione de lingua internationale es signo que evanesce
contentione de classe et bello” (Padova, Boscardini). Vedasi ALBANI,
BUONARROTI. PANEBIANCO (vedasi) è anche un grande appassionato di Esperanto,
tanto che è solito firmarsi "esperantista socialista". Quest'ultimo,
come si evince anche dal titolo della sua opera, vede nella lingua
internazionale un modo per mettere la parola fine ai contrasti internazionali,
e in particolare al capitalismo spietato. Inter-linguista, quale que es suo
opinione politico aut religioso es certo precursore de novo systema sociale.
Isto novo systema, in que homines loque uno solo lingua magis facile, commune
ad illos non pote es actuale systema de "homo homini lupus", sed es
systema sociale in que toto homines fi socio. Per ben adempiere a un tale
compito, la lingua perfetta di PANEBIANCO (si veda) deve seguire gli stessi
principi di quella di P. Es evidente que essendo id sine grammatica, id es de
maximo facilitate et simplicitate. Ergo, es per illo quasi impossibile ad fac
ambiguitate, excepto ad praeposito [“As when the conversational maxim, ‘avoid
ambiguity’ is FLOUTED for the purpose of bringining in a conversational
implicature”]. Etiam es multo plus rapido compone et
scribe in isto lingua que in proprio lingua nationale. Si capisce allora che
egli auspica che il latino sine flexione assurga a lingua di comunicazione non
solo internazionale, ma anche quotidiana, e forse i suoi auspici si spingono sì
avanti che lo vorrebbe elevato a lingua naturale, lingua madre di tutti i
popoli. Si potrebbe continuare a lungo, ma a questo punto è già ben chiaro
al lettore da dove provenga quel testo riprodotto nel riquadro di qualche
paragrafo fa: da un saggio presente nel volumen ritrovato. Riportarne il titolo
integrale equivale anche a dare le risposte alle due domande proposte (del
refuso non vale la pena parlare). Infatti, troneggia il titolo "Il latino
sine flexione" di PEANO (si veda), memora a firma di L.. Che PEANO
(vedasi), che quasi con certezza è il maggiore matematico prodotto dall'Italia
negli ultimi due secoli, ha profuso gran parte del suo tempo nel tentativo di
creare una lingua che è a un tempo precisa e semplice, insomma perfetta sia per
la matematica che per tutti gli altri scopi a cui una lingua è deputata, è cosa
che si ritrova anche nelle note biografiche più frettolose sul genio cuneese. È
però assai più raro, a meno che lo si ricerchi esplicitamente, imbattersi in
qualche esempio scritto nel suo latino sine flexione L. invece ne riporta un
lungo brano, dopo aver ricordato, tra le altre cose, che quello di PEANO
(vedasi), recentissimo ai tempi della pubblicazione del volume del periodico, non
è stato un tentativo particolarmente originale, visto che di lingue universali
precedenti al latino sine flexione ne sono già comparse almeno altre sette, tra
cui l'Esperanto. Spiega poi come il problema di una lingua universale ben
strutturata se lo fosse posto già Leibniz, il quale elencava dei principi da
seguire per chi si fosse voluto impegnare nell'impresa di crearla; e si vede
che Peano a quei principi leibniziani si attiene diligentemente: applica
l'eliminazione delle desinenze nei casi e impiega in sostituzione delle
particelle specifiche. Elimina le coniugazioni dei verbi, usando solo
l'infinito del verbo senza il "-re" finale (dicere→dice→dire;
mensurare→mensura→misurare; scire-sci→sapere, etc.), e attua
l'eliminazione della specificazione del genere nei nomi. In questo modo, armati
di un vocabolarietto di latino in grado di ricordarci il significato di alcune
parole dimenticate (oporte→ occorre; igitur→ allora, etc.) il saggio dove
diventare ragionevolmente leggibile, una volta appreso che nella Pisa l'unità
di lunghezza è la pertica e quella di superficie il panoro, e che un panoro
equivale a 5,5 pertiche quadrate, come ricorda PEANO (vedasi). PEANO (vedasi) dimostra
con pochi calcoli elementari che il fatto che FIBONACCI (vedasi) asserisca che
per trovare l'area di un cerchio basta dividere per 7 il quadrato del diametro
implica che per il pisano valeva l'uguaglianza n = 2. È divertente vedere PEANO
(vedasi) destreggiarsi senza timore tra pertiche e panori, ed è curioso anche
l'uso spregiudicato che fa dei "numeri misti", ormai passati quasi
del tutto nel dimenticatoio, 2 "Discrimen generis nihil pertinet ad
