Luigi Speranza -- Grice e Musatti: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’erote collettivo – filosofia
fascista – filosofia del ventennio – Gruppo universario fascista – la scuola di
Dolo -- la scuola di Venezia -- filosofia veneziana -- filosofia veneta -- filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Dolo).
Filosofo italiano.
Dolo, Venezia, Veneto. Grice: “Musatti reminds me of Malcolm, “Tonight I had a
dream,”” – Grice: “Musatti has explored the implicatures of ‘who’s afraid of
the big bad wolf?’, which comes strictly from Grimm – this is a rhetorical
question – and Grimm is implicating that nobody should!” -- Ccesare luigi eugenio
musatti. Tra i primi che posero le basi della
psicoanalisi, in Italia. Nato a Dolo, sulla riviera del Brenta, nella
Villa Musatti a del nonno paterno in cui i parenti erano soliti trascorrere la
villeggiatura. Figlio di Elia, ebreo veneziano e deputato socialista
amico di G. Matteotti, e della napoletana Emma Leanza, non fu né circonciso, né
battezzato -- durante le persecuzioni razziali si procura un falso certificato
di battesimo dalla parrocchia di Santa Maria in Transpontina di Roma -- e non
professa mai alcun credo religioso. Frequenta il liceo Foscarini di
Venezia, poi si iscrive dapprima alla facoltà di Scienze dell'Padova per il
corso di Ingegneria, e immediatamente dopo alla facoltà di Lettere e Filosofia,
dove si laurea in filosofia. Dopo la laurea, si iscrisse per due anni al corso
di Matematica della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali di
Padova, ma non sostenne esame alcuno. A diciannove anni fu chiamato a Roma
per il servizio di leva. Dopo un periodo di addestramento a Torino, e mandato
al fronte come ufficiale, con impegni marginali. Finita la guerra tornò a
Padova per terminare gli studi. Sulla cattedra di Psicologia Sperimentale c'era
Vittorio Benussi, allora chiamato per chiara fama a insegnare a Padova
dall'Graz. Si laurea in filosofia e l'anno successivo divenne assistente
volontario del Laboratorio di psicologia sperimentale. Benussi si uccise con il
cianuro a causa di una grave forma di disturbo bipolare, lasciando tutto nelle
mani di M. e di Silvia De Marchi, anch'essa assistente volontaria, che poi
divenne sua moglie. Il suicidio di Benussi fu scoperto da Musatti, il quale
però lo nascose per paura di ripercussioni negative sulla psicologia italiana
in una situazione di fragilità e precarietà accademica, sottoposta a pressioni
da parte sia del regime fascista, con le sue istanze gentiliane, che della
Chiesa Cattolica. Negli anni ottanta M. rivelò che Benussi s'era suicidato, non
era morto a causa di un malore. Musatti divenne direttore del Laboratorio
di Psicologia dell'Padova. Porta in Italia la Psicologia della Forma con
importanti lavori di livello internazionale. Dopo aver diffuso in Italia la
psicologia della Gestalt, divenne il primo studioso italiano di
psicoanalisi. Studiando la psicologia della suggestione e dell'ipnosi,
introdotta in Italia da Benussi, approdò alla psicoanalisi, sulla quale tenne
il primo corso universitario italiano. Il corso si tenne presso a Padova. Divenne
allora uno dei primi e più importanti rappresentanti italiani della
psicoanalisi. Nell'Italia le teorie di Freud non erano state accolte bene né
dalle Università, né dalla Chiesa cattolica, a causa dell'ideologia culturale
gentiliana assunta dal fascismo. La Società psicoanalitica italiana venne
limitata anche dalle leggi razziali fasciste che colpirono i membri ebrei della
società. Benché non fosse ebreo (poiché figlio di madre cattolica), e
allontanato dall'insegnamento a Urbino e declassato ad insegnante di liceo. Nominato
professore di Filosofia al Liceo Parini di Milano. Si ritrova con L. Basso, Ferrazzutto e altri vecchi socialisti
con l'intento di creare un partito erede del Partito Socialista Italiano; ebbe
l'incarico di trovare denaro per una prima organizzazione e di allacciare
rapporti col Partito Comunista clandestino. Musatti lavorò anche durante la
guerra. Nel periodo dell'occupazione nazista, fu tratto in salvo dall'avvocato
Paolo Toffanin, fratello di Giuseppe Toffanin, che lo aiutò a trasferirsi a
Ivrea, ospite dell'amico Adriano Olivetti. Con il suo sostegno fondò un centro
di psicologia del lavoro. Ricoprì anche l'incarico di direttore della Scuola
Allievi Meccanici, scuola aperta per formare operai meccanici specializzati.
Successivamente fu richiamato dall'Esercito per andare sul fronte
francese. Ottenne all'Università degli Studi di Milano la prima cattedra
di Psicologia costituita nel dopoguerra in Italia, presso la Facoltà di Lettere
e Filosofia. Vi insegnò per venti anni. A Milano ebbe il periodo più florido
della sua ricerca scientifica: gli studenti affollavano le sue lezioni. M. fu
il leader del movimento psicoanalitico italiano nei primi anni del dopoguerra.
A quel periodo risale il suo “Trattato di Psicoanalisi”, pubblicato da Einaudi.
Divenne direttore della “Rivista di psicoanalisi”. Presidente del Centro
Milanese di Psicoanalisi fondato da Franco Ciprandi, Renato Sigurtà e Pietro
Veltri, che gli verrà intitolato dopo la sua morte. Nel 1976 è diventato
curatore della edizione italiana delle Opere di Sigmund Freud, della Casa
Editrice Bollati Boringhieri di Torino. Vecchiaia La località a lui
dedicata Musatti scrisse anche libri di letteratura, tra cui Il pronipote di
Giulio Cesare, che gli fece vincere il Premio Viareggio. Fu eletto per due
volte consigliere comunale di Milano nella lista del PSIUP e fu anche
consulente del Tribunale dei Minori del capoluogo lombardo. Sostenne sempre la
pace, il progresso dei lavoratori, l'emancipazione femminile ed i diritti
civili. M. era ateo, come ebbe a dichiarare in più occasioni, l'ultima
delle quali in uno dei martedì filosofici del Casinò di Sanremo. Muore nella
sua abitazione di via Sabbatini a Milano. L'indomani dopo una cerimonia laica
di commiato celebrata in forma strettamente privata, la sua salma e cremata a Lambrate. Le sue ceneri sono
tumulate, secondo le sue ultime volontà, nel cimitero comunale di Brinzio, località
in cui era solito trascorrere i periodi di vacanza. Il suo archivio è
conservato presso l'Aspi Archivio Storico della Psicologia Italiana
dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Il comune di Dolo ha
ribattezzato la sua località natale Casello 12 località M. e gli ha intitolato
il locale istituto professionale. Musatti e il suicidio di Benussi Anche
dopo la rivelazione che si era trattato di un suicidio, non parla mai
volentieri della morte del maestro. Nel generale silenzio dello studioso di
Dolo emerge un'intervista. Nell'intervista M. confessa di sognare a volte che
in una caserma dei carabinieri in cui viene tradotto, il commissario lo
interroga sulla morte di tre sue mogli (si sposò quattro volte), decedute
tragicamente, e di Vittorio Benussi. A fine colloquio il militare lo intima di
confessare di aver ucciso il maestro per prendere la cattedra di psicologia.
«Io gli rispondoprosegue Musatti, da buon psicoanalistache sicuramente nel mio
subconscio mi sono sentito responsabile per questa e per altre morti. Il
commissario, che non capiva nulla di subconscio, decide: “Mi spiace professore,
ma devo arrestarla”. Io allora gli rispondo: ”Non è possibile commissario,
perché si tratta di delitti commessi più di cinquant'anni fa, e quindi sono
prescritti!”». ‘Cesare’ è un riferimento al pro-zio M., medico pediatra,
uno che aveva visitato il piccolo, nato settimino. ‘Luigi’ e il nome del bonno
materno (L. Leanza, morto in carcere, partecipa alla rivolta anti-borbonica); ‘Eugenio’
e il nome di un altro pro-zio paterno, lo storico Eugenio Musatti; cfr. Musatti
IX-XIII. Forse la psicoanalisi è nata e morta con lui. Il nome allude alla
fermata della tranvia Padova-Malcontenta-Fusina che il nonno, presidente della
Società Veneta Lagunare, odierna ACTV, aveva fatto aprire per raggiungere più
agevolmente Venezia. Musatti IX-XIII. Archivio dell'Università degli Studi di
Padova, Carriere scolastiche della Facoltà di Lettere e filosofia, Padova,
Carriere scolastiche della Facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali,
Opuscolo del Centro Milanese di Psicoanalisi, a cura del Comitato Direttivo,
redatto da L. Ambrosiano Capazzi Gammaro Moroni, Reatto, Schwartz, M. Sforza, Stufflesser,
Milano Per una storia del Centro
Milanese di Psicoanalisi Chiari, Seminario presso il Centro Milanese di
Psicoanalisi Cesare Musatti, Milano Freud,
Opere (Torino, Boringhieri); S. Giacomoni, Cerimonia privata per M., la
Repubblica, è consultabile sul
dell'Aspi, all'indirizzo web AspiArchivio storico della psicologia
italiana, Università degli studi di Milano-Bicocca. D. Mont D'Arpizio, Vittorio
Benussi, Padre della psicologia padovana, in La Difesa del popolo, Mille anni
di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della
Scienza di Firenze, Mia sorella gemella
la psicoanalisi, 1Pordenone, Edizioni Studio Tesi,Luciano Mecacci, M. voce
dell'Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti. Il contributo italiano
alla storia del pensiero. Ottava appendice, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana. Saggi: “Analisi del concetto di realtà empirica” (Solco, Città di
Castello); “Forma e assimilazione,” in: Archivio italiano di psicologia,
“Elementi di psicologia della testimonianza” (Rizzoli, Forma e movimento” (Ferrari,
Venezia, da: Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Gl’elementi
della psicologia della forma, Gruppo Universitario Fascista, Padova, Trattato
di psico-analisi (Boringhieri, Torino); Super io individuale e Super io
collettivo (Olschki, Firenze); Condizioni dell'esperienza e fondazione della
psicologia” (Universitaria, Firenze, Riflessioni sul pensiero psicoanalitico e
incursioni nel mondo delle immagini (Boringhieri, Torino); Svevo e la
psicoanalisi (Olschki, Firenze); I rapporti personali Freud-Jung attraverso il
carteggio, Olschki, Firenze, Commemorazione accademica, Olschki, Firenze Nino
Valeri, Olschki Firenze, Il pronipote di Giulio Cesare, Mondadori Milano A
ciascuno la sua morte (Olschki, Firenze); Hanno cancellato Livorno (Olschki,
Firenze); Mia sorella gemella la psicoanalisi (Riuniti, Roma). Una famiglia
diversa ed un analista di campagna, Olschki, Firenze, Questa notte ho fatto un sogno, Riuniti, Roma,
Chi ha paura del lupo cattivo?, Riuniti, Roma, Psicoanalisti e pazienti a
teatro, a teatro (Mondadori, Milano); Leggere Freud, Bollati Boringhieri,
Torino, Curar nevrotici con la propria auto-analisi, Mondadori, Milano:
Geometrie non-euclidee e problema della conoscenza, Aurelio Molaro, prefazione
di Mauro Antonelli, Mimesis, Milano,Treccani Enciclopedie oIstituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. siusa.archivi.beniculturali, italiana di Cesare
Musatti, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. Cesare
L. Musatti. Cesare Musatti. Musatti. Keywords: erote, Gruppo Universitario
fascista, il collettivo di Jung, l’ego e il noi collettivo Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Musatti” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza --
Grice e Musonio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del
Musonio di Gentile -- Roma – la scuola di Bolsena -- filosofia lazia – lingua
lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza. (Bolsena).
Filosofo italiano. Bolsena, Viterbo, Lazio. Esercita un forte influsso sui
contemporanei. Di famiglia equestre dell’etrusca Volsini (Bolsena) suscita
per la sua fama di filosofo l’invidia di Nerone. Segue Rubellio
Plauto nell'Asia Minore e lo incoraggia a togliersi la vita quando Nerone lo
condanna a morte. Ritorna a Roma, dove e bandito insieme
con Cornuto in occasione della congiura di Pisone e
confinato nell’isola di Gyaros nelle Cicladi, ove per la sua rinomanza attira
uditori da ogni parte.Verosimilmente richiamato a Roma da GALBA, negli
ultimi giorni di Vitellio si une ad una ambasceria del Senato presso Antonio
Primo per perorare la causa della pace fra i suoi soldati, ma senza
successo.Quando Vespasiano assunse il potere, M. accusa davanti al Senato P.
Egnazio Celere, quale delatore e falso testimonio nel processo di Borea Sorano.
Vespasiano lo escluse dalla prima espulsione dei filosofi da Roma (71), ma poi
lo esiliò per la seconda volta ; però Tito, che già lo aveva conosciuto,
lo richiamò dopo la sua assunzione al trono. In seguito mancano notizie su di
lui, ma da una lettera di Plinio il Giovane sembra che non fosse più in vita.
Non risulta che abbia composto e pubblicato scritti, anzi sembra che si sia
servito soltanto dell’insegnamento orale, del quale, però, rimangono frammenti
abbastanza numerosi. Essi comprendono 19 brevi apoftegmi conservati da
Plutarco, da Aulo Gellio e dallo Stobeo ; altri apoftegmi e trattazioni
filosofiche relativamente ampie raccolti da Epitteto nel suo insegnamento-È e
trasmessi i primi da Arriano, le seconde dallo Stobeo ; esposizioni o lezioni
che si trovano nello Stobeo o costituiscono la parte più estesa dei frammenti.
È verosimile che provengano da uno scritto di quel Lucio che si è già ricordato
e che si deve ritenere la fonte più importante dello Stobeo. Un’altra è
Epitteto, cioè Arriano. Sembra che un Pollione (probabilmente Valerio Pollione
da Alessandria, vissuto sotto Adriano) compone Memorabili di Musonio, ma non ne
restano tracce. È giudicata falsa una lettera di Musonio a un certo Paneratide.
Le concordanze che si sono osservate tra i frammenti di M, e il Pedagogo di
Clemente di Alessandria hanno fatto pensare o alla dipendenza di questo da uno
scritto di Lucio o alla derivazione di ambedue da una fonte più antica. Della
forte azione di Musonio sui contemporanei sono prova i suoi numerosi scolari,
tra i quali si ricordano (oltre al genero Artemidoro, amico e maestro di Plinio
il Giovane), i filosofi Epitteto, Dione di Prusa, Eufrate di Tiro e il suo
scolaro Timocerate di Eraclea, e insigni romani, come Plauto, Sorano e Minicio
Fundano. M. si avvicina ai cinici nell’assegnare alla filosofia finalità
radicalmente etico-pratiche, accetta spunti dell’ascetismo dei crotonesi. Ma
nel complesso dipende dal Portico con influssi posidoniani. Nel sno
insegnamento non trascura le esercitazioni logiche e i frammenti toccano
argomenti di fisica, ma ciò che vi è detto degli dei, designati con le
denominazioni della religione tradizionale, non supera la sfera del pensiero
comune e non ha carattere filosofico determinato. Invece riporta al Portico
l'affermazione della necessità universale, che equivale alla teoria del fato.
Però l'interesse di M. si concentra sulla funzione pratica della filosofia, che
è assolutamente necessaria in quanto (secondo la tesi introdotta dai filosofi
dai Cinargo) gli uomini sono malati che richiedono una cura continua la quale
dev'essere prestata dalla filosofia, che perciò è necessaria a tutti, alle
donne non meno che agli uomini. La filosofia però è identificata alla ricerca e
alla realizzazione della virtù, per conseguire la quale non vi è necessità di molti
discorsi, nè di molte teorie. Inoltre, in essa l'esercizio ha maggiore
importanza dell’insegnamento o del discorso. Siccome la natura ha posto in ogni
uomo i germi della virtù, se il discepolo non è stato corrotto, una breve
dimostrazione è sufficiente per fargli riconoscere i principi etici
giusti. Ciò che soprattutto importa è che maestro e discepolo uniformino
la loro condotta ai propri principi. Si comprende che M. si interessasse in
primo luogo della formazione etica degli scolari. Nell’insieme, la morale
di M. si conforma alle dottrine tradizionali del Portico. Occorre distinguere
ciò che è e ciò che non è in nostro potere. Ora da noi dipende soltanto l’uso
delle rappresentazioni, cioè l'assenso dato alle opinioni sul bene e sul male,
dalle quali è determinata la giusta valutazione delle cose e quindi
l'intenzione quale atteggiamento interiore della volontà. In la volonta, se è
retta, consiste la libertà, la virtù, la felicità. Tutto il resto non dipende
da noi e perciò rispetto ad esso, ossia alle cose esterne, dobbiamo rimetterci
all’ordine necessario dell'universo e aecettare volentieri ciò che arreca.
Soltanto la virtù è bene, soltanto la malvagità è male e ogni altra cosa è
indifferente. Però, per rafforzare la volontà, M. ritene necessario, oltre
l'insegnamento e l’esercizio morale, anche l’indurimento fisico, perchè,
essendo il corpo uno strumento indispensabile dell’anima, occorre rafforzare
ambedue. In generale raccoman, avvicinandosi ai filosofi del Cinargo, la vita
semplice e conforme alla natura e accoglie dai crotonesi, il divieto dei
cibi carnei. Oltrepassando le opinioni di molti antichi filosofi del portico,
esige una vita morale severissima, raccomanda il matrimonio, condanna la
limitazione delle nascite e l’esposizione dei figli. Nell'insieme, i frammenti
di Musonio rivelano un’anima nobile e retta, appassionata per il bene e guidata
dal desiderio di educare gli spiriti, ma a queste doti non corrisponde il
valore scientifico degli insegnamenti, perchè i suoi pensieri sono molto mediocri
e privi di originalità. Inoltre non si può trovare nelle sue parole
l’espressione di una visione della vita vibrante di dolore e di amore simile a
quella di Seneca. Gaio Musonio Rufo. M. (Volsinii) è un filosofo
romano. Frammento di papiro (P. Harr.Col.), con parte di una
diatribe. Sulla vita di Gaio Musonio Rufo, stoico, si posseggono poche notizie
certe. È noto che nacque a Volsinii, corrispondente all'odierna Bolsena, in
Etruria, che fu cavaliere. Il ‘prae-nomen’ Gaio lo conosciamo solo attraverso
Plinio il minore che ci fornisce anche un’altra notizia su una sua figlia
(presumibilmente chiamata Musonia, secondo l’uso romano), sposata ad
Artemidoro, al quale Plinio presta aiuto anche per stima e affetto nei
confronti del suocero. Sappiamo dalla voce “Mousonios” della Suda che Musonio e
figlio di Capitone ma non abbiamo altre notizie sulla sua famiglia, che era
comunque di origine etrusca. In effetti, il nomen “Musonius” denotare la gens,
e viene indicato da alcuni studiosi della lingua etrusca come forma latina di
un gentilizio etrusco “Musu,” “Muśu-nia.”. E capo a Roma di un circolo o
gregge filosofico e si dedica anche alla politica, con idee abbastanza
tradizionali e moderate. Fa parte del gruppo creatosi intorno a Rubellio
Plauto, un discendente della famiglia Giulia. Quando Rubellio Plauto e allontanato
da Roma in via precauzionale da Nerone, M. lo segue in Asia. Due anni dopo giunge
l'ordine del principe di eliminare Rubellio Plauto. Musonio ritorna a Roma, ma,
in concomitanza della congiura di Pisone,
e mandato in esilio, in quanto allievo di Seneca, nell'isola di Gyaros,
inospitale e rocciosa nel Mar Egeo. Indicativi della sua integrità morale
e della sua coerenza sono altri due momenti della sua vita, entrambi riportati
da Tacito nelle Storie. Dopo essere ritornato dall’esilio, forse grazie a
GALBA, con il quale sembra fosse in amicizia, nella fase finale della guerra
civile seguita alla morte di Nerone, Musonio si rese protagonista di un primo
episodio significativo, rivelatore della sua generosa attitudine a mettere in
pratica i principi morali e gli ideali di pace che insegna. In una Roma che era
teatro di violenti scontri tra le fazioni avverse, il filosofo di Volsinii si
impegna a svolgere un’improbabile opera di pacificazione. “S’era mescolato agli
ambasciatori M., di ordine equestre, zelante filosofo e seguace dei precetti
dello stoicismo, ed in mezzo ai manipoli prendeva ad ammonire gli uomini armati
con le sue disquisizioni sui beni della pace e sui mali casi della guerra. Ciò
fu per molti motivo di scherno; per la maggioranza, di fastidio. E non mancava
chi l’avrebbe spinto via o l’avrebbe calpestato, se, dietro consiglio dei più
equilibrati e fra le minacce di altri, non avesse deposto la sua inopportuna
esposizione di saggezza.” Il secondo episodio, ci presenta Musonio Rufo
impegnato nella riabilitazione della memoria dell’amico Barea Sorano, che era
stato sottoposto a processo e condannato a morte insieme alla figlia Servilia e
a Trasea. Contro di lui era stata resa una falsa testimonianza da parte del suo
stesso maestro, Publio Egnazio Celere, anche lui appartenente alla corrente
stoica. Musonio, che pure nei suoi insegnamenti si dichiarava contrario ad
intentare cause per difendere se stesso dalle offese ricevute, in questo caso
non esita ad accusare in Senato il traditore per difendere la memoria
dell’amico condannato ingiustamente. Come scrive Tacito: “Allora Musonio Rufo
attacca Publio Celere, accusandolo di aver attaccato Sorano con una falsa
testimonianza. Evidentemente con quell’accusa si rinnovavano gli odii delle
delazioni. Ma l’accusato, vile e colpevole, non poteva essere difeso. Di Sorano
e santa la memoria. Celere, che fa professione di sapienza, testimoniando
contro Barea, ha tradito e violato l’amicizia.” Musonio porta avanti con
tenacia il suo impegno, che e coronato da successo. “Fu deciso allora di ri-aprire
il processo tra M. e Publio Celere: Publio venne condannato ed ai mani di
Sorano e resa soddisfazione. Quel giorno, che si distinse per la severità dei
magistrati, non manca nemmeno di elogi ad un cittadino privato. Si era,
infatti, del parere che Musonio avesse agito con giustizia in tribunale.
Opinione ben diversa si ha di Demetrio, seguace della scuola cinica, in quanto
aveva difeso, più per ambizione che con onore, un reo manifesto. Quanto a
Publio, non ebbe né animo, né eloquenza sufficienti in quel frangente.»
Più tardi M. riusce a guadagnarsi la stima di Vespasiano evitando la cacciata
dei filosofi. Ci e però un secondo esilio e, dopo il suo rientro a Roma, voluto
da TITO, le fonti tacciono. Potrebbe essere stato espulso da Roma, assieme agli
altri filosofi, a causa di un senatoconsulto sollecitato da Domiziano, che fa uccidere
Aruleno Rustico e cacciare Epitteto e altri. Da un'epistola di Plinio minore si
apprende che egli non era più in vita. Si proclama suo discendente il
poeta Postumio Rufio Festo Avienio. Probabilmente in modo volontario,
sull'esempio di Socrate o Grice e come fa anche il discepolo Epitteto, non
lascia nulla di scritto. I principi della sua predicazione filosofica si
ricavano da una raccolta di diatribe dovuta a un discepolo di nome Lucio, di
cui 21 ampi estratti sono conservati nell'Antologia di Stobeo. Essi sono
intitolati: “Che non è necessario fornire molte prove per un problema” “Su chi
nasce con un'inclinazione verso la virtù” “Che anche le donne dovrebbero
studiare filosofia” “Se le figlie debbano ricevere la stessa educazione dei
figli maschi” “Se è più efficace la teoria o la pratica” “Sul praticare la
filosofia” “Che si dovrebbero disprezzare le difficoltà” “Che anche un principe
deve studiare filosofia” “Che l'esilio non è un male” “Il filosofo perseguirà
qualcuno per lesioni personali?” “Quali mezzi di sostentamento sono appropriati
per un filosofo?” “Sull'indulgenza sessuale” “Qual è il fine principale del
matrimonio” “Il matrimonio è un ostacolo per la ricerca della filosofia?” “Ogni
bambino che nasce dovrebbe essere allevato?” “Bisogna obbedire ai propri
genitori in tutte le circostanze?” “Qual è il miglior viatico per la vecchiaia?”
“Sul cibo” “Su vestiti e riparo” “Sugli arredi” “Sul taglio dei capelli”. Lo
stile delle diatribe è semplice. In genere viene posta una questione iniziale,
poi sviluppata con chiarezza durante il testo, spesso costruito in modo
figurato, usando metafore e similitudini (spesso sfrutta il paragone con il
medico, alcune volte intervengono immagini di animali). Questa caratteristica
si adatta bene alla sua personalità e al suo tipo di insegnamento, tutto
rivolto alla schiettezza della vita. Ci restano, inoltre, frammenti
minori, spesso in forma di apoftegma. A parte quelli sempre di Stobeo (in
numero di 14), due frammenti conservati da Plutarco sono brevi aneddoti che
potrebbero essere definiti come "detti celebri", mentre tre brani di
Aulo Gellio conservano detti memorabili ed un quarto è lungo abbastanza da
rappresentare la sintesi di un intero discorso. C'è, poi, un aneddoto in Elio
Aristide ed Epitteto ne racconta una mezza dozzina (11, per la precisione).
Restano, inoltre, due epistole, concordemente ritenute spurie. M.
rappresenta, con Epitteto, Antonino e Seneca, uno dei quattro esponenti più
significativi del portico romano del principato. Egli, se per certi versi
corrisponde appieno alle istanze propugnate dalla temperie spirituale del suo
tempo, per altri si distingue e mette in luce, soprattutto per il recupero
radicale e profondo di una filosofia intesa come arte del vivere bene e
onestamente, cioè mezzo per conseguire uno scopo riscontrabile nei fatti.
Il ruolo della filosofia Egli crede che la filosofia (stoica) fosse la cosa più
utile, in quanto ci persuade che né la vita, né la ricchezza, né il piacere
sono un bene, e che né la morte, né la povertà, né il dolore sono un male;
quindi questi ultimi non sono da temere. La virtù è l'unico bene, perché da
sola ci impedisce di commettere errori nella vita. Del resto, sembra che solo
il filosofo si occupi di studio della virtù. La persona che afferma di studiare
filosofia deve praticarla più diligentemente di chi studia medicina o qualche
altra attività, perché la filosofia è più importante e più difficile da
comprendere di qualsiasi altra occupazione. Questo perché, a differenza di
altre abilità, le persone che studiano filosofia sono state corrotte nella loro
anima da vizi e abitudini sconsiderate, imparando cose contrarie a ciò che
impareranno in filosofia. Ma il filosofo non studia la virtù soltanto come
conoscenza teorica. Piuttosto, M. insiste sul fatto che la pratica è più
importante della teoria, poiché la pratica ci porta all’azione in modo più
efficace della teoria. Sostene che sebbene tutti siano naturalmente disposti a
vivere senza errori e abbiano la capacità di essere virtuosi, non ci si può
aspettare che qualcuno che non abbia effettivamente imparato l'abilità di
vivere virtuosamente viva senza errori più di qualcuno che non è un medico
esperto, un musicista, studioso, timoniere o atleta ci si poteva aspettare che
praticassero quelle abilità senza errori. In una delle sue diatribe, si
racconta il consiglio che offrì a un re in visita, dicendogli che deve
proteggere e aiutare i suoi sudditi, quindi sapere cosa è buono o cattivo,
utile o dannoso, utile o inutile per le persone. Ma diagnosticare queste cose è
proprio il compito del filosofo. Poiché un re deve anche sapere cos'è la
giustizia e prendere decisioni giuste, il principe studia filosofia, anche per
possedere autocontrollo, frugalità, modestia, coraggio, saggezza, magnanimità,
capacità di prevalere nel parlare sugli altri, capacità di sopportare il dolore
e deve essere privo di errori. La filosofia, sosteneva M., è l'unica disciplina
che fornisce tutte queste virtù. Per dimostrare la sua gratitudine il re gli
offrì tutto ciò che desiderava, al che il filosofo chiese solo che il re
aderisse ai principi stabiliti. Musonio sosteneva che, poiché l'essere
umano è fatto di corpo e anima, dovremmo allenarli entrambi, ma quest'ultima
richiede maggiore attenzione. Questo duplice metodo richiede l’abituarsi al
freddo, al caldo, alla sete, alla fame, alla scarsità di cibo, a un letto duro,
all’astensione dai piaceri e alla sopportazione dei dolori. Questo metodo
rafforza il corpo, lo abitua alla sofferenza e lo rende idoneo ad ogni compito.
Crede che l'anima fosse rafforzata in modo simile sviluppando il coraggio
attraverso la sopportazione delle difficoltà e rendendola autocontrollata
astenendosi dai piaceri. Musonio insisteva sul fatto che l'esilio, la povertà,
le lesioni fisiche e la morte non sono mali e un filosofo deve disprezzare
tutte queste cose. Un filosofo considera l'essere picchiato, deriso o sputato
come né dannoso né vergognoso e quindi non avrebbe mai litigato contro nessuno
per tali atti, secondo M.. L'opposizione di M. alla vita lussuosa si estendeva
alle sue opinioni sul sesso. Pensa che gli uomini che vivono nel lusso
desiderano un'ampia varietà di esperienze sessuali, sia legittime che
illegittime, sia con donne che con uomini. Osserva che a volte gl’uomini
licenziosi perseguono una serie di partner sessuali maschili. A volte diventano
insoddisfatte dei partner sessuali maschili disponibili e scelgono di
perseguire coloro che sono difficili da ottenere. M. condanna tutti questi atti
sessuali ricreativi. Insiste sul fatto che solo gli atti sessuali finalizzati
alla procreazione all’interno del matrimonio sono giusti. Denuncia l'adulterio
come illegale e illegittimo. Giudica i rapporti omosessuali un oltraggio contro
natura. Sosteneva che chiunque sia sopraffatto dal piacere vergognoso è vile
nella sua mancanza di autocontrollo. M. difende l'agricoltura come
un'occupazione adatta per un filosofo e nessun ostacolo all'apprendimento o
all'insegnamento di lezioni essenziali. Gli insegnamenti esistenti di Musonio
sottolineano l'importanza delle pratiche quotidiane. Ad esempio, ha
sottolineato che ciò che si mangia ha conseguenze significative. Crede che
padroneggiare il proprio appetito per il cibo e le bevande fosse la base
dell'autocontrollo, una virtù vitale. Sostene che lo scopo del cibo è nutrire e
rafforzare il corpo e sostenere la vita, non fornire piacere. Digerire il cibo
non ci dà alcun piacere, ragiona, e il tempo impiegato a digerire il cibo
supera di gran lunga il tempo impiegato a consumarlo. È la digestione che nutre
il corpo, non il consumo. Pertanto, concluse, il cibo che mangiamo serve al suo
scopo quando lo digeriamo, non quando lo gustiamo. M. sostenne la sua
convinzione che le donne dovessero ricevere la stessa educazione filosofica
degli uomini con i seguenti argomenti. In primo luogo, gli dei hanno dato alle
donne lo stesso potere di ragione degli uomini. La ragione valuta se un'azione
è buona o cattiva, onorevole o vergognosa. In secondo luogo, le donne hanno gli
stessi sensi degli uomini: vista, udito, olfatto e il resto. In terzo luogo, i
sessi condividono le stesse parti del corpo: testa, busto, braccia e gambe.
Quarto, le donne hanno un uguale desiderio per la virtù e una naturale affinità
con essa. Le donne, non meno degli uomini, sono per natura compiaciute delle
azioni nobili e giuste e censurano il loro contrario. Pertanto, concluse M., è
altrettanto appropriato che le donne studino filosofia, e quindi considerino
come vivere onorevolmente, quanto lo è per gli uomini. Suda μ 1305:
«Figlio di Capitone, etrusco, della città di Volsinii; filosofo dialettico e
stoico, vissuto ai tempi di Nerone, conoscente di Apollonio di Tiana e di molti
altri. Ci sono anche lettere che sembrano provenire da Apollonio a lui e da lui
ad Apollonio. Naturalmente per la sua schiettezza, le sue critiche e il suo
eccesso di libertà e ucciso da Nerone. Numerosi sono i discorsi filosofici che
portano il suo nome e anche le lettere. Epistole. Di origine etrusca: cfr.
Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, VII 16. Pittau, “Dizionario della lingua
etrusca (DETR), Dublino. Tacito, Annales, XIV, Epitteto, Diatribe, III 15, 14.
Storie, III 81. Storie, IV 10. Cassio Dione, Girolamo, Chronicon, a. 2095:Titus
Musonium Rufum philosophum de exilio revocat»; Temistio (Orationi, XIII, 173c),
inoltre, attesta l'amicizia tra Tito e M.. Cameron, Avienus or Avienius?, in
"Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik". L'attribuzione è data nell'estratto XV Hense:
sicuramente questo Lucio era un allievo di Musonio, e uno specifico riferimento
in cui M. parla da esule a un esule rivela che anche Lucio partecia al bando del suo maestro. Nella diatriba Lucio
riporta una conversazione di Musonio con un re siriano e dice, tra parentesi,
che c'erano ancora re in Siria a quel tempo, vassalli dei romani. -- nell'edizione
Hence. Una delle due è una lunga lettera scritta da M. a Pancratide sul tema
dell'educazione dei suoi figli. Diatriba VIII Hense. Cfr. anche il detto «Un re
dovrebbe voler ispirare soggezione piuttosto che paura nei suoi sudditi. La
maestà è caratteristica del re che incute timore reverenziale, la crudeltà di
quello che ispira paura» (in Stobeo, IV 7, 16). A differenza del suo allievo
Epitteto, che mostrava disprezzo per il corpo, M. sottolinea l'interdipendenza
tra anima e corpo. Questa visione, del tutto coerente con il panteismo stoico,
non è estranea al pensiero neoplatonico. Diatribe III e IV Hense; Nussbaum, The Incomplete
Feminism of M., Platonist, Stoic, and Roman, in The Sleep of Reason. Erotic
Experience and Sexual Ethics in Ancient and Rome, Nussbaum and J. Sihvola,
Chicago. Bibliografia C. Musonii Rufi reliquiae, edidit O. Hence (Lipsia,
Teubner); Lutz, Musonius Rufus, the Roman Socrates, Yale classical studies. Dillon, M. and Education in the Good Life: A Model of
Teaching and Living Virtue. University Press of America. Laurenti, Musonio,
maestro di Epitteto, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt. Berlino, de
Gruyter, King, (Musonius Rufus: Lectures and Sayings. Edited by William B. Irvine. Create Space. DOTTARELLI,
M. l'etrusco. La filosofia come scienza di vita” (Roma, Annulli). Musònio Rufo,
Gaio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Calogero, MUSONIO Rufo, Caio, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Musonio Rufo, Gaio, in Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M., su Encyclopedia of Philosophy. Opere
di Gaio Musonio Rufo, su Open Library, Archive. VDM Stoicismo. Portale Antica
Roma Portale Biografie Categorie: Filosofi romani Filosofi del II
secoloRomani del II secoloStoici[altre] Grice e Tito – La clemenza di Tito –
“Titus M. Rufum philosophy revocat. Amico di Musonio. Grice e Galba. Grice e
Nerone – Grice e Vespasiano. Gaio M. Rufo, figlio di Capitone e degli stoici di
maggior grido in quell'età, e uno di quelli che si guadagnarono un maggior
numero di seguaci per l'efficacia del loro insegnamento. Plinio Secondo
infatti, lodando le virtú singolari del suo amico Artemidoro, assicura che per
esse ei merito che a C. M. ex omnibus omnium ordinum adsectatoribus gener
adsumeretur. E di Volsinio, in Etruria. Ma non si può dire se fosse nato sotto
Claudio o sotto Caligola. Benché sia più probabile la seconda supposizione. Appartenne
all'ordine equestre. L'incontriamo la prima volta in Roma, quando ne è mandato
in esilio da Nerone in quella serie di condanne che segui alla sventata
congiura di Pisone. A lui, come a Verginio Flavo, celebre maestro di retorica,
nocque, secondo Tacito, claritudo nominis nam Verginius studia iuvenum eloquentia,
Musonius praeceptis sapientiae fovebat. Tre anni innanzi era nell'Asia Minore
presso Rubellio Plauto, insieme con un altro filosofo, Cerano,il quale non si
trova nominato in altro luogo. Sicché è probabile che egli non tornasse in Roma
se non dopo la morte di Rubellio, per seguire il quale aveva dovuto lasciar
Roma, quando a Rubellio per ordine di Nerone convenne ritirarsi in Asia. Se, adunque,
il nostro M. poté essere il filosofo di Rubellio Plauto, del quale vedremo con
che ardore proseguisse lo stoicismo, la frase di Tacito ci dice che egli dove
esercitare in Roma l'insegnamento pubblico. Le relazioni avute con Rubellio, che
al dire di Tacito, omnium ore celebratur, e quei due anni consecutivi
d'insegnamento pubblico, devono avergli fruttato la claritudo nominis che fu
madre del suo esilio Nerone nella scoperta della congiura pisoniana trova tra i
congiurati più d'uno della setta stoica, come Seneca, a quanto pare, e Lucano.
