Luigi Speranza -- Grice e Luca: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nell’arte d’amare – la scuola di Marostica -- filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Marostica). Filosofo italiano. Marostica, Vicenza, Veneto. Grice: “Luca expands on Alcibiades – I have touched the topic of Alcibiade when discussing eudaemonia, as literally having to do with the eudaemon – and the expression occurs in connection with Socrate/Alcibiade -- Grice: “One good thing about Luca is that if my philosophy revolves around ‘reason,’ his does it around ‘eros’!” -- Frequenta il Liceo Ginnasio Brocchi di Bassano del Grappa. Si laurea a Firenze, con la tesi, “Platone e il problema del linguaggio” con relatore Adorno. È stato incentrato inizialmente sulla tematica dell’’amore’ nella tradizione greco-romana del Convitto e Fedro. Mmantenuto però una costante apertura al ‘mythos’ di Omero, nella convinzione che per quanto differenti possano essere i costumi o gli statuti sociali, rimane un elemento per così dire “originario”, intrinsecamente umano, nell’approccio con il desiderio, l’amore, l’amicizia, la sessualità. In Labirinti dell’Eros, pur sviluppandosi la tematica all'interno di un arco di tempo definito, l’intento non è quello di affrontare l’argomento nella sua unita longitudinale ma di esprimere, senza costrizioni di un “per-corso pre-figurato” una distinzione logico concettuale, attraverso la quale conseguire, almeno, un punto fermo nell'amatoria. Riguarda anche lo sviluppo della tradizione pitagorico-platonica, sia nelle sue caratteristiche peculiari ed in rapporto alla metafisica, sia nell'accezione più ampia rispetto all'esigenza di dare conto "dei fenomeni" o sensibilia. Si orientata alla tarda produzione platonica e al pitagorismo di seconda generazione, che vengono analizzati anche attraverso la cosmologia. Saggi: “Il Simposio, Nuova Italia, Firenze, Platone, Fedro, Nuova Italia, Firenze, Eros e Epos: il lessico d'amore nei poemi omerici, L’amatoria, L.S. Gruppo editoriale, Quarto Inferiore (BO); “Platone e la sapienza antica. Matematica, filosofia e armonia, Marsilio, Venezia, Labirinti dell’Eros. Da Omero a Platone, con un saggio, Marsilio Venezia. Roberto Luca. Luca. Keywords: l’arte d’amare, Ovidio, il convito, I dialogui dell’amore: il convito e Fedro, l’amore degl’eroi – achille e patroclo – niso ed eurialo – la filosofia dell’amore nel convito, la morte di Patroclo, la morte di Niso, la morte di Eurialo, l’eroe tragico, Achille eroe tragico, Eurialo e Niso, eroi tragici, Enea, eroe tragico, Aiace, eroe tragico, Catone di Utica, eroe tragico, la morte di Eurialo – la morte d’Eurialo – la pederastia – Eurialo piu giovane da Niso. Luigi Speranza, “Grice e Luca: amatoria conversazionale: la massima o principio dell’amore proprio conversazionale e la massima dell’amore all’altro. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Luca” – The Swimming-Pool Library. Luca.
Luigi Speranza --
Grice e Lucano: la ragione convrsazionale al portico romano -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. The nephew of Seneca, he
achieves fame with a poem about the civil war between GIULIO (si veda) Caesar
and Pompeo. He follows the Porch, as tutored by Lucio Anneo Cornuto. Farsaglia. Marco Anneo Lucano. Lucano.
Luigi Speranza --
Grice e Lucceio: la ragione conversazionale e l’orto romano -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo
italiano. A historian and a friend of CICERONE. Some of Cicerone’s letters to L.
suggests that he may have followed the sect of L’ORTO. Citato da Svetonio. Amico di Giulio Cesare. Citato da
Livio. Lucio Lucceio. Keywords: Livio. Lucceio.
Luigi Speranza --
Grice e Luciano: la ragione conversazionale e la gnossi -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza, per il Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Roma).
Filosofo italiano. A gnostic, a follower of Cerdo. Luciano.
Luigi Speranza --
Grice e Luciano: la ragione conversazionale e il cinargo romano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza, per il Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. He studies at Rome with
Nigrino -- whom some suspect to be his
invention – and Albino, of the Accademia. Also influenced by Demonax, whose
philosophical outlook is more eclectic, although he is generally regarded as a member
of the Cinargo. He is famous for his essays and dialogues, mostly satirical,
many of which have survived. A number of philosophers appear in them, although
not all of them may have existed. As a satirist, he is more interested in
mocking pomposity and exposing hypocrisy than in advocating any positive
doctrine. Loeb. Luciano.
Luigi Speranza --
Grice e Lucilio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza, per il Gruppo di Gioco di H. P. Grice,
The Swimming-Pool Library (Sessa
Aurunca). Filosofo italiano. Alcuni romani insigni nutrirono interesse vivo per
i problemi della filosofia. L. Ciò si può dire di un membro del circolo degli
Scipioni, nato da famiglia ricca e distinta. L. ha un fratello che e
senatore e, per mezzo della figlia, nonno di Pompeo. L. conosce la cultura
greca (di cui si penetra) nell’Italia meridionale e a Roma, ove passa la
maggior parte della vita. Forse soggiorna anche in Atene. Come cavaliere L.
partecipa alla guerra contro Numanzia, agli ordini di Scipione Emiliano
L'Affricano, con cui aveva già stretti rapporti.In seguito appoggia
del'Affricano energicamente l'azione politica. L. fa parte, oltrechè del
circolo degli Scipioni, di uno più ampio. L. e amico dell'accademico
Clitomaco, che gli dedica un libro. Morì a Napoli. L. scrive XXX libri di
satire -- un genere filosofico --, di cui restano frammenti.In esse satire, L.
rappresenta e critica la vita romana dell’età sua, interessandosi soprattutto
di questioni politiche.Dei vizi del tempo L. e giudice severo. L. si
occupa molto di problemi logico-grammaticali, retorici e letterari.Si interessa
anche di filosofia speculativa, alla quale deve avere dedicato una
satira. Nei framm. del l. 28 la teoria dell’ORTO è confutata
verisimilmente da uno dall’ACCADEMIA, anche perchè vi si trovano varie notizie
sulla storia di tale scuola. La forma e il contenuto delle satire di L.
rivelano l’influsso della filosofia popolare del cinismo di Bione e di
Menippo. Un ampio frammento in cui L. dipinta la virtù romana, secondo alcuni
proviene da Panezio, secondo altri da Cleante: però qualche storico pone L. in
relazione con l'Accademia. A poetical philosopher, he writes many satirical works. Although
philosophy is one of his subjects, many of his writings are concerned with social
morals and standards of public life. Only fragments survive. Climotaco dedicates
a ‘saggio’ on the suspension of judgment to him. Ed. Warmington Loeb, Remains
of Old Latin. Gaio Lucilio. Keywords: Livio. Lucilio.
Luigi Speranza --
Grice e Lucilio: la ragione conversazionale e il portico romano -- l’implicatura conversazionale -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. A poetic philosopher. Best known as the friend of Seneca, to whom CXXIV
letters are written discussing a wide range of issues from a primarily point of
view of the Porch. Gaio Lucilio
Minore.
Luigi Speranza --
Grice e Lucio: la ragione conversazionale e il cinargo romano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. Of the Cynargo and an opponent of Favorino. Lucio.
Luigi Speranza -- Grice e Lucrezio: la
ragione conversazionale e l’orto romano – l’limplicatura conversazionale dell’alma
figlia di Giove – Roma == filosofia italiana – Luigi Speranza, per il Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Pompei). Filosofo
italiano. Grice: “By far the most
important concept in Lucrezio’s philosoophy is that of clinamen that Strawson
translates as the ‘swerve.’ It was saved from extinction by an Italian – as the
novel tells you!” Grice: “While Strawson reads it in Latin, I prefer the
version in the vulgar!” – Grice: “And by the vulgar I mean Marchetti!” Grice:
“It’s amazing how well Marchetti interprets Lucezio – there is a little
treatise on Epicureanism in the Lucrezio by Marchetti which is interesting. A
real continuity in Italian philosophy!” -- possibly the most important Italian
philosopher. Seguace dell'epicureismo. Della sua vita ci
è ignoto quasi tutto: egli non compare mai sulla scena politica romana, né
sembra esistere negli scritti dei contemporanei, in cui non viene mai citato,
eccezion fatta per la lettera di Cicerone ad Quintum fratrem II 9, contenuta
nella sezione Ad familiares, in cui il celebre oratore accenna all'edizione,
forse postuma, del poema di L., che egli starebbe curando. Ma in scrittori
romani successivi egli viene spesso citato: ne parlano Seneca, Frontone, Marco
Aurelio, Quintiliano, Ovidio, Vitruvio, Plinio il Vecchio, senza tuttavia
fornire nuove informazioni sulla vita. Questo però dimostra che non si tratta
di un personaggio inventato. Un'altra fonte che lo cita è San Girolamo nel
suo Chronicon o Temporum liber, di cinque secoli dopo, in cui, ispirandosi ad
alcuni dubbi passi di Svetonio, ci dice che sarebbe nato morto suicida. Tale dato non concorda
tuttavia con quanto affermato da Elio Donato, maestro di Girolamo stesso,
secondo il quale Lucrezio sarebbe morto quando indossò la toga virile,
nell'anno in cui erano consoli per la seconda volta Crasso e Pompeo. Questo
dato ha fatto propendere a credere che Lucrezio mori nel 55 a.C., all'età di quarantatré anni.
Queste vengono comunemente considerate le uniche notizie biografiche tramandate
direttamente dall'antichità. Ignoto risulta anche il luogo di nascita,
che tuttavia taluni hanno creduto essere Ercolano, per la presenza di un
Giardino Epicureo in quest'ultima città, in particolare, dall'analisi di
numerose epigrafi risalenti all'epoca dell'autore latino, risulta evidente
un'ingente presenza del cognome Carus nell'antico territorio campano, secondo
la critica recente la suddetta indagine prova fermamente (nei limiti del
probabile) le origini campane di L.. Neppure la sua militanza politica sembra
essere ricostruibile: il desiderio di pace accennato prima non sembra affatto
ricordare il drammatico rancore dell'aristocratico, per altro solitamente
stoico, che vede sgretolarsi la Repubblica e la libertà, ma il desiderio
dell'"amico" epicureo, che vede nella pace e nel benessere di tutti
la possibilità di fare accoliti e viver serenamente. È tuttavia rilevante il
fatto che la sua opera De rerum natura sia dedicata a Memmio, fine letterato e
appassionato di cultura greca, ma anche e soprattutto membro di spicco degli
optimates. Tale era, del resto, il suo desiderio di pace da auspicare
alla fine del proemio della sua opera una "placida pace" per i
Romani. Questo anelito così forte alla pace è peraltro riscontrabile non solo
in Lucrezio, ma anche in Catullo, Sallustio, Cicerone, Catone l'Uticense e
perfino in Cesare: esso rappresenta il desiderio di un'intera società dilaniata
da un secolo di guerre civili e lotte intestine. La scarsità delle fonti
sulla sua vita ha portato molti a interrogarsi persino sulla stessa esistenza
del filosofo, a volte considerato solo uno pseudonimo sotto il quale si celava
un anonimo filosofo per alcuni un amico epicureo di Cicerone, Tito Pomponio
Attico, che si suicidò, o persino lo stesso Cicerone. Secondo lo storico
Luciano Canfora, è possibile ricostruire una scarna biografia di Lucrezio:
nacque ad Ercolano, dove aveva una villa la famiglia nobiliare di un possibile
parente, Marco Lucrezio Frontone) appartenente quasi sicuramente all'antica
famiglia nobile dei Lucretii (qualcuno ne fa invece un liberto della stessa
famiglia). Studiò l'epicureismo proprio ad Ercolano, dove si trovava un centro
della "filosofia del giardino", diretta da Filodemo di Gadara, allora ospite nella villa
di Lucio Calpurnio Pisone, il ricco suocero di Cesare (la cosiddetta "villa
dei papiri"). Avrebbe sofferto di sbalzi d'umore, chiamati oggi
disturbo bipolare, ma non sarebbe stato pazzo, ma di questo umore alterno
risentì il suo lavoro. In disaccordo con le guerre civili, avrebbe lasciato
Roma e non sarebbe morto suicida ma avrebbe viaggiato ad Atene, nei luoghi del
maestro Epicuro, e oltre, essendo forse il suo nome conosciuto da Diogene di
Enoanda, quindi quasi in Asia minore, nelle cui famose incisioni sotto il
portico della sua casa si ricorda un certo "Caro" (nome poco
diffuso), romano, e sapiente epicureo. Non si sa se il poema fosse
diffuso nell'oriente, quindi è possibile che Lucrezio si fosse davvero recato
in Grecia. Lucrezio, spinto da una delusione d'amore, si sarebbe allontanato
lasciando incompiuto il suo poema, affidato forse a Cicerone stesso (che
difatti non parla effettivamente di suicidio ma afferma: «Lucretii poemata, ut
scribis, ita sunt: multis luminibus ingenii, multae tamen artis» ("le
poesie di Lucrezio, come tu mi scrivi, sono dotate di molti lumi di talento, e
tuttavia di molta arte"), ma, forse, senza impazzire e morire (che fosse
suicidandosi o perché assassinato), esagerazione della fonte di Girolamo o di
qualche altro avversario di Lucrezio, e sarebbe stato forse volutamente confuso
dallo stesso Girolamo con Lucullo, onde screditare l'epicureismo. Il
destinatario dell'opera, Gaio Memmio, caduto in disgrazia ed espulso dal Senato
per condotta immorale, andò ad Atene, causando una nuova delusione a Lucrezio,
che, tornato a Roma, sarebbe morto. La
notizia di un "filtro d'amore" velenoso somministratogli da una donna
di facili costumi, amante gelosa di Lucrezio, viene riportata anche da Svetonio
nei confronti di Caligola e della moglie Milonia Cesonia; in questo caso è
apparsa una semplice diceria, e, data l'ispirazione svetoniana (dal perduto De
poetis) del passo di Girolamo su Lucrezio, anche lì sembra essere una spiegazione
semplicistica, dovuta alla poca conoscenza dei disturbi psichici che si aveva
all'epoca (anche per Caligola si parlò, difatti, come per Lucrezio, di
epilessia e malattie fisiche misteriose che l'avrebbero fatto impazzire
improvvisamente, come, nel caso di studiosi moderni, l'avvelenamento da piombo,
oltre che dei detti "filtri"). Se Lucrezio soffrì di un disagio
psichico, che lo avrebbe spinto a cercare sollievo nella filosofia, non fu a
causa di un veleno, e se il suicidio ci fu (il che potrebbe spiegare
l'abbandono improvviso del poema), la causa potrebbe essere stata di natura
politica — come sarà più tardi il caso di Catone Uticense —, ovverosia la
rovina del suo protettore Memmio e della sua cerchia culturale. Virgilio, che
lo rispettava anche se era passato dall'epicureismo, abbracciato in gioventù,
alle teorie pitagoriche, parla di lui nelle Georgiche e nelle Bucoliche,
definendolo "felix" (ossia "prediletto dalla dea fortuna") e
non "folle". Secondo Guido Della Valle, la V ecloga, che parla della
morte di un personaggio chiamato Dafni (a volte identificato con Cesare, a
volte con Flacco, il fratello di Virgilio), potrebbe riferirsi invece alla
morte dello stesso Lucrezio, definita "immatura e innaturale", cioè
avvenuta per cause traumatiche. Il movente politico e morale del gesto potrebbe
essere la causa del silenzio attorno ad esso e del fiorire di aneddoti per
giustificarlo, dato che non si poteva cancellare la grandezza filosofica di
Lucrezio, con una sorta di damnatio memoriae di solito riservata ai nemici
politici. Essi erano spesso vittime delle liste di proscrizione dei
vincitori, come quella di Marc’antonio che colpirà Cicerone, e molti si
toglievano la vita, in quanto morte onorevole per i costumi romani; Virgilio e
Orazio, estimatori di L., facevano parte della corte di Augusto, e dovevano
quindi allinearsi alla linea culturale dettata dall'imperatore, assertore
dell'antica moralità e diffusore della leggenda di Cesare (per cui venivano
cancellate le espressioni scomode di dissenso), e dal suo amico Mecenate, in
cui l'epicureismo, se non sfumato come in Orazio appuntocosì come ogni opera
che non fosse celebrativa del princeps e della grandezza di Roma non trovava
spazio, per cui Lucrezio verrà ricordato solo come grande poeta, tralasciandone
l'aspetto filosofico. Secondo Della Valle, quindi, Lucrezio si sarebbe
tolto la vita come gesto di protesta contro la classe politica in ascesa, o
perché condannato a morte da essa. L., per il periodo in cui è vissuto,
personaggio scomodo: gli ideali epicurei di cui era profondamente intriso
corrodevano le basi del potere di una Roma alla vigilia della congiura di
Catilina. In un'epoca di tensioni repubblicane, infatti, isolarsi dalla realtà
politica nell'hortus epicureo significa sottrarsi ai negotia politici e uscire
di conseguenza anche dalla sfera d'influenza del potere. Le più forti correnti
stoiche, ostili all'epicureismo, avevano permeato la classe dirigente romana in
quanto più conformi alla tradizione guerriera dell'Urbe. L'epicureismo era
invece presente anche attraverso il citato Filodemo e altri in Campania, dove
Virgilio avrebbe approfondito la sua conoscenza dell'epicureismo. Orazio non lo
nomina, ma è evidente che lo conosce, e ideologicamente gli è più vicino di
altri. La natura poetica del De rerum natura fa sì che Lucrezio col suo
pessimismo esistenziale avanzi profezie apocalittiche, visioni quasi
allucinate, critiche e ambigue espressioni (Grice), che accompagnano il poema.
