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Monday, January 27, 2025

LUIGI SPERANZA -- GRICE ITALO A-Z M MU

Luigi Speranza -- Grice e Musatti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’erote collettivo – filosofia fascista – filosofia del ventennio – Gruppo universario fascista – la scuola di Dolo -- la scuola di Venezia -- filosofia veneziana -- filosofia veneta -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Dolo). Filosofo italiano. Dolo, Venezia, Veneto. Grice: “Musatti reminds me of Malcolm, “Tonight I had a dream,”” – Grice: “Musatti has explored the implicatures of ‘who’s afraid of the big bad wolf?’, which comes strictly from Grimm – this is a rhetorical question – and Grimm is implicating that nobody should!” -- Ccesare luigi eugenio musatti. Tra i primi che posero le basi della psicoanalisi, in Italia. Nato a Dolo, sulla riviera del Brenta, nella Villa Musatti a del nonno paterno in cui i parenti erano soliti trascorrere la villeggiatura.  Figlio di Elia, ebreo veneziano e deputato socialista amico di G. Matteotti, e della napoletana Emma Leanza, non fu né circonciso, né battezzato -- durante le persecuzioni razziali si procura un falso certificato di battesimo dalla parrocchia di Santa Maria in Transpontina di Roma -- e non professa mai alcun credo religioso.  Frequenta il liceo Foscarini di Venezia, poi si iscrive dapprima alla facoltà di Scienze dell'Padova per il corso di Ingegneria, e immediatamente dopo alla facoltà di Lettere e Filosofia, dove si laurea in filosofia. Dopo la laurea, si iscrisse per due anni al corso di Matematica della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali di Padova, ma non sostenne esame alcuno. A diciannove anni fu chiamato a Roma per il servizio di leva. Dopo un periodo di addestramento a Torino, e mandato al fronte come ufficiale, con impegni marginali. Finita la guerra tornò a Padova per terminare gli studi. Sulla cattedra di Psicologia Sperimentale c'era Vittorio Benussi, allora chiamato per chiara fama a insegnare a Padova dall'Graz. Si laurea in filosofia e l'anno successivo divenne assistente volontario del Laboratorio di psicologia sperimentale. Benussi si uccise con il cianuro a causa di una grave forma di disturbo bipolare, lasciando tutto nelle mani di M. e di Silvia De Marchi, anch'essa assistente volontaria, che poi divenne sua moglie. Il suicidio di Benussi fu scoperto da Musatti, il quale però lo nascose per paura di ripercussioni negative sulla psicologia italiana in una situazione di fragilità e precarietà accademica, sottoposta a pressioni da parte sia del regime fascista, con le sue istanze gentiliane, che della Chiesa Cattolica. Negli anni ottanta M. rivelò che Benussi s'era suicidato, non era morto a causa di un malore. Musatti divenne direttore del Laboratorio di Psicologia dell'Padova. Porta in Italia la Psicologia della Forma con importanti lavori di livello internazionale. Dopo aver diffuso in Italia la psicologia della Gestalt, divenne il primo studioso italiano di psicoanalisi. Studiando la psicologia della suggestione e dell'ipnosi, introdotta in Italia da Benussi, approdò alla psicoanalisi, sulla quale tenne il primo corso universitario italiano. Il corso si tenne presso a Padova. Divenne allora uno dei primi e più importanti rappresentanti italiani della psicoanalisi. Nell'Italia le teorie di Freud non erano state accolte bene né dalle Università, né dalla Chiesa cattolica, a causa dell'ideologia culturale gentiliana assunta dal fascismo. La Società psicoanalitica italiana venne limitata anche dalle leggi razziali fasciste che colpirono i membri ebrei della società. Benché non fosse ebreo (poiché figlio di madre cattolica), e allontanato dall'insegnamento a Urbino e declassato ad insegnante di liceo. Nominato professore di Filosofia al Liceo Parini di Milano. Si ritrova con L.  Basso, Ferrazzutto e altri vecchi socialisti con l'intento di creare un partito erede del Partito Socialista Italiano; ebbe l'incarico di trovare denaro per una prima organizzazione e di allacciare rapporti col Partito Comunista clandestino. Musatti lavorò anche durante la guerra. Nel periodo dell'occupazione nazista, fu tratto in salvo dall'avvocato Paolo Toffanin, fratello di Giuseppe Toffanin, che lo aiutò a trasferirsi a Ivrea, ospite dell'amico Adriano Olivetti. Con il suo sostegno fondò un centro di psicologia del lavoro. Ricoprì anche l'incarico di direttore della Scuola Allievi Meccanici, scuola aperta per formare operai meccanici specializzati. Successivamente fu richiamato dall'Esercito per andare sul fronte francese. Ottenne all'Università degli Studi di Milano la prima cattedra di Psicologia costituita nel dopoguerra in Italia, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia. Vi insegnò per venti anni. A Milano ebbe il periodo più florido della sua ricerca scientifica: gli studenti affollavano le sue lezioni. M. fu il leader del movimento psicoanalitico italiano nei primi anni del dopoguerra. A quel periodo risale il suo “Trattato di Psicoanalisi”, pubblicato da Einaudi. Divenne direttore della “Rivista di psicoanalisi”. Presidente del Centro Milanese di Psicoanalisi fondato da Franco Ciprandi, Renato Sigurtà e Pietro Veltri, che gli verrà intitolato dopo la sua morte. Nel 1976 è diventato curatore della edizione italiana delle Opere di Sigmund Freud, della Casa Editrice Bollati Boringhieri di Torino. Vecchiaia  La località a lui dedicata Musatti scrisse anche libri di letteratura, tra cui Il pronipote di Giulio Cesare, che gli fece vincere il Premio Viareggio. Fu eletto per due volte consigliere comunale di Milano nella lista del PSIUP e fu anche consulente del Tribunale dei Minori del capoluogo lombardo. Sostenne sempre la pace, il progresso dei lavoratori, l'emancipazione femminile ed i diritti civili. M. era ateo, come ebbe a dichiarare in più occasioni, l'ultima delle quali in uno dei martedì filosofici del Casinò di Sanremo. Muore nella sua abitazione di via Sabbatini a Milano. L'indomani dopo una cerimonia laica di commiato celebrata in forma strettamente privata, la sua salma e  cremata a Lambrate. Le sue ceneri sono tumulate, secondo le sue ultime volontà, nel cimitero comunale di Brinzio, località in cui era solito trascorrere i periodi di vacanza. Il suo archivio è conservato presso l'Aspi Archivio Storico della Psicologia Italiana dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca.  Il comune di Dolo ha ribattezzato la sua località natale Casello 12 località M. e gli ha intitolato il locale istituto professionale.  Musatti e il suicidio di Benussi Anche dopo la rivelazione che si era trattato di un suicidio, non parla mai volentieri della morte del maestro. Nel generale silenzio dello studioso di Dolo emerge un'intervista. Nell'intervista M. confessa di sognare a volte che in una caserma dei carabinieri in cui viene tradotto, il commissario lo interroga sulla morte di tre sue mogli (si sposò quattro volte), decedute tragicamente, e di Vittorio Benussi. A fine colloquio il militare lo intima di confessare di aver ucciso il maestro per prendere la cattedra di psicologia. «Io gli rispondoprosegue Musatti, da buon psicoanalistache sicuramente nel mio subconscio mi sono sentito responsabile per questa e per altre morti. Il commissario, che non capiva nulla di subconscio, decide: “Mi spiace professore, ma devo arrestarla”. Io allora gli rispondo: ”Non è possibile commissario, perché si tratta di delitti commessi più di cinquant'anni fa, e quindi sono prescritti!”».  ‘Cesare’ è un riferimento al pro-zio M., medico pediatra, uno che aveva visitato il piccolo, nato settimino. ‘Luigi’ e il nome del bonno materno (L. Leanza, morto in carcere, partecipa alla rivolta anti-borbonica); ‘Eugenio’ e il nome di un altro pro-zio paterno, lo storico Eugenio Musatti; cfr. Musatti IX-XIII. Forse la psicoanalisi è nata e morta con lui. Il nome allude alla fermata della tranvia Padova-Malcontenta-Fusina che il nonno, presidente della Società Veneta Lagunare, odierna ACTV, aveva fatto aprire per raggiungere più agevolmente Venezia.  Musatti IX-XIII.  Archivio dell'Università degli Studi di Padova, Carriere scolastiche della Facoltà di Lettere e filosofia, Padova, Carriere scolastiche della Facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali, Opuscolo del Centro Milanese di Psicoanalisi, a cura del Comitato Direttivo, redatto da L. Ambrosiano Capazzi Gammaro Moroni, Reatto, Schwartz, M. Sforza, Stufflesser, Milano  Per una storia del Centro Milanese di Psicoanalisi Chiari, Seminario presso il Centro Milanese di Psicoanalisi Cesare Musatti, Milano  Freud, Opere (Torino, Boringhieri); S. Giacomoni, Cerimonia privata per M., la Repubblica, è consultabile sul  dell'Aspi, all'indirizzo web AspiArchivio storico della psicologia italiana, Università degli studi di Milano-Bicocca. D. Mont D'Arpizio, Vittorio Benussi, Padre della psicologia padovana, in La Difesa del popolo, Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze,  Mia sorella gemella la psicoanalisi, 1Pordenone, Edizioni Studio Tesi,Luciano Mecacci, M. voce dell'Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti. Il contributo italiano alla storia del pensiero. Ottava appendice, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana. Saggi: “Analisi del concetto di realtà empirica” (Solco, Città di Castello); “Forma e assimilazione,” in: Archivio italiano di psicologia, “Elementi di psicologia della testimonianza” (Rizzoli, Forma e movimento” (Ferrari, Venezia, da: Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Gl’elementi della psicologia della forma, Gruppo Universitario Fascista, Padova, Trattato di psico-analisi (Boringhieri, Torino); Super io individuale e Super io collettivo (Olschki, Firenze); Condizioni dell'esperienza e fondazione della psicologia” (Universitaria, Firenze, Riflessioni sul pensiero psicoanalitico e incursioni nel mondo delle immagini (Boringhieri, Torino); Svevo e la psicoanalisi (Olschki, Firenze); I rapporti personali Freud-Jung attraverso il carteggio, Olschki, Firenze, Commemorazione accademica, Olschki, Firenze Nino Valeri, Olschki Firenze, Il pronipote di Giulio Cesare, Mondadori Milano A ciascuno la sua morte (Olschki, Firenze); Hanno cancellato Livorno (Olschki, Firenze); Mia sorella gemella la psicoanalisi (Riuniti, Roma). Una famiglia diversa ed un analista di campagna, Olschki, Firenze,  Questa notte ho fatto un sogno, Riuniti, Roma, Chi ha paura del lupo cattivo?, Riuniti, Roma, Psicoanalisti e pazienti a teatro, a teatro (Mondadori, Milano); Leggere Freud, Bollati Boringhieri, Torino, Curar nevrotici con la propria auto-analisi, Mondadori, Milano: Geometrie non-euclidee e problema della conoscenza, Aurelio Molaro, prefazione di Mauro Antonelli, Mimesis, Milano,Treccani Enciclopedie oIstituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. siusa.archivi.beniculturali, italiana di Cesare Musatti, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. Cesare L. Musatti. Cesare Musatti. Musatti. Keywords: erote, Gruppo Universitario fascista, il collettivo di Jung, l’ego e il noi collettivo Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Musatti” – The Swimming-Pool Library.

 

Luigi Speranza -- Grice e Musonio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del Musonio di Gentile -- Roma – la scuola di Bolsena -- filosofia lazia – lingua lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza.  (Bolsena). Filosofo italiano. Bolsena, Viterbo, Lazio. Esercita un forte influsso sui contemporanei. Di famiglia equestre dell’etrusca Volsini (Bolsena) suscita per la sua fama di filosofo l’invidia di Nerone. Segue Rubellio Plauto nell'Asia Minore e lo incoraggia a togliersi la vita quando Nerone lo condanna a morte. Ritorna a Roma, dove e bandito insieme con Cornuto in occasione della congiura di Pisone e confinato nell’isola di Gyaros nelle Cicladi, ove per la sua rinomanza attira uditori da ogni parte.Verosimilmente richiamato a Roma da GALBA, negli ultimi giorni di Vitellio si une ad una ambasceria del Senato presso Antonio Primo per perorare la causa della pace fra i suoi soldati, ma senza successo.Quando Vespasiano assunse il potere, M. accusa davanti al Senato P. Egnazio Celere, quale delatore e falso testimonio nel processo di Borea Sorano. Vespasiano lo escluse dalla prima espulsione dei filosofi da Roma (71), ma poi lo esiliò per la seconda volta ; però Tito, che già lo aveva conosciuto, lo richiamò dopo la sua assunzione al trono. In seguito mancano notizie su di lui, ma da una lettera di Plinio il Giovane sembra che non fosse più in vita. Non risulta che abbia composto e pubblicato scritti, anzi sembra che si sia servito soltanto dell’insegnamento orale, del quale, però, rimangono frammenti abbastanza numerosi. Essi comprendono 19 brevi apoftegmi conservati da Plutarco, da Aulo Gellio e dallo Stobeo ; altri apoftegmi e trattazioni filosofiche relativamente ampie raccolti da Epitteto nel suo insegnamento-È e trasmessi i primi da Arriano, le seconde dallo Stobeo ; esposizioni o lezioni che si trovano nello Stobeo o costituiscono la parte più estesa dei frammenti. È verosimile che provengano da uno scritto di quel Lucio che si è già ricordato e che si deve ritenere la fonte più importante dello Stobeo. Un’altra è Epitteto, cioè Arriano. Sembra che un Pollione (probabilmente Valerio Pollione da Alessandria, vissuto sotto Adriano) compone Memorabili di Musonio, ma non ne restano tracce. È giudicata falsa una lettera di Musonio a un certo Paneratide. Le concordanze che si sono osservate tra i frammenti di M, e il Pedagogo di Clemente di Alessandria hanno fatto pensare o alla dipendenza di questo da uno scritto di Lucio o alla derivazione di ambedue da una fonte più antica. Della forte azione di Musonio sui contemporanei sono prova i suoi numerosi scolari, tra i quali si ricordano (oltre al genero Artemidoro, amico e maestro di Plinio il Giovane), i filosofi Epitteto, Dione di Prusa, Eufrate di Tiro e il suo scolaro Timocerate di Eraclea, e insigni romani, come Plauto, Sorano e Minicio Fundano. M. si avvicina ai cinici nell’assegnare alla filosofia finalità radicalmente etico-pratiche, accetta spunti dell’ascetismo dei crotonesi. Ma nel complesso dipende dal Portico con influssi posidoniani. Nel sno insegnamento non trascura le esercitazioni logiche e i frammenti toccano argomenti di fisica, ma ciò che vi è detto degli dei, designati con le denominazioni della religione tradizionale, non supera la sfera del pensiero comune e non ha carattere filosofico determinato. Invece riporta al Portico l'affermazione della necessità universale, che equivale alla teoria del fato. Però l'interesse di M. si concentra sulla funzione pratica della filosofia, che è assolutamente necessaria in quanto (secondo la tesi introdotta dai filosofi dai Cinargo) gli uomini sono malati che richiedono una cura continua la quale dev'essere prestata dalla filosofia, che perciò è necessaria a tutti, alle donne non meno che agli uomini. La filosofia però è identificata alla ricerca e alla realizzazione della virtù, per conseguire la quale non vi è necessità di molti discorsi, nè di molte teorie. Inoltre, in essa l'esercizio ha maggiore importanza dell’insegnamento o del discorso. Siccome la natura ha posto in ogni uomo i germi della virtù, se il discepolo non è stato corrotto, una breve dimostrazione è sufficiente per fargli riconoscere i principi etici giusti. Ciò che soprattutto importa è che maestro e discepolo uniformino la loro condotta ai propri principi. Si comprende che M. si interessasse in primo luogo della formazione etica degli scolari. Nell’insieme, la morale di M. si conforma alle dottrine tradizionali del Portico. Occorre distinguere ciò che è e ciò che non è in nostro potere. Ora da noi dipende soltanto l’uso delle rappresentazioni, cioè l'assenso dato alle opinioni sul bene e sul male, dalle quali è determinata la giusta valutazione delle cose e quindi l'intenzione quale atteggiamento interiore della volontà. In la volonta, se è retta, consiste la libertà, la virtù, la felicità. Tutto il resto non dipende da noi e perciò rispetto ad esso, ossia alle cose esterne, dobbiamo rimetterci all’ordine necessario dell'universo e aecettare volentieri ciò che arreca. Soltanto la virtù è bene, soltanto la malvagità è male e ogni altra cosa è indifferente. Però, per rafforzare la volontà, M. ritene necessario, oltre l'insegnamento e l’esercizio morale, anche l’indurimento fisico, perchè, essendo il corpo uno strumento indispensabile dell’anima, occorre rafforzare ambedue. In generale raccoman, avvicinandosi ai filosofi del Cinargo, la vita semplice e conforme alla natura e accoglie dai crotonesi, il divieto dei cibi carnei. Oltrepassando le opinioni di molti antichi filosofi del portico, esige una vita morale severissima, raccomanda il matrimonio, condanna la limitazione delle nascite e l’esposizione dei figli. Nell'insieme, i frammenti di Musonio rivelano un’anima nobile e retta, appassionata per il bene e guidata dal desiderio di educare gli spiriti, ma a queste doti non corrisponde il valore scientifico degli insegnamenti, perchè i suoi pensieri sono molto mediocri e privi di originalità. Inoltre non si può trovare nelle sue parole l’espressione di una visione della vita vibrante di dolore e di amore simile a quella di Seneca. Gaio Musonio Rufo. M. (Volsinii) è un filosofo romano.   Frammento di papiro (P. Harr.Col.), con parte di una diatribe. Sulla vita di Gaio Musonio Rufo, stoico, si posseggono poche notizie certe. È noto che nacque a Volsinii, corrispondente all'odierna Bolsena, in Etruria, che fu cavaliere. Il ‘prae-nomen’ Gaio lo conosciamo solo attraverso Plinio il minore che ci fornisce anche un’altra notizia su una sua figlia (presumibilmente chiamata Musonia, secondo l’uso romano), sposata ad Artemidoro, al quale Plinio presta aiuto anche per stima e affetto nei confronti del suocero. Sappiamo dalla voce “Mousonios” della Suda che Musonio e figlio di Capitone ma non abbiamo altre notizie sulla sua famiglia, che era comunque di origine etrusca. In effetti, il nomen “Musonius” denotare la gens, e viene indicato da alcuni studiosi della lingua etrusca come forma latina di un gentilizio etrusco “Musu,” “Muśu-nia.”.  E capo a Roma di un circolo o gregge filosofico e si dedica anche alla politica, con idee abbastanza tradizionali e moderate. Fa parte del gruppo creatosi intorno a Rubellio Plauto, un discendente della famiglia Giulia. Quando Rubellio Plauto e allontanato da Roma in via precauzionale da Nerone, M. lo segue in Asia. Due anni dopo giunge l'ordine del principe di eliminare Rubellio Plauto. Musonio ritorna a Roma, ma,  in concomitanza della congiura di Pisone, e mandato in esilio, in quanto allievo di Seneca, nell'isola di Gyaros, inospitale e rocciosa nel Mar Egeo.  Indicativi della sua integrità morale e della sua coerenza sono altri due momenti della sua vita, entrambi riportati da Tacito nelle Storie. Dopo essere ritornato dall’esilio, forse grazie a GALBA, con il quale sembra fosse in amicizia, nella fase finale della guerra civile seguita alla morte di Nerone, Musonio si rese protagonista di un primo episodio significativo, rivelatore della sua generosa attitudine a mettere in pratica i principi morali e gli ideali di pace che insegna. In una Roma che era teatro di violenti scontri tra le fazioni avverse, il filosofo di Volsinii si impegna a svolgere un’improbabile opera di pacificazione. “S’era mescolato agli ambasciatori M., di ordine equestre, zelante filosofo e seguace dei precetti dello stoicismo, ed in mezzo ai manipoli prendeva ad ammonire gli uomini armati con le sue disquisizioni sui beni della pace e sui mali casi della guerra. Ciò fu per molti motivo di scherno; per la maggioranza, di fastidio. E non mancava chi l’avrebbe spinto via o l’avrebbe calpestato, se, dietro consiglio dei più equilibrati e fra le minacce di altri, non avesse deposto la sua inopportuna esposizione di saggezza.” Il secondo episodio, ci presenta Musonio Rufo impegnato nella riabilitazione della memoria dell’amico Barea Sorano, che era stato sottoposto a processo e condannato a morte insieme alla figlia Servilia e a Trasea. Contro di lui era stata resa una falsa testimonianza da parte del suo stesso maestro, Publio Egnazio Celere, anche lui appartenente alla corrente stoica. Musonio, che pure nei suoi insegnamenti si dichiarava contrario ad intentare cause per difendere se stesso dalle offese ricevute, in questo caso non esita ad accusare in Senato il traditore per difendere la memoria dell’amico condannato ingiustamente. Come scrive Tacito: “Allora Musonio Rufo attacca Publio Celere, accusandolo di aver attaccato Sorano con una falsa testimonianza. Evidentemente con quell’accusa si rinnovavano gli odii delle delazioni. Ma l’accusato, vile e colpevole, non poteva essere difeso. Di Sorano e santa la memoria. Celere, che fa professione di sapienza, testimoniando contro Barea, ha tradito e violato l’amicizia.” Musonio porta avanti con tenacia il suo impegno, che e coronato da successo. “Fu deciso allora di ri-aprire il processo tra M. e Publio Celere: Publio venne condannato ed ai mani di Sorano e resa soddisfazione. Quel giorno, che si distinse per la severità dei magistrati, non manca nemmeno di elogi ad un cittadino privato. Si era, infatti, del parere che Musonio avesse agito con giustizia in tribunale. Opinione ben diversa si ha di Demetrio, seguace della scuola cinica, in quanto aveva difeso, più per ambizione che con onore, un reo manifesto. Quanto a Publio, non ebbe né animo, né eloquenza sufficienti in quel frangente.»  Più tardi M. riusce a guadagnarsi la stima di Vespasiano evitando la cacciata dei filosofi. Ci e però un secondo esilio e, dopo il suo rientro a Roma, voluto da TITO, le fonti tacciono. Potrebbe essere stato espulso da Roma, assieme agli altri filosofi, a causa di un senatoconsulto sollecitato da Domiziano, che fa uccidere Aruleno Rustico e cacciare Epitteto e altri. Da un'epistola di Plinio minore si apprende che egli non era più in vita.  Si proclama suo discendente il poeta Postumio Rufio Festo Avienio. Probabilmente in modo volontario, sull'esempio di Socrate o Grice e come fa anche il discepolo Epitteto, non lascia nulla di scritto. I principi della sua predicazione filosofica si ricavano da una raccolta di diatribe dovuta a un discepolo di nome Lucio, di cui 21 ampi estratti sono conservati nell'Antologia di Stobeo. Essi sono intitolati: “Che non è necessario fornire molte prove per un problema” “Su chi nasce con un'inclinazione verso la virtù” “Che anche le donne dovrebbero studiare filosofia” “Se le figlie debbano ricevere la stessa educazione dei figli maschi” “Se è più efficace la teoria o la pratica” “Sul praticare la filosofia” “Che si dovrebbero disprezzare le difficoltà” “Che anche un principe deve studiare filosofia” “Che l'esilio non è un male” “Il filosofo perseguirà qualcuno per lesioni personali?” “Quali mezzi di sostentamento sono appropriati per un filosofo?” “Sull'indulgenza sessuale” “Qual è il fine principale del matrimonio” “Il matrimonio è un ostacolo per la ricerca della filosofia?” “Ogni bambino che nasce dovrebbe essere allevato?” “Bisogna obbedire ai propri genitori in tutte le circostanze?” “Qual è il miglior viatico per la vecchiaia?” “Sul cibo” “Su vestiti e riparo” “Sugli arredi” “Sul taglio dei capelli”. Lo stile delle diatribe è semplice. In genere viene posta una questione iniziale, poi sviluppata con chiarezza durante il testo, spesso costruito in modo figurato, usando metafore e similitudini (spesso sfrutta il paragone con il medico, alcune volte intervengono immagini di animali). Questa caratteristica si adatta bene alla sua personalità e al suo tipo di insegnamento, tutto rivolto alla schiettezza della vita.  Ci restano, inoltre, frammenti minori, spesso in forma di apoftegma. A parte quelli sempre di Stobeo (in numero di 14), due frammenti conservati da Plutarco sono brevi aneddoti che potrebbero essere definiti come "detti celebri", mentre tre brani di Aulo Gellio conservano detti memorabili ed un quarto è lungo abbastanza da rappresentare la sintesi di un intero discorso. C'è, poi, un aneddoto in Elio Aristide ed Epitteto ne racconta una mezza dozzina (11, per la precisione). Restano, inoltre, due epistole, concordemente ritenute spurie. M. rappresenta, con Epitteto, Antonino e Seneca, uno dei quattro esponenti più significativi del portico romano del principato. Egli, se per certi versi corrisponde appieno alle istanze propugnate dalla temperie spirituale del suo tempo, per altri si distingue e mette in luce, soprattutto per il recupero radicale e profondo di una filosofia intesa come arte del vivere bene e onestamente, cioè mezzo per conseguire uno scopo riscontrabile nei fatti.  Il ruolo della filosofia Egli crede che la filosofia (stoica) fosse la cosa più utile, in quanto ci persuade che né la vita, né la ricchezza, né il piacere sono un bene, e che né la morte, né la povertà, né il dolore sono un male; quindi questi ultimi non sono da temere. La virtù è l'unico bene, perché da sola ci impedisce di commettere errori nella vita. Del resto, sembra che solo il filosofo si occupi di studio della virtù. La persona che afferma di studiare filosofia deve praticarla più diligentemente di chi studia medicina o qualche altra attività, perché la filosofia è più importante e più difficile da comprendere di qualsiasi altra occupazione. Questo perché, a differenza di altre abilità, le persone che studiano filosofia sono state corrotte nella loro anima da vizi e abitudini sconsiderate, imparando cose contrarie a ciò che impareranno in filosofia. Ma il filosofo non studia la virtù soltanto come conoscenza teorica. Piuttosto, M. insiste sul fatto che la pratica è più importante della teoria, poiché la pratica ci porta all’azione in modo più efficace della teoria. Sostene che sebbene tutti siano naturalmente disposti a vivere senza errori e abbiano la capacità di essere virtuosi, non ci si può aspettare che qualcuno che non abbia effettivamente imparato l'abilità di vivere virtuosamente viva senza errori più di qualcuno che non è un medico esperto, un musicista, studioso, timoniere o atleta ci si poteva aspettare che praticassero quelle abilità senza errori.  In una delle sue diatribe, si racconta il consiglio che offrì a un re in visita, dicendogli che deve proteggere e aiutare i suoi sudditi, quindi sapere cosa è buono o cattivo, utile o dannoso, utile o inutile per le persone. Ma diagnosticare queste cose è proprio il compito del filosofo. Poiché un re deve anche sapere cos'è la giustizia e prendere decisioni giuste, il principe studia filosofia, anche per possedere autocontrollo, frugalità, modestia, coraggio, saggezza, magnanimità, capacità di prevalere nel parlare sugli altri, capacità di sopportare il dolore e deve essere privo di errori. La filosofia, sosteneva M., è l'unica disciplina che fornisce tutte queste virtù. Per dimostrare la sua gratitudine il re gli offrì tutto ciò che desiderava, al che il filosofo chiese solo che il re aderisse ai principi stabiliti.  Musonio sosteneva che, poiché l'essere umano è fatto di corpo e anima, dovremmo allenarli entrambi, ma quest'ultima richiede maggiore attenzione. Questo duplice metodo richiede l’abituarsi al freddo, al caldo, alla sete, alla fame, alla scarsità di cibo, a un letto duro, all’astensione dai piaceri e alla sopportazione dei dolori. Questo metodo rafforza il corpo, lo abitua alla sofferenza e lo rende idoneo ad ogni compito. Crede che l'anima fosse rafforzata in modo simile sviluppando il coraggio attraverso la sopportazione delle difficoltà e rendendola autocontrollata astenendosi dai piaceri. Musonio insisteva sul fatto che l'esilio, la povertà, le lesioni fisiche e la morte non sono mali e un filosofo deve disprezzare tutte queste cose. Un filosofo considera l'essere picchiato, deriso o sputato come né dannoso né vergognoso e quindi non avrebbe mai litigato contro nessuno per tali atti, secondo M.. L'opposizione di M. alla vita lussuosa si estendeva alle sue opinioni sul sesso. Pensa che gli uomini che vivono nel lusso desiderano un'ampia varietà di esperienze sessuali, sia legittime che illegittime, sia con donne che con uomini. Osserva che a volte gl’uomini licenziosi perseguono una serie di partner sessuali maschili. A volte diventano insoddisfatte dei partner sessuali maschili disponibili e scelgono di perseguire coloro che sono difficili da ottenere. M. condanna tutti questi atti sessuali ricreativi. Insiste sul fatto che solo gli atti sessuali finalizzati alla procreazione all’interno del matrimonio sono giusti. Denuncia l'adulterio come illegale e illegittimo. Giudica i rapporti omosessuali un oltraggio contro natura. Sosteneva che chiunque sia sopraffatto dal piacere vergognoso è vile nella sua mancanza di autocontrollo.  M. difende l'agricoltura come un'occupazione adatta per un filosofo e nessun ostacolo all'apprendimento o all'insegnamento di lezioni essenziali. Gli insegnamenti esistenti di Musonio sottolineano l'importanza delle pratiche quotidiane. Ad esempio, ha sottolineato che ciò che si mangia ha conseguenze significative. Crede che padroneggiare il proprio appetito per il cibo e le bevande fosse la base dell'autocontrollo, una virtù vitale. Sostene che lo scopo del cibo è nutrire e rafforzare il corpo e sostenere la vita, non fornire piacere. Digerire il cibo non ci dà alcun piacere, ragiona, e il tempo impiegato a digerire il cibo supera di gran lunga il tempo impiegato a consumarlo. È la digestione che nutre il corpo, non il consumo. Pertanto, concluse, il cibo che mangiamo serve al suo scopo quando lo digeriamo, non quando lo gustiamo. M. sostenne la sua convinzione che le donne dovessero ricevere la stessa educazione filosofica degli uomini con i seguenti argomenti. In primo luogo, gli dei hanno dato alle donne lo stesso potere di ragione degli uomini. La ragione valuta se un'azione è buona o cattiva, onorevole o vergognosa. In secondo luogo, le donne hanno gli stessi sensi degli uomini: vista, udito, olfatto e il resto. In terzo luogo, i sessi condividono le stesse parti del corpo: testa, busto, braccia e gambe. Quarto, le donne hanno un uguale desiderio per la virtù e una naturale affinità con essa. Le donne, non meno degli uomini, sono per natura compiaciute delle azioni nobili e giuste e censurano il loro contrario. Pertanto, concluse M., è altrettanto appropriato che le donne studino filosofia, e quindi considerino come vivere onorevolmente, quanto lo è per gli uomini.  Suda μ 1305: «Figlio di Capitone, etrusco, della città di Volsinii; filosofo dialettico e stoico, vissuto ai tempi di Nerone, conoscente di Apollonio di Tiana e di molti altri. Ci sono anche lettere che sembrano provenire da Apollonio a lui e da lui ad Apollonio. Naturalmente per la sua schiettezza, le sue critiche e il suo eccesso di libertà e ucciso da Nerone. Numerosi sono i discorsi filosofici che portano il suo nome e anche le lettere. Epistole. Di origine etrusca: cfr. Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, VII 16. Pittau, “Dizionario della lingua etrusca (DETR), Dublino. Tacito, Annales, XIV, Epitteto, Diatribe, III 15, 14. Storie, III 81. Storie, IV 10. Cassio Dione, Girolamo, Chronicon, a. 2095:Titus Musonium Rufum philosophum de exilio revocat»; Temistio (Orationi, XIII, 173c), inoltre, attesta l'amicizia tra Tito e M.. Cameron, Avienus or Avienius?, in "Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik".  