Ed era naturale che anche M., l'antico maestro ed amico del suo odiato
Rubellio, lo stoico che suscita tanta ammirazione intorno a sé e trasfondeva in
tanti il suo entusiasmo, siccome apparisce da quel che ne dicono Tacito e
Plinio il giovane, facesse nascere nell'animo di Nerone sospetti e timori e
fors'anche invidia. Musonio, cacciato da Roma, e da Nerone relegato
nell'inospitale isola di Giaro, tra le Cicladi. E quivi dimora fino alla morte
di codesto imperatore. Ma neppur li si rimase dall'insegnare. Giacché
Filostrato, testimonio, in verità, non sicuro, ci fa sapere che in quell'isola
accorrevano a lui da ogni parte, e da uno dei frammenti conservatici da Stobeo
si scorge che in Giaro era alla scuola di Musonio il compilatore di quella
specie di 'Azurnusycuata, donde gli estratti musoniani di Stobeo sarebbero
tolti. A Giaro si rese benemerito dell'isola, dove non s'era mai vista
dell'acqua, ed ei seppe trovare una fonte. Per vedere la quale Filostrato
afferma che al suo tempo si visita ancora quell'erma isola. Quanto tempo vi
rimane si può precisare da un luogo del suo discepolo Epiteto; dove si ricorda
un detto di lui relativo alla morte di Galba, dal quale risulta che M. e già a
Roma sotto questo imperatore. Sicché molto probabilmente vi sarà tornato alla
morte di Nerone. Non altrimenti dello stoico Elvidio Prisco, cacciato anche lui
da Nerone e tornato a Roma all'avvento di Galba
all'impero. A Roma, M. si trovava durante il breve impero di Vinelio poicho 1 Potia Coria, sli api
basiatori to riti Tao qua dio qui (o in pa la da i, partando gravi Guasti l'ambasceria
è rimasta famosa; giacché le parole, onde ce la descrive Tacito, colpiscono una
delle debolezze più ridicole che si possano rimproverare ai filosofi: quella di
far della filosofia fuori di luogo. Grave il danno prodotto dai Flaviani fuori
della città. Il popolo, levatosi in armi, vuole uscire in massa contro gl’assalitori.
Tra poco scope terribile la guerra civile. Si convoca il Senato. E questo
sceglie dei legati, che si rechino ai duci di quell'esercito, per persuaderli
pel bene della repubblica alla concordia e alla pace. Tra i primi inviati c'è
uno de' più fervidi e sventurati stoici di quest'età, Aruleno Rustico, allora
pretore. Ma egli e i compagni, venuti da Ceriale, furono accolti assai male. Egli
anzi ferito. Il che eccita più che mai gli animi del popolo: auxit, dice Tacito
invidiam super violatum legati prae-torisque nomen propria dignatio viri. E
quest'offesa recata a un uomo di tanta riputazione della sua setta. non dovette
essere l'ultimo dei motivi che spinsero quindi Musonio a mischiarsi con gl’altri
legati, che andarono da Antonio. Ma già non deve parere strano, che un uomo
cosi illustre, cosi rispettato al tempo suo, e che sapeva di essere ammirato e
di poter contare sull'efficacia della sua nobile parola, s'inducesse a
confidare in questa per calmare gl’animi dei soldati, dimentichi perfino del
più sacro diritto delle genti. Sarebbe stata forse la prima volta che M. parla
a una moltitudine. Anche le Vestali si fecero apportatrici d'una lettera di
Vitellio ad Antonio. Pure non si può non sorridere leggendo in Tacito che
Musonio coeptabat permixtus manipulis, bona pacis ac belli discrimina
disserens, armatos monere. Id plerisque
ludibrio, pluribus taedio: nec deerant qui propellerent propulsarent-que, ni
admonitu modestissimi cuiusque et aliis minitantibus omisisset intempestivam
sapientiam. Ci
si sente Tacito ammiratore del vecchio Agricola, anche in quelle considerazioni
che l'aveva sentito più volte a fare circa il suo amore per la filosofia -
ultra quam con-cessum Romano ac senatori; anche nell'avere conservato soltanto
ex sapientia modum: e pare che goda a metterci innanzi lo spettacolo comico e
pietoso della fatuità d'un filosofo fanatico. Ma sotto i colori aggiunti da Tacito
si scorge chiaramente un quadro, che è eloquente testimonianza
dell'atteggiamento morale e sociale di questo stoi-cismo: nei seguaci del quale
vedi l'anima piena di fede, ardente degli apostoli. In Musonio non c'è l'uomo
speculativo inesperto della vita, ma un'anima infiammata da profonde idealità,
non comprese dai molti. Un'anima compagna a quella dei martiri coetanei della
religione novella. Sotto la pretura d'un altro illustre stoico, Elvidio Prisco,
dopo il trionfo di Vespasiano, M. si riaffaccia nella storia di Roma. E questa
volta con un atto, che gl’attira l'ossequio di tutti gl’onesti. Era costume del
tempo, come sotto l'imperatori violenti, di darsi al mestiere di accusatore,
cosi sotto l'imperatori miti di dare addosso agli accusatori che più avevano
spadroneggiato. Chi non ricorda il commovente processo di Barea Sorano, che
occupa gli ultimi capitoli degli Annali di Tacito? In quell'imperversare contro
tutti i virtuosi che Nerone vedesse in Roma, mentre Marcello Eprio assale
Trasea Peto, Ostorio Sabino citava Barea Sorano a scolparsi dell'amicizia, che
nel suo proconsolato in Asia aveva mantenuta con Rubellio Plauto e delle
speranze sovversive sparse in quella provincial. E ne trascinava in Senato
anche la giovane figliuola Servilia, che, mossa dall'angustia del suo cuore
filiale, s'era indotta a consultare gli astrologi sulla sorte del padre
(delitto anche questo agli occhi di Cesare, che ci vedeva sotto trame e
propositi ribelli di novità). Invano il padre proclamava l'assoluta innocenza
della sua Servilia: e accorreva verso di lei per abbracciarla, ma i littori
frappostisi glielo impedivano.Venuta la volta de' testimoni, fra essi si fece a
deporre contro il padre, suo discepolo, e la figlia, che a lui s'era rivolta
per il responso desiderato sulla sorte del padre, quel malvagio stoicastro di
Publio Egnazio Celere, vecchio antenato di Tartufo, e che già conosciamo. Quantum
mise-ricordiae, dice Tacito, saevitia accusationis permoverat, tantum irae P.
Egnatius testis concivit. Ma Sorano e Servilia dovettero morire; e Tartufo ebbe
il solito compenso dei delatori: denari ed onori — benché Tacito un po'
ingenuamente conchiuda che « dedit exemplum praecavendi quo modo fraudibus
involutos aut flagitiis commaculatos, sie specie bonarum artium falsos et
amicitiae fallaces ». Dopo d'allora i professori di filosofia avrebbero dovuto
diventar tutti fior di galantuomini; il che veramente non pare.Ma tra gli
Egnazii per fortuna c'è sempre un Musonio. E Musonio, anni dopo il turpe fatto,
ri-staurato con la vittoria di Vespasiano il regno della giustizia, sorse a
vendicare la morte del compagno Sorano. Simile al suo sciagurato Rubellio oltre
che nella misera fine, nel desiderio di avere presso di sè un filosofo, che gli
facesse da mentore, quasi dottrina vivente. Musonio adunque assali Publio Egnazio
Celere, accusandolo di falso testimonio contro Sorano. Mentre Elvidio Prisco si
apprestava a fare altrettanto contro Eprio Marcello, accusatore di Trasea. Nota
Tacito, che con l'accusa di Musonio pareva si rinfocolassero I vecchi odii
delle delazioni. Ma che nessuno tuttavia poteva far nulla che giovasse a
salvare un accusato cosi vile e cosi apertamente reo: quippe Sorani sancta memoria; Celer professus
sapientiam, dein testis in Baream, proditor corruptorque amicitiae, cuius se
magistrum ferebat. Quel giorno però in cui fu presentata l'accusa, si stabili
che se ne trattasse il di seguente: e l'aspettativa era grande. Ma, entrato poi
Muciano in Roma e tradottosi ogni potere in mano sua, si disviò e rinviò anche
il processo di Egnazio, e non fu ripreso che al principio dell'anno seguente un
giorno che presiedeva il senato il figlio dell'imperatore, Domiziano.Egnazio fu
condannato all'esilio, e Sorano vendicato. Sorani manibus satisfactum, dice
Tacito, con onore di Musonio, il quale parve a tutti che fosse venuto a capo di
un'opera di giustizia. Vi fu chi ambitiosius quam honestius tentò la difesa
della spia: ipsi Publio neque animus in periculis neque oratio subpeditavit. Questa
condanna fu un trionfo dello stoicismo, e poté sembrare per un momento che
un'aura più propizia incominciasse per i suoi seguaci, grazie al governo mite
di Vespasiano. Ma poco dopo, sappiamo da Dione che essi furono da questo
imperatore per consiglio di Muciano cacciati tutti da Roma. Tutti, ad eccezione
di M., risparmiato forse per l'amicizia personale che lo stringeva, secondo
Temistio, a Tito. Si vede le ragioni di questo bando generale dei filosofi a
cui Muciano, secondo Dione, avrebbe indotto Vespasiano (che pur tanto favori la
cultura) sitofino alla morte, che non si può dire quando sia avvenuta. Ma pare
che fosse morto da un pezzo quando Plinio il giovane scrive al padre
raccomandandogli l'amico suo e genero di Musonio, Artemidoro, e ricorda
l'affetto misto di ammirazione che egli quantum licitum est per actatem, aveva
portato al filosofo etrusco. PLINIO, Epist. Lo ZELLER dice soltanto verosimile
che il Gaio M. di q. 1. sia il noto filosofo stoico. Ma il contesto della
lettera a me non pare che lasci alcun dubbio. Sur A, s.v.(3) TAcioo lo dice “Tusci
generis”; Ab excessu; e TUpprvóv FILOSTRATO,Vita Apoll. Ma SuIDA precisa anche
la città, confermata da un'iscrizione relativa al poeta Rufio Festo Avieno
discendente di Musonio e anch'esso Volsiniense: Corpus inscript. latin., VI,
587. Cfr, anche Epigramm. Anth. lat. (Burm.). Infatti la frase di PLiNIo,
Epist. et M., socerum eius (sc. Artemidori), quantum licitum est per aetatem,
cum admiratione di-lexi deve far pensare che Musonio fosse innanzi negl’anni
quando Plinio era ancora giovane; che perciò intorno all'80 avesse una
cinquantina d'anni. Zeller pone l'anno di nascita di lui tra il 20 e il 80 d.
C.TAc., Hist., III, 81. (1) Ab excessu, XV, 71. Cfr. DIoNE-SIFILINO, LXII, 27.
SUIDA (s. v.) dice: 8iàNépwvos dvoupsitar (cioè è ucciso: ma questo è certo un
errore). Da un frammento d'una lettera di GIULIANO l'Apostata, riferito da
Suida, si ricaverebbe che quando Nerone bandi Musonio, questi occupa una
pubblica carica aTe-jé?eto Bapüv = murorum curator erat; ed. Bernardy). Ma non
è chiaro se il frammento di Giuliano si riferisca al nostro Musonio, o al Musonio
vissuto sotto Gioviano, a cui si riferisce l'art. seguente di Suida. Тас., Аб
ехсеззи, XIV, 59. Ma forse è una stessa persona con lo scrittore di questo nome
ricordato da PliNio tra le fonti della Nat. Hist. A torto l'HALM (nell'Index
historicus, s. v. Coeranus nella sua ediz. di Tacito) sospetta che sia da
sostituire Cornutus nel detto luogo Ab exc.; perchè la lezione è sicura; e
d'altra parte Cornuto in quel tempo era in Roma. Su Cornuto, maestro di Persio
e Lucano, v. per ora MARTINI, De L. Ann. Cornuto, Lugd., Bat.;ZELLER;
TEUFFEL-SCHWARE, Roem, Litter.-Gesch.; e PAULY-WIssOwA, Real-Encyclopidie s. v.
Il Lipsio al cit. loc. di Tacito sospetta che il Coeranus dovesse con lieve
mutazione di lezione identificarsi con quel Claranus, condiscepolo di Seneca,
di cui questi parla nell'epist. 66. Ed invero la probabile data di questa
lettera (Hu-GENFELD) e il dirsi in essa
che Seneca aveva riveduto cotesto Clarano post multos annos combinano con
l'anno 63, nel quale ei si sarebbe trovato con Rubellio in Asia. Ma nè anche di
Clarano s'avrebbe altra notizia. Ab exc. A questo tempo si può riferire la
notizia di EPITETo (Diss.) di un rimprovero dato a Trasea Peto, che avrebbe
detto voler egli morire la vigilia di quel giorno, in cui gli sarebbe toccato
di lasciar Roma.TU ODU aUTÕ POSSOS SiTEV; El uéy d5 PapÚTEpOr ¿xTErA, TIS i
Mapia tÃsextorisi si d'ós xoupótepor, tis ool déduxev; aù d618i6 pelerãy
apxsiolesTỘ Siouévo. Quando Musonio tornò, Trasea e morto. Quanta incertezza ci
sia intorno all'autore dei frammenti musoniani di Stobeo, comunemente
attribuiti a quel CLAUDIo PoLLIoNE, che secondo SUIDA (Moudúvos) avrebbe scritto
appunto degli anourquoveú para Mouraviou vedidi thy puyny pains au Epaxévos pE
X.T.?, STon.Cir. WENDLAND, JULIANI epist. in Rhein. Mus., XIII, 24, Froste.,
Vita Apoll., VII, 16.Tutti gli altri luoghi di Filostrato in cui si nomina un
Musonio, si riferiscono a un altro Musonio, di Babilonia, cinico EPITETO (Diss.) dice: POÚpO TIS ElEYE,
l'álßa aparèvros,8t Noy Movoi o MóJHOE dOEia; "O 8à, Mi yap dyú ool tot',
egn, añò l'arßaнатвохейава, оть проова б хосноє діохвіто. Il concetto di Calba
accennato in questo passo M. non avrebbe potuto averlo se non a Roma, dopo
essere steto da lui richiamato ed averne sperimentato il governo assai mite
inconfronto del precedente. ZELLER cita anche (come il MoNasEN, Ind. plin.)
Tac., Hist. Ma questo luogo non proverebbe. È un evidente errore quello di Girolamo,
all'anno M. philisophum de exilio revocat/ Giacché nella cacciata Musonio fu
eccettuato, e rimase sempre in Roma sotto Vespasiano.Il CHRIST, Gesch. d.
griech. Litter., Nördlingen, dice che Musonio torna in Roma sotto Trajano! -Molto
probabilmente allora era morto. TAc., Hist., IV, Hist., III,
80,Tac., Hist. Miscuerat se legatis... ». Egli non era dunque propriamente
un legato.prodie tot, il vole di grinto rogu latativo. Bai minciava
sompre Era stato consul suffectus sotto Claudio nel 52; e apparteneva
forse alla famiglia Servilia (Ephem. Epigr.). Sua figlia infatti si chiamava
Servilia. Crimini dabatur amicitia Plauti et ambitio conciliandae provinciaead
spes novas. Tac. O 8è On MOÚTAOS Eri uE to duxopaurig nal xpipara Nai tudE EraßEpostquam
pecunia reclusa sunt. di Tac.. Barea Sorano dovette volgersi allo stoicismo
dopo il 52, perchè in quest'anno lo vediamo (TAc., Ab exc.) autore di quel
senatoconsulto (Pul-NIo, Ep., e SvEr., Claud.) in cui si decretavano le insegne
pretorie e 150 milioni di sesterzi a Pallante. Chi consideri il modo onde
Plinio parla di quel S. C., uno stoico non avrebbe commesso un tale atto;
mentre poi TAcITo, Ab excessu, dice che Cicerone volle distruggere la virtù
stessa, virtutem ipsam excindere concupivit, con l'uccidere Trasea e Sorano.(4).
Tum invectus est Musonius Rufus in P. Celerem, a quo
Baream Soranum falso testimonio circumventum arguebat. Tac., Hist. Il nome d'Egnazio, come
s'è visto più su, rimase tristamente celebre come sinonimo di delatore e
traditore vilissimo. Lo dimostrano le frequentiallusioni di Giovenale. Justum
officium [Nipperdey) explesse Musonius videbatur • Tac., Hist., IV, 40. Per la
condanna della spia cfr. DIONE-SirIL., e lo ScHoL. di Giovenale ad Sal., I, 33.
- TAcrro, l. c., continua: • Diversa [da quella di Musonio] fama de Demetrio
Cynicam sectam professo, quod manifestum reum ambitiosius quum honestius
defendisset Ma è da sospettare che Tacito abbia confuso il Demetrio cinico,
onorato da tutti gli stoici migliori del tempo (cfr. Ab exc.), col Demetrio
causidico, delatore di Nerone, ricordatodallo ScuoLIAsTE di Giovenale, ad Sat.,
Tac., 1. c. DIoNE-SIFIL., LXVI, 18.(5) Orat. XIII, 178.SvEr., Vesp. ingenia et
artes vel maxime fovit ..Epist., III, 11. Le lettere del lib. III di Plinio
devono essere state scritte tra il 101 o il 102, secondo il MouMsEN, Zur Gesch.
d. junger. Plinius, nell' Her. mes, III, 1869, p. 40 (v. lo stesso studio con
aggiunte nella Biblioth, de l'école des hautes étude, trad. par Morel, Paris,
Franck, Sulla vita di Musonio non v'è che la vecchia Dissertatio de M. R. di NIEUWLAND,
ristampata innanzi a C. M. R. Reliquiae et apophthegmata, cum ann. ed. F.
VENHUIZEN PEERLKAMP, Harlemi, e uno scritterello del REINACH, Sur un témoignage
de Suidas relatif à Mus. R., in Comples rendus de l'Acad. des inscriptions et
belles lettres. Rufo
(si veda). Tito Musonio Rufo. Gaio Musonio Rufo. Keywords: Etruria. Luigi
Speranza, “Grice e Musonio”, The Swimming-Pool Library. Musonio.
Luigi Speranza -- Grice e Mussolini: la ragione
conversazionale e la storia della filosofia di Lamanna – la scuola di Dovia di
Predapio -- filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Dovia di Predapio). Filosofo
italiano. Dovia di Predapio,
Forli-Cesena, Emilia-Romagna. QUADERNI DELL'ISTITUTO NAZIONALE FASCISTA
DI CULTURA. CARLINI, LA FILOSOFIA DI M. ISTITUTO NAZIONALE FASCISTA DI
CULTURA, ROMA, tipografia del Senato di Bardi Ci proponiamo di mettere in
rilievo, in rapidi cenni, un aspetto non ancora studiato della personalità
del nostro duce: il sua ‘filosofia,’ quale si può desumere da’ suoi atti.
In verità, i biografi di lui, indagando il periodo della formazione della
sua personalità, non hanno trascurato questo lato. Discepolo di Nietzsche
è definito anche recentemente. Egli stesso riconosce in Pareto un altro
suo maestro; e tutti [Il presente studio vuol essere soltanto un saggio,
anzi una semplice indicazione di un aspetto della personalità del duce:
aspetto implicante svariati e importanti problemi del pensiero fascista.
Per uno studio più ampio giover moltissimo la nuova, accurata, edizione
de’ suoi scritti a cui s’è accinto l’editore Hoepli. M. ricorda il
periodo della sua vita e della storia italiana da lui vissuta
vertiginosamente, e aggiunge. Molti discorsi e scritti sono legati al
movente che li provocò : sono di circostanza ». L’editore, anch’egli, dice che
l’edizione « conterrà tutto ciò ch’è destinato a lassare alla storia, nella
forma originaria più ampia: eliminati, quindi, i discorsi dei quali
esiste solamente il riassunto ». Ci sia permesso di esprimere l’augurio che
accanto a questa edizione fatta per il gran pubblico si trovi modo di
raccogliere anche gli scritti minori o frammentari, i quali sono
talvolta, per lo studioso, più preziosi di quelli maggiori e più elaborati:
oltre di che il desiderio della compiutezza non sarà mai soverchio per
conoscere un uomo di così ricca e singolare personalità. I riferimenti
vengon dati qui alle edizioni correnti degli Scritti e Discorsi, la maggior
parte nell’edizione Alpes. La prima -parte di questo studio (qui
riveduta e appena ampliata in alcune note) uscì su la « Nuova Antologìa »
del 1° gennai» 1934. Nuova è l’A ppendice.sanno che nell’elenco
bisognerebbe mettere Renan, Sorci, e molti altri, ai quali, anche se non
vanno tra i filosofi nel più stretto significato della parola, non si può
negare il merito di avere influito, più o meno efficacemente, anche
std movimento del pensiero speculativo nell’ultimo Ottocento o ai primi di
questo secolo: nel periodo, appunto, della formazione mentale e
spirituale di M.. E come non aggiungere qui il nome di Marx, e di
Prudhon, e di Stirner, e non ricordare la letteratura che fu comune,
in quel tempo, a tutti coloro che guidavano il movimento socialista
e s’ispiravano alle opere, allora divulgatissime, degli apostoli della
rivoluzione? Tempo, quello, di rivoluzioni sociali, alimentate anche da un
pensiero filosofico e religioso che lavorava nel loro seno nascostamente.
Positivismo e anticlericalismo tingevano, allora, l’atmosfera, abbuiando più
che chiarendo ; ma nel buio, nel tramonto delle idee che avevano
governato per tanti secoli la storia, balenavano qua e là lampi di nuove idee e
forze spirituali. Era una continuazione e imo sviluppo, in fine, della
rivoluzione francese: continuazione e sviluppo, ch’è nel fondo
ancora del pensiero e della vita contemporanea, non ostante le critiche e
revisioni a cui è stata sottoposta. Ma noi non di questo vogliamo
occuparci: se ci mettessimo in quest’ordine di ricerche storiche, potremmo, si,
avere la soddisfazione di veder sorgere e ingrandire la personalità e
mentalità di M. lungo una linea di coincidenza con il movimento della
storia, sì che il <( fenomeno )) di lui verrebbe illustrato e spiegato, dal
lato almeno delle idee, del tutto naturalmente. Si potrebbe, ad esempio,
per la parte filosofica, rifarsi al bergsonismo, al pragmatismo,
all’influsso esercitato su tutti i campi della cultura dal nuovo pensiero
idealistico italiano, e inquadrare li dentro anche il pensiero di M.. E per
la parte riguardante il problema religioso, similmente: citare
tutti i documenti che alla fine del secolo scorso e nel primo decennio di
questo accennavano già ad una considerazione più rispettosa, più
intelligente, dei valori spirituali contenuti nella fede religiosa; e ricordare
la rinascita improvvisa di sentimenti, che parevano sepolti e obliati, in
quel grandioso esame di coscienza dei popoli che fu la guerra
mondiale. E via via. Ma per questa via noi non vogliamo metterci,
perché essa ci condurrebbe, sì, a spiegare il « fenomeno M. », ma il ((
fenomeno », appunto, il (( fenomeno storico » : non quello che c’è di proprio
suo, nel suo pensiero, in sé e per sé, indipendentemente dagli influssi
subiti. Invece, noi proprio a questo vogliamo guardare. Noi ci poniamo,
dunque, questa domanda : c’è, in M., un germe di pensiero che da rm punto di
vista filosofico, anche nel più rigoroso significato del termine, abbia
qualche importanza per originalità e capacità di ulteriori sviluppi? E
c’è in lui, nel suo atteggiamento verso la questione religiosa, qualcosa di
nuovo, che accenni ad una possibilità di rinnovamento di idee e
sentimenti, anche in questo campo di secolari, anzi millenarie, lotte e
discussioni? ^ >{s >{s La nostra intenzione è di
essere, per quanto è possibile, obiettivi, e di tenerci dentro
all’argomento, non sconfinando in altri campi : di trattare la questione, come
si dice, tecnicamente. Non eviteremo neppure la pedanteria delle
citazioni, dove saranno necessarie. E cominciamo, secondo la vecchia
buona norma scolastica, dal dubbio. Non può ben risolvere le questioni,
disse Aristotele, se non chi, prima, ha dubitato, veduto il prò e il
contro. Il dubbio a metodico », in questo senso, è, come si vede, ben più
antico di Cartesio. Il (( contro » è buono ognuno ad addurlo : Mussohni
è un politico, non è un teoretico, un elaboratore di concetti, un
costruttore di un sistema di idee da inserire in quella storia peculiare
dove si parla di Talete, di Platone e di Aristotele, (fi Cartesio, di
Kant e di Hegel. Senza un tal carattere teoretico, che fa della filosofia
una scienza, la quale, come ogni altra scienza, ha il suo vero
significato in una storia sua propria, nella storia della filosofia
stessa, senza un tal carattere e valore del pensiero, non si può
parlare di filosofia. Il temperamento M.ano è, anzi, all’antitesi di ogni
atteggiamento speculativo: tutto volto alla realtà concreta della vita,
della storia, dei fatti, per dirigerli e dominarli. Di metafisica, di
costruzioni astratte, di schemi e ideologie (a questo volgarmente vien
ridotto il lavoro del filosofo), nessuna traccia nel suo pensiero,
nessun appiglio nel suo temperamento. Egli ha detto una volta, sia pure
per buon umore, ma tradendo, in fondo, una sua convinzione, che « i
filosofi risolvono dieci problemi sulla carta, ma sono incapaci di risolverne
imo solo nella realtà della vita )). La filosofia gli sa di «
scuola », di dottrine e dottrinari, con relative cattedre e ristrettezze
mentali e d’animo. Onde ha sempre consigliato i giovani di (( rapidamente
assimilare », ma (( di espellere non meno rapidamente » la cultura
universitaria. L’intelligenza è buona cosa, ma deve essere adoperata ((
per fare la critica del socialismo, del liberalismo, della democrazia » :
per illuminare le menti, dal punto di vista fascista, su i problemi della
vita contemporanea. Se no, se l’intelligenza fosse impiegata a criticare ((
tutto ciò che di criticabile vi è in un movimento così complesso come il
movimento fascista, allora io vi dichiaro schiettamente che preferisco al
cattedratico impotente lo squadrista che agisce » {Discorso alVAugusteo,
21 giugno 1925). In conchiusione: il suo interesse è puramente
pratico; anche se stima e promuove la cultura, compresa in (juesta
la filosofia, anzi a cominciare da essa, lo scopo è sempre per le
conseguenze e ripercussioni politiche, non mai per il valore del pensiero
in sé e per sé. Similmente si deve dire per il problema religioso. M. è
un laico, un purissimo laico. Della religione comprende e sente il lato umano e
storico in generale: no» ha mai lasciato trapelare un interesse a
questioni dogmatiche, anzi s’e guardato accuratamente dall’entrarvi anche
quando l’occasione gli veniva offerta naturalmente. È vero che con lui il
nome di Dio risuonò, forse per la prima volta, solenne e ammonitore,
nella fredda e grigia aula del Parlamento. È vero che si deve a lui la
distruzione in Italia della Massoneria, e la Conciliazione col Vaticano.
Ma queste imprese non furono da lui eseguite, e di fatto giustificate,
con ragioni che non fossero essenzialmente politiche e sociali. E se pure si ha
da concedere qualche valore religioso alla invocazione di Dio, essa non va più
in là di una fede in un principio del tutto indeterminato, troppo
più vicino al vago principio di una fede di stile mazziniano, che a
quello ben definito, preciso e impegnativo, del Cristianesimo, anzi del
Cattohcismo. Senza dire che, anche per la parte, diciamo così, pratica,
nessun uomo sembra più alieno dall’atteggiamento ascetico e mistico
proprio delle anime veramente e profondamente religiose, che 0 si
ritirano dal mondo, 0 nel mondo vogliono vivere solo per onorare e amare
Dio. Qui « il seguace di Nietzsche )) si rivela senz’alcuna ombra di dubbio e
di possibili cavilli: la morale del Fascismo da lui fondato è tutta
un’esaltazione di principii fondamentalmente pagani, come già molti hanno
messo in rilievo. * * Tutte queste cose sono state dette, oppure
è facile dirle: queste, ed altre somiglianti. Se non che, proprio
perché sono facili a dire, e sono state dette facilmente, sorge in
ognuno spontaneo il sospetto della loro superficialità, e quindi, poiché
la superficialità è sempre falsa, della loro non verità. Il
discorso vale, in primo luogo, per quella concezione puramente teoretica
della filosofia, come di una scienza avulsa dalla vita: oggi anche ogni
mediocre studioso di filosofia sa che, se pur c’è mai stata una tale
aridità (non, certo, nei veri filosofi, nei maestri), tutta la
speculazione contemporanea è diretta contro di essa. Chi definisse
la filosofia come lo sforzo supremo d’impadronirsi delle ragioni della
vita, definirebbe quel ch’è il segreto del filosofo moderno, il tormento
profondo del suo pensiero e della sua vita stessa. Segreto e tormento,
del resto, che non è una prerogativa di colui che noi chiamiamo «
filosofo )) ; ma è prerogativa e gloria dell’umanità pensante, di
cui la storia della filosofia è soltanto la documentazione, ed i
singoli grandi filosofi sono soltanto gli esemplari più cospicui, F, sono
per questo, anche, i più grandi educatori del genere umano (1), È
negli scolari e passivi ripetitori che la filosofia, svuotata della vita che l’animò,
diventa sistema, dottrina, astrazione, metafisicheria: e contro di essa,
allora, ben vengano — che son salutari — i motteggi ed i sarcasmi. Alle
altre scienze si può perdonare se si astraggono dalla vita (coine,
se no, far della fisica e della matematica?): alla filosofia, no, E non
astrarsi dalla vita, non basta: ché, questo, è il lato soltanto negativo.
Bisogna viverci dentro, prima di filosofarci su {primum vivere), o,
piuttosto (ché il prima e il dopo son modi di dire volgare), bisogna vivere
e pensare insieme, con intensità di vita e insieme con profondità di
pensiero. (I) Nel discorso su la Conciliazione, alla Camera, M.,
parlando della riforma Gentile, disse : « Io credo che, più che la
filosofia, è interessante la storia della filosofia, e più ancora della storia
della filosofia, la vita dei filosofi :^il conoscere come hanno lottato,
come hanno sofferto, come si sono sacrificati per conquistare la loro
verità. Questo è altamente educativo per i giovani che si affacciano alla
vita dello spirito ». Ma la vita, si dirà, non è soltanto quella
politica, né al pensiero si offrono soltanto i problemi del
socialismo e del liberalismo. E noi risponderemo raccomandando di
non perdere il buon senso, e quindi di neanche supporre che l’abbia
perduto M.. Il quale deve essere persuaso più degli altri che fa la miglior
politica colui che non ne fa affatto: che bada a far l’ingegnere, se
ingegnere; il professore, se professore; il poeta, se poeta; il manovale,
se manovale: ciascuno, a far bene il suo dovere, nella famiglia e nella
società, nella sua arte o vocazione o mestiere per cui è nato. E sarebbe
grottesco fargli dire che tutti gli uomini di pensiero abbiano come unico
argomento da svolgere la critica del socialismo e del liberalismo, l’apoiogia del
Fascismo. Immaginate se la già enorme (e, naturalmente, mediocre per la
maggior parte) letteratura sul Fascismo dovesse accrescersi di quotidiane
monotone trattazioni in piccoli o grossi tomi, per opera di tutti coloro
che hanno qualche barlmne d’intelligenza e tengono una cattedra
all’Università o nel movimento della pubblica cultura! Non è questo,
certamente, il senso del discorso su accennato. È quest’altro, invece:
che nessun uomo di pensiero, che si senta italiano, può disinteressarsi
dei problemi che sta vivendo e agitando il Fascismo nel mondo; così come
nessuno scienziato, e sia pure un cultore del calcolo infinitesimale, può
disinteressarsi dei problemi che riguardano la vita e il valore
dell’uomo. Tanto meno, poi, il filosofo. Dal quale, tuttavia, non sarebbe
corretto di esigere che, per questa maggiore vicinanza ai problemi della vita
poUtica e morale, si trasformasse in scrittore, esclusivamente, di questioni
economiche e sociali. In Italia c’è un gruppo di giovani dalle menti
educate alla filosofia che fa questo, e lo fa bene. Ma, come
nell’universo materiale in ogni punto s’incentra la realtà del tutto,
tanto più questa considerazione vale per l’universo spirituale: i
problemi della filosofia hanno tutti un’intima connessione con la vita ed
una immancabile risonanza nell’azione, ma non tutti l’hamio in modo
manifesto ed immediato. Anzi, spesso, quanto meno un tal rapporto è
immediato ed evidente, tanto più è intimo e profondo. Il filosofo trova
soltanto alla fine, dopo un lungo giro di pensieri che sembrano i più
lontani dalle questioni della vita quotidiana, soltanto alla fine trova
una via soddisfacente alla soluzione di queste. Ne è prova ed esempio
anche la filosofia bergsoniana arrivata soltanto ora alla questione
sociale, morale e religiosa, dopo di essersi lungamente indugiata in problemi
che parevano del tutto alieni. I problemi della filosofia si
illuminano e ravvivano l’un l’altro, e nessuno ha luce e vita per sé.
Essi si debbono, come si dice con termine tecnico, mediare fra loro.