Alcuni teologi come San Girolamo ed altri, hanno dato di lui l'immagine di un
ateo psicotico in preda alle forze del male. Appoggiandosi alla psicoanalisi
qualcuno ha sostenuto che in certi bruschi cambiamenti di immagine e di
pensiero ci fossero i sintomi di una pazzia delirante o di problemi di ordine
psichico. In realtà l'ipotizzata pazzia di Lucrezio appare oggi più
plausibilmente un tentativo di mistificazione per screditare il poeta, così
come la presunta morte per suicidio sarebbe stato l'esito di un modo di pensare
perverso, che travia chi lo segue. L'ipotesi dell'epilessia poi, viene avanzata
sulla base dell'arcaica credenza che il poeta fosse sempre un invasato;
elemento quest'ultimo da collegare alla credenza che gli epilettici fossero
sacri ad Apollo e da lui ispirati nelle loro creazioni. Comunque altri
scrittori cristiani come Arnobio e Lattanzio affermarono che egli non fosse
pazzo e che non si fosse ucciso. L'ipotesi della follia e del suicidio
attestata dal Chronicon di Girolamo si fondava su illazioni di Svetonio,
peraltro di difficile verifica. Potrebbe anche esserci stata una confusione
dovuta all'abbreviazione “Luc.,” impiegata indifferentemente nei codici latini
per indicare i nomi di Lucillius, Lucullus e Lucretius. Plutarco scrisse
infatti di un certo Licinio LUCULLO (si veda), politico, generale e cultore dei
piaceri, che morì dopo essere impazzito a causa di un filtro d'amore. L'errore
di interpretazione dell'abbreviazione “Luc.” potrebbe così aver permesso lo scambio
dei due personaggi. A causa dell'impossibilità di ricostruire i momenti
salienti della sua vita, dunque, il progetto filosofico che egli volle
esprimere è ricostruibile interamente solo dalla sua opera, considerata tra le
più vigorose d'ogni età. Bisogna ora individuare le motivazioni che spinsero L.
a scrivere il De rerum natura, che fondamentalmente sono due. La prima è una
ragione etico-filosofica, in quanto L., affascinato dalla filosofia epicurea,
desiderava invitare il lettore alla pratica di tale filosofia, incitandolo a
liberarsi dall'angoscia della morte e degli dèi. La seconda motivazione invece
è di carattere storico. L. era conscio che la situazione politica a Roma
peggiorasse di giorno in giorno: Roma era quadro ormai di continui scontri
bellici e conseguenti dissidi; giustappunto egli, con un evidente positivismo,
voleva incoraggiare il cittadino-lettore romano a non perdere la fiducia verso
un successivo miglioramento della situazione. L. si proponeva di rivoluzionare
il cammino di Roma, riportandolo all'epicureismo che era stato declinato in favore
dello stoicismo. La prima cosa da distruggere era la convinzione
provvidenzialistica stoica e più propriamente romana. Non c'era un dovere
romano di civilizzare "l'orbe terrifero e de le acque", come farà
dire Virgilio alla Sibilla Cumana in un colloquio con Enea. Non c'è una ragione
seminale universale responsabile della vita nel cosmo, destinata a deflagrare
per poi ricominciare un nuovo, identico, ciclo esistenziale, come voleva la
fisica stoica, ma un mondo che non è unico nell'universo, peraltro infinito,
essendo uno dei tanti possibili. Non c'è quindi nessun fine provvidenziale di
Roma, essa è una Grande fra le Grandi, ed un giorno perirà nel suo tempo. La
religione, considerata come Instrumentum regni, deve essere non distrutta, ma integrata
nel contesto del viver civile come utile ma falsa. Egli afferma fin dal libro I
del De rerum natura. Tanto male poté suggerire la religione. Ma anche tu forse
un giorno, vinto dai terribili detti dei vati, forse cercherai di staccarti da
noi. Davvero, infatti, quante favole sanno inventare, tali da poter sconvolgere
le norme della vita e turbare ogni tuo benessere con vani timori! Giustamente,
poiché se gli uomini vedessero la sicura fine dei loro travagli, in qualche
modo potrebbero contrastare le superstizioni e insieme le minacce dei vati...
Queste tenebre, dunque, e questo terrore dell'animo occorre che non i raggi del
sole né i dardi lucenti del giorno disperdano, bensì la realtà naturale e la
scienza... E perciò, quando avremo veduto che nulla può nascere dal nulla,
allora già più agevolmente di qui potremo scoprire l'oggetto delle nostre
ricerche, da cosa abbia vita ogni essenza, e in qual modo ciascuna si compia
senza opera alcuna di dèi. Lucrezio colpiva direttamente la credenza negli dèi
latini sostenendo che non c'è preghiera che schiuda le fauci di una tempesta,
giacché essa è regolata da leggi fisiche e gli dèi, seppur esistenti e anche
loro composti da atomi così sottili che ne assicurano l'immortalità, non si
curano del mondo né lo reggono; ma la religione deve essere inglobata nella
scoperta e nello studio della natura, che rasserena l'animo e fa comprendere la
vera natura delle cose: infatti l'unico principio divino che regge il mondo è
la divina voluptas, Venere: il piacere, la vita stessa intesa come animazione
regge l'universo, ed è l'unica cosa in grado di fermare lo sfacelo che sta
portando Roma alla fine: Marte, ovvero la Guerra. Proprio per questo, egli
elogia Atene, creatrice di quegli intelletti più grandi che hanno illuminato la
natura e quindi l'uomo stesso, ed in ultima istanza Epicuro, sole invitto della
conoscenza rasserenatrice. Non solo, egli stesso si sente quasi un poeta
rasserenatore delle tempeste umane e proprio per questo si sente profondamente
affine ai poeti delle origini, il cui luogo principe è in Empedocle (secondo
infatti per elogi solo a Epicuro) ma con una sola grande differenza: egli non è
portatore di una verità divina fra le umane genti, ma di una verità affatto
umana, universale e per tutti, che attecchirà ben presto per la salvezza di
Roma. Epicuro è comunque, per Lucrezio, il più grande uomo mai esistito, come
risulta dai tre inni a lui dedicati (chiamati anche "trionfi" o
"elogi"): «E dunque trionfò la vivida forza del suo animo. E si
spinse lontano, oltre le mura fiammeggianti del mondo. E percorse con il cuore
e la mente l'immenso universo, da cui riporta a noi vittorioso quel che può
nascere, quel che non può, e infine per quale ragione ogni cosa ha un potere
definito e un termine profondamente connaturato. Perciò a sua volta abbattuta
sotto i piedi la religione è calpestata, mentre la vittoria ci eguaglia al
cielo. Il De rerum natura e un poema didascalico in esametri, di genere
scientifico-filosofico, suddiviso in sei libri (raccolti in diadi), comprendente
un totale di 7415 versi, che illustrano fenomeni di dimensioni progressivamente
più ampie: dagli atomi si passa al mondo umano per arrivare ai fenomeni
cosmici. Riproduce il modello prosastico e filosofico epicureo e la struttura
del poema Περὶ φύσεως di GIRGENTI (vedasi) (anche un'opera dell’ORTO aveva il
medesimo titolo). Secondo i filologi vi sono corrispondenze e simmetrie interne
che corrisponderebbero ad un gusto alessandrino. L'opera infatti è suddivisa in
tre diadi, che hanno tutte un inizio solare ed una fine tragica. Ogni diade
contiene un inno ad Epicuro, mentre il secondo e il terzo libro (in
quest'ultimo è presente anche un'esposizione della sua estetica) si aprono
entrambi con un inno alla scienza. Essendo un poema didascalico, ha come
modello Esiodo e quindi anche GIRGENTI (vedasi), che aveva preso il modello
esiodeo come massimo strumento per l'insegnamento della filosofia. Altri
modelli potrebbero essere i poeti ellenistici Arato e Nicandro di Colofone, che
usavano il poema didascalico come sfoggio di erudizione letteraria. Il
destinatario e i destinatari Il dedicatario dell'opera è la Memmi clara
propago, ovvero il rampollo della famiglia dei Memmi, che solitamente si identifica
con Gaio Memmio. Più in generale, si può dire che il destinatario che l'autore
si prefigge di conquistare è il giovane aperto ad ogni esperienza, che un
giorno prenderà il posto dei politici e attuerà quella rivoluzione propugnata
con tanto fervore da L.. Ma, almeno con Memmio, egli fallì: da adulto divenne
un dissoluto, fraintendendo il significato di piacere catastematico epicureo, e
fu allontanato dal Senato probri causa, cioè per immoralità. Riparò quindi in
Grecia, dove scrisse poesie licenziose e dove ce lo menziona anche Cicerone
(nelle Ad Familiares), intenzionato a distruggere la casa e il giardino in cui
proprio Epicuro risiedette, per costruirsi un palazzo, suscitando lo sdegno
degli epicurei che fecero istanza a CICERONE stesso di intervenire per
impedirglielo, senza che però Cicerone ci riuscisse. In un simile progetto L.
scelse di doversi rifare ad un modello di stile arcaico, che vedeva in Livio
Andronico, ma soprattutto in Ennio e in Pacuvio i modelli emuli, per motivi fra
loro quanto meno vari: l'egestas linguae (povertà della lingua), lo vede
costretto a dover arrangiare le lacune terminologiche e tecnicistiche con
l'arcaismo, ancora che proprio L., insieme a Cicerone, sia uno dei fondatori
del lessico astratto e filosofico latino, e a colmare e ancor meglio
comprendere l'oscurità del filosofo con la mielosa luce della poesia. Discendendo
più in profondità nelle anguste gole del poema, si notano anche altri problemi
cui dovette far fronte: primo fra tutti, come tradurre parole di pregnanza
filosofica in latino, che ancora non aveva termini confacenti. Finché poté,
egli evitò la semplice translitterazione (ad es. "atomus" per Ατομος)
e preferì invece usare altri termini presenti già nella sua lingua magari
dandogli altra accezione oppure (come mostrato anche sopra) creando neologismi.
Ed è proprio grazie all'arcaismo che L. riesce a rendere possibile tutto
questo: infatti era proprio dello stile arcaico il neologismo
"munificenza" ed anche un certo uso (convulso a detta di antichi e
moderni) delle figure di suono quali allitterazioni, consonanze, assonanze e
omoteleuti. Molto importante è anche il fatto che L.non si limitò a trasmettere
il messaggio di Epicuro con un arido scritto filosofico, ma lo fece attraverso
un poema che, a differenza del rigoroso linguaggio razionale della filosofia,
parla per squarci imaginifici. Sul piano teorico l'opera di Lucrezio si
caratterizza come una puntualizzazione di quella epicurea con alcune
esplicazioni che nel suo referente greco non erano abbastanza chiare. Il
concetto di parenklisis che Lucrezio tradurrà con clinamen mancava di definizione
chiara. Nella Lettera ad Erodoto Epicuro poneva infatti la parenklisis ma poi
parla piuttosto di una deviazione per urto. Il celebre passaggio del libro II
del De rerum natura dice: Perciò è sempre più necessario che i corpi
deviino un poco; ma non più del minimo, affinché non ci sembri di poter
immaginare movimenti obliqui che la manifesta realtà smentisce. Infatti è
evidente, a portata della nostra vista, che i corpi gravi in se stessi non
possono spostarsi di sghembo quando precipitano dall’alto, come è facile
constatare. Ma chi può scorgere che essi non compiono affatto alcuna deviazione
dalla linea retta del loro percorso? Lucrezio precisa poi ulteriormente le
modalità del clinamen aggiungendo: «Infine, se ogni moto è legato sempre
ad altri e quello nuovo sorge dal moto precedente in ordine certo, se i germi
primordiali con l’inclinarsi non determinano un qualche inizio di movimento che
infranga le leggi del fato così che da tempo infinito causa non sussegua a
causa, donde ha origine sulla terra per i viventi questo libero arbitrio, donde
proviene, io dico, codesta volontà indipendente dai fati, in virtù della quale
procediamo dove il piacere ci guida, e deviamo il nostro percorso non in un
momento esatto, né in un punto preciso dello spazio, ma quando lo decide la
mente? Infatti senza alcun dubbio a ciascuno un proprio volere suggerisce
l’inizio di questi moti che da esso si irradiano nelle membra] Per quanto
riguarda la sfera del vivente Lucrezio la collega direttamente agli atomi nel
loro processo creativo, scrivendo: Così è difficile rescindere da
tutto il corpo le nature dell'animo e dell'anima, senza che tutto si dissolva.
Con particelle elementari così intrecciate tra loro fin dall’origine, si
producono insieme fornite d’una vita di eguale destino: ed è chiaro che ognuna
di per sé, senza l’energia dell’altra, le facoltà del corpo e dell’anima
separate, non potrebbero aver senso: ma con moti reciprocamente comuni spira
dall’una e dall’altra quel senso acceso in noi attraverso gli organi. Lucrezio riprende
in maniera radicale la tesi già di Epicuro. La religione è la causa dei mali
dell'uomo e della sua ignoranza. Egli ritiene che la religione offuschi la
ragione impedendo all'uomo di realizzarsi degnamente e, soprattutto, di poter
accedere alla felicità, da raggiungere attraverso la liberazione dalla paura
della morte. Il poema ha come argomenti principali la lacerante antinomia fra
ratio e religio, l'epicureismo e il progresso. La ratio è vista da Lucrezio
come quella chiarità folgorante della verità «che squarcia le tenebre
dell'oscurità», è il discorso razionale sulla natura del mondo e dell'uomo,
quindi la dottrina epicurea, mentre la religio è ottundimento gnoseologico e
cieca ignoranza, che lo stesso L. denomina spesso con il termine
"superstitio". Indica l'insieme di credenze e dunque di comportamenti
umani "superstiziosi" nei confronti degli dèi e della loro potenza.
Poiché la religio non si basa sulla ratio essa è falsa e pericolosa. Afferma
che sono evidenti le nefaste conseguenze della religione e adduce come esempio
il caso di Ifigenia, dicendo poi che il mito è una rappresentazione falsata
della realtà, come nell'Evemerismo. La religione è perciò la causa principale
dell'ignoranza e dell'infelicità degli uomini. L. riprende i temi principali
della dottrina epicurea, che sono: l'aggregazione atomistica e la
"parenklisis" (che egli ribattezza clinamen), la liberazione dalla
paura della morte, la spiegazione dei fenomeni naturali in termini meramente
fisici e biologici. Egli opera un completamento di essa in senso naturalistico
ed esistenzialistico, introducendo un elemento di pessimismo, assente in
Epicuro, probabilmente da attribuirsi a una personalità malinconica. Da un
punto di vista ontologico, secondo Lucrezio, tutte le specie viventi (animali e
vegetali) sono state "partorite" dalla Terra grazie al calore e
all'umidità originari. Ma egli avanza anche un nuovo criterio evoluzionistico:
le specie così prodotte sono infatti mutate nel corso del tempo, perché quelle
malformate si sono estinte, mentre quelle dotate degli organi necessari alla
conservazione della vita sono riuscite a riprodursi. Tale concezione atea,
materialista, antiprovvidenzialista e storica della natura sarà ereditata e
rielaborata da molti pensatori materialisti dell'età moderna, in particolare
gli illuministi Diderot, d'Holbach e La Mettrie, anch'essi atei dichiarati e a
loro volta divulgatori dell'ateismo; Lucrezio sarà inoltre seguito da Foscolo e
Leopardi. L. nega ogni sorta di creazione, di provvidenza e di beatitudine
originaria e afferma che l'uomo si è affrancato dalla condizione di bisogno
tramite la produzione di tecniche, che sono trasposizioni della natura. Però,
il progresso non è positivo a priori, ma solo finché libera l'uomo dall'oppressione.
Se è invece fonte di degradazione morale, lo condanna duramente. Lucrezio
introduce nel III libro del De rerum natura una chiarificazione che nel mondo
latino era stata trascurata generando non poche confusioni, circa il concetto
di “animus” in rapporto a quello di “anima” «Vi sono dunque calore e aria
vitale nella sostanza stessa del corpo, che abbandona i nostri arti morenti.