L'attribuzione è data nell'estratto XV Hense: sicuramente questo Lucio era un allievo di Musonio, e uno specifico riferimento in cui M. parla da esule a un esule rivela che anche Lucio partecia  al bando del suo maestro. Nella diatriba Lucio riporta una conversazione di Musonio con un re siriano e dice, tra parentesi, che c'erano ancora re in Siria a quel tempo, vassalli dei romani. -- nell'edizione Hence. Una delle due è una lunga lettera scritta da M. a Pancratide sul tema dell'educazione dei suoi figli. Diatriba VIII Hense. Cfr. anche il detto «Un re dovrebbe voler ispirare soggezione piuttosto che paura nei suoi sudditi. La maestà è caratteristica del re che incute timore reverenziale, la crudeltà di quello che ispira paura» (in Stobeo, IV 7, 16). A differenza del suo allievo Epitteto, che mostrava disprezzo per il corpo, M. sottolinea l'interdipendenza tra anima e corpo. Questa visione, del tutto coerente con il panteismo stoico, non è estranea al pensiero neoplatonico. Diatribe III e IV Hense; Nussbaum, The Incomplete Feminism of M., Platonist, Stoic, and Roman, in The Sleep of Reason. Erotic Experience and Sexual Ethics in Ancient and Rome, Nussbaum and J. Sihvola, Chicago. Bibliografia C. Musonii Rufi reliquiae, edidit O. Hence (Lipsia, Teubner); Lutz, Musonius Rufus, the Roman Socrates, Yale classical studies. Dillon,  M. and Education in the Good Life: A Model of Teaching and Living Virtue. University Press of America. Laurenti, Musonio, maestro di Epitteto, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt. Berlino, de Gruyter, King, (Musonius Rufus: Lectures and Sayings. Edited by William B. Irvine. Create Space. DOTTARELLI, M. l'etrusco. La filosofia come scienza di vita” (Roma, Annulli). Musònio Rufo, Gaio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Calogero, MUSONIO Rufo, Caio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Musonio Rufo, Gaio, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M., su Encyclopedia of Philosophy. Opere di Gaio Musonio Rufo, su Open Library, Archive. VDM Stoicismo. Portale Antica Roma   Portale Biografie Categorie: Filosofi romani Filosofi del II secoloRomani del II secoloStoici[altre] Grice e Tito – La clemenza di Tito – “Titus M. Rufum philosophy revocat. Amico di Musonio. Grice e Galba. Grice e Nerone – Grice e Vespasiano. Gaio M. Rufo, figlio di Capitone e degli stoici di maggior grido in quell'età, e uno di quelli che si guadagnarono un maggior numero di seguaci per l'efficacia del loro insegnamento. Plinio Secondo infatti, lodando le virtú singolari del suo amico Artemidoro, assicura che per esse ei merito che a C. M. ex omnibus omnium ordinum adsectatoribus gener adsumeretur. E di Volsinio, in Etruria. Ma non si può dire se fosse nato sotto Claudio o sotto Caligola. Benché sia più probabile la seconda supposizione. Appartenne all'ordine equestre. L'incontriamo la prima volta in Roma, quando ne è mandato in esilio da Nerone in quella serie di condanne che segui alla sventata congiura di Pisone. A lui, come a Verginio Flavo, celebre maestro di retorica, nocque, secondo Tacito, claritudo nominis nam Verginius studia iuvenum eloquentia, Musonius praeceptis sapientiae fovebat. Tre anni innanzi era nell'Asia Minore presso Rubellio Plauto, insieme con un altro filosofo, Cerano,il quale non si trova nominato in altro luogo. Sicché è probabile che egli non tornasse in Roma se non dopo la morte di Rubellio, per seguire il quale aveva dovuto lasciar Roma, quando a Rubellio per ordine di Nerone convenne ritirarsi in Asia. Se, adunque, il nostro M. poté essere il filosofo di Rubellio Plauto, del quale vedremo con che ardore proseguisse lo stoicismo, la frase di Tacito ci dice che egli dove esercitare in Roma l'insegnamento pubblico. Le relazioni avute con Rubellio, che al dire di Tacito, omnium ore celebratur, e quei due anni consecutivi d'insegnamento pubblico, devono avergli fruttato la claritudo nominis che fu madre del suo esilio Nerone nella scoperta della congiura pisoniana trova tra i congiurati più d'uno della setta stoica, come Seneca, a quanto pare, e Lucano. Ed era naturale che anche M., l'antico maestro ed amico del suo odiato Rubellio, lo stoico che suscita tanta ammirazione intorno a sé e trasfondeva in tanti il suo entusiasmo, siccome apparisce da quel che ne dicono Tacito e Plinio il giovane, facesse nascere nell'animo di Nerone sospetti e timori e fors'anche invidia. Musonio, cacciato da Roma, e da Nerone relegato nell'inospitale isola di Giaro, tra le Cicladi. E quivi dimora fino alla morte di codesto imperatore. Ma neppur li si rimase dall'insegnare. Giacché Filostrato, testimonio, in verità, non sicuro, ci fa sapere che in quell'isola accorrevano a lui da ogni parte, e da uno dei frammenti conservatici da Stobeo si scorge che in Giaro era alla scuola di Musonio il compilatore di quella specie di 'Azurnusycuata, donde gli estratti musoniani di Stobeo sarebbero tolti. A Giaro si rese benemerito dell'isola, dove non s'era mai vista dell'acqua, ed ei seppe trovare una fonte. Per vedere la quale Filostrato afferma che al suo tempo si visita ancora quell'erma isola. Quanto tempo vi rimane si può precisare da un luogo del suo discepolo Epiteto; dove si ricorda un detto di lui relativo alla morte di Galba, dal quale risulta che M. e già a Roma sotto questo imperatore. Sicché molto probabilmente vi sarà tornato alla morte di Nerone. Non altrimenti dello stoico Elvidio Prisco, cacciato anche lui da Nerone e tornato a Roma all'avvento di Galba all'impero. A Roma, M. si trovava durante il breve impero di Vinelio poicho 1 Potia Coria, sli api basiatori to riti Tao qua dio qui (o in pa la da i, partando gravi Guasti l'ambasceria è rimasta famosa; giacché le parole, onde ce la descrive Tacito, colpiscono una delle debolezze più ridicole che si possano rimproverare ai filosofi: quella di far della filosofia fuori di luogo. Grave il danno prodotto dai Flaviani fuori della città. Il popolo, levatosi in armi, vuole uscire in massa contro gl’assalitori. Tra poco scope terribile la guerra civile. Si convoca il Senato. E questo sceglie dei legati, che si rechino ai duci di quell'esercito, per persuaderli pel bene della repubblica alla concordia e alla pace. Tra i primi inviati c'è uno de' più fervidi e sventurati stoici di quest'età, Aruleno Rustico, allora pretore. Ma egli e i compagni, venuti da Ceriale, furono accolti assai male. Egli anzi ferito. Il che eccita più che mai gli animi del popolo: auxit, dice Tacito invidiam super violatum legati prae-torisque nomen propria dignatio viri. E quest'offesa recata a un uomo di tanta riputazione della sua setta. non dovette essere l'ultimo dei motivi che spinsero quindi Musonio a mischiarsi con gl’altri legati, che andarono da Antonio. Ma già non deve parere strano, che un uomo cosi illustre, cosi rispettato al tempo suo, e che sapeva di essere ammirato e di poter contare sull'efficacia della sua nobile parola, s'inducesse a confidare in questa per calmare gl’animi dei soldati, dimentichi perfino del più sacro diritto delle genti. Sarebbe stata forse la prima volta che M. parla a una moltitudine. Anche le Vestali si fecero apportatrici d'una lettera di Vitellio ad Antonio. Pure non si può non sorridere leggendo in Tacito che Musonio coeptabat permixtus manipulis, bona pacis ac belli discrimina disserens, armatos monere. Id plerisque ludibrio, pluribus taedio: nec deerant qui propellerent propulsarent-que, ni admonitu modestissimi cuiusque et aliis minitantibus omisisset intempestivam sapientiam. Ci si sente Tacito ammiratore del vecchio Agricola, anche in quelle considerazioni che l'aveva sentito più volte a fare circa il suo amore per la filosofia - ultra quam con-cessum Romano ac senatori; anche nell'avere conservato soltanto ex sapientia modum: e pare che goda a metterci innanzi lo spettacolo comico e pietoso della fatuità d'un filosofo fanatico. Ma sotto i colori aggiunti da Tacito si scorge chiaramente un quadro, che è eloquente testimonianza dell'atteggiamento morale e sociale di questo stoi-cismo: nei seguaci del quale vedi l'anima piena di fede, ardente degli apostoli. In Musonio non c'è l'uomo speculativo inesperto della vita, ma un'anima infiammata da profonde idealità, non comprese dai molti. Un'anima compagna a quella dei martiri coetanei della religione novella. Sotto la pretura d'un altro illustre stoico, Elvidio Prisco, dopo il trionfo di Vespasiano, M. si riaffaccia nella storia di Roma. E questa volta con un atto, che gl’attira l'ossequio di tutti gl’onesti. Era costume del tempo, come sotto l'imperatori violenti, di darsi al mestiere di accusatore, cosi sotto l'imperatori miti di dare addosso agli accusatori che più avevano spadroneggiato. Chi non ricorda il commovente processo di Barea Sorano, che occupa gli ultimi capitoli degli Annali di Tacito? In quell'imperversare contro tutti i virtuosi che Nerone vedesse in Roma, mentre Marcello Eprio assale Trasea Peto, Ostorio Sabino citava Barea Sorano a scolparsi dell'amicizia, che nel suo proconsolato in Asia aveva mantenuta con Rubellio Plauto e delle speranze sovversive sparse in quella provincial. E ne trascinava in Senato anche la giovane figliuola Servilia, che, mossa dall'angustia del suo cuore filiale, s'era indotta a consultare gli astrologi sulla sorte del padre (delitto anche questo agli occhi di Cesare, che ci vedeva sotto trame e propositi ribelli di novità). Invano il padre proclamava l'assoluta innocenza della sua Servilia: e accorreva verso di lei per abbracciarla, ma i littori frappostisi glielo impedivano.Venuta la volta de' testimoni, fra essi si fece a deporre contro il padre, suo discepolo, e la figlia, che a lui s'era rivolta per il responso desiderato sulla sorte del padre, quel malvagio stoicastro di Publio Egnazio Celere, vecchio antenato di Tartufo, e che già conosciamo. Quantum mise-ricordiae, dice Tacito, saevitia accusationis permoverat, tantum irae P. Egnatius testis concivit. Ma Sorano e Servilia dovettero morire; e Tartufo ebbe il solito compenso dei delatori: denari ed onori — benché Tacito un po' ingenuamente conchiuda che « dedit exemplum praecavendi quo modo fraudibus involutos aut flagitiis commaculatos, sie specie bonarum artium falsos et amicitiae fallaces ». Dopo d'allora i professori di filosofia avrebbero dovuto diventar tutti fior di galantuomini; il che veramente non pare.Ma tra gli Egnazii per fortuna c'è sempre un Musonio. E Musonio, anni dopo il turpe fatto, ri-staurato con la vittoria di Vespasiano il regno della giustizia, sorse a vendicare la morte del compagno Sorano. Simile al suo sciagurato Rubellio oltre che nella misera fine, nel desiderio di avere presso di sè un filosofo, che gli facesse da mentore, quasi dottrina vivente. Musonio adunque assali Publio Egnazio Celere, accusandolo di falso testimonio contro Sorano. Mentre Elvidio Prisco si apprestava a fare altrettanto contro Eprio Marcello, accusatore di Trasea. Nota Tacito, che con l'accusa di Musonio pareva si rinfocolassero I vecchi odii delle delazioni. Ma che nessuno tuttavia poteva far nulla che giovasse a salvare un accusato cosi vile e cosi apertamente reo:  quippe Sorani sancta memoria; Celer professus sapientiam, dein testis in Baream, proditor corruptorque amicitiae, cuius se magistrum ferebat. Quel giorno però in cui fu presentata l'accusa, si stabili che se ne trattasse il di seguente: e l'aspettativa era grande. Ma, entrato poi Muciano in Roma e tradottosi ogni potere in mano sua, si disviò e rinviò anche il processo di Egnazio, e non fu ripreso che al principio dell'anno seguente un giorno che presiedeva il senato il figlio dell'imperatore, Domiziano.Egnazio fu condannato all'esilio, e Sorano vendicato. Sorani manibus satisfactum, dice Tacito, con onore di Musonio, il quale parve a tutti che fosse venuto a capo di un'opera di giustizia. Vi fu chi ambitiosius quam honestius tentò la difesa della spia: ipsi Publio neque animus in periculis neque oratio subpeditavit. Questa condanna fu un trionfo dello stoicismo, e poté sembrare per un momento che un'aura più propizia incominciasse per i suoi seguaci, grazie al governo mite di Vespasiano. Ma poco dopo, sappiamo da Dione che essi furono da questo imperatore per consiglio di Muciano cacciati tutti da Roma. Tutti, ad eccezione di M., risparmiato forse per l'amicizia personale che lo stringeva, secondo Temistio, a Tito. Si vede le ragioni di questo bando generale dei filosofi a cui Muciano, secondo Dione, avrebbe indotto Vespasiano (che pur tanto favori la cultura) sitofino alla morte, che non si può dire quando sia avvenuta. Ma pare che fosse morto da un pezzo quando Plinio il giovane scrive al padre raccomandandogli l'amico suo e genero di Musonio, Artemidoro, e ricorda l'affetto misto di ammirazione che egli quantum licitum est per actatem, aveva portato al filosofo etrusco. PLINIO, Epist. Lo ZELLER dice soltanto verosimile che il Gaio M. di q. 1. sia il noto filosofo stoico. Ma il contesto della lettera a me non pare che lasci alcun dubbio. Sur A, s.v.(3) TAcioo lo dice “Tusci generis”; Ab excessu; e TUpprvóv FILOSTRATO,Vita Apoll. Ma SuIDA precisa anche la città, confermata da un'iscrizione relativa al poeta Rufio Festo Avieno discendente di Musonio e anch'esso Volsiniense: Corpus inscript. latin., VI, 587. Cfr, anche Epigramm. Anth. lat. (Burm.). Infatti la frase di PLiNIo, Epist. et M., socerum eius (sc. Artemidori), quantum licitum est per aetatem, cum admiratione di-lexi deve far pensare che Musonio fosse innanzi negl’anni quando Plinio era ancora giovane; che perciò intorno all'80 avesse una cinquantina d'anni. Zeller pone l'anno di nascita di lui tra il 20 e il 80 d. C.TAc., Hist., III, 81. (1) Ab excessu, XV, 71. Cfr. DIoNE-SIFILINO, LXII, 27. SUIDA (s. v.) dice: 8iàNépwvos dvoupsitar (cioè è ucciso: ma questo è certo un errore). Da un frammento d'una lettera di GIULIANO l'Apostata, riferito da Suida, si ricaverebbe che quando Nerone bandi Musonio, questi occupa una pubblica carica aTe-jé?eto Bapüv = murorum curator erat; ed. Bernardy). Ma non è chiaro se il frammento di Giuliano si riferisca al nostro Musonio, o al Musonio vissuto sotto Gioviano, a cui si riferisce l'art. seguente di Suida. Тас., Аб ехсеззи, XIV, 59. Ma forse è una stessa persona con lo scrittore di questo nome ricordato da PliNio tra le fonti della Nat. Hist. A torto l'HALM (nell'Index historicus, s. v. Coeranus nella sua ediz. di Tacito) sospetta che sia da sostituire Cornutus nel detto luogo Ab exc.; perchè la lezione è sicura; e d'altra parte Cornuto in quel tempo era in Roma. Su Cornuto, maestro di Persio e Lucano, v. per ora MARTINI, De L. Ann. Cornuto, Lugd., Bat.;ZELLER; TEUFFEL-SCHWARE, Roem, Litter.-Gesch.; e PAULY-WIssOwA, Real-Encyclopidie s. v. Il Lipsio al cit. loc. di Tacito sospetta che il Coeranus dovesse con lieve mutazione di lezione identificarsi con quel Claranus, condiscepolo di Seneca, di cui questi parla nell'epist. 66. Ed invero la probabile data di questa lettera  (Hu-GENFELD) e il dirsi in essa che Seneca aveva riveduto cotesto Clarano post multos annos combinano con l'anno 63, nel quale ei si sarebbe trovato con Rubellio in Asia. Ma nè anche di Clarano s'avrebbe altra notizia. Ab exc. A questo tempo si può riferire la notizia di EPITETo (Diss.) di un rimprovero dato a Trasea Peto, che avrebbe detto voler egli morire la vigilia di quel giorno, in cui gli sarebbe toccato di lasciar Roma.TU ODU aUTÕ POSSOS SiTEV; El uéy d5 PapÚTEpOr ¿xTErA, TIS i Mapia tÃsextorisi si d'ós xoupótepor, tis ool déduxev; aù d618i6 pelerãy apxsiolesTỘ Siouévo. Quando Musonio tornò, Trasea e morto. Quanta incertezza ci sia intorno all'autore dei frammenti musoniani di Stobeo, comunemente attribuiti a quel CLAUDIo PoLLIoNE, che secondo SUIDA (Moudúvos) avrebbe scritto appunto degli anourquoveú para Mouraviou vedidi thy puyny pains au Epaxévos pE X.T.?, STon.Cir. WENDLAND, JULIANI epist. in Rhein. Mus., XIII, 24, Froste., Vita Apoll., VII, 16.Tutti gli altri luoghi di Filostrato in cui si nomina un Musonio, si riferiscono a un altro Musonio, di Babilonia, cinico EPITETO (Diss.) dice: POÚpO TIS ElEYE, l'álßa aparèvros,8t Noy Movoi o MóJHOE dOEia; "O 8à, Mi yap dyú ool tot', egn, añò l'arßaнатвохейава, оть проова б хосноє діохвіто. Il concetto di Calba accennato in questo passo M. non avrebbe potuto averlo se non a Roma, dopo essere steto da lui richiamato ed averne sperimentato il governo assai mite inconfronto del precedente. ZELLER cita anche (come il MoNasEN, Ind. plin.) Tac., Hist. Ma questo luogo non proverebbe. È un evidente errore quello di Girolamo, all'anno M. philisophum de exilio revocat/ Giacché nella cacciata Musonio fu eccettuato, e rimase sempre in Roma sotto Vespasiano.Il CHRIST, Gesch. d. griech. Litter., Nördlingen, dice che Musonio torna in Roma sotto Trajano! -Molto probabilmente allora era morto. TAc., Hist., IV, Hist., III, 80,Tac., Hist. Miscuerat se legatis... ». Egli non era dunque propriamente un legato.prodie tot, il vole di grinto rogu latativo. Bai minciava sompre Era stato consul suffectus sotto Claudio nel 52; e apparteneva forse alla famiglia Servilia (Ephem. Epigr.). Sua figlia infatti si chiamava Servilia. Crimini dabatur amicitia Plauti et ambitio conciliandae provinciaead spes novas. Tac. O 8è On MOÚTAOS Eri uE to duxopaurig nal xpipara Nai tudE EraßEpostquam pecunia reclusa sunt. di Tac.. Barea Sorano dovette volgersi allo stoicismo dopo il 52, perchè in quest'anno lo vediamo (TAc., Ab exc.) autore di quel senatoconsulto (Pul-NIo, Ep., e SvEr., Claud.) in cui si decretavano le insegne pretorie e 150 milioni di sesterzi a Pallante. Chi consideri il modo onde Plinio parla di quel S. C., uno stoico non avrebbe commesso un tale atto; mentre poi TAcITo, Ab excessu, dice che Cicerone volle distruggere la virtù stessa, virtutem ipsam excindere concupivit, con l'uccidere Trasea e Sorano.(4). Tum invectus est Musonius Rufus in P. Celerem, a quo Baream Soranum falso testimonio circumventum arguebat. Tac., Hist. Il nome d'Egnazio, come s'è visto più su, rimase tristamente celebre come sinonimo di delatore e traditore vilissimo. Lo dimostrano le frequentiallusioni di Giovenale. Justum officium [Nipperdey) explesse Musonius videbatur • Tac., Hist., IV, 40. Per la condanna della spia cfr. DIONE-SirIL., e lo ScHoL. di Giovenale ad Sal., I, 33. - TAcrro, l. c., continua: • Diversa [da quella di Musonio] fama de Demetrio Cynicam sectam professo, quod manifestum reum ambitiosius quum honestius defendisset Ma è da sospettare che Tacito abbia confuso il Demetrio cinico, onorato da tutti gli stoici migliori del tempo (cfr. Ab exc.), col Demetrio causidico, delatore di Nerone, ricordatodallo ScuoLIAsTE di Giovenale, ad Sat., Tac., 1. c. DIoNE-SIFIL., LXVI, 18.(5) Orat. XIII, 178.SvEr., Vesp. ingenia et artes vel maxime fovit ..Epist., III, 11. Le lettere del lib. III di Plinio devono essere state scritte tra il 101 o il 102, secondo il MouMsEN, Zur Gesch. d. junger. Plinius, nell' Her. mes, III, 1869, p. 40 (v. lo stesso studio con aggiunte nella Biblioth, de l'école des hautes étude, trad. par Morel, Paris, Franck, Sulla vita di Musonio non v'è che la vecchia Dissertatio de M. R. di NIEUWLAND, ristampata innanzi a C. M. R. Reliquiae et apophthegmata, cum ann. ed. F. VENHUIZEN PEERLKAMP, Harlemi, e uno scritterello del REINACH, Sur un témoignage de Suidas relatif à Mus. R., in Comples rendus de l'Acad. des inscriptions et belles lettres. Rufo (si veda). Tito Musonio Rufo. Gaio Musonio Rufo. Keywords: Etruria. Luigi Speranza, “Grice e Musonio”, The Swimming-Pool Library. Musonio.

 

Luigi Speranza -- Grice e Mussolini: la ragione conversazionale e la storia della filosofia di Lamanna – la scuola di Dovia di Predapio -- filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Dovia di Predapio). Filosofo italiano. Dovia di Predapio, Forli-Cesena, Emilia-Romagna. QUADERNI DELL'ISTITUTO NAZIONALE  FASCISTA DI CULTURA. CARLINI, LA FILOSOFIA DI M. ISTITUTO NAZIONALE FASCISTA DI CULTURA, ROMA, tipografia del Senato di Bardi Ci proponiamo di mettere in rilievo, in rapidi cenni, un aspetto non ancora studiato della personalità del nostro duce: il sua ‘filosofia,’ quale si  può desumere da’ suoi atti. In verità, i biografi di  lui, indagando il periodo della formazione della sua personalità, non hanno trascurato questo lato. Discepolo di  Nietzsche è definito anche recentemente. Egli stesso  riconosce in Pareto un altro suo maestro; e tutti [Il presente studio vuol essere soltanto un saggio, anzi una semplice  indicazione di un aspetto della personalità del duce: aspetto implicante  svariati e importanti problemi del pensiero fascista. Per uno studio più  ampio giover moltissimo la nuova, accurata, edizione de’ suoi scritti a cui  s’è accinto l’editore Hoepli. M. ricorda il periodo della sua vita e della storia italiana da lui  vissuta vertiginosamente, e aggiunge. Molti discorsi e  scritti sono legati al movente che li provocò : sono di circostanza ». L’editore, anch’egli, dice che l’edizione « conterrà tutto ciò ch’è destinato a lassare alla storia, nella forma originaria più ampia: eliminati, quindi, i  discorsi dei quali esiste solamente il riassunto ». Ci sia permesso di esprimere l’augurio che accanto a questa edizione fatta per il gran pubblico si  trovi modo di raccogliere anche gli scritti minori o frammentari, i quali  sono talvolta, per lo studioso, più preziosi di quelli maggiori e più elaborati: oltre di che il desiderio della compiutezza non sarà mai soverchio per  conoscere un uomo di così ricca e singolare personalità.   I riferimenti vengon dati qui alle edizioni correnti degli Scritti e Discorsi, la maggior parte nell’edizione Alpes.   La prima -parte di questo studio (qui riveduta e appena ampliata in  alcune note) uscì su la « Nuova Antologìa » del 1° gennai» 1934. Nuova è  l’A ppendice.sanno che nell’elenco bisognerebbe mettere Renan, Sorci,  e molti altri, ai quali, anche se non vanno tra i filosofi  nel più stretto significato della parola, non si può negare  il merito di avere influito, più o meno efficacemente, anche  std movimento del pensiero speculativo nell’ultimo Ottocento o ai primi di questo secolo: nel periodo, appunto,  della formazione mentale e spirituale di M.. E come  non aggiungere qui il nome di Marx, e di Prudhon, e di  Stirner, e non ricordare la letteratura che fu comune, in  quel tempo, a tutti coloro che guidavano il movimento  socialista e s’ispiravano alle opere, allora divulgatissime,  degli apostoli della rivoluzione? Tempo, quello, di rivoluzioni sociali, alimentate anche da un pensiero filosofico  e religioso che lavorava nel loro seno nascostamente. Positivismo e anticlericalismo tingevano, allora, l’atmosfera, abbuiando più che chiarendo ; ma nel buio, nel tramonto delle  idee che avevano governato per tanti secoli la storia, balenavano qua e là lampi di nuove idee e forze spirituali. Era  una continuazione e imo sviluppo, in fine, della rivoluzione  francese: continuazione e sviluppo, ch’è nel fondo ancora  del pensiero e della vita contemporanea, non ostante le critiche e revisioni a cui è stata sottoposta.   Ma noi non di questo vogliamo occuparci: se ci mettessimo in quest’ordine di ricerche storiche, potremmo, si,  avere la soddisfazione di veder sorgere e ingrandire la  personalità e mentalità di M. lungo una linea di  coincidenza con il movimento della storia, sì che il <( fenomeno )) di lui verrebbe illustrato e spiegato, dal lato almeno delle idee, del tutto naturalmente. Si potrebbe, ad  esempio, per la parte filosofica, rifarsi al bergsonismo,  al pragmatismo, all’influsso esercitato su tutti i campi della  cultura dal nuovo pensiero idealistico italiano, e inquadrare li dentro anche il pensiero di M.. E per la  parte riguardante il problema religioso, similmente: citare  tutti i documenti che alla fine del secolo scorso e nel primo  decennio di questo accennavano già ad una considerazione più rispettosa, più intelligente, dei valori spirituali contenuti nella fede religiosa; e ricordare la rinascita improvvisa di sentimenti, che parevano sepolti e obliati, in quel  grandioso esame di coscienza dei popoli che fu la guerra  mondiale. E via via.   Ma per questa via noi non vogliamo metterci, perché  essa ci condurrebbe, sì, a spiegare il « fenomeno M. », ma il (( fenomeno », appunto, il (( fenomeno storico » : non quello che c’è di proprio suo, nel suo pensiero, in sé e per sé, indipendentemente dagli influssi  subiti. Invece, noi proprio a questo vogliamo guardare.   Noi ci poniamo, dunque, questa domanda : c’è, in M., un germe di pensiero che da rm punto di vista filosofico, anche nel più rigoroso significato del termine, abbia  qualche importanza per originalità e capacità di ulteriori  sviluppi? E c’è in lui, nel suo atteggiamento verso la questione religiosa, qualcosa di nuovo, che accenni ad una  possibilità di rinnovamento di idee e sentimenti, anche in  questo campo di secolari, anzi millenarie, lotte e discussioni?    ^ >{s >{s   La nostra intenzione è di essere, per quanto è possibile,  obiettivi, e di tenerci dentro all’argomento, non sconfinando in altri campi : di trattare la questione, come si dice,  tecnicamente. Non eviteremo neppure la pedanteria delle  citazioni, dove saranno necessarie.   E cominciamo, secondo la vecchia buona norma scolastica, dal dubbio. Non può ben risolvere le questioni,  disse Aristotele, se non chi, prima, ha dubitato, veduto il  prò e il contro. Il dubbio a metodico », in questo senso, è,  come si vede, ben più antico di Cartesio.   Il (( contro » è buono ognuno ad addurlo : Mussohni è  un politico, non è un teoretico, un elaboratore di concetti,  un costruttore di un sistema di idee da inserire in quella  storia peculiare dove si parla di Talete, di Platone e di  Aristotele, (fi Cartesio, di Kant e di Hegel. Senza un tal  carattere teoretico, che fa della filosofia una scienza, la  quale, come ogni altra scienza, ha il suo vero significato  in una storia sua propria, nella storia della filosofia stessa,  senza un tal carattere e valore del pensiero, non si può  parlare di filosofia. Il temperamento M.ano è, anzi,  all’antitesi di ogni atteggiamento speculativo: tutto volto  alla realtà concreta della vita, della storia, dei fatti, per  dirigerli e dominarli. Di metafisica, di costruzioni astratte,  di schemi e ideologie (a questo volgarmente vien ridotto  il lavoro del filosofo), nessuna traccia nel suo pensiero,  nessun appiglio nel suo temperamento. Egli ha detto una  volta, sia pure per buon umore, ma tradendo, in fondo,  una sua convinzione, che « i filosofi risolvono dieci problemi sulla carta, ma sono incapaci di risolverne imo solo  nella realtà della vita )).   La filosofia gli sa di « scuola », di dottrine e dottrinari,  con relative cattedre e ristrettezze mentali e d’animo. Onde  ha sempre consigliato i giovani di (( rapidamente assimilare », ma (( di espellere non meno rapidamente » la cultura universitaria. L’intelligenza è buona cosa, ma deve  essere adoperata (( per fare la critica del socialismo, del  liberalismo, della democrazia » : per illuminare le menti,  dal punto di vista fascista, su i problemi della vita contemporanea. Se no, se l’intelligenza fosse impiegata a criticare (( tutto ciò che di criticabile vi è in un movimento  così complesso come il movimento fascista, allora io vi  dichiaro schiettamente che preferisco al cattedratico impotente lo squadrista che agisce » {Discorso alVAugusteo,  21 giugno 1925).   In conchiusione: il suo interesse è puramente pratico;  anche se stima e promuove la cultura, compresa in (juesta  la filosofia, anzi a cominciare da essa, lo scopo è sempre  per le conseguenze e ripercussioni politiche, non mai per  il valore del pensiero in sé e per sé.  Similmente si deve dire per il problema religioso. M. è un laico, un purissimo laico. Della religione comprende e sente il lato umano e storico in generale: no»  ha mai lasciato trapelare un interesse a questioni dogmatiche, anzi s’e guardato accuratamente dall’entrarvi anche  quando l’occasione gli veniva offerta naturalmente. È vero  che con lui il nome di Dio risuonò, forse per la prima  volta, solenne e ammonitore, nella fredda e grigia aula  del Parlamento. È vero che si deve a lui la distruzione in  Italia della Massoneria, e la Conciliazione col Vaticano.  Ma queste imprese non furono da lui eseguite, e di fatto  giustificate, con ragioni che non fossero essenzialmente politiche e sociali. E se pure si ha da concedere qualche valore religioso alla invocazione di Dio, essa non va più in  là di una fede in un principio del tutto indeterminato,  troppo più vicino al vago principio di una fede di stile  mazziniano, che a quello ben definito, preciso e impegnativo, del Cristianesimo, anzi del Cattohcismo. Senza dire  che, anche per la parte, diciamo così, pratica, nessun uomo  sembra più alieno dall’atteggiamento ascetico e mistico proprio delle anime veramente e profondamente religiose, che  0 si ritirano dal mondo, 0 nel mondo vogliono vivere  solo per onorare e amare Dio. Qui « il seguace di Nietzsche )) si rivela senz’alcuna ombra di dubbio e di possibili  cavilli: la morale del Fascismo da lui fondato è tutta  un’esaltazione di principii fondamentalmente pagani, come  già molti hanno messo in rilievo.   * *   Tutte queste cose sono state dette, oppure è facile dirle:  queste, ed altre somiglianti. Se non che, proprio perché  sono facili a dire, e sono state dette facilmente, sorge in  ognuno spontaneo il sospetto della loro superficialità, e  quindi, poiché la superficialità è sempre falsa, della loro  non verità.  Il discorso vale, in primo luogo, per quella concezione  puramente teoretica della filosofia, come di una scienza  avulsa dalla vita: oggi anche ogni mediocre studioso di  filosofia sa che, se pur c’è mai stata una tale aridità (non,  certo, nei veri filosofi, nei maestri), tutta la speculazione  contemporanea è diretta contro di essa. Chi definisse la  filosofia come lo sforzo supremo d’impadronirsi delle ragioni della vita, definirebbe quel ch’è il segreto del filosofo moderno, il tormento profondo del suo pensiero e  della sua vita stessa. Segreto e tormento, del resto, che non  è una prerogativa di colui che noi chiamiamo « filosofo )) ;  ma è prerogativa e gloria dell’umanità pensante, di cui  la storia della filosofia è soltanto la documentazione, ed  i singoli grandi filosofi sono soltanto gli esemplari più  cospicui, F, sono per questo, anche, i più grandi educatori  del genere umano (1),   È negli scolari e passivi ripetitori che la filosofia, svuotata della vita che l’animò, diventa sistema, dottrina, astrazione, metafisicheria: e contro di essa, allora, ben vengano  — che son salutari — i motteggi ed i sarcasmi. Alle altre  scienze si può perdonare se si astraggono dalla vita (coine,  se no, far della fisica e della matematica?): alla filosofia,  no, E non astrarsi dalla vita, non basta: ché, questo, è il  lato soltanto negativo. Bisogna viverci dentro, prima di  filosofarci su {primum vivere), o, piuttosto (ché il prima  e il dopo son modi di dire volgare), bisogna vivere e pensare insieme, con intensità di vita e insieme con profondità di pensiero.    (I) Nel discorso su la Conciliazione, alla Camera, M., parlando  della riforma Gentile, disse : « Io credo che, più che la filosofia, è interessante la storia della filosofia, e più ancora della storia della filosofia, la vita  dei filosofi :^il conoscere come hanno lottato, come hanno sofferto, come si  sono sacrificati per conquistare la loro verità. Questo è altamente educativo  per i giovani che si affacciano alla vita dello spirito ».  Ma la vita, si dirà, non è soltanto quella politica, né  al pensiero si offrono soltanto i problemi del socialismo  e del liberalismo. E noi risponderemo raccomandando di  non perdere il buon senso, e quindi di neanche supporre  che l’abbia perduto M.. Il quale deve essere persuaso più degli altri che fa la miglior politica colui che  non ne fa affatto: che bada a far l’ingegnere, se ingegnere; il professore, se professore; il poeta, se poeta; il  manovale, se manovale: ciascuno, a far bene il suo dovere,  nella famiglia e nella società, nella sua arte o vocazione  o mestiere per cui è nato. E sarebbe grottesco fargli dire  che tutti gli uomini di pensiero abbiano come unico argomento da svolgere la critica del socialismo e del liberalismo, l’apoiogia del Fascismo. Immaginate se la già enorme  (e, naturalmente, mediocre per la maggior parte) letteratura sul Fascismo dovesse accrescersi di quotidiane monotone trattazioni in piccoli o grossi tomi, per opera di  tutti coloro che hanno qualche barlmne d’intelligenza e  tengono una cattedra all’Università o nel movimento della  pubblica cultura! Non è questo, certamente, il senso del  discorso su accennato. È quest’altro, invece: che nessun  uomo di pensiero, che si senta italiano, può disinteressarsi dei problemi che sta vivendo e agitando il Fascismo  nel mondo; così come nessuno scienziato, e sia pure un  cultore del calcolo infinitesimale, può disinteressarsi dei  problemi che riguardano la vita e il valore dell’uomo. Tanto  meno, poi, il filosofo. Dal quale, tuttavia, non sarebbe corretto di esigere che, per questa maggiore vicinanza ai problemi della vita poUtica e morale, si trasformasse in scrittore, esclusivamente, di questioni economiche e sociali.  In Italia c’è un gruppo di giovani dalle menti educate  alla filosofia che fa questo, e lo fa bene. Ma, come nell’universo materiale in ogni punto s’incentra la realtà del  tutto, tanto più questa considerazione vale per l’universo  spirituale: i problemi della filosofia hanno tutti un’intima  connessione con la vita ed una immancabile risonanza nell’azione, ma non tutti l’hamio in modo manifesto ed  immediato. Anzi, spesso, quanto meno un tal rapporto è  immediato ed evidente, tanto più è intimo e profondo.  Il filosofo trova soltanto alla fine, dopo un lungo giro di  pensieri che sembrano i più lontani dalle questioni della  vita quotidiana, soltanto alla fine trova una via soddisfacente alla soluzione di queste. Ne è prova ed esempio  anche la filosofia bergsoniana arrivata soltanto ora alla  questione sociale, morale e religiosa, dopo di essersi lungamente indugiata in problemi che parevano del tutto  alieni.   I problemi della filosofia si illuminano e ravvivano  l’un l’altro, e nessuno ha luce e vita per sé. Essi si debbono, come si dice con termine tecnico, mediare fra loro.  Prenderne uno, esclusivamente, separato dagli altri, è precludersi la via a intenderlo veramente. Questa, forse, è  anche la ragione della insoddisfazione che ci resta delle  molte teorie avanzate, pur da uomini d’ingegno e di dottrina, su lo Stato fascista e su i problemi da esso suscitati. La superiorità di M., invece, non soltanto  come uomo politico, ma anche come pensatore, è la consapevolezza della risonanza che hanno nello Stato tutti i  problemi della vita spirituale. Noi, ripetiamo, vogliamo essere obiettivi, tecnici. Rimosse le volgari obbiezioni, concediamo senza fatica che  nella specificazione delle varie forme dell’attività umana  (non entriamo in discussione sul valore di queste distinzioni), filosofo, propriamente, è colui che più degli altri  persiste nell’atteggiamento critico-teoretico del pensiero e  della riflessione sui problemi della vita e della storia  umana. Noi, quindi, non abbiamo nessuna diflicoltà a presentare la nostra tesi nei termini più modesti: l’interesse  predominante dello spirito M.ano è, senza dubbio,  pratico-politico; ma in lui è vivissima la consapevole esigenza anche del valore del pensiero in sé e per sé, della  considerazione della vita sub specie aeternitatis, propria  della filosofia e della religione (1). Ma spingiamo la nostra  tesi anche un po’ più in là: l’esperienza della vita e del  mondo storico, da lui vissuta con potente e originale personalità, dà anche al suo pensiero una nota di originalità  potente, della quale è possibile uno sviluppo in sede puramente teoretica. Queste due parti della tesi sono, tuttavia, da dimostrare.   Per la prima, si potrebbe addurre l’interesse confessato per la filosofia, per la storia della filosofia e delle  questioni religiose, sin dalla prima giovinezza, quando  leggeva La morale dei positivisti dell’Ardigò e la Storia  della filosofia del Fiorentino, e più tardi, quando scrisse  per suo conto una storia della filosofia, un libro su Giovanni Huss, un abbozzo su le origini del Cristianesimo.  Ma, poiché i documenti ci mancano quasi del tutto, non  giova insisterci.   Le prove, invece, abbondano ne’ suoi scritti più maturi. Quante volte ha ripetuto che il Fascismo <( non è  soltanto azione, è anche pensiero » ; e che, pur rinunciando a formule e schemi, il Fascismo « pena la morte  0 , peggio, il suicidio, deve darsi un corpo di dottrine »,  le quali (( non saranno, non devono essere delle camicie  di Nesso che vincolino per l’eternità, ma devono costituire una norma orientatrice » ! E nella lettera a M. Bianchi, del 27 agosto 1921 (si noti, nel periodo più intenso    (1) Vedi nel discorso commemorativo del Luzzatti (30 marzo 1927)  l’accenno a «le verità eterne, senza di che la lotta dell’uomo contro l’uomo,  di tutti contro tutti, finirebbe nel caos selvaggio e nel tramonto di ogni  civiltà». Arnaldo scrisse: «Egli ha saputo ricondursi alle grandi verità  divine che resìstono all’urto dei secoli». E Benito commenta: «Con queste  parole, Arnaldo dimostrava di conoscere le intime e tormentate battaglie  e vicende del mio spirito » {Vita di Arnaldo, pag. 57).  deH’azione rivoluzionaria), augurava che sorgesse presto  una (( filosofia del fascismo », e aggiimgeva; « Attrezzare  il cervello di dottrine e di solidi convincimenti non  significa disarmare, ma irrobustire, rendere sempre più  cosciente l’azione. I soldati che si battono con cognizione di  causa sono sempre i migliori. Il Fascismo può e deve prendere a divisa il binomio mazziniano : Pensiero e Azione ».  L’anno seguente (« Gerarchia », n. 3) forse gli sembrò  che una tale filosofia ci fosse già nel movimento idealistico italiano: « Questo processo politico è affiancato da  un processo filosofico: se è vero che la materia è rimasta  per im secolo su gli altari, oggi è lo spirito che ne prende  il posto. Tutte le creazioni dello spirito, a cominciare da  quelle religiose, vengono al primo piano... Quando si  dice che Dio ritorna, s’intende affermare che i valori dello  spirito ritornano ». In pieno Parlamento, infatti, egli  aveva fatto una specie di clamorosa professione di idealismo: ((Voi socialisti siete testimoni che io non sono mai  stato positivista, mai, nemmeno quando era nel vostro  partito. Non solo per noi non esiste un dualismo fra materia e spirito, ma noi abbiamo annullato questa antitesi  nella sintesi dello spirito. Lo spirito solo esiste, nient’altro  esiste: né voi, né quest’aula, né le cose e gli oggetti che  passano nella cinematografia fantastica dell’universo, il  (juale esiste in (pianto io lo penso e solo nel mio pensiero,  non indipendentemente dal mio pensiero. È l’anima, signori, che è ritornata » {Discorsi dal banco di deputato,  pag. 118: questo è del 1“ dicembre 1921).   L’accenno al problema gnoseologico, alla centralità  del pensiero conoscitivo nel problema della realtà del  mondo, non è il punto che più interessa qui; l’adesione  all’idealismo è data sopratutto, io credo, per lo spiritualismo implicito in esso. Questo è un punto che ancor oggi  presenta le maggiori difficoltà.   