Prenderne uno, esclusivamente, separato dagli altri, è precludersi la via a
intenderlo veramente. Questa, forse, è anche la ragione della
insoddisfazione che ci resta delle molte teorie avanzate, pur da uomini
d’ingegno e di dottrina, su lo Stato fascista e su i problemi da esso
suscitati. La superiorità di M., invece, non soltanto come uomo politico,
ma anche come pensatore, è la consapevolezza della risonanza che hanno nello
Stato tutti i problemi della vita spirituale. Noi, ripetiamo, vogliamo
essere obiettivi, tecnici. Rimosse le volgari obbiezioni, concediamo senza
fatica che nella specificazione delle varie forme dell’attività
umana (non entriamo in discussione sul valore di queste distinzioni),
filosofo, propriamente, è colui che più degli altri persiste
nell’atteggiamento critico-teoretico del pensiero e della riflessione sui
problemi della vita e della storia umana. Noi, quindi, non abbiamo
nessuna diflicoltà a presentare la nostra tesi nei termini più modesti:
l’interesse predominante dello spirito M.ano è, senza dubbio,
pratico-politico; ma in lui è vivissima la consapevole esigenza anche del
valore del pensiero in sé e per sé, della considerazione della vita sub
specie aeternitatis, propria della filosofia e della religione (1). Ma
spingiamo la nostra tesi anche un po’ più in là: l’esperienza della vita
e del mondo storico, da lui vissuta con potente e originale personalità,
dà anche al suo pensiero una nota di originalità potente, della quale è
possibile uno sviluppo in sede puramente teoretica. Queste due parti della tesi
sono, tuttavia, da dimostrare. Per la prima, si potrebbe addurre
l’interesse confessato per la filosofia, per la storia della filosofia e
delle questioni religiose, sin dalla prima giovinezza, quando leggeva
La morale dei positivisti dell’Ardigò e la Storia della filosofia del
Fiorentino, e più tardi, quando scrisse per suo conto una storia della
filosofia, un libro su Giovanni Huss, un abbozzo su le origini del
Cristianesimo. Ma, poiché i documenti ci mancano quasi del tutto,
non giova insisterci. Le prove, invece, abbondano ne’ suoi scritti
più maturi. Quante volte ha ripetuto che il Fascismo <( non è soltanto
azione, è anche pensiero » ; e che, pur rinunciando a formule e schemi, il
Fascismo « pena la morte 0 , peggio, il suicidio, deve darsi un corpo di
dottrine », le quali (( non saranno, non devono essere delle
camicie di Nesso che vincolino per l’eternità, ma devono costituire una
norma orientatrice » ! E nella lettera a M. Bianchi, del 27 agosto 1921 (si noti,
nel periodo più intenso (1) Vedi nel discorso commemorativo del
Luzzatti (30 marzo 1927) l’accenno a «le verità eterne, senza di che la
lotta dell’uomo contro l’uomo, di tutti contro tutti, finirebbe nel caos
selvaggio e nel tramonto di ogni civiltà». Arnaldo scrisse: «Egli ha
saputo ricondursi alle grandi verità divine che resìstono all’urto dei
secoli». E Benito commenta: «Con queste parole, Arnaldo dimostrava di
conoscere le intime e tormentate battaglie e vicende del mio spirito »
{Vita di Arnaldo, pag. 57). deH’azione rivoluzionaria), augurava che
sorgesse presto una (( filosofia del fascismo », e aggiimgeva; «
Attrezzare il cervello di dottrine e di solidi convincimenti non
significa disarmare, ma irrobustire, rendere sempre più cosciente
l’azione. I soldati che si battono con cognizione di causa sono sempre i
migliori. Il Fascismo può e deve prendere a divisa il binomio mazziniano :
Pensiero e Azione ». L’anno seguente (« Gerarchia », n. 3) forse gli
sembrò che una tale filosofia ci fosse già nel movimento idealistico
italiano: « Questo processo politico è affiancato da un processo
filosofico: se è vero che la materia è rimasta per im secolo su gli
altari, oggi è lo spirito che ne prende il posto. Tutte le creazioni
dello spirito, a cominciare da quelle religiose, vengono al primo
piano... Quando si dice che Dio ritorna, s’intende affermare che i valori
dello spirito ritornano ». In pieno Parlamento, infatti, egli aveva
fatto una specie di clamorosa professione di idealismo: ((Voi socialisti siete
testimoni che io non sono mai stato positivista, mai, nemmeno quando era
nel vostro partito. Non solo per noi non esiste un dualismo fra materia e
spirito, ma noi abbiamo annullato questa antitesi nella sintesi dello
spirito. Lo spirito solo esiste, nient’altro esiste: né voi, né
quest’aula, né le cose e gli oggetti che passano nella cinematografia
fantastica dell’universo, il (juale esiste in (pianto io lo penso e solo
nel mio pensiero, non indipendentemente dal mio pensiero. È l’anima,
signori, che è ritornata » {Discorsi dal banco di deputato, pag. 118:
questo è del 1“ dicembre 1921). L’accenno al problema gnoseologico, alla
centralità del pensiero conoscitivo nel problema della realtà del
mondo, non è il punto che più interessa qui; l’adesione all’idealismo è
data sopratutto, io credo, per lo spiritualismo implicito in esso. Questo è un
punto che ancor oggi presenta le maggiori difficoltà. Ad alcuni
sembra (secondo chi scrive, giustamente) che il carattere gnoseologico
predominante nell’idealismo, mentre non arriva a dar ragione di quella ch,’è la
realtà oggetto dell’esperienza comune e delPindagine scientifica, nello
stesso tempo impoverisca e disperda in schemi logici (la dialettica)
rintimità della vita spirituale e il senso del mistero, del Trascendente,
in essa implicato. Di queste difficoltà M. non sembra inconsaper
vole, come dimostra il discorso tenuto il 31 ottobre 1926 al Congresso
degli scienziati. « Qualche volta mi sono posto dinanzi al fatto scienza,
per vedere la mia posizione personale, la posizione del mio spirito di fronte
a questo fatto: prima di tutto per definirlo. La mia definizione non dico
che sia quella esatta, e potete anche respingerla, se la trovate inesatta,
oppure insufficiente: credo che sia Pindagine e il controllo dei fenomeni
che cadono sotto la nostra sensibilità e sotto quella degli
strmnenti che noi possiamo adoperare... Dove può arrivare la
scienza? Molto in là. Il secolo diciannovesimo ha fatto fare un
balzo enorme alla scienza... Non c’è dubbio che la scienza tende al
massimo fine; non c’è dubbio che la scienza, dopo avere studiato il mondo
dei fenomeni, cerca affannosamente di spiegarne il perché. Il mio sommesso
avviso è questo: non ritengo che la scienza possa arrivare a
spiegare il perché, e quindi rimarrà sempre una zona di mistero, una
parete chiusa. Lo spirito umano deve scrivere su questa parete una sola parola:
Dio. Quindi, a mio avviso, non può esistere un conflitto fra scienza
e fede. Queste sono polemiche di venti o trent’anni fa. La
filosofia ha il suo campo, quello dello spirito. Vi è una zona riservata
alla meditazione dei supremi fini della vita. Quindi, la scienza parte
dall’esperienza, ma sbocca fatalmente nella filosofia e, a mio avviso, solo la
filosofia può illuminare la scienza » (1). (1) Il testo,
forse preso da nn resoconto stenografico, non deve essere stato riveduto;
ci siamo permessi qualche ritocco. Il problema è troppo grave e complesso
per discuterne qui, tanto più che, come s’è detto, res sub judice adhuc
est. Ma i termini di esso sono ben quelli posti da M.: il mondo della
conoscenza e della scienza è (juello dell’esperienza sensibile (così come
il mondo della vita sociale e politica è quello del sentimento e della
volontà); il problema dello spirito (nel quale, del resto, sboccano alla
fine tutti gli altri problemi) è il problema proprio della filosofia:
problema filosofico cb’è insieme un problema religioso. Si
comprende, quindi, il tono diverso del discorso tenuto il 26 maggio 1929
al Congresso dei filosofi: rivendicato il merito del Fascismo per i
valori dello spirito e della cultura; e riaffermata la sua convinzione su
l’importanza della filosofia cbe, se fatta in mezzo alla vita
contemporanea, (( serve ad animare gli orientamenti pratici dell’azione
quotidiana », riconosce cbe c’è un lamento generale, in Italia e fuori, perché
l’arte e la filosofia sembrano in un periodo di decadenza : « Siamo in im
periodo di transizione, siamo in un periodo nel quale, per
necessità contingenti, siamo affaticati da problemi di ordine empirico
materiale... D’altra parte, io penso che la grande fioritura dello spirito non
sia lontana: io credo che fra qualche tempo avremo una grande filosofia, ima
grande poesia, una grande arte. I materiali per questo si stanno elaborando
proprio mentre noi parliamo ». Quali sono questi materiali che si stanno
elaborando, e da cui dovrà sorgere una nuova grande filosofia,
secondo il pensiero e le speranze di Mussohni? Comincia di qui la
parte più difficoltosa del nostro argomento, perché, mancando accenni più
espliciti, dobbiamo servirci più d’induzioni che di dimostrazioni. Ci
soccorre, tuttavia, una tale abbondanza di documenti che permette di
arguire, con sufficiente approssimazione, quale sia la sua
intenzione. Anzitutto è chiaro che una parte almeno di quei materiali
deve essere costituita da quanto di meglio possono offrire i principali
indirizzi del pensiero filosofico contemporaneo. E però la mente corre, in
primo luogo, a quelle correnti dipensiero che anche in Italia ebbero
grande divulgazione al principio del secolo, e alle quali anche M., in
via diretta o indiretta, deve qualcosa per la formazione della sua
mentalità : vogliam dire il contingentismo, il bergsonismo e il pragmatismo.
Abbiamo citato dianzi la sua affermazione di non essere stato mai
positivista, ma, nello stesso tempo, abbiamo usato la maggior cautela per non
presentarlo, quindi, senz’altro, coirne un idealista. Questo binomio, o
dilemma che dir si voglia, vale meglio per la generazione,
cresciuta subito dopo, esclusivamente dentro l’atmosfera dell’idea-
Jismo italiano. M. s’è formato, in un primo tempo, dentro il clima
mentale europeo; e però non è stato mai positivista perché ha compreso
subito la vitalità e fecondità di cpiella critica del positivismo che veniva
eseguita, pm* dentro di esso, dagl’indirizzi di pensiero ora
ricordati. I risultati principali di quella critica ftuono questi:
la realtà del mondo, non più veduta negli schemi intellettualistici del
determinismo scientifico e del pesante grossolano positivismo, a sfondo
materialistico, ma ravvivata dal senso della novità e della creazione,
per cui il fenomeno si presenta sempre come qualcosa di singolare; il
primato dell’intuizione che meglio di tutte le analisi concettuali
coglie l’intimità delle cose e quella vita della coscienza in noi che,
sola, ci guida a intendere lo slancio vitale che pervade il mondo della
natura; il primato, quindi, anche dell’azione, come pensiero volitivo che
realizza in concreto il mondo inserendovi l’evento e il fatto talora
decisivo. Non è il luogo, questo, per mettere in rilievo (e d’altronde
appartiene alla cultura filosofica corrente) quanta "vivacità e
freschezza di idee fossero contenute in tale mo- Quaderni vimento
di pensiero, che contribuì come nessun altro mai nella storia delia
filosofia a dileguare dalle menti secolari abitudini scolastiche, a
render più agile e penetrante Tin- telligenza, a dar vita nuova alla
cultura, a far sentire la superiorità dell’azione su un pensiero
astrattamente speculativo. Ma neppure è il caso di indugiarci a mostrare
i difetti e le deficienze di quel movimento di pensiero che, pur
criticando il positivismo, restava preso nell’orbita dei suoi problemi e
del naturalismo in essi dominante. Il contingentismo ha avuto la sua migliore
applicazione nella nuova scienza fisica, che segna il tramonto della
vecchia concezione del determinismo materialistico. Ma fuori di H non
potè e non può andare: quando,- già nei fondatori, si provò a ricavare
qualche conseguenza d’ordine metafisico, di quelle « verità eterne )) che
reggono, non i fenomeni fisici, ma la vita deU’uomo, riuscì ben misera
cosa. Ma lo stesso si deve dire del bergsonismo, e molto più del
pragmatismo. Quell’intuizionismo conchiudeva in una svalutazione,
non solo della scienza, governata esclusivamente da motivi pratici, ma
della stessa vita cosciente, ridotta a un « fluire » evanescente, a cui
soltanto la mirabile arte dello scrittore prestava tesori di suggestioni.
E che dire di quel vuoto ed e ffim ero pragmatismo, a cui qualcuno
ancor oggi tenta di fare buon viso? L’azione per l’azione è come l’arte
per l’arte: una frivolezza. L’azione, svuotata del suo contenuto ideale e
del pensiero che la illumina e guida, diventa il principio di un
volgare e inconchiudente praticismo. Veniamo aU’idealismo
italiano. Qui siamo in un ambiente del tutto diverso, e in casa nostra, per
cui, non soltanto la grandezza della costruzione (che ha posto,
d’un tratto, l’Italia in prima linea nel movimento del pensiero
filosofico contemporaneo), ma anche carità di patria ci persuade a
utilizzare quanto più materiale si può. A noi sembra, infatti, che la
mentalità mussohniana abbia assor- l»ito, e fatto propria sostanza, ciò che ha
di più veramente originale e duraturo quest’idealismo: Vacuto senso
storico dei problemi e la concezione spirituale della vita ( 1).
Anche qui, anzi qui a maggior ragione, dobbiamo resistere alla tentazione di
allungare il nostro studio con citazioni di pensieri e di atteggiamenti M.ani,
che balzano alla memoria in folla. I suoi scritti e discorsi, e quegli
atteggiamenti rivelatori del suo orientamento mentale così nelle grandi
questioni internazionali come nel più modesto travaglio intorno ai dati della
statistica, sono ben vivi e presenti al pensiero e al cuore di ogni
italiano, anche se la riflessione comune inclini a trasvolare su i
particolari per coglierne e sentirne l’animazione del tutto. Piuttosto,
fermiamoei un momento per determinare i limiti entro i quali quei prineipii
dell’idealismo trovano un’eco nella mentalità M.ana. La questione
(ripetiamo ancora una volta) è oltremodo difficoltosa, perché si tratta
di cosa non ancora da lui dichiarata e definita: sì che si corre il
rischio di sembrare che si voglia sostituirsi a lui nell’interpretazione del
suo pensiero, ovvero (peggio che mai) sovrapporgli vedute nostre
personali. Noi faremo del nostro meglio per evitare entrambi gli
inconvenienti. Osiamo, dunque, fissare questi punti, a nostro
avviso, di fondamentale divergenza del pensiero M.ano da quello
idealistico. In primo luogo, la sua lontananza dalla concezione
idealistica in quanto questa è ispirata ad un assoluto storicismo che
erige metafisicamente la Storia al signifieato e valore dell’Assoluto.
Questa metafisica, che si risolve in un « panteismo storico », non è, ci
sembra. (1) Come espressione estrema della sua adesione
all’idealismo si debbono considerare le prime pagine dello scritto La dottrina
del Fascismo. nella convinzione di M.. Il quale, giustamente, per quanto
riponga tutta la dignità dell’uomo e della storia nel valore spirituale,
ha troppo preciso e sicuro il senso della finitezza deU’umano: del limite
che, mentre potenzia il pensiero e l’azione dell’uomo, ne delinea insieme
esattamente i confini. In altri termini, egli ha una concezione più
veramente storica della Storia. Ma, appunto per questo, egli si trova ad
ugual distanza da quella specie di « umanismo teologico « che in alcuni
idealisti è rimasto come residuo deU’hegelismo. È un idealismo, questo,
di carattere fondamentalmente razionalistico. In questo punto. M., se non
c’inganniamo, tradisce il carattere schiettamente cattolico della sua
mentalità: se un Dio ci ha da essere, se c’è, meglio che sia quello
religioso del Cristianesimo, del Cattolicismo. Qui si passa, quindi, ad
una considerazione apparentemente opposta alla precedente: l’idealismo è troppo
« umanistico )>: il suo razionalismo affievolisce e smorza nell’uomo
l’impulso aUa lotta e al sacrificio, l’anehto del futuro, il senso <(
pericoloso » della vita, l’audacia dell’iniziativa e il gusto dell’eroico.
Nell’uno come nell’altro caso l’uomo è agito dalla Storia, dallo
Spirito Universale, da una « dialettica » che per (( deificarlo ))
istrada ogni sua azione e pensiero lungo una legge impersonale che ha la
rigidezza del fato (1), e lo spersonalizza. All’i mm anentismo, storico o
razionalistico, manca una parola magica: la fede. Se la usa, ne storpia
il significato. (1) «La storia non è un itinerario obbligato: la
storia è tutta contrasti, è tutta vicende » (Discorsi della rivoluzione,
pag. 75). Proprio per questo, poi, essa non può esser lasciata in balìa
di se stessa, secondo che vorrebbe la crociana «religione della libertà».
Di qui la necessità dello Stato, e degli Stati. Pronunziare questa
parola, tuttavia, è presentare il problema più arduo e assillante per l’attuale
coscienza contemporanea. M. lo sente, lo dichiara. Ci è venuto, a questo
problema, lentamente: « Nella gioventù io non credevo affatto: avevo
inutilmente invocato il nome di Dio » (Ludwig, Colloqui, pag. 224). Nel
1922, invece, già afferma: « Se il Fascismo non fosse una fede, come
darebbe lo stoicismo e il coraggio ai suoi gregari? Solo una fede che ha
raggiunto le altitudini religiose, può suggerire le parole uscite dalle
labbra ormai esangui di Federico Florio». («Popolo d’Italia», 19 gennaio).
«Non si può compiere nulla di grande se non si è in stato di amorosa
passione, in stato di misticismo religioso » [Discorso alla Scissa
di Milano, 5 ottobre 1922). Fede dell’uomo in se stesso? E fede
del fascista nell’idea stessa del Fascismo? Certamente, anche questo. «
Può » — gli domanda Ludwig (pag. 224 di Colloqui) — « un discepo'lo di
Machiavelli e di Nietzsche aver fede? ». M. gli risponde: «In se stesso:
ciò sarebbe già qualcosa». E in «Gerarchia» [Viatico per il 1926):
«Il Fascismo vince e vincerà finché conserverà quest’anima
ferocemente unitaria e questa sua religiosa obbedienza, questa sua
ascetica disciplina. Fede, dimque, non relativa, ma assoluta ». Ma
l’assolutezza di questa fede nell’Idea esclude la fede propriamente
religiosa, in Dio, o, piuttosto, la presuppone? La fede in se stesso, che
direbbesi meglio « fiducia », se non ha da essere mero calcolo delle proprie
forze, non potrebbe essere alimentata da una forza superiore, ossia da una fede
schiettamente religiosa? Al filosofo idealista questo sembra un problema
insolubile: o si ha fede nelle proprie forze, egli dice, e si può
procedere all’azione ; ovvero «nelle proprie forze non si ha fede, e
allora nasce la sfiducia e l’inattività. Il dilemma, come sono tutti i
ragionamenti fatti a fil di logica, è troppo semplice: lo spirito umano è
molto più sottile e complicato di ogni dialettica e di ogni logica astratta.
Vediamo se dal pensiero di M. possiamo ricavare qpialche luce.
Qualche volta egli ha accennato a un processo interiore come a fonte
comune così della politica come dell’arte. Alla prima mostra del Novecento
italiano (15 febbraio 1926) disse: «Ieri sera, dopo avere attentamente
esaminata la Mostra, alcuni interrogativi hanno inquietato il mio spirito. Ve
li accenno brevemente perché voi ne facciate oggetto di meditazioni
necessarie. Primo, quale rapporto intercede tra la politica e l’arte?
Quale tra il politico e l’artista? È possibile di stabilire una
gerarchia fra queste due manifestazioni dello spirito umano? Che la
politica sia un’arte, non v’è dubbio. Non è, certo, una scienza. Nemmeno
mero empirismo. È, quindi, un’arte. Anche perché nella politica c’è molto
intuito. La creazione politica, come quella artistica, è una elaborazione
lenta e una divinazione subitanea. A un certo momento l’artista
crea coll’ispirazione, il politico con la decisione. Entrambi lavorano
con la materia e con lo spirito. Entrambi inseguono un ideale che li pungola e
li trascende » ( 1). Egli prosegue domandandosi se la guerra e il
Fascismo abbiano lasciato tracce nell’arte : (( Il volgare direbbe
di no perché, salvo il quadro A noi, non c’è nulla che ricordi e — ohimè!
— fotografi gH avvenimenti trascorsi o riproduca le scene delle quali
fummo in varia misura spettatori o protagonisti. Eppure il segno degli
eventi c’è. Basta saperlo trovare. Questa pittura, questa scultura,
diversifica da quella immediatamente precedente in Italia. (1^
Sembra in contraddizione, ma non Io è, la dichiarazione: «Fra tutte le
professioni la più affine al mio spirito è quella dell’ingegnere »
(Saluto agli elettrotecnici, 25 settembre 1926). Ha un suo
inconfondibile sigillo. Si vede che è il risultato di una severa disciplina
interiore» (1). Questa « disciplina interiore » è, dunque, un
punto di coincidenza della pobtica e dell’arte, e risulta da «
un’elaborazione lenta e una divinazione subitanea ». La politica, l’azione,
non è (( mero empirismo ». Parlando del Luzzatti, disse : (( Egli aveva
navigato per tutti i mari e negli oceani dello scibile umano, senza
cadere nelle secche dello scetticismo e della negazione, perché egli
credeva fermamente, e la fede è una sicura bussola per ogni viaggio
ideale ». Di quale fede si parla qui? Di una fede, non v’ha dub
bio, schiettamente religiosa. Nella Vita di Arnaldo si dice; <( Il
giornalista diventa scrittore quando si interiorizza, quando comincia a
vedere le cose non più sotto l’aspetto cinematico della contingenza, ma
in quello della trascendenza; quando piega il capo per riflettere su i
problemi originari; quando, come nel caso di Arnaldo, portato da un
atroce dolore sulla cima, si sente come liberato dagl’impacci che lo legavano
alla pianura e respira oramai nell’atmosfera delle cose infinite ed eterne. Il
giornalismo del quotidiano finisce e comincia la poesia. Poesia
dell’amore e della morte; della speranza e della rassegnazione; della vita
terrena e del di là seducente e consolatore » (pag. 61). La precedente
(( discipbna interiore » consiste, dunque, in questo (( liberarsi » da ogni
esteriorità, vivere <( nell’atmosfera delle cose infinite ed eterne »,
cercarsi (1) Coloro che ancor oggi seguitano a invocare un’«arte
fascista», hanno meditato abbastanza queste parole? Il discorso termina
con una considerazione su l’arte che non ha nulla da invidiare, per finezza e
senso d’interiorità, alle Estetiche oggi più celebrate; «Io guardo e dico:
questo marmo, questo quadro mi piace. Perché mi allieta gli occhi, perché
mi dà il senso dell’armonia, perché quella creazione vive ed io mi sento
vivo in lei, attraverso il brivido che dà la comunione e la conquista
della bellezza ». alla radice del proprio essere sino al
punto in cui all’a a- spetto cinematico della contingenza » subentra ((
quello della trascendenza » (1). Lì la poesia s’incontra con la
Religione. L’immagine più divulgata di M., anche all’estero, è
quella di una potente e fiera e intransigente volontà: egli è un «
dominatore ». Chi non ricorda il motto : « agli amici, tutto il bene, ai
nemici tutto il male possibile » ? (2). I Colloqui del Ludwig hanno ancor
più divulgato il senso suo della « solitudine interiore » (3), e il suo
acuto pessimismo intorno agli uomini fatto di compassione e di disprezzo
(4). (1) Trascendenza, ch’è anche (s’intende!) immanente, come
senso morale e religioso, aU’uomo. In questo significato si parla
^immanenza nel discorso su La Riforma legislativa (12 maggio 1928, al
Senato): «E vengo allo Statuto. Bisogna intenderci, onorevoli senatori... Siamo
sul terreno dell’archeologia o della politica? 0, se volete, siamo sul terreno
dell’immanenza o su quello della contingenza? Si è mai pensato che una
costituzione od uno statuto possano essere eterni e non invece temporanei?
Immobili e non invece mntevoli?... Di immanente, onorevoli senatori, di
eterno, non vi sono che le leggi religiose. Il decalogo, ad esempio, è
immanente: dieci articoli che vanno bene per tutti ì popoli, per tutte le
altitudini, longitudini e latitudini ». (2) Il Bescson, nella sua opera
recente, Les deux soiirces de la morale et de la religion, dice: «Nous
n’irons pas jusqu’à dire qu’nn des attributs du chef endormi au fond de
nous soit la férocité. Mais il est certain que la nature, massacreuse des
individus en méme temps que génératrice des espèces, a dù vouloir le chef
impitoyable si elle a prévu des chefs. L’histoire
tout entière en témoigne » (pag. 301). Cosi egli ha, in certo modo,
spiegato e inquadrato il principio nietzschiano della « volontà di
potenza », facendone un principio della vita politica. Cfr. M. in Colloqui: a
La tendenza all’imperialismo è ima delle forze elementari della natura
umana, appunto come la volontà di potenza » (pag. 63). (3) (( Io
non posso avere amici, io non ne ho ». Ludwig gli chiede quando egli si
sentì più solo: da giovane, fra i suoi compagni di partito, ovvero oggi
ch’è il Duce del Fascismo? «Oggi, disse egli senza esitare. Ma anche
prima: in fondo, fui sempre solo » (pag. 217). (4) Vedi specialmente il
Preludio al Machiavelli (in «Gerarchia», maggio 1924). Ma, di disprezzo,
soltanto, egli dice (Colloqui, pag. 219), l’nn per cento. Questo è
l’uomo e il mondo guardato da un lato. Ma M. ne eonosce anche un altro :
eccolo. « Egli (Arnaldo) fu un buono-, il che non significa debole,
poiché la bontà può benissimo conciliarsi con la più grande forza
d’animo, col più ferreo compimento del proprio dovere. Essa è il risultato
di una visione del mondo, nella quale gli elementi ottimistici superano i
pessimistici, poiché la bontà non può essere scettica, ma deve essere
credente. Rimanere buoni tutta la vita: questo dà la misura della
vera grandezza di un’anima! Rimanere buoni, malgrado tutto. Il buono non
si domanda mai se valga la pena: egli pensa che vale sempre la pena.
Soccorrere un disgraziato, anche se immeritevole; asciugare una lacrima,
anche se impura; dare un sollievo aUa miseria, una speranza alla
tristezza, una consolazione alla morte: tutto ciò significa non
considerarsi estranei aU’umanità, ma partecipi — carne e ossa — di essa :
significa tessere la trama della simpatia, con fili invisibili, ma potenti, i
quali legano gli spiriti e li rendono migliori » {Vita di A., pag. 111-112).
Siamo, dunque, passati d’tm tratto, da Nietzsche a Tol- stoi?
L’apparenza può essere questa, la realtà è tutt’altra. Il principio
nietzschiano s’è venuto trasformando nell’animo e nella mente di M. in un
principio d’interiorità spirituale, che liberando l’uomo da ogni
interesse mondano lo innalza per questo stesso sul mondo e gli dà
la forza di dominarlo; ma, nello stesso tempo, raccogliendolo nella solitudine
di se stesso, gli fa scoprire la sorgente eterna d’ogni valore
spirituale, la quale è, in fine, anche, la fonte segreta della sua forza
e azione nel mondo (1). Ciò ch’è grande nell’uomo, diceva
Zarathustra, è Tesser egli un ponte, non già una mèta. Questa nota «
superumanistica )), come superamento del (( mero umanismo », (1)
Cfr., 611 questo punto, Appéndice, II. è ben rimasta in M.. Così come lo
spirito di spregiudicatezza mentale, Tantifilisteismo, rantidemocratismo,
l’avversione alla « vita comoda » e l’istinto « guerriero > 1 . Ma
egli non può più essere persuaso di quel baccanale dell’Io in cui si
risolve l’anticristianesimo del Superuomo e il suo disprezzo per ogni
tradizione morale e religiosa dell’umanità (1). Il Titanismo, ancbe senza
i fulmini più di nessun Giove, si abbatte e distrugge da se stesso. Per
lo spirito eroico non basta la coscienza di possedere in sé il principio
creatore della realtà: ci vuole ancbe la coscienza di un principio superiore
che dia valore permanente alla sua azione. Quel dilemma, dunque, posto
dal filosofo idealista è falso. Il che non fa meraviglia. Può la
filosofia, ossia il pensiero critico, esaurire le ragioni della vita e
della fede? Se tale esaurimento riuscisse alla filosofia e alla
riflessione, scomparirebbe, sì, la fede, ma con essa scomparirebbe anche la
vita. È misticismo, questo? Si, è misticismo. Fa paura la parola?
Fa paura al filosofo illuminista, non ha fatto paura ad un filosofo come
Bergson. C’è misticismo e misticismo, del resto: anzi, innumerevoli misticismi
C’è quello buddistico e c’è quello del Nietzsche (ch’è, anch’esso,
un misticismo, per quanto opposto all’altro). C’è un misticismo pagano e
un misticismo cristiano: il Bergson ha trovato in questo secondo la fonte
autentica della moralità e della religiosità. C’è un misticismo protestante e
c’è un misticismo cattolico: questo secondo è il meno mistico di tutti.
Coinè la pensa M. in questo punto? Lasciamo a lui la parola.
(( Egli (Arnaldo) era im credente, ma non — com’egli disse
nell’ultima conferenza alla Scuola di Mistica fascista — credente in un Dio
generico che si chiama talvolta per sminuirlo Infinito, Cosmo, Essenza; ma
in Dio nostro Signore, Creatore del Cielo e della Terra, e nel suo
Figliuolo che un giorno premierà nei regni ultraterreni le nostre poche
virtù, e perdonerà, speriamo, i molti difetti legati alle vicende della nostra
vita terrena » {Vita di A., pag. 114). Questa, la fede di Arnaldo.
Quella di Benito segue poco dopo : (( Tutto quello che fu fatto non potrà
essere cancellato, mentre il mio spirito, oramai liberato dalla materia,
vivrà, dopo la piccola vita terrena, la vita immortale e universale di
Dio. Noi non abbiamo nessun interesse (e neanche competenza) a entrare qui in
questioni teologiche. Ci basta di aver dimostrato il nostro assunto: che
il problema filo- (1) Nei Colloqui del Ludwig, dopo di aver
accennato alla possibilità di «una soprannaturale apparizione», aggiunge:
«Negli ultimi anni si è in me rinsaldata la fede che vi possa essere una
forza divina nell’universo. — Urìstiana? —• Divina, ripete egli con un
movimento della mano, che lasciò la mia domanda in aria. Gli uomini
possono pregare Dio in molti modi: si deve lasciare assolutamente a
ciascuno il proprio modo » (pag. 225). Quella « forza divina
nell’universo » non è in arnionia col principio d’interiorità puramente
spirituale da noi precedentemente posto. L’oscillazione spiega anche la
sua ammirazione, su tutti i Dialoghi di Platone, per il « sublime »
Fedone, la cui prova dell’immortalità dell’anima — dopo di averne esposto
acutamente i punti centrali — reputò «incatenante, consolatrice, perfetta... di
un’evidenza assoluta » (vedi Nota su l’immortalità del- Panìma, in
«Gerarchia», 1927). Così anche l’antitesi cristiana-divina potrebbe far
supporre un’incertezza che, certamente, non è nel pensiero di M.. 11
quale s’è espresso altrove diversamente. Parlando Per il settimo annuale della
fondazione dei Fasci (28 marzo 1926), disse: «Il sacerdote di quella religione
che è dei nostri padri e nella quale crediamo, ha consacrato
sessantasette gagliardetti dei vostri gruppi». Negli stessi Colloqui del
Ludwig, ritornando su un argomento discusso già in Senato nel discorso
per la Conciliazione, è ribadita, sì, la sua opinione che, « se il
cristianesimo non fosse giunto nella Roma imperiale sarebbe rimasto una setta
sofico e quello religioso sono tra i problemi più vivi nel
pensiero e ueU’animo di M.. E crediamo di aver raggiunta una sufficiente prova
sia della prima e sia della seconda parte della nostra tesi. Ma,
forse, la prova per la prima parte sembrerà raggiunta meglio che per la
seconda. Quali germi di pensiero nuovo e originale — si domanderà —, e
fecondo di possibili sviluppi, sono contenuti in questo — diciam pure
così — spiritualismo fascista? La risposta non può esser dubbia: lo
spiritualismo M.ano è orientato verso un principio di pura interiorità,
in cui trovano la loro coincidenza i problemi insieme della filosofia e della
religione, dell’arte e della vita sociale-politica, della scienza e della
storia lunana (1). Arrivati a questo punto, ognuno concederà che, a rigor
di termini, avremmo il diritto di fermarci. Il diritto, e ebraica
» ; ma, egli dice, « si deve aggiungere che tutto era preparato dalla
Provvidenza. Prima l’impero, poi la nascita di Gesù, e finalmente Paolo
apinodato a Malta e giunto qui. Sì, certo, così era predestinato da una
Provvidenza che dirige tutto » (pag. 176). Forse più caratteristica di
tutte è la dichiarazione seguente: «Il cupi» dissolvi non appartiene alla
religiosità dei ruraR italiani. Il contadino italiano non si angustia troppo,
per sapere se l’inferno c’è o non c’è. EgU si mette in regola per il caso
che ci sia, e basta» [Tempi della rivoluzione fascista, pag. 79). D cupio
dissolvi non è, certamente, del misticismo M.ano : ed è del tutto giusto che
tale « religiosità dei rurali è perfettamente italiana ». La Sarfatti
l’ha giudicato bene: «Austero e rude, malgrado i suoi sporadici tentativi di
rivolta, è in fondo un cattolico asceta-guerriero » [Dux, pag. 105).
(1) Qui non si deve costruire: si dovevano soltanto indicare «i
mate- riaU » e « il punto di vista » che, presumibilmente, nel pensiero
di Musso- Rni, potranno servire alla filosofia da lui auspicata. Chi
desiderasse una prova ulteriore della origiuaRtà e fecondità deRo
spiritnaRsmo mnssoR- niano, potrebbe confrontarlo, ad esempio, con queRo
deU’ultimo Bergson, il forse anche il dovere: ché, quando il filosofo si
avventura in campi estranei alla sua scienza, corre sempre il
rischio di sbandarsi. È, bensì, vero che la filosofia pervade tutta
la vita, tutti i campi della realtà; ma, cosi considerando le cose, il
filosofo si trova riportato al livello di ogni uomo, e non sempre,
allora, egli può competere con gli altri per ampiezza e ricchezza di vita
e di esperienza. Ma lasciamo andare la questione dei diritti e dei
doveri. Sta di fatto che questo saggio, per quanto voglia esser modesto,
non può terminare qui: non si può trattare del pensiero di M. senza
almeno un cenno al suo capolavoro. Il capolavoro di M. è lo Stato
fascista, il quale è, bensì, un’opera di creazione politica, ma è
tutto permeato di pensiero e di convincimenti, che rivelano, a chi ben
consideri, quello stesso atteggiamento filosofico e religioso che noi abbiamo
cercato di ricostruire dianzi sulla base de’ suoi scritti e delle sue
dichiarazioni. Noi abbiamo non solo il diritto, ma anche il dovere
di aggiungere, si potrebbe dire, la prova sperimentale della tesi
esposta precedentemente. In corrispondenza con tale tesi, dunque, noi
dovremmo far vedere, in primo luogo, che non può comprendere lo
Stato fascista chi si pone da un punto di vista filosofico e religioso
diverso da quello del suo creatore; e in secondo luogo, passando al lato
positivo, che in tale creazione politica agiscono quegli stessi motivi
originali di interiorità e senso della trascendenza che noi abbiamo
indicati prima come posizione peculiare del suo atteggiamento
mentale quale, anch’esso, fa leva sugli stessi principi
fondamentali dell’interiorità e della trascendenza. Ma, mentre nel
filosofo francese tale interiorità oscilla fra biologismo e psicologismo,
essa si pone nell’italiano, passato attraverso l’idealismo, con la
possibilità (non vogliamo dir di più) di una determinazione più pura. E similmente
si dica per il Dio bergsoniano. Le differenze si riflettono, poi, anche
nella diversità di concepire la funzione dello Stato, tanto dal lato
sociale, quanto da quello della storia in generale. e
spirituale in rispetto a tutti i problemi della realtà e della vita.
Come premessa comune a entrambi i lati del problema cbe qui si
presenta, bisogna far attenzione a questo fatto: die noi ora passiamo a
considerare !’(( uomo » non più nella sua intimità e interiorità, in
quella solitudine in cui soltanto Dio gli fa compagnia; ma nella vita
sociale e politica, dove la sua vita è condizionata dalla vita comune e
dal mondo storicamente determinato in cui egli si trova a inserire la sua
azione di ogni giorno. La sua intimità e interiorità egli la deve vivere
in questo mondo; la sua personalità egli la deve costruire come
individualità cbe ha un significato e xm valore essenzialmente sociale;
egli ha qui per giudice, non più Dio direttamente, ma il mondo
della storia e della civiltà umana. L’uomo del senso comune, ch’è spesso
anche l’nomo del buon senso, può trovare motivo di diffidare, anzi di
sorridere, di ogni spiritualismo che non tenga conto di una tale
condizionalità : che parli di nn’interiorità che si consuma dentro se
stessa senza prodursi nel mondo; quasi che il filosofo e il mistico
potessero mai realizzare una spiritualità pura, incorporea (1). Invece, lo
spirito umano ha bisogno del corpo per realizzarsi, la vita è attaccata a
interessi materiali: bisogna far i conti con la materia per realizzarsi
spiritualmente. Non per questo la questione economica non è nna
questione spirituale anch’essa: l’animale non ha nessuna questione economica da
risolvere (già, l’animale non ha problemi di nessuna specie). È per l’uomo che
il mangiare, il bere, il vestir panni e le altre necessità della vita, si
presen- (1) «Le filosofie neospiritualistiche, con quel loro
ondeggiare continuo- fra la metafisica e la lirica sono perniciosissime
per i piccoU cervelli (ilarità). Le filosofie neospiritualistiche sono come le
ostriche: gustosissime al palato... ma bisogna digerirle!... (ilarità)
ìì: M., nel primo discorso parlamentare del 21 giugno 1921 (Discorsi dal
banco di deputato, pag. 38). tano, non come cose a cui pensa la natura o
il caso, ma come risultato della sua libera attività, del suo lavoro e
ingegno; è per l’uomo, in quanto la società gli rende possibile la
sua vita, che il lavoro è, oltre un diritto, xm dovere: un dovere
sociale. Ma, d’altra parte, è pure ovvio che la spiritualità della
questione economica esprime soltanto la condizione umana di quella
spiritualità più profonda che l’uomo trova nella sua pura interiorità ; e
che scambiare la questione economica con la questione morale, come fece il
socialismo, è scambiare la condizione con il condizionato, i mezzi
con il fine. Chiediamo scusa se la premessa sembrerà un po’
troppo lunga; ma essa era necessaria per spiegare nel modo più
breve la nostra insoddisfazione per tutte le teorie fin qui addotte su lo
Stato fascista. Preghiamo, con piena sincerità, il lettore di non
sospettare che si abbia noi la pretesa di possedere il segreto di quella
teoria. Teniamo estremamente, anzi, a dichiarare che innanzi all’opera di
M. ci sentiamo disorientati. Solo vorremmo che anche gli altri
confessassero questo disorientamento. Intorno allo Stato fascista s’è
scritto oramai una biblioteca, fra l’Italia e l’estero. E naturale che gli
scritti migliori siano quelli degli Italiani, tra i quali sono uomini di
prim’ordine per cultura, e per intelligenza. E tuttavia avviene qui quel
che avviene nei commenti di ogni capolavoro, poniamo della Divina
Commedia', c’è qualcosa che, dopo tutte le indagini e i chiarimenti,
sfugge. Nella poesia e nell’arte si può dar la colpa alla critica
che non arriva mai a tradurre in concetti l’intuizione sentimentale. Qui,
nell’opera politica di M., a noi sembra che la colpa sia dei teorici che
restano al di sotto del punto centrale in cui lavora il suo genio
creatore fra problemi di azione e di pensiero che costituiscono la sua
personalità vivente. Facciamo almeno qualche cenno più esplicito. La letteratura
su accennata può dividersi in opere di economisti, di giuristi, di
politici, di filosofi. I discorsi fatti in generale sono,
necessariamente, sempre un po’ vaghi. Ma noi qui abbiamo un interesse ben
determinato, e non abbiamo nessun dovere di allontanarci da esso per
entrare nella discussione dei particolari. A cominciare, quindi, dai filosofi,
dichiariamo che una filosofia capace di penetrare in ciò che ha di più
singolare lo Stato fascista non esiste ancora. I filosofi che ne hanno
fin qui parlato (e alludiamo non soltanto agli itahani, ma anche
agli stranieri), s’indugiano ancora in posizioni che M., anzi la storia
guardata dal punto di vista fascista, s’è lasciato dietro le spalle.
Ad esempio : c’è chi è ricorso allo Hegel per dimostrare ch’egli è
il vero precursore della nuova civiltà del mondo inaugurata dal Fascismo.