Perciò, trovata quale sia la natura dell'animo e dell'anima quasi una parte
dell'uomo -, rigetta il nome di armonia, recato ai musicisti già dall'alto
Elicona, o che essi hanno forse tratto d'altrove e trasferito a una cosa che
prima non aveva un suo nome. Tu ascolta le mie parole. Ora affermo che l'anima
e l'animo sono tenuti Avvinti tra loro, e formano tra sé una stessa natura. Ma
è il capo, per così dire, è il pensiero a dominare tutto il corpo: quello che
noi denominiamo animo e mente e che ha stabile sede nella zona centrale del
petto. Qui palpitano infatti l'angoscia e il timore, qui intorno le gioie
provocano dolcezza; qui è dunque la mente, l’animo. La restante parte
dell’anima, diffusa per tutto il corpo, obbedisce e si muove al volere e
all’impulso della mente. Questa da sé sola prende conoscenza, e da sé gioisce,
quando nessuna cosa stimola l’anima e il corpo. L. riprende il concetto
ellenico di anima come "soffio vitale che vivifica ed anima il corpo, ciò
che i greci chiamavano psyché. Questo soffio pervade tutto il corpo in ogni sua
parte e lo abbandona solo “con l'ultimo respiro". L'"animus"
invece è identificabile col "noùs" ellenico, traducibile in latino
con mens. Dunque animus e mens paiono essere o la stessa cosa o due elementi
coniugati dell'unità mentale. L'indicazione della “zona centrale del petto”
come sede fa pensare al concetto di “cuore”, ricorrente ancora oggi nel
linguaggio comune per indicare la sensibilità umana, centro dell'emozione e del
sentimento. Parrebbe allora che l'animus sia insieme e conoscenza e emozione,
mentre l'anima è soffio vitale. L'angoscia esistenziale Il De rerum natura è
ricchissimo di elementi tipici dell'esistenzialismo moderno, riscontrabile
specialmente in Leopardi, che dell'opera di L.era un profondo conoscitore,
anche se in realtà non è noto il lasso di tempo in cui Leopardi lesse L.. Questi
elementi di angoscia hanno indotto alcuni studiosi a sottolineare il pessimismo
di fondo che si opporrebbe alla volontà di rinnovare il mondo a partire dalla
filosofia epicurea; in altre parole, in Lucrezio ci sarebbero due spinte
contrapposte; l'una dominata dalla razionalità e fiduciosa nel riscatto
dell'uomo, l'altra ossessionata dalla fragilità intrinseca degli esseri viventi
e dal loro destino di dolore e morte. Altri studiosi, però ritengono che
l'insistenza di Lucrezio sugli aspetti dolorosi della condizione umana non sia
altro che una strategia di propaganda, per fare emergere più fortemente la
funzione salvifica della ratio epicurea. S'intende, ciechi alla dottrina di
Epicuro. Sul luogo di nascita: anche se
c'è chi afferma fosse nato a Roma, si ritiene quasi all'unanimità che fosse
originario della Campania: di Napoli, di Ercolano, o, secondo recenti studi
epigrafici, di Pompei, dove il nomen e il cognomen Tito e L. sono attestati, e
la gens Lucretia ha delle ville cfr: Biografia di L.; o perlomeno vi avesse
abitato a lungo cfr. Enrico Borla, Ennio Foppiani, Bricolage per un naufragio.
Alla deriva nella notte del mondo, cfr. anche la Lucrezio Caro, Tito su
Enciclopedia Treccani Sulla data di
nascita: molti optano per il 98 a.C. o secondo altri 96 a.C. Secondo alcune fonti: Lucretius testimonia
vitae Canfora, Vita di L., Sellerio, o secondo altri 53 a.C., cfr. Paolo Di Sacco,
M. Serio, "Odi et amoStoria e testi della letteratura latina" L'età
arcaica e la repubblica", Scolastiche Mondadori, Modulo. Testimonianze su
L. Canfora. Lucrezio, De rerum natura, L., De rerum natura, Enrico Fichera, I
"templa serena" e il pessimismo di Lucrezio: echi lucreziani nella
letteratura, Roma, Bonanno edizioni, Lippold, Testo per Arndt-Bruckmann,
Griech. u. röm. Porträts, Monaco. Enciclopedia dell'arte antica Cfr. Gerlo, Coccia, Il mondo classico
nell'immaginario contemporaneo Nel
romanzo epistolare di Tiziano Colombi, Il segreto di Cicerone, Palermo,
Sellerio, Nomi romani: glossario
Canfora, Cicerone, Ep. ad Quintum fratrem, II 9. S L.
Canfora, Classici: L. e il De rerum natura Aldo Oliviero, Il
suicidio di L., su lafrontieraalta.com. Stampini, Il suicidio di L., Messina,
Tipografia D'Amico, La risposta di Virgilio a L. Guido Della Valle (Napoli), pedagogista e
docente universitario, autore di Tito L Caro e l.'epicureismo campano, Napoli,
Accademia Pontaniana, L. in Enciclopedia Italiana L.: informazioni biografiche
ibidem La natura delle cose, Milano, Rizzoli, Eneide, lLa natura delle cose,
cit. supra81. L., La natura delle cose, La natura delle cose. Il De rerum natura di L.
Introduzione a Lucrezio accesso= Memmio su Enciclopedia Italiana Lo stile
di Lucrezio C. Craca, Le possibilità
della poesia. Lucrezio e la madre frigia in «De rerum natura» IBari, Edipuglia,
Epicuro, Opere, E. Bignone, Laterza L,, La natura delle cose, Biagio Conte,
Milano, Rizzoli, La natura delle cose. De rerum natura, Fusaro, L., su filosofico.net.
e rerum natura, VTasso segue L. stilisticamente, non ideologicamente: vedasi la
famosa similitudine del proemio del libro IV, ripresa nel proemio della Gerusalemme
liberate, La natura delle cose, cit. supra, De rerum natura, Pazzaglia,
Antologia della letteratura italiana. L.,
introduzione Edizioni De rerum natura, (Brixiae), Thoma Ferrando auctore,
De rerum natura libri sex nuper emendati, Venetiis, apud Aldum, In Carum
Lucretium poetam commentarij a Pio editi, Bononiae, in ergasterio Hieronymi
Baptistae de Benedictis, De rerum natura libri sex a Lambino emendati atque
restituti et commentariis illustrati, Parisiis, in Gulielmi Rovillij aedibus, De
rerum natura libri VI, Patavii, excudebat Josephus Cominus, De rerum natura
libri sex, Revisione del testo, commento e studi introduttivi di Giussani,
Torino, E. Loescher (importante edizione
critica, tuttora fondamentale). De rerum natura, Edizione critica con
introduzione e versione Flores, Napoli, Bibliopolis, Traduzioni italiane Della
natura delle cose libri sei tradotti da Marchetti, Londra, per G. Pickard. La
natura, libri VI tradotti da Rapisardi, Milano, G. Brigola, Della natura, Armando
Fellin, Torino, POMBA. Della natura, Versione, introduzione e note di Cetrangolo,
Firenze, Sansoni, La natura delle cose, Introduzione di Gian Biagio Conte,
Traduzione di Canali, Testo latino e commento Dionigi, Milano, Rizzoli, La
natura, Introduzione, testo criticamente riveduto, traduzione e commento di Giancotti,
Milano, Garzanti (Per la specifica sul
De rerum natura si rimanda a tale voce) Alfieri, L., Firenze, Le Monnier, A.
Bartalucci, L. e la retorica, in: Studi classici in onore di Cataudella, Catania,
Edigraf, Bollack, La raison de L. Constitution d'une poetique philosophique
avec un essai d'interpretation de la critique lucretienne, Parigi, Les editions
de Minuit, Bonelli, I motivi profondi della poesia lucreziana, Bruxelles,
Latomus, Boyancé, L. e l'epicureismo, Edizione italiana Alberto Grilli,
Brescia, Paideia, Camardese, Il mondo animale nella poesia lucreziana tra topos
e osservazione realistica, Bologna, Patron, Canali, L. poeta della ragione,
Roma, Editori Riuniti, Canfora, Vita di L., Palermo, Sellerio, G. Della Valle,
Tito L. Caro e l'epicureismo campano, Seconda edizione con due nuovi capitoli,
Napoli, Accademia Pontaniana, Gerlo, Pseudo-L. in: «L'Antiquité Classique», Giancotti,
L. poeta epicureo. Rettificazioni, Roma, G. Bardi, Giancotti, Religio, natura,
voluptas. Studi su L. con un'antologia di testi annotati e tradotti, Bologna,
Patron, Giardini, Lucrezio. La vita, il poema, i testi esemplari, Milano,
Accademia, Greenblatt, Il manoscritto. Come la riscoperta di un libro perduto
cambiò la storia della cultura europea, traduzione di Zuppet, Milano,
Rizzoli, H. Jones, La tradizione
epicurea, Genova, ECIG, R. Papa, Veterum poetarum sermo et reliquiae quatenus
Lucretiano carmine contineantur, Neapoli, A. Loffredo, Perelli, L. poeta
dell'angoscia, Firenze, La Nuova Italia, Perelli, L.. Letture critiche, Milano,
Mursia, Pieri, L. in Macrobio. Adattamenti al testo virgiliano, Messina, Casa
Editrice D'Anna, V. Prosperi, Di soavi licor gli orli del vaso. La fortuna di
Lucrezio dall'Umanesimo alla Controriforma, Torino, Aragno, Sasso, Il progresso
e la morte. Saggi su Lucrezio, Bologna, Il Mulino, R. ScarciaE. ParatoreG. D'Anna,
Ricerche di biografia lucreziana, Roma, Ateneo, Tescari, Lucretiana, Torino,
SEI,O. Tescari, L., Roma, Edizioni Roma, A. Traglia, De Lucretiano sermone ad
philosophiam pertinente, Roma, Gismondi, Scritti letterari Canali, Nei
pleniluni sereni. Autobiografia immaginaria di Tito Lucrezio Caro, Milano, Longanesi,
E. Cetrangolo, L.. Tragedia, Roma, Cometa, Colombi, Il segreto di Cicerone,
Palermo, Sellerio. Piergiorgio Odifreddi, Come stanno le cose. Il mio L., la
mia Venere, Milano, Rizzoli, Alieto Pieri, Non parlerò degli dèi. Il romanzo di
L., Firenze, Le Lettere, Epicureismo Esistenzialismo ateo Storia dell'ateismo L.
su Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tito L. Caro, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tito L. Caro Opere di Tito L. Caro, su
Liber Liber. openMLOL, Horizons Audiolibri
di Tito L. Caro, su LibriVox. Goodreads. De Rerum Natura: testo con concordanze
e liste di frequenza, su intratext.com. Intervista a Luca Canali su passioni e
razionalità in Lucrezio, dall'Enciclopedia multimediale delle scienze
filosofiche, su conoscenza.rai. Analisi critica del pensiero di Lucrezio, su
lucrezio.exactpages.com. V D M Epicureismo Filosofia Letteratura Letteratura Categorie: Poeti romani Filosofi
romani Roma L. Atomisti Epicurei Filosofi atei L. Storia dell'evoluzionismo Pre-esistenzialisti
Personalità dell'ateismo. Refs.: Lucretius, in The Stanford Encyclopaedia. Alma
figlia di Giove, inclita madre Del gran germe d'Enea, Venere bella,
Degli uomini piacere e degli Dei: Tu che sotto i girevoli e lucenti
Segni del cielo il mar profondo, e tutta D’ animai d'ogni specie orni la
terra, Che per se fora un vasto orror soUngo: Te Dea, fnggono i
venti: al primo arrivo Tuo svaniscon le nubi: a te germoglia Erbe e
fiori odorosi il suolo indnstre: Tu rassereni i giorni foschi, e
rendi Col dolce sguardo il mar chiaro e tranquillo, E splender fai
di maggior lume il ciclo. Qualor deposto il freddo ispido manto L'anno
ringiovanisce, « la soave Aura feconda di Favonio spira, Tosto tra fronde
e fronde i vaghi augelli. Feriti il cor da' tuoi pungenti dardi,
Cantan festosi il tuo ritorno, o Diva; Liete scorron saltando i
grassi paschi Le fiere, e gonfi di nuor' acqae i fìami Varcano a
nuoto e i rapidi torrenti: Tal da' teneri tuoi rezzi lascivi
Dolcemente allettato ogni animale Desioso ti segue ovunque il
gnidi. In somma tu per mari e monti e fiumi, Pe'boschi
ombrosi e per gli aperti campi, Di piacevole amore i petti
accendi, E cosi fai che si conservi '1 mondo. Or se tu sol
della Natura il freno Reggi a tua voglia, e senza te non vede Del
di la luce desiata e bella, Nè lieta e amabil fassi alcuna
cosa: Te, Dea, te bramo per compagna all'opra, In cui di scriver
tento in nuovi carmi Di Natura i segreti e le cagioni Al gran Memmo
Gemello a te si caro, In ogni tempo, e d’ogni laude ornato. Tu
dunque, o Diva, ogni mio detto aspergi D’eterna grazia, e fa’ cessare
intanto E per mare e per terra il fiero Marte, Tu, che sola
puoi farlo: egli sovente D’amorosa ferita il cor trafitto Umil si
posa nel divin tuo grembo. Or mentr’ ei pasce il desioso
sguardo Di tua beltà, ch'ogni beltade avanza, E che l’anima
sua da te sol pende, Deh ! porgi a lui, vezzosa Dea, deh ! porgi A
lui soavi preghi, e fa'ch’ ei renda Al popol suo la desiata
pace. Che se la patria nostra è da nemiche Armi abitata, io più
seguir non posso con animo quieto il preso stile, nè può di Memmo il
generoso figlio aS l^egar sé stesso alla comaa
salate. Tu, gran prole di Memmo, ora mi porgi Grate ed attente
orecchie, e ti prepara, Lungi da te cacciando ogni altra cura,
Alle vere ragioni, e non volere I miei doni sprezzar pria che gl’
intenda. Io narrerotti in che maniera il cielo con moto alterno ognnr
si volga c giri j Degli Dei la natura, e delle cose Gli alti
principi, e come nasca il tutto ; Come poi -si nutrichi, e come
cresca, Ed in che finalmente ei si risolva: £ ciò da noi
nell’avvenir dirassi primo corpo, materia, o primo seme, o corpo
genitale, essendo quello Onde prima si forma ogni altro corpo: Che
d'uopo é pur che’n somma eterna pace Yivan gli Dei per lor natura, e
lungi Stian dal governo delle cose umane, Scevri d' ogni dolor, d’ogni
periglio, biechi sol di lor stessi, e di lor fuori di nulla
bisognosi, e che nè metto Nostro gli alletti, o colpa accenda ad
ira. Giacca l’ umana vita oppressa e stanca Sotto religìon grave e
severa. Che mostrando dal ciel l’altero capo Spaventevole in vista e
minacciante ne soprasta. Un iiom d’Atene il primo e, che d’ergerle
incontra ebbe ardimento Gli occhi ancor che mortali, e le s’oppose.
Questi non paventò nè eie! tonante Nè tremoto che ’l mondo empia d’
orrore, Nè fama degli Dei, nè fulmin torto j Ma qual acciar su dura
alpina cote quanto s’agita più tanto più splende. Tal dell’animo suo
mai sempre invitto Nelle difficoltà crebbe il desio a Di
spezzar pria d'ogni altro i saldi chiostri, E r ampie porte di Natura
aprirne. Cosi vins' egli, e con l' eccelsa mente Varcando
oltre a' confin del nostro mondo, e bastante a capir spazio
infinito. Quindi sicuramente egli n’ insegna Gid che nasca o non
nasca, ed in qual modo Ciò che racchiude l' Universo in seno Ha
poter limitato, e tcrmin certo : E la religion co’pié
calcata, L' alta vittoria sua c’ erge alle stelle. Nè creder già che
scelerate ed empie sian le cose eh’ io parlo. Anzi sovente L' altrui
religion ne’ tempi^antichi Cose produsse scelerate ed empie. Questa
il fior degli eroi scelti per duci Deir oste argiva in Aalide
indusse Di Diana a macchiar l' ara innocente Col sangue d' Ifigenia,
allor che cinto di bianca fascia il bel virgineo crine vid’ella a se
davanti in mesto volto Il padre, e alni vicini i sacerdoti Celar 1’
aspra bipenne, e '1 popol tutto Stillar per gli occhi in larga vena il
pianto Sol per pietà di lei, che muta e mesta Teneva a terra le
ginocchia inchine. Nè giovi punto all’innocente e casta povera
verginella in tempo tale, ch’ a nome della patria il prence avesse
All’ esercito greco un re donato; Che tolta dalle man del suo
consorte Fu condotta all’ aitar tutta tremante: Non perchè
terminato il sacrifizio, legata fosse col soave nodo d’un illustre
imeneo. Ma per cadere Nel tempo stesso delle proprie nozze A* piè
del genitore ostia dolente per dar felice e fortunato evento All'
armata navale. Error si grave Persuader la religion poteo. Tu stesso dall’orribili
minacce de’ poeti atterrito, a i detti nostri di negar tenterai la fe
dovuta. Ed oh, quanti potrei fìngerti anch'io Sogni e chimere, a
sovvertir bastanti Del viver tuo la pace, e col timóre Il sereno
turbar della tua mente. Ed a ragion, che se prescritto il
fine vedesse l'uomo alle miserie sue. Ben resister potrebbe alle
minacce Delle religioni, e de' poeti. Ma come mai resister può, s'
ei teme Dopo la morte aspri tormenti eterni. Perchè dell' alma è a
lui l’essenza ignota: S' ella sia nata, od a chi nasce infusa, E se
morendo il corpo anch' ella muoia? Se le tenebre dense, e se le
vaste Paludi vegga del tremendo Inferno, O s' entri ad
informare altri animali Per ^divino voler, siccome il nostro Ennio
cantò, che pria d' ogn' altro colse In riva d'Elicona eterni
allori. Onde intrecciossi una ghirlanda al crine FRA L’ITALICA GENTI illustre
c chiara? Bench' ci ne' dotti versi affermi ancora Che sulle sponde
d' Acheronte s' erge Un tempio sacro a gl' infernali Dei, Ove
non 1' alme o i corpi nostri stanno. Ma certi simulacri in ammirande
Guise pallidi in volto, e quivi narra d’aver visto l'imagine d’Omero
Piangere amaramente, e di Natura Raccontargli i segreti e le
cagioni. Dunque non pnr de’più sublimi effetti Cercar le cause, e
dichiarar conviensi Della luna e del sole i morimenti. Ma come
possan generarsi in terra tutte le cose, e con ragion sagace principalmente
investigar dell' alma, £ dell'animo uman l’occulta essenza, E
ciò che sia quel, che vegliando infermi, £ sepolti nel sonno, in guisa
n'empie d’alto terror, che di veder presente Parne, e d’udir chi già
per morte in nude ossa ò converso, e poca terra asconde e so ben io qual
malagevol’ opra Sia r illustrar de’ Greci in toschi carmi L’
oscure invenzioni, e quanto spesso Nuove parole converrammi usare, non
per la povertà della mia lingua ch’alia greca non cede, e più d’ ogn’
altra piena è di proprie e di leggiadre vocij ma per la novità di quei
concetti Ch’esprimer tento, e che nuli’ altro espresse. Pur
nondimcn la tua virtude ò tale, e lo sperato mio dolce conforto
Della nostr’amistà, eh’ ognor mi sprona A soffrir volentieri ogni
fatica, E m’induce a vegliar le notti intere, sol per veder con
quai parole io possa Portare innanzi alla tua mente un lume, Ond’
ella vegga ogni cagione occulta. Or si vano terror, si cieche
tenebre Schiarir bisogna, e via cacciar dall’ animo nn co’ be’
rai del sol, non già co’ lucidi dardi del giorno a saettar poc’
abili fuorché l’ombre notturne e i sogni pallidi, Ma col mirar della
Natura, e intendere D’occulte cause e la velata imagine. Tu, se di
conseguir ciò brami, ascoltami. Sappi, che nulla per diyin volere
Pad dal nalla crearsi, onde il timore, che qaind'il cor d'ogni mortale
ingombra, Vano è del tutto, e se tu vedi ognora Formarsi molte cose
in terra e ’n cielo, nè d'esse intendi le cagioni, e pensi Perciò
che Dio le faccia, erri e deliri. Sia dunque mio principio il
dimostrarti, Che nulla mai si può crear dal nulla. Quindi assai
meglio intenderemo il resto £ come possa generarsi il lutto
Senz'opra degli Dei. Or se dal nnlla- Si creasser le cose, esse di
seme Non avrian d'uopo, e si vedrian produrre Uomini ed animai nel
seti dell' acque, nel grembo della terra uccelli e pesci, e nel vano
dell’aria armenti e greggi; Pe' luoghi culli, e per gl' inculti il
parto D'ogni fera selvaggia incerto fora; Nè sempre ne darian
gl'istessi frutti Gli alberi, ma diversi ; anzi ciascuno D' ogni
specie a produrgli allo sarebbe. Poiché come potrian da certa madre nascer
le cose, ove assegnati i propri semi non fosser da ^Natura a tutte
1 Ma or perché ciascuna è da principi certi creala, indi ha il natale
ed esce Lieta a godere i dolci rai del giorno, ov'è la sua materia e
-i-vorpi primi: E quindi nascer d'ogni cosa il tutto Non può,
perchè fra loro alcune certe cose hall l'interna facoltà distinta.