Ad alcuni sembra (secondo chi scrive, giustamente) che  il carattere gnoseologico predominante nell’idealismo, mentre non arriva a dar ragione di quella ch,’è la realtà oggetto dell’esperienza comune e delPindagine scientifica,  nello stesso tempo impoverisca e disperda in schemi logici  (la dialettica) rintimità della vita spirituale e il senso del  mistero, del Trascendente, in essa implicato.   Di queste difficoltà M. non sembra inconsaper  vole, come dimostra il discorso tenuto il 31 ottobre 1926  al Congresso degli scienziati. « Qualche volta mi sono  posto dinanzi al fatto scienza, per vedere la mia posizione personale, la posizione del mio spirito di fronte a  questo fatto: prima di tutto per definirlo. La mia definizione non dico che sia quella esatta, e potete anche respingerla, se la trovate inesatta, oppure insufficiente: credo  che sia Pindagine e il controllo dei fenomeni che cadono  sotto la nostra sensibilità e sotto quella degli strmnenti  che noi possiamo adoperare... Dove può arrivare la scienza?  Molto in là. Il secolo diciannovesimo ha fatto fare un  balzo enorme alla scienza... Non c’è dubbio che la scienza  tende al massimo fine; non c’è dubbio che la scienza,  dopo avere studiato il mondo dei fenomeni, cerca affannosamente di spiegarne il perché. Il mio sommesso avviso  è questo: non ritengo che la scienza possa arrivare a  spiegare il perché, e quindi rimarrà sempre una zona di  mistero, una parete chiusa. Lo spirito umano deve scrivere su questa parete una sola parola: Dio. Quindi, a  mio avviso, non può esistere un conflitto fra scienza e  fede. Queste sono polemiche di venti o trent’anni fa. La  filosofia ha il suo campo, quello dello spirito. Vi è una  zona riservata alla meditazione dei supremi fini della vita.  Quindi, la scienza parte dall’esperienza, ma sbocca fatalmente nella filosofia e, a mio avviso, solo la filosofia può  illuminare la scienza » (1).    (1) Il testo, forse preso da nn resoconto stenografico, non deve essere  stato riveduto; ci siamo permessi qualche ritocco. Il problema è troppo grave e complesso per discuterne qui, tanto più che, come s’è detto, res sub judice  adhuc est. Ma i termini di esso sono ben quelli posti da  M.: il mondo della conoscenza e della scienza è  (juello dell’esperienza sensibile (così come il mondo della  vita sociale e politica è quello del sentimento e della volontà); il problema dello spirito (nel quale, del resto,  sboccano alla fine tutti gli altri problemi) è il problema  proprio della filosofia: problema filosofico cb’è insieme  un problema religioso.   Si comprende, quindi, il tono diverso del discorso tenuto  il 26 maggio 1929 al Congresso dei filosofi: rivendicato  il merito del Fascismo per i valori dello spirito e della  cultura; e riaffermata la sua convinzione su l’importanza  della filosofia cbe, se fatta in mezzo alla vita contemporanea, (( serve ad animare gli orientamenti pratici dell’azione quotidiana », riconosce cbe c’è un lamento generale, in Italia e fuori, perché l’arte e la filosofia sembrano  in un periodo di decadenza : « Siamo in im periodo di  transizione, siamo in un periodo nel quale, per necessità  contingenti, siamo affaticati da problemi di ordine empirico materiale... D’altra parte, io penso che la grande fioritura dello spirito non sia lontana: io credo che fra qualche tempo avremo una grande filosofia, ima grande poesia, una grande arte. I materiali per questo si stanno elaborando proprio mentre noi parliamo ».   Quali sono questi materiali che si stanno elaborando, e  da cui dovrà sorgere una nuova grande filosofia, secondo  il pensiero e le speranze di Mussohni?   Comincia di qui la parte più difficoltosa del nostro  argomento, perché, mancando accenni più espliciti, dobbiamo servirci più d’induzioni che di dimostrazioni. Ci  soccorre, tuttavia, una tale abbondanza di documenti che  permette di arguire, con sufficiente approssimazione, quale  sia la sua intenzione.  Anzitutto è chiaro che una parte almeno di quei materiali deve essere costituita da quanto di meglio possono  offrire i principali indirizzi del pensiero filosofico contemporaneo. E però la mente corre, in primo luogo, a  quelle correnti dipensiero che anche in Italia ebbero  grande divulgazione al principio del secolo, e alle quali  anche M., in via diretta o indiretta, deve qualcosa  per la formazione della sua mentalità : vogliam dire il contingentismo, il bergsonismo e il pragmatismo.   Abbiamo citato dianzi la sua affermazione di non  essere stato mai positivista, ma, nello stesso tempo, abbiamo usato la maggior cautela per non presentarlo, quindi,  senz’altro, coirne un idealista. Questo binomio, o dilemma  che dir si voglia, vale meglio per la generazione, cresciuta  subito dopo, esclusivamente dentro l’atmosfera dell’idea-  Jismo italiano. M. s’è formato, in un primo tempo,  dentro il clima mentale europeo; e però non è stato mai  positivista perché ha compreso subito la vitalità e fecondità di cpiella critica del positivismo che veniva eseguita,  pm* dentro di esso, dagl’indirizzi di pensiero ora ricordati.  I risultati principali di quella critica ftuono questi: la  realtà del mondo, non più veduta negli schemi intellettualistici del determinismo scientifico e del pesante grossolano positivismo, a sfondo materialistico, ma ravvivata dal  senso della novità e della creazione, per cui il fenomeno  si presenta sempre come qualcosa di singolare; il primato  dell’intuizione che meglio di tutte le analisi concettuali  coglie l’intimità delle cose e quella vita della coscienza  in noi che, sola, ci guida a intendere lo slancio vitale che  pervade il mondo della natura; il primato, quindi, anche  dell’azione, come pensiero volitivo che realizza in concreto il mondo inserendovi l’evento e il fatto talora  decisivo.   Non è il luogo, questo, per mettere in rilievo (e d’altronde appartiene alla cultura filosofica corrente) quanta  "vivacità e freschezza di idee fossero contenute in tale mo-    Quaderni vimento di pensiero, che contribuì come nessun altro mai  nella storia delia filosofia a dileguare dalle menti secolari  abitudini scolastiche, a render più agile e penetrante Tin-  telligenza, a dar vita nuova alla cultura, a far sentire la  superiorità dell’azione su un pensiero astrattamente speculativo.   Ma neppure è il caso di indugiarci a mostrare i difetti  e le deficienze di quel movimento di pensiero che, pur  criticando il positivismo, restava preso nell’orbita dei suoi  problemi e del naturalismo in essi dominante. Il contingentismo ha avuto la sua migliore applicazione nella nuova  scienza fisica, che segna il tramonto della vecchia concezione del determinismo materialistico. Ma fuori di H non  potè e non può andare: quando,- già nei fondatori, si provò  a ricavare qualche conseguenza d’ordine metafisico, di  quelle « verità eterne )) che reggono, non i fenomeni fisici,  ma la vita deU’uomo, riuscì ben misera cosa. Ma lo stesso  si deve dire del bergsonismo, e molto più del pragmatismo.  Quell’intuizionismo conchiudeva in una svalutazione, non  solo della scienza, governata esclusivamente da motivi pratici, ma della stessa vita cosciente, ridotta a un « fluire »  evanescente, a cui soltanto la mirabile arte dello scrittore  prestava tesori di suggestioni.   E che dire di quel vuoto ed e ffim ero pragmatismo, a  cui qualcuno ancor oggi tenta di fare buon viso? L’azione  per l’azione è come l’arte per l’arte: una frivolezza.  L’azione, svuotata del suo contenuto ideale e del pensiero  che la illumina e guida, diventa il principio di un volgare  e inconchiudente praticismo.   Veniamo aU’idealismo italiano. Qui siamo in un ambiente del tutto diverso, e in casa nostra, per cui, non  soltanto la grandezza della costruzione (che ha posto, d’un  tratto, l’Italia in prima linea nel movimento del pensiero  filosofico contemporaneo), ma anche carità di patria ci  persuade a utilizzare quanto più materiale si può. A noi  sembra, infatti, che la mentalità mussohniana abbia assor- l»ito, e fatto propria sostanza, ciò che ha di più veramente originale e duraturo quest’idealismo: Vacuto senso  storico dei problemi e la concezione spirituale della  vita ( 1).   Anche qui, anzi qui a maggior ragione, dobbiamo resistere alla tentazione di allungare il nostro studio con citazioni di pensieri e di atteggiamenti M.ani, che balzano alla memoria in folla. I suoi scritti e discorsi, e quegli  atteggiamenti rivelatori del suo orientamento mentale così  nelle grandi questioni internazionali come nel più modesto travaglio intorno ai dati della statistica, sono ben  vivi e presenti al pensiero e al cuore di ogni italiano,  anche se la riflessione comune inclini a trasvolare su i  particolari per coglierne e sentirne l’animazione del tutto.   Piuttosto, fermiamoei un momento per determinare i  limiti entro i quali quei prineipii dell’idealismo trovano  un’eco nella mentalità M.ana. La questione (ripetiamo ancora una volta) è oltremodo difficoltosa, perché  si tratta di cosa non ancora da lui dichiarata e definita:  sì che si corre il rischio di sembrare che si voglia sostituirsi a lui nell’interpretazione del suo pensiero, ovvero  (peggio che mai) sovrapporgli vedute nostre personali. Noi  faremo del nostro meglio per evitare entrambi gli inconvenienti.   Osiamo, dunque, fissare questi punti, a nostro avviso,  di fondamentale divergenza del pensiero M.ano da  quello idealistico. In primo luogo, la sua lontananza dalla  concezione idealistica in quanto questa è ispirata ad un  assoluto storicismo che erige metafisicamente la Storia al  signifieato e valore dell’Assoluto. Questa metafisica, che  si risolve in un « panteismo storico », non è, ci sembra.    (1) Come espressione estrema della sua adesione all’idealismo si debbono considerare le prime pagine dello scritto La dottrina del Fascismo. nella convinzione di M.. Il quale, giustamente, per  quanto riponga tutta la dignità dell’uomo e della storia  nel valore spirituale, ha troppo preciso e sicuro il senso  della finitezza deU’umano: del limite che, mentre potenzia  il pensiero e l’azione dell’uomo, ne delinea insieme esattamente i confini. In altri termini, egli ha una concezione  più veramente storica della Storia.   Ma, appunto per questo, egli si trova ad ugual distanza da quella specie di « umanismo teologico « che in  alcuni idealisti è rimasto come residuo deU’hegelismo. È un  idealismo, questo, di carattere fondamentalmente razionalistico. In questo punto. M., se non c’inganniamo,  tradisce il carattere schiettamente cattolico della sua mentalità: se un Dio ci ha da essere, se c’è, meglio che sia  quello religioso del Cristianesimo, del Cattolicismo. Qui si  passa, quindi, ad una considerazione apparentemente opposta alla precedente: l’idealismo è troppo « umanistico )>:  il suo razionalismo affievolisce e smorza nell’uomo l’impulso aUa lotta e al sacrificio, l’anehto del futuro, il senso  <( pericoloso » della vita, l’audacia dell’iniziativa e il gusto  dell’eroico.   Nell’uno come nell’altro caso l’uomo è agito dalla  Storia, dallo Spirito Universale, da una « dialettica » che  per (( deificarlo )) istrada ogni sua azione e pensiero lungo  una legge impersonale che ha la rigidezza del fato (1), e  lo spersonalizza. All’i mm anentismo, storico o razionalistico, manca una parola magica: la fede. Se la usa, ne  storpia il significato.    (1) «La storia non è un itinerario obbligato: la storia è tutta contrasti,  è tutta vicende » (Discorsi della rivoluzione, pag. 75). Proprio per questo,  poi, essa non può esser lasciata in balìa di se stessa, secondo che vorrebbe  la crociana «religione della libertà». Di qui la necessità dello Stato, e  degli Stati. Pronunziare questa parola, tuttavia, è presentare il problema più arduo e assillante per l’attuale coscienza contemporanea. M. lo sente, lo dichiara. Ci è venuto, a  questo problema, lentamente: « Nella gioventù io non credevo affatto: avevo inutilmente invocato il nome di Dio »  (Ludwig, Colloqui, pag. 224). Nel 1922, invece, già afferma:  « Se il Fascismo non fosse una fede, come darebbe lo stoicismo e il coraggio ai suoi gregari? Solo una fede che ha  raggiunto le altitudini religiose, può suggerire le parole  uscite dalle labbra ormai esangui di Federico Florio».  («Popolo d’Italia», 19 gennaio). «Non si può compiere  nulla di grande se non si è in stato di amorosa passione,  in stato di misticismo religioso » [Discorso alla Scissa di  Milano, 5 ottobre 1922).   Fede dell’uomo in se stesso? E fede del fascista nell’idea stessa del Fascismo? Certamente, anche questo.  « Può » — gli domanda Ludwig (pag. 224 di Colloqui) —  « un discepo'lo di Machiavelli e di Nietzsche aver fede? ».  M. gli risponde: «In se stesso: ciò sarebbe già  qualcosa». E in «Gerarchia» [Viatico per il 1926): «Il  Fascismo vince e vincerà finché conserverà quest’anima  ferocemente unitaria e questa sua religiosa obbedienza,  questa sua ascetica disciplina. Fede, dimque, non relativa,  ma assoluta ».   Ma l’assolutezza di questa fede nell’Idea esclude la  fede propriamente religiosa, in Dio, o, piuttosto, la presuppone? La fede in se stesso, che direbbesi meglio « fiducia », se non ha da essere mero calcolo delle proprie  forze, non potrebbe essere alimentata da una forza superiore, ossia da una fede schiettamente religiosa? Al filosofo idealista questo sembra un problema insolubile: o  si ha fede nelle proprie forze, egli dice, e si può procedere all’azione ; ovvero «nelle proprie forze non si ha fede,  e allora nasce la sfiducia e l’inattività. Il dilemma, come sono tutti i ragionamenti fatti a fil di logica, è troppo  semplice: lo spirito umano è molto più sottile e complicato di ogni dialettica e di ogni logica astratta. Vediamo  se dal pensiero di M. possiamo ricavare qpialche  luce.   Qualche volta egli ha accennato a un processo interiore come a fonte comune così della politica come dell’arte. Alla prima mostra del Novecento italiano (15 febbraio 1926) disse: «Ieri sera, dopo avere attentamente  esaminata la Mostra, alcuni interrogativi hanno inquietato il mio spirito. Ve li accenno brevemente perché voi  ne facciate oggetto di meditazioni necessarie. Primo, quale  rapporto intercede tra la politica e l’arte? Quale tra il  politico e l’artista? È possibile di stabilire una gerarchia  fra queste due manifestazioni dello spirito umano? Che  la politica sia un’arte, non v’è dubbio. Non è, certo, una  scienza. Nemmeno mero empirismo. È, quindi, un’arte.  Anche perché nella politica c’è molto intuito. La creazione  politica, come quella artistica, è una elaborazione lenta e  una divinazione subitanea. A un certo momento l’artista  crea coll’ispirazione, il politico con la decisione. Entrambi  lavorano con la materia e con lo spirito. Entrambi inseguono un ideale che li pungola e li trascende » ( 1).   Egli prosegue domandandosi se la guerra e il Fascismo  abbiano lasciato tracce nell’arte : (( Il volgare direbbe di  no perché, salvo il quadro A noi, non c’è nulla che ricordi e — ohimè! — fotografi gH avvenimenti trascorsi  o riproduca le scene delle quali fummo in varia misura  spettatori o protagonisti. Eppure il segno degli eventi c’è.  Basta saperlo trovare. Questa pittura, questa scultura,  diversifica da quella immediatamente precedente in Italia.    (1^ Sembra in contraddizione, ma non Io è, la dichiarazione: «Fra tutte  le professioni la più affine al mio spirito è quella dell’ingegnere » (Saluto  agli elettrotecnici, 25 settembre 1926). Ha un suo inconfondibile sigillo. Si vede che è il risultato di una severa disciplina interiore» (1).   Questa « disciplina interiore » è, dunque, un punto  di coincidenza della pobtica e dell’arte, e risulta da  « un’elaborazione lenta e una divinazione subitanea ». La  politica, l’azione, non è (( mero empirismo ».   Parlando del Luzzatti, disse : (( Egli aveva navigato  per tutti i mari e negli oceani dello scibile umano, senza  cadere nelle secche dello scetticismo e della negazione,  perché egli credeva fermamente, e la fede è una sicura  bussola per ogni viaggio ideale ».   Di quale fede si parla qui? Di una fede, non v’ha dub  bio, schiettamente religiosa. Nella Vita di Arnaldo si dice;  <( Il giornalista diventa scrittore quando si interiorizza,  quando comincia a vedere le cose non più sotto l’aspetto  cinematico della contingenza, ma in quello della trascendenza; quando piega il capo per riflettere su i problemi  originari; quando, come nel caso di Arnaldo, portato da  un atroce dolore sulla cima, si sente come liberato dagl’impacci che lo legavano alla pianura e respira oramai nell’atmosfera delle cose infinite ed eterne. Il giornalismo  del quotidiano finisce e comincia la poesia. Poesia dell’amore e della morte; della speranza e della rassegnazione; della vita terrena e del di là seducente e consolatore » (pag. 61).   La precedente (( discipbna interiore » consiste, dunque, in questo (( liberarsi » da ogni esteriorità, vivere  <( nell’atmosfera delle cose infinite ed eterne », cercarsi    (1) Coloro che ancor oggi seguitano a invocare un’«arte fascista»,  hanno meditato abbastanza queste parole? Il discorso termina con una considerazione su l’arte che non ha nulla da invidiare, per finezza e senso d’interiorità, alle Estetiche oggi più celebrate; «Io guardo e dico: questo  marmo, questo quadro mi piace. Perché mi allieta gli occhi, perché mi dà  il senso dell’armonia, perché quella creazione vive ed io mi sento vivo in  lei, attraverso il brivido che dà la comunione e la conquista della bellezza ».     alla radice del proprio essere sino al punto in cui all’a a-  spetto cinematico della contingenza » subentra (( quello  della trascendenza » (1). Lì la poesia s’incontra con la  Religione.   L’immagine più divulgata di M., anche all’estero,  è quella di una potente e fiera e intransigente volontà:  egli è un « dominatore ». Chi non ricorda il motto : « agli  amici, tutto il bene, ai nemici tutto il male possibile » ? (2).  I Colloqui del Ludwig hanno ancor più divulgato il senso  suo della « solitudine interiore » (3), e il suo acuto pessimismo intorno agli uomini fatto di compassione e di disprezzo (4).    (1) Trascendenza, ch’è anche (s’intende!) immanente, come senso morale  e religioso, aU’uomo. In questo significato si parla ^immanenza nel discorso  su La Riforma legislativa (12 maggio 1928, al Senato): «E vengo allo Statuto. Bisogna intenderci, onorevoli senatori... Siamo sul terreno dell’archeologia o della politica? 0, se volete, siamo sul terreno dell’immanenza o su  quello della contingenza? Si è mai pensato che una costituzione od uno statuto possano essere eterni e non invece temporanei? Immobili e non invece  mntevoli?... Di immanente, onorevoli senatori, di eterno, non vi sono che le  leggi religiose. Il decalogo, ad esempio, è immanente: dieci articoli che vanno  bene per tutti ì popoli, per tutte le altitudini, longitudini e latitudini ».   (2) Il Bescson, nella sua opera recente, Les deux soiirces de la morale  et de la religion, dice: «Nous n’irons pas jusqu’à dire qu’nn des attributs  du chef endormi au fond de nous soit la férocité. Mais il est certain que la  nature, massacreuse des individus en méme temps que génératrice des  espèces, a dù vouloir le chef impitoyable si elle a prévu des chefs. L’histoire  tout entière en témoigne » (pag. 301). Cosi egli ha, in certo modo, spiegato  e inquadrato il principio nietzschiano della « volontà di potenza », facendone un principio della vita politica. Cfr. M. in Colloqui: a La tendenza all’imperialismo è ima delle forze elementari della natura umana,  appunto come la volontà di potenza » (pag. 63).   (3) (( Io non posso avere amici, io non ne ho ». Ludwig gli chiede  quando egli si sentì più solo: da giovane, fra i suoi compagni di partito,  ovvero oggi ch’è il Duce del Fascismo? «Oggi, disse egli senza esitare. Ma  anche prima: in fondo, fui sempre solo » (pag. 217).   (4) Vedi specialmente il Preludio al Machiavelli (in «Gerarchia»,  maggio 1924). Ma, di disprezzo, soltanto, egli dice (Colloqui, pag. 219), l’nn  per cento. Questo è l’uomo e il mondo guardato da un lato. Ma  M. ne eonosce anche un altro : eccolo. « Egli (Arnaldo) fu un buono-, il che non significa debole, poiché  la bontà può benissimo conciliarsi con la più grande forza  d’animo, col più ferreo compimento del proprio dovere.  Essa è il risultato di una visione del mondo, nella quale  gli elementi ottimistici superano i pessimistici, poiché la  bontà non può essere scettica, ma deve essere credente.  Rimanere buoni tutta la vita: questo dà la misura della  vera grandezza di un’anima! Rimanere buoni, malgrado  tutto. Il buono non si domanda mai se valga la pena: egli  pensa che vale sempre la pena. Soccorrere un disgraziato,  anche se immeritevole; asciugare una lacrima, anche se  impura; dare un sollievo aUa miseria, una speranza alla  tristezza, una consolazione alla morte: tutto ciò significa  non considerarsi estranei aU’umanità, ma partecipi —  carne e ossa — di essa : significa tessere la trama della simpatia, con fili invisibili, ma potenti, i quali legano gli spiriti e li rendono migliori » {Vita di A., pag. 111-112).   Siamo, dunque, passati d’tm tratto, da Nietzsche a Tol-  stoi? L’apparenza può essere questa, la realtà è tutt’altra.  Il principio nietzschiano s’è venuto trasformando nell’animo e nella mente di M. in un principio d’interiorità spirituale, che liberando l’uomo da ogni interesse  mondano lo innalza per questo stesso sul mondo e gli dà  la forza di dominarlo; ma, nello stesso tempo, raccogliendolo nella solitudine di se stesso, gli fa scoprire la  sorgente eterna d’ogni valore spirituale, la quale è, in  fine, anche, la fonte segreta della sua forza e azione nel  mondo (1).   Ciò ch’è grande nell’uomo, diceva Zarathustra, è Tesser  egli un ponte, non già una mèta. Questa nota « superumanistica )), come superamento del (( mero umanismo »,    (1) Cfr., 611 questo punto, Appéndice, II. è ben rimasta in M.. Così come lo spirito di spregiudicatezza mentale, Tantifilisteismo, rantidemocratismo,  l’avversione alla « vita comoda » e l’istinto « guerriero > 1 .  Ma egli non può più essere persuaso di quel baccanale  dell’Io in cui si risolve l’anticristianesimo del Superuomo  e il suo disprezzo per ogni tradizione morale e religiosa  dell’umanità (1). Il Titanismo, ancbe senza i fulmini più di  nessun Giove, si abbatte e distrugge da se stesso. Per lo  spirito eroico non basta la coscienza di possedere in sé  il principio creatore della realtà: ci vuole ancbe la coscienza di un principio superiore che dia valore permanente alla sua azione.   Quel dilemma, dunque, posto dal filosofo idealista è  falso. Il che non fa meraviglia. Può la filosofia, ossia il  pensiero critico, esaurire le ragioni della vita e della fede?  Se tale esaurimento riuscisse alla filosofia e alla riflessione, scomparirebbe, sì, la fede, ma con essa scomparirebbe anche la vita.   È misticismo, questo? Si, è misticismo. Fa paura la  parola? Fa paura al filosofo illuminista, non ha fatto  paura ad un filosofo come Bergson. C’è misticismo e misticismo, del resto: anzi, innumerevoli misticismi C’è quello  buddistico e c’è quello del Nietzsche (ch’è, anch’esso, un  misticismo, per quanto opposto all’altro). C’è un misticismo pagano e un misticismo cristiano: il Bergson ha  trovato in questo secondo la fonte autentica della moralità e della religiosità. C’è un misticismo protestante e c’è  un misticismo cattolico: questo secondo è il meno mistico  di tutti.   Coinè la pensa M. in questo punto? Lasciamo  a lui la parola.   (( Egli (Arnaldo) era im credente, ma non — com’egli  disse nell’ultima conferenza alla Scuola di Mistica fascista — credente in un Dio generico che si chiama talvolta per sminuirlo Infinito, Cosmo, Essenza; ma in Dio nostro  Signore, Creatore del Cielo e della Terra, e nel suo Figliuolo che un giorno premierà nei regni ultraterreni le  nostre poche virtù, e perdonerà, speriamo, i molti difetti  legati alle vicende della nostra vita terrena » {Vita di A.,  pag. 114).   Questa, la fede di Arnaldo. Quella di Benito segue poco  dopo : (( Tutto quello che fu fatto non potrà essere cancellato, mentre il mio spirito, oramai liberato dalla materia,  vivrà, dopo la piccola vita terrena, la vita immortale e  universale di Dio. Noi non abbiamo nessun interesse (e neanche competenza) a entrare qui in questioni teologiche. Ci basta di  aver dimostrato il nostro assunto: che il problema filo-    (1) Nei Colloqui del Ludwig, dopo di aver accennato alla possibilità  di «una soprannaturale apparizione», aggiunge: «Negli ultimi anni si è in  me rinsaldata la fede che vi possa essere una forza divina nell’universo. —  Urìstiana? —• Divina, ripete egli con un movimento della mano, che lasciò  la mia domanda in aria. Gli uomini possono pregare Dio in molti modi:  si deve lasciare assolutamente a ciascuno il proprio modo » (pag. 225).  Quella « forza divina nell’universo » non è in arnionia col principio d’interiorità puramente spirituale da noi precedentemente posto. L’oscillazione  spiega anche la sua ammirazione, su tutti i Dialoghi di Platone, per il  « sublime » Fedone, la cui prova dell’immortalità dell’anima — dopo di  averne esposto acutamente i punti centrali — reputò «incatenante, consolatrice, perfetta... di un’evidenza assoluta » (vedi Nota su l’immortalità del-  Panìma, in «Gerarchia», 1927). Così anche l’antitesi cristiana-divina potrebbe far supporre un’incertezza che, certamente, non è nel pensiero di  M.. 11 quale s’è espresso altrove diversamente. Parlando Per il settimo annuale della fondazione dei Fasci (28 marzo 1926), disse: «Il sacerdote di quella religione che è dei nostri padri e nella quale crediamo, ha  consacrato sessantasette gagliardetti dei vostri gruppi». Negli stessi Colloqui del Ludwig, ritornando su un argomento discusso già in Senato nel  discorso per la Conciliazione, è ribadita, sì, la sua opinione che, « se il cristianesimo non fosse giunto nella Roma imperiale sarebbe rimasto una setta    sofico e quello religioso sono tra i problemi più vivi nel  pensiero e ueU’animo di M.. E crediamo di aver raggiunta una sufficiente prova sia della prima e sia della  seconda parte della nostra tesi.   Ma, forse, la prova per la prima parte sembrerà raggiunta meglio che per la seconda. Quali germi di pensiero  nuovo e originale — si domanderà —, e fecondo di possibili sviluppi, sono contenuti in questo — diciam pure  così — spiritualismo fascista?   La risposta non può esser dubbia: lo spiritualismo  M.ano è orientato verso un principio di pura interiorità, in cui trovano la loro coincidenza i problemi insieme della filosofia e della religione, dell’arte e della vita  sociale-politica, della scienza e della storia lunana (1). Arrivati a questo punto, ognuno concederà che, a rigor  di termini, avremmo il diritto di fermarci. Il diritto, e    ebraica » ; ma, egli dice, « si deve aggiungere che tutto era preparato dalla  Provvidenza. Prima l’impero, poi la nascita di Gesù, e finalmente Paolo  apinodato a Malta e giunto qui. Sì, certo, così era predestinato da una Provvidenza che dirige tutto » (pag. 176).   Forse più caratteristica di tutte è la dichiarazione seguente: «Il cupi»  dissolvi non appartiene alla religiosità dei ruraR italiani. Il contadino italiano non si angustia troppo, per sapere se l’inferno c’è o non c’è. EgU si  mette in regola per il caso che ci sia, e basta» [Tempi della rivoluzione  fascista, pag. 79). D cupio dissolvi non è, certamente, del misticismo M.ano : ed è del tutto giusto che tale « religiosità dei rurali è perfettamente italiana ».   La Sarfatti l’ha giudicato bene: «Austero e rude, malgrado i suoi sporadici tentativi di rivolta, è in fondo un cattolico asceta-guerriero » [Dux,  pag. 105).   (1) Qui non si deve costruire: si dovevano soltanto indicare «i mate-  riaU » e « il punto di vista » che, presumibilmente, nel pensiero di Musso-  Rni, potranno servire alla filosofia da lui auspicata. Chi desiderasse una  prova ulteriore della origiuaRtà e fecondità deRo spiritnaRsmo mnssoR-  niano, potrebbe confrontarlo, ad esempio, con queRo deU’ultimo Bergson, il forse anche il dovere: ché, quando il filosofo si avventura  in campi estranei alla sua scienza, corre sempre il rischio  di sbandarsi. È, bensì, vero che la filosofia pervade tutta  la vita, tutti i campi della realtà; ma, cosi considerando  le cose, il filosofo si trova riportato al livello di ogni uomo,  e non sempre, allora, egli può competere con gli altri per  ampiezza e ricchezza di vita e di esperienza.   Ma lasciamo andare la questione dei diritti e dei doveri. Sta di fatto che questo saggio, per quanto voglia  esser modesto, non può terminare qui: non si può trattare  del pensiero di M. senza almeno un cenno al suo  capolavoro. Il capolavoro di M. è lo Stato fascista,  il quale è, bensì, un’opera di creazione politica, ma è  tutto permeato di pensiero e di convincimenti, che rivelano, a chi ben consideri, quello stesso atteggiamento filosofico e religioso che noi abbiamo cercato di ricostruire  dianzi sulla base de’ suoi scritti e delle sue dichiarazioni.  Noi abbiamo non solo il diritto, ma anche il dovere di  aggiungere, si potrebbe dire, la prova sperimentale della  tesi esposta precedentemente.   In corrispondenza con tale tesi, dunque, noi dovremmo  far vedere, in primo luogo, che non può comprendere lo  Stato fascista chi si pone da un punto di vista filosofico e  religioso diverso da quello del suo creatore; e in secondo  luogo, passando al lato positivo, che in tale creazione politica agiscono quegli stessi motivi originali di interiorità e  senso della trascendenza che noi abbiamo indicati prima  come posizione peculiare del suo atteggiamento mentale    quale, anch’esso, fa leva sugli stessi principi fondamentali dell’interiorità e  della trascendenza. Ma, mentre nel filosofo francese tale interiorità oscilla  fra biologismo e psicologismo, essa si pone nell’italiano, passato attraverso  l’idealismo, con la possibilità (non vogliamo dir di più) di una determinazione più pura. E similmente si dica per il Dio bergsoniano. Le differenze  si riflettono, poi, anche nella diversità di concepire la funzione dello Stato,  tanto dal lato sociale, quanto da quello della storia in generale.     e spirituale in rispetto a tutti i problemi della realtà e  della vita.   Come premessa comune a entrambi i lati del problema  cbe qui si presenta, bisogna far attenzione a questo fatto:  die noi ora passiamo a considerare !’(( uomo » non più  nella sua intimità e interiorità, in quella solitudine in cui  soltanto Dio gli fa compagnia; ma nella vita sociale e politica, dove la sua vita è condizionata dalla vita comune e  dal mondo storicamente determinato in cui egli si trova  a inserire la sua azione di ogni giorno. La sua intimità e  interiorità egli la deve vivere in questo mondo; la sua  personalità egli la deve costruire come individualità cbe  ha un significato e xm valore essenzialmente sociale; egli  ha qui per giudice, non più Dio direttamente, ma il mondo  della storia e della civiltà umana.   L’uomo del senso comune, ch’è spesso anche l’nomo del  buon senso, può trovare motivo di diffidare, anzi di sorridere, di ogni spiritualismo che non tenga conto di una tale  condizionalità : che parli di nn’interiorità che si consuma  dentro se stessa senza prodursi nel mondo; quasi che il  filosofo e il mistico potessero mai realizzare una spiritualità pura, incorporea (1). Invece, lo spirito umano ha bisogno del corpo per realizzarsi, la vita è attaccata a interessi  materiali: bisogna far i conti con la materia per realizzarsi spiritualmente.   Non per questo la questione economica non è nna questione spirituale anch’essa: l’animale non ha nessuna questione economica da risolvere (già, l’animale non ha problemi di nessuna specie). È per l’uomo che il mangiare, il  bere, il vestir panni e le altre necessità della vita, si presen-    (1) «Le filosofie neospiritualistiche, con quel loro ondeggiare continuo-  fra la metafisica e la lirica sono perniciosissime per i piccoU cervelli (ilarità). Le filosofie neospiritualistiche sono come le ostriche: gustosissime al  palato... ma bisogna digerirle!... (ilarità) ìì: M., nel primo discorso  parlamentare del 21 giugno 1921 (Discorsi dal banco di deputato, pag. 38).  tano, non come cose a cui pensa la natura o il caso, ma come  risultato della sua libera attività, del suo lavoro e ingegno;  è per l’uomo, in quanto la società gli rende possibile la sua  vita, che il lavoro è, oltre un diritto, xm dovere: un dovere  sociale. Ma, d’altra parte, è pure ovvio che la spiritualità  della questione economica esprime soltanto la condizione  umana di quella spiritualità più profonda che l’uomo trova  nella sua pura interiorità ; e che scambiare la questione economica con la questione morale, come fece il socialismo, è  scambiare la condizione con il condizionato, i mezzi con  il fine.   Chiediamo scusa se la premessa sembrerà un po’ troppo  lunga; ma essa era necessaria per spiegare nel modo più  breve la nostra insoddisfazione per tutte le teorie fin qui  addotte su lo Stato fascista.   Preghiamo, con piena sincerità, il lettore di non sospettare che si abbia noi la pretesa di possedere il segreto di  quella teoria. Teniamo estremamente, anzi, a dichiarare che  innanzi all’opera di M. ci sentiamo disorientati. Solo  vorremmo che anche gli altri confessassero questo disorientamento.   Intorno allo Stato fascista s’è scritto oramai una biblioteca, fra l’Italia e l’estero. E naturale che gli scritti migliori siano quelli degli Italiani, tra i quali sono uomini  di prim’ordine per cultura, e per intelligenza.   E tuttavia avviene qui quel che avviene nei commenti  di ogni capolavoro, poniamo della Divina Commedia', c’è  qualcosa che, dopo tutte le indagini e i chiarimenti, sfugge.  Nella poesia e nell’arte si può dar la colpa alla critica  che non arriva mai a tradurre in concetti l’intuizione sentimentale. Qui, nell’opera politica di M., a noi sembra che la colpa sia dei teorici che restano al di sotto del  punto centrale in cui lavora il suo genio creatore fra problemi di azione e di pensiero che costituiscono la sua personalità vivente.   Facciamo almeno qualche cenno più esplicito. La letteratura su accennata può dividersi in opere di economisti,  di giuristi, di politici, di filosofi.   I discorsi fatti in generale sono, necessariamente, sempre un po’ vaghi. Ma noi qui abbiamo un interesse ben  determinato, e non abbiamo nessun dovere di allontanarci  da esso per entrare nella discussione dei particolari. A cominciare, quindi, dai filosofi, dichiariamo che una filosofia  capace di penetrare in ciò che ha di più singolare lo Stato  fascista non esiste ancora. I filosofi che ne hanno fin qui  parlato (e alludiamo non soltanto agli itahani, ma anche  agli stranieri), s’indugiano ancora in posizioni che M., anzi la storia guardata dal punto di vista fascista,  s’è lasciato dietro le spalle.   Ad esempio : c’è chi è ricorso allo Hegel per dimostrare  ch’egli è il vero precursore della nuova civiltà del mondo  inaugurata dal Fascismo. Non c’è bisogno di molta dottrina  per far osservare che nel secolo intercorso fra lo Hegel e il  Fascismo sono avvenute queste cose fondamentali; la critica fatta allo spirituahsmo idealistico-teologico dello Hegel  da parte del marxismo da una parte, e del liberalismo dall’altra; e poi la critica, che già corre per il mondo, del  Fascismo contro entrambi questi. Il marxismo ebbe tutte  le ragioni di richiamare quello spiritualismo astratto alla  base materiale-economica per intendere il concreto mondo  storico e agire in esso. Il liberahsmo ebbe altrettanta ragione di non volerne sapere di quel teologismo, perché  quel che a lui premeva era la libertà dell’uomo, e però  dell’individuo vero e reale. Oggi il Fascismo ha superato,  per parlare lo stesso linguaggio hegeliano, non soltanto  l’astrattezza ed erroneità dello hegelismo, ma anche l’angustia mentale (ch’era una astrattezza ed erroneità opposta) comune al marxismo e al hberalismo. Come ritornare, dopo questo, a Hegel? Precursore? Ma, allora, ricominciamo da Platone e da Aristotele!   