Non c’è bisogno di molta dottrina per far osservare che nel secolo
intercorso fra lo Hegel e il Fascismo sono avvenute queste cose
fondamentali; la critica fatta allo spirituahsmo idealistico-teologico dello
Hegel da parte del marxismo da una parte, e del liberalismo dall’altra; e
poi la critica, che già corre per il mondo, del Fascismo contro entrambi
questi. Il marxismo ebbe tutte le ragioni di richiamare quello
spiritualismo astratto alla base materiale-economica per intendere il
concreto mondo storico e agire in esso. Il liberahsmo ebbe altrettanta
ragione di non volerne sapere di quel teologismo, perché quel che a lui
premeva era la libertà dell’uomo, e però dell’individuo vero e reale.
Oggi il Fascismo ha superato, per parlare lo stesso linguaggio hegeliano,
non soltanto l’astrattezza ed erroneità dello hegelismo, ma anche
l’angustia mentale (ch’era una astrattezza ed erroneità opposta) comune al
marxismo e al hberalismo. Come ritornare, dopo questo, a Hegel? Precursore? Ma,
allora, ricominciamo da Platone e da Aristotele! QÙRnto inchiostro
versato in questi anni per dimostrare che non c’è Hbertà senza autorità; che
l’individuo s’identifica con lo Stato; che economia etica e politica
sono la stessa cosa; che la sovranità dello Stato è un Assoluto che
non può ammettere altro Assoluto fuori di sé, ed altrettali filosofemi
caratteristici della filosofia hegeliana! La quale risolveva
dialetticamente tutti i problemi del mondo e della storia in un processo
logico del pensiero che alla fine si poneva come l’Assoluto metafisico,
come il vero Dio, e vanificava, così, quelli che sono i concreti problemi
del mondo storico e dell’uomo. Noi non intendiamo, con questo, di
dire che tanto inchiostro sia stato versato inutilmente. Tutt’altro! È stato
del tutto opportuno, per rinfrescare la memoria delle persone colte
e per dirozzare la mente degli ignari su quelle che sono le premesse del
pensiero contemporaneo e della civiltà moderna. Intendiamo di dire,
invece, che quelle argomentazioni sono fuori fuoco: non colgono il Fascismo nel
suo punto vitale. Per cogliere questo sono preferibili le poche
meravigliose pagine, che veramente dànno il nuovo « senso dello Stato »,
contenute nel discorso del Duce all’Assemblea quinquennale del Regime, il
10 marzo 1929 (1). Lo Stato come organismo giuridico, come la
nazione stessa organizzata politicamente, come la sostanza etica di
un popolo, e altrettali definizioni, colgono la propria natura dello Stato
fascista? Filosofi, giuristi, politici si affaticano insieme a cercar di
adattare le vecchie definizioni al corpo della realtà nuova. C’è un
concetto che ritorna frequentemente in tutte le definizioni : quello della
personalità dello Stato, come di una personalità superiore che
assorbe, o deve assorbire, quella inferiore degli individui che lo
compongono. Ma basta poca riflessione per accorgersi che quello Stato è
una formula, una realtà anonima, una personalità che è tale soltanto nel senso
in cui si parla di (( persona » in giurisprudenza quando si vuol dire di
un ente o istituto che ha un riconoscimento dalla legge ed è
(1) Son riportate e illustrate in Appendice, V. Quaderni «
soggetto » di diritti. Ossia, è una personalità ehe è il massimo della
impersonalità. La personalità, inveee, dello Stato fascista consiste in
questo: che c’è un Capo, una personalità e volontà in carne e ossa, che governa
e dirige tutta la complessa vita statale. Lo Stato come Costituzione,
come organismo politico-giuridico con tutti i suoi attributi e le
sue forme di sovranità, resta come un presupposto che il Fascismo non ha
nessuna intenzione di negare, perché, appunto, lo presuppone come un dato
acquisito dalla coscienza giuridica e politica moderna. Se no, si
tornerebbe al tipo delle Signorie, della coincidenza immediata di Stato e
Principe (già notata da M. nel suo Preludio al Machiavelli) (1). Ma, come
Aristotele diceva già sin da allora, che l’ordine e la forza di un
esercito li fa sopratutto il buon comandante, così il Fascismo pensa che
per uno Stato forte e capace di contar qualcosa nella determinazione
della storia mondiale, quel che più conta è la volontà e capacità
di chi siede al governo, dirige e determina la via da seguire. In
quella volontà si debbono organizzare tutti i voleri, in quella
personalità debbono prender corpo tutte le gerarchie, classi e categorie dello
Stato, tutte le attività della Nazione. Gerarchie, classi e categorie, le
quali collegano il Capo con il resto del corpo politico, sì che, per il
tramite di esse, la personalità dello Stato, espressa in sommo grado dal
Capo, arrivi via via sino al popolo e alla massa altrimenti amorfa e
sbandata. È questione, dunque, di libertà e di autorità? Certamente! Ma
non in quei termini astratti, non in una dialettica che per dimostrare troppo
non dimostra niente, o può dimostrare ugualmente bene l’opposto. M.
non s’è mai indugiato in tali esercitazioni : dichiarando che « la
libertà è un mezzo, non un fine » ha risolto la questione
perentoriamente. Questo è autoritarismo, dispotismo, ecc., ha esclamato
e tentato di dimostrare un filosofo liberale, a cui hanno fatto eco
altri filosofi e politici stranieri. Strano! Quel filosofo passa la sua
vita nella meditazione della Storia, e non s’è ancora accorto che la
Storia la fa non l’individuo isolato con la sua astratta libertà, ma
l’individuo in quanto volontà e libertà organizzata in quell’organismo
spirituale che è lo Stato. Sono gli Stati che decidono del mondo
storico-sociale, non gl’individui come tali: così come sono gli eserciti
che determinano la vittoria, non i soldiati singolarmente presi (1).
« Stato etico )), si dice: e questo, si aggiunge, almeno questo, è
pure un concetto di marca schiettamente hegeliana. Per cui, dall’altra parte,
si protesta: eccoci tornati, col Fascismo, alla (( morale di Stato )),
alla « morale governativa » : quale aberrazione filosofica e morale ! Se
non che, anche qui, non si può raccomandare abbastanza di non perdersi in
queste discussioni, e di attingere direttamente alla fonte delle parole e del
pensiero di M.. Prendiamo un passo : « Né si pensi di negare il
carattere morale dello Stato Fascista, perché io mi vergognerei di parlare da
questa tribuna se non sentissi di rappresentare la forza morale e
spirituale dello Stato. Che cosa sarebbe lo Stato se non avesse im suo
spirito, una sua morale, che è quella che dà la forza alle sue leggi,
e per la quale esso riesce a farsi ubbidire dai cittadini? Che cosa
sarebbe lo Stato? Una cosa miserevole, davanti alla quale i cittadini
avrebbero il diritto della rivolta e del disprezzo. Lo Stato Fascista
rivendica in pieno il suo carattere di eticità: è Cattolico, ma è Fascista,
anzi sopra- (1) «Nella silenziosa coordinazione di tutte le forze
agli ordini di uno solo, è il segreto perenne di ogni vittoria » {Tempi
della rivoluzione fascista, pag. 166). Non basta, dunque, dire con
Tidealismo che il mondo storico è una creazione dell’uomo. Bisogna
aggiungere; deU’uomo organizzato nella società, e in primo luogo in quella
forma più potente di società «h’è lo Stato fascisticamente inteso.
3tutto, esclusivamente, essenzialmente Fascista. Il Cattoli-
cismo lo integra, e noi lo dichiariamo apertamente, ma nessuno pensi,
sotto la specie filosofica o metafisica, di cambiarci le carte in tavola
» (1). Vediamo di non cambiargli le carte in tavola. Contro una
Chiesa che, movendo dal principio di esclusivo monopolio nella direzione delle
coscienze, tende a tener per sé, come si dice nel linguaggio scolastico
(del tempo in cui si faceva questione fra Papa e Imperatore per il
governo del mondo), tutto (( lo spirituale », e a lasciare allo Stato la
sola cura dei beni materiali: contro tale Chiesa M. adduce, di pieno
diritto, la rivolta della sua coscienza, del suo senso di Capo di uno Stato
moderno, che sa di governare degli uomini liberi e non già un
gregge, di guidare un popolo verso un ideale di civiltà e non già
di essere un sentplice amministratore di beni, ed afferma il carattere
spirituale dello Stato e il fondamento morale che sostiene la sua
autorità di Capo. Ma da questo al concetto che risolve il problema
morale nel problema dello Stato, c’è un molto rispettabile intervallo,
anzi xm abisso, che a noi non risulta in alcun modo che M. abbia mai
tentato di varcare. Stato unitario, totabtario : tutto nello Stato, per
lo Stato, nulla fuori e, sopratutto, nulla contro di esso. E può
essere diversamente data la nuova concezione fascista? Come in guerra
tutte le forze materiali e spirituali della Nazione vengono organizzate,
senza residuo, per la vittoria delle armi; così in pace lo Stato fascista
ha bisogno di tutte le forze, fisiche, morali e intellettuali, de’ suoi
cittadini per vincere quella più grande battaglia che determina il posto di uno
Stato nel mondo e il corso della storia stessa (2). (1)
Discorso aUa Camera per Gli accordi del Luterano. (2) « Io considero la
politica come una milizia o combattimento « (Tempi della rivoluzione
fascista, pag. 147). Il Fascismo non vuole, dentro Quindi
nulla, di quanto l’individuo può dare, sfugge all’interesse dello Stato
fascista: la sua ctdtura, la sua educazione, la sua coscienza morale, la
stessa sua coscienza religiosa. Ma questo non implica un « assorbimento »
del-- l’individuo nel senso che lo Stato ne succhi e svuoti la
personalità ! Tutt’altro : lo Stato fascista ha ogni interesse, anzi, a
potenziare la personalità fisica e morale dell’individuo, a sollecitarne
la libera iniziativa, a trar profitto dalla sua vocazione e dalle sue
inclinazioni, e, ove occorra, anche dalle sue ambizioni e dalle legittime
aspirazioni al benessere e agli agi materiali. Non, dunque, che sia
erronea la così detta identificazione dell’individuo con lo Stato; ma,
presentata in quella dialettica astratta, non dice nulla di positivo, e può
condurre, ripetiamo, anche a dire il contrario ( 1). Così, per la
questione economica. Stato corporativo, sì, certo : è un caposaldo dello
Stato fascista, che qui si lascia di nuovo dietro le spalle il socialismo
e il liberalismo insieme. Ma se da questo si vuol dedurre che
l’originalità e importanza dello Stato fascista sia tutta in questo punto,
nell’aver immessa una « coscienza statale » nel giuoco degli
interessi lo Stato, la lotta: vuole, anzi, Tarmonia e la
collaborazione. Ma nel confronto con le forze estranee sente che « la vita è un
combattimento continuo, incessante », da accettare « con grande disinvoltura,
con grande coraggio, con la intrepidezza necessaria » {Per il settimo annuale
della fondazione dei fasci, 1926). (1) Non si tratta di mera coincidenza
o non coincidenza della volontà deU’individuo con quella dello Stato, ma
di un processo che si può ben chiamare di educazione dell’individuo per
opera dello Stato fascista : « La politica è l’arte di governare gli
uomini, cioè di orientare, utilizzare, educare le loro passioni, i loro
egoismi, i loro interessi in vista di scopi d’ordine generale che trascendono
quasi sempre la vita individuale perché si proiettano nel futuro ».
L’individuo, infatti, non educato politicamente, «tende a evadere
continuamente: tende a disubbidire alle leggi, a non pagare i tributi, a
non fare la guerra: pochi sono coloro — eroi o santi — che sacrificano il
proprio io sull’altare dello Stato » (Preludio al Machiavelli), Sul concetto di
Stato fascista come Stato educatore, ved. Appendice, pag. 55.
materiali che governano l’economia di un Paese, c’è l’evidente pericolo
di fare del Fascismo un’antitesi, sì, del comuniSmo e bolscevismo, ma su lo
stesso piano. In somma: economia, etica, politica sono, bensì,
legate indissolubilmente nello Stato fascista, ma non per questo
l’una è la stessa cosa dell’altra. E veniamo, infine, alla tanto
dibattuta questione religiosa. Stato confessionale? No, certo: si è detto e
ripetuto. Allora, Stato « superconfessionale » ? Sì, certo,
nell’ovvio senso in cui, negandosi che sia confessionale, si vuole
pure affermare la sua religiosità. La religiosità, si ha ima grande
premura di aggiungere e ripetere a sazietà, « immanente ». Non ha detto
il Duce: (( tutto nello Stato, nulla fuori dello Stato »? Ma la
conseguenza, al solito, è tratta troppo facilmente, con una
argomentazione che, per voler esser troppo profonda, resta alla superficie
della questione e del pensiero di M.. Il quale non ha mai sognato di fare
della religione una questione meramente politica. Dal dire che lo Stato
fascista ha estremo interesse a coltivare la coscienza religiosa della
Nazione; a dire che, quindi, è lo Stato stesso che crea quella coscienza
e ne è l’arbitro, ci corre quel solito intervallo o abisso che M. non
consta abbia tentato di abolire. Ancora una volta ! Noi non
abbiamo nessuna nostra filosofia da esibire, e non pretendiamo a nessun
brevetto di scopritori o interpreti del pensiero M.ano. Ci limitiamo a
esibire dei (( materiali » e dei « punti di vista », quali possono essere
rigorosamente documentati da fatti e da scritti. E però domandiamo
: quella teoria (( immanentistica » è in accordo con ciò che consta del
pensiero e dell’azione mus- soliniana? Abbiamo addotto sufficienti
documenti in precedenza, e però rispondiamo: non consta, anzi consta il
contrario. Diciamo meglio e di più: quel che consta è un’impostazione
del problema politico-religioso in termini del tutto nuovi e fecondi di
sviluppi nell’avvenire della coscienza politico-religiosa, non soltanto
degli Italiani, ma dell’uomo semplicemente, in universale. C’è un
fatto: che lo Stato ha affermato la sua assoluta sovranità nel mondo
dello spirito storicamente considerato ; e contemporaneamente la Chiesa
ha rinunciato a entrare più nelle questioni interne allo Stato e nelle
competizioni, di qualsiasi specie, fra gli Stati. Le due sfere si sono,
per la prima volta dacché esistono, delineati e definiti esattamente, per
lo meno in via di diritto, i rispettivi confini. Con questa reciproca
delimitazione hanno posto, insieme, il loro preciso rapporto : quindi né
assoggettamento della sovranità dell’uno all’altra, né separazione nel
senso che l’uno non voglia saper nulla dell’altra. Lo Stato fascista,
proprio perché è uno Stato etico, sa che, per parlare in termini
bergsoniani, ci sono due fonti, o si dica due punti di vista, della vita
morale e religiosa dell’uomo, a seconda che questa si consideri nella
realtà sociale-politica della storia, ovvero in quella interiorità dell’uomo e
della personalità ch’è la sua spiritualità pura. Abbiamo spiegato a
sufficienza, dianzi, che questi due punti di vista non si escludono, anzi
sono vitalmente e indissolubilmente legati. Lo Stato fascista può,
dunque, liberamente riconoscere che, fra tutte le religioni esistenti,
quella Cattolica è più delle altre consona alla sua mentalità e ai suoi
fini: per la spiritualità ch’è alla base del Cristianesimo, e per
il senso della vita morale concepita nel Cattolicismo secondo
quegli stessi principii di disciplina, di gerarchia, di obbedienza
all’autorità, che sono alla base della concezione politica del Fascismo.
Lo Stato ha tutto da guadagnare da questo accordo della coscienza
religiosa con la coscienza politica degli Italiani, che pon termine a un
dissidio rimasto, secondo Fespressione di M. stesso, come una spina
confitta nel profondo dell’anima nazionale. Ma la Chiesa non ha da
guadagnare di meno; anzi, ha innanzi un programma da realizzare anche più
vasto e profondo: liberata dagl’interessi politici, accostarsi sempre
di più alle coscienze nella pura interiorità, parlare ad esse un
linguaggio più intelhgibile e persuasivo, rinnovare nelle menti e nei
cuori i motivi di quella fede che fece la sua grandezza in altri tempi,
anzi in ogni tempo. Solo per questa via alla conciliazione fra essa e lo
Stato potrà seguire l’altra fra essa e il pensiero moderno. ILa Sarfatti
{Dux, pag. 100) riporta dal giornale repubblicano, « Il pensiero romagnolo »,
una buona parte di uno studio giovanile di M. su La filosofia della
forza, nel quale sono riassunti i motivi della sua ammirazione per
il Nietzsche, e insieme quelli del suo dissenso da tale filosofia. I
primi si risolvono nella concezione attivistica della vita come creazione
di nuovi valori spirituali: « Questa volontà di potenza, che si esplica nella
creazione di nuovi valori morali o artistici o sociali, dà uno scopo
alla vita. Creare! Ecco la grande redenzione dai dolori, e il conforto
della vita. Il superuomo — ecco la grande creazione nitciana. Quale
impulso segreto, quale interna rivolta hanno suggerito al solitario
professore di lingue antiche nell’università di Basilea questa superba nozione?
Forse il taedium vitae: della vita quale si svolge nelle odierne società
civili dove l’irrimediabile mediocrità trionfa. E Nietzsche suona
la diana di un prossimo ritorno all’ideale; ma a un ideale diverso
fondamentalmente da quelli in cui hanno creduto le generazioni passate ».
Che il Nietzsche non abbia esposto sistematicamente la sua filosofia,
non importa: « Ciò che v’è di caduco, di sterile, di negativo in tutte le
filosofie, è precisamente il sistema: questa costruzione ideale, spesse
volte illogica e arbitraria» (1). (1) L’avversione al
«sistema », nel senso scolastico di una dottrina chiusa nel cerchio di
astratte definizioni e di procedimenti puramente razionali, dà, per lo
meno estrinsecamente, il carattere più originale della filosofia
contemporanea. Il punto veramente debole della concezione nitciana
è, invece, quello colto sin da allora da M., là dove posto il
principio che « l’istinto di socievolezza è inerente alla natura stessa
dell’uomo », onde « non si concepisce un individuo che possa vivere
avulso dall’infinita catena degli esseri », nota la contraddizione in cui
fatalmente doveva aggrovigliarsi il Nietzsche, il quale (c sentiva la fatalità
di questa che potrebbe dirsi legge della solidarietà universale, sì che
per uscire dalla contraddizione il superuomo, l’eroe nitciano, dall’interno
scatena la sua volontà di potenza aH’esterno... Ma, o il superuomo è
unico, e non ubbidisce a leggi; o ammette delle limitazioni al suo
arbitrio individuale, e allora rientra nella mandria. Davanti a questo
dilemma Nietzsche immagina che la società rovini e crepiti come un
gigantesco fuoco d’artificio ». Anche l’anticristianesimo nitciano è
veduto nel suo significato più positivo e, in fine, contingente: «Per
comprendere questo feroce anticristianesimo nitciano, dobbiamo esaminare
alcun poco il mondo interno del Nietzsche. Egli era profondamente
antitedesco. La gravità teutonica e il mercantilismo inglese erano
ugualmente indigesti all’autore di Zarathustra. Forse il suo anticristo è
l’ultimo portato di una violenta reazione contro la Germania feudale,
pedante, cristiana ». ^ Il volumetto Giovanni Huss, il
veridico (Roma, Po- drecca e Galantara, 1913) è una buonissima
monografia di carattere schiettamente storico. L’intenzione anticlericale
vi è aggiunta nella Prefazione, e qua e là incidentalmente, e in ogni modo non
oltrepassa il limite doveroso del rispetto verso il Cristianesimo: verso
di questo, anzi, è evidente una sincera simpatia. « Ancora ima
volta Huss si difende dall’accusa di eresia. Egli non si proponeva che la
purificazione del clero dagli elementi che lo demoralizzavano... Stridente
antitesi! Mentre i prelati alti e bassi della chiesa non miravano che
ad arricchire, e talvolta lasciavano in retaggio ai figli e ai
nepoti ricchezze favolose, l’eretico Huss, come il Cristo, null’altro
lascia alPinfuori di alcuni poveri indumenti. Huss non aveva solo
predicato, ma anche praticato, e come San Francesco d’Assisi aveva
sposato coram populo, madonna Povertà » (pag. 43 seg.). (( Gli eretici
parlano in nome del popolo e al popolo. È un ritorno al Vangelo, eh’essi
vogliono: un ritorno alla vita povera, ma solidale, delle prime comunità
cristiane » (pag. 14). Non cosi, tuttavia, i seguaci di Huss, che ((
superarono in barbarie la Chiesa di Roma » : essi si ispirarono a Jehova,
(( non al mite apostolo di Nazareth » (pag. 76). Ispirazione, dunque,
questa dominante nel volumetto su Huss, da riformatore, e però morale, e
in fine religiosa. La religiosità, tuttavia, è concepita e sentita al di
fuori di ogni dogma: «Cosi [con l’eresia di Huss], la storia della
progressiva liberazione del genere umano dai ceppi delle credenze
dogmatiche non subisce di secolo in secolo soluzione di continuità ))
(pag. 81). il. Dal senso vivo d’interiorità
(ch’è il senso stesso della individualità e personalità puramente
spirituale) deriva, per contrapposto, tanto più vivo quello
dell’esteriorità e del dominio meditato della volontà sul mondo in cui l’uomo
deve agire. Negli scritti e discorsi di M. si accenna più
volte ad un tale senso della vita interiore, ch’è, poi, la fonte
prima del problema filosofico e religioso. Già nel 1914, fondando
«Il Popolo d’Italia», scriveva: «Non tutti i miei amici d’ieri mi
seguiranno; ma molti altri spiriti ribelli si raccoglieranno attorno a me. Farò
un giornale indipendente, liberissimo, personale, mio. Ne risponderò solo alla
mia coscienza e a nessun altro ». E nel 1929 (Su gli Accordi del Laterano
», alla Camera) : (( Ecco che io mi son trovato di fronte a una di quelle
responsabilità che fanno tremare le vene e i polsi di un uomo. E non
potevo chiedere consiglio a chicchessia: solo la mia coscienza mi doveva
segnare la strada attraverso penose, lunghe meditazioni ». Nei momenti
più solenni l’uomo si sente solo: solo con se stesso e con Dio ((( Cosi
Iddio mi assista nel condurre a termine vittorioso la mia ardua fatica
»). Il Barnes {Gli aspetti universali del Fascismo, pag.55),
scrive : « È questa l’attitudine di M. innanzi ai problemi pratici della vita:
una profonda coscienza del bene e del male, un infinito senso di
responsabilità... Ne deriva una continua autocritica ed un automartirio
che, se non fossero la sua fede, il senso di dovere verso la sua vocazione,
il suo coraggio morale, lo spingerebbero verso una vita contemplativa.
Sant’Ignazio di Loyola, e non Napoleone, è la figura spirituale che può
essere compagna a M. ». Tenendo presente quanto abbiamo notato dianzi sul
rapporto fra il senso d’interiorità e quello del dominio della volontà
sul mondo esteriore, è facile vedere sino a qual punto colga giusto
Fosservazione del Barnes (1). (1) Il paragone coglie un aspetto
della personalità del Duce che andava messo in rilievo contro chi vede di
quella soltanto il lato esteriore, l’atteg- giamento « napoleonico », del
conquistatore o dominatore, o meglio, per dirla con parola corrente e più
vicina all’idea, del « realizzatore ». Ma quell’aspetto, separato dall’altro,
vien fuori deformato. Il senso d’interiorità è in M. anche la fonte
segreta della sua forza di volontà. In conchiusione, M. è una sintesi
nuova che assorbe e trasfigura interamente i vecchi termini in
contrasto. (( Che cosa ci pongono di fronte gli
avversari? Niente: delle miserie. Sono ancora in arretrato di 50 anni in
fatto di filosofia. Stanno postillando tutte le fantasie dei positivisti
: fantasie, dico, poiché come non vi è un uomo più pericoloso del pacifista,
così non vi è un ideologo più pericoloso del positivista. Tutto il
processo di rinnovazione spirituale delle nuove generazioni è a loro
ignoto » [Nel quinto anniversario della fondazione dei Fasci). Idealismo
è il termine generale più acconcio a comprendere il movimento della filosofia
contemporanea sorto contro il positivismo che aveva dominato la cultura
europea nel periodo precedente a quello a cui M. accenna. In quanto
antipositivista, il pensiero M.ano si può hen definire idealista. Che i
fatti non si intendano senza l’attività del pensiero, e che la realtà non
si domini senza un principio spirituale, è verità messa in gran luce
dall’idealismo contemporaneo, svoltosi poi in svariate direzioni. La varietà di
queste direzioni dipende, da una parte, dalla diversa valutazione del
positivismo criticato; e dall’altra, dalla diversità di significato del
principio spirituale ispiratore. Per la prima parte, la critica più avveduta
ha cercato di salvare, nel positivismo, l’esigenza di concretezza,
il senso della realtà dell’esperienza lunana (conoscitiva e pratica):
l’idealismo è andato d’accordo, qui, col positivismo nella tendenza contro la
metafisica e la logica astratta. Per ìa seconda, l’atteggiamento generale
dell’idealismo è stato per una rivalutazione dei principii religiosi, di
cui l’illuminismo aveva fatto troppo buon mercato : senza di essi,
infatti, neppiure s’intende il valore morale della vita e il dovere del
sacrificio per gl’ideali che fanno grande l’uomo. Ma, poi, non sempre
l’idealismo ha salvato abbastanza, da un lato, il senso di concretezza
del mondo dell’esperienza; dall’altro, il senso veramente religioso della
vita spirituale. I/idealismo assoluto, in modo particolare, viene oggi
criticato da entrambi i lati, ed è questa la ragione per cui gli si
oppongono, da una parte, correnti di pensiero più vicine ai problemi
dell’esperienza e della scienza, e dall’altra lo schietto spiritualismo.
Questi problemi, interni all’idealismo, sono presenti, sia pure
germinalmente, anche nel pensiero di M., sopratutto nelle pagine in cui
espone le idee fondamentali della Dottrina del Fascismo, che ora passiamo
ad esaminare. (( Come ogni salda concezione politica, il Fascismo è
prassi ed è pensiero, azione a cui è immanente una dottrina che, sorgendo da un
dato sistema di forze storiche, vi resta inserita-e vi opera dal di
dentro. Ha, quindi, una dorma correlativa alle contingenze di luogo e di
tempo, ma ha insieme un contenuto ideale che la eleva a formula di
verità nella storia superiore del pensiero. Non si agisce spiritualmente
nel mondo come volontà umana dominatrice di volontà senza un concetto della
realtà transeunte e particolare su cui bisogna agire, e della realtà
permanente e universale in cui la prima ha il suo essere e la sua vita.
« Non c’è concetto dello Stato che non sia fondamentalmente concetto
della vita: filosofia o intuizione, sistema di idee che si svolge in ima
costruzione logica, o si raccoglie in una visione o in una fede ».
Quaderni [Si noti, nel primo passo, il rapporto posto fra la
contingenza o realtà della storia, in cui vive l’uomo, e U valore universale
del pensiero che la illumina. Ivi si accenna anche all’altro problema del
rapporto fra il pensiero e l’azione: o, come meglio si vede nel secondo
passo, tra filosofia e fede religiosa. Il pensiero filosofico si svolge,
di necessità, in un sistema concettuale; nella fede il pensiero è
soltanto intuizione, e diventa, così, principio di vita e di azione].
« Così il Fascismo non s’intenderebbe in molti dei suoi
atteggiamenti pratici, come organizzazione di partito, come sistema di
educazione, come disciplina, se non si guardasse alla luce del suo modo
generale di concepire la vita. Modo spiritualistico. Il mondo per il
Fascismo non è questo mondo materiale che appare alla superficie, in cui
l’uomo è un individuo separato da tutti gli altri e per sé stante, ed
è governato da una legge naturale che istintivamente lo trae a
vivere una vita di piacere egoistico e momentaneo. L’uomo del Fascismo è
individuo che è nazione e patria, legge morale che stringe insieme individui e
generazioni in una tradizione e in una missione che sopprime l’istinto della
vita chiusa nel breve giro del piacere per instaurare nel dovere
una vita superiore libera da limiti di tempo e di spazio; una vita in cui
l’individuo, attraverso l’abnegazione di sé, il sacrifizio dei suoi
interessi particolari, la stessa morte, realizza quell’esistenza tutta
spirituale in cui è il suo valore di uomo )). [Il a modo spiritualistico
)) di concepire e sentire la vita è qui esposto con tutta chiarezza nelle
sue ragioni morali. Non implicherà esso un principio anche di fede
religiosa? Come, infatti, richiedere all’individuo l’abnegazione di
sé e la rinuncia ai suoi interessi, alla vita stessa, senza una
fede trascendente?] (( Dimque, concezione spiritualistica, sorta
anch’essa dalla generale reazione del secolo contro il fiacco e
materialistico positivismo dell’Ottocento. Antipositivistica, ma positiva:
non scettica, né agnostica, né pessimistica, né passivamente ottimistica,
come sono in generale le dot* trine (tutte negative) che pongono il
centro della vita fuori dell’uomo, che con la sua libera volontà può e
deve crearsi il suo mondo. Il Fascismo vuole l’uomo attivo e
impegnato nell’azione con tutte le sue energie: lo vuole virilmente
consapevole delle difficoltà che ci sono, e pronto ad affrontarle.
Concepisce la vita come lotta, pensando che spetti all’uomo conquistarsi quella
che sia veramente degna di lui, creando prima di tutto in se stesso lo
strumento (fisico, morale, intellettuale) per edificarla. Così per
l’individuo singolo, così per la nazione, così per Fumanità. Quindi
l’alto valore della cultura in tutte le sue forme (arte, religione, scienza),
e l’importanza grandissima dell’educazione. Questa concezione positiva
della vita è, evidentemente, una concezione etica. E investe tutta
la realtà, nonché l’attività umana che la signoreggia. Nessuna azione
sottratta al giudizio morale; niente al mondo che si possa spogliare del
valore che a tutto compete in ordine ai fini morali. La vita, perciò, quale
la concepisce il fascista, è seria, austera, religiosa. Il Fascismo è una
concezione religiosa, in cui l’uomo è veduto nel suo immanente rapporto
con una legge superiore, con una volontà obiettiva, che trascende
l’individuo particolare e lo eleva a membro consapevole di una società
spirituale. Chi nella politica religiosa del regime fascista si è fermato
a considerazioni di mera opportunità, non ha inteso che il Fascismo,
oltre a essere un sistema di governo, è anche, e prima di tutto, un sistema di
pensiero », [Innegabilmente, questo spiritualismo è d’ispirazione
schiettamente religiosa. Ma — e questo è un punto di capitale importanza
per l’intelligenza della religiosità immanente allo spiritualismo
caratteristico della dottrina fascista — non vuole che il senso religioso
della vita svigorisca, o neghi addirittura, l’attività dell’uomo e la sua
fede nella propria volontà. Fascismo è, anzi, spirito d’iniziativa, audacia,
senso eroico della vita. Dottrine negative di quest’attivismo, si dice
nel passo ora riferito, sono tutte quelle che pongono il centro della
vita fuori dell’uomo. Tali, aggiungiamo noi, tutte le forme di panteismo.
Il Cristianesimo non è panteismo: e però — salvo in alcune
interpretazioni e manifestazioni secondarie — non nega la volontà e
l’attività, e può, anzi, rinvigorire il senso morale della vita col dare
un valore assoluto anche al dovere di sacrificare la vita stessa per un
ideale puramente umano come quello della Patria. Non si scordi che è
proprio del Cristianesimo il concetto della vita come milizia. Il
cristiano, infatti, pone, bensì, il suo Dio oltre di sé, trascendente, ma
non fuori di sé: lo trova nella più profonda interiorità della sua stessa
vita spirituale. Queste considerazioni, da noi aggiunte, non paiono
in contrasto con il motivo ispiratore del passo riferito. La loro
conformità, anzi, a esso sarà anche più chiara, se si tiene presente che
il Fascismo, non solo non è soltanto (( un sistema di governo », ma non è
neppure soltanto « un sistema di pensiero » : è anche, come s’è veduto
innanzi, una fede (1)]. (( Il Fascismo è una concezione storica, nella
quale l’uomo non è quello che è se non in funzione del processo
spirituale a cui concorre, nei gruppo familiare e sociale, nella nazione
e nella storia, a cui tutte le nazioni (1) Questo principio della
fede basta a differenziare l’agnosticismo religioso da quello areligioso di
origine positivista. Dio non è, certamente, oggetto di conoscenza. Ma non per
questo la sua esistenza è ipotetica! Mettiamo qui questa considerazione per
chiarire il significato di talune espressioni di M. in altri scritti. Nello
scritto che stiamo esaminando, Dio, infatti, vien definito, a scanso di
equivoci, come volontà: oggetto, dunque, di fede, non di conoscenza
(intesa, questa, nel senso della scienza). Si badi, però, di non cadere
in un altro equivoco su la parola « oggetto » : la volontà non è mai oggetto,
e la volontà di Dio, a cui s’ispira l’uomo religioso, vien sentita, amata
e. seguita, nella pura interiorità della coscienza, che poi si manifesta
nell’azione. Fcollaborano. Donde il gran valore della
tradizione nelle memorie, nella lingua, nei costumi, nelle norme del
vivere sociale. Fuori della storia l’uomo è nulla ». [L’uomo non
può vivere la sua vita di azione, e realizzare in sé i più alti valori umani,
fuori della società, ossia fuori del mondo storico in cui la sua vita si
trova, di fatto, inserita. Questo è, evidentemente, il significato
della proposizione: «Fuori della storia l’uomo è nulla». Il problema
deH’immortalità dell’anima è, qui, fuori causa. E sarebbe, reputiamo,
fraintendere il pensiero di M. interpretare queste parole come
l’affermazione di un panteismo storico, o di uno storicismo assoluto
(1), cbe risolvesse tutto l’uomo, senza residùo, nel mondo della
storia]. « Perciò il Fascismo è contro tutte le astrazioni individualistiche,
a base materialistica, tipo secolo xviii: ed è contro tutte le utopie e
le innovazioni giacobine. Esso non crede possibile la felicità su la
terra, e quindi respinge tutte le concezioni teleologiche per cui a un
certo periodo della storia ci sarebbe una sistemazione definitiva del
genere umano. Questo significa mettersi fuori della storia e della vita
che è continuo fluire e divenire. Il Fascismo politicamente vuol essere
una dottrina realistica: praticamente, aspira a risolvere solo i problemi che
si pongono storicamente da sé, e che da sé trovano o suggeriscono la propria
soluzione. Per agire tra gli uomini, come nella natura, bisogna entrare
nel processo delia realtà e impadronirsi delle forze in atto ».
[Parole d’oro: ricche di senso realistico, del senso positivo della
storia e dei problemi, sempre concreti e determinati, che l’uomo d’azione
si trova innanzi]. (( Antiindividualistica, la concezione fascista è per
lo Stato; ed è per l’individuo in quanto esso coincide con
(1) Cfr. quanto si disse a pag. 19. 54 ARMANDO
CARLINI lo Stato, coscienza e volontà universale delFuomo
nella sua esistenza storica. Il liberalisnio negava lo Stato
nell’interesse deH’individuo particolare: il Fascismo riafferma lo Stato
come la realtà vera dell’individuo. E se la libertà dev’ essere
l’attributo dell’ uomo reale, e non di quell’astratto fantoccio a cui pensava
il liberalismo, il Fascismo è per la libertà. È per la sola libertà che possa
essere una cosa seria, la libertà dello Stato e dell’individuo
nello Stato. Giacché, per il fascista, tutto è nello Stato, e nulla
di umano o spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello Stato.
In tal senso, il Fascismo è totalitario, e lo Stato fascista, sintesi e
unità di ogni valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del popolo
». [Già a pag. 37, abbiamo chiarito in quale significato, a nostro
avviso, va intesa l’eticità dello Stato fascista, e la sua totalitarietà.