Inoltre ond' è che primavera adorna sempre è d’ erlie e di fior? che
di mature Biade all' estiv' arsura ondeggia il campo? e che sol
quando Febo occupa i segni O di Libra o di Scorpio, allor la
vite Suda il dolce liquor che inebria i sensi? Se non perché a'ior
tempi alcuni certi Semi in un concorrendo, atti a produrre Son ciò
che nasce, alJor che le stagioni Opportune il richieggono, e la
terra «I Di rigor genital piena c di succo, Puote all’ aure inalzar
sicuramente Le molli erbette e l’altre cose tenere i che se pur generate
esser dal nulla Potessero, apparir dovrian repente In contrarie
stagioni e spazio incerto, Non vi essendo alcun seme, che
impedito Dall' Union feconda esser potesse O per ghiaccio o per sol
ne' tempi avversi. Né per crescer le cose avrian mestiere di spazio
alcuno in cui si unisca il seme, i' elle fosser del nulla atte a nutrirsi.
Ma nati appena i pargoletti infanti Diverrebbero adulti, e in un
momento Si vedrebber le piante inverso il cielo Erger da terra le
robuste braccia. Il che mai non succede. Anzi ogni cosa cresce, come
conviensi, a poco a poco, E crescendo, conserva e rende
eterna La propria specie. Or tu confessa adunque Che della sua
materia, e del suo seme Nasce, si nutre e divien grande il tutto.
S’arroge a ciò, che non daria la terra il dovuto alimento ai lieti
parti. Se non cadesse a fecondarle il seno Dal del 1' umida pioggia,
e senza cibo propagar non potrebber gli animali La propria specie, e
conservar la vita, Ond' è ben verisimile, che molte Cose molti fra
lor corpi comuni Àbbian, come le voci han gli elementij Anzi, che
sia senza principio alcuna. In somma ond' è che non forma Natura uomini
tanto grandi e si robusti, che potesser co’ piè del mar profondo varcar
l’ acque sonanti e con la mano sveller dall’imolor l’alte montagne, e
viver molt’ etadi, e molti secoli? L. is known only for his long poem De rerum natura in
which he sets out the doctrines of the Garden. As the only substantial
systematic work of the Garden to survive from antiquity it is a work of
considerable significance. Unfortunately, it is difficult to judge how accurate
an account of the school’s teaching as there is little with which to compare
it. However, the Garden tended towards conservatism in doctrinal matters and so
it isunlikely L. strays far from orthodoxy. The first two books of the poem are
mainly concerned with espounding atomism, the middle two are concerned with
human nature and knowledge, and the last to analyse a number of natural
phenomena. Tito Lucrezio Caro. Lucrezio. Luigi Speranza, "Grice, Lucrezio, e la natura
delle cose," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia. Luigi Speranza, “Grice e Lucrezio: implicatura atomica”
– “implicatura e composizionalita” – “implicatura elementare” – “implicatura
simplex” “implicatura simplice” “implicatura complessa”, “alma figlia di Giove”
--. Lucrezio.
Luigi
Speranza -- Grice e Lucullo: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Si distingue nella guerra sociale come tribunus
militum. Avendo avuto quale pro-questore sotto SILLA (si veda) nella guerra
mitridatica l’incarico di recarsi dalla Grecia in Cirenaica e in Egitto e di
raccogliere una flotta, L. volle avere presso di sè Antioco d’Ascalona in quel
pericoloso viaggio sul mare. Pretore, propretore in Africa, e console,
ottenne il governo proconsolare della Cilicia e il comando della guerra contro
Mitridate e sconfisse prima questo, poi il suo alleato Tigrane re di
Armenia. Negl'anni del suo comando, batiè con poche forze grossi eserciti
nemici. Ma per il malcontento dei soldati le cose peggiorarono, sicchè i suoi
avversari lo fanno richiamare a Roma ove soltanto gli e concesso il trionfo. L.
contribuì potentemente alla diffuzione della filosofia in Roma. L. e oratore,
storico -- scrive una storia della guerra sociale -- e si interessa vivamente
per la filosofia, tanto che volle compagno Antioco sia da pro-questore che
da pro-console e con gli studi filosofici si consola degli insuccessi
politici. A rich Roman who
makes a career in public and military life. A friend and pupil of Antioco, his
philosophical tastes appear to have been quite eclectic. He spends his last
years quietly going insane. Lucio Licinio Lucullo. Keywords: Livio. Lucullo.
Luigi Speranza -- Grice e Luporini: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- i corpi di Vinci –
il leopardi fascista – leopardi fascisti – ultra-filosofico – la scuola di
Ferrara -- filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, per il
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming Pool Library (Ferrara). Filosofo
italiano. Ferrara, Emilia Romagna. Grice: “I like Luporini; I lerarned from him
how silly Austin is when talking of ‘material object’ – a contradiction in
terminis for Kant who uses ‘materie’ very strictly; Luporini’s study of
Leopardi is brilliant – and he has explored the genius of Vinci, which is
good!” Si recò a Friburgo, dove
frequenta le lezioni di Heidegger, e poi a Berlino, dove poté seguire le
lezioni di Hartmann. Si laurea a Firenze. Insegna a Cagliari, Pisa e Firenze.
Dopo un in interesse per l'esistenzialismo, aderì al marxismo, iscrivendosi al
Partito Comunista, per il quale fu eletto senatore nella terza legislature. Tra
le altre iniziative parlamentari, fu firmatario di un progetto di legge,
"Istituzione della scuola obbligatoria statale dai 6 ai 14 anni.” Fonda la
rivista Società. Collabora ai periodici
politico-culturali del PCI, Il Contemporaneo, Rinascita, Critica marxista.
Durante il dibattito che, a seguito degli eventi, porta alla trasformazione del
PCI in PDS, si schierò decisamente contro la "svolta" di Occhetto,
aderendo alla mozione "due" di opposizione interna, in un'orgogliosa
difesa e per un rilancio della prospettiva e degli ideali comunisti. Il
marxismo di Luporini si fonda su una critica radicale allo storicismo, sul
rifiuto di ogni concezione finalistica dello sviluppo storico: il comunismo,
quello marxista in particolare, non è assimilabile con la tematica tipicamente
storicista del progresso come traccia dell'evoluzione umana. Egli rifiuta
letture dogmatiche del marxismo e le sue deteriori forme di economicismo e
meccanicismo, ma, pur apprezzando lo strutturalismo di Althusser con cui cercò
di far dialogare tutto il marxismo italiano, non ne condivideva
l'anti-umanismo, in quanto il pensiero di Marx conserva per lui un profondo
umanesimo, anche negli scritti successivi alla "rottura
epistemologica" in cui le strutture, cioè i modelli interpretativi della
società, non sono astratti ma in funzione degli individui concreti, umani. Nello stesso ambito marxista, tra i suoi
obiettivi polemici vi furono quelle posizioni che proponevano una
interpretazione di radicale discontinuità tra Marx e Hegel, cioè quelle di
Volpe e della sua scuola. Centrale è infatti per Luporini la nozione di
“contra-dizione,” la marxiana "oggettività reale", che lo pone
comunque in relazione con Hegel. Marx deve essere considerato una concezione
aperta e complessa, dove materialismo e dialettica compongono una sintesi mai
totalizzante (da qui il suo interesse per l'elaborazione di Gramsci) e parte
fondamentale di una più generale teoria dei condizionamenti umani. Fondamentale è il concetto di formazione
economico-sociale, espressione già utilizzata da Sereni, ma in senso
storicistico e cioè la possibilità per il marxismo di costituire un modello per
l'analisi degli specifici modi di produzione della società capitalista, nonché
per la previsione scientifica delle sue varie forme. La legge generale delle
formazioni economico-sociali è tratta dall’Introduzione ai Lineamenti
fondamentali di critica dell'economia politica di Marx. La struttura economica
va indagata secondo logica scientifica e bisogna stabilire un "criterio
oggettivo", il momento dominante che condiziona tutti gli altri assetti
produttivi. L'approccio storico-genetico
non è un continuum evoluzionistico come nella tradizione storicistica, è la
fase dell'osservazione e descrizione empirica del fenomeno dalla sua origine ed
è secondario rispetto all'approccio genetico-formale, cioè all'indagine che
permette di stabilire la categoria dominante di una determinata fase storica
della produzione. Il modello de Il Capitale può dunque aspirare
all'universalità, ma anche alla flessibilità di applicazione. La
formalizzazione di un “modello” attraverso il metodo genetico, individua anche
il processo per cui i rapporti di produzione si riflettono in qualcos’altro, la
coscienza dei singoli, le relazioni inters-oggettive (l’inter-azione’) e le
radici stesse della vita morale. È palese così il contrasto di L. ad ogni
disegno provvidenzialista e di filosofia della storia e anche in questo si
rende chiaro il rapporto dialettico-oppositivo tra Hegel e Marx. Per quanto
riguarda Leopardi, secondo Luporini, la sua poesia non è permeata solo di
pessimismo, ma ci invita anch'essa alla resistenza attiva. La formazione
filosofica di Leopardi, infatti, illuminista e materialista, permette di
leggere ad esempio, nelle "magnifiche sorti e progressive" de
"La Ginestra", una possibilità di rinnovamento politico-sociale non
in antitesi con la concezione della 'natura matrigna', un compito storico degli
esseri umani altrimenti o comunque destill'infelicità esistenziale. “Filosofia
e politica: scritti dedicati a L., Firenze, La Nuova Italia, Una completa e aggiornata, L. Fonnesu, è stata
pubblicata nel numero speciale dedicato a Luporini di "Il Ponte"
(Firenze). Oltre agli studi sulla storia della filosofia e a un'elaborazione
teorica del marxismo incentrata sui temi etici, si ricordano, fra le sue opere
principali: “Situazione e libertà”
(Firenze, Monnier); “Filosofi vecchi e nuovi” (Firenze, Sansoni); “Spazio e
materia in Kant” (Firenze, Sansoni); “L'ideologia comunista” (Riuniti, Roma);
“Dialettica e materialismo, Roma, Riuniti,
Il soggetto e il comune, Il marxismo e la cultura italiana, in Storia
d'Italia, I documenti, Einaudi. Un'incidenza notevolissima ha sugli studi
leopardiani il suo saggio Leopardi progressivo.
Sulle lezioni di Heidegger e Hartmann vedi l'aneddoto in Intervista in
"Repubblica", Sereni, Da Marx a Lenin: la categoria di formazione
economico-sociale, Quaderni di Critica marxista, Realtà e storicità: economia e
dialettica nel marxismo, in Critica marxista, Per l'interpretazione della
categoria formazione economico-sociale, in Critica marxista, Le radici della
vita morale, in Morale e società,
Riuniti, Roma); S. Lanfranchi, Dal Leopardi ottimista della critica fascista al
Leopardi progressivo della critica marxista, Saggi critici in Garin, Esistenza
e libertà, in Critica marxista, G. Mele, Esistenzialismo e significato della
libertà, Critica Marxista, A. Zanardo, Un orizzonte filosofico materialistico,
in Critica marxista, C. Rocca, Esistenzialismo e nichilismo «Belfagor», R.
Mapelli, Milano, ed. Punto Rosso, Ponte, Ponte, Convegni Quarant'anni di filosofia in Italia.
"Critica marxista", Il fascicolo contiene gli atti delle due giornate
di studio sulla sua filosofia oorganizzate dalla Facoltà di Lettere e filosofia
dell'Firenze e dalla fondazione Gramsci di Roma, Feltrinelli. Nella loro
maggior parte i contributi riprendono gli interventi al Convegno promosso
dall'Firenze e organizzato dal Dipartimento di Filosofia. Treccani Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Senato della Repubblica; Biblioteche dei Filosofi
(SNS), su picus unica. L'ultima lezione (una grande avventura intellettuale
attraverso il Novecento), su hyperpoli. Sebbene
questo titolo rimandi a questioni di critica letteraria, e di fatto i risultati
della critica leopardiana costituiscano l’oggetto principale da cui muove
questo studio, essi saranno presentati e analizzati nelle prossime pagine
innanzitutto come un ‘documento’ storico : un documento che forse non ci darà
risposte soddisfacenti per comprendere meglio il pensiero leopardiano, ma
contribuirà invece alla nostra riflessione sull’iter culturale e ideologico di
alcuni intellettuali italiani. Per affrontare il problema della transizione e
tentare di isolare alcuni elementi di continuità e di rottura, il discorso
svolgerà un percorso circolare : partendo dal saggio pubblicato da L. Leopardi
progressivo, al quale, in un primo momento, si accennerà solo molto brevemente
; seguendo poi un cammino a ritroso per rintracciare l’itinerario e le origini
anche abbastanza lontane del dibattito – iniziato sin da prima del Ventennio –
da cui trae origine questo testo ; e tornando infine al libro di L., molto
noto, anche fuori dalla cerchia degli specialisti di Leopardi, tanto da esser
divenuto un ‘classico’ studiato spesso sin dal liceo1. 2 Scrive
Sebastiano Timpanaro a proposito del titolo scelto da Luporini : « un titolo
che per un vers 3 Si tratta del v. 51 della Ginestra, in G. Leopardi, Poesie e
prose, vol. I, Poesie, a cura di M. A. L., Leopardi progressivo. La scelta
dell’aggettivo progressivo, benché avesse un’eco politica particolare nella
cultura comunista del primissimo dopoguerra2, era dettata dal richiamo
letterario alle « magnifiche sorti e progressive » de La Ginestra di Leopardi3.