QÙRnto inchiostro versato in questi anni per dimostrare che non c’è Hbertà senza autorità; che l’individuo s’identifica con lo Stato; che economia etica e politica sono  la stessa cosa; che la sovranità dello Stato è un Assoluto  che non può ammettere altro Assoluto fuori di sé, ed altrettali filosofemi caratteristici della filosofia hegeliana! La  quale risolveva dialetticamente tutti i problemi del mondo  e della storia in un processo logico del pensiero che alla  fine si poneva come l’Assoluto metafisico, come il vero Dio,  e vanificava, così, quelli che sono i concreti problemi del  mondo storico e dell’uomo.   Noi non intendiamo, con questo, di dire che tanto inchiostro sia stato versato inutilmente. Tutt’altro! È stato del  tutto opportuno, per rinfrescare la memoria delle persone  colte e per dirozzare la mente degli ignari su quelle che  sono le premesse del pensiero contemporaneo e della civiltà  moderna. Intendiamo di dire, invece, che quelle argomentazioni sono fuori fuoco: non colgono il Fascismo nel suo  punto vitale. Per cogliere questo sono preferibili le poche  meravigliose pagine, che veramente dànno il nuovo « senso  dello Stato », contenute nel discorso del Duce all’Assemblea  quinquennale del Regime, il 10 marzo 1929 (1).   Lo Stato come organismo giuridico, come la nazione  stessa organizzata politicamente, come la sostanza etica di  un popolo, e altrettali definizioni, colgono la propria natura dello Stato fascista? Filosofi, giuristi, politici si affaticano insieme a cercar di adattare le vecchie definizioni al  corpo della realtà nuova. C’è un concetto che ritorna frequentemente in tutte le definizioni : quello della personalità  dello Stato, come di una personalità superiore che assorbe,  o deve assorbire, quella inferiore degli individui che lo  compongono. Ma basta poca riflessione per accorgersi che  quello Stato è una formula, una realtà anonima, una personalità che è tale soltanto nel senso in cui si parla di  (( persona » in giurisprudenza quando si vuol dire di un  ente o istituto che ha un riconoscimento dalla legge ed è    (1) Son riportate e illustrate in Appendice, V.    Quaderni « soggetto » di diritti. Ossia, è una personalità ehe è il massimo della impersonalità. La personalità, inveee, dello Stato  fascista consiste in questo: che c’è un Capo, una personalità e volontà in carne e ossa, che governa e dirige tutta la  complessa vita statale. Lo Stato come Costituzione, come  organismo politico-giuridico con tutti i suoi attributi e le  sue forme di sovranità, resta come un presupposto che il  Fascismo non ha nessuna intenzione di negare, perché, appunto, lo presuppone come un dato acquisito dalla coscienza  giuridica e politica moderna. Se no, si tornerebbe al tipo  delle Signorie, della coincidenza immediata di Stato e Principe (già notata da M. nel suo Preludio al Machiavelli) (1). Ma, come Aristotele diceva già sin da allora, che  l’ordine e la forza di un esercito li fa sopratutto il buon  comandante, così il Fascismo pensa che per uno Stato forte  e capace di contar qualcosa nella determinazione della storia  mondiale, quel che più conta è la volontà e capacità di  chi siede al governo, dirige e determina la via da seguire.  In quella volontà si debbono organizzare tutti i voleri, in  quella personalità debbono prender corpo tutte le gerarchie, classi e categorie dello Stato, tutte le attività della  Nazione. Gerarchie, classi e categorie, le quali collegano  il Capo con il resto del corpo politico, sì che, per il tramite di esse, la personalità dello Stato, espressa in sommo  grado dal Capo, arrivi via via sino al popolo e alla massa  altrimenti amorfa e sbandata.   È questione, dunque, di libertà e di autorità? Certamente! Ma non in quei termini astratti, non in una dialettica che per dimostrare troppo non dimostra niente, o  può dimostrare ugualmente bene l’opposto. M. non  s’è mai indugiato in tali esercitazioni : dichiarando che « la  libertà è un mezzo, non un fine » ha risolto la questione  perentoriamente. Questo è autoritarismo, dispotismo, ecc., ha esclamato e  tentato di dimostrare un filosofo liberale, a cui hanno fatto  eco altri filosofi e politici stranieri. Strano! Quel filosofo  passa la sua vita nella meditazione della Storia, e non s’è  ancora accorto che la Storia la fa non l’individuo isolato  con la sua astratta libertà, ma l’individuo in quanto volontà  e libertà organizzata in quell’organismo spirituale che è lo  Stato. Sono gli Stati che decidono del mondo storico-sociale,  non gl’individui come tali: così come sono gli eserciti che  determinano la vittoria, non i soldiati singolarmente presi (1).   « Stato etico )), si dice: e questo, si aggiunge, almeno  questo, è pure un concetto di marca schiettamente hegeliana. Per cui, dall’altra parte, si protesta: eccoci tornati,  col Fascismo, alla (( morale di Stato )), alla « morale governativa » : quale aberrazione filosofica e morale !   Se non che, anche qui, non si può raccomandare abbastanza di non perdersi in queste discussioni, e di attingere direttamente alla fonte delle parole e del pensiero  di M.. Prendiamo un passo : « Né si pensi di negare  il carattere morale dello Stato Fascista, perché io mi vergognerei di parlare da questa tribuna se non sentissi di  rappresentare la forza morale e spirituale dello Stato. Che  cosa sarebbe lo Stato se non avesse im suo spirito, una  sua morale, che è quella che dà la forza alle sue leggi, e  per la quale esso riesce a farsi ubbidire dai cittadini? Che  cosa sarebbe lo Stato? Una cosa miserevole, davanti alla  quale i cittadini avrebbero il diritto della rivolta e del  disprezzo. Lo Stato Fascista rivendica in pieno il suo carattere di eticità: è Cattolico, ma è Fascista, anzi sopra-    (1) «Nella silenziosa coordinazione di tutte le forze agli ordini di  uno solo, è il segreto perenne di ogni vittoria » {Tempi della rivoluzione  fascista, pag. 166). Non basta, dunque, dire con Tidealismo che il mondo  storico è una creazione dell’uomo. Bisogna aggiungere; deU’uomo organizzato nella società, e in primo luogo in quella forma più potente di società  «h’è lo Stato fascisticamente inteso.     3tutto, esclusivamente, essenzialmente Fascista. Il Cattoli-  cismo lo integra, e noi lo dichiariamo apertamente, ma  nessuno pensi, sotto la specie filosofica o metafisica, di  cambiarci le carte in tavola » (1).   Vediamo di non cambiargli le carte in tavola. Contro  una Chiesa che, movendo dal principio di esclusivo monopolio nella direzione delle coscienze, tende a tener per  sé, come si dice nel linguaggio scolastico (del tempo in  cui si faceva questione fra Papa e Imperatore per il governo del mondo), tutto (( lo spirituale », e a lasciare allo  Stato la sola cura dei beni materiali: contro tale Chiesa  M. adduce, di pieno diritto, la rivolta della sua coscienza, del suo senso di Capo di uno Stato moderno, che  sa di governare degli uomini liberi e non già un gregge,  di guidare un popolo verso un ideale di civiltà e non già  di essere un sentplice amministratore di beni, ed afferma  il carattere spirituale dello Stato e il fondamento morale  che sostiene la sua autorità di Capo.   Ma da questo al concetto che risolve il problema morale nel problema dello Stato, c’è un molto rispettabile  intervallo, anzi xm abisso, che a noi non risulta in alcun  modo che M. abbia mai tentato di varcare.   Stato unitario, totabtario : tutto nello Stato, per lo Stato,  nulla fuori e, sopratutto, nulla contro di esso.   E può essere diversamente data la nuova concezione  fascista? Come in guerra tutte le forze materiali e spirituali  della Nazione vengono organizzate, senza residuo, per la  vittoria delle armi; così in pace lo Stato fascista ha bisogno  di tutte le forze, fisiche, morali e intellettuali, de’ suoi cittadini per vincere quella più grande battaglia che determina il posto di uno Stato nel mondo e il corso della storia  stessa (2).    (1) Discorso aUa Camera per Gli accordi del Luterano.   (2) « Io considero la politica come una milizia o combattimento «  (Tempi della rivoluzione fascista, pag. 147). Il Fascismo non vuole, dentro     Quindi nulla, di quanto l’individuo può dare, sfugge  all’interesse dello Stato fascista: la sua ctdtura, la sua  educazione, la sua coscienza morale, la stessa sua coscienza  religiosa. Ma questo non implica un « assorbimento » del--  l’individuo nel senso che lo Stato ne succhi e svuoti la personalità ! Tutt’altro : lo Stato fascista ha ogni interesse, anzi,  a potenziare la personalità fisica e morale dell’individuo, a  sollecitarne la libera iniziativa, a trar profitto dalla sua vocazione e dalle sue inclinazioni, e, ove occorra, anche dalle  sue ambizioni e dalle legittime aspirazioni al benessere e  agli agi materiali. Non, dunque, che sia erronea la così  detta identificazione dell’individuo con lo Stato; ma, presentata in quella dialettica astratta, non dice nulla di positivo, e può condurre, ripetiamo, anche a dire il contrario ( 1).   Così, per la questione economica. Stato corporativo, sì,  certo : è un caposaldo dello Stato fascista, che qui si lascia di  nuovo dietro le spalle il socialismo e il liberalismo insieme.  Ma se da questo si vuol dedurre che l’originalità e importanza dello Stato fascista sia tutta in questo punto, nell’aver  immessa una « coscienza statale » nel giuoco degli interessi    lo Stato, la lotta: vuole, anzi, Tarmonia e la collaborazione. Ma nel confronto con le forze estranee sente che « la vita è un combattimento continuo, incessante », da accettare « con grande disinvoltura, con grande coraggio, con la intrepidezza necessaria » {Per il settimo annuale della fondazione dei fasci, 1926).   (1) Non si tratta di mera coincidenza o non coincidenza della volontà  deU’individuo con quella dello Stato, ma di un processo che si può ben  chiamare di educazione dell’individuo per opera dello Stato fascista : « La  politica è l’arte di governare gli uomini, cioè di orientare, utilizzare, educare le loro passioni, i loro egoismi, i loro interessi in vista di scopi d’ordine generale che trascendono quasi sempre la vita individuale perché si  proiettano nel futuro ». L’individuo, infatti, non educato politicamente,  «tende a evadere continuamente: tende a disubbidire alle leggi, a non  pagare i tributi, a non fare la guerra: pochi sono coloro — eroi o santi —  che sacrificano il proprio io sull’altare dello Stato » (Preludio al Machiavelli), Sul concetto di Stato fascista come Stato educatore, ved. Appendice, pag. 55.     materiali che governano l’economia di un Paese, c’è l’evidente pericolo di fare del Fascismo un’antitesi, sì, del comuniSmo e bolscevismo, ma su lo stesso piano.   In somma: economia, etica, politica sono, bensì, legate  indissolubilmente nello Stato fascista, ma non per questo  l’una è la stessa cosa dell’altra.   E veniamo, infine, alla tanto dibattuta questione religiosa. Stato confessionale? No, certo: si è detto e ripetuto.  Allora, Stato « superconfessionale » ? Sì, certo, nell’ovvio  senso in cui, negandosi che sia confessionale, si vuole pure  affermare la sua religiosità. La religiosità, si ha ima grande  premura di aggiungere e ripetere a sazietà, « immanente ».  Non ha detto il Duce: (( tutto nello Stato, nulla fuori dello  Stato »?   Ma la conseguenza, al solito, è tratta troppo facilmente,  con una argomentazione che, per voler esser troppo profonda, resta alla superficie della questione e del pensiero  di M.. Il quale non ha mai sognato di fare della religione una questione meramente politica. Dal dire che lo  Stato fascista ha estremo interesse a coltivare la coscienza  religiosa della Nazione; a dire che, quindi, è lo Stato stesso  che crea quella coscienza e ne è l’arbitro, ci corre quel solito  intervallo o abisso che M. non consta abbia tentato  di abolire.   Ancora una volta ! Noi non abbiamo nessuna nostra filosofia da esibire, e non pretendiamo a nessun brevetto di  scopritori o interpreti del pensiero M.ano. Ci limitiamo a esibire dei (( materiali » e dei « punti di vista »,  quali possono essere rigorosamente documentati da fatti e  da scritti.   E però domandiamo : quella teoria (( immanentistica » è  in accordo con ciò che consta del pensiero e dell’azione mus-  soliniana? Abbiamo addotto sufficienti documenti in precedenza, e però rispondiamo: non consta, anzi consta il  contrario.   Diciamo meglio e di più: quel che consta è un’impostazione del problema politico-religioso in termini del tutto  nuovi e fecondi di sviluppi nell’avvenire della coscienza  politico-religiosa, non soltanto degli Italiani, ma dell’uomo  semplicemente, in universale.   C’è un fatto: che lo Stato ha affermato la sua assoluta  sovranità nel mondo dello spirito storicamente considerato ;  e contemporaneamente la Chiesa ha rinunciato a entrare  più nelle questioni interne allo Stato e nelle competizioni,  di qualsiasi specie, fra gli Stati. Le due sfere si sono, per  la prima volta dacché esistono, delineati e definiti esattamente, per lo meno in via di diritto, i rispettivi confini. Con  questa reciproca delimitazione hanno posto, insieme, il loro  preciso rapporto : quindi né assoggettamento della sovranità  dell’uno all’altra, né separazione nel senso che l’uno non  voglia saper nulla dell’altra. Lo Stato fascista, proprio perché  è uno Stato etico, sa che, per parlare in termini bergsoniani,  ci sono due fonti, o si dica due punti di vista, della vita morale e religiosa dell’uomo, a seconda che questa si consideri  nella realtà sociale-politica della storia, ovvero in quella interiorità dell’uomo e della personalità ch’è la sua spiritualità pura.   Abbiamo spiegato a sufficienza, dianzi, che questi due  punti di vista non si escludono, anzi sono vitalmente e  indissolubilmente legati.   Lo Stato fascista può, dunque, liberamente riconoscere  che, fra tutte le religioni esistenti, quella Cattolica è più  delle altre consona alla sua mentalità e ai suoi fini: per  la spiritualità ch’è alla base del Cristianesimo, e per il  senso della vita morale concepita nel Cattolicismo secondo  quegli stessi principii di disciplina, di gerarchia, di obbedienza all’autorità, che sono alla base della concezione  politica del Fascismo.   Lo Stato ha tutto da guadagnare da questo accordo  della coscienza religiosa con la coscienza politica degli  Italiani, che pon termine a un dissidio rimasto, secondo Fespressione di M. stesso, come una spina confitta  nel profondo dell’anima nazionale.   Ma la Chiesa non ha da guadagnare di meno; anzi, ha  innanzi un programma da realizzare anche più vasto e  profondo: liberata dagl’interessi politici, accostarsi sempre  di più alle coscienze nella pura interiorità, parlare ad esse  un linguaggio più intelhgibile e persuasivo, rinnovare nelle  menti e nei cuori i motivi di quella fede che fece la sua  grandezza in altri tempi, anzi in ogni tempo. Solo per questa  via alla conciliazione fra essa e lo Stato potrà seguire l’altra  fra essa e il pensiero moderno. ILa Sarfatti {Dux, pag. 100) riporta dal giornale repubblicano, « Il pensiero romagnolo », una buona parte di uno  studio giovanile di M. su La filosofia della forza,  nel quale sono riassunti i motivi della sua ammirazione  per il Nietzsche, e insieme quelli del suo dissenso da tale  filosofia. I primi si risolvono nella concezione attivistica  della vita come creazione di nuovi valori spirituali: « Questa volontà di potenza, che si esplica nella creazione di  nuovi valori morali o artistici o sociali, dà uno scopo alla  vita. Creare! Ecco la grande redenzione dai dolori, e il conforto della vita. Il superuomo — ecco la grande creazione  nitciana. Quale impulso segreto, quale interna rivolta hanno  suggerito al solitario professore di lingue antiche nell’università di Basilea questa superba nozione? Forse il taedium  vitae: della vita quale si svolge nelle odierne società civili  dove l’irrimediabile mediocrità trionfa. E Nietzsche suona  la diana di un prossimo ritorno all’ideale; ma a un ideale  diverso fondamentalmente da quelli in cui hanno creduto  le generazioni passate ».   Che il Nietzsche non abbia esposto sistematicamente  la sua filosofia, non importa: « Ciò che v’è di caduco, di  sterile, di negativo in tutte le filosofie, è precisamente il  sistema: questa costruzione ideale, spesse volte illogica e  arbitraria» (1).    (1) L’avversione al «sistema », nel senso scolastico di una dottrina chiusa  nel cerchio di astratte definizioni e di procedimenti puramente razionali, dà,  per lo meno estrinsecamente, il carattere più originale della filosofia contemporanea.  Il punto veramente debole della concezione nitciana è,  invece, quello colto sin da allora da M., là dove  posto il principio che « l’istinto di socievolezza è inerente  alla natura stessa dell’uomo », onde « non si concepisce  un individuo che possa vivere avulso dall’infinita catena  degli esseri », nota la contraddizione in cui fatalmente doveva aggrovigliarsi il Nietzsche, il quale (c sentiva la fatalità di questa che potrebbe dirsi legge della solidarietà  universale, sì che per uscire dalla contraddizione il superuomo, l’eroe nitciano, dall’interno scatena la sua volontà  di potenza aH’esterno... Ma, o il superuomo è unico, e non  ubbidisce a leggi; o ammette delle limitazioni al suo arbitrio individuale, e allora rientra nella mandria. Davanti a  questo dilemma Nietzsche immagina che la società rovini  e crepiti come un gigantesco fuoco d’artificio ».   Anche l’anticristianesimo nitciano è veduto nel suo significato più positivo e, in fine, contingente: «Per comprendere questo feroce anticristianesimo nitciano, dobbiamo  esaminare alcun poco il mondo interno del Nietzsche. Egli  era profondamente antitedesco. La gravità teutonica e il  mercantilismo inglese erano ugualmente indigesti all’autore di Zarathustra. Forse il suo anticristo è l’ultimo portato di una violenta reazione contro la Germania feudale,  pedante, cristiana ».    ^   Il volumetto Giovanni Huss, il veridico (Roma, Po-  drecca e Galantara, 1913) è una buonissima monografia  di carattere schiettamente storico. L’intenzione anticlericale vi è aggiunta nella Prefazione, e qua e là incidentalmente, e in ogni modo non oltrepassa il limite doveroso  del rispetto verso il Cristianesimo: verso di questo, anzi,  è evidente una sincera simpatia.   « Ancora ima volta Huss si difende dall’accusa di eresia.  Egli non si proponeva che la purificazione del clero dagli elementi che lo demoralizzavano... Stridente antitesi! Mentre  i prelati alti e bassi della chiesa non miravano che ad  arricchire, e talvolta lasciavano in retaggio ai figli e ai  nepoti ricchezze favolose, l’eretico Huss, come il Cristo,  null’altro lascia alPinfuori di alcuni poveri indumenti. Huss  non aveva solo predicato, ma anche praticato, e come  San Francesco d’Assisi aveva sposato coram populo, madonna Povertà » (pag. 43 seg.).   (( Gli eretici parlano in nome del popolo e al popolo. È  un ritorno al Vangelo, eh’essi vogliono: un ritorno alla  vita povera, ma solidale, delle prime comunità cristiane »  (pag. 14). Non cosi, tuttavia, i seguaci di Huss, che (( superarono in barbarie la Chiesa di Roma » : essi si ispirarono  a Jehova, (( non al mite apostolo di Nazareth » (pag. 76).   Ispirazione, dunque, questa dominante nel volumetto  su Huss, da riformatore, e però morale, e in fine religiosa.  La religiosità, tuttavia, è concepita e sentita al di fuori  di ogni dogma: «Cosi [con l’eresia di Huss], la storia  della progressiva liberazione del genere umano dai ceppi  delle credenze dogmatiche non subisce di secolo in secolo  soluzione di continuità )) (pag. 81).     il.    Dal senso vivo d’interiorità (ch’è il senso stesso della  individualità e personalità puramente spirituale) deriva, per  contrapposto, tanto più vivo quello dell’esteriorità e del dominio meditato della volontà sul mondo in cui l’uomo deve  agire.   Negli scritti e discorsi di M. si accenna più volte  ad un tale senso della vita interiore, ch’è, poi, la fonte prima  del problema filosofico e religioso. Già nel 1914, fondando  «Il Popolo d’Italia», scriveva: «Non tutti i miei amici  d’ieri mi seguiranno; ma molti altri spiriti ribelli si raccoglieranno attorno a me. Farò un giornale indipendente, liberissimo, personale, mio. Ne risponderò solo alla mia coscienza e a nessun altro ». E nel 1929 (Su gli Accordi del  Laterano », alla Camera) : (( Ecco che io mi son trovato  di fronte a una di quelle responsabilità che fanno tremare  le vene e i polsi di un uomo. E non potevo chiedere consiglio a chicchessia: solo la mia coscienza mi doveva segnare la strada attraverso penose, lunghe meditazioni ».   Nei momenti più solenni l’uomo si sente solo: solo con  se stesso e con Dio ((( Cosi Iddio mi assista nel condurre a  termine vittorioso la mia ardua fatica »).   Il Barnes {Gli aspetti universali del Fascismo, pag.55),  scrive : « È questa l’attitudine di M. innanzi ai problemi pratici della vita: una profonda coscienza del bene  e del male, un infinito senso di responsabilità... Ne deriva una continua autocritica ed un automartirio che, se non fossero la sua fede, il senso di dovere verso la sua vocazione,  il suo coraggio morale, lo spingerebbero verso una vita contemplativa. Sant’Ignazio di Loyola, e non Napoleone, è la  figura spirituale che può essere compagna a M. ».  Tenendo presente quanto abbiamo notato dianzi sul rapporto fra il senso d’interiorità e quello del dominio della  volontà sul mondo esteriore, è facile vedere sino a qual  punto colga giusto Fosservazione del Barnes (1).    (1) Il paragone coglie un aspetto della personalità del Duce che andava  messo in rilievo contro chi vede di quella soltanto il lato esteriore, l’atteg-  giamento « napoleonico », del conquistatore o dominatore, o meglio, per  dirla con parola corrente e più vicina all’idea, del « realizzatore ». Ma quell’aspetto, separato dall’altro, vien fuori deformato. Il senso d’interiorità è  in M. anche la fonte segreta della sua forza di volontà. In conchiusione,  M. è una sintesi nuova che assorbe e trasfigura interamente i vecchi termini  in contrasto.        (( Che cosa ci pongono di fronte gli avversari? Niente:  delle miserie. Sono ancora in arretrato di 50 anni in fatto  di filosofia. Stanno postillando tutte le fantasie dei positivisti : fantasie, dico, poiché come non vi è un uomo più pericoloso del pacifista, così non vi è un ideologo più pericoloso  del positivista. Tutto il processo di rinnovazione spirituale  delle nuove generazioni è a loro ignoto » [Nel quinto anniversario della fondazione dei Fasci).   Idealismo è il termine generale più acconcio a comprendere il movimento della filosofia contemporanea sorto  contro il positivismo che aveva dominato la cultura europea  nel periodo precedente a quello a cui M. accenna.  In quanto antipositivista, il pensiero M.ano si può  hen definire idealista. Che i fatti non si intendano senza  l’attività del pensiero, e che la realtà non si domini senza  un principio spirituale, è verità messa in gran luce dall’idealismo contemporaneo, svoltosi poi in svariate direzioni. La varietà di queste direzioni dipende, da una parte,  dalla diversa valutazione del positivismo criticato; e dall’altra, dalla diversità di significato del principio spirituale  ispiratore. Per la prima parte, la critica più avveduta ha  cercato di salvare, nel positivismo, l’esigenza di concretezza,  il senso della realtà dell’esperienza lunana (conoscitiva e  pratica): l’idealismo è andato d’accordo, qui, col positivismo nella tendenza contro la metafisica e la logica astratta. Per ìa seconda, l’atteggiamento generale dell’idealismo è  stato per una rivalutazione dei principii religiosi, di cui l’illuminismo aveva fatto troppo buon mercato : senza di essi,  infatti, neppiure s’intende il valore morale della vita e il  dovere del sacrificio per gl’ideali che fanno grande l’uomo.  Ma, poi, non sempre l’idealismo ha salvato abbastanza, da  un lato, il senso di concretezza del mondo dell’esperienza;  dall’altro, il senso veramente religioso della vita spirituale.  I/idealismo assoluto, in modo particolare, viene oggi criticato da entrambi i lati, ed è questa la ragione per cui  gli si oppongono, da una parte, correnti di pensiero più  vicine ai problemi dell’esperienza e della scienza, e dall’altra lo schietto spiritualismo.   Questi problemi, interni all’idealismo, sono presenti,  sia pure germinalmente, anche nel pensiero di M.,  sopratutto nelle pagine in cui espone le idee fondamentali  della Dottrina del Fascismo, che ora passiamo ad esaminare.  (( Come ogni salda concezione politica, il Fascismo è  prassi ed è pensiero, azione a cui è immanente una dottrina che, sorgendo da un dato sistema di forze storiche,  vi resta inserita-e vi opera dal di dentro. Ha, quindi, una  dorma correlativa alle contingenze di luogo e di tempo,  ma ha insieme un contenuto ideale che la eleva a formula  di verità nella storia superiore del pensiero. Non si agisce  spiritualmente nel mondo come volontà umana dominatrice di volontà senza un concetto della realtà transeunte  e particolare su cui bisogna agire, e della realtà permanente e universale in cui la prima ha il suo essere e la  sua vita.   « Non c’è concetto dello Stato che non sia fondamentalmente concetto della vita: filosofia o intuizione, sistema  di idee che si svolge in ima costruzione logica, o si raccoglie in una visione o in una fede ».    Quaderni     [Si noti, nel primo passo, il rapporto posto fra la contingenza o realtà della storia, in cui vive l’uomo, e U valore universale del pensiero che la illumina. Ivi si accenna  anche all’altro problema del rapporto fra il pensiero e  l’azione: o, come meglio si vede nel secondo passo, tra  filosofia e fede religiosa. Il pensiero filosofico si svolge, di  necessità, in un sistema concettuale; nella fede il pensiero  è soltanto intuizione, e diventa, così, principio di vita e  di azione].   « Così il Fascismo non s’intenderebbe in molti dei suoi  atteggiamenti pratici, come organizzazione di partito, come  sistema di educazione, come disciplina, se non si guardasse  alla luce del suo modo generale di concepire la vita. Modo  spiritualistico. Il mondo per il Fascismo non è questo mondo  materiale che appare alla superficie, in cui l’uomo è un  individuo separato da tutti gli altri e per sé stante, ed è  governato da una legge naturale che istintivamente lo trae  a vivere una vita di piacere egoistico e momentaneo. L’uomo  del Fascismo è individuo che è nazione e patria, legge morale che stringe insieme individui e generazioni in una tradizione e in una missione che sopprime l’istinto della vita  chiusa nel breve giro del piacere per instaurare nel dovere  una vita superiore libera da limiti di tempo e di spazio;  una vita in cui l’individuo, attraverso l’abnegazione di sé,  il sacrifizio dei suoi interessi particolari, la stessa morte,  realizza quell’esistenza tutta spirituale in cui è il suo valore di uomo )).   [Il a modo spiritualistico )) di concepire e sentire la vita  è qui esposto con tutta chiarezza nelle sue ragioni morali.  Non implicherà esso un principio anche di fede religiosa?  Come, infatti, richiedere all’individuo l’abnegazione di sé  e la rinuncia ai suoi interessi, alla vita stessa, senza una  fede trascendente?]   (( Dimque, concezione spiritualistica, sorta anch’essa  dalla generale reazione del secolo contro il fiacco e materialistico positivismo dell’Ottocento. Antipositivistica, ma positiva: non scettica, né agnostica, né pessimistica, né  passivamente ottimistica, come sono in generale le dot*  trine (tutte negative) che pongono il centro della vita  fuori dell’uomo, che con la sua libera volontà può e deve  crearsi il suo mondo. Il Fascismo vuole l’uomo attivo e  impegnato nell’azione con tutte le sue energie: lo vuole  virilmente consapevole delle difficoltà che ci sono, e  pronto ad affrontarle. Concepisce la vita come lotta, pensando che spetti all’uomo conquistarsi quella che sia veramente degna di lui, creando prima di tutto in se stesso  lo strumento (fisico, morale, intellettuale) per edificarla.  Così per l’individuo singolo, così per la nazione, così per  Fumanità. Quindi l’alto valore della cultura in tutte le  sue forme (arte, religione, scienza), e l’importanza grandissima dell’educazione. Questa concezione positiva della  vita è, evidentemente, una concezione etica. E investe  tutta la realtà, nonché l’attività umana che la signoreggia.  Nessuna azione sottratta al giudizio morale; niente al  mondo che si possa spogliare del valore che a tutto compete in ordine ai fini morali. La vita, perciò, quale la  concepisce il fascista, è seria, austera, religiosa. Il Fascismo è una concezione religiosa, in cui l’uomo è veduto  nel suo immanente rapporto con una legge superiore, con  una volontà obiettiva, che trascende l’individuo particolare e lo eleva a membro consapevole di una società spirituale. Chi nella politica religiosa del regime fascista si  è fermato a considerazioni di mera opportunità, non ha  inteso che il Fascismo, oltre a essere un sistema di governo, è anche, e prima di tutto, un sistema di pensiero »,  [Innegabilmente, questo spiritualismo è d’ispirazione  schiettamente religiosa. Ma — e questo è un punto di  capitale importanza per l’intelligenza della religiosità  immanente allo spiritualismo caratteristico della dottrina  fascista — non vuole che il senso religioso della vita svigorisca, o neghi addirittura, l’attività dell’uomo e la sua  fede nella propria volontà. Fascismo è, anzi, spirito d’iniziativa, audacia, senso eroico della vita. Dottrine negative  di quest’attivismo, si dice nel passo ora riferito, sono  tutte quelle che pongono il centro della vita fuori dell’uomo. Tali, aggiungiamo noi, tutte le forme di panteismo.  Il Cristianesimo non è panteismo: e però — salvo in  alcune interpretazioni e manifestazioni secondarie — non  nega la volontà e l’attività, e può, anzi, rinvigorire il  senso morale della vita col dare un valore assoluto anche  al dovere di sacrificare la vita stessa per un ideale puramente umano come quello della Patria. Non si scordi che  è proprio del Cristianesimo il concetto della vita come  milizia. Il cristiano, infatti, pone, bensì, il suo Dio oltre  di sé, trascendente, ma non fuori di sé: lo trova nella  più profonda interiorità della sua stessa vita spirituale.  Queste considerazioni, da noi aggiunte, non paiono in  contrasto con il motivo ispiratore del passo riferito. La  loro conformità, anzi, a esso sarà anche più chiara, se  si tiene presente che il Fascismo, non solo non è soltanto  (( un sistema di governo », ma non è neppure soltanto  « un sistema di pensiero » : è anche, come s’è veduto innanzi, una fede (1)].   (( Il Fascismo è una concezione storica, nella quale  l’uomo non è quello che è se non in funzione del processo spirituale a cui concorre, nei gruppo familiare e  sociale, nella nazione e nella storia, a cui tutte le nazioni    (1) Questo principio della fede basta a differenziare l’agnosticismo religioso da quello areligioso di origine positivista. Dio non è, certamente, oggetto di conoscenza. Ma non per questo la sua esistenza è ipotetica! Mettiamo qui questa considerazione per chiarire il significato di talune espressioni di M. in altri scritti. Nello scritto che stiamo esaminando, Dio, infatti,  vien definito, a scanso di equivoci, come volontà: oggetto, dunque, di fede,  non di conoscenza (intesa, questa, nel senso della scienza). Si badi, però, di  non cadere in un altro equivoco su la parola « oggetto » : la volontà non è  mai oggetto, e la volontà di Dio, a cui s’ispira l’uomo religioso, vien sentita,  amata e. seguita, nella pura interiorità della coscienza, che poi si manifesta  nell’azione.     Fcollaborano. Donde il gran valore della tradizione nelle  memorie, nella lingua, nei costumi, nelle norme del vivere  sociale. Fuori della storia l’uomo è nulla ».   [L’uomo non può vivere la sua vita di azione, e realizzare in sé i più alti valori umani, fuori della società,  ossia fuori del mondo storico in cui la sua vita si trova,  di fatto, inserita. Questo è, evidentemente, il significato  della proposizione: «Fuori della storia l’uomo è nulla».  Il problema deH’immortalità dell’anima è, qui, fuori  causa. E sarebbe, reputiamo, fraintendere il pensiero di  M. interpretare queste parole come l’affermazione  di un panteismo storico, o di uno storicismo assoluto (1),  cbe risolvesse tutto l’uomo, senza residùo, nel mondo della  storia].   « Perciò il Fascismo è contro tutte le astrazioni individualistiche, a base materialistica, tipo secolo xviii: ed  è contro tutte le utopie e le innovazioni giacobine. Esso  non crede possibile la felicità su la terra, e quindi respinge tutte le concezioni teleologiche per cui a un certo  periodo della storia ci sarebbe una sistemazione definitiva del genere umano. Questo significa mettersi fuori  della storia e della vita che è continuo fluire e divenire.  Il Fascismo politicamente vuol essere una dottrina realistica: praticamente, aspira a risolvere solo i problemi che  si pongono storicamente da sé, e che da sé trovano o suggeriscono la propria soluzione. Per agire tra gli uomini,  come nella natura, bisogna entrare nel processo delia  realtà e impadronirsi delle forze in atto ».   [Parole d’oro: ricche di senso realistico, del senso  positivo della storia e dei problemi, sempre concreti e  determinati, che l’uomo d’azione si trova innanzi].   (( Antiindividualistica, la concezione fascista è per lo  Stato; ed è per l’individuo in quanto esso coincide con    (1) Cfr. quanto si disse a pag. 19.     54    ARMANDO CARLINI    lo Stato, coscienza e volontà universale delFuomo nella  sua esistenza storica. Il liberalisnio negava lo Stato nell’interesse deH’individuo particolare: il Fascismo riafferma  lo Stato come la realtà vera dell’individuo. E se la libertà  dev’ essere l’attributo dell’ uomo reale, e non di quell’astratto fantoccio a cui pensava il liberalismo, il Fascismo è per la libertà. È per la sola libertà che possa essere  una cosa seria, la libertà dello Stato e dell’individuo nello  Stato. Giacché, per il fascista, tutto è nello Stato, e nulla  di umano o spirituale esiste, e tanto meno ha valore,  fuori dello Stato. In tal senso, il Fascismo è totalitario,  e lo Stato fascista, sintesi e unità di ogni valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del popolo ».   [Già a pag. 37, abbiamo chiarito in quale significato,  a nostro avviso, va intesa l’eticità dello Stato fascista, e la  sua totalitarietà. Non si tratta, dicemmo, di un assorbimento e svuotamento della personalità spirituale dell’individuo! Si tratta, invece, del contributo che l’individuo,  col suo lavoro e con la sua cultura, può e deve dare ai  fini della vita nazionale, alla potenza materiale e spirituale dello Stato. Sarebbe, dunque, anche qui, un fraintendere il pensiero di M. l’allargare il significato  dell’affermazione : « nulla di umano o spirituale esiste, e  tanto meno ha valore, fuori dello Stato », sino a fargli  dire che nello Stato si risolve tutta, senza residuo, la vita  spirituale, e che nulla esiste fuori dello Stato. L’esistenza  di Dio, per lo meno, fa eccezione (1)].   ^   Lo scritto prosegue con altre riflessioni: sul socialismo, stri sindacalismo, su la democrazia, ecc. Prendiamo  nota di alcuni punti soltanto, che giovano all’intelligenza    (1) Questo diciamo in relazione ad una possibile interpretazione diver^  gente, di un «umanismo teologico», secondo quanto si notò a pag. 20.         della peculiarità dello Stato fascista, da noi precedente-  mente accennata, e su la quale torneremo fra poco.   Il Fascismo, si dice, è un’idea « che nel popolo si  attua quale coscienza e volontà di pochi, anzi di Uno, e  quale ideale tende ad attuarsi nella coscienza e volontà  di tutti. Di tutti coloro che dalla natura e dalla storia  traggono ragione di formare una nazione, avviati sopra  la stessa linea di sviluppo e formazione spirituale, come  una coscienza e una volontà sola...: moltitudine unificata da un’idea, ch’è volontà di esistenza e di potenza:  coscienza di sé, personalità ».   Nel sentimento nazionale, infatti, si esprime la coscienza e volontà di tutti come una stessa coscienza e  una volontà sola. Ma questa medesimezza e unità è ben  lontana dal trovare la sua vera e concreta espressione se  non interviene lo Stato. Nel sentimento nazionale essa  resta — e potrebbe restare per secoli — allo stato potenziale. È lo Stato che traduce il sentimento nazionale dalla  potenza all’atto. È lo Stato che lo attua. E lo attua come  volontà ch’è personalità: personalità effettiva, attuale,  concreta, del Capo del governo, la cui volontà prende  corpo, per mezzo della disciplina, nei gerarchi (1), e giù    (1) Gerarchia^, come si sa, è il titolo della rivista da lui fondata nel 1920,  Si vegga, ivi. Stato, antistato e fascismo: «Che cosa è lo Stato? Lo Stato  vien definito conte Vincamazione giuridica della nazione. La formula è vaga.  Lo Stato è anche questo, ma non è soltanto questo. Senza volere elencare  tutte le definizioni che del concetto di Stato furono date, nei secoli, dai  (Cultori delle scienze politiche — il che sarebbe inutile e prolisso — mi  pare che lo Stato possa essere definito come un sistema di gerarchie. Lo Stato  è alle sue origini im sistema di gerarchie. Quel giorno in cui un uomo, fra  un gruppo di altri uomini, assunse il comando perché era il più forte, il  più astuto, il più saggio o il più intelligente, e gli altri per amore o per  forza ubbidirono, quel giorno lo Stato nacque e fu un sistema di gerarchie,  semplice e rudimentale allora, com’era semplice e rudimentale allora la  vita degli uomini agli albori della storia. Il Capo dovè creare necessariamente un sistema di gerarchie per fare la guerra, per rendere giustizia, per giù sino alia massa popolare. Soltanto in questo modo,  a noi sembra, si può parlare della personalità delio Stato:  riferendosi allo Stato fascista.   Una conferma di questo modo di vedere è data da  quanto segue nello scritto di M., dove dice che  (( non è la nazione a generare io Stato, anzi la nazione  è creata dallo Stato, che dà al popolo, consapevole della  propria unità morale, una volontà, e quindi un’effettiva  esistenza ». Il diritto di una nazione — si aggiunge —  a questa esistenza, ossia all’indipendenza, deriva « da una  coscienza attiva, da una volontà politica in atto e disposta  a dimostrare il proprio diritto: cioè, da una sorta di  Stato già in fieri ».    ^ sic ^   Stato fascista è Stato educatore. Esso (( non si può  limitare a semplici funzioni di ordine e tutela, come voleva il liberalismo ». E non è semplicemente un meccanismo giuridico, o economico: sia pure come corporativismo. Lo Stato fascista « è forma e norma interiore, e  disciplina di tutta la persona: penetra la volontà come  l’intelligenza. Il suo principio, ispirazione centrale dell’umana personalità vivente nella comunità civile, scende  nel profondo e si annida nel cuore dell’uotno d’azione  come del pensatore, dell’artista come dello scienziato. Il  Fascismo, insomma, non è soltanto datore di leggi e fon-    amministrare i beni della comunità, per ottenere il pagamento dei tributi,  per regolare i rapporti fra l’uomo e il soprannaturale. Ma in tutti i casi lo  Stato si estrinseca in un sistema di gerarchie, oggi infinitamente più complesso, adeguatamente alla vita ch’è più complessa in intensità e in estensione. Ma perché le gerarchie non siano gerarchie morte, è necessario ch’esse  fluiscano in una sintesi: che convergano tutte ad uno scopo a. Questo scopo  è, certamente, una volontà comune, ma impersonata soprattutto nel Capo,  e via via nei gerarchi da lui dipendenti.         datore d’istituti, ma educatore e promotore di vita spirituale. Vuol rifare uon le forme della vita umana, ma il  contenuto, l’uomo, il carattere, la fede. E a questo fine  vuole disciplina, e autorità clie scenda addentro negli spiriti, e vi domini incontrastata » (1).    (1) Cfr. Per il settimo annuale della fondazione dei Fasci-. «Voglio correggere gl’italiani da qualcuno dei loro difetti tradizionali. E li correggerò...  Se mi riuscirà, e se riuscirà al Fascismo di sagomare così come io voglio  il carattere degli Italiani, state tranquilli e certi e sicuri che quando la  ruota del destino passerà a portata delle nostre mani, noi saremo pronti ad  afferrarla e a piegarla alla nostra volontà ».   E Alle genti della Liguria (1926) diceva: «Noi governiamo il popolo  italiano con assoluta purezza d’intenti. Non siamo mossi da stupide vanità  e da ridicole ambizioni. Non ci consideriamo i padroni, sibbène gii educatori  di questo popolo che merita e avrà un sempre migliore destino ».   Il motto M.ano « Fare di tutta la propria vita tutto il proprio  capolavoro », comprende, dunque, nel suo programma, in quanto uomo di  governo, anche quel capolavoro, a cui egli attende assiduamente, di educare  « rifare la coscienza del popolo italiano.  Poche pagine, scritte quasi occasionalmente. Egli si  preparò con la lettura del Machiavelli, e di alcuni, pochi,  scritti su lui ( 1) : « Ho riletto attentamente il Principe e  il resto delle opere del grande Segretario, ma mi è mancato tempo e volontà per leggere tutto ciò che si è scritto  in Italia e nel mondo su Machiavelli ».   Quanto si è scritto su Machiavelli! Si vegga il Vil-  lari, la letteratura citata nella celebrata sua opera, e tutto  quello che s’è scritto dopo sino a oggi. Il problema dell’interpretazione e valutazione del Principe è ancora un  problema aperto: e si fa, sembra, più ardente e attuale  ogni giorno.   Apparentemente, M. non dice nulla di nuovo,  come dichiara egli stesso. Si pone questa domanda : « A  quattro secoli di distanza che cosa c’è ancora di vivo nel  Principe? ... Il valore del sistema politico del Principe è  circoscritto all’epoca in cui fu scritto, quindi necessariamente limitato e in parte caduco, o non è invece universale e attuale? ». La risposta si compone di due parti: la  prima constata che, essendo la politica l’arte di governare  gli uomini, il suo elemento fondamentale è l’uomo; la seconda stabilisce, con opportune citazioni, (( l’acuto pessimismo del Machiavelli nei confronti della natiura umana ».    (1) Per questa preparazione si veggano i manoscritti diM. esposti alla  Mostra della Rivoluzione. Per runa e per l’altra parte è facile addurre che quello  era stato osservato e detto da altri molti. Si trova già in  Aristotele, ad esempio, questo pensiero: che l’uomo di  governo («il politico », egli diceva), dovendo procurare  il bene dei governati, deve conoscere profondamente la  psicologia, perché soltanto così può fare (( i cittadini buoni  e obbedienti alle leggi ». E quanto al pessimismo del  Machiavelli (che traduce nel campo politico la concezione  cristiana della originaria malvagità della natura lunana),  altri l’avevano notato. Napoleone l’aveva condiviso in  pieno.   E tuttavia queste poche pagine, nella loro scheletrica  forma, hanno una strana malia: hanno il fascino delle  verità semplici ed elementari.   Il prof. Casella, deirUniversità di Firenze, ha recentemente curata una edizione nuova, riveduta su codici,  del Principe (Libreria d’Italia, Milano, 1929), e in fondo  al volume ha posto le interpretazioni di Ugo Foscolo, di  Giuseppe Ferrari, di Francesco De Sanctis, di Alfredo  Oriani e di Benito M..   Perché mai il valente critico ha sentito bisogno di  aggiungere all’eletta schiera (basta il De Sanctis a illustrarla) anche M.?   Si potrebbe rispondere che, mentre gli altri si diffondono su l’aspetto storico, su quello estetico, su quello  scientifico o politico nel senso angusto della parola (il  F errar! e l’Oriani ne fanno una critica spietata, fuori  luogo infine). M. ha lasciato da parte il superfluo (1) e l’incerto, ed ha fissato il punto essenziale del  famosissimo trattato.   La risposta è giusta, e potrebbe bastare, per chi si  contenta di quello che le poche pagine dicono effettiva-    (1) Non si vuol comprendere come superfluo l’aspetto storico, né quello  estetico: ma sì vuol dire soltanto che l’essenziale, quello intorno a cni tanto  ancora si disputa, non è lì.     mente. Ma, se uno le legge con gli occhi — vorrei dire —  di M., ci trova dentro, in iscorcio, tutto un mondo  di pensieri, ignoto agrinterpreti precedenti: ci trova dentro un Machiavelli quale soltanto un uomo come M. poteva vedere, e ha veduto. Un Machiavelli guardato  alla luce del nuovo concetto che dello Stato ha il Fascismo.   M. non ha avuto né tempo né voglia di chiarire la differenza fra la dottrina del Machiavelli, così  come si presenta nel Principe, e la dottrina fascista. Differenza enorme! abisso incolmabile! Meglio: colmabile  con tutta l’esperienza sociale, politica e morale, dei secoli  intermedi. Manca, infatti, nel Principe l’esperienza del  passaggio dalla politica italiana del tempo delle Signorie  a quella europea delle grandi Monarchie nazionali, dei  governi assoluti e dei principi riformatori; manca la rivoluzione francese con la rivendicazione dei diritti dell’uomo, e la conseguente rivoluzione liberale ed economica attraverso tutto il secolo scorso. Manca, per chi bene  intende il valore del termine, tutto il contenuto spirituale dello Stato fascista, nettamente.   E tuttavia, in questa lontananza di secoli e in questa  vuotezza di contenuto dello Stato machiavellico, M. ha pur veduto in fondo al Principe le due sole cose-  che lo fanno ancor oggi un monumento di sapienza politica incomparabile, per le quali ha resistito alia diversità  dei tempi e dei climi mentali, e resisterà ancora. L’una  è i’iunanità pura, la laicità, come carattere fondamentale  della vita politica e dello Stato moderno ; l’altra è la forma  caotica, anarchica, amorale, in cui si presenta Fumanità  come massa, come popolo non ancora educato alla vita  politica, non ordinato e guidato dallo Stato e da un Governo ( 1).    (1) Nei Colloqui (pag. 131) M. ricorda il motto di HegeL per cui «il  popolo è queUa parte della nazione che non sa quello che vuole ».   Quello che M. sottintende è il contenuto spirituale che dà egli stesso allo Stato machiavellico. Quella  laicità non ignora il problema religioso (e neppure  Machiavelli, in verità, l’ignorava); quel Principe, ch’è Stato  e Capo di governo, per quanto trascenda con la sua autorità la massa, non è estraneo a essa: non è un despota,  una volontà arbitraria, che, affidandosi all’astuzia, alla  forza 0 al caso, s’impadronisca della massa cittadina e  senza scrupolo la maneggi, quasi materia da plasmare per  suo solo gusto o interesse particolare. Il Capo è volontà  che in sé illumina e potenzia la volontà oscura e fiacca  della massa, e personifica nella personalità propria le  aspirazioni e le virtù dei migliori che costituiscono la  tradizione più degna e viva della nazione. Egli si sente  responsabile innanzi a Dio e al mondo intero. Soltanto  così lo Stato fascista può diventare ima potenza che s’inserisce nella storia e concorre allo svolgimento della civiltà  umana.     <( Incontestabile merito del Fascismo è di aver datO'  aglTtaliani il senso dello Stato. Tutto quello che abbiamo  fatto e che vi ho riassunto, scompare di fronte a ciò che  abbiamo fatto creando lo Stato. Per il Fascismo lo Stato  non è il guardiano notturno, che si occupa soltanto della  sicurezza personale dei cittadini: non è nemmeno un’organizzazione a fine puramente materiale, come quello di  garantire un certo benessere e una relativa pacifica convivenza sociale, nel qual caso, a realizzarlo, basterebbe  un consiglio di amministrazione; non è nemmeno una  creazione di politica pura, senza aderenze con la realtà  mutevole e complessa della vita dei singoli e di quella  dei popoli. Lo Stato, cosi come il Fascismo lo concepisce  e l’attua, è un fatto spirituale e morale, poiché concreta  l’organizzazione politica, giuridica, economica della na¬  zione; e tale organizzazione è, nel suo sorgere e nel suo  sviluppo, una manifestazione dello spirito. Lo Stato è ga¬  rante della sicurezza interna ed esterna, ma è anche il  custode e il trasmettitore dello spirito del popolo così  come fu dai secoli elaborato nella lingua, nel costume,  nella fede. Lo Stato non è solamente presente, ma è anche  passato e, sopra tutto, futuro. È lo Stato che, trascendendo  il limite breve delle vite individuali, rappresenta la coscienza immanente della nazione. Le forme in cui gli  Stati si esprimono, mutano, ma la necessità rimane. È lo  Stato che educa i cittadini alla virtù civile; li rende consapevoli della loro missione; li sollecita all’unità, armonizza i loro interessi nella giustizia; tramanda le conquiste del pensiero nelle scienze, nelle arti, nel diritto, nell’umana solidarietà; porta gli uomini dalla vita elementare delle tribù alla più alta espressione di potenza umana  che è l’Impero; affida ai secoli i nomi di coloro che morirono per la' sua integrità e per ubbidire alle sue leggi;  addita come esempio, e raccomanda alle generazioni che  verranno, i capitani che lo accrebbero di territorio, o i  geni che lo illuminarono di gloria. Quando declina il senso  dello Stato e prevalgono le tendenze dissociatrici e centrifughe degl’individui o dei gruppi, le società nazionali  volgono al tramonto ». {All’assemblea quinquennale del  Regime, 1929).    ^   Abbiamo già notato (pag. 33) che queste parole dànno  <( il senso dello Stato », creato dal Fascismo, meglio di  tutte le teorie che si attardano ancora nei vecchi schemi  della scienza politica. Ora ci domandiamo: che cos’è questo senso dello Stato che il Fascismo, M., ha creato  nella coscienza degl’italiani, e come s’inserisce nella nostra  tradizione politica? È forse un’apparizione casuale, che  può esser, quindi, anche effimera?   Che non sia tale, credo che basti a dimostrarlo il  fatto che M. stesso sente il Fascismo come una continuazione e uno sviluppo dell’opera iniziatasi col Risorgimento : (( Il Risorgimento non è stato che l’inizio, poiché fu l’opera di troppo esigue minoranze ». {Messaggio  per Vanno nono ». Il che non porta alla conchiusione  che il problema del Fascismo sia lo stesso di quello del  Risorgimento : « Io penso che una rivoluzione è rivoluzione solo in quanto affronta e risolve i problemi storici  di un popolo. È una rivoluzione il Risorgimento perché  affrontò il problema capitale dell’unità e deU’indipentlenza italiana; rivoluzione è quella fascista che crea il  senso dello Stato e risolve, man mano che si presentano,  i problemi che il passato le ha lasciato ». (Stt gli Accordi  del Laterano, alla Camera). Qui è già indicata la differenza: il Risorgimento ebbe per scopo l’indipendenza e  l’unità della nazione, e creò lo Stato italiano come affermazione di tale indipendenza e unità nazionale. Lo Stato,  qui, è ancora una forma, un mezzo per un contenuto diverso da essa: non è il problema dello Stato per se stesso.   Pure, dopo la costituzione dell’unità nazionale, quando  nel 1876 venne la Sinistra al potere, non mancò tra gli  uomini della vecchia Destra chi avvertì che lo Stato è  qualcosa più di una forma meramente estrinseca, e pose  sin d’allora il problema in termini abbastanza vicini a  quelli in cui l’ha posto M.. Si vegga, infatti, il  volumetto pubblicato dal Gentile col titolo: Francesco  Fiorentino: Lo Stato Moderno e le polemiche liberali (De  Alberti, Roma, 1924). In esso, a pag. 14 e segg., è riportato  il concetto che dello Stato ebbe Silvio Spaventa : « Lo  Stato per me è la coscienza direttiva, per cui una nazione  sa di essere guidata nelle sue vie, la società si sente sicura nelle sue istituzioni, i cittadini si veggono tutelati  negli averi e nelle persone. Nello Stato, adunque, avvi  giustizia, difesa, direzione. Questa direzione fa dello Stato  quello che è oggi lo Stato moderno: lo Stato, il quale  dirige un popolo verso la civiltà; lo Stato, il quale non  si restringe solamente a distribuire la giustizia ed a difendere la società, ma vuole dirigerla per quelle vie che conducono ai fini più alti dell’umanità ».   E lo stesso Spaventa altrove: « Quanto all’autorità e  forza dello Stato, ho riflettuto molte volte sopra le accuse  e i lamenti che si sono fatti di questa eccessiva forza ed  autorità; e mi sono domandato: siamo noi uno Stato forte  davvero? Abbiamo fatto l’unità d’Italia: credete che questa unità sia già forte da resistere agli luti dei secoli?  Il Machiavelli diceva che gli Stati nuovi che sono deboli. 6Ì perdono. Ora la forza e autorità vera degli Stati consiste, oggi più che mai, nel rappresentare veramente ed  efficacemente gl’interessi comuni: nel dirigere, come dicevo, la società nelle sue vie, non a prò di questa o quella  classe, di questo o quell’uomo, sihbene di tutti. — Voi  siete adoratore dello Stato? — Sì, io sono adoratore dello  Stato. Quando viviamo in un’epoca, dove tutto si distrugge,  poeo o niente si edifica, la fede nella patria e la fede  nella solidarietà lunana, la fede in qualche cosa che non  sia solamente il nostro miserabile egoismo, questa fede io  la credo necessaria e salutare per il mio paese ».   Il Fiorentino elabora e svolge ampiamente il concetto  spaventiano. « Dirigere non è manomettere, non è violentare, non è distruggere. Dato uno Stato che sappia e che  voglia, è impossibile che non manifesti la sua coscienza;  e manifestandola, è impossibile che non comprenda, non  unifiehi, non indirizzi la coscienza nazionale pei gloriosi  sentieri della civiltà universale. O forse, per ovviare a  questa legittima intromissione dello Stato, si vorrebbe  che non fosse altro che vuota forma, destituito di autorità, non avente una finalità propria? — Oggi lo Stato è  fatto mezzo all’individuo, come anticamente l’individuo  era mezzo allo Stato. La verità consiste nella conciliazione  di sì opposte sentenze. Lo Stato tutela ed assicura l’individuo, e come tale è mezzo; ma egli esige dagl’individui  il sacrificio degli averi, della vita, e qui dimostra e fa valere la propria finabtà. Di che riluce la varia misura in  cui stanno i due termini nel vicendevole rapporto: lo  Stato può richiedere il sacrificio dell’indivìduo; ma non  viceversa. Onde tra le due esagerazioni, dello Stato antico e di quello concepito dagli uomini di Manchester, la  prima rasenta il vero più della seconda » (pag. 41 e segg.).   E anche nel Fiorentino l’idea si anima nel sentimento sino a raggiungere quello che M. chiama  il senso dello Stato: (( Che qualcuno, attirato da vecchie,  astratte e straniere dottrine, si ostini a negare perfino la    Quaderni IV, 5.     realtà dello Stato; ovvero ne ammetta imo vacuo di ogni  attività, privo di ogni efficacia, ciò non mi storna dall’in-  vitta fede che ho nel fato della storia, e specialmente  della storia nostra. — Dov’è lo Stato? chiedono costoro;  chi lo vede? Per le vie non s’incontrano se non individui:  lo Stato è una fimzione, una idea astratta. — Poveri a  noi, se non fossero reali se non le cose sole che si vedono  e si toccano! Neppure la provincia, neppure il comune si  vedono: non si vede neppure la vantata libertà degl’individui, quella in grazia di cui s’impugna la realtà dello  Stato. La libertà, quando si traduce in fatti (ed allora  soltanto si vede), non è più libertà, ma forza, semplice  forza. Se non restiamo immersi nella stupidità della vita  animalesca, lo dobbiamo appunto a questo qualcosa d’invisibile e intangibile, contro cui a torto ci ribelliamo. —  Ma non si vede proprio lo Stato? Non si avvertono le sue  funzioni? Il contrario è anzi la verità. Oveché ci voltiamo.   10 Stato, quasi atmosfera spirituale, ci accerchia e compenetra: non un atto solo della nostra vita veramente  umana gli sfugge, né per questo cessa di esser libero:  che libertà non significa arbitrio. La mente dello Stato  delibera nel parlamento; il suo criterio giudica nei tribunali ; la sua volontà si compie nei gabinetti dei ministri ;   11 suo braccio colpisce con la forza dei suoi eserciti. Dai  merlati bastioni egli assicura le frontiere delle sue terre,  dalla tolda delle sue navi protegge le coste delle sue marine. All’ombra della sua bandiera, simbolo della sua potenza, i cittadini, ovunque essa sventoli, si sentono protetti e  sicuri; e quando quella potenza è minacciata, tutti sentono  nella coscienza l’offesa di quella minaccia, tutti il bisogno  ed il dovere di rintuzzarla: né v’ha sacrificio che arresti  quest’impeto generoso e concorde, fosse anche quello della  propria persona, È forse una finzione chi fa tutto questo?  O non è il più pieno e attuoso ideale? E questo ideale,  che accende gli entusiasmi delle moltitudini, guida pure i  propositi dell’uomo di Stato » (pag. 46 e segg.). Il senso della vita politica, dello Stato, l’Italia l’Iia ereditato da Roma. Le durissime esperienze durante l’evo  medio e moderno — invasioni e predomini di genti straniere, lotte senza fine fra comuni e signori italiani o fra  potenze che venivano qui a decidere le loro questioni per  l’egemonia mondiale — hanno raffinato e approfondito  quel senso come in nessun altro popolo. Di qui sono  usciti in ogni tem,po i primi maestri della storiografia  politica, del diritto, delle teorie intorno allo Stato. Il Fascismo, riprendendo il problema della Destra, riprende il  problema della nostra tradizione millenaria più che secolare.   Resta, tuttavia, ancora una questione: constatato che,  ciò che M. chiama il senso dello Stato, ha un precedente prossimo in alcuni pensatori del Risorgimento,  — quale, poi, è la differenza tra il senso ch’egli rivendica come creazione propria del fascismo, e quello di tali  vecchi liberali?   Dopo quanto si è accennato a pag. 33, la nostra risposta  non può essere che questa: per quanto quei pensatori si  avvicinino al senso fascista dello Stato, questa realtà dello  Stato svanisce o in un’affermazione generale della realtà  di ogni ideale che stringa gl’individui in una comunità  di vita spirituale, ovvero nell’astrattezza della pura forma  politica dello Stato: astrattezza, alla quale uomini come  lo Spaventa e il Fiorentino si sforzano di dare un’anima  e una vita nel loro sentimento profondamente patriottico.  Si rileggano i passi addotti. Lo Stato è, per essi, una coscienza direttiva, che ha la realtà stessa del comune e della  provincia, salvo che comprende e promuove tutte le forme  della vita civile di un popolo e la tutela della sua indi-  pendenza. Esso compie tale sua funzione per mezzo dei  suoi organi legislativi, esecutivi, giudiziari, militari. È, dunque, lo Stato quale (( organismo giuridico-politico », lo    Quaderni Stato Costituzionale », che qui si ha presente. In esso  si dovrebbe esprimere quella « volontà comune », che supera la volontà dei singoli solo perché è cosi definita. Ma  tale « comunità » si prestò troppo bene a quella interpretazione democratica, per la quale, non essendo essa, in  realtà, la volontà concreta di nessuno in particolare, e non  essendo d’altronde facile constatarla per tutti, potè diventare la volontà della maggioranza. Che è il baco roditore  del liberalismo, anche di quello più tenacemente attaccato all’idea della forza e autorità dello Stato.   Di qui, anche, la frigidità di questo Stato. L’individuo  lo sente fuori di sé, e ha bisogno infatti di persuadersi di  dovergli obbedire. Questo accade sempre che l’autorità si  presenti nella forma soltanto di una « legge » : di una legge  che non sia ima persona viva, alla quale ci leghi il sentimento di amore e di devozione. L’uomo religioso, che la sa,  istintivamente, più lunga del filosofo razionalista, sia pur  questi un Emanuele Kant, non ammette un « imperativo  categorico », una legge morale, che non sia l’espressione  di una volontà superiore, di Dio. E similmente, il fanciullo  che non ha bisogno di persuadersi dell’autorità del padre  e della madre, perché quell’autorità è per lui cosa viva,  la sua stessa vita attuale e condizione del suo avvenire.   Il senso dello Stato che il Fascismo, M., ha  creato, e sta creando, è questo sentire nello Stato la forma  più alta, più ricca e concreta, della nostra esistenza e personalità storicamente determinata in quella famiglia, società, patria o nazione, in cui Dio (altri dica il destino)  ci ha fatto nascere. Ognuno a un posto ch’è di comando  e insieme di obbedienza. Ognuno con una responsabilità  ben determinata: a cominciare da chi dirige tutti gli altri.  Mondo di personalità, dove soltanto la persona è legge  concreta alla persona.   Soltanto in questo modo, l’individuo può dare tutto se  stesso, pènsiero e azione, intelligenza e volontà, interessi  materiali e spirituali, la stessa vita, per quella che si dice         (( la causa comune ». Soltanto così, lo Stato si può porre  come educatore, nel senso più grandioso della parola:  ch’è il senso stesso dello Stato a cui, se non erriamo, va  la mente di M. (1).    (1) S’intende che questo senso dello Stato trova un’espressione eccezionalmente persuasiva nella personalità di un Capo di Governo come M..  Ogni altro dovrebbe (oltre le qualità personali che impongono autorità per  se stesse) poter dire come lui: «Io ho una vasta esperienza che mi ha reso  possibile conoscere la psicologia delle masse, e di avere quasi una sensibilità tattile e visiva di quello che le masse vogliono, pensano in un determinato momento » (La funzione storica del sindacalismo fascista, 1926).  E però, anche: «Se qualcuno attentasse alla nostra indipendenza o al nostro  avvenire, egli non sa ancora a quale temperatura io porterei tutto il popolo  italiano! Non sa a quale temperatura io porterei la passione di tutto il  popolo italiano, quando fosse insidiata nei suoi sviluppi la Rivoluzione  deUe Camicie Nere » (Discorso di Livorno, 1930). E già Nel quinto anniversario della fondazione dei Fasci (1924): «Si dice: voi governate con la  forza... Ma la forza è il consenso. Non vi può esser forza se non c’è consenso, e il consenso non esiste se non c’è la forza... Governare significa  sentire nel proprio cuore battere il cuore di tutto il popolo ».   Governo forte è, dunque, queUo che persuade, ha l’intimo consenso dei  governati; ed ha questo consenso perché la sua volontà è forte, s’impone per  se stessa, non per una legge anonima, astratta. Qui è esplicitamente definito  il senso fascista dello Stato, che non è forte solo perché fa, semplicemente,  rispettare la legge.  Nella conchiusione del nostro scritto precedente abbiamo accennato all’idea (potremmo dire, Faugurio) che  la conciliazione fra lo Stato e la Chiesa, avvenuta per  opera di M., segni il principio, non soltanto di una  nuova concezione, veramente religiosa, dello Stato moderno in generale, ma anche di un possibile rinnovamento  della Chiesa Cattolica nel senso di una più generale conciliazione fra essa e il pensiero moderno.   Ma, poiché l’autore di questo scritto può, giustamente,  essere in sospetto per la sua provenienza dalla filosofia neoidealistica italiana, che non è ortodossa, è bene, penso, che  il lettore senta anche la parola di persona proveniente, in  questo punto, dal campo opposto.   Ecco, dunque, il Barnes, del quale abbiamo già avuto  occasione di citare il volume Gli aspetti universali del Fascismo, con prefazione di M., il quale assicura che  (( il Barnes è preparato al suo compito: conosce il Fascismo  nella sua elaborazione dottrinale e nelle sue realizzazioni  pratiche » (pag. 8). Egli non è un filosofo di professione ;  ma, poiché di una filosofia non poteva far a meno per il suo  argomento, professa di aderire alla filosofia che oggi combatte l’idealismo per un ritorno all’(( incomparabile dottrina )) di S. Tommaso: «Io penso che il neoscolasticismo  sia, preso nella sua totalità, la più vitale scuola filosofica  dell’Europa odierna, e quella che più di ogni altra sia capace di assimilare quanto di veramente importante vi sia nelle altre scuole, contribuendo, cosi, allo sviluppo del  progresso filosofico » (pag. 25). E per essere più sicuro di  interpretare bene questa dottrina, si è rivolto a un professore di teologia dogmatica della Pontificia Università Gregoriana di Roma, il quale lesse il suo manoscritto e lo aiutò  « a rendere il testo più accurato nella sua parte filosofica )).  Si può, dunque, stare tranquilli.   Si noti che il libro del Barnes è stato pubblicato prima  della Conciliazione: il che fa onore alla sua perspicacia,  come ora diremo.   Che dice, dunque, il libro del Barnes? «Esso è stato,  in parte, scritto con lo scopo di dimostrare che il Fascismo  non è incompatibile con gl’insegnamenti della Chiesa cattolica, e sopratutto che i principii fondamentali della  Chiesa, nei riguardi della natura e finalità di uno Stato,  sono interamente e veramente consoni a quelli che ha abbracciato quel gruppo di fascisti che rappresenta, di fatto,  la corrente principale di questo movimento. Questa è, secondo me, l’idea centrale, il fulcro del movimento fascista: l’assoluto disdegno di ogni materialismo, di ogni  teoria naturalistica dello Stato, siano esse del tipo professato da Maurras o da Marx o da Hegel, da Rousseau e dagli  altri innumerevoli filosofi pullulati non appena la cultura  cessò di avere le sue radici nel pensiero cristiano... Io non  esagero. Questa è, secondo me, l’origine della Rivoluzione  fascista, che può essere generalmente definita una furiosa  rivolta contro le varie forme di materialismo che dall'epoca  della Rinascenza pagana hanno chiaramente dominato la nostra civiltà » (pag. 14 e segg.).   Che il Fascismo, nella sua dottrina, sia contro il materialismo, e però sia su una linea dì spiritualismo, non saremo, certamente, noi a porre in dubbio: ci sono troppe  esplicite dichiarazioni, su questo, di M. stesso.   Ma che dalla Rinascenza a oggi la filosofia moderna  non sia altro che materialismo, è, questo, un paradosso che  non ha bisogno di confutazione: si presenta da sé come un errore evidente. E sarebbe troppo facile (e perciò vi  rinunciamo) ritorcere l’accusa proprio contro la dottrina  scolastica, o neoscolastica, dimostrando che, se ce n’è  una che sostenga la (( teoria naturalistica dello Stato », è  quella.   Noi non abbiamo nessun interesse, qui, a metterci in  discussione col Barnes per la sua filosofia. Anzi, l’interesse  maggiore per noi è proprio il fatto che siamo agli antipodi nel modo di pensare, e tuttavia (e questo è un fatto  che ha estremo interesse per tutti) concordiamo nelle con-  chiusioni.   Dopo, dunque, aver constatata la consonanza dei prin-  cipii fondamentali della Chiesa cattolica con i principii fondamentali del Fascismo, il Barnes soggiunge: « Non si deve,  per questo, ritenere il Fascismo legato necessariamente all’ortodossia. Questo oramai è per me chiaro e vi sono molti  italiani, fascisti, che rigetterebbero energicamente una simile affermazione. Con loro, l’intera e forte scuola dei neoidealisti e Gentile ripudierebbero questa teoria. Se io avessi  posto questa distinzione avrei meglio chiarito la portata universale del Fascismo. Nonostante ciò, io sostengo la mia tesi  principale: io rimango convinto che il Fascismo, non solo  sarà il mezzo per conciliare il disaccordo tra Chiesa e Stato  in Italia; ma farà sì che, sotto il suo sforzo, sia possibile  alla Chiesa assimilare la cultura moderna. Io ritengo che le  conseguenze del Fascismo saranno tremende nei riguardi  della Chiesa. Sono d’opinione che il risorgere dell’ortodossia  col Fascismo, affermerà vittoriosa questa tendenza. Lai  Chiesa dovrà allora convincersi di non esser più una rocca  chiusa, e, nell’assimilare la cultura moderna, dovrà perdere  ogni sua diffidenza verso di questa e riassumere, ancora una  volta, le direttive della cultura umana moderna » (pag. 17  e seg.).   Alla huon’ora! Dunque, le conseguenze del Fascismo saranno tremende nei riguardi della Chiesa, perché costringe la Chiesa cattolica a rinnovarsi, a mutare il suo atteg-  giumento verso la cultura moderna (1).   Possiamo, allora, accettare anche questa conchiusione del  Barnes: «Riassumendo, io sostengo che  il Fascismo è il  principio di una nuova sintesi politica e culturale, in cui.  prendendo a paragone un’elissi, la tradizione romana dell’autorità sia politica che ecclesiastica rappresenterà i fuochi. Questa è una profezia, e solo il tempo potrà dimostrare  se io abbia o no ragione » (ivi).   Come la pensa il nostro Duce in proposito? Non è  troppo azzardato, noi crediamo, di supporre che egli la  pensi, per l’appunto, cosi, o in un modo vicino a questo.   Lo si può arguire anche dal fatto che — per quanto  egli distingua fra credenti e praticanti (« partecipare al  culto è affare personale »: Colloqui, pag. 173) — pure non  esclude che un fascista possa essere cattolico nel senso più  ortodosso. Disse di Michele Bianchi: «Voglio anche ricordare il modo della sua fine. L’uomo che aveva strenuamente  combattuto per un decennio sotto i duri simboli delle verghe  e della scure, volle cattolicamente morire nel conforto dei  riti e delle speranze, della millenaria religione del popolo  italiano » (1930). E di Arnaldo: « Egli era un cattolico convinto e praticante, ma altrettanto convinto e fermissimo Mi  ci) Ripetiamo: la polemica filosofica non c’interessa qui. Ma ognuno  vede la contraddizione, in cui cade U Barnes, nel suo giudizio su il pensiero e la, cultura svoltasi dal Rinascimento ai nostri giorni. Quando la  Chiesa si sarà rinnovata — egli aggiunge — « cesseranno di esistere le menzogne contenute nel neoidealismo e nel modernismo, e questi sistemi non  saranno, in complesso, più ricordati che come sintomi della rivolta, come  strumenti del periodo di transizione » (pag. 18). Sino a quel eiomo. dun-qne.  sembra che le menzogne del neoidealismo e del modernismo abbiano vnsj  loro ragion d’essere e verità degna di molto rispetto.  lite della Rivoluzione e difensore dei legittimi diritti dello  Stato» (Fifa, pag. 58).   Il problema, infatti, non è un problema cbe si possa  risolvere su la carta: è un problema di fede, oltreché di  pensiero; e va vissuto dall’individuo nella sua pura interiorità, prima ancora che dibattuto fra i due maggiori istituti storici quali lo Stato e la Chiesa.  Pa . ... 43   II. Il senso d’interiorità ... .46   III. Positivismo, idealismo e spiritualismo . .43   IV. Il Preludio a Machiavelli . . 58   V. n senso dello Stato . . .62   VI. Il problema del Caltolicismo . . 