Non si tratta, dicemmo, di un assorbimento e svuotamento della personalità
spirituale dell’individuo! Si tratta, invece, del contributo che
l’individuo, col suo lavoro e con la sua cultura, può e deve dare
ai fini della vita nazionale, alla potenza materiale e spirituale dello
Stato. Sarebbe, dunque, anche qui, un fraintendere il pensiero di M.
l’allargare il significato dell’affermazione : « nulla di umano o
spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello Stato », sino a
fargli dire che nello Stato si risolve tutta, senza residuo, la
vita spirituale, e che nulla esiste fuori dello Stato. L’esistenza
di Dio, per lo meno, fa eccezione (1)]. ^ Lo scritto
prosegue con altre riflessioni: sul socialismo, stri sindacalismo, su la
democrazia, ecc. Prendiamo nota di alcuni punti soltanto, che giovano
all’intelligenza (1) Questo diciamo in relazione ad una possibile
interpretazione diver^ gente, di un «umanismo teologico», secondo quanto
si notò a pag. 20. della peculiarità dello
Stato fascista, da noi precedente- mente accennata, e su la quale
torneremo fra poco. Il Fascismo, si dice, è un’idea « che nel popolo
si attua quale coscienza e volontà di pochi, anzi di Uno, e quale
ideale tende ad attuarsi nella coscienza e volontà di tutti. Di tutti
coloro che dalla natura e dalla storia traggono ragione di formare una
nazione, avviati sopra la stessa linea di sviluppo e formazione
spirituale, come una coscienza e una volontà sola...: moltitudine
unificata da un’idea, ch’è volontà di esistenza e di potenza: coscienza
di sé, personalità ». Nel sentimento nazionale, infatti, si esprime la
coscienza e volontà di tutti come una stessa coscienza e una volontà
sola. Ma questa medesimezza e unità è ben lontana dal trovare la sua vera
e concreta espressione se non interviene lo Stato. Nel sentimento
nazionale essa resta — e potrebbe restare per secoli — allo stato
potenziale. È lo Stato che traduce il sentimento nazionale dalla potenza
all’atto. È lo Stato che lo attua. E lo attua come volontà ch’è
personalità: personalità effettiva, attuale, concreta, del Capo del
governo, la cui volontà prende corpo, per mezzo della disciplina, nei
gerarchi (1), e giù (1) Gerarchia^, come si sa, è il titolo della
rivista da lui fondata nel 1920, Si vegga, ivi. Stato, antistato e
fascismo: «Che cosa è lo Stato? Lo Stato vien definito conte Vincamazione
giuridica della nazione. La formula è vaga. Lo Stato è anche questo, ma
non è soltanto questo. Senza volere elencare tutte le definizioni che del
concetto di Stato furono date, nei secoli, dai (Cultori delle scienze politiche
— il che sarebbe inutile e prolisso — mi pare che lo Stato possa essere
definito come un sistema di gerarchie. Lo Stato è alle sue origini im
sistema di gerarchie. Quel giorno in cui un uomo, fra un gruppo di altri
uomini, assunse il comando perché era il più forte, il più astuto, il più
saggio o il più intelligente, e gli altri per amore o per forza
ubbidirono, quel giorno lo Stato nacque e fu un sistema di gerarchie,
semplice e rudimentale allora, com’era semplice e rudimentale allora la
vita degli uomini agli albori della storia. Il Capo dovè creare necessariamente
un sistema di gerarchie per fare la guerra, per rendere giustizia, per giù
sino alia massa popolare. Soltanto in questo modo, a noi sembra, si può
parlare della personalità delio Stato: riferendosi allo Stato fascista.
Una conferma di questo modo di vedere è data da quanto segue nello
scritto di M., dove dice che (( non è la nazione a generare io Stato,
anzi la nazione è creata dallo Stato, che dà al popolo, consapevole
della propria unità morale, una volontà, e quindi un’effettiva
esistenza ». Il diritto di una nazione — si aggiunge — a questa
esistenza, ossia all’indipendenza, deriva « da una coscienza attiva, da
una volontà politica in atto e disposta a dimostrare il proprio diritto:
cioè, da una sorta di Stato già in fieri ». ^ sic ^
Stato fascista è Stato educatore. Esso (( non si può limitare a semplici
funzioni di ordine e tutela, come voleva il liberalismo ». E non è
semplicemente un meccanismo giuridico, o economico: sia pure come
corporativismo. Lo Stato fascista « è forma e norma interiore, e
disciplina di tutta la persona: penetra la volontà come l’intelligenza.
Il suo principio, ispirazione centrale dell’umana personalità vivente nella
comunità civile, scende nel profondo e si annida nel cuore dell’uotno
d’azione come del pensatore, dell’artista come dello scienziato. Il
Fascismo, insomma, non è soltanto datore di leggi e fon-
amministrare i beni della comunità, per ottenere il pagamento dei
tributi, per regolare i rapporti fra l’uomo e il soprannaturale. Ma in
tutti i casi lo Stato si estrinseca in un sistema di gerarchie, oggi
infinitamente più complesso, adeguatamente alla vita ch’è più complessa in
intensità e in estensione. Ma perché le gerarchie non siano gerarchie morte, è
necessario ch’esse fluiscano in una sintesi: che convergano tutte ad uno
scopo a. Questo scopo è, certamente, una volontà comune, ma impersonata
soprattutto nel Capo, e via via nei gerarchi da lui dipendenti.
datore d’istituti, ma educatore e promotore di vita
spirituale. Vuol rifare uon le forme della vita umana, ma il contenuto,
l’uomo, il carattere, la fede. E a questo fine vuole disciplina, e
autorità clie scenda addentro negli spiriti, e vi domini incontrastata »
(1). (1) Cfr. Per il settimo annuale della fondazione dei Fasci-.
«Voglio correggere gl’italiani da qualcuno dei loro difetti tradizionali. E li
correggerò... Se mi riuscirà, e se riuscirà al Fascismo di sagomare così
come io voglio il carattere degli Italiani, state tranquilli e certi e
sicuri che quando la ruota del destino passerà a portata delle nostre
mani, noi saremo pronti ad afferrarla e a piegarla alla nostra volontà ».
E Alle genti della Liguria (1926) diceva: «Noi governiamo il
popolo italiano con assoluta purezza d’intenti. Non siamo mossi da
stupide vanità e da ridicole ambizioni. Non ci consideriamo i padroni,
sibbène gii educatori di questo popolo che merita e avrà un sempre
migliore destino ». Il motto M.ano « Fare di tutta la propria vita tutto
il proprio capolavoro », comprende, dunque, nel suo programma, in quanto
uomo di governo, anche quel capolavoro, a cui egli attende assiduamente,
di educare « rifare la coscienza del popolo italiano. Poche pagine,
scritte quasi occasionalmente. Egli si preparò con la lettura del
Machiavelli, e di alcuni, pochi, scritti su lui ( 1) : « Ho riletto
attentamente il Principe e il resto delle opere del grande Segretario, ma
mi è mancato tempo e volontà per leggere tutto ciò che si è scritto in
Italia e nel mondo su Machiavelli ». Quanto si è scritto su Machiavelli!
Si vegga il Vil- lari, la letteratura citata nella celebrata sua opera, e
tutto quello che s’è scritto dopo sino a oggi. Il problema
dell’interpretazione e valutazione del Principe è ancora un problema
aperto: e si fa, sembra, più ardente e attuale ogni giorno.
Apparentemente, M. non dice nulla di nuovo, come dichiara egli stesso. Si
pone questa domanda : « A quattro secoli di distanza che cosa c’è ancora
di vivo nel Principe? ... Il valore del sistema politico del Principe
è circoscritto all’epoca in cui fu scritto, quindi necessariamente
limitato e in parte caduco, o non è invece universale e attuale? ». La risposta
si compone di due parti: la prima constata che, essendo la politica
l’arte di governare gli uomini, il suo elemento fondamentale è l’uomo; la
seconda stabilisce, con opportune citazioni, (( l’acuto pessimismo del
Machiavelli nei confronti della natiura umana ». (1) Per questa
preparazione si veggano i manoscritti diM. esposti alla Mostra della
Rivoluzione. Per runa e per l’altra parte è facile addurre che
quello era stato osservato e detto da altri molti. Si trova già in
Aristotele, ad esempio, questo pensiero: che l’uomo di governo («il
politico », egli diceva), dovendo procurare il bene dei governati, deve
conoscere profondamente la psicologia, perché soltanto così può fare (( i
cittadini buoni e obbedienti alle leggi ». E quanto al pessimismo
del Machiavelli (che traduce nel campo politico la concezione
cristiana della originaria malvagità della natura lunana), altri
l’avevano notato. Napoleone l’aveva condiviso in pieno. E tuttavia
queste poche pagine, nella loro scheletrica forma, hanno una strana
malia: hanno il fascino delle verità semplici ed elementari. Il
prof. Casella, deirUniversità di Firenze, ha recentemente curata una edizione
nuova, riveduta su codici, del Principe (Libreria d’Italia, Milano,
1929), e in fondo al volume ha posto le interpretazioni di Ugo Foscolo,
di Giuseppe Ferrari, di Francesco De Sanctis, di Alfredo Oriani e
di Benito M.. Perché mai il valente critico ha sentito bisogno di
aggiungere all’eletta schiera (basta il De Sanctis a illustrarla) anche M.?
Si potrebbe rispondere che, mentre gli altri si diffondono su l’aspetto
storico, su quello estetico, su quello scientifico o politico nel senso
angusto della parola (il F errar! e l’Oriani ne fanno una critica
spietata, fuori luogo infine). M. ha lasciato da parte il superfluo (1) e
l’incerto, ed ha fissato il punto essenziale del famosissimo trattato.
La risposta è giusta, e potrebbe bastare, per chi si contenta di
quello che le poche pagine dicono effettiva- (1) Non si vuol
comprendere come superfluo l’aspetto storico, né quello estetico: ma sì
vuol dire soltanto che l’essenziale, quello intorno a cni tanto ancora si
disputa, non è lì. mente. Ma, se uno le legge con gli occhi
— vorrei dire — di M., ci trova dentro, in iscorcio, tutto un mondo
di pensieri, ignoto agrinterpreti precedenti: ci trova dentro un Machiavelli
quale soltanto un uomo come M. poteva vedere, e ha veduto. Un Machiavelli
guardato alla luce del nuovo concetto che dello Stato ha il Fascismo.
M. non ha avuto né tempo né voglia di chiarire la differenza fra la
dottrina del Machiavelli, così come si presenta nel Principe, e la
dottrina fascista. Differenza enorme! abisso incolmabile! Meglio:
colmabile con tutta l’esperienza sociale, politica e morale, dei
secoli intermedi. Manca, infatti, nel Principe l’esperienza del
passaggio dalla politica italiana del tempo delle Signorie a quella
europea delle grandi Monarchie nazionali, dei governi assoluti e dei
principi riformatori; manca la rivoluzione francese con la rivendicazione dei
diritti dell’uomo, e la conseguente rivoluzione liberale ed economica
attraverso tutto il secolo scorso. Manca, per chi bene intende il valore
del termine, tutto il contenuto spirituale dello Stato fascista, nettamente.
E tuttavia, in questa lontananza di secoli e in questa vuotezza di
contenuto dello Stato machiavellico, M. ha pur veduto in fondo al Principe le
due sole cose- che lo fanno ancor oggi un monumento di sapienza politica
incomparabile, per le quali ha resistito alia diversità dei tempi e dei
climi mentali, e resisterà ancora. L’una è i’iunanità pura, la laicità,
come carattere fondamentale della vita politica e dello Stato moderno ;
l’altra è la forma caotica, anarchica, amorale, in cui si presenta
Fumanità come massa, come popolo non ancora educato alla vita
politica, non ordinato e guidato dallo Stato e da un Governo ( 1).
(1) Nei Colloqui (pag. 131) M. ricorda il motto di HegeL per cui «il
popolo è queUa parte della nazione che non sa quello che vuole ».
Quello che M. sottintende è il contenuto spirituale che dà egli stesso
allo Stato machiavellico. Quella laicità non ignora il problema religioso
(e neppure Machiavelli, in verità, l’ignorava); quel Principe, ch’è
Stato e Capo di governo, per quanto trascenda con la sua autorità la
massa, non è estraneo a essa: non è un despota, una volontà arbitraria,
che, affidandosi all’astuzia, alla forza 0 al caso, s’impadronisca della
massa cittadina e senza scrupolo la maneggi, quasi materia da plasmare
per suo solo gusto o interesse particolare. Il Capo è volontà che
in sé illumina e potenzia la volontà oscura e fiacca della massa, e
personifica nella personalità propria le aspirazioni e le virtù dei
migliori che costituiscono la tradizione più degna e viva della nazione.
Egli si sente responsabile innanzi a Dio e al mondo intero.
Soltanto così lo Stato fascista può diventare ima potenza che s’inserisce
nella storia e concorre allo svolgimento della civiltà umana. <( Incontestabile merito del
Fascismo è di aver datO' aglTtaliani il senso dello Stato. Tutto quello
che abbiamo fatto e che vi ho riassunto, scompare di fronte a ciò
che abbiamo fatto creando lo Stato. Per il Fascismo lo Stato non è
il guardiano notturno, che si occupa soltanto della sicurezza personale
dei cittadini: non è nemmeno un’organizzazione a fine puramente materiale, come
quello di garantire un certo benessere e una relativa pacifica convivenza
sociale, nel qual caso, a realizzarlo, basterebbe un consiglio di
amministrazione; non è nemmeno una creazione di politica pura, senza
aderenze con la realtà mutevole e complessa della vita dei singoli e di
quella dei popoli. Lo Stato, cosi come il Fascismo lo concepisce e
l’attua, è un fatto spirituale e morale, poiché concreta l’organizzazione
politica, giuridica, economica della na¬ zione; e tale organizzazione è,
nel suo sorgere e nel suo sviluppo, una manifestazione dello spirito. Lo
Stato è ga¬ rante della sicurezza interna ed esterna, ma è anche il
custode e il trasmettitore dello spirito del popolo così come fu dai
secoli elaborato nella lingua, nel costume, nella fede. Lo Stato non è
solamente presente, ma è anche passato e, sopra tutto, futuro. È lo Stato
che, trascendendo il limite breve delle vite individuali, rappresenta la
coscienza immanente della nazione. Le forme in cui gli Stati si
esprimono, mutano, ma la necessità rimane. È lo Stato che educa i
cittadini alla virtù civile; li rende consapevoli della loro missione; li
sollecita all’unità, armonizza i loro interessi nella giustizia; tramanda le
conquiste del pensiero nelle scienze, nelle arti, nel diritto, nell’umana
solidarietà; porta gli uomini dalla vita elementare delle tribù alla più alta
espressione di potenza umana che è l’Impero; affida ai secoli i nomi di
coloro che morirono per la' sua integrità e per ubbidire alle sue leggi;
addita come esempio, e raccomanda alle generazioni che verranno, i
capitani che lo accrebbero di territorio, o i geni che lo illuminarono di
gloria. Quando declina il senso dello Stato e prevalgono le tendenze
dissociatrici e centrifughe degl’individui o dei gruppi, le società
nazionali volgono al tramonto ». {All’assemblea quinquennale del
Regime, 1929). ^ Abbiamo già notato (pag. 33) che queste
parole dànno <( il senso dello Stato », creato dal Fascismo, meglio
di tutte le teorie che si attardano ancora nei vecchi schemi della
scienza politica. Ora ci domandiamo: che cos’è questo senso dello Stato che il
Fascismo, M., ha creato nella coscienza degl’italiani, e come s’inserisce
nella nostra tradizione politica? È forse un’apparizione casuale,
che può esser, quindi, anche effimera? Che non sia tale, credo che
basti a dimostrarlo il fatto che M. stesso sente il Fascismo come una
continuazione e uno sviluppo dell’opera iniziatasi col Risorgimento : (( Il
Risorgimento non è stato che l’inizio, poiché fu l’opera di troppo esigue
minoranze ». {Messaggio per Vanno nono ». Il che non porta alla
conchiusione che il problema del Fascismo sia lo stesso di quello
del Risorgimento : « Io penso che una rivoluzione è rivoluzione solo in
quanto affronta e risolve i problemi storici di un popolo. È una
rivoluzione il Risorgimento perché affrontò il problema capitale
dell’unità e deU’indipentlenza italiana; rivoluzione è quella fascista che crea
il senso dello Stato e risolve, man mano che si presentano, i
problemi che il passato le ha lasciato ». (Stt gli Accordi del Laterano,
alla Camera). Qui è già indicata la differenza: il Risorgimento ebbe per scopo
l’indipendenza e l’unità della nazione, e creò lo Stato italiano come
affermazione di tale indipendenza e unità nazionale. Lo Stato, qui, è
ancora una forma, un mezzo per un contenuto diverso da essa: non è il problema
dello Stato per se stesso. Pure, dopo la costituzione dell’unità
nazionale, quando nel 1876 venne la Sinistra al potere, non mancò tra
gli uomini della vecchia Destra chi avvertì che lo Stato è qualcosa
più di una forma meramente estrinseca, e pose sin d’allora il problema in
termini abbastanza vicini a quelli in cui l’ha posto M.. Si vegga,
infatti, il volumetto pubblicato dal Gentile col titolo: Francesco
Fiorentino: Lo Stato Moderno e le polemiche liberali (De Alberti, Roma,
1924). In esso, a pag. 14 e segg., è riportato il concetto che dello
Stato ebbe Silvio Spaventa : « Lo Stato per me è la coscienza direttiva,
per cui una nazione sa di essere guidata nelle sue vie, la società si
sente sicura nelle sue istituzioni, i cittadini si veggono tutelati negli
averi e nelle persone. Nello Stato, adunque, avvi giustizia, difesa,
direzione. Questa direzione fa dello Stato quello che è oggi lo Stato
moderno: lo Stato, il quale dirige un popolo verso la civiltà; lo Stato,
il quale non si restringe solamente a distribuire la giustizia ed a
difendere la società, ma vuole dirigerla per quelle vie che conducono ai fini
più alti dell’umanità ». E lo stesso Spaventa altrove: « Quanto
all’autorità e forza dello Stato, ho riflettuto molte volte sopra le
accuse e i lamenti che si sono fatti di questa eccessiva forza ed
autorità; e mi sono domandato: siamo noi uno Stato forte davvero? Abbiamo
fatto l’unità d’Italia: credete che questa unità sia già forte da resistere
agli luti dei secoli? Il Machiavelli diceva che gli Stati nuovi che sono
deboli. 6Ì perdono. Ora la forza e autorità vera degli Stati consiste,
oggi più che mai, nel rappresentare veramente ed efficacemente
gl’interessi comuni: nel dirigere, come dicevo, la società nelle sue vie, non a
prò di questa o quella classe, di questo o quell’uomo, sihbene di tutti.
— Voi siete adoratore dello Stato? — Sì, io sono adoratore dello
Stato. Quando viviamo in un’epoca, dove tutto si distrugge, poeo o niente
si edifica, la fede nella patria e la fede nella solidarietà lunana, la
fede in qualche cosa che non sia solamente il nostro miserabile egoismo,
questa fede io la credo necessaria e salutare per il mio paese ».
Il Fiorentino elabora e svolge ampiamente il concetto spaventiano. «
Dirigere non è manomettere, non è violentare, non è distruggere. Dato uno Stato
che sappia e che voglia, è impossibile che non manifesti la sua
coscienza; e manifestandola, è impossibile che non comprenda, non
unifiehi, non indirizzi la coscienza nazionale pei gloriosi sentieri
della civiltà universale. O forse, per ovviare a questa legittima
intromissione dello Stato, si vorrebbe che non fosse altro che vuota
forma, destituito di autorità, non avente una finalità propria? — Oggi lo Stato
è fatto mezzo all’individuo, come anticamente l’individuo era mezzo
allo Stato. La verità consiste nella conciliazione di sì opposte
sentenze. Lo Stato tutela ed assicura l’individuo, e come tale è mezzo; ma egli
esige dagl’individui il sacrificio degli averi, della vita, e qui
dimostra e fa valere la propria finabtà. Di che riluce la varia misura in
cui stanno i due termini nel vicendevole rapporto: lo Stato può
richiedere il sacrificio dell’indivìduo; ma non viceversa. Onde tra le
due esagerazioni, dello Stato antico e di quello concepito dagli uomini di
Manchester, la prima rasenta il vero più della seconda » (pag. 41 e
segg.). E anche nel Fiorentino l’idea si anima nel sentimento sino a
raggiungere quello che M. chiama il senso dello Stato: (( Che qualcuno,
attirato da vecchie, astratte e straniere dottrine, si ostini a negare
perfino la Quaderni IV, 5. realtà dello Stato;
ovvero ne ammetta imo vacuo di ogni attività, privo di ogni efficacia,
ciò non mi storna dall’in- vitta fede che ho nel fato della storia, e
specialmente della storia nostra. — Dov’è lo Stato? chiedono
costoro; chi lo vede? Per le vie non s’incontrano se non individui:
lo Stato è una fimzione, una idea astratta. — Poveri a noi, se non
fossero reali se non le cose sole che si vedono e si toccano! Neppure la
provincia, neppure il comune si vedono: non si vede neppure la vantata
libertà degl’individui, quella in grazia di cui s’impugna la realtà dello
Stato. La libertà, quando si traduce in fatti (ed allora soltanto si
vede), non è più libertà, ma forza, semplice forza. Se non restiamo
immersi nella stupidità della vita animalesca, lo dobbiamo appunto a
questo qualcosa d’invisibile e intangibile, contro cui a torto ci ribelliamo.
— Ma non si vede proprio lo Stato? Non si avvertono le sue
funzioni? Il contrario è anzi la verità. Oveché ci voltiamo. 10 Stato,
quasi atmosfera spirituale, ci accerchia e compenetra: non un atto solo della
nostra vita veramente umana gli sfugge, né per questo cessa di esser
libero: che libertà non significa arbitrio. La mente dello Stato
delibera nel parlamento; il suo criterio giudica nei tribunali ; la sua volontà
si compie nei gabinetti dei ministri ; 11 suo braccio colpisce con la
forza dei suoi eserciti. Dai merlati bastioni egli assicura le frontiere
delle sue terre, dalla tolda delle sue navi protegge le coste delle sue
marine. All’ombra della sua bandiera, simbolo della sua potenza, i cittadini,
ovunque essa sventoli, si sentono protetti e sicuri; e quando quella
potenza è minacciata, tutti sentono nella coscienza l’offesa di quella
minaccia, tutti il bisogno ed il dovere di rintuzzarla: né v’ha
sacrificio che arresti quest’impeto generoso e concorde, fosse anche
quello della propria persona, È forse una finzione chi fa tutto
questo? O non è il più pieno e attuoso ideale? E questo ideale, che
accende gli entusiasmi delle moltitudini, guida pure i propositi
dell’uomo di Stato » (pag. 46 e segg.). Il senso della vita politica,
dello Stato, l’Italia l’Iia ereditato da Roma. Le durissime esperienze durante
l’evo medio e moderno — invasioni e predomini di genti straniere, lotte
senza fine fra comuni e signori italiani o fra potenze che venivano qui a
decidere le loro questioni per l’egemonia mondiale — hanno raffinato e
approfondito quel senso come in nessun altro popolo. Di qui sono
usciti in ogni tem,po i primi maestri della storiografia politica, del
diritto, delle teorie intorno allo Stato. Il Fascismo, riprendendo il problema
della Destra, riprende il problema della nostra tradizione millenaria più
che secolare. Resta, tuttavia, ancora una questione: constatato
che, ciò che M. chiama il senso dello Stato, ha un precedente prossimo in
alcuni pensatori del Risorgimento, — quale, poi, è la differenza tra il
senso ch’egli rivendica come creazione propria del fascismo, e quello di
tali vecchi liberali? Dopo quanto si è accennato a pag. 33, la
nostra risposta non può essere che questa: per quanto quei pensatori
si avvicinino al senso fascista dello Stato, questa realtà dello
Stato svanisce o in un’affermazione generale della realtà di ogni ideale
che stringa gl’individui in una comunità di vita spirituale, ovvero
nell’astrattezza della pura forma politica dello Stato: astrattezza, alla
quale uomini come lo Spaventa e il Fiorentino si sforzano di dare
un’anima e una vita nel loro sentimento profondamente patriottico.
Si rileggano i passi addotti. Lo Stato è, per essi, una coscienza direttiva,
che ha la realtà stessa del comune e della provincia, salvo che comprende
e promuove tutte le forme della vita civile di un popolo e la tutela della
sua indi- pendenza. Esso compie tale sua funzione per mezzo dei
suoi organi legislativi, esecutivi, giudiziari, militari. È, dunque, lo Stato
quale (( organismo giuridico-politico », lo Quaderni Stato
Costituzionale », che qui si ha presente. In esso si dovrebbe esprimere
quella « volontà comune », che supera la volontà dei singoli solo perché è cosi
definita. Ma tale « comunità » si prestò troppo bene a quella
interpretazione democratica, per la quale, non essendo essa, in realtà,
la volontà concreta di nessuno in particolare, e non essendo d’altronde
facile constatarla per tutti, potè diventare la volontà della maggioranza. Che
è il baco roditore del liberalismo, anche di quello più tenacemente
attaccato all’idea della forza e autorità dello Stato. Di qui, anche, la
frigidità di questo Stato. L’individuo lo sente fuori di sé, e ha bisogno
infatti di persuadersi di dovergli obbedire. Questo accade sempre che
l’autorità si presenti nella forma soltanto di una « legge » : di una
legge che non sia ima persona viva, alla quale ci leghi il sentimento di
amore e di devozione. L’uomo religioso, che la sa, istintivamente, più
lunga del filosofo razionalista, sia pur questi un Emanuele Kant, non
ammette un « imperativo categorico », una legge morale, che non sia l’espressione
di una volontà superiore, di Dio. E similmente, il fanciullo che non ha
bisogno di persuadersi dell’autorità del padre e della madre, perché
quell’autorità è per lui cosa viva, la sua stessa vita attuale e
condizione del suo avvenire. Il senso dello Stato che il Fascismo, M.,
ha creato, e sta creando, è questo sentire nello Stato la forma più
alta, più ricca e concreta, della nostra esistenza e personalità storicamente
determinata in quella famiglia, società, patria o nazione, in cui Dio (altri
dica il destino) ci ha fatto nascere. Ognuno a un posto ch’è di
comando e insieme di obbedienza. Ognuno con una responsabilità ben
determinata: a cominciare da chi dirige tutti gli altri. Mondo di
personalità, dove soltanto la persona è legge concreta alla persona.
Soltanto in questo modo, l’individuo può dare tutto se stesso,
pènsiero e azione, intelligenza e volontà, interessi materiali e
spirituali, la stessa vita, per quella che si dice
(( la causa comune ». Soltanto così, lo Stato si può porre come
educatore, nel senso più grandioso della parola: ch’è il senso stesso
dello Stato a cui, se non erriamo, va la mente di M. (1).
(1) S’intende che questo senso dello Stato trova un’espressione eccezionalmente
persuasiva nella personalità di un Capo di Governo come M.. Ogni altro
dovrebbe (oltre le qualità personali che impongono autorità per se
stesse) poter dire come lui: «Io ho una vasta esperienza che mi ha reso
possibile conoscere la psicologia delle masse, e di avere quasi una sensibilità
tattile e visiva di quello che le masse vogliono, pensano in un determinato
momento » (La funzione storica del sindacalismo fascista, 1926). E però,
anche: «Se qualcuno attentasse alla nostra indipendenza o al nostro
avvenire, egli non sa ancora a quale temperatura io porterei tutto il
popolo italiano! Non sa a quale temperatura io porterei la passione di
tutto il popolo italiano, quando fosse insidiata nei suoi sviluppi la
Rivoluzione deUe Camicie Nere » (Discorso di Livorno, 1930). E già Nel
quinto anniversario della fondazione dei Fasci (1924): «Si dice: voi governate
con la forza... Ma la forza è il consenso. Non vi può esser forza se non
c’è consenso, e il consenso non esiste se non c’è la forza... Governare
significa sentire nel proprio cuore battere il cuore di tutto il popolo
». Governo forte è, dunque, queUo che persuade, ha l’intimo consenso
dei governati; ed ha questo consenso perché la sua volontà è forte,
s’impone per se stessa, non per una legge anonima, astratta. Qui è
esplicitamente definito il senso fascista dello Stato, che non è forte
solo perché fa, semplicemente, rispettare la legge. Nella
conchiusione del nostro scritto precedente abbiamo accennato all’idea (potremmo
dire, Faugurio) che la conciliazione fra lo Stato e la Chiesa, avvenuta
per opera di M., segni il principio, non soltanto di una nuova
concezione, veramente religiosa, dello Stato moderno in generale, ma anche di
un possibile rinnovamento della Chiesa Cattolica nel senso di una più
generale conciliazione fra essa e il pensiero moderno. Ma, poiché
l’autore di questo scritto può, giustamente, essere in sospetto per la
sua provenienza dalla filosofia neoidealistica italiana, che non è ortodossa, è
bene, penso, che il lettore senta anche la parola di persona proveniente,
in questo punto, dal campo opposto. Ecco, dunque, il Barnes, del
quale abbiamo già avuto occasione di citare il volume Gli aspetti
universali del Fascismo, con prefazione di M., il quale assicura che ((
il Barnes è preparato al suo compito: conosce il Fascismo nella sua
elaborazione dottrinale e nelle sue realizzazioni pratiche » (pag. 8).
Egli non è un filosofo di professione ; ma, poiché di una filosofia non
poteva far a meno per il suo argomento, professa di aderire alla
filosofia che oggi combatte l’idealismo per un ritorno all’(( incomparabile
dottrina )) di S. Tommaso: «Io penso che il neoscolasticismo sia, preso
nella sua totalità, la più vitale scuola filosofica dell’Europa odierna,
e quella che più di ogni altra sia capace di assimilare quanto di veramente
importante vi sia nelle altre scuole, contribuendo, cosi, allo sviluppo
del progresso filosofico » (pag. 25). E per essere più sicuro di
interpretare bene questa dottrina, si è rivolto a un professore di teologia
dogmatica della Pontificia Università Gregoriana di Roma, il quale lesse il suo
manoscritto e lo aiutò « a rendere il testo più accurato nella sua parte
filosofica )). Si può, dunque, stare tranquilli. Si noti che il
libro del Barnes è stato pubblicato prima della Conciliazione: il che fa
onore alla sua perspicacia, come ora diremo. Che dice, dunque, il
libro del Barnes? «Esso è stato, in parte, scritto con lo scopo di
dimostrare che il Fascismo non è incompatibile con gl’insegnamenti della
Chiesa cattolica, e sopratutto che i principii fondamentali della Chiesa,
nei riguardi della natura e finalità di uno Stato, sono interamente e
veramente consoni a quelli che ha abbracciato quel gruppo di fascisti che
rappresenta, di fatto, la corrente principale di questo movimento. Questa
è, secondo me, l’idea centrale, il fulcro del movimento fascista: l’assoluto
disdegno di ogni materialismo, di ogni teoria naturalistica dello Stato,
siano esse del tipo professato da Maurras o da Marx o da Hegel, da Rousseau e
dagli altri innumerevoli filosofi pullulati non appena la cultura
cessò di avere le sue radici nel pensiero cristiano... Io non esagero.
Questa è, secondo me, l’origine della Rivoluzione fascista, che può
essere generalmente definita una furiosa rivolta contro le varie forme di
materialismo che dall'epoca della Rinascenza pagana hanno chiaramente
dominato la nostra civiltà » (pag. 14 e segg.). Che il Fascismo, nella
sua dottrina, sia contro il materialismo, e però sia su una linea dì
spiritualismo, non saremo, certamente, noi a porre in dubbio: ci sono
troppe esplicite dichiarazioni, su questo, di M. stesso. Ma che
dalla Rinascenza a oggi la filosofia moderna non sia altro che
materialismo, è, questo, un paradosso che non ha bisogno di confutazione:
si presenta da sé come un errore evidente. E sarebbe troppo facile (e
perciò vi rinunciamo) ritorcere l’accusa proprio contro la dottrina
scolastica, o neoscolastica, dimostrando che, se ce n’è una che sostenga
la (( teoria naturalistica dello Stato », è quella. Noi non
abbiamo nessun interesse, qui, a metterci in discussione col Barnes per
la sua filosofia. Anzi, l’interesse maggiore per noi è proprio il fatto
che siamo agli antipodi nel modo di pensare, e tuttavia (e questo è un
fatto che ha estremo interesse per tutti) concordiamo nelle con-
chiusioni. Dopo, dunque, aver constatata la consonanza dei prin-
cipii fondamentali della Chiesa cattolica con i principii fondamentali del
Fascismo, il Barnes soggiunge: « Non si deve, per questo, ritenere il
Fascismo legato necessariamente all’ortodossia. Questo oramai è per me chiaro e
vi sono molti italiani, fascisti, che rigetterebbero energicamente una
simile affermazione. Con loro, l’intera e forte scuola dei neoidealisti e
Gentile ripudierebbero questa teoria. Se io avessi posto questa
distinzione avrei meglio chiarito la portata universale del Fascismo.
Nonostante ciò, io sostengo la mia tesi principale: io rimango convinto
che il Fascismo, non solo sarà il mezzo per conciliare il disaccordo tra
Chiesa e Stato in Italia; ma farà sì che, sotto il suo sforzo, sia
possibile alla Chiesa assimilare la cultura moderna. Io ritengo che
le conseguenze del Fascismo saranno tremende nei riguardi della
Chiesa. Sono d’opinione che il risorgere dell’ortodossia col Fascismo,
affermerà vittoriosa questa tendenza. Lai Chiesa dovrà allora convincersi
di non esser più una rocca chiusa, e, nell’assimilare la cultura moderna,
dovrà perdere ogni sua diffidenza verso di questa e riassumere, ancora
una volta, le direttive della cultura umana moderna » (pag. 17 e seg.).
Alla huon’ora! Dunque, le conseguenze del Fascismo saranno tremende nei
riguardi della Chiesa, perché costringe la Chiesa cattolica a rinnovarsi, a
mutare il suo atteg- giumento verso la cultura moderna (1).
Possiamo, allora, accettare anche questa conchiusione del Barnes:
«Riassumendo, io sostengo che il Fascismo è il principio di una
nuova sintesi politica e culturale, in cui. prendendo a paragone
un’elissi, la tradizione romana dell’autorità sia politica che ecclesiastica
rappresenterà i fuochi. Questa è una profezia, e solo il tempo potrà
dimostrare se io abbia o no ragione » (ivi). Come la pensa il
nostro Duce in proposito? Non è troppo azzardato, noi crediamo, di
supporre che egli la pensi, per l’appunto, cosi, o in un modo vicino a
questo. Lo si può arguire anche dal fatto che — per quanto egli
distingua fra credenti e praticanti (« partecipare al culto è affare
personale »: Colloqui, pag. 173) — pure non esclude che un fascista possa
essere cattolico nel senso più ortodosso. Disse di Michele Bianchi:
«Voglio anche ricordare il modo della sua fine. L’uomo che aveva
strenuamente combattuto per un decennio sotto i duri simboli delle
verghe e della scure, volle cattolicamente morire nel conforto dei
riti e delle speranze, della millenaria religione del popolo italiano »
(1930). E di Arnaldo: « Egli era un cattolico convinto e praticante, ma
altrettanto convinto e fermissimo Mi ci) Ripetiamo: la polemica
filosofica non c’interessa qui. Ma ognuno vede la contraddizione, in cui
cade U Barnes, nel suo giudizio su il pensiero e la, cultura svoltasi dal
Rinascimento ai nostri giorni. Quando la Chiesa si sarà rinnovata — egli
aggiunge — « cesseranno di esistere le menzogne contenute nel neoidealismo e
nel modernismo, e questi sistemi non saranno, in complesso, più ricordati
che come sintomi della rivolta, come strumenti del periodo di transizione
» (pag. 18). Sino a quel eiomo. dun-qne. sembra che le menzogne del
neoidealismo e del modernismo abbiano vnsj loro ragion d’essere e verità
degna di molto rispetto. lite della Rivoluzione e difensore dei legittimi
diritti dello Stato» (Fifa, pag. 58). Il problema, infatti, non è
un problema cbe si possa risolvere su la carta: è un problema di fede,
oltreché di pensiero; e va vissuto dall’individuo nella sua pura
interiorità, prima ancora che dibattuto fra i due maggiori istituti storici
quali lo Stato e la Chiesa. Pa . ... 43 II. Il senso d’interiorità
... .46 III. Positivismo, idealismo e spiritualismo . .43 IV. Il
Preludio a Machiavelli . . 58 V. n senso dello Stato . . .62 VI. Il problema del
Caltolicismo . . 70 In his history of philosophy for ‘i licei classici’,
he rewrote his Manuale di filosofia into a ‘Sommario’. – The history goes smoothly
up to Kant. The third volume is about M.. He is the only philosopher he cares
to capitalize. He also capitalizes fascism into FASCISMO, which is odd seeing
that his main source is M.’s own entry for ‘fascismo’ in the Treccani which
does not give it such a status. The third volume is ITALO-CENTRIC, from VICO
onwards, FARLINGIERI, and notably GENTILE to end with M.. The idea is presented
by L. as a ‘riconstruzione dello stato’ – we are talking of the ‘stato moderno’
– il stato liberale borghese is in ruins – and although he plays with the
‘socialist state’ he does not consider it within the realm of the proper history
of philosophy when he talks of French illuminism. So his concern is wht the
idea of the state in the liberal party – the philosophy of the laissez-faire.
It provides NEGATIVE freedom. Freedom from the other. And there is competition.
Also, as he notes, liberalism lies in that the ‘condizioni iniziali’ are hardly
‘equal’ for every member of society, so that liberalism only pays lip service
to ‘liberale’. With the socialist state, the problem is the opposite: the state
becomes a gestore – and there is this idea of an endless dialectic among the
classes. So how does M. reconstruct all this. He calls it ‘stato fascista’ –
Had L. continued from Kant to Fichte and Hegel, the student would be more
prepared! M.’s idea of the state is Hegel’s – it is the NAZIONE-STATO. While M.
speaks of the ‘individui’ of this nazione, he means the Italians (not the Jews,
etc.). SO this NAZIONE however, is MORE than the sum of its individui.