Ma nella citazione di Luporini l’aggettivo perdeva il sapore amaramente ironico
di quel verso leopardiano ed assumeva invece un significato totalmente
positivo, per indicare una forma di fiducia nel « generale progresso
dell’incivilimento »4 che, secondo il critico, emana dalla lettura complessiva
di una poesia come La Ginestra e, forse soprattutto, da un’attenta analisi
dello Zibaldone di Leopardi. Questa fiducia non risiede però, per Luporini,
nell’individuo, bensì nella moltitudine, ovvero nel popolo e nella sua virtù, e
sfocia in una dichiarazione di solidarietà tra gli uomini tutti, contro la
natura, per un progresso generale della condizione umana. La vivacità
delle reazioni che suscitò il saggio quando fu pubblicato dà una preziosa
indicazione di quanto originale e quanto importante fosse l’interpretazione
proposta da L. Per illustrare l’accoglienza che ricevette è particolarmente
utile la recente testimonianza di Brunetti, che sarebbe poi diventato
professore di filosofia e specialista di Galilei, ma che allora era ancora al
terzo anno di studi della Scuola normale superiore di Pisa, dove Luporini
appunto insegnava. Brunetti ricorda perfettamente Leopardi progressivo,
la cui lettura creò interesse e agitazione fra i normalisti : ne discutevano animatamente
nei corridoi, nelle stanze e durante i pasti nella sala da pranzo soprattutto
gli italianisti Bollati, Blasucci, Dante della Terza, che trascinavano tutti
gli altri. Era lecita una definizione politica del poeta ? Era corretta
siffatta operazione ideologica? Non era forse più opportuna una ricomposizione
unitaria del pensiero leopardiano. Brunetti, Il « nostro » L., in L., a cura di
M. M La discussione, animata e per certi versi lacerante, si protrasse per
giorni, riecheggiando sotto le volte dei corridoi nel Palazzo dei Cavalieri. Fu
però efficace, perché fece rientrare la sensazione provocatoria del saggio e
ricondurre l’elemento ideologico e il « tecnicismo filosofico » nelle giuste
dimensioni, sortendo d’altro canto l’effetto di mettere in discussione
l’apollineità in cui la critica crociana mirava a rinchiudere la poesia e
insieme il poeta. Non è un caso che da quello stesso anno anche il lavoro
critico di Russo si attestò in una valorizzazione della « politicità » dei
poeti, rompendo, proprio lui, il dominante schema crociano. Una pietra gettata
nello stagno, una fertile provocazione intellettuale.5 4 Quanto racconta
Brunetti è, per molti aspetti, significativo e rappresentativo del clima
ideologico e culturale di quegli anni, e della transizione che si sta operando,
anche nel piccolo mondo della critica letteraria. L., Leopardi
progressivo Binni, La nuova poetica leopardiana, Firenze, Sansoni. Sebbene
molto diversi, il testo di Brunetti definisce il testo di L.
un’operazione ideologica, in quanto offre una lettura non solo eminentemente
politica dell’opera leopardiana, ma una lettura esplicitamente comunista. L.
vede in Leopardi un « anticipatore di ulteriori dottrine, fedele ai principi
della democrazia rivoluzionaria, anche più avanzata. In questo senso, si segna,
col saggio di L. – e col saggio altrettanto noto di Binni, La nuova poetica
leopardiana – una svolta decisiva nella storia della fortuna leopardiana,
inaugurando la proficua stagione della critica leopardiana del secondo
Novecento, segnatamente della critica detta marxista. D’altra parte,
Brunetti considera che l’opera di L, era, nel contesto culturale della seconda
metà degli anni Quaranta, una vera e propria « pietra gettata nello stagno » e
una « fertile provocazione intellettuale », in quanto rimetteva in questione il
« dominante schema crociano ». Con quest’ultima osservazione, Brunetti non
rende, tuttavia, conto di quanto fosse recente tale « dominio ». Se è vero,
infatti, che il metodo crociano si era imposto nel mondo culturale di quel
primissimo dopoguerra, durante tutto il Ventennio e anche durante la guerra
esso era stato sì prevalente, ma solo nella cerchia, in realtà abbastanza
ristretta, degli intellettuali ostili o estranei al fascismo. Di sicuro non era
stato lo « schema dominante » imposto negli studi letterari, nelle riviste,
nelle accademie e nelle università dell’Italia fascista. Croce conia la
voce “allotrio”per indicare ciò che è estraneo all’estetica, rifacendosi al
vocab Per l’influenza di Gentile sul mondo culturale in epoca fascista, si veda
in particolare G Il ruolo di Cian negli studi letterari del Ventennio e nel
periodo di transizi. Marpicati compie studi di letteratura italiana a Firenze,
pubblica alcune raccol . Ecco quanto scriveva, ad esempio, Cian, rivolgendosi a
Croce e ai suoi discepoli. Mi sia consentito di rimandare in questa sede a due
testi miei, entrambi accessibili in linea : S. In realtà, durante il
Ventennio solo una minoranza di critici – pur trattandosi di una minoranza
quantitativamente e soprattutto qualitativamente importante – aveva seguito
l’idea crociana dell’autonomia dell’arte, e quindi perlopiù evitato di dare una
lettura apertamente politica dei testi letterari. Erano relativamente pochi i
critici che aderivano al principio secondo cui gli elementi che in un’opera
d’arte contengono un messaggio dichiaratamente politico o morale sono « allotri
»8, ovvero estranei alla vera poesia del testo, perché non corrispondono allo
slancio primo e poetico dell’intuizione estetica. A questi si opponeva la
critica di stampo fascista, nelle cui file, ben più folte, troviamo uomini di
grande influenza e di grande potere nell’ambiente culturale ed accademico, come
un Gentile, un Cian, ma anche un Marpicati. Essi contestavano, anche
violentemente, la lezione crociana12, mentre rivendicavano, per tutti i testi
letterari, la legittimità di una lettura morale, politica, improntata
all’attualità. La tendenza ad ‘attualizzare’ il significato delle opere fu
portata a tal segno da far loro presentare, talvolta e anzi spesso, i classici
della letteratura italiana come precursori del fascismo. Non era dunque la
prima volta che si buttavano pietre nello stagno della critica crociana ; si
potrebbe quasi dire, anzi, che non si era fatto altro che buttarvi pietre
durante tutto il Ventennio. In realtà, i primi sintomi di « insofferenza »
Russo li diede sin dal 1941, mentre scriveva un arti. Perciò, quando Brunetti
denuncia « l’apollineità » in cui Croce rinchiude i poeti, e quando ricorda
l’itinerario di Luigi Russo – che in quegli anni, dopo esser stato a lungo un
fedele discepolo crociano, da Croce prende appunto le distanze14 – egli ci fa
intuire non tanto una rottura, quanto una ‘transizione’ interessante. Tra i
critici che erano stati antifascisti negli anni Venti e Trenta, molti
cominciano, sin dai primissimi anni Quaranta, a maturare un progressivo
allontanamento dalla posizione crociana, proprio perché si sentono vincolati da
quell’implicito divieto di ‘allotrismo’ che caratterizza la produzione critica
crociana, rivendicando la possibilità di considerare « la politicità nascosta »
anche nella « grande poesia. Sembrano ormai giunti al punto di rottura. Ma quel
che preme qui sottolineare è che vi è dunque una continuità, non certo nei
contenuti politici – affatto diversi – ma potremmo dire nel metodo e nei
presupposti teorici ed estetici che vengono opposti a Croce durante e dopo il
Ventennio, ovvero nella comune rivendicazione allotrica. Il testo di L.
segna senz’altro una svolta nella fortuna critica di Leopardi nel Novecento,
quando lo si studia come punto di partenza di una tradizione critica, e in
questo modo esso viene generalmente e giustamente valutato. L’intento di questo
lavoro sarà invece di considerarlo come punto di approdo problematico di
un’altra tradizione critica, non posteriore ma anteriore, vigente nel Ventennio
e di stampo generalmente fascista, con cui il testo di L., nonostante le
fondamentali differenze, ha in comune almeno due aspetti essenziali. Il primo è
appunto l’opposizione all’estetica crociana che è già stata evocata e che
potrebbe, senz’altro, esser estesa a gran parte della critica letteraria, non
trattandosi di una specificità leopardiana ; il secondo è l’idea – sulla quale
verterà più precisamente questo studio – di un fondamentale ottimismo
leopardiano. Ora, una certa paternità del tema dell’ottimismo leopardiano, così
come lo sviluppa Luporini, può essere attribuita a Gentile e ad un suo saggio
sulle Operette morali di Leopardi. Questo, invece, è un discorso specifico,
valido per la sola critica leopardiana. L’ipotesi di una continuità tra
l’interpretazione che L. dà di Leopardi e la produzione critica con una comune
opposizione a Croce, ma anche una comune matrice – almeno parziale –
gentiliana, è convalidata sia dall’analisi dei testi, come vedremo, che dalla
stessa biografia di L. e da quanto lui stesso racconta della propria
esperienza. La vicenda umana, ideologica e culturale di L. in quel decennio che
va dalla seconda metà degli anni Trenta alla fine degli anni Quaranta è, per
molti aspetti, emblematica proprio di quel profilo di intellettuale nella
transizione tra fascismo e Repubblica. L., Critica e metafisica nella
filosofia kantiana, Rendiconti della Reale Accademia Nazi. Il testo fa parte di
un volume scritto dai docenti del liceo dove L. insegnava, in occasi. Nella sua
autobiografia, Bobbio cita un disegno di Guttuso che illustra una delle p C. L., Qualcosa di me stesso, in L. L. si laurea a Firenze, dopo aver studiato
anche in Germania, dove fu in contatto con Heidegger e Hartmann. La sua tesi di
filosofia su Kant, d’impostazione esistenzialistica, è letta e molto apprezzata
da Gentile, il quale decide di presentarla all’Accademia dei Lincei di cui era
socio. Dopo aver conseguito la laurea, L. insegna al liceo, prima a Livorno, dove
pubblica un primo testo su Leopardi, di cui dà un’interpretazione
esistenzialistica e la cui impostazione reca già segni evidenti di
anticrocianesimo. Torna a Firenze ed entra a far parte del movimento
liberalsocialista di Capitini e Guido Calogero, nel quale frequenta anche Bobbio, Guttuso e Morra. Gentile lo chiama
alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove era disponibile un posto di lettore
di tedesco. C’era, tra Gentile e L., un rapporto che L. stesso ebbe a definire
di grande franchezza politica, sin da quando i due uomini si conobbero meglio,
e fino alla morte di Gentile. L. non aveva approvato la decisione del movimento
liberal-socialista di confluire nel Partito d’Azione e si era perciò ritirato
per aderire invece al Partito Comunista. L. si trova quindi agli esatti
antipodi politici di Gentile. Eppure egli stesso racconta di come avesse
tentato di convincerlo ad abbandonare la Repubblica di Salò e avesse anche
creduto di riuscire nel suo intento, definendo tragica ma anche consapevole la
sua fine. Non mi soffermerò sull’ultima fase di Gentile, tragica. Ricordo solo
che, certo illusoriamente, cercai di persuaderlo a che si tirasse fuori dal
fascismo, nel frattempo divenuto la Repubblica di Salò. Al Salviatino, dove
abita, ha con lui un incontro che non finiva mai, perché non riuscivo a
rimanere solo con lui. Quando ce la feci, lo misi al corrente di quello che
stava succedendo, dandogli delle notizie che evidentemente non gli davano le
autorità fasciste – era stato anche ucciso uno del suo entourage – mentre io le
avevo dalla rete clandestina in cui mi trovavo. Me ne uscii con la sensazione
che forse qualcosa avevo ottenuto. Invece, non era così : due giorni dopo,
venne fuori che il ministro Biggini s’era recato lì, al Salviatino, per
offrirgli la presidenza dell’Accademia d’Italia, e che Gentile aveva accettato
(ma, quand’ero stato da lui, non me l’aveva detto). E così s’avviò verso un
destino di cui in qualche modo aveva consapevolezza. Poche settimane dopo
quest’episodio, Gentile propone a Luporini di diventare bibliotecario
dell’Accademia d’Italia. Ma Luporini rifiuta, sancendo così la fine del suo
rapporto con Gentile : un rapporto che, nella nostra prospettiva, è senz’altro
importante e che invece è stato quasi integralmente passato sotto silenzio. In
realtà, di L. si ricorda soprattutto l’attività posteriore, in particolare
quella che svolse come co-fondatore – con Bandinelli – della rivista “Società”,
e in seguito come direttore della stessa. La storia di questa rivista illustra
l’evoluzione di molti intellettuali di sinistra dopo la Liberazione, proprio
per il vincolo che venne rapidamente a crearsi col partito comunista. Parlando
di « Società » e dei suoi intenti programmatici, L. dichiara che per lui,
l’idea principale era d’una saldatura fra quella cultura degli anni trenta
di cui ho parlato – quella rottura con il passato che eravamo venuti preparando
lentamente, modestamente, molecolarmente – e la cultura di quelli che venivano
da fuori, soprattutto i dirigenti comunisti, e segnatamente Togliatti. Perciò,
non ero d’accordo con Vittorini, con la sua idea, nel « Politecnico » d’una «
nuova cultura ». I contenuti li avevamo in comune, più o meno ; però io ero per
un continuismo, non assoluto, naturalmente, ma rispetto a quel che ho detto. Per
illustrare meglio le forme di questo « continuismo », bisogna rifarsi alle
pagine che precedono questa citazione, in cui Luporini descrive l’ambiente
culturale della Firenze degli anni Trenta e il gruppo di intellettuali
antifascisti che vi frequentava. L. dichiara in quest’occasione che « da un
certo punto di vista la vera dittatura era proprio quella idealistica » e che,
nel campo specifico della letteratura e della storiografia, l’idealismo «
dittatoriale » era forse più crociano che non gentiliano Continua poi la
narrazione del proprio iterintellettuale, negli anni Trenta e Quaranta, che L.
descrive come un percorso che consta di due tappe fondamentali, due svolte,
anzi due transizioni. La prima avviene negli anni Trenta, quando Luporini
prende le distanze dall’idealismo crociano e scopre l’esistenzialismo ; la
seconda, negli anni Quaranta, quando dall’esistenzialismo L. si sposta verso
posizioni marxiste. Questi pochi elementi biografici offrono due spunti
notevoli per l’analisi della produzione di L. In primo luogo, il rapporto personale più
approfondito che L. aveva con Gentile e non con Croce induce a riconsiderare
l’influenza dell’uno e dell’altro sulla sua prima formazione, da giovane
studente e studioso di filosofia e di letteratura. In secondo luogo,
nell’esprimere a posteriori il programma della sua rivista Società, L. formula una precisa volontà culturale ed
ideologica propria di quel periodo di transizione, che consiste nel superare
l’idealismo crociano e nel consentire una forma di « continuismo » tra una
certa cultura anticrociana degli anni Trenta e quella degli anni Quaranta.
Applicati alla critica leopardiana del dopoguerra, questi due elementi
dimostrano quanto fosse complessa e problematica l’eredità della critica fascista
e della critica idealista. L., Con Heidegger. Alcune riflessioni, oggi,
tra filosofia e politica, in Heidegger. G. Gentile, Manzoni e Leopardi, in
Opere, Firenze, Sansoni. Leopardi, d’altronde, offre una prospettiva
privilegiata per analizzare il rapporto tra Croce, Gentile e L.. Era il poeta
prediletto di L. Leopardi è stato sempre il mio autore, dichiara L., e come
tale, egli continuò a leggerlo e a rileggerlo da un capo all’altro della sua
vita. Ma era anche un poeta molto amato da Gentile – benché numerose e
importanti fossero le differenze tra il materialismo dell’uno e l’attualismo
dell’altro – e la costanza del suo interesse per Leopardi ci è testimoniata
dalla regolarità con la quale il filosofo siciliano pubblicò testi sul pensiero
e sulla poesia di Leopardi, poi raccolti in un unico volume24. D’altro canto,
invece, Leopardi non è stato un autore particolarmente apprezzato né compreso
da Croce. Citiamo qui l’allegro commento di uno studioso che era stato suo
discepolo, Gerace, e che dichiara: Gerace, Leopardiana, in La tradizione e
la moderna barbarie. Prose critiche e filosofiche, Folig. Croce non ama
Leopardi. Non può amarlo. Gli dà forte sui filosofici nervi. Gli è d’impaccio
al teorico passo, uso a scalciare stizzoso, ovunque lo trovi, quel terribile
nemico della sua teoria estetica: l’intellettualismo e il moralismo nel mondo
dell’arte. Or se c’è un intellettualista e un moralista convinto e di altissimo
stile nella storia della nostra poesia, e tenace in teorie e in fatti, questi è
Leopardi. Croce, Leopardi in Poesia e non poesia, Bari, Laterza. Gerace allude
qui senz’altro al celebre testo che Croce pubblica dapprima su La Critica e poi
nel volume Poesia e non poesia. La principale critica che Croce rivolge alla
poesia di Leopardi è di esser intrisa di elementi allotri, di momenti
meditativi, filosofici, polemici, che sono, per il critico idealista,
profondamente estranei alla pura ispirazione e intuizione poetica. Come tali,
Croce non li considera veramente poetici, tanto che, nel suo esame complessivo
dei versi leopardiani, egli considera che solo un numero relativamente ridotto
corrisponda alla sua definizione di poesia. Croce non emette riserve unicamente
sulla poesia di Leopardi, ma ne esprime di ancora più forti sul valore della
sua filosofia. Per Croce, il pensiero leopardiano è dettato innanzitutto dal
sentimento, anzi dal risentimento per una « vita strozzata », ed è dunque
troppo soggettivo per essere considerato un pensiero filosofico universale. In
questa prospettiva, Croce interpreta il pessimismo o ottimismo di Leopardi come
un indizio dell’origine prettamente sentimentale del suo pensiero, e quindi
come una prova della sua pochezza concettuale. La filosofia, afferma Croce, in
quanto pessimistica o ottimistica è sempre intrinsecamente pseudo-filosofia,
filosofia a uso privato I due testi si trovano oggi nel volume di Gentile,
Manzoni e Leopardi, cit. Il primo, Le Operett. In queste pagine, Croce sta in
realtà dialogando con colui che era, da molti anni ma per pochi mesi ormai, un
amico ed un collaboratore, Gentile, il quale aveva pubblicato, due saggi – il
primo sulle Operette morali, il secondo intitolato Prosa e poesia nel Leopardi
– decisivi per la questione della filosofia pessimistica o ottimistica di
Leopardi 28. Anche Gentile, come Croce, giudica severamente la qualità
filosofica del pensiero leopardiano, dichiarando che « se cerchiamo in lui il
filosofo, avremo lo scettico, ironista, materialista piuttosto mediocre
nell’invenzione Gentile formula, tuttavia, un’interpretazione ben diversa,
molto più feconda ed originale, della questione del pessimismo o ottimismo di
Leopardi. Senza negare del tutto il suo pessimismo, Gentile lo ridimensiona
attribuendolo storicamente e concettualmente alla sola influenza della
filosofia materialista, direttamente ereditata dai Lumi. Si tratta quindi di un
« pessimismo della ragione » settecentesca, che Gentile giudica, tutto sommato,
superficiale e poco originale, e al quale oppone invece un « ottimismo del
cuore », profondamente radicato nell’animo leopardiano. Così scrive : Leopardi,
pessimista di filosofia, e quasi alla superficie, fu invece ottimista di cuore,
e nel profondo dell’animo : tanto più acutamente pessimista col progresso della
riflessione, e tanto più altamente e umanamente ottimista Vi è, nello
Zibaldone, un’unica occorrenza del termine « ultrafilosofia », come vi è, del
resto, un (..Ricordiamo, a tale proposito, il giudizio formulato da Augusto Del
Noce, secondo cui Gentile sent Pasini, Tutto il pessimismo leopardiano,
Parenzo, Coanna. Gentile dà particolare rilievo alla tesi di un’ultra-filosofia
leopardiana, supponendo l’esistenza di una sorta di pensiero leopardiano oltre
la filosofia pessimistica e materialistica: un pensiero più autentico, perché
più intimamente poetico, più spirituale e quindi, per Gentile, più leopardiano.