70 In his history of philosophy for ‘i licei classici’, he rewrote his Manuale di filosofia into a ‘Sommario’. – The history goes smoothly up to Kant. The third volume is about M.. He is the only philosopher he cares to capitalize. He also capitalizes fascism into FASCISMO, which is odd seeing that his main source is M.’s own entry for ‘fascismo’ in the Treccani which does not give it such a status. The third volume is ITALO-CENTRIC, from VICO onwards, FARLINGIERI, and notably GENTILE to end with M.. The idea is presented by L. as a ‘riconstruzione dello stato’ – we are talking of the ‘stato moderno’ – il stato liberale borghese is in ruins – and although he plays with the ‘socialist state’ he does not consider it within the realm of the proper history of philosophy when he talks of French illuminism. So his concern is wht the idea of the state in the liberal party – the philosophy of the laissez-faire. It provides NEGATIVE freedom. Freedom from the other. And there is competition. Also, as he notes, liberalism lies in that the ‘condizioni iniziali’ are hardly ‘equal’ for every member of society, so that liberalism only pays lip service to ‘liberale’. With the socialist state, the problem is the opposite: the state becomes a gestore – and there is this idea of an endless dialectic among the classes. So how does M. reconstruct all this. He calls it ‘stato fascista’ – Had L. continued from Kant to Fichte and Hegel, the student would be more prepared! M.’s idea of the state is Hegel’s – it is the NAZIONE-STATO. While M. speaks of the ‘individui’ of this nazione, he means the Italians (not the Jews, etc.). SO this NAZIONE however, is MORE than the sum of its individui. Individui come and go – but the state remains. The state becomes governo. M.’s prose is machist and homosocial, and Lamanna has to lower down the rhetoric, but nothing is said about Germany. It is ITALY which is seen as proposing this new or novel idea of the state (after la rivoluzione fascista) with a Kantian approach. Since L. has only read Kant seriously, he applies Kantian categories here: M.’s fascist state gives each individual POSITIVE freedom – to be a slave to the CAPO or Duce who ‘knows’ how to command. L. quotes from CICERONE to the effect that it is obeying the law that makes us free. The emphasis is constantly on the azione or prassi, which is understandable since the pupils are supposed to learn about philosophy. So where is the dotttina? M. is candid about this. When ‘I all started it’ I did not know where I was going. It was the ANTI-PARTY movement --. L. provides the editorial. During the ventennio, this action, which is the INSTINCTIVE FORCE OF THE SPIRIT OF THE NATION, becomes legalistic, a party is formed, and indeed a government (polizia, politeia) established. But M. accepts castes in society. Even the religion, a civil religion, is subdued and one can very well be allowed to worthip the God of the Heroes. It is an ‘etica guerriera’ and it targets the male – virtu, andreia. Being commanded by one know knows is a privilege. Ths is interesting because this is conceived after the temporary successes in Africa – M. romano e africano – and before the problems of the second world war. For the first time, Italians FEEL they are part of a NATION. The seeds are in the Risorgimento, but this got stuck with a liberal kind of state, which only provides negative freedom, anyway, and where the initial conditions are  unequal. Lo stato fascista does not play with parlamentarism, so Congress is closed, and the only party is the national party. Jews are excluded from PUBLIC service -- even if some wrote panegirici for fascism, like Mondolfo. The philosophical foundations are found in Hegel. If Hegel concentrated all in the Kaiser of Prussia, M. does so with himself. GENTILE did not really help, although he was the official voice of fascist philosophy --. The student of philosophy then is taught the lessons of history (philosophy is IDENTIFIED with its history) and indoctrinated in the final stages into a particular IDEOLOGY. The tone is catechistic, and there is no idea of dissent. L. however emphasises that the stato fascista still recognizes the indidivuality and the personality of each member – as the stato comunista or socialista would not!” Tra gli scritti di M.  figurano, in ordine di pubblicazione:  Dio e patria nel pensiero dei rinnegati, New York, s.n., 1904. L'Uomo e la Divinità. Contraddittorio avuto col pastore evangelista Alfredo Taglialatela la sera del 26 marzo 1904 alla "Maison du peuple" di Losanna, Lugano, Cooperativa tipografica sociale, 1904. [Testo di una conferenza tenuta a Losanna per commemorare la Comune di Parigi, conosciuto anche col titolo di Dio non esiste, col quale viene a volte ristampato] La filosofia della forza. Postille alla conferenza dell'on. Treves, Predappio 1908. Pio Battistini, 7 settembre 1891. Discorso commemorativo, pronunciato nel diciannovesimo anniversario dell'assassinio, Forlì, Lotta di Classe, 1910. Claudia Particella. L'amante del cardinale, romanzo pubblicato a puntate su "Il Popolo", Trento, 1910. Il Trentino veduto da un socialista. Note e notizie, Firenze, La rinascita del libro, 1911. La mia vita dal 29 luglio 1883 al 23 novembre 1911(1911-12), Roma, Editrice Faro, 1947. Giovanni Huss. Il veridico, Roma, Podrecca e Galantara, 1913. [pubblicato nella collana de «I martiri del libero pensiero» col dichiarato intento di suscitare nei lettori «l'odio per qualunque forma di tirannia spirituale e profana», fu dall'autore censurato nel 1921 e, dopo la stipula del Concordato del 1929, scomparve dalle biblioteche e dalle librerie] La guerra per la libertà e per la fine della guerra. Lettera ai socialisti d'Italia di Benito M.  con l'aggiunta delle sue ultime dichiarazioni dopo le dimissioni da direttore dell'Avanti, Firenze, Nerbini, 1914. Il mio diario di guerra (1915 - 1917), Milano, Imperia, 1923. My Autobiography, New York City, Charles Scribner's Sons, 1928 [pubblicato inizialmente a puntate sul Saturday Evening Post e poi in volume nello stesso anno il libro, scritto come opera di propaganda per i lettori americani, è stato scritto in realtà dall'ambasciatore statunitense Richard Washburn Child, il quale viene riportato come "traduttore", insieme a Luigi Barzini con materiale fornito da Margherita Sarfatti e con la possibile collaborazione di Arnaldo M. . Il libro vide la sua prima traduzione italiana solo nel 1971 come La mia vita, da non confondersi con La mia vita dal 29 luglio 1883 al 23 novembre 1911 spesso ristampato e riportato abbreviato con lo stesso titolo][323] La dottrina del fascismo, 1932[324] Vita di Arnaldo, Milano, Il Popolo d'Italia, 1932. Scritti e discorsi di Benito M., 12 voll., Milano, Hoepli, 1934-1940. Parlo con Bruno, Milano, Il Popolo d'Italia, 1941. Storia di un anno. Il tempo del bastone e della carota, Milano, Mondadori, 1944 ( versione digitalizzata.). Memoriale del nord del duce, (scritto tra il 1944 e il 1945, mai pubblicato) Opera omnia di Benito M., 44 voll., a cura di Edoardo e Duilio Susmel, La Fenice Firenze 1951-1963, poi Volpe Roma 1978-1980. Note ^ E. Bertoni, Aurelio Saffi. L'ultimo "vescovo" di Mazzini, Forlì, Cartacanta. ^ Sulla questione della meta finale di M.  la comunità scientifica è tuttora divisa fra sostenitori di una possibile "fuga in Svizzera" e coloro che invece ritengono che M.  avesse altri scopi immediati. ^ Per la tesi a favore di una fuga, vedi, per esempio Aurelio Lepre, La storia della repubblica di M. ; Salò: il tempo dell'odio e della violenza, 1ª ed., Mondadori, 1999, p. 300, ISBN 88-04-45898-4. «Svanita ogni speranza di trattare, cercò la salvezza personale nella fuga. In questo non si comportò diversamente da come si erano comportati Vittorio Emanuele III e Badoglio l'8 settembre, perché lasciò gli uomini che gli erano rimasti fedeli senza ordini e senza guida. Visto, infatti, dall'interno, con gli occhi degli uomini che gli erano più vicini, il comportamento di M.  non appare dissimile da quello di Vittorio Emanuele III così come è stato descritto da Paolo Puntoni» ^ Per la tesi a favore di una fuga, vedi anche Franco Bandini, Vita e morte segreta di M., 3ª, 1981, Mondadori, 1978, p. 318. «(Dal capitolo "Il tiranno è morto", premettendo i seguenti fatti all'epilogo) Occorre cominciare appena un poco più indietro, nel momento in cui M.  – spinto da un cupo demone – si avvia con passi esitanti e già guidati da una sottile paura, a quella fuga che sarà, prima dell'altra, la sua vera morte. Dimentico di se stesso, di una vita pur sempre cominciata nelle battaglie e nel rischio, incurante dell'ancor possibile rispetto e dei suoi e della Storia, che non assolve, ma pesa ogni atto dell'uomo potente su bilance inesorabili, M.  sceglie di cadere da vile, ingannando, moralmente uccidendo coloro che gli sono ancora rimasti fedeli, pur nella certezza della fine imminente. Va stancamente, miserabilmente verso il nord, mezzo inclinato alla fuga in Svizzera, mezzo turbato dai fieri propositi che ode attorno a sé, per "l'ultima battaglia" in Valtellina: e rivolge nel pensiero non la forte accettazione del fato che si compie, ma i cavillosi punti della sua difesa di domani, quando – come spera – potrà ancora allineare fiumi di logore parole e giocare su vecchi e nuovi equivoci e forse galleggiare indefinitamente sullo scontro degli opposti giudizi, come il sargasso immobile tra il turbinare delle correnti. È disposto a tutto, anche al cappotto tedesco, anche a tradire chi vorrebbe ancora morire per lui, i vecchi fascisti, i suoi ministri, persino Claretta: e finge irresolutezza fin dal momento della Prefettura di Milano, la sera del 25 aprile, non perché sia davvero incerto tra la morte e la vita, ma perché – ancora una volta – è incapace di dire "andiamo" e preferisce che lo dicano altri, che la cosa "nasca da sola", perché ha forse già in mente altri articoli "del tempo del bastone e della carota", destinati ad illustrare come questi nuovi passi che sta facendo siano colpa di questo e di quello, di cardinali e militari, di traditori e servizi segreti, di tutti, meno che sua» ^ Il colonnello statunitense Lada Mocarski, in un rapporto scritto per conto dell'Office of Strategic Services riguardo un'inchiesta da lui condotta sugli ultimi giorni del dittatore, afferma invece che «nessuna prova circa le intenzioni e i piani di M.  è stata raggiunta durante l'indagine e forse non esisteva alcun piano definito. È infatti ovvio che i movimenti del Duce fossero il risultato di improvvisazioni non appena le condizioni di fatto cambiavano». Dino Messina, Ordine da Milano: eliminate il Duce, in Corriere della Sera, 23 febbraio 2009. URL consultato il 20 ottobre 2011. ^ Antonio Spinosa, "Parte quarta: Il cappotto tedesco. Infauste sponde", in M. . Il fascino di un dittatore, Milano, Mondadori, 1989, p. 367. «Imbruniva quando una colonna di automobili lasciava la prefettura e usciva da Milano, la città in cui ormai tutti gli tendevano una trappola, i partigiani, i tedeschi, gli alleati. Doveva fuggirne per evitare il peggio. [...] Già quella sera, a tarda ora, si apprese che le auto fuggitive avevano raggiunto Como [...]» ^ Fra i molti, da Renzo De Felice, in diverse opere, e Denis Mack Smith in M. . ^ Palla, p. 15. ^ cit. D. Mack Smith, Storia d'Italia, Laterza, 1973, rectius Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario, Einaudi, pp. 12 e 13. ^ De Giorgi, p. 22. ^ De Giorgi, p. 21. ^ De Giorgi, p. 24. ^ De Giorgi, p. 25. ^ U. Alfassio Grimaldi, La cattedra che M.  non ebbe, in «Storia Illustrata» n. 271, giugno 1980, p. 6. ^ Pier Mario Fasanotti, Tra il Po, il monte e la marina. I romagnoli da Artusi a Fellini, Neri Pozza, Vicenza 2017, p. 139. ^ M., Benito, in The Columbia Encyclopedia, New York, Columbia University Press, 2008. ^ B. M., Opera Omnia, vol. 1, pagg. 9-10. ^ R. De Felice, M.  il rivoluzionario cit., pagg. 31 e 36. ^ L'esistenza di una relazione sentimentale non trova riscontri univoci. È invece accertata presso la maggior parte delle fonti la sua influenza nell'avvicinamento di M.  al marxismo. ^ La teoria dell'equilibrio economico in Vilfredo Pareto, in Ztl Macerata. URL consultato il 19 luglio 2013 (archiviato dall'url originale il 19 luglio 2013). ^ Raffaello Uboldi, La presa del potere di Benito M., su books.google.it, Arnoldo Mondadori Editore, 2010. URL consultato il 19 luglio 2013. ^ M.  più tardi dirà[senza fonte] di essersi iscritto alla Facoltà di Scienze sociali di Losanna, ma non vi è riscontro documentale. ^ Emilio Gentile, Le origini dell'ideologia fascista 1918-1925, Bologna, Il Mulino. ^ Furono diffuse notizie inattendibili sul suo frequentare le università di Zurigo e di Ginevra (quest'ultima falsa notizia è riportata nella biografia ufficiale della Sarfatti), mentre è vero che nell'estate trascorse due mesi all'università di Losanna. ^ Mack Smith, 1981, p. 23. ^ Monografie verbanensi, su verbanensia.org. URL consultato il 20 aprile 2016 (archiviato dall'url originale il 12 maggio 2016). «Nel giugno del 1904 ottiene il permesso di lavoro annuale, e in quello stesso anno succede a M.  come corrispondente dalla Svizzera del giornale italiano «Avanguardia Socialista»» ^ Mack Smith, 1981, p. 24. ^ B. M., La mia vita, p. 136. ^ Nel 1908, Benito M.  in Riviera, su sanremonews.it. ^ R. De Felice, M.  il rivoluzionario, cit., pagg. 49 n. 5 e 52. ^ R. De Felice, M.  il rivoluzionario, cit., pag. 57. ^ Trento, italiana, si trovava nel territorio dell'Impero austro-ungarico. ^ Rosa Broll, la «santa di Susà». Intervista di M. ., in LaValsugana.it. ^ R. De Felice, M.  il rivoluzionario, cit., pagg. 74-5. ^ Lo sfratto di un italiano dall'Austria, in La Stampa, 3 marzo 1910. URL consultato il 27 dicembre 2012. ^ Questa l'interpretazione di (DE) Hans Woller, Ante portas. M.  in Trient 1909, in Regionale Zivilgeselllschaft in Bewegung - Cittadini innanzi tutto. Scritti in onore di Hans Heiss, a cura di Hannes Obermair, Stephanie Risse, Carlo Romeo, Vienna-Bolzano, Folio 2012, pp. 483-500, cfr. soprattutto p. 497. ISBN 978-3-85256-618-4. ^ Antonio Mambelli, Archimede Montanelli nella vita e nell'arte. Un maestro del Duce, Valbonesi, Forlì, 1938. ^ El violín de M.  (in spagnolo).. ^ Benito M., L'amante del cardinale. Claudia Particella, Salerno Editrice, 2009, ISBN 978-88-8402-673-6. ^ Benito M., Il Trentino veduto da un socialista - note e notizie (PDF), a cura di Giuseppe Prezzolini, Firenze, Casa Editrice Italiana, 28 febbraio 1911, pp. 104. URL consultato il 26 marzo 2013.  Sul rapporto Nenni-M.  si veda: Duilio Susmel, Nenni e M.  mezzo secolo di fronte, Rizzoli, Milano, 1969; Nicholas Farrell, Giancarlo Mazzuca, Il compagno M., Rubbettino, Catanzaro, 2013; Alberto Mazzuca, Luciano Foglietta, M.  e Nenni amici nemici, Minerva Edizioni, Bologna, 2015. ^ A. Spinosa, M. . Il fascino di un dittatore, Mondadori, Milano, 1989, pag. 33. ^ cit. D. Mack Smith, Storia d'Italia, Laterza, 1973 [manca numero pag]. ^ Quello scatolone di sabbia che unì M.  e Nenni. ^ Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario, 1883-1920, Collana Biblioteca di cultura storica, Einaudi, Torino, 1965. Sull'argomento vedasi anche: Maurizio Degl'Innocenti, Il socialismo italiano e la guerra di Libia, Roma, Editori Riuniti, 1976. ^ R. De Felice, M.  il rivoluzionario, cit., pagg. 108-110. ^ I quattro avrebbero poi dato vita al Partito Socialista Riformista Italiano. ^ R. De Felice, M.  il rivoluzionario, cit., pagg. 126-7. ^ R. De Felice, M.  il rivoluzionario, cit., pagg. 136-9. ^ R. De Felice, M.  il rivoluzionario, cit., pagg. 190 sgg. In realtà il pensiero anti-massonico era già stato portato innanzi nel XIII congresso del 1912 a Reggio Emilia (cfr. ibid. pag. 125), nel congresso regionale socialista romagnolo di Forlì, 16 giugno 1912, (ibid., pag. 674) e in vari altri ambienti fin dal 1904, compreso un attacco M. ano del 2 luglio 1910 (ibid., pagg. 89-91). ^ cfr. Alfonso Maria Capriolo, Ancona 1914: la sconfitta del riformismo italiano, in Avanti! online, 25 aprile 2014 (archiviato dall'url originale il 19 settembre 2016). ^ Valerio Castronovo et alii, La stampa italiana nell'età liberale, Laterza, 1979, p. 212. Vd. anche Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario cit., pag. 188. ^ Cfr. Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario, 1883-1920, Collana Biblioteca di cultura storica, Einaudi, Torino, 1965. ^ Luciano Lucci, M.  partecipa alla "Settimana rossa”, ma senza convinzione 10 giugno 1914, su alfonsinemonamour.racine.ra.it. ^ M.  propose il 27 luglio 1914 uno sciopero generale insurrezionale nel caso dell'entrata italiana nel conflitto. Vedi Leo Valiani, Il partito socialista italiano nel periodo della neutralità 1914-1915, Milano, 1963, pag. 8. ^ Stando alle dichiarazioni di Filippo Naldi del 1960, citate in Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario cit., pagg. 274-75 e 286-87.  M.  interventista: l’espulsione dal PSI, su fattiperlastoria.it. URL consultato il 21 dicembre 2023. ^ Valerio Castronovo et alii, La stampa italiana nell'età liberale, Laterza, 1979, p. 248. ^ R. De Felice, M.  il rivoluzionario cit., pagg. 229-236. ^ M.  interventista e la cacciata dal Partito Socialista Italiano, su vanillamagazine.it. URL consultato il 21 dicembre 2023. ^ Cfr. Antonio Spinola, M. . Il fascino di un dittatore, Mondadori, Milano, 1989.[manca il numero della pagina]. ^ Claudio M., Grande guerra, la verità su M.  interventista, «Corriere della Sera», 2 luglio 2002, p. 35. ^ Scrive Renzo De Felice: «Secondo Filippo Naldi, direttore del Resto del Carlino, alle prime spese per il giornale fecero fronte alcuni industriali di orientamento più o meno interventista o, almeno, interessati ad un incremento delle forniture militari: Esterle (Edison), Bruzzone (Unione zuccheri), Agnelli (Fiat), Perrone (Ansaldo), Parodi (armatori)». Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario, Einaudi, p. 277. ^ M.  resterà alla direzione del Popolo d'Italia fino al novembre 1922, quando verrà nominato Presidente del Consiglio. ^ Vd. la relazione della Commissione d'inchiesta sul caso M.  in Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario cit., pagg. 684-88. ^ Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario cit., pagg. 276-77 e il "Rapporto Gasti" presentato alle pagg. 723-37, in particolare pagg. 732-33. ^ Massimo Novelli, l giovane M.  al soldo della Francia (PDF), in La Domenica di Repubblica, 14 dicembre 2008, p. 31. URL consultato il 15 agosto 2011. ^ Nel fascicolo "Corrispondenza, b. 1, fascc. 17, fotografie 1 (1895-1933)" del fondo "Treves" conservato presso la Fondazione di studi storici "Filippo Turati", è presente una ricca corrispondenza sull'episodio. ^ Piero Treves, Ma perché quel giorno non infilzò M. ?, La Stampa, 30 giugno 1992, pag. 19. Anche in: Piero Treves, Scritti novecenteschi, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 182-184. ^ Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario, cit. ^ Renzo De Felice, M.  il Rivoluzionario cit., pagg. 321-22. ^ Da cui sarà tratto il libro Il mio diario di guerra. ^ a causa di ciò ricevette un anno di licenza di convalescenza, seguito da altri sei mesi al suo rientro in ospedale allo scadere del primo permesso. Cfr. Foglio matricolare di M.  Benito di Alessandro, matricola 12467 D.M. di Forlì in M.  il rivoluzionario cit., pagg. 665-67. ^ Il 22 maggio del 1940, alla morte del Senatore Giuseppe Tusini, il Duce inviò un telegramma di condoglianze alla famiglia dove citava con riconoscenza il suo intervento chirurgico risolutivo all'Ospedale di Ronchi di Soleschiano. Cfr. P. Marogna, Giuseppe Tusini, Archivio italiano di chirurgia, Vol. LIX - fasc. V Vedi anche: AA. VV., Studenti al fronte, LEG (GO), 2010, p. 177- 182. ^ Enzo Biagi, Storia del Fascismo, Mondadori[manca la pagina]. ^ Mack Smith, 1981, p. 54. ^ Ludwig, Colloqui (1932), pag. 50. ^ M. Sarfatti, Dux, pag. 158. ^ Pini, M.  (1939), pp. 80-81. ^ Sebbene alcuni abbiano recentemente sostenuto ipotesi differenti sulle cause del congedo, attribuendolo a condizioni generali di salute non buone legate a malattie infettive, la presenza di tali patologie è stata negata dal referto autoptico relativo al cadavere di M. . ^ Renzo de Felice, M.  il rivoluzionario cit., pag. 353. ^ In una lettera dal fronte ad Ottavio Dinale dell'11 settembre 1916 M.  mostrava già di aver voglia di modificare il sottotitolo del giornale. Vd. Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario cit., pagg. 405-6, 687 e 734. La spiegazione del cambiamento venne data comunque in breve fondo del 1º agosto 1918 dal titolo Novità... ^ Grandi, Le origini, pag. 52. ^ Alessio Altichieri, Le cento sterline che M.  intascava dalla "perfida Albione", 6 ottobre 2009.. Il tenente colonnello Hoare, nelle sue memorie, riportò le parole che M.  gli fece pervenire nonché le proprie conclusioni: «"Mobiliterò i mutilati di Milano, che spaccheranno la testa a ogni pacifista che tentasse di tenere una manifestazione di strada contro la guerra". E fu di parola, i fasci neutralizzarono davvero i pacifisti milanesi». ^ (EN) Benito M.  was MI5's man in Italy., articolo del The Times, del 14 ottobre 2009. ^ Renzo de Felice, M.  il rivoluzionario cit., pagg. 353-56. ^ Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario cit., pagg. 414-15.  Mack Smith, 1981, p. 63. ^ Un rapporto della stessa sera della Polizia di Milano indicava circa 300 presenti, compresi giornalisti e curiosi. Vd. Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario cit., pag. 504. ^ Chiurco, vol. I, pag. 22. ^ O.O., vol. XIV, pp. 88, 102-133. ^ Vd. la relazione di Giovanni Gasti in Renzo de Felice, M.  il rivoluzionario cit., pag. 520-21. ^ O.O., vol. XVIII, pag. 201. In un fondo dal titolo Non subiamo violenze! del 18 aprile 1919 dice noi dei Fasci non abbiamo preparato l'attacco al giornale socialista, ma accettiamo tutta la responsabilità morale dell'episodio. ^ Mack Smith, 1981, p. 65. ^ O.O., vol. XIII, pag. 231. ^ O.O., vol. XIII, pag. 26 e 252. ^ De Felice, pag. 727[Non è chiaro di che libro si parli]. ^ La questione fiumana era già dibattuta da tempo. Erano stati deliberati, nelle riunioni dei Fasci di combattimento, gli invii di diverse centinaia di volontari. Vd. Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario cit., pagg. 531 n. 1 e 533 n. 1. ^ Carteggio Arnaldo-Benito M., pp. 223-224 (16 settembre 1919). ^ Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario cit., pag. 572. ^ È interessante il modo con cui Giuseppe Ungaretti - all'epoca corrispondente da Parigi per «Il Popolo d'Italia» - visse gli arresti di M.  e Marinetti del 18 novembre 1919. Il poeta, molto preoccupato, cercò d'organizzare una manifestazione a Parigi in favore degli arrestati. Racconterà Ungaretti in un'intervista del 1933: «Nel ’19, a Parigi, facevo il corrispondente e seguivo i lavori della Conferenza della Pace per incarico del «Popolo d’Italia». Gli italiani si radunavano in un grande albergo dove era stabilita la delegazione italiana. Non rammento con precisione la composizione della delegazione italiana. Credo Nitti o Tittoni al posto di Sonnino e Orlando (…). Chissà se fra le carte di S. Ecc T. si troveranno forse un giorno una mia lettera in cui gli dicevo che avesse fatto bene attenzione perché oltre all’Italia ufficiale, delle schede e dei portafogli, c’era una Italia tremendamente giovane, che avrebbe vinto per forza o per amore. Signor delegato, gli dicevo, ho il dovere di avvertirvi che rappresento qui il giornale dell’Italia Nuova e vi prego di fare attenzione ai mali passi! Vi furono in quel periodo degli arresti a Milano. Organizzai allora una specie di Manifestazione in difesa degli arrestati alla quale aderirono tutti gli intellettuali più in vista di Parigi alla testa dei quali si misero gli scrittori di Littérature e del gruppo Dadà, Aragon, Breton, Tristan Tzara, ecc., che erano quelli che facevano più chiasso. Avevamo intenzione di invadere l’Ambasciata. Io feci annunciare a Nitti che gli avrei bucato la pancia. Ma poi non se ne fece nulla perché gli arrestati vennero rilasciati (Intervista di Alfredo Mezio ad Ungaretti, «Il Tevere», 17-18 luglio 1933. Su questa vicenda si veda anche F. Pierangeli, Ombre e presenze. Ungaretti e il secondo mestiere, premessa di E. Giachery, Loffredo, Napoli 2016, p. 86; lettera di M.  a Soffici del 2 dicembre 1919, in G. Ungaretti, Lettere a Soffici 1917-1930, a cura di P. Montefoschi e L. Piccioni, Sansoni, Firenze 1981, pp. 69-70; Giuseppe Ungaretti e Benito M.  (archiviato dall'url originale il 24 marzo 2020).). Più pacati furono i toni usati in quell'occasione da M.  che nel dicembre 1919 cercò di tranquillizzare il suo corrispondente parigino: «Carissimo, Marinetti è in libertà. Tutto bene» (Biglietto del 13 dicembre 1919 inviato da M.  ad Ungaretti, Vita d'un uomo. Saggi e Interventi, Mondadori, Milano 1986, p. 910). ^ Per tutta la vicenda vedi Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario cit., pagg. 573-77. ^ Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario cit., pag. 544, pag. 590 e sgg. ^ O.O., vol. XV, pagg. 197-8. ^ Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario cit., pagg. 592 e 658-59, M.  il fascista - La conquista del potere, Einaudi, Torino, 1995, pag. 29. A volte le richieste di denaro erano quasi esplicitamente ricattatorie, vd. M.  il rivoluzionario cit. pag. 354 e M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 45. ^ M. Drago, Allievi marescialli nelle forze armate. Teoria ed esercizi per la preparazione alla prova di preselezione dei concorsi, Alpha Test, 1º gennaio 2012, p. 124, ISBN 978-88-483-1469-5. URL consultato il 3 febbraio 2017. ^ Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario cit. pagg. 645-47. ^ Emilio Gentile, E fu subito regime: Il fascismo e la marcia su Roma, Gius.Laterza et Figli Spa, 1º settembre 2014, ISBN 978-88-581-1642-5. URL consultato il 3 febbraio 2017. ^ Andrea Leccese, Inciucio forever: La costante del trasfmormismo nella politica italiana, Armando Editore, 1º gennaio 2014, p. 61, ISBN 978-88-6677-726-7. URL consultato il 3 febbraio 2017. ^ Giolitti aveva esplicitato la sua intenzione di avere con sé i "patrioti" e i "partiti nazionali" il 1º aprile 1921. Vd. Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 64. ^ La lista di associazioni che aderirono al blocco è consultabile in Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 82 n. 4. ^ Dal Corriere della Sera del 1º gennaio 1922. ^ Dall'8 aprile al 14 maggio risultano 105 morti e 431 feriti. Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 87. ^ Camera, 11 marzo 1925, pag. 2438. ^ Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario, Torino, 1965. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 111, 138. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 151. ^ O.O., vol. XVI, pagg. 241 e 297. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 222. ^ Se i treni, se le poste hanno funzionato non lo si deve alle misure preventive prese dal Governo, ma al concorso spontaneo, disinteressato, entusiasta degli elementi nazionali. in Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 273. Per i pareri negativi riguardo allo sciopero vedi ibidem pagg. 222-24: Lo sciopero generale proclamato ed ordinato dall'Alleanza del Lavoro è stato la nostra Caporetto. Usciamo da questa prova clamorosamente battuti. ^ Enzo Biagi, Storia del Fascismo cit. ^ Amendola, Una battaglia, pag. 186. ^ Nitti, Rivelazioni, pagg. 346-7. ^ Mack Smith, 1981, p. 87. ^ Antonino Repaci, vol. II, pagg. 125 e 132. ^ M.  stesso asserisce, nel discorso di insediamento in Parlamento, che le camicie nere sarebbero state ben 300 000. ^ Secondo Badoglio sarebbe bastato arrestare al massimo una dozzina di persone e i fascisti avrebbero perso al primo scontro[senza fonte], asserì, inoltre che "al primo fuoco, tutto il fascismo crollerà". Renzo de Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 325. ^ Renzo de Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 358. ^ Secondo Renzo De Felice la parte destrorsa del fascismo era di tendenza o monarchica e conservatrice di ispirazione nazionalista, oppure revisionista, normalizzatrice e moderatamente parlamentarista. Vd. M.  il fascista - La conquista del potere cit., pagg. 365-66. ^ Paolucci, pag. 240. ^ cfr. "Il Parlamento è morto". Discorso pronunziato alla Camera dall'on. Filippo Turati il giorno 17 novembre 1922 sulle Comunicazioni del Governo, in "Critica Sociale", a. XXXII, n. 22, 16-30 novembre 1922, p. 339-349. ^ Vedi anche Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Discorsi, XXVI legislatura, Tornata. ^ Rendo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit. pag. 479. ^ Gianfranco Bianchi, Da Piazza San Sepolcro a Piazzale Loreto, Vita e Pensiero, Roma, 1978, p.264. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 481 n. 4. La legge sarà la n. 1601 del 3 dicembre 1922 (G. U. 15 dicembre, num. 293), vd. qui (PDF).. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pagg. 528-534. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pagg. 524 e 535. ^ Italo Scotti, Bollettino di informazioni costituzionali e parlamentari 1 (1984): Il fascismo e la Camera dei deputati: I - La Costituente fascista (1922-1928), pag. 109 (PDF) (archiviato dall'url originale il 4 novembre 2013).. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 534. ^ "The Italo-Greek Crisis." Economist [London, England] 8 Sept. 1923: 356+. The Economist Historical Archive, 1843-2012. . ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pagg. 561-62. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pagg. 557-570. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 563. ^ Regio Decreto Legge 22 febbraio 1924, n. 213. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 564, n. 3. Cfr. anche Prassi italiana di diritto internazionale - I casi della prassi - Parte V - Cap. I - C. - a - 411/3 (archiviato dall'url originale il 13 dicembre 2014).. ^ Alessandro Visani, La conquista della maggioranza, M., il PNF e le elezioni del 1924, Fratelli Frilli Editori, 2004, in particolare nel cap. 4 l'elenco dei fatti di cronaca riguardanti risse, aggressioni, provocazioni raccolte dall'A. nelle carte dell'ACS provenienti da prefetture, questure, stazioni di RRCC e dalla stampa coeva, da p. 134 a p. 143. ^ Nella fattispecie i fascisti uccisi durante la campagna elettorale furono 18 e i feriti 147: cfr. Fabio Andriola, M.  prassi politica e rivoluzione sociale, e.f.c. Le vittime della violenza fascista, invece, secondo Renzo De Felice, furono "centinaia di feriti e non pochi morti" (fra questi anche il deputato Antonio Piccinini), quasi tutti appartenenti a partiti d'opposizione, ma anche alle frange dissidenti del fascismo (come nel caso di Cesare Forni e Raimondo Sala) cfr. Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 583. ^ Fin dalla presa del potere nell'ottobre 1922 M.  e il Governo tentarono di arginare la violenza squadristica non più necessaria, vd. Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pagg. 406-07, 440-44, 481, 584. ^ Cfr. soprattutto Alessandro Visani, La conquista della maggioranza, M., il PNF e le elezioni del 1924, Fratelli Frilli Editori, 2004, in particolare il capitolo 4 e 5 e la prefazione di Giovanni Sabatucci. ^ Renzo De Felice, op. cit. nonché Alessandro Visani, op. cit.[Manca numero di pagina]. ^ Riferisce infatti A. Visani (op. cit.), p. 146, come particolare cura dovesse essere tenuta nell'esporre bene che sulla scheda elettorale non andasse apposto altro segno che la croce sul partito scelto, e soprattutto si dovessero evitare slogan e frasi d'ogni genere. Ci si riferiva infatti alla possibilità riferita dalle prefetture che agenti in incognito dei partiti di minoranza avessero volontariamente spinto i più ingenui elettori del blocco nazionale a scrivere sulle schede "Viva M. !", una pratica che avrebbe portato all'annullamento della scheda stessa. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 563 n. 2. ^ ibidem. ^ Si veda il resoconto stenografico della seduta del 30 maggio 1924, Camera dei Deputati. ^ Così chiamata in richiamo alla secessione della plebe ai tempi della res publica romana i quali si riunirono sull'Aventino. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pagg. 620 sgg. ^ La morte di Matteotti infatti sarebbe stata causata accidentalmente, durante la colluttazione seguita al prelevamento da parte degli squadristi. ^ Scheda biografica di Matteotti, su treccani.it. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., p. 622. ^ Ibidem, pag. 646; Renzo De Felice, M.  il fascista - L'organizzazione dello Stato fascista, Einaudi, 1995, pagg. 55, 158 n. 2. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag 703. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pagg. 686-87. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 701. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 650-51, 707-08 e 722-23. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pagg. 673-74, 676, 681, 707-08, 715. ^ Renzo De Felice, 'M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 705. ^ Indignatissimo il settimanale della sinistra fascista Impero scriverà un pezzo (dicembre 1924) intitolato Rivoluzione, non criminalità nel quale si accusava M.  di far "di tutto per portarsi sul terreno della non-rivoluzione". Vd. Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 714. ^ Per i varii articoli giornalistici del fascismo intransigente contrario al moderatismo M. ano vd. Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pagg. 711-15 e 723-26. ^ Ibidem, pag. 715. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pagg. 717-18. ^ R. De Felice, M.  il fascista, Einaudi, 1966. ^ Discorso alla Camera dei Deputati sul delitto Matteotti, testo integrale di Benito M.  del 3 gennaio 1925 su Wikisource. ^ Dopo il delitto Matteotti, infatti, alcuni esponenti liberali e fascisti propendevano per l'idea secondo cui M.  dovesse "mettersi a disposizione della giustizia". Vd. Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pagg. 701 e 704. ^ Col discorso del 3 gennaio ebbe inizio il regime dittatoriale fascista, data confermata dallo stesso M.  nel libro "Storia di un anno: Il tempo del bastone e della carota", Mondadori, 1944, pag. 175 (in Opera Omnia, vol. XXXIV, pag. 411). ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pagg. 722-23. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pagg. 726. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - La conquista del potere cit., pag. 729. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - L'organizzazione dello Stato fascista cit., pagg. 139-40. ^ Ibidem, pag. 145. ^ Ibidem, pagg. 149-157. ^ Ibidem, pagg. 142 e 148 n. 2. ^ In particolare " La Giustizia.", cfr. ibidem, pag. 142, "La Rivoluzione liberale" e "Il Popolo", cfr. ibidem, pag. 150. ^ Simonetta Falasca Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, p. 124. ^ Marco Cesarini Sforza, Gli attentati a M., Per pochi centimetri fu sempre salvo, in La storia illustrata nº 8, Anno 1965, pag. 244: "Un gruppo di squadristi si lanciò sull'attentatore: più tardi sul suo cadavere furono contate quattordici pugnalate profonde, un colpo di pistola e tracce di strangolamento". ^ Marco Cesarini Sforza, Gli attentati a M., Per pochi centimetri fu sempre salvo, in La storia illustrata nº8 Anno 1965, pag. 244: "Lasciamo la parola all'ex capo dei servizi politici presso la Direzione generale della PS, Guido Leto. "Furono sospettati a turno" egli scrive "Farinacci, Balbo, Arpinati, quest'ultimo perché proveniente dalle file anarchiche e amico della famiglia Zamboni, e lo stesso Federzoni, ma le indagini accurate che furono eseguite dalla questura di Bologna, diretta allora da un eccellente funzionario, il questore Alcide Luciani, e da un altro espertissimo funzionario, perfetto conoscitore dell'ambiente bolognese, Michelangelo Di Stefano, giunsero alla conclusione che non v'era alcun elemento apprezzabile per sostenere la tesi di un complotto organizzato nei ranghi fascisti. Ve n'erano, invece moltissimi per convalidare quella di un gesto di un isolato". ^ Marco Cesarini Sforza, Gli attentati a M., Per pochi centimetri fu sempre salvo, in La storia illustrata nº8 Anno 1965, pag. 244: "Un'inchiesta segreta fu anche compiuta, in seguito, per iniziativa del Sottosegretario all'interno, conte Giacomo Suardo, dal magistrato Noseda del Tribunale Speciale; ma i risultati non differirono da quelli stabiliti dalle indagini della polizia". ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - L'organizzazione dello Stato fascista cit., pagg. 211-14. ^ Mack Smith, 1981, p. 199. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - L'organizzazione dello Stato fascista cit., pag. 130. ^ Sebbene Federzoni avesse intimato lo scioglimento dopo la presa del Ministero e dopo il 3 gennaio 1925, molte squadre vennero ricreate dall'ambiente farinacciano provinciale e rimasero attive per diversi anni, pur con le minacce di ritorsioni da parte di Federzoni e dello stesso M. . Cfr. Renzo De Felice, M.  il fascista - L'organizzazione dello Stato fascistacit., pagg. 63-65, 68, 123 n. 1, 170-171, 184 n. 3, 209 n. 3, 210. In occasione delle violenze di Firenze dell'ottobre 1925 M., riunendo il Gran consiglio del fascismo il giorno 5, fece approvare un ordine del giorno in cui si ordina lo scioglimento immediato di qualsiasi formazione squadristica di qualsiasi specie perché esse non hanno più, a tre anni di distanza dalla Marcia su Roma, alcuna giustificazione storica e politica. Ibidem, pag. 134. ^ Aniante, pag. 71. ^ Arpinati, pag. 256-7. ^ Renzo De Felice, M.  il fascista - L'organizzazione dello Stato fascista cit., pagg. 91-98. ^ Alfio Caruso, Arrivano i nostri, Longanesi &C. ^ Matteo di Figlia Alfredo Cucco, Quaderni Mediterranea 1979. ^ G. Tricoli, Alfredo Cucco. Un Siciliano per la Nuova Italia, ISSPE, 1987. ^ InStoria - Mafia e Fascismo.. ^ Non è da escludersi tuttavia che Cucco fosse stato trascinato in una vera e propria trappola politica, poiché egli - essendo dell'area farinacciana - era notevolmente inviso a M., che proprio in quel periodo stava "epurando" i vertici del partito degli elementi vicini a Farinacci. Cfr. Matteo di Figlia Alfredo Cucco, Quaderni Mediterranea 1979. ^ Sospetti di affiliazione mafiosa restarono, tuttavia, come fa notare il biografo Matteo di Figlia in op. cit. ^ Ibidem, nonché cfr. Alfio Caruso, op. cit. ^ Ibidem. Giampietro aveva iniziato perfino una campagna contro le... gonne sopra al ginocchio, tanto da essere invano richiamato alla moderazione dallo stesso ministro Rocco. Cfr. Alfio Caruso, op. cit. ^ Ibidem. ^ La mafia e la crociata del prefetto Mori.. ^ op. cit. "Non è vero che la mafia dei salotti impone a M.  l'allontanamento di Mori. È vero viceversa che i suoi modi hanno allarmato Roma; che M.  ritiene il problema liquidato e che può ora liquidare il liquidatore". ^ DDI, VII Serie, vol. IV, pagg. 294-5. ^ Graziotti, pagg. 77-8. ^ Mack Smith, 1981, p. 201. ^ Regio decreto 6 novembre 1926, n. 1848. ^ Legge 25 novembre 1926, n. 2008. ^ Re, regina, reggente, principe ereditario e primo ministro. ^ Sergio Romano, Vademecum di storia dell'Italia unita, Rizzoli, Milano, . ^ Enzo Biagi, Amori, Rizzoli, 1988, p. 138. ISBN 88-17-85139-6. ^ il patto fu siglato il 7 giugno 1933 e firmato il 15 luglio dell stesso anno. Salata riporta che nel protocollo della sigla, sottoscritto il 7 giugno, fu concordato che il patto avrebbe portato la data del 7 giugno, indipendentemente dalla data della firma, un atto espressivo della volontà del governo. Vedi Francesco Salata Il patto M., 1933, p. 122 ^ Francesco Salata, Il patto M., Mondadori, Salata, Il patto M., Mondadori, 1933, p. 134. ^ L'origine del sistema pensionistico italiano va comunque fatta risalire al 17 luglio 1898, legge n. 350 con l'istituzione di una «Cassa Nazionale di previdenza per la invalidità e per la vecchiaia degli operai», con contributi su base volontaria. ^ Nel momento dell'uccisione di Dollfuß, la moglie e i figli erano ospiti di M.  presso una sua residenza balneare. ^ All'origine dell'incidente di Ual Ual, Salvatore Minardi, 1990, S. Sciascia (Caltanissetta). ^ R. De Felice, M.  il Duce, tomo 1º pp. 526 e ss. ^ A tale accordo si fa riferimento in Langer, William L. (a cura di) An Encyclopaedia of World History, Houghton Mifflin Company, Boston, 1948, p. 990. ^ R. De Felice, M.  il duce, cit. pp. 395 e ss. ^ Del Boca, p. 192. ^ Ministero per la Guerra, Relazione dell'attività svolta per l'esigenza A.O., Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1936, allegato n. 76. ^ Del Boca, p. 193. ^ Per un quadro completo quadro sull'uso sistematico delle armi chimiche durante il periodo 1935-1940 sul fronte Etiopico si veda Angelo Del Boca, I gas di M., Il fascismo e la guerra d'Etiopia, Editori Riuniti, Roma, 1996. ^ Del Boca, p. 194. ^ Del Boca, pp. 194-195. ^ Del Boca, p. 196. ^ Del Boca, pp. 196-197. ^ Del Boca, p. 197. ^ Del Boca, pp. 197-198. ^ Del Boca, pp. 198-200. ^ Del Boca, pp. 200-201 e 205-224. ^ F. Cardini e R. Mancini, Hitler in Italia. Dal Walhalla a Ponte Vecchio, maggio 1938, Bologna, Il Mulino. ^ È il caso per esempio del prefetto Cesare Mori. ^ Per un primo approccio sull’origine, motivazioni e caratteristiche del diffuso consenso che il fascismo riscosse dagli intellettuali italiani si veda, ad esempio, A. d’Orsi, La cultura a Torino tra le due guerre, Einaudi, Torino 2000; G. Belardelli, Il Ventennio degli intellettuali, Laterza, Roma-Bari 2005; A. Tarquini, Storia della cultura fascista, Laterza, Roma-Bari 2011. ^ A proposito dell'adesione di Giuseppe Ungaretti al fascismo, ed in particolare al suo rapporto con M., si veda: Robert S. Dombroski, L’esistenza ubbidiente, letterati italiani sotto il fascismo, Guida, Napoli, 1984, pp. 71 e 89; Filosofia fantastica. Prose di meditazione e d’intervento (1926-1929), a cura di Carlo Ossola, UTET, Torino 1997, pp. 10-11; L. Piccioni, Vita d'un poeta, Rizzoli, Milano 1970, p. 66; W. Mauro, Vita di Giuseppe Ungaretti, Camunia, Milano, 1990, p. 81; P. Guida, Ungaretti privato. Lettere a Paul-Henri Michel, Pensa multimedia, Rovato-Lecce 2014, p. 38.  Copia archiviata, su laltraverita.it. URL consultato il 7 luglio 2009 (archiviato dall'url originale il 2 febbraio 2009).. ^ Allocuzione "Vogliamo anzitutto".. ^ M.  e il papa (2) (archiviato dall'url originaleil 20 maggio 2011).. ^ Copia archiviata, su anpi.it. URL consultato il 7 luglio 2009 (archiviato dall'url originale il 10 luglio 2009).. ^http://www.ilmanifesto.it/25aprile/02_25Aprile/9502rs14.01.htm in Internet Archive. A Trieste operarono alcuni dei principali responsabili della cosiddetta "Aktion Reinhardt", l'operazione che aveva portato allo sterminio di milioni di ebrei deportati nei campi della Polonia Orientale. Comandante delle SS e della SD nel settore adriatico (e quindi anche incaricato della caccia agli ebrei) era il generale delle SS Odilo Globocnik, già comandante del settore di Lublino e quindi responsabile dei campi di Belzec, Majdanek, Sobibor e Treblinka; a Trieste operavano con lui Franz Stangl, già comandante di Treblinka, e Christian Wirth uno degli ideatori delle camere a gas, poi ucciso dai partigiani.  Benito M., MEMORIA SEGRETA DI M.  SULLA CONDOTTA DELLA GUERRA, Schede tecniche aerei militari italiani e storia degli aviatori, su alieuomini.it, 31 marzo 1940. ^ Si veda Pietro Badoglio (L'Italia nella seconda guerra mondiale, p. 37), che riporta questa affermazione come ricevuta direttamente da M.  durante un loro colloquio avvenuto il 26 maggio 1940. ^ Dalle colonie inglesi, e in particolar modo dall'India, giunsero migliaia di soldati, che non era stato possibile mobilitare precedentemente. ^ Già a Capo Spada venne affondato un incrociatore italiano (19 luglio) e l'11 novembre 1940 alcune navi italiane furono affondate da un attacco aereo nel porto di Taranto. L'ultimo scontro di rilievo si ebbe a Capo Matapan, il 28 marzo 1941, una delle più gravi sconfitte nella storia della Marina. ^ Alfassio Grimaldi, U., Bozzetti, G. (1974). Dieci giugno 1940 [i. e. millenovecentoquaranta], il giorno della follia. Italia: Laterza. ^ Ciabattini, p. 69. ^ Ciabattini, p. 68. ^ La conquista fu completata in poco più di un mese (17 agosto). ^ Renzo De Felice, M.  l'alleato, Einaudi, Ciabattini, p. 101. ^ Ciabattini, p. 102. ^ Ciabattini, p. 105. ^ M.  e il re avevano un colloquio privato due volte alla settimana, il lunedì e il giovedì. L'unica persona ammessa era il Ministro della Real Casa. Iniziati nel 1922, gli incontri proseguirono ininterrottamente fino al 1943, per ventuno anni.  Ciabattini. ^ Ciabattini, p. 110.  Poi arrestato dai tedeschi e trucidato alle Fosse Ardeatine). ^ Benito M., Memoirs 1942-1943, Weidenfeld et Nicolson, London 1949, p. 218n (in inglese). Il testo si trova anche qui: MEMOIRS 1942-1943, su oudl.osmania.ac.in. URL consultato il 2 marzo 2012 (archiviato dall'url originale il 13 dicembre 2014).. ^ Franco o Francesco Maugeri, su digilander.libero.it. URL consultato il 17 gennaio 2024. ^ Enzo Antonio Cicchino, Saverio Polito e il viaggio di Rachele a Rocca delle Caminate il 4 agosto 1943, su historyfilesnetwork.com, 22 settembre 2023. URL consultato il 17 gennaio 2024. ^ Marco Riscaldati, DAL GRAN CONSIGLIO AL GRAN SASSO I 50 terribili giorni che videro l’Arma protagonista, in Notiziario storico dell'Arma dei carabinieri, Anno IV, n. 7. ^ Sandro Russo, M.  prigioniero a Ponza (1), su Ponza Racconta. ^ Cfr. Fabrizio Montanari. Nenni-M., amicizia impossibile, in Quotidiano on line 24emilia.com. ^ L'8 febbraio 1943, alla vigilia del suo compleanno, Nenni fu arrestato dalla Gestapo a Saint-Flour, in Rue de la Franze n.13, nella Francia di Vichy (cfr. Mimmo Franzinelli, I tentacoli dell'Ovra: agenti, collaboratori e vittime della polizia politica fascista, Bollati Boringhieri, Nenni, Intervista sul socialismo italiano, Laterza). Venne condotto prima a Vichy e poi fu rinchiuso nel carcere parigino di Fresnes per circa un mese (cfr. Enzo Santarelli, Pietro Nenni, UTET, Il 5 aprile venne consegnato dai tedeschi a due carabinieri alla frontiera del Brennero, probabilmente su richiesta di M., che così lo salvò dalla deportazione nei campi di concentramento nazisti. Condotto nel carcere romano di Regina Coeli, Nenni fu poi confinato nell'isola di Ponza. ^ Cfr. Arrigo Petacco, La Storia ci ha mentito, MONDADORI, che riporta degli appunti che il Duce scrisse durante il crepuscolo di Salò. ^ La grande storia, Rai Tre, 3 settembre 2010. ^ Di Michele, Vincenzo,, L'ultimo segreto di M., Felice, M.  l'alleato: la guerra civile 1943-45, Torino, Einaudi. La Provincia autonoma di Lubiana era stata annessa all'Italia nel 1941. De iure, continuò a essere considerata tale fra paesi dell'Asse fino alla fine del conflitto. Ovviamente, tale annessione non era considerata legittima dagli Alleati. ^ Renzo De Felice, M.  l'Alleato, tomo II, Einaudi. ^ Il Teatro Lirico aveva assunta la funzione della Scala, gravemente colpita dai bombardamenti alleati. ^ Elena Aga Rossi e Bradley F. Smith Operazione Sunrise, Mondadori. ^ Mack Smith, 1981 "La ragione offerta (in cui è difficile scorgere un qualsiasi senso logico) fu lo shock subito nell'apprendere che i tedeschi erano scesi a patti senza informarlo". ^ Per l'intera vicenda, cfr. Fabio Andriola, Appuntamento sul lago e Carteggio Segreto Churchill M., SugarCo. ^ Mack Smith, 1981. ^ Secondo, fra gli altri, Raffaele Cadorna (La riscossa: dal 25 luglio alla liberazione, Milano, 1948), Leo Valiani (Tutte le strade conducono a Roma, Firenze, 1947) e Silvio Bertoldi (La guerra parallela, Milano 1996), M.  avrebbe appreso il 25 aprile della decisione del CLNAI di giustiziarlo. Secondo Silvestri (Turati l'ha detto: socialismo e democrazia cristiana, Milano, 1946), che però è fonte isolata, avrebbe proprio confidato questa valutazione. ^ Fabio Andriola, Appuntamento sul lago e Carteggio Segreto Churchill M., entrambi per i tipi della SugarCo. ^ Pier Luigi Bellini delle Stelle, Urbano Lazzaro, Dongo: la fine di M., ed. Mondadori, 1962, p. 117. ^ Che a seguito dell'armistizio aveva per decreto luogotenenziale assunto tutti i poteri costituzionali. ^ Comandante del Corpo Volontari della Libertà ^ Raffaele Cadorna, Milano, La riscossa: dal 25 luglio alla liberazione, 1948. Per la sintesi del vasto relato del generale, si è fatto riferimento a Ray Moseley (M., Taylor Trade Publications). Audisio, In nome del popolo italiano, Edizioni Teti, 1975). ^ Fondazione ISEC - cronologia dell'insurrezione a Milano 24-30 aprile 1945..  Fondazione ISEC - cronologia dell'insurrezione a Milano 24-30 aprile 1945.. ^ Vincenzo Costa L'ultimo federale, il Mulino 1999, p. 107. Sempre secondo Costa, nell'attentato partigiano erano morti cinque soldati tedeschi della Propaganda Staffel e due popolane milanesi. Una trentina fra civili e militari germanici erano i feriti. ^ Giorgio Pisanò, Storia della guerra civile in Italia, cfr. fotografie alle pp. 1586 e 1587. ^ Ibidem, p. 1606. ^ Fra i molti testimoni, era presente anche il giornalista Indro Montanelli. ^ L'autopsia effettuata sul corpo di M. (archiviato dall'url originale il 2 giugno 2012)., Controstoria. ^ Filmati e foto d'epoca girati a Piazzale Loreto - Milano e all'obitorio.. ^ Tettamanti Franco, 1946, commando a Musocco Rubata la salma del duce, in Corriere della Sera. Ex multis, recentemente, Pasquale Chessa, Guerra civile 1943-1945-1948. ^ Gherardo Casini Editore, Santarcangelo di Romagna, 2003 e 2010, collana Frammenti di storia. ^ Come ravvisabile ad esempio nel discorso pronunciato da Benito M.  il 2 aprile 1923 a Milano. ^ Domenico Venturini con prefazione di Amilcare Rossi. Pubblicazioni d'Opere per l'incremento della Letteratura fascista. Dante Alighieri e Benito M. . Roma, Casa Editrice Nuova Italia, 1932. ^ Roberto Gervaso, Il dito nell'occhio, Rusconi, 1977, p. 25. ^ Renzo De Felice, M.  il rivoluzionario, Einaudi 2004.. ^ Copia archiviata, su cssem.org. Baioni. Risorgimento in camicia nera. Studi, istituzioni, musei nell'Italia fascista. Roma, Carocci, 2006. ^ Brano tratto da La Dottrina del fascismo, di Giovanni Gentile e Benito M., ( cfr.(archiviato dall'url originale il 30 marzo 2009).), sviluppata sin dal 1929, inserito nell'edizione de L'Enciclopedia Italiana del 1934, (Volume XIV, p. 849): «Regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali, di tanto in tanto, si dà al popolo l'illusione di essere sovrano, mentre la vera effettiva sovranità sta in altre forze talora irresponsabili e segrete. La democrazia è un regime senza re, ma con moltissimi re talora più esclusivi, tirannici e rovinosi che un solo re che sia tiranno.[...] Il fascismo respinge nella democrazia l'assurda menzogna convenzionale dell'egualitarismo politico e l'abito della irresponsabilità collettiva e il mito della felicità e del progresso indefinito. Ma, se la democrazia può essere diversamente intesa, cioè se democrazia significa non respingere il popolo ai margini dello stato, il fascismo poté da chi scrive essere definito una 'democrazia organizzata, centralizzata, autoritaria.» ^ Emilio Gentile, La Grande guerra e la rivoluzione fascista, su treccani.it. «Ateo militante negli anni giovanili, quando era socialista rivoluzionario, dopo la conversione all’interventismo e l’espulsione dal Partito socialista, alla fine del 1914, M.  era rimasto ateo, anticlericale e pagano, e tale si professava quando diede vita al fascismo: «Noi» scriveva all’indomani della sconfitta» ^ Emilio Gentile, La Grande guerra e la rivoluzione fascista, su treccani.it. «Pochi mesi dopo, nell’agosto, M.  inneggiava all’impero spirituale del cristianesimo «che non ha territori, ma ha ancora un’idea nella quale si raccolgono quattrocento milioni di uomini sparsi sulla faccia della terra»: «È un impero che conta oramai la sua vita a millenni. Sui flutti agitati della storia è ancora la barca del divino ebreo Gesù quella che galleggia meglio di tutte le altre»64. E un mese dopo, M.  ripudiava l’anticlericalismo e l’anticattolicismo» ^ Fonte: Corriere della Sera, 18.04.1996, "M.  rubacuori. Ha avuto 15 amanti".. ^ M. Sarfatti The Life Of Benito M.  scaricabile. ^ Mimmo Franzinelli, Il duce e le donne. Avventure e passioni extraconiugali di M., Mondadori, Luzzatto, Così il Duce distrusse la famiglia segreta, su archiviostorico.corriere.it, Archivio storico del Corriere della Sera.Pieroni, La vera storia del bigamo Benito, su archiviostorico.corriere.it, Archivio storico del Corriere della Sera. URL consultato il 23 aprile 2009. ^ Marco Zeni, La moglie di M., Trento, Effe e Erre, Serri, Claretta l'hitleriana, Longanesi, 2021, p. 47. ^ Alberto Bertotto, Tutti i fgli di Benito M.  - Voceditalia.it, su voceditalia.it. ^ Claretta Petacci, M.  segreto. Diari 1932-1938, Rizzoli, È morta Elena Curti, la figlia naturale di M., in repubblica.it, 17 gennaio 2022. ^ Roberto Festorazzi, La pianista del duce. Vita, passioni e misteri di Magda Brard, l'artista francese che strego Benito M., Milano, Simonelli, 2000, p. 41 ^ Antonio Spinosa, I figli del duce, Milano, Rizzoli, 1983  Milleduci. Si è spenta a 99 anni Elena Curti, figlia naturale del dittatore. Da Albino Benito a Glauco di Salle e Asvero Gravelli, chi sono i M.  illegittimi, segreti e sospetti., su tag43.it. ^ M. : una figlia segreta da una pianista, su news.ch. URL consultato l'8 giugno 2023. ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato.. ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Diggins, L'America, M.  e il fascismo, Laterza, 1972, pp. 30-31. ^ Saggio per l'Enciclopedia italiana scritto insieme a Giovanni Gentile. 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Diari 1932-1938 a cura di Mauro Suttora., 2ª ed., Rizzoli, Petacco, L'uomo della provvidenza, Mondadori, Pisanò, Gli ultimi cinque secondi di M., Milano, Il saggiatore, Salvatori, La Roma di M.  dal socialismo al fascismo, in Studi Storici, XLVII, n. 3, 2006, pp. 749-780. Antonello Spinosa, M. . Il fascino di un dittatore, Milano, Mondadori, Staglieno, Arnaldo e Benito, due fratelli, Mondadori, 2004. Francesca Tacchi, Storia Illustrata del Fascismo, Giunti Editore, 2000. Roberto Vivarelli, Storia delle origini del fascismo. L'Italia dalla grande guerra alla marcia su Roma, Società editrice il Mulino, 1965, 1990, 2012. Remigio Zizzo, M. . Duce si diventa, Gherardo Casini. Benito Amilcare Andrea Mussolini. Mussolini. Keywords: tea with Mussolini. Refs.: Luigi Sperana, “Grice e Mussolini.” Mussolini.

 

Luigi Speranza -- Grice e Mustè: la ragione conversazoinale e l’implicatura conversazionale nella filosofia dell’idealismo italiano – il dialogo di Socrate e il dialogo di Gentile – la scuola di Roma – filosofia romana -- filosofia lazia – lingua lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Flosofo italiano. Roma, Lazio. Laurea in filosofia con la tesi, “Marx,” borsista dell'Istituto italiano per gli studi storici di Napoli, dove ha svolto attività didattica e di ricerca, collaborando con Gennaro Sasso. Redattore della “nuova serie” della “Rivista trimestrale”. Consegue il titolo di dottore di ricerca alla Sapienza. Lavora alla "Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici" dell'Università "La Sapienza" in qualità di “Segretario e Curatore dell'archivio e della biblioteca di Gentile”. È stato professore a contratto di Storia della filosofia. Insegna a Roma.  È membro del Consiglio scientifico della Fondazione Gramsci e della Commissione scientifica per la Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Ha collaborato con l'Enciclopedia Italiana, in particolare ai volumi: Il contributo italiano alla storia del pensiero. Filosofia (ottava appendice), Enciclopedia machiavelliana e Croce e Gentile. La cultura italiana e l'Europa. Ha diretto la rivista "Novecento". Fa parte del Comitato scientifico di alcune riviste, tra cui: "Giornale critico della filosofia italiana", "Annali della Fondazione Gramsci", “La Cultura”, “Filosofia italiana”. Scrive su diverse riviste scientifiche, tra le quali, con maggiore continuità: "Giornale critico della filosofia italiana", "La Cultura", "Studi storici", "Filosofia italiana". Nel  è stato nominato dal Ministero dei beni culturali Segretario del "Comitato nazionale per il bicentenario della nascita di Bertrando Spaventa". Dal  al  ha insegnato Ermeneutica filosofica, in qualità di Visiting Professor, alla Pontificia Università Antonianum.  Ricerche Le sue ricerche si sono rivolte alla storia della filosofia italiana, con contributi dedicati all'idealismo e al marxismo. Per quanto riguarda l'idealismo italiano, ha indagato i momenti e le figure fondamentali (sino al profilo complessivo) e le premesse nella filosofia dell'Ottocento, specie in relazione al pensiero di Vincenzo Gioberti (soprattutto con il libro su La scienza ideale). Di particolare interesse gli studi su Bertrando Spaventa e le monografie su Omodeo e Croce. Ha dedicato saggi e ricerche al pensiero di Antonio Gramsci e ad altri momenti del pensiero marxista italiano: del  è la monografia su Marxismo e filosofia della praxis, che ricostruisce la storia del marxismo italiano da Labriola a Gramsci. Sono noti i suoi studi sul pensiero politico nell'Italia contemporanea, con particolare riguardo alle figure di Rodano, Balbo, Noce.  Ha approfondito lo studio dell'opera di Marx e in generale la storia della filosofia tedesca tra Hegel e Nietzsche.  Particolare attenzione ha poi rivolto (con il libro  su La storia e con altri scritti, tra cui quelli sull'evento e sulla teoria delle fonti) alle questioni specifiche della teoria della storiografia.  Metodi Conduce l’indagine teoretica in stretta relazione con gli studi di storia della filosofia e di storia della storiografia, in generale nell’ambito della storia delle idee, adottando un metodo storico-critico che spesso privilegia l’uso di fonti archivistiche e di documentazione inedita. Il suo metodo cerca di coniugare l'analisi strutturale delle opere filosofiche con la ricerca filologica sulle fonti e sulla tradizione dei testi, con particolare riguardo ai processi di lungo periodo della filosofia italiana moderna e contemporanea. Saggi:“Storiografia” (Mulino, Bologna); “Croce, Morano, Napoli  Franco Rodano. Critica delle ideologie e ricerca della laicità” (Mulino, Bologna); “Carteggio Croce-Antoni, Mulino, Bologna Politica e storia in Bloch, Aracne, Roma La scienza ideale. Filosofia e politica” (Rubbettino, Soveria Mannelli, Franco Rodano. Laicità, democrazia, società del superfluo, Studium, Roma Grice: “’superfluo’ is possibly one of the most unsuperfluous words in the Italian philosophical dictionary – cf. “I was in New York, which was black out.” -- Gioberti, Il governo federativo” (Gangemi Roma) – nazione e stato federale – federazione, governo federativo --  Rodano, Cristianesimo e società opulenta, Edizioni di storia e letteratura, Roma, Il giudizio sul nazismo. Le interpretazioni -- La storia: teoria e metodi, Carocci, Roma, La filosofia dell'idealismo italiano, -- Grice: “filosofia” is superfluous here, seeing that idealism already ENTAILS philosophy!” -- Carocci, Roma, Croce, Carocci, Roma Tra filosofia e storiografia. Hegel, Croce e altri studi” (Aracne, Roma); “La prassi e il valore -- la filosofia dell'essere” Aracne, Roma “Filosofia della praxis” Viella, Roma); “In cammino con Gramsci, Viella, Roma. L'ermeneutica, in «Rivista trimestrale», Il problema del mondo nel «Tractatus» di Wittgenstein, in «Rivista trimestrale», Le fonti del giudizio marxiano sulla rivoluzione francese  in «Annali dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici», L'orizzonte liberale di Dahrendorf, in «Critica marxista», Sturzo e il popolarismo – POPOLARISMO -- nel giudizio, in Sturzo e la democrazia europea, Laterza, Roma-Bari, Croce e il problema del diritto, in «Novecento», Metodo storico e senso della libertà” “La storiografia crociana, in «La Cultura», Omodeo. Il pensiero politico, in «Annali dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici», Libertà e storicismo assoluto: per un'interpretazione del liberalismo di Croce, in Croce e Gentile fra tradizione nazionale e filosofia europea, Riuniti, Roma, “La società civile democratica, in «Novecento»,  Sul giudizio politico, in «Novecento», Il marxismo politico nell'interpretazione di Noce, in «Poietica», Gioberti e Cartesio, in Bibliopolis, Napoli, Comunismo e democrazia, in La democrazia nel pensiero politico del Novecento” (Aracne, Roma); Guido Calogero, in «Belfagor», Gioberti e Leopardi, in «La Cultura», Verità e storia, in «Storiografia», “La morale”, Rosmini e Gioberti. G. Beschin e L. Cristellon, Morcelliana, Brescia, Il destino dell'evento nella nuova storia” francese, in «La Cultura», Carattere e svolgimento delle prime teorie estetiche di Croce,  «La Cultura», Liberalismo etico e liberismo economico, in Croce filosofo liberale, -- cf. Grice, “Do not multiply liberalisms beyond necessity: ‘liberalismo semiotico’” – Grice: “Muste is very witty in distinguishing between liberalism and liberrism!” Reale, LUISS University Press, Roma, La teoria della storia in Croce, in «Giornale critico della filosofia italiana», L'idea di “Risorgimento” in Gioberti, in «Quaderni della Fondazione Centro Studi Noce», Il significato delle fonti storiche, in «La Cultura»,  La storia: teoria e metodi, in «History and Theory», Il passaggio all'anti-fascismo di Croce, in Anni di svolta. Crisi e trasformazione nel pensiero politico della prima età contemporanea, Sciullo, Rubbettino, Soveria Mannelli, Alterità e principio del dialogo in Calogero, in L'idea e la differenza. – principio dialogo – il noi -- Noi e gl’altri, ipotesi di inclusione nel dibattito contemporaneo, M.P. Paternò, Rubbettino, Soveria Mannelli Il principio del nous nella filosofia di Calogero, in «La Cultura», La filosofia come sapere storico, in Il Novecento di Garin. Atti del Convegno di studi, Vacca e Ricci, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Gioberti, in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Filosofia, M. Ciliberto, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Lo storicismo italiano nel secondo dopoguerra, in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Filosofia, M. Ciliberto, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Il problema della libertà nella filosofia di Scaravelli, in «La Cultura», La libertà del volere nella filosofia di Croce, in Filosofia e politica. Cesarale, M., Petrucciani, Mimesis, Milano, Il senso della dialettica nella filosofia di Spaventa, in "Filosofia italiana", apr.  Storia, metodo, verità, in «La Cultura»,, Gentile e Marx, «Giornale critico della filosofia italiana», Togliatti e Luca, «Studi storici», Gentile e Socrate, (Grice: cf. caricature of Gentile as Aristotele in ‘La scuola d’Atene”) -- in La bandiera di Socrate. Momenti di storiografia filosofica italiana nel Novecento, Spinelli e F. Trabattoni, Sapienza Università, Roma, Gentile e Gioberti, «La Cultura», Gramsci, Croce e il canto decimo dell’Inferno di Alighieri, «Giornale critico della filosofia italiana»,, Spaventa e Gioberti, «Studi storici»,, La presenza di Gramsci nella storiografia filosofica e nella storia della cultura, «Filosofia italiana», Dialettica e società civile. Gramsci “interprete” di Hegel, «Pólemos. Materiali di filosofia e critica sociale», Marx e i marxismi italiani, «Giornale critico della filosofia italiana»,  La “via alla storia” di Ginzburg, in Streghe, sciamani, visionari. In margine a Storia notturna di Ginzburg, Presezzi, Viella, Roma, Filosofia e storia della filosofia nella riflessione di Sasso, «Filosofia italiana», Opere Sapienza Roma. Dipartimento di studi filosofici ed epistemologici, su lettere uniroma1. Intervista sulla storia della "Rivista trimestrale" Intervista di M. su  Croce del //diacritica/ letture-critiche/lo- storicismo-di-croce-e-la-morte-della- metafisica-intervista-a- M. Socrate e Gentile. Se consideriamo i libri custoditi presso la biblioteca personale di Gentile, troviamo, a proposito di Socrate, soprattutto opere di autori italiani, con alcuni dei quali da tempo era in corrispondenza: oltre le vecchie versioni di Ferrai (Padova), vi figurano le edizioni dell’Apologia curate da Acri (riproposta da Guzzo) e da Manara Valgimigli (Bari); le opere di Giovanni Maria Bertini (fra cui l’edizione di Senofonte), che, come si dirà, avevano occupato la critica di Bertrando Spaventa; quindi i libri che via via, nella prima metà del secolo, erano apparsi in Italia: quelli di Zuccante, che Tocco aveva presentato alla Reale Accademia dei Lincei, poi quelli di Covotti, Mignosi, Labriola, Banfi, Levi,  Brocchieri. Ma a proposito di Socrate, Gentile utilizzò anche altri mo- menti della storiografia filosofica italiana, appoggiandosi, per esem- pio, ad alcuni testi dello storico del cristianesimo Alessandro Chiap- pelli e del romanista Pascal. Se allarghiamo lo sguardo oltre i confini nazionali, i riferimenti principali rimangono quelli di Zeller (a cui si era prevalente- mente richiamato Spaventa), ma anche di Gomperz e di Tannery. Di Zeller, Gentile possede i primi due volumi dell’edizione  Mi piace ricordare che la ricerca su libri, opuscoli e periodici posseduti da Gentile 1 può ora essere svolta online sul sito della Biblioteca di Filosofia della Sapienza di Roma, grazie al lavoro di digitalizzazione del catalogo compiuto sotto la direzione del dott. Gaetano Colli: cfr. Colli. Anche il catalogo dei corrispondenti dell’archivio di Gentile (custodito presso la “Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici” a Villa Mirafiori) è consultabile nel progetto “Archivi on-line” del Senato della Repubblica.  italiana della Filosofia dei Greci curata da Mondolfo; e di Tannery conservava la seconda edizione, di Pour l’histoire de la science hellène, che la moglie Erminia aveva donato, con dedica, al figlio Giovannino. A Zeller, come si sa, dedicò un ampio necrologio nel quale elogiò la sua opera di storico criticandone tuttavia i princìpi neokantiani2; e avvicinandovi, ap- punto, i nomi di Tannery e quello, «così geniale», di Gomperz. Proprio a Gomperz, d’altra parte, aveva fatto un più che positivo riferi- mento nella prolusione palermitana su Il concetto della storia della filosofia, dove parlò di un «concetto equivalente al mio, che nella storia della filosofia si riassuma tutta la storia dell’umanità»4; e, nella lunga recensione che nel 1909 dedicò al Socrate di Zuccante, ne parlò come di «uomo di gusto», sia pure privo del «bernoccolo del filosofo», assumendone soprattutto la critica della testimonianza di Senofonte. Gentile si trovò di fronte, fin dalla giovinezza, due modelli inter- pretativi, tra loro, per altro, connessi. In primo luogo le pagine che Ber- trando Spaventa aveva dedicate a Socrate, dapprima discu- tendo sulla “Rivista contemporanea” la memoria torinese di Giovanni Maria Bertini Considerazioni sulla dottrina di Socrate6, poi nel grande corso sulla filosofia italiana, dove aveva aggiunto, come appendice, lo Schizzo di una storia della logica, nel quale riprendeva il tema socratico7. Il secondo riferimento è Labriola, la cui memoria su La dottrina di Socrate era stata ripubblicata da Benedetto Croce per l’editore Laterza. Per quanto, in maniera caratteristica, nel discorso preliminare del all’edizione degli Scritti filosofici di Spaventa, si limitò a un breve cenno alla discussione con Bertini8, e anche nella Prefazione al Gentile. Bertini. Ma la memoria, a cui Spaventa si riferisce, era stata presentata in una seduta. Poi in Bertini. Da una lettera a Spaventa, si apprende che l’articolo di Bertrando era solo il primo di una serie di scritti socratici, che poi non realizzò: cfr. Spaventa La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, in Spaventa Gentile Gentile e Socrrate volume Da Socrate a Hegel mancò di entrare nel merito della questione9, è da ritenere, per le ragioni che si vedranno, che l’influenza spaven- tiana pesasse in maniera determinante nella sua prima lettura di Socrate. Spaventa confuta l’interpretazione di Bertini, cercando di definire i rapporti, da un lato, tra Socrate e la filosofia antica, e, d’altro lato, tra Socrate e la filosofia moderna. Per tale confutazione, si era appoggiato al capitolo hegeliano delle Le- zioni sulla storia della filosofia e all’opera di Zeller, ma anche, per deter- minare i caratteri generali del pensiero greco, alla traduzione francese di Claude Joseph Tissot della Storia della filosofia di Heinrich Ritter10. Tuttavia, la lettura di Socrate risultò ben diversa da quanto quei libri potevano suggerirgli. Possiamo dire, in breve, che se per Hegel è Parmenide il vero iniziatore della filosofia, perché ha sollevato il pensiero alla massima astrazione dell’essere11, per Spaventa la filosofia inizia propriamente con Socrate, che ha scoperto la dimensione del “concetto”, superando il naturalismo immediato della precedente vita greca. La critica a Bertini si appuntava su questo aspetto. Per Bertini, di fronte all’attacco dei sofisti, Socrate aveva restaurato l’ethos greco, sal- vandolo dalla dissoluzione. Per Spaventa, le cose andavano diversa- mente. Non solo Socrate non aveva restaurato la vita greca, ma le aveva inferto «il vero colpo di grazia» (La dottrina di Socrate, in Spaventa), ponendo un nuovo principio, quello della «soggettività universale»: caratterizzata la filosofia presocratica come indistinzione immediata di pensiero ed essere, Socrate aveva inaugurato l’antitesi dei due termini, senza tuttavia trovarne l’unità e la sintesi, e anzi la- sciando al pensiero moderno questo compito ulteriore. I sofisti, dun- que, lungi dall’essere dei distruttori, si presentavano quali profondi innovatori, anche se il loro soggettivismo era piuttosto un individuali- smo, fermo alla dimensione naturale ed empirica dell’individuo. So- crate trasformava, con la dottrina del concetto, questo individualismo in un autentico, universale soggettivismo: «in questo senso» – scriveva Spaventa – «Socrate e Cartesio, che che ne dica il professor Bertini, si rassomigliano». Spaventa Parmenide, Hegel [Ritter Cfr. Hegel Ma soprattutto, per il riferimento a  Da questo punto di vista, Socrate non appariva affatto come un fi- losofo pratico o morale, ma come un filosofo schiettamente teoretico. Più precisamente, il carattere della sua filosofia veniva indicato in un radicale formalismo. Bisogna prestare attenzione all’uso che Spaventa fece di questa espressione, per certi versi anticipando i temi della sua riforma della dialettica. Formalismo significava che Socrate, scoprendo il principio nuovo della «soggettività universale», lo riconosceva solo nella forma, nell’attività dialogica della ricerca della verità, in quanto presupponeva, alla maniera di tutto il pensiero antico, il contenuto og- gettivo e naturale: se per i moderni, scriveva, la soggettività è non solo «universale» ma «assoluta», «il puro rapporto del pensiero a se stesso», per Socrate «non è già il soggetto che determina l’essere oggettivo, ma l’essenza oggettiva delle cose che determina il soggetto». La visione moderna – per cui, come si chiarirà nella riforma della dialet- tica, il pensiero è negazione determinante dell’essere -- appariva qui rovesciata, nel senso che l’essere si delineava come