Individui come and go – but the state remains. The state becomes governo. M.’s
prose is machist and homosocial, and Lamanna has to lower down the rhetoric,
but nothing is said about Germany. It is ITALY which is seen as proposing this
new or novel idea of the state (after la rivoluzione fascista) with a Kantian
approach. Since L. has only read Kant seriously, he applies Kantian categories
here: M.’s fascist state gives each individual POSITIVE freedom – to be a slave
to the CAPO or Duce who ‘knows’ how to command. L. quotes from CICERONE to the
effect that it is obeying the law that makes us free. The emphasis is
constantly on the azione or prassi, which is understandable since the pupils
are supposed to learn about philosophy. So where is the dotttina? M. is candid
about this. When ‘I all started it’ I did not know where I was going. It was
the ANTI-PARTY movement --. L. provides the editorial. During the ventennio,
this action, which is the INSTINCTIVE FORCE OF THE SPIRIT OF THE NATION,
becomes legalistic, a party is formed, and indeed a government (polizia,
politeia) established. But M. accepts castes in society. Even the religion, a
civil religion, is subdued and one can very well be allowed to worthip the God
of the Heroes. It is an ‘etica guerriera’ and it targets the male – virtu,
andreia. Being commanded by one know knows is a privilege. Ths is interesting
because this is conceived after the temporary successes in Africa – M. romano e
africano – and before the problems of the second world war. For the first time,
Italians FEEL they are part of a NATION. The seeds are in the Risorgimento, but
this got stuck with a liberal kind of state, which only provides negative
freedom, anyway, and where the initial conditions are unequal. Lo stato fascista does not play with
parlamentarism, so Congress is closed, and the only party is the national
party. Jews are excluded from PUBLIC service -- even if some wrote panegirici
for fascism, like Mondolfo. The philosophical foundations are found in Hegel.
If Hegel concentrated all in the Kaiser of Prussia, M. does so with himself.
GENTILE did not really help, although he was the official voice of fascist
philosophy --. The student of philosophy then is taught the lessons of history
(philosophy is IDENTIFIED with its history) and indoctrinated in the final stages
into a particular IDEOLOGY. The tone is catechistic, and there is no idea of
dissent. L. however emphasises that the stato fascista still recognizes the
indidivuality and the personality of each member – as the stato comunista or
socialista would not!” Tra gli scritti
di M. figurano, in ordine di
pubblicazione: Dio e patria nel pensiero
dei rinnegati, New York, s.n., 1904. L'Uomo e la Divinità. Contraddittorio
avuto col pastore evangelista Alfredo Taglialatela la sera del 26 marzo 1904
alla "Maison du peuple" di Losanna, Lugano, Cooperativa tipografica
sociale, 1904. [Testo di una conferenza tenuta a Losanna per commemorare la
Comune di Parigi, conosciuto anche col titolo di Dio non esiste, col quale
viene a volte ristampato] La filosofia della forza. Postille alla conferenza
dell'on. Treves, Predappio 1908. Pio Battistini, 7 settembre 1891. Discorso
commemorativo, pronunciato nel diciannovesimo anniversario dell'assassinio,
Forlì, Lotta di Classe, 1910. Claudia Particella. L'amante del cardinale, romanzo
pubblicato a puntate su "Il Popolo", Trento, 1910. Il Trentino veduto
da un socialista. Note e notizie, Firenze, La rinascita del libro, 1911. La mia
vita dal 29 luglio 1883 al 23 novembre 1911(1911-12), Roma, Editrice Faro,
1947. Giovanni Huss. Il veridico, Roma, Podrecca e Galantara, 1913. [pubblicato
nella collana de «I martiri del libero pensiero» col dichiarato intento di
suscitare nei lettori «l'odio per qualunque forma di tirannia spirituale e
profana», fu dall'autore censurato nel 1921 e, dopo la stipula del Concordato
del 1929, scomparve dalle biblioteche e dalle librerie] La guerra per la
libertà e per la fine della guerra. Lettera ai socialisti d'Italia di Benito M.
con l'aggiunta delle sue ultime
dichiarazioni dopo le dimissioni da direttore dell'Avanti, Firenze, Nerbini,
1914. Il mio diario di guerra (1915 - 1917), Milano, Imperia, 1923. My
Autobiography, New York City, Charles Scribner's Sons, 1928 [pubblicato
inizialmente a puntate sul Saturday Evening Post e poi in volume nello stesso
anno il libro, scritto come opera di propaganda per i lettori americani, è
stato scritto in realtà dall'ambasciatore statunitense Richard Washburn Child,
il quale viene riportato come "traduttore", insieme a Luigi Barzini
con materiale fornito da Margherita Sarfatti e con la possibile collaborazione
di Arnaldo M. . Il libro vide la sua prima traduzione italiana solo nel 1971
come La mia vita, da non confondersi con La mia vita dal 29 luglio 1883 al 23
novembre 1911 spesso ristampato e riportato abbreviato con lo stesso
titolo][323] La dottrina del fascismo, 1932[324] Vita di Arnaldo, Milano, Il
Popolo d'Italia, 1932. Scritti e discorsi di Benito M., 12 voll., Milano,
Hoepli, 1934-1940. Parlo con Bruno, Milano, Il Popolo d'Italia, 1941. Storia di
un anno. Il tempo del bastone e della carota, Milano, Mondadori, 1944 (
versione digitalizzata.). Memoriale del nord del duce, (scritto tra il 1944 e
il 1945, mai pubblicato) Opera omnia di Benito M., 44 voll., a cura di Edoardo
e Duilio Susmel, La Fenice Firenze 1951-1963, poi Volpe Roma 1978-1980. Note ^
E. Bertoni, Aurelio Saffi. L'ultimo "vescovo" di Mazzini, Forlì,
Cartacanta. ^ Sulla questione della meta finale di M. la comunità scientifica è tuttora divisa fra
sostenitori di una possibile "fuga in Svizzera" e coloro che invece
ritengono che M. avesse altri scopi
immediati. ^ Per la tesi a favore di una fuga, vedi, per esempio Aurelio Lepre,
La storia della repubblica di M. ; Salò: il tempo dell'odio e della violenza,
1ª ed., Mondadori, 1999, p. 300, ISBN 88-04-45898-4. «Svanita ogni speranza di
trattare, cercò la salvezza personale nella fuga. In questo non si comportò
diversamente da come si erano comportati Vittorio Emanuele III e Badoglio l'8
settembre, perché lasciò gli uomini che gli erano rimasti fedeli senza ordini e
senza guida. Visto, infatti, dall'interno, con gli occhi degli uomini che gli
erano più vicini, il comportamento di M. non appare dissimile da quello di Vittorio
Emanuele III così come è stato descritto da Paolo Puntoni» ^ Per la tesi a
favore di una fuga, vedi anche Franco Bandini, Vita e morte segreta di M., 3ª,
1981, Mondadori, 1978, p. 318. «(Dal capitolo "Il tiranno è morto",
premettendo i seguenti fatti all'epilogo) Occorre cominciare appena un poco più
indietro, nel momento in cui M. – spinto
da un cupo demone – si avvia con passi esitanti e già guidati da una sottile
paura, a quella fuga che sarà, prima dell'altra, la sua vera morte. Dimentico
di se stesso, di una vita pur sempre cominciata nelle battaglie e nel rischio,
incurante dell'ancor possibile rispetto e dei suoi e della Storia, che non
assolve, ma pesa ogni atto dell'uomo potente su bilance inesorabili, M. sceglie di cadere da vile, ingannando,
moralmente uccidendo coloro che gli sono ancora rimasti fedeli, pur nella
certezza della fine imminente. Va stancamente, miserabilmente verso il nord,
mezzo inclinato alla fuga in Svizzera, mezzo turbato dai fieri propositi che
ode attorno a sé, per "l'ultima battaglia" in Valtellina: e rivolge
nel pensiero non la forte accettazione del fato che si compie, ma i cavillosi
punti della sua difesa di domani, quando – come spera – potrà ancora allineare
fiumi di logore parole e giocare su vecchi e nuovi equivoci e forse galleggiare
indefinitamente sullo scontro degli opposti giudizi, come il sargasso immobile
tra il turbinare delle correnti. È disposto a tutto, anche al cappotto tedesco,
anche a tradire chi vorrebbe ancora morire per lui, i vecchi fascisti, i suoi
ministri, persino Claretta: e finge irresolutezza fin dal momento della
Prefettura di Milano, la sera del 25 aprile, non perché sia davvero incerto tra
la morte e la vita, ma perché – ancora una volta – è incapace di dire
"andiamo" e preferisce che lo dicano altri, che la cosa "nasca
da sola", perché ha forse già in mente altri articoli "del tempo del
bastone e della carota", destinati ad illustrare come questi nuovi passi
che sta facendo siano colpa di questo e di quello, di cardinali e militari, di
traditori e servizi segreti, di tutti, meno che sua» ^ Il colonnello
statunitense Lada Mocarski, in un rapporto scritto per conto dell'Office of
Strategic Services riguardo un'inchiesta da lui condotta sugli ultimi giorni
del dittatore, afferma invece che «nessuna prova circa le intenzioni e i piani
di M. è stata raggiunta durante
l'indagine e forse non esisteva alcun piano definito. È infatti ovvio che i
movimenti del Duce fossero il risultato di improvvisazioni non appena le
condizioni di fatto cambiavano». Dino Messina, Ordine da Milano: eliminate il
Duce, in Corriere della Sera, 23 febbraio 2009. URL consultato il 20 ottobre
2011. ^ Antonio Spinosa, "Parte quarta: Il cappotto tedesco. Infauste
sponde", in M. . Il fascino di un dittatore, Milano, Mondadori, 1989, p.
367. «Imbruniva quando una colonna di automobili lasciava la prefettura e usciva
da Milano, la città in cui ormai tutti gli tendevano una trappola, i
partigiani, i tedeschi, gli alleati. Doveva fuggirne per evitare il peggio.
[...] Già quella sera, a tarda ora, si apprese che le auto fuggitive avevano
raggiunto Como [...]» ^ Fra i molti, da Renzo De Felice, in diverse opere, e
Denis Mack Smith in M. . ^ Palla, p. 15. ^ cit. D. Mack Smith, Storia d'Italia,
Laterza, 1973, rectius Renzo De Felice, M. il rivoluzionario, Einaudi, pp. 12 e 13. ^ De
Giorgi, p. 22. ^ De Giorgi, p. 21. ^ De Giorgi, p. 24. ^ De Giorgi, p. 25. ^ U.
Alfassio Grimaldi, La cattedra che M. non ebbe, in «Storia Illustrata» n. 271,
giugno 1980, p. 6. ^ Pier Mario Fasanotti, Tra il Po, il monte e la marina. I
romagnoli da Artusi a Fellini, Neri Pozza, Vicenza 2017, p. 139. ^ M., Benito, in The Columbia
Encyclopedia, New York, Columbia University Press, 2008. ^ B. M., Opera Omnia, vol. 1, pagg. 9-10. ^ R. De
Felice, M. il rivoluzionario cit., pagg.
31 e 36. ^ L'esistenza di una relazione sentimentale non trova riscontri
univoci. È invece accertata presso la maggior parte delle fonti la sua
influenza nell'avvicinamento di M. al
marxismo. ^ La teoria dell'equilibrio economico in Vilfredo Pareto, in Ztl
Macerata. URL consultato il 19 luglio 2013 (archiviato dall'url originale il 19
luglio 2013). ^ Raffaello Uboldi, La presa del potere di Benito M., su
books.google.it, Arnoldo Mondadori Editore, 2010. URL consultato il 19 luglio
2013. ^ M. più tardi dirà[senza fonte]
di essersi iscritto alla Facoltà di Scienze sociali di Losanna, ma non vi è
riscontro documentale. ^ Emilio Gentile, Le origini dell'ideologia fascista
1918-1925, Bologna, Il Mulino. ^ Furono diffuse notizie inattendibili sul suo
frequentare le università di Zurigo e di Ginevra (quest'ultima falsa notizia è
riportata nella biografia ufficiale della Sarfatti), mentre è vero che
nell'estate trascorse due mesi all'università di Losanna. ^ Mack Smith, 1981,
p. 23. ^ Monografie verbanensi, su verbanensia.org. URL consultato il 20 aprile
2016 (archiviato dall'url originale il 12 maggio 2016). «Nel giugno del 1904
ottiene il permesso di lavoro annuale, e in quello stesso anno succede a M. come corrispondente dalla Svizzera del
giornale italiano «Avanguardia Socialista»» ^ Mack Smith, 1981, p. 24. ^ B. M.,
La mia vita, p. 136. ^ Nel 1908, Benito M. in Riviera, su sanremonews.it. ^ R. De Felice,
M. il rivoluzionario, cit., pagg. 49 n.
5 e 52. ^ R. De Felice, M. il
rivoluzionario, cit., pag. 57. ^ Trento, italiana, si trovava nel territorio
dell'Impero austro-ungarico. ^ Rosa Broll, la «santa di Susà». Intervista di M.
., in LaValsugana.it. ^ R. De Felice, M. il rivoluzionario, cit., pagg. 74-5. ^ Lo
sfratto di un italiano dall'Austria, in La Stampa, 3 marzo 1910. URL consultato
il 27 dicembre 2012. ^ Questa l'interpretazione di (DE) Hans Woller, Ante
portas. M. in Trient 1909, in Regionale
Zivilgeselllschaft in Bewegung - Cittadini innanzi tutto. Scritti in onore di
Hans Heiss, a cura di Hannes Obermair, Stephanie Risse, Carlo Romeo,
Vienna-Bolzano, Folio 2012, pp. 483-500, cfr. soprattutto p. 497. ISBN
978-3-85256-618-4. ^ Antonio Mambelli, Archimede Montanelli nella vita e
nell'arte. Un maestro del Duce, Valbonesi, Forlì, 1938. ^ El violín de M. (in spagnolo).. ^ Benito M., L'amante del
cardinale. Claudia Particella, Salerno Editrice, 2009, ISBN 978-88-8402-673-6.
^ Benito M., Il Trentino veduto da un socialista - note e notizie (PDF), a cura
di Giuseppe Prezzolini, Firenze, Casa Editrice Italiana, 28 febbraio 1911, pp.
104. URL consultato il 26 marzo 2013.
Sul rapporto Nenni-M. si veda:
Duilio Susmel, Nenni e M. mezzo secolo
di fronte, Rizzoli, Milano, 1969; Nicholas Farrell, Giancarlo Mazzuca, Il
compagno M., Rubbettino, Catanzaro, 2013; Alberto Mazzuca, Luciano Foglietta, M.
e Nenni amici nemici, Minerva Edizioni,
Bologna, 2015. ^ A. Spinosa, M. . Il fascino di un dittatore, Mondadori,
Milano, 1989, pag. 33. ^ cit. D. Mack Smith, Storia d'Italia, Laterza, 1973
[manca numero pag]. ^ Quello scatolone di sabbia che unì M. e Nenni. ^ Renzo De Felice, M. il rivoluzionario, 1883-1920, Collana
Biblioteca di cultura storica, Einaudi, Torino, 1965. Sull'argomento vedasi
anche: Maurizio Degl'Innocenti, Il socialismo italiano e la guerra di Libia,
Roma, Editori Riuniti, 1976. ^ R. De Felice, M. il rivoluzionario, cit., pagg. 108-110. ^ I
quattro avrebbero poi dato vita al Partito Socialista Riformista Italiano. ^ R.
De Felice, M. il rivoluzionario, cit.,
pagg. 126-7. ^ R. De Felice, M. il
rivoluzionario, cit., pagg. 136-9. ^ R. De Felice, M. il rivoluzionario, cit., pagg. 190 sgg. In
realtà il pensiero anti-massonico era già stato portato innanzi nel XIII
congresso del 1912 a Reggio Emilia (cfr. ibid. pag. 125), nel congresso
regionale socialista romagnolo di Forlì, 16 giugno 1912, (ibid., pag. 674) e in
vari altri ambienti fin dal 1904, compreso un attacco M. ano del 2 luglio 1910
(ibid., pagg. 89-91). ^ cfr. Alfonso Maria Capriolo, Ancona 1914: la sconfitta
del riformismo italiano, in Avanti! online, 25 aprile 2014 (archiviato dall'url
originale il 19 settembre 2016). ^ Valerio Castronovo et alii, La stampa
italiana nell'età liberale, Laterza, 1979, p. 212. Vd. anche Renzo De Felice, M.
il rivoluzionario cit., pag. 188. ^ Cfr.
Renzo De Felice, M. il rivoluzionario,
1883-1920, Collana Biblioteca di cultura storica, Einaudi, Torino, 1965. ^
Luciano Lucci, M. partecipa alla
"Settimana rossa”, ma senza convinzione 10 giugno 1914, su
alfonsinemonamour.racine.ra.it. ^ M. propose il 27 luglio 1914 uno sciopero
generale insurrezionale nel caso dell'entrata italiana nel conflitto. Vedi Leo
Valiani, Il partito socialista italiano nel periodo della neutralità 1914-1915,
Milano, 1963, pag. 8. ^ Stando alle dichiarazioni di Filippo Naldi del 1960,
citate in Renzo De Felice, M. il
rivoluzionario cit., pagg. 274-75 e 286-87.
M. interventista: l’espulsione
dal PSI, su fattiperlastoria.it. URL consultato il 21 dicembre 2023. ^ Valerio
Castronovo et alii, La stampa italiana nell'età liberale, Laterza, 1979, p.
248. ^ R. De Felice, M. il
rivoluzionario cit., pagg. 229-236. ^ M. interventista e la cacciata dal Partito
Socialista Italiano, su vanillamagazine.it. URL consultato il 21 dicembre 2023.
^ Cfr. Antonio Spinola, M. . Il fascino di un dittatore, Mondadori, Milano,
1989.[manca il numero della pagina]. ^ Claudio M., Grande guerra, la verità su M.
interventista, «Corriere della Sera», 2
luglio 2002, p. 35. ^ Scrive Renzo De Felice: «Secondo Filippo Naldi, direttore
del Resto del Carlino, alle prime spese per il giornale fecero fronte alcuni
industriali di orientamento più o meno interventista o, almeno, interessati ad
un incremento delle forniture militari: Esterle (Edison), Bruzzone (Unione
zuccheri), Agnelli (Fiat), Perrone (Ansaldo), Parodi (armatori)». Renzo De
Felice, M. il rivoluzionario, Einaudi,
p. 277. ^ M. resterà alla direzione del
Popolo d'Italia fino al novembre 1922, quando verrà nominato Presidente del
Consiglio. ^ Vd. la relazione della Commissione d'inchiesta sul caso M. in Renzo De Felice, M. il rivoluzionario cit., pagg. 684-88. ^ Renzo
De Felice, M. il rivoluzionario cit.,
pagg. 276-77 e il "Rapporto Gasti" presentato alle pagg. 723-37, in
particolare pagg. 732-33. ^ Massimo Novelli, l giovane M. al soldo della Francia (PDF), in La Domenica
di Repubblica, 14 dicembre 2008, p. 31. URL consultato il 15 agosto 2011. ^ Nel
fascicolo "Corrispondenza, b. 1, fascc. 17, fotografie 1 (1895-1933)"
del fondo "Treves" conservato presso la Fondazione di studi storici
"Filippo Turati", è presente una ricca corrispondenza sull'episodio.
^ Piero Treves, Ma perché quel giorno non infilzò M. ?, La Stampa, 30 giugno
1992, pag. 19. Anche in: Piero Treves, Scritti novecenteschi, Bologna, Il
Mulino, 2006, pp. 182-184. ^ Renzo De Felice, M. il rivoluzionario, cit. ^ Renzo De Felice, M. il Rivoluzionario cit., pagg. 321-22. ^ Da cui
sarà tratto il libro Il mio diario di guerra. ^ a causa di ciò ricevette un
anno di licenza di convalescenza, seguito da altri sei mesi al suo rientro in
ospedale allo scadere del primo permesso. Cfr. Foglio matricolare di M. Benito di Alessandro, matricola 12467 D.M. di
Forlì in M. il rivoluzionario cit.,
pagg. 665-67. ^ Il 22 maggio del 1940, alla morte del Senatore Giuseppe Tusini,
il Duce inviò un telegramma di condoglianze alla famiglia dove citava con
riconoscenza il suo intervento chirurgico risolutivo all'Ospedale di Ronchi di
Soleschiano. Cfr. P. Marogna, Giuseppe Tusini, Archivio italiano di chirurgia,
Vol. LIX - fasc. V Vedi anche: AA. VV., Studenti al fronte, LEG (GO), 2010, p.
177- 182. ^ Enzo Biagi, Storia del Fascismo, Mondadori[manca la pagina]. ^ Mack
Smith, 1981, p. 54. ^ Ludwig, Colloqui (1932), pag. 50. ^ M. Sarfatti, Dux,
pag. 158. ^ Pini, M. (1939), pp. 80-81.
^ Sebbene alcuni abbiano recentemente sostenuto ipotesi differenti sulle cause
del congedo, attribuendolo a condizioni generali di salute non buone legate a
malattie infettive, la presenza di tali patologie è stata negata dal referto
autoptico relativo al cadavere di M. . ^ Renzo de Felice, M. il rivoluzionario cit., pag. 353. ^ In una
lettera dal fronte ad Ottavio Dinale dell'11 settembre 1916 M. mostrava già di aver voglia di modificare il
sottotitolo del giornale. Vd. Renzo De Felice, M. il rivoluzionario cit., pagg. 405-6, 687 e
734. La spiegazione del cambiamento venne data comunque in breve fondo del 1º
agosto 1918 dal titolo Novità... ^ Grandi, Le origini, pag. 52. ^ Alessio
Altichieri, Le cento sterline che M. intascava dalla "perfida Albione", 6
ottobre 2009.. Il tenente colonnello Hoare, nelle sue memorie, riportò le
parole che M. gli fece pervenire nonché
le proprie conclusioni: «"Mobiliterò i mutilati di Milano, che
spaccheranno la testa a ogni pacifista che tentasse di tenere una
manifestazione di strada contro la guerra". E fu di parola, i fasci
neutralizzarono davvero i pacifisti milanesi». ^ (EN) Benito M. was MI5's man in Italy., articolo del The
Times, del 14 ottobre 2009. ^ Renzo de Felice, M. il rivoluzionario cit., pagg. 353-56. ^ Renzo
De Felice, M. il rivoluzionario cit.,
pagg. 414-15. Mack Smith, 1981, p. 63. ^
Un rapporto della stessa sera della Polizia di Milano indicava circa 300
presenti, compresi giornalisti e curiosi. Vd. Renzo De Felice, M. il rivoluzionario cit., pag. 504. ^ Chiurco,
vol. I, pag. 22. ^ O.O., vol. XIV, pp. 88, 102-133. ^ Vd. la relazione di
Giovanni Gasti in Renzo de Felice, M. il
rivoluzionario cit., pag. 520-21. ^ O.O., vol. XVIII, pag. 201. In un fondo dal
titolo Non subiamo violenze! del 18 aprile 1919 dice noi dei Fasci non abbiamo
preparato l'attacco al giornale socialista, ma accettiamo tutta la
responsabilità morale dell'episodio. ^ Mack Smith, 1981, p. 65. ^ O.O., vol. XIII, pag.
231. ^ O.O., vol. XIII, pag. 26 e 252. ^ De Felice, pag.
727[Non è chiaro di che libro si parli]. ^ La questione fiumana era già
dibattuta da tempo. Erano stati deliberati, nelle riunioni dei Fasci di
combattimento, gli invii di diverse centinaia di volontari. Vd. Renzo De
Felice, M. il rivoluzionario cit., pagg.
531 n. 1 e 533 n. 1. ^ Carteggio Arnaldo-Benito M., pp. 223-224 (16 settembre
1919). ^ Renzo De Felice, M. il
rivoluzionario cit., pag. 572. ^ È interessante il modo con cui Giuseppe
Ungaretti - all'epoca corrispondente da Parigi per «Il Popolo d'Italia» - visse
gli arresti di M. e Marinetti del 18
novembre 1919. Il poeta, molto preoccupato, cercò d'organizzare una
manifestazione a Parigi in favore degli arrestati. Racconterà Ungaretti in
un'intervista del 1933: «Nel ’19, a Parigi, facevo il corrispondente e seguivo
i lavori della Conferenza della Pace per incarico del «Popolo d’Italia». Gli
italiani si radunavano in un grande albergo dove era stabilita la delegazione
italiana. Non rammento con precisione la composizione della delegazione
italiana. Credo Nitti o Tittoni al posto di Sonnino e Orlando (…). Chissà se
fra le carte di S. Ecc T. si troveranno forse un giorno una mia lettera in cui
gli dicevo che avesse fatto bene attenzione perché oltre all’Italia ufficiale,
delle schede e dei portafogli, c’era una Italia tremendamente giovane, che
avrebbe vinto per forza o per amore. Signor delegato, gli dicevo, ho il dovere
di avvertirvi che rappresento qui il giornale dell’Italia Nuova e vi prego di
fare attenzione ai mali passi! Vi furono in quel periodo degli arresti a
Milano. Organizzai allora una specie di Manifestazione in difesa degli
arrestati alla quale aderirono tutti gli intellettuali più in vista di Parigi
alla testa dei quali si misero gli scrittori di Littérature e del gruppo Dadà,
Aragon, Breton, Tristan Tzara, ecc., che erano quelli che facevano più chiasso.
Avevamo intenzione di invadere l’Ambasciata. Io feci annunciare a Nitti che gli
avrei bucato la pancia. Ma poi non se ne fece nulla perché gli arrestati
vennero rilasciati (Intervista di Alfredo Mezio ad Ungaretti, «Il Tevere»,
17-18 luglio 1933. Su questa vicenda si veda anche F. Pierangeli, Ombre e
presenze. Ungaretti e il secondo mestiere, premessa di E. Giachery, Loffredo,
Napoli 2016, p. 86; lettera di M. a
Soffici del 2 dicembre 1919, in G. Ungaretti, Lettere a Soffici 1917-1930, a
cura di P. Montefoschi e L. Piccioni, Sansoni, Firenze 1981, pp. 69-70;
Giuseppe Ungaretti e Benito M. (archiviato dall'url originale il 24 marzo
2020).). Più pacati furono i toni usati in quell'occasione da M. che nel dicembre 1919 cercò di tranquillizzare
il suo corrispondente parigino: «Carissimo, Marinetti è in libertà. Tutto bene»
(Biglietto del 13 dicembre 1919 inviato da M. ad Ungaretti, Vita d'un uomo. Saggi e
Interventi, Mondadori, Milano 1986, p. 910). ^ Per tutta la vicenda vedi Renzo
De Felice, M. il rivoluzionario cit.,
pagg. 573-77. ^ Renzo De Felice, M. il
rivoluzionario cit., pag. 544, pag. 590 e sgg. ^ O.O., vol. XV, pagg. 197-8. ^
Renzo De Felice, M. il rivoluzionario
cit., pagg. 592 e 658-59, M. il fascista
- La conquista del potere, Einaudi, Torino, 1995, pag. 29. A volte le richieste
di denaro erano quasi esplicitamente ricattatorie, vd. M. il rivoluzionario cit. pag. 354 e M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 45. ^ M. Drago, Allievi marescialli nelle forze armate. Teoria ed esercizi
per la preparazione alla prova di preselezione dei concorsi, Alpha Test, 1º
gennaio 2012, p. 124, ISBN 978-88-483-1469-5. URL consultato il 3 febbraio
2017. ^ Renzo De Felice, M. il
rivoluzionario cit. pagg. 645-47. ^ Emilio Gentile, E fu subito regime: Il
fascismo e la marcia su Roma, Gius.Laterza et Figli Spa, 1º settembre 2014,
ISBN 978-88-581-1642-5. URL consultato il 3 febbraio 2017. ^ Andrea Leccese,
Inciucio forever: La costante del trasfmormismo nella politica italiana,
Armando Editore, 1º gennaio 2014, p. 61, ISBN 978-88-6677-726-7. URL consultato
il 3 febbraio 2017. ^ Giolitti aveva esplicitato la sua intenzione di avere con
sé i "patrioti" e i "partiti nazionali" il 1º aprile 1921.
Vd. Renzo De Felice, M. il fascista - La
conquista del potere cit., pag. 64. ^ La lista di associazioni che aderirono al
blocco è consultabile in Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 82 n. 4. ^ Dal Corriere della Sera del 1º gennaio 1922. ^ Dall'8 aprile al
14 maggio risultano 105 morti e 431 feriti. Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 87. ^ Camera, 11 marzo 1925, pag. 2438. ^ Renzo De Felice, M. il rivoluzionario, Torino, 1965. ^ Renzo De
Felice, M. il fascista - La conquista
del potere cit., pag. 111, 138. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 151. ^ O.O., vol. XVI, pagg. 241 e 297. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 222. ^ Se i treni, se le poste hanno funzionato non lo si deve alle misure
preventive prese dal Governo, ma al concorso spontaneo, disinteressato,
entusiasta degli elementi nazionali. in Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 273. Per i pareri negativi riguardo allo sciopero vedi ibidem pagg.
222-24: Lo sciopero generale proclamato ed ordinato dall'Alleanza del Lavoro è
stato la nostra Caporetto. Usciamo da questa prova clamorosamente battuti. ^
Enzo Biagi, Storia del Fascismo cit. ^ Amendola, Una battaglia, pag. 186. ^
Nitti, Rivelazioni, pagg. 346-7. ^ Mack Smith, 1981, p. 87. ^ Antonino Repaci,
vol. II, pagg. 125 e 132. ^ M. stesso
asserisce, nel discorso di insediamento in Parlamento, che le camicie nere
sarebbero state ben 300 000. ^ Secondo Badoglio sarebbe bastato arrestare al
massimo una dozzina di persone e i fascisti avrebbero perso al primo
scontro[senza fonte], asserì, inoltre che "al primo fuoco, tutto il
fascismo crollerà". Renzo de Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 325. ^ Renzo de Felice, M. il
fascista - La conquista del potere cit., pag. 358. ^ Secondo Renzo De Felice la
parte destrorsa del fascismo era di tendenza o monarchica e conservatrice di
ispirazione nazionalista, oppure revisionista, normalizzatrice e moderatamente
parlamentarista. Vd. M. il fascista - La
conquista del potere cit., pagg. 365-66. ^ Paolucci, pag. 240. ^ cfr. "Il
Parlamento è morto". Discorso pronunziato alla Camera dall'on. Filippo
Turati il giorno 17 novembre 1922 sulle Comunicazioni del Governo, in
"Critica Sociale", a. XXXII, n. 22, 16-30 novembre 1922, p. 339-349.
^ Vedi anche Atti Parlamentari, Camera dei deputati, Discorsi, XXVI
legislatura, Tornata. ^ Rendo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.
pag. 479. ^ Gianfranco Bianchi, Da Piazza San Sepolcro a Piazzale Loreto, Vita
e Pensiero, Roma, 1978, p.264. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 481 n. 4. La legge sarà la n. 1601 del 3 dicembre 1922 (G. U. 15 dicembre,
num. 293), vd. qui (PDF).. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pagg. 528-534. ^ Renzo De Felice, M. il
fascista - La conquista del potere cit., pagg. 524 e 535. ^ Italo Scotti,
Bollettino di informazioni costituzionali e parlamentari 1 (1984): Il fascismo
e la Camera dei deputati: I - La Costituente fascista (1922-1928), pag. 109
(PDF) (archiviato dall'url originale il 4 novembre 2013).. ^ Renzo De Felice, M.
il fascista - La conquista del potere
cit., pag. 534. ^ "The
Italo-Greek Crisis." Economist [London, England] 8 Sept. 1923: 356+. The
Economist Historical Archive, 1843-2012. . ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pagg. 561-62. ^ Renzo De Felice, M. il
fascista - La conquista del potere cit., pagg. 557-570. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 563. ^ Regio Decreto Legge 22 febbraio 1924, n. 213. ^ Renzo De Felice, M.
il fascista - La conquista del potere
cit., pag. 564, n. 3. Cfr. anche Prassi italiana di diritto internazionale - I
casi della prassi - Parte V - Cap. I - C. - a - 411/3 (archiviato dall'url
originale il 13 dicembre 2014).. ^ Alessandro Visani, La conquista della
maggioranza, M., il PNF e le elezioni del 1924, Fratelli Frilli Editori, 2004,
in particolare nel cap. 4 l'elenco dei fatti di cronaca riguardanti risse,
aggressioni, provocazioni raccolte dall'A. nelle carte dell'ACS provenienti da
prefetture, questure, stazioni di RRCC e dalla stampa coeva, da p. 134 a p.
143. ^ Nella fattispecie i fascisti uccisi durante la campagna elettorale
furono 18 e i feriti 147: cfr. Fabio Andriola, M. prassi politica e rivoluzione sociale, e.f.c.
Le vittime della violenza fascista, invece, secondo Renzo De Felice, furono
"centinaia di feriti e non pochi morti" (fra questi anche il deputato
Antonio Piccinini), quasi tutti appartenenti a partiti d'opposizione, ma anche
alle frange dissidenti del fascismo (come nel caso di Cesare Forni e Raimondo
Sala) cfr. Renzo De Felice, M. il
fascista - La conquista del potere cit., pag. 583. ^ Fin dalla presa del potere
nell'ottobre 1922 M. e il Governo
tentarono di arginare la violenza squadristica non più necessaria, vd. Renzo De
Felice, M. il fascista - La conquista
del potere cit., pagg. 406-07, 440-44, 481, 584. ^ Cfr. soprattutto Alessandro
Visani, La conquista della maggioranza, M., il PNF e le elezioni del 1924,
Fratelli Frilli Editori, 2004, in particolare il capitolo 4 e 5 e la prefazione
di Giovanni Sabatucci. ^ Renzo De Felice, op. cit. nonché Alessandro Visani,
op. cit.[Manca numero di pagina]. ^ Riferisce infatti A. Visani (op. cit.), p.
146, come particolare cura dovesse essere tenuta nell'esporre bene che sulla
scheda elettorale non andasse apposto altro segno che la croce sul partito
scelto, e soprattutto si dovessero evitare slogan e frasi d'ogni genere. Ci si
riferiva infatti alla possibilità riferita dalle prefetture che agenti in
incognito dei partiti di minoranza avessero volontariamente spinto i più
ingenui elettori del blocco nazionale a scrivere sulle schede "Viva M. !",
una pratica che avrebbe portato all'annullamento della scheda stessa. ^ Renzo
De Felice, M. il fascista - La conquista
del potere cit., pag. 563 n. 2. ^ ibidem. ^ Si veda il resoconto stenografico
della seduta del 30 maggio 1924, Camera dei Deputati. ^ Così chiamata in
richiamo alla secessione della plebe ai tempi della res publica romana i quali
si riunirono sull'Aventino. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pagg. 620 sgg. ^ La morte di Matteotti infatti sarebbe stata causata
accidentalmente, durante la colluttazione seguita al prelevamento da parte
degli squadristi. ^ Scheda biografica di Matteotti, su treccani.it. ^ Renzo De
Felice, M. il fascista - La conquista
del potere cit., p. 622. ^ Ibidem, pag. 646; Renzo De Felice, M. il fascista - L'organizzazione dello Stato
fascista, Einaudi, 1995, pagg. 55, 158 n. 2. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag 703. ^ Renzo De Felice, M. il
fascista - La conquista del potere cit., pagg. 686-87. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 701. ^ Renzo De Felice, M. il
fascista - La conquista del potere cit., pag. 650-51, 707-08 e 722-23. ^ Renzo
De Felice, M. il fascista - La conquista
del potere cit., pagg. 673-74, 676, 681, 707-08, 715. ^ Renzo De Felice, 'M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 705. ^ Indignatissimo il settimanale della sinistra fascista Impero
scriverà un pezzo (dicembre 1924) intitolato Rivoluzione, non criminalità nel
quale si accusava M. di far "di
tutto per portarsi sul terreno della non-rivoluzione". Vd. Renzo De
Felice, M. il fascista - La conquista
del potere cit., pag. 714. ^ Per i varii articoli giornalistici del fascismo
intransigente contrario al moderatismo M. ano vd. Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pagg. 711-15 e 723-26. ^ Ibidem, pag. 715. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit., pagg.
717-18. ^ R. De Felice, M. il fascista,
Einaudi, 1966. ^ Discorso alla Camera dei Deputati sul delitto Matteotti, testo
integrale di Benito M. del 3 gennaio
1925 su Wikisource. ^ Dopo il delitto Matteotti, infatti, alcuni esponenti
liberali e fascisti propendevano per l'idea secondo cui M. dovesse "mettersi a disposizione della
giustizia". Vd. Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pagg. 701 e 704. ^ Col discorso del 3 gennaio ebbe inizio il regime
dittatoriale fascista, data confermata dallo stesso M. nel libro "Storia di un anno: Il tempo
del bastone e della carota", Mondadori, 1944, pag. 175 (in Opera Omnia,
vol. XXXIV, pag. 411). ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pagg. 722-23. ^ Renzo De Felice, M. il
fascista - La conquista del potere cit., pagg. 726. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - La conquista del potere cit.,
pag. 729. ^ Renzo De Felice, M. il
fascista - L'organizzazione dello Stato fascista cit., pagg. 139-40. ^ Ibidem,
pag. 145. ^ Ibidem, pagg. 149-157. ^ Ibidem, pagg. 142 e 148 n. 2. ^ In
particolare " La Giustizia.", cfr. ibidem, pag. 142, "La
Rivoluzione liberale" e "Il Popolo", cfr. ibidem, pag. 150. ^
Simonetta Falasca Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2003, p. 124. ^ Marco Cesarini Sforza, Gli attentati a M., Per
pochi centimetri fu sempre salvo, in La storia illustrata nº 8, Anno 1965, pag.