La rivalutazione gentiliana delle Operette morali e l’interpretazione in chiave
ottimistica del pensiero leopardiano segnano un momento importante nella storia
della critica, avviando un nuovo filone esegetico che gode di particolare
successo durante il Ventennio. Si assiste allora, come nota un critico, ad un «
capovolgimento, del punto di vista dal quale si usava considerare Leopardi » :
da « poeta del pessimismo » che era « per tutti », Leopardi « è diventato il
poeta dell’ottimismo. Sanctis, Schopenhauer e Leopardi, in Scritti critici e
Ricordi, Torino, Utet. Per una presentazione dei testi, dei contenuti e degli
autori di questa particolare produzione crit Sanctis esalta l’effetto positivo prodotto
dalla lettura della poesia leopardiana, dichiarando che Leopardi produce
l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa
desiderare ; non crede alla libertà, e te la fa amare »34. Negli anni Venti e
Trenta, tuttavia, l’intento della critica leopardiana è rivelare elementi
intrinsecamente positivi ed ottimistici, non nell’effetto prodotto sui lettori,
ma alla matrice stessa del pensiero leopardiano. L’opposizione proposta da
Gentile nel 1919, tra un pessimismo della ragione ed un ottimismo del cuore
viene ampliamente ripresa e riesplorata, dando adito a tutta una serie di
interpretazioni che potremmo definire irrazionali e fideistiche. Oltre il
pessimismo materialista, oltre il razionalismo disperato, la cui importanza
viene sistematicamente sminuita, molti critici cercano ed esaltano lo slancio
ottimistico della fede leopardiana : fede nella poesia, ma anche e spesso
soprattutto fede nella patria e nella stirpe italiana. In questo senso potremmo
interpretare alcune letture mistiche che vengono date di Leopardi e del suo
pensiero negli anni Trenta soprattutto. Lanfranchi, De centenaire en
centenaire. L’Italie fasciste célèbre ses poètes (Foscolo, Leo Non è certo
questo il luogo per analizzare questa produzione, vasta seppur povera di
elementi filologici e critici realmente nuovi. Ai fini del nostro discorso, preme
tuttavia osservare che un argomento ricorre sovente tra questi testi, che
consiste nel dare una spiegazione prettamente contestuale e storica al
pessimismo di Leopardi, negandogli di fatto un valore universale. Il motivo
fondamentale del pessimismo leopardiano è, per la critica di stampo fascista
degli anni Venti e Trenta, di natura politica, anzi patriottica. Leopardi non
ha assistito né agli albori del Risorgimento, né alla prima guerra mondiale, né
tanto meno alla marcia su Roma : se invece fosse stato spettatore e attore di
tali avvenimenti, egli – assicurano tali critici – non sarebbe stato
pessimista. Questo argomento costituisce un vero e proprio topos oratorio,
ripetuto centinaia di volte in occasione dei discorsi ufficiali e delle
commemorazioni del Ventennio, poiché, nonostante sia fondato su un anacronismo
e quindi scientificamente non abbia alcun valore, la sua efficacia retorica è
notevole. E segnatamente lo si trova quando, in occasione del centenario della
morte, il regime organizzò, spesso controllandoli e canalizzandoli, tutta una
serie di festeggiamenti ufficiali, in cui Leopardi veniva molto spesso
presentato come un precursore del fascismo. Vi furono però alcune celebrazioni
che riuscirono a rimanere in margine delle commemorazioni ufficiali e quindi a
garantire una certa libertà di espressione rispetto alla produzione su
Leopardi. Tra queste, troviamo l’annuario di un liceo livornese, che pubblicò
un numero speciale con vari studi consacrati a Leopardi. Il secondo, intitolato
Il pensiero di Leopardi, era proprio il testo di L., che in quel liceo appunto
insegnava filosofia. In questo saggio, l’intento primo di Luporini non è solo
di presentare un Leopardi esistenzialista, ma anche e forse soprattutto di
contestare la posizione dell’idealismo, sia crociano che gentiliano,
rivendicando innanzitutto il valore filosofico del pensiero leopardiano e
quindi anche del suo pessimismo. L. non
esita a metterlo a confronto con i maggiori filosofi dell’Occidente : C.
L, Il pensiero di Leopardi, Tra il pessimismo del Pascal, ultima grandiosa
affermazione del medioevo religioso e il pessimismo di Leopardi, c’è l’età
dell’illuminismo nei suoi ideali più alti, c’è Cartesio e Kant (che pur
Leopardi non conosceva), c’è insomma il pensiero moderno che fonda tutto il
valore dell’uomo nella sua dignità morale e questa sua dignità morale nella
verità che egli ha raggiunto colle proprie forze, rivelata alla sua ragione. Secondo
Timpanaro: L’esperienza esistenzialistica L. se l’era ormai lasciata C.
L., Leopardi progressivo Sarebbe opportuno comprendere se vi siano elementi
comuni tra i due testi di L. su Leopardi, scritti a distanza di dieci e
decisivi anni. Sussistono poche tracce del Leopardi esistenzialista nel
Leopardi progressivo. Un lascito più evidente consiste invece nella condanna
duratura e permanente di Croce – di cui L. cita esplicitamente « l’infelice
giudizio » su Leopardi. Per L., non solo la poesia di Leopardi è sempre vera
poesia, ma anche il suo pensiero, potremmo dire, è vero pensiero, vera
filosofia. Leopardi, dice L.,fu un pensatore progressivo ; in certo modo,
dentro i limiti della sua funzione di moralista, di non-tecnico della filosofia
né di alcuna disciplina particolare, il più progressivo che abbia avuto
l’Italia L’interpretazione data da Gentile – che invece L. nel suo testo non
cita mai – e la stagione di studi sul Leopardi ottimistico che essa inaugurò
per il Ventennio fascista lasciano invece dietro di sé, e sul saggio di L. in
particolare, un’eredità molto più complessa da cogliere e da valutare.
Nell’insistere sul materialismo del pensiero leopardiano, Luporini intendeva
senz’altro opporsi alla lettura idealistica e spirituale di Gentile. È inoltre
significativa la scelta di L., che non parla di un Leopardi ottimista, ma
progressivo, rifacendosi perciò ad un lessico di tutt’altra connotazione
ideologica. Vi sono, tuttavia, anche alcuni elementi di continuità, e ci
soffermeremo brevemente su tre di questi. Timpanaro, Classicismo e
illuminismo Il primo sta nell’origine contestuale e storica che L. attribuisce
al pessimismo leopardiano, il quale deriva, secondo lui, da una delusione
storica : la delusione della Rivoluzione francese. « Questa delusione – scrive
Luporini – non spiega solo il pessimismo storico di Leopardi, ma il suo
successivo e rapido pessimismo cosmico; ossia spiega tutto il pensiero
leopardiano. I due pessimismi nascono da un unico germe, appartengono a un
unico processo di pensiero »41. Esprimendo un giudizio complessivamente molto
positivo sul testo di L., Timpanaro emette la principale sua riserva proprio su
questa interpretazione, che giudica insufficiente in quanto non rende conto del
« valore permanente del pessimismo leopardiano »42. Nella nostra prospettiva, è
importante notare che la spiegazione storica, benché usasse altri mezzi e
perseguisse altri fini, era già usata in modo sistematico dalla critica
fascista, escludendo a priori l’idea di un pessimismo non fondato sulla storia,
ma sulla condizione umana in senso universale e astorico. L., Leopardi
progressivo. Il secondo elemento di continuità sta nel giudizio, proprio di
Luporini ma anche della critica fascista, secondo cui nonostante il pessimismo
scaturito dalla delusione storica, vi fosse in Leopardi una “inconcussa e
nascosta fede”43, qualcosa che lo induceva comunque a sperare. Come Gentile,
anche Luporini dà un notevole rilievo a quell’unica occorrenza del termine «
ultrafilosofia » nello Zibaldone, ma le attribruisce contenuti affatto diversi
perché in essa « sembra condensarsi la “disperata speranza” dell’individuo
Leopardi] Timpanaro considera che non era « accettabile » il rimprovero mosso a
L. Il terzo ed ultimo elemento di continuità, tra il testo di L. e la produzione
critica del Ventennio, sta infine nel presentare Leopardi quale un «
anticipatore di ulteriori dottrine. In entrambi i casi, Leopardi diventa
precursore politico di un’ideologia del Novecento e, in entrambi i casi,
diventa precursore di un’ideologia strutturalmente ottimistica. L’ottimismo
era, infatti, un aspetto culturale e ideologico programmatico per il fascismo
ma, d’altra parte, il progresso – e quindi la visione ottimistica del divenire
umano che lo sottende – è a sua volta un perno essenziale dell’ideologia
comunista. L., Leopardi moderno, intervista a cura di Adornato,
L’Espresso. Su questo punto vorremmo abbozzare le nostre prime rapide
conclusioni. Parallelamente al discorso critico più tradizionale e canonico,
che sin dall’Ottocento va definendo le varie fasi del pessimismo leopardiano,
si possono rintracciare nel Novecento le tappe di elaborazione del mito di un
Leopardi ottimista : un mito che forse proprio durante il Ventennio conosce la
maggiore diffusione, ma che non muore con la caduta del regime fascista. Il suo
permanere, sotto forme diverse, è forse proprio dovuto al vincolo che lo unisce
ad ideologie strutturalmente ottimistiche, le quali, quando designano nel
Leopardi un precursore, lo « piegano » naturalmente in questo senso. Alla luce
di queste considerazioni, assumono un significato particolare le parole che
pronuncia lo stesso Luporini, in un altro periodo di transizione, alla fine
degli anni Ottanta, davanti al crollo del regime comunista e davanti alla crisi
di quest’altra ideologia novecentesca. Non a caso, L. ritorna allora a studiare
Leopardi, per trovarvi l’espressione del suo sgomento : « Il sapersi soli di
fronte alla storia, senza speranze – senza nessuna garanzia, senza nessuna
ideologia, senza nessuna consolazione. Siamo molto lontani dal messaggio ottimistico
del Leopardi progressivo, e rimane poco delle antiche speranze di L.. Rimane
però quello stesso amore per Leopardi, e quel sentimento della sua ‘attualità’
più pregnante : Nella nostra epoca così confusa e in fase di
assestamento, nella crisi di tutte le categorie con le quali ci siamo mossi
finora, questa mi sembra un’idea liberatoria. Si può, anzi si deve, essere
disillusi : ma non per questo inerti e rassegnati. Essere nichilisti e insieme
attivi : ecco l’attualissimo messaggio di Leopardi. 47 Débat Inizio
pagina. Il testo Leopardi progressivo fu pubblicato per la prima volta nel
volume Filosofi vecchi e nuovi : Scheler-Hegel-Kant-Fichte-Leopardi, Sansoni,
Firenze. Come L. scrive in un’avvertenza ad una nuova edizione, « questo
Leopardi progressivoebbe subito una sua risonanza particolare, così che poi,
nel corso di tutti questi anni, molte volte sono stato sollecitato a
ripubblicarlo in edizione separata. Questa domanda proveniva da varie parti, ma
soprattutto dal mondo della scuola (insegnanti e studenti), il che mi ha sempre
fatto particolare piacere. L., Avvertenze, in Id., Leopardi progressivo, Roma,
Editori Riuniti). Scrive Timpanaro a proposito del titolo scelto da L. : un titolo che per un verso alludeva
polemicamente alle magnifiche sorti e progressive derise nella ninestra
(volendo indicare che Leopardi, nemico del falso progresso borghese-moderato,
mirava ad un progresso molto più radicale, al di là dell’orizzonte politico
della propria epoca e del proprio ambiente), per un altro accoglieva
quell’accezione un po’sottile e non immune da ambiguità che questo aggettivo
ebbe per alcuni anni nel linguaggio politico italiano : non equivalente a
“progressista” (che sapeva troppo di radicalismo borghese), ma piuttosto a
“democratico avanzato”, di una democrazia destinata, senza rivoluzione, a
sfociare nel socialismo. Gli equivoci politici di quest’uso di “progressivo” ne
causarono la rarefazione e poi la scomparsa quando era ancora in vita
Togliatti, che ne era stato, se non l’inventore, certo il massimo diffusore
attraverso la formula della “democrazia progressive -- TIMPANARO,
Anti-leopardiani e neo-moderati nella sinistra italiana, Pisa, ETS. Si tratta
del v. 51 della Ginestra, in G. Leopardi, Poesie e prose, Poesie, a cura di
Rigoni, con un saggio di Galimberti, Milano, Mondadori (I Meridiani. L.,
“Leopardi progressivo”. Brunetti, Il « nostro » professore L., in L., a cura di
M. Moneti, numero speciale della rivista « Il Ponte ». L., Leopardi
progressivo. Binni, La nuova poetica leopardiana, Firenze, Sansoni. Sebbene
molto diversi, il testo di L. e quello di Binni hanno in comune l’originalità
dell’impostazione critica, che contribuì a rinnovare gli studi leopardiani nel
dopoguerra. La migliore illustrazione e analisi di tale svolta critica si trova
forse ancora nelle pagine, ormai non più recenti, di TIMPANARO, Classicismo e
illuminismo nell’Ottocento italiano, Pisa, Nistri Lischi. Croce conia la voce «
allotrio » per indicare ciò che è estraneo all’estetica, rifacendosi al
vocabolario filosofico tedesco dell’Ottocento, e al greco “ἀλλóτριος,” che
signifca « estraneo, altrui ». Per l’influenza di Gentile sul mondo
culturale in epoca fascista, si veda in particolare G. Turi, Gentile : una
biografia, Firenze, Giunti. Il ruolo di CIAN negli studi letterari nel periodo
di transizione è stato recentemente studiato d’Allasia in una serie di lavori,
tra cui il virus malefico dell’ideologia nazionale e le illusioni d’un maestro
di metodo: VCian, in Fascisme et critique littéraire. Les hommes, les idées, les
institutions, a cura di Vento e Tabet, Caen, PUC (Transalpina). MARPICATI compie studi di letteratura italiana a
Firenze, pubblica alcune raccolte di poesie e vari testi di critica letteraria.