il cercato, come la verità ideale del soggetto. Questa tesi del formalismo era quella vera- mente decisiva nell’interpretazione di Spaventa, poiché a essa veni- vano ricondotti tutti i temi della riflessione socratica: l’induzione, il dialogo, l’ironia, e poi soprattutto l’ignoranza, interpretata come con- sapevolezza della mancanza di verità del soggetto, quasi come ammis- sione del limite storico della propria posizione. E ancora, l’eudemoni- smo socratico diventava (seguendo qui i Magna moralia) l’assenza del concetto del Bene e, quindi, la sua identificazione con l’utile. Infine, ed è un altro aspetto di rilievo (e qui la fonte era in parte aristotelica in parte hegeliana), mancava in Socrate la psicologia, cioè la cognizione della parte irrazionale dell’individuo, delle passioni: la sua soggettività «universale» non riusciva a cogliere né il contenuto del concetto né la base irrazionale dell’individuo, restando sospesa tra il particolare e l’universale e non potendo intravedere la sintesi e l’unità tra i due momenti, cioè l’autentica realtà e immanenza del concetto. Nella memoria su La dottrina di Socrate, con la quale vinse il premio della Regia Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli, Labriola non citò mai lo scritto di Spaventa, ma certo ne riprese [Si veda per questo aspetto Mustè La dottrina di Socrate, in Spaventa. Gentile e Socrate 43 almeno un paio di aspetti14. In primo luogo riprese la tesi del formali- smo, a cui dedicò la parte centrale dello scritto e che anzi sviluppò fino alle conseguenze estreme, mostrando come «il suo di Socrate sapere è pura esigenza» e «quello che egli cerca deve ancora trovarlo» (Labriola). In secondo luogo, insisté sulla mancanza in Socrate di ogni notizia di psicologia, con accenti e motivi molto simili a quelli che Spaventa aveva adoperato nella polemica con Ber- tini. Ma certo mutava il quadro complessivo dell’interpretazione, anzi tutto per la scelta, molto radicale, di affidarsi esclusivamente o quasi alla testimonianza di Senofonte, non attribuendo, scriveva, «a Socrate nessun principio, massima, o opinione che non sia, o esplicitamente riferita, o indirettamente accennata da Senofonte»; poi per il fatto che la tesi spaventiana del formalismo serviva ora a recidere i rapporti tra Socrate e la tradizione filosofica presocratica (ibid., 555), superando il problema stesso che aveva animato la discussione tra Spaventa e Bertini. Per Labriola, Socrate non era affatto un filosofo: «Socrate come semplice filosofo – scriveva – è un parto d’immagina- zione» (ibid., 569); e tanto meno poteva essere considerato come «il creatore del principio della soggettività», neanche di una soggettività «universale» come quella di cui Spaventa aveva parlato. Al contrario, la figura di Socrate era ricondotta a due linee fondamen- tali di lettura, tra loro convergenti: da un lato il processo di sviluppo della religione greca, dove Socrate aveva inserito l’idea della divinità «come intelligenza autrice e reggitrice del mondo», riuscendo per questo «a isolare la sfera morale dalla naturale; d’altro lato, in relazione agli studi che allora conduceva per «una storia dell’etica greca» interpretò Socrate come concreta espressione della crisi della storia greca, come l’emergere di una colli- sione tra forma della tradizione e volontà dell’individuo: per cui, sorge nell’individuo «il bisogno di rifarsi da sé quella certezza» che l’opinione comune ha smarrito, tornando a porre, con l’esercizio del dialogo, le[ L’interpretazione di Labriola è stata analizzata da Cambiano, Il Socrate di Labriola e la storiografia tedesca e da Spinelli, Questioni socratiche: tra Labriola, Calogero e Giannantoni che si leggono rispettivamente nel primo e nel terzo volume di Punzo3, Spinelli ricorda opportunamente un breve quanto penetrante articolo di Giannantoni, Il Socrate di Labriola, apparso nel supplemento di “Paese sera”. Tra gli altri studi, mi limito a ricordare Cerasuolo, e le lucide osservazioni di Poggi domande induttive sulla definizione, sul «cosa è» la giustizia, la virtù, la santità. Per certi versi, Labriola seguiva la linea interpretativa di Spa- venta, ma ne modificava la prospettiva, calando Socrate non più nel centro problematico della storia della filosofia ma in quello della vita religiosa e sociale del mondo greco. A prescindere dallo sviluppo peculiare che ebbe nella memoria di Labriola, la tesi spaventiana del formalismo di Socrate restò alla base delle prime riflessioni di Gentile. Già nella tesi di laurea su Rosmini e Gioberti – dove il problema principale, sulle orme di Donato Jaja, era quello dell’intuito, e quindi della profonda differenza tra l’intuito ro- sminiano dell’essere puro e quello, platonico ma soprattutto prove- niente da Malebranche, delle idee determinate e formate (Gentile) – i riferimenti a Socrate risentono della discussione di Spa- venta con Bertini. Lo si vede, soprattutto, nella nota che inserì per di- scutere la memoria di Aurelio Covotti Per la storia della sofistica greca. Studi sulla filosofia teoretica di Protagora (pubblicata nel 1896 negli “An- nali” della Regia Scuola Normale Superiore di Pisa), dove, criticando le interpretazioni di Wilhelm Halbfass e di Theodor Gomperz, ribadì la necessità di distinguere l’individualismo empirico di Protagora dal soggettivismo di Socrate, pur sottolineando la sua distanza dal kanti- smo, mancando ancora in Socrate «il concetto del pensiero come pro- duttività» (Gentile). Una lettura, questa, che trovò poi uno sviluppo più organico nella recensione al Socrate di Zuccante, dove criticò «l’interpretazione soggettivistica» di Protagora, che l’autore aveva dato, insistendo piuttosto sul rapporto con Demo- crito: con riferimento a un articolo di Victor Brochard, affermò anzi che la tesi dello storico francese andava «rovesciata», perché non Demo- crito aveva appreso da Protagora i princìpi della gnoseologia sofistica, ma viceversa questo, Protagora, era stato «scolaro» di quello, di Democrito (Gentile). Questo tema del rapporto tra Socrate e Protagora era d’altronde essenziale nell’equilibrio del libro, perché tanto Rosmini che Gioberti avevano appunto confuso i due momenti (l’individualismo e il soggettivismo), lasciando oscillare la figura di Socrate tra Protagora e Platone: «il Gioberti» – spiegava Gentile Gli articoli di Brochard vennero ristampati in Brochard (ma si veda la 4° edizione ampliata, Paris, con l’introduzione di Delbos).   Gentile e Socrate 45 «come il Rosmini, non conosce altro soggettivismo che il falso antro- pometrismo protagoreo», e perciò, aggiungeva, si vede costretto a tro- vare in Socrate Platone, «altrimenti del maestro di Platone non si fa che una ripetizione di Protagora» (Gentile). Alla maniera di Spaventa, insomma, il soggettivismo di Socrate non andava confuso né con l’individualismo di Protagora né con la successiva dottrina pla- tonica delle idee. Questo atteggiamento spiega anche la presenza di Socrate nel saggio su La filosofia della prassi, dove, per dimostrare che Marx aveva assunto il concetto della prassi dall’idealismo, e non dal mate- rialismo, chiamò in causa il «soggettivismo di Socrate», facendo dell’antico filosofo greco il primo idealista, anzi il primo teorico della praxis: perché, spiegava Gentile, Socrate non concepiva la verità come un bene formato da trasmettersi, ma come il risultato di un «personale lavorio inquisitivo», cioè del dialogo e dell’arte maieutica: «il sapere – concludeva – importava per Socrate un’attività produttiva, ed era una soggettiva costruzione, una continua e progressiva prassi» (Gentile). Altrove scriveva che il merito di Socrate «consiste appunto nel superamento di quella dualità di volontà e intelletto, che è presup- posta così dal determinismo come dal concetto del libero arbitrio»: e arrivava ad affermare che, se avesse approfondito questo aspetto, sa- rebbe stato condotto «al concetto hegeliano dell’unità di libertà e ne- cessità razionale» (Gentile). Di questa singolare definizione di Socrate come primo idealista, Gentile darà una spiegazione, nei Discorsi di religione, quando dirà che, con Socrate, «la filosofia acquista coscienza del suo carattere idealistico», anche se questa co- scienza «si oscurerà tante volte nel corso del suo sviluppo storico»: e quasi per dare un esempio di tale oscuramento, ricordava l’«idealismo ancora naturalistico» di Platone e Aristotele, che aveva ricompreso l’intuizione socratica nel realismo del «mondo delle idee» e in quello di «Dio, forma o atto puro, o pensiero del pen- siero. . Questi primi riferimenti, in larga parte ispirati dalla posizione di Spaventa, cominciarono a complicarsi negli anni appena successivi, quando Gentile iniziò a elaborare la filosofia dell’atto puro, e quindi, bisogna aggiungere, ad approfondire la distanza tra dialettica del pen- sato e dialettica del pensare, tra pensiero antico e pensiero moderno. Un preludio della successiva lettura di Socrate può essere indicato,  d’altronde, nella lunga recensione al Socrate di Zuccante, dove Gentile, richiamandosi implicitamente (senza mai citarla) alla posizione di Spaventa, chiarì due aspetti fondamentali della pro- pria interpretazione. In primo luogo, in un passaggio di particolare im- portanza, rielaborò e chiarì la tesi del formalismo socratico, definito appunto come la sua «gloria». Scrisse infatti: la verità è che la ricerca socratica è prevalentemente umana, perché l’uomo coi sofisti era venuto al primo piano della speculazione, segna- tamente nella rettorica. E lo stesso tentativo di sollevare a scienza la rettorica, operato dai sofisti, ne mette a nudo l’essenziale formalismo, e fa sentire il bisogno di quella più schietta e più concreta scienza dello spirito, che Socrate persegue col suo motto divino: conosci te stesso. Qui è la radice dell’unità del suo interesse speculativo, teorico, e del suo interesse morale, pratico: qui anche la radice del formalismo spe- culativo e morale, a cui s’arresta lo stesso Socrate. Il quale supera la forma rettorica con l’affermazione del contenuto della rettorica (giusto, ingiusto ecc.): ma di questo contenuto non definisce altro che la forma: il concetto come universale, non intravveduto da nessuno dei filosofi precedenti: il concetto di ogni cosa (logica) e il concetto stesso del giusto (morale). In che consiste il valore di questa scoperta, che è la gloria di Socrate (Gentile). In secondo luogo, stabilito il senso del formalismo socratico, Gentile chiariva il significato della scoperta logica di Socrate, affermando che si trattava non solo, e non tanto, della scoperta del concetto, ma del «concetto del concetto», della «essenza dello spirito»: se i filosofi prece- denti sempre avevano adoperato concetto e definizione, ora Socrate sollevava il pensare a «pensiero del pensiero», conferendo agli uomini una «seconda vista», quella della schietta universalità. Grazie a Socrate, il pensiero diventava, per la prima volta, oggetto di sé stesso, sostituendosi all’orizzonte della natura: e questo, oltre quello più limitativo dell’assenza di un contenuto assoluto, era il carattere del suo formalismo, inteso appunto come considerazione della forma logica in sé stessa. Negli scritti di questo periodo, l’accento cominciava a battere con più forza sulla continuità tra Platone e Aristotele, perché – scriveva – «con Aristotele [non] si fa un passo avanti» rispetto al metodo trascen- dente di Platone (Gentile). Non solo infatti, come precisò nella prolusione palermitana su Il concetto della storia della filosofia, Platone aveva «trasformato» il concetto socratico in «idee eterne e immobili, puro oggetto della mente»; ma iniziò a riportare la filosofia di Platone alla fonte eraclitea e soprattutto a quella parme- nidea, che ai suoi occhi costituiva il vero approdo del Teeteto e del So- fista: «Platone» – scriveva – «non vide mai altro che l’essere immobile e realmente immoltiplicabile, tal quale l’essere (fisico) degli Eleati. Qui si doveva arrestare una filosofia ignara della natura dello spirito». Più che Socrate, dunque, la filosofia di Platone in- contrava, con la teoria delle idee, l’essere di Parmenide, superando in esso anche la primitiva lezione di Cratilo. Fu nel primo volume del Sommario di pedagogia che il giudizio su Socrate cominciò ad assestarsi. Gentile vi si soffermò in due diverse parti dell’opera: in primo luogo, nella sezione su L’uomo, a proposito dei concetti; in secondo luogo, nella parte terza, su Le forme dell’educazione. Il capitolo che dedicò al «merito di Socrate sco- pritore del concetto» finì per risultare piuttosto singolare. Riconobbe a Socrate il «merito straordinario» di avere affermato «il carattere uni- versale del vero» (Gentile); ma subito aggiunse che quel con- cetto non era poi il vero concetto, il conceptus sui, ma una forma che, conseguita per via induttiva, con «un processo di generalizzazione», era piuttosto irreale, astratta, lontana dalla concreta determinazione del mondo: offrì insomma del concetto socratico una lettura singolar- mente negativa, quasi rappresentandolo nella figura degli pseudocon- cetti o finzioni che, nella Logica e nella Filosofia della pratica, Croce aveva teorizzato. Di più, in un capitolo successivo, affermò che il concetto socratico, «base dell’erronea teoria platonica e aristotelica del concetto», presupponeva la scissione tra teoria e pratica: ne- gando dunque a Socrate proprio quel merito che, come abbiamo osser- vato, gli aveva riconosciuto nel saggio su La filosofia della prassi. La considerazione trovava uno sviluppo rilevante, come si diceva, nella terza parte dell’opera, dove Gentile poneva la figura di Socrate all’origine del concetto di «educazione negativa», collocandolo sulla stessa linea che, nell’epoca moderna, avrebbe prodotto la «possente» opera di Rousseau. A questo principio dell’educazione negativa, Gen- tile tornava a rivolgere un elogio, perché capace di implicare «l’imma- nenza del divino nell’uomo»  e dunque di anticipare lo spi- rito di libertà di Rousseau: ma anche qui osservava che Platone aveva  convertito la maieutica socratica in un innatismo delle idee, come un ritorno dell’anima «a quella pura cognizione originaria che ella si reca in sé dalla nascita». Una critica, d’altronde, che si legava all’idea, sostenuta ancora nei Discorsi di religione, secondo cui il pen- siero antico non poté mai accedere al problema morale, perché privo del principio stesso della volontà (Gentile). In tutta la prima fase della sua riflessione, Gentile tenne fermo il Socrate di Spaventa, cioè la tesi del formalismo e della scoperta della soggettività universale, via via innestandovi i motivi essenziali nella propria filosofia: così, nell’Introduzione alla filosofia parlerà di So- crate come del «primo grande martire degl’interessi più profondi dell’uomo e della sua nobiltà e grandezza» (Gentile), come di colui che, con il Nosce te ipsum, aveva vinto l’antico naturalismo e sco- perto la «concezione umanistica del mondo»; e nella più tarda Filosofia dell’arte arriverà a svolgere il motivo spaventiano (e labrioliano) della mancanza di una psicologia in Socrate nella tesi, ben più radicale, dell’assenza del sentimento e, in generale, del principio dell’arte in tutto il pensiero antico (Gentile). Ma la trasforma- zione essenziale e decisiva avvenne certamente nelle opere più siste- matiche dell’attualismo, in modo particolare nel Sistema di logica, quando Socrate, come ora vedremo, acquistò il volto più complesso di fondatore del logo astratto: che era uno svolgimento dell’idea, comun- que presente in Spaventa, che proprio in lui, in Socrate, e non in Par- menide e nei filosofi presocratici, andava indicato l’autentico inizio della filosofia occidentale. Nella Teoria generale, dove il problema fondamentale era quello dell’individuo e dell’individualità, si faceva più nitido il quadro dell’intero sviluppo della filosofia greca, ponendo al centro del natu- ralismo quella che definì «la disperata posizione di Parmenide» (Gen- tile 1959b, 107), quintessenza dell’intero mondo mitico e presocratico e carattere della «seconda natura» delle idee, stabilita da Platone. Tra Parmenide e Platone, Socrate appariva come colui che aveva operato «la netta distinzione tra genere e individuo», non riuscendo certo a trovare la sintesi tra i due momenti, ma lasciando aperta, con il suo formalismo, tanto la via platonica tanto quella aristotelica. Di fronte a entrambi, a Parmenide e a Platone, Socrate era delineato come colui che «scopre il concetto come unità in cui concorre la va- rietà delle opinioni»: affermazione di grande significato,  Gentile e Socrate  perché, almeno in senso formale, indica una rottura dell’intero natu- ralismo antico, un presagio – se così può dirsi – della sintesi e della vera individualità, che solo il pensiero moderno, osservando il con- cetto come conceptus sui e come autocoscienza, arriverà, dopo il cri- stianesimo, a compiere. Però, come si diceva, solo nei due volumi del Sistema di logica, la figura di Socrate acquistò una nuova luce e un più preciso significato, all’interno della dialettica del logo astratto e del logo concreto. Possiamo dire che il punto centrale della considerazione delle forme storiche del logo astratto è proprio il passaggio da Parmenide a Socrate, che è poi il passaggio dal naturali- smo antico alla logica del pensiero pensato, inteso come momento eterno e insuperabile del logo. Il punto socratico è quello fondamen- tale, se non altro perché, superando la posizione, disperata e assurda, di Parmenide, Socrate pone, nel concetto universale, l’intero circolo del pensiero antico, che in Platone (con la teoria della divisione) e in Aristotele (con la teoria del sillogismo) troverà solo uno sviluppo coerente e un adeguamento. All’altezza della dottrina del logo astratto, Gentile segnava con meno forza, rispetto ai testi precedenti, il distacco tra So- crate e Platone, ma indicava con molta più forza la differenza tra So- crate e Parmenide. È vero che, in un passaggio non privo di ambiguità, disse che Parmenide rappresentava «il fondatore della logica dell’astratto», colui che «per primo cominciò a intendere in tutto il suo rigore il concetto del logo quale presupposto del pensiero» (Gentile). Ma subito precisò che tale fondazione del logo era in verità una negazione del pensiero, perché il suo essere, privo di determina- zione e di differenza, è in realtà mancanza di pensiero, il nulla del pen- siero, il semplice immediato: e per Gentile, così come per Spaventa, non è l’essere di Parmenide a segnare l’inizio della logica, come acca- deva in Hegel, ma il concetto universale di Socrate. È con Socrate in- fatti, come ripete più volte (concordando, per altro, con quanto Croce aveva sostenuto nella Logica), che «nasce formalmente la scienza della logica» (Gentile), che viene posto non «l’immediato essere astratto», ma la «mediazione», il «rapporto tra soggetto definito e predicato onde si definisce», per cui, concludeva, «l’astratta identità dell’essere naturale di Parmenide e di Democrito qui è vinta». E altrove   Croce.  chiariva: «la logica comincia propriamente con Socrate, quando l’es- sere spezza la dura crosta primitiva della immediatezza naturale, in cui s’era fissato nelle concezioni degli Eleati e degli Atomisti, e si me- dia nella forma più elementare possibile del pensiero: identità che sia unità di differenze» . Nel concetto socratico, nella definizione, è già tutta la logica antica, che troverà nella dialettica platonica e nel sillogismo aristotelico solo uno sviluppo necessario. Più precisamente, Socrate diventa, nel Si- stema di logica, il fondatore della logica dell’astratto, che non si esprime più nell’assurda immediatezza di A (essere naturale), ma nel rapporto A=A, che indica il principio d’identità e l’intero «circolo chiuso», come lo definì, del logo astratto: rapporto che è già rapporto di pensiero, perché il primo A si distingue dal secondo A, generando la figura del giudizio, sia pure di un giudizio analitico e definitorio. Così, il passaggio (che impegnò il secondo volume dell’opera) dal logo astratto al logo concreto indicava anche il merito e il limite della posizione socra- tica, il suo elogio e la sua critica: perché il «circolo chiuso» che Socrate aveva fondato, immettendo l’uomo nella regione del pensiero, era pur sempre un circolo, una mediazione e un movimento, e perciò inclu- deva, sia pure in maniera inconsapevole, il riferimento del pensato al pensare, dell’astratto al concreto. Lo includeva, come spiegò, nella forma «mitica» di tutto il pensiero antico, non ancora come «pensa- mento del logo astratto nel concreto», ma viceversa come «pensamento del logo concreto nell’astratto» (Gentile). La lettura del momento socratico sembrava così compiuta nei ter- mini fondamentali. Ma negli ultimi mesi della sua vita, Gentile delineò una intera storia della filosofia, che doveva fare parte della collana «La civiltà europea» della casa Sansoni, e di cui riuscì a scrivere solo la prima parte, fino a Platone. Di questa opera, che è stata pubblicata a cura di Bellezza, ci rimane, tra le carte del filosofo, l’in- dice dell’intero lavoro (che si sarebbe dovuto concludere con la consi- derazione di Varisco, Martinetti, Croce e Gentile stesso) e il manoscritto di un «prospetto» che si riferisce alla parte successiva e non scritta sulla filosofia antica, fino alla sezione terza, che avrebbe dovuto occuparsi di epicurei, stoici, scettici, accademici e neoplatonici. Archivio della “Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici”, manoscritti pubblicati. Gentile e Socrate 51 In questo ultimo scritto sulla filosofia antica, Socrate diventava ve- ramente il centro dell’intera considerazione, lo snodo decisivo tra na- turalismo e metafisica. Più chiara e conseguente risultava, in primo luogo, la ricostruzione della filosofia presocratica. Le due figure prin- cipali di questa epoca, Parmenide ed Eraclito, rappresentavano due aspetti complementari della medesima intuizione della natura e del cosmo, priva della luce del pensiero: nell’essere di Parmenide, che è lo stesso fuoco di Eraclito fermato nel suo eterno ardere, si riassume il peccato capitale della prima filosofia greca, che ora Gentile definiva come «misticismo» (Gentile), come «intellettualismo» e «for- malismo», cioè – spiegava – come il primo esempio di una filosofia «che fa lavorare il cervello, ma lascia, si può dire, vuoto e inerte il cuore». E tutto il successivo atomismo, soprattutto in Demo- crito, gli appariva come l’esito naturale di tale originaria assenza del pensiero, che finì, come doveva finire, nel «pretto materialismo», dove «il pensiero è identico alla sensazione». S’intende perché, nella linea che già era stata di Spaventa, Gentile riservasse parole di elogio alla sofistica: a Protagora, come a colui che scopre «il tarlo se- greto che rode questo essere a cui pur tutto, per chi pensa e ragiona, si riduce», e che costituisce, dunque, tanto l’autocritica in- terna quanto il logico compimento del naturalismo eleatico; e soprat- tutto a Gorgia, che scopre «la potenza della parola», di quell’elemento attivo e umano che l’essere di Parmenide non poteva includere né spie- gare: una potenza, quella della parola, che rappresenta l’emergere di un nuovo mondo, di cui «non siamo più soltanto gli spettatori, ma vi facciamo da attori». Sono i sofisti, perciò, che «preparano Socrate e tutta la filosofia del logo che ne deriva», che «rendono possibile la scoperta di questo nuovo mondo». E il capitolo su Socrate, come si diceva, co- stituisce il cuore di tutta l’interpretazione che qui Gentile proponeva del pensiero antico. A differenza di Labriola, anzi tutto, e in parte an- che di Spaventa, Gentile mostrava di privilegiare nettamente il Socrate di Aristotele, considerando inattendibile la descrizione di Senofonte, che ne fa «un troppo bonario e grossolano pensatore», e in fondo anche quella di Platone, che nei dialoghi presenta «un Socrate idealizzato e platonizzante»: «il Socrate storico – scriveva – non è il Socrate platonico». «Più attendibile» dunque Aristotele, pur  «ne’ suoi cenni sommari», perché in Aristotele emerge- rebbe la vera fisionomia di Socrate, autore di una sola ma fondamen- tale scoperta, quella del concetto, o meglio della definizione e del giu- dizio, cioè del pensiero: non il termine, ma il giudizio, «quel giudizio che come atto del pensiero rivolto all’essere naturale Parmenide e i seguaci suoi avevano dimostrato impossibile».  Così Socrate compie il «passo gigantesco», «trova il pensiero», e «il pensiero, per la prima volta, si viene a trovare alla presenza di se stesso: di se stesso nell’oggetto che può conoscere, e conosce».. Per questo, e solo per questo, Socrate rimane per sempre «il modello da imitare» per ogni filosofo successivo, come «una delle incarnazioni più splendide dell’ideale umano, se umanità vuol dire, come vide So- crate, pensiero». La preferenza che Gentile accordava alla fonte aristotelica derivava, d’altronde, da un lungo percorso, che aveva trovato nella discussione con Zuccante un punto di particolare chiarezza. In quella oc- casione, appoggiandosi ad alcune analisi di Gomperz e soprattutto di Joël, aveva definito i Memorabili come l’opera «più sciagurata uscita dalla penna di Senofonte: pesante, monotona, tutta infarcita di banalità e di vere caricature dello spiritoso e malizioso dialogo socratico» (Gentile), soprattutto per la tendenza ad attribuire a Socrate «una specie di prammatismo», eliminando quell’elemento «logicistico» che per Gentile ne costituiva, invece, il tratto saliente. Di conseguenza, aveva rifiutato l’intera impostazione di Labriola, che aveva as- sunto il «Socrate senofonteo» come la pietra di paragone di ogni altra testimonianza. Non si può tacere che, in tale uso delle fonti, si celava una certa tendenziosità e forse qualche equivoco. Anzi tutto, come è facile osservare, il richiamo ad Aristotele era, in verità, un riferimento quasi esclusivo ai passi della Metafisica su Socrate come «fondatore della filosofia concettuale» e «scopritore dell’universale» (Maier), con una larga sottovalutazione di quanto, nella fonte aristotelica, rinviava alle dottrine etiche e morali. Anche la contrappo- sizione fra la testimonianza aristotelica e quella senofontea, seppure giustificata da un dibattito interpretativo allora in corso (si pensi alle 18 Si ricordino, a questo proposito (soprattutto con riferimento a Labriola, il cui scritto è definito «il migliore studio italiano sull’argomento», e a Joël), le osservazioni di Calogero nella voce Socrate del dell’Enciclopedia italiana.   Gentile e Socrate diverse letture di Döring e di Joël), trascurava i possibili legami che alcuni autori, come Heinrich Maier o Georg Busolt, avevano stabilito tra i passi socratici di Aristotele e i Memorabili senofon- tei19. Si trattava, insomma, di una semplificazione del ben più arduo problema delle fonti socratiche, ma di una semplificazione necessaria affinché, nel discorso di Gentile sulla filosofia antica, emergesse in piena luce il posto assegnato a Socrate, come iniziatore della logica e superatore del precedente naturalismo. Dunque Socrate appariva, nelle pagine che ora Gentile vi dedicava, come la rappresentazione vivente della scoperta del concetto come giudizio, e a questo principio del logo andavano ricondotti tutti gli aspetti della biografia. Socrate fu, pertanto, il maggiore dei Sofisti (Gentile), perché convertì la parola di Gorgia nella nuova «fede nel pensiero», restituendo a quel mondo umano, che pure i sofi- sti, con la loro opera distruttiva, avevano scoperto, il pregio dell’uni- versalità e della verità. Questo era il senso dell’ironia e del dialogo: il dialogo, possiamo dire, si superava nel logo, e si risolveva in esso, per- ché, come aveva chiarito Platone nel Teeteto, era in verità un monologo, «un interno dialogare della mente con se stessa» (ibid., 170), dove il concetto unico e universale costituiva il presupposto e la mèta, l’inizio e la fine, dentro cui i dialoganti, lungi dal distinguersi, si unificavano come simboli di un solo ritmo logico. Certo Gentile riprendeva lette- ralmente l’indicazione spaventiana del «formalismo socratico», ma in certo modo, come ora vedremo, ne metteva piuttosto in rilievo l’aspetto positivo, schiettamente logico, rispetto alla costru- zione successiva di una metafisica, culminante nell’opera di Platone. «Formalismo» significava, perciò, visione formale del concetto e del giudizio, fede nella forma del pensiero, non ancora fissato in un tra- scendente mondo delle idee. Per molte ragioni non potrebbe dirsi che Gentile trasformasse la fi- gura di Socrate in quella di un precursore dell’attualismo, come per esempio era accaduto, a proposito di Gesù di Nazareth, ad Omodeo o a Ruggiero: la sua prosa si manteneva più sobria, [Si ricordi la netta affermazione del Maier, che risale all’edizione di Tubinga del Sokrates: «debbo confessare che mi riesce incomprensibile come mai si siano potute dare tanta importanza e tanta fiducia alle sue [di Aristotele] scarse osservazioni» (Maier) controllata, ma certamente tendeva ad assegnare a Socrate un valore unico in tutto l’orizzonte della filosofia antica20. Il «formalismo» indi- cava un merito, non un difetto. E in tutto il capitolo sull’«essere come concetto», ne sottolineò l’importanza, senza mai indicare il limite della visione socratica. Limite che emerse piuttosto nelle pagine successive, quelle sull’«essere come idea», dove, per spiegare il passaggio a Pla- tone, accennò pure al «problema centrale di Socrate», consistente nel «dualismo da vincere» tra il mondo umano e il mondo naturale, tra il concetto e l’esperienza, perché – scriveva – Socrate «non aveva saputo dir nulla di quella natura che ci sta davanti, in cui si nasce, si vive e si muore, e con cui all’uomo che pensa per concetti rimane pur sempre da fare i conti» (Gentile). Era necessario segnare il limite di Socrate, per offrire una spiegazione del passaggio successivo, quando il suo «formalismo» ripiegò in una compiuta metafisica, tornando di fatto al naturalismo e al mito eleatico dell’essere immutabile. E il lungo capitolo sull’«essere come idea», che copre quasi la metà della parte scritta dell’opera, costituisce in effetti una delle pagine più importanti, e in fondo drammatiche, che Gentile abbia composto negli ultimi giorni della sua vita. Parlò di «un nuovo abisso, che si de- lineava tra Socrate e Platone, come quello che aveva diviso la filosofia umana di Socrate da quella naturalistica che lo aveva preceduto; e ne preparò l’analisi con una sottile considerazione delle scuole socrati- che minori, culminante nella figura di Euclide, che «proveniva dall’eleatismo» e che per primo, inaugurando l’opera che sarà di Pla- tone, «trasferiva il concetto o universale socratico dalla mente dell’uomo nella realtà in sé. Di fronte al dualismo irri- solto di Socrate, tornava, fin da Aristippo o Teodoro, il vento gelido della vecchia cultura, che riempiva il «formalismo» di un contenuto antico, quello della natura, della trascendenza, del realismo. Platone stesso, in fondo, compì questa opera necessaria, appoggiandosi ai suoi veri maestri, l’«eracliteo Cratilo» e Parmenide, e ab- batté «la barriera tra l’umano e il divino», innalzandovi sopra quell’edificio possente che è la metafisica. All’analogia tra Socrate e Gesù, Gentile aveva fatto riferimento nella recensione a G. Zuccante, Socrate. Fonti, ambiente, vita, dottrina (Gentile). Per Omodeo, il rinvio è a Omodeo; per Ruggiero, al primo volume di Ruggiero Gentile e Socrate Quando, in una decina di pagine di forte intensità, entrò all’interno di questo meccanismo, e cercò di spiegare con più precisione il passag- gio che si era consumato dal formalismo di Socrate alla metafisica di Platone, Gentile non mancò di osservare che la «soluzione» che la dot- trina delle idee aveva dato al «problema» di Socrate, unificando ciò che nel maestro si conservava diviso, era in fondo fallimen- tare, perché metteva capo a un nuovo e più duro dualismo, quello che si apriva tra eraclitismo ed eleatismo: due anime – scrisse – inconciliabili: né Platone riuscì più a mettere una a tacere, come in qualche modo erano riusciti a fare Parmenide ed Era- clito e lo stesso Socrate. Il poderoso sforzo da lui tentato di strin- gere insieme le due opposte esigenze pur nella forza indomabile dell’energia con cui esse reciprocamente si escludono, non potrà non fallire. La vicenda post-socratica delineava dunque la storia di un falli- mento; e di un fallimento, bisogna aggiungere, che aveva un prezzo elevato per la filosofia: perché l’idea di Platone altro non era che l’es- sere di Parmenide («dire idea – scriveva – è lo stesso che dire essere») e il dialogo, che Socrate aveva coltivato come ricerca sogget- tiva della verità, si irretiva nella dialettica oggettiva delle idee trascen- denti, dell’essere, nella «dialettica consistente nella relazione che hanno le idee in se stesse», in «dialettica oggettiva, che è norma e fine della soggettiva» Gentile parlava bensì di conquista del pensiero platonico, di progresso, ma in tutta la sua pagina circolava l’impressione del regresso e della decadenza, del passo indietro, della chiusura metafisica. Impressione che si fece nitida nel brano in cui, mettendo a diretto confronto i due filosofi, Socrate e Platone, affermò che il primo, di fronte all’antico naturalismo, aveva scoperto il pen- siero come «relazione», «soggetto, predicato e loro relazione», mentre l’altro quella relazione aveva ricondotta «in un’idea suprema», unica e universale, e perciò l’aveva annientata e assorbita nell’ordine ogget- tivo dell’essere che nega e dissolve il pensiero: «quest’idea – spiegava – pel fatto stesso che totalizza la relazione, l’annienta; perché l’idea delle idee, essendo unica, è irrelativa». E dunque metteva capo all’«unità massiccia, immota, morta, che è tutto un blocco, da prendere  LA BANDIERA DI SOCRATE o lasciare. Proprio come l’Essere eleatico. Pare pensiero, e non è. Che era una critica della metafisica platonica e, al tempo stesso, il più alto riconoscimento a Socrate: il quale restava, così, al centro di questa storia, come una possibilità inesplosa dell’antico, che solo il pensiero moderno, dopo il cristianesimo, avrebbe ripreso e realizzato. Nota bibliografica BERTINI, “Considerazioni sulla dottrina di Socrate.” Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino. Opere varie. Biella: Amosso. CERASUOLO.“Il “Socrate” di Labriola.” In La cultura classica a Napoli. Napoli: Pubblicazioni del Dipartimento di Filologia Classica dell’Università degli Studi di Napoli. BROCHARD, Études de philosophie ancienne et de philosophie moderne. Paris: Alcan. COLLI. Biblioteche di filosofi nella biblioteca di filosofia della Sapienza romana.” Culture del testo e del documento. CROCE, Logica come scienza del concetto puro, Bari: Laterza. DE RUGGIERO, GUIDO, Filosofia del cristianesimo, Dalle origini a Nicea. Bari: Laterza. 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Mustè. Keywords: la filosofia dell’idealismo italiano, popolarismo, governo federativo, democrazia, kratos – natoli, il potere – un concetto di kratos – dirrito, il principio politico, liberalismo, partito liberale italiano, comunismo,  il libero economico, il libero etico, libero politico, ri-sorgimento italiano, liberta del volere, “Gentile e Socrrate” -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mustè” – The Swimming-Pool Library.

  

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