244: "Un gruppo di squadristi si lanciò sull'attentatore: più tardi sul
suo cadavere furono contate quattordici pugnalate profonde, un colpo di pistola
e tracce di strangolamento". ^ Marco Cesarini Sforza, Gli attentati a M.,
Per pochi centimetri fu sempre salvo, in La storia illustrata nº8 Anno 1965,
pag. 244: "Lasciamo la parola all'ex capo dei servizi politici presso la
Direzione generale della PS, Guido Leto. "Furono sospettati a turno"
egli scrive "Farinacci, Balbo, Arpinati, quest'ultimo perché proveniente
dalle file anarchiche e amico della famiglia Zamboni, e lo stesso Federzoni, ma
le indagini accurate che furono eseguite dalla questura di Bologna, diretta
allora da un eccellente funzionario, il questore Alcide Luciani, e da un altro
espertissimo funzionario, perfetto conoscitore dell'ambiente bolognese,
Michelangelo Di Stefano, giunsero alla conclusione che non v'era alcun elemento
apprezzabile per sostenere la tesi di un complotto organizzato nei ranghi
fascisti. Ve n'erano, invece moltissimi per convalidare quella di un gesto di
un isolato". ^ Marco Cesarini Sforza, Gli attentati a M., Per pochi
centimetri fu sempre salvo, in La storia illustrata nº8 Anno 1965, pag. 244:
"Un'inchiesta segreta fu anche compiuta, in seguito, per iniziativa del
Sottosegretario all'interno, conte Giacomo Suardo, dal magistrato Noseda del
Tribunale Speciale; ma i risultati non differirono da quelli stabiliti dalle
indagini della polizia". ^ Renzo De Felice, M. il fascista - L'organizzazione dello Stato
fascista cit., pagg. 211-14. ^ Mack Smith, 1981, p. 199. ^ Renzo De Felice, M. il fascista - L'organizzazione dello Stato
fascista cit., pag. 130. ^ Sebbene Federzoni avesse intimato lo scioglimento
dopo la presa del Ministero e dopo il 3 gennaio 1925, molte squadre vennero
ricreate dall'ambiente farinacciano provinciale e rimasero attive per diversi
anni, pur con le minacce di ritorsioni da parte di Federzoni e dello stesso M. .
Cfr. Renzo De Felice, M. il fascista -
L'organizzazione dello Stato fascistacit., pagg. 63-65, 68, 123 n. 1, 170-171,
184 n. 3, 209 n. 3, 210. In occasione delle violenze di Firenze dell'ottobre
1925 M., riunendo il Gran consiglio del fascismo il giorno 5, fece approvare un
ordine del giorno in cui si ordina lo scioglimento immediato di qualsiasi
formazione squadristica di qualsiasi specie perché esse non hanno più, a tre
anni di distanza dalla Marcia su Roma, alcuna giustificazione storica e
politica. Ibidem, pag. 134. ^ Aniante, pag. 71. ^ Arpinati, pag. 256-7. ^ Renzo
De Felice, M. il fascista - L'organizzazione
dello Stato fascista cit., pagg. 91-98. ^ Alfio Caruso, Arrivano i nostri,
Longanesi &C. ^ Matteo di Figlia Alfredo Cucco, Quaderni Mediterranea 1979.
^ G. Tricoli, Alfredo Cucco. Un Siciliano per la Nuova Italia, ISSPE, 1987. ^
InStoria - Mafia e Fascismo.. ^ Non è da escludersi tuttavia che Cucco fosse
stato trascinato in una vera e propria trappola politica, poiché egli - essendo
dell'area farinacciana - era notevolmente inviso a M., che proprio in quel
periodo stava "epurando" i vertici del partito degli elementi vicini
a Farinacci. Cfr. Matteo di Figlia Alfredo Cucco, Quaderni Mediterranea 1979. ^
Sospetti di affiliazione mafiosa restarono, tuttavia, come fa notare il
biografo Matteo di Figlia in op. cit. ^ Ibidem, nonché cfr. Alfio Caruso, op.
cit. ^ Ibidem. Giampietro aveva iniziato perfino una campagna contro le...
gonne sopra al ginocchio, tanto da essere invano richiamato alla moderazione
dallo stesso ministro Rocco. Cfr. Alfio Caruso, op. cit. ^ Ibidem. ^ La mafia e
la crociata del prefetto Mori.. ^ op. cit. "Non è vero che la mafia dei
salotti impone a M. l'allontanamento di
Mori. È vero viceversa che i suoi modi hanno allarmato Roma; che M. ritiene il problema liquidato e che può ora
liquidare il liquidatore". ^ DDI, VII Serie, vol. IV, pagg. 294-5. ^
Graziotti, pagg. 77-8. ^ Mack Smith, 1981, p. 201. ^ Regio decreto 6 novembre
1926, n. 1848. ^ Legge 25 novembre 1926, n. 2008. ^ Re, regina, reggente,
principe ereditario e primo ministro. ^ Sergio Romano, Vademecum di storia
dell'Italia unita, Rizzoli, Milano, . ^ Enzo Biagi, Amori, Rizzoli, 1988, p.
138. ISBN 88-17-85139-6. ^ il patto fu siglato il 7 giugno 1933 e firmato il 15
luglio dell stesso anno. Salata riporta che nel protocollo della sigla,
sottoscritto il 7 giugno, fu concordato che il patto avrebbe portato la data
del 7 giugno, indipendentemente dalla data della firma, un atto espressivo
della volontà del governo. Vedi Francesco Salata Il patto M., 1933, p. 122 ^
Francesco Salata, Il patto M., Mondadori, Salata, Il patto M., Mondadori, 1933,
p. 134. ^ L'origine del sistema pensionistico italiano va comunque fatta
risalire al 17 luglio 1898, legge n. 350 con l'istituzione di una «Cassa
Nazionale di previdenza per la invalidità e per la vecchiaia degli operai», con
contributi su base volontaria. ^ Nel momento dell'uccisione di Dollfuß, la
moglie e i figli erano ospiti di M. presso una sua residenza balneare. ^
All'origine dell'incidente di Ual Ual, Salvatore Minardi, 1990, S. Sciascia
(Caltanissetta). ^ R. De Felice, M. il
Duce, tomo 1º pp. 526 e ss. ^ A tale accordo si fa riferimento in Langer,
William L. (a cura di) An Encyclopaedia of World History, Houghton Mifflin
Company, Boston, 1948, p. 990. ^ R. De Felice, M. il duce, cit. pp. 395 e ss. ^ Del Boca, p.
192. ^ Ministero per la Guerra, Relazione dell'attività svolta per l'esigenza
A.O., Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1936, allegato n. 76. ^ Del Boca,
p. 193. ^ Per un quadro completo quadro sull'uso sistematico delle armi
chimiche durante il periodo 1935-1940 sul fronte Etiopico si veda Angelo Del
Boca, I gas di M., Il fascismo e la guerra d'Etiopia, Editori Riuniti, Roma,
1996. ^ Del Boca, p. 194. ^ Del Boca, pp. 194-195. ^ Del Boca, p. 196. ^ Del
Boca, pp. 196-197. ^ Del Boca, p. 197. ^ Del Boca, pp. 197-198. ^ Del Boca, pp.
198-200. ^ Del Boca, pp. 200-201 e 205-224. ^ F. Cardini e R. Mancini, Hitler
in Italia. Dal Walhalla a Ponte Vecchio, maggio 1938, Bologna, Il Mulino. ^ È
il caso per esempio del prefetto Cesare Mori. ^ Per un primo approccio
sull’origine, motivazioni e caratteristiche del diffuso consenso che il
fascismo riscosse dagli intellettuali italiani si veda, ad esempio, A. d’Orsi,
La cultura a Torino tra le due guerre, Einaudi, Torino 2000; G. Belardelli, Il
Ventennio degli intellettuali, Laterza, Roma-Bari 2005; A. Tarquini, Storia
della cultura fascista, Laterza, Roma-Bari 2011. ^ A proposito dell'adesione di
Giuseppe Ungaretti al fascismo, ed in particolare al suo rapporto con M., si
veda: Robert S. Dombroski, L’esistenza ubbidiente, letterati italiani sotto il
fascismo, Guida, Napoli, 1984, pp. 71 e 89; Filosofia fantastica. Prose di
meditazione e d’intervento (1926-1929), a cura di Carlo Ossola, UTET, Torino
1997, pp. 10-11; L. Piccioni, Vita d'un poeta, Rizzoli, Milano 1970, p. 66; W.
Mauro, Vita di Giuseppe Ungaretti, Camunia, Milano, 1990, p. 81; P. Guida,
Ungaretti privato. Lettere a Paul-Henri Michel, Pensa multimedia, Rovato-Lecce
2014, p. 38. Copia archiviata, su
laltraverita.it. URL consultato il 7 luglio 2009 (archiviato dall'url originale
il 2 febbraio 2009).. ^ Allocuzione "Vogliamo anzitutto".. ^ M. e il papa (2) (archiviato dall'url originaleil
20 maggio 2011).. ^ Copia archiviata, su anpi.it. URL consultato il 7 luglio
2009 (archiviato dall'url originale il 10 luglio 2009)..
^http://www.ilmanifesto.it/25aprile/02_25Aprile/9502rs14.01.htm in Internet
Archive. A Trieste operarono alcuni dei principali responsabili della
cosiddetta "Aktion Reinhardt", l'operazione che aveva portato allo
sterminio di milioni di ebrei deportati nei campi della Polonia Orientale.
Comandante delle SS e della SD nel settore adriatico (e quindi anche incaricato
della caccia agli ebrei) era il generale delle SS Odilo Globocnik, già
comandante del settore di Lublino e quindi responsabile dei campi di Belzec,
Majdanek, Sobibor e Treblinka; a Trieste operavano con lui Franz Stangl, già
comandante di Treblinka, e Christian Wirth uno degli ideatori delle camere a
gas, poi ucciso dai partigiani. Benito M.,
MEMORIA SEGRETA DI M. SULLA CONDOTTA
DELLA GUERRA, Schede tecniche aerei militari italiani e storia degli aviatori,
su alieuomini.it, 31 marzo 1940. ^ Si veda Pietro Badoglio (L'Italia nella
seconda guerra mondiale, p. 37), che riporta questa affermazione come ricevuta
direttamente da M. durante un loro
colloquio avvenuto il 26 maggio 1940. ^ Dalle colonie inglesi, e in particolar
modo dall'India, giunsero migliaia di soldati, che non era stato possibile
mobilitare precedentemente. ^ Già a Capo Spada venne affondato un incrociatore
italiano (19 luglio) e l'11 novembre 1940 alcune navi italiane furono affondate
da un attacco aereo nel porto di Taranto. L'ultimo scontro di rilievo si ebbe a
Capo Matapan, il 28 marzo 1941, una delle più gravi sconfitte nella storia
della Marina. ^ Alfassio Grimaldi, U., Bozzetti, G. (1974). Dieci giugno 1940
[i. e. millenovecentoquaranta], il giorno della follia. Italia: Laterza. ^
Ciabattini, p. 69. ^ Ciabattini, p. 68. ^ La conquista fu completata in poco
più di un mese (17 agosto). ^ Renzo De Felice, M. l'alleato, Einaudi, Ciabattini, p. 101. ^
Ciabattini, p. 102. ^ Ciabattini, p. 105. ^ M. e il re avevano un colloquio privato due volte
alla settimana, il lunedì e il giovedì. L'unica persona ammessa era il Ministro
della Real Casa. Iniziati nel 1922, gli incontri proseguirono ininterrottamente
fino al 1943, per ventuno anni.
Ciabattini. ^ Ciabattini, p. 110.
Poi arrestato dai tedeschi e trucidato alle Fosse Ardeatine). ^ Benito M.,
Memoirs 1942-1943, Weidenfeld et Nicolson, London 1949, p. 218n (in inglese).
Il testo si trova anche qui: MEMOIRS 1942-1943, su oudl.osmania.ac.in. URL
consultato il 2 marzo 2012 (archiviato dall'url originale il 13 dicembre
2014).. ^ Franco o Francesco Maugeri, su digilander.libero.it. URL consultato
il 17 gennaio 2024. ^ Enzo Antonio Cicchino, Saverio Polito e il viaggio di
Rachele a Rocca delle Caminate il 4 agosto 1943, su historyfilesnetwork.com, 22
settembre 2023. URL consultato il 17 gennaio 2024. ^ Marco Riscaldati, DAL GRAN
CONSIGLIO AL GRAN SASSO I 50 terribili giorni che videro l’Arma protagonista, in
Notiziario storico dell'Arma dei carabinieri, Anno IV, n. 7. ^ Sandro Russo, M.
prigioniero a Ponza (1), su Ponza
Racconta. ^ Cfr. Fabrizio Montanari. Nenni-M., amicizia impossibile, in
Quotidiano on line 24emilia.com. ^ L'8 febbraio 1943, alla vigilia del suo
compleanno, Nenni fu arrestato dalla Gestapo a Saint-Flour, in Rue de la Franze
n.13, nella Francia di Vichy (cfr. Mimmo Franzinelli, I tentacoli dell'Ovra:
agenti, collaboratori e vittime della polizia politica fascista, Bollati
Boringhieri, Nenni, Intervista sul socialismo italiano, Laterza). Venne
condotto prima a Vichy e poi fu rinchiuso nel carcere parigino di Fresnes per
circa un mese (cfr. Enzo Santarelli, Pietro Nenni, UTET, Il 5 aprile venne
consegnato dai tedeschi a due carabinieri alla frontiera del Brennero,
probabilmente su richiesta di M., che così lo salvò dalla deportazione nei
campi di concentramento nazisti. Condotto nel carcere romano di Regina Coeli,
Nenni fu poi confinato nell'isola di Ponza. ^ Cfr. Arrigo Petacco, La Storia ci
ha mentito, MONDADORI, che riporta degli appunti che il Duce scrisse durante il
crepuscolo di Salò. ^ La grande storia, Rai Tre, 3 settembre 2010. ^ Di
Michele, Vincenzo,, L'ultimo segreto di M., Felice, M. l'alleato: la guerra civile 1943-45, Torino,
Einaudi. La Provincia autonoma di Lubiana era stata annessa all'Italia nel
1941. De iure, continuò a essere considerata tale fra paesi dell'Asse fino alla
fine del conflitto. Ovviamente, tale annessione non era considerata legittima
dagli Alleati. ^ Renzo De Felice, M. l'Alleato, tomo II, Einaudi. ^ Il Teatro
Lirico aveva assunta la funzione della Scala, gravemente colpita dai
bombardamenti alleati. ^ Elena Aga Rossi e Bradley F. Smith Operazione Sunrise,
Mondadori. ^ Mack Smith, 1981 "La ragione offerta (in cui è difficile
scorgere un qualsiasi senso logico) fu lo shock subito nell'apprendere che i
tedeschi erano scesi a patti senza informarlo". ^ Per l'intera vicenda,
cfr. Fabio Andriola, Appuntamento sul lago e Carteggio Segreto Churchill M.,
SugarCo. ^ Mack Smith, 1981. ^ Secondo, fra gli altri, Raffaele Cadorna (La
riscossa: dal 25 luglio alla liberazione, Milano, 1948), Leo Valiani (Tutte le
strade conducono a Roma, Firenze, 1947) e Silvio Bertoldi (La guerra parallela,
Milano 1996), M. avrebbe appreso il 25
aprile della decisione del CLNAI di giustiziarlo. Secondo Silvestri (Turati
l'ha detto: socialismo e democrazia cristiana, Milano, 1946), che però è fonte
isolata, avrebbe proprio confidato questa valutazione. ^ Fabio Andriola,
Appuntamento sul lago e Carteggio Segreto Churchill M., entrambi per i tipi
della SugarCo. ^ Pier Luigi Bellini delle Stelle, Urbano Lazzaro, Dongo: la
fine di M., ed. Mondadori, 1962, p. 117. ^ Che a seguito dell'armistizio aveva
per decreto luogotenenziale assunto tutti i poteri costituzionali. ^ Comandante
del Corpo Volontari della Libertà ^ Raffaele Cadorna, Milano, La riscossa: dal
25 luglio alla liberazione, 1948. Per la sintesi del vasto relato del generale,
si è fatto riferimento a Ray Moseley (M., Taylor Trade Publications). Audisio,
In nome del popolo italiano, Edizioni Teti, 1975). ^ Fondazione ISEC -
cronologia dell'insurrezione a Milano 24-30 aprile 1945.. Fondazione ISEC - cronologia
dell'insurrezione a Milano 24-30 aprile 1945.. ^ Vincenzo Costa L'ultimo
federale, il Mulino 1999, p. 107. Sempre secondo Costa, nell'attentato
partigiano erano morti cinque soldati tedeschi della Propaganda Staffel e due
popolane milanesi. Una trentina fra civili e militari germanici erano i feriti.
^ Giorgio Pisanò, Storia della guerra civile in Italia, cfr. fotografie alle
pp. 1586 e 1587. ^ Ibidem, p. 1606. ^ Fra i molti testimoni, era presente anche
il giornalista Indro Montanelli. ^ L'autopsia effettuata sul corpo di M. (archiviato
dall'url originale il 2 giugno 2012)., Controstoria. ^ Filmati e foto d'epoca
girati a Piazzale Loreto - Milano e all'obitorio.. ^ Tettamanti Franco, 1946,
commando a Musocco Rubata la salma del duce, in Corriere della Sera. Ex multis,
recentemente, Pasquale Chessa, Guerra civile 1943-1945-1948. ^ Gherardo Casini
Editore, Santarcangelo di Romagna, 2003 e 2010, collana Frammenti di storia. ^
Come ravvisabile ad esempio nel discorso pronunciato da Benito M. il 2 aprile 1923 a Milano. ^ Domenico
Venturini con prefazione di Amilcare Rossi. Pubblicazioni d'Opere per
l'incremento della Letteratura fascista. Dante Alighieri e Benito M. . Roma,
Casa Editrice Nuova Italia, 1932. ^ Roberto Gervaso, Il dito nell'occhio,
Rusconi, 1977, p. 25. ^ Renzo De Felice, M. il rivoluzionario, Einaudi 2004.. ^ Copia
archiviata, su cssem.org. Baioni. Risorgimento in camicia nera. Studi,
istituzioni, musei nell'Italia fascista. Roma, Carocci, 2006. ^ Brano tratto da
La Dottrina del fascismo, di Giovanni Gentile e Benito M., ( cfr.(archiviato
dall'url originale il 30 marzo 2009).), sviluppata sin dal 1929, inserito
nell'edizione de L'Enciclopedia Italiana del 1934, (Volume XIV, p. 849):
«Regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali, di tanto in
tanto, si dà al popolo l'illusione di essere sovrano, mentre la vera effettiva
sovranità sta in altre forze talora irresponsabili e segrete. La democrazia è
un regime senza re, ma con moltissimi re talora più esclusivi, tirannici e
rovinosi che un solo re che sia tiranno.[...] Il fascismo respinge nella
democrazia l'assurda menzogna convenzionale dell'egualitarismo politico e
l'abito della irresponsabilità collettiva e il mito della felicità e del
progresso indefinito. Ma, se la democrazia può essere diversamente intesa, cioè
se democrazia significa non respingere il popolo ai margini dello stato, il
fascismo poté da chi scrive essere definito una 'democrazia organizzata,
centralizzata, autoritaria.» ^ Emilio Gentile, La Grande guerra e la rivoluzione
fascista, su treccani.it. «Ateo militante negli anni giovanili, quando era
socialista rivoluzionario, dopo la conversione all’interventismo e l’espulsione
dal Partito socialista, alla fine del 1914, M. era rimasto ateo, anticlericale e pagano, e
tale si professava quando diede vita al fascismo: «Noi» scriveva all’indomani
della sconfitta» ^ Emilio Gentile, La Grande guerra e la rivoluzione fascista,
su treccani.it. «Pochi mesi dopo, nell’agosto, M. inneggiava all’impero spirituale del cristianesimo
«che non ha territori, ma ha ancora un’idea nella quale si raccolgono
quattrocento milioni di uomini sparsi sulla faccia della terra»: «È un impero
che conta oramai la sua vita a millenni. Sui flutti agitati della storia è
ancora la barca del divino ebreo Gesù quella che galleggia meglio di tutte le
altre»64. E un mese dopo, M. ripudiava
l’anticlericalismo e l’anticattolicismo» ^ Fonte: Corriere della Sera,
18.04.1996, "M. rubacuori. Ha avuto
15 amanti".. ^ M. Sarfatti The Life Of Benito M. scaricabile. ^ Mimmo Franzinelli, Il duce e le
donne. Avventure e passioni extraconiugali di M., Mondadori, Luzzatto, Così il
Duce distrusse la famiglia segreta, su archiviostorico.corriere.it, Archivio
storico del Corriere della Sera.Pieroni, La vera storia del bigamo Benito, su
archiviostorico.corriere.it, Archivio storico del Corriere della Sera. URL
consultato il 23 aprile 2009. ^ Marco Zeni, La moglie di M., Trento, Effe e
Erre, Serri, Claretta l'hitleriana, Longanesi, 2021, p. 47. ^ Alberto Bertotto,
Tutti i fgli di Benito M. -
Voceditalia.it, su voceditalia.it. ^ Claretta Petacci, M. segreto. Diari 1932-1938, Rizzoli, È morta
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Brard, l'artista francese che strego Benito M., Milano, Simonelli, 2000, p. 41
^ Antonio Spinosa, I figli del duce, Milano, Rizzoli, 1983 Milleduci. Si è spenta a 99 anni Elena Curti,
figlia naturale del dittatore. Da Albino Benito a Glauco di Salle e Asvero
Gravelli, chi sono i M. illegittimi,
segreti e sospetti., su tag43.it. ^ M. : una figlia segreta da una pianista, su
news.ch. URL consultato l'8 giugno 2023. ^ Sito web del Quirinale: dettaglio
decorato.. ^ Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Diggins, L'America, M. e il fascismo, Laterza, 1972, pp. 30-31. ^
Saggio per l'Enciclopedia italiana scritto insieme a Giovanni Gentile.
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Luigi Sperana, “Grice e Mussolini.” Mussolini.
Luigi Speranza -- Grice
e Mustè: la ragione conversazoinale e l’implicatura conversazionale nella
filosofia dell’idealismo italiano – il dialogo di Socrate e il dialogo di
Gentile – la scuola di Roma – filosofia romana -- filosofia lazia – lingua
lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Flosofo italiano. Roma, Lazio. Laurea in
filosofia con la tesi, “Marx,” borsista dell'Istituto italiano per gli studi
storici di Napoli, dove ha svolto attività didattica e di ricerca, collaborando
con Gennaro Sasso. Redattore della “nuova serie” della “Rivista trimestrale”.
Consegue il titolo di dottore di ricerca alla Sapienza. Lavora alla
"Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici"
dell'Università "La Sapienza" in qualità di “Segretario e Curatore
dell'archivio e della biblioteca di Gentile”. È stato professore a contratto di
Storia della filosofia. Insegna a Roma. È membro del Consiglio
scientifico della Fondazione Gramsci e della Commissione scientifica per la
Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Ha collaborato con
l'Enciclopedia Italiana, in particolare ai volumi: Il contributo italiano alla
storia del pensiero. Filosofia (ottava appendice), Enciclopedia machiavelliana
e Croce e Gentile. La cultura italiana e l'Europa. Ha diretto la rivista
"Novecento". Fa parte del Comitato scientifico di alcune riviste, tra
cui: "Giornale critico della filosofia italiana", "Annali della
Fondazione Gramsci", “La Cultura”, “Filosofia italiana”. Scrive su diverse
riviste scientifiche, tra le quali, con maggiore continuità: "Giornale
critico della filosofia italiana", "La Cultura", "Studi
storici", "Filosofia italiana". Nel è stato nominato dal Ministero dei beni
culturali Segretario del "Comitato nazionale per il bicentenario della
nascita di Bertrando Spaventa". Dal
al ha insegnato Ermeneutica filosofica,
in qualità di Visiting Professor, alla Pontificia Università Antonianum.
Ricerche Le sue ricerche si sono rivolte alla storia della filosofia italiana,
con contributi dedicati all'idealismo e al marxismo. Per quanto riguarda
l'idealismo italiano, ha indagato i momenti e le figure fondamentali (sino al
profilo complessivo) e le premesse nella filosofia dell'Ottocento, specie in
relazione al pensiero di Vincenzo Gioberti (soprattutto con il libro su La
scienza ideale). Di particolare interesse gli studi su Bertrando Spaventa e le
monografie su Omodeo e Croce. Ha dedicato saggi e ricerche al pensiero di
Antonio Gramsci e ad altri momenti del pensiero marxista italiano: del è la monografia su Marxismo e filosofia della
praxis, che ricostruisce la storia del marxismo italiano da Labriola a Gramsci.
Sono noti i suoi studi sul pensiero politico nell'Italia contemporanea, con
particolare riguardo alle figure di Rodano, Balbo, Noce. Ha approfondito
lo studio dell'opera di Marx e in generale la storia della filosofia tedesca
tra Hegel e Nietzsche. Particolare attenzione ha poi rivolto (con il
libro su La storia e con altri scritti,
tra cui quelli sull'evento e sulla teoria delle fonti) alle questioni
specifiche della teoria della storiografia. Metodi Conduce l’indagine
teoretica in stretta relazione con gli studi di storia della filosofia e di
storia della storiografia, in generale nell’ambito della storia delle idee,
adottando un metodo storico-critico che spesso privilegia l’uso di fonti
archivistiche e di documentazione inedita. Il suo metodo cerca di coniugare
l'analisi strutturale delle opere filosofiche con la ricerca filologica sulle
fonti e sulla tradizione dei testi, con particolare riguardo ai processi di
lungo periodo della filosofia italiana moderna e contemporanea. Saggi:“Storiografia”
(Mulino, Bologna); “Croce, Morano, Napoli
Franco Rodano. Critica delle ideologie e ricerca della laicità” (Mulino,
Bologna); “Carteggio Croce-Antoni, Mulino, Bologna Politica e storia in Bloch,
Aracne, Roma La scienza ideale. Filosofia e politica” (Rubbettino, Soveria
Mannelli, Franco Rodano. Laicità, democrazia, società del superfluo, Studium,
Roma Grice: “’superfluo’ is possibly one of the most unsuperfluous words in the
Italian philosophical dictionary – cf. “I was in New York, which was black
out.” -- Gioberti, Il governo federativo” (Gangemi Roma) – nazione e stato
federale – federazione, governo federativo -- Rodano, Cristianesimo e società opulenta,
Edizioni di storia e letteratura, Roma, Il giudizio sul nazismo. Le
interpretazioni -- La storia: teoria e metodi, Carocci, Roma, La filosofia
dell'idealismo italiano, -- Grice: “filosofia” is superfluous here, seeing that
idealism already ENTAILS philosophy!” -- Carocci, Roma, Croce, Carocci, Roma
Tra filosofia e storiografia. Hegel, Croce e altri studi” (Aracne, Roma); “La
prassi e il valore -- la filosofia dell'essere” Aracne, Roma “Filosofia della
praxis” Viella, Roma); “In cammino con Gramsci, Viella, Roma. L'ermeneutica, in
«Rivista trimestrale», Il problema del mondo nel «Tractatus» di Wittgenstein,
in «Rivista trimestrale», Le fonti del giudizio marxiano sulla rivoluzione
francese in «Annali dell'Istituto
Italiano per gli Studi Storici», L'orizzonte liberale di Dahrendorf, in
«Critica marxista», Sturzo e il popolarismo – POPOLARISMO -- nel giudizio, in
Sturzo e la democrazia europea, Laterza, Roma-Bari, Croce e il problema del
diritto, in «Novecento», Metodo storico e senso della libertà” “La storiografia
crociana, in «La Cultura», Omodeo. Il pensiero politico, in «Annali
dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici», Libertà e storicismo assoluto:
per un'interpretazione del liberalismo di Croce, in Croce e Gentile fra
tradizione nazionale e filosofia europea, Riuniti, Roma, “La società civile
democratica, in «Novecento», Sul
giudizio politico, in «Novecento», Il marxismo politico nell'interpretazione di
Noce, in «Poietica», Gioberti e Cartesio, in Bibliopolis, Napoli, Comunismo e
democrazia, in La democrazia nel pensiero politico del Novecento” (Aracne, Roma);
Guido Calogero, in «Belfagor», Gioberti e Leopardi, in «La Cultura», Verità e
storia, in «Storiografia», “La morale”, Rosmini e Gioberti. G. Beschin e L.
Cristellon, Morcelliana, Brescia, Il destino dell'evento nella nuova storia”
francese, in «La Cultura», Carattere e svolgimento delle prime teorie estetiche
di Croce, «La Cultura», Liberalismo
etico e liberismo economico, in Croce filosofo liberale, -- cf. Grice, “Do not
multiply liberalisms beyond necessity: ‘liberalismo semiotico’” – Grice: “Muste
is very witty in distinguishing between liberalism and liberrism!” Reale, LUISS
University Press, Roma, La teoria della storia in Croce, in «Giornale critico
della filosofia italiana», L'idea di “Risorgimento” in Gioberti, in «Quaderni
della Fondazione Centro Studi Noce», Il significato delle fonti storiche, in
«La Cultura», La storia: teoria e
metodi, in «History and Theory», Il passaggio all'anti-fascismo di Croce, in
Anni di svolta. Crisi e trasformazione nel pensiero politico della prima età
contemporanea, Sciullo, Rubbettino, Soveria Mannelli, Alterità e principio del
dialogo in Calogero, in L'idea e la differenza. – principio dialogo – il noi --
Noi e gl’altri, ipotesi di inclusione nel dibattito contemporaneo, M.P.
Paternò, Rubbettino, Soveria Mannelli Il principio del nous nella filosofia di
Calogero, in «La Cultura», La filosofia come sapere storico, in Il Novecento di
Garin. Atti del Convegno di studi, Vacca e Ricci, Istituto della Enciclopedia
Italiana, Roma, Gioberti, in Il contributo italiano alla storia del pensiero.
Filosofia, M. Ciliberto, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Lo
storicismo italiano nel secondo dopoguerra, in Il contributo italiano alla
storia del pensiero. Filosofia, M. Ciliberto, Istituto della Enciclopedia
Italiana, Roma, Il problema della libertà nella filosofia di Scaravelli, in «La
Cultura», La libertà del volere nella filosofia di Croce, in Filosofia e
politica. Cesarale, M., Petrucciani, Mimesis, Milano, Il senso della dialettica
nella filosofia di Spaventa, in "Filosofia italiana", apr. Storia, metodo, verità, in «La Cultura»,,
Gentile e Marx, «Giornale critico della filosofia italiana», Togliatti e Luca,
«Studi storici», Gentile e Socrate, (Grice: cf. caricature of Gentile as
Aristotele in ‘La scuola d’Atene”) -- in La bandiera di Socrate. Momenti di
storiografia filosofica italiana nel Novecento, Spinelli e F. Trabattoni,
Sapienza Università, Roma, Gentile e Gioberti, «La Cultura», Gramsci, Croce e
il canto decimo dell’Inferno di Alighieri, «Giornale critico della filosofia
italiana»,, Spaventa e Gioberti, «Studi storici»,, La presenza di Gramsci nella
storiografia filosofica e nella storia della cultura, «Filosofia italiana»,
Dialettica e società civile. Gramsci “interprete” di Hegel, «Pólemos. Materiali
di filosofia e critica sociale», Marx e i marxismi italiani, «Giornale critico
della filosofia italiana», La “via alla
storia” di Ginzburg, in Streghe, sciamani, visionari. In margine a Storia
notturna di Ginzburg, Presezzi, Viella, Roma, Filosofia e storia della
filosofia nella riflessione di Sasso, «Filosofia italiana», Opere Sapienza
Roma. Dipartimento di studi filosofici ed epistemologici, su lettere uniroma1.
Intervista sulla storia della "Rivista trimestrale" Intervista di M.
su Croce del //diacritica/ letture-critiche/lo-
storicismo-di-croce-e-la-morte-della- metafisica-intervista-a- M. Socrate e
Gentile. Se consideriamo i libri custoditi presso la biblioteca personale di Gentile,
troviamo, a proposito di Socrate, soprattutto opere di autori italiani, con
alcuni dei quali da tempo era in corrispondenza: oltre le vecchie versioni di Ferrai
(Padova), vi figurano le edizioni dell’Apologia curate da Acri (riproposta da
Guzzo) e da Manara Valgimigli (Bari); le opere di Giovanni Maria Bertini (fra
cui l’edizione di Senofonte), che, come si dirà, avevano occupato la critica di
Bertrando Spaventa; quindi i libri che via via, nella prima metà del secolo,
erano apparsi in Italia: quelli di Zuccante, che Tocco aveva presentato alla
Reale Accademia dei Lincei, poi quelli di Covotti, Mignosi, Labriola, Banfi,
Levi, Brocchieri. Ma a proposito di
Socrate, Gentile utilizzò anche altri mo- menti della storiografia filosofica
italiana, appoggiandosi, per esem- pio, ad alcuni testi dello storico del
cristianesimo Alessandro Chiap- pelli e del romanista Pascal. Se allarghiamo lo
sguardo oltre i confini nazionali, i riferimenti principali rimangono quelli di
Zeller (a cui si era prevalente- mente richiamato Spaventa), ma anche di
Gomperz e di Tannery. Di Zeller, Gentile possede i primi due volumi
dell’edizione Mi piace ricordare che la ricerca su libri, opuscoli e
periodici posseduti da Gentile 1 può ora essere svolta online sul sito della
Biblioteca di Filosofia della Sapienza di Roma, grazie al lavoro di digitalizzazione
del catalogo compiuto sotto la direzione del dott. Gaetano Colli: cfr. Colli. Anche
il catalogo dei corrispondenti dell’archivio di Gentile (custodito presso la
“Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici” a Villa Mirafiori) è
consultabile nel progetto “Archivi on-line” del Senato della Repubblica.
italiana della Filosofia dei Greci curata da Mondolfo; e di Tannery conservava
la seconda edizione, di Pour l’histoire de la science hellène, che la moglie
Erminia aveva donato, con dedica, al figlio Giovannino. A Zeller, come si sa,
dedicò un ampio necrologio nel quale elogiò la sua opera di storico
criticandone tuttavia i princìpi neokantiani2; e avvicinandovi, ap- punto, i
nomi di Tannery e quello, «così geniale», di Gomperz. Proprio a Gomperz,
d’altra parte, aveva fatto un più che positivo riferi- mento nella prolusione
palermitana su Il concetto della storia della filosofia, dove parlò di un
«concetto equivalente al mio, che nella storia della filosofia si riassuma
tutta la storia dell’umanità»4; e, nella lunga recensione che nel 1909 dedicò
al Socrate di Zuccante, ne parlò come di «uomo di gusto», sia pure privo del
«bernoccolo del filosofo», assumendone soprattutto la critica della
testimonianza di Senofonte. Gentile si trovò di fronte, fin dalla giovinezza,
due modelli inter- pretativi, tra loro, per altro, connessi. In primo luogo le
pagine che Ber- trando Spaventa aveva dedicate a Socrate, dapprima discu- tendo
sulla “Rivista contemporanea” la memoria torinese di Giovanni Maria Bertini
Considerazioni sulla dottrina di Socrate6, poi nel grande corso sulla filosofia
italiana, dove aveva aggiunto, come appendice, lo Schizzo di una storia della
logica, nel quale riprendeva il tema socratico7. Il secondo riferimento è
Labriola, la cui memoria su La dottrina di Socrate era stata ripubblicata da
Benedetto Croce per l’editore Laterza. Per quanto, in maniera caratteristica,
nel discorso preliminare del all’edizione degli Scritti filosofici di Spaventa,
si limitò a un breve cenno alla discussione con Bertini8, e anche nella
Prefazione al Gentile. Bertini. Ma la memoria, a cui Spaventa si riferisce, era
stata presentata in una seduta. Poi in Bertini. Da una lettera a Spaventa, si
apprende che l’articolo di Bertrando era solo il primo di una serie di scritti
socratici, che poi non realizzò: cfr. Spaventa La filosofia italiana nelle sue
relazioni con la filosofia europea, in Spaventa Gentile Gentile e Socrrate
volume Da Socrate a Hegel mancò di entrare nel merito della questione9, è da
ritenere, per le ragioni che si vedranno, che l’influenza spaven- tiana pesasse
in maniera determinante nella sua prima lettura di Socrate. Spaventa confuta
l’interpretazione di Bertini, cercando di definire i rapporti, da un lato, tra
Socrate e la filosofia antica, e, d’altro lato, tra Socrate e la filosofia
moderna. Per tale confutazione, si era appoggiato al capitolo hegeliano delle
Le- zioni sulla storia della filosofia e all’opera di Zeller, ma anche, per
deter- minare i caratteri generali del pensiero greco, alla traduzione francese
di Claude Joseph Tissot della Storia della filosofia di Heinrich Ritter10.
Tuttavia, la lettura di Socrate risultò ben diversa da quanto quei libri
potevano suggerirgli. Possiamo dire, in breve, che se per Hegel è Parmenide il
vero iniziatore della filosofia, perché ha sollevato il pensiero alla massima
astrazione dell’essere11, per Spaventa la filosofia inizia propriamente con
Socrate, che ha scoperto la dimensione del “concetto”, superando il naturalismo
immediato della precedente vita greca. La critica a Bertini si appuntava su
questo aspetto. Per Bertini, di fronte all’attacco dei sofisti, Socrate aveva
restaurato l’ethos greco, sal- vandolo dalla dissoluzione. Per Spaventa, le
cose andavano diversa- mente. Non solo Socrate non aveva restaurato la vita
greca, ma le aveva inferto «il vero colpo di grazia» (La dottrina di Socrate,
in Spaventa), ponendo un nuovo principio, quello della «soggettività
universale»: caratterizzata la filosofia presocratica come indistinzione
immediata di pensiero ed essere, Socrate aveva inaugurato l’antitesi dei due
termini, senza tuttavia trovarne l’unità e la sintesi, e anzi la- sciando al
pensiero moderno questo compito ulteriore. I sofisti, dun- que, lungi
dall’essere dei distruttori, si presentavano quali profondi innovatori, anche
se il loro soggettivismo era piuttosto un individuali- smo, fermo alla
dimensione naturale ed empirica dell’individuo. So- crate trasformava, con la
dottrina del concetto, questo individualismo in un autentico, universale
soggettivismo: «in questo senso» – scriveva Spaventa – «Socrate e Cartesio, che
che ne dica il professor Bertini, si rassomigliano». Spaventa Parmenide,
Hegel [Ritter Cfr. Hegel Ma soprattutto, per il riferimento a Da questo
punto di vista, Socrate non appariva affatto come un fi- losofo pratico o
morale, ma come un filosofo schiettamente teoretico. Più precisamente, il
carattere della sua filosofia veniva indicato in un radicale formalismo.