Ma sin dalla prima guerra mondiale mette da parte l’attività letteraria – alla
quale si consacra solo sporadicamente – per dedicarsi invece alla politica,
dapprima a Fiume, poi nella militanza e nel regime fascisti. Assume vari
incarichi prestigiosi, tra cui quello di Cancelliere dell’Accademia d’Italia,
poi di direttore, dell’ISTITUTO NAZIONALE DI CULTURA FASCISTA, e anche di vice
segretario del Partito Nazionale Fascista. Ecco quanto scriveva, ad esempio,
Cian, rivolgendosi a Croce e ai suoi discepoli : « Questi cerebrali, più o meno
giovini, chierici sterili e sterilizzatori, officianti nella cappella
all’insegna dello Spegnitoio, dovrebbero ormai decidersi. O smetterla,
rassegnandosi a tacere e a sparire dalla scena letteraria – e sarebbe tanto di
guadagnato – oppure mettersi al passo coi tempi nuovi » (V. CIAN, Rassegna
bibliografica, Giornale Storico della letteratura italiana. Mi sia consentito
di rimandare in questa sede a due testi miei, entrambi accessibili in linea:
Lanfranchi, La recherche des précurseurs, Lectures critiques et scolaires de
Alfieri, Foscolo et Leopardi dans l’Italie fasciste --
archives-ouvertes.fr/docs] ; Id., « Verrà un dì l’Italia vera », Poesia e
profezia dell’Italia futura nel giudizio fascista, California Italian Studies
», escholarship.org/uc/ismrg_cisj], In realtà, i primi sintomi di’insofferenza
RUSSO li da mentre scrive un articolo sulla critica foscoliana recente, nel
quale rivendicava la « politicità » di un testo come Le Grazie e la legittimità
di una lettura che non si attenesse ad un’analisi strettamente letteraria,
estetica e formale. Questo esempio viene a dimostrare quanto detto subito dopo
nel nostro studio, ovvero l’ipotesi di un allontanamento progressivo dalle
posizioni crociane durante gli anni Quaranta (L. Russo, Le Grazie di Foscolo e
la critica contemporanea, “Italia che scrive”. L., “Critica e metafisica
nella filosofia kantiana, « Rendiconti della Reale Accademia Nazionale dei
Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche », Il testo faceva
parte di un volume scritto dai docenti del liceo dove L. insegna, in occasione
del centenario della morte di Leopardi: L., Il pensiero di Leopardi, in Studi
su Leopardi, Livorno, Belfronte e C. (Pubblicazioni del R. Liceo Ciano, 1),
Nella sua autobiografia, BOBBIO cita un disegno di GUTTUSO che illustra una
delle prime riunioni clandestine del movimento, riunito nella villa di Morra,
vicino a Cortona. Vi si vedono Bobbio, L., Capitini (con davanti a sé un testo
che porta la scritta Non violenza), MORRA, lo stesso GUTTUSO e CALOGERO (con un
altro testo intitolato invece Liberalismo sociale, Bobbio, Autobiografia,
Roma-Bari, Laterza. L., Qualcosa di me stesso, in Questo testo è la
trascrizione dell’ultima lezione tenuta, dall’autore, nella Facoltà di Lettere
di Firenze, al momento dell’andata fuori ruolo. Luporini, Con Heidegger. Alcune
riflessioni, oggi, tra filosofia e politica, in Heidegger in discussione, Atti
del Convegno internazionale « L’eredità di Heidegger », Roma, a cura di Bianco,
Milano, Angeli. Gentile, Manzoni e Leopardi, in Opere, Firenze, Sansoni,
Gerace, Leopardiana, in La tradizione e la moderna barbarie. Prose critiche e
filosofiche, Foligno, Campitelli. Croce, Leopardi in Poesia e non poesia, Bari,
Laterza. I due testi si trovano oggi nel volume di GENTILE, Manzoni e Leopardi,
cit. Il primo, Le Operette morali, fu pubblicato per la prima volta in Annali
delle Università toscane, poi come proemio di un’edizione delle Operette morali
curata da Gentile (Leopardi, Operette morali, con proemio e note di Gentile,
Bologna, Zanichelli; il secondo, Prosa e poesia nel Leopardi, fu invece
pubblicato nel « Messaggero della domenica ». Vi è, nello Zibaldone,
un’unica occorrenza del termine « ultrafilosofia », come vi è, del resto, una
sola occorrenza del termine pessimismo, ma nella critica leopardiana questi due
hapax hanno goduto di grandissimo successo. Leopardi scrive. E un popolo di
filosofi sarebbe il più piccolo e codardo del mondo. Perciò la nostra
rigenerazione dipende da una, per così dire, ultrafilosofia, che conoscendo
l’intiero e l’intimo delle cose, ci ravvicini alla natura. E questo
dovrebb’essere il frutto dei lumi straordinari di questo secolo -- manoscritto
dello Zibaldone. Ricordiamo, a tale proposito, il giudizio formulato da
Noce, secondo cui GENTILE « sentì se stesso come il filosofo di Leopardi, come
il suo vero continuatore perché l’attualismo avrebbe realizzato
quell’ultrafilosofia a cui Leopardi aspira: Noce, Gentile, Per una
interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna, Il Mulino.
PASINI, Tutto il pessimismo leopardiano, Parenzo, Coanna, Sanctis, Schopenhauer
e Leopardi, in Scritti critici e Ricordi, Torino, Utet. Per una presentazione
dei testi, dei contenuti e degli autori di questa particolare produzione
critica leopardiana, oggi poco nota, rimando alla mia già citata tesi di
dottorato (S. Lanfranchi, La recherche des précurseurs, LANFRANCHI, De
centenaire en centenaire. L’Italie fasciste célèbre ses poètes (Foscolo, Leopardi,
in Fascisme et critique littéraire, Caen, PUC (Transalpina). L., Il pensiero di Leopardi. Secondo TIMPANARO:
L’esperienza esistenzialistica [L.] se l’era ormai lasciata decisamente alle
spalle ; eppure essa aveva lasciato una traccia nell’interesse per i temi
leopardiani della “vitalità” e del rapporto natura-ragione, nel rifiuto di
un’interpretazione troppo storicisticamente angusta del problema Leopardi.
Timpanaro, Anti-leopardiani e neomoderati. L., Leopardi progressivo, Timpanaro,
Classicismo e illuminismo, c L., Leopardi progressivo.TIMPANARO considera che non
era accettabile il « rimprovero » mosso a Luporini, di aver fatto di Leopardi
un « precursore del marxismo. Timpanaro, Classicismo e illuminismo. Ma certe
pagine del libro di Luporini e alcune formule in esse contenute (segnatamente
quell’anticipatore di ulteriori dottrine) se non rendono « accettabile » un
tale giudizio, perlomeno ne spiegano l’origine. L., Leopardi moderno, intervista a cura
d’Adornato, « L’Espresso ». Cesare Luporini.
Luporini. Keywords: corpo e mente, corpo animato – l’anima di Vinci – la mente
di Leonardo – i corpi di Vinci – il Leopardi fascista. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Luporini” – The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Luzzago: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Bresica -- filosofia
lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza, per il Grupo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Brescia).
Filosofo italiano. Brescia, Lombardia. Nato da Girolamo e da Paola Peschiera,
in una delle più importanti famiglie del patriziato cittadino, e educato alla
pratica devota e all'apostolato. Nel convento di S. Antonio dei gesuiti si
impegna in un corso di filosofia. Dibatte in pubblico 737 argomenti filosofici!
Con l'aiuto di Borromeo partecipa a Milano ai corsi di teologia dei gesuiti di
Brera. Si laurea a Padova. Desideroso di entrare a far parte della Compagnia di
Gesù, le difficoltà economiche della famiglia, causate da alcune transazioni
inopportune del padre, glielo impedirono. Conservatore dei Monti di Pietà, e protettore della Compagnia delle Dimesse di S.
Orsola e di altri due istituti caritativi bresciani: il Soccorso e le Zitelle.
Ri-organizza e da nuovo impulse a un'altra istituzione sorta dopo il Concilio
di Trento: la Scuola della dottrina cristiana. Fonda la Congregazione di S.
Caterina da Siena. Per far sì che il suo operato continuasse, fonda la
Congregazione dello Spirito Santo, che raccolse i membri della classe dirigente
cittadina con l'obiettivo di co-operare più efficacemente e concordemente al
sostegno di tutte le buone istituzioni e mantenere un clima di Concordia.
Infatti, intercede per la conciliazione delle famiglie nobili bresciane spesso
in conflitto. La sua indole caritativa
emerse soprattutto quando venne a far parte del Consiglio di Brescia, dove sa
armonizzare le strutture governative ed organismi canonici. Nelle opere scritte
vi sono indicazioni per i cavalieri di Malta, sulla carità, ispirati al modello
della Compagnia di Gesù. Durante il suo viaggio a Roma esamina le strutture di
beneficenza per poi proporle a Brescia. Ha la possibilità di conoscere F. Neri.
In un'epistola a Morosini, e informato che Clemente VIII, prende in
considerazione il suo nome per la carica di arcivescovo di Milano. Fu avviata
presso la Congregazione dei riti la causa di beatificazione. Leone XIII,
riconosciute le sue virtù eroiche, gli conferì il titolo di venerabile. Dizionario Biografico degli Italiani, A. Cottinelli,
Vita del venerabile patrizio bresciano: dedicata ai comitati parrocchiali,
Tipografia e libreria Salesiana, A. Cistellini, Il movimento cattolico a
Brescia, Morcelliana. A. Fappani, Enciclopedia bresciana, Opera San Francesco
di Sales, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, S. Negruzzo, L'allievo santo: Roccio precettore, in «Annali di Storia
dell'Educazione e delle Istituzioni Scolastiche», S. Negruzzo, Dalla scuola
dell'ajo al collegio dei gesuiti: il caso di L., in Dalla virtù al precetto.
L'educazione del gentiluomo, Brescia,
Fondazione Civiltà Bresciana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. ORATIONE DEL
MOLTO REV. MONSIGNOR OTTAVIO ERMANNO Macftro di Thcofogia PREPO
SITO DI LORENZO Vele officio TrenteJtmOydel Sig. Alcffianiro L. fatto
nella fu a Chtefa adi /. Giugno, M. C I r. Delle ragioni delli divina providenza
nella niorte di elfo Signoc AlefTandro. IN BRESCIA, Apprcffo Pietro
Maria Marchetti. Con licenza de Supenori. a H O IT A Jl O VH; OT JO M
.J3a OVTMAM513.0I7ATTO
5I0;Afcolcaton,chctiuouatrouatafiaque- Al I llancllaflncflrdiT)I
lendo in picciol quadro riftringcre numerofo ftuolo di gente, contenti di
compitamente delineare alcuni perfonaggi più illuftri, e principali; altri
fpargon in vna picciol parte di loro, chi nel capocchi in vn braccio, chi
in vna gamba, chi in va fianco; cosi io racchiudendo quàto ho da direnel
picciol qua-> cito della querela propofta andrò còforme à quello, che si
pretende cercando i miseri della Diuina prouidenza nella morte del Signor
Aleflandro in quefto tempo, in queftacti, inquefle circonflanze, confidato
nella bontà de gl'ingegni voliti aiuttati dallo Spirito del Signore, che
da queiU fi faran fcala i. trouarne altri più fublimi, e più alti .
Incominciando aduaque da più baflò grado luflusperit none/i ijuìrecogitet
corde» Vuole il Signore, cftenoi penfiamo di cuore alle cagioni
dellJL morte di quefio fuo amico, tanto giufio ; doue ricorrerò à
ricercarne il conto? hò pcnfatodi fpcdirmi daconfiglicri più bafsi. Non
v'ha dubio alcuno, che fe il Medico, o*l Filosofa foflè chicfta d*vn Hmil
quefito,rirponderebbe, non cfTere marauigliaalcuna ; et che vn'huomodi tante
fatiche,c cosi poco riposo, di tanti digiuni, e così poco cibo, di
tantcpafsioni c così poco rifioro,
dicosi graue infermiti, e cosi deboli for2e non poteuaviuer molto fenza
miracolo ;& il farmiracoliè fuori del comune cotfo della natura,
quale il Signor Iddio noa peruertifce fe non per qualche cafo
appartenente all'ordine fopranaturaledellagratia. Quefta rifpolla diede
egli fteffo à. me poco prima, che partiffe per Milano. Signor A
led'andro^ difsi iOy come (late voi l'ano in quefio iufluilò de mali
tanto pe ftilenti ftando la vita y che voi fate? Guardate, rirpofe, e
miracolo di Dio. era miracolo, fe viueuai Dio non hi voluta far'il
miracolo, perche non era ifpediente : adunque è morto^ Queftarifpofta
pare al primofcontrofodisfarejmaa chi confiderà le parole della querela, non
vuota atfatco la difficoltai poiché cosi fiando, non occorrerebbe
lamentarfi di cora,che comunemente corre nella vita, e nelJa motte di
ognVno, oltre cheàgiudicio mio s'appoggia a fondamento talfo; cioè chela divina
providenza nelle cofe naturali non habbia elie iure altroiAchelalciar
Correre le caufe naturali i i loroe^eai concoWndoreco Comé eaóft prima »
t lifciàndofì ^^t^rmìnw da loro, dico che lei è quella, che ha pofle in
ordinanza tali caufc per produrrai i effetti, e cofi mi refla Tempre da
dimandare, perche a etfccro tanto] nobile com*è l'huomo giu(lo,e
qucft'huorr.o in particolare hi ordinato caufe tanto pernicio
fe,checosìtoftodouefl'erodiftriiggereìa vita di lui. Alziamo dunque la
mira à più alto berfaglio, e vediamo, fe potiam cattare la rispofta dairifteHà
querela, nella feconda parte di lei. acìe enìm malici f colle &US eft
ikflus y € (i dìch\3iTzqy3c(io pa(lb con quell'altro della Sapientia al
quarto. Vlacens 'Deo fiBus dilcdus, et vìuens inter peccatores transUrus
e fi ; raptus efl ne mi' litiamutaret intdlt^um eius, aut ne fi^io
deciperet animam ìlUut . placitaenimerac Deo anima illius: propterhoc
properauit educere illum de medio iniquitatum. E veramente che da facri
Theologi c annouerato fra gli effetti della Diuina predeflinatione il
dare prefla morte al predeftinato,cui vede, che foprauiucndo, (ì
dannarebbe . ma quello fenfo non è neceflàrio, che conuenga a tutti; poiché
puòefsere, che per altri rifpetti ancora chiami a fe preftamente il Signore
quelli, che altrefi foprauiuendo fi farebbero faluati. Diciamo dunque,
inherendo a quefto paflb, che non ha il Signore lafciato arriuare il
Signor Aleffandro alla vecchiaia, perche non poteua farli il maggior fauore,
che liberarlo prefto da quei piccioli peccati, che in fe fteffo haueua; e da
quei grandi, che con grauifsimo fuo tormento vedeua in altri. Non replico
le cofe già dette da altri «quanto gli fpiaceflero i peccati veniali
medelìmi : foggiungo cflere im poffibile a huomo mortale,per fanto che fi
fia,viuere fenza pec cati veniali : econchiudo efièr flato gran fauore i
quedo gran de amico di Dio liberarlo quanto prima da fuoi peccati
per leggieri che foffero. Ma de’ peccati altrui propriamente parla la
Scrittura ne i luoghi allegati; et io dico, che chi conofceua l'infocato zelo di
quell'amorofo petto contro al peccato in aiuto de peccatori, dira che
patiua grauifs imo tormento, effendo per la fua conditione artretto a conutrfar
con peccatori, e che gratia gli ha fatto il Signore grande liberandolo;
potrei apportar quiui mille teftimoni, mille lentenze vdite có le mie
orecchie dalla bocca fua ; ma troppo lungo farebbe il ragionamento. Di vna mi
contento per adtlfo, et è che I accontandogli io vn facto occorfo dioéefa graue
d'iddio acciò gli A 4 prouedci?^ ; perche la narrat?ua (Tf^cndcua vn poco
in fango J in quel mentre ch’io ragionauo.fotto gli occhi mici
fcoppiaua di do'ore,& era coftretto tenerfi la mano al petto, perche
gli d fchiantaiiailcuore,emi prfgaua, ch’io finifsi quanto prima. Quindi
da quefto principio raccogliete voi le altre cofe di que fio punto, e ne
trouaretc infinite: come farebbero quelle inuentioni, quei flratagemi che
(ludiaua perdiuertir gli abufi ò publici ò priuati; come farcbbejChc ne i
giorni de i Santi tutelari della fua villa dodeci anni fono per ouuiare i
confueti ba« gordi intrcduceflel'oration delle 40. hore; vi conduccfTei
primi Predicatori di Brcfcia, quefto cflempio fofle poi feguito da
l'altre ancora : che nelle barche doue foggiornaua percagion di viaggio,
diuertilTe i ragionamenti vituperofi, introdudoccndonealtri,ediletteuoli, et vtili,
diftribuendo à tutti e libretti, e imagini : come farebbe, che ogni pochi
giorni haueffeìncafa mcfchinazzi,e vagabondi, acciò li faceficconfcfiarc;
cheraccoglieflei Valtelini per aiutarli nella fede; che fodètan to
follecito per la confcruation della fede in qucfta Citti; come poffo atteftar
io di opre importanti fatte a qucfto finejchc fcorrefTe ogn'anno qualche
parte di quefta grandiocefe fotto'l ftendardo 5L in Aituto della chrifliana
dottrina,non perdonando nei fpefe,nea fatiche; non lafciando luogo
peralpeftrc che foHe: come farebbe, che commandafle a vn gentilhuoma
fuo famigliare, che capitandogli donzelle d'aiutare,ò dopò la caduta,
òauanti, che cadano ; ne fapendo doue ricouerarle, le mandaffe tutte
infallibilmente à cafa fua, ecento d'altri. Io rhoviftotal volta
riprendere con feruor grande alcuna perfona, che malamente fi lafciaua tener in
freno, e fpezzaua la briglia, 8i ho ammirato in quel vifo,in quegli occhi, in
quella lingua mi (lion tale d'amor'edi fdegno, che ben dimoflraua
adirarficontra'l peccato,non controal peccatore; ne fcandaHzat^
(ìgiamaidi niuno. Hn'àtale,chcfi mifein difputa meco vna volta à volermi
perfuadere, ch'egli foffe il maggior peccatore del mondo, etiandio fuori di
quella fuppofitione che faccua Si Frajìcefco: cioè, perche fe Dio hauefle
facto a gli altri peccatori le gratie fatte alni, Thaucrebbero feruiro meglio
di lui: ctiamfenzaquefto voleua Alefiandrocllèrc maggior peccatore di
tutti : n^a trouandofialle ftrette con le ragioni/aila fine mi
.tiiiTe^che luilafcmiua così>fe bene non ne fapeua render la
ragionc gtonif! O animà benedetta, ò lume veramente diuina, che
fpunrando i più lucidi raggi fuoi dentro alle fineftrcdi quelle porczc,
gli faceua difcemere ogni pagIiuzza,ogni atomo^ognt pelo d'imperfcttionc.
Horsù propcrMUÌt educere iUnm de medio in'tifuìtatum, Si egli l'ha
riputato fauor grandifsimo. Più alto, più alto. Juftus petit, et non efi
qui recogitet corde. Che miftcrio, Signore, volete voi che ritrouiamo nella
morte di quefto giiifto ? forfè quello, che voi accennate colaappunto
nella Sapientia al quarto? Confumatustn breui expleuit tempora multai c
difopra . Sene^us enim yenerabìlis efi ncn diuturni, neq; annoti numeto
computata ; caniautem funt fenfus hominis ; et feneSu» tis yìta
immaculata. Et c quefto, che egli con feruor grande co-operando à diuini
impulfi, ne arrcftando con le proprie colpe lediuineinfpirationi,è
arriuato prettamente a quel fegno di gratia, Si i quel grado di gloria,
al quale Iddio l'haueua predeftinato: fiche era di meftieri troncargli il filo
di queftavita prefente; acciò non diuentaHe più fanto di quello, che Dio
lo voleua,per fegreto della giufta prouidcnza fua;qual fegretO
ancora andaremoìnueftigando più abaflb. Quefto e l'haucr in breue corfo
riempiti di meriti molti anni: Quefto è l'hauer nella vita immaculata
l'honor della vecchiaia . cfie dirò io qui di quella follecitudine
inferuorata tanto propria di lui? Pareua che indouinaftc il fine, che
parlando meco pochi giorni fono; inftaua grandemente, che bifognaua far
prefto, e non lafciar paftìire occafione ninna, che conccrneffe il
fcruitio di Dio, e richicfto da me, per vna certa occasione, vna volta,fe
in tanti negotij, tanto varij, et impoittuni fentiua mai tedio, o languìdezza
;mi replicò tre volte: mai mai mai nhòfentito; hò fcmprefentito la mcdefima
prontezza. Il Solcfpunta i raggi del marcino con foauità grande ; ma
falendo al mezzo giorno auen ta i ftrali infocati, che accendono, che
abruggiano, e di più chiara luce rifplendono. Le virtù di Aleifandro nella
fanciulkzza, e nella giouentùfua,quasi raggi matutini, erano piene
difoauita,edidolcezza; mancl meriggio deiretàfua, nella fommiti di quei
meriti, i quali era adell'o falito, non vedete come ardeua di
diuin'amore? come sfauillaua parolcdouunq; fi trouaflc tutte ferafiche, tutte
diuìne? chi lo fentì gi.imai à par lare non ditòociofamente, che quefto
auuertimento è troppo baffo ; ma humaQamcnte? qual ragionamento conchiufc
egli fe non n8 in Dìo?qual lettera fcrìrtc tontano, che no la
fregìaflc dì parole di Oio?quaI polìza madò per la città, che nòia
rpruzzaftè di Dio? doue mai moffe i piedi/e non per Dio? che cofa
operò etiam humanamente, e naturalmente, che non la iudrizzaffe in
Dio? Dio haueua egli fempre nel cuore, Dio nella bocca Dio nei piedi, Dio nelle
mani, era tutto abforto in Dio. Si maraujgliano, che habbi lafciato
moglie, doti grandi, robba di vnigenito quefto è nulla à quel gran cuore
; ha lafciato tue to fé fteffojOgnifuo commodo e temporale, e fpirituale
per feruigiodi Dio,eperaiuto del profsimo. Ditelo voi, che gli
recauate à biafìmo, cheincafafua non ci fo(Iè ordine; che noa vi fi
trouan'e mai hora ne di mangiar, ne di dormire. Dirò io quello, in che
più patiua, che più gli premeua . I diletti, i gufìi dello fpirito lafciauaper
Dio, et per il profsimo. lafciaua invnaparola Chrilto peramor di Chrifto.
Intendete hora, Afcoltatori, quel diffìcil parto di San Paolo . Optabam
ego amt" tema effe à LhriHo prò fratribus meis ^ Vedetene la
prattica in Ale(ìandro,huomo tanto dedico alla contemplatione^dcllecofe
celeft i; che pigliaua tanto diletto nello fludio delle facre let tere;
tutto lafciaua, di tutto fi priuaua per feruir al Signore ne fratelli
fuoi. Signor Alelìandro, gli diceuo io, a che propofitohauctefpcfitanti anni
nellefchole della Theologia,fe non la vedete mai ? a guifa di colui, che
prefa moglie, tofto l'abbandona, lafciandola in mano de parenti fuoi ? perche
non vi ritirate qualche volta a pigliar quel altifsimo diletto, per
cui tanti Santi, 8c amici di Dio han dato bando a tutte le cofe
crea te, fi fono ritirati ne'chioftri, e ne deferti? quei Nazianzeni,
quei Bafilij, quegli Agoftini. Haoece ragione, rifponde egli, ne patifco
grandemente: ma non hò tempo; et ertbrtaua me ancora à iafciarquefto gufto
pcrfcruitio di Dio, che afpettate più? Ah,mi fugge il tempo . conchiudo
in vna parola quanto fi può dire; egli era in arto fcmpre dell'vna, e
l'altra vita la contemplatiua, et Tattiua,nc leoperationi de Tvna impediuano
gli eflcrcitij dell'altra, e come che quel felice fpirito forte chiufo nella
carcere di corpo terreno, ftaua però talmente Tempre abforto in Dio, e con il
corpo impiegato in feruiggio del profsimo, come fe rvno,e l'altro in vna
medefima ca fa facelVcro diuerfa famiglia in diuifi appartamenti ; e come
il fuoco talmente s'adopra attorno alla materia di cui fi
pafce» che fce poi rotto in fc^ftellb, c fmoO più giubilando auampa
con maggior fiamma, € folletti feco »ò ra pifce i n alto quella terre
ilrità della materia; così lo fpirito di AlenandroabbaiTandofi a bifojrni
de profsimi fuoi non s'immergcua in efsi di maniera, che non
foUeuaflerecoognicofa a Dio. Deh fermati fole, cU*io non poflb tacer
quello, ch'io fon per dire Cade di bocca quefio Nouembre palfatoquafi per
fchcrzo ad vnfuo amico, c famigliare, ragionando con vn padre
rcligiofo>chehauercb be fotti gli cflercitij fpirituali della Compagnia
di Gesù, fe il Signor Alefandro gli haueffe fatto compagnia, tenendo
per fermo e(lèrcimpofsibile, per i molti negotij fuoi; tanto più
che la Signora fua madre era grauamente inferma » come ne mori . Lo
riferì il padre al Signor Aleflandro, non ftete egli a bada, non fii
lento a pigliar l'occafìone; fparfe parole per cafa, che andaua a
ritirarfì fuori della Citta per cagion de fludi . Si ritirarono tutti tre
il Padre, et efsi ;goder ono per quei giorni il Paradifo. O Aquila
celcfte,ò (guardo diuino, come ti dipinge diuinamence lo Spirito fanto in Giob
a trenta none. T{unquid éidpraceptum tuum eleuabitur à^qmla ; et in arduìs
ponct nidum fuum ? In
petr'is manet, et in pr£ruptìs filicibus commoratur, atque inacceffis
rupìbus . Inde coniemplatur efcam, et de Longe oculieiusprofpiciunt.
Soggiorna quell'Aquila per lo più vicino al fole eterno, habita nella
pietra, nelle rupi, nelle cauernc della maceria, nelle piaghe del Saluatore
colloca il fuo nido, tro ijailfuoripofo;qnindi s’abbairaali'efca terrena;
ma incontanente al fuo nido ritorna. Chi è di voi chi fappia i trauagli
grandijchehà patiti continuamente Alcffandro? credete voi^ che gli
leuailero la tranquillità, et il ripofo,che godeua ia quel fuo nido? So
che nell'occafionedi vnograuifsimo venu^ togli per vn*opera fatta per
feruigio di Dio, e falute di v n'anima; di fle a me, che con tutto ciò non
vorrebbe nonhauerlafac ta.,dC rhauerebbc fatta di nuouo . So che di altre
perfone^cbfit Igli dauano trauaglio hcbbe a dir molte volte, che era loro
molto obligato.di onde pigliaua quedi fentimenti? da quelle riiiik pi in
CUI baucua collocato il fuo nido. O marauighofo cotv 4cerco di ben
accordata cetra procedente da corde ài contrjr*' ario (uotvo; Tvna,e
l'altra vita. Nella attiua meriraua, nelljt «làaxaiipiaciua godeua: nella
atciua faticaua, nella coatetnpk. fitatiùa riporani ineHa inhtdìtcfnitxìi al
baflbi nella Contemplaciua vulaua in alto : ticHa acci ua proucdeuaad
aIcri>neU la conccmp iariua prouedcuaa fé fleiTo: nella
acciuaconuerfauacon gli huoiTìini, nella concemplaciua conuerfaua co gli
Ani;cli. Confiétnatus in breui expleuìt tempora multa . ha vnito in
fcftcflo cucci i ftaci, cucce le pcrfcctioni. Ma più al co ancora . luflus
per'it, et non eft,qm recogttec corde che habbiam dt penfar che habbia
molTo il Signore a dar la morce adeffo a que fio giudo amico Tuo? Thonor
grande, che gli voleua fare in cielo y Scili cerca per lo cócorfo
(lupendo di caufe cali,che morendo in cempo cale, di fuo lecco, fuor del
marcirio non potea morir più gloriofamcncc. Non mi ftcndo ad eHaggerar
quc fto pa(ro;lofapcce voi. Ad vn puncomi riftringo. egli e alle
mani Diohoggidi adilluflrare la fancica, e la gloria di quella gran colonna di
Tanca Chiefa il Cardinale Borromeo. Non era in corra il piiì (ìmile a lui
nella parcicolar vircù fua, che era il zelo della faluce delie anime, che
L. Non erachi peralcri piùconfumafferedefrotCheilBeaco Carlo, Se il
Signor Alefl'androjà guifaproporcionalmencedi duegran doppieri podi nella
Chiefa di Dio, quali ferueudo ad alcri di (Iruggono fé medeHmi: c perciò non
era ne anco in cerra a cui, porcaffe maggior amore il Cardinale mcncre
viueua,che a L. L'ha voluco per compagno nella gloria in Paradifo.gli ha
voluco comunicare la gloria fua anco in cerra, e farlo Hmilc afe anco nella
morce con quella proporcione, che in cofe non affacco medefìme fi può
ricrouare. Vaffene a Turino il Cardmale a vificar quell Alcezza canco a
lui cari per nuoua occafione: vafTeiie a Milano Aleffandro a
vificar queU'Arciuefcouo Cardinale canco Tuo, quanco fi è vido,
nuouamence venuco da Roma. Quindi viene il Cardinale a Varallo a vificar
quel sepolcro di Christo: fcieglie quel cempo d'andar'a Milano Aleifandro, che
fi lena il facro Chiodo per adorarlo; e con i'afpecco del facro Chiodo gode
il Beaco Sepolcro del Cardinale, e gli offerifce i doni d'argento.
S'amala al Sepolcro di Varallo il Cardinale : s'amala foprajil Sepolcro del
Cardinale Aleflandro. Condotco à Milanoil Cardinale, fubico e pronunciaco
fpedico da Medici: Dal fepolcro del Cardinale Alclfandro è commandaro
ricirarfi i l«cco, c riftelTa maccÌDa Icgucace fi fi la fcncenza della
moue quat- iquìittro giorni paflsino d'nifeJ^ft^ al Cardifiale: quattro
giovi Ili intieri foli giace in letto Aleffandro. More il Cardinale
in Milano: morc Aleffandro in Milano. More il Cardinale ncllx
camera,encl letto Archiepifcopalc: more AlclTandro nelle mini deirArciuefcouo
Cardinale cugino carnale di quello, fomigliantifsimo nella fantita, et nclli
angelici coftumi all' vno, 8C airalcro. More il Cardinale vicino al
cinquantefìmo anno dclTctà Tua: more Aleflindro vicino vn*anno al
cinquantefìmo dell'età fua . Morto il Cardinale vien apertole fuentrato :
aprir c fuentrar c ncceflario Aleflandro, che più? Carcano Anatomica di
Pauia è quello, chcefTcntera il Cardinale: Carcano medcfimo è quello, che
eflcntcra Aleffàndro. Si fanno TeHcquie del Cardinale dal Clerotutto: tutto'l
Clero peroccafion diSinodofitrouaal funerale di AlefTadro . 11 Cardinale di
Cremona in Pontificale fa l'officio al Cardinale: Il Cardinale di Milano in
Pontificale fa l'officio ad Aleflandro. Il Cardinale di Cremona fatto
l'officio, in publico confperto del mondo incomincia a dar fegno della
fantità del Cardinale facendogli toccar la corona: Il Cardinale di
Mi" lano morto Alessandro fubito gli bacia la mano come à Santo e fa
ordini, e da commifsionidclla riuerenza in che vuole, che fi tenga.
Sopra'l corpo del Cardinale fi fa l'oratione funebre daircloqucntifsimo
P. Panicarola : fopra il corpo d*Aleflàndro fi fa l'oratione da
qucllo,che nella CompagniadiGiesù fa publica profefsione di eloquenza, e
dell'arte del dire. Andate inanzi . Se Aleflandro cinque giorni e flato
morto fopra terra per il bifogno di condurlo a Brefcia: anco cinque
giorni flette lopra terra il Cardinale perdute fodisfattion al popolo, et
ap» parccchiarlecfl'equic. lamutatioiì,che fi vide nella faccia di
Aleflandro quando l' vltimo giorno fi fecero le eflequie. la vidi 90 in
quel giorno anco nella faccia del Cardinale. Corfcroal Cardinale le genti
a garra per ottener'alcuna delle reliquie fuc: Corfcro.e corronoad
Aleflandro et in Milano,& in Brefcia i popoli i garra per lo medcfimo
effetto . S'incominciòaH'hcH ra fubito à fcntir per la Citta mormorio di
varie gratie impeirate per lainuocation del Cardinale : Molte ancora, e di
graa yileiio fi fono vdite quini octenute per la intcrccfsion di Alessandro.
Refta, che come pochi anni dopò,la fua morte fi ù ricordaio il SignoK
d'iUuilrar cou miracoli il Cardinale; cosi Incfncftoincoft fiborifca
Alfffandrò". O beata co piiiòfcli ce confortio . che flarò io a dire
in queda occadone ? MwtaUit stima mea morte iufìorym fiint nouifiìma tnea
horum fimilia. Mi bt aktem nimU bmmati funt amiti tu't, Deus . Tr£tìofa
in tonfpeffu Domini mo- s fauSorum eius . Tanto è grande l'honore, che fa
il Signore a gli amici Tuoi, tanto illufVre la gloria, che dona
lorOi che non contento di quella del Cielo, la dilata anco per la tetta,
per quella valle di milerie: non contento dello fpirirOfll coniinunica
anco al corpo ; anco alle ofl*a fecche; anco alle ceneri ; anco à lorbaftoni; à
lorveftimenti ; à lor capelli; à lor (lringhe;i lor fcarpe; alle ombre
loro, comunicandogli virtà onnipotente . E dunque vero Signore, che Stmi%
honorati funi amiciiuiy Deus. Ma fagliamo vn fcalin più alro ancora.
Lequac tro cagioni annouerate non efcOno dalla perlona di Alcflandro;
fono particolari Tue. Due iChereftano Tono più diuine più alte ; pretendono il
ben commune, che è molto \»mi petto ad Alc!randro, & i Dio. Non vi
ricorda? Cftpi. ego anAtcma effe à Chrifio prO fratribus mets ^ E di
quell'ai tro,chc in ecceflb di fpi rituale pazzia dimandaua gratia al
Signore, che man dafTe alrinferno lui, e libera(lè tutte quelle anime, che vi
ftauano rac che con grauc bcftcmmia contro la diuina clluìna
proaidenzatepntanòimporsibile fcruire pcrfettimdti(eaSua Diuina MaefUfotco
paterni recti, nella cara domenica, neirhabico laicale, nella conuerfacion del fecolo,
fra le occafìoni de peccati, nelle procelle di quello tempeflofo mare del
mondo. O gran filofofìa»© fapientia rara, ma necelTaria, 8C importante
più dì tutte . Ecco in AlelTandro laico, la vira re ]igiora;in AleH'andro
occupato la vita monadica; in AIeiTan- chi il zelo dell'anime, chi la cura
delle pxci, chi le prigioni, chi gli hofpitali, chi le congregationi, chi
gli oratorij,e tutti infìemevn'accefo amor di Dio 5^ del proffimo. Qncde rapine
v'afsicuro io, da parte fua, che gli aggradiranno molto più, che fcalzarlo, ò
fucdirlo, ò pelarlo per di-. uocioné; 5c fe queilo hauete fatto; vi fìano
quelle reliquie vrr perpetuo mantice, che v'accenda all'imitatione de
fuoi Santi Codumi. Alessandro Luzzago. Luzzago. Keywords:
implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Luzzago” – The Swimming-Pool
Library.
Luigi Sp
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