grammaticam rationalem", sancisce Leibniz, e chissà cosa avrebbe pensato
oggi che le discussioni su quale sia il modo più corretto per trattare al
meglio il genere delle persone sono molto divisive e cariche di significati che
trascendono la mera razionalizzazione della lingua. Con numeri misti si
intende quella grafia che consente di scrivere ad esempio "5½" - come
fa PEANO (vedasi) nella citazione - semplicemente accostando un numero intero e
una frazione, senza esplicitare il sottinteso segno "+". È un metodo
di scrittura di numeri frazionari abbastanza naturale, ma poiché di solito
l'assenza di segno è caratteristica delle moltiplicazioni, la grafia può
generare confusione, ed è caduta in disuso. Nei paesi di lingua inglese è però
ancora abbastanza diffusa, al punto che la maggior parte delle scuole dedicano
qualche lezione all'aritmetica dei numeri misti. Atkinson, noto appassionato di
matematica ricreativa e dell'Italia ha condotto una ricerca sulla sopravvivenza
dell'uso dei numeri misti nella nostra nazione, con risultati curiosi e
piacevolmente piasmentmathssesantat/ divulgazione/matematica-il
linguagiortini Versa pubblicato su MaddMaths!: forse con le sole
eccezioni dei voti sui compiti in classe e dei tabelloni di alcune
metropolitane che segnalano l'arrivo dei treni con una precisione fino al mezzo
minuto. L'escursione in quel dimenticato volumen si è rivelata già
ampiamente sufficiente a dimostrare quanto possa essere gratificante il
"viaggio nella libreria", anche quando si riduce solo a
una gitarella di un paio d'ore. E si potrebbe chiudere qui anche questo
articolo, una volta pagato un minimo pegno di riconoscenza all'autore del sagio
saccheggiato. Ma tutti i viaggi che si rispettino presentano almeno un paio di
imprevisti, e nel nostro caso è proprio L. a fornircene uno. Come recita
il suo frontespizio, il "Periodico di Matematica per l'Insegnamento
Secondario" non è una rivista accademica destinata ad ospitare memorie di
ricercatori professionisti, ma un giornale che perseguiva la missione di
facilitare il lavoro di chi si occupa di insegnamento. Per quanto nel celebrato
indice rifulgano tra gli autori nomi di matematici di prima grandezza, è assai
probabile che tra i collaboratori più o meno abituali comparissero anche coloro
che più di altri conoscevano i dettagli della didattica, cioè proprio i
professori, ed è quasi certamente tra questi che occorre collocare il nostro L..
Pur essendo assente dai maggiori siti specializzati in biografie dei matematici
più importanti, una ricerca un po’più generale intercetta facilmente un saggio
che lo riguarda. L'autore è Hans van Maanen, direttore di
"Skepter", la rivista dell'associazione di
"scettici", e perciò in qualche modo consorella della corrispondente
associazione italiana, il CICAP fondato d’Angela. Naturalmente, la maniera di
gran lunga migliore per godersi il saggio è quello di leggerlo direttamente. Ma
per chi si accontenta di un riassunto veloce giusto per capire come L. scrive qualcosa
che quasi un secolo dopo ha molto irritato un pezzo grosso di Nature, ne
riporteremo i punti salienti. Vista la lunga estensione temporale della
storia, forse vale la pena di procedere cronologicamente. Premessa:
Buffon, osserva che il valore di n è determinabile per via sperimentale con il
metodo che resta famoso nella storia proprio con il nome d’ago di Buffon. Immaginando
un pavimento diviso in sezioni trasversali di larghezza s, lanciando a caso un
ago di lunghezza a e registrando le volte m che l'ago intercetta una delle
linee del pavimento, presupponendo un numero di lanci n tendente a infinito, si
può risalire al valore di a utilizzando i rapporti s/a e m/n. Il nostro
L. pubblica, sempre sul Periodico di Matematica per l'Insegnamento,
(ma volume XVII, non il XIX ritrovato nel
"viaggio in libreria"), un sagio in cui afferma di aver
applicato il metodo di Buffon e di aver ottenuto un valore
sperimentale di n esatto fino alla sesta cifra decimale, 3,141529, con una
serie di 3408 lanci di cui 1808 positivi, e con valore di a pari a 2,5 e s pari
a 3,0. Nell saggio afferma anche di aver raggiunto il risultato grazie a una
sua [Ho avuto invece approssimazione maggiore col disporre la retina
traversalmente, vale a dire coll'utire tra loro i lati maggiori del rettangolo.
Qui le espurienze vanno divise in doe serie, ginechi. Mentro ho mantenuto
sempro costante la lunglezza della sbarretta. ho fatto invece variare
l'altezza della striscia compresa fra le parallele: ed ecco i rimaltati
ottenuti: 1• Seme I1 SREI 100 300 13000 9000 4000 611 1200 1600 2148
3,101 3,152 3,147
8,125 8,185 100 200 10? 1000 1,115
3,180 8,1446 1142 3.1415129 3,1416 3 Estratto
dell'articolo di L. Grazie alla traduzione di Garlaschelli lo si può leggere in
italiano, o direttamente su Query, la rivista del Comitato Italiano per il
Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze] macchina, descritta in
dettaglio, che consente di meccanizzare i "lanci casuali di un ago sul
pavimento piastrellato come richiesto dall'idea di Buffon. Il risultato
viene accolto inizialmente con grande entusiasmo, diventa noto a livello
internazionale e non sono pochi i grandi nomi della matematica che lo accolgono
con sperticate parole di elogio. Il nome di L. diventa abbastanza famoso. A
parte la sua, le migliori approssimazioni sperimentali arrivano, e a fatica, a
una precisione di un paio di decimali. Compaiono però i primi saggi che
esprimono dubbi sulla correttezza dell'esperimento. Badger scrive il
saggio, "L.'s lucky approximation of t" in cui analizza in dettaglio
tutte le fragilità della memoria di L. Parte dalla strana coincidenza - già
notata del rapporto 3408/1808, cruciale nel testo di L., che è identico alla
nota frazione 355/113, scoperta già nel V secolo da Chongzhi come
approssimazione di p; prosegue notando la stranezza di quei "3408
lanci", poi passa a calcolare la probabilità d’ottenere per via randomica
quel risultato, giungendo alla conclusione che è una probabilità talmente bassa,
circa tre parti su un milione, da ritenere che quella stima fosse il frutto o
di un colpo di fortuna davvero eccezionale o di un "hoax" termine che
si può tradurre come qualcosa a mezza via tra uno "scherzo" e una
"beffa". Badger, grazie a quello saggio, vince un premio
istituito dalla Mathematical Association of America, e ovviamente il saggio
viene letto anche da Maddox, redattore capo di Nature. È naturale che un
redattore capo di una prestigiosissima rivista scientifica vede la manomissione
dei dati sperimentali più o meno come il proverbiale diavolo guarda l'acqua
santa, e la sua ira funesta colpisce Lazzarini: titola il suo articolo come
"Falsa misura sperimentale di n", usa senza mezzi termini la parola
"fraud" ovvero "frode" al posto del più morbido
"hoax", e lancia perfino una specie di anatema: " ...l'articolo
di Badger dovrebbe restare come un ammonimento, a tutti coloro che inquinano
la letteratura, che i loro misfatti li seguiranno fin nella tomba.
D'altro canto, il saggio di Maanen che ci ha consentito di scoprire questo
affascinante giallo matematico sembra più orientato a smorzare lo scandalo. La
descrizione accurata della macchina per i lanci che fa L., a ben vedere non
sembra poi così efficiente da meritarsi d'essere costruita. L’aver posto in
bella vista il numero 3408 nella tabella che riporta i suoi tentativi quando i
valori intermedi esposti vanno per blocchi interi di centinaia o migliaia. Insomma
tutto lo spirito del saggio di L. sembra più uno scherzo che la rivendicazione
di una scoperta. È anche possibile che, da insegnante, cerca e suggerisse ai
colleghi qualche metodo scherzoso per affascinare gli studenti, come quella
complicata macchina lancia-aghi o la meraviglia di una costante matematica
trovata sbattendo oggetti per terra. A voler cercare una morale da tutta la
storia, non c'è che l'imbarazzo della scelta. Dall'opportunità o meno di
scherzare con la scienza alla troppo diffusa propensione agli entusiasmi, o
alla rissa, anche tra i più autorevoli critici. O anche sulla necessità di
ricordare sempre che anche gli scienziati sono donne e uomini, con tutte le
caratteristiche e le debolezze degli esseri umani. E poi, a dire la verità, la
morale più evidente e ovvia che ci sembra emergere è semplicemente quella che
ricorda alle riviste scientifiche prestigiose e autorevoli di non concedere i
loro spazi ad arruffoni incompetenti fin troppo disposti a scherzare su
qualsiasi cosa pur di vedere stampate le loro sciocchezze: ma uno strano e
persistente brivido lungo la schiena ci suggerisce di non evidenziare troppo
questo aspetto, chissà perché. Cortesia: Alembert, Riddle, e
Silverbrahms. Mario Lazzarini. Lazzarini.
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