Bisogna prestare attenzione all’uso che Spaventa fece di questa espressione,
per certi versi anticipando i temi della sua riforma della dialettica.
Formalismo significava che Socrate, scoprendo il principio nuovo della
«soggettività universale», lo riconosceva solo nella forma, nell’attività
dialogica della ricerca della verità, in quanto presupponeva, alla maniera di
tutto il pensiero antico, il contenuto og- gettivo e naturale: se per i
moderni, scriveva, la soggettività è non solo «universale» ma «assoluta», «il
puro rapporto del pensiero a se stesso», per Socrate «non è già il soggetto che
determina l’essere oggettivo, ma l’essenza oggettiva delle cose che determina
il soggetto». La visione moderna – per cui, come si chiarirà nella riforma
della dialet- tica, il pensiero è negazione determinante dell’essere -- appariva
qui rovesciata, nel senso che l’essere si delineava come il cercato, come la
verità ideale del soggetto. Questa tesi del formalismo era quella vera- mente
decisiva nell’interpretazione di Spaventa, poiché a essa veni- vano ricondotti
tutti i temi della riflessione socratica: l’induzione, il dialogo, l’ironia, e
poi soprattutto l’ignoranza, interpretata come con- sapevolezza della mancanza
di verità del soggetto, quasi come ammis- sione del limite storico della
propria posizione. E ancora, l’eudemoni- smo socratico diventava (seguendo qui
i Magna moralia) l’assenza del concetto del Bene e, quindi, la sua
identificazione con l’utile. Infine, ed è un altro aspetto di rilievo (e qui la
fonte era in parte aristotelica in parte hegeliana), mancava in Socrate la
psicologia, cioè la cognizione della parte irrazionale dell’individuo, delle
passioni: la sua soggettività «universale» non riusciva a cogliere né il
contenuto del concetto né la base irrazionale dell’individuo, restando sospesa
tra il particolare e l’universale e non potendo intravedere la sintesi e
l’unità tra i due momenti, cioè l’autentica realtà e immanenza del concetto.
Nella memoria su La dottrina di Socrate, con la quale vinse il premio della
Regia Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli, Labriola non citò mai
lo scritto di Spaventa, ma certo ne riprese [Si veda per questo aspetto Mustè
La dottrina di Socrate, in Spaventa. Gentile e Socrate 43 almeno un paio di
aspetti14. In primo luogo riprese la tesi del formali- smo, a cui dedicò la
parte centrale dello scritto e che anzi sviluppò fino alle conseguenze estreme,
mostrando come «il suo di Socrate sapere è pura esigenza» e «quello che egli
cerca deve ancora trovarlo» (Labriola). In secondo luogo, insisté sulla
mancanza in Socrate di ogni notizia di psicologia, con accenti e motivi molto
simili a quelli che Spaventa aveva adoperato nella polemica con Ber- tini. Ma
certo mutava il quadro complessivo dell’interpretazione, anzi tutto per la
scelta, molto radicale, di affidarsi esclusivamente o quasi alla testimonianza
di Senofonte, non attribuendo, scriveva, «a Socrate nessun principio, massima,
o opinione che non sia, o esplicitamente riferita, o indirettamente accennata
da Senofonte»; poi per il fatto che la tesi spaventiana del formalismo serviva
ora a recidere i rapporti tra Socrate e la tradizione filosofica presocratica
(ibid., 555), superando il problema stesso che aveva animato la discussione tra
Spaventa e Bertini. Per Labriola, Socrate non era affatto un filosofo: «Socrate
come semplice filosofo – scriveva – è un parto d’immagina- zione» (ibid., 569);
e tanto meno poteva essere considerato come «il creatore del principio della
soggettività», neanche di una soggettività «universale» come quella di cui
Spaventa aveva parlato. Al contrario, la figura di Socrate era ricondotta a due
linee fondamen- tali di lettura, tra loro convergenti: da un lato il processo
di sviluppo della religione greca, dove Socrate aveva inserito l’idea della
divinità «come intelligenza autrice e reggitrice del mondo», riuscendo per
questo «a isolare la sfera morale dalla naturale; d’altro lato, in relazione
agli studi che allora conduceva per «una storia dell’etica greca» interpretò
Socrate come concreta espressione della crisi della storia greca, come
l’emergere di una colli- sione tra forma della tradizione e volontà
dell’individuo: per cui, sorge nell’individuo «il bisogno di rifarsi da sé
quella certezza» che l’opinione comune ha smarrito, tornando a porre, con
l’esercizio del dialogo, le[ L’interpretazione di Labriola è stata analizzata
da Cambiano, Il Socrate di Labriola e la storiografia tedesca e da Spinelli,
Questioni socratiche: tra Labriola, Calogero e Giannantoni che si leggono
rispettivamente nel primo e nel terzo volume di Punzo3, Spinelli ricorda
opportunamente un breve quanto penetrante articolo di Giannantoni, Il Socrate
di Labriola, apparso nel supplemento di “Paese sera”. Tra gli altri studi, mi
limito a ricordare Cerasuolo, e le lucide osservazioni di Poggi domande
induttive sulla definizione, sul «cosa è» la giustizia, la virtù, la santità.
Per certi versi, Labriola seguiva la linea interpretativa di Spa- venta, ma ne
modificava la prospettiva, calando Socrate non più nel centro problematico
della storia della filosofia ma in quello della vita religiosa e sociale del
mondo greco. A prescindere dallo sviluppo peculiare che ebbe nella memoria di
Labriola, la tesi spaventiana del formalismo di Socrate restò alla base delle
prime riflessioni di Gentile. Già nella tesi di laurea su Rosmini e Gioberti –
dove il problema principale, sulle orme di Donato Jaja, era quello
dell’intuito, e quindi della profonda differenza tra l’intuito ro- sminiano
dell’essere puro e quello, platonico ma soprattutto prove- niente da
Malebranche, delle idee determinate e formate (Gentile) – i riferimenti a
Socrate risentono della discussione di Spa- venta con Bertini. Lo si vede,
soprattutto, nella nota che inserì per di- scutere la memoria di Aurelio
Covotti Per la storia della sofistica greca. Studi sulla filosofia teoretica di
Protagora (pubblicata nel 1896 negli “An- nali” della Regia Scuola Normale
Superiore di Pisa), dove, criticando le interpretazioni di Wilhelm Halbfass e
di Theodor Gomperz, ribadì la necessità di distinguere l’individualismo
empirico di Protagora dal soggettivismo di Socrate, pur sottolineando la sua
distanza dal kanti- smo, mancando ancora in Socrate «il concetto del pensiero
come pro- duttività» (Gentile). Una lettura, questa, che trovò poi uno sviluppo
più organico nella recensione al Socrate di Zuccante, dove criticò
«l’interpretazione soggettivistica» di Protagora, che l’autore aveva dato,
insistendo piuttosto sul rapporto con Demo- crito: con riferimento a un
articolo di Victor Brochard, affermò anzi che la tesi dello storico francese
andava «rovesciata», perché non Demo- crito aveva appreso da Protagora i
princìpi della gnoseologia sofistica, ma viceversa questo, Protagora, era stato
«scolaro» di quello, di Democrito (Gentile). Questo tema del rapporto tra
Socrate e Protagora era d’altronde essenziale nell’equilibrio del libro, perché
tanto Rosmini che Gioberti avevano appunto confuso i due momenti
(l’individualismo e il soggettivismo), lasciando oscillare la figura di Socrate
tra Protagora e Platone: «il Gioberti» – spiegava Gentile Gli articoli di
Brochard vennero ristampati in Brochard (ma si veda la 4° edizione ampliata,
Paris, con l’introduzione di Delbos). Gentile e Socrate 45 «come il
Rosmini, non conosce altro soggettivismo che il falso antro- pometrismo
protagoreo», e perciò, aggiungeva, si vede costretto a tro- vare in Socrate
Platone, «altrimenti del maestro di Platone non si fa che una ripetizione di
Protagora» (Gentile). Alla maniera di Spaventa, insomma, il soggettivismo di
Socrate non andava confuso né con l’individualismo di Protagora né con la successiva
dottrina pla- tonica delle idee. Questo atteggiamento spiega anche la presenza
di Socrate nel saggio su La filosofia della prassi, dove, per dimostrare che
Marx aveva assunto il concetto della prassi dall’idealismo, e non dal mate-
rialismo, chiamò in causa il «soggettivismo di Socrate», facendo dell’antico
filosofo greco il primo idealista, anzi il primo teorico della praxis: perché,
spiegava Gentile, Socrate non concepiva la verità come un bene formato da
trasmettersi, ma come il risultato di un «personale lavorio inquisitivo», cioè
del dialogo e dell’arte maieutica: «il sapere – concludeva – importava per
Socrate un’attività produttiva, ed era una soggettiva costruzione, una continua
e progressiva prassi» (Gentile). Altrove scriveva che il merito di Socrate
«consiste appunto nel superamento di quella dualità di volontà e intelletto,
che è presup- posta così dal determinismo come dal concetto del libero
arbitrio»: e arrivava ad affermare che, se avesse approfondito questo aspetto,
sa- rebbe stato condotto «al concetto hegeliano dell’unità di libertà e ne-
cessità razionale» (Gentile). Di questa singolare definizione di Socrate come
primo idealista, Gentile darà una spiegazione, nei Discorsi di religione,
quando dirà che, con Socrate, «la filosofia acquista coscienza del suo
carattere idealistico», anche se questa co- scienza «si oscurerà tante volte
nel corso del suo sviluppo storico»: e quasi per dare un esempio di tale
oscuramento, ricordava l’«idealismo ancora naturalistico» di Platone e
Aristotele, che aveva ricompreso l’intuizione socratica nel realismo del «mondo
delle idee» e in quello di «Dio, forma o atto puro, o pensiero del pen- siero. .
Questi primi riferimenti, in larga parte ispirati dalla posizione di Spaventa,
cominciarono a complicarsi negli anni appena successivi, quando Gentile iniziò
a elaborare la filosofia dell’atto puro, e quindi, bisogna aggiungere, ad
approfondire la distanza tra dialettica del pen- sato e dialettica del pensare,
tra pensiero antico e pensiero moderno. Un preludio della successiva lettura di
Socrate può essere indicato, d’altronde, nella lunga recensione al
Socrate di Zuccante, dove Gentile, richiamandosi implicitamente (senza mai
citarla) alla posizione di Spaventa, chiarì due aspetti fondamentali della pro-
pria interpretazione. In primo luogo, in un passaggio di particolare im-
portanza, rielaborò e chiarì la tesi del formalismo socratico, definito appunto
come la sua «gloria». Scrisse infatti: la verità è che la ricerca socratica è
prevalentemente umana, perché l’uomo coi sofisti era venuto al primo piano
della speculazione, segna- tamente nella rettorica. E lo stesso tentativo di
sollevare a scienza la rettorica, operato dai sofisti, ne mette a nudo
l’essenziale formalismo, e fa sentire il bisogno di quella più schietta e più
concreta scienza dello spirito, che Socrate persegue col suo motto divino:
conosci te stesso. Qui è la radice dell’unità del suo interesse speculativo,
teorico, e del suo interesse morale, pratico: qui anche la radice del
formalismo spe- culativo e morale, a cui s’arresta lo stesso Socrate. Il quale
supera la forma rettorica con l’affermazione del contenuto della rettorica
(giusto, ingiusto ecc.): ma di questo contenuto non definisce altro che la
forma: il concetto come universale, non intravveduto da nessuno dei filosofi
precedenti: il concetto di ogni cosa (logica) e il concetto stesso del giusto
(morale). In che consiste il valore di questa scoperta, che è la gloria di
Socrate (Gentile). In secondo luogo, stabilito il senso del formalismo
socratico, Gentile chiariva il significato della scoperta logica di Socrate,
affermando che si trattava non solo, e non tanto, della scoperta del concetto,
ma del «concetto del concetto», della «essenza dello spirito»: se i filosofi
prece- denti sempre avevano adoperato concetto e definizione, ora Socrate
sollevava il pensare a «pensiero del pensiero», conferendo agli uomini una
«seconda vista», quella della schietta universalità. Grazie a Socrate, il
pensiero diventava, per la prima volta, oggetto di sé stesso, sostituendosi
all’orizzonte della natura: e questo, oltre quello più limitativo dell’assenza
di un contenuto assoluto, era il carattere del suo formalismo, inteso appunto
come considerazione della forma logica in sé stessa. Negli scritti di questo periodo,
l’accento cominciava a battere con più forza sulla continuità tra Platone e
Aristotele, perché – scriveva – «con Aristotele [non] si fa un passo avanti»
rispetto al metodo trascen- dente di Platone (Gentile). Non solo infatti, come
precisò nella prolusione palermitana su Il concetto della storia della
filosofia, Platone aveva «trasformato» il concetto socratico in «idee eterne e
immobili, puro oggetto della mente»; ma iniziò a riportare la filosofia di
Platone alla fonte eraclitea e soprattutto a quella parme- nidea, che ai suoi
occhi costituiva il vero approdo del Teeteto e del So- fista: «Platone» –
scriveva – «non vide mai altro che l’essere immobile e realmente
immoltiplicabile, tal quale l’essere (fisico) degli Eleati. Qui si doveva
arrestare una filosofia ignara della natura dello spirito». Più che Socrate,
dunque, la filosofia di Platone in- contrava, con la teoria delle idee,
l’essere di Parmenide, superando in esso anche la primitiva lezione di Cratilo.
Fu nel primo volume del Sommario di pedagogia che il giudizio su Socrate
cominciò ad assestarsi. Gentile vi si soffermò in due diverse parti dell’opera:
in primo luogo, nella sezione su L’uomo, a proposito dei concetti; in secondo
luogo, nella parte terza, su Le forme dell’educazione. Il capitolo che dedicò
al «merito di Socrate sco- pritore del concetto» finì per risultare piuttosto
singolare. Riconobbe a Socrate il «merito straordinario» di avere affermato «il
carattere uni- versale del vero» (Gentile); ma subito aggiunse che quel con-
cetto non era poi il vero concetto, il conceptus sui, ma una forma che,
conseguita per via induttiva, con «un processo di generalizzazione», era
piuttosto irreale, astratta, lontana dalla concreta determinazione del mondo:
offrì insomma del concetto socratico una lettura singolar- mente negativa,
quasi rappresentandolo nella figura degli pseudocon- cetti o finzioni che,
nella Logica e nella Filosofia della pratica, Croce aveva teorizzato. Di più,
in un capitolo successivo, affermò che il concetto socratico, «base dell’erronea
teoria platonica e aristotelica del concetto», presupponeva la scissione tra
teoria e pratica: ne- gando dunque a Socrate proprio quel merito che, come
abbiamo osser- vato, gli aveva riconosciuto nel saggio su La filosofia della
prassi. La considerazione trovava uno sviluppo rilevante, come si diceva, nella
terza parte dell’opera, dove Gentile poneva la figura di Socrate all’origine
del concetto di «educazione negativa», collocandolo sulla stessa linea che,
nell’epoca moderna, avrebbe prodotto la «possente» opera di Rousseau. A questo
principio dell’educazione negativa, Gen- tile tornava a rivolgere un elogio,
perché capace di implicare «l’imma- nenza del divino nell’uomo» e dunque di anticipare lo spi- rito di
libertà di Rousseau: ma anche qui osservava che Platone aveva convertito
la maieutica socratica in un innatismo delle idee, come un ritorno dell’anima
«a quella pura cognizione originaria che ella si reca in sé dalla nascita». Una
critica, d’altronde, che si legava all’idea, sostenuta ancora nei Discorsi di
religione, secondo cui il pen- siero antico non poté mai accedere al problema
morale, perché privo del principio stesso della volontà (Gentile). In tutta la
prima fase della sua riflessione, Gentile tenne fermo il Socrate di Spaventa,
cioè la tesi del formalismo e della scoperta della soggettività universale, via
via innestandovi i motivi essenziali nella propria filosofia: così,
nell’Introduzione alla filosofia parlerà di So- crate come del «primo grande
martire degl’interessi più profondi dell’uomo e della sua nobiltà e grandezza»
(Gentile), come di colui che, con il Nosce te ipsum, aveva vinto l’antico
naturalismo e sco- perto la «concezione umanistica del mondo»; e nella più
tarda Filosofia dell’arte arriverà a svolgere il motivo spaventiano (e
labrioliano) della mancanza di una psicologia in Socrate nella tesi, ben più
radicale, dell’assenza del sentimento e, in generale, del principio dell’arte
in tutto il pensiero antico (Gentile). Ma la trasforma- zione essenziale e
decisiva avvenne certamente nelle opere più siste- matiche dell’attualismo, in
modo particolare nel Sistema di logica, quando Socrate, come ora vedremo,
acquistò il volto più complesso di fondatore del logo astratto: che era uno
svolgimento dell’idea, comun- que presente in Spaventa, che proprio in lui, in
Socrate, e non in Par- menide e nei filosofi presocratici, andava indicato
l’autentico inizio della filosofia occidentale. Nella Teoria generale, dove il
problema fondamentale era quello dell’individuo e dell’individualità, si faceva
più nitido il quadro dell’intero sviluppo della filosofia greca, ponendo al
centro del natu- ralismo quella che definì «la disperata posizione di
Parmenide» (Gen- tile 1959b, 107), quintessenza dell’intero mondo mitico e
presocratico e carattere della «seconda natura» delle idee, stabilita da
Platone. Tra Parmenide e Platone, Socrate appariva come colui che aveva operato
«la netta distinzione tra genere e individuo», non riuscendo certo a trovare la
sintesi tra i due momenti, ma lasciando aperta, con il suo formalismo, tanto la
via platonica tanto quella aristotelica. Di fronte a entrambi, a Parmenide e a
Platone, Socrate era delineato come colui che «scopre il concetto come unità in
cui concorre la va- rietà delle opinioni»: affermazione di grande
significato, Gentile e Socrate
perché, almeno in senso formale, indica una rottura dell’intero natu-
ralismo antico, un presagio – se così può dirsi – della sintesi e della vera
individualità, che solo il pensiero moderno, osservando il con- cetto come
conceptus sui e come autocoscienza, arriverà, dopo il cri- stianesimo, a
compiere. Però, come si diceva, solo nei due volumi del Sistema di logica, la
figura di Socrate acquistò una nuova luce e un più preciso significato,
all’interno della dialettica del logo astratto e del logo concreto. Possiamo
dire che il punto centrale della considerazione delle forme storiche del logo
astratto è proprio il passaggio da Parmenide a Socrate, che è poi il passaggio
dal naturali- smo antico alla logica del pensiero pensato, inteso come momento
eterno e insuperabile del logo. Il punto socratico è quello fondamen- tale, se
non altro perché, superando la posizione, disperata e assurda, di Parmenide,
Socrate pone, nel concetto universale, l’intero circolo del pensiero antico,
che in Platone (con la teoria della divisione) e in Aristotele (con la teoria
del sillogismo) troverà solo uno sviluppo coerente e un adeguamento.
All’altezza della dottrina del logo astratto, Gentile segnava con meno forza,
rispetto ai testi precedenti, il distacco tra So- crate e Platone, ma indicava
con molta più forza la differenza tra So- crate e Parmenide. È vero che, in un
passaggio non privo di ambiguità, disse che Parmenide rappresentava «il
fondatore della logica dell’astratto», colui che «per primo cominciò a
intendere in tutto il suo rigore il concetto del logo quale presupposto del
pensiero» (Gentile). Ma subito precisò che tale fondazione del logo era in
verità una negazione del pensiero, perché il suo essere, privo di determina-
zione e di differenza, è in realtà mancanza di pensiero, il nulla del pen-
siero, il semplice immediato: e per Gentile, così come per Spaventa, non è
l’essere di Parmenide a segnare l’inizio della logica, come acca- deva in
Hegel, ma il concetto universale di Socrate. È con Socrate in- fatti, come
ripete più volte (concordando, per altro, con quanto Croce aveva sostenuto
nella Logica), che «nasce formalmente la scienza della logica» (Gentile), che
viene posto non «l’immediato essere astratto», ma la «mediazione», il «rapporto
tra soggetto definito e predicato onde si definisce», per cui, concludeva,
«l’astratta identità dell’essere naturale di Parmenide e di Democrito qui è
vinta». E altrove Croce.
chiariva: «la logica comincia propriamente con Socrate, quando l’es- sere
spezza la dura crosta primitiva della immediatezza naturale, in cui s’era
fissato nelle concezioni degli Eleati e degli Atomisti, e si me- dia nella
forma più elementare possibile del pensiero: identità che sia unità di
differenze» . Nel concetto socratico, nella definizione, è già tutta la logica
antica, che troverà nella dialettica platonica e nel sillogismo aristotelico
solo uno sviluppo necessario. Più precisamente, Socrate diventa, nel Si- stema
di logica, il fondatore della logica dell’astratto, che non si esprime più
nell’assurda immediatezza di A (essere naturale), ma nel rapporto A=A, che
indica il principio d’identità e l’intero «circolo chiuso», come lo definì, del
logo astratto: rapporto che è già rapporto di pensiero, perché il primo A si
distingue dal secondo A, generando la figura del giudizio, sia pure di un
giudizio analitico e definitorio. Così, il passaggio (che impegnò il secondo
volume dell’opera) dal logo astratto al logo concreto indicava anche il merito
e il limite della posizione socra- tica, il suo elogio e la sua critica: perché
il «circolo chiuso» che Socrate aveva fondato, immettendo l’uomo nella regione
del pensiero, era pur sempre un circolo, una mediazione e un movimento, e
perciò inclu- deva, sia pure in maniera inconsapevole, il riferimento del
pensato al pensare, dell’astratto al concreto. Lo includeva, come spiegò, nella
forma «mitica» di tutto il pensiero antico, non ancora come «pensa- mento del
logo astratto nel concreto», ma viceversa come «pensamento del logo concreto
nell’astratto» (Gentile). La lettura del momento socratico sembrava così
compiuta nei ter- mini fondamentali. Ma negli ultimi mesi della sua vita,
Gentile delineò una intera storia della filosofia, che doveva fare parte della
collana «La civiltà europea» della casa Sansoni, e di cui riuscì a scrivere
solo la prima parte, fino a Platone. Di questa opera, che è stata pubblicata a
cura di Bellezza, ci rimane, tra le carte del filosofo, l’in- dice dell’intero
lavoro (che si sarebbe dovuto concludere con la consi- derazione di Varisco,
Martinetti, Croce e Gentile stesso) e il manoscritto di un «prospetto» che si
riferisce alla parte successiva e non scritta sulla filosofia antica, fino alla
sezione terza, che avrebbe dovuto occuparsi di epicurei, stoici, scettici,
accademici e neoplatonici. Archivio della “Fondazione Giovanni Gentile per gli
Studi Filosofici”, manoscritti pubblicati. Gentile e Socrate 51 In questo
ultimo scritto sulla filosofia antica, Socrate diventava ve- ramente il centro
dell’intera considerazione, lo snodo decisivo tra na- turalismo e metafisica.
Più chiara e conseguente risultava, in primo luogo, la ricostruzione della
filosofia presocratica. Le due figure prin- cipali di questa epoca, Parmenide
ed Eraclito, rappresentavano due aspetti complementari della medesima
intuizione della natura e del cosmo, priva della luce del pensiero: nell’essere
di Parmenide, che è lo stesso fuoco di Eraclito fermato nel suo eterno ardere,
si riassume il peccato capitale della prima filosofia greca, che ora Gentile
definiva come «misticismo» (Gentile), come «intellettualismo» e «for- malismo»,
cioè – spiegava – come il primo esempio di una filosofia «che fa lavorare il
cervello, ma lascia, si può dire, vuoto e inerte il cuore». E tutto il
successivo atomismo, soprattutto in Demo- crito, gli appariva come l’esito
naturale di tale originaria assenza del pensiero, che finì, come doveva finire,
nel «pretto materialismo», dove «il pensiero è identico alla sensazione». S’intende
perché, nella linea che già era stata di Spaventa, Gentile riservasse parole di
elogio alla sofistica: a Protagora, come a colui che scopre «il tarlo se- greto
che rode questo essere a cui pur tutto, per chi pensa e ragiona, si riduce», e
che costituisce, dunque, tanto l’autocritica in- terna quanto il logico
compimento del naturalismo eleatico; e soprat- tutto a Gorgia, che scopre «la
potenza della parola», di quell’elemento attivo e umano che l’essere di
Parmenide non poteva includere né spie- gare: una potenza, quella della parola,
che rappresenta l’emergere di un nuovo mondo, di cui «non siamo più soltanto
gli spettatori, ma vi facciamo da attori». Sono i sofisti, perciò, che
«preparano Socrate e tutta la filosofia del logo che ne deriva», che «rendono
possibile la scoperta di questo nuovo mondo». E il capitolo su Socrate, come si
diceva, co- stituisce il cuore di tutta l’interpretazione che qui Gentile
proponeva del pensiero antico. A differenza di Labriola, anzi tutto, e in parte
an- che di Spaventa, Gentile mostrava di privilegiare nettamente il Socrate di
Aristotele, considerando inattendibile la descrizione di Senofonte, che ne fa
«un troppo bonario e grossolano pensatore», e in fondo anche quella di Platone,
che nei dialoghi presenta «un Socrate idealizzato e platonizzante»: «il Socrate
storico – scriveva – non è il Socrate platonico». «Più attendibile» dunque
Aristotele, pur «ne’ suoi cenni sommari», perché in Aristotele emerge-
rebbe la vera fisionomia di Socrate, autore di una sola ma fondamen- tale
scoperta, quella del concetto, o meglio della definizione e del giu- dizio, cioè
del pensiero: non il termine, ma il giudizio, «quel giudizio che come atto del
pensiero rivolto all’essere naturale Parmenide e i seguaci suoi avevano
dimostrato impossibile». Così Socrate
compie il «passo gigantesco», «trova il pensiero», e «il pensiero, per la prima
volta, si viene a trovare alla presenza di se stesso: di se stesso nell’oggetto
che può conoscere, e conosce».. Per questo, e solo per questo, Socrate rimane
per sempre «il modello da imitare» per ogni filosofo successivo, come «una
delle incarnazioni più splendide dell’ideale umano, se umanità vuol dire, come
vide So- crate, pensiero». La preferenza che Gentile accordava alla fonte
aristotelica derivava, d’altronde, da un lungo percorso, che aveva trovato
nella discussione con Zuccante un punto di particolare chiarezza. In quella oc-
casione, appoggiandosi ad alcune analisi di Gomperz e soprattutto di Joël,
aveva definito i Memorabili come l’opera «più sciagurata uscita dalla penna di
Senofonte: pesante, monotona, tutta infarcita di banalità e di vere caricature
dello spiritoso e malizioso dialogo socratico» (Gentile), soprattutto per la
tendenza ad attribuire a Socrate «una specie di prammatismo», eliminando
quell’elemento «logicistico» che per Gentile ne costituiva, invece, il tratto
saliente. Di conseguenza, aveva rifiutato l’intera impostazione di Labriola,
che aveva as- sunto il «Socrate senofonteo» come la pietra di paragone di ogni
altra testimonianza. Non si può tacere che, in tale uso delle fonti, si celava
una certa tendenziosità e forse qualche equivoco. Anzi tutto, come è facile
osservare, il richiamo ad Aristotele era, in verità, un riferimento quasi
esclusivo ai passi della Metafisica su Socrate come «fondatore della filosofia
concettuale» e «scopritore dell’universale» (Maier), con una larga
sottovalutazione di quanto, nella fonte aristotelica, rinviava alle dottrine
etiche e morali. Anche la contrappo- sizione fra la testimonianza aristotelica
e quella senofontea, seppure giustificata da un dibattito interpretativo allora
in corso (si pensi alle 18 Si ricordino, a questo proposito (soprattutto con
riferimento a Labriola, il cui scritto è definito «il migliore studio italiano
sull’argomento», e a Joël), le osservazioni di Calogero nella voce Socrate del
dell’Enciclopedia italiana. Gentile e Socrate diverse letture di
Döring e di Joël), trascurava i possibili legami che alcuni autori, come
Heinrich Maier o Georg Busolt, avevano stabilito tra i passi socratici di
Aristotele e i Memorabili senofon- tei19. Si trattava, insomma, di una
semplificazione del ben più arduo problema delle fonti socratiche, ma di una
semplificazione necessaria affinché, nel discorso di Gentile sulla filosofia
antica, emergesse in piena luce il posto assegnato a Socrate, come iniziatore
della logica e superatore del precedente naturalismo. Dunque Socrate appariva,
nelle pagine che ora Gentile vi dedicava, come la rappresentazione vivente
della scoperta del concetto come giudizio, e a questo principio del logo andavano
ricondotti tutti gli aspetti della biografia. Socrate fu, pertanto, il maggiore
dei Sofisti (Gentile), perché convertì la parola di Gorgia nella nuova «fede
nel pensiero», restituendo a quel mondo umano, che pure i sofi- sti, con la
loro opera distruttiva, avevano scoperto, il pregio dell’uni- versalità e della
verità. Questo era il senso dell’ironia e del dialogo: il dialogo, possiamo
dire, si superava nel logo, e si risolveva in esso, per- ché, come aveva
chiarito Platone nel Teeteto, era in verità un monologo, «un interno dialogare
della mente con se stessa» (ibid., 170), dove il concetto unico e universale
costituiva il presupposto e la mèta, l’inizio e la fine, dentro cui i
dialoganti, lungi dal distinguersi, si unificavano come simboli di un solo ritmo
logico. Certo Gentile riprendeva lette- ralmente l’indicazione spaventiana del
«formalismo socratico», ma in certo modo, come ora vedremo, ne metteva
piuttosto in rilievo l’aspetto positivo, schiettamente logico, rispetto alla
costru- zione successiva di una metafisica, culminante nell’opera di Platone.
«Formalismo» significava, perciò, visione formale del concetto e del giudizio,
fede nella forma del pensiero, non ancora fissato in un tra- scendente mondo
delle idee. Per molte ragioni non potrebbe dirsi che Gentile trasformasse la
fi- gura di Socrate in quella di un precursore dell’attualismo, come per
esempio era accaduto, a proposito di Gesù di Nazareth, ad Omodeo o a Ruggiero:
la sua prosa si manteneva più sobria, [Si ricordi la netta affermazione del
Maier, che risale all’edizione di Tubinga del Sokrates: «debbo confessare che
mi riesce incomprensibile come mai si siano potute dare tanta importanza e
tanta fiducia alle sue [di Aristotele] scarse osservazioni» (Maier) controllata,
ma certamente tendeva ad assegnare a Socrate un valore unico in tutto
l’orizzonte della filosofia antica20. Il «formalismo» indi- cava un merito, non
un difetto. E in tutto il capitolo sull’«essere come concetto», ne sottolineò
l’importanza, senza mai indicare il limite della visione socratica. Limite che
emerse piuttosto nelle pagine successive, quelle sull’«essere come idea», dove,
per spiegare il passaggio a Pla- tone, accennò pure al «problema centrale di
Socrate», consistente nel «dualismo da vincere» tra il mondo umano e il mondo
naturale, tra il concetto e l’esperienza, perché – scriveva – Socrate «non
aveva saputo dir nulla di quella natura che ci sta davanti, in cui si nasce, si
vive e si muore, e con cui all’uomo che pensa per concetti rimane pur sempre da
fare i conti» (Gentile). Era necessario segnare il limite di Socrate, per
offrire una spiegazione del passaggio successivo, quando il suo «formalismo»
ripiegò in una compiuta metafisica, tornando di fatto al naturalismo e al mito
eleatico dell’essere immutabile. E il lungo capitolo sull’«essere come idea»,
che copre quasi la metà della parte scritta dell’opera, costituisce in effetti
una delle pagine più importanti, e in fondo drammatiche, che Gentile abbia
composto negli ultimi giorni della sua vita. Parlò di «un nuovo abisso, che si
de- lineava tra Socrate e Platone, come quello che aveva diviso la filosofia
umana di Socrate da quella naturalistica che lo aveva preceduto; e ne preparò
l’analisi con una sottile considerazione delle scuole socrati- che minori,
culminante nella figura di Euclide, che «proveniva dall’eleatismo» e che per
primo, inaugurando l’opera che sarà di Pla- tone, «trasferiva il concetto o
universale socratico dalla mente dell’uomo nella realtà in sé. Di fronte al
dualismo irri- solto di Socrate, tornava, fin da Aristippo o Teodoro, il vento
gelido della vecchia cultura, che riempiva il «formalismo» di un contenuto
antico, quello della natura, della trascendenza, del realismo. Platone stesso,
in fondo, compì questa opera necessaria, appoggiandosi ai suoi veri maestri,
l’«eracliteo Cratilo» e Parmenide, e ab- batté «la barriera tra l’umano e il
divino», innalzandovi sopra quell’edificio possente che è la metafisica.
All’analogia tra Socrate e Gesù, Gentile aveva fatto riferimento nella
recensione a G. Zuccante, Socrate. Fonti, ambiente, vita, dottrina (Gentile).
Per Omodeo, il rinvio è a Omodeo; per Ruggiero, al primo volume di Ruggiero
Gentile e Socrate Quando, in una decina di pagine di forte intensità, entrò
all’interno di questo meccanismo, e cercò di spiegare con più precisione il
passag- gio che si era consumato dal formalismo di Socrate alla metafisica di
Platone, Gentile non mancò di osservare che la «soluzione» che la dot- trina
delle idee aveva dato al «problema» di Socrate, unificando ciò che nel maestro
si conservava diviso, era in fondo fallimen- tare, perché metteva capo a un
nuovo e più duro dualismo, quello che si apriva tra eraclitismo ed eleatismo:
due anime – scrisse – inconciliabili: né Platone riuscì più a mettere una a
tacere, come in qualche modo erano riusciti a fare Parmenide ed Era- clito e lo
stesso Socrate. Il poderoso sforzo da lui tentato di strin- gere insieme le due
opposte esigenze pur nella forza indomabile dell’energia con cui esse
reciprocamente si escludono, non potrà non fallire. La vicenda post-socratica
delineava dunque la storia di un falli- mento; e di un fallimento, bisogna
aggiungere, che aveva un prezzo elevato per la filosofia: perché l’idea di
Platone altro non era che l’es- sere di Parmenide («dire idea – scriveva – è lo
stesso che dire essere») e il dialogo, che Socrate aveva coltivato come ricerca
sogget- tiva della verità, si irretiva nella dialettica oggettiva delle idee
trascen- denti, dell’essere, nella «dialettica consistente nella relazione che
hanno le idee in se stesse», in «dialettica oggettiva, che è norma e fine della
soggettiva» Gentile parlava bensì di conquista del pensiero platonico, di
progresso, ma in tutta la sua pagina circolava l’impressione del regresso e
della decadenza, del passo indietro, della chiusura metafisica. Impressione che
si fece nitida nel brano in cui, mettendo a diretto confronto i due filosofi,
Socrate e Platone, affermò che il primo, di fronte all’antico naturalismo,
aveva scoperto il pen- siero come «relazione», «soggetto, predicato e loro
relazione», mentre l’altro quella relazione aveva ricondotta «in un’idea
suprema», unica e universale, e perciò l’aveva annientata e assorbita
nell’ordine ogget- tivo dell’essere che nega e dissolve il pensiero: «quest’idea
– spiegava – pel fatto stesso che totalizza la relazione, l’annienta; perché
l’idea delle idee, essendo unica, è irrelativa». E dunque metteva capo
all’«unità massiccia, immota, morta, che è tutto un blocco, da prendere
LA BANDIERA DI SOCRATE o lasciare. Proprio come l’Essere eleatico. Pare
pensiero, e non è. Che era una critica della metafisica platonica e, al tempo
stesso, il più alto riconoscimento a Socrate: il quale restava, così, al centro
di questa storia, come una possibilità inesplosa dell’antico, che solo il
pensiero moderno, dopo il cristianesimo, avrebbe ripreso e realizzato. Nota
bibliografica BERTINI, “Considerazioni sulla dottrina di Socrate.” Memorie
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Napoli: Morano, SPAVENTA, Opere, a cura di Gentile. Firenze: Sansoni. Marcello Mustè. Mustè. Keywords:
la filosofia dell’idealismo italiano, popolarismo, governo federativo,
democrazia, kratos – natoli, il potere – un concetto di kratos – dirrito, il
principio politico, liberalismo, partito liberale italiano, comunismo, il libero economico, il libero etico, libero
politico, ri-sorgimento italiano, liberta del volere, “Gentile e Socrrate” --
-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mustè” – The Swimming-